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Seduta del 6/10/2005


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Esame testimoniale di Bruno Loi.

PRESIDENTE. Riprendiamo i nostri lavori in Commissione con l'esame testimoniale del generale Bruno Loi, al quale facciamo presente che è ascoltato con le forme della testimonianza, e quindi con l'obbligo di dire la verità e di rispondere alle domande della Commissione, a cominciare da quelle del suo presidente. Gli chiediamo intanto di dare le generalità, attuale attività lavorativa, se c'è, e residenza.
Generale, le nostre audizioni si svolgono in collegamento con la sala stampa. Nel momento in cui lei dovesse ritenere di fare dichiarazioni che considera opportuno tenere riservate, anzi segrete, noi chiuderemo il circuito e segretiamo gli atti.

BRUNO LOI. Mi chiamo Bruno Loi, sono un ufficiale dell'esercito italiano, sono generale di corpo d'armata in pensione. Quindi, la mia posizione è esattamente in ausiliaria.

PRESIDENTE. Dove risiede?

BRUNO LOI. Risiedo a Modena, via Emilia est 190/1. Attualmente, non svolgo alcuna attività lavorativa che non sia quella a carattere del tutto volontario nell'ambito di associazioni ed enti privati.

PRESIDENTE. Generale, lei sa che noi ci interessiamo della vicenda che ha visto l'uccisione di Ilaria Alpi e di Miran Hrovatin in Mogadiscio, in data 20 marzo 1994. La nostra Commissione ha il compito di accertare come siano andati i fatti, di accertare le responsabilità istituzionali e individuare in via generale tutto ciò che contribuisce a chiarire quale sia stato il contesto in cui i fatti si siano verificati, perché può a sua volta contribuire a comprenderne le ragioni.
In quale periodo lei è stato in Somalia e con quali incarichi?

BRUNO LOI. Sono arrivato in Somalia il 22 dicembre 1993 con l'incarico di comandante di Italpar (la brigata paracadutisti più tutte le forze terrestri dell'esercito italiano assegnate alla brigata).

PRESIDENTE. Fino a quando è rimasto?

BRUNO LOI. Fino al 3 maggio 1993 ho comandato Italpar. Sopra di me c'era Italfor, che era comandata dal generale Rossi, deceduto.
Dal 4 maggio fino al 6 settembre 1993, ho comandato Italfor.

PRESIDENTE. Sì, c'è un piccolo errore: ha parlato del dicembre 1993 come data di arrivo, ma forse intendeva dire 1992.

BRUNO LOI. Mi sono sbagliato.

PRESIDENTE. Quindi, dal dicembre 1992, fino al...?

BRUNO LOI. Fino al 6 settembre 1993, ma con la differenziazione degli incarichi che scattò il 4 maggio 1993.

PRESIDENTE. Benissimo. Qual era la situazione politica e militare che lei ha trovato quando è arrivato in Somalia?

BRUNO LOI. Era una situazione di apparente calma. Infatti era una calma molto vivace, direi. Si sparava per le strade. C'erano scontri fra fazioni. Però, era stato siglato un certo accordo - mi pare di ricordare che fu il 13 dicembre 1992 - e quindi il cessate il fuoco veniva abbastanza rispettato. C'era una linea di demarcazione, la cosiddetta linea verde, che divideva in due la città di Mogadiscio.
All'inizio, avevamo una collocazione in parte a Mogadiscio nord e in parte a Mogadiscio sud.


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PRESIDENTE. Le faccio subito la domanda sulla ragione di questa distinzione fra nord e sud, rappresentata dalla linea verde.

BRUNO LOI. Nella zona nord c'era Ali Mahdi con il suo quartier generale, e nella zona sud c'era Aidid con il suo quartier generale. In realtà, nella zona nord c'era una grossa fetta di appartenenti al clan degli aber ghedir, che era quello a cui faceva capo anche l'organizzazione di Aidid. Era una zona a pelle di leopardo.

PRESIDENTE. Finalmente, si comincia a fare chiarezza.
La situazione politico-militare era controllabile da parte vostra?

BRUNO LOI. Quando siamo arrivati, la situazione era grave, c'erano ancora scontri e attività di cani sciolti (chiamavamo così quei banditi che sfuggivano al controllo dei capi clan).

PRESIDENTE. A parte questi cani sciolti, come li chiama lei, tra chi avvenivano gli scontri?

BRUNO LOI. Tra le opposte fazioni.

PRESIDENTE. Cioè, tra Aidid e Ali Mahdi?

BRUNO LOI. Sì. Erano scaramucce che poi sfociarono in scontri abbastanza importanti verso la fine di gennaio e febbraio 1993, e poi ci fu una continua escalation.

PRESIDENTE. È corretto dire che la zona sud era sotto il controllo di Aidid e che la zona nord era sotto il controllo di Ali Mahdi?

BRUNO LOI. Sì, è sostanzialmente corretto, però, come dicevo prima, non bisogna dimenticare che nella zona sud per lo più vi erano aber ghedir e non vi erano molto partigiani di Ali Mahdi, mentre nella zona nord vi era un grandissimo quartiere, quello di Ariwa, dove poi ebbero luogo gli incidenti del 2 luglio 1993, che comportarono anche la perdita di vite umane italiane, dove si valutava che abitassero addirittura centomila aber ghedir.

PRESIDENTE. Dove si trovava questo quartiere? Tanto per capire, perché noi non conosciamo la città di Mogadiscio e lei la conosce bene, facciamo capo alla zona nella quale è successo il fatto del quale ci stiamo interessando, cioè la zona dell'hotel Hamana.

BRUNO LOI. Di fronte all'ambasciata.

PRESIDENTE. Ecco, rispetto all'hotel Hamana, dove era collocata la zona in cui vi erano questi appartenenti - dico così per semplificare - al clan di Aidid?

BRUNO LOI. A quattro o cinque chilometri a nord ovest.

PRESIDENTE. Quindi, non molto distante.

BRUNO LOI. No.

PRESIDENTE. In quel momento, la forza dei due, Aidid da una parte e Ali Mahdi dall'altra, qual era?

BRUNO LOI. È difficile quantificare. Grosso modo, si equivalevano. Dalla parte di Aidid vi era forse una migliore organizzazione militare. Aidid era un capo militare, mentre Ali Mahdi era un ristoratore che si era dato alla politica.

PRESIDENTE. Se lei dovesse fare una valutazione complessiva del periodo in cui lei è stato in Somalia, questo rapporto di forza, Aidid-Ali Mahdi, che al di là delle diversità strategiche e delle capacità politiche, la forza brutalmente militare, è rimasto sempre inalterato, oppure c'è stata una parabola nella forza militare di Aidid da una parte e di Ali Mahdi dall'altra? E, nei loro rapporti, qual era il rapporto di forza, per quello che lei ha capito?


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BRUNO LOI. Ritengo che si equivalessero sostanzialmente, ma uno dei due poteva contare su una migliore organizzazione.

PRESIDENTE. Questo anche a settembre, quando lei se n'è andato?

BRUNO LOI. Penso di sì. Inoltre, si creavano delle fugaci ed effimere alleanze. Duravano qualche settimana, poi cambiavano fronte. Insomma, era una guerra di tutti contro tutti, dove spiccavano questi due capi fazione che avevano maggiore peso, tanto da poter ridurre il confronto, semplificando molto, proprio fra queste due fazioni, questi due clan: gli aber ghedir e gli abgal.

PRESIDENTE. E a proposito dei vostri rapporti, come militari italiani sul posto, con i somali in genere, ma in particolare con queste due fazioni, quale posizione avevate assunto e, comunque, che tipo di considerazione - stavo per dire quanta considerazione - avevate da parte della Somalia e dai cittadini somali?

BRUNO LOI. Fin dal primo giorno abbiamo cercato di mantenere la massima imparzialità e la massima equidistanza nei confronti di tutte le fazioni. Ci sembrava che questo fosse il principio fondamentale a cui attenersi per evitare di cadere nella trappola del favoritismo dell'una o dell'altra fazione, che ci avrebbe fatto considerare sedicesima fazione in lotta.

PRESIDENTE. Finché c'è stato lei si è osservata questa regola, e soprattutto è stato possibile attuarla?

BRUNO LOI. Sì.

PRESIDENTE. Non so se lei ha mai sentito parlare di una lamentela che Ali Mahdi rivolgeva alle forze armate italiane - che ha ripetuto anche qui, quando abbiamo potuto sentirlo, che ci hanno ripetuto anche altri (e che sono testimoniate, tra virgolette, anche da alcune informative del Sismi) - per il fatto di essere stato convinto - questa è esattamente la parola che ha usato - a deporre le armi. La stessa cosa non sarebbe stata fatta, e nemmeno richiesta, nei confronti di Aidid. Ciò avrebbe creato uno scompenso nelle forze, e quindi, anche un accelerarsi dei disordini all'interno del suo territorio fino a far disperdere la sua incidenza. Non so se sono riuscito a spiegarmi bene. Penso che lei abbia capito, al di là di quello che ho detto io.

BRUNO LOI. Dopo quella fase iniziale in cui vi era incertezza - perché eravamo un po' da una parte e un po' dall'altra, come collocazione fisica - gli uomini del contingente italiano, proprio dietro sollecitazione - ricordo di aver fatto pressione io stesso sul generale Rossi affinché la facesse sul comando americano -, ottennero un settore di responsabilità, cioè un'area of responsibility (AOR) sulla quale esercitare la propria azione di peacekeeping, secondo quanto previsto dal mandato. Ciò, secondo la nostra valutazione, era fondamentale per poter lavorare organicamente e non fare interventi come quelli che sembrava dovessero compiersi all'inizio, quando non avevamo ricevuto alcun tipo di delimitazione topografica. Così, ci fu assegnata un'area di responsabilità che comprendeva tutto il nord della Somalia, che era sotto il controllo dell'ONU e, della città di Mogadiscio, la zona nord, quella sotto il controllo di Ali Mahdi.
Ripeto ciò che ho detto all'inizio: abbiamo sempre cercato di mantenere la massima equidistanza, però, insistendo sulla zona di Ali Mahdi, evidentemente la nostra azione era prevalentemente rivolta verso le popolazioni controllate da Ali Mahdi, con quella precisazione che ho fatto all'inizio, e cioè che su quell'area insistevano anche enclave piuttosto consistenti di aber ghedir. Insomma, la popolazione nel nostro settore non era omogenea. Dunque, noi abbiamo esercitato le nostre funzioni in quest'area e ovviamente facevamo i rastrellamenti delle armi in quest'area. Avevamo i contatti maggiori con i notabili di quest'area, e presso di loro esercitavamo quella funzione di persuasione,


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di moral suasion, come si direbbe oggi, cercando di convincerli a consegnarci le armi, facendo loro capire che stavamo lavorando per loro, ed altro.
E ricevemmo una bella manifestazione di fiducia, proprio da Ali Mahdi, che ci consegnò spontaneamente 720 fucili, nuovi di zecca, ancora imballati negli imballaggi originali, e tre milioni di proiettili. Questo avvenne con una piccola cerimonia pubblica, con giornalisti presenti - quindi è registrato, è documentato - e ciò dimostra che quando Ali Mahdi sostiene di essere stato convinto a disarmare dice la verità. Che poi lo abbia fatto totalmente, lo escludo nella maniera più assoluta, perché non ero allora ingenuo, né tantomeno lo sono oggi, con il senno di poi, tanto da credere che mi abbia consegnato tutte le armi che aveva. Mi consegnò quello che in quel momento gli faceva comodo consegnarmi, e che comunque rappresentava un bel gesto, anche propagandistico, che abbiamo cercato di sfruttare anche nei confronti dell'altra parte di Mogadiscio, dove però noi non avevamo giurisdizione. Perciò, il fatto di aver agito prevalentemente su Ali Mahdi può aver dato ad Ali Mahdi stesso la sensazione di averlo fatto disarmare e all'altro no. Ma questo non era di nostra competenza e quindi non facevamo operazioni di rastrellamento dove toccava ad altri, sarebbe toccato ad altri.

PRESIDENTE. E la cittadinanza come vi ha accolto?

BRUNO LOI. All'inizio, non in maniera entusiastica. Notammo modi alquanto guardinghi nell'approccio con i nostri soldati. Inoltre, tiravano fuori determinati riferimenti poco gradevoli, i precedenti storici con l'Italia, eccetera. Poi, invece, dimostrando veramente ed effettivamente di voler aiutare questa gente a risolvere gli infiniti problemi che aveva, soprattutto sotto l'aspetto sanitario - svolgemmo un ottimo lavoro proprio sul piano dell'assistenza sanitaria -, poco alla volta, ma abbastanza rapidamente, si convinsero che noi eravamo andati in Somalia veramente per assolvere a una funzione umanitaria, e ci diedero fiducia. Quindi, si è proprio notato un miglioramento delle relazioni con la gente, a mano a mano che andavamo avanti nel nostro lavoro.

PRESIDENTE. Quali erano con precisione i compiti del contingente italiano?

BRUNO LOI. Il nostro mandato era umanitario, però era in regime di capitolo VII, cioè autorizzati ad usare la forza. Perciò, prima di tutto, abbiamo ritenuto che fosse necessario garantire una cornice di sicurezza al nostro lavoro umanitario e a quello delle ONG. Quindi, abbiamo effettuato tutta una serie di attività militari che ci hanno consentito di conoscere il territorio, di estenderci su tutta l'area di giurisdizione, di vedere che cosa esisteva realmente in questi 70 mila chilometri quadrati che erano di nostra competenza, e poi stabilire determinate strutture statiche, nonché pattugliamenti che ci consentissero di procedere al lavoro di soccorso umanitario.

PRESIDENTE. Al di là delle operazioni che avete compiuto, sulle quali poi diremo qualcosa, le faccio una domanda che va un po' al cuore del nostro problema, anche se l'abbiamo fatta già ad altri e un po' abbiamo il quadro della situazione. Guardiamo la vicenda che ci interessa da vicino, cioè quella dell'uccisione di due cittadini italiani a Mogadiscio nord, il 20 marzo 1994, nella zona che abbiamo prima indicato.
Rispetto a questo fatto, del quale si è avuta immediata consapevolezza, tanto per cominciare, da parte di Unosom (abbiamo accertato che vi era stata consapevolezza, ma quello che abbiamo accertato dopo non ha importanza, in questo momento, perché non la riguarda personalmente, anche perché lei era già andato via), rispetto a fatti del genere, qual era - se c'era - il compito di un contingente come quello italiano, in Somalia come in qualsiasi altra parte del mondo, trattandosi in primo luogo di italiani, in secondo luogo di omicidi, e in terzo luogo di un contesto che, dal punto di vista dell'ordine


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pubblico, destava forti ragioni di preoccupazione? Infatti, almeno per quelle che sono le notizie che abbiamo acquisito, proprio la partenza del contingente italiano aveva in un certo senso accelerato il processo del riacutizzarsi dei contrasti sul territorio, tra cani sciolti, come prima li ha chiamati lei, ma non soltanto tra cani sciolti.
Insomma, la domanda sintetica è questa: c'era qualche compito o qualche cosa che un contingente italiano, rispetto ad un episodio con queste caratteristiche, avrebbe potuto o dovuto fare?

BRUNO LOI. Il nostro mandato non prevedeva la protezione dei connazionali residenti in Somalia, ma noi neanche per un istante siamo stati sfiorati dal dubbio che non dovessimo dare protezione a queste persone. Perciò, tutte le volte che loro chiedevano protezione noi ci precipitavamo a fornirla, quando ritenevano di poter far da soli, e di potersi autotutelare e autodifendere, non c'era nessun intervento da parte nostra. Noi rispettavamo le loro decisioni, pur avvertendo, sempre, del pericolo che correvano. Mi riferisco in particolare ai giornalisti che si sono alternati, numerosi, in Somalia - abbiamo calcolato una presenza di quattrocento giornalisti che si sono avvicendati nel periodo in cui eravamo nel Corno d'Africa - e che erano di difficilissima gestione, anzi, di impossibile gestione, perché facevano quello che volevano e andavano dove volevano. Quando ci chiedevano di venire con noi o di avere una protezione per qualcosa che riguardava il nostro lavoro, certamente noi fornivamo il materiale per l'autoprotezione (giubbotti ed elmetti) e in più li mettevamo sui nostri mezzi protetti e li portavamo con noi, rappresentando loro che il pericolo rimaneva e il rischio c'era e che quindi si assumevano delle responsabilità dalle quali non potevamo certamente assolverli.

PRESIDENTE. Verificandosi un fatto come quello del quale ci interessiamo, che cosa avrebbe dovuto fare un contingente-tipo? Insomma, la domanda viene logica: si interviene? Si cerca di accertare? Si cerca di individuare responsabili?

BRUNO LOI. Certo, si interviene.

PRESIDENTE. Ecco, si interviene perché si vuole intervenire o perché si deve intervenire?

BRUNO LOI. Perché si vuole intervenire. Infatti, nel mandato non c'era assolutamente la protezione della popolazione civile.

PRESIDENTE. Adesso parlo di una protezione che, anche se ci fosse stata, al limite, sarebbe andata a vuoto, come nel caso nostro in cui purtroppo i nostri giornalisti trovarono la morte in quelle circostanze. Mi riferisco agli accertamenti per stabilire come si sono svolti i fatti o chi possa essere stato l'autore dell'omicidio, ma anche - poi lo vedremo - ad altre situazioni che lei non dico abbia vissuto da vicino, ma, insomma, delle quali è stato maggiormente consapevole, perché si sono verificate quando lei era in Somalia. Insomma, noi siamo rimasti molto meravigliati non solo e non tanto - anche se basterebbe - per il fatto che Usonom abbia mandato un somalo (o un pakistano, adesso non ricordo), che stava dentro l'ex ambasciata italiana, a vedere che cosa fosse successo, perché aveva sentito la raffica di mitra, quanto perché abbiamo avuto un quadro - con lei parlo con molta franchezza - abbastanza desolante, perché nessuno ha fatto nulla. So che c'era anche una quota di carabinieri, che non so se avessero anche funzioni di polizia giudiziaria, e via dicendo. Comunque, abbiamo fatto questa constatazione e abbiamo capito. Tutti ci hanno spiegato: guardate non chiedete a noi, perché noi, Unosom, non avevamo alcun dovere e non rientrava nei nostri obblighi. Ci hanno rinviato alla gerarchia somma di Unosom, dicendo che da lì non erano pervenuti ordini per cui hanno ritenuto di non fare alcun accertamento, e via dicendo.
Questo è il quadro che ci è stato consegnato intorno a quelle ore spasmodiche,


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che poi sono quelle in cui - come lei mi insegna - o accerti o non accerti.
Il contingente italiano (che poi è intervenuto, ha fatto varie cose, ha preso i corpi dei due giornalisti, li ha portati via con l'elicottero verso il porto vecchio, e via dicendo) - lo ribadisco - volontariamente o obbligatoriamente (starei per dire per legge) aveva qualche compito da espletare o lo avrebbe avuto, in un contesto come quello in cui due giornalisti italiani vengono uccisi in strada da un gruppo di delinquenti?

BRUNO LOI. A me risulta che il giorno 20 marzo Ilaria Alpi e Miran Hrovatin fossero andati all'hotel Hamana, contrariamente ai suggerimenti che aveva dato loro il comandante del contingente, il generale Fiore, che era già imbarcato con tutto il contingente sulla portaerei Garibaldi.

PRESIDENTE. Questo è correttissimo.

BRUNO LOI. Quindi, non c'era più nessuno del contingente, a terra. Poi (io però non c'ero, quindi ho solo registrato quello che mi hanno raccontato i colleghi e che ho letto), i carabinieri sono andati ad occuparsi del recupero dei corpi. L'intervento è avvenuto abbastanza rapidamente, appena avuta notizia dell'evento, perché non c'erano più antenne del contingente sulla terraferma. Era stato tutto imbarcato.

PRESIDENTE. Però, nel modo in cui il recupero fu compiuto, non era pensabile che ci fosse qualcuno che magari descrivesse i fatti, redigesseuna planimetria, almeno come un incidente stradale, qualcuno che dovesse consacrare la situazione obiettiva di quei minuti? Questo le domando.

BRUNO LOI. Le posso raccontare quello che è successo quando il contingente era schierato e quando io comandavo il contingente, riferito proprio ad Ilaria Alpi.

PRESIDENTE. Reuters.

BRUNO LOI. Perfetto. Il 12 luglio, a seguito di un'azione un po' estemporanea da parte degli americani della Quick reaction Force su una villa nella quale si sarebbe tenuta una riunione cui avrebbe dovuto partecipare - così almeno si pensava - anche Aidid, un'azione di attacco devastante che comportò l'uccisione di numerosi somali partecipanti alla riunione (ma non c'era Aidid), scoppiò una specie di rivolta della popolazione, che linciò quattro giornalisti tra coloro che erano accorsi per seguire le vicende. Tra quelli accorsi c'era anche Ilaria Alpi, che risultò praticamente dispersa al mio comando, nel giro di pochissimi minuti da quando cominciarono i disordini. E noi tememmo il peggio. Mandai una pattuglia a vedere come stessero le cose e per dare protezione a questa ragazza. Lei, invece, era riuscita a svicolare, a nascondersi, e poi a venirne fuori. Mi si presentò tutta tranquilla, nel pomeriggio. E ricordo anche un episodio particolare, anche se non conta niente. La rimproverai per il fatto di essere andata in giro, in momenti così drammatici e così rischiosi.

PRESIDENTE. Lo dica anche a noi.

BRUNO LOI. Vidi arrivare questa signorina, questa ragazza - che fra l'altro mi era molto simpatica perché era coraggiosa, era capace, era in gamba, parlava l'arabo (e non è frequente trovarne) - mentre noi eravamo preoccupati, con il patema d'animo di dover annoverare anche lei fra i linciati, sorridente. Le dissi allora: signorina, quando la smette di andare per... fratte! E lei mi disse: come si permette? Perché cosa le ho detto? Mi ritirai subito in buon ordine... E lei: per fratte è...

PRESIDENTE. ... una brutta parola.

BRUNO LOI. Ma io non lo sapevo! Confesso la mia ingenuità. Perciò ho chiesto scusa, naturalmente. La sera abbiamo


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cenato insieme. Tra l'altro è stata l'occasione per una conoscenza un po' più approfondita.

PRESIDENTE. Lei mi vuole dire praticamente che in questa circostanza la premura del contingente italiano da lei comandato è stata immediata e diretta.

BRUNO LOI. Sì, ma non voglio dire che io l'ho fatto e Fiore no. Al contrario! Ho detto: Fiore non era schierato, quindi non ha potuto farlo.

PRESIDENTE. Ma facciamo l'ipotesi, che poi purtroppo si è verificata dopo qualche mese, che in quel linciaggio avesse avuto la peggio anche Ilaria Alpi. Lei cosa avrebbe fatto in quella situazione? Avrebbe fatto accertamenti, avrebbe cercato di capire chi fosse stato? Domando.

BRUNO LOI. Avrei provato, certo. Io avevo una cellula di intelligence. Ma tutti avevano questa proiezione verso la comprensione di ciò che succedeva. Quindi, la cellula di intelligence era continuamente attivata. Però, dico anche con tutta franchezza che i risultati sarebbero stati molto modesti come quando, per esempio, con riferimento ai fatti del 2 luglio, ho cercato di capire che cosa fosse successo e chi poteva essere stato il responsabile (notte fonda, buio completo).
D'altra parte, noi non ci stupivamo di questa incapacità. Eravamo in una situazione di confusione generale. Eravamo praticamente in guerra, tra virgolette. Senza enfatizzare la parola guerra, eravamo in una situazione in cui c'erano continui scontri a fuoco, continui conflitti, continue occasioni... Se avessimo dovuto aprire un fascicolo ogni volta che capitava una cosa del genere, fra l'altro saremmo stati paralizzati dalla burocrazia, oserei dire, perché non eravamo attrezzati. I nostri carabinieri avevano compiti di polizia militare.
Abbiamo già incontrato mille difficoltà perché abbiamo avuto a che fare con prigionieri, con somali catturati, di cui non sapevamo cosa fare, che non sapevamo come trattare. La Somalia è stata un po'...

PRESIDENTE. ...un Iraq.

BRUNO LOI. No, in Iraq sono andati con la legge di guerra, ma in Somalia siamo andati senza precedenti storici, quindi senza avere precedenti di alcun tipo. Quindi, i prigionieri erano prigionieri di guerra? No. Ma noi siamo abituati, conosciamo soltanto quelle regole.

PRESIDENTE. Unosom c'era al tempo suo?

BRUNO LOI. Certo.

PRESIDENTE. Che compiti aveva Unosom rispetto a fatti come quelli dei quali ci stiamo interessando, polizia non più militare, ma giudiziaria, investigazioni, azioni tendenti ad individuare gli assassini, iniziative finalizzate ad un esercizio di una giurisdizione italiana (perché in Italia noi possiamo giudicare per fatti commessi all'estero quando si tratta di fatti gravi e, a seconda del caso, quando ci sia la richiesta del ministro della giustizia)?

BRUNO LOI. Il comando Unosom era composto da 27 nazioni, i componenti del comando Unosom erano rappresentanti di 27 nazioni. Non parlavano la stessa lingua, non avevano la stessa preparazione professionale, non avevano lo stesso tipo di comprensione del mandato (ognuno se lo interpretava a modo suo), non c'era una pregressa abitudine a lavorare insieme, per cui c'era incomunicabilità. Unosom non ha mai fatto alcunché di organico, è sempre andata a rimorchio delle situazioni; dava direttive di tanto in tanto (per esempio ad un certo punto ha dato una direttiva sui prigionieri, su come trattarli, sulla durata del fermo), ma erano cose abbastanza generiche, vaghe, alle quali ci siamo attenuti. Ma la maggior parte del corpus dottrinale ce lo siamo inventato noi. Abbiamo dovuto esercitare uno sforzo di...


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PRESIDENTE. ...fantasia.

BRUNO LOI. ...fantasia, avvalendoci della nostra preparazione, naturalmente, ma applicandola ad un fatto del tutto nuovo, assolutamente sconosciuto.
Oggi, sono cambiate molte cose. In Iraq, il contingente è partito munito di tutti gli strumenti dottrinari necessari per condurre la propria attività.

PRESIDENTE. Abbiamo qui l'ordine di operazioni del dicembre 1992, il documento dello stato maggiore; tra le varie cose, per quanto attiene alle regole di ingaggio, si affermava che «(...) queste non esimevano i comandanti dall'obbligo di intraprendere tutte le necessarie ed opportune azioni di autodifesa della propria unità. In particolare, i sistemi d'arma presidiati da personale somalo erano considerati una minaccia, a prescindere dalle intenzioni dimostrate dai serventi. Pertanto, i comandanti erano autorizzati ad utilizzare la forza necessaria per sequestrare e demilitarizzare i sistemi d'arma presidiati e non. Nelle aree sottoposte a controllo delle forze nazionali, la presenza di personale somalo armato poteva rappresentare una minaccia, indipendentemente dalla dimostrazione di ostilità. Pertanto, i comandanti erano autorizzati a disarmare gruppi» - questo è lo stato maggiore che ce lo comunica - «o individui armati anche in assenza di atti ostili o criminali. Nel caso in cui gli attacchi o le minacce provenissero da elementi ostili, bande o rivoltosi non armati, erano autorizzati ad impiegare la forza nella misura necessaria a respingere gli attacchi o la minaccia, adottando le seguenti procedure: avvertimenti verbali, dimostrazione di forza, ivi compreso l'impiego di reparti per il controllo dei rivoltosi, colpi di avvertimento. Le forze impiegate in missioni di ricerca e soccorso erano autorizzate» - sempre secondo lo stato maggiore - «ad impiegare la forza nei limiti di quanto necessario per recuperare i superstiti. Non era ammesso l'uso di trappole esplosive e le infiltrazioni di civili nelle aree assegnate dovevano essere controllate. Il personale che interferiva con la propria condotta all'assolvimento della missione poteva essere arrestato, analogamente potevano essere arrestati tutti coloro che avessero commesso atti criminali nelle aree sotto controllo italiano».
Certo che trovare le persone per arrestarle è un terno al lotto, e arrestare una persona significa anche poter stabilire chi può essere arrestato, e quindi chi può aver commesso un determinato fatto. Siccome queste indicazioni ci provengono dal III reparto ufficio operazioni, operazione Ibis, stato maggiore dell'esercito, ci pare di capire - ma se non è così le chiediamo di darci una spiegazione - che, di fronte a situazioni cruente come quelle delle quali ci stiamo interessando, ci sia un corredo di poteri che avrebbe consentito, laddove possibile, di fare qualcosa di più dal punto di vista investigativo, fino all'arresto dei responsabili. Come si concilia questa cosa? Per quanto riguarda Fiore, non si preoccupi, perché lei mi ha già detto che Fiore stava sulla Garibaldi, non era nemmeno a terra, perché la missione era finita.

BRUNO LOI. Era pronto a partire.

PRESIDENTE. Era pronto a partire.

BRUNO LOI. È tutto vero. Confermo tutto. Potevamo arrestare, ma come? Era la prima volta che ci capitava di fermare una persona....

PRESIDENTE. Però, generale, mi scusi: il generale Fiore stava sulla Garibaldi, e stando lì ha potuto dare disposizioni perché si potesse arrivare sul posto in cui si erano verificati i due omicidi, prendere i corpi, portarli al Porto vecchio, farli salire su un elicottero per poi trasportarli sulla Garibaldi e così via. Questo non è stato impedito dalla circostanza che si stesse partendo. Lei mi può rispondere che la partenza era già stabilita e non si poteva revocarla o ritardarla; non so se si potesse fare, però come c'è stato questo pronto intervento di tipo sanitario, di soccorso, non avrebbe potuto essere messo


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in pista un intervento che, in quel contesto, forse avrebbe reso possibile (probabilmente più di quanto lo sia undici anni dopo quando lo facciamo noi) di raggiungere qualche obiettivo? Per esempio a noi risulta che i Carabinieri del contingente italiano fossero a duecento metri dal posto in cui si era verificato il fatto, ma non si è mosso nessuno.

BRUNO LOI. Vorrei precisare che io non c'ero, e quindi sto parlando di una cosa...

PRESIDENTE. Io le sto chiedendo una consulenza.

BRUNO LOI. Allora, come consulente posso dirle questo: un conto è un'operazione di recupero, un blitz, dove un nucleo ristretto di persone arriva con misure di sicurezza adeguate e preleva quel che si deve prelevare, compreso anche il comandante nemico in mezzo ai suoi, dopodiché si riparte; un altro conto è arrivare, installarsi, rimettersi sul territorio per fare le indagini, per capire che cosa è successo, interrogando le persone, ricercando i possibili sospetti ed indiziati, e così via. Si tratta di un lavoro che si fa bene in tempo di pace e che si può provare a fare in tempo di guerra, quando si è sul territorio, ma credo sia molto difficile farlo quando si sta da tutt'altra parte, ormai proiettati verso un rientro ormai imminente, ripristinando una situazione di presenza sul territorio massiccia, questa volta, perché bisogna garantire sicurezza a coloro che svolgono le indagini. Sarebbe stato molto difficile. Forse è una domanda da rivolgere a qualcun altro.

PRESIDENTE. Leggo: «Regole di ingaggio personale Unosom - Può usare le armi per difendere se stesso, per difendere altre vite ONU o persone e zone poste sotto la loro protezione contro atti o intenzioni ostili, per resistere a tentativi di impedire con la forza al personale di svolgere i propri compiti». Ed ancora: «Detenzione di personale - Il personale che interferisce con lo svolgimento della missione o che per altri aspetti usa la forza o minacce contro Unosom, materiali ONU o di assistenza a centri di distribuzione o convogli può essere arrestato. Allo stesso modo possono essere arrestate persone che commettono atti criminali nelle zone poste sotto il controllo della forza ONU. Il personale trattenuto verrà tradotto in una località destinata per essere consegnato alla polizia».
Vengono utilizzate le seguenti definizioni: atto ostile, uso della forza contro personale o materiali essenziali alla missione Unosom o contro il personale dislocato in area sotto responsabilità Unosom. Come vede, anche Unosom aveva il suo buon compito nei confronti di atti criminali («Allo stesso modo possono essere arrestate persone che commettono atti criminali nelle zone posto sotto il controllo»). Anche qui faccio un'interpolazione, dicendo che l'arresto presuppone l'identificazione degli autori degli atti criminali. Gradiremmo una sua testimonianza anche su quanto è successo - o, meglio, non è successo - con Unosom.

BRUNO LOI. Ripeto, non so quel che sia successo.

PRESIDENTE. Non è successo niente.

BRUNO LOI. Non c'ero, non so cosa sia stato fatto.

PRESIDENTE. È stato mandato il pakistano.

BRUNO LOI. Posso dirle in generale come lavorava il comando Unosom.

PRESIDENTE. Nel modo in cui mi ha detto prima.

BRUNO LOI. Non si poteva pretendere molto di più da un comando così articolato.

PRESIDENTE. Diciamo che, dal punto di vista normativo, tra virgolette, si poteva fare un po' tutto.


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Parliamo di check point Pasta. La preghiera che la Commissione le rivolge è quella di farci capire bene: ognuno ha espresso la sua opinione, ma noi vorremmo sentire la sua, che è la migliore di tutte, visto che lei era lì.

BRUNO LOI. Io ero lì. Il 2 luglio 1993 siamo partiti al mattino presto per un'operazione di routine, come ne avevamo fatte tante altre, di rastrellamento di un quartiere, guarda caso quello Aliwà, dove abitavano gli haber gedir, però sempre nella nostra zona di responsabilità, dove c'erano stati segnalati depositi clandestini di armi. La procedura era identica, ma con una variante, che poi è stata anche oggetto di discussione al nostro interno circa la possibilità che avesse provocato il tutto: c'erano i poliziotti somali. Avevamo intrapreso da tempo un'azione di recupero e di reintegrazione della polizia somala nel proprio incarico - ciò aveva dato risultati non straordinari, però cominciava a funzionare - ed avevamo inserito nella nostra task force, che si sarebbe occupata di questo rastrellamento, 400 poliziotti somali di tutte le etnie, sempre per il principio di equidistanza e di imparzialità. Di questi, 200 erano in un settore e 200 nell'altro. Non si sono comportati bene. Appena sono cominciati gli spari si sono «squagliati» tutti, non hanno assolutamente accettato di stare con noi; devo dire però, ad onor del vero, che un paio di loro sono stati feriti e quindi, bene o male, qualcosa hanno fatto.
Quest'operazione, denominata Canguro 11, era diretta da me personalmente: si trattava di utilizzare la tecnica del rastrellamento, quindi chiusura ermetica della zona da parte di una componente fissa, sorveglianza dall'alto con due elicotteri sempre in volo che dovevano garantire la sicurezza della provenienza di eventuali rinforzi o forze di miliziani, poi due gruppi di rastrellatori che, procedendo a pettine, avrebbero dovuto ripulire l'area. Il tutto preceduto dal lancio di volantini, da altoparlanti montati su jeep e su automezzi, da un contatto preso dalla mia cellula, la G6, che si occupava appunto dei contatti con la popolazione e con le ONG, quindi quella che aveva la maggiore capacità di penetrazione, a parte la cellula di intelligence che aveva compiti istituzionali. La cellula G6 era quella che procedeva alle operazioni che noi avevamo battezzato «psicologiche», per rimanere nel «tutto da inventare» (le operazioni Psyops e Cimic sono venute fuori dalla Somalia, è tutto un portato concettuale tratto dall'esperienza che abbiamo fatto in quel paese).
Questa cellula lanciava dei volantini in cui era scritto quello che avremmo fatto, si invitava a collaborare e cooperare con noi, si diceva «consegnateci le armi per risparmiare tempo, così ce ne andiamo prima senza scocciarvi oltre, scusateci se diamo fastidio». La nostra tecnica di rastrellamento consisteva nel bussare alle porte chiuse, salutare ed annunciare che noi saremmo dovuti entrare: «Ci dispiace disturbare, però dobbiamo entrare per vedere se avete armi; se le avete, datecele». Quando trovavamo una porta chiusa e non c'era il proprietario, la buttavamo giù perché dovevamo dimostrare di essere determinati e di non accettare la situazione. Se non trovavamo niente rifondevamo i danni, seduta stante, della porta danneggiata. Io avevo l'amministratore al seguito, il quale pagava pronta cassa i danni che venivano causati se non trovavamo niente. Si trattava di un metodo che era piaciuto anche ai somali, dopo i primi momenti di disagio, in quanto si sentivano chiusi dentro la cinturazione, con i carri armati, con le mitragliatici puntate, gli elicotteri sulla testa: l'impatto era piuttosto - diciamo così - minatorio, ma volutamente, per dissuadere chiunque volesse...

PRESIDENTE. Meglio quello che le armi.

BRUNO LOI. Certo. Era studiato proprio per dissuadere qualunque malintenzionato.
Ha inizio l'operazione, si prendono contatti con i notabili; io stesso proprio quel giorno avevo trovato un compagno di


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accademia, un somalo che aveva frequentato l'accademia di Modena, che mi ha fatto visitare la sua villa; era una giornata direi addirittura migliore di tante altre che vedevano situazioni meno simpatiche. Tutto ad un tratto cominciano i disordini, si levano delle barricate, vengono incendiati dei copertoni per le strade, con sassaiole sulle pattuglie della cinturazione e sui rastrellatori e con qualche sparo. Cerchiamo di capire cosa stia succedendo, ma i notabili non ce lo sanno dire. Ad un certo punto salta fuori un tizio che si qualifica come avvocato e che io non conosco; parla bene l'italiano e mi dà suggerimenti molto ammiccanti, come a dire «Generale, piantiamola qui, basta così». Rispondo: «Dica ai suoi amici di darmi un po' di armi e io me ne vado, altrimenti me le cerco».

PRESIDENTE. Ci può descrivere questo avvocato?

BRUNO LOI. No, perché l'ho visto per meno di mezz'ora. Sembrava uno dei notabili. Poi abbiamo saputo che invece era un collaboratore di Aidid che, a suo modo, aveva cercato di evitarci il peggio, nel senso che cercava di convincerci a lasciar perdere, a venir via, a non continuare...

PRESIDENTE. Era alto o magro?

BRUNO LOI. Era di corporatura robusta. Parlava bene l'italiano. Non l'avevo mai visto prima.

PRESIDENTE. Lei conosceva Ahmed detto Washington, un uomo che ruotava intorno all'ambasciatore Cassini? Intanto conosce l'ambasciatore Cassini?

BRUNO LOI. No.

PRESIDENTE. Non ha mai sentito nominare Washington?

BRUNO LOI. No.

PRESIDENTE. Quindi?

BRUNO LOI. Quindi questi incidenti continuano a verificarsi, si intensificano, io ad un certo punto mi porto sul settore più caldo, quello in cui si manifestano maggiori disordini, e lì alcuni esagitati mi dicono che una donna è stata uccisa. Dico: «Fatemela vedere». Mi portano, avvolto in un telo o in una coperta (non ricordo bene), il corpo di questa donna, che ad un esame abbastanza sommario, come si può ben immaginare, nella situazione in cui eravamo, non mi sembra riveli colpi di arma da fuoco o altro. In ogni caso non mi risulta che i miei abbiano ancora aperto il fuoco: è stato sparato qualche colpo in aria, ma non in grado di uccidere. Visto che comunque la situazione va riscaldandosi sempre di più decido di piantarla lì, perché non voglio che si arrivi allo scontro, tanto più che fra l'altro abbiamo già rastrellato un bel po' di armi e l'operazione può considerarsi conclusa con successo. Do l'ordine di ripiegamento: tutti si avviano con le dovute misure di sicurezza verso i punti di raccolta per rientrare e si formano le colonne: una parte per Balad, che è a 25 chilometri a nord di Mogadiscio, e l'altra va verso Porto vecchio.
Tutto procede bene fino all'ultima fase, quando gli ultimi mezzi della colonna che si dirige verso Balad vengono bloccati da barricate, poco prima di Pasta, e sono sottoposti al fuoco. A quel punto do ordine al comandante della colonna che sta rientrando a Balad e che è già arrivata al Demonio (un posto di sbarramento ad una decina di chilometri da Mogadiscio), e che quindi è già sulla strada del rientro, di invertire la marcia e di riorganizzarsi; infatti è organizzato per fare un rastrellamento e quindi è dotato di un dispositivo di un certo tipo, mentre adesso deve fare un'azione di contrasto e probabilmente ingaggiare un combattimento. Quindi, il tempo di dare nuovi ordini, e forma tre complessi di forze e riparte per Pasta. Arriva relativamente tranquillo fin là, sembra che le cose si siano sistemate, invece arrivato a Pasta viene agganciato e messo sotto il fuoco incrociato dei cecchini. Appare subito chiaro che si tratta di una vera e propria imboscata, di un agguato.


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Le forze si accumulano su Pasta e rimangono imbottigliate in questo incrocio, dove c'era una struttura statica che provvede al controllo in tempi normali e che in questo frangente viene messa sotto il fuoco e quindi chiamata al combattimento. Nel frattempo sono rientrato alla base. Mi chiedono rinforzi: mando un complesso blindo meccanizzato a svolgere un'azione sul fianco per cercare di far sganciare le forze; questa minaccia sul fianco, oltre ad un reparto di Carabinieri e di incursori inviati lungo la via imperiale a dare manforte al 183o reggimento, al colonnello Torelli, riescono ad attenuare la pressione su Pasta e quindi consentono lo sganciamento delle forze, che ripiegano ordinatamente recuperando tutto, materiali e uomini feriti. Non abbiamo lasciato nulla al nemico...

PRESIDENTE. Quanti somali sono morti?

BRUNO LOI. Questa è una domanda alla quale ho dato delle risposte, ma non ne ho la certezza: un primo rapporto a caldo della sera stessa dell'attacco, di fonte somala, parla di 67 morti e di 103 feriti.

PRESIDENTE. Lo scontro era tra noi e loro? Erano italiani e somali?

BRUNO LOI. E poliziotti somali, che però non hanno partecipato.
Successivamente chiedo una relazione dettagliata ai comandanti con anche una loro stima delle perdite inflitte all'avversario. I dati raccolti a caldo e quelli valutati dai comandanti più o meno coincidono.

PRESIDENTE. Unosom entra in quest'operazione?

BRUNO LOI. No. Ad Unosom chiedo ad un certo punto la Quick reaction Force, vale a dire l'intervento degli elicotteri, e loro mi offrono una compagnia leggera; dove piovono gragnole di colpi, dove fortunatamente abbiamo i carri armati e i blindati, loro offrono una compagnia allo scoperto. La compagnia si presenta dopo il mio reparto, quello che deve fare l'azione sul fianco, per cui non entra in combattimento. Si presentano due elicotteri americani Cobra, che aiutano lo sganciamento, sparando sul pastificio. Poi mi chiedono se voglio una rappresaglia - perché di questo si sarebbe trattato - con gli elicotteri, lasciate le posizioni, sul pastificio, ma rifiuto in quanto mi sembra del tutto inopportuna, oltre che inutile.

PRESIDENTE. Lei sa che si è parlato di trattative, anche di concessioni, che sarebbero state fatte per rioccupare il ceck point Pasta? Le risulta?

BRUNO LOI. Io conosco le trattative che ho avviato io. Non so se ne siano intercorse di altro tipo e che esito abbiano avuto. Le trattative che ho avviato io, con la mia cellula di intelligence, hanno dato risultati che a me sono sembrati straordinari. Infatti, all'indomani del 2 luglio si presentava o la possibilità di conquistare il pastificio con le armi chieste da Unosom con una sorta di ultimatum (se entro le ore 6 del 10 mattina non avessi avuto il possesso del pastificio ci avrebbero pensato loro, quindi con un'azione di forza), oppure un'azione diplomatica, negoziata, un contatto. Pertanto, ho messo allo studio l'azione militare che ho fatto pervenire anche a Roma, allo stato maggiore, per l'approvazione. Eravamo pronti ad effettuare l'operazione militare. Inoltre ho «sguinzagliato» la mia cellula, che ha fatto un ottimo lavoro, prendendo contatti anche con i maggiorenti ma soprattutto con i morian, i famosi banditi di strada; da questi signori, che erano stufi di dar retta alle bramosie di potere di Aidid e di Ali Mahdi, avevamo ottenuto addirittura la protezione del pastificio a largo raggio, in cambio di qualche chilo di fagioli, di riso e d'olio da reperire presso le ONG, che avrebbero dovuto collaborare. Queste sono le concessioni...

PRESIDENTE. Quelle che ha fatto lei.

BRUNO LOI. Quelle che conosco. Di altre non so. Oso dire che, se ci sono state,


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sono avvenute sopra la mia testa, sono state a rischio, hanno esposto me ed il contingente, perché io ero pronto a riconquistare il pastificio con la forza; quando sono partito dall'ambasciata con il mio complesso avevo 5 carri armati, 8 blindo ed il contingente pronto a sparare. Se queste trattative fossero avvenute senza che io ne sapessi nulla ed io avessi cominciato a sparare, non so come...

PRESIDENTE. I rapporti dei somali con gli italiani in genere, dopo la vicenda del check point Pasta, sono stati maggiormente animosi? Le risultano episodi di intolleranza, di aggressione?

BRUNO LOI. La sera stessa abbiamo ricevuto le scuse e le condoglianze per i nostri caduti da parte dei somali (degli abitanti del quartiere), che non si sapevano spiegare come mai fosse accaduto questo incidente. Successivamente le abbiamo avute anche per iscritto; ho ancora il documento. Noi italiani eravamo le sole persone che potevano passare quando e come volevano per il pastificio, dopo il 2 luglio, addirittura con i mezzi non protetti.
A proposito, un'altra condizione che avevo accettato era che ogni colonna che passava dal pastificio che non fosse italiana doveva essere scortata dagli italiani.

PRESIDENTE. Un fiore all'occhiello!

BRUNO LOI. Questo comportava per noi un piccolo surmenage, però ci dava prestigio e dunque, tutto sommato, non l'ho ritenuta una condizione capestro. Gli americani ed i tedeschi avevano più carri armati e blindati di noi, ma noi li scortavamo con due campagnole scoperte, una davanti ed una dietro!

PRESIDENTE. Ha parlato prima dell'episodio dei giornalisti della Reuters: in quella circostanza avete proceduto ad accertamenti per sapere chi fosse stato?

BRUNO LOI. No.

PRESIDENTE. Lei ha parlato della presenza, nel territorio di Mogadiscio nord, anche di formazioni haber gedir, che facevano capo ad Aidid. Volendo ipotizzare che il commando che ha ucciso i due giornalisti italiani fosse composto da gente riconducibile non ad Ali Mahdi ma ad Aidid, è un'ipotesi che si poteva realizzare in pratica o no?

BRUNO LOI. La maggior parte dei problemi l'abbiamo incontrata con Aidid e non con Ali Mahdi.

PRESIDENTE. Ma Aidid faceva o poteva fare le scorribande con i suoi commando o con le sue bande o forze armate, chiamiamole come vogliamo? Se le avesse fatte quale sarebbe stato il risultato, quale la conseguenza reattiva di Ali Mahdi?

BRUNO LOI. Le faccio un disegno della città di Mogadiscio, che aveva questa strada; di qui si andava verso il nord e Mogadiscio è contenuta qui dentro: qui c'era la linea verde e qui il quartiere, la zona sotto la giurisdizione di Ali Mahdi, ma anche oltre...

PRESIDENTE. Una zona consistente...

BRUNO LOI. Questa è di Aidid. Questa è la famosa strada 21 ottobre, che incrocia via Imperiale, e questo è il famoso check point Pasta, il punto nevralgico e di importanza strategica per Unosom, almeno per il nostro settore. Quest'area era praticamente tutta sotto il controllo di Aidid, che era in collegamento con il suo quartiere, Ali Wa, degli haber gedir...

PRESIDENTE. A nord.

BRUNO LOI. A nord.

PRESIDENTE. È grande.

BRUNO LOI. Centomila abitanti. Quindi violava, se così si può dire, la linea verde, ed era in collegamento con questa sua enclave. Naturalmente questo non avveniva


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con tecniche alla luce del sole. Per esempio il 2 luglio sono venuti tutti di qua, da Mogadiscio sud.

PRESIDENTE. Quindi poteva essere che questa forte concentrazione di persone riconducibili ad Aidid nella zona di Ali Mahdi, che mi pare abbastanza ristretta...

BRUNO LOI. È tutto qui. Quaggiù c'era addirittura un aeroporto, sotto il controllo di Ali Mahdi.

PRESIDENTE. In questa logica spartitoria, in cui c'è quello che è di Aidid e quello che è di Ali Mahdi...

BRUNO LOI. Il porto era nel territorio di Ali Mahdi, l'aeroporto in quello di Aidid, ma in realtà era tutto di Unosom.

PRESIDENTE. Questa spartizione consentiva che da parte di bande - tanto per intenderci - riconducibili ad Aidid si consumassero fatti aggressivi, criminosi, per ragioni politiche, di supremazia, nel territorio di Ali Mahdi?

BRUNO LOI. Sì. Questa ne è la dimostrazione. Non solo, ma anche il 5 settembre...

PRESIDENTE. Questo significa una sorta di concentrazione di persone riconducibili ad Aidid in questa parte di Mogadiscio nord. Prendiamo altre parti di Mogadiscio nord diverse da quelle in cui stavano le persone di qua...

BRUNO LOI. In prevalenza abgal.

PRESIDENTE. Poteva succedere che formazioni riferite ad Aidid andassero a compiere atti, scorribande o cose di altro genere nel territorio di Ali Mahdi?

BRUNO LOI. Meno.

PRESIDENTE. Volevo sapere questo. Conosciamo queste regole dalla mafia, che controlla il territorio: a casa di Pippo Calò non puoi fare operazioni se lui non te le permette.

MICHELE RANIELI. Quando si rispettano i patti!

BRUNO LOI. Questo è il check point Ferro, che era abgal, mentre Pasta era di Aidid.

PRESIDENTE. Secondo le sue consapevolezze, persone di Aidid o di Ali Mahdi, ammesso che ci fosse una logica comune pure nella spartizione, potevano compiere azioni aggressive o di altro genere, al di là dei patti, senza il consenso o la reazione del capoclan, cioè da una parte Aidid e dall'altra Ali Mahdi?

BRUNO LOI. Avvenivano gli scontri, quando c'erano questi sconfinamenti. Erano frequenti.

PRESIDENTE. Per semplificare e per andare al nostro problema, nel territorio di Ali Mahdi potevano venire uccisi i due giornalisti italiani da persone che agivano senza il permesso di Ali Mahdi?

BRUNO LOI. Certo, in modo particolare in una situazione fluida come quella del 20 marzo.

PRESIDENTE. Lei è stato mai intervistato dal Ilaria Alpi?

BRUNO LOI. Un'intervista vera e propria no, però abbiamo chiacchierato.

PRESIDENTE. Avete parlato molto?

BRUNO LOI. Sì.

PRESIDENTE. Vi siete visti in quell'occasione della Reuters: era la prima volta che la incontrava?

BRUNO LOI. No.

PRESIDENTE. La conosceva già da prima?


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BRUNO LOI. Sì. L'avevo incontrata il 13 gennaio 1993, mi pare.

PRESIDENTE. Le ha mai confidato interessi, preoccupazioni, obiettivi? Le ha detto da cosa nasceva il suo amore per la Somalia, perché veniva coltivato, rispetto per esempio anche alla popolazione somala? Sappiamo che aveva una grande sensibilità per la condizione femminile in Somalia, ed abbiamo raccolto elementi da cui risulta un suo interessamento in questa direzione. Con lei ne ha mai parlato? La Somalia evoca parecchie cose; le evoca da undici anni, almeno per quel che abbiamo capito partendo da Ilaria Alpi, ma credo che le evocasse anche prima: evoca malacooperazione, traffico di rifiuti, traffico di armi e via dicendo. Le ha mai parlato di queste cose o di altre?

BRUNO LOI. No. Il primo contatto non è stato dei più affabili: io ero nella veste di comandante, stavamo facendo la prima operazione Canguro, quindi ero abbastanza preso; veder girare nell'area che stavamo rastrellando questa signorina con il suo operatore mi ha dato un po' fastidio. Ricordo che il primo approccio non è stato tra i più simpatici. Poi l'ho vista in azione altre volte e l'ho notata per la sua disinvoltura: si muoveva molto a suo agio. Poi l'occasione - diciamo così - forte è stata quella del 12 luglio.

PRESIDENTE. Dopo quel periodo, dopo il 12 luglio, l'ha più vista?

BRUNO LOI. Alla cena abbiamo discusso del più e del meno, per il vero poco di Somalia e più della sua attività di giornalista e lì ho visto quanto amore mettesse nella sua attività e le ho anche detto: «Lei ormai, signorina, è lanciata verso vette...». «Ma dove vuole che vada a 32 anni ormai?». Questo era il suo commento sulla sua situazione in RAI, ma può darsi che sia stata una mia impressione.

PRESIDENTE. In RAI non si sentiva molto apprezzata?

BRUNO LOI. No, però diceva: non sono la numero uno, non ho grandi prospettive.

PRESIDENTE. Quindi, non ci può dare nessuna indicazione sulle possibili causali della sua uccisione, sulla base delle sue consapevolezze.
Il suo successore è stato il generale Fiore?

BRUNO LOI. Sì.

PRESIDENTE. Avete avuto un rapporto assolutamente sereno e tranquillo, senza nessuna ragione di contrasto, né allora e né dopo?

BRUNO LOI. Certo.

PRESIDENTE. Da più parti ci parlano di integralismo islamico. Tra l'altro, proprio in queste ore ci sono delle risultanze investigative particolarmente inquietanti, ma sono cose del 2005 e non del 1994. Le vorrei anche ricordare che proprio il generale Fiore, il 20 marzo, fece un comunicato stampa, una dichiarazione alla stampa o un'intervista, in cui ricondusse l'attentato nei confronti dei giornalisti italiani proprio all'integralismo islamico e questa versione è molto presente nelle informative del Sismi, addirittura con particolari assai precisi e con l'indicazione di nominativi ai quali si sarebbe dovuto poter far capo per capire chi li avesse uccisi.
In base alle sue consapevolezze - lei va via a settembre del 1993, quindi a cinque mesi dall'attentato nei confronti dei nostri due giornalisti -, qual era la situazione a Mogadiscio? Qualcuno ci ha parlato delle corti islamiche che già sarebbero state presenti, anche se non ufficializzate; qualcun altro ci ha parlato della presenza di una corte islamica vicino al palazzo del CONI, che sarebbe stato non molto distante dall'hotel Hamana. Da più parti, a macchia di leopardo - soprattutto con riferimento a Mogadiscio nord, molto meno con riferimento a Mogadiscio sud -, emerge questo taglio di un integralismo islamico montante. Che ci può dire?


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BRUNO LOI. Di integralismo islamico io ho sentito parlare dalle informative che mi arrivavano dal Sismi, che mi teneva al corrente della situazione politico-strategica nella Somalia. Ne ho sentito parlare dalla mia cellula intelligence in maniera molto sfumata. In questo insieme di informative è comparsa anche Al Qaeda, ad un certo punto, a proposito di un campo di addestramento non meglio identificato.

PRESIDENTE. Le risulta l'esistenza di quattro campi di addestramento di cui uno a Chisimaio?

BRUNO LOI. Allora? No.

PRESIDENTE. Sono accertati quattro campi di addestramento, non riferiti ad Al Qaeda, ma ad Al Ittihad...

BRUNO LOI. Era in collegamento.

PRESIDENTE. È un po' la madre somala di Al Qaeda. Sono stati rinvenuti quattro campi di addestramento, uno dei quali a Chisimaio, città alla quale era diretta Ilaria Alpi quando è andata giù l'ultima volta. Arrivata a Mogadiscio, lei doveva prendere l'aereo per Chisimaio e invece, siccome l'aereo non arrivò, se ne andò a Bosaso. Le do un'informazione.

BRUNO LOI. Non lo sapevo, non ne avevo notizia.

PRESIDENTE. Quindi, non ha notizie di queste cose?

BRUNO LOI. No. Se posso esprimere la mia opinione, il fondamentalismo in Somalia non aveva attecchito allora e credo che non attecchirà mai; perché il fondamentalismo attecchisca bisogna avere una fede religiosa e sentire la religione in maniera fanatica. Il somalo è lontano mille miglia da ciò.

PRESIDENTE. Lei ricorderà le due vicende, che non concernono il suo periodo, dell'uccisione della crocerossina Luinetti e del maresciallo Li Causi. Ha avuto mai notizie particolari al riguardo di queste vicende? Non ha mai fatto una riflessione sul punto?

BRUNO LOI. Ho le notizie che mi hanno riferito, che mi hanno raccontato.

PRESIDENTE. Ha conosciuto il maresciallo Aloi?

BRUNO LOI. Sì, era nella cellula intelligence.

PRESIDENTE. Nella vostra cellula intelligence?

BRUNO LOI. Sì.

PRESIDENTE. Avevate rapporti di lavoro, di collegamento?

BRUNO LOI. Sì, lui lavorava al comando.

PRESIDENTE. Ha conosciuto l'ambasciatore Scialoja?

BRUNO LOI. Sì.

PRESIDENTE. Ha mai avuto occasione di parlare con Scialoja della vicenda di Ilaria Alpi?

BRUNO LOI. No.

PRESIDENTE. È a sua conoscenza l'esistenza di centri o di rappresentanze del Sismi o di altri Servizi di informazione militare nella zona di Bosaso?

BRUNO LOI. No.

PRESIDENTE. Conosce il generale Rajola Pescarini?

BRUNO LOI. Sì.

PRESIDENTE. Dove lo ha conosciuto e quando?

BRUNO LOI. A Mogadiscio.


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PRESIDENTE. Che funzioni svolgeva?

BRUNO LOI. Era capo dipartimento al Sismi, adesso non so dire esattamente di quale settore. È venuto in occasione del 2 luglio, è comparso verso il 5 o 6 luglio. Siamo andati insieme da Ali Mahdi; ho parlato io, lui non ha detto nulla.

PRESIDENTE. Ha conosciuto Sommavilla?

BRUNO LOI. Il sacerdote? Sì.

PRESIDENTE. Ha conosciuto il giornalista Massimo Alberizzi?

BRUNO LOI. Sì.

PRESIDENTE. Sempre nel periodo della sua permanenza in Somalia oppure avete avuto modo di parlare successivamente?

BRUNO LOI. No, in Somalia.

PRESIDENTE. Ha conosciuto Marocchino?

BRUNO LOI. Sì.

PRESIDENTE. Che rapporto aveva con il contingente italiano? Lei sa che Marocchino, in qualche dispaccio dei Servizi ed anche in alcune fonti, salvo poi stabilire come stiano in realtà le cose, è indicato come il possibile mandante dell'omicidio di Ilaria Alpi e di Miran Hrovatin. Per la cronaca, le devo dire che, grazie a Dio, abbiamo un filmato del momento in cui furono uccisi i due giornalisti ed è Marocchino che prende in braccio Ilaria per portarla sulla macchina che poi avrebbe consentito il trasferimento al porto vecchio.
Su Marocchino si dicono cose molto precise, anche se, dal punto di vista del riscontro, è difficile poter capire come stiano le cose. Si parla di un personaggio che aveva forti rapporti con il contingente italiano, si dice che questi rapporti fossero non tutti a carattere lecito e che nel settore non solo del traffico delle armi, ma anche dell'esitazione di armi provenienti dall'esercito italiano avrebbe avuto qualche ruolo. Lei quando ha conosciuto Marocchino?

BRUNO LOI. Nei giorni successivi al mio arrivo a Mogadiscio, quindi tra la fine del 1992 e l'inizio del 1993. Mi è stato presentato.

PRESIDENTE. Chi glielo ha presentato?

BRUNO LOI. Me lo hanno presentato i miei colleghi che erano già lì.

PRESIDENTE. Che ruolo svolgeva per il contingente italiano?

BRUNO LOI. Devo dire che Marocchino è stato di grande aiuto per il contingente. Per quanto mi riguarda, mi ha venduto - a prezzi di strozzinaggio, devo aggiungere - dei contenitori di acqua e di carburante, che da lui, perché era l'unico che avesse i mezzi per farlo, ho fatto interrare a Bulo Burti e a Gialalassi.
Mi ha risolto un grossissimo problema, perché mi ha consentito di dare autonomia logistica ai distaccamenti che avevo laggiù, a 180 e 220 chilometri da Mogadiscio, e ciò significava risolvere un grosso problema. Quindi, vi è gratitudine, anche se me li ha fatto pagare molto cari.
Poi si proponeva per risolvere problemi ma io non sono ricorso ai suoi buoni uffici.

PRESIDENTE. Problemi di che genere?

BRUNO LOI. Problemi vari. Noi mancavamo di tutto, non avevamo assolutamente niente, tutto arrivava dalla madrepatria. Quindi, quando occorrevano, ad esempio, le tegole per coprire l'ondulina, lui le procurava, così come se occorreva il trailer. Era italiano, era un faccendiere. Ho capito subito che aveva le mani in pasta dappertutto, i piedi in quattro staffe. Era sposato ...


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PRESIDENTE. Con una parente di Ali Mahdi.

BRUNO LOI. Era imparentato con entrambi. Era sposato con una donna che gli consentiva di parlare con entrambi. Quindi, era un tipo sveglio, disponibile. Sennonché mi giungeva all'orecchio, di tanto in tanto... Il Sismi aveva preso le distanze da questo signore.

PRESIDENTE. Il Sismi significa Rajola Pescarini?

BRUNO LOI. No, significa Greco, che era con me e che diceva: guarda che noi non lo conosciamo, non sappiamo chi sia, non ritenere che... Ed io mi sono attenuto.

PRESIDENTE. Quale voce le giungeva?

BRUNO LOI. Mi giungeva voce che lui avesse un deposito di armi; siccome aveva un deposito di container piuttosto esteso, su cinque piani, un bel giorno ho organizzato un'operazione di rastrellamento nel deposito di Marocchino.
Mi sono presentato cinturato ed ho detto: «Adesso, signor Marocchino, mi tiri fuori tutte le armi che ha, sennò le butto giù tutto, anzi me lo butta giù lei, perché ha i mezzi per farlo, e mi apre tutti i container e mi fa vedere cosa c'è dentro». «Ma non ho niente, comandante». «Allora cominci a tirare giù quello e mi faccia vedere». «Va bene, va bene», e mi dà un container intero pieno di armi. Non erano armi eccezionali, era per lo più ferraglia e roba vecchia. Io mi sono accontentato.

PRESIDENTE. Il primo dei cinque container?

BRUNO LOI. No, quando gli ho detto: «Allora tiri giù, ha detto: «Va bene, mi lasci un momento, devo parlare con i miei», perché lui era sotto ricatto evidentemente, ritengo.

PRESIDENTE. Ricatto di chi?

BRUNO LOI. Dei somali.

PRESIDENTE. Di Aidid o di Ali Mahdi?

BRUNO LOI. Non so di chi dei due.

PRESIDENTE. Di uno dei due o di tutti e due?

BRUNO LOI. Di tutti e due probabilmente. Quindi, ha dovuto parlare con loro ed alla fine mi ha consegnato questo container. Io mi sono ritenuto soddisfatto e gli ho fatto capire che «non c'era trippa per gatti».

PRESIDENTE. E gli altri contenitori?

BRUNO LOI. Io non ho indagato oltre, anche perché in fin dei conti erano voci che mi erano giunte.

PRESIDENTE. Era una voce confermata, però.

BRUNO LOI. Sì, però mi ritenevo soddisfatto.

PRESIDENTE. Io non capisco questa soddisfazione, quando uno sa che ce ne sono altri quattro.

BRUNO LOI. Ce ne erano cento di container, era un deposito di container, però lui trafficava in tutto.

PRESIDENTE. Quindi, chissà che cosa c'era là dentro.

BRUNO LOI. Io non ritenevo di avere un mandato particolare per accanirmi.

PRESIDENTE. Che altro sa di Marocchino? Per esempio, intorno al traffico di rifiuti lei ha mai saputo niente di collegamenti di Marocchino o ha saputo solo delle armi, che poi mi pare fosse uno sport nazionale?

BRUNO LOI. Appunto, per cui non mi sono meravigliato più di tanto. Gli ho solo fatto capire che doveva smetterla e che,


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quanto meno, non doveva assolutamente contare sulla copertura del contingente.

PRESIDENTE. Altre cose importanti sul piano del traffico delle armi su Marocchino?

BRUNO LOI. No.

PRESIDENTE. E sulla storia degli americani, quando fu cacciato perché gli americani lo mandarono via?

BRUNO LOI. Io ero già venuto via.

PRESIDENTE. I suoi rapporti con gli americani sono stati sempre buoni o ci sono stati momenti di tensione?

BRUNO LOI. All'inizio erano molto buoni. Il generale Johnston era il comandante di Unitaf; era capace, determinato, aveva una visione molto simile alla nostra, cioè riteneva di dover fare attività umanitaria e di risolvere il problema della distribuzione degli aiuti ai somali. Questo era il suo mandato.

PRESIDENTE. Poi i rapporti si sono guastati. È stato per il check point Pasta?

BRUNO LOI. No, finché c'è stato Johnston siamo andati d'amore e d'accordo, con qualche frizione, ma roba di poco conto. Johnston è andato via il 3 maggio, ha consegnato Unosom al generale Bir, turco, ed è venuto Howe come rappresentante... Da quel momento sono cominciati i problemi. Per un mese: «Come siete bravi voi italiani, voi lavorate veramente al meglio, siete i migliori», e poi il 5 giugno è cominciato il patatrac, perché Unosom si è improvvisamente irrigidito. Unosom non ha tenuto un atteggiamento imparziale, ma ha puntato all'inizio su Aidid, poi si è accorto che era più furbo Aidid di quanto non fossero furbi gli americani ed allora ha usato il pugno di ferro. Aidid a quel punto ha capito che eravamo una tigre di carta, e quindi ha ripreso a fare i suoi comodi con tutto quello che ne è conseguito: il 5 giugno l'eccidio dei pakistani quindi l'escalation continua. Naturalmente, invece di esaminare la situazione e cercare di portarla sul piano del dialogo, c'è stata la reazione dura di Unosom che ha bombardato, ha attaccato.

PRESIDENTE. Lei il 22 giugno 1993 scrive questa lettera al comandante delle forze Unosom 2 Mogadiscio. «Signor generale, quanto è accaduto il 22 ultimo scorso presso il check point n. 42 Pasta mi ha lasciato molto perplesso. Infatti nella AOR affidata alle forze italiane sono state pianificate operazioni per le forze americane senza concordarle preventivamente con il mio comando ed è stata condotta un'azione del tutto improvvisa che ha provocato la reazione della folla per la durezza dei metodi adottati dai soldati americani. Per di più, un soldato italiano del check point 42 è rimasto ferito, per fortuna non gravemente. I susseguenti disordini scoppiati nella zona del mercato della carne sono stati sedati dall'intervento di forze italiane fatte affluire d'urgenza da Mogadiscio e da Balad, mentre gli americani si disimpegnavano allontanandosi dalla zona. Considero tutto ciò gravemente lesivo della mia libertà d'azione nella mia AOR e molto pericoloso per il mantenimento dell'ordine e delle buone relazioni con la popolazione locale. Chiedo con insistenza, sentite anche le autorità nazionali, che siano sospese tutte le operazioni di altre forze di Unosom 2 nella mia AOR che non siano state preventivamente con me concordate». Questo è il succo del clima di quel periodo?

BRUNO LOI. Al 22 giugno, sì.

PRESIDENTE. Questo clima viene superato successivamente?

BRUNO LOI. No, finché resto io. Vengono attenuati i toni, viene un po' mitigata l'animosità, ma sostanzialmente si rimane su posizioni del genere. Potrei averne fotocopia, presidente?

PRESIDENTE. Per ricordo? Prego gli uffici di fare una fotocopia per il generale.


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Veniamo alle operazioni di propaganda antiitaliana, che sarebbero state messe in atto in particolare contro di lei e contro l'ambasciatore Augelli. Vi è una nota del 22 giugno 1993, nella quale sono riportate le varie opere di disinformazione nei confronti del contingente italiano, in particolare nei confronti del generale Loi e dell'ambasciatore Augelli: «Per appannare l'immagine dell'Italia in Somalia hanno operato come segue: gli americani hanno diffuso la voce di un ritardo di Italfor nel soccorso. Hanno fatto diramare tramite BBC la falsa dichiarazione del generale Loi secondo la quale i pakistani avevano come obiettivo finale la presa della radio. Le successive smentite del generale Loi per la popolazione somala dimostrano un'ulteriore debolezza dell'uomo. Hanno fatto credere che gli italiani non vogliono intervenire nella zona di Aidid perché lo appoggiano in quanto hanno paura delle sue milizie. In effetti i due errori nel nostro comportamento supportano l'immagine che gli USA vogliono affibbiarci. L'ambasciatore Augelli è un diplomatico e non un politico, ultimamente sosteneva la posizione di Aidid. Contrariamente al generale Rossi, che era un ottimo politico, il generale Loi, pur essendo un magnifico militare, manca di ogni sensibilità politica necessaria in questo paese». Questo è uno dei casi in cui c'era questo atteggiamento antiitaliano, in particolare nei suoi confronti e nei confronti dell'ambasciatore Augelli. Da che cosa derivava tutto ciò?

BRUNO LOI. Ricordo un commento dell'ambasciatore Augelli quando discutevamo sulla situazione per valutarla ed individuare possibili sbocchi...

PRESIDENTE. Questo è un dispaccio del Sismi del maggio del 1993: «Le accuse di comportamento scorretto da parte del contingente italiano nei riguardi della popolazione somala si sono evidenziate con la sempre più frequente distribuzione di volantini e successivamente con l'amplificazione ad essa data dal giornale locale Al Islami, di tendenza mussulmano-fondamentalista. Una lettera di protesta contro l'operato del contingente, firmata da un'associazione femminile e da non meglio specificate associazioni di notabili, di capi religiosi e un gruppo di ONG, è stata inviata anche al comando Unosom». Qui, tra l'altro, compare anche questo: «Dalle indagini esperite è stato accertato che l'associazione femminile è inesistente, nessun esponente dei gruppi citati ha rivendicato la stesura della lettera, alcuni gruppi di fondamentalisti islamici sono attivi nell'azione di discredito di tutti i militari di fede non musulmana».

BRUNO LOI. È quello che ci è toccato anche di vivere.

PRESIDENTE. Chi faceva questa opera di denigrazione?

BRUNO LOI. I somali, le ONG e gli americani.

PRESIDENTE. Contro gli italiani e, in particolare, contro di lei? Contro il contingente?

BRUNO LOI. Contro il contingente, il comportamento degli italiani in genere, accusati di ogni nefandezza, di trattare le donne senza rispetto ...

PRESIDENTE. Mi scusi, generale, perché noi dobbiamo capire le cose. Poco fa noi abbiamo parlato di questo problema, sia del rapporto tra somali e italiani sia dell'atteggiamento dei somali nei confronti del contingente sia del problema dei fondamentalisti. Questa è una lettera del 22 maggio 1993 nella quale sembrerebbe ci sia un po' di tutto, dell'una, dell'altra e dell'altra cosa ancora. Quindi, non sembrerebbe che ci fosse una situazione di calma, di tranquillità e di buoni rapporti. È vero che siamo al 22 maggio, ma vorrei capire bene.

BRUNO LOI. Non è che il Sismi mi mettesse al corrente delle comunicazioni che faceva ai comandi superiori.

PRESIDENTE. Le teneva per sé.


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BRUNO LOI. Infatti, io non sono in indirizzo.

PRESIDENTE. Questo è un regalo per lei...

BRUNO LOI. Grazie. Tuttavia, risponde praticamente alla somma delle valutazioni che avevamo fatto anche noi. Ad un certo punto noi ci siamo ritrovati isolati rispetto ai somali, perché con Aidid ci sparavano allegramente contro, con Ali Mahdi lui avrebbe voluto che noi fossimo ancora più duri, più severi nella risposta e, quindi, ci tacciava di vigliaccheria, di codardia e ci attribuiva anche la colpa della situazione perché avremmo dovuto essere più duri. «Erano quattro gatti, in fin dei conti, Aidid, trecento persone», valutava lui, però li dava a me da eliminare, non ci pensava lui ad eliminare i trecento sparpagliati... Erano molti di più e molto meglio organizzati.
Quindi, i somali erano contrari. Augelli, in particolare, che era in gamba, a mio modo di vedere, aveva anche lui mantenuto un'estrema equidistanza e parlava con Aidid e con Ali Mahdi, solo che ognuno voleva tirarlo dalla sua parte e quindi, quando non faceva le concessioni che pretendevano, evidentemente lo consideravano un nemico. Si barcamenava come meglio poteva e lo faceva anche con una certa capacità, dal momento che è riuscito a recuperare cinque prigionieri pakistani trattenuti da Aidid, cosa che non sono riusciti a fare gli americani.

PRESIDENTE. I fondamentalisti islamici che c'entrano?

BRUNO LOI. Le ripeto che noi ne abbiamo avuto sentore, vagamente, ma anche qui mi pare che non ci sia una dichiarazione...

PRESIDENTE. «Sono attivi nell'azione di discredito di tutti i militari di fede non musulmana».

BRUNO LOI. Azione di discredito: bastava scrivere in quei sedicenti giornali, Al Islam, un paio di articoli, però tutto questo...

PRESIDENTE. Questo clima si è ricomposto?

BRUNO LOI. Con questa gente, no.

PRESIDENTE. È rimasto sempre?

BRUNO LOI. Sempre, io me ne sono andato sbattendo la porta con Ali Mahdi.

PRESIDENTE. Quindi, nulla esclude che questo clima - poi ce lo dirà il generale Fiore naturalmente - sia sostanzialmente continuato anche nel prosieguo.

BRUNO LOI. Può darsi sia migliorato, soprattutto nel rapporto con gli americani. Mi risulta che il rapporto con gli americani il generale Fiore...

PRESIDENTE. ... lo recuperò.

BRUNO LOI. Evidentemente più diplomatico di me, è riuscito a ...

PRESIDENTE. Infatti, dicono che lei non è diplomatico.

BRUNO LOI. Non sono diplomatico. Forse Fiore è riuscito a recuperare, anche con i somali probabilmente ha recuperato il rapporto. Io sono venuto via a settembre, quando eravamo ancora freschi di eventi.

PRESIDENTE. Generale, le chiediamo scusa per il tempo che le abbiamo fatto perdere, ma ha visto che anche noi, nonostante ci diminuiscano lo stipendio, stiamo qui a lavorare. Mi hanno intervistato poco fa e mi hanno chiesto che cosa ne pensassi: ci sono i deputati che non dovrebbero essere pagati perché non fanno niente dalla mattina alla sera e poi ci sono i deputati che lavorano per dieci, e quelli dovrebbero essere pagati più di quanto non lo siano oggi.

BRUNO LOI. È poco diplomatico anche lei.


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PRESIDENTE. Mai stato diplomatico. Ringrazio il generale Loi e dichiaro concluso l'esame testimoniale.

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