Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento ambiente
Altri Autori: Servizio Studi - Dipartimento bilancio
Titolo: Misure per il sostegno e la valorizzazione dei comuni con popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti e dei territori montani e rurali nonché deleghe al Governo per la riforma sistema di governo delle medesime aree e per introduzione di sistemi di remunerazione dei servizi ambientali A.C. 65 - Schede di lettura
Riferimenti:
AC N. 65/XVII     
Serie: Progetti di legge    Numero: 73
Data: 26/09/2013
Descrittori:
AMBIENTE   COMUNI
COMUNITA' AREE E ZONE MONTANE   ZONE AGRICOLE
Organi della Camera: V-Bilancio, Tesoro e programmazione
VIII-Ambiente, territorio e lavori pubblici

 

Camera dei deputati

XVII LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

Misure per il sostegno e la valorizzazione dei comuni con popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti e dei territori montani e rurali nonché deleghe al Governo per la riforma sistema di governo delle medesime aree e per introduzione di sistemi di remunerazione dei servizi ambientali

A.C. 65

Schede di lettura

 

 

 

 

 

 

n. 73

 

 

 

26 settembre 2013

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi

Dipartimento Ambiente

( 066760-4548 / 066760-9253 – * st_ambiente@camera.it

Dipartimento Bilancio

( 066760-9775 / 066760-2233 – * st_bilancio@camera.it

 

Hanno partecipato alla redazione del dossier i seguenti Servizi e Uffici:

Servizio Commissioni – Segreteria V Commissione

( 066760-3545 / 066760-3685 – * com_bilancio@camera.it

 

§      Le schede di lettura sono state redatte dal Servizio Studi.

§      Le parti relative ai profili di carattere finanziario sono state curate dalla Segreteria della V Commissione per quanto concerne le coperture.

 

La documentazione dei servizi e degli uffici della Camera è destinata alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge. I contenuti originali possono essere riprodotti, nel rispetto della legge, a condizione che sia citata la fonte.

File: ID0005.doc

 


INDICE

Schede di lettura

§      Premessa  3

§      Articolo 1 (Finalità) 4

§      Articolo 2 (Ambito di applicazione) 6

§      Articolo 3 (Disposizioni concernenti i comuni con popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti) 9

§      Articolo 4 (Attività e servizi) 18

§      Articolo 5 (Valorizzazione dei prodotti agroalimentari tradizionali) 20

§      Articolo 6 (Programmi di e-government) 22

§      Articolo 7 (Servizi postali e programmazione televisiva pubblica) 24

§      Articolo 8 (Sanità nelle aree rurali e montane) 27

§      Articolo 9 (Istituti scolastici) 30

§      Articolo 10 (Servizio idrico nei piccoli comuni) 33

§      Articolo 11 (Fondo per l’incentivazione della residenza nei piccoli comuni) 35

§      Articolo 12 (Fondo per lo sviluppo strutturale, economico e sociale dei piccoli comuni) 37

§      Articolo 13 (Piano nazionale per i territori rurali) 39

§      Articolo 14 (Realizzazione progetti pilota per interventi di afforestazione e riforestazione) 43

§      Articolo 15 (Delega al Governo per l’introduzione di sistemi di remunerazione dei servizi ecosistemici e ambientali) 45

§      Articolo 16 (Fondo nazionale per gli interventi nelle aree montane) 47

§      Articolo 17 (Delega al Governo in materia di armonizzazione normativa) 51

§      Articolo 18 (Clausola di neutralità finanziaria) 55

§      Articolo 19 (Disposizioni particolari per le regioni a statuto speciale e per le province autonome di Trento e Bolzano) 56

Profili finanziari

§      Articolo 11, comma 1  61

§      Articolo 12, comma 5  61

 

 


Schede di lettura

 


 

Premessa

Il testo della proposta di legge - volta a promuovere le attività economiche, sociali, ambientali e culturali svolte nell’ambito territoriale dei piccoli comuni - riprende il testo dell’A.C. 54 della XVI legislatura presentata da deputati appartenenti a tutti i gruppi parlamentari e approvata dalla Camera dei deputati (A.S. 2671, XVI legislatura). Rispetto al testo approvato in prima lettura nella scorsa legislatura la proposta di legge reca alcune modifiche agli articoli 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 10, 11 e 12, mentre sono nuovi gli articoli da 13 a 17.

Una prima proposta di legge, avente ad oggetto le medesime finalità della proposta di legge in commento, era stata presentata nella XIV legislatura (A.C. 1174), ma era stata approvata solo dalla Camera dei deputati (A.S. 1942, XIV legislatura).

Anche nella XV legislatura il testo è stato ripresentato (A.C. 15) e l'iter si è concluso con l'approvazione della sola Camera dei deputati (AS 1516, XV legislatura).


 

Articolo 1
(Finalità)

L’articolo 1 precisa le finalità generali della proposta di legge.

Ai sensi del comma 1, tali finalità hanno ad oggetto i piccoli comuni – come definiti dal successivo articolo 2 – e consistono:

§      nella promozione e nel sostegno del loro sviluppo economico, sociale, ambientale e culturale;

§      nel garantire l'equilibrio demografico del Paese, favorendo la residenza in tali comuni e contrastandone lo spopolamento;

§      nella tutela e valorizzazione del loro patrimonio naturale, rurale, storico-culturale e architettonico;

§      nel favorire l'adozione di misure a vantaggio sia dei cittadini che vi risiedono, sia delle attività produttive, con riferimento, in particolare, al sistema di servizi territoriali, con l’obiettivo di stimolare e incrementare anche il movimento turistico.

 

Il comma 1 richiama la cornice costituzionale nazionale ed europea, specificando che la legge viene prevista:

§         ai sensi degli articoli 44, secondo comma, e 119, quinto comma, della Costituzione;

Si ricorda, in proposito, che ai sensi dell’art. 44, secondo comma, della Cost. la legge dispone provvedimenti a favore delle zone montane, mentre l’art. 119, quinto comma, della Cost. dispone che per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni.

§         e in conformità agli obiettivi di coesione economica, sociale e territoriale di cui all'articolo 3 del Trattato sull'UE e di pari opportunità per le zone con svantaggi strutturali e permanenti di cui all'art. 174 del Trattato sul funzionamento dell'UE (TFUE).

L’articolo 3 del Trattato sull’UE prevede, tra l’altro, che l’UE promuova la coesione economica, sociale e territoriale, e la solidarietà tra gli Stati membri, mentre l’art. 174 del TFUE stabilisce che per promuovere uno sviluppo armonioso dell'insieme dell'Unione, questa sviluppa e prosegue la propria azione intesa a realizzare il rafforzamento della sua coesione economica, sociale e territoriale. L’articolo 174 prevede, inoltre, che l'Unione mira a ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni ed il ritardo delle regioni meno favorite e che, tra le regioni interessate, un'attenzione particolare è rivolta alle zone rurali, alle zone interessate da transizione industriale e alle regioni che presentano gravi e permanenti svantaggi naturali o demografici, quali le regioni più settentrionali con bassissima densità demografica e le regioni insulari, transfrontaliere e di montagna.

Il comma 2 fa salva la facoltà per le regioni di disporre interventi ulteriori, rispetto a quelli previsti dalla proposta di legge, per le medesime finalità da questa indicate, nel rispetto delle competenze ad esse attribuite.


 

Articolo 2
(Ambito di applicazione)

L’articolo 2, al comma 1, reca la definizione di “piccoli comuni”, funzionale alla delimitazione dell’ambito di applicazione della proposta di legge.

La citata definizione è basata su due criteri.

 

Il primo criterio di individuazione fissato dalla disposizione è demografico in quanto sono considerati piccoli i comuni con popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti.

Si segnala preliminarmente che nella bozza della relazione finale della Commissione per le riforme costituzionali recentemente presentata[1], relativamente ai piccoli comuni, si evidenzia l’opportunità di stabilire in Costituzione il principio dell’esistenza di una dimensione minima del Comune, da stabilire poi con legge.

Oltre a tale criterio, il medesimo comma richiede, per rientrare nella tipologia dei “piccoli comuni”, ulteriori requisiti, che non sono però necessari per l’applicazione delle norme previste dagli articoli 3, 5 e 7, comma 3 (che vengono fatte comunque salve), che dettano disposizioni valide per tutti i comuni con popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti.

 

Il secondo criterio richiede infatti (fatte salve le citate disposizioni degli artt. 3, 5 e 7), quale ulteriore requisito ai fini della definizione di piccolo comune, l’appartenenza ad una delle seguenti categorie:

a)   comuni situati in aree territorialmente dissestate o in zone caratterizzate da situazioni di criticità per quanto riguarda l’ambiente;

b)   comuni caratterizzati da marcata arretratezza economica e basso livello di benessere;

c)   comuni in cui si sia verificata una rilevante diminuzione della popolazione rispetto al censimento effettuato nel 1981;

d)   comuni caratterizzati da particolare disagio insediativo, definito in base all'indice di vecchiaia, alla percentuale di occupati rispetto alla popolazione residente e all'indice di ruralità;

e)   comuni caratterizzati da scarsità dei flussi turistici o da inadeguatezza dei servizi sociali essenziali;

f)     comuni collocati in aree caratterizzate da difficoltà di comunicazione e dalla lontananza dai grandi centri urbani;

g)   comuni che presentano un territorio particolarmente ampio ovvero caratterizzato dalla frammentazione degli insediamenti abitativi e industriali;

h)   comuni comprendenti frazioni che presentano le caratteristiche di cui alle lettere a), b), c), d), f) o g), limitando in tali casi gli interventi di cui alla presente legge alle medesime frazioni;

i)     comuni appartenenti alle unioni dei comuni montani di cui all'art. 14, comma 28, del D.L. 78/2010, con esclusione di quelli dotati di entrate derivanti dal pagamento dell'imposta municipale propria superiori ad una media di euro 500 per abitante.

Sul punto si ricorda che l’articolo 14, commi 28-31, del D.L. 78/2010 (conv. L. 122/2010), come da ultimo modificato con l’art. 19 del D.L. 95/2012 (conv. L. 135/2012), ha introdotto l’obbligo di esercizio in forma associata delle funzioni fondamentali (individuate ai sensi del comma 27 del citato articolo 14), con finalità di contenimento della spesa pubblica, per i comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti. Sono esplicitamente inclusi tra i destinatari dell’obbligo dell'esercizio associato i comuni montani o ex-montani fino a 3.000 abitanti. Sono esclusi invece i comuni il cui territorio coincide integralmente con quello di una o di più isole, ed il comune di Campione d’Italia. Gli strumenti attraverso i quali si provvede all’esercizio in forma associata sono la convenzione e l’unione, che costituiscono due degli strumenti previsti dal Capo V del Titolo II del TUEL (art. 30 e 32) in tema di forme associative. Il limite demografico minimo delle unioni è fissato in 10.000 abitanti, salvo diverso limite individuato dalla regione (art. 14, co. 30). Il legislatore ha stabilito altresì i termini (prorogati prima dal D.L. 216/2011 e poi dal D.L. 95/2012) entro i quali i comuni attuano le disposizioni in tema di obbligo di esercizio associato di funzioni: a) entro il 1° gennaio 2013 con riguardo ad almeno tre funzioni fondamentali; b) entro il 1° gennaio 2014 con riguardo alle restanti funzioni fondamentali.

 

La lettera i) del comma 1 esclude dall’ambito applicativo delle disposizioni in esame i piccoli comuni i quali, ancorché appartengano alle unioni di comuni montani “siano dotati di entrate derivanti dal pagamento dell'imposta municipale propria superiori ad una media di euro 500 per abitante”.

La norma in commento sembra presupporre l’esistenza di specifiche quantificazioni del gettito IMU pro capite per ciascun comune, ovvero sembra richiedere la predisposizione di strutture e risorse dedicate a effettuare tali stime.

Si rileva inoltre che, alla luce delle modifiche all’imposta propria operate dai decreti-legge n. 54 e 69 del 2013 e dalle prospettive di riforma della tassazione immobiliare tracciate dai predetti provvedimenti, sembrerebbe opportuno ancorare l’esclusione dall’ambito operativo delle norme in esame ad ulteriori e diversi criteri, eventualmente collegandoli al futuro assetto della fiscalità immobiliare.

 

Ai sensi del comma 2 i comuni rientranti in più di una delle tipologie di cui al comma 1 del presente articolo hanno la priorità nell’attribuzione dei benefici previsti dagli articoli 11 e 12 della proposta di legge.

 

I commi da 3 a 6 disciplinano la procedura per l’adozione, entro 6 mesi dalla data di entrata in vigore della legge, di un elenco dei piccoli comuni come definiti al comma 1, disponendone l’aggiornamento (comma 4) su base triennale.

 

La procedura delineata dal comma 3 prevede l’adozione dell’elenco (e dei relativi aggiornamenti) con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottarsi:

§      su proposta del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare;

§      previa intesa da raggiungersi in sede di Conferenza unificata;

§      previo parere (comma 5) delle competenti Commissioni parlamentari (che si pronunciano entro 30 giorni dalla data di assegnazione dei relativi atti).

 

Il comma 6 disciplina l’individuazione dei comuni nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano, stabilendo che esse provvedano, per il proprio territorio, all'individuazione ai sensi del comma 3, che prevede l’adozione di un D.P.C.M.

In proposito, va rilevato che l’intento della norma è sicuramente quello di specificare che le regioni a statuto speciale e le province autonome, in ragione della competenza legislativa esclusiva in materia di ordinamento degli enti locali loro attribuita dagli statuti di autonomia, provvedono ad individuare i comuni in cui si applicano le disposizioni recate dalla proposta di legge.

In tal senso è anche la norma “generale” recata dall'articolo 19 (alla cui scheda di commento si rinvia), che, facendo salve le competenze delle autonomie speciali, rimette alla loro autonomia l'attuazione delle finalità delle norme recate dalla stessa proposta di legge.

 

Non risulta chiaro, perciò, il riferimento al comma 3, in cui viene disciplinata la procedura per l'adozione del DPCM che individua i comuni in cui si applicano le norme della proposta di legge.

In linea con questa lettura, il DPCM dovrebbe riguardare i soli comuni dei territori delle regioni a statuto ordinario, dal momento che ciascuna regione a statuto speciale, in armonia con le proprie norme statutarie, come ribadito dall'articolo 19, provvede a dare attuazione alle finalità della proposta di legge.

 


 

Articolo 3
(Disposizioni concernenti i comuni con popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti)

L’articolo 3, come esplicitato dalla rubrica dell’articolo, reca disposizioni che si applicano a tutti i comuni con popolazione residente pari o inferiore a 5.000 abitanti: l’ambito di applicazione specificato dal comma 1 è pertanto più ampio rispetto a quello generale delimitato dall’articolo 2 in quanto non si fa riferimento a quanto previsto da tale articolo relativamente all’appartenenza ad una delle categorie ivi indicate ai fini della definizione di “piccoli comuni”.

Ai fini dell’individuazione del campo di applicazione, il comma 1 stabilisce che la popolazione sia calcolata ogni 5 anni secondo i dati dell'ISTAT. In particolare, in sede di prima applicazione, per le finalità di cui al presente articolo, è considerata la popolazione risultante dall'ultimo censimento ISTAT.

 

Con riguardo alla formulazione del testo, si osserva che le disposizioni relative alle modalità di calcolo della popolazione potrebbero essere inserite all’articolo 2, dato che riguardano il primo criterio definitorio, che ha valenza generale.

Disapplicazione di norme in materia di programmazione dei lavori pubblici – comma 2

Il comma 2 prevede, per i comuni con popolazione pari o inferiore ai 5.000 abitanti, la disapplicazione delle seguenti norme in materia di programmazione dei lavori pubblici:

§         le disposizioni in materia di programmazione dei lavori recate dall’art. 128, commi 3, 5, 6, 7, 9, secondo periodo, e 11, del d.lgs. n. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture);

L’art. 128, relativo alla programmazione dei lavori pubblici, prevede, tra l’altro:

-        che vi sia un ordine di priorità nel programma triennale (e che, nell'ambito di tale ordine sono da ritenere comunque prioritari i lavori di manutenzione, di recupero del patrimonio esistente, di completamento dei lavori già iniziati, i progetti esecutivi approvati, nonché gli interventi per i quali ricorra la possibilità di finanziamento con capitale privato maggioritario) e che tale ordine sia rispettato dalle amministrazioni aggiudicatrici nell’attuazione dei lavori previsti dal programma stesso (commi 3 e 5);

-        precise condizioni per l’inclusione dei lavori nell'elenco annuale. Per i lavori di importo inferiore a 1 milione di euro occorre, infatti, la previa approvazione almeno di uno studio di fattibilità, mentre per i lavori di importo pari o superiore a 1 milione di euro, occorre la previa approvazione almeno della progettazione preliminare (comma 6). Il comma 7 dispone inoltre che un lavoro può essere inserito nell'elenco annuale, limitatamente ad uno o più lotti, purché con riferimento all'intero lavoro sia stata elaborata la progettazione almeno preliminare e siano state quantificate le complessive risorse finanziarie necessarie per la realizzazione dell'intero lavoro. In ogni caso l'amministrazione aggiudicatrice nomina, nell'ambito del personale ad essa addetto, un soggetto idoneo a certificare la funzionalità, fruibilità e fattibilità di ciascun lotto;

-        le condizioni per la realizzazione di lavori non inseriti nell'elenco annuale. In base al secondo periodo del comma 9, infatti, un lavoro non inserito nel citato elenco può essere realizzato solo sulla base di un autonomo piano finanziario che non utilizzi risorse già previste tra i mezzi finanziari dell'amministrazione al momento della formazione dell'elenco, fatta eccezione per le risorse resesi disponibili a seguito di ribassi d'asta o di economie;

-        l’adozione del programma triennale e degli elenchi annuali dei lavori, da parte delle amministrazioni aggiudicatrici, sulla base di schemi tipo definiti dal D.M. Infrastrutture 11 novembre 2011 (comma 11). Lo stesso comma prevede la pubblicazione sui siti informatici del Ministero delle infrastrutture e dell’Osservatorio dei contratti pubblici (istituito presso l’Autorità per la vigilanza dei contratti pubblici) dei programmi triennali e degli elenchi annuali dei lavori.

Si ricorda altresì che l’art. 4, comma 2, del d.lgs. n. 163 del 2006, sul riparto di competenze legislative tra Stato, regioni e province autonome, dispone che nelle materie oggetto di competenza concorrente, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano esercitano la potestà normativa nel rispetto dei principi fondamentali contenuti nelle norme del codice, in particolare, in tema di programmazione di lavori pubblici (di cui all’art. 128).

§         artt. 11 e 13 del D.P.R. 207/2010;

Anche gli articoli 11 e 13 del D.P.R. 207/2010 (Regolamento di esecuzione ed attuazione del D.Lgs. 163/2006) riguardano la programmazione dei lavori. L’esonero previsto dal comma in esame riguarda, in particolare, la predisposizione di uno studio per l’individuazione del quadro dei bisogni e delle esigenze e di successivi studi di fattibilità necessari per l'elaborazione del programma triennale (art. 11) e l’applicazione delle norme relative alle modalità e ai tempi di redazione, nonché al contenuto del programma triennale da predisporre in conformità allo schema-tipo definito con decreto ministeriale (art. 13).

§         D.M. infrastrutture e trasporti 11 novembre 2011 (pubblicato nella G.U. n. 55 del 6 marzo 2012).

Tale decreto disciplina, in particolare, la procedura e gli schemi-tipo per la redazione e la pubblicazione del programma triennale e dei suoi aggiornamenti annuali, ai sensi dell'art. 128 del D.Lgs. 163/2006 e dell’art. 13 del D.P.R. 207/2010.

Funzioni di valutazione dei responsabili degli uffici e dei servizi – comma 3

Il comma 3 specifica per i comuni con popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti, la possibilità, peraltro già desumibile dalla legislazione vigente, di disciplinare con proprio regolamento le funzioni di valutazione dei responsabili degli uffici e dei servizi ai sensi del D.Lgs. 150/2009.

La disposizione indica, in particolare, l’ulteriore possibilità di affidare tali funzioni anche ad un organo monocratico interno o a un soggetto esterno all’ente, che dovrà svolgere nel rispetto di quanto previsto dagli artt. 16 e 31 del medesimo D.Lgs. 150/2009.

L’articolo 16 del D.Lgs. 150/2009 stabilisce che sia le regioni sia gli enti locali provvedono ad adeguare entro il 31 dicembre 2010 i rispettivi ordinamenti ai principi contenuti nelle disposizioni del Titolo II del medesimo decreto, che disciplinano il sistema di valutazione delle strutture e dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche al fine di assicurare elevati standard qualitativi ed economici del servizio tramite la valorizzazione dei risultati e della performance organizzativa e individuale. Prevede inoltre che, decorso il termine per l’adeguamento, si applicano direttamente le disposizioni del decreto legislativo fino all’emanazione della disciplina dell’ente territoriale.

In via analoga, l’articolo 31 contiene la clausola di adeguamento dell’ordinamento delle regioni e degli enti locali alle disposizioni contenute nel Titolo III del D.lgs. 150/2009 che prevede gli strumenti di valorizzazione del merito e i metodi di incentivazione della produttività e qualità della prestazione lavorativa.

 

Il tenore della disposizione è tale da introdurre una deroga, rispetto alle disposizioni previste dal D.lgs. 150, al quadro dei soggetti impegnati nel processo di misurazione e valutazione della performance, in particolare ammettendo la possibilità di attribuire la funzione di valutazione, che nelle amministrazioni centrali è rappresentata dall’Organismo indipendente di valutazione della performance (c.d. OIV), nominato dall’organo di indirizzo politico, con un organo monocratico interno o a un soggetto esterno all’ente.

 

Nell’impianto normativo previsto dal decreto (artt. 12-15), infatti, sono previsti, a livello nazionale: a) la Commissione per la valutazione e l’integrità delle amministrazioni pubbliche (CIVIT) con il compito di indirizzare, coordinare e sovrintendere all’esercizio delle funzioni di valutazione, di garantire la trasparenza dei sistemi di valutazione e di assicurare la comparabilità e la visibilità degli indici di andamento gestionale; a livello di singola amministrazione: b) un Organismo indipendente di valutazione della performance svolge – in piena autonomia – attività inerenti alla misurazione e alla valutazione della performance, garantendo dall’interno la definizione e l’implementazione dei sistemi di valutazione, nel rispetto dei modelli definiti dalla Commissione; c) l’organo di indirizzo politico- amministrativo che, in particolare, emana le direttive generali contenenti gli indirizzi strategici.

 

In merito, si ricorda che gli articoli da 12 a 14 del D.Lgs. 150, relativo alla disciplina dei soggetti del processo di valutazione non sono richiamati dall’articolo 16 tra le disposizioni contenenti i principi ai quali gli enti locali devono adeguare i rispettivi ordinamenti. Va invece preservata la conformità al principio di cui all’articolo 15, co. 1, in base al quale l'organo di indirizzo politico-amministrativo promuove la cultura della responsabilità per il miglioramento della performance, del merito, della trasparenza e dell'integrità.

Uso della rete telematica gestita dai concessionari del Ministero dell’economia e delle finanze – Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato – comma 4

Il comma 4 dell’articolo 3 consente, nei piccoli comuni con popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti, di utilizzare per l’incasso e il trasferimento di somme, con lo scopo di favorire il pagamento di imposte, tasse e tributi nonché dei corrispettivi dell'erogazione di acqua, energia, gas e di ogni altro servizio:

§      la rete telematica gestita dai concessionari del Ministero dell'economia e delle finanze – Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato;

Si osserva che il riferimento alla “rete telematica gestita dai concessionari del Ministero dell'economia e delle finanze – Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato” appare eccessivamente generico, in quanto non consente di individuare con precisione l’infrastruttura tramite la quale potranno essere effettuati i predetti flussi di pagamenti.

In assenza di ulteriori precisazioni, la disposizione in commento potrebbe fare riferimento alla cd. “rete telematica di AAMS”, ovvero la rete proprietaria dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato costituita dall'infrastruttura hardware e software di trasmissione dati, prevista dall'articolo 14-bis, comma 4, del DPR n. 640 del 1972, per mezzo della quale si effettua la gestione telematica degli apparecchi da intrattenimento contemplati dall’articolo 110 del TULPS per l’esercizio del gioco lecito. Al riguardo però si osserva che lo scopo precipuo dell’infrastruttura è quella di gestire il gioco lecito, con finalità legate alla pubblica sicurezza ed al prelievo fiscale; l’utilizzo di detta rete per l’incasso e il trasferimento di somme richiederebbe, dunque, la predisposizione di ulteriori infrastrutture software, con eventuali profili di onerosità.

Si rammenta che, in applicazione del D.L. 6 luglio 2012, n. 95, dal 1° dicembre 2012 l'Agenzia delle Dogane ha incorporato l'AAMS assumendo la nuova denominazione di Agenzia delle Dogane e dei Monopoli;

§      le “reti dei concessionari”.

Vale in proposito un’analoga considerazione: appare opportuno specificare la locuzione “reti dei concessionari”, al fine di individuare correttamente l’infrastruttura utilizzata per le finalità previste dalla norma in commento.

In mancanza di specifica individuazione le disposizioni in esame sembrerebbero riferite alle già operative modalità di versamento di somme, effettuate mediante la rete di soggetti concessionari dei giochi (ad es. Lottomatica, Sisal) che consentono di versare in tal modo i corrispettivi dovuti per fornitura di servizi o i tributi medesimi.

 

Le disposizioni specificano che l’utilizzo delle predette reti deve avvenire nel rispetto della disciplina riguardante i servizi di pagamento e delle disposizioni adottate in materia dalla Banca d'Italia.

 

Si rammenta che il D.Lgs. n. 11 del 2010, emanato in attuazione della direttiva 2007/64/CE, relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno (Payment Services Directive - PSD), ha introdotto nell’ordinamento italiano la figura degli istituti di pagamento, intermediari che insieme a banche e Istituti di moneta elettronica effettuano servizi di pagamento (nuovi Titoli V-bis e Titolo V-ter del T.U.B.). Il D.Lgs. n. 45 del 2012 ha recepito nell’ordinamento italiano la direttiva 2009/110/CE concernente gli istituti di moneta elettronica. Rispetto alla previgente regolamentazione sono state ampliate le possibilità operative degli IMEL: oltre a poter svolgere l'attività di emissione di moneta elettronica possono anche prestare i servizi di pagamento nonché ulteriori attività imprenditoriali (c.d. "IMEL ibridi"). Si ricorda che in ambito comunitario è stata istituita la SEPA ovvero la Single Euro Payments Area (Area Unica dei Pagamenti in Euro), l'area in cui i cittadini, le imprese, le pubbliche amministrazioni e gli altri operatori economici possono effettuare e ricevere pagamenti in euro con strumenti diversi dal contante, sia all'interno dei confini nazionali che fra i paesi che ne fanno parte, secondo condizioni di base, diritti ed obblighi uniformi.

 

Con riferimento complessivo all’articolo in esame, stante la genericità del tenore letterale, sembrerebbe opportuno demandare alla normativa di rango secondario l’individuazione delle modalità attuative delle disposizioni ivi contenute.

Disposizioni per la salvaguardia ed il recupero dei beni culturali, storici, artistici e librari degli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti – Comma 5

Il comma 5 prevede la possibilità, per i piccoli comuni (definiti al comma 1), anche in forma associata, di stipulare convenzioni con le diocesi cattoliche al fine di salvaguardare e recuperare i beni culturali, storici, artistici e librari degli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti.

Analoga possibilità per la stipula di convenzioni è prevista tra i piccoli comuni e le rappresentanze delle altre confessioni religiose che hanno concluso intese con lo Stato italiano, ai sensi dell’articolo 8 della Costituzione, con riferimento ai predetti beni che risultino nella disponibilità delle rappresentanze medesime.

 

In proposito l’articolo 9 del Codice dei beni culturali (D. Lgs. 42/2004) prevede che, per i beni culturali di interesse religioso appartenenti ad enti ed istituzioni della Chiesa cattolica o di altre confessioni religiose, il Ministero per i beni e le attività culturali e, per quanto di competenza, le regioni provvedono, relativamente alle esigenze di culto, d'accordo con le rispettive autorità. La norma prevede inoltre l’osservanza delle disposizioni stabilite dalle intese concluse ai sensi dell'art. 12 dell'Accordo di modificazione del Concordato lateranense firmato il 18 febbraio 1984 (L. 121/1985) ovvero dalle leggi emanate sulla base delle intese sottoscritte con le confessioni religiose diverse dalla cattolica, ai sensi dell'articolo 8, comma 3, della Costituzione.

Si ricorda che a partire dal 1984, lo Stato italiano ha proceduto a stipulare intese, recepite con legge, con la Tavola valdese, con l’Unione italiana delle Chiese cristiane avventiste del 7° giorno, con l’Assemblee di Dio in Italia, con l’Unione delle Comunità ebraiche italiane, con l’Unione cristiana evangelica battista d’Italia, con la Chiesa evangelica luterana in Italia, con la Chiesa di Gesù Cristo dei santi degli ultimi giorni; con la Sacra arcidiocesi ortodossa d'Italia ed Esarcato per l'Europa Meridionale; con la Chiesa apostolica in Italia; con l’Unione Induista italiana, Sanatana Dharma Samgha e con l’Unione Buddhista Italiana.

 

Recentemente, inoltre, le Diocesi italiane hanno avviato, d’intesa con il MiBAC, la definizione di alcune indicazioni per effettuare un lavoro di catalogazione del patrimonio ecclesiastico, redigendo una specifica documentazione, raccolta in un Manuale per la protezione dei beni culturali ecclesiastici presentato nel mese di febbraio 2013, con la collaborazione del Comando dei Carabinieri per la tutela del patrimonio culturale (CC TPC). Tale documentazione, rilevante dal profilo catalografico e d’inventariazione, è finalizzata ad avere una conoscenza certa del patrimonio artistico e religioso delle comunità cattoliche. Nel manuale, in particolare, si forniscono indicazioni sulle modalità per compilare la scheda - descrittiva e fotografica - di identificazione del bene ecclesiastico di rilevanza storico-artistica e culturale.

 

Il finanziamento delle convenzioni è posto a carico degli stanziamenti dello stato di previsione del MIBACT di cui alla legge n. 662 del 1996, entro il limite del 20% delle risorse ivi iscritte.

 

In proposito si segnala che, nello stato di previsione del MiBAC per l’anno 2013, i capitoli riferiti alla L. n. 662/1996 che contiene misure per la razionalizzazione della finanza pubblica, tutti di conto capitale, ricadono nell’ambito della Missione “Ricerca e Innovazione”, programma “Ricerca in materia di beni e attività culturali”[2], e nella Missione “Tutela e valorizzazione dei beni e attività culturali e paesaggistici”[3].

 

Relativamente alla formulazione del testo, è necessario fare riferimento al “Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo”.

Si ricorda, infatti, che l'art. 1 della L. 71/2013 – di conversione, con modificazioni, del D.L. 43/2013 – ha trasferito al MIBAC le funzioni in materia di turismo, già esercitate dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Di conseguenza è stata modificata la denominazione in Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (MIBACT).

 

 A tale fine, il MIBACT, stabilisce, con proprio decreto, previo parere della Conferenza Stato-città ed autonomie locali, i criteri di accesso ai finanziamenti e le quote degli stanziamenti ad essi destinate.

Il riferimento normativo che individua la Conferenza Stato-città ed autonomie locali è all’art. 8, co. 2 e 3, del D.Lgs. del 28 agosto 1997 n. 281.

Acquisizione di beni immobili – comma 6

Il comma 6 prevede che i comuni con popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti possono acquisire, al valore economico definito dai competenti uffici dell'Agenzia del territorio, o stipulare intese finalizzate al recupero dei seguenti beni immobili:

§         stazioni ferroviarie disabilitate;

§         case cantoniere dell'Ente nazionale per le strade (ANAS) Spa.

 

Tali beni possono essere destinati, anche ricorrendo all'istituto del comodato:

§         a favore di organizzazioni di volontariato;

§         a presìdi di protezione civile e di salvaguardia del territorio;

§         ovvero, anche d'intesa con l'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa Spa, a sedi di promozione ed eventuale vendita dei prodotti tipici locali e per altre attività comunali.

Si ricorda che la legge finanziaria 2007 (legge n. 296/2006), all’articolo 1, comma 460, oltre a mutare la denominazione di Sviluppo Italia S.p.A. in “Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa S.p.A.“, ha attribuito al Ministro dello sviluppo economico una serie di poteri, tra cui quello di definire con apposite direttive, le priorità e gli obiettivi dell’Agenzia, la quale agisce per accrescere la competitività del Paese, in particolare del Mezzogiorno, e per sostenere i settori strategici per lo sviluppo. Gli obiettivi prioritari dell’Agenzia – ai sensi della Direttiva del MISE del 27 marzo 2007, sono:

favorire l'attrazione di investimenti esteri di elevata qualità, in grado di dare un contributo allo sviluppo del sistema economico e produttivo nazionale

sostenere l'innovazione e la crescita del sistema produttivo

            promuovere la competitività e le potenzialità attrattive dei territori.

Dal luglio 2008 l’Agenzia ha assunto la denominazione “INVITALIA”.

A seguito del Piano di riordino e di dismissioni previsto dalla legge finanziaria 2007 e dalla citata direttiva ministeriale, la struttura dell’Agenzia si articola, ora, in 3 aree strategiche di affari (ASA): Impresa, Territorio e Investimenti esteri. Le società “controllate strategiche” sono confluite in 3 società denominate “Newco”:

- La “Newco Reti” opera per realizzare infrastrutture a sostegno della competitività dei territori.

- La “Newco Finanza” si occupa di acquisire sul mercato capitali da convogliare verso nuove opportunità di investimento;

- La “Newco Progetti” è costituita da Italia Navigando.

INVITALIA opera, inoltre, nel settore turistico attraverso la società partecipata Italia Turismo.

Oltre a una profonda riorganizzazione interna dell'Agenzia, il Piano di riordino ha previsto la cessione o la liquidazione di tutte le società regionali. Delle 17 società regionali, 5 sono state messe in liquidazione, in quanto le regioni interessate hanno escluso l’intenzione di acquisirne il controllo: si tratta delle società in Emilia-Romagna, Lombardia, Piemonte, Marche e Calabria. Sono, invece, state trasferite alle regioni di riferimento le partecipazioni detenute dall’Agenzia nelle società relative alle regioni Sicilia, Puglia, Molise, Toscana e Liguria. Il processo di dismissione è comunque ancora in corso.

 

Per le finalità indicate lo stesso comma 6 prevede l’istituzione di uno specifico fondo presso la Cassa depositi e prestiti Spa.

Con riferimento alla istituzione di uno “specifico fondo “ presso Cassa depositi e prestiti si osserva che la norma non appare chiara, in quanto non indica l’entità del Fondo e l’origine delle risorse che lo andrebbero ad alimentare, né le modalità attraverso le quali tale Fondo sarebbe poi gestito da Cassa depositi e prestiti.

Pianificazione paesaggistica- comma 7

Il comma 7 novella la lettera d) del comma 4 dell’art. 135 del D.Lgs. 42/2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), al fine di porre l’accento, in sede di pianificazione paesaggistica, sulla salvaguardia del territorio dei comuni con popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti.

Il citato comma 4 prevede infatti che, per ciascun ambito, i piani paesaggistici definiscano apposite prescrizioni e previsioni ordinate ad una serie di finalità indicate alle lettere da a) a d). In particolare la lettera d) fa riferimento all’individuazione “delle linee di sviluppo urbanistico ed edilizio, in funzione della loro compatibilità con i diversi valori paesaggistici riconosciuti e tutelati, con particolare attenzione alla salvaguardia dei paesaggi rurali e dei siti inseriti nella lista del patrimonio mondiale dell'UNESCO”.

La novella aggiunge alla prevista salvaguardia dei paesaggi rurali anche quella del territorio dei comuni con popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti.

Ulteriori disposizioni – comma 8

Il comma 8 prevede, per i piccoli comuni e le loro unioni, l’emanazione, da parte del Governo ed entro 6 mesi dall’entrata in vigore della legge, di uno o più provvedimenti attuativi una disciplina differenziata e semplificata delle seguenti materie:

§         programmazione annuale e triennale delle opere pubbliche;

§         organizzazione del personale, degli uffici e servizi e relativo funzionamento;

§         controllo di gestione.

 

Lo stesso comma precisa che tali discipline specifiche per i piccoli comuni e le loro unioni dovranno garantire comunque il perseguimento dei princìpi, delle finalità e degli obiettivi di cui alla normativa generale prevista per i comuni di maggiori dimensioni.

 

Con riguardo alla formulazione del testo, si osserva come la disposizione appaia presentare caratteri di eccessiva generalità, tale da determinare un completo rinvio ad atti normativi secondari, peraltro di natura non specificata ( ad esempio DM, DPCM od altro), per la definizione della disciplina in esame; rinvio che andrebbe invece effettuato secondo modalità più dettagliate, in considerazione del minor ambito di competenza degli atti normativi secondari – rispetto alle fonti primarie -  posto dall’ordinamento.


 

Articolo 4
(Attività e servizi)

L’articolo 4 è volto a promuovere interventi per garantire, nei piccoli comuni, l’efficienza e la qualità di attività e servizi essenziali.

 

L’obiettivo (dichiarato nella relazione illustrativa) sarebbe quello di fronteggiare la rarefazione di servizi al cittadino che si riscontra in tali realtà territoriali e che determina la condizione di “disagio insediativo” cui la proposta di legge intende porre rimedio.

 

Per tali finalità e per quelle enunciate nella norma, che fanno riferimento alla garanzia di uno sviluppo sostenibile e di un equilibrato governo del territorio, il comma 1 demanda a una pluralità di enti (Stato, regioni, province, unioni di comuni, comunità montane ed enti parco) il compito di assicurare, ciascuno secondo le rispettive competenze, che nei piccoli comuni (come definiti dall’art. 2) siano perseguite la qualità e l’efficienza dei servizi essenziali, con particolare riguardo ai seguenti ambiti: ambiente, protezione civile, istruzione, sanità, servizi socio-assistenziali, trasporti, viabilità e servizi postali.

 

In riferimento ai “servizi essenziali” da garantire alle popolazioni locali, si osserva che la disposizione non ne fornisce una definizione precisa, limitandosi a richiamare alcune tipologie di servizi al cittadino che devono essere comunque assicurate da parte dei soggetti competenti.

 

Tale espressione potrebbe comunque essere messa in relazione con la formulazione dell’art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, che affida alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantite su tutto il territorio nazionale”, con ciò intendendo affidare allo Stato il compito di definire una soglia di uniformità, data da un insieme articolato di prestazioni che devono essere erogate dalle pubbliche amministrazioni in ogni territorio, onde evitare che le differenziazioni regionali possano determinare situazioni di disparità nel godimento dei diritti.

 

In attuazione delle predette finalità, il comma 2 dispone che i piccoli comuni (come definiti dall’art. 2) provvedano, in forma associata, all’istituzione di centri multifunzionali nei quali concentrare:

§         la fornitura di una pluralità di servizi per i cittadini (in materia ambientale, sociale, energetica, scolastica, postale, artigianale, turistica, commerciale, di comunicazione e di sicurezza);

§         nonché lo svolgimento di attività di volontariato e di associazionismo culturale.

 

Si segnala che il testo approvato in prima lettura dalla Camera (A.S. 2671) prevedeva la facoltà per i comuni di istituire, anche in forma associata, i centri multifunzionali. Relativamente a tali centri, si rammenta peraltro che il Comitato permanente per i pareri della I Commissione, nel parere approvato il 9 febbraio 2011 con riferimento all’A.C. 54, aveva segnalato alle Commissioni di merito l'opportunità di chiarire la natura dei «centri multifunzionali» ivi previsti e di verificare l'incidenza della disposizione sulla organizzazione amministrativa dei comuni.

 

Il comma 2 prevede altresì il concorso di regioni e province alle spese relative all'uso dei locali necessari all'espletamento dei predetti servizi.

 

A norma del comma 3, le regioni e le province, nell’ambito delle finalità di cui al presente articolo, assegnano priorità – nella definizione degli stanziamenti di propria competenza - alle iniziative finalizzate all’insediamento, nei comuni di cui all’articolo 2, di centri per la prestazione dei servizi, quali istituti di ricerca, laboratori , centri culturali e sportivi.

 

Si segnala che il testo approvato in prima lettura dalla Camera (A.S. 2671) prevedeva la facoltà, per le regioni e le province, di privilegiare, nella definizione degli stanziamenti finanziari di propria competenza, le iniziative finalizzate all’insediamento, nei comuni di cui all’articolo 2, di centri per la prestazione dei servizi di cui al comma 2.

 


 

Articolo 5
(Valorizzazione dei prodotti agroalimentari tradizionali)

L’articolo 5 detta norme per la valorizzazione nei piccoli comuni dei prodotti agroalimentari tradizionali o tipici che presentino particolari legami con il territorio.

Le disposizioni prevedono:

-            che il dicastero agricolo favorisca le iniziative di promozione e valorizzazione dei prodotti tradizionali che utilizzino prodotti tipici dei comuni, come individuati dal comma 1 dell’art. 3 (comma 1);

-            che i piccoli comuni possano indicare nella cartellonistica ufficiale che il proprio territorio è luogo di produzione di un determinato prodotto tipico o locale (comma 2);

-            che i piccoli comuni, anche associati, possano stipulare contratti di collaborazione con gli imprenditori agricoli nelle forme previste dall’art. 14 del D.lgs. n. 228/01 (comma 3).

Infine si prevede (comma 4) che il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali adotti specifiche iniziative per incentivare con strumenti di carattere finanziario lo sviluppo dell’ e-commerce per le produzioni agroalimentari legate ai territori montani e alle aree parco dei territori montani.

 

L’articolo 10, commi 7 e 8, della legge n. 526/1999 (Legge comunitaria 1999) ha dettato una disciplina speciale per i prodotti che richiedono “metodi di lavorazione e locali, particolari e tradizionali, nonché recipienti di lavorazione e tecniche di conservazioni essenziali per le caratteristiche organolettiche del prodotto” non conformi alla disciplina comunitaria e nazionale sull’igiene degli alimenti. Per tali prodotti di nicchia, che per conservare le proprie caratteristiche organolettiche originali non possono sottostare integralmente al sistema di controllo HACCP adottato ai sensi delle norme comunitarie, il comma 7 pone un divieto generale sia di esportazione che di commercializzazione, disponendo nel contempo una deroga per i soli prodotti tradizionali individuati ai sensi dell’articolo 8 del decreto legislativo n. 173 del 1998 che ha previsto la pubblicazione di un elenco dei prodotti tradizionali le cui metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura risultino consolidate dal tempo. L’elenco è stato pubblicato con decreto ministeriale 8 settembre 1999, n.350, più volte aggiornato nel corso degli anni, che ha previsto la predisposizione da parte delle regioni e province autonome di Trento e Bolzano degli elenchi regionali o provinciali dei relativi prodotti agroalimentari tradizionali. Negli elenchi devono essere indicate le seguenti informazioni: nome del prodotto; caratteristiche del prodotto e metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura consolidate nel tempo in base agli usi locali, uniformi e costanti, anche raccolti presso le camere di commercio; materiali e attrezzature specifiche utilizzati per la preparazione, il condizionamento o l’imballaggio dei prodotti; descrizione dei locali di lavorazione, conservazione e stagionatura. E’ istituito, poi, presso il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali l’elenco nazionale dei prodotti agroalimentari nazionali. Qualora sia necessario accedere alle deroghe relative alla normativa nazionale ed europea sulla preparazione ed igiene dei prodotti, le regioni inviano al MIPAAF, per ciascun prodotto, gli elementi relativi alle procedure in grado di assicurare uno stato soddisfacente di igiene e disinfezione dei materiali e dei locali nei quali si svolge la preparazione; il Ministero trasmette al Ministero della salute e dello sviluppo economico la documentazione regionale per l’emissione del provvedimento di deroga.

I prodotti alimentari con “caratteristiche tradizionali” hanno trovato pieno riconoscimento anche nell’ambito delle disposizioni comunitarie con l’art. 7 del Reg. (CE) 5 dicembre 2005, n. 2074/2005, che definisce tali i prodotti che, nello Stato membro in cui sono tradizionalmente fabbricati, sono:

a)       storicamente riconosciuti come prodotti tradizionali; o

b)       fabbricati secondo riferimenti tecnici codificati o registrati al processo tradizionale o secondo metodi di produzione tradizionali; o

c)       protetti come prodotti alimentari tradizionali dalla legislazione comunitaria, nazionale, regionale o locale.

Per tali prodotti gli Stati membri possono concedere agli stabilimenti di produzione deroghe rispetto ai requisiti igienici relativi sia ai locali di stagionatura, sia agli strumenti ed attrezzature utilizzati.

Per gli altri prodotti che è possibile definire tipici, non compresi fra quelli tradizionali e non rispettosi della normativa di derivazione comunitaria in materia di igiene, il comma 8 prevede una seconda deroga, seppure più limitata, autorizzandone la sola vendita diretta nell’ambito del territorio provinciale di produzione, che “non costituisce commercializzazione”.

Rientra nella definizione di vendita diretta quella effettuata, anche per via telematica, dal produttore e da consorzio fra produttori (ovvero da organismi e associazioni di promozione degli alimenti tipici) al consumatore finale, dovendosi considerare tali, anche gli esercizi di somministrazione e di ristorazione.

In merito la legge n. 287/91 definisce attività di somministrazione al pubblico di alimenti e di bevande la vendita per il consumo sul posto, che comprende tutti i casi in cui gli acquirenti consumano i prodotti nei locali dell’esercizio, o in una superficie aperta al pubblico, allo scopo attrezzati.

Relativamente ai contratti di collaborazione menzionati dal comma 3 dell’articolo in commento, l’articolo 14 del D.lgs. n. 228/01 prevede che possano essere conclusi tra le pubbliche amministrazioni e gli imprenditori agricoli, anche su richiesta delle organizzazioni professionali agricole maggiormente rappresentative a livello nazionale, per la promozione delle vocazioni produttive del territorio e la tutela delle produzioni di qualità e delle tradizioni alimentari locali. I contratti di collaborazione sono destinati ad assicurare il sostegno e lo sviluppo dell'imprenditoria agricola locale, anche attraverso la valorizzazione delle peculiarità dei prodotti tipici, biologici e di qualità, anche tenendo conto dei distretti agroalimentari, rurali e ittici. Al fine di assicurare un'adeguata informazione ai consumatori e di consentire la conoscenza della provenienza della materia prima e della peculiarità delle produzioni, le pubbliche amministrazioni, nel rispetto degli Orientamenti comunitari in materia di aiuti di Stato all'agricoltura, possono inoltre concludere contratti di promozione con gli imprenditori agricoli che si impegnino nell'esercizio dell'attività di impresa ad assicurare la tutela delle risorse naturali, della biodiversità, del patrimonio culturale e del paesaggio agrario e forestale.

 


 

Articolo 6
(Programmi di e-government)

L’articolo 6 intende agevolare la realizzazione dei progetti informatici riguardanti i piccoli comuni, sia singolarmente, sia in forma associata. Infatti, si prevede che tali progetti abbiano la precedenza nell’assegnazione dei finanziamenti pubblici destinati ai programmi di e-government (comma 1).

Inoltre, si prevede una ulteriore priorità in quanto si dovranno privilegiare, tra i progetti dei piccoli comuni, quelli relativi ai collegamenti informatici dei centri multifunzionali ovvero altri interventi informatici collegati al funzionamento e allo sviluppo dei centri stessi e le iniziative che prevedono l’associazione nei Centri di servizio territoriali (CST), anche attraverso l'utilizzo di sistemi di telecomunicazione a banda larga e senza fili.

 

Per quanto riguarda i centri multifunzionali, si tratta delle strutture destinate all’esercizio di una pluralità di servizi essenziali delineate dall’art. 4, comma 2 (vedi supra).

La costituzione dei Centri di Servizio Territoriale (CST) è un’iniziativa avviata nel 2003 dal CNIPA - Centro Nazionale per l’Informatica nella Pubblica Amministrazione per portare l’e-government anche nei piccoli comuni, con l’obiettivo di migliorare la qualità dei servizi offerti a cittadini e imprese, grazie all’attuazione di economie di scala e di scopo connesse all’erogazione in forma associata di servizi tecnologicamente avanzati[4]. Attualmente il programma prosegue sotto il coordinamento dell’Agenzia per l’Italia digitale, in cui è stato trasformato DigitPA che aveva a sua volta sostituito il CNIPA, nell’ambito del Piano nazionale di e-government.

Il programma è sorretto da due linee di finanziamento: la prima, concernente l’intervento “Centri di Servizio Territoriali per l’e-government nei piccoli e medi comuni” e attuata nell’ambito del programma “Per il Sud e non solo”, prevede la realizzazione di CST costituiti da aggregazioni di Comuni (con meno di 5.000 abitanti) nelle otto Regioni del Mezzogiorno. E finanziata con fondi FAS (dai 26,5 milioni originariamente assegnati dal CIPE si è passati a 29,7 milioni di euro) e fondi POR, per un ammontare complessivo (al netto delle economie) di 41,3 milioni di euro.

La seconda, concernente la realizzazione di Centri di Servizio Territoriali denominati Alleanze Locali per l’Innovazione (ALI) su tutto il territorio nazionale, è finanziata con 15 milioni di euro previsti nella Legge finanziaria del 2003.

Nel giugno 2012 DigitPA ha predisposto un documento di sintesi in cui sono elencati tutti gli interventi programmati dalle 8 Regioni del Mezzogiorno, con l’indicazione del numero di CST già realizzati o in corso di realizzazione, del costo totale, del cofinanziamento ottenuto da DigitPA e dell'avanzamento lavori[5].

 

Il comma 2 dell’articolo in esame affida al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione il compito di individuare, tra i progetti destinati ai comuni inferiori ai 5.000 abitanti, quelli che hanno la precedenza sugli altri in quanto riguardanti i piccoli comuni[6].

La legge finanziaria per il 2003[7] ha istituito il Fondo per il finanziamento di progetti di innovazione tecnologica nelle pubbliche amministrazioni e nel Paese, con una dotazione iniziale di 100 milioni di euro e con l’obiettivo di favorire uno sviluppo coordinato e strategico delle nuove tecnologie. Nella realizzazione di tale obiettivo, un ruolo centrale è affidato al Ministro per l’innovazione e le tecnologie (le cui competenze oggi risultano attribuite al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione), cui viene affidata la gestione del fondo. Tra le funzioni attribuite al ministro, oltre alla definizione delle modalità di funzionamento del fondo e la scelta dei progetti da finanziare, vi è anche quella di individuare specifiche iniziative per i comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti e per le isole minori (art. 26, co. 2, lett. g).

Da rilevare, inoltre, in relazione all’articolo in esame, la previsione dell’espressione del parere della Conferenza unificata Stato-regioni-città e autonomie locali per l’adozione dei provvedimenti concernenti i progetti di innovazione tecnologica che riguardano l’organizzazione e la dotazione tecnologica delle regioni e degli enti territoriali.


 

Articolo 7
(Servizi postali e programmazione televisiva pubblica)

L’articolo 7 reca al comma 1 disposizioni volte a garantire l’erogazione dei servizi postali nei comuni di cui all’art. 2: in particolare viene previsto che il Ministero dello Sviluppo economico, compatibilmente con l'adeguatezza delle risorse destinate a legislazione vigente al finanziamento del servizio postale universale (svolto dal concessionario Poste italiane S.p.a), individui le modalità attraverso le quali, in coerenza con le previsioni del contratto di programma, il concessionario ne garantisce l'espletamento nei piccoli comuni.

Il comma 2 riconosce all’amministrazione comunale la facoltà di stipulare altresì apposite convenzioni, d’intesa con le organizzazioni di categoria e con Poste italiane Spa, affinché i pagamenti su conti correnti, in particolare quelli relativi alle imposte comunali, i pagamenti dei vaglia postali nonché le altre prestazioni, possano essere effettuati presso gli esercizi commerciali di comuni e frazioni non serviti dal servizio postale, nel rispetto della disciplina riguardante i servizi di pagamento e delle disposizioni adottate in materia dalla Banca d'Italia

 

Si ricorda che la società Poste italiane Spa è stata costituita come società per azioni il 28 febbraio 1998, a seguito della delibera CIPE del 18 dicembre 1997, e le azioni sono state attribuite al Ministero del tesoro, bilancio e programmazione (oggi Ministero dell’economia e finanze) che esercita i diritti dell'azionista, d'intesa con il Ministero delle comunicazioni. Anche dopo la trasformazione dell’Ente Poste italiane in Spa, il contratto di programma è lo strumento che regola i rapporti tra lo Stato e la società, con particolare riferimento agli obblighi di servizio universale.

Il processo di liberalizzazione dei servizi postali avviato con il decreto legislativo n. 261/1999, adottato in attuazione della direttiva 97/67/CE è stato ulteriormente implementato con il decreto legislativo n. 58/2011 che ha attuato la direttiva 2008/6/CE e che prevede un unico fornitore del servizio universale, con una distinzione tra fornitore del servizio e prestatori del medesimo servizio. Il primo fornisce il servizio integralmente su tutto il territorio nazionale; i secondi forniscono prestazioni singole e specifiche. La fornitura del servizio universale è stata affidata a Poste italiane Spa per un periodo di quindici anni a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 58/2011 (e quindi fino al 2026).

Il perimetro del servizio universale è stato ridefinito escludendone la pubblicità diretta per corrispondenza (dal 1° giugno 2012) e consentendo, in presenza di particolari condizioni da comunicare alla Commissione europea, la fornitura del servizio a giorni alterni. Il servizio universale comprende ora:

1) la raccolta, il trasporto, lo smistamento e la distribuzione degli invii postali fino a 2 kg e dei pacchi postali fino a 20 kg

2) i servizi relativi agli invii raccomandati ed agli invii assicurati.

 

E’ stata significativamente ridotta la parte del servizio universale riservata in via esclusiva al fornitore del servizio (Poste italiane): questa è ora limitata alle notificazioni e comunicazioni a mezzo posta degli atti giudiziari e alle notificazioni dei verbali delle violazioni del codice della strada (in precedenza la parte riservata comprendeva tutta la corrispondenza relativa a procedure amministrative e giudiziarie e tutta la corrispondenza interna e transfrontaliera superiore a 50 grammi).

L’Autorità indipendente di regolazione del settore è stata individuata nell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.

 

Il comma 3 consente ai comuni con popolazione residente pari o inferiore a 5.000 abitanti di affidare la gestione dei servizi di tesoreria e di cassa alla società Poste italiane Spa, ai sensi dell'articolo 40, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448.

Si ricorda che la disposizione del richiamato art. 40 autorizza la società Poste italiane Spa all'esercizio del servizio di tesoreria degli enti pubblici, secondo modalità stabilite con convenzione. La società Poste italiane Spa può altresì effettuare incassi e pagamenti per conto delle amministrazioni pubbliche eseguendo operazioni di versamento e di prelevamento di fondi presso la tesoreria statale, con modalità da stabilire convenzionalmente.

In materia di esercizio del servizio di tesoreria degli enti locali, disciplinato ai sensi dell'articolo 50 del decreto legislativo 25 febbraio 1995, n. 77, e successive modificazioni, l’art. 47, comma 2 della legge n. 488 del 1999 ha poi stabilito che resta applicabile la disposizione di cui all'articolo 40, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448.

 

Il comma 4 stabilisce che il Ministro delle comunicazioni provveda ad assicurare che nel contratto di servizio con la concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo sia previsto l’obbligo di prestare attenzione, nella programmazione televisiva nazionale e locale, alle realtà storiche, artistiche, sociali, economiche ed enogastronomiche dei comuni di cui all'articolo 2, garantendo nei medesimi comuni un'adeguata copertura del servizio.

 

Con decreto 27 aprile 2011, è stato approvato il “Contratto nazionale di servizio stipulato tra il Ministero dello sviluppo economico e la RAI - Radiotelevisione italiana S.p.a.” per il periodo 1° gennaio 2010 - 31 dicembre 2012.

In vista del nuovo contratto di servizio che dovrà essere stipulato per il triennio 2013-2015 l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM) con delibera n. 587/12 ha approvato le linee-guida sul contenuto degli ulteriori obblighi del servizio pubblico generale radiotelevisivo ai sensi dell'articolo 45, comma 4, del testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici, per il triennio 2013-2015.

Si ricorda che il decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177 e successive modifiche e integrazioni, recante il «Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici» prevede come finalità del servizio pubblico generale radiotelevisivo quelle di favorire l'istruzione, la crescita civile e il progresso sociale, promuovere la  lingua italiana e la cultura, salvaguardare l'identità nazionale e assicurare prestazioni di pubblica utilità.

 

Tra le attività che il servizio pubblico deve obbligatoriamente garantire vi è quella della diffusione di tutte le trasmissioni  televisive  e radiofoniche di pubblico servizio della società concessionaria con copertura integrale del territorio nazionale, per quanto consentito dallo stato della scienza e della tecnica. E’ inoltre previsto che a valorizzazione e il potenziamento dei centri di produzione decentrati, in particolare per le finalità di educazione, informazione, formazione e promozione culturale e per le esigenze di promozione delle culture e degli strumenti linguistici locali.

La citata delibera AGCOM ha quindi fissato una serie di obblighi del servizio pubblico generale radiotelevisivo. Tra questi con specifico riferimento alla realizzazione di contenuti audiovisivi (film, fiction e documentari), si cita la necessità di promuovere prodotti che rafforzino l'immagine e la ricchezza culturale e paesaggistica del nostro Paese anche al di fuori dei confini nazionali.


 

Articolo 8
(Sanità nelle aree rurali e montane)

L’articolo 8 dispone in tema di sanità nelle aree rurali e montane prevedendo la predisposizione di un Piano per i servizi sanitari destinato specificamente a tali aree e destinato essenzialmente all’introduzione di metodi e strumenti innovativi idonei a compensare la minor presenza dei presìdi ospedalieri in tali territori, in modo da garantire in ogni caso i livelli essenziali di assistenza e delle prestazioni nelle zone suddette.

Il Piano, predisposto dal Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro della salute e con quello dell’economia e delle finanze è approvato d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni. Il finanziamento di esso è definito nell’ambito dell’intesa con la medesima Conferenza relativa al riparto del Fondo sanitario nazionale iscritto nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze.

 

Va ricordato che attualmente i livelli essenziali di assistenza sono stabiliti dal DPCM 29 novembre 2001 - come modificato dal DPCM 5 marzo 2007 – che distingue tra prestazioni garantite, a carico del SSN (allegato 1), individuate nell'assistenza sanitaria collettiva in ambiente di vita e di lavoro, nell'assistenza distrettuale (medicina di base e di emergenza, assistenza farmaceutica, assistenza integrativa e specialistica ambulatoriale) e nell'assistenza ospedaliera e prestazioni a carico del cittadino (allegato 2), come gli interventi di chirurgia estetica, l'erogazione di medicine non convenzionali, delle vaccinazioni non obbligatorie ecc..

Va inoltre ricordato che l'articolo 5 del D.L. 158/2012 ha previsto l'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza (LEA) con prioritario riferimento alle malattie croniche ed, alle malattie rare. Viene prevista l'emanazione, entro il 31 dicembre 2012, di un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano. Con la medesima procedura si prevede l'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza con riferimento alle prestazioni di prevenzione, cura e riabilitazione rivolte alle persone affette da ludopatia. Lo schema di decreto è attualmente all'esame della Conferenza Stato-regioni.

 

Viene poi disposto che in sede di revisione del sistema dei trasferimenti erariali lo Stato tiene conto della necessità di adeguare il riparto del Fondo sanitario nazionale in favore delle aziende sanitarie locali situate nelle aree montane e rurali per assicurare in esse la continuità assistenziale. Pertanto in sede di Intesa in Conferenza Stato-regioni per il riparto del Fondo sanitario nazionale, vengono incrementate del 25% le quote del finanziamento delle ASL operanti nei comuni montani sulla base di criteri che tengono conto della dispersione territoriale della popolazione, della sua composizione per classi di età nonché della rete di servizi distrettuali ed ospedalieri presenti sul territorio.

La legge statale determina annualmente il fabbisogno sanitario, cioè il livello complessivo delle risorse del Servizio sanitario nazionale (SSN) al cui finanziamento concorre lo Stato. Tale fabbisogno nella sua componente cosiddetta indistinta (una quota del finanziamento e' vincolata al perseguimento di determinati obiettivi sanitari), è finanziato dalle seguenti fonti:

§       entrate proprie degli enti del SSN (ticket) in un importo definito e cristallizzato in seguito ad un'intesa fra lo Stato e le Regioni;

§       imposta regionale sulle attività produttive - IRAP (nella componente di gettito destinata al finanziamento della sanità), nonché addizionale regionale all'imposta sul reddito delle persone fisiche - IRPEF, entrambe le imposte quantificate nella misura dei gettiti determinati dall'applicazione delle rispettive aliquote base nazionali, vale a dire non tenendo conto dei maggiori gettiti derivanti dalle manovre fiscali regionali eventualmente attivati dalle singole Regioni;

§       compartecipazione delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano: tali enti compartecipano al finanziamento sanitario fino a concorrenza del fabbisogno non soddisfatto dalle fonti di cui ai precedenti punti a) e b), tranne la Regione siciliana, per la quale l'aliquota di compartecipazione è fissata dal 2009 nella misura del 49,11 per cento del suo fabbisogno sanitario (legge 296/2006 art. 1, comma 830);

§       bilancio dello Stato: esso finanzia il fabbisogno sanitario non coperto dalle precedenti fonti di finanziamento attraverso la compartecipazione all'imposta sul valore aggiunto - IVA (destinata alle Regioni a statuto ordinario) ed attraverso il Fondo sanitario nazionale (cap. 2700, tab. 2 del bilancio dello stato, Ministero economia e finanze, di cui una quota è destinata alla Regione siciliana, mentre il resto complessivamente finanzia anche altre spese sanitarie vincolate a determinati obiettivi).

Per ogni esercizio finanziario, in relazione al livello del finanziamento del SSN stabilito per l'anno di riferimento, al livello delle entrate proprie, ai gettiti fiscali attesi e, per la Regione siciliana, al livello della compartecipazione regionale al finanziamento, è determinato, a saldo, il finanziamento a carico del bilancio statale nelle due componenti della compartecipazione IVA e del Fondo sanitario nazionale.

La composizione del finanziamento del SSN nei termini suddetti è evidenziata nei cosiddetti "riparti" (assegnazione del fabbisogno alle singole Regioni ed individuazione delle fonti di finanziamento) proposti dal Ministero della Salute su i quali si raggiunge un'intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni e che sono poi recepiti con propria delibera dal Comitato interministeriale per la programmazione economica - CIPE.

Il livello del finanziamento sanitario, erogato alle Regioni in corso d'anno anche ricorrendo, ove necessario, ad anticipazioni di tesoreria, al fine di non condizionarlo all'andamento del ciclo economico e, in ultima analisi, all'andamento delle entrate fiscali, e' garantito da un meccanismo di salvaguardia (ai sensi dell'art. 39, comma. 1, del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, dell'art. 13 del decreto legislativo 18 febbraio 2000, n. 56, e dell'art. 1, comma 321, della legge 23 dicembre 2005, n. 266), grazie al quale il bilancio dello Stato, con apposito capitolo determinato annualmente nella tabella 'C' della legge di stabilità - Fondo di garanzia, (cap. 2701 tab. 2 del bilancio dello Stato, Ministero economia e finanze), provvede a compensare l'eventuale mancato gettito fiscale dell'IRAP (sanità) e dell'addizionale regionale all'IRPEF relativi agli esercizi precedenti, a seguito della loro definitiva quantificazione.

 

Il servizio prestato dal personale medico nelle strutture sanitarie delle zone montane viene fatto oggetto di particolare valutazione.

Viene previsto che il Ministro dell’istruzione dell’università e della ricerca stabilisca  assegni e borse di studio per i laureandi e laureati che si iscrivono alle scuole di specializzazione a condizione che questi si impegnino ad esercitare la professione per almeno cinque anni nelle strutture sanitarie delle zone montane e rurali pena la restituzione delle risorse pubbliche. Inoltre, il Ministro dell’istruzione dell’università e della ricerca, le regioni e le province autonome favoriscono con misure di tipo economico ed altre provvidenze i laureati che intendono specializzarsi presso strutture ed enti situati nelle zone montane e rurali.


 

Articolo 9
(Istituti scolastici)

L’articolo, al comma 1, prevede la possibilità per le regioni, ovvero per gli enti locali d’intesa con le regioni interessate, di stipulare convenzioni con gli uffici scolastici regionali del MIUR per continuare a finanziare l’attività degli istituti scolastici, da chiudere o accorpare ai sensi delle disposizioni vigenti in materia, aventi sede nei comuni con almeno una delle tipologie elencate all’art. 2, co. 1, lett. a) – lett. i (v. ante), in deroga a quanto disposto dal DPR n. 81 del 20 marzo del 2009.

In merito alla deroga prevista con riferimento al DPR 81/2009, si ricorda che già a seguito della Sent. n. 200 del 9 giugno 2009, la Corte costituzionale ha ritenuto non più applicabile quanto previsto dal decreto, confermando in materia le competenze sancite dal D.lgs n. 112/1998, articolo 138[8].

Si ricorda che il DPR 81 ha dettato norme per la riorganizzazione della rete scolastica e il razionale ed efficace utilizzo delle risorse umane della scuola, ai sensi dell'articolo 64, comma 4, del DL n. 112/2008 (L. 133/2008). In particolare, si è demandata ad un regolamento di delegificazione, la definizione di parametri e criteri per il dimensionamento e per l’individuazione dei punti di erogazione del servizio, che le regioni devono tenere presente nell’esercitare la loro competenza in materia di programmazione della rete scolastica[9].

 

Peraltro, la Corte Costituzionale è nuovamente intervenuta sul punto (Sent. 147/2012) censurando la legittimità costituzionale dell’art. 19, co. 4, del D.L. 98/2011, che aveva disposto, dall’anno scolastico 2011/2012, l’aggregazione in istituti scolastici comprensivi[10] delle scuole dell’infanzia, primaria e secondaria di primo grado con conseguente soppressione delle attuali corrispondenti istituzioni scolastiche autonome, determinando il numero minimo di 1000 alunni per il conseguimento dell’autonomia scolastica dei medesimi istituti comprensivi, numero ridotto a 500 alunni nei casi in cui le istituzioni scolastiche si trovino in piccole isole, in comuni montani ovvero in aree geografiche caratterizzate da specificità linguistiche. Riguardo l’illegittimità costituzionale della disposizione, la Corte argomenta che “in tal modo lo Stato stabilisce alcune soglie rigide le quali escludono in toto le Regioni da qualsiasi possibilità di decisione, imponendo un dato numerico preciso sul quale le Regioni non possono in alcun modo interloquire”.

 

Da ultimo, si deve ricordare l’articolo 12 del DL 104/2013[11] in materia di istruzione, tornando sulla questione del dimensionamento delle istituzioni scolastiche e sulla programmazione degli organici, ha limitato agli anni scolastici 2012/2013 (già concluso) e 2013/2014 (tuttora in corso), l’applicabilità delle disposizioni di cui al comma 5 e 5-bis  del richiamato art. 19 D.L. 98/2011 riguardanti, rispettivamente, l’assegnazione del dirigente in reggenza[12]– pertanto non a tempo indeterminato presso l’istituto interessato – e del direttore dei servizi generali e amministrativi (DSGA) - non in via esclusiva alle istituzioni scolastiche autonome con un numero di alunni inferiore a 600 unità, ridotto fino a 400 per quelle ricadenti nel territorio delle piccole isole, di comuni montani ovvero in aree geografiche caratterizzate da specificità linguistiche.

L’articolo 12 del DL 104 “Istruzione”, mediante novella al citato articolo 19, ha inoltre rinviato ad un accordo da raggiungere in sede di Conferenza unificata, su proposta del MIUR e del MEF, la definizione dei criteri per l’individuazione delle istituzioni scolastiche alle quali può essere assegnato un dirigente scolastico e un DSGA.

 

Si segnala inoltre che, in sede tecnica, il MIUR ha già concordato con i rappresentanti della Conferenza Unificata il testo di un'intesa[13] per la definizione del criterio di calcolo di un contingente di dirigenti scolastici da assegnare a ciascuna regione al quale corrisponde un numero uguale di istituzioni autonome[14].

Il contingente è definito dividendo per 900 il numero degli alunni iscritti alle scuole statali nell'organico di diritto del primo anno scolastico di riferimento del triennio, integrato dal parametro della densità degli abitanti per chilometro quadrato”.

Nell'ambito del contingente così determinato e che sarà assegnato con provvedimento del MIUR di concerto con il MEF, le Regioni definiscono autonomamente il numero degli alunni per ogni istituzione scolastica in base alle caratteristiche del territorio e delle realtà sociali ivi presenti.

 

Le predette convenzioni possono essere stipulate nell’ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente e nel rispetto dei vincoli derivanti dal patto di stabilità interno, per far fronte a condizioni di disagio, senza pregiudizio dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione.

 

Si ricorda che la disciplina del patto di stabilità interno – dettata dall'articolo 32 della legge 183/2011 (legge di stabilità 2012) e dall'articolo 1, commi 448-472, della legge 228/2012 (legge di stabilità 2013) – pone annualmente un limite al complesso delle spese finali di ogni singola regione, con alcune esclusioni elencate al comma 4 dell'articolo 32.

 

Il comma 2 prevede inoltre, in deroga a quanto disposto dall’articolo 17, commi 20 e 21, della legge n. 127/1997 in materia di assegnazione in proprietà, a titolo gratuito, di apparecchiature di natura informatica, che le amministrazioni pubbliche definite al D. Lgs. n. 165/2001, all’articolo 1, comma 2, possono cedere a titolo gratuito a istituzioni scolastiche che ricadono nel territorio dei comuni con almeno una delle tipologie elencate all’art. 2, co. 1, lett. a) – lett. i) (v. infra), personal computer o altre apparecchiature informatiche, quando sia trascorso almeno un anno dal loro acquisto.

Le cessioni sono effettuate prioritariamente in favore delle istituzioni scolastiche che ricadono in aree montane o svantaggiate.

 

La norma pertanto ha lo scopo di permettere, derogando alla procedura ordinaria di cui al citato art. 17, co. 20 e 21, l’assegnazione alle istituzioni scolastiche di apparecchiature di natura informatica di fatto non obsolete. Infatti, per tale tipo di attrezzature, la procedura ordinaria prevede, tra l’altro, la possibilità di assegnazione alle  istituzioni scolastiche che ne abbiano fatto richiesta solo qualora esse siano divenute inadeguate alla funzione a cui erano originariamente destinate.

 


 

Articolo 10
(Servizio idrico nei piccoli comuni)

L’articolo 10 reca disposizioni concernenti le agevolazioni finanziarie a favore dei piccoli comuni in materia di gestione del servizio idrico integrato.

In particolare, il comma 1 attribuisce alle autorità d’ambito territoriale, previste dall’articolo 148 del D.Lgs 152/2006 (recante norme in materia ambientale, cd. Codice dell’ambiente), e, successivamente alla loro soppressione, ai soggetti individuati ai sensi dell’art. 2, comma 186-bis , della L. 191/2009 (legge finanziaria 2010), la facoltà di prevedere agevolazioni, anche in forma tariffaria e di compensazione economica, in favore dei piccoli comuni (come definiti all’art. 2).

Le agevolazioni possono essere destinate ai piccoli comuni aventi disponibilità di risorse idriche reperibili o attivabili superiore ai fabbisogni per i diversi usi.

L’articolo 2, comma 186-bis della L. 191/2009, aggiunto dall'art. 1, comma 1-quinquies del D.L. 2/2010, ha previsto la soppressione delle Autorità d'ambito disponendo, nel contempo, l'attribuzione da parte delle regioni con proprie leggi delle funzioni ad esse spettanti ad altri soggetti nel rispetto dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza (il termine per la soppressione è stato differito in alcuni provvedimenti e, da ultimo, è stato prorogato al 31 dicembre 2012 dall'art. 13, comma 2, del D.L. 216/2011). Si rammenta che l’art. 148 del D.Lgs. 152/2006 disciplinava le autorità d’ambito territoriale, alle quali era demandata, nel rispetto del principio di coordinamento con le competenze delle altre amministrazioni pubbliche, l'organizzazione del servizio idrico integrato.

Il citato articolo 2, comma 186-bis della L. 191/2009 ha precisato che l’articolo 148 è  efficace in ciascuna regione fino alla data di entrata in vigore della legge regionale, che disciplina l’attribuzione ad altri soggetti delle funzioni delle autorità d’ambito. Il medesimo comma 186-bis disponeva comunque abrogazione dell’articolo 148 decorso un anno dalla data di entrata in vigore della legge 191/2009.

Per approfondire la disciplina dell'affidamento e la gestione del servizio idrico integrato, della vigilanza e della regolazione del settore idrico, nonché della determinazione della tariffa del servizio idrico integrato, si rinvia al tema Gestione e tutela delle acque della XVI legislatura. 

 

Il comma 2 modifica il citato articolo 2, comma 186-bis , della legge 191/2009 e prevede la facoltà di aderire alla gestione unica del servizio idrico integrato per i comuni con popolazione fino a 3.000 abitanti inclusi nel territorio delle comunità montane o delle unioni di comuni, a condizione che i medesimi comuni gestiscano l’intero servizio idrico integrato, previo consenso dell’amministrazione individuata dalle norme regionali.

 

Si segnala, in quanto avente finalità analoga a quella della norma in commento (cioè agevolare i piccoli comuni), l’art. 148, comma 5, del D.lgs. 152/2006 che, ferma restando l’obbligatorietà della partecipazione all’Autorità d’ambito di tutti gli enti locali, prevedeva il carattere facoltativo dell’adesione alla gestione unica del servizio idrico integrato per i comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti e inclusi nel territorio delle comunità montane, a condizione che gestissero l'intero servizio idrico integrato, e previo consenso della Autorità d'ambito competente. Sull’abrogazione dell’articolo 148 si è già detto in precedenza. Si rammenta peraltro che la proposta di legge della precedente legislatura, nel testo approvato in prima lettura, provvedeva a novellare a citare il citato articolo 148 innalzando il requisito dei 1.000 abitanti a 3.000.

 

Il comma 3 stabilisce che i proventi ricavati dall’utilizzazione del demanio idrico sono introitati dagli enti locali interessati, sulla base delle leggi regionali, e destinati al finanziamento di interventi per la tutela delle risorse idriche e dell’assetto idraulico e idrogeologico, sulla base delle linee programmatiche di bacino.

Si consideri in proposito che, in materia di gestione del demanio idrico, l’articolo 86, comma 1, del D.Lgs. 112/98 ha provveduto ad attribuire alle regioni e agli enti locali competenti per territorio la gestione dei beni del demanio idrico. Il comma 2 di tale articolo prevede, inoltre che i proventi dei canoni ricavati dalla utilizzazione del demanio idrico sono introitati dalla regione.

 

Il comma 4 prevede che nella programmazione dei finanziamenti dello Stato in materia di difesa del suolo, da definire d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, ai fini della perequazione tra le diverse regioni si tiene conto degli introiti dei proventi ricavati dall’utilizzazione del demanio idrico.

 

Si segnala che la disposizione ha contenuto analogo al comma 3 del citato articolo 86 del D.lgs. 112/98, che è stato abrogato dall’articolo 52, comma 4, della legge 388/2000 (legge finanziaria 2001). Tale disposizione, infatti, prevedeva che nella programmazione dei finanziamenti dello Stato in materia di difesa del suolo, da definirsi di intesa con la Conferenza Stato-regioni, si tenesse conto, ai fini della perequazione tra le diverse regioni, degli introiti dei proventi derivanti dall’utilizzazione del demanio idrico, nonché del gettito finanziario collegato alla riscossione diretta degli stessi da parte delle regioni attraverso la possibilità di accensioni di mutui.


 

Articolo 11
(Fondo per l’incentivazione della residenza nei piccoli comuni)

Il comma 1, dispone l’istituzione, nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze, di un Fondo per incentivare la residenza nei piccoli comuni, con una dotazione finanziaria di 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2013 e 2014.

Al predetto onere si provvede mediante corrispondente riduzione della dotazione del Fondo interventi strutturali di politica economica.

 

Il Fondo ISPE è stato istituito dall'articolo 10, comma 5, del D.L. n. 282 del 2004 al fine di agevolare il perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, anche mediante interventi volti alla riduzione della pressione fiscale. Il Fondo, iscritto nello stato di previsione del Ministero dell'economia e finanze (cap. 3075/MEF) viene utilizzato in modo flessibile ai fini del reperimento delle risorse occorrenti a copertura di interventi legislativi recanti oneri finanziari.

Per quanto concerne le risorse finanziarie, si ricorda che nella legge di bilancio 2013-2015 (legge n. 229/2012 e relativo D.M. Economia 31 dicembre 2012 di riparto in capitoli dei programmi di spesa) il Fondo presentava una dotazione pari a 16,9 milioni per il 2013, 14,4 milioni per il 2014 e 29,7 milioni per il 2015.

La dotazione del Fondo è stata via via ridotta, a copertura di una serie di disposizioni legislative intercorse e contabilizzate successivamente all'approvazione della legge di bilancio, nonché incrementata da una serie di recenti interventi, tra i quali l’articolo 27, comma 1 del D.L. n. 104 del 12 settembre 2013, in corso di esame alla Camera, che rifinanzia il Fondo di 3 milioni di euro per l’anno 2014, di 50 milioni per l’anno 2015 e di 15 milioni a decorrere dall’anno 2016.

Un ulteriore rifinanziamento è previsto all’articolo 15, comma 1, del D.L. n. 91 dell’8 agosto 2013, anch’esso in corso di conversione, il quale incrementa il Fondo di 1,8 milioni di euro per l'anno 2013, 11 milioni per l'anno 2014, 7,5 milioni per l'anno 2015, 4,5 milioni per l'anno 2016, 13 milioni per l'anno 2017 e 4,5 milioni a decorrere dal 2018.

Alla data del 23 settembre 2013, sulla base dell’interrogazione effettuata sul capitolo 3075/MEF, il Fondo in oggetto presenta disponibilità per circa 510 mila euro per il 2013.

 

Il comma 2 stabilisce che le risorse del Fondo - in osservanza a quanto disposto dalla disciplina dell’Unione europea sugli aiuti di stato d’importanza minore (cd.“de minimis”) di cui al Regolamento (CE) n. 1998/2006[15]  – siano destinate ai seguenti interventi da realizzare in favore dei comuni di cui all’articolo 2:

a) contributi ai soggetti passivi dei tributi riferiti all’acquisto di immobili destinati ad abitazione principale o ad attività economiche nei comuni di cui all’articolo 2;

b) contributi ai soggetti passivi dei tributi riferiti al possesso di immobili destinati ad attività economiche nei comuni di cui all’articolo 2;

Con riferimento alle lettere a) e b) del comma in esame, potrebbe risultare opportuno rendere più dettagliate la formulazione delle  disposizioni ivi previste. A tal fine potrebbero meglio specificarsi i tributi oggetto di siffatte agevolazioni sia in rapporto alla fiscalità sui trasferimenti immobiliari (IVA; imposte ipocatastali; imposta di bollo e registro e così via) sia in rapporto alla fiscalità patrimoniale (ad es. IMU, IRPEF sui redditi fondiari). Anche la locuzione “contributi” andrebbe ulteriormente precisata (ad es. prevedendo un credito d’imposta), al fine di specificare se si tratta di agevolazioni di natura fiscale o meno, eventualmente demandando le modalità applicative a fonti di rango secondario.

c) incentivi in favore dei residenti per il recupero del patrimonio abitativo non utilizzato o in stato di degrado dei comuni di cui all’articolo 2, compreso quello rurale con valenza storico-culturale, ovvero avviarvi un’attività economica;

d) misure agevolative in favore delle persone fisiche o giuridiche che acquistano a qualsiasi titolo immobili abbandonati, impegnandosi al loro recupero e al loro utilizzo per almeno un decennio;

e) promozione di attività educative per la prima infanzia;

f) agevolazioni in favore di manifestazioni e di eventi artistici, culturali e dello spettacolo promossi o patrocinati dai comuni di cui all’articolo 2, con particolare riguardo alle iniziative rivolte alle fasce deboli delle popolazioni locali.


 

Articolo 12
(Fondo per lo sviluppo strutturale, economico e sociale dei piccoli comuni)

Il comma 1 dell’articolo 12 dispone l’istituzione di un Fondo per la concessione di contributi statali ai piccoli comuni (come definiti dall’art. 2) destinati al finanziamento di interventi finalizzati a:

-          tutelare l’ambiente ed i beni culturali;

-          disporre la messa in sicurezza delle infrastrutture stradali e degli istituti scolastici;

-          promuovere lo sviluppo economico e sociale;

-          incentivare l’insediamento di nuove attività produttive;

-          realizzare gli investimenti nei citati comuni.

 

Il predetto fondo è istituito nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze con una dotazione di 40 milioni di euro per l’anno 2013.

 

Il comma 2 dispone che l’indicazione delle tipologie degli interventi finanziabili a valere sulle risorse del predetto fondo per la concessione di contributi statali destinati alle finalità sopra elencate sia effettuata con apposito D.P.C.M.

 

I commi 3 e 4, inoltre, dispongono che, con decreto interministeriale siano individuati gli interventi cui vengono destinati i predetti contributi statali. Hanno priorità i progetti presentati da unioni di comuni, delle quali facciano parte comuni di cui all’articolo 2, con una popolazione complessivamente superiore a 5.000 abitanti.

Sulle modalità di emanazione del citato decreto viene previsto che esso sia adottato dal Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con i Ministri dell'ambiente, delle infrastrutture e dei trasporti e per i beni e le attività culturali. Viene altresì previsto il parere della Conferenza unificata e delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari.

 

Il comma 5 dispone in ordine alla copertura finanziaria degli oneri indicati dal comma 1, pari a 40 milioni di euro per l’anno 2013. Ad essi si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo speciale di conto capitale, iscritto ai fini del bilancio triennale 2013-2015, nell’ambito del programma “Fondi di riserva e speciali”, nella Missione “Fondi da ripartire” dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze, allo scopo parzialmente utilizzando, quanto a 20 milioni di euro, l’accantonamento relativo al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, e, quanto a 20 milioni di euro, l’accantonamento relativo al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.

 

Il comma 6 dispone che al finanziamento del Fondo per la concessione di contributi statali ai piccoli comuni di cui al comma 1 - per gli anni successivi al 2013 - si provvede in Tabella E della legge di stabilità ai sensi dell’articolo all’articolo 11, comma 3, lettera e) della legge n. 196/2009.

Si rileva che il comma 1 istituisce il Fondo per la concessione di contributi statali ai piccoli comuni per il solo anno 2013. Il comma 6 in esame afferma invece che “per gli anni successivi al 2013” al finanziamento del medesimo Fondo si provvede attraverso la legge di stabilità. Sarebbe opportuno un coordinamento il comma 1 ed il comma 6.

Inoltre, si osserva che, qualora l’autorizzazione di spesa relativa al Fondo in oggetto avesse carattere permanente, il richiamo operato nel comma 6 all’articolo 11, comma 3), lettera e) della legge di contabilità pubblica (legge n. 196/2009), che disciplina appunto la Tabella E della legge di stabilità, non appare corretto, in quanto la predetta tabella E reca “gli importi delle quote destinate a gravare su ciascuno degli anni considerati dal bilancio pluriennale per le leggi che dispongono spese a carattere pluriennale in conto capitale”, e non già permanente. Sarebbe pertanto opportuno sostituire il richiamo all’articolo 11, comma 3 lettera e) della legge n. 196/2009, con il richiamo all’articolo 11, comma 3, lettera d), della medesima legge, relativa alla Tabella C della legge di stabilità, che reca gli importi per ciascuno degli anni considerati dal bilancio pluriennale delle leggi di spesa permanente, la cui quantificazione è rinviata alla legge di stabilità.

 

Il comma 7 autorizza il Ministro dell’economia e delle finanze ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.


 

Articolo 13
(Piano nazionale per i territori rurali)

Il comma 1 prevede la predisposizione concertata, da parte dei Ministri delle infrastrutture, delle politiche agricole e dell’ambiente, di un Piano nazionale per i territori rurali, dedicato alla riqualificazione di aree rurali con particolare riferimento a quelle degradate.

 

A tal fine, con apposito decreto, adottato con le medesime modalità di cui sopra (vale a dire con il concerto dei tre Ministeri citati), è istituita - senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica - la cabina di regia del Piano e ne sono stabilite le modalità di funzionamento.

Lo stesso comma disciplina la composizione della cabina di regia, elencando i seguenti 17 membri:

§         un rappresentante del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (MIT), con funzioni di presidente;

§         un rappresentante del  Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali;

§         un rappresentante del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;

§         un rappresentante del Ministero dell'economia e delle finanze (MEF);

§         un rappresentante del Ministero dello sviluppo economico;

§         un rappresentante del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;

§         un rappresentante del Ministero per i beni e le attività culturali;

§         un rappresentante del Ministero dell'interno;

§         un rappresentante del Dipartimento per lo sviluppo e la coesione territoriale della Presidenza del Consiglio dei ministri;

§         due rappresentanti della Conferenza delle regioni e delle province autonome;

§         due rappresentanti dell'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI);

§         un rappresentante dell'Unione nazionale comuni enti montani;

§         un rappresentante della Federazione nazionale parchi e aree protette;

§         un rappresentante dell'Agenzia del demanio;

§         un rappresentante della Cassa depositi e prestiti Spa.

A tali membri si aggiungono, nella veste di osservatori:

§         un rappresentante del Fondo investimenti per l'abitare di CDP Investimenti Sgr;

Si ricorda che la Cassa Depositi e Prestiti Investimenti Sgr (CDPI), che gestisce il Fondo Investimenti per l’Abitare (FIA) è il principale soggetto impegnato nello sviluppo del social housing italiano previsto dal c.d. Piano casa, avviato dall’art. 11 del D.L. 112/2008.

§         un rappresentante dei fondi di investimento istituiti dalla società di gestione del risparmio del MEF costituita ai sensi dell'art. 33 del D.L. 98/2011.

Il comma 1 dell’art. 33 del D.L. 98/2011 prevede la costituzione, con D.M. dell’economia e delle finanze, di una società di gestione del risparmio avente capitale sociale pari ad almeno un milione di euro per l'anno 2012, per l'istituzione di uno o più fondi d'investimento al fine di partecipare in fondi d'investimento immobiliari chiusi promossi o partecipati da regioni, province, comuni anche in forma consorziata o associata, ed altri enti pubblici ovvero da società interamente partecipate dai predetti enti, al fine di valorizzare o dismettere il proprio patrimonio immobiliare disponibile.

 

Si segnala che la cabina di regia prevista dalla disposizione in commento, pur con funzioni differenziate, ha una composizione pressoché identica alla cabina di regia prevista per il c.d. Piano città dall’art. 12, comma 1, del D.L. 83/2012.

Si osserva altresì che non viene indicata nessuna scadenza temporale per il completamento delle varie fasi del piano.

 

I commi da 2 a 4 disciplinano la procedura per la formazione del Piano.

 

Il comma 2 prevede la trasmissione alla cabina di regia, da parte dei piccoli comuni (per il tramite delle unioni dei comuni e delle unioni dei comuni montani di cui fanno parte) di proposte di contratti di valorizzazione rurale costituite da un insieme coordinato di interventi con riferimento alle aree rurali da recuperare e valorizzare.

Il comma 2 disciplina il contenuto delle proposte citate, che devono indicare:

a) la descrizione, le caratteristiche e l'ambito rurale oggetto di trasformazione, recupero e valorizzazione;

b) gli investimenti e i finanziamenti necessari, sia pubblici che privati, comprensivi dell'eventuale cofinanziamento del comune o dell'unione proponente;

c) i soggetti interessati;

d) le eventuali premialità;

e) il programma temporale degli interventi da attivare;

f) la fattibilità tecnico-amministrativa.

 

Il comma 3 prevede che la cabina di regia effettui la selezione delle proposte sulla base dei seguenti criteri:

a) immediata realizzabilità degli interventi;

b) capacità e modalità di coinvolgimento di soggetti e finanziamenti, pubblici e privati, e di attivazione di un effetto moltiplicatore del finanziamento pubblico nei confronti degli investimenti privati;

c) valorizzazione delle filiere della green economy locale;

d) miglioramento della dotazione infrastrutturale concepita su criteri di sostenibilità ambientale e mediante l'adozione di protocolli di qualità ambientale internazionali;

e) miglioramento del tessuto sociale e ambientale del territorio di riferimento.

Ai sensi del comma 4, la cabina di regia, sulla base degli apporti e delle risorse messi a disposizione dagli organismi che la compongono:

i)            definisce gli investimenti attivabili nell'ambito rurale selezionato;

ii)          propone al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti la destinazione delle risorse di cui al comma 5 alle finalità del contratto di valorizzazione rurale;

iii)        promuove, d'intesa con il piccolo comune interessato e con l'unione alla quale esso aderisce, la sottoscrizione del contratto di valorizzazione rurale che regolamenta gli impegni dei diversi soggetti pubblici e privati, prevedendo anche la revoca dei finanziamenti in caso di inerzia realizzativa.

 

Lo stesso comma 4 chiarisce che l'insieme dei contratti di valorizzazione rurale costituisce il Piano nazionale per i territori rurali.

 

Come per il comma 1, anche per i commi da 2 a 4 si evidenzia la presenza di disposizioni pressoché identiche a quelle previste per le procedure del Piano città dai commi 2, 3 e 4 dell’art. 12 del D.L. 83/2012.

 

Il comma 5 dispone che all’attuazione degli interventi previsti dal presente articolo – i quali non vengono però quantificati - si provvede a valere sulle risorse finanziarie derivanti dalla rimodulazione delle risorse messe a disposizione dall’Unione europea nel quadro del Programma di sviluppo rurale 2007-2013, nonché delle ulteriori risorse che si renderanno disponibili durante il periodo di programmazione 2014-2020. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

 

L’Unione europea ha da tempo impostato una politica comune di sviluppo rurale, finanziata in parte dal bilancio centrale dell'UE ed in parte dai bilanci nazionali o regionali degli Stati membri. Il quadro normativo relativo alla politica di sviluppo rurale dell'UE per il periodo 2007-2013 nonché le misure che possono essere prese dagli Stati membri e dalle regioni, sono stabiliti nel regolamento (CE) n. 1698/2005 del Consiglio. Gli Stati membri e le regioni sono chiamati a ripartire i loro finanziamenti a favore dello sviluppo rurale tra i tre assi tematici del regolamento.

Parte dei finanziamenti deve inoltre essere destinata a sostenere progetti basati sull'esperienza acquisita con le iniziative comunitarie Leader. Le strategie nazionali devono essere impostate in modo da essere coerenti con la politica per lo sviluppo rurale nell'intera UE. A tal fine i piani strategici nazionali devono essere basati sugli orientamenti strategici comunitari.

Le risorse del FEASR per l'Italia ammontano a 10,5 miliardi di euro a prezzi correnti (9,2 miliardi di euro a prezzi costanti) per il periodo di programmazione 2014-2020, a cui aggiungere il cofinanziamento nazionale che porterà le risorse pubbliche a 21,0 miliardi di euro a prezzi correnti (18,5 miliardi di euro a prezzi costanti);

La XIII Commissione Agricoltura della Camera ha approvato in data 25 settembre la risoluzione 8-00013 sulla politica di sviluppo rurale in relazione all’Accordo di partenariato sulla programmazione dei fondi europei per il periodo 2014-2020, nella quale vengono indicate al Governo le linee d’intervento verso le quali indirizzare le risorse allocate per la predisposizione dei piani di sviluppo rurale.

 

Si osserva che, a norma di quanto previsto nella proposta di legge, sarebbero legittimati a beneficiare dei predetti interventi solo quei comuni rientranti nelle caratteristiche elencate nell’articolo 2 insistenti su aree rurali che necessitano di una riqualificazione, con particolare riferimento a quelle degradate. Si segnala, inoltre, che andrebbe valutato l’eventuale coordinamento della pianificazione prevista dall’articolo in commento con gli interventi già previsti nell’ambito della regolazione europea e nazionale relativi alla politica di sviluppo rurale .


 

Articolo 14
(Realizzazione progetti pilota per interventi di afforestazione e riforestazione)

Il comma 1 dell'articolo 14 prevede la definizione di un programma annuale di progetti pilota per realizzare interventi di miglioramento della gestione forestale, di afforestazione e di riforestazione.

Quanto alle modalità di adozione del programma, lo stesso comma dispone che esso sia definito dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, previa intesa con la Conferenza unificata e di concerto con i Ministeri dell'economia e delle finanze e delle politiche agricole, alimentari e forestali.

 

Il comma 2 disciplina la natura degli interventi, i quali devono:

§         essere realizzati secondo criteri di ecosostenibilità;

§         prevedere la certificazione del carbonio assorbito, attraverso una metodologia a corredo del progetto stesso, volta a misurare la migliore performance secondo il rapporto investimento/assorbimento di carbonio.

 

Il comma 3 consente la partecipazione alla realizzazione degli interventi di cui al presente articolo agli enti locali, alle imprese (singole o associate) e ai consorzi forestali.

Il Protocollo di Kyoto, le attività LULUCF e il registro dei serbatoi di carbonio

Gli Stati che hanno aderito al Protocollo di Kyoto, assumendosi impegni di riduzione delle emissioni di gas climalteranti (c.d. gas serra), possono usare il settore agricolo e forestale come strumento per generare crediti derivanti da assorbimenti di carbonio inseriti nei bilanci nazionali dei gas ad effetto serra, in virtù delle previsioni dell’art. 3.3 e 3.4 del Protocollo. Tutte le attività comprese in questo ambito sono comprese nell'acronimo LULUCF (Land Use, Land Use Change and Forestry, vale a dire “uso dei suoli, cambio nell'uso dei suoli e foreste”).

Ai fini del riconoscimento del carbonio assorbito attraverso le attività nazionali di gestione forestale, di gestione dei suoli agricoli e pascoli e di rivegetazione, la delibera CIPE n. 123/2002 (di revisione delle linee guida per le politiche e misure nazionali di riduzione delle emissioni dei gas serra, adottata per l’attuazione della L. 120/2002 di ratifica del Protocollo), ai punti 7.3 e 7.4 ha previsto l'aggiornamento dell'Inventario forestale nazionale e degli altri serbatoi di carbonio, nonché l'istituzione del Registro nazionale dei serbatoi di carbonio agro-forestali.

Per tali attività il D.M. Ambiente 2 febbraio 2005 ha disposto l'assegnazione di 2,3 milioni di euro. Con lo stesso decreto sono stati stanziati 5,3 milioni di euro per la realizzazione di progetti pilota per interventi nazionali di afforestazione e riforestazione.

Con il successivo D.M. Ambiente 1° aprile 2008 è stato istituito il Registro nazionale dei serbatoi di carbonio agroforestali.

Tale decreto è stato recentemente integrato con il D.M. Ambiente 22 gennaio 2013 che, al fine di individuare una strategia e un protocollo attuativo per la certificazione dei flussi dei gas a effetto serra derivanti dalle attività del settore agricolo nell'ambito della realizzazione del Registro Nazionale dei serbatoi agro forestali di carbonio, sezione agricoltura, ed in base a quanto verrà stabilito degli accordi susseguenti il primo periodo di impegno del Protocollo di Kyoto, ha attribuito all'Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare (ISMEA), il ruolo di soggetto deputato al coordinamento tecnico del Registro nazionale dei serbatoi di carbonio per la parte agricola.

 

Con riferimento alle metodologie di contabilizzazione degli assorbimenti di carbonio, si segnala la recente Decisione n. 529/2013/UE del 21 maggio 2013 del Parlamento europeo e del Consiglio sulle norme di contabilizzazione relative alle emissioni e agli assorbimenti di gas a effetto serra risultanti da attività di uso del suolo, cambiamento di uso del suolo e silvicoltura e sulle informazioni relative alle azioni connesse a tali attività, pubblicata nella G.U.U.E. 18 giugno 2013, n. L 165.

Tale decisione rappresenta un primo passo verso l’inserimento nella politica climatica dell’UE delle azioni LULUCF.

L’art. 10 di tale decisione, infatti, prevede la redazione, da parte degli Stati membri, e la trasmissione alla Commissione UE, delle informazioni sulle loro azioni LULUCF attuali e future volte a limitare o ridurre le emissioni e a mantenere o aumentare gli assorbimenti risultanti dalle attività di LULUCF.

 


 

Articolo 15
(Delega al Governo per l’introduzione di sistemi di remunerazione dei servizi ecosistemici e ambientali)

L’articolo 15 delega il Governo ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in  vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi per l’introduzione di sistemi di pagamento dei servizi ecosistemici e ambientali (PSEA) (comma 1). 

Il comma 2 prevede per l’adozione dei decreti legislativi di cui al comma  1 il rispetto dei seguenti  principi e criteri direttivi: 

a) prevedere che il PSEA sia definito quale remunerazione di una quota di  valore aggiunto derivante, secondo meccanismi di carattere negoziale, dalla trasformazione dei servizi ecosistemici e ambientali in prodotti di mercato, nella logica  della transazione diretta tra consumatore  e produttore; 

b)  prevedere che il sistema di PSEA  sia attivato, in particolare, in presenza di  un intervento pubblico di assegnazione di  diritti di proprietà o di sfruttamento di un  bene comune; 

c)  prevedere che nella definizione del  sistema di PSEA siano specificamente individuati i servizi oggetto di remunerazione, il loro valore, nonché i relativi  obblighi contrattuali e le modalità di pagamento; 

d)  prevedere che siano in ogni caso  remunerati i seguenti servizi: fissazione del  carbonio delle foreste di proprietà demaniale e collettiva, regimazione delle acque nei bacini montani, salvaguardia della biodiversità e delle qualità paesaggistiche; 

e)  prevedere che beneficiari finali del  sistema di PSEA siano i comuni, le loro  unioni o consorzi e le organizzazioni di  gestione collettiva dei beni comuni, comunque denominate. 

 

Secondo quanto riportato nel Millennium Ecosystem Assessment nel 2005 i servizi ecosistemici possono essere definiti come i benefici multipli forniti dagli ecosistemi al genere umano.

Il 3 maggio 2011, la Commissione Europea ha presentato la comunicazione “La nostra assicurazione sulla vita, il nostro capitale naturale: strategia dell'UE sulla biodiversità fino al 2020” (COM(2011)244), intesa ad aggiornare gli obiettivi UE per porre fine, entro il 2020, alla perdita di biodiversità e al degrado dei servizi ecosistemici.

In Italia, con il DM del Ministero dell'ambiente del 6 giugno 2011, è stato istituito il Comitato paritetico e l'Osservatorio nazionale per la biodiversità, nonché il Tavolo di consultazione, come previsto dall'intesa espressa il 7 ottobre 2010 dalla Conferenza Stato - Regioni per l'approvazione della Strategia nazionale per la biodiversità.

Nel documento sulla Strategia nazionale per la biodiversità 2010 è previsto tra le varie fonti di finanziamento della Strategia lo sviluppo di  “pagamenti per i servizi  ecosistemici  (payment for Ecosystem Services - PES),  attraverso appositi provvedimenti normativi ed attuativi, che prevedano una riforma degli attuali strumenti finanziari ed eventualmente la  creazione di nuovi,  in modo da contabilizzare attraverso un sistema  tariffario i  principali servizi ecosistemici prodotti dalla biodiversità,  dando luogo a specifici investimenti volti a mantenerne l’efficienza e la  riproducibilità delle risorse stesse” (pag. 12). 

In particolare, “n Italia, così come in larga parte dei paesi dell’Unione Europea, i servizi  ecosistemici sono stati nel passato tutelati prevalentemente attraverso l’utilizzo di  strumenti di regolamentazione.  In tempi recenti a livello internazionale è stata introdotta l’utilizzazione di meccanismi  di mercato basati su incentivi economici, i cosiddetti pagamenti per i servizi ecosistemici (Payment for Ecosystem Services  -  PES).  Il meccanismo dei PES si basa sulla creazione di convenienze economiche per gli operatori che potenzialmente possono offrire, mantenere o valorizzare specifici servizi ecosistemici, in modo da spingerli verso l’adesione volontaria a meccanismi di  incentivazione proposti dalle istituzioni competenti, facilitando così un riallineamento  dell’interesse pubblico con quello privato. In pratica si tratta da un lato di trasformare  il servizio ecosistemico in un vero e proprio prodotto di mercato, dall’  altro di riconoscere  il diritto del produttore del servizio stesso di richiedere un corrispettivo economico al  consumatore del bene.  Per instaurare proficuamente un meccanismo di PES si rendono necessari  innanzitutto: 

-             l’identificazione degli ecosistemi nazionali sui quali focalizzare l’attenzione per  le successive analisi, in particolare quelli per i quali esiste una maggiore qualità  ambientale; 

-             l’approfondimento del comportamento di tali ecosistemi e delle loro dinamiche; 

-             l’identificazione dei soggetti che ricoprono un ruolo fondamentale nella gestione di tali ecosistemi, o che molto verosimilmente lo ricopriranno, e i potenziali beneficiari; 

-             lo sviluppo di tecniche adeguate e standardizzate per una quantificazione e  valutazione dei servizi offerti da ciascun ecosistema;

-             l’identificazione del veicolo e del livello ottimale di pagamento. 

Parallelamente allo sviluppo di questa base conoscitiva dovrà essere sviluppata  una fase istituzionale identificando gli strumenti, le istituzioni, i produttori e i  consumatori che faranno parte di questo mercato di PES” (pagg. 157-158).


 

Articolo 16
(Fondo nazionale per gli interventi nelle aree montane)

L’articolo 16 istituisce il “Fondo nazionale per gli interventi nelle aree montane”, nel quale confluiscono le risorse del “Fondo nazionale della montagna”, istituito dalla legge 31 gennaio 1994, n. 97, la cui disciplina viene sostanzialmente riproposta dalla norma in esame.

Il Fondo, iscritto  nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, è alimentato da trasferimenti dell'Unione europea, dello Stato e di enti pubblici di rilevanza nazionale. Le somme provenienti dagli enti pubblici sono versate all'entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate al suddetto capitolo.

 

L’articolo 2 della legge n. 97 del 1994, recante “Nuove disposizioni per le zone montane”, ha istituito presso il Ministero del bilancio e della programmazione economica (ora Ministero dell’economia e delle finanze) il Fondo nazionale per la montagna. Il Fondo è alimentato da trasferimenti comunitari, dello Stato e di enti pubblici, ed è iscritto in un apposito capitolo dello stato di previsione del Ministero del bilancio e della programmazione economica. Le somme provenienti dagli enti pubblici sono versate all'entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate al suddetto capitolo.

 

Nel bilancio dello Stato, le risorse del Fondo sono allocate sul capitolo 2115 dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze, per essere prima trasferite sul cap. 800 dell’entrata del bilancio della Presidenza del Consiglio dei ministri e quindi al cap. 445 della spesa per la gestione degli interventi da parte del Dipartimento per gli affari regionali.

La montagna rientra tra le materie di competenza del Ministro per gli affari regionali e le autonomie, come peraltro, confermato, da ultimo, dal D.P.C.M. 27 maggio 2013, con cui il Presidente del Consiglio Letta ha conferito la delega al Ministro Delrio (art. 2, co. 1, lett.p).

 

Il comma 3 specifica che le risorse erogate dal Fondo hanno carattere aggiuntivo rispetto ad ogni altro trasferimento ordinario o speciale dello Stato in favore degli enti locali e sono ripartite tra le regioni che provvedono a riassegnarle ai fondi per lo sviluppo della montagna istituiti nei rispettivi bilanci.

Le risorse del Fondo sono prioritariamente attribuite quali quote destinate al cofinanziamento nazionale e locale dei programmi dell'Unione europea volti allo sviluppo delle aree montane.

La legge n. 97 stabilisce che le risorse erogate dal Fondo hanno carattere aggiuntivo rispetto ad ogni altro trasferimento ordinario o speciale dello Stato a favore degli enti locali. Le risorse sono ripartite fra le regioni e le province autonome che provvedono ad istituire propri fondi regionali per la montagna, alimentati anche con stanziamenti a carico dei rispettivi bilanci, con i quali sostenere gli interventi speciali indicati dalla legge stessa.

 

Si segnala che la legge di stabilità 2013 (legge n. 228/2012), all’articolo 1, commi da 319 a 322, ha istituito, a decorrere dal 2013, un Fondo nazionale integrativo per i comuni montani, che siano classificati interamente montani ai sensi dell’elenco dei comuni italiani predisposto dall’ISTAT, con una dotazione pari a 1 milione di euro per il 2013 e a 6 milioni annui a decorrere dall’anno 2014 da destinare al finanziamento dei progetti di cui al successivo comma 320.

Le risorse, inizialmente allocate sul capitolo 1370 dello stato di previsione del Ministero dell’interno, con il d.d.l di assestamento sono state trasferite nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze (cap. 2126).

Il comma 320 dispone che all'individuazione dei progetti si provvede, entro il 30 marzo di ciascun anno, con decreto del Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e il Ministro dell'interno, previa intesa in sede di Conferenza unificata. Lo schema del decreto è altresì trasmesso alle Camere per l'acquisizione dei pareri delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari.

Il successivo comma 321 indica le tipologie di progetti che potranno essere finanziati, che, tuttavia, dovranno avere carattere straordinario e che non possono riferirsi alle attività svolte in via ordinaria dagli enti interessati. Tra le numerose tipologie finanziabili sono indicate gli incentivi per l’utilizzo dei territori incolti di montagna e per l’accesso dei giovani alle attività agricole, nonché per l’agricoltura di montagna; lo sviluppo del sistema agrituristico, del turismo montano e degli sport di montagna; gli incentivi per le attività e i progetti del Club alpino italiano (CAI), del Corpo nazionale del soccorso alpino e speleologico (CNSAS), del Collegio nazionale delle guide alpine e del Collegio nazionale dei maestri di sci.

 

Il comma 4 prevede che il Fondo sia altresì alimentato da:

§         una quota pari allo 0,1% del canone annuo versato da parte degli enti concessionari di autostrade, ai sensi del comma 3 dell'art. 10 della L. 537/1993;

§         una quota pari allo 0,9% del canone annuo versato da parte dei soggetti concessionari di derivazioni idroelettriche ai sensi del testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e impianti elettrici (R.D. 1775/1933).

 

Ai sensi dell’art. 10, comma 3, della L. 537/1993, dal 1° gennaio 1997 gli enti concessionari di autostrade sono tenuti a corrispondere allo Stato un canone annuo nella misura dell’1% dei proventi netti da pedaggio di competenza dei concessionari medesimi. La citata percentuale è stata elevata, a decorrere dal 1° gennaio 2007, al 2,4% dei suddetti proventi, dall’art. 1, comma 1020, della legge finanziaria 2007 (L. 296/2006). Si ricorda altresì che il canone è stato integrato dagli importi, calcolati sulla percorrenza chilometrica di ciascun veicolo che ha fruito dell’infrastruttura autostradale, indicati dal comma 9-bis dell’art. 19 del D.L. 78/2009 e dal comma 4 dell'art. 15 del D.L. 78/2010.

Per quanto riguarda il canone annuo versato da parte degli soggetti concessionari di derivazioni idroelettriche, si ricorda che esso è stato istituito dall’art. 35 del R.D. 1775/1933, che sottopone le utenze di acqua pubblica al pagamento di un canone annuo differenziato a seconda dell’uso (agricolo, potabile, industriale, idroelettrico, etc.). Nel caso dell’uso idroelettrico, l’ammontare del canone è calcolato in base ai chilowatt (kW) di potenza. A seguito del decentramento delle competenze amministrative in materia di gestione del demanio idrico attuato con la c.d. legge Bassanini (D.Lgs. 112/98), la determinazione dell’ammontare del canone spetta alle Regioni e alcune Regioni hanno ulteriormente delegato questa competenza alle Province. Sul sito dell’APER sono disponibili i valori dei canoni fissati per il 2012.

 

Ai sensi del comma 5 il CIPE, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per la coesione territoriale e previa intesa in sede di Conferenza unificata, provvede a ripartire entro il 31 marzo di ciascun anno le risorse del Fondo tra le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sulla base di politiche di sviluppo e di investimento da realizzare nei comuni montani da parte delle loro unioni ai sensi dell'articolo 32 del D.Lgs. decreto legislativo n. 267 del 2000.

 

La legge n. 97 prevede che i criteri di ripartizione del Fondo tra le regioni e le province autonome sono stabiliti con deliberazione del Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE), sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, su proposta del Ministro per gli affari regionali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e il Ministro delle politiche agricole e forestali. I criteri di ripartizione tengono conto dell'esigenza della salvaguardia dell'ambiente con il conseguente sviluppo delle attività agro-silvo-pastorali eco-compatibili, dell'estensione del territorio montano, della popolazione residente, anche con riferimento alle classi di età, alla occupazione ed all'indice di spopolamento, del reddito medio pro capite, del livello dei servizi e dell'entità dei trasferimenti ordinari e speciali

Da ultimo con delibera 18 febbraio 2013, n. 10, il CIPE ha approvato i criteri di riparto e ripartito tra le regioni e le province autonome le risorse del Fondo nazionale per la montagna per l'anno 2010 (41,8 milioni, rispetto agli originari 50 milioni, da ultimo, assegnati dall’articolo 2, comma 40, della legge n. 244 del 2007, a ciascuna delle annualità 2008-2010).

 

Riparto Fondo nazionale per la montagna – anno 2010

 

Quota di riparto

Importo assegnato- euro

Piemonte

7,749

3.240.734,63

Valle d'Aosta

1,403

586.753,22

Lombardia

7,530

3.149.145,92

Bolzano *

4,835

2.022.061,16

Trento *

3,613

1.511.004,54

Veneto

3,219

1.346.228,52

Friuli Venezia Giulia

2,000

836.426,54

Liguria

2,330

974.436,92

Emilia-Romagna

5,107

2.135.815,17

Toscana

5,609

2.345.758,22

Umbria

3,164

1.323.226,79

Marche

2,865

1.198.181,02

Lazio

5,390

2.254.169,53

Abruzzo

5,070

2.120.341,28

Molise

2,261

945.580,20

Campania

7,080

2.960.949,95

Puglia

3,312

1.385.122,35

Basilicata

4,560

1.907.052,51

Calabria

7,492

3.133.253,82

Sicilia

6,039

2.525.589,94

Sardegna

9.372

3.919.494,77

ITALIA

100,000

41.821.327,00

* Le somme di pertinenza delle Province autonome di Trento e Bolzano sono rese indisponibili ai sensi di quanto previsto dall’ articolo 2, comma 109, della legge n. 191 del 2009.

 

 

L’articolo 2, comma 4, della legge n. 97 del 1994 stabilisce che le regioni e le province autonome disciplinano con propria legge i criteri relativi all'impiego delle risorse, che, come indicato dall’articolo 1, sono destinate ad azioni organiche e coordinate dirette allo sviluppo globale della montagna mediante la tutela e la valorizzazione delle qualità ambientali e delle potenzialità endogene proprie dell'habitat montano, riguardanti i profili:

a) territoriale, mediante formule di tutela e di promozione delle risorse ambientali che tengano conto sia del loro valore naturalistico che delle insopprimibili esigenze di vita civile delle popolazioni residenti, con particolare riferimento allo sviluppo del sistema dei trasporti e della viabilità locale;

b) economico, per lo sviluppo delle attività economiche presenti sui territori montani da considerare aree depresse;

c) sociale, anche mediante la garanzia di adeguati servizi per la collettività;

d) culturale e delle tradizioni locali.

 

Rispetto al testo vigente della legge n. 97, l’articolo in esame destina le risorse del Fondo ad interventi relativi alle politiche di sviluppo e di investimento da realizzare nei comuni montani, non da parte dei singoli enti, ma dalle unioni di comuni. In sostanza la disposizione ha lo scopo di evitare la parcellizzazione dell’utilizzo delle risorse assegnandole ai singoli enti locali, favorendo la sviluppo di interventi di più ampio rilievo territoriale.


 

Articolo 17
(Delega al Governo in materia di armonizzazione normativa)

L’articolo 17 delega il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi al fine di riordinare del sistema di governo delle aree montane e rurali. La delega deve essere esercitata entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge.

 

In relazione all’oggetto della delega, occorre in primo luogo ricordare che al sistema di governo delle aree montane è riconducibile l’ordinamento delle comunità montane. Si tratta di unioni di comuni, enti locali costituiti fra comuni montani e parzialmente montani, anche appartenenti a province diverse (D.Lgs. 267/2000, art. 27 e 28), “create in vista della valorizzazione delle zone montane, allo scopo di esercitare, in modo più adeguato di quanto non consentirebbe la frammentazione dei Comuni montani, ‘funzioni proprie’, ‘funzioni conferite’ e funzioni comunali”[16]. Si tratta, dunque, di un caso speciale di unioni di Comuni, di enti dotati di un certo grado di autonomia, non solo dalle Regioni ma anche dai Comuni, come dimostra, tra l’altro, l’espressa attribuzione agli stessi della potestà statutaria e regolamentare[17]. Spetta alle regioni l’individuazione degli ambiti territoriali per la costituzione delle comunità montane e la istituzione delle stesse comunità, che avviene con provvedimento del presidente della giunta regionale. Alla legge regionale è demandata la disciplina delle comunità montane che comprende tra l’altro, le modalità di approvazione dello statuto, i criteri di ripartizione dei finanziamenti, la regolazione dei rapporti con gli altri enti locali.

Con la legge finanziaria per il 2008 (art. 2, co. 16-22, legge 244/2007[18]) è stato affidato alle regioni il compito di provvedere con legge al riordino delle comunità montane sulla base di parametri specificamente indicati. L’obiettivo del riordino è stato di

riduzione della spesa corrente per il finanziamento delle comunità montane: risparmio da conseguire attraverso la riduzione del numero complessivo delle comunità e la riduzione del numero dei componenti e delle indennità loro spettanti. La disciplina legislativa prevedeva altresì una disposizione sostitutiva che si applicava in caso di inerzia delle regioni che è stata però dichiarata costituzionalmente illegittima dalla Corte costituzionale con sentenza n. 237 del 2009, in quanto lesiva delle competenze regionali in materia (su cui v. infra).

Ulteriori interventi di riduzione trasferimenti erariali a favore delle comunità montane sono stati apportati con il D.L. 112/2008 (art. 76, co. 6-bis) ed, infine, ad opera della legge finanziaria per il 2010 (L. 191/2009, art. 2, co. 187, come mod. da D.L. 2/2010, art. 1, co. 1-sexies), che ha disposto la cessazione del concorso ordinario dello Stato al finanziamento delle comunità montane, previsto dall’articolo 34 del D.L. n. 504/1992 e, contestualmente, il trasferimento ai comuni facenti parte delle comunità montane, nelle more dell'attuazione del federalismo fiscale, del 30 per cento delle risorse finanziarie oggetto dell’intervento di soppressione.

Pertanto, nel quadro delle misure adottate per il contenimento delle spese per la rappresentanza negli enti locali in questi anni, le comunità montane sono state oggetto di un articolato intervento di riforma che ha interessato sia la riduzione del numero delle comunità, dei loro componenti e delle indennità da questi percepite, sia, conseguentemente, la dotazione finanziaria di tali enti. In tale occasione, è stata nuovamente dibattuta la questione pregiudiziale del soggetto competente a disciplinare le forme di associazionismo e di cooperazione tra enti locali.

La giurisprudenza costituzionale ha avuto così modo di chiarire a più riprese che la disciplina dell’organizzazione delle Comunità montane rientra nella competenza legislativa regionale di natura residuale (sentenze 244/2005, 456/2005 e 397/2006) di cui all’articolo 117, comma 4 della Costituzione in quanto relativa all’assetto ordinamentale degli enti locali diversi da quelli costituzionalmente necessari.

Ciò non esclude ogni intervento in materia della legislazione statale poichè la Corte ha altresì evidenziato, in alcune più recenti pronunce (sentenza 237/2009 e sentenza 236/2010), la legittimità della legislazione statale in materia di comunità montane che sia riconducibile alla finalità di contenimento della spesa pubblica corrente nel settore degli enti locali, in quanto ascrivibile alla materia concorrente “coordinamento della finanza pubblica”. A tale materia, la Corte ha così ricondotto, nel complesso, sia le disposizioni di legge statali contenute nella legge finanziaria per il 2008 (sentenza 237/2009) e nella legge finanziaria 2010 (sentenza 236/2010), sottolineando in ogni caso la necessità di riconoscere alle Regioni un adeguato margine di apprezzamento discrezionale in ordine all’attuazione delle finalità e degli obiettivi stabiliti dal legislatore statale.

Da ultimo, l’ordinamento delle comunità montane è stato interessato dalle disposizioni sull’obbligo di esercizio associato delle funzioni di cui all’art. 14, co. 28, ss, del citato D.L. 78/2010, come successivamente modificato. Di fatto, tale disciplina, prescrivendo ai comuni appartenenti o già appartenuti a Comunità montane l’obbligo di svolgere in forma associata le funzioni fondamentali tramite unione o convenzione, ha fortemente condizionato il margine di operatività delle stesse comunità.

 

Nel definire i principi e criteri direttivi della delega, il comma 2 prevede che:

a) sia mantenuto l'obbligo della gestione in forma associata delle funzioni fondamentali dei piccoli comuni, prevista dall'articolo 14, co. 28, del D.L. 78/2010, (conv. da legge n. 122/2010), come da ultimo modificato dall'articolo 19 del D.L. 95/2012, (conv. da legge 135/2012);

 

Per la sintetica ricostruzione dell’obbligo citato, si rinvia, supra, alla scheda di lettura dell’articolo 1, nella parte relativa al comma 1, lett. i). In questa sede, si precisa ulteriormente che l’articolo 14, co. 27, individua le funzioni fondamentali dei comuni in conformità all’art. 117, comma secondo, lett. p), Cost., che attribuisce in via esclusiva allo Stato la competenza normativa in materia. A tale individuazione è apposta una specifica clausola di salvezza delle funzioni di programmazione e di coordinamento delle regioni per le materie di legislazione concorrente e residuale e delle funzioni esercitate ai sensi dell'articolo 118 della Costituzione. Le funzioni fondamentali dei comuni riguardano:

a) organizzazione generale dell'amministrazione, gestione finanziaria e contabile e controllo;

b) organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale di ambito comunale, ivi compresi i servizi di trasporto pubblico comunale;

c) catasto, ad eccezione delle funzioni mantenute allo Stato dalla normativa vigente;

d) la pianificazione urbanistica ed edilizia di ambito comunale nonché la partecipazione alla pianificazione territoriale di livello sovracomunale;

e) attività, in ambito comunale, di pianificazione di protezione civile e di coordinamento dei primi soccorsi;

f) l'organizzazione e la gestione dei servizi di raccolta, avvio e smaltimento e recupero dei rifiuti urbani e la riscossione dei relativi tributi;

g) progettazione e gestione del sistema locale dei servizi sociali ed erogazione delle relative prestazioni ai cittadini, secondo quanto previsto dall'articolo 118, quarto comma, della Costituzione;

h) edilizia scolastica, organizzazione e gestione dei servizi scolastici;

i) polizia municipale e polizia amministrativa locale;

l) tenuta dei registri di stato civile e di popolazione e compiti in materia di servizi anagrafici nonché in materia di servizi elettorali e statistici, nell'esercizio delle funzioni di competenza statale.

Per l’esercizio delle funzioni riconducibili a materie di competenza regionale, viene affidato alle regioni il potere di individuare con propria legge, previa concertazione con i comuni interessati nell’ambito del Consiglio delle autonomie locali, la dimensione territoriale ottimale e omogenea per area geografica per lo svolgimento delle predette funzioni.

 

b) siano attribuite di diritto alle citate unioni dei comuni montani tutte le funzioni di sviluppo, tutela, valorizzazione e promozione delle aree montane, in applicazione dell'articolo 44, secondo comma, della Costituzione, conferite alle comunità montane e ai consorzi di bacini imbriferi montani;

 

Si ricorda, in merito, che la legge finanziaria per il 2010 (L. 191/2009, art. 2 co. 186, lett. e), come successivamente modificato) ha previsto la soppressione dei consorzi di funzioni tra gli enti locali, fatta eccezione dei bacini imbriferi montani (BIM) e dei consorzi costituiti per la gestione degli Enti Parco ed istituiti con legge regionale.

 

c) i comuni facenti parti di unioni dei comuni e unioni di comuni montani debbano esercitare obbligatoriamente in forma associata attraverso tali enti le funzioni relative alla programmazione delle politiche di sviluppo socio-economico, sulla scorta di una adeguata pianificazione, nonché quelle relative all'impiego delle connesse risorse finanziarie, con particolare riguardo ai fondi strutturali dell'Unione europea;

 

d) non sia consentito il ricorso allo strumento della convenzione, né la creazione di nuovi soggetti, agenzie o strutture comunque denominati per l'esercizio delle funzioni di cui alle lettere b) e c) in alternativa alle unioni dei comuni e alle unioni dei comuni montani, fatte salve le previsioni di adempimento alla disciplina dell'Unione europea in materia di sviluppo delle aree montane e rurali.

Si valuti pertanto la compatibilità della delega in esame alla luce del riparto di competenze legislative stabilito dall’art. 117 Cost., come interpretato dalla richiamata giurisprudenza costituzionale.

 


 

Articolo 18
(Clausola di neutralità finanziaria)

La norma dispone una clausola di invarianza della spesa prevedendo che, salvo quanto disposto dai precedenti articolo 11, 12, 13 e 16, all’attuazione del presente provvedimento legislativo si provvede nei limiti delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente e senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.


 

Articolo 19
(Disposizioni particolari per le regioni a statuto speciale e per le province autonome di Trento e Bolzano)

L'articolo 19 dispone sulla applicazione della norme recate dalla proposta di legge nei territori delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano.

In ragione della competenza legislativa esclusiva in materia di ordinamento degli enti locali, attribuita alle regioni a statuto speciale dai rispettivi statuti di autonomia, esse dovranno provvedere alle finalità della proposta di legge per i comuni ricadenti nei propri territori.

 

Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano hanno competenza legislativa esclusiva in materia di ordinamento degli enti locali, secondo quanto disposto dai rispettivi statuti di autonomia e dalle norme di attuazione[19]. La competenza riguarda tutti gli aspetti dell'ordinamento - circoscrizioni territoriali, conferimento di funzioni, sistema elettorale -  ed anche la finanza locale.

Per quest'ultimo aspetto, tuttavia, esiste di fatto una differenza sostanziale tra le regioni Friuli-Venezia Giulia, Valle d’Aosta e le Province autonome di Trento e di Bolzano, da una parte, e la regione Sardegna e la Regione siciliana dall'altra.

Per le regioni Friuli-Venezia Giulia, Valle d’Aosta e per le Province autonome di Trento e di Bolzano sono intervenute specifiche norme di attuazione dello statuto speciale che hanno disciplinato la materia della finanza locale nel senso che è la regione - o la provincia autonoma - a provvedere interamente alla finanza degli enti locali del proprio territorio con risorse del proprio bilancio e senza alcun apporto da parte dello Stato. Ciò non è avvenuto, invece, nel caso della regione Sardegna e della Regione siciliana, dove la finanza degli enti locali è ancora a carico dello Stato.

 

In conclusione ciascuna regione a statuto speciale e provincia autonoma, provvederà a dare attuazione a quanto disposto dalla proposta di legge, in armonia con il proprio statuto e le norme di attuazione.

 

Con riguardo all'applicazione delle disposizioni per il sostegno e la valorizzazione dei piccoli comuni recate dalla proposta di legge, nei territori delle autonomie speciali, si ricorda che il comma 6 dell'articolo 2 della proposta di legge dispone che ciascuna regione a statuto speciale e provincia autonoma provvede ad individuare i comuni del proprio territorio in cui si applicano le suddette disposizioni.


 

Profili finanziari

 


Articolo 11, comma 1

In merito ai profili di copertura finanziaria,.

Con riferimento all’anno 2013, si segnala, invece, che il fondo per interventi strutturali di politica economica (capitolo 3075 – Ministero dell’economia e delle finanze) non reca le necessarie disponibilità.

Appare, inoltre, opportuno che il Governo chiarisca se il suddetto fondo rechi, nell’anno 2014, le necessarie disponibilità anche alla luce dei rifinanziamenti previsti dall’articolo 15, comma 1, del decreto-legge  n. 91 del 2013 e dall’articolo 27, comma 1, del decreto-legge n. 104 del 2013. Qualora il fondo rechi le necessarie disponibilità, in considerazione dei tempi necessari per l’approvazione definitiva del provvedimento, potrebbe valutarsi la possibilità di posticipare la decorrenza degli oneri previsti dalla norma in esame.

Articolo 12, comma 5

In merito ai profili di copertura finanziaria, si osserva che gli accantonamenti del Fondo speciale di conto capitale relativi al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti dei quali è previsto l’utilizzo, rispettivamente, nella misura di 20 milioni di euro per l’anno 2013, non recano le necessarie disponibilità.



[1] http://www.slideshare.net/Palazzo_Chigi/relazione-testo-17-settembrepdf-adobe-acrobat-pro

[2]     Cap. 7453.

[3]     Capp. 8610 e 8770 nel programma “Sostegno, valorizzazione e tutela del settore dello spettacolo”, cap. 7952 progr. “Tutela dei beni archeologici”, cap. 7677 progr. “Tutela dei beni archivistici”, cap. 7822 progr. “Tutela dei beni librari, promozione e sostegno del libro e dell’editoria”, capp. 8072 e 8281 progr. “Tutela delle belle arti, dell’architettura e dell’arte contemporanee; tutela e valorizzazione del paesaggio”, cap. 7802 progr. “Valorizzazione del patrimonio culturale”, capp. 7224, 7433, 7434, 7435, 7436, 7460, 7670 progr. “Tutela del patrimonio culturale”.

[4]     L’origine dei CST è da rinvenirsi nel documento approvato il 27 novembre 2003 dalla Conferenza Stato Regioni, città e autonomie locali, L’e-government nelle Regioni e negli Enti locali: seconda fase di attuazione.

[5]     Si cfr. il link: http://www.digitpa.gov.it/progetti/centri-servizio-territoriali-l-government-nei-piccoli-medi-comuni.

[6]     Si ricorda che, ai sensi del provvedimento in esame, sono definiti piccoli comuni i comuni che, oltre ad avere una popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti, rientrano in una delle categorie svantaggiate indicate all’art. 2, co. 1 (vedi sopra).

[7]     Legge 27 dicembre 2002, n. 289, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2003).

[8]     In base a tale norma, infatti, ai sensi dell'articolo 118, comma secondo, Cost., sono delegate alle regioni, in particolare, le funzioni amministrative relative alla programmazione, sul piano regionale, nei limiti delle disponibilità di risorse umane e finanziarie, della rete scolastica, sulla base dei piani provinciali (di cui all’art. 3 del DPR n. 233 del 1998, successivamente abrogati proprio dal DPR 81 del 2009), assicurando il coordinamento con la programmazione dell'offerta formativa integrata tra istruzione e formazione professionale.

[9]     Riguardo il dimensionamento ottimale delle istituzioni scolastiche, si ricorda che il DPR 233/1998 ha fissato tra i 500 ed i 900 alunni (salvo deroghe per situazioni socio-geografiche particolari) il requisito necessario a ciascuna scuola per l’attribuzione dell’autonomia scolastica. Deroghe sono previste per le piccole isole, per i comuni montani e per le aree geografiche contraddistinte da specificità etniche o linguistiche: gli alunni possono essere ridotti fino a 300 per gli istituti comprensivi di scuola dell’infanzia, scuola primaria e scuola secondaria di I grado o per gli istituti di istruzione secondaria di II grado che comprendono corsi o sezioni di diverso ordine o tipo. Ulteriori deroghe, a carattere automatico, sono previste nelle province il cui territorio è montano per almeno un terzo e in cui le condizioni di viabilità siano disagevoli e gli insediamenti abitativi siano rarefatti, sulla base di criteri preventivamente stabiliti dalle regioni, in sede di conferenza provinciale. Per agevolare il conseguimento dell’autonomia, si prevede, per le scuole che non raggiungono i predetti indici di riferimento, l’unificazione orizzontale con le scuole dello stesso grado comprese nel medesimo ambito territoriale, ovvero l’unificazione verticale in istituti comprensivi.

[10]    In proposito, l’art. 51 del D.Lgs. 297/1994 prevede, nell’ambito delle misure di riorganizzazione della rete scolastica, che nei comuni montani con meno di 5000 abitanti possono essere costituiti istituti comprensivi di scuola materna, elementare e media, secondo criteri e modalità stabiliti con ordinanza del MIUR.

[11]    In corso di conversione alla data di redazione del presente Dossier.

[12]    L’istituto della reggenza è regolato, unitamente ad altri Incarichi aggiuntivi, dall’art. 19 del Contratto collettivo nazionale per il personale dirigente dell’area V siglato l’11 aprile 2006. Esso si configura come incarico di natura obbligatoria, non declinabile.

[13]    V. risposta del 29 maggio 2013del Governo alla interrogazione n. 5-00066 in Commissione VII (Cultura).

[14]  In tale numero sono ricomprese altresì le istituzioni educative, le scuole speciali e i centri Provinciali di istruzione per gli adulti CPIA.

[15]    Si ricorda che, al fine di semplificare l’introduzione di norme agevolative, la normativa comunitaria consente il riconoscimento di aiuti di minima entità (c.d. de minimis) senza obbligo di notifica ed autorizzazione, sulla base del citato regolamento (CE) n. 1998/2006 della Commissione, del 15 dicembre 2006, approvato per il periodo 2007-2013, relativo all’applicazione degli articoli 87 e 88 del trattato. L'articolo 88, paragrafo 3, del trattato che istituisce la Comunità europea contempla infatti l'obbligo di notificare gli aiuti di Stato alla Commissione europea al fine di stabilirne la compatibilità con il mercato comune sulla base dei criteri dell'articolo 87, paragrafo 1. Il regolamento (CE) n. 1998/2006 prevede una deroga per le sovvenzioni di importo minimo. Esso stabilisce una soglia al di sotto della quale gli aiuti non rientrano più nel campo di applicazione dell'articolo 87, paragrafo 1, e sono pertanto dispensati dalla procedura di notifica di cui all'articolo 88, paragrafo 3. L’importo complessivo degli aiuti "de minimis" concessi ad una medesima impresa non deve superare i 200 mila euro nell’arco di tre esercizi finanziari. L’importo complessivo degli aiuti "de minimis" concessi ad un'impresa attiva nel settore del trasporto su strada non deve superare i 100 mila euro nell’arco di tre esercizi finanziari.

[16]    Corte costituzionale, sentenza n. 229 del 2001.

[17]    Corte costituzionale, sentenza n. 244 del 2005.

[18]    L. 24 dicembre 2007, n. 244, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008).

[19]    Le norme statutarie sono le seguenti: per la regione Valle d’Aosta L. Cost. 4/1948 art. 2 e  D.Lgs. 431/1989; per le province autonome di Trento e di Bolzano, DPR 670/1972 artt. 4, 80; DPR 473/1975; D.Lgs. 268/1992; per la regione Friuli-Venezia Giulia, L. Cost. 1/1963 art. 4; DPR 114/1965 art. 8 e D.Lgs. 9/1997; per la Regione siciliana, R.D.Lgs. 455/1946 art. 14 e per la regione Sardegna, L.Cost. 3/1948 art. 3.