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CAMERA DEI DEPUTATI
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N. 366 |
a) sebbene la minoranza che contrastò la legge contestasse la sufficienza della prima parte della legge n. 194 del 1978 a contenere il fenomeno aborto, tuttavia tale parte esprimeva ed esprime quanto meno l'impegno del legislatore di evitare, per quanto possibile, l'aborto, almeno come strumento di semplice controllo delle nascite;
b) nella strategia disegnata dal Parlamento i consultori avrebbero dovuto essere la punta di diamante della prevenzione.
2. I fatti dimostrano che tale prima parte della legge n. 194 del 1978 non ha funzionato.
Come è noto, in base all'articolo 16 di tale legge il Ministro della salute deve ogni anno presentare al Parlamento «una relazione sull'attuazione della legge stessa e sui suoi effetti, anche in riferimento al problema della prevenzione».
Tenendo conto delle relazioni provenienti da Ministri della sanità e poi della salute di diverse parti politiche, si può affermare che tutte concordano nell'affermare che l'interruzione volontaria della gravidanza è usata in Italia come «mezzo di controllo delle nascite», in palese contrasto con l'articolo 1.
Non è qui il caso di ricordare in cifre i dati di fatto, in base ai quali si deve ragionevolmente affermare che l'interruzione volontaria della gravidanza è stata fino ad ora usata come semplice mezzo di controllo delle nascite e che i consultori pubblici non sono riusciti, nel loro complesso, a svolgere l'azione preventiva che era loro affidata. Basterà scorrere le cifre contenute nelle varie relazioni, in assoluto, in rapporto alle nascite, in rapporto alle condizioni dei genitori, in rapporto al numero dei figli e in rapporto alla recidiva.
Interessa molto di più dimostrare che il giudizio di inattuazione della prima parte della legge n. 194 del 1978 è largamente condiviso.
3. Questa così largamente riconosciuta inattuazione o inefficienza della prima parte della legge n. 194 del 1978 non è cosa di poco conto. In definitiva è in gioco
la vita umana. Tale inattuazione o inefficienza attinge addirittura il livello costituzionale. Quando in Parlamento fu posta la pregiudiziale di costituzionalità sulla legge n. 194 del 1978, fu sostenuto che la tutela del diritto alla vita dell'embrione, che la Corte costituzionale aveva riaffermato con la sua sentenza n. 27 del 1975, era garantita - in rapporto alla particolare condizione dell'embrione - proprio dalle disposizioni della prima parte della legge n. 194 del 1978, quella stessa che ora tutti dicono inattuata o insufficiente. E proprio a queste medesime parti l'Avvocatura dello Stato fece riferimento per contrastare le varie eccezioni di legittimità che varie magistrature sollevarono (in specie, l'atto 5764/79 dell'Avvocatura dello Stato).
Come è noto la Corte costituzionale non si è pronunciata nel merito di quelle eccezioni, avendole risolte in punto di rilevanza (sentenze n. 108 e n. 109 del 1981) ma, in un'altra sentenza (n. 26 del 1981) concernente l'ammissibilità dei referendum, la Corte ipotizzò che il dubbio di costituzionalità, se avesse dovuto essere affrontato, avrebbe dovuto misurarsi con la sufficienza di tali prime parti.
È chiaro dunque che lo Stato e il Parlamento non possono restare inerti di fronte ai difetti di formulazione o di gestione che vengono lamentati.
4. È doverosa dunque una attenta riflessione sull'attuazione degli articoli da 1 a 5 della legge n. 194 del 1978, per capire le cause della disapplicazione o della insufficienza e porvi rimedio.
È ben vero che l'articolo 16 della legge n. 194 del 1978 prevede che i Ministri della salute e della giustizia presentino ogni anno al Parlamento una relazione e che tale circostanza potrebbe consentire un dibattito parlamentare. Ma la situazione è di tale rilevanza e gravità da esigere un impegno più profondo e continuo del Parlamento.
Inoltre vi è una circostanza importantissima su cui occorre meditare. Parlare di vita umana, di prevenzione dell'aborto sembra oggi divenuto pericoloso. Subito emerge dal profondo delle coscienze la memoria di un'antica lacerazione. D'altra parte tutti riconoscono che qualcosa bisogna cambiare. Ma se le proposte nascessero da un'unica parte politica vi sarebbe il rischio dell'incomprensione o il turbamento dovuto alla concorrenza partitica.
Invece la materia è di tale delicatezza da esigere il massimo possibile di unità.
D'altra parte non ci si nasconde che dietro la comune affermazione della inattuazione o insufficienza della prima parte della legge n. 194 del 1978, sono in agguato visioni ben diverse sulle cause e sui rimedi.
Il tentativo di soluzione unitaria perciò, più che la proposta di diagnosi e di ricette già elaborate da una sola parte, ha bisogno di un contatto sincero con i problemi e con i testimoni vivi di essi (amministratori, medici, studiosi, operatori consultoriali, associazioni che si occupano della maternità, eccetera) e di un colloquio prolungato che alla fine faccia condividere alcune proposte, non si sa in anticipo quanto estese.
5. Fino ad ora ci si è occupati della prevenzione dell'aborto volontario. Ma i consultori hanno compiti più vasti che riguardano l'intero campo della famiglia e dei minori. Si ha, peraltro, la sensazione che sui consultori pubblici, dalla legge istitutiva n. 405 del 1975 ad oggi, si siano scaricati tutti i problemi irrisolti nel campo, appunto, della famiglia e dei minori, senza pensare adeguatamente alla loro struttura, al controllo su di essi, al loro raccordo con gli altri organi dello Stato (si pensi, ad esempio, al tribunale per i minorenni, al giudice tutelare, alle cause di separazione e di divorzio tra coniugi con relativo affidamento dei figli, fino alla materia delle tossicodipendenze) e con il volontariato.
È tutto un vasto campo di indagine, che va ben oltre lo spazio della relazione ministeriale di cui all'articolo 16 della legge n. 194 del 1978, attuando il quale si può dare vita solidamente a un nuovo consultorio. Non si dimentichi che in molte parti d'Italia l'identità stessa del consultorio si va smarrendo. Le leggi regionali, in genere lunghe e ripetitive, per lo
più hanno parafrasato la legge quadro del 1975, in ciò manifestando la difficoltà di fondo, che è quella di vedere chiara la funzione del consultorio, e su questa modellare struttura e rapporti. Non basta, certo, un cartello con la scritta «consultorio» a fare un consultorio e difatti, dopo tanta enfasi iniziale, oggi in talune regioni si ipotizza la sostanziale cancellazione di ciò che era stato chiamato «consultorio».
Sono convinto che occorre sviluppare una nuova cultura della vita per fare l'Italia più grande e più degna della sua storia.
Proprio per sottolineare la necessità e l'urgenza di provvedimenti che possano favorire il superamento del ricorso all'aborto, anche per modificare la legge n. 194 del 1978, è necessario istituire una Commissione parlamentare di inchiesta sulla sua attuazione e sul funzionamento dei consultori, confidando in queste ragioni per una rapida approvazione della presente proposta di legge.
1. È istituita una Commissione parlamentare di inchiesta sull'attuazione degli articoli 1, 2, 3, 4 e 5 della legge 22 maggio 1978, n. 194, di seguito denominata «Commissione», con il compito di accertare in che modo lo Stato, le regioni e gli enti locali e, in particolare, i consultori, hanno svolto l'attività di prevenzione dell'aborto volontario.
2. La Commissione compie indagini anche sugli interventi compiuti dai consultori nell'ambito della problematica familiare e minorile.
3. La Commissione procede con i poteri e i limiti previsti dall'articolo 82, secondo comma, della Costituzione.
1. La Commissione conclude i propri lavori entro sei mesi dal suo insediamento e presenta al Parlamento una relazione sulle risultanze dell'attività svolta, in cui sono tra l'altro indicate le iniziative legislative e amministrative ritenute eventualmente opportune, al fine di rendere attuabili gli obiettivi indicati nell'articolo 1 della legge 22 maggio 1978, n. 194.
1. La Commissione è composta da quindici senatori e da quindici deputati, nominati, rispettivamente, dal Presidente del Senato della Repubblica e dal Presidente della Camera dei deputati. Con la stessa procedura si provvede alle sostituzioni che si rendano necessarie in caso di dimissioni, di impedimento assoluto o di cessazione dal mandato parlamentare.
2. Il presidente è nominato, al di fuori dei trenta componenti la Commissione, di comune accordo dal Presidente del Senato della Repubblica e dal Presidente della Camera dei deputati. La Commissione elegge al proprio interno due vicepresidenti e due segretari.
1. Le spese per il funzionamento della Commissione sono stabilite nel limite massimo di 60.000 euro e sono poste a carico, in parti uguali, dei bilanci interni del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati.
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