Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione
(Versione per stampa)
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Autore: | Servizio Biblioteca - Ufficio Legislazione straniera | ||||||
Titolo: | Rassegna parlamentare comparata di politica internazionale e sicurezza. L'attività parlamentare in Francia, Germania, Regno Unito e Spagna in materia di politica estera, difesa e sicurezza. Giugno 2015 | ||||||
Serie: | Rassegna parlamentare comparata di politica internazionale e sicurezza Numero: 18 | ||||||
Data: | 02/07/2015 | ||||||
Descrittori: |
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Organi della Camera: |
III-Affari esteri e comunitari
IV-Difesa |
L’attività parlamentare in Francia,
Germania, Regno Unito e Spagna
in materia di politica estera, difesa
e sicurezza
n. 18 30
giugno 2015 |
Francia
Il 3 giugno la Commissione
affari esteri dell’Assemblea Nazionale ha svolto l’audizione di Fabrice Leggeri, direttore esecutivo dell’Agenzia
europea Frontex, e di Luc Derepas,
direttore generale per gli stranieri in Francia al Ministero dell’interno, sulla situazione migratoria nel
Mediterraneo.
Fabrice Leggeri ha
innanzitutto evidenziato che nel 2014
170.000 migranti irregolari hanno attraversato la frontiera esterna
dell’Unione europea nel Mediterraneo centrale; tra gennaio e maggio del 2015 ce ne sono stati 100.000 contro i 40.000
dello stesso periodo del 2014.
Dall’inizio dell’anno una forte pressione è esercitata sulla frontiera dei
Balcani, e al momento gli
attraversamenti crescono attraverso la Turchia e la Grecia. Attualmente, 43.500 migranti irregolari seguono la
rotta dalla Libia all’Italia, più di 45.000 si dirigono verso la Grecia.
Dopo il Consiglio europeo
del 23 aprile, la Commissione europea ha
proposto un’agenda per la migrazione e la sicurezza. La misura più
immediata presa dal Consiglio è stata di triplicare
il budget di Frontex.
Leggeri ha quindi ricordato
che il ruolo di Frontex non è quello di
operare soccorsi in mare – competenza nazionale – ma di mettere i propri mezzi a disposizione delle autorità che
coordinano il soccorso. Frontex, inoltre, dispiega a terra dei guardafrontiera, i quali hanno il compito di identificare le persone che hanno effettivo bisogno di protezione, e di
indirizzarli alle autorità competenti, affinché siano registrate in Eurodac. Se, al contrario, le persone non hanno bisogno di protezione o di asilo, devono essere allontanate
verso il Paese di origine, conformemente al diritto dell’Unione europea.
Frontex ha aumentato le squadre di guardafrontiera nei principali porti di
sbarco in Sicilia e nel sud dell’Italia continentale, e ha inoltre concordato
con le autorità italiane di installare nelle prossime settimane a Catania un’équipe Frontex di coordinamento regionale,
invitando Europol ed Eurojust a integrarsi in questa équipe, in modo da realizzare una gestione integrata, che aiuti l’Italia a condurre più
coerentemente la propria politica. Frontex sta inoltre predisponendo l’invio in Turchia di un funzionario di
collegamento, dislocato presso la Rappresentanza dell’Unione ad Ankara, che
avrà il compito di lavorare in stretto contatto con i funzionari dispiegati
dagli Stati membri che operano nei settori della polizia e dei flussi
migratori.
Luc Derepas ha innanzitutto
sottolineato che l’enorme aumento del
numero di migranti negli ultimi due anni ha avuto pochissimo impatto diretto sulla Francia. La Francia è stata per lo
più un Paese di transito, mentre i principali Paesi di destinazione sono
risultati la Germania, la Svezia e il Regno Unito. Il solo impatto visibile riguarda la situazione a Calais, dove la frontiera
britannica è stata spostata su suolo francese, con misure di sicurezza
imperfette.
Ma se la situazione
francese non è preoccupante, a livello
europeo i flussi migratori mettono in pericolo il sistema di protezione delle
frontiere e la tenuta del sistema
d’asilo europeo. Per l’incapacità
o la mancanza di volontà delle autorità
italiane e greche di far rispettare le regole europee – in particolare il
Trattato di Dublino – i richiedenti asilo non sono registrati al loro arrivo, e
non ne sono rilevate le impronte. Da parte
di queste autorità c’è una passività, o un incitamento a partire verso altri Paesi.
Quando si è presa coscienza
della dimensione delle partenze dalla Libia, la Francia ha chiesto la massima
protezione delle frontiere e ha
sostenuto che l’Europa non dovesse condurre operazioni di ricerca e assistenza
delle persone in mare, poiché ciò avrebbe determinato, stante anche la
possibilità di tragici naufragi, un incitamento ai “viaggi della speranza”,
nonché una reazione emotiva dell’opinione pubblica. E’ esattamente ciò che è
accaduto, perché dapprima l’Italia ha
unilateralmente, contro il parere della maggior parte degli Stati membri,
avviato l’operazione Mare Nostrum,
primo ponte tra le sponde libiche e il territorio europeo. Per motivi
finanziari vi ha quindi posto termine, ma le tattiche degli organizzatori delle
traversate si sono perfezionate. Per ragioni umanitarie si è poi deciso di dispiegare Frontex, Triton e Poseidon.
Negli ultimi mesi gli Stati
membri e la Commissione europea hanno molto lavorato sulla questione, e la
risposta è arrivata con l’agenda per le
migrazioni, presentata dalla Commissione in aprile, e fondata su alcuni princìpi. Il primo è che un gran numero di migranti può presentare la domanda d’asilo, che
verosimilmente sarà accettata: è il caso dei Siriani e degli Eritrei,
ai quali a livello europeo è accordato lo statuto di rifugiato o la protezione
sussidiaria a un tasso prossimo al 100%.
La Commissione ha quindi proposto, su iniziativa francese, un meccanismo di ripartizione dei rifugiati su
scala europea, in modo che il peso sia ripartito tra tutti gli Stati membri.
Si tratta di 40.000 rifugiati
arrivati sul territorio dell’Unione
e di 20.000 persone presenti nelle zone di conflitto. Non si tratta
di cancellare le regole del Trattato di Dublino, ma di accantonarle
temporaneamente per un certo numero di persone. La Francia è d’accordo con questa proposta, che però è stata male intesa, dando luogo all’espressione “quote di migranti”, che il Governo
francese contesta. Vero è che tale
espressione è stata legittimata dalle dichiarazioni dell’Alto Rappresentante
dell’Unione europea per gli affari esteri, Federica
Mogherini, ma il Governo francese ha reagito, precisando che non si tratta
di creare quote di migranti per accogliere, ad esempio, l’insieme delle 270.000
persone arrivate nel 2014, ma soltanto i rifugiati e le persone che abbiano il
99% di possibilità di ottenere tale status.
Il secondo principio della proposta europea è che per le persone non richiedenti asilo l’Europa deve organizzare con
determinazione procedure di rientro
verso i Paesi di origine,
Il terzo principio riguarda la cooperazione
con i Paesi di origine e di transito: occorre far svolgere un ruolo a
questi Paesi, in partenariato con l’Europa, al fine di creare un sistema di
reinserimento economico dei migranti.
Alle domande poste dai
membri della Commissione esteri il direttore esecutivo di Frontex ha risposto
che, per impedire alle imbarcazioni di trasportare migranti nel Mediterraneo, l’Unione propone una missione nel quadro
della politica comune di sicurezza e difesa (PCSD): la missione militare è in corso di preparazione, ma richiede
un mandato del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite oppure
un’autorizzazione delle autorità libiche. Frontex si coordinerà con questa
missione, alla quale l’Unione auspica di dare mandato di effettuare azioni di sequestro e distruzione delle
imbarcazioni.
Da parte sua, il Direttore
generale del Ministero dell’interno ha assicurato che il Governo francese si adopererà, affinché nella zona di Calais siano
pienamente applicati gli accordi di Touquet sulla frontiera con il Regno Unito:
è intenzione della Francia indurre i britannici a farsi carico, per quanto loro
pertiene, della presenza dei migranti.
Regno
Unito
Nel prosieguo del dibattito
seguito al discorso sul programma del suo nuovo
Governo pronunciato dalla Regina
davanti alle Camere riunite il 27
maggio (vd. Rassegna parlamentare n.17
del 31 maggio 2015), il Ministro
degli esteri, Philip Hammond, ha reso alla Camera dei Comuni, il 1° giugno, una dichiarazione sul ruolo del Regno Unito
nel mondo.
Nella sua introduzione il Ministro
degli esteri ha sottolineato che il Regno
Unito è uno del piccolo numero di Stati ad avere sia l’aspirazione, sia i
mezzi per svolgere un ruolo
significativo negli affari mondiali, e che mantenere questo ruolo è di
primaria importanza per l’interesse nazionale.
Nel rispondere alle domande
poste nel corso della discussione, Hammond ha espresso la speranza di poter
negoziare un sostanzioso pacchetto di riforme
sul funzionamento dell’Unione europea, e ha sostenuto la necessità di
modificare le relazioni tra Regno Unito e Ue in modo da poter raccomandare agli
elettori britannici di esprimersi positivamente sul referendum che si terrà
sull’appartenenza del Regno Unito alla Ue. A questo riguardo, Hammond ha
annunciato che il Governo ha già
presentato la scorsa settimana il Referendum
Bill, che sarà discusso in
tempi rapidi.
Il Ministro degli esteri ha
poi sostenuto la necessità di un aumento
delle spese per la difesa: la sicurezza economica e la sicurezza nazionale
sono due facce della stessa medaglia, senza l’una non si può avere l’altra.
Riguardo allo scacchiere
più complicato dal punto di vista geo-politico, il Medio Oriente, Hammond ha dichiarato che il Dipartimento per lo sviluppo internazionale è fortemente impegnato
in tutti i programmi di sostegno alle crisi umanitarie, e che la Gran
Bretagna continuerà a sostenere i rifugiati e i profughi, nonché i Governi che
in quella regione combattono contro le conseguenze che i conflitti stanno determinando.
E’ essenziale rispondere alla crisi,
combattendo le cause che in quei Paesi determinano il dramma della migrazione.
La Gran Bretagna stanzierà sempre più fondi per creare sul luogo migliori
condizioni, per lavorare con i Paesi di transito a rafforzare la sicurezza, e –
punto cruciale – per installare in Libia un Governo di unità nazionale che
possa riassumere il controllo del proprio territorio.
Per contrastare l’estremismo islamico è necessario un approccio
complessivo, che impieghi ogni mezzo disponibile in una lotta generazionale
contro un nemico diabolico ma privo di forma stabile. Per questo motivo la coalizione internazionale di 60 Paesi
contro l’ISIL, nella quale la Gran Bretagna gioca un ruolo da leader, sta sviluppando una risposta
complessiva attraverso cinque linee
strategiche che si rafforzano vicendevolmente: sostegno delle operazioni militari e addestramento; arresto del
flusso dei combattenti stranieri; taglio dei finanziamenti dell’ISIL; aiuto
umanitario alle popolazioni scalzate dall’avanzata dell’ISIL; delegittimazione
dell’ISIL e della sua propaganda. Per quanto riguarda specificamente l’Iraq, Hammond ha dichiarato che, su
richiesta del Governo iracheno, il Regno Unito sta fornendo equipaggiamento
militare e addestramento alle forze irachene, e ha intensificato gli attacchi
aerei. Ma il Governo iracheno ha chiaro che la soluzione non è la presenza di truppe occidentali sul territorio
iracheno. Il compito di respingere sul terreno le forze dell’ISIL deve
essere perseguito dalle forze locali. In Siria
l’addestramento è condotto fuori dai confini del Paese, e la situazione può evolvere soltanto con la cessazione della guerra
civile, che a sua volta ha come presupposto l’allontanamento di Assad, al
quale va imputato l’insorgere di una crisi che peggiora giornalmente. La
coalizione internazionale deve essere pronta a sostenere un regime post-Assad,
per prevenire che il Paese sia completamente invaso dall’ISIL e per contenere
altri estremismi islamici.
Hammond si è quindi
soffermato sulla crisi nei rapporti con
la Russia. Con l’annessione illegale della Crimea e l’azione
destabilizzante nell’est dell’Ucraina, la Russia ha dimostrato che ha scelto il
ruolo di competitore strategico dell’Unione europea: la sua azione appare mirata a destabilizzare l’Europa orientale con
la minaccia di una nuova e molto pericosa forma di guerra ibrida e asimmetrica.
A fronte del comportamento della Russia, l’Unione
europea deve procedere unitariamente e in accordo con gli Stati Uniti nel
rinnovare le sanzioni finché la Russia non rispetti gli impegni assunti a
Minsk. Se ci saranno da parte russa ulteriori violazioni, la Ue imporrà nuove
sanzioni.
Sempre il 1° giugno presso la Camera dei Lords, il Sottosegretario agli esteri, Baronessa
Anelay of St. John’s, ha risposto a un’interrogazione
sui piani del Governo rispetto al riconoscimento dello Stato di Palestina.
Il Sottosegretario ha
dichiarato che il Regno Unito
continua a perseguire con fermezza la soluzione “due Stati”, e che si riserva il diritto di riconoscere lo
Stato palestinese nel momento in cui questa scelta potrà favorire la pace.
Il riconoscimento bilaterale in se’ non condurrebbe alla fine dell’occupazione:
soltanto negoziati che portino a un assetto finale consentiranno l’esistenza di
uno Stato palestinese che viva in pace e sicurezza fianco a fianco con Israele.
In risposta alle domande
postele, il Sottosegretario ha osservato che Israele deve impedire l’estensione degli insediamenti illegali: il
Primo Ministro ha detto chiaramente a Netanyahu che la continua estensione di
tali insediamenti rende molto difficile agli amici di Israele di sostenere la
sua politica. Per contro, va anche
condannata l’attività di Hamas, che continua ad attaccare Israele: Gaza
deve ritornare sotto la leadership
dell’Autorità palestinese, la quale deve assicurare che possano esserci passi
in avanti nei negoziati. Tali negoziati
dovranno portare al riconoscimento di due Stati basato sui confini del 1967:
in questa direzione sta lavorando la Francia in seno al Consiglio di sicurezza
dell’ONU, e il Regno Unito seguirà con attenzione tale iniziativa.
L’8 giugno il Sottosegretario
agli esteri, Michael Fallon, ha risposto alla Camera dei Comuni ad interrogazioni orali sulla lotta
all’ISIL e l’assistenza all’Iraq.
Fallon ha reso noto che il
Regno Unito contribuisce significativamente alla coalizione contro l’ISIL con
sofisticati velivoli che, attraverso il Medio Oriente e Cipro, sostengono le
forze di terra dell’Iraq. I Britannici sono a capo della coalizione incaricata
di addestrare le truppe irachene nel contrastare gli ordigni esplosivi
improvvisati (IED): l’addestramento ha finora riguardato 1.400 iracheni, e sarà
rafforzato nei prossimi mesi. Il sostegno alle forze di sicurezza irachene nel
contrastare l’ISIL sul territorio – ritenuto necessario sia dalla coalizione
sia dal Primo Ministro al-Abadi – implica non soltanto un supporto aereo, ma
anche un contributo a stimolare le capacità e la fiducia dell’esercito iracheno.
Per questo il Regno Unito ha offerto ulteriori 125 effettivi, il che porterà a
275 il numero dei soldati impiegati in azioni di addestramento in Iraq: questi
effettivi opereranno anche in località diverse da Irbil
e Baghdad.
Per quanto riguarda la Siria, il Regno Unito
ha iniziato l’addestramento - guidato dagli Stati Uniti e con il contributo di
altri Paesi - di forze moderate siriane in quattro località fuori dal
territorio libico. I progressi dipenderanno dall’identificazione di forze
moderate adatte ad essere addestrate per combattere l’ISIL, soprattutto nel nord
della Siria.
Fallon ha quindi concluso,
sostenendo che l’ISIL non può essere sconfitto semplicemente sul piano
militare. Le attività diplomatiche, politiche e di comunicazione sono
essenziali per sradicare gli estremismi in tutte le società, anche al di fuori dei
Paesi coinvolti nella guerra.
Il 18
giugno il Sottosegretario per gli
affari interni, Lord Bates, ha risposto, nella Grand Committe
della Camera dei Lords, a un’interrogazione sulla politica del Governo britannico
rispetto a possibili proposte di coordinamento tra gli Stati dell’Unione
europea per il salvataggio dei richiedenti asilo provenienti dal Medio Oriente
e dall’Africa.
Lord Bates ha
replicato agli interroganti, ricordando innanzitutto che dal 2008 il Regno Unito ha accolto più rifugiati di ogni altro Stato
membro dell’Unione, ad eccezione della Svezia. Perseguendo questa linea, è
fermo volere del Governo continuare a fare il massimo per salvare vite umane
La decisione di ritirare l’imbarcazione “Bulwark”
dall’operazione Triton
è dovuta alle operazioni di mantenimento dell’imbarcazione, e spetterà alla Royal Navy
individuare una nuova imbarcazione che rimpiazzi il “Bulwark”, anche se la decisione non è stata ancora presa.
Il Regno Unito continuerà comunque a
mantenere il suo impegno nel Mediterraneo, anche se non è in mare che risiedono
le cause della migrazione. E’ questo il motivo per cui il Governo britannico ha sempre sostenuto che le operazioni di
salvataggio devono essere parte di una soluzione complessiva di più ampio
termine, e in questa direzione ha sempre lavorato con i partners internazionali. Il Ministro dell’interno ha sostenuto con
chiarezza che il Regno Unito non avalla
proposte di redistribuzioni obbligatorie dei rifugiati, perché non è in
questo modo che si risolve il problema. Si deve, invece, spezzare il legame tra
salire su un’imbarcazione e acquisire la residenza in Europa: legame che è
saldamente nelle mani delle gang criminali.
Uno degli aspetti del contenzioso europeo, è
che si vorrebbe che quando i migranti
approdano in Italia fossero prontamente registrati e identificati, in modo
poi da diffondere le informazioni in tutta l’Unione. Il Regno Unito ha sempre
sostenuto la necessità di una risposta sostenibile alla crisi: occorre creare condizioni di sicurezza nei Paesi
dai quali provengono i migranti, e colpire duramente le gang criminali.
Su questa linea insisterà il Primo Ministro al
Consiglio europeo del 24 e 25 giugno.
Il 24
giugno il Primo Ministro, David
Cameron, si è presentato alla Camera dei
Comuni per rispondere a domande sugli impegni
del Governo.
Nel replicare all’on. Harriet Harman (laburista) sulla situazione a Calais, Cameron ha
premesso che il Regno Unito vuole che i migranti
siano meglio schedati, ma questo
deve essere compito dell’Italia,
dove sbarcano. Quanto a Calais, occorre innanzitutto cooperare con la Francia per una migliore sicurezza: a tal fine il
Governo ha stanziato 12 milioni di sterline, per aumentare il personale di
controllo e installare recinzioni non soltanto intorno al porto di Calais, ma
anche intorno alle entrate all’Eurostar e all’Eurotunnel. Occorre comunque lavorare insieme ai partner
europei, per arrestare il problema alla fonte, spezzando il legame tra
imbarchi e stabilizzazione in Europa. Infine, bisogna fare di più, per fare sì che la Gran Bretagna diventi per i
migranti un posto meno facile da raggiungere e dove trovare lavoro.
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