Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento giustizia
Titolo: Disposizioni in materia di candidabilità, eleggibilità e ricollocamento dei magistrati - A.C. 2188 - Schede di lettura
Riferimenti:
AC N. 2188/XVII     
Serie: Progetti di legge    Numero: 192
Data: 23/06/2014
Descrittori:
AMMISSIBILITA' DEGLI ELETTI   CANDIDATURE ELETTORALI
MAGISTRATI     
Organi della Camera: I-Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni
II-Giustizia
Altri riferimenti:
AS N. 116/XVII     
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Camera dei deputati

XVII LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

Disposizioni in materia di candidabilità, eleggibilità e ricollocamento dei magistrati

A.C. 2188

Schede di lettura

 

 

 

 

 

 

n. 192

 

 

 

23 giugno 2014

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi

Dipartimento Istituzioni

( 066760-3855 / 066760-9475 – * st_istituzioni@camera.it

Dipartimento Giustizia

( 066760-9559 / 066760-9148 – * st_giustizia@camera.it

 

 

 

 

 

 

 

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File: gi0230

 


INDICE

Schede di lettura

Quadro normativo: ineleggibilità, incompatibilità dei magistrati e loro ricollocamento in ruolo  3

§  I principi costituzionali…    3

§  …e la loro attuazione legislativa  4

§  La posizione del CSM   12

Contenuto della proposta di legge  17

§  Art. 1  (Candidabilità a cariche elettive e assunzione di incarichi di governo negli enti territoriali) 17

§  Art. 2 (Aspettativa per incarichi di governo e di assessore negli enti locali) 24

§  Art. 3 (Dichiarazione di non versare in condizioni di incandidabilità per gli organi elettivi degli enti territoriali) 26

§  Art. 4 (Status dei magistrati in costanza di mandato o di incarico di governo) 28

§  Art. 5 (Ricollocamento dei magistrati candidati e non eletti) 31

§  Art. 6 (Ricollocamento dei magistrati eletti al parlamento europeo o al Senato della Repubblica o alla Camera dei deputati) 35

§  Art. 7 (Ricollocamento dei magistrati con incarichi di governo nazionale o locale) 39

§  Art. 8 (Ricostruzione della carriera) 40

§  Art. 9 (Ricollocamento dei magistrati eletti negli enti territoriali) 42

§  Art. 10 (Disciplina applicabile alla magistratura onoraria) 43

§  Art. 11 (Principi fondamentali in materia di candidabilità dei magistrati alle elezioni regionali e di assunzione dell’incarico di assessore regionale) 46

§  Art. 12 (Disciplina transitoria) 49

§  Art. 13 (Modifiche alla disciplina in materia di astensione e ricusazione dei giudici) 51

§  Art. 14 (Sanzioni disciplinari per i magistrati ordinari) 53

§  Art. 15 (Sanzioni disciplinari per i magistrati amministrativi, contabili e militari) 54

§  Art. 16 (Abrogazioni) 55

Documentazione

§  Consiglio superiore della magistratura, Parere in materia di candidabilità, eleggibilità e ricollocamento dei magistrati in occasione di elezioni politiche e amministrative e in relazione alla assunzione di incarichi di governo nazionali e territoriali (Delibera del 21 maggio 2014)] 57

 


SIWEB

Schede di lettura

 


 

Quadro normativo:
ineleggibilità, incompatibilità dei magistrati e loro ricollocamento in ruolo

I principi costituzionali…

L'articolo 51 della Costituzione afferma che «Tutti i cittadini dell'uno o dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini.

La legge può, per l'ammissione ai pubblici uffici e alle cariche elettive, parificare ai cittadini gli italiani non appartenenti alla Repubblica.

Chi è chiamato a funzioni pubbliche elettive ha diritto di disporre del tempo necessario al loro adempimento e di conservare il suo posto di lavoro».

 

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 25 del 2008 ha ricordato che «l'art. 51 Cost. assicura in via generale il diritto di elettorato passivo senza porre discriminazioni sostanziali tra cittadini (sentenze n. 288 del 2007 e n. 235 del 1988)». Come già sottolineato nella sentenza n. 288 del 2007, «in realtà è proprio il princìpio di cui all'art. 51 della Costituzione a svolgere il ruolo di garanzia generale di un diritto politico fondamentale, riconosciuto ad ogni cittadino con i caratteri dell'inviolabilità (ex art. 2 della Costituzione)». Pertanto, le restrizioni del contenuto di tale diritto sono ammissibili solo in presenza di situazioni peculiari ed in ogni caso per motivi adeguati e ragionevoli, finalizzati alla tutela di un interesse generale (così ancora la sentenza n. 288 del 2007). Giova ricordare, altresì, che questa Corte ha più volte affermato che le cause di ineleggibilità sono di stretta interpretazione e devono essere contenute entro i limiti rigorosamente necessari al soddisfacimento delle esigenze di pubblico interesse, ricollegantisi alla funzione elettorale, cui sono di volta in volta preordinate (sentenze n. 306 del 2003, n. 132 del 2001, n. 141 del 1996). È pur vero, infatti, che l'art. 51 Cost., riferendosi ai requisiti per l'accesso alle cariche elettive, consente che siano previsti i casi di ineleggibilità, ma proprio per tale ragione la norma costituzionale sottintende il bilanciamento di interessi, cui le legislazioni statale e regionale, per quanto di rispettiva competenza, sono direttamente chiamate dalla Costituzione; bilanciamento che deve operare tra il diritto individuale di elettorato passivo e la tutela delle cariche pubbliche, cui possono accedere solo coloro che sono in possesso delle condizioni che tali cariche, per loro natura, appunto richiedono (sentenza n. 306 del 2003)».

 

La stessa Corte costituzionale, nella sentenza n. 224 del 17 luglio 2009, con la quale ha dichiarato infondata la questione di costituzionalità sollevata con riferimento alla norma (art. 3, comma 1, lettera h), d.lgs. 109/2006) che definisce illecito disciplinare l'iscrizione o la partecipazione sistematica e continuativa del magistrato a partiti politici, ha dichiarato che «Deve riconoscersi – e non sono possibili dubbi in proposito – che i magistrati debbono godere degli stessi diritti di libertà garantiti ad ogni altro cittadino e che quindi possono, com'è ovvio, non solo condividere un'idea politica, ma anche espressamente manifestare le proprie opzioni al riguardo. Ma deve, del pari, ammettersi che le funzioni esercitate e la qualifica rivestita dai magistrati non sono indifferenti e prive di effetto per l'ordinamento costituzionale (sentenza n. 100 del 1981). Per la natura della loro funzione, la Costituzione riserva ai magistrati una disciplina del tutto particolare, contenuta nel titolo IV della parte II (artt. 101 e ss.): questa disciplina, da un lato, assicura una posizione peculiare, dall'altro, correlativamente, comporta l'imposizione di speciali doveri. I magistrati, per dettato costituzionale (artt. 101, secondo comma, e 104, primo comma, Cost.), debbono essere imparziali e indipendenti e tali valori vanno tutelati non solo con specifico riferimento al concreto esercizio delle funzioni giudiziarie, ma anche come regola deontologica da osservarsi in ogni comportamento al fine di evitare che possa fondatamente dubitarsi della loro indipendenza ed imparzialità». Nel prosieguo del suo argomentare, la Corte ha anche ricordato che il diritto di elettorato passivo spettante ai magistrati «non è senza limitazioni».

 

Per quanto riguarda il diritto alla conservazione del posto di lavoro, previsto dal terzo comma dell’art. 51, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 6 del 1960 ha affermato che «L'espressione "conservare il posto di lavoro", usata nell'art. 51 della Costituzione, terzo comma, significa mantenere il rapporto di lavoro o di impiego, non già continuare nell'esercizio delle attività o delle funzioni in cui si concreta la prestazione del lavoratore o dell'impiegato».

 

 

L’articolo 65 della Costituzione stabilisce una riserva di legge per l’individuazione dei casi di ineleggibilità e d’incompatibilità con l’ufficio di deputato o di senatore mentre l’articolo 122, primo comma, dispone che «Il sistema di elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale nonché dei consiglieri regionali sono disciplinati con legge della regione nei limiti dei principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica, che stabilisce anche la durata degli organi elettivi».

 

Si ricorda in fine che l’articolo 98, secondo comma, della Costituzione, stabilisce che i pubblici impiegati, se sono membri del Parlamento, non possono conseguire promozioni se non per anzianità.

…e la loro attuazione legislativa

Elezioni politiche

Per quanto riguarda le elezioni politiche, le cause di ineleggibilità a deputato e senatore sono disciplinate dal D.P.R. 361/1957, recante il Testo unico delle leggi per la elezione della Camera (che si applica anche alla elezione del Senato in forza del rinvio contenuto nell’art. 5 del d.lgs. 533/1993).

L'articolo 8 del D.P.R. prevede una ipotesi specifica di ineleggibilità a carico dei magistrati nelle circoscrizioni elettorali sottoposte, in tutto o in parte, alla giurisdizione degli uffici ai quali sono stati assegnati nei sei mesi antecedenti la data di accettazione della candidatura. L’ineleggibilità è prevista anche in caso di scioglimento anticipato delle Camere e di elezioni suppletive.

Tale ipotesi di ineleggibilità è relativa, perché è possibile per il magistrato di candidarsi in una circoscrizione elettorale diversa; l’ineleggibilità non opera per i magistrati delle giurisdizioni superiori, ovvero per quei magistrati che esercitano le funzioni giudiziarie in relazione a tutto il territorio nazionale: tali sono da intendersi i magistrati in servizio presso la Corte di cassazione, presso il Consiglio di Stato, la Corte dei Conti e la Corte d’appello militare (che è unica per tutto il territorio nazionale ed ha sede a Roma), nonché quelli assegnati alla Direzione nazionale antimafia (DNA).

In ogni caso i magistrati per essere eleggibili devono trovarsi in aspettativa all'atto dell'accettazione della candidatura. L’aspettativa è obbligatoria per tutta la durata della campagna elettorale e – in caso di elezione – per tutta la durata del mandato parlamentare.

 

Lo stesso art. 8 dispone, al secondo comma, in caso di mancata elezione del magistrato candidato, il trasferimento ad altro ufficio giudiziario non compreso nella circoscrizione in cui si sono svolte le elezioni.

Sul punto, la Corte costituzionale, con la sentenza 172/1982, ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale, rilevando che il buon andamento della giustizia e il prestigio dell'ordine giudiziario legittimano particolari limitazioni all'elettorato passivo dei magistrati. Ha quindi affermato, sulla scorta della sentenza 6/1960, che conservare il posto «vuol dire soltanto mantenere il rapporto di lavoro e di impiego, non già continuare nell'esercizio delle funzioni espletate», escludendo pertanto il denunciato contrasto con l'art. 51, terzo comma, della Costituzione, della disposizione che obbliga il magistrato candidatosi e poi non eletto al trasferimento presso un ufficio giudiziario esterno alla circoscrizione elettorale.

 

Non vi è norma espressa per il magistrato eletto che, una volta concluso il mandato parlamentare, intenda riassumere le funzioni nello stesso distretto giudiziario di origine.

 

La legge disciplina dunque il rientro nei ruoli del magistrato che non venga eletto, ma non tratta l’ipotesi del magistrato che dopo la campagna elettorale ottenga il seggio di deputato o senatore e svolga il mandato parlamentare. In dottrina è stato evidenziato come risulti contraddittorio imporre il trasferimento in caso di insuccesso elettorale, per la giusta preoccupazione delle «ricadute personalistiche» della campagna elettorale, e ignorare i rapporti che inevitabilmente si creano tra l'eletto e gli elettori del collegio in corso di mandato[1].

 

 

Eleggibilità

Ricollocamento
(mancata elezione)

Ricollocamento
(post elezione)

Magistrato delle giurisdizioni superiori

Sì, purché in aspettativa all’atto di accettazione della candidatura (art. 8, DPR 361/57)

Tornano in servizio nel medesimo ufficio.

Non potranno per i 5 anni successivi essere trasferiti in uffici giudiziari della circoscrizione nel cui ambito sono stati candidati.

Non disciplinato.

 

(Il CSM prevede la restituzione all’ufficio di appartenenza.)

Ogni altro magistrato in ruolo

No nella circoscrizione sottoposta – anche in parte - alla giurisdizione del proprio ufficio se non si è messo in aspettativa 6 mesi prima dell’accettazione della candidatura (art. 8, DPR 361/57). In tutte le altre circoscrizioni sì, purché in aspettativa all’atto di accettazione della candidatura.

Per 5 anni non può tornare a svolgere funzioni giudiziarie nella circoscrizione nel cui ambito si è candidato.

(Il CSM prevede la restituzione all’ufficio di appartenenza, se la candidatura era in una diversa circoscrizione elettorale; altrimenti l’assegnazione ad un distretto viciniore, con attribuzione di funzioni giudicanti).

Non disciplinato.

 

(Il CSM prevede l’assegnazione di funzioni giudicanti in un distretto diverso da quello ove insisteva la circoscrizione elettorale. Il trasferimento a sedi del distretto nel quale è stato eletto è consentito solo dopo 5 anni dalla scadenza del mandato)

Magistrato fuori ruolo

Sì.

Non disciplinato.

(Il CSM prevede la destinazione, mediante concorso virtuale, ad un posto vacante, con esclusione di quelli compresi nei distretti in cui sia stata presentata la candidatura.)

Non disciplinato.

(Il CSM prevede la destinazione, mediante concorso virtuale, ad un posto vacante, con esclusione di quelli compresi nei distretti in cui sia stato eletto.)

Giudice di pace

Sì, in assenza di disposizione contraria. Non è applicabile l’istituto dell’aspettativa.

Continua a svolgere le funzioni giudiziarie nell’ufficio di appartenenza.

Con l’elezione il giudice di pace decade dall’ufficio. Non è dunque possibile l’automatico ricollocamento.

 

Elezioni europee

Possono essere eletti alla carica di rappresentante dell’Italia al Parlamento europeo i cittadini italiani che siano titolari del diritto di elettorato attivo e abbiano compiuto il 25° anno di età. Sono eleggibili alla stessa carica anche i cittadini degli altri Stati membri dell’Unione europea in possesso dei requisiti di eleggibilità al Parlamento europeo previsti dalle rispettive disposizioni nazionali (legge n. 18 del 1979, art. 4).

La legge che disciplina le elezioni europee, n. 18 del 1979, non prevede altre cause di ineleggibilità al mandato europeo, oltre l’assenza dei requisiti necessari per godere dell’elettorato passivo. Specifiche cause di incandidabilità sono previste nel nostro ordinamento e valgono tanto per le elezioni politiche quanto per le europee (es. incandidabilità come portato di alcune condanne penali), ma non attengono all’esercizio della funzione giudiziaria.

A sua volta, l’art. 52 della legge 18/1979 dispone che «I lavoratori dipendenti da enti pubblici o da privati datori di lavoro che siano stati ammessi come candidati per l'elezione a membri del Parlamento europeo, possono chiedere di essere collocati in aspettativa non retributiva fino al giorno della votazione».

Il magistrato eletto al Parlamento europeo è sempre collocato in aspettativa (art. 68 del d.lgs. n. 165 del 2001) e si applicano le disposizioni dell’art. 88 del D.P.R. 361 del 1957, espressamente richiamato dalla legge sul trattamento dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia, n. 384 del 1979[2].

Il ricollocamento in ruolo alla scadenza del mandato non è disciplinato dal legislatore.

Il CSM, peraltro, nella circolare n. 12046 dell'8 giugno 2009, stabilisce che il trasferimento del magistrato a sedi del distretto di provenienza, ovvero a sede nell’ambito del distretto o dei distretti in cui il medesimo è stato eletto, non può avvenire prima del termine di 5 anni, decorrente dalla scadenza del mandato.

 

Elezioni regionali

Per quanto riguarda le elezioni regionali, il citato articolo 122 della Costituzione incardina in capo alla legislazione regionale la competenza a determinare in dettaglio i casi di ineleggibilità e di incompatibilità per l’accesso alle cariche regionali, nel rispetto dei principi fondamentali stabiliti dalla legge dello Stato. I principi fondamentali sono stati individuati dalla legge n. 165 del 2004, Disposizioni di attuazione dell’articolo 122, primo comma, della Costituzione.

In particolare, l’articolo 2 della legge 165/2004, che detta disposizioni di principio in materia di ineleggibilità:

·             fa salve le disposizioni legislative statali in materia di incandidabilità per coloro che hanno riportato sentenze di condanna o nei cui confronti sono state applicate misure di prevenzione;

·             vincola le regioni a individuare cause di ineleggibilità «qualora le attività o le funzioni svolte dal candidato, anche in relazione a peculiari situazioni delle regioni, possano turbare o condizionare in modo diretto la libera decisione di voto degli elettori ovvero possano violare la parità di accesso alle cariche elettive rispetto agli altri candidati»;

·             afferma l’inefficacia delle cause di ineleggibilità se l’interessato cessa «dalle attività o dalle funzioni che determinano l'ineleggibilità» prima dell’accettazione della candidatura, o altro termine anteriore altrimenti stabilito, ferma restando la tutela del diritto al mantenimento del posto di lavoro, pubblico o privato, del candidato»;

·             attribuisce ai Consigli regionali la competenza a decidere sulle cause di ineleggibilità dei propri componenti e del Presidente della Giunta, fatta salva la competenza dell'autorità giudiziaria a decidere sui relativi ricorsi.

 

 

In assenza di una disciplina regionale, le cause di ineleggibilità a livello regionale sono ancora disciplinate dalla legge statale n. 154 del 1981 (Norme in materia di ineleggibilità ed incompatibilità alle cariche di consigliere regionale, provinciale, comunale e circoscrizionale e in materia di incompatibilità degli addetti al Servizio sanitario nazionale)[3].

In particolare, l'art. 2 della legge dispone che non siano eleggibili a consigliere regionale, «nel territorio nel quale esercitano le loro funzioni, i magistrati addetti alle corti di appello, ai tribunali, alle preture ed ai tribunali amministrativi regionali nonché i vice pretori onorari e i giudici conciliatori». La causa di ineleggibilità non ha effetto se l'interessato cessa dalle funzioni per dimissioni, trasferimento, revoca, collocamento in aspettativa entro il giorno fissato per la presentazione delle candidature.

In base all’articolo 68 del TU del pubblico impiego (d.lgs. n. 165 del 2001), il magistrato eletto consigliere regionale è comunque sempre collocato in aspettativa senza assegni per la durata del mandato. Egli può optare per la conservazione, in luogo dell'indennità corrisposta ai consiglieri regionali, del trattamento economico in godimento presso l'amministrazione di appartenenza, che resta a carico della medesima. Il periodo di aspettativa è utile ai fini dell'anzianità di servizio e del trattamento di quiescenza e di previdenza.

La legge non disciplina il ricollocamento in ruolo dei magistrati a seguito delle elezioni (né in caso di mancata elezione, né in caso di assunzione dell’incarico elettivo).

 

 


 

Elezioni regionali (in base alla legge 154/1981)

 

Eleggibilità

Ricollocamento
(mancata elezione)

Ricollocamento
(post elezione)

Magistrato delle giurisdizioni superiori

Sì. Aspettativa non richiesta.

Non disciplinato

Non disciplinato.

Magistrato ordinario

Sì. E’ richiesta l’aspettativa solo se la candidatura è nel territorio sottoposto alla giurisdizione dell’ufficio presso il quale svolge le funzioni giudiziarie.

Non disciplinato.

Non disciplinato.

Magistrato amministrativo

Sì. Aspettativa richiesta per candidature nel territorio sottoposto alla giurisdizione dell’ufficio presso il quale svolge le funzioni giudiziarie.

Non disciplinato.

Non disciplinato.

 

Elezioni amministrative

Una disciplina analoga a quella della legge 154 del 1981 per le regioni si applica alle elezioni amministrative in base al testo unico degli enti locali (D.Lgs n. 267 del 2000).

Il TUEL prevede infatti che non sono eleggibili a sindaco, presidente della provincia, consigliere comunale, consigliere metropolitano, provinciale e circoscrizionale, nel territorio nel quale esercitano le loro funzioni, i magistrati addetti alle corti di appello, ai tribunali, ai tribunali amministrativi regionali, nonché i giudici di pace (art. 60, primo comma, n. 6), TUEL)[4]. Anche in tal caso, la causa di ineleggibilità non ha effetto se l'interessato cessa dalle funzioni per dimissioni, trasferimento, revoca, collocamento in aspettativa non retribuita non oltre il giorno fissato per la presentazione delle candidature (art. 60, comma 3).

 

In base all’articolo 81 del TUEL, il magistrato eletto consigliere comunale o provinciale, eletto sindaco o presidente di provincia, nominato componente di giunta comunale o provinciale, può essere collocato in aspettativa non retribuita per tutto il periodo di espletamento del mandato. Il legislatore non prevede dunque – ad di fuori del territorio nel quale il magistrato esercita le funzioni giudiziarie - un’aspettativa obbligatoria, ma solo facoltativa.

In merito, nel parere reso dal CSM sul provvedimento approvato dal Senato si legge: «Non sussistono cause di ineleggibilità o di incompatibilità nei casi in cui il magistrato sia eletto o nominato assessore nell’ambito di circoscrizione o di giunta locale situata fuori dal territorio ove esercita le funzioni giurisdizionali, in tal caso l’assunzione di funzioni amministrative che non importi la rimozione di causa di ineleggibilità di cui all’art. 60, n. 6, D.Lgs. n. 227/00 non determina la necessità di alcun atto autorizzatorio da parte del Consiglio , tantomeno, è prevista alcuna comunicazione da effettuarsi ad opera del magistrato. […] Ciò impedisce una ricognizione circa il numero dei magistrati impegnati contemporaneamente in funzioni giurisdizionali ed in funzioni politico-amministrative».

 

 

Eleggibilità

Ricollocamento
(mancata elezione)

Ricollocamento
(post elezione)

Magistrato delle giurisdizioni superiori

Sì. Aspettativa non richiesta.

Non disciplinato

Non disciplinato.

Magistrato ordinario

Sì. E’ richiesta l’aspettativa solo se la candidatura è nel territorio sottoposto alla giurisdizione dell’ufficio presso il quale svolge le funzioni giudiziarie.

Non disciplinato.

Non disciplinato.

Magistrato onorario

Sì. Se la candidatura è nel territorio sottoposto alla giurisdizione dell’ufficio presso il quale svolge le funzioni giudiziarie, dovrà dimettersi o ottenere il trasferimento ad altra sede (non si applica l’aspettativa)

Se il magistrato onorario è cessato dalla carica per accettare la candidatura, non c’è ricollocamento.

Se ha ottenuto il trasferimento, non si pongono problemi di ricollocamento.

Il mandato elettivo locale è incompatibile con le funzioni giudiziarie: il giudice di pace decade dall’ufficio (senza delimitazioni territoriali). Non c’è ricollocamento.

Magistrato amministrativo

Sempre. Aspettativa richiesta per candidature nel territorio sottoposto alla giurisdizione dell’ufficio presso il quale svolge le funzioni giudiziarie.

Non disciplinato.

Non disciplinato.

 

La posizione del CSM

Per quanto riguarda il conferimento di funzioni ai magistrati che si siano candidati ad elezioni politiche o amministrative, senza essere eletti, ovvero di coloro che dopo l'elezione cessino dalla carica, il Consiglio superiore della Magistratura si è pronunciato con la circolare n. 12046 dell'8 giugno 2009. La circolare prevede che:

·          in caso di candidatura presentata nell’ambito di una circoscrizione elettorale non compresa nel territorio del distretto di appartenenza, o comunque questo non sia competente ai sensi dell’art. art. 11 c.p.p. (competenza per i procedimenti riguardanti i magistrati) rispetto a quello ove si sono svolte le elezioni, il magistrato non eletto sarà restituito all’ufficio di appartenenza;

·          in caso di candidatura presentata nell’ambito di una circoscrizione elettorale compresa nel territorio del distretto di appartenenza, il magistrato non eletto dovrà essere assegnato, previo interpello, ad un posto vacante che si trovi in un distretto viciniore rispetto a quello di provenienza e fuori dalla circoscrizione elettorale, che comporti l’esercizio di funzioni giudicanti;

·          gli stessi criteri si applicano al magistrato eletto, alla scadenza del mandato elettorale, ovvero alla cessazione dalla carica di governo degli enti locali. Al magistrato dovranno dunque essere assegnate funzioni giudicanti in un distretto diverso da quello ove insiste la circoscrizione elettorale; il trasferimento o a sedi del distretto nell’ambito del quale è stato eletto o è stato chiamato a ricoprire una carica pubblica non può avvenire prima del termine di 5 anni, decorrente, rispettivamente, dalla data delle elezioni o dalla scadenza del mandato o dalla cessazione della carica pubblica;

·          in caso di magistrato che provenga da un ufficio a giurisdizione nazionale, ossia da un posto, anche di merito, della Corte di Cassazione o della Procura Generale presso la Corte di Cassazione, ovvero della Direzione Nazionale Antimafia, i criteri indicati non si applicano e il magistrato sarà restituito all’ufficio di appartenenza, se vacante. Se il posto non sia più vacante, il magistrato, previo interpello, potrà essere assegnato, con concorso virtuale, ad un altro posto vacante.

·          in caso di magistrati fuori dal ruolo organico della magistratura che, durante il periodo di destinazione a funzioni non giudiziarie, si siano candidati o siano stati eletti o siano stati chiamati a svolgere un incarico pubblico presso un ente locale, potranno essere destinati, mediante concorso virtuale, ad un posto vacante, con esclusione di quelli compresi nei distretti in cui sia stata presentata la candidatura o siano stati eletti ovvero siano stati chiamato a ricoprire una carica pubblica.

 

In generale, nella risoluzione adottata il 28 aprile 2010, il Consiglio superiore della magistratura ha voluto esprimersi ufficialmente sul punto della partecipazione alla attività politica e amministrativa locale da parte dei magistrati. Il CSM sostiene, riferendosi alle cariche amministrative regionali, provinciali e comunali, che «al fine sia di preservare adeguatamente l’immagine di imparzialità sia di evitare pretestuose strumentalizzazioni dell’attività giudiziaria svolta, sembra indispensabile che i magistrati non si candidino nelle circoscrizioni sottoposte, in tutto o in parte, alla giurisdizione degli uffici ai quali si sono trovati assegnati o presso i quali hanno esercitato le loro funzioni per un congruo periodo antecedente la data di accettazione della candidatura; del pari occorre che i magistrati che sono stati candidati e non sono stati eletti non possano esercitare per un periodo di cinque anni le loro funzioni nella circoscrizione nel cui ambito si sono svolte le elezioni. Analoghe disposizioni, con i necessari adattamenti del caso, dovrebbero essere introdotte anche con riguardo agli assessori cosiddetti “esterni”, nel momento sia dell’assunzione sia della cessazione dell’incarico».

Il CSM ha dunque invitato il legislatore a «introdurre un meccanismo - del tutto analogo a quello già vigente per la candidatura e l’eventuale successiva elezione alla Camera dei Deputati ed al Senato della Repubblica - in forza del quale il magistrato all’atto dell’accettazione della candidatura nonché durante l’espletamento di tutto il mandato debba necessariamente trovarsi in aspettativa, con conseguente collocamento fuori ruolo».

Nella medesima prospettiva, il Consiglio «auspica un intervento del legislatore che attraverso normativa primaria renda la disciplina in tema di eleggibilità e di rientro in ruolo dei magistrati chiamati a ricoprire cariche pubbliche nelle amministrazioni degli enti locali del tutto omogenea a quella oggi vigente per le elezioni al Parlamento». Occorre infatti «evitare che il magistrato si proponga come amministratore attivo nel medesimo contesto territoriale nel quale, senza soluzioni di continuità, ha appena svolto attività giurisdizionali, rischiando in tal modo di creare un’oggettiva confusione di ruoli e di funzioni, di per se idonea ad appannare l’immagine di imparzialità».

 

Con la delibera del 27 luglio 2011 il Consiglio superiore della magistratura ha avanzato una proposta di modifica legislativa sulle modalità di ricollocamento in ruolo dei magistrati che abbiano svolto una funzione elettiva. Per questi magistrati il CSM proponeva al Ministro della giustizia:

·          per un magistrato che svolgesse le sue funzioni presso la Corte di cassazione o la Procura generale presso la Corte di cassazione o la Direzione nazionale antimafia, il ricollocamento in ruolo, senza nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato, nella medesima sede, anche in sovrannumero, e nelle medesime funzioni;

·          in tutti gli altri casi, il ricollocamento in ruolo in una sede diversa vacante, appartenente ad un distretto sito in una regione diversa da quella in cui è ubicato il distretto presso cui è posta la sede di provenienza nonché in una regione diversa da quella in cui, in tutto o in parte, è ubicato il territorio della circoscrizione nella quale il magistrato è stato eletto.

 

Da ultimo, Il CSM ha reso un parere, il 21 maggio 2014, sul provvedimento ora all’esame della Camera (v. documentazione allegata).

Nel parere il CSM ha ribadito:

-        che «il mandato elettivo o assimilato, in quanto espressione del fondamentale diritto all’elettorato passivo, non tollera limitazioni non espressamente previste e, dunque, il magistrato non ha alcun onere di richiedere una preventiva autorizzazione al Consiglio, in linea con l’art. 16 R.D. 12/41, norma che prevede l’autorizzazione consiliare solo per il conferimento di incarichi. La distinzione così tracciata tra la nozione di pubblico ufficio e quella di incarico costituisce la ratio che giustifica la differente disciplina consiliare: mentre l’incarico deve essere autorizzato, l’accesso al pubblico ufficio non è soggetto ad autorizzazione trattandosi di un diritto politico costituzionalmente riconosciuto in capo ad ogni cittadino senza alcuna distinzione derivante dall’attività o dalle funzioni svolte»;

-        l’esigenza di «introdurre a livello di fonte primaria la previsione generale in base alla quale per svolgere le funzioni di sindaco, presidente della Provincia, presidente della Regione, consigliere ovvero assessore comunale, provinciale e regionale occorre comunque il collocamento in aspettativa del magistrato».

La posizione del Consiglio sui singoli profili della proposta di legge all’esame delle Commissioni è riportata in calce al commento agli articoli del provvedimento solo laddove il testo sul quale si pronuncia il parere coincida con quello approvato dal Senato.

 

Infatti, nonostante il CSM abbia reso il parere il 21 maggio 2014, e il Senato abbia approvato il disegno di legge l’11 marzo 2014, in alcuni paragrafi il testo del disegno di riforma riportato non coincide con quello effettivamente oggi all’esame della Camera (si veda in particolare l’analisi dell’art. 1, comma 1, del provvedimento), presumibilmente perché il CSM ha svolto l’istruttoria quando il provvedimento era ancora in attesa di approvazione da parte dell’Assemblea.

 

Le conclusioni di sintesi del parere del Consiglio son le seguenti.

«Il disegno di legge risponde dunque alla condivisibile esigenza di restituire organicità e coerenza al lacunoso sistema normativo vigente, trasferendo opportunamente a livello di fonte primaria una disciplina in larga parte affidata oggi alle circolari del C.S.M.

L’obiettivo di consentire un eventuale impegno politico del magistrato, evitando al contempo ogni interferenza con l’esercizio delle funzioni giudiziarie, è stato perseguito mediante un complesso di disposizioni ispirato a comprensibile rigore.

Tale intento tuttavia si traduce in alcuni casi in disposizioni che appaiono destinate a penalizzare il pur legittimo esercizio dei diritti politici dei magistrati piuttosto che a salvaguardare l’immagine di imparzialità e indipendenza della funzione giurisdizionale. E in questa prospettiva si giustificano i precedenti specifici rilievi critici, nel contesto di un complessivo apprezzamento per un’iniziativa legislativa ormai improcrastinabile».

 

 


Contenuto della proposta di legge

Art. 1
(
Candidabilità a cariche elettive e assunzione di incarichi di governo negli enti territoriali)

L’articolo 1 reca disposizioni in materia di candidabilità e di assunzione di incarichi di governo negli enti territoriali da parte dei magistrati.

 

Il comma 1 dispone che i magistrati non possono essere candidati alle elezioni europee, politiche ed amministrative e non possono assumere incarichi di governo negli enti locali se nei cinque anni precedenti l’accettazione della candidatura o l’assunzione dell’incarico di governo hanno prestato servizio nel territorio di riferimento (individuato con diversi criteri in base al tipo di elezione o di incarico).

La disposizione si applica a tutti i magistrati – ordinari, amministrativi, contabili e militari – e riguarda anche i magistrati collocati fuori ruolo. Sono esclusi solo i magistrati onorari, la cui incandidabilità è disciplinata dall’art. 10 della proposta di legge (v. infra).

 

L’ordinamento giudiziario (RD 12/1941) prevede il collocamento fuori ruolo dei magistrati ordinari destinati al Ministero della giustizia (art. 196); analogo collocamento è previsto per incarichi speciali non previsti da leggi o da regolamenti, conferiti dal Ministro della giustizia o con il suo consenso (art. 210). L’art. 15 della legge 195/1958 prevede che il CSM deliberi il collocamento fuori ruolo, oltre che per le assegnazioni di magistrati al Ministero della giustizia, anche per il conferimento agli stessi, in base alle norme vigenti, di incarichi estranei alle loro funzioni. Un eventuale diniego del CSM può essere motivato solo sulla base della sussistenza di “gravi esigenze di servizio”.

A seguito dell’abrogazione dell’art. 3 della legge 48/2001 (da parte dell’art. 4, co. 20, della legge 111/2007) non esiste più alcun “tetto” massimo complessivo per le destinazioni di magistrati ordinari a incarichi fuori ruolo stabilito con legge (v, ultra, Circolare CSM). Solo per i magistrati destinati al Ministero della giustizia il d.lgs. 300/1999 (art. 19) stabilisce un numero massimo di 65 unità fuori ruolo.

L’art. 1, comma 68 della c.d. Legge Severino (legge n. 190 del 2012) ha, poi, stabilito come regola generale per i magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari e per gli avvocati e i procuratori dello Stato un limite di permanenza massima fuori ruolo di 10 anni, anche continuativi, nell'arco del loro servizio.

Il limite decennale di permanenza nel fuori ruolo nell’arco della carriera era peraltro già stato affermato dalla circolare C.S.M. del 23 marzo 1994 (aggiornata da ultimo dalla circolare 20 novembre 2008) in materia di fuori ruolo dei magistrati, che fissa in 5 anni il periodo massimo di permanenza continuativa in fuori ruolo e prescrive un periodo minimo di permanenza continuativa di rientro nel ruolo di 5 anni. I limiti quinquennali possono essere superati in relazione all’espletamento di taluni incarichi (es. le funzioni da svolgere presso la Presidenza della Repubblica, la Corte costituzionale, limitatamente alle posizioni amministrative apicali ed agli assistenti di studio, il Consiglio superiore, limitatamente agli incarichi di Segretario Generale e di Vice Segretario Generale, gli organismi internazionali). La citata circolare del CSM del 2008 ha previsto un numero massimo di 185 magistrati collocabili fuori del ruolo organico della magistratura ordinaria.

Per i magistrati amministrativi, la legge 186/1982 (art. 29) prevede il collocamento fuori ruolo (da parte del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa) solo per lo svolgimento di funzioni giuridico-amministrative presso le amministrazioni dello Stato, ovvero enti od organismi internazionali. In nessun caso è consentito il collocamento fuori ruolo dei magistrati oltre le 20 unità. Il fuori ruolo può essere disposto soltanto per i magistrati che abbiano svolto funzioni di istituto per almeno 4 anni e non può avere durata superiore a 3 anni consecutivi; non è consentito, dopo il triennio, un nuovo collocamento fuori ruolo se non dopo 2 anni di effettivo esercizio delle funzioni di istituto.

Il DPR 418/1993 (regolamento sugli incarichi dei magistrati amministrativi) prevede che le cariche ricoperte presso autorità indipendenti o di alta amministrazione e garanzia, e gli incarichi di segretario generale presso la Presidenza della Repubblica, la Presidenza del Consiglio dei Ministri e la Corte costituzionale, di capo dipartimento presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri e di capo di gabinetto presso i Ministeri, di direttore della Scuola superiore della pubblica amministrazione determinano obbligatoriamente il collocamento fuori ruolo (art. 9).

Per i magistrati contabili dispone il DPR 388/1995. L’art. 7 del DPR stabilisce gli incarichi che determinano obbligatoriamente il collocamento fuori ruolo dei magistrati contabili ovvero: le cariche ricoperte presso autorità indipendenti o di alta amministrazione e garanzia, gli incarichi di Segretario generale presso la Presidenza della Repubblica, la Presidenza del Consiglio dei Ministri e la Corte costituzionale, di capo dipartimento presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri e di capo di gabinetto presso i Ministeri, di direttore della Scuola superiore della pubblica amministrazione determinano il collocamento fuori ruolo.

Per i magistrati militari, il codice dell’ordinamento militare (d.lgs. 66/2010), stabilisce che lo stato giuridico, le garanzie d'indipendenza, l'avanzamento e il trattamento economico sono regolati dalle disposizioni in vigore per i magistrati ordinari, in quanto applicabili (art. 52, comma 4).

 

In particolare, per le elezioni del Parlamento europeo, della Camera e del Senato, non possono essere candidati i magistrati che prestano servizio o lo hanno prestato nei cinque anni precedenti la data di accettazione della candidatura, presso sedi o uffici giudiziari con competenza ricadente, in tutto o in parte, nel territorio della regione compresa, in tutto o in parte, nella circoscrizione elettorale (primo periodo).

I magistrati possono dunque candidarsi, per le elezioni politiche, in regioni dove non hanno prestato servizio nei cinque anni precedenti l’accettazione della candidatura. Per le elezioni europee, dove la circoscrizione elettorale comprende più regioni, possono candidarsi nelle circoscrizioni elettorali in cui non sono comprese regioni in cui hanno prestato servizio negli ultimi cinque anni.

La disposizione non detta una disciplina specifica per le elezioni anticipate ed appare pertanto applicabile anche in caso di scioglimento anticipato.

 

Si ricorda che, come sopra indicato, la disciplina attualmente vigente per le elezioni alla Camera ed al Senato, prevede che i magistrati  anche in caso di scioglimento anticipato della Camera o del Senato, non sono eleggibili nelle circoscrizioni sottoposte, in tutto o in parte, alla giurisdizione degli uffici ai quali si sono trovati assegnati o presso i quali hanno esercitato le loro funzioni in un periodo compreso nei sei mesi antecedenti la data di accettazione della candidatura. La disposizione non si applica ai magistrati in servizio presso le giurisdizioni superiori (art. 8 del TU per l’elezione della Camera- DPR n. 361/1957, applicabile al Senato in virtù del richiamo dell’art. 5 del TU per l’elezione del Senato-D.Lgs. n. 533/1993).

Si ricorda che, in via generale, la ratio sottesa alle ipotesi di ineleggibilità è da individuarsi nella volontà di prevenire che il candidato ponga in essere, in ragione della carica ricoperta o delle funzioni svolte, indebite pressioni sugli elettori esercitando una captatio benevolentiae o inducendo un metus publicae potestatis, idonei ad alterare la par condicio tra i candidati (cfr. sentenze della Corte costituzionale n. 217 del 2006 e n. 257/2010).

 

Rispetto alla disciplina attualmente vigente per le elezioni politiche, la disposizione in esame:

§  prevede una incandidabilità e non un’ineleggibilità;

§  estende la disciplina alle elezioni europee;

§  eleva da 6 mesi a 5 anni il periodo in cui il magistrato non deve aver prestato servizio nel territorio di riferimento;

§  estende l’incandidabilità a tutto il territorio regionale;

§  sembra estendere la disciplina ai magistrati delle giurisdizioni superiori.

 

L’introduzione di una fattispecie di incandidabilità comporta la preclusione della possibilità di presentare la candidatura, essendo l’incandidabilità rilevata dagli uffici elettorali in sede di vaglio sull’ammissione delle liste. L’ineleggibilità prevista dalla normativa vigente non impedisce invece la candidatura, ma esplica i suoi effetti ex post, dopo lo svolgimento delle elezioni (per le elezioni politiche le ineleggibilità sono rilevate in sede di verifica dei poteri da parte delle Camere ex art. 66 Cost.; per le elezioni amministrative il  TUEL (artt. 69 e 70) prevede una procedura di contestazione nell’ambito del consiglio, cui si aggiunge l’accertamento in sede giurisdizionale, anche con azione popolare).

 

Si ricorda in proposito che la Corte costituzionale, nella sentenza n. 84 del 2006, ha sottolineato alcune problematiche sollevate dalla normativa che “consente di rilevare l'esistenza di cause di ineleggibilità – nonostante che queste siano intese a garantire la pari opportunità fra i concorrenti – soltanto dopo lo svolgimento delle elezioni”. Secondo la Corte, “si tratta di una normativa evidentemente incongrua: non assicura la genuinità della competizione elettorale, nel caso in cui l'ineleggibilità sia successivamente accertata; induce il cittadino a candidarsi violando la norma che, in asserito contrasto con la Costituzione, ne preveda l'ineleggibilità; non consente che le cause di ineleggibilità emergano, come quelle di incandidabilità, in sede di presentazione delle liste agli uffici elettorali.”

Questo orientamento è stato ribadito nella successiva sentenza n. 257 del 2010, la quale ha peraltro ritenuto che “spetta esclusivamente al Parlamento valutare, sulla base della ragionevolezza e con scelte di carattere certamente politico, le diverse ipotesi e […] graduare il trattamento normativo più appropriato e proporzionato.”

 

Con riferimento ai magistrati delle giurisdizioni superiori (quali Cassazione, Consiglio di Stato…), la disposizione in esame, a differenza della normativa vigente, non prevede l’inapplicabilità della disciplina.

Da ciò dovrebbe conseguire che quando, come di norma accade, la competenza della giurisdizione superiore si estende su tutto il territorio nazionale, per questi magistrati viene introdotta un’incandidabilità riferita a tutto il territorio nazionale.

 

Si osserva che questa interpretazione – frutto del testo della proposta di legge – non si concilia con quanto disposto dai successivi articoli 5 e 6 che disciplinano il ricollocamento in ruolo dopo le elezioni ed eventualmente il mandato elettorale dei magistrati già in servizio presso le giurisdizioni superiori, individuate nella Corte di cassazione, nel Consiglio di Stato, nella Corte dei Conti centrale e nella Corte militare d’appello, oltre che nella Direzione nazione antimafia.

 

Il comma 1 disciplina poi i casi di incandidabilità dei magistrati alle elezioni provinciali e di divieto di assunzione dell’incarico di assessore provinciale (secondo periodo).

In particolare, i magistrati non possono essere candidati per l'elezione alle cariche di presidente della provincia e di consigliere provinciale o assumere l'incarico di assessore provinciale se prestano servizio, o lo hanno prestato nei cinque anni precedenti la data di accettazione della candidatura o di assunzione dell'incarico, presso sedi o uffici giudiziari con competenza ricadente, in tutto o in parte, nel territorio della provincia stessa o di quelle limitrofe.

 

La disposizione deve essere valutata alla luce della nuova disciplina in tema di città metropolitane e province dettata dalla legge n. 56/2014, che prevede l’elezione di secondo grado degli organi metropolitani e provinciali.

 

La legge n. 56/2014 prevede l’istituzione di 9 città metropolitane (Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria), oltre a quella di Roma capitale, che subentrano alle omonime province dal 1° gennaio 2015.

Organi della città metropolitana sono il sindaco metropolitano, il consiglio metropolitano e la conferenza metropolitana. Il sindaco metropolitano è di diritto il sindaco del comune capoluogo. Il consiglio metropolitano è organo elettivo di secondo grado; hanno diritto di elettorato attivo e passivo i sindaci e i consiglieri dei comuni della città metropolitana. La conferenza metropolitana, che ha poteri statutari e poteri consultivi in materia di bilancio, è invece composta da tutti i sindaci dei comuni della città metropolitana. Lo statuto della città metropolitana può inoltre prevedere, al ricorrere di determinati presupposti, l'elezione diretta a suffragio universale del sindaco e del consiglio metropolitano.

La medesima legge n. 56 dispone altresì, nelle more della riforma costituzionale del Titolo V, il riordino delle province. La nuova organizzazione dell’ente ricalca quella appena esaminata della città metropolitana, prevedendo quali organi della provincia il presidente, il consiglio provinciale e l'assemblea dei sindaci. Sono eleggibili alla carica di presidente della provincia i sindaci della provincia il cui mandato scada non prima di 18 mesi dalla data delle elezioni; hanno diritto di elettorato attivo i sindaci e i consiglieri dei comuni della provincia. Il consiglio provinciale è organo elettivo di secondo grado, per il quale hanno diritto di elettorato attivo e passivo i sindaci e i consiglieri comunali della provincia.

Sia nelle città metropolitane che nelle province la cessazione dalla carica comunale comporta la decadenza dalla carica provinciale.

 

Nella nuova disciplina la carica elettiva metropolitana o provinciale presuppone necessariamente una carica elettiva comunale e quindi ricade indirettamente nelle ipotesi di incandidabilità alle cariche comunali (su cui v. infra). Si rileva peraltro che l’ambito territoriale cui si applica l’incandidabilità alle elezioni provinciali è più ampio di quello delle elezioni comunali (in quanto comprende non solo la provincia in cui il magistrato ha svolto le funzioni, ma anche le province limitrofe). Per le città metropolitane, inoltre, è possibile l’introduzione dell’elezione diretta.

La disposizione dovrebbe comunque essere integrata con il riferimento alle cariche di sindaco metropolitano e consigliere metropolitano.

Per quanto riguarda l’incarico di assessore provinciale, questa carica non è più prevista nel nuovo ordinamento. Essa peraltro permane fino alla piena applicazione del riordino, che – per le province non commissariate e i cui organi non scadono nel 2014 - si avrà alla scadenza degli organi provinciali attualmente in carica.

 

Il comma 1 disciplina infine i casi di incandidabilità dei magistrati alle elezioni comunali e circoscrizionali e di divieto di assunzione dell’incarico di assessore comunale (terzo periodo).

Anche in tal caso i magistrati non possono essere candidati per l'elezione alle cariche di sindaco, di consigliere comunale e di consigliere circoscrizionale o assumere l'incarico di assessore comunale se prestano servizio, o lo hanno prestato, nei cinque anni precedenti la data di accettazione della candidatura o di assunzione dell'incarico, presso sedi o uffici giudiziari con competenza ricadente, in tutto o in parte, nel territorio della provincia in cui è compreso il comune.

 

La materia è attualmente disciplinata dal testo unico degli enti locali-TUEL (D.L. n. 267/2000), che prevede che non sono eleggibili a sindaco, presidente della provincia, consigliere comunale, consigliere metropolitano, provinciale e circoscrizionale nel territorio nel quale esercitano le loro funzioni i magistrati addetti alle corti di appello, ai tribunali, ai tribunali amministrativi regionali, nonché i giudici di pace (art. 60, primo comma, n. 6), TUEL).

La causa di ineleggibilità non ha effetto se l'interessato cessa dalle funzioni per dimissioni, trasferimento, revoca, collocamento in aspettativa non retribuita non oltre il giorno fissato per la presentazione delle candidature (art. 60, comma 3).

 

Dunque, rispetto alla disciplina attualmente vigente per le elezioni provinciali e comunali, la disposizione in esame:

§  prevede una incandidabilità e non un’ineleggibilità;

§  estende l’incandidabilità a tutti i magistrati;

§  introduce un periodo di 5 anni in cui il magistrato non deve aver prestato servizio nel territorio di riferimento (per la disciplina vigente è sufficiente cessare dalle funzioni al momento della presentazione delle candidature);

§  estende l’ambito territoriale in cui vige l’incandidabilità;

§  introduce il divieto di assumere l’incarico di assessore nell’ente locale.

 

Si ricorda che il Consiglio superiore della magistratura ha adottato, il 28 aprile 2010 una risoluzione in materia di partecipazione dei magistrati al governo degli enti locali.

Il CSM ricorda che, secondo la giurisprudenza costituzionale, “i magistrati, per dettato costituzionale (artt. 101, secondo comma, e 104, primo comma, Cost.), debbono essere imparziali ed indipendenti e tali valori vanno tutelati non solo con specifico riferimento al concreto esercizio delle funzioni giudiziarie, ma anche come regola deontologica da osservarsi in ogni comportamento al fine di evitare che possa fondatamente dubitarsi della loro indipendenza ed imparzialità” (sentenza n. 224/2009).

Sulla scorta di questa premessa, il CSM formula una serie di proposte di modifiche legislative volte a tutelare pienamente l’autonomia e l’indipendenza della magistratura.

Secondo la risoluzione, “al fine sia di preservare adeguatamente l’immagine di imparzialità sia di evitare pretestuose strumentalizzazioni dell’attività giudiziaria svolta, sembra indispensabile che i magistrati non si candidino nelle circoscrizioni sottoposte, in tutto o in parte, alla giurisdizione degli uffici ai quali si sono trovati assegnati o presso i quali hanno esercitato le loro funzioni per un congruo periodo antecedente la data di accettazione della candidatura.

 

Il comma 2 prevede che non sono in ogni caso candidabili i magistrati che, all'atto dell'accettazione della candidatura, non siano in aspettativa da almeno sei mesi.

In caso di scioglimento anticipato delle Camere o di elezioni suppletive, e nel caso di scioglimento anticipato del consiglio provinciale o comunale, non sono candidabili i magistrati che non siano in aspettativa all'atto di accettazione della candidatura.

La disposizione dovrebbe essere integrata con il riferimento al consiglio metropolitano, organo introdotto dalla legge n. 56 del 2014.

 

Secondo la normativa vigente, invece, come si è visto sopra, per le elezioni politiche i magistrati devono trovarsi – come regola generale - in aspettativa al momento dell’accettazione della candidatura.

Per le elezioni europee e le elezioni amministrative, non è invece attualmente previsto il collocamento obbligatorio in aspettativa. Per le elezioni amministrative, il collocamento in aspettativa avviene obbligatoriamente solo per le elezioni nel territorio in cui il magistrato esercita la funzioni giurisdizionali, applicandosi, in caso di mancata cessazione delle funzioni, l’ineleggibilità.

È dunque possibile che i magistrati svolgano contemporaneamente funzioni giurisdizionali e funzioni politico-amministrative in forza di mandato elettorale o di incarico di assessore quando la funzione politico-amministrativa e la funzione giurisdizionale siano svolte in diversi ambiti territoriali.

 

Il comma 3 specifica che le esaminate disposizioni sull’incandidabilità e sull’obbligo di aspettativa non si applicano nel caso in cui i magistrati abbiano cessato di appartenere ai rispettivi ordini giudiziari (ad esempio, per pensionamento o dimissioni).

 

 

Parere del Consiglio superiore della magistratura

Comma 1

Il parere analizza una norma ancora in itinere, diversa da quella poi approvata dal Senato.

Comma 2

«La disposizione potrebbe rappresentare un ostacolo pratico alla effettiva candidatura e quindi all’esercizio del diritto all’elettorato passivo da parte dei magistrati. Per la elezione alla Camera dei Deputati, ad esempio, la legge prevede che “Le liste dei candidati devono essere presentate, per ciascuna Circoscrizione, alla Cancelleria della Corte di appello o del Tribunale indicati nella Tabella A, allegata al presente testo unico, dalle ore 8 del trentacinquesimo giorno alle ore 20 del trentaquattresimo giorno antecedenti quello della votazione..... Insieme con le liste dei candidati devono essere presentati gli atti di accettazione delle candidature” (art. 20 D.P.R. 361/57). Per le elezioni comunali, il D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570 Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli Organi delle Amministrazioni comunali all’art. 28 consente la presentazione delle candidature, con relativa accettazione, tra il trentesimo ed il ventinovesimo giorno antecedente le votazioni. L’esperienza pratica consente di affermare che normalmente la scelta delle candidature da parte dei proponenti non è effettuata in via definitiva in un termine così anticipato rispetto alle elezioni. E’ difficile immaginare che, in concreto, il magistrato sia indotto a rinunciare alle proprie funzioni con tanto anticipo, in dipendenza di un evento che, a tale distanza cronologica dalle votazioni, si presenta come futuro ed incerto».


 

Art. 2
(Aspettativa per incarichi di governo e di assessore negli enti locali)

L’articolo 2 introduce il divieto di assumere incarichi di governo nazionali o l’incarico di assessore provinciale o comunale per i magistrati che non siano collocati in aspettativa. La disposizione non si applica ai magistrati onorari per i quali dispone, solo in parte, l’art. 10 della proposta di legge (v. infra).

 

Gli incarichi di governo nazionali sono quelli di Presidente del Consiglio, vicepresidente del consiglio, ministro, viceministro e sottosegretario di Stato.

Per gli incarichi di sindaco e presidente di provincia dispone già l’art. 1 della proposta di legge, che impone l’aspettativa all’atto di accettazione della candidatura.

 

Si ricorda che attualmente è previsto il collocamento fuori ruolo di diritto ovvero il collocamento in aspettativa per gli appartenenti alle magistrature ordinaria e speciali chiamati a ricoprire incarichi di Governo nazionale. La legge n. 215 del 2004 (Norme in materia di risoluzione dei conflitti di interessi) stabilisce (art. 2, comma 5) che nell'ipotesi dell'assunzione di incarichi di Governo nazionale, i dipendenti pubblici e privati sono collocati in aspettativa.

 

Per quanto riguarda gli organi di governo locale, ovvero i sindaci, i presidenti delle province, i presidenti dei consigli comunali e provinciali, i presidenti dei consigli circoscrizionali, nonché i membri delle giunte di comuni e province, l’art. 81 del TUEL (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali) prevede che se la carica è rivestita da un lavoratore dipendente questi possa essere collocato a richiesta in aspettativa non retribuita per tutto il periodo di espletamento del mandato. Per gli enti locali, dunque, al momento l’aspettativa è facoltativa.

Sul punto, come si è già sottolineato (v. sopra, Quadro normativo), il CSM nel suo parere ha affermato che «Non sussistono cause di ineleggibilità o di incompatibilità nei casi in cui il magistrato sia eletto o nominato assessore nell’ambito di circoscrizione o di giunta locale situata fuori dal territorio ove esercita le funzioni giurisdizionali, in tal caso l’assunzione di funzioni amministrative che non importi la rimozione di causa di ineleggibilità di cui all’art. 60, n. 6, D.Lgs. n. 227/00 non determina la necessità di alcun atto autorizzatorio da parte del Consiglio né, tantomeno, è prevista alcuna comunicazione da effettuarsi ad opera del magistrato. […] Ciò impedisce una ricognizione circa il numero dei magistrati impegnati contemporaneamente in funzioni giurisdizionali ed in funzioni politico-amministrative».

Diversa appare la posizione del Consiglio di Stato che con la sentenza n. 3795 del 22 giugno 2011, resa dalla IV sezione, ha affrontato la vicenda di un magistrato amministrativo al quale il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa aveva negato l'autorizzazione ad assumere l'incarico di assessore su nomina del Sindaco di Catania. Il Consiglio di Stato, ha evidenziato una differenza ontologica tra mandato elettivo ed incarico di assessore esterno; tale differenza risiede nella legittimazione da parte del corpo elettorale, nel primo caso, e in un rapporto fiduciario col Sindaco, nel secondo. La genesi, l'estinzione e l'investitura assessorile, infatti, non possono ricondursi alla volontà popolare, ma a quella del primo cittadino. Pertanto, l'assunzione della carica di assessore esterno non è espressione del diritto di elettorato passivo onde, se l'incarico è affidato un pubblico dipendente, esso soggiace al regime generale di autorizzazione degli incarichi esulanti dai compiti e doveri di ufficio, ex art. 53, d.lgs. n. 165/2001.

La IV Sezione ha rilevato poi che il criterio cardinale per l'esercizio del potere di autorizzazione è quello dell'interesse al buon andamento della p.a. il quale, rapportato alla magistratura amministrativa, è quello di tutelare l'indipendenza e l'autonomia di quest'ultima, nonché l'immagine di terzietà ed imparzialità di ciascun magistrato e dell'organismo nel suo complesso. Conformemente a detto criterio (ex art. 2, c. 3, d.P.R. n. 418/1993), vanno valutati la natura e il tipo di incarico, il suo fondamento normativo, la compatibilità con l'attività di istituto, anche sotto il profilo della durata dell'incarico medesimo e dell'impegno richiesto, l'adeguatezza dell'incarico alla qualificazione e al prestigio del magistrato, nonché ai profili di opportunità dello svolgimento dell'incarico stesso, in relazione all'eventuale pregiudizio che possa derivarne al prestigio e all'immagine del magistrato, tenendo conto a tal fine delle situazioni locali. Nel caso di specie, il Consiglio di Presidenza, senza aver ravvisato una generale incompatibilità tra i due ruoli, ha legittimamente motivato le ragioni del diniego dell'autorizzazione per la vicinanza delle sedi, la natura ed estensione delle deleghe e per la gravosità dell'impegno.

 

Parere del Consiglio superiore della magistratura

«L’imposizione di aspettativa obbligatoria anche per gli incarichi presso enti locali, deve essere salutata con estremo favore, corrispondendo agli auspici più volte manifestati in maniera esplicita dallo stesso Consiglio superiore della magistratura, a tutela dell’immagine di imparzialità ed autonomia dell’esercizio della giurisdizione[5]».

 


 

Art. 3
(Dichiarazione di non versare in condizioni di
incandidabilità per gli organi elettivi degli enti territoriali)

L’articolo 3 disciplina l’accertamento dell’incandidabilità agli organi elettivi degli enti territoriali.

 

Il comma 1 prevede che la dichiarazione di accettazione della candidatura agli organi elettivi degli enti territoriali da parte di magistrati è corredata da una dichiarazione sostitutiva (cd. autocertificazione) attestante l'insussistenza delle condizioni di incandidabilità di cui alla legge in commento, resa ai sensi della normativa vigente (art. 46 DPR n. 445/2000). Sono fatte salve le violazioni di natura penale.

La disposizione riprende in toto la disciplina attualmente prevista per le altre cause di incandidabilità alle elezioni amministrative previste dal testo unico in materia di incandidabilità (art. 12 D.Lgs. n. 235/2012).

 

Ai sensi del comma 2, l'accertamento dell'incandidabilità è svolto, in occasione della presentazione delle liste dei candidati ed entro il termine per la loro ammissione, ai sensi del testo unico in materia di incandidabilità (D.Lgs. n. 235/2012).

 

L’art. 12, comma 2, del testo unico (D.Lgs. n. 235/2012) prevede che gli uffici preposti all'esame delle liste dei candidati, entro il termine per la loro ammissione, cancellano dalle liste stesse i candidati per i quali manca la dichiarazione sostitutiva e dei candidati per i quali venga comunque accertata, dagli atti o documenti in possesso dell'ufficio, la sussistenza di alcuna delle condizioni di incandidabilità.

 

Si osserva che l’articolo 3 sembra riferirsi unicamente, come risulta anche dalla rubrica, all’incandidabilità per le elezioni degli enti territoriali, senza disciplinare l’accertamento dell’incandidabilità alle elezioni politiche ed europee.

La materia è disciplinata, per le elezioni politiche, dagli articoli 2 e 3 e, per le elezioni europee,  dall’articolo 5 del testo unico in materia di incandidabilità.

Si potrebbe pertanto valutare l’esigenza di richiamare espressamente le disposizioni del testo unico applicabili ai fini dell’accertamento delle incandidabilità alle elezioni politiche ed europee.

 

Il testo unico in materia di incandidabilità prevede in particolare:

·             l’art. 2 stabilisce che l'accertamento della condizione di incandidabilità alle elezioni della Camera e del Senato comporta la cancellazione dalla lista dei candidati. L'accertamento dell'incandidabilità è svolto, in occasione della presentazione delle liste dei candidati ed entro il termine per la loro ammissione, dagli uffici elettorali sulla delle dichiarazioni sostitutive (cd. autocertificazioni) attestanti l'insussistenza della condizione di incandidabilità conseguente alle sentenza definitive di condanna indicate dal testo unico. Gli stessi uffici accertano d'ufficio la condizione di incandidabilità anche sulla base di atti o documenti di cui vengano comunque in possesso. Qualora la condizione di incandidabilità sopravvenga o sia accertata successivamente alle operazioni di ammissione delle liste e prima della proclamazione degli eletti, l'ufficio elettorale procede alla dichiarazione di mancata proclamazione nei confronti del soggetto incandidabile;

·             l’art. 3 disciplina l’incandidabilità sopravvenuta nel corso del mandato elettivo parlamentare, prevedendo che in tal caso la Camera di appartenenza delibera in sede di verifica dei poteri, a norma dell’art. 66 Cost.;

·             l’art. 5 disciplina l’incandidabilità alle elezioni europee, dettando una disciplina del tutto analoga a quella già esaminata per le elezioni politiche per l’accertamento dell’incandidabilità fino alla proclamazione degli eletti. L’incandidabilità sopravvenuta o accertata successivamente alla proclamazione è rilevata dall'ufficio elettorale nazionale, che delibera la decadenza dalla carica.

 

 

 

 


 

Art. 4
(Status dei magistrati in costanza di mandato o di incarico di governo)

 

L’articolo 4 stabilisce che durante il mandato elettivo – tanto nazionale quanto locale – e durante lo svolgimento di incarichi di governo – tanto nazionali quanto locali – il magistrato deve obbligatoriamente trovarsi in aspettativa, in posizione di fuori ruolo.

L’aspettativa è computata a tutti gli effetti ai fini pensionistici e dell’anzianità di servizio.

 

Si ricorda che attualmente, ai magistrati eletti alla Camera dei deputati o al Senato, si applicano le disposizioni dell’art. 88 del D.P.R. 361/1957, in base al quale i dipendenti pubblici che siano eletti deputati o senatori, sono collocati d'ufficio in aspettativa per tutta la durata del mandato parlamentare. Il dipendente collocato in aspettativa per mandato parlamentare non può, per tutta la durata del mandato stesso, conseguire promozioni se non per anzianità. Allo stesso sono regolarmente attribuiti, alla scadenza normale, gli aumenti periodici di stipendio. Nei confronti del parlamentare dipendente o pensionato che non ha potuto conseguire promozioni di merito a causa del divieto di cui al comma precedente, è adottato, all'atto della cessazione, per qualsiasi motivo, dal mandato parlamentare, provvedimento di ricostruzione di carriera con inquadramento anche in soprannumero. Il periodo trascorso in aspettativa per mandato parlamentare è considerato a tutti gli effetti periodo di attività di servizio ed è computato per intero ai fini della progressione in carriera, dell'attribuzione degli aumenti periodici di stipendio e del trattamento di quiescenza e di previdenza.

 

Quanto al trattamento economico, la proposta di legge prevede che il magistrato possa scegliere tra:

-        la conservazione del trattamento economico in godimento in magistratura, senza possibile cumulo con altra indennità;

-        la corresponsione della sola indennità di carica.

 

La disposizione è analoga a quella attualmente in vigore - art. 68 del TU pubblico impiego (d.lgs n. 165 del 2001) - che consente ai magistrati eletti parlamentari nazionali o consiglieri regionali, la conservazione, in luogo dell'indennità parlamentare e dell'analoga indennità corrisposta ai consiglieri regionali, del trattamento economico in godimento presso l'amministrazione di appartenenza, che resta a carico della medesima.

La disposizione aggiunge che il periodo di aspettativa è utile ai fini dell'anzianità di servizio e del trattamento di quiescenza e di previdenza.

 

La proposta di legge all’esame delle Commissioni non interviene sul tema delle verifiche di professionalità del magistrato in aspettativa per mandato elettorale o incarico di governo. Si tratta di un tema sul quale si sofferma ampiamente il parere del Consiglio superiore della magistratura.

Parere del Consiglio superiore della magistratura

«In materia di status dei magistrati in aspettativa per incarichi politici o amministrativi, elettivi o di governo a livello nazionale o presso enti locali si ritiene opportuno segnalare al legislatore la necessità di intervenire in materia di valutazione di professionalità degli stessi ai fini dei connessi avanzamenti in carriera.

Come è noto, la riforma dell’ordinamento giudiziario – segnatamente il D.Lgs.vo 160/2006, attuativo della delega di cui alla legge 150/2005 – ha radicalmente innovato la disciplina della carriera del personale di magistratura, abrogando il sistema di progressione articolato attraverso le qualifiche – uditore giudiziario, magistrato di tribunale, di appello, di Cassazione ed idoneo alle funzioni direttive giudiziarie – sostituendolo con un percorso professionale unitario ed omogeneo, scandito da valutazioni in ordine alla permanenza dei requisiti di idoneità alla funzione condotte per tutto il corso della carriera, fino al raggiungimento del ventottesimo anno di anzianità, con una periodicità quadriennale costante. Lo scopo perseguito dal legislatore è stato quello di realizzare un sistema più stringente e puntuale di verifica della adeguatezza professionale dei magistrati articolando valutazioni maggiormente ripetute e frequenti rispetto a quanto previsto dalla legislazione previgente.

Dal conseguimento delle successive valutazioni di professionalità dipende anche la progressione economica della retribuzione percepita dal magistrato – a sua volta organizzata per classi stipendiali –, nonché la valutazione di astratta idoneità ad accedere a particolari funzioni.

Ora, l’art. 11 del D.Lg 160/06 stabilisce che “Tutti i magistrati sono sottoposti a valutazione di professionalità ogni quadriennio a decorrere dalla data di nomina fino al superamento della settima valutazione di professionalità”; la legge definisce l’oggetto ed i criteri di valutazione della professionalità demandando alla normativa secondaria l’individuazione dei parametri e degli elementi rilevanti[6].

I parametri ed i criteri di valutazione sono ovviamente modellati con specifico riferimento alla qualità e quantità dell’attività giudiziaria[7]. D’altra parte, occorre considerare che l’art. 11 del D.Lgs.vo n. 160/2006 al comma 16 prevede che “I parametri contenuti nel comma 2 si applicano anche per la valutazione di professionalità concernente i magistrati fuori ruolo. Il giudizio è espresso dal Consiglio superiore della magistratura, acquisito, per i magistrati in servizio presso il Ministero della giustizia, il parere del Consiglio di amministrazione, composto dal presidente e dai soli membri che appartengano all’Ordine giudiziario, o il parere del Consiglio giudiziario presso la Corte d’appello di Roma per tutti gli altri magistrati in posizione di fuori ruolo, compresi quelli in servizio all’estero. Il parere è espresso sulla base della relazione dell’autorità presso cui gli stessi svolgono servizio, illustrativa dell’attività svolta, e di ogni altra documentazione che l’interessato ritiene utile produrre, purché attinenti alla professionalità, che dimostri l’attività in concreto svolta”.

A tale disposizione primaria è stata data esecuzione con la previsione del capo VI della circolare sulle valutazioni di professionalità, in base al quale: “1. Le disposizioni che precedono si applicano anche ai magistrati destinati a funzioni non giudiziarie, in quanto compatibili, ivi compresi coloro per i quali il parere è formulato dal Consiglio di amministrazione del Ministero della Giustizia. 2. Il parere è espresso sulla base della relazione dell’Autorità presso cui gli stessi svolgono servizio, illustrativa dell’attività svolta, e di ogni altra documentazione che l’interessato ritiene utile produrre, purché attinente alla professionalità e che dimostri l’attività in concreto svolta.”

La norma si riferisce a tutte le ipotesi in cui il magistrato si trovi in collocamento fuori ruolo e, quindi, anche a quelle in cui esso sia stato determinato da aspettativa.

Così, nella prassi consiliare, sono collocati fuori dal ruolo organico i magistrati in aspettativa per mandato parlamentare o amministrativo.

La conseguenza è che per il magistrato in aspettativa a seguito di elezione al Parlamento o in enti territoriali, il Consiglio ha sempre dovuto procedere alla valutazione professionale riferendola all’attività compiuta nella sede diversa da quella giudiziaria in cui ha operato, sulla base delle risultanze offerte dall’autorelazione dell’interessato e delle informazioni fornite dagli Organi rappresentativi dell’ente – Presidenza del ramo del Parlamento.

E’ doveroso segnalare la scarsa compatibilità della valutazione professionale, rigorosamente disciplinata, per procedura, parametri e criteri di giudizio, selezione degli elementi rilevanti e delle fonti di conoscenza, con l’attività condotta dagli stessi presso Organi di rappresentanza o di governo politico ed amministrativo, profondamente eterogenea per contesto, finalità e modalità in quanto espressione di un indirizzo politico non imparziale.

Sarebbe, quindi, estremamente opportuno che il legislatore cogliesse l’occasione per adattare la disciplina delle valutazioni di professionalità alle specificità dell’attività politica e di governo esercitata dai magistrati, distinguendola – nel merito e nel metodo - da quella applicabile a coloro che esercitano effettivamente le funzioni giudiziarie».

 


 

Art. 5
(Ricollocamento dei magistrati candidati e non eletti)

L’articolo 5 disciplina il ricollocamento in ruolo dei magistrati che si siano candidati alle elezioni europee, politiche o amministrative, senza essere eletti.

In generale la disposizione – che si applica ai magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari (e dunque non anche alla magistratura onoraria) - afferma i seguenti principi:

-        i magistrati sono ricollocati nel ruolo di provenienza;

-        i magistrati ricollocati per 5 anni possono svolgere esclusivamente funzioni giudicanti collegiali;

-        i magistrati ricollocati per 5 anni non possono coprire incarichi direttivi o semidirettivi.

 

Quanto alla sede presso la quale potranno svolgere le funzioni giudicanti collegiali, l’art. 5 così dispone:

 

Magistrato candidato al Parlamento europeo, al Senato o alla Camera, e non eletto (commi 1-2, 4-5)

Magistrato in servizio presso i collegi giudicanti delle giurisdizioni superiori (Corte di cassazione, consiglio di Stato, Corte dei conti centrale, Corte militare d’appello)

Ricollocato nell’ufficio di provenienza, con vincolo di esercizio di funzioni collegiali per 5 anni. Per 5 anni non può ricoprire incarichi direttivi o semidirettivi.

Magistrato in servizio presso le procure generali delle giurisdizioni superiori (Corte di cassazione, consiglio di Stato, Corte dei conti centrale, Corte militare d’appello) e presso la DNA

Ricollocato presso i collegi giudicanti della giurisdizione superiore per almeno 5 anni. Per 5 anni non può ricoprire incarichi direttivi o semidirettivi.

Ogni altro magistrato

Ricollocato nel ruolo di provenienza, con vincolo di esercizio per 5 anni di funzioni giudicanti collegiali. Per 5 anni non potrà essere assegnato ad un ufficio con competenza sul territorio della regione compresa – anche in parte – nella circoscrizione elettorale nella quale ha presentato la candidatura. Per 5 anni non può ricoprire incarichi direttivi o semidirettivi.

 

La proposta di legge esclude l’esercizio delle funzioni giudiziarie nella regione interessata dalla presentazione della candidatura. Rispetto al testo vigente, che esclude l’esercizio delle funzioni per un periodo di 5 anni «nella circoscrizione nel cui ambito si sono svolte le elezioni», viene ampliata l’area nella quale il magistrato non può essere ricollocato. Solo per fare un esempio, se oggi il magistrato candidato in Lombardia 3 (province di Cremona, Lodi, Mantova e Pavia) può in caso di mancata elezione svolgere funzioni giudiziarie al tribunale di Milano, rientrante in altra circoscrizione elettorale, così non sarebbe in base al testo approvato dal Senato.

Ciò comporta, per le elezioni europee, caratterizzate da collegi pluriregionali, l’impossibilità di svolgere funzioni giudiziarie in un’area ancor più estesa. Dal momento che il sistema di elezione al Parlamento europeo consente candidature plurime, si potrebbe in teoria dare il caso in cui un magistrato sia candidato in tutte le circoscrizioni elettorali e dunque risulti poi impossibilitato a rientrare in servizio in qualsiasi ufficio giudiziario nazionale.

 

Si osserva che la proposta di legge non chiarisce la sorte dei magistrati in servizio presso la Corte di Cassazione ma non assegnati né a collegi giudicanti né alla procura. Tale è il caso dei magistrati dell’ufficio del Massimario e del ruolo.

 

 

Magistrato candidato alle elezioni amministrative (Provincia, Comune o Circoscrizione) (commi 3-5)

Ogni magistrato

Ricollocato nel ruolo di provenienza, con vincolo di esercizio per 5 anni di funzioni giudicanti collegiali. Per 5 anni non potrà essere assegnato ad un ufficio del distretto di corte d’appello con competenza sul territorio della provincia o del comune nel quale ha presentato la candidatura. Per 5 anni non può ricoprire incarichi direttivi o semidirettivi.

 

La proposta di legge adotta per la mancata elezione alla provincia e al comune il criterio del vincolo del distretto di corte d’appello, in luogo di quello regionale.

Generalmente il distretto di Corte d’appello coincide con il territorio della regione. Ma ciò non è sempre vero, basti considerare, ad esempio, il distretto di Corte d’appello di Torino, che copre anche i comuni della Valle d’Aosta, o al distretto di Corte d’appello di Brescia, che non copre tutta la Lombardia, ma solo le province di Brescia, Bergamo, Crema, Cremona e Mantova.

L’utilizzo di criteri distinti a seconda del tipo di elezione potrebbe comportare che, se un magistrato si candida alla Camera in Piemonte, in caso di mancata elezione potrebbe esercitare funzioni giudiziarie ad Aosta, mentre se si candida al consiglio provinciale di Vercelli, in caso di mancata elezione non potrebbe esercitare in tutto il distretto della Corte d’appello di Torino, e dunque neanche in Valle d’Aosta.

 

Il legislatore non chiarisce la posizione dei magistrati in servizio presso le giurisdizioni superiori, che parrebbero dunque poter tornare a svolgere la propria funzione. Il comma 4, relativo al vincolo della funzione giudicante collegiale per 5 anni non dovrebbe potersi applicare in quanto la disposizione disciplina il “ricollocamento in ruolo ai sensi dei commi precedenti”. Potrebbe invece applicarsi loro il divieto di ricoprire incarichi direttivi o semidirettivi, espresso in generale per tutti i ricollocamenti in ruolo dal comma 5.

 

L’articolo 5 non disciplina il ricollocamento in ruolo dei magistrati candidati alle elezioni regionali. Tutta la materia delle elezioni regionali è infatti circoscritta all’articolo 11 della proposta di legge (v. infra).

 

 

Parere del Consiglio superiore della magistratura

«L’iniziativa legislativa in esame si caratterizza, in argomento, per la significatività degli effetti riconnessi alla mera proposizione di una candidatura, non accompagnata dal successivo espletamento del mandato politico o amministrativo[8], che, ove pure avvenuta in territorio diverso da quello ove il magistrato ha esercitato le funzioni, si assume averne pregiudicato l’immagine di terzietà, indipendenza ed imparzialità in misura così elevata da precludergli, per un torno di tempo assai significativo, l’esercizio monocratico delle funzioni giudicanti oltre a quello delle funzioni requirenti, con rimarchevoli conseguenze in termini di professionalità del magistrato e, più ancora, di funzionalità degli uffici.

Non pare essere stata vagliata, per altro verso, la possibilità di circoscrivere il divieto di esercizio delle funzioni giudicanti monocratiche a quelle GIP\GUP che, all’interno della categoria, si distinguono per la notevole visibilità esterna in relazione alla tipologia di affari trattati afferenti alla libertà personale e per l’eventuale impulso coercitivo nei confronti dello stesso pubblico ministero, a cui può essere imposto, in positivo, l’esercizio dell’azione penale.

Similmente, potrebbe essere considerata l’opportunità di precludere al magistrato candidato e non eletto – così come a quello che, al contrario abbia conseguito l’elezione – l’esercizio, all’indomani del ricollocamento in ruolo, di funzioni civili di particolare delicatezza, quali quella di giudice delegato alle procedure esecutive individuali o con corsuali.

Il comma 5 dell’art. 5 esclude che, per almeno un quinquennio, il magistrato candidato e non eletto possa ricoprire incarichi direttivi o semidirettivi: potrebbe, da un canto, ipotizzarsi che la norma si fondi sul presupposto che il magistrato titolare di incarico direttivo o semidirettivo possieda una maggiore visibilità esterna tale da incrementare il vulnus all’immagine di terzietà derivante dalla spiegata candidatura; dall’altro, l’esclusione del magistrato candidato e non eletto da incarichi direttivi e semidirettivi potrebbe essere ricollegata al pericolo di interferenze tra il complesso di relazioni da lui intessute in occasione dell’impegno politico, ancorché non coronato da successo, e le procedure selettive finalizzate al conferimento degli incarichi in questione. Qualunque sia la ratio legis, eccessiva appare l’estensione temporale del divieto parificata a quella riguardante i magistrati eletti, come più avanti si dirà».

 


 

Art. 6
(Ricollocamento dei magistrati eletti al parlamento europeo o al Senato della Repubblica o alla Camera dei deputati)

L’articolo 6 colma una lacuna attualmente presente nel nostro ordinamento, disciplinando il ricollocamento in ruolo dei magistrati che abbiano svolto il mandato elettorale al Parlamento nazionale o al Parlamento europeo.

In primo luogo la disposizione - che si applica ai magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari (e dunque non anche alla magistratura onoraria) - prevede che alla cessazione del mandato elettorale il magistrato non può tornare a svolgere le funzioni precedenti (comma 1), cioè non può tornare a svolgere le funzioni che svolgeva prima di mettersi in aspettativa per accettare la candidatura.

Si osserva che ai magistrati che esercitavano funzioni giudicanti presso le giurisdizioni superiori il comma 2, lett. a), consente di tornare a svolgere tali funzioni: pare utile chiarire se e in che misura il principio affermato dal comma 1 sia in questo caso derogato (si potrebbe ipotizzare, ad esempio, che il magistrato già assegnato a una sezione della Cassazione debba essere trasferito ad altra sezione).

 

Si aprono per il magistrato che non abbia maturato l’età per il pensionamento obbligatorio le seguenti 4 possibilità (comma 2), tra le quali il magistrato deve scegliere entro 60 giorni dalla cessazione del mandato elettorale (comma 3). Se la scelta non viene effettuata nel rispetto di questi termini, il magistrato si considera cessato dall’ordine giudiziario a seguito di dimissioni (comma 4):

 

1.     Ricollocamento nei ruoli della magistratura ordinaria

 

Il ricollocamento dovrà avvenire nel rispetto dei seguenti limiti (comma 2, lett. a) e regolamento attuativo):

Magistrato già in servizio presso i collegi giudicanti delle giurisdizioni superiori (Corte di cassazione, Consiglio di Stato, Corte dei conti centrale, Corte militare d’appello)

Ricollocato nell’ufficio di provenienza. Per 2 anni non può ricoprire incarichi direttivi o semidirettivi.

Magistrato in servizio presso le procure generali delle giurisdizioni superiori (Corte di cassazione, consiglio di Stato, Corte dei conti centrale, Corte militare d’appello) e presso la DNA

Ricollocato presso un organo giudicante collegiale (non necessariamente della giurisdizione superiore) per almeno 5 anni. Per 5 anni non può ricoprire incarichi direttivi o semidirettivi.

Ogni altro magistrato

·                 escluso l’immediato ricollocamento nelle funzioni svolte prima del mandato elettorale;

·                 escluso l’immediato ricollocamento nel distretto di Corte d’appello nel quale esercitava le funzioni prima del mandato elettorale;

·                 escluso – per sempre - il ricollocamento in tutti i distretti di Corte d’appello con competenza sulla circoscrizione di elezione;

·                 escluse le funzioni requirenti per 5 anni;

·                 escluse le funzioni giudicanti monocratiche per 5 anni;

·                 esclusi gli incarichi direttivi e semidirettivi per 5 anni;

 

Si ricorda che, in base all’art. 10 del decreto legislativo n. 160 del 2006[9], sono funzioni semidirettive di primo grado, le funzioni di:

-        presidente di sezione presso il tribunale ordinario

-        presidente e presidente aggiunto della sezione dei giudici unici per le indagini preliminari

-        procuratore aggiunto presso il tribunale.

Sono funzioni semidirettive elevate di primo grado, le funzioni di:

-        presidente della sezione dei giudici unici per le indagini preliminari negli uffici aventi sede nelle città di cui all’art. 1 del DL 327/1989.

Sono funzioni semidirettive di secondo grado, le funzioni di

-        presidente di sezione presso la corte di appello;

-        avvocato generale presso la corte di appello.

Sono funzioni direttive di primo grado le funzioni di:

-        presidente del tribunale ordinario

-        presidente del tribunale per i minorenni

-        procuratore della Repubblica presso il tribunale ordinario

-        procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni.

Sono funzioni direttive elevate di primo grado le funzioni di:

-        presidente del tribunale ordinario negli uffici aventi sede nelle città di cui all’art. 1 del DL 327/1989

-        presidente dei tribunali di sorveglianza di cui alla tabella A allegata all’ordinamento penitenziario

-        procuratore della Repubblica presso il tribunale ordinario nelle medesime città.

Sono funzioni direttive di secondo grado le funzioni di:

-        presidente della corte di appello

-        procuratore generale presso la corte di appello.

La carriera prosegue poi con le funzioni direttive requirenti di coordinamento nazionale, attribuite al procuratore nazionale antimafia e le funzioni direttive giudicanti di legittimità (presidente di sezione della Corte di cassazione) e le funzioni requirenti di legittimità (avvocato generale presso la Corte di cassazione). Le funzioni direttive superiori giudicanti di legittimità sono quelle di presidente aggiunto della Corte di cassazione e di presidente del Tribunale superiore delle acque pubbliche; le funzioni direttive superiori requirenti di legittimità sono quelle di procuratore generale aggiunto presso la Corte di cassazione. Infine, le funzioni direttive apicali giudicanti di legittimità sono quelle di primo presidente della Corte di cassazione e le funzioni direttive apicali requirenti di legittimità sono quelle di procuratore generale presso la Corte di cassazione.

 

In relazione ai magistrati che svolgevano funzioni giudicanti presso le giurisdizioni superiori, si osserva che la disposizione esclude che possano svolgere funzioni direttive o semidirettive per 2 anni. Diversa e più severa disposizione è prevista dall’art. 5 (v. sopra) per gli stessi magistrati che – una volta candidati – non vengano eletti: per loro infatti le funzioni direttive e semidirettive sono precluse per 5 anni. Inoltre, diversa e più severa disposizione è prevista quando a concludere il mandato elettorale sia un magistrato originariamente in servizio presso la procura di una giurisdizione superiore (5 anni).

Si osserva inoltre che, mentre l’art. 5, comma 1, utilizza come parametro per limitare il ricollocamento in ruolo la regione compresa in tutto o in parte nella circoscrizione elettorale, l’art. 6 adotta il criterio del distretto di Corte d’appello.

Inoltre, mentre per i magistrati in genere si assolutizza il divieto di esercitare funzioni nel distretto di corte d’appello coincidente anche in parte con la circoscrizione elettorale, per i magistrati delle giurisdizioni superiori ciò non è previsto. In ipotesi, dunque, un magistrato di Cassazione può, dopo 2 anni dal ricollocamento, divenire Procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto di corte d’appello nel quale è stato eletto.

In fine pare utile valutare se – nel caso di un magistrato eletto più volte in successione in diverse circoscrizioni elettorali – la disciplina del ricollocamento in ruolo abbia riguardo solo all’ultima elezione in ordine di tempo.

 

2.     Inquadramento in un ruolo autonomo dell’Avvocatura dello Stato (comma 2, lett. b) e regolamento attuativo ex art. 8 comma 1);

3.     inquadramento in un ruolo autonomo del Ministero della giustizia. In questo caso il magistrato non potrà ricoprire incarichi e funzioni assimilabili alle funzioni direttive e semidirettive per almeno 5 anni (comma 2, lett. c), che rinvia al regolamento attuativo ex art. 8 comma 2);

4.     prepensionamento, con contribuzione volontaria interamente a suo carico. Tale opzione, che impone il rispetto del limite degli anni di contribuzione per il trattamento pensionistico di anzianità, è possibile solo se alla pensione mancano massimo 5 anni di servizio (comma 2, lett. d).

 

Parere del Consiglio superiore della magistratura

«Infine, potrebbe essere presa in considerazione – compatibilmente con il dettato costituzionale – anche l’opportunità di individuare un termine massimo di durata del fuori ruolo “politico-amministrativo”, superato il quale sia precluso il ritorno all’esercizio della giurisdizione: il troppo tempo trascorso lontano dall’impegno giudiziario e l’attività politica svolta, infatti, verosimilmente compromettono il bagaglio tecnico, l’habitus mentale e l’immagine di imparzialità necessari per ius dicere. Si tratterebbe, quindi, di prefigurare un transito obbligatorio in ruoli dirigenziali della pubblica amministrazione che, senza pregiudizio per l’interessato, consentano un’adeguata valorizzazione della professionalità e dell’esperienza acquisita».

 

Il venir meno dell’automatismo del ricollocamento in magistratura nelle funzioni svolte, prevedendosi l’obbligo di scegliere tra diverse opzioni (v. sopra), deve essere valutato con riferimento all’art. 51, terzo comma, Cost., in base al quale chi è chiamato a funzioni pubbliche elettive ha diritto di conservare il suo posto di lavoro.

In merito, si ricorda che, nell’unica occasione in cui si espressa riguardo al diritto alla conservazione del posto di lavoro, previsto dal terzo comma dell’art. 51, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 6 del 1960 ha affermato che «L'espressione "conservare il posto di lavoro", usata nell'art. 51 della Costituzione, terzo comma, significa mantenere il rapporto di lavoro o di impiego, non già continuare nell'esercizio delle attività o delle funzioni in cui si concreta la prestazione del lavoratore o dell'impiegato».

 

 


 

Art. 7
(Ricollocamento dei magistrati con incarichi di governo nazionale o locale)

L’articolo 7 disciplina il ricollocamento in ruolo dei magistrati che abbiano svolto incarichi di Governo nazionale e locale.

In particolare, il comma 1 si riferisce al Governo nazionale e dunque alle seguenti cariche:

-        Presidente del Consiglio dei ministri;

-        Vicepresidente del Consiglio dei ministri;

-        Ministro;

-        Viceministro;

-        Sottosegretario di Stato.

La proposta di legge equipara, ai fini del ricollocamento in ruolo, il magistrato che cessa da uno dei suddetti incarichi al magistrato che cessa dal mandato parlamentare nazionale o europeo. L’equiparazione effettuata dal comma 1 comporta che, se era un magistrato a svolgere tali incarichi di governo, avrà a disposizione le 4 possibilità delineate dall’articolo precedente (ricollocamento in magistratura, con i limiti predetti; inquadramento nei ruoli dell’Avvocatura o del Ministero della Giustizia; prepensionamento con contribuzione volontaria).

 

Il comma 2 tratta invece degli incarichi di Governo locale, ovvero del magistrato che sia chiamato a svolgere funzioni di:

-        Assessore provinciale;

-        Assessore comunale.

La disposizione non richiama le figure del sindaco e del presidente di provincia, trattate altrove nel testo (v. art. 9). A tali figure peraltro è equiparato, ai fini del ricollocamento in ruolo, il magistrato che abbia svolto incarichi nelle giunte comunali o provinciali.

 

Si osserva che la proposta di legge non disciplina il ricollocamento in ruolo dei magistrati con incarichi di governo regionale. Tutta la materia delle elezioni regionali è infatti circoscritta all’articolo 11 della proposta di legge (v. infra). Si rileva peraltro che, se il tema dell’eleggibilità del magistrato a presidente di regione, a consigliere regionale nonché la sua nomina ad assessore regionale può essere considerata di competenza legislativa regionale, occorrerebbe valutare se lo stesso possa dirsi per disposizioni quali il ricollocamento in ruolo, che attengono allo status del magistrato, disciplinate a livello statale.

 


 

Art. 8
(Ricostruzione della carriera)

 

L’articolo 8, al comma 1, demanda ad un regolamento ministeriale (art. 17, comma 3, legge 400/1988) adottato dal Presidente del consiglio dei ministri, la disciplina del nuovo ruolo autonomo dell’Avvocatura dello Stato nel quale inquadrare i magistrati cessati da un incarico elettivo nazionale o europeo e, in via transitoria (in base all’art. 12 del d.d.l., v. infra), anche quelli che – in carica alla data di entrata in vigore della legge - cessino da un mandato elettorale locale (provincia, comune, circoscrizione) o da un incarico di governo nazionale, regionale o locale, che abbiano optato per questa soluzione (preferendola al rientro in magistratura, all’inserimento nel ruolo del Ministero della giustizia ovvero al prepensionamento).

Il regolamento dovrà essere emanato entro 6 mesi dall’entrata in vigore della legge e dovrà ricostruire le carriere, tenendo conto della tabella B di equiparazione degli avvocati e procuratori dello Stato ai magistrati dell’ordine giudiziario, allegata al R.D. n. 1611 del 1933[10].

 

Tabella di equiparazione degli avvocati e procuratori dello Stato ai magistrati dell'Ordine giudiziario

Avvocato generale dello Stato

Procuratore generale della Corte di cassazione

Avvocato dello  Stato alla 4ª classe di stipendio

Presidente di sezione della Corte di cassazione

Avvocato dello  Stato alla 3ª classe di stipendio

Consigliere di cassazione

Avvocato dello  Stato alla 2ª classe di stipendio e procuratore dello Stato alla 4ª classe di stipendio

Consigliere di Corte d’appello

Avvocato dello Stato alla 1ª classe di  stipendio e procuratore  dello  Stato alla 3ª classe di stipendio

Giudice del tribunale

Procuratore dello Stato alla 2ª classe di stipendio

Aggiunto giudiziario

Procuratore dello Stato alla 1ª classe di stipendio

Uditore giudiziario dopo sei mesi dalla nomina

 

L’articolo 8, al comma 2, demanda ad ulteriore regolamento ministeriale (art. 17, comma 3, legge 400/1988) adottato dal Ministro della giustizia, la disciplina del nuovo ruolo autonomo del Ministero della giustizia nel quale inquadrare i magistrati cessati da un incarico elettivo nazionale o europeo e, in via transitoria (in base all’art. 12 del d.d.l., v. infra), anche quelli che – in carica alla data di entrata in vigore della legge - cessino da un mandato elettorale locale (provincia, comune, circoscrizione) o da un incarico di governo nazionale, regionale o locale, che abbiano optato per questa soluzione (preferendola al rientro in magistratura, all’inserimento nel ruolo dell’Avvocatura dello Stato ovvero al prepensionamento).

Anche in questo caso il decreto dovrà essere emanato entro 6 mesi dall’entrata in vigore della legge e dovrà disciplinare le modalità dell’inquadramento, nonché le sue funzioni.

Ricordando che l’art. 7, comma 2, lett. c), esclude comunque che i magistrati cessati da una carica elettiva o da un incarico di governo possano ricoprire incarichi e funzioni corrispondenti ad incarichi direttivi, il regolamento dovrà prevedere per i magistrati inseriti nel ruolo autonomo del ministero, in via prioritaria, mansioni di studio e ricerca nonché la loro possibile candidatura presso enti od organismi internazionali presso i quali sia richiesta la presenza di magistrati italiani.

 

 

 


 

Art. 9
(Ricollocamento dei magistrati eletti negli enti territoriali)

L’articolo 9 disciplina il ricollocamento in ruolo dei magistrati che abbiano svolto il mandato elettorale negli enti territoriali, ovvero che siano stati eletti:

-        Sindaco o consigliere comunale;

-        Presidente delle provincia o consigliere provinciale;

-        Consigliere circoscrizionale (la disposizione non fa riferimento al presidente della circoscrizione).

 

 Per questi magistrati – tra i quali non si distinguono coloro che originariamente svolgevano funzioni presso le giurisdizioni superiori - il ricollocamento in ruolo dovrà rispettare i seguenti limiti:

·        è escluso il ricollocamento in un ufficio giudiziario della regione nella quale ricadono il comune o la provincia di elezione per 5 anni;

·        sono escluse le funzioni requirenti per 5 anni;

·        sono escluse le funzioni giudicanti monocratiche per 5 anni;

·        sono esclusi gli incarichi direttivi e semidirettivi per 5 anni.

 

Si osserva, come già rilevato per precedenti articoli, che la proposta di legge non disciplina il ricollocamento in ruolo dei magistrati eletti al consiglio regionale o presidenti di regione (v infra art. 11).

 


 

Art. 10
(Disciplina applicabile alla magistratura onoraria)

 

L’articolo 10 disciplina l’eleggibilità e i presupposti per l’assunzione di incarichi di Governo da parte dei magistrati onorari e pone alcuni limiti alla loro attività dopo la candidatura, l’esercizio del mandato elettivo o della carica di governo.

 

La disciplina attuale sulla eleggibilità del magistrato onorario è ricostruita dal Consiglio superiore della magistratura nel parere al disegno di legge (v. documentazione allegata), nonché nella risposta a un quesito del 16 gennaio 2013.

In sintesi:

 

Elezioni

Eleggibilità

Ricollocamento (mancata elezione)

Ricolocamento (post elezione)

Politiche

Sì, in assenza di disposizione contraria. Non è applicabile l’istituto dell’aspettativa.

Continua a svolgere le funzioni giudiziarie nell’ufficio di appartenenza.

Con l’elezione il giudice di pace decade dall’ufficio. Non è dunque possibile l’automatico ricollocamento.

Ammini-strative

Sì. Se la candidatura è nel territorio sottoposto alla giurisdizione dell’ufficio presso il quale svolge le funzioni giudiziarie, dovrà dimettersi o ottenere il trasferimento ad altra sede (non si applica l’aspettativa) [art. 60, TUEL]

Se il magistrato onorario è cessato dalla carica per accettare la candidatura, non c’è ricollocamento.

Se ha ottenuto il trasferimento, non si pongono problemi di ricollocamento.

Il mandato elettivo locale è incompatibile con le funzioni giudiziarie [art. 8, legge 374/1991]: il giudice di pace decade dall’ufficio (senza delimitazioni territoriali). Non c’è ricollocamento.

 

La proposta di legge, al comma 1, esclude la candidabilità del giudice onorario nelle elezioni europee, politiche e amministrative nelle circoscrizioni elettorali comprese, anche in parte, nel distretto di Corte d’appello nel quale esercitano le funzioni o hanno esercitato le funzioni nei 12 mesi antecedenti l’accettazione della candidatura. Per tali circoscrizioni elettorali la ineleggibilità è assoluta.

Al di fuori del distretto di Corte d’appello nel quale esercita le funzioni il magistrato onorario potrà invece candidarsi liberamente, e potrà anche continuare a svolgere la propria attività durante la campagna elettorale. I magistrati onorari, infatti, non essendo pubblici dipendenti, non godono del diritto di questi ultimi al collocamento in aspettativa. Non troverà applicazione dunque l’art. 1, comma 2, della proposta di legge che impone a tutti gli altri magistrati di porsi in aspettativa almeno 6 mesi prima l’accettazione della candidatura.

In caso di elezione continuerà a trovare applicazione l’art. 8 della legge 374 del 1991[11] che afferma l’incompatibilità tra le funzioni di giudice di pace e quelle di membro del Parlamento, consigliere regionale, provinciale, comunale e circoscrizionale»; incompatibilità che il CSM ha esteso anche – per ragioni di indipendenza e terzietà – alle cariche di sindaco, assessore regionale, provinciale e comunale[12]. Conseguentemente, il magistrato onorario eletto decadrà dall’ufficio (ai sensi dell’art. 9 della legge).

 

Il comma 2 disciplina le conseguenze per il magistrato onorario derivanti dall’assunzione di incarichi elettivi, di incarichi di governo nazionale o locale nonché dalla mera candidatura.

La proposta di legge esclude che per i successivi 5 anni (dalle elezioni, se non si è stati eletti, ovvero dalla cessazione dell’incarico elettivo o di governo) il magistrato onorario possa svolgere funzioni:

-        nel distretto di Corte d’appello in cui è compresa la circoscrizione elettorale;

-        nel distretto di Corte d’appello nel quale esercitava le funzioni alla data di accettazione della candidatura o della carica di governo.

 

Si rileva che la proposta di legge non disciplina l’ineleggibilità dei magistrati onorari a livello regionale né la loro assunzione di incarichi di governo regionale; soprattutto non sono previste limitazioni al successivo esercizio delle funzioni a seguito di incarico regionale.

 

 

Parere del Consiglio superiore della magistratura

«[…], la suddetta disciplina – al pari delle residue disposizioni contenute nel disegno di legge in commento - costituisce, ex art. 8 del disegno di legge in discorso, principio fondamentale di cui all’art. 122 I co. Cost., applicabile alla materia della candidabilità ed eleggibilità dei magistrati alle elezioni regionali e della compatibilità degli stessi a ricoprire l’incarico di assessore regionale.

Non sembra che, sotto questo profilo, l’articolo in commento si discosti da canoni di ordinaria razionalità e logicità, intendendo preservare l’immagine di imparzialità del magistrato onorario, evitando, appunto, che quest’ultimo si impegni in una campagna elettorale nel medesimo territorio in cui eserciti od abbia, di recente, esercitato le funzioni giudiziarie.

In tale ottica, la proposta normativa non si presenta disfunzionale rispetto alla ratio ad essa sottesa e, soprattutto, sembra adeguatamente prudente nel proporre una soluzione che non costituisce un vulnus al diritto di cui all’art. 51 Cost.. Tanto più che la soluzione prescelta non si discosta in via ultima da quanto già attualmente previsto dall’art. 60, co. 1, n. 6, D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267.

[…]

Altrimenti detto, anche al fine di evitare futuri sterili contenziosi, sarebbe opportuno che il legislatore precisasse, con maggiore limpidezza terminologica, se, posta la non configurabilità in relazione alla magistratura onoraria dell’istituto dell’aspettativa, il periodo di decantazione di cinque anni, durante il quale i magistrati onorari candidati e non eletti e coloro che sono cessati dalle cariche di cui al comma primo non possono più esercitare le funzioni giudiziarie, si cumuli con la decadenza dalle funzioni oggi prevista a livello primario e secondario, ovvero se, viceversa, il magistrato onorario, in qualsivoglia modo coinvolto nella vita politico istituzionale, potrà riprendere ad esercitare le funzioni giudiziarie in precedenza svolte senza presentare una nuova domanda e, quindi, attendere un nuovo bando, ossia sostanzialmente proseguendo quanto in passato iniziato, solo sospeso e non interrotto in virtù di tale sopravvenuta circostanza.

Di certo, fra queste la seconda opzione, tralasciando il caso del magistrato onorario candidato e non eletto, come detto, al momento non disciplinato, presenterebbe in concreto aspetti più favorevoli rispetto alla vigente disciplina, che, comunque, in ragione della decadenza medio tempore intervenuta, impone la presentazione di una nuova domanda in relazione ad un novello bando per riprendere l’esercizio delle funzioni onorarie, sia pure senza imporre il decorso di alcun lasso temporale (fatta salva l’ipotesi prevista dalla lettera c) dell’art. 42 quater RD 30 gennaio 1941, n. 12.

Il secondo comma dell’art. 11, inoltre, propone di stabilire che, in ogni caso, sempre per cinque anni, il magistrato onorario candidato e non eletto, ovvero cessato dalle cennate cariche istituzionali non possa essere più assegnato né nel distretto di Corte di appello in cui si trova l’ufficio giudiziario di provenienza alla data di accettazione della candidatura o della nomina, né tantomeno nel distretto in cui si trova la circoscrizione in cui si sono svolte le elezioni.

Da ultimo, si segnala che la proposta di legge nulla dice in relazione alla figura dei giudici ausiliari in Corte di appello, introdotta dagli artt. 62 – 72 del D.L. 21 giugno 2013, n. 69, convertito con la L. 98/2013 (cosiddetto decreto del fare) al dichiarato fine dello smaltimento dell’arretrato civile».

 


 

Art. 11
(Principi fondamentali in materia di
candidabilità dei magistrati alle elezioni regionali e di assunzione dell’incarico di assessore regionale)

 

L’articolo 11 prevede che le disposizioni della legge costituiscono principi fondamentali in materia di candidabilità ed eleggibilità dei magistrati alle elezioni regionali e di assunzione dell’incarico di assessore regionale.

 

L’articolo 122 Cost. attribuisce alla legge  regionale, nei limiti dei principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica, la disciplina del sistema di elezione e dei casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della giunta regionale nonché dei consiglieri regionali.

La L. 165/2004 ha dato attuazione a tale precetto costituzionale, individuando i princìpi fondamentali cui le regioni sono chiamate ad attenersi, tra cui, in particolare:

-        sussistenza di cause di ineleggibilità qualora le attività o le funzioni svolte dal candidato, anche in relazione a peculiari situazioni delle regioni, possano turbare o condizionare in modo diretto la libera decisione di voto degli elettori ovvero possano violare la parità di accesso alle cariche elettive rispetto agli altri candidati nonché negli altri casi previsti dall’art. 2 L. 165/2014;

-        inefficacia delle cause di ineleggibilità qualora gli interessati cessino dalle attività o dalle funzioni che determinano l'ineleggibilità, non oltre il giorno fissato per la presentazione delle candidature o altro termine anteriore altrimenti stabilito, ferma restando la tutela del diritto al mantenimento del posto di lavoro, pubblico o privato, del candidato;

-        sussistenza di cause di incompatibilità in caso di conflitto tra le funzioni svolte dal Presidente o dagli altri componenti della Giunta regionale o dai consiglieri regionali e altre situazioni o cariche in caso di conflitto tra le funzioni svolte dal Presidente o dagli altri componenti della Giunta regionale o dai consiglieri regionali e altre situazioni o cariche, comprese quelle elettive, suscettibile, anche in relazione a peculiari condizioni delle regioni, di compromettere il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione ovvero il libero espletamento della carica elettiva nonché negli altri casi previsti dall’art. 3 L. 165/2014.

 

Quanto alle cause di incandidabilità, si ricorda che l’art. 2 della L. 165/2004, nell’individuare i suddetti principi fondamentali cui le regioni sono chiamate ad attenersi nel disciplinare con legge i casi di ineleggibilità, specificamente individuati, di cui all'articolo 122, primo comma, della Costituzione, fa espressamente salve le disposizioni legislative statali in materia di incandidabilità per coloro che hanno riportato sentenze di condanna o nei cui confronti sono state applicate misure di prevenzione.

 

In proposito, si ricorda che la Corte costituzionale, nella recente sentenza n. 118 del 2013, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una disposizione della regione Campania che è disciplinata, a livello di legislazione statale, dall'art. 15 della legge 19 marzo 1990, n. 55 (Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosità sociale), i cui contenuti risultano attualmente trasfusi, per una parte, negli artt. 7 e 8 del decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235 (Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi, a norma dell'articolo 1, comma 63, della legge 6 novembre 2012, n. 190).

In particolare, la Corte ha ricordato che il citato decreto legislativo stabilisce che non possono essere candidati alle elezioni regionali coloro che hanno riportato condanna definitiva per una serie di delitti, tra cui, anzitutto, quello di associazione di tipo mafioso (art. 416-bis cod. pen.). Correlativamente, il successivo art. 8 del d.lgs. n. 235 del 2012 prevede la sospensione di diritto del consigliere regionale che abbia riportato una condanna non definitiva per il medesimo reato. La Corte ha quindi ricordato come, pronunciandosi sul citato art. 15 della legge n. 55 del 1990, ha avuto modo di rilevare in più occasioni come le misure ivi previste - ossia l'incandidabilità alle cariche elettive e la decadenza di diritto dalle medesime a seguito di condanna definitiva per determinati reati, nonché la sospensione automatica in caso di condanna non definitiva - siano dirette «ad assicurare la salvaguardia dell'ordine e della sicurezza pubblica, la tutela della libera determinazione degli organi elettivi, il buon andamento e la trasparenza delle amministrazioni pubbliche allo scopo di fronteggiare una situazione di grave emergenza nazionale coinvolgente gli interessi dell'intera collettività» (sentenze n. 352 del 2008 e n. 288 del 1993). L'obiettivo perseguito è segnatamente la «prevenzione della delinquenza mafiosa o di altre gravi forme di pericolosità sociale fornite di alta capacità di inquinamento degli apparati pubblici» (sentenza n. 25 del 2002), evitando la loro infiltrazione nel tessuto istituzionale locale (sentenze n. 372 del 2008, n. 288 del 1993 e n. 407 del 1992).

L'evidenziato obiettivo vale dunque a collocare, ad avviso della Corte, il nucleo essenziale della disciplina in questione nell'ambito della materia «ordine pubblico e sicurezza», di competenza legislativa statale esclusiva (art. 117, secondo comma, lettera h), Cost.): materia che, per costante giurisprudenza della Corte costituzionale, si riferisce «all'adozione delle misure relative alla prevenzione dei reati ed al mantenimento dell'ordine pubblico, inteso quest'ultimo quale complesso dei beni giuridici fondamentali e degli interessi pubblici primari sui quali si regge l'ordinata e civile convivenza nella comunità nazionale» (ex plurimis, sentenza n. 35 del 2011).

 

Inoltre, come si è visto, la materia delle ineleggibilità dei magistrati era in precedenza disciplinata dalla legge statale (legge n. 154/1981), che detta una disciplina analoga a quella già esaminata per gli enti locali.

 

In particolare, l’art. 2 della legge n. 154 prevede che non sono eleggibili a consigliere regionale nel territorio nel quale esercitano le loro funzioni i magistrati addetti alle corti di appello, ai tribunali, alle preture ed ai tribunali amministrativi regionali nonché i vice pretori onorari e i giudici conciliatori. La causa di ineleggibilità non ha effetto se l'interessato cessa dalle funzioni per dimissioni, trasferimento, revoca dell'incarico o del comando, collocamento in aspettativa non oltre il giorno fissato per la presentazione delle candidature.

 

Va infine ricordato come alcune disposizioni, quali quelle in materia di status dei magistrati in costanza di mandato o di incarico di governo (art. 4) e di ricollocamento degli stessi dopo la candidatura o dopo la cessazione del mandato elettivo o dell’incarico di governo (artt. 5, 7, 9 e 10, comma 2) non citano i casi di elezioni regionali o di assunzione di cariche di governo regionali, in virtù della norma di cui all’art. 11, a cui il testo attribuisce una portata onnicomprensiva.

 

 


 

Art. 12
(Disciplina transitoria)

L’articolo 12 riguarda i magistrati che, alla data di entrata in vigore della legge, si trovino a svolgere le seguenti funzioni:

-        parlamentare europeo;

-        deputato;

-        senatore;

-        consigliere provinciale;

-        consigliere comunale;

-        consigliere circoscrizionale;

-        Presidente del Consiglio dei ministri;

-        Vice Presidente del Consiglio dei ministri;

-        Ministro;

-        Viceministro;

-        Sottosegretario di Stato;

-        Presidente di regione;

-        Assessore regionale;

-        Presidente di Provincia

-        Assessore provinciale;

-        Sindaco;

-        Assessore comunale.

Si osserva che in questa disposizione, diversamente da altre parti del testo (v. art. 11), si fa riferimento al governo regionale, e non anche al consiglio regionale.

Alla cessazione del mandato o dell’incarico, per questi magistrati si apre la scelta tra le 4 possibilità previste a regime dalla riforma (v. sopra, art. 6), con alcuni aggiustamenti volti a graduare il primo impatto della nuova disciplina.

In particolare, il ricollocamento nei ruoli della magistratura ordinaria avrà come limiti:

-        l’obbligatorio esercizio di funzioni giudicanti collegiali per 3 anni (sono 5 a regime);

-        il divieto di ricoprire incarichi direttivi e semidirettivi per 3 anni (sono 5 a regime).

Nel regime transitorio non opera il divieto di ricollocamento nel distretto di Corte d’appello nel quale il magistrato esercitava le funzioni prima del mandato elettorale né il divieto di ricollocamento in tutti i distretti di Corte d’appello con competenza sulla circoscrizione di elezione.

 

Si osserva che la disposizione non precisa la posizione del magistrato che rivestisse prima del mandato o dell’incarico funzioni in una giurisdizione superiore. Al magistrato di cassazione, ad esempio, in base alla disciplina transitoria si applicherebbe una disciplina più restrittiva rispetto all’applicazione della disciplina generale a regime. Per la normativa transitoria, infatti, la preclusione degli incarichi direttivi e sem  idirettivi è prevista per 3 anni; a regime per gli stessi magistrati gli anni previsti dalla proposta di legge (art. 6) sono 2.

 

In alternativa al ricollocamento nei ruoli della magistratura, i magistrati potranno essere inquadrati in un ruolo autonomo dell’Avvocatura dello Stato, in un ruolo autonomo del Ministero della giustizia ovvero optare per il prepensionamento, con contribuzione volontaria interamente a loro carico, sempre che  alla pensione manchino massimo 5 anni di servizio.

 

Si osserva inoltre che la disciplina transitoria non è autoapplicativa, in quanto presuppone l’adozione dei regolamenti per il ricollocamento nell’Avvocatura o nel Ministero.


 

Art. 13
(Modifiche alla disciplina in materia di astensione e ricusazione dei giudici)

L’articolo 13 novella il codice di procedura civile e il codice di procedura penale, prevedendo un’ulteriore ipotesi di astensione obbligatoria del giudice (artt 51 c.p.c. e 36 c.p.p.) il cui mancato rispetto comporta la possibile ricusazione (artt. 52 c.p.c. e art. 37 c.p.p.).

In particolare, il comma 1 modifica l’art. 36 del codice di procedura penale prevedendo un obbligo di astensione per il giudice penale che abbia, in qualsiasi fase della propria vita, partecipato ad elezioni (a qualsiasi livello di governo, e anche senza essere necessariamente eletto) o ricoperto qualsiasi incarico di governo.

Egli dovrà astenersi dal giudizio, qualora si trovi di fronte una parte processuale (tanto l’imputato, quanto la persona offesa dal reato, quanto la parte civile o il civilmente obbligato per la pena pecuniaria) che negli ultimi 5 anni abbia a sua volta partecipato a una delle consultazioni elettorali o abbia ricoperto incarichi di governo nazionale, regionale o locale. Qualora il giudice non si astenga, in base all’art. 37 c.p.p. – a tal fine modificato dal comma 2 – potrà essere ricusato.

Si osserva che non sono previste disposizioni attuative che garantiscano la reciproca conoscenza – delle parti e soprattutto del giudice su cui incombe l’obbligo di astensione - degli incarichi elettivi o di governo svolti.

 

Il comma 3 novella l’art. 51 del codice di procedura civile introducendo l’obbligo di astensione – negli identici termini previsti nel processo penale – anche per il giudice civile. Di conseguenza, in base all’art. 52 c.p.c. la mancata astensione determina una causa di ricusazione del magistrato.

 

Infine, il comma 4 circoscrive l’applicabilità di queste disposizioni ai procedimenti che prenderanno avvio dopo l’entrata in vigore della legge.

 

Parere del Consiglio superiore della magistratura

«L’art. 13 del disegno di legge in commento introduce, nel processo sia civile, che penale, una nuova causa di astensione obbligatoria e ricusazione a carico del magistrato che, avendo partecipato a competizioni elettorali politiche europee, nazionali, regionali, provinciali o comunali ovvero, avendo ricoperto incarichi di governo nazionale, regionale o locale, tratti un procedimento in cui una delle parti abbia partecipato nei cinque anni precedenti ad analoghe competizioni elettorali ovvero ricopra o abbia ricoperto nei cinque anni precedenti incarichi di governo nazionale, regionale o locale.

Trattasi, con ogni evidenza, di misura assai drastica, che ancora il vulnus all’immagine di imparzialità al solo fatto che uno dei soggetti coinvolti abbia, nel quinquennio precedente, abbracciato l’impegno politico-istituzionale, anche in ambiti del tutto differenti rispetto a quello nel quale il magistrato si è candidato, ha svolto il mandato o ricoperto l’incarico[13].

Il rigore risulta, d’altro canto, solo mitigato dalla riduzione, ad opera dell’Aula del Senato, da dieci a cinque anni precedenti il lasso temporale nel quale l’impegno in politica di una delle parti incide sull’imparzialità del magistrato, e dalla esclusione dell’applicazione dell’intero art. 13 ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della legge.

Peraltro, non essendo indicato, con riferimento alla posizione del magistrato, alcun limite temporale, deve ritenersi che l’obbligo di astensione gravi sul magistrato, in modo della cui ragionevolezza potrebbe fondatamente dubitarsi, per tutto il corso della sua carriera a partire dal momento di chiusura della parentesi politica.

La disposizione, inoltre, si presta a non marginali rischi di strumentalizzazione nella misura in cui obbliga il magistrato - che legittimamente potrebbe essere all’oscuro del pregresso impegno politico della parte - ad astenersi nel momento in cui la circostanza gli venga fatta presente e, quindi, anche alle battute finali del procedimento, con il tangibile rischio di dispersione dell’attività sino ad allora posta in essere.

Per le ragioni sopra indicate, la norma, nella sua attuale formulazione, suscita non poche riserve e, pertanto, se ne suggerisce la modifica nel corso dei successivi lavori parlamentari».

 


 

Art. 14
(Sanzioni disciplinari per i magistrati ordinari)

L’articolo 14 novella il decreto legislativo n. 109 del 2006[14], in tema di illeciti disciplinari dei magistrati.

In particolare, la proposta di legge integra l’elencazione dell’articolo 12 del decreto legislativo, relativo alle sanzioni applicabili, prevedendo una sanzione non inferiore alla perdita di anzianità per almeno 2 anni a carico del magistrato che accetta la candidatura a parlamentare europeo, parlamentare nazionale, consigliere regionale, provinciale, comunale o circoscrizionale, ovvero che accetta un incarico di governo nazionale, regionale o locale in violazione di disposizioni di legge.

 

In merito all’entità della sanzione disciplinare, si ricorda che la sanzione meno grave, in quanto non determinata nel minimo, della perdita dell’anzianità, è prevista dal comma 2 dell’articolo 12, per i comportamenti che, violando i doveri di cui all'articolo 1, arrecano grave e ingiusto danno o indebito vantaggio a una delle parti o per l'uso della qualità di magistrato al fine di conseguire vantaggi ingiusti, se abituale e grave.

 


 

Art. 15
(Sanzioni disciplinari per i magistrati amministrativi, contabili e militari)

L’articolo 15 estende ai magistrati amministrativi, contabili e militari la sanzione disciplinare della perdita di anzianità per almeno due anni laddove abbiano accettato la candidatura alle elezioni europee, politiche, regionali o locali, ovvero abbiano assunto incarichi di governo nazionale o locale, in violazione della riforma.

 


 

Art. 16
(Abrogazioni)

L’articolo 16 dichiara abrogate tutte le disposizioni, anche speciali, in contrasto con la nuova legge.

 

Al riguardo, sulla base dei principi generali delle fonti e data la delicatezza della materia, sarebbe utile – tenuto conto di quanto previsto sull’abrogazione implicita dall’articolo 15 delle disposizioni sulla legge in generale e dalla circolare sulla formulazione tecnica dei testi legislativi, riguardo alla “cosiddetta formula abrogativa esplicita innominata - individuare espressamente le norme oggetto di abrogazione, al fine di evitare incertezze in sede applicativa.


 

 



[1]     In questa senso cfr. Rigano (L'elezione dei magistrati al Parlamento, in Giur. it., 1985, IV, 27 ss), per il quale la Corte costituzionale con la sentenza n. 172 del 1982, che ha salvato il secondo comma dell’art. 8 del TU, trascura che «il normale funzionamento del rapporto di rappresentanza politica richiede che il parlamentare mantenga, o addirittura rafforzi, durante il proprio mandato, quei vincoli di amicizia e/o inimicizia che ha coltivato nel periodo preelettorale». Sarebbe allora ragionevole introdurre identica preclusione per il magistrato-parlamentare che chieda, al termine della legislatura, di rientrare nell'esercizio delle sue funzioni nello stesso distretto di origine. Diversamente - conclude L'A. - «è difficile sfuggire all'impressione che il divieto sia soltanto una sanzione per chi non si è adoperato a sufficienza per essere eletto».

[2]     Ciò comporta che il magistrato in aspettativa per mandato elettivo europeo non può, per tutta la durata del mandato stesso, conseguire promozioni se non per anzianità. Allo stesso sono regolarmente attribuiti, alla scadenza normale, gli aumenti periodici di stipendio. Nei confronti del magistrato che non ha potuto conseguire promozioni di merito a causa del divieto di cui sopra, è adottato, all'atto della cessazione, per qualsiasi motivo, dal mandato parlamentare, provvedimento di ricostruzione di carriera con inquadramento anche in soprannumero. Il periodo trascorso in aspettativa per mandato parlamentare è considerato a tutti gli effetti periodo di attività di servizio ed è computato per intero ai fini della progressione in carriera, dell'attribuzione degli aumenti periodici di stipendio e del trattamento di quiescenza e di previdenza. Durante tale periodo il dipendente conserva inoltre, per sé e per i propri familiari a carico, il diritto all'assistenza sanitaria e alle altre forme di assicurazione previdenziale di cui avrebbe fruito se avesse effettivamente prestato servizio.

[3]     La Corte di Cassazione, ha infatti affermato che «In tema di elezioni del consiglio regionale, qualora la Regione, in sede di esercizio della potestà legislativa concessa dal novellato art. 122 Cost., ometta di disciplinare compiutamente i casi di ineleggibilità e di incompatibilità (nella specie la Regione Puglia con la L.R. n. 2 del 2005), deve ritenersi, in forza sia di un'interpretazione costituzionalmente orientata della legge reg., sia del principio di continuità, l'efficacia della normativa statale preesistente ed in particolare della legge n. 154 del 1981, conforme al quadro costituzionale in vigore all'epoca della sua emanazione ed espressamente esclusa dall'abrogazione di cui all'art. 274, comma 1, lettera l), d.lgs. n. 267 del 2000, recante il T.U. degli enti locali. (Rigetta, App. Bari, 1 Giugno 2006)» (cfr. Sez. I, Sent. n. 16218 del 23-07-2007 (ud. del 11-07-2007), F.L. c. R.A. (rv. 598925)).

[4]     La Corte di cassazione, con sentenza del 14 febbraio 2003, n. 2195, ha stabilito che i magistrati onorari addetti ai tribunali ordinari, devono ritenersi inclusi nella previsione di ineleggibilità a sindaco di cui all’articolo 60.

[5]     Al tema è dedicata la delibera 28 aprile 2010, contenente una proposta di modifica legislativa al Ministro della Giustizia nel senso indicato nel disegno di legge.

[6]     In adempimento di tale prescrizione il C.S.M. ha emanato la circolare n. 20691 dell’8 ottobre 2007 e successive modifiche, che detta i nuovi criteri per la valutazione di professionalità.

[7]     Il comma 2 dell’art. 11 citato stabilisce che la valutazione di professionalità riguarda “la capacità, la laboriosità, la diligenza e l’impegno” dei magistrati.

[8]     Incidentalmente, va notato che il tasso di coinvolgimento nell’agone politico, scaturente dalla candidatura, sembra accrescersi con lo svolgimento del mandato elettivo: nel primo caso, infatti, si manifestano, per lo più, opzioni e propositi e si assumono impegni morali e materiali che, solo nel secondo, sono destinati a tradursi in concrete attività e manifestazioni di volontà.

[9]     D.Lgs. 5 aprile 2006, n. 160, Nuova disciplina dell'accesso in magistratura, nonchè in materia di progressione economica e di funzioni dei magistrati, a norma dell'articolo 1, comma 1, lettera a), della L. 25 luglio 2005, n. 150.

[10]   R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, Approvazione del T.U. delle leggi e delle norme giuridiche sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e sull'ordinamento dell'Avvocatura dello Stato.

[11]   L. 21 novembre 1991, n. 374, Istituzione del giudice di pace. Per gli altri magistrati onorari operano invece gli artt. 42-quater e 71 dell’Ordinamento giudiziario (R.D. 12/1941) che affermano l’incompatibilità tra la funzione di giudice o procuratore onorario e le cariche elettive  nazionali e locali.

[12]   In questo senso ha disposto la circolare sui giudici di pace del 1° agosto 2002 e successive modificazioni.

[13]   Così, ad esempio, il magistrato candidato e non eletto alle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo sarebbe tenuto all’astensione in tutti i procedimenti in cui una delle parti è stata assessore comunale o consigliere circoscrizionale.

[14]   D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, Disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati, delle relative sanzioni e della procedura per la loro applicabilità, nonché modifica della disciplina in tema di incompatibilità, dispensa dal servizio e trasferimento di ufficio dei magistrati, a norma dell'articolo 1, comma 1, lettera f), della L. 25 luglio 2005, n. 150.