Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento finanze
Titolo: Gli interventi normativi sulla disciplina del federalismo fiscale nel 2013
Serie: Documentazione e ricerche    Numero: 84
Data: 27/11/2013
Descrittori:
FEDERALISMO   SISTEMA TRIBUTARIO

 

Camera dei deputati

XVII LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione e ricerche

Gli interventi normativi sulla disciplina del federalismo fiscale nel 2013

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

n. 84

 

 

 

 

 

27 novembre 2013

 

Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Finanze

( 066760-9496 – * st_finanze@camera.it

 

 

 

Il presente dossier illustra i contenuti dei principali interventi legislativi posti in essere nel 2013, concernenti i decreti legislativi attuativi della legge n. 42 del 2009, nonché recanti disposizioni che comunque hanno riguardato la materia del federalismo fiscale.

Le modifiche legislative sono raccolte secondo gli ambiti materiali omogenei disciplinati da ciascun provvedimento di attuazione della legge 5 maggio 2009, n. 42.

Per precedenti analoghi interventi, si rinvia a quanto contenuto nella terza e nella quarta relazione semestrale della Commissione nella XVI legislatura (doc. XVI-bis, n. 6, e doc. XVI-bis, n. 11)

 

 

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File: FI0143.doc




Il federalismo demaniale

 

L’articolo 56-bis del D.L. 21 giugno 2013, n. 69 è intervenuto in merito al c.d. “federalismo demaniale”, di cui al decreto legislativo n. 85 del 2010 (attuativo della legge n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale), relativamente al trasferimento, a titolo non oneroso, agli enti territoriali di taluni beni dello Stato, mobili e immobili, che non fossero espressamente esclusi dal trasferimento dal decreto legislativo stesso.

Il medesimo decreto, all’articolo 5, comma 2, esclude dal trasferimento gli immobili in uso per comprovate ed effettive finalità istituzionali alle amministrazioni dello Stato, agli enti pubblici destinatari di beni immobili dello Stato in uso governativo e alle Agenzie fiscali; i porti e gli aeroporti di rilevanza economica nazionale e internazionale, secondo la normativa di settore; i beni appartenenti al patrimonio culturale; le reti di interesse statale, ivi comprese quelle stradali ed energetiche; le strade ferrate in uso di proprietà dello Stato; sono altresì esclusi dal trasferimento di cui al presente decreto i parchi nazionali e le riserve naturali statali.

Più in generale si ricorda che il decreto legislativo n. 85 del 2010 ha delineato un articolato percorso di individuazione e di attribuzione, a titolo gratuito, a diversi livelli di governo substatale di beni immobili, demaniali o patrimoniali, di proprietà dello Stato. Il processo di trasferimento si articola in fasi distinte, che prevedono, a seconda della natura dei bene trasferibili o da escludere dal trasferimento, un decreto di ricognizione ovvero un decreto di previa individuazione dei beni, da trasferire successivamente su domanda agli enti territoriali con un ulteriore provvedimento. Peraltro la necessità della concertazione in sede di Conferenza unificata, ai fini dell'acquisizione delle prescritte intese ovvero dei pareri, ha comportato una dilatazione dei tempi del procedimento: lo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri ex articolo 5, comma 1, lettera e), previsto dal decreto legislativo in commento (beni patrimoniali trasferibili), iscritto più volte all'ordine del giorno della Conferenza, non ha finora registrato l'acquisizione dell'intesa prescritta. Analogamente, lo schema di decreto del Direttore dell'Agenzia del demanio, recante l'elenco dei beni esclusi dal trasferimento (articolo 5, comma 3), ha riportato il parere negativo della Conferenza.

Su tale situazione ha certamente influito il fato che il processo di individuazione e di attribuzione comporta il coinvolgimento non solo dell'Agenzia del demanio, ma di tutte le amministrazioni che attualmente curano la gestione dei vari beni (in particolare, il Ministero della difesa per i beni militari, il Ministero delle infrastrutture e l'Enac per i beni aeroportuali, il Ministero dello sviluppo economico e dell'Ambiente per le miniere e i beni del demanio idrico, eccetera).

Di fronte a tale impasse il legislatore ha in taluni caso emanato, nell’ambito di provvedimenti di urgenza, norme che hanno interessato singole tipologie di beni (quali, ad esempio, i beni culturali), al fine di accelerarne il trasferimento.

 

Il comma 1 dell’articolo 56-bis esclude dal trasferimento:

§      i beni in uso per finalità dello Stato (come già previsto dal D.Lgs. n. 85 del 2010) o per le finalità indicate dall'articolo 2, comma 222, della legge n. 191 del 2009 (immobili da assegnare alle Amministrazioni in luogo di contratti di locazione con terzi);

§      i beni per i quali siano in corso procedure volte a consentirne l'uso per le medesime finalità,

§      quelli per i quali siano in corso operazioni di valorizzazione o dismissione di beni immobili ai sensi dell’articolo 33, del D.L. n. 98 del 2011.

 

Il comma 2 definisce la tempistica per il trasferimento degli immobili non esclusi dal trasferimento:

§      dal 1° settembre 2013 e fino al 30 novembre 2013, i Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni che intendono acquisire la proprietà di tali beni presentano all'Agenzia del demanio, con le modalità tecniche da definire a cura dell'Agenzia medesima, una richiesta di attribuzione sottoscritta dal rappresentante legale dell'ente che identifica il bene, ne specifica le finalità di utilizzo e indica le eventuali risorse finanziarie preordinate a tale utilizzo;

§      nei 60 giorni dalla ricezione della richiesta l'Agenzia del demanio, verificata la sussistenza dei presupposti per l'accoglimento della richiesta, ne comunica l'esito all'ente interessato.

Sembra da presumere che la richiesta riguardi quei beni che ai sensi del D.Lgs. n. 85 sono già stati inseriti dall’Agenzia del demanio nell’elenco dei beni disponibili, il cui schema di decreto era stato presentato in Conferenza unificata, ma non aveva avuto ulteriore seguito;

§      in caso di esito positivo si procede al trasferimento con successivo provvedimento dell'Agenzia del demanio;

§      in caso di esito negativo, l'Agenzia comunica all'ente interessato i motivi ostativi all'accoglimento della richiesta. Entro 30 giorni dalla comunicazione del motivato provvedimento di rigetto, l’ente può presentare nuova richiesta. La richiesta di riesame del provvedimento dovrà essere corredata da elementi e documenti idonei a superare i motivi ostativi esposti dall’Agenzia del demanio.

Tale nuova procedura di fatto sostituisce quella prevista dal D.Lgs. n. 85, la quale dispone che le amministrazioni statali indichino i beni da escludere dall’eventuale trasferimento, l’Agenzia del demanio definisca gli elenchi dei beni disponibili, gli enti presentino la richiesta di trasferimento, ed infine con DPCM verrebbe disposto il trasferimento.

 

Qualora la richiesta di trasferimento riguardi immobili assegnati alle amministrazioni pubbliche (ovviamente non tra quelli in uso per finalità dello Stato, in quanto già esclusi dall’elenco dei beni trasferibili), ai sensi del comma 1 dell’articolo in esame l'Agenzia del demanio interpella l’amministrazione interessata, ai fini di acquisire, entro il termine perentorio di 30 giorni, la conferma della permanenza o meno delle esigenze istituzionali e indicazioni in ordine alle modalità di futuro utilizzo dell'immobile.

Qualora l’Amministrazione non confermi, entro tale termine, la permanenza delle esigenze istituzionali, l'Agenzia, nei successivi 30 giorni, avvia con le altre Amministrazioni la verifica in ordine alla possibilità di inserire il bene nei piani di razionalizzazione degli spazi ad uso ufficio, previsti all'articolo 2, commi da 222, a 222-ter, della legge n. 191 del 2009. Qualora detta verifica dia esito negativo e sia accertato che l'immobile non assolve ad altre esigenze statali, la domanda è accolta e si procede al trasferimento del bene con successivo provvedimento del Direttore dell'Agenzia del demanio. In caso, invece di conferma da parte dell'Amministrazione utilizzatrice delle esigenze di istituto, l'Agenzia comunica all'ente richiedente i motivi ostativi all'accoglimento della richiesta.

 

Il comma 4 disciplina il caso di richiesta di assegnazione dello stesso immobile da parte di più livelli di governo territoriale, disponendone l’attribuzione in via prioritaria ai Comuni e alle Città metropolitane e subordinatamente alle Province e alle Regioni. In caso di beni già utilizzati, essi sono prioritariamente trasferiti agli enti utilizzatori.

I commi da 5 a 7 dispongono che:

§      all’Agenzia del demanio è assegnata una attività di monitoraggio dell’utilizzo dei beni trasferiti, prevedendo che, trascorsi tre anni dal trasferimento, qualora l'ente territoriale non risulti utilizzare i beni trasferiti, gli stessi rientrino nella proprietà dello Stato, che ne assicura la migliore utilizzazione;

§      i beni trasferiti con tutte le pertinenze, accessori, oneri e pesi, entrano a far parte del patrimonio disponibile delle Regioni e degli enti locali;

§      con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze si provvederà ad una riduzione delle risorse spettanti a qualsiasi titolo alle regioni e agli enti locali che acquisiscono in proprietà beni immobili utilizzati a titolo oneroso, in misura pari alla riduzione delle entrate erariali conseguente al trasferimento dei beni (analoga disposizione è contenuta all’articolo 9, comma 2, del D.Lgs. n. 85 del 2010). Qualora non sia possibile l’integrale recupero delle minori entrate per lo Stato in forza della riduzione delle risorse, si procede al recupero da parte dell’Agenzia delle entrate a valere sui tributi spettanti all’ente ovvero, se risultassero non sufficienti, mediante versamento all’entrata del bilancio dello Stato da parte dell’ente interessato.

Il comma 8 dispone che, al fine di soddisfare le esigenze allocative delle amministrazioni statali, gli enti territoriali continuano ad assicurare allo Stato l'uso gratuito di immobili di loro proprietà fino al permanere delle esigenze medesime.

Ai sensi del comma 9 (come già previsto nella legge delega n. 42/2009 sul federalismo fiscale) le disposizioni del presente articolo non si applicano nelle regioni a statuto speciale e nelle Province autonome di Trento e di Bolzano.

L’articolo 1, comma 2, della legge n. 42 del 2010 (Delega sul federalismo fiscale), infatti, non ricomprende le disposizioni previste dall’articolo 19 in merito all’attribuzione a comuni, province, città metropolitane e regioni di un proprio patrimonio (c.d. federalismo demaniale) tra quelle che si applicano anche alle regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano

Per quanto riguarda l’utilizzo delle risorse nette derivanti a ciascun ente territoriale dall'eventuale alienazione degli immobili che sono stati trasferiti ai sensi del presente articolo ovvero dalla eventuale cessione di quote di fondi immobiliari cui tali immobili siano conferiti, il comma 10 rinvia a quanto disposto dall’articolo 9, comma 5, del D.Lgs. n. 85 del 2010 sul federalismo demaniale.

La norma richiamata prevede che le risorse nette derivanti a ciascun ente dalla eventuale alienazione degli immobili del patrimonio disponibile loro attribuito ai sensi del decreto legislativo, nonché quelle derivanti da eventuali cessioni di quote di fondi immobiliari cui i medesimi beni siano stati conferiti, siano acquisite dall’ente territoriale per un ammontare pari al 75 per cento delle stesse, al fine di essere destinate alla riduzione del debito dell’ente e, in assenza del debito o comunque per la eventuale parte restante, a spese di investimento.

La quota residua del 25 per cento è invece destinata al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato. La definizione delle modalità applicative di tale disciplina ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo, che al momento non risulta ancora emanato.

 

Il comma 11, in considerazione dell’esigenza prioritaria di riduzione del debito pubblico, destina al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato, con le modalità previste dall’articolo 9, comma 5, del D.Lgs. n. 85, il 10 per cento delle risorse nette derivanti dalla alienazione dell’originario patrimonio immobiliare disponibile degli enti territoriali, salvo che una percentuale uguale o maggiore non sia destinata per legge alla riduzione del debito del medesimo ente.

A titolo esemplificativo, si ricorda quanto previsto dall’articolo 23-ter, comma 1, lettera g), del D.L. n. 95 del 2012, in base al quale la totalità delle risorse rivenienti dalla valorizzazione ed alienazione degli immobili di proprietà delle regioni e degli enti locali trasferiti agli appositi fondi comuni d'investimento immobiliare è destinata alla riduzione del debito dell’ente e, solo in assenza del debito, o comunque per la parte eventualmente eccedente, a spese di investimento».

 

L’ultimo periodo del comma 11 ribadisce che per la parte di risorse non destinata al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato si applica quanto disposto dall’articolo 1, comma 443, della legge di stabilità 2013 (legge n. 228/2012), ai sensi del quale i proventi da alienazioni di beni patrimoniali disponibili possono essere destinati esclusivamente alla copertura di spese di investimento ovvero, in assenza di queste o per la parte eccedente, per la riduzione del debito.

Si ricorda che, con sentenza n. 63 del 2013, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 66, comma 9, secondo periodo, del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, nella parte in cui si prevede che gli enti territoriali, in assenza di debito pubblico, o per la parte eventualmente eccedente, debbano destinare le risorse derivanti delle operazioni di dismissione di terreni agricoli al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato. La Corte ha sottolineato come la disciplina, non essendo finalizzata ad assicurare l’esigenza del risanamento del debito degli enti territoriali e, quindi, non essendo correlata alla realizzazione del ricordato principio fondamentale, si risolve in una indebita ingerenza nell’autonomia della Regione.

 

Il comma 12 specifica che le disposizioni previste dal decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85 sul federalismo demaniale, si applicano solo in quanto compatibili con quanto previsto dal presente articolo.

Com’è noto, tale formulazione costituisce un richiami normativo di carattere generico, che può prestarsi a difficoltà nella fase applicativa delle nuove disposizioni e che, pertanto risulterebbe opportuno, qualora possibile, specificare a quali norme del suddetto decreto legislativo si intenda fare riferimento.

 

Infine il comma 13 novella il comma 8-ter dell’articolo 33, del D.L. n. 98 del 2011, recante “Disposizioni in materia di valorizzazione del patrimonio immobiliare”, abrogando o sopprimendo i riferimenti alla possibilità di trasferire o conferire agli appositi fondi di investimento immobiliare i beni valorizzabili, suscettibili di trasferimento ai sensi dell'articolo 5, comma 1, lettera e), del D.Lgs. n. 85 del 2010, individuati dall'Agenzia del demanio e a seguito di apposita manifestazione da parte dei competenti organi degli Enti interessati, della volontà di valorizzazione.

 


Roma capitale

 

Nella seduta del 30 maggio 2012 il Consiglio dei ministri aveva approvato in via preliminare uno schema di decreto legislativo correttivo del D.Lgs. n. 61 (Atto n. 513, che, dopo l’acquisizione dell’intesa in Conferenza unificata, è stato trasmesso il 13 novembre 2012 alle Camere per l’espressione dei pareri da parte della Commissione bicamerale per l’attuazione del federalismo fiscale e delle Commissioni bilancio.

La Commissione bicamerale ha esaminato il provvedimento nelle sedute del 29 novembre, 11 e 12 dicembre (audizioni, rispettivamente del sindaco di Roma capitale, Alemanno, e del Commissario straordinario per il piano di rientro dal debito pregresso di Roma capitale, Varazzani) e del 18 dicembre, e ha approvato il parere nella seduta del 19 dicembre 2012, ponendo alcune condizioni modificative del testo predisposto in via preliminare dal Governo. Analogamente la Commissione bilancio della Camera dei deputati hanno reso il parere il 19 dicembre, mentre la Commissione bilancio del Senato vi ha provveduto il 21 dicembre 2012.

 

Le modifiche apportate dal Governo nel nuovo schema di decreto trasmesso alle Camere

Il 18 gennaio 2013 il Governo ha approvato definitivamente il decreto legislativo in oggetto, ritenendo, tuttavia di apportare modifiche al testo risultante dal parere espresso dalla Commissione bicamerale.

Conseguentemente trova applicazione la speciale procedura prevista dall’articolo 2, comma 4, secondo periodo, della legge n. 42 del 2009, qualora, anche a seguito dell’espressione dei pareri parlamentari, il Governo non intenda conformarsi ai pareri parlamentari, ritrasmette i testi alle Camere con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni e “rende comunicazioni” davanti a ciascuna Camera. Decorsi trenta giorni dalla data della nuova trasmissione, i decreti possono comunque essere adottati in via definitiva dal Governo.

La legge delega ha disciplinato tale fattispecie allo scopo di risolvere eventuali difformità di posizione tra organo che adotta l’atto (il Governo) ed organo che rende il parere sullo stesso (le Commissioni parlamentari). La soluzione di tale divergenza viene realizzata nella forma di una procedura speciale, che affida al plenum dell’organo legislativo, vale a dire alla sede d’Assemblea, la decisione  sul testo da approvare. Decisione che nell’unico precedente finora intervenuto si è  determinata mediante l’approvazione di una risoluzione con la quale veniva approvato il nuovo testo proposto dal Governo.

 

Il contenuto del nuovo schema di decreto

Il nuovo testo presentato dal Governo, che reca modifiche e integrazioni al decreto legislativo n. 61 del 2012 consta di due articoli.

§      all’ articolo 1, il comma 1 reca la definizione dell’oggetto del provvedimento;

§      il comma 2, sopprime il secondo periodo del comma 1, dell’articolo 1 del D.Lgs. n. 61 relativo alla applicazione delle disposizioni su Roma capitale alla città metropolitana di Roma capitale - si è resa necessaria al fine di rendere coerente la norma con la soppressione del comma 9 dell’articolo 24 della legge n. 42 del 2009 disposta dall’articolo 18, comma 1, del D.L. n. 95;

§      il comma 3 reca una disciplina transitoria rispetto alle previsioni contenute nell’articolo 3 del D.Lgs. n. 61, che hanno definito una nuova disciplina della programmazione pluriennale degli interventi di sviluppo infrastrutturale connessi al ruolo di capitale della Repubblica, conseguente all’abrogazione degli articoli da 1 a 9 della legge n. 396 del 1990 su Roma capitale. A tale articolo viene aggiunto un comma 6-bis nel quale si dispone che, nelle more della nuova disciplina programmatoria, l’eventuale rimodulazione è adottata dall’ente con le procedure previste dal proprio ordinamento e approvata con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. Nel caso in cui la rimodulazione comporti modifiche o sostituzioni di progetti inseriti nel programma, essa è approvata mediante conferenza di servizi indetta dal Sindaco di Roma capitale. Rispetto a tale formulazione il nuovo testo prevede il concerto del Ministro dell’economia e delle finanze nella definizione del decreto concernente tali rimodulazioni, nonché una disposizione di garanzia sugli effetti sulla finanza pubblica;

§      il comma 4, nel novellare l’articolo 10 del D.Lgs. n. 61, vi aggiunge un comma 1-bis, che reca disposizioni in tema di poteri emergenziali conferiti al sindaco di Roma capitale ai sensi della normativa in materia di protezione civile. Il parere approvato dalla Commissione bicamerale prevedeva che, in caso di stato di emergenza per situazioni che non derivino da calamità naturali o disastri, all’attuazione degli interventi da effettuare nel territorio di Roma capitale si provvede, nel rispetto dei limiti e criteri indicati dal decreto con cui è dichiarato lo stato di emergenza e dei principi generali dell’ordinamento giuridico, mediante ordinanze emanate dal Sindaco di Roma capitale. Si stabiliva altresì che, in tale ipotesi, lo stato di emergenza permanesse fino al momento in cui, venendo meno i presupposti che lo hanno determinato, esso sia espressamente revocato con deliberazione del Consiglio dei ministri. Quest’ultima previsione, come espressamente indicato, rappresentava una deroga al comma 1-bis dell’articolo 5 della legge n. 225 del 1992, per il quale la dichiarazione dello stato di emergenza non può, di regola, superare i novanta giorni e può essere prorogata soltanto previa ulteriore deliberazione del Consiglio dei ministri. Il Governo ha ritenuto di riformulare il testo, riconoscendo al sindaco di Roma capitale il potere di adottare ordinanze, anche in deroga alla normativa vigente, nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento per l’attuazione di interventi riguardanti situazioni di emergenza connessi al traffico, alla mobilità o all’inquinamento atmosferico o acustico, in esecuzione di un di un piano autorizzato con delibera del Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, nonché nei limiti e secondo i criteri indicati nella stessa delibera, con oneri a carico di Roma capitale;

§      il comma 5 integra quanto stabilito dall’articolo 12, comma 1, del D.Lgs. n. 61, prevedendo che gli obiettivi del patto di stabilità interno determinati per Roma capitale con la procedura sopra richiamata possano essere comunque ridefiniti nell'ambito del patto regionale cosiddetto integrato, vale a dire nell'ambito del patto che la Regione Lazio, al pari delle altre regioni, potrà concordare con lo Stato a decorrere dall’anno 2014, secondo quanto disposto dal comma 17 dell'articolo 32 della legge n. 183 del 2011 (legge di stabilità 2011), come da ultimo modificato dal comma 434 dell’articolo 1 della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013);

§      il comma 6, abrogando la norma transitoria contenuta all’articolo 31, comma 22, della legge di stabilità 2012 (legge n. 183/2011) – relativa alla procedura concordata per la definizione del concorso di Roma capitale alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica previsti dal patto di stabilità interno – in quanto ora disciplinata dai commi 1 e 2 dell’articolo 12 del D.Lgs. n. 61 del 2012;

§      il comma 7, novellando l’articolo 12, comma 3, del D.Lgs. n. 61, interviene sulle disposizioni concernenti le modalità del finanziamento degli oneri del trasporto pubblico locale. Il testo originariamente presentato dal Governo (Atto 513) abrogava le previsioni del comma 3 dell’articolo 12 del D.Lgs. n. 61, volte a prevedere l’erogazione diretta a Roma capitale delle risorse statali relative a interventi speciali e al finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni. Il parere della Commissione bicamerale richiedeva invece che il testo del comma 3 del citato articolo 12 non fosse abrogato, ma sostituito integralmente con una disposizione con cui si prevede l’erogazione diretta a Roma capitale della quota di risorse ad essa spettante nell’ambito dei finanziamenti statali per il trasporto pubblico locale. L’erogazione diretta di risorse statali a Roma capitale, pertanto, non viene interamente abrogata, ma, piuttosto che essere riferita al complesso dei livelli essenziali delle prestazioni, viene limitata alle risorse relative al trasporto pubblico locale. Il Governo ha riformulato il testo prevedendo:

-        il finanziamento diretto a Roma capitale degli oneri del trasporto pubblico locale, senza includere quello ferroviario;

-        una intesa tra Roma capitale e la Regione Lazio per la determinazione della quota regionale da erogare direttamente a Roma capitale;

-        nelle more dell’intesa, l’erogazione delle risorse in favore della Regione;

-        l’intesa dovrà rideterminare anche gli obiettivi del patto di stabilità interno della regione Lazio e di Roma capitale al fine di garantire la neutralità finanziaria.

§      l’articolo 2 stabilisce che la rappresentanza, il patrocinio e l'assistenza in giudizio della gestione commissariale, relativa al piano di rientro dal debito pregresso di Roma capitale siano assicurati dall’Avvocatura dello Stato, in conformità con quanto previsto dal regio decreto n. 1611 del 1933. Contestualmente, in considerazione dell’entità e della specificità del contenzioso in questione, si dispone che prosegua, senza oneri per la gestione commissariale, il patrocinio dell'Avvocatura comunale nelle controversie aventi ad oggetto partite inserite nel documento di accertamento del debito pregresso. Sono in ogni caso fatti salvi gli effetti dell'attività processuale già svolta dall'Avvocatura dello Stato.

 

Riepilogando, rispetto al testo definito dalla Commissione bicamerale, nel presente schema trasmesso alle Camere sono state novellate le seguenti disposizioni modificative del D.Lgs n. 61 del 2012:

§      all’articolo 3, comma 6-bis, concernente le rimodulazioni dei programmi di interventi per Roma capitale previsti dalla legge n. 396 del 1990, è stato previsto il concerto del MEF in tali rimodulazioni, nonché una disposizione di garanzia sugli effetti sulla finanza pubblica (art. 1, co. 3);

§      all’articolo 10 sono state riformulate le disposizioni in tema di poteri emergenziali conferiti al sindaco di Roma capitale ai sensi della normativa in materia di protezione civile (art. 1, co. 4);

§      all’articolo 12, comma 3,  sono state novellate le disposizioni concernenti le modalità del finanziamento degli oneri del trasporto pubblico locale (art. 1, co. 7).

 

Si riporta di seguito un raffronto tra il testo risultante dal parere espresso dalla Commissione bicamerale per l’attuazione del federalismo fiscale e il testo approvato definitivamente dal Governo.


 

Parere 19 dicembre 2012

D.Lgs. n. 51/2013

 

 

Articolo 1

(Modificazioni al decreto legislativo 18 aprile 2012, n. 61)

Articolo 1

(Modificazioni al decreto legislativo 18 aprile 2012, n. 61)

1. Il presente decreto legislativo prevede disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 18 aprile 2012, n. 61, recante ulteriori disposizioni recanti attuazione dell'articolo 24 della legge 5 maggio 2009. n. 42, in materia di ordinamento di Roma capitale.

1. Il presente decreto legislativo prevede disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 18 aprile 2012, n. 61, recante ulteriori disposizioni recanti attuazione dell'articolo 24 della legge 5 maggio 2009. n. 42, in materia di ordinamento di Roma capitale.

1-bis. Al comma 1 dell’articolo 1 del decreto legislativo 18 aprile 2012, n. 61, il secondo periodo è soppresso.

2. Al comma 1 dell’articolo 1 del decreto legislativo 18 aprile 2012, n. 61, il secondo periodo è soppresso.

1-ter. All’articolo 3 del decreto legislativo 18 aprile 2012, n. 61, è aggiunto, in fine, il seguente comma:

“6-bis. Nelle more dell’applicazione delle procedure di cui al presente articolo, l’eventuale rimodulazione del programma di interventi per Roma capitale, finanziati ai sensi della legge 15 dicembre 1990, n. 396, è adottata dal medesimo ente con le procedure previste dal proprio ordinamento e trasmessa al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti per l’approvazione definitiva con apposito decreto. A tal fine le relative rimodulazioni che comportino modificazioni o sostituzioni di progetti inseriti nel programma sono approvate mediante conferenza di servizi indetta dal Sindaco di Roma capitale ai sensi dell’articolo 14 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni.”»

3. All’articolo 3 del decreto legislativo 18 aprile 2012, n. 61, è aggiunto, in fine, il seguente comma:

“6-bis. Nelle more dell’applicazione delle procedure di cui al presente articolo, l’eventuale rimodulazione del programma di interventi per Roma capitale, finanziati ai sensi della legge 15 dicembre 1990, n. 396, è adottata dal medesimo ente con le procedure previste dal proprio ordinamento e trasmessa al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti per l’approvazione definitiva con apposito decreto, da adottarsi  di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze. A tal fine le relative rimodulazioni che comportino modificazioni o sostituzioni di progetti inseriti nel programma sono adottate mediante conferenza di servizi indetta dal Sindaco di Roma capitale ai sensi dell’articolo 14 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni. Dalle eventuali rimodulazioni del programma non devono in ogni caso derivare effetti negativi sui saldi di finanza pubblica e non deve determinarsi un incremento del fabbisogno residuo per la realizzazione delle opere.”»

 


I fabbisogni standard

 

L’articolo 54 del D.L. 21 giugno 2013, n. 69, al comma 1, reca disposizioni concernenti la disponibilità e la pubblicità dei questionari predisposti dalla società SOSE (Soluzioni per il Sistema Economico)[1] Spa, ai fini della predisposizione delle metodologie per la determinazione dei fabbisogni standard degli enti locali, sulla base di quanto dispone l’articolo 5 del decreto legislativo n. 216 del 2010[2], prevedendo che:

§      i questionari sono resi disponibili sul sito della SOSE e con provvedimento del Ministero dell’economia e delle finanze da pubblicare sulla G.U. viene data notizia della data di tale disponibilità;

§      dalla data di pubblicazione del suddetto provvedimento decorre il termine di sessanta giorni, previsto dal comma 1, lettera c) del sopracitato articolo 5, entro cui i comuni e le province devono compilare e restituire per via telematica i questionari.

 

La procedura di determinazione dei fabbisogni standard – che secondo la legge delega n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale costituiscono i nuovi parametri in base ai quali individuare il finanziamento delle spese degli enti locali al fini di un graduale superamento del criterio della spesa storica – viene affidata dal decreto legislativo n. 216 del 2010 alla SOSE spa che, avvalendosi anche dell’IFEL (Istituto per la finanza e l’economia locale) e dell’Istat, predispone le metodologie occorrenti alla determinazione dei fabbisogni medesimi, che dovranno far riferimento ai criteri ed alle indicazioni recate dall’articolo 5 del medesimo decreto legislativo.

In particolare, i valori dei fabbisogni andranno individuati con tecniche statistiche che diano rilievo alle caratteristiche individuali dei singoli Comuni e Province, utilizzando i dati di spesa storica tenendo conto dei gruppi omogenei e tenendo altresì conto della spesa relativa a servizi esternalizzati o svolti in forma associata; considerando altresì una quota di spesa per abitante e tenendo conto della produttività e della diversità della spesa in relazione: all'ampiezza demografica, alle caratteristiche territoriali, con particolare riferimento al livello di infrastrutturazione del territorio, alla presenza di zone montane, alle caratteristiche demografiche, sociali e produttive dei predetti diversi enti, al personale impiegato, alla efficienza, all'efficacia e alla qualità dei servizi erogati nonché al grado di soddisfazione degli utenti.

Ai fini della determinazione delle metodologie in questione, il medesimo articolo 5 stabilisce che la SOSE predisponga appositi questionari, funzionali alla raccolta dei dati contabili e strutturali di comuni e province, cui andranno inviati con un termine di compilazione e restituzione stabilito in sessanta giorni. L’inosservanza di tale termine comporta il blocco, fino all’avvenuto invio del questionario, dei trasferimenti a qualunque titolo da erogare all’ente locale inadempiente.

L’articolo 54, comma 1, in commento sembra pertanto finalizzato a disciplinare con norma primaria la procedura relativa ai questionari inviati (rectius, somministrati, come recita l’articolo 5, comma 1, lettera c) del D.Lgs. n. 216/2010) agli enti locali, soprattutto ai fini della individuazione del termine di decorrenza dei sessanta giorni per la restituzione degli stessi.

Si tratta di una procedura di fatto già seguita, atteso che la stessa risulta attuata, nei termini ora stabiliti in norma, ad opera dei Decreti Direttoriali del Direttore generale delle finanze 21 febbraio 2012, pubblicato sulla G.U. 25 febbraio 2012, n.47, 16 novembre 2012, pubblicato sulla G.U. 20 novembre 2012, n.271 e 7 dicembre 2012, pubblicato sulla G.U. 12 dicembre 2012, n.289. Ciascuno di tali decreti, nel comunicare la disponibilità di questionari relativi ad alcune funzioni di comuni e province, precisa che il termine di sessanta giorni per la restituzione degli stessi decorre dalla data di pubblicazione dei decreti medesimi.


Il federalismo municipale

La c.d. cedolare secca

L’articolo 4 del D.L. n. 102 del 2013 è intervenuto sulla disciplina della cosiddetta “cedolare secca” introdotta dal decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, sul federalismo municipale, al fine di ridurre, per gli immobili locati a canone “concordato”, l’aliquota al 15% - in luogo dell’aliquota vigente pari al 19% - a decorrere dall’anno di imposta 2013.

 

Al fine di favorire il contrasto all’evasione fiscale nel settore delle locazioni, la disciplina della cosiddetta “cedolare secca sugli affitti”, istituita dal decreto legislativo n. 23 del 2011 (in tema di federalismo fiscale municipale), prevede una specifica modalità di tassazione dei redditi derivanti dalla locazione di immobili adibiti ad uso abitativo: a partire dal 2011 si consente ai proprietari dei predetti immobili, in luogo dell’ordinaria tassazione Irpef sui redditi derivanti dalla locazione, di optare per un regime sostitutivo (che assorbe anche le imposte di registro e bollo sui contratti) le cui aliquote sono pari al 21% per i contratti a canone libero ed al 19% per quelli a canone concordato. Si ricorda che l’art. 2, comma 3, della legge n. 431 del 1998, oltre i contratti a canone libero prevede anche contratti a canone concordato o convenzionato o calmierato. In tal caso sono le associazioni più rappresentative a livello locale dei proprietari e degli inquilini a stabilire le modalità di valutazione degli immobili residenziali e, per ogni tipologia individuata, a definire un canone minimo e massimo. Tali contratti, rispetto a quelli a canone libero (art. 2 comma 1), recano due differenze fondamentali: la prima riguarda la durata (tre anni più due di rinnovo automatico alla prima scadenza), la seconda il profilo economico, in quanto il canone concordato è inferiore alla misura dei canoni correnti di mercato dato che esso e le altre condizioni contrattuali devono conformarsi agli accordi sindacali stabiliti a livello territoriale. Inoltre, l’art. 8 prevede alcune agevolazioni fiscali per i proprietari di alloggi dati in locazione a canone concordato ubicati nei comuni ad alta densità abitativa (di cui all'art. 1 del decreto-legge 30 dicembre 1988, n. 551).

Sono escluse dall’ambito di applicazione le locazioni realizzate nell’esercizio di attività d’impresa, arti e professioni.

Oltre a severe sanzioni in caso di omessa od irregolare registrazione (in cui si prevede automaticamente un durata del contratto pari a quattro anni e l’applicazione di un canone ridotto che fa riferimento al triplo della rendita catastale) le misure suddette prevedono che, in caso di contratto a canone concordato, il locatore che opta per la cedolare secca non potrà richiedere aggiornamenti del canone per tutta la durata del contratto.

L’articolo 4, comma 74 della legge n. 92 del 2012 ha rideterminato le modalità di calcolo del reddito dei fabbricati imponibile ai fini IRPEF; in particolare, dal 2013 è diminuita dal 15 al 5 per cento la riduzione applicabile ai canoni dei fabbricati concessi in locazione, utile ai fini della determinazione del reddito imponibile IRPEF.

 

Si ricorda altresì che il D.L. n. 16 del 2012 (articolo 4, commi 5-quinquies e 5-sexies) ha fissato al 35 per cento la riduzione applicabile per determinare il reddito da locazione imponibile a fini IRPEF e IRES degli immobili aventi interesse storico o artistico.

 

L’imposta municipale sugli immobili

Il decreto legislativo n. 23 del 2011, in materia di federalismo fiscale municipale ha istituito e disciplinato l'Imposta municipale propria - IMU, volta a sostituire la componente del reddito IRPEF (e relative addizionali) relativa agli immobili non locati e l'ICI, con un'applicazione in origine prevista per l’anno 2014.

 

Tuttavia, per rispondere ad esigenze di risanamento dei conti pubblici, l’applicazione dell’IMU, ai sensi dell'articolo 13 del D.L. 201/2011, è stata anticipata al 2012 e la sua disciplina è stata profondamente innovata.

In particolare, l'IMU si applica dal 2012 al possesso di immobili (fabbricati, aree fabbricabili e terreni agricoli), compresa l'abitazione principale e le pertinenze della stessa; essa è dovuta nella misura dello 0,76 per cento del valore dell'immobile, determinato ai sensi della disciplina ICI (articolo 5 del D.Lgs. n. 504/1992). A tal fine, l'articolo 13 del D.L. n. 201/2011 ha innalzato la misura dei moltiplicatori da applicarsi alla rendita catastale delle diverse tipologie di immobili.

L’imposta si applica anche all'abitazione principale del contribuente, con aliquota di base pari allo 0,4 per cento. Per l’abitazione principale è prevista una detrazione d'imposta pari a 200 euro, incrementata di 50 euro per ciascun figlio residente e dimorante nell'abitazione medesima purché di età non superiore a 26 anni (fino al limite massimo di 400 euro per tale aumento). I comuni possono modificare le predette aliquote di base (sia per l’abitazione principale che per gli altri immobili), in aumento o diminuzione, entro margini stabiliti dalla legge. Sono previste misure di aliquota ridotta per legge (oltre che per l’abitazione principale, per i fabbricati rurali ad uso strumentale, con misura di base pari a 0,2 per cento, ulteriormente riducibile dai comuni fino allo 0,1 per cento) e misure di aliquote che i comuni hanno la facoltà di ridurre.

 

Si ricorda che la legge di stabilità 2013 (articolo 1, commi 380 e da 382 a 384 della legge n. 228 del 2012) ha innovato l’attuale assetto della destinazione del gettito rinveniente dall’IMU, conseguentemente ridefinendo i rapporti finanziari tra Stato e comuni attualmente delineato dal D.Lgs. n. 23 del 2011 sul federalismo municipale, nell’ambito del quale si dispone l’abrogazione di numerose disposizioni. In particolare, viene attribuito ai comuni l’intero gettito IMU, ad esclusione di quello derivante dagli immobili ad uso produttivo, che rimane destinato allo Stato.

Conseguentemente, sempre in relazione all'attribuzione ai comuni dell'intero gettito IMU, viene sospesa, per gli anni 2013 e 2014, la devoluzione di gettito di imposte erariali immobiliari in favore dei comuni e della compartecipazione comunale al gettito dell’IVA disposta dall’articolo 2 del decreto legislativo n. 23 del 2011 (commi 1, 2, 4, 5, 8 e 9). Si tratta, per quanto concerne le imposte erariali immobiliari di cui è sospesa la devoluzione, dell’imposta di registro e di bollo sugli atti di trasferimento immobiliare, dell’imposta ipotecaria e catastale, dell’imposta di registro sulle locazioni, delle tasse ipotecarie e della cedolare secca sugli affitti.

 

Il decreto-legge n. 54 del 2013 ha sospeso - per l'anno 2013 - il versamento della prima rata dell'IMU, in scadenza il 16 giugno, per le talune categorie immobiliari, e successivamente l’articolo 1 del D.L. 31 agosto 2013, n. 102 ha stabilito che tale rata non sia dovuta.

 

Modifiche alle imposte di registro, ipotecaria e catastale

L’articolo 26 del D.L. 12 settembre 2013, n. 104, attraverso una novella all’articolo 10 del D.Lgs. n. 23 del 2011 (c.d. federalismo municipale), interviene in tema di determinazione, con decorrenza dal 1° gennaio 2014, delle imposte di registro, ipotecaria e catastale, relativamente ai trasferimenti immobiliari.

 

La disciplina prevista dall’articolo 10 del D.Lgs. n. 23 del 2011

 

L’articolo 10 del decreto legislativo in materia di federalismo fiscale ha modificato – a decorrere dal 1° gennaio 2014 - la vigente disciplina dell’imposta di registro, sostituendo - nel dettaglio - il comma 1 dell’articolo 1 della Tariffa (Parte prima) allegata al relativo Testo Unico (D.P.R. 24 aprile 1986, n. 131).

 

L’imposta di registro è un’imposta indiretta che si applica ai trasferimenti: essa colpisce gli atti elencati nella Tariffa allegata al D.P.R. n. 131 del 1986.

Ai fini dell’applicazione dell’imposta, si intende per registrazione in termine fisso la registrazione da richiedersi entro un determinato numero di giorni dalla data di formazione dell’atto. La registrazione in caso d’uso (articolo 6 del D.P.R. n. 131 del 1986) si verifica quando un atto si deposita, per essere acquisito agli atti, presso le cancellerie giudiziarie nell'esplicazione di attività amministrative o presso le amministrazioni dello Stato o degli enti pubblici territoriali e i rispettivi organi di controllo, salvo che il deposito avvenga ai fini dell'adempimento di un'obbligazione delle suddette amministrazioni, enti o organi ovvero sia obbligatorio per legge o regolamento.

L’imposta può essere applicata in misura fissa (per un ammontare specifico, legato al tipo di atto imponibile) ovvero proporzionalmente (applicando l’aliquota prevista nella tariffa al valore dell’atto).

 

Nella formulazione vigente, che si applicherà sino al 1° gennaio 2014 (termine dal quale troverà applicazione la nuova disciplina), il comma 1 fissa all’8 per cento la misura dell’aliquota dell’imposta di registro applicabile agli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di beni immobili in genere, nonché agli atti traslativi o costitutivi di diritti reali immobiliari di godimento (compresi la rinuncia pura e semplice agli stessi) ai provvedimenti di espropriazione per pubblica utilità e ai trasferimenti coattivi.

Ove l’atto abbia ad oggetto fabbricati e relative pertinenze, essa è parti al 7 per cento. Le imposte ipotecaria e catastale, per l’acquisto di fabbricati diversi dalla abitazione principale, si applicano rispettivamente nella misura del 2 e dell’1 per cento. Complessivamente, dunque, l’imposizione indiretta che attualmente grava sugli atti traslativi di fabbricati diversi dalla “prima casa” è pari al 10 per cento.

Le norme vigenti prevedono misure d’imposta differenziate – e in determinati casi agevolate - a seconda del soggetto coinvolto nel trasferimento (ad es. Onlus) ovvero di immobile soggetto a trasferimento (ad es. immobili di interesse storico, artistico e archeologico) oppure in ragione di entrambi gli elementi (terreni agricoli nei confronti di soggetti non imprenditori agricoli).

All’acquisto dell’abitazione principale (così come per gli immobili di interesse storico, artistico e archeologico) si applica l’imposta di registro nella misura del 3 per cento, mentre le imposte ipotecarie e catastali sono dovute in misura fissa (articolo 1 della tariffa allegata al D.Lgs. 31 ottobre 1990 n. 347 e articolo 10, comma 2 del medesimo D.Lgs. n. 347/1990).

In caso di trasferimento a favore dello Stato, di enti pubblici territoriali o consorzi costituiti esclusivamente fra gli stessi, di comunità montane, di Onlus ovvero per gli immobili situati all’estero è dovuta l’imposta in misura fissa.

Per il trasferimento avente per oggetto fabbricati o porzioni di fabbricato e esente dall’IVA ai sensi dell’articolo 10, primo comma, numero 8-bis), del DPR n. 633/1972, ed effettuato nei confronti di imprese, si applica l’imposta di registro nella misura dell’1 per cento.

 

La lettera a) del comma 1 dell’articolo 10 sostituisce integralmente il comma 1, articolo 1 della Tariffa, stabilendo che, con decorrenza dal 1° gennaio 2014, l’imposta di registro si applichi nella misura del 9 per cento agli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di beni immobili in genere, agli atti traslativi o costitutivi di diritti reali immobiliari di godimento (compresa la rinuncia agli stessi) ai provvedimenti di espropriazione per pubblica utilità ed ai trasferimenti coattivi.

Se il trasferimento investe case di abitazione, sempre che non si tratti di un immobile appartenente alle categorie catastali A1, A8 e A9 (immobili signorili, ville e castelli), la misura dell’aliquota è pari al 2 per cento ove ricorrano le condizioni indicate dalla nota II-bis) dell'articolo 1 della Tariffa.

 

Il successivo comma 3, in conseguenza delle modifiche apportate al TU sull’imposta di registro e delle nuove aliquote di imposta, esenta i predetti trasferimenti immobiliari dalle altre imposte indirette, nonché tutti gli atti e le formalità direttamente conseguenti, posti in essere per effettuare gli adempimenti presso il catasto ed i registri immobiliari.

 

La nota II-bis dell'articolo 1 della Tariffa disciplina le condizioni per l’applicazione dell’imposta di registro con aliquota agevolata agli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di case di abitazione non di lusso e agli atti traslativi o costitutivi della nuda proprietà, dell'usufrutto, dell'uso e dell'abitazione relativi alle stesse.

In particolare, si prescrive che l'immobile sia ubicato nel territorio del comune in cui l'acquirente ha o stabilisca entro diciotto mesi dall'acquisto la propria residenza o, se diverso, in quello in cui l'acquirente svolge la propria attività ovvero, se trasferito all'estero per ragioni di lavoro, in quello in cui ha sede o esercita l'attività il soggetto da cui dipende ovvero, nel caso in cui l'acquirente sia cittadino italiano emigrato all'estero, che l'immobile sia acquisito come prima casa sul territorio italiano. La dichiarazione di voler stabilire la residenza nel comune ove è ubicato l'immobile acquistato deve essere resa, a pena di decadenza, dall'acquirente nell'atto di acquisto. Inoltre, nell'atto di acquisto l'acquirente deve dichiarare di non essere titolare esclusivo o in comunione con il coniuge dei diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del comune in cui è situato l'immobile da acquistare; di non essere titolare, neppure per quote, anche

in regime di comunione legale su tutto il territorio nazionale dei diritti di proprietà, usufrutto, uso, abitazione e nuda proprietà su altra casa di abitazione acquistata dallo stesso soggetto o dal coniuge, con le agevolazioni fiscali indicate dalla norma stessa. Infine, in caso di cessioni soggette ad imposta sul valore aggiunto, la norma consente di effettuare le suddette dichiarazioni, comunque riferite al momento in cui si realizza l'effetto traslativo, oltre che nell'atto di acquisto, anche in sede di contratto preliminare.

La lettera b) del comma 1 prevede l’abrogazione di tutte le note dell’articolo 1 della Tariffa, fatta salva la predetta nota II-bis), nella quale è coerentemente modificata (successiva lettera c)) la misura dell’aliquota agevolata applicabile (2 per cento in luogo del vigente 3 per cento).

Il comma 2 prevede una misura minima di imposta, applicabile alle ipotesi appena illustrate (trasferimenti immobiliari, come disciplinati dal comma 1), pari a 1.000 euro.

Le norme (comma 4) prevedono, infine, una generale abolizione di tutte le esenzioni e le agevolazioni tributarie anche previste da leggi speciali.

Infine, il comma 5 reca la decorrenza delle norme introdotte che troveranno applicazione a decorrere dal 1° gennaio 2014.

 

Il comma 1, novellando il comma 3 dell’articolo 10 del D.Lgs. n. 23 del 2011, da un lato conferma l’esenzione dall'imposta di bollo, dai tributi speciali catastali e dalle tasse ipotecarie per gli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di beni immobili in genere e atti traslativi o costitutivi di diritti reali immobiliari di godimento, assoggettati all'imposta di cui ai commi 1 e 2, e tutti gli atti e le formalità direttamente conseguenti posti in essere per effettuare gli adempimenti presso il catasto ed i registri immobiliari, dall’altro li assoggetta a ciascuna delle imposte ipotecaria e catastale nella misura fissa di 50 euro (mentre nel testo previgente, che sarebbe stato applicato dal 1° gennaio 2014, era prevista l’esenzione totale).

 

Il comma 2 eleva da 168 a 200 euro l'importo di ciascuna delle imposte di registro, ipotecaria e catastale in tutti quei casi in cui esso sia stabilito in misura fissa da disposizioni vigenti anteriormente al 1° gennaio 2014.

 

Il comma 3 specifica che tale aumento a 200 euro disposto dal comma 2 ha effetto dal 1° gennaio 2014 e, in particolare, ha effetto per gli atti giudiziari pubblicati o emanati, per gli atti pubblici formati, per le donazioni fatte e per le scritture private autenticate a partire da tale data, per le scritture private non autenticate e per le denunce presentate per la registrazione dalla medesima data, nonché per le formalità di trascrizione, di iscrizione, di rinnovazione eseguite e per le domande di annotazione presentate a decorrere dalla stessa data.

 

In sostanza, l’articolo 26 del D.L. n. 104 del 2013 in commento:

§      conferma il regime di esenzione dall'imposta di registro da applicare a decorrere dal 1° gennaio 2014, ai sensi dell’articolo 10 del decreto sul federalismo municipale (D.Lgs. n. 23/2011), agli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di beni immobili in genere e agli atti traslativi o costitutivi di diritti reali immobiliari di godimento, e tutti gli atti e le formalità direttamente conseguenti posti in essere per effettuare gli adempimenti presso il catasto ed i registri immobiliari;

§      assoggetta ciascuna delle imposte ipotecaria e catastale relative ai medesimi atti alla misura fissa di 50 euro (mentre precedentemente venivano esentati);

§      in tutti i casi in cui la normativa vigente stabilisce che le imposte di registro, ipotecaria e catastale siano liquidate in misura fissa, il relativo importo aumenta, con decorrenza dal 1° gennaio 2014, da 168 a 200 euro.

 

In tema di tassazione sui trasferimenti immobiliari, si ricorda che nell’ambito del disegno di legge in materia fiscale approvato dalla Camera dei deputati (A.S. 1058), emerge, fra i criteri direttivi che dovrebbero guidare la riforma del catasto, la necessità di prevedere, contestualmente all’efficacia impositiva dei nuovi valori catastali, la modifica delle aliquote, delle eventuali deduzioni, detrazioni o franchigie, finalizzata ad evitare un aggravio del carico fiscale medio, con particolare riferimento alle imposte sui trasferimenti. E’ inoltre prevista una delega al Governo per la revisione delle imposte di bollo, di registro, ipotecaria e catastale, e delle altre imposte di trascrizione e di trasferimento, secondo principi direttivi volti alla semplificazione degli adempimenti e razionalizzazione delle aliquote, allaccorpamento o soppressione di fattispecie particolari, al coordinamento con i decreti attuativi in tema di federalismo fiscale municipale.

La TARES

Sebbene non disciplinata nell’ambito dei decreti legislativi attuativi della legge sul federalismo fiscale, tuttavia va considerata anche la c.d. TARES, cioè il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi, disciplinata  dall’articolo 14 del D.L. n. 201 del 2011.

 

L'articolo 14 del decreto-legge n. 201 del 2011 ha istituito, a decorrere dal 1° gennaio 2013, il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (Tares), a copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, nonché dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni. Il tributo è dovuto da chiunque possieda, occupi o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani. A decorrere dal 1° gennaio 2013 sono soppressi tutti i vigenti prelievi relativi alla gestione dei rifiuti urbani, sia di natura patrimoniale sia di natura tributaria, compresa l'addizionale per l'integrazione dei bilanci degli enti comunali di assistenza. Il versamento del tributo è effettuato in quattro rate trimestrali, scadenti nei mesi di gennaio, aprile, luglio e ottobre. I comuni possono variare la scadenza e il numero delle rate di versamento.

Nella corrente legislatura la materia è stata interessata dai commi 2, 2-bis, e 3 dell’articolo 10 del D.L. 8 aprile 2013, n. 35, al fine di dettare una disciplina transitoria per il pagamento della Tares consentendo ai comuni, per il solo anno 2013 di modificare la scadenza (fissata al mese di luglio) e il numero delle rate di versamento del tributo; inviare ai contribuenti i modelli di pagamento precompilati già predisposti per la Tarsu, la Tia 1 o la Tia 2; avvalersi per la riscossione del tributo dei soggetti affidatari del servizio di gestione dei rifiuti urbani. La maggiorazione standard pari a 0,30 euro per metro quadrato – per la quale i comuni, nel 2013, non possono esercitare la facoltà di aumento fino a 0,40 euro – viene riservata allo Stato. Viene, inoltre, estesa l’esclusione dalla tassazione alle aree scoperte pertinenziali o accessorie di tutti i locali tassabili.


Gli interventi per la rimozione degli squilibri economici-sociali

 

Il decreto legislativo 31 maggio 2011, n. 88, recante "Disposizioni in materia di risorse aggiuntive e di interventi speciali per la rimozione degli squilibri economici e sociali, a norma dell'articolo 16 della legge 5 maggio 2009, n. 42", interviene sulla disciplina del Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS), che viene ridenominato come "Fondo per lo sviluppo e la coesione", ed individua nuovi strumenti procedurali idonei a rendere più efficace la politica di riequilibrio economico e sociale tra le diverse aree del Paese, anche per un miglior utilizzo delle risorse finanziarie destinate a tale scopo.

 

L’articolo 9-bis del D.L. 21 giugno 2013, n. 69 interviene in merito al “contratto istituzionale di sviluppo”, cioè quello strumento che le amministrazioni competenti possono stipulare sia per accelerare l’utilizzo dei fondi strutturali europei, nonché per accelerare la realizzazione di nuovi progetti strategici di rilievo nazionale, interregionale e regionale in relazione a obiettivi e risultati, finanziati con risorse nazionali, dell'Unione europea e del Fondo per lo sviluppo e la coesione.

Si rammenta che In attuazione del Piano nazionale per il Sud, prima con la delibera CIPE n. 1 del 2011, poi con l’articolo 6 del D.Lgs. n. 88 del 2011, è stato introdotto nell’ordinamento, in sostituzione del previgente strumento dell’intesa istituzionale di programma, il contratto istituzionale di sviluppo (CIS).

Il contratto istituzionale di sviluppo viene sottoscritto dal Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale, d’intesa con il Ministro dell’economia e delle finanze e con gli altri Ministri interessati, dai Presidenti delle Regioni interessate e possono parteciparvi altre amministrazioni competenti, compresi i concessionari di servizi pubblici.

 

Il comma 2 specifica che il contratto istituzionale di sviluppo è promosso dal Ministro per la coesione territoriale o dalle amministrazioni titolari dei nuovi progetti strategici, coerenti con priorità programmatiche di rango europeo, nazionale e/o territoriale, ed è regolato dai commi 2 e seguenti dell'articolo 6, decreto legislativo 31 maggio 2011, n. 88, per quanto compatibili con il presente articolo.

I successivi commi da 3 a 7 novellano l’articolo 6 del D.Lgs. n. 88 del 2011, ponendo l'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa Spa (denominata anche Invitalia), quale soggetto centrale di coordinamento delle attività di progettazione e di realizzazione degli interventi ricompresi nei contratti istituzionali di sviluppo.

 

Si ricorda che la legge finanziaria per il 2007, all’articolo 1, commi da 459 a 464, ha introdotto una serie di disposizioni volte ad un complessivo riassetto della società Sviluppo Italia S.p.A., che viene denominata “Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa S.p.A.”, da attuarsi mediante un piano di riordino e di dismissione delle partecipazioni societarie detenute nei settori non strategici e di cessione delle società regionali. I settori di intervento della società riguardano, in particolare, l’attrazione degli investimenti esteri (contratto di localizzazione), gli incentivi alle imprese (autoimpiego e autoimprenditorialità; interventi di deindustrializzazione ex lege n. 181/1989; contratti di sviluppo).

Da ultimo l’articolo 55-bis del D.L. n. 1 del 2012 consente alle amministrazioni centrali di avvalersi delle convenzioni con l’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa S.p.A. per le attività economiche, finanziarie e tecniche - comprese quelle di progettazione in materia di lavori pubblici – occorrenti ai fini della realizzazione di interventi riguardanti le aree sottoutilizzate del Paese, con particolare riferimento agli interventi di rilevanza strategica per la coesione territoriale, finanziati con risorse nazionali, comunitarie e dal Fondo per lo sviluppo e la coesione, anche mediante finanza di progetto.

 

Il comma 3 sostituisce al comma 2 dell’articolo 6 l’ultimo periodo, prevedendo, quale modalità attuativa, che le amministrazioni centrali, ed eventualmente regionali, si avvalgano dell'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa Spa, salvo per quanto assegnato all'attuazione dei concessionari di servizi pubblici.

La formulazione previgente prevedeva la generica possibilità per le amministrazioni centrali e regionali di avvalersi di organismi di diritto pubblico in possesso dei necessari requisiti di competenza e professionalità.

 

Analogamente con il comma 4 viene novellato l’articolo 5, comma 4, del medesimo D.Lgs. n. 88, relativo alla Programmazione del Fondo per lo sviluppo e la coesione.

Il richiamato comma 4 prevede che con delibera del CIPE da approvare entro il mese di ottobre dell’anno che precede l’avvio del ciclo pluriennale di programmazione (in sede di prima applicazione sarà il mese di ottobre 2013) siano definiti i contenuti di un Documento di indirizzo strategico.

I contenuti del Documento di indirizzo strategico dovranno indicare:

a) gli obiettivi e i criteri di utilizzazione delle risorse stanziate, le finalità specifiche da perseguire, il riparto delle risorse tra le priorità e le diverse macro-aree territoriali, nonché l’identificazione delle Amministrazioni attuatrici;

(…)

d) eventuali meccanismi premiali e sanzionatori, ivi compresa la revoca anche parziale dei finanziamenti relativi al raggiungimento di obiettivi e risultati misurabili e al rispetto del crono programma.

 

La novella in esame modifica la lettera a) facendo riferimento, ai fini dell’identificazione, delle amministrazioni responsabili dell'attuazione e l'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa Spa, anche quale centrale di committenza della quale si possono avvalere le stesse amministrazioni responsabili per l'attuazione degli interventi strategici.

La lettera d) viene novellata inserendo tra i contenuti del Documento di indirizzo strategico anche gli incentivi all'utilizzazione del contratto istituzionale di sviluppo.

Il comma 5 stabilisce che l'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa Spa nelle attività di progettazione e realizzazione degli interventi opererà nel rispetto della disciplina nazionale e comunitaria in materia. Ai progetti strategici si applicano le vigenti disposizioni in materia di prevenzione e repressione della criminalità e dei tentativi di infiltrazione mafiosa, ivi comprese quelle concernenti le comunicazioni e informazioni antimafia.

Tale principio è già contenuto all’articolo 6, comma 3 del D.Lgs. n. 88, ai sensi del quale per gli interventi individuati nel contratto istituzionale di programma si applicano le vigenti disposizioni in materia di prevenzione e repressione della criminalità organizzata e dei tentativi di infiltrazione mafiosa, ivi comprese quelle concernenti le comunicazioni e informazioni antimafia.


L’armonizzazione dei bilanci delle regioni
e degli enti territoriali

 

L’articolo 9 del D.L. 31 agosto 2013, n. 102  reca alcune modifiche alla disciplina sull’armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle regioni e degli enti locali recata dal D.Lgs. 23 giugno 2011, n. 118, con riguardo in particolare ai tempi ed ai criteri concernenti la fase della sperimentazione del nuovo regime contabile. In particolare l’articolo prolunga di un anno la durata della la fase della sperimentazione del nuovo regime contabile e ne integra alcuni dei criteri già previsti. Dispone poi alcuni incentivi per gli enti che partecipano alla sperimentazione, con la previsione delle necessarie coperture finanziarie e, per le regioni in sperimentazione, prevede che esse concorrano agli obiettivi di finanza pubblica utilizzando il criterio della competenza eurocompatibile, introdotto dalla legge di stabilità 2013. Stabilisce infine, come modificato in sede referente, termini per l’approvazione del rendiconto degli enti territoriali in sperimentazione.

 

Emanato in attuazione della legge delega sul federalismo fiscale n. 42/2009, il decreto legislativo n. 118 del 2011 prevede all’articolo 36, ai fini di una corretta entrata a regime della nuova disciplina contabile per gli enti territoriali dallo stesso recata, una fase sperimentale biennale per gli anni 2012 e 2013, decorsa la quale il nuovo sistema avrebbe avuto applicazione. Il decreto dispone conseguentemente, all’articolo 38, che i nuovi principi in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro enti e organismi strumentali (recati dal Titolo I del decreto legislativo[3]), con particolare riguardo all’adozione del bilancio di previsione annuale di competenza e cassa e della classificazione per missioni e programmi, si dovessero applicare a decorrere dal 2014.

Il comma 1 dell’articolo 9 pospone di un anno entrambe tali scadenze, stabilendo alla lettera a), che la fase sperimentale avrà durata triennale e, conseguentemente, alla lettera b), che i nuovi principi contabili si applicheranno a decorrere dal 2015.

La relazione illustrativa segnala come tale rinvio sia dovuto dalla complessità delle procedure di emanazione dei decreti legislativi attuativi della delega sul federalismo fiscale, atteso che un apposito schema di decreto legislativo correttivo della disciplina della riforma contabile – consentito dall’articolo 36, comma 5[4], del D.Lgs. n. 118/2009 sulla base degli elementi che potessero emergere nella fase della sperimentazione - è già in avanzata fase di predisposizione.

In relazione all’ulteriore anno consentito dal comma 1, il comma 2 integra i contenuti della sperimentazione, prevedendo che nel terzo anno, ferme restando le disposizioni generali sulla sperimentazione medesima, come disciplinate dal D.P.C.M. del 28 dicembre 2011[5], siano sperimentate le più significative novità che dovranno essere recate dalla riforma, quali l’adozione del principio contabile applicato alla programmazione, un bilancio di previsione riferito ad un orizzonte temporale almeno triennale e l’istituzione, in luogo del vigente fondo svalutazione crediti[6], di un nuovo fondo denominato “Fondo crediti di dubbia esigibilità”.

Il comma 3 abroga l’articolo 12 del citato D.P.C.M. 28 dicembre 2011, che definisce e stabilisce le modalità di possibile utilizzo del risultato di amministrazione dell’esercizio finanziario annuale; l’abrogazione è disposta in considerazione dei nuovi contenuti stabiliti dal comma 2 dell’articolo 9 in commento per l’attività di sperimentazione, rispetto ai quali l’articolo 12 non risulta più coerente.

I commi 4 e 5 attengono agli enti che partecipano alla sperimentazione.

Secondo quanto prevede il comma 4 dell’articolo 36 sopradetto, tali enti devono essere individuati con appositi D.P.C.M., secondo criteri che tengano conto della dimensione demografica e della collocazione geografica. All’individuazione si è proceduto con Decreti del Presidente del Consiglio dei ministri 25 maggio 2012 e 29 marzo 2013, rispettivamente per l’anno 2012 e l’anno 2013.

Il primo di tali due D.P.C.M., vale a dire quello del 25 maggio 2012, nel sostituire un precedente D.P.C.M. del 28 dicembre 2011, individua ai fini della sperimentazione le regioni Basilicata, Campania, Lazio, Lombardia e Sicilia, 12 province e 68 comuni, cui poi il successivo D.P.C.M. 29 marzo 2013 ne ha aggiunto uno ulteriore (per un totale, quindi, di 69 comuni).

In particolare il comma 4 dispone che la sperimentazione possa essere estesa agli enti che ne facciano domanda entro il 30 settembre 2013, mentre il comma 5 stabilisce che la verifica del limite per il 2013 sulla spesa per il personale – limite posto dall’articolo 1, comma 557, della L. n. 296/2006[7] - possa essere riferito all’esercizio 2011; ciò, precisa la relazione illustrativa, al fine di evitare agli enti in sperimentazione effetti negativi (correlati al mancato rispetto dei parametri per tale categoria di spesa) derivante dal nuovo principio di competenza da adottarsi durante il periodo di sperimentazione.

Il comma 6 interviene – modificando l’articolo 31 (relativo al patto di stabilità interno) della legge di stabilità per il 2012 (legge n. 183/2011) in ordine ai criteri di virtuosità degli enti territoriali ed introduce alcuni incentivi per i comuni che partecipazione alla sperimentazione.

In particolare:

§      vengono sospese - introducendo all’articolo 31 sopradetto un comma 4-bis - per l’anno 2014 le disposizioni recate dall’articolo 20, comma 2, 2-bis e 3 del D.L. n. 98 2011[8];

Il comma 2 stabilisce che con decreto del Ministro dell'interno gli enti locali e le regioni sono ripartiti in due classi, sulla base di dieci parametri di virtuosità elencati nel comma (convergenza tra spesa storica e costi e fabbisogni standard, rispetto del patto di stabilità interno, incidenza della spesa del personale sulla spesa corrente dell'ente in relazione al numero dei dipendenti in rapporto alla popolazione residente ecc.), tra i quali, a norma del comma 2-bis, a decorrere dalla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni e dalla definizione degli obiettivi di servizio cui devono tendere gli enti territoriali, saranno compresi indicatori quantitativi e qualitativi relativi agli output dei servizi resi. Il comma 3 prevede che gli enti locali che, in esito a quanto previsto dal comma 2, risultano collocati nella classe virtuosa, fermo restando l'obiettivo del comparto, conseguono un saldo obiettivo pari a zero e che la regioni che, in esito a quanto previsto dal medesimo comma 2, risultano collocate nella classe virtuosa, fermo restando l'obiettivo del comparto, migliorano i propri obiettivi del patto di stabilità interno per un importo derivante da alcuni criteri derivanti da specifiche disposizioni legislative[9];

§      si prevede poi (introducendo un comma 4-ter all’articolo 31 in questione) per gli enti ammessi alla sperimentazione un incentivo consistente in una riduzione dell’obiettivo del patto di stabilità interno che, si dispone, “è ridotto proporzionalmente con un valore compatibile con gli spazi finanziari derivanti dall’applicazione del comma 4-quater” e comunque non oltre un saldo pari allo zero;

§      si introduce poi (sempre all’articolo 31 medesimo) un comma 4-quater, nel quale si prevede che alla compensazione degli effetti finanziari derivanti dal comma 4-ter che precede si provvede: a) con le risorse derivanti dall’applicazione delle percentuali sulla spesa corrente disposte dal comma 6 dell’articolo 31 (stabilite al fine dell’obiettivo di saldo finanziario del patto di stabilità e relative agli enti locali che risultano collocati nella classe non virtuosa) agli enti locali che non partecipano alla sperimentazione; b) mediante utilizzo per 120 milioni del Fondo previsto dall’articolo 6, comma 2, del D.L. n. 154/2008[10];

§      infine si modifica il comma 6 dell’articolo 31 inserendo un periodo nel quale, alla luce dell’obiettivo specifico del patto di stabilità interno disposto dal comma 4-ter per gli enti locali che partecipano alla sperimentazione, si prevede che per il 2014 le percentuali sulla spesa corrente stabilite dal comma 2 del medesimo articolo[11]come rideterminate con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze” si applichino agli enti locali che non partecipano alla sperimentazione.

Le relazione illustrativa e tecnica allegate al decreto legge precisano che il sistema di incentivazione degli enti che partecipano alla sperimentazione, come disciplinata dai commi 4-bis, 4-ter e 6 ora illustrati, ha carattere oneroso, per complessivi 670 milioni nel 2014, 120 milioni dei quali coperti a valere sull’apposito Fondo di cui al comma 4-quater, e 550 milioni affidati, secondo quanto desumibile dal testo dei commi in commento, ad una modifica (operata, come detto, sulle percentuali di spesa corrente stabilite per gli enti locali dall’articolo 31, comma 2, della legge n. 183/2011) dell’obiettivo del patto di stabilità interno degli enti locali non in sperimentazione. Obiettivo che, precisa la sola relazione illustrativa, andrebbe aumentato dell’1 per cento.

 

Si ricorda, infine, che il comma 3-bis dell’articolo 20 del D.L. n. 98/2011, come introdotto dall’art. 1, comma 429, L. 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013), dispone un alleggerimento dei vincoli del patto di stabilità interno per il 2013 per gli enti che partecipano alla sperimentazione di cui all'articolo 36 del D.Lgs. n. 118/2011 sopracitato, prevedendo per tali enti un miglioramento complessivo di 20 milioni di euro degli obiettivi del patto, da ripartirsi sulla base di specifico decreto del Ministro dell'economia e delle finanze sentita la Conferenza unificata.

I commi 7 ed 8 prevedono agevolazioni per l’anno 2014 per gli enti che partecipano alla sperimentazione, disponendo:

§      che gli enti locali nei quali l’incidenza delle spese di personale è inferiore al 50 per cento possono procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato nel limite del 50 per cento – anziché del 40 per cento come ora stabilito - della spesa corrispondente alle cessazioni dell'anno precedente[12];

§      che per i medesimi enti il limite della spesa per procedere ad assunzioni a tempo determinato o con altri contratti di natura flessibile, stabilito nel 50 per cento della spesa per le medesime finalità sostenuta nell’anno 2009 sia innalzata, per il 2014, nel limite del 60 per cento.

Il comma 9, da ultimo, prevede che le regioni in sperimentazione concorrano agli obiettivi di finanza pubblica (vale a dire per quanto concerne il patto di stabilità per le regioni) in termini di competenza eurocompatibile, a norma dell’articolo 1, commi 499 sgg., della legge di stabilità 2013 (L. n. 228/2012).

Tali norme, nel definire gli obiettivi del patto di stabilità per gli anni 2013 e successivi, fissano un tetto alle spese complessive e introducono, al posto del precedente criteri della cassa, una diversa modalità di calcolo[13] dell'insieme da considerare, definita competenza eurocompatibile (o saldo eurocompatibile). Le voci che costituiscono tale competenza sono:

a)   gli impegni di parte corrente al netto dei trasferimenti, delle spese per imposte e tasse e per gli oneri straordinari della gestione corrente;

b)   i pagamenti per trasferimenti correnti, per imposte e tasse e per gli oneri straordinari della gestione corrente;

c)   i pagamenti in conto capitale escluse le spese per concessione di crediti, per l'acquisto di titoli, di partecipazioni azionarie e per conferimenti.

 

Il comma 9-bis dell’articolo 9 riguarda i termini per l’approvazione del rendiconto e del bilancio di esercizio per gli enti locali e le regioni che partecipano alla fase di sperimentazione finalizzata alla corretta entrata a regime della nuova disciplina contabile.

In particolare, la norma dispone che il rendiconto o il bilancio di esercizio degli enti in sperimentazione sia:

§      approvato dalla Giunta o dall'organo esecutivo entro il 30 aprile dell'anno successivo (primo periodo);

§      approvato dalla Regione e dall’ente locale, rispettivamente, entro il 31 luglio e il 31 maggio dell'anno successivo (secondo periodo).

 

La norma si pone come una disposizione a regime che innova rispetto alla legislazione vigente in materia, recata dall’articolo 18 del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, recante la disciplina per l’armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle regioni e degli enti locali, il quale fissa al 30 aprile dell'anno successivo i termini per l’approvazione del rendiconto o del bilancio di esercizio da parte degli organi consiliari delle regioni e degli enti locali.

L’articolo 18 del citato D.Lgs. n. 118/2011 ha provveduto ad uniformare i termini per l’approvazione degli schemi contabili per le regioni, gli enti locali come individuati dall'articolo 2 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (i comuni, le province, le città metropolitane, le comunità montane, le comunità isolane e le unioni di comuni, nonché consorzi di enti locali), e gli enti e organismi strumentali delle regioni e degli enti locali[14]. In particolare, la norma dispone che tali enti approvino i documenti contabili nei termini seguenti:

a)       bilancio di previsione o budget economico entro il 31 dicembre dell'anno precedente;

b)      rendiconto o bilancio di esercizio entro il 30 aprile dell'anno successivo;

c)       bilancio consolidato entro il 30 giugno dell'anno successivo.

 

La norma, nel tener fermo il termine del 30 aprile dell'anno successivo per l’approvazione del rendiconto da parte della Giunta o dell'organo esecutivo, procede poi a rinviare, di un ulteriore mese per gli enti locali e di tre mesi per le regioni, il termine per l’approvazione del documento contabile da parte dei rispettivi organi consiliari.

La modifica dei termini di approvazione del rendiconto da parte degli enti in sperimentazione sembra da porre in relazione alla prossima adozione dello schema di decreto legislativo correttivo della disciplina dell’armonizzazione contabile – consentito dall’articolo 36, comma 5[15], del D.Lgs. n. 118/2011 sulla base degli elementi che possono emergere nella fase della sperimentazione – che, secondo quanto sottolineato nella Relazione illustrativa, risulta in avanzata fase di predisposizione.

La diversa estensione del periodo di prolungamento dei tempi per l’approvazione del rendiconto da parte delle regioni (tre mesi) rispetto a quello degli enti locali (un mese) sembra da mettere in relazione alla recente introduzione, da parte dell’articolo 1, comma 5, del decreto-legge n.174/2012[16], del giudizio di parificazione della Corte dei conti sui rendiconti regionali, secondo una procedura che richiede un congruo intervallo di tempo tra l’ approvazione del documento da parte dell’organo esecutivo e la successiva approvazione in sede consiliare.


Sanzioni e premi

 

Con la sentenza n. 219 del 2013 la Corte costituzionale ha caducato diverse disposizioni del D.Lgs. n. 149/2011, alcune in via diretta, altre in via consequenziale.

Le censure della Corte possono essere distinte secondo due profili, l’uno di contrasto con l’art. 76 Cost. per eccesso dalle disposizioni di delega contenute nella legge di delega n. 42 del 2009, l’altro per contrasto con altre disposizioni costituzionali.

Violazione dell’art. 76 Cost..

Questo profilo di illegittimità è stato rilevato dalla Consulta per le disposizioni degli articoli 1, 3, 7 e 13, del decreto legislativo. Per i primi due articoli l’illegittimità riguarda le regioni a statuto ordinario, per il terzo e il quarto le autonomie speciali.

L’articolo 1 obbliga le regioni a statuto ordinario a redigere una relazione di fine legislatura a fini di pubblica verifica.

Questo articolo, che è stato oggetto di modifiche con il D.L. n. 174/2012, richiede che nella relazione siano descritte attività amministrative e normative regionali ritenute così ampie dalla Corte costituzionale “da coinvolgere, e potenzialmente incidere, l’intero fascio delle competenze costituzionali delle Regioni”.

L’obiettivo di trasparenza dell’intera azione delle regioni travalica quindi, ad avviso della Consulta, le disposizioni di delega che si sono limitate a prevedere: all’art. 2, comma 2, lett i), l’obbligo di pubblicazione in siti internet dei bilanci delle regioni, delle città metropolitane, delle province e dei comuni; all’art. 17, comma 1, lett. a), la garanzia della trasparenza delle diverse capacità fiscali e delle risorse complessive per abitante; all’art. 26, la previsione di adeguate forme di reciproca integrazione delle basi informative di cui dispongono le regioni, gli enti locali e lo Stato per le attività di contrasto dell’evasione dei tributi.

La declaratoria di illegittimità coinvolge l’intero articolo, in via diretta i commi da 1 a 5, nonché, in via consequenziale, i commi 3-bis e 6.

L’articolo 3 prevede la decadenza automatica e l’interdizione dei funzionari regionali e dei revisori dei conti, per effetto dello stato di grave dissesto finanziario riferito al disavanzo sanitario.

Queste previsioni, contenute nei commi 2 e 3, sono dichiarate illegittime per eccesso dalla disposizioni di delega dell’art. 17, lett. e), della legge n. 42/2009 che ha limitato la previsione di meccanismi sanzionatori al livello degli enti locali e non di quello regionale.

L’articolo 7 stabilisce gli effetti dell’inadempimento del patto di stabilità interno da parte di regioni e province autonome, per l’anno successivo a quello dell’inadempimento. Poiché la disposizione si applica alle autonomie speciali per il solo fatto dell’inadempienza, è violata secondo la Corte la legge di delega che, come si vedrà in riferimento all’articolo 13, limita per tali autonomie l’applicazione del decreto legislativo a determinati oggetti per i quali è previsto il rinvio a procedimenti di adeguamento statutario.

L’articolo 13 stabilisce le condizioni di applicazione alle autonomie speciali dell’intera disciplina stabilita dal decreto legislativo, articolandole in due periodi. Mentre il primo periodo è conforme all’ordinaria formulazione delle clausole di salvaguardia che il legislatore pone a garanzia delle autonomie speciali - richiedendo un adeguamento statutario come condizione di efficacia verso le stesse autonomie della normativa dettata in generale - il secondo periodo prevede un’applicazione automatica della normativa contenuta nel decreto in caso di inutile decorso del termine di sei mesi. Non solo tale automatismo non è previsto dalla delega (che altrimenti sarebbe stata in contrasto con l’art. 116 Cost.), ma la stessa delega limita l’applicazione dei decreti di attuazione alle regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano solo per il finanziamento delle città metropolitane, la perequazione infrastrutturale e il concorso al conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarietà e all’esercizio dei diritti e doveri da essi derivanti, nonché al patto di stabilità interno e all’assolvimento degli obblighi posti dall’ordinamento comunitario. Questa limitazione di tipo sostanziale è accompagnata nella delega da una speculare limitazione procedurale: infatti l’applicazione è subordinata a “criteri e modalità stabiliti da norme di attuazione dei rispettivi statuti, da definire, con le procedure previste dagli statuti medesimi”.

Quindi l’articolo 13 è dichiarato illegittimo limitatamente al secondo periodo.

Violazione di altre disposizioni costituzionali

Contrasto con l’art. 126 Cost.

L’articolo 2 riguarda la responsabilità politica del presidente della giunta regionale ed è definito dalla sentenza in esame “cuore” del complessivo intervento normativo. Questo articolo definisce la fattispecie del “grave dissesto finanziario con riferimento al disavanzo sanitario” e la qualifica “grave violazione di legge” ai fini dello scioglimento del Consiglio regionale e della rimozione del Presidente della Giunta regionale previsti dall’art. 126 Cost..

Per questo articolo la sentenza non individua problemi di eccesso di delega, né problemi per la qualificazione del grave dissesto in termini di grave violazione di legge ai sensi del citato art. 126 Cost..

Anzi, nella sentenza si afferma che “il potere di scioglimento e, oggi, di rimozione funge da elemento caratteristico della forma di Stato regionale”; inoltre, si richiama la sentenza n. 274 del 2003 per affermare che, pur dopo la revisione del Titolo V, resta riservata allo Stato “una posizione peculiare desumibile non solo dalla proclamazione di principio di cui all’art. 5 della Costituzione, ma anche dalla ripetuta evocazione di un’istanza unitaria, manifestata dal richiamo al rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali, come limiti di tutte le potestà legislative (art. 117, primo comma) e dal riconoscimento dell’esigenza di tutelare l’unità giuridica ed economica dell’ordinamento stesso (art. 120, secondo comma). E tale istanza postula necessariamente che nel sistema esista un soggetto, lo Stato appunto, avente il compito di assicurarne il pieno soddisfacimento”. Inoltre, l’indicazione contenuta nell’articolo 2 di uno specifico caso di “violazione di legge”, rafforza il profilo di legalità “che l’art. 126 Cost. ha posto a presidio dell’autonomia regionale”.

Tuttavia, la sentenza rileva che il potere sanzionatorio è disciplinato secondo profili contrari al modello costituzionale dell’art. 126 e al principio di ragionevolezza.

In primo luogo, nel procedimento costituzionale non è prevista la Corte dei conti, alla quale invece il decreto affida un procedimento di accertamento di responsabilità di cui non sono chiariti presupposti, natura e tempo di svolgimento; questa incertezza procedimentale contrasta con la necessità costituzionale di un “immediato allontanamento” dalla carica della persona che la occupa (sentenza n. 12 del 2006), immediatezza che i tempi del giudizio contabile, diversi da quelli della politica, non possono assicurare. Per queste caratteristiche del procedimento la fattispecie disciplinata “non sarebbe davvero “eccezionale” (sentenza n. 50 del 1959), e tale da giustificare un “atto di penetrante ingerenza” (sentenza n. 81 del 1979) nell’autonomia regionale”. Perciò, “l’organo di governo della Regione viene assoggettato ad un procedimento sanzionatorio, di per sé contraddittorio rispetto all’urgenza del decidere, e comunque dai tratti così indefiniti, da rendere incerte le prospettive di esercizio della carica, in danno dell’autonomia regionale”.

In secondo luogo, il parere della Commissione per le questioni regionali, che non è vincolante nell’art. 126 Cost., nel decreto legislativo è disciplinato in modo da avere un effetto limitativo del potere del Presidente della Repubblica che, quindi, ad esso deve uniformarsi.

Questi due profili sono ritenuti quindi non coerenti con il disegno costituzionale che ha “attribuito al Capo dello Stato e al Governo, l’uno rappresentante dell’unità nazionale e l’altro garante dell’indirizzo politico generale, il compito di valutare il grado di responsabilità implicato dalla violazione di legge, giacché anche da esso si desume l’ampiezza e la gravità dell’inadempimento”.

Ulteriore elemento di difformità è nel fatto che, mentre l’art. 126 Cost. fonda la rimozione dalla carica sul fatto che al Presidente della regione è imputabile una grave violazione di legge, nel procedimento dell’articolo 2 la rimozione è stabilita per il Presidente in quanto commissario ad acta chiamato ad esercitare per lo Stato un potere sostitutivo. Quindi gli inadempimenti relativi al piano di rientro, che coinvolgono anche il Consiglio regionale, in realtà “esulano dalla piena ed esclusiva imputabilità agli organi di vertice della Regione”.

La declaratoria di illegittimità coinvolge i commi 2,3 e 5 dell’articolo 2.

 

Contrasto con gli artt. 117, terzo e quarto comma, e 119 Cost..

L’articolo 5, come modificato dall’articolo 1-bis, comma 4, del D.L. n. 174/2012, prevede che il Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato può attivare verifiche sulla regolarità della gestione amministrativo-contabile, anche nei confronti delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano, oltre che negli altri casi previsti dalla legge, qualora un ente evidenzi situazioni di squilibrio finanziario.

Pur essendo legittime le leggi statali quando siano intese ad acquisire dalle Regioni dati utili, “anche nella prospettiva del coordinamento della finanza pubblica” e in particolare “in rapporto alle attribuzioni della Corte dei conti”, l’articolo 5, invece si pone al di là di questo limite perché non attribuisce alla Corte dei conti “ma direttamente al Governo un potere di verifica sull’intero spettro delle attività amministrative e finanziarie della Regione, nel caso di squilibrio finanziario, per mezzo dei propri servizi ispettivi”.

Fermo restando il limite del coordinamento della finanza pubblica, “il grado e la rilevanza costituzionale dell’autonomia politica della Regione si misura anche sul terreno della sottrazione dei propri organi e dei propri uffici ad un generale potere di sorveglianza da parte del Governo, analogo a quello che spetta invece nei confronti degli enti appartenenti al plesso organizzativo statale, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera g), Cost. “. Invece, nella fattispecie, le previsioni dell’articolo 5 superano i limiti dei principi di coordinamento della finanza pubblica e incidono la competenza legislativa regionale in materia di organizzazione degli uffici, sia per le regioni ordinarie che per quelle ad autonomia speciale.

Questo effetto è apprezzabile sia perché viene riservato “all’apparato ministeriale un compito fino ad oggi consacrato all’imparziale apprezzamento della Corte dei conti (sentenze n. 198 del 2012, n. 179 del 2007, n. 267 del 2006 e n. 29 del 1995)”, sia perché “ciò accade in difetto di proporzionalità tra il mezzo impiegato ed il fine perseguito, non essendovi ragione di supporre l’inidoneità degli ampi poteri ispettivi di quest’ultima a conseguire i medesimi risultati, secondo modalità maggiormente compatibili con l’autonomia regionale”.

L’illegittimità colpisce l’articolo 5 nella sua interezza.



[1]     La SOSE - Soluzioni per il Sistema Economico S.p.A. è una Società per azioni costituita con la partecipazione al capitale sociale del Ministero dell’Economia e delle Finanze per l’88% e della Banca d’Italia per l’12%, in base all’art. 10, comma 12 della legge 146/1998, con l’affidamento in concessione di svolgere tutte le attività relative alla costruzione, realizzazione e aggiornamento degli studi di settore.

[2]     Decreto legislativo 26 novembre 2010, recante disposizioni in materia di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard di comuni, province e città metropolitane, emanato in attuazione della legge delega sul federalismo fiscale n.42 del 2009.

[3]     Il Titolo II del decreto è concerne invece i principi contabili relativo al sistema sanitario, è non è oggetto delle modifiche apportate dall’articolo 9 in commento. Per tale Titolo resta quindi fermo il termine per l’applicazione stabilito dell’articolo 38 del D.Lgs. n. 118/2011, che decorre dall’anno successivo all’entrata in vigore dello stesso, e, pertanto, dal 2012.

[4]     Tale comma prevede infatti che in considerazione degli esiti della sperimentazione, con i decreti legislativi integrativi e correttivi siano definiti i contenuti specifici del principio della competenza finanziaria e possano essere ridefiniti i principi contabili generali, oltre al livello minimo di articolazione del piano dei conti integrato comune, alla codifica della transazione elementare e ad altri elementi.

[5]     Recante “Sperimentazione della disciplina concernente i sistemi contabili e gli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro enti ed organismi, di cui all'articolo 36 del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118”.

[6]     L’articolo 6, comma 17 del D.L. n. 95/2012 (legge n. 135/2012) prevede che, a decorrere dall’anno 2012 - nelle more dell’entrata in vigore della disciplina sull’armonizzazione dei bilanci e dei sistemi contabili degli enti territoriali di cui al D.Lgs. n. 118 del 2011-, gli enti locali devono iscrivere nei propri bilanci un Fondo svalutazione crediti costituito in misura non inferiore al 25 percento dei residui attivi (Titolo I e III – entrata) con anzianità superiore a 5 anni.

[7]     Tale disposizione prevede che gli enti sottoposti al patto di stabilità interno assicurano la riduzione delle spese di personale, garantendo il contenimento della dinamica retributiva, mediante la riduzione dell'incidenza percentuale delle spese di personale rispetto al complesso delle spese correnti, attraverso parziale reintegrazione dei cessati e contenimento della spesa per il lavoro flessibile, nonché mediante la riduzione delle strutture ed il contenimento delle dinamiche di crescita della contrattazione integrativa.

[8]     Recante disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria e convertito dalla legge n. 135/2011.

[9]     Costituite dall’articolo 32, comma 3 della legge n. 183/2011, che qui non si dettagliano.

[10]    Convertito dalla legge n.189/2008. Si tratta del Fondo per la compensazione degli effetti finanziari non previsti a legislazione vigente conseguenti all'attualizzazione di contributi pluriennali.

[11]    Tale comma stabilisce le percentuali che gli enti locali devono applicare per gli anni 2012-2016, ai fini della determinazione del proprio obiettivo di saldo finanziario richiesto per il rispetto del patto di stabilità interno, alla media delle spese correnti dagli stessi enti registrata negli anni precedenti.

[12]    Gli enti locali la cui spesa sia pari o superiore al 50 per cento non possono invece procedere ad alcuna assunzione di personale.

[13]    Stabilite in collaborazione con l’ISTAT, in coerenza con le elaborazione sull’indebitamento netto delle regioni secondo il sistema dei conti europei SEC 95.

[14]    Per gli enti del settore sanitario, coinvolti nella gestione della spesa sanitaria finanziata con le risorse destinate al Servizio sanitario nazionale, si applicano disposizioni specifiche, recate dal Titolo II del D.Lgs. n. 118/2011.

[15]    Tale comma prevede infatti che in considerazione degli esiti della sperimentazione, con i decreti legislativi integrativi e correttivi siano definiti i contenuti specifici del principio della competenza finanziaria e possano essere ridefiniti i principi contabili generali, oltre al livello minimo di articolazione del piano dei conti integrato comune, alla codifica della transazione elementare e ad altri elementi.

[16]    Decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, convertito dalla legge n. 213/2012. In particolare il comma 5 dispone che il rendiconto sia parificato dalla sezione regionale di controllo della Corte, che alla decisione di parifica allega una relazione, con le proprie osservazioni sulla regolarità della gestione e con la proposta delle eventuali misure correttive.