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PDL 366

XVI LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 366



PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa del deputato VOLONTÈ

Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sull'attuazione della legge 22 maggio 1978, n. 194, in materia di prevenzione dell'aborto volontario e di funzionamento dei consultori

Presentata il 29 aprile 2008


      

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Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge, con la quale si prevede di istituire una Commissione parlamentare di inchiesta sull'attuazione degli articoli 1, 2, 3, 4 e 5 della legge 22 maggio 1978, n. 194, con particolare riferimento all'azione dei consultori pubblici in ordine alla prevenzione dell'aborto volontario, riproduce il testo di una proposta già presentata nella precedente legislatura (si veda l'atto Camera n. 82). Quanto emerso nel corso dell'indagine conoscitiva svolta dalla Commissione Affari sociali nell'ultimo scorcio della XIV legislatura non ha, infatti, reso meno cogenti le considerazioni che avevano spinto alla presentazione della citata proposta di legge, le quali possono essere riassunte come segue.
      1. La prima parte della legge n. 194 del 1978, segnatamente negli articoli 1 e 2, è comunemente detta «parte preventiva», in quanto - in un sistema di legalizzazione dell'aborto - essa avrebbe dovuto avviare meccanismi di «filtro», di «rimozione delle cause dell'aborto», insomma di contenimento della interruzione volontaria della gravidanza, sia nella forma legale sia in quella illegale.
      È opportuno ricordare l'articolo 1, che al primo comma dichiara: «Lo Stato (...) tutela la vita umana dal suo inizio»; al secondo comma sancisce: «L'interruzione volontaria della gravidanza, di cui alla presente legge, non è mezzo per il controllo delle nascite»; al terzo comma dispone: «Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell'ambito delle proprie funzioni e competenze, promuovono e sviluppano i servizi socio-sanitari, nonché altre iniziative necessarie per evitare che l'aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite».
      Sebbene sia stato da molti rilevato il contrasto tra la prima parte della citata legge n. 194 del 1978 e le seguenti, nonché l'astrattezza e l'equivocità delle formulazioni (al riguardo valga per tutte le possibili citazioni la motivazione in diritto della sentenza della Corte costituzionale n. 26 del 1981, al punto 3, specie in fine), non è il caso qui di fare esegesi o polemiche: è un fatto che una larga maggioranza del Parlamento attribuì alla prima parte della citata legge n. 194 del 1978 una importante funzione di contenimento degli aborti anche legali. In particolare il Governo, per bocca dell'allora Ministro di grazia e giustizia nella seduta del Senato della Repubblica svoltasi il 10 maggio 1978 dichiarò: «(...) con profonda soddisfazione il Governo prende atto che la tesi, aberrante sul piano costituzionale, che l'aborto costituirebbe contenuto ed oggetto di un diritto di libertà, ha ricevuto una secca smentita e una non equivoca ripulsa dalla quasi totalità dei gruppi politici che compongono il Parlamento (...). È sulla base di tale valutazione che il Governo, mentre sollecita le forze politiche e sociali a dare un prezioso contributo nell'opera diretta a prevenire e a disincentivare l'aborto, assume il formale impegno che (...) ogni sforzo sarà diretto, per la parte di sua competenza, a dare il massimo di efficienza a quelle strutture, a quegli interventi che sono predisposti al fine di aiutare la donna ad optare non per l'aborto ma per la vita della sua creatura, in coerenza con l'articolo 1 della legge».
      È interessante rileggere anche quanto i relatori di maggioranza del tempo, alla Camera dei deputati, onorevoli Antonio Del Pennino e Giovanni Berlinguer, avevano scritto: «L'aver posto l'accento sul ruolo di prevenzione dei consultori significa aver caricato di una valenza negativa il giudizio sulle pratiche abortive, riaffermando l'interesse dello Stato a svolgere un intervento dissuasivo nei confronti della decisione della donna di interrompere la gravidanza».
      Dunque non è lecito avere dubbi:

          a) sebbene la minoranza che contrastò la legge contestasse la sufficienza della prima parte della legge n. 194 del 1978 a contenere il fenomeno aborto, tuttavia tale parte esprimeva ed esprime quanto meno l'impegno del legislatore di evitare, per quanto possibile, l'aborto, almeno come strumento di semplice controllo delle nascite;

          b) nella strategia disegnata dal Parlamento i consultori avrebbero dovuto essere la punta di diamante della prevenzione.

      2. I fatti dimostrano che tale prima parte della legge n. 194 del 1978 non ha funzionato.
      Come è noto, in base all'articolo 16 di tale legge il Ministro della salute deve ogni anno presentare al Parlamento «una relazione sull'attuazione della legge stessa e sui suoi effetti, anche in riferimento al problema della prevenzione».
      Tenendo conto delle relazioni provenienti da Ministri della sanità e poi della salute di diverse parti politiche, si può affermare che tutte concordano nell'affermare che l'interruzione volontaria della gravidanza è usata in Italia come «mezzo di controllo delle nascite», in palese contrasto con l'articolo 1.
      Non è qui il caso di ricordare in cifre i dati di fatto, in base ai quali si deve ragionevolmente affermare che l'interruzione volontaria della gravidanza è stata fino ad ora usata come semplice mezzo di controllo delle nascite e che i consultori pubblici non sono riusciti, nel loro complesso, a svolgere l'azione preventiva che era loro affidata. Basterà scorrere le cifre contenute nelle varie relazioni, in assoluto, in rapporto alle nascite, in rapporto alle condizioni dei genitori, in rapporto al numero dei figli e in rapporto alla recidiva.
      Interessa molto di più dimostrare che il giudizio di inattuazione della prima parte della legge n. 194 del 1978 è largamente condiviso.
      3. Questa così largamente riconosciuta inattuazione o inefficienza della prima parte della legge n. 194 del 1978 non è cosa di poco conto. In definitiva è in gioco la vita umana. Tale inattuazione o inefficienza attinge addirittura il livello costituzionale. Quando in Parlamento fu posta la pregiudiziale di costituzionalità sulla legge n. 194 del 1978, fu sostenuto che la tutela del diritto alla vita dell'embrione, che la Corte costituzionale aveva riaffermato con la sua sentenza n. 27 del 1975, era garantita - in rapporto alla particolare condizione dell'embrione - proprio dalle disposizioni della prima parte della legge n. 194 del 1978, quella stessa che ora tutti dicono inattuata o insufficiente. E proprio a queste medesime parti l'Avvocatura dello Stato fece riferimento per contrastare le varie eccezioni di legittimità che varie magistrature sollevarono (in specie, l'atto 5764/79 dell'Avvocatura dello Stato).
      Come è noto la Corte costituzionale non si è pronunciata nel merito di quelle eccezioni, avendole risolte in punto di rilevanza (sentenze n. 108 e n. 109 del 1981) ma, in un'altra sentenza (n. 26 del 1981) concernente l'ammissibilità dei referendum, la Corte ipotizzò che il dubbio di costituzionalità, se avesse dovuto essere affrontato, avrebbe dovuto misurarsi con la sufficienza di tali prime parti.
      È chiaro dunque che lo Stato e il Parlamento non possono restare inerti di fronte ai difetti di formulazione o di gestione che vengono lamentati.
      4. È doverosa dunque una attenta riflessione sull'attuazione degli articoli da 1 a 5 della legge n. 194 del 1978, per capire le cause della disapplicazione o della insufficienza e porvi rimedio.
      È ben vero che l'articolo 16 della legge n. 194 del 1978 prevede che i Ministri della salute e della giustizia presentino ogni anno al Parlamento una relazione e che tale circostanza potrebbe consentire un dibattito parlamentare. Ma la situazione è di tale rilevanza e gravità da esigere un impegno più profondo e continuo del Parlamento.
      Inoltre vi è una circostanza importantissima su cui occorre meditare. Parlare di vita umana, di prevenzione dell'aborto sembra oggi divenuto pericoloso. Subito emerge dal profondo delle coscienze la memoria di un'antica lacerazione. D'altra parte tutti riconoscono che qualcosa bisogna cambiare. Ma se le proposte nascessero da un'unica parte politica vi sarebbe il rischio dell'incomprensione o il turbamento dovuto alla concorrenza partitica.
      Invece la materia è di tale delicatezza da esigere il massimo possibile di unità.
      D'altra parte non ci si nasconde che dietro la comune affermazione della inattuazione o insufficienza della prima parte della legge n. 194 del 1978, sono in agguato visioni ben diverse sulle cause e sui rimedi.
      Il tentativo di soluzione unitaria perciò, più che la proposta di diagnosi e di ricette già elaborate da una sola parte, ha bisogno di un contatto sincero con i problemi e con i testimoni vivi di essi (amministratori, medici, studiosi, operatori consultoriali, associazioni che si occupano della maternità, eccetera) e di un colloquio prolungato che alla fine faccia condividere alcune proposte, non si sa in anticipo quanto estese.
      5. Fino ad ora ci si è occupati della prevenzione dell'aborto volontario. Ma i consultori hanno compiti più vasti che riguardano l'intero campo della famiglia e dei minori. Si ha, peraltro, la sensazione che sui consultori pubblici, dalla legge istitutiva n. 405 del 1975 ad oggi, si siano scaricati tutti i problemi irrisolti nel campo, appunto, della famiglia e dei minori, senza pensare adeguatamente alla loro struttura, al controllo su di essi, al loro raccordo con gli altri organi dello Stato (si pensi, ad esempio, al tribunale per i minorenni, al giudice tutelare, alle cause di separazione e di divorzio tra coniugi con relativo affidamento dei figli, fino alla materia delle tossicodipendenze) e con il volontariato.
      È tutto un vasto campo di indagine, che va ben oltre lo spazio della relazione ministeriale di cui all'articolo 16 della legge n. 194 del 1978, attuando il quale si può dare vita solidamente a un nuovo consultorio. Non si dimentichi che in molte parti d'Italia l'identità stessa del consultorio si va smarrendo. Le leggi regionali, in genere lunghe e ripetitive, per lo più hanno parafrasato la legge quadro del 1975, in ciò manifestando la difficoltà di fondo, che è quella di vedere chiara la funzione del consultorio, e su questa modellare struttura e rapporti. Non basta, certo, un cartello con la scritta «consultorio» a fare un consultorio e difatti, dopo tanta enfasi iniziale, oggi in talune regioni si ipotizza la sostanziale cancellazione di ciò che era stato chiamato «consultorio».
      Sono convinto che occorre sviluppare una nuova cultura della vita per fare l'Italia più grande e più degna della sua storia.
      Proprio per sottolineare la necessità e l'urgenza di provvedimenti che possano favorire il superamento del ricorso all'aborto, anche per modificare la legge n. 194 del 1978, è necessario istituire una Commissione parlamentare di inchiesta sulla sua attuazione e sul funzionamento dei consultori, confidando in queste ragioni per una rapida approvazione della presente proposta di legge.


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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

      1. È istituita una Commissione parlamentare di inchiesta sull'attuazione degli articoli 1, 2, 3, 4 e 5 della legge 22 maggio 1978, n. 194, di seguito denominata «Commissione», con il compito di accertare in che modo lo Stato, le regioni e gli enti locali e, in particolare, i consultori, hanno svolto l'attività di prevenzione dell'aborto volontario.
      2. La Commissione compie indagini anche sugli interventi compiuti dai consultori nell'ambito della problematica familiare e minorile.
      3. La Commissione procede con i poteri e i limiti previsti dall'articolo 82, secondo comma, della Costituzione.

Art. 2.

      1. La Commissione conclude i propri lavori entro sei mesi dal suo insediamento e presenta al Parlamento una relazione sulle risultanze dell'attività svolta, in cui sono tra l'altro indicate le iniziative legislative e amministrative ritenute eventualmente opportune, al fine di rendere attuabili gli obiettivi indicati nell'articolo 1 della legge 22 maggio 1978, n. 194.

Art. 3.

      1. La Commissione è composta da quindici senatori e da quindici deputati, nominati, rispettivamente, dal Presidente del Senato della Repubblica e dal Presidente della Camera dei deputati. Con la stessa procedura si provvede alle sostituzioni che si rendano necessarie in caso di dimissioni, di impedimento assoluto o di cessazione dal mandato parlamentare.
      2. Il presidente è nominato, al di fuori dei trenta componenti la Commissione, di comune accordo dal Presidente del Senato della Repubblica e dal Presidente della Camera dei deputati. La Commissione elegge al proprio interno due vicepresidenti e due segretari.

Art. 4.

      1. Le spese per il funzionamento della Commissione sono stabilite nel limite massimo di 60.000 euro e sono poste a carico, in parti uguali, dei bilanci interni del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati.


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