Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento ambiente
Titolo: Disposizioni urgenti dirette a fronteggiare emergenze ambientali e industriali e favorire lo sviluppo delle aree interessate D.L. 136/2013 ' A.C. 1885 Schede di lettura
Riferimenti:
DL N. 136 DEL 10-DIC-13   AC N. 1885/XVII
Serie: Progetti di legge    Numero: 103
Data: 17/12/2013
Descrittori:
AMBIENTE   DECRETO LEGGE 2013 0136
INDUSTRIA   INTERVENTI IN AREE DEPRESSE
SERVIZI DI EMERGENZA     
Organi della Camera: VIII-Ambiente, territorio e lavori pubblici

 

 

Camera dei deputati

XVII LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

Disposizioni urgenti dirette a fronteggiare emergenze ambientali e industriali e favorire lo sviluppo delle aree interessate

D.L. 136/2013 – A.C. 1885

Schede di lettura

 

 

 

 

 

 

n. 103

 

 

 

17 Dicembre 2013

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Ambiente

( 066760-4548 / 066760-9253 – * st_ambiente@camera.it

Hanno partecipato alla redazione del dossier i seguenti Servizi e Uffici:

Segreteria Generale – Ufficio Rapporti con l’Unione europea

( 066760-2145 – * cdrue@camera.it

§         Le schede di lettura sono state redatte dal Servizio Studi.

§         Le parti relative ai documenti all’esame delle istituzioni dell’Unione europea e alle procedure di contenzioso sono state curate dall'Ufficio rapporti con l'Unione europea.

 

La documentazione dei servizi e degli uffici della Camera è destinata alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge. I contenuti originali possono essere riprodotti, nel rispetto della legge, a condizione che sia citata la fonte.

File: D13136.doc

 


INDICE

Schede di lettura

§      Articolo 1 (Interventi urgenti per garantire la sicurezza agroalimentare in Campania) 3

§      Articolo 2 (Azioni e interventi di monitoraggio e tutela nei territori della regione Campania) 8

§      Articolo 3 (Combustione illecita di rifiuti) 12

§      Articolo 4 (Modifiche al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271) 17

§      Articolo 5, commi da 1 a 3 (Proroga dell'Unità Tecnica-Amministrativa di cui all'articolo 15 dell'ordinanza del Presidente dei Consiglio dei ministri n. 3920 del 28 gennaio 2011 e successive modificazioni e integrazioni) 19

§      Articolo 5, comma 4 (Versamenti contributivi al personale per la gestione di alcuni impianti di collettamento e depurazione in Campania) 24

§      Articolo 5, comma 5 (Proroga di gestioni commissariali di talune emergenze ambientali) 25

§      Articolo 6 (Disposizioni in materia di commissari per il dissesto idrogeologico) 28

§      Articolo 7 (Modificazioni all'articolo 1 del decreto-legge 4 giugno 2013, n. 61, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2013, n. 89) 30

§      Articolo 8 (Autorizzazione degli interventi previsti dal piano delle misure ambientali e sanitarie per l'Ilva di Taranto ricadenti in area SIN). 40

§      Procedure di contenzioso  42

§      Articolo 9 (Misure per le imprese di interesse strategico nazionale in amministrazione straordinaria) 45

§      Articolo 10 (Entrata in vigore) 47

 


SIWEB

Schede di lettura

 


Articolo 1
(Interventi urgenti per garantire la sicurezza agroalimentare in Campania)

L’articolo 1 disciplina lo svolgimento di indagini tecniche per la mappatura dei terreni della regione Campania destinati all’agricoltura (commi 1-4). In esito alle predette indagini, si prevede l’indicazione dei terreni che non possono essere destinati alla produzione agroalimentare, ma esclusivamente a colture diverse, nonché di quelli da destinare solo a particolari produzioni agroalimentari (commi 5-6).

Il presente articolo e gli articoli da 2 a 3 recano misure volte a far fronte alla grave situazione di emergenza ambientale nel territorio compreso tra le province di Napoli e Caserta, interessato dal fenomeno dei roghi di rifiuti tossici, denominato “Terra dei fuochi” (v. infra).

 

Lo svolgimento delle indagini per la mappatura dei terreni (commi 1-4)

 

In particolare, il comma 1 disciplina lo svolgimento di indagini tecniche per la mappatura, anche mediante strumenti di telerilevamento, dei terreni della regione Campania destinati all’agricoltura, al fine di accertare l’eventuale esistenza di contaminazione a causa di sversamenti e smaltimenti abusivi di rifiuti, anche in conseguenza della relativa combustione.

Lo svolgimento delle indagini tecniche per la mappatura dei terreni agricoli è demandato ai seguenti enti:

-          Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura (CRA);

-          Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA);

-          Istituto superiore di sanità (ISS);

-          Agenzia regionale per la protezione ambientale (ARPA) della Campania.

Con una direttiva interministeriale, emanata entro quindici giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, dai Ministri delle politiche agricole alimentari e forestali, dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e della salute, d'intesa con il Presidente della regione Campania, sono definiti gli indirizzi comuni e le priorità sulla base dei quali si procederà allo svolgimento delle indagini tecniche per la mappatura dei territori campani.

Con riguardo all’attività di monitoraggio, per la mappatura del territorio, il Ministero dell’ambiente ha avviato dal 2012, il progetto MIAPI (monitoraggio delle aree potenzialmente inquinate), finalizzato alla realizzazione delle carte del rischio e basato su nuovi sistemi di acquisizione che rendono possibile individuare anomalie magnetiche fino ad una profondità di 20 metri dal piano campagna, potendo, così, individuare fusti interrati o qualunque altro contenitore metallico al cui interno siano stati occultati materiali nocivi per la salute.

Secondo quanto contenuto nella relazione tecnica, il progetto, allo stato, prevede una copertura parziale del territorio della cosiddetta “Terra dei fuochi”, che sarà possibile completare con una maggiore spesa di 3 milioni di euro.

Tale importo trova rispondenza nella previsione di cui al comma 6 dell’articolo 2 (alla cui scheda di commento si rinvia), in base alla quale agli oneri derivanti dallo svolgimento delle indagini si provvede con le risorse europee disponibili nell'ambito del programma operativo regionale per la Campania (POR) 2007-2013 finalizzate alla bonifica dei siti industriali e di terreni contaminati. Tali risorse, secondo quanto previsto dalla relazione tecnica, possono essere quindi riutilizzate per il progetto MIAPI, illustrato nella parte della relazione tecnica relativa all’articolo 1.

 

Il comma 2 consente agli enti precedentemente citati di avvalersi della collaborazione, secondo le rispettive competenze, del Nucleo operativo ecologico dei Carabinieri, del Corpo forestale dello Stato, del Comando Carabinieri politiche agricole e alimentari, dell’Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti alimentari, dell’Istituto superiore di sanità, dell’Agenzia per le erogazioni in agricoltura, dell’Agenzia per l'Italia digitale, dell’Istituto geografico militare. Nello svolgimento delle indagini tecniche gli enti di cui al comma 1 possono, altresì, avvalersi anche di ulteriori soggetti non specificamente individuati dalla norma, ossia di organismi scientifici pubblici competenti in materia e di strutture e organismi della regione Campania.

In particolare, l’accesso ai terreni privati da parte degli enti preposti alle indagini è assicurato dal Nucleo operativo ecologico dei Carabinieri, dal Corpo forestale dello Stato, dal Comando Carabinieri politiche agricole e alimentari e dal Comando carabinieri per la tutela della salute.

 

I commi 3 e 4 stabiliscono, rispettivamente, due obblighi, finalizzati alla realizzazione della mappatura dei terreni:

-          il primo obbligo riguarda le amministrazioni centrali e locali, che devono fornire i dati e gli elementi conoscitivi già nella loro disponibilità;

-          il secondo obbligo riguarda i privati, titolari di diritti reali di godimento o del possesso dei terreni agricoli, che devono consentire l’accesso ai terreni oggetto di indagine.

Il secondo obbligo limita pertanto la piena disponibilità del bene da parte del proprietario e pare dovere essere considerato alla luce dell’articolo 42 della Costituzione, che consente limiti alla proprietà privata per assicurarne la funzione sociale. Si rammenta che limiti alla proprietà privata sono previsti, in termini non dissimili, in materia di scarico di acque: l'art. 129 del d.lgs. 152/2006 prevede che l'autorità competente al controllo è autorizzata a effettuare le ispezioni, i controlli e i prelievi necessari all'accertamento del rispetto dei valori limite di emissione, delle prescrizioni contenute nei provvedimenti autorizzatori o regolamentari e delle condizioni che danno luogo alla formazione degli scarichi. Il titolare dello scarico è tenuto a fornire le informazioni richieste e a consentire l'accesso ai luoghi dai quali origina lo scarico. Tale potere pare ricollegato a possibili violazioni amministrative/penali in materia e sembra comunque derivare dal generale potere riconosciuto ex articolo 13 della legge n. 689 del 1981. Tale norma prevede, al comma 1, che gli organi addetti al controllo sull'osservanza delle disposizioni per la cui violazione è prevista la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro possono, per l'accertamento delle violazioni di rispettiva competenza, assumere informazioni e procedere a ispezioni di cose e di luoghi diversi dalla privata dimora (in cui rientra un terreno agricolo), a rilievi segnaletici, descrittivi e fotografici e ad ogni altra operazione tecnica.

 

Il comma 4 prevede, inoltre, che, nel caso in cui sia impossibile l’accesso ai terreni per cause imputabili ai titolari di diritti reali di godimento e di possesso del bene, tali terreni siano automaticamente inclusi tra i terreni che non possono essere destinati alla produzione agroalimentare, ma esclusivamente a colture diverse e, pertanto, compresi negli elenchi che saranno definiti con i decreti interministeriali di cui al primo periodo del comma 6.

Poiché, da consolidata tradizione giuridica, per diritti reali di godimento si intendono diritti reali su cosa altrui come l'enfiteusi, il diritto di superficie, l'usufrutto, il diritto reale d'uso, il diritto reale di abitazione e le servitù, ai fini di una inequivoca interpretazione del comma 4, potrebbe essere opportuno precisare che l'obbligo di consentire l'accesso ai terreni sussiste anche in capo ai proprietari. Tra l’altro, alla fine dell’ultimo periodo del comma 2 si fa riferimento all’”accesso ai terreni in proprietà, nel possesso o comunque nella disponibilità di soggetti privati”.

 

La revoca dell’indicazione dei terreni, tra quelli che non possono essere destinati alla produzione agroalimentare, ma a colture diverse, può essere disposta in due casi:

-          con decreto dei Ministri delle politiche agricole, alimentari e forestali, dell'ambiente, della tutela del territorio e del mare e della salute, solo dopo che sia consentito l’accesso al fondo e sia accertata, a seguito delle indagini, l’idoneità dei terreni alla produzione agroalimentare;

-          con decreti dei citati ministri su domanda dei soggetti interessati che devono dimostrare l’assenza dei presupposti per l’indicazione dei terreni tra quelli non destinati alla produzione agroalimentare.

 

Si fa presente che con la legge finanziaria regionale per il 2013 della regione Campania (art. 1, comma 56, della legge regionale 6 maggio 2013, n.5) è stata promossa l’istituzione di un marchio di qualità sanitaria, ambientale, agroalimentare e dell’allevamento, per realizzare un sistema certificato di salute dei prodotti e dei processi di produzione agroalimentare. Il sistema dei marchi interesserà, in una prima fase di carattere sperimentale, la provincia di Caserta, e coinvolgerà le Asl, le Aziende sanitarie locali ed i Comuni che ricadono nei territori interessati. La certificazione sarà rilasciata dalle Asl competenti, di concerto con i centri scientifici ed universitari della regione e sarà su base volontaria per le imprese.

 

Le relazioni finali (comma 5)

 

Il comma 5 prevede la presentazione, da parte dagli enti preposti all’attività di svolgimento delle indagini tecniche di mappatura dei terreni, di due diverse relazioni ai Ministri delle politiche agricole, alimentari e forestali, dell'ambiente, della tutela del territorio e del mare e della salute.

La prima relazione, presentata, entro sessanta giorni dall'adozione della direttiva ministeriale che definisce gli indirizzi per l’attività di indagine, deve contenere, oltre ai risultati delle indagini svolte e delle metodologie utilizzate, anche una proposta di interventi di bonifica dei terreni indicati come prioritari dalla direttiva ministeriale.

La seconda relazione, presentata entro i successivi novanta giorni, deve contenere le conclusioni relative ai restanti terreni oggetto dell'indagine.

 

I decreti di indicazione dei terreni (comma 6)

 

A conclusione dell’attività di mappatura, il comma 6 stabilisce che, entro 15 giorni dalla presentazione delle due relazioni, con distinti decreti dei suddetti ministeri, sono indicati:

-          i terreni della regione Campania che non possono essere destinati alla produzione agroalimentare, ma esclusivamente a colture diverse;

-           e quelli inoltre che sono destinati solo a particolari produzioni agroalimentari.

 

Le vicende relative alla cd. “Terra dei fuochi” e l’attività parlamentare

Con la locuzione "Terra dei fuochi" si intende il territorio compreso tra le province di Napoli e Caserta interessato dal grave fenomeno dei roghi di rifiuti tossici.

Gli effetti ambientali e sanitari provocati dagli sversamenti e interramenti illegali di rifiuti tossici e scorie industriali, ospedaliere sono stati evidenziati nel corso dell’audizione del collaboratore di giustizia Carmine Schiavone nel 1997 presso la Commissione bicamerale di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, i cui contenuti sono stati resi pubblici con una decisione dell'Ufficio di Presidenza nell’attuale legislatura.

Nella scorsa legislatura, la Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti ha dedicato specifica attenzione alla vicenda della “Terra dei fuochi” in un capitolo della relazione territoriale approvata con riguardo alla Campania (Doc. XXIII, n. 19). Il 14 luglio 2009, la Commissione ha, infatti, svolto l’audizione del prefetto di Napoli, che si è concentrato tra l’altro sul sistema illecito di smaltimento dei pneumatici, rappresentando come ciò avvenga in modo legale solo nella misura del 20 per cento.

Nella legislatura in corso, l’Assemblea della Camera ha approvato, nella seduta del 5 novembre 2013, le mozioni Di Maio n. 1-00150, Labriola n. 1-00171, Migliore n. 1-00198, Antimo Cesaro n. 1-00211, Formisano e Pisicchio n. 1-00228, Russo n. 1-00229, Grimoldi n. 1-00231 e Speranza n. 1-00233, concernenti iniziative per la bonifica dei siti inquinati di interesse nazionale, con particolare rifermento alla situazione nella cosiddetta Terra dei fuochi.

La 13a Commissione ambiente del Senato ha svolto un ciclo di audizioni informali e ha svolto un sopralluogo conoscitivo, nel mese di ottobre, nell'ambito dell'esame dell'affare sulle problematiche ambientali connesse allo smaltimento illegale dei rifiuti, con particolare riferimento alla situazione di emergenza che interessa l'area delle province di Napoli e di Caserta, cosiddetta "Terra dei fuochi" (atto n. 128).

Da ultimo, l'VIII Commissione (ambiente) della Camera ha discusso la risoluzione Iannuzzi 7-00145 sulle attività di controllo, prevenzione e contrasto delle attività illegali di smaltimento dei rifiuti nella Terra dei Fuochi, nel cui ambito è stato svolto un ciclo di audizioni informali.


 

Articolo 2
(Azioni e interventi di monitoraggio e tutela nei territori della regione Campania)

L'articolo 2 disciplina l’istituzione un Comitato Interministeriale e di una Commissione (commi 1 - 2), con l’obiettivo di individuare e potenziare azioni e interventi di monitoraggio e di tutela ambientale per i terreni agricoli della regione Campania che non possono essere destinati alla produzione agroalimentare, ma esclusivamente a colture diverse, nonché di quelli da destinare solo a particolari produzioni agroalimentari. Alla Commissione è affidato il compito di coordinare un programma straordinario e urgente di interventi (comma 4) finalizzati alla tutela della salute, alla sicurezza, alla bonifica dei siti, nonché alla rivitalizzazione economica dei predetti territori, per i quali viene indicata la copertura finanziaria (comma 5).

 

In particolare, il comma 1 istituisce un Comitato interministeriale, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, al fine di determinare gli indirizzi per l'individuazione o il potenziamento di azioni e interventi di monitoraggio, tutela e bonifica nei terreni della regione Campania che non possono essere destinati alla produzione agroalimentare, ma esclusivamente a colture diverse, nonché nei terreni dedicati solo a determinate produzioni agroalimentari (si tratta dei terreni indicati nei decreti interministeriali di cui al comma 6 dell’articolo 1).

Il Comitato interministeriale, presieduto dal Presidente del Consiglio dei Ministri o da un Ministro da lui delegato, è composto:

-          dal Ministro per la coesione territoriale;

-          dal Ministro dell'interno;

-          dal Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali;

-          dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;

-          dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti;

-          dal Ministro della salute;

-          dal Ministro per i beni e le attività culturali;

-          dal Presidente della regione Campania.

 

Si segnala che sarebbe opportuno riformulare la disposizione al fine di specificare che il Presidente della regione Campania partecipa di diritto ai lavori del Comitato interministeriale, e non ne è componente, in ossequio alla natura endogovernativa del Comitato.

 

Al Comitato spetta altresì la supervisione delle attività della Commissione prevista dal successivo comma 2.

Il comma 2 istituisce una Commissione, operante sulla base degli indirizzi stabiliti dal Comitato interministeriale, al fine di individuare o potenziare azioni e interventi di monitoraggio e tutela nei terreni della regione Campania di cui al citato comma 6 dell’articolo 1.

La Commissione è nominata con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per la coesione territoriale, da emanarsi entro trenta giorni dall'adozione del primo decreto di individuazione dei terreni di cui al comma 6 dell’articolo 1, ossia il decreto in cui sono indicati i terreni della regione Campania che non possono essere destinati alla produzione agroalimentare ma esclusivamente a colture diverse.

La Commissione, presieduta da un rappresentante della Presidenza del Consiglio dei ministri, è composta da un rappresentante per ciascuno dei ministeri componenti del Comitato interministeriale e per la regione Campania.

Ai componenti della Commissione non sono corrisposti gettoni, compensi, rimborsi spese o altri emolumenti comunque denominati.

Il comma 3 assegna le funzioni di segreteria del Comitato interministeriale e di supporto tecnico alla Commissione, ai Dipartimenti del Ministro per la coesione territoriale, nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e comunque senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

Il comma 4 disciplina l’adozione di un programma straordinario e urgente di interventi per la tutela della salute, la sicurezza, la bonifica dei siti e la rivitalizzazione economica dei territori contaminati nella regione Campania da parte della Commissione istituita dal comma 2 del presente articolo. Il programma straordinario deve essere adottato entro sessanta giorni dalla definizione degli indirizzi stabiliti dal Comitato interministeriale. Il coordinamento della realizzazione degli interventi ivi previsti è demandato alla Commissione, che si avvale degli enti incaricati di svolgere le indagini tecniche per la mappatura dei terreni (elencati al comma 1 dell’articolo 1).

L’attuazione del programma può anche avvenire con la stipula di contratti istituzionali di sviluppo (CIS) ovvero con la nomina di un commissario straordinario ai sensi dell'articolo 11 della legge n. 400 del 1988.

I CIS, istituiti dall'art. 6 del D.Lgs. 88/2011, sono principalmente finanziati dal Fondo Sviluppo e Coesione (FSC), dal Fondo Europeo per lo Sviluppo Regionale, dalle risorse del Piano di Azione e Coesione (PAC) e sono finalizzati all’accelerazione della realizzazione degli interventi speciali, diretti a promuovere lo sviluppo economico, la coesione delle aree sottoutilizzate e la solidarietà sociale, a rimuovere gli squilibri economici e sociali.

L’articolo 11 della legge n. 400 del 1988 disciplina la nomina di commissari straordinari del Governo, al fine di realizzare specifici obiettivi determinati in relazione a programmi o indirizzi deliberati dal Parlamento o dal Consiglio dei ministri o per particolari e temporanee esigenze di coordinamento operativo tra amministrazioni statali. La nomina è disposta con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri. L'incarico è conferito per il tempo indicato nel decreto di nomina, salvo proroga o revoca.

 

La Commissione riferisce periodicamente al Comitato interministeriale sulle attività intraprese.

 

Il comma 5 dispone che agli oneri derivanti dall'attuazione del programma straordinario urgente di interventi di bonifica di cui al comma 4, si provvede per il 2014 nel limite delle risorse che si renderanno disponibili a seguito della riprogrammazione delle linee di intervento del Piano di azione coesione della Regione Campania, sulla base delle procedure di verifica previste dall'articolo 4, comma 3, del D.L. n. 76/2013 (legge n. 99/2013).

L’articolo 4 del D.L. n. 76/2013 ha introdotto misure per la velocizzazione delle procedure in materia di riprogrammazione dei programmi nazionali cofinanziari dai Fondi strutturali 2007-2013 e per la rimodulazione del Piano di Azione Coesione, al fine di rendere disponibili le risorse necessarie per il finanziamento di una serie di interventi a favore dell'occupazione giovanile e dell'inclusione sociale nel Mezzogiorno disposti nel medesimo D.L. n. 76[1].

In particolare, il comma 1 dispone, al fine di rendere disponibili le risorse derivanti dalla riprogrammazione dei programmi nazionali cofinanziati dai Fondi strutturali 2007-2013, che le Amministrazioni titolari dei programmi operativi interessati (PON e POIN) devono avviare entro il 28 luglio 2013 le necessarie procedure atte a modificare i pertinenti programmi, sulla base della vigente normativa europea. Analogamente, per la parte riguardante le risorse derivanti dalla rimodulazione del Piano di Azione Coesione, il comma 2 dispone che, entro il medesimo termine del 28 luglio 2013, il Gruppo di Azione Coesione - istituito con il decreto del Ministro per la coesione territoriale del 1° agosto 2012 - provvede a determinare le rimodulazioni delle risorse destinate alle misure del Piano di Azione Coesione, anche sulla base degli esiti del monitoraggio sull’attuazione delle misure medesime[2].

Il comma 3 stabilisce che il Gruppo di Azione Coesione provveda, in accordo con le Amministrazioni interessate, alla verifica periodica dello stato di avanzamento dei singoli interventi e alle conseguenti eventuali rimodulazioni del Piano che si rendessero necessarie anche a seguito dell'attività di monitoraggio medesima.

 

Le predette risorse possono essere integrate con eventuali ulteriori risorse, finalizzate allo scopo, nell'ambito dei programmi dei fondi strutturali europei 2014-2020.

Secondo i dati forniti dal Ministro per la coesione territoriale Trigilia il 19 novembre 2013, nel corso di un’audizione presso le Commissioni V (bilancio) e XIV (politiche dell’UE) della Camera, l’Italia dovrebbe ricevere, nell’ambito dei suddetti programmi 32,1 miliardi di euro (con un incremento rispetto ai 29,4 miliardi stanziati per 2007-2013), così ripartiti:

§         regioni meno sviluppate (Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia): 22,3 miliardi;

§         regioni in transizione (Abruzzo, Molise e Sardegna): 1,1 miliardi;

§         regioni più sviluppate (restanti regioni del centro-nord): 7,6 miliardi;

§         cooperazione territoriale: 1,1 miliardi.

Alle risorse europee si aggiungerebbe il cofinanziamento nazionale a carico del Fondo di rotazione di cui alla legge n. 183 del 1987, per il quale il disegno di legge di stabilità per il 2014 stanzia 24 miliardi di euro, nonché la quota di cofinanziamento di fonte regionale (quantificabile in una cifra pari al 30 per cento del cofinanziamento complessivo del programma).

 

Il comma 6 dispone che agli oneri derivanti dalla effettuazione delle indagini tecniche per la mappatura dei terreni campani agricoli contaminati, di cui all'articolo 1, comma 1, nel limite di 100.000 euro nel 2013 e di 2,9 milioni di euro nel 2014, si provveda con le risorse europee disponibili nell'ambito del POR per la Campania 2007-2013 finalizzate alla bonifica dei siti industriali e di terreni contaminati.

La relazione tecnica afferma in proposito che sulla base dei dati a disposizione dei Ministeri competenti, a valere sul POR Campania per il periodo programmatorio 2007-2013, sulla linea di intervento relativa alle "bonifiche dei siti industriali e dei terreni contaminati, vi sono risorse utilizzabili per un importo di circa 2.977.000 euro che possono quindi essere riutilizzate – afferma sempre la relazione -  per il progetto MIAPI (Monitoraggio delle aree potenzialmente inquinate del Paese) avviato nel corso del 2012-2013, già finanziato con fondi comunitari. Nell’ambito di tale progetto dovrebbero dunque rientrare anche le attività di mappatura di cui al comma 1.

La medesima relazione tecnica all’articolo 1 evidenzia al riguardo che il progetto MIAPI è stato finanziato con Fondi comunitari con decreto del Ministero dell’interno del 13 gennaio 2011.


 

Articolo 3
(Combustione illecita di rifiuti)

L’articolo 3 affronta sul piano sanzionatorio la grave situazione dei roghi illleciti nella cd. terra dei fuochi  (la nota porzione di territorio campano compreso tra le province di Napoli e Caserta) attraverso l’introduzione nel d.gs 152 del 2006 (recante norme ambientale, cd. Codice ambientale) di una specifica figura di reato - relativa alla “combustione illecita di rifiuti” - attualmente assente dall’ordinamento.

 

Il nuovo reato si aggiunge alle già esistenti fattispecie penali di abbandono di rifiuti e gestione non autorizzata di rifiuti (articoli 255 e 256 del d.lgs 152/2006).

Infatti, in base alla normativa previgente al decreto-legge, bruciare rifiuti, anche occasionalmente integrava, nell’ambito della più ampia categoria di gestione non autorizzata di rifiuti di cui all’art. 256 del Codice dell’ambiente, il reato di smaltimento illecito che si realizza nello smaltire rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione. Si tratta, tuttavia, di un reato d’impresa, (essendo sanzionabili i soli titolari di imprese ed i responsabili di enti) punito solo in via contravvenzionale con la pena dell'arresto da tre mesi a un anno o con l'ammenda da 2.600 a 26.000 euro se si tratta di rifiuti non pericolosi; con la pena dell'arresto da sei mesi a due anni e con identica ammenda da 2.600 a 26.000 euro se si tratta di rifiuti pericolosi.

Il Codice dell’ambiente prevede, inoltre (art. 255, comma 1), un ulteriore illecito consistente nell’abbandono illecito di rifiuti (cd. discarica abusiva), sanzionato per via amministrativa, solitamente preparatorio e complementare a quello di illecita combustione introdotto dall’art. 3 del D.L.. L’illecito punisce chiunque abbandona o deposita rifiuti ovvero li immette nelle acque superficiali o sotterranee con la sanzione amministrativa pecuniaria da 300 a 3.000 euro. Se l'abbandono riguarda rifiuti pericolosi, la sanzione amministrativa è aumentata fino al doppio.

Lo stesso reato di incendio di cui all’art. 423 c.p. (punito con la reclusione da 3 a 7 anni) - come rilevato dalla stessa relazione al decreto-legge - non è applicabile nel caso degli incendi, pur pericolosi ma di modeste proporzioni nella terra dei fuochi. Giurisprudenza concorde, infatti, distingue il concetto di fuoco da quello di incendio, ravvisando il reato di cui all’art. 423 c.p. solo in presenza di incendi di notevole proporzioni (Cass., sent. n. 2805/1989 ravvisa il reato di incendio “solo quando il fuoco divampi irrefrenabilmente, in vaste proporzioni, con fiamme divoratrici che si propaghino con potenza distruttrice, così da porre in pericolo l'incolumità di un numero indeterminato di persone” (nello stesso senso, Cass, sent. n. 4417/2009). Analogamente, Cass., sentt. nn. 1802/1995 e 4981/2004 precisano che il delitto di incendio “deve essere caratterizzato dalla vastità delle proporzioni, dalla tendenza a progredire e dalla difficoltà di spegnimento…”).

 

Il comma 1 del nuovo art. 256 introduce, quindi, nel Codice dell’ambiente la combustione illecita di rifiuti, reato doloso comune (a differenza dello smaltimento illecito, può essere commesso “da chiunque”) il cui elemento materiale consiste nell’appiccare il fuoco a rifiuti abbandonati o depositati in maniera incontrollata in aree non autorizzate.

 

All’opportunità dell’inserimento nel D.Lgs. 152/2006 di una nuova specifica fattispecie di reato volta a reprimere i roghi illeciti nella terra dei fuochi ha fatto esplicito riferimento il Procuratore Nazionale Antimafia Franco Roberti, sentito in audizione il 12 novembre 2013 dalla Commissione Giustizia della Camera nell’ambito dell’indagine conoscitiva in merito all'esame delle proposte di legge C. 957 (Micillo) e C. 342 (Realacci), recanti disposizioni in materia di delitti contro l'ambiente e l'azione di risarcimento del danno ambientale, nonché delega al governo per il coordinamento delle disposizioni riguardanti gli illeciti in materia ambientale.

La pena prevista per i roghi illeciti è la reclusione da 2 a 5 anni; la stessa pena è applicabile anche al reato preparatorio ovvero all’abbandono illecito di rifiuti (art. 255, comma 1, del Codice) ove finalizzato alla loro combustione illecita.

Stante il limite massimo di pena, per il reato di cui all’art. 256-bis è ammessa, ai sensi dell’art. 280 c.p.p., la custodia cautelare in carcere; per il solo reato-base è escluso, invece, ex art. 266 c.p.p., il ricorso a intercettazioni.

L’art. 256-bis prevede tre circostanze aggravanti.

Se la combustione illecita:

§         riguarda rifiuti pericolosi; la pena è la reclusione da tre a sei anni (comma 1);

§         avviene nell'ambito dell'attività di un'impresa o comunque di un'attività organizzata la pena è aumentata di un terzo (comma 3);

§         è commessa in territori che, al momento del reato e comunque nei 5 anni precedenti, siano o siano stati interessati da dichiarazioni di stato di emergenza nel settore dei rifiuti ex legge 225/1992, la pena è aumentata (comma 4); non essendo determinata l’entità dell’aumento, questo può arrivare fino ad un terzo.

Il comma 5 dell’art. 256-bis prevede, inoltre:

§         analogamente a quanto avviene in relazione al traffico illecito di rifiuti (di cui all’art. 259 del d.lgs. 152/2006), la confisca dei mezzi di trasporto utilizzati “per la commissione dei delitti di cui al comma 1” ovvero per la combustione illecita di rifiuti abbandonati e di rifiuti pericolosi; esclude la confisca la circostanza che il mezzo appartenga a persona estranea al reato che dimostri la sua buona fede.

 

Per motivi di chiarezza, andrebbe valutata la possibilità di una riformulazione del comma 5 del nuovo art. 256-bis nei termini che seguono: “I mezzi utilizzati per il trasporto dei rifiuti oggetto del reato di cui al comma 1 sono confiscati…”.

 

§         dopo la condanna o il patteggiamento, la confisca dei terreni sui quali sono stati bruciati i rifiuti, se di proprietà dell’autore o compartecipe dei roghi illeciti; restano fermi a carico dell’autore del reato gli obblighi di bonifica ambientale e ripristino dello stato dei luoghi.

 

Il comma 6 dell’art. 256-bis prevede che - se ad essere bruciati illecitamente sono rifiuti vegetali provenienti da aree verdi, come giardini, parchi e aree cimiteriali - si applicano le sanzioni amministrative pecuniarie previste dall’art. 255 del Codice dell’Ambiente per l’abbandono di rifiuti (sanzione da 300 euro a 3.000 euro).

 

Il comma 2 dell’articolo 3 del decreto-legge prevede la possibilità che i prefetti delle province della regione Campania, nell’ambito  delle operazioni di sicurezza e di controllo del territorio prioritariamente finalizzate alla prevenzione dei delitti di criminalità organizzata e ambientale e nell’ambito delle risorse finanziarie disponibili, si avvalgano di personale militare delle forze armate, posto a loro disposizione dalle competenti autorità militari ai sensi dell'articolo 13 della legge n. 121 del 1981.

 

L'articolo 13 della legge n. 121/1981 stabilisce che il prefetto è l'autorità provinciale di pubblica sicurezza e ne definisce i compiti stabilendo, tra l'altro, che questi "dispone della forza pubblica e delle altre forze eventualmente poste a sua disposizione in base alle leggi vigenti e ne coordina le attività".

Per quanto concerne più specificamente l'ordinamento delle Forze armate, va ricordato che il principale riferimento normativo in merito alle possibilità di impiego delle Forze armate in compiti di ordine pubblico, già contenuto nell'articolo 1 della legge 11 luglio 1978, n. 382, recante Norme di principio sulla disciplina militare e nell'articolo 1 della legge 24 dicembre 1986, n. 958, Norme sul servizio militare di leva e sulla ferma di leva prolungata (ambedue le disposizioni citate sono state abrogate dall'art. 1 della legge n. 331/2000), è ora rappresentato dall'articolo 89 del decreto legislativo n. 66 del 2010, recante il c.d. Codice dell'ordinamento militare, il quale include tra i compiti delle Forze Armate, oltre alla difesa della patria, il concorso alla "salvaguardia delle libere istituzioni" (tale disposizione riproduce il contenuto dell'articolo 1 della legge 14 novembre 2000, n. 331 Norme per l'istituzione del servizio militare professionale).

In relazione alla disposizione in esame, si segnala che la possibilità di fare ricorso alle Forze armate, per lo svolgimento di compiti di sorveglianza e vigilanza del territorio, è stata prevista in diversi provvedimenti d'urgenza.

In particolare, la possibilità di fare ricorso alle Forze armate per lo svolgimento di compiti di sorveglianza e vigilanza del territorio, con particolare riferimento alle aree di interesse strategico nazionale destinate alla raccolta e al trasporto dei rifiuti nella Regione Campania, è stata prevista dall'articolo 2 del D.L. 23 maggio 2008, n. 90, per l'approntamento dei cantieri e dei siti, per la raccolta ed il trasporto dei rifiuti; è stato altresì previsto il concorso delle Forze armate stesse unitamente alle Forze di polizia, per la vigilanza e la protezione dei suddetti cantieri e siti. L'art. 7-bis del D.L. 92/2008, Misure urgenti in materia di pubblica sicurezza, ha consentito l'utilizzo da parte dei prefetti, per specifiche ed eccezionali esigenze di prevenzione della criminalità, di un contingente massimo di 3.000 militari per una durata massima di sei mesi, rinnovabile una sola volta. Successivamente, l'art. 2 del D.L. 151/2008, Misure urgenti in materia di prevenzione e accertamento di reati, di contrasto alla criminalità organizzata e all'immigrazione clandestina, ha autorizzato l'impiego, fino al 31 dicembre 2008 di ulteriori 500 unità nelle aree ove si ritenesse necessario assicurare, in presenza di fenomeni di emergenza criminale, un più efficace controllo del territorio. In seguito l'art. 24, comma 74, del D.L. 78/2009 (c.d. proroga termini), ha autorizzato la proroga, dal 4 agosto 2009, del piano di impiego delle Forze armate nel controllo del territorio in concorso con le Forze di polizia; la proroga, nello specifico, poteva essere disposta per ulteriori due semestri, con incremento del contingente di 1.250 militari, per un totale complessivo di 4.250 unità. Da ultimo, il D.L. 95/2012 (c.d. spending review) ha consentito di prorogare, a decorrere dal 1° gennaio 2013 e fino al 31 dicembre 2013, gli interventi di impiego del personale delle Forze armate impiegate nelle operazioni di controllo del territorio.

Si segnala, inoltre, che il comma 11-ter dell'articolo 12 del decreto legge n. 16 del 2012 (c.d. semplificazioni tributarie), al fine di evitare interruzioni o turbamenti alla regolarità della gestione del termovalorizzatore di Acerra, ha previsto la possibilità di mantenere, su richiesta della Regione Campania, per la durata di 12 mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto (29 aprile 2012), il presidio militare di cui all'articolo 5 del D.L. 195/2009, con oneri quantificati in euro 1.007.527,00 a carico della quota spettante alla regione Campania dai ricavi derivanti dalla vendita dell'energia.

In tempi più remoti, gli articoli 18 e 19 della legge 26 marzo 2001, n. 128, interventi legislativi in materia di tutela della sicurezza dei cittadini, avevano attribuito alle Forze armate impegnate nel controllo degli obiettivi fissi alcune funzioni proprie delle autorità di pubblica sicurezza, in casi eccezionali di necessità ed urgenza. Le funzioni attribuite sono analoghe a quelle già riconosciute alle Forze armate, nell'ambito dell'operazione "Vespri siciliani", dal D.L. 25 luglio 1992, n. 349, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 settembre 1992, n. 386, e successivamente estese alla Calabria, al comune di Napoli ed al Friuli Venezia-Giulia, e reiterate nel tempo da una serie di decreti legge.

 

Con riferimento alla formulazione della disposizione, anche al fine di evitare possibili dubbi interpretativi, andrebbe valutata l’opportunità di stabilire il contingente massimo di personale militare che può essere messo a disposizione dei prefetti per le finalità contemplate dal comma in esame.

 

In relazione alla disposizione in esame si segnala che la Commissione difesa della Camera ha iniziato l’esame di due proposte di legge (A.C. 833 e A.C. 1806) recanti disposizioni concernenti l'impiego di contingenti di personale militare con funzioni di pubblica sicurezza per il contrasto della criminalità ambientale in Campania.

Il testo base approvato dalla Commissione (A.C 833), come risultante dagli emendamenti approvati nel corso dell’esame in sede referente, prevede il ricorso ad un contingente massimo di 850 unità di personale militare delle Forze armate per lo svolgimento di compiti di sicurezza e controllo del territorio, prioritariamente finalizzate alla prevenzione dei reati di criminalità organizzata e ambientale in Campania.

La proposta di legge precisa, altresì, che i militari impiegati nelle richiamate operazioni:

Ø       agiscono con le funzioni di agenti di pubblica sicurezza;

Ø       restano a disposizione dei prefetti fino al 31 dicembre 2014. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri tale termine può essere prorogato per un periodo non superiore a sei mesi, ulteriormente prorogabile per una sola volta per un periodo non superiore a sei mesi, previo parere delle competenti commissioni parlamentari;

Ø       hanno diritto a percepire una indennità onnicomprensiva, determinata con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con i Ministri dell'interno e della difesa.


 

Articolo 4
(Modifiche al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271)

L’articolo 4 integra – con un comma 3-ter - l’art. 129 delle disposizioni di attuazione del codice processuale penale, relativo a specifici obblighi informativi del pubblico ministero in sede di esercizio dell’azione penale.

 

L’art. 129, Disp. attuative c.p.p., nella formulazione previgente prevede che, quando esercita l’azione penale nei confronti di un dipendente pubblico, il pubblico ministero informa dell’imputazione l'autorità presso cui l'impiegato presta servizio. Analoga comunicazione va data al comitato parlamentare per i servizi di informazione e sicurezza e per il segreto di Stato in relazione a loro dipendenti (comma 1). Quando l'azione penale è esercitata nei confronti di un ecclesiastico o di un religioso del culto cattolico, l'informazione è inviata all'Ordinario della diocesi a cui appartiene l'imputato (comma 2).

Se l'azione penale è esercitata per un reato che ha cagionato un danno erariale, il PM informa il procuratore generale presso la Corte dei conti (comma 3).

Il pubblico ministero invia l’informazione contenente la indicazione delle norme di legge che si assumono violate anche quando taluno dei soggetti indicati nei commi 1 e 2 è stato arrestato o fermato ovvero si trova in stato di custodia cautelare (comma 3-bis)

 

 

Il comma 3-ter estende gli obblighi di informazione previsti dall'art. 129 in relazione a reati ambientali previsti sia dal Codice dell’ambiente (D.Lgs 152/2006) che dal codice penale.

 

Attualmente, il codice penale non contiene uno specifico titolo o capo dedicato ai reati contro l’ambiente. Vi si trova un titolo dedicato ai "Delitti contro l'incolumità pubblica"  - (tra i quali, l'incendio e l’incendio boschivo (artt. 423 e 423-bis), l'avvelenamento e l’adulterazione di sostanze alimentari (art. 439 e 440) - che però non è non direttamente finalizzato alla tutela ambientale. Tra le “Contravvenzioni concernenti l’attività sociale della pubblica amministrazione” vi sono, invece, reati come la distruzione o il deterioramento di habitat all’interno di un sito protetto (art. 733-bis) e la distruzione o il deturpamento di bellezze naturali (art. 734).

Numerosi sono stati i tentativi da parte del Parlamento di introdurre nel codice penale una specifica disciplina dedicata ai reati ambientali. Anche nell’attuale legislatura, la Commissione Giustizia della Camera sta esaminando alcune proposte di legge in materia (AC 957 e abb.)

 

La disposizione è finalizzata a garantire un efficace coordinamento tra la magistratura procedente e le autorità pubbliche interessate dal reato ai fini dell’adozione da parte di queste ultime dei provvedimenti necessari alla salvaguardia dell’ambiente e della salute pubblica.

E’, infatti, previsto che il PM, quando esercita l’azione penale per reati ambientali (cioè quando formula, nei casi previsti, l’imputazione ovvero chiede al giudice il rinvio a giudizio):

§         debba informare, con il Ministero dell’ambiente, anche la regione interessata dal reato ambientale se quest’ultimo è tra quelli contemplati dal relativo Codice (D.Lgs 152/2006) ovvero arrechi un pericolo o un pregiudizio per l’ambiente;

§         debba informare, nella stessa ipotesi, anche il Ministero della salute o il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali se l’azione penale riguarda un reato che comporti, rispettivamente, un concreto pericolo alla tutela della salute o alla sicurezza agroalimentare.

 

Il terzo periodo del comma 3-ter prevede che il PM, nell'informare l’autorità amministrativa, indichi le norme di legge che si ritengono violate anche quando l’indagato per i reati indicati nel secondo periodo (cioè i reati ambientali che arrechino un concreto pericolo alla tutela della salute o alla sicurezza agroalimentare) sia stato arrestato o fermato ovvero si trova in stato di custodia cautelare.

 

Si osserva come questa disposizione differisca da quella analoga di cui al comma 3-bis dell’art. 129 che si riferisce comunque ad imputati e non ad indagati di reati ambientali (si è, infatti, in sede di esercizio dell’azione penale). Tuttavia la formulazione del terzo periodo del comma 3-ter lascia presupporre che - oltre che nel corso delle indagini - tale obbligo di indicazione delle norme violate sussista anche al momento dell’esercizio dell’azione penale (“Il PM nell'informazione, indica le norme di legge che si assumono violate anche quando il soggetto sottoposto a indagine….”), obbligo che non si evince dalla formulazione testuale dello stesso comma 3-ter.

 

L’estratto delle sentenze e dei provvedimenti che definiscono ciascun grado di giudizio devono essere trasmessi al Ministero dell’ambiente, alle regioni interessate dal danno ambientale da reato nonchè, ratione materiae, ai Ministeri della salute o delle politiche agricole.


 

Articolo 5, commi da 1 a 3
(Proroga dell'Unità Tecnica-Amministrativa di cui all'articolo 15 dell'ordinanza del Presidente dei Consiglio dei ministri n. 3920 del 28 gennaio 2011 e successive modificazioni e integrazioni)

L’articolo 5, al comma 1, proroga al 31 dicembre 2015 l’operatività dell’Unità Tecnica-Amministrativa (UTA) istituita per l’emergenza rifiuti in Campania. I commi 2 e 3 dettano ulteriori disposizioni concernenti l’UTA, in quanto il comma 2  disciplina la composizione, il funzionamento e il trattamento economico dell’UTA, mentre il comma 3 dispone che gli enti locali della Regione Campania utilizzino le risorse della Sezione enti locali del Fondo anticipazioni liquidità, di cui al D.L. n. 35/2013, per il pagamento dei debiti per oneri di smaltimento dei rifiuti maturati al 31 dicembre 2009 nei confronti dell'Unità Tecnica-Amministrativa, ovvero per il pagamento dei debiti fuori bilancio nei confronti della stessa Unità.

 

Si segnala che la rubrica dell’articolo 5 fa riferimento solo alla proroga dell’Unità tecnica amministrativa, che è disciplinata al comma 1; i commi 2 e 3, infatti, come anticipato, dettano ulteriori disposizioni riguardanti l’UTA. I commi 4 e 5 dell’articolo, invece, recano ulteriori disposizioni che riguardano rispettivamente la disciplina dei versamenti contributivi al personale a tempo determinato per la gestione degli impianti di collettamento e depurazione di Acerra, Marcianise, Napoli nord, Foce Regi Lagni e Cuma e la proroga delle gestioni commissariali relative rispettivamente a Giugliano e Laghetti di Castelvolturno ed a Cogoleto.

 

Proroga dell’Unità tecnica amministrativa (comma 1)

 

Il comma 1 proroga dal 31 dicembre 2013 al 31 dicembre 2015 l'Unità Tecnica-Amministrativa (UTA), operante presso il Dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri, al fine di completare le attività amministrative, contabili e legali conseguenti alle pregresse gestioni commissariali e di amministrazione straordinaria nell'ambito della gestione dei rifiuti nella regione Campania.

L'articolo 15 dell'ordinanza del Presidente dei Consiglio dei Ministri n. 3920 del 28 gennaio 2011 ha istituito la suddetta unità tecnica-amministrativa, per provvedere:

-               all'adozione di misure di carattere straordinario ed urgente finalizzate a fronteggiare le problematiche inerenti al movimento franoso nel territorio di Montaguto, in provincia di Avellino[3].

-               per subentrare nelle attività delle “Unità stralcio” e “Unità operativa”, al fine di chiudere l'emergenza rifiuti in Campania, istituite dall’art. 2 del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 195 fino al 31 gennaio 2011.

Da ultimo, con l’art. 1 del D.P.C.M. 28 giugno 2013 è stata prorogata l'attività dell'Unità tecnica amministrativa fino al 31 dicembre 2013, limitatamente alle seguenti attività amministrative e contabili relative alla gestione emergenziale dei rifiuti in Campania:

a) recupero della massa attiva ed estinzione della massa passiva derivante dalle attività compiute durante lo stato di emergenza rifiuti in Campania ed imputabili alle Strutture commissariali istituite dall'articolo 1 del decreto-legge n. 90 del 2008;

b) procedure di esproprio ed intestazione dei relativi cespiti a favore degli Enti e delle Amministrazioni territoriali;

c) gestione del contenzioso afferente alla cessata emergenza;

d)  rendicontazione delle contabilità speciali pregresse.

 

Disciplina dell’Unità tecnica-amministrativa (comma 2)

 

Il comma 2 demanda a un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, d'intesa con il Ministero dell'economia e delle finanze, la disciplina della composizione, delle attribuzioni, del funzionamento, nonché del trattamento economico e delle procedure operative dell'UTA, nei limiti dell’organico previsto dall’ordinanza n. 3920 del 2011 e utilizzando le disponibilità residue delle contabilità speciali nn. 5146, 5147 e 5148, a disposizione dell’UTA, di cui all’articolo 4 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 28 dicembre 2012.

L’articolo 15 dell’O.P.C.M. n. 3920 del 2011 reca norme concernenti il personale di cui può avvalersi l’UTA. In particolare: il comma 5 prevede la nomina di due unità di personale dirigenziale di seconda fascia che coadiuva il Capo dell'Unità Tecnica-Amministrativa nello svolgimento dei compiti affidatigli; il comma 6 prevede che il Capo dell’UTA può avvalersi di un'unità di particolare e specifica competenza e professionalità, cui conferire, sulla base di una scelta di carattere fiduciario, un incarico di collaborazione coordinata e continuativa; il comma 6  prevede che il Capo dell’UTA è altresì autorizzato ad avvalersi di personale già in servizio, a qualsiasi titolo, presso il Dipartimento della protezione civile, nonché, nel limite di 40 unità di alcune categorie di personale ivi menzionate; il comma 7 prevede che il Capo dell'Unità Tecnica-Amministrativa è, inoltre, autorizzato ad avvalersi in via del tutto eccezionale del supporto, nel limite di quattro unità, di personale appartenente a pubbliche amministrazioni e ad enti pubblici, anche locali; al comma 9, si specifica che il personale di cui ai commi 7 e 8 potrà essere individuato anche nell'ambito delle risorse umane già a disposizione delle Unità Operativa e Stralcio di cui all'articolo 2 del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 195.

L’articolo 3 del D.P.C.M. 28 dicembre 2012[4] ha stabilito che l'UTA, per l'esercizio delle proprie funzioni, può avvalersi del personale in servizio al 31 dicembre 2012 presso l'UTA, di cui all'art. 15 della citata ordinanza n. 3920/2011, nel limite complessivo di trentadue unità, ivi inclusi i titolari di contratti di collaborazione.

Il comma 171 dell’articolo unico del disegno di legge di stabilità (A.C. 1865), in corso di esame parlamentare, prevede che l’Unità tecnica amministrativa è autorizzata ad avvalersi, nel limite delle risorse finanziarie disponibili, di quattro avvocati o procuratori dello Stato, di cui almeno due in posizione di fuori ruolo, al fine di garantire, in relazione al contenzioso in gestione, l’attività di consulenza all’UTA.

La relazione tecnica al decreto legge in commento non reca, peraltro, alcun elemento di informazione sui commi 1 e 2 dell’articolo 5, anzi sembra essere riferita a un testo non coincidente con quello ad essa corrispondente considerato che, nel sottolineare il carattere ordinamentale della disposizione, segnala che “è evidente che la finalità di mantenimento in vita di un’importante attività produttiva avrà un forte impatto positivo sulle future basi di imposta e consentirà quindi maggiori entrate fiscali”.

 

Al riguardo, sarebbe opportuno acquisire elementi di informazione relativamente ai limiti di organico di cui all’ordinanza richiamata nel comma 1, nell’ambito dei quali si provvederà a definire la disciplina dell’Unità Tecnica Amministrativa, e alle risorse giacenti sulle contabilità speciali anche in considerazione del fatto che la relazione tecnica non fornisce alcun chiarimento né su questo profilo, né sulla disposizione nel suo complesso. 

 

Risorse per lo smaltimento dei rifiuti e per pagamento debiti (comma 3)

 

Il comma 3 dispone che gli enti locali della Regione Campania debbano utilizzare, per l'anno 2014, la "Sezione per assicurare la liquidità per i pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili degli enti locali" del Fondo anticipazioni liquidità di cui all'articolo 1, comma 10,  del D.L. n. 35/2013 (legge n. 64/2013), sulla base delle procedure di accesso alla predetta Sezione e nei termini ivi previsti, per far fronte al pagamento dei debiti certi, liquidi ed esigibili per lo smaltimento dei rifiuti maturati alla data del 31 dicembre 2009 nei confronti dell'Unità Tecnica-Amministrativa (U.T.A.), ovvero per il pagamento dei debiti fuori bilancio nei confronti della stessa U.T.A. che presentavano i requisiti per il riconoscimento alla medesima data, anche se riconosciuti in bilancio in data successiva.

 

La relazione illustrativa al provvedimento in commento afferma che la norma vuole favorire il recupero da parte dell’ U.T.A. della somma di circa 150 milioni di euro, con i quali provvedere alla realizzazione degli interventi e delle attività che sono alla base della proroga di cui al comma 1.

 

Si ricorda che l’articolo 1, comma 10, del D.L. n. 35/2013 (legge n. 64/2013) ha istituito un apposito Fondo con obbligo di restituzione per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili maturati alla data del 31 dicembre 2012 dalle amministrazioni territoriali.

Il Fondo è, in particolare, distinto in tre sezioni (a cui corrispondono tre articoli del relativo capitolo di bilancio, cap. 7398/MEF), “Sezione per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili degli enti locali”, gestita da Cassa depositi e prestiti, “Sezione per assicurare la liquidità alle regioni e alle province autonome per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili diversi da quelli finanziari e sanitari”, “Sezione per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili degli enti del Servizio Sanitario Nazionale”. Tali ultime due sezioni sono gestite direttamente dal MEF.

In particolare, la “Sezione enti locali” del Fondo anticipazioni liquidità, è stata dotata - ai sensi del citato articolo 1, comma 10 del D.L. n. 35/2013, come successivamente modificato dall’articolo 13, comma 1 del D.L. n. 102/2013 - di risorse pari a 3,411 miliardi per il 2013 e a 189 milioni per il 2014. L’importo per il 2014 è stato poi ridotto a 114 milioni di euro ad opera del D.L. n. 93/2013[5].

Si segnala che a valere sui predetti importi stanziati per il 2013 ed il 2014 sulla Sezione enti locali del Fondo anticipazioni liquidità, Cassa depositi e prestiti ha già ammesso anticipazioni di liquidità  agli enti richiedenti per complessivi 3,6 miliardi[6], stipulando con essi di contratti di anticipazione. Le anticipazioni di liquidità ammesse da Cassa per l’anno 2013 sono attualmente in corso di erogazione[7].

Le risorse per il 2014 della Sezione enti locali sono comunque destinate ad essere integrate dalle ulteriori risorse previste dall’articolo 13, comma 8 del D.L. n. 102/2013, il quale ha disposto un incremento della dotazione complessiva del Fondo anticipazioni liquidità[8] per 7,2 miliardi di euro per il 2014, destinando tale incremento “ad ulteriori pagamenti” rispetto a quelli rispetto a quelli soddisfatti dall’originario decreto-legge n. 35/2013 da parte delle Regioni e degli enti locali di debiti certi liquidi ed esigibili maturati alla data del 31 dicembre 2012.

Un decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, che dovrà essere adottato d'intesa con la Conferenza Unificata entro il 28 febbraio 2014, definirà il riparto delle suddette risorse aggiuntive tra le tre Sezioni in cui il Fondo è articolato, nonché i tempi e le modalità per la concessione alle Regioni e agli enti locali delle risorse.

E’ pertanto presumibile che a tale decreto gli enti locali della Regione Campania dovranno fare riferimento per il pagamento dei propri debiti nei confronti dell’UTA, ovvero anche alle risorse che potrebbero liberarsi in ragione di revoche sulle anticipazioni già concesse da Cassa depositi e prestiti.


 

Articolo 5, comma 4
(Versamenti contributivi al personale per la gestione di alcuni impianti di collettamento e depurazione in Campania)

Il comma 4 dell’articolo 5 stabilisce con norma di legge la continuità dell’effettuazione all’I.N.P.S. dei versamenti contributivi relativi ai trattamenti economici del personale assunto con contratto di lavoro a tempo determinato dal commissario delegato, per la gestione degli impianti di collettamento e depurazione di Acerra, Marcianise, Napoli nord, Foce Regi Lagni e Cuma, secondo quanto previsto dai contratti collettivi nazionali, territoriali e aziendali, applicati alla società ex concessionaria dei lavori per l'adeguamento, realizzazione e gestione dei richiamati impianti.

 

Al riguardo, si ricorda che l’O.P.C.M. 9 maggio 2012, n. 4022, ha stabilito (articolo 1, comma 3) che per la gestione dei richiamati impianti di collettamento e depurazione di Acerra, Marcianise, Napoli nord, Foce Regi Lagni e Cuma, il subentrato Commissario delegato dovesse avvalersi delle unità di personale in quel momento in servizio presso i medesimi impianti, con costituzione di rapporti di lavoro a tempo determinato di durata non superiore al termine del 31 marzo 2013. Successivamente, l’articolo 3, comma 1, del D.L. 43/2013, ha prorogato il richiamato termine al 31 marzo 2014.

 

Secondo quanto riportato nella relazione illustrativa al provvedimento, la norma ha lo scopo di risolvere un problema applicativo creatosi a seguito della mancanza di una specifica previsione nella richiamata ordinanza n. 4022/2012 circa l’inquadramento del personale in oggetto. Più specificamente, il personale così assunto, proveniente dal settore privato con applicazione del contratto collettivo nazionale dei lavoratori metalmeccanici, ha visto applicati, da parte del commissario delegato, i trattamenti economici e normativi già in godimento, ivi compresi quelli contributivi verso l’I.N.P.S., previsti dai contratti collettivi nazionali, territoriali e aziendali, applicati alla società ex concessionaria dei servizi in oggetto. L’I.N.P.S. però, sempre secondo la relazione illustrativa, non ha riconosciuto tale iscrizione, in quanto il commissario delegato è stato considerato datore di lavoro pubblico in quanto organo della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Al riguardo, l’Avvocatura di Stato ha stabilito che il fatto che il datore di lavoro sia considerato pubblico non impedisce comunque l'applicazione al personale interessato del contratto collettivo nazionale di lavoro dei metalmeccanici con gestione dell'INPS, pur essendo necessaria un'apposita previsione normativa, come avvenuto alla stregua di precedenti gestioni commissariali (es. i commissari ad acta nominati per le province campane nel corso dell'emergenza dei rifiuti). Tale intervento, sempre secondo la relazione, risulta necessario soprattutto al fine di consentire al personale che avesse maturato i requisiti nel periodo commissariale di poter andare in pensione.


 

Articolo 5, comma 5
(Proroga di gestioni commissariali di talune emergenze ambientali)

Il comma 5 dell’articolo 5 proroga dal 31 dicembre 2013 al 31 dicembre 2014 le seguenti gestioni commissariali riguardanti:

-               gli interventi urgenti di messa in sicurezza e bonifica delle aree campane di Giugliano e dei Laghetti di Castelvolturno (art. 11 dell'O.P.C.M. 3891/2010);

-               la situazione di inquinamento determinatasi nello stabilimento Stoppani, sito nel comune di Cogoleto in provincia di Genova (O.P.C.M. 3554/2006).

 

La proroga fino al 31 dicembre 2013, già disposta dall’articolo 2 del decreto legge n. 1 del 2013, in deroga al divieto di proroga o rinnovo delle gestioni commissariali previsto dal D.L. 59/2012, è ulteriormente differita al 31 dicembre 2014. E’ la medesima norma ad evidenziare le motivazioni di necessità e urgenza della proroga, che non sono invece riportate nel preambolo del decreto legge né nelle relazioni di accompagnamento, che sono identiche a quelle che hanno giustificato la precedente proroga e che risiedono nella permanenza di gravi condizioni di emergenza ambientale e nell’esigenza di evitare il verificarsi di soluzioni di continuità nelle predette gestioni commissariali.

 

La proroga delle gestioni commissariali deroga al divieto di proroga o rinnovo delle gestioni commissariali stabilito dall’art. 3, comma 2, del D.L. 59/2012. Ai sensi di tale disposizione, le gestioni commissariali che operano, ai sensi della L. 225/1992 (emergenze di protezione civile), non sono suscettibili di proroga o rinnovo, se non una sola volta e comunque non oltre il 31 dicembre 2012. Per la prosecuzione dei relativi interventi il citato comma 2 dell’articolo 3 del decreto legge n. 59 del 2012 prevede pertanto l’applicazione dei commi 4-ter e 4-quater dell’art. 5 della citata legge n. 225/1992, sentite le amministrazioni locali interessate. Conseguentemente, con apposite ordinanze devono essere individuate le amministrazioni subentranti, con poteri ordinari, alle gestioni commissariali.

 

Alla copertura degli oneri derivanti dall'attuazione delle due proroghe si provvede con le risorse già previste per la copertura finanziaria delle richiamate ordinanze del Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Si segnala che la relazione tecnica, a differenza della relazione tecnica del richiamato decreto legge n. 1 del 2013, non fornisce elementi di informazione in ordine agli aspetti finanziari inerenti alla bonifica delle aree nella regione Campania e alle attività in corso all’interno dello stabilimento Stoppani dai quali possa evincersi la congruità delle risorse disponibili sulle contabilità speciali a fronte degli oneri derivanti dalla prosecuzione al 31 dicembre 2014 degli effetti delle ordinanze in commento.

 

Di seguito si forniscono nel dettaglio alcuni elementi di informazione concernenti le gestioni commissariali a cui il comma fa riferimento.

 

Bonifica delle aree di Giugliano in Campania e dei Laghetti di Castelvolturno

L'art. 11, comma 1, dell'O.P.C.M. n. 3891 del 2010[9], dispone che il dott. Mario Pasquale De Biase, Commissario delegato per il completamento della liquidazione della struttura commissariale creata per fronteggiare le criticità in materia di bonifiche dei suoli, delle falde, dei sedimenti inquinati e di tutela delle acque superficiali della regione Campania, ai sensi dell'art. 9, comma 6, dell'O.P.C.M. 3849/2010, provvede, avvalendosi in qualità di Soggetto attuatore della Società Sogesid S.p.A., e nel rispetto delle determinazioni assunte da parte dell'Autorità giudiziaria, alla realizzazione degli interventi urgenti di messa in sicurezza e bonifica delle aree di Giugliano (Napoli) e dei Laghetti di Castelvolturno (Caserta).

Si rammenta inoltre, che con Deliberazione del Consiglio dei Ministri del 20 settembre 2012[10] è stata prorogata, fino al 31 dicembre 2012, la gestione commissariale per le bonifiche dei suoli, delle falde e dei sedimenti inquinati e tutela delle acque superficiali della regione Campania. Si era inoltre previsto che almeno dieci giorni prima del 31 dicembre 2012, il Capo del Dipartimento della Protezione Civile provvedesse ad adottare, di concerto con il Ministero dell'Economia e delle Finanze, un'ordinanza per favorire e regolare il subentro dell'Amministrazione pubblica competente in via ordinaria a coordinare gli interventi che saranno necessari.

L’articolo 2 del D.L. 1/2013, come anticipato, ha prorogato gli effetti dell’articolo 11 dell’O.P.C.M. n. 3891 del 2010 fino al 31 dicembre 2013.

 

Inquinamento nello stabilimento Stoppani, sito nel comune di Cogoleto

Con il D.P.C.M. 23 novembre 2006[11] è stato dichiarato lo stato di emergenza in relazione alla grave situazione determinatasi nello stabilimento Stoppani, sito nel comune di Cogoleto in provincia di Genova, in conseguenza della presenza di cromo esavalente ubicato all'interno del medesimo stabilimento, con la conseguente necessità di messa in sicurezza dei rifiuti industriali pericolosi.

L’O.P.C.M. n. 3554 del 2006[12], i cui effetti sono prorogati dalla norma in commento, reca disposizioni urgenti di protezione civile per fronteggiare la grave situazione di emergenza determinatasi nello stabilimento Stoppani. Con l’art. 1 di tale ordinanza l'avvocato Giancarlo Viglione - Vice Capo di Gabinetto del Ministero dell'ambiente - era stato nominato Commissario delegato per il superamento dello stato di emergenza e con l’articolo 9 dell’O.P.C.M. n. 3721 del 2008[13] la dott.ssa Anna Maria Cancellieri è stata nominata Commissario delegato in sostituzione dell'avvocato Viglione. Successivamente con O.P.C.M. n. 3981 del 2011[14] il Prefetto di Genova è stato nominato Commissario delegato in sostituzione della dott.ssa Anna Maria Cancellieri.

Con D.P.C.M. 17 dicembre 2010[15], lo stato d'emergenza, è stato prorogato fino al 31 dicembre 2011 e successivamente con D.P.C.M. 23 dicembre 2011[16] è stato nuovamente prorogato fino al 31 dicembre 2012.

L’articolo 2 del D.L. 1/2013, come anticipato, ha prorogato gli effetti dell’O.P.C.M. n. 3554 del 2006 fino al 31 dicembre 2013.


 

Articolo 6
(Disposizioni in materia di commissari per il dissesto idrogeologico)

L’articolo 6 reca disposizioni concernenti i commissari straordinari per il dissesto idrogeologico volte, per un verso, a introdurre un termine per l’acquisizione dei pareri sulla richiesta di nomina dei medesimi commissari e, per l’altro, a consentire la nomina a commissari anche dei presidenti o degli assessori all’ambiente delle regioni interessate. Ulteriori disposizioni consentono, inoltre, ai commissari di avvalersi – per l’espletamento dei propri compiti - degli uffici tecnici e amministrativi dei comuni e delle regioni interessati dagli interventi, nonché dei provveditorati interregionali alle opere pubbliche.

Le modifiche precedentemente anticipate si traducono in novelle all’articolo 17, comma 1, del decreto legge n. 195 del 2009.

 

Il citato articolo 17, comma 1, del D.L. 195/2009 consente la nomina di commissari straordinari delegati, ai sensi dell'articolo 20 del decreto-legge n. 185 del 2008, per l’attuazione degli interventi connessi alle situazioni a più elevato rischio idrogeologico da effettuare nelle aree settentrionale, centrale e meridionale del territorio nazionale. Il riferimento all’articolo 20 del citato decreto legge n. 185 del 2008 implica che i commissari abbiano poteri di impulso e anche sostitutivi e svolgano, nel contempo, anche una serie di funzioni di indirizzo e coordinamento per la realizzazione degli interventi. In particolare, il comma 4 dell’articolo 20 assegna al commissario delegato, sin dal momento della nomina, i poteri, anche sostitutivi, degli organi ordinari o straordinari. Il commissario provvede in deroga ad ogni disposizione vigente e nel rispetto comunque della normativa europea sull’affidamento dei contratti relativi a lavori, servizi e forniture, nonché dei principi generali dell’ordinamento giuridico.

I commissari straordinari delegati devono essere nominati con decreto del Presidente del Consiglio de Ministri, su proposta dei Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentiti il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Dipartimento della Protezione civile, nonché i Presidenti delle regioni o province autonome interessate.

La norma è stata recentemente novellata dall’articolo 1, comma 10, del D.L. n. 126/2013, in corso di esame al Senato (A.S. 1149), al fine di estendere da tre a sei anni il termine, decorrente dall’entrata in vigore del medesimo decreto-legge, entro il quale possono essere nominati commissari straordinari per la rimozione delle situazioni a più elevato rischio idrogeologico. Un’identica disposizione è presente nell’ultimo periodo del comma 66 dell’articolo unico del disegno di legge di stabilità per il 2014 (A.C. 1865) in corso di esame alla Camera.

 

Passando a un’analisi più dettagliata delle modifiche apportate dall’articolo 6, la prima novella è volta ad introdurre un termine di quindici giorni, decorrenti dalla richiesta di nomina dei commissari, per l’acquisizione dei pareri del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, del Dipartimento della Protezione civile, nonché delle regioni o province autonome interessate. Decorso il termine di quindici giorni il decreto di nomina può comunque essere adottato.

 

Sono altresì aggiunti due periodi dopo il quinto periodo del comma 1 – dell’articolo 17 del decreto legge n. 195 del 2009 - il primo dei quali consente la nomina a commissari straordinari per il dissesto idrogeologico anche dei presidenti o degli assessori all’ambiente delle regioni interessate. In tale caso, non si applica il comma 9 dell’articolo 20 del decreto legge n. 185 del 2008, che regola la corresponsione dei compensi spettanti ai commissari. 

 

Nel dettaglio, il citato comma 9 del’articolo 20 del D.L. 185/2008 demanda a decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro competente per materia in relazione alla tipologia degli interventi, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, la definizione dei criteri per la corresponsione dei compensi spettanti ai commissari straordinari delegati. Alla corrispondente spesa si fa fronte nell'ambito delle risorse assegnate per la realizzazione dell'intervento. Il compenso non è erogato qualora non siano rispettati i termini per l'esecuzione dell'intervento con l’esclusione dei casi di cui al comma 3, quarto e quinto periodo, concernenti rispettivamente il mancato o impossibile rispetto dei tempi stabiliti dal crono programma e il verificarsi di circostanze che impediscano la realizzazione totale o parziale dell'investimento. Per gli interventi di competenza regionale si provvede con decreti del Presidente della Giunta Regionale.

 

I commissari hanno, inoltre, la facoltà di avvalersi degli uffici tecnici e amministrativi dei comuni e delle regioni interessate dagli interventi, dei provveditorati interregionali alle opere pubbliche, nonché dell'ANAS , per le attività di progettazione degli interventi, per le procedure di affidamento dei lavori, per le attività di direzione lavori e collaudo, per ogni altra attività di carattere tecnico-amministrativo connessa alla progettazione, all’affidamento ed all’esecuzione dei lavori. Secondo quanto specificato dalla norma, nelle attività precedentemente elencate sono inclusi anche i contratti relativi a servizi e forniture. Al personale degli enti di cui i commissari si avvalgono non sono dovuti compensi, salvo il rimborso delle spese.

 

Si segnala, infine, che la gravità della situazione di dissesto idrogeologico del territorio nazionale è stata costantemente oggetto di attenzione da parte del Parlamento che ha anche sollecitato l’adozione di specifiche iniziative in tale ambito con l’approvazione di una serie di atti di indirizzo tra i quali si segnala, da ultimo, l’approvazione della mozione n. 1-00017, da parte dell’Assemblea della Camera, nella seduta del 26 giugno 2013. Il comma 66 dell’articolo unico del disegno di legge di stabilità per il 2014, in corso di esame parlamentare, oltre a recare il differimento dei termini per la nomina dei commissari, reca una disciplina volta a destinare risorse già esistenti a interventi contro il dissesto idrogeologico immediatamente cantierabili, nonché a definire le modalità di finanziamento di tali interventi.


 

Articolo 7
(Modificazioni all'articolo 1 del decreto-legge 4 giugno 2013, n. 61, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2013, n. 89)

L’articolo 7 modifica la procedura di approvazione del piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria dell’ILVA di Taranto, nel contempo specificando la portata di tale piano e le sue relazioni con le prescrizioni dell'autorizzazione integrata ambientale (A.I.A.). Ulteriori disposizioni sono volte a definire i presupposti per la progressiva attuazione dell’AIA da parte del commissario straordinario (prevedendo anche una procedura che consente al commissario di utilizzare le somme sequestrate anche per reati diversi da quelli ambientali), nonché a intervenire sull’iter autorizzativo per la realizzazione dei lavori e delle opere prescritti dall’A.I.A. o dai piani ambientale e sanitario.

 

Le motivazioni di necessità e urgenza, che giustificano le predette misure, si rinvengono nel preambolo del decreto laddove fa riferimento all’esigenza di un immediato intervento di semplificazione e di interpretazione autentica a fronte dei profili di complessità che sono emersi nel corso delle attività di attuazione delle prescrizioni delle A.I.A. rilasciate per lo stabilimento dell’ILVA di Taranto. 

 

Le modifiche precedentemente anticipate, pur essendo specificamente destinate allo stabilimento ILVA di Taranto, vanno a novellare in più punti l’articolo 1 del decreto legge n. 61 del 2013, recante la disciplina di carattere generale che regola il commissariamento straordinario di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale la cui attività produttiva comporti pericoli gravi e rilevanti all'ambiente e alla salute a causa dell'inottemperanza alle disposizioni dell’AIA. 

 

In particolare, la lettera a) modifica il procedimento di approvazione del piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria (la cui denominazione è recata dal comma 5 dell’art. 1 del D.L. 61/2013) disciplinato dal primo periodo del comma 7 dell’art. 1 del D.L. 61/2013.

Il testo previgente del primo periodo testé citato si limitava a prevedere solamente l’approvazione del piano di tutela ambientale e sanitaria con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentita la regione competente, entro 15 giorni dalla sua presentazione. Lo stesso periodo disciplinava, altresì, l’approvazione del c.d. “piano industriale” (la cui denominazione esatta recata dal comma 6 dell’art. 1 del D.L. 61/2013 è “piano industriale di conformazione delle attività produttive”, volto a consentire la continuazione dell'attività produttiva nel rispetto delle prescrizioni di tutela ambientale, sanitaria e di sicurezza) prevedendo che essa avvenisse con decreto del Ministro dello sviluppo economico, entro 15 giorni dalla sua presentazione.

 

Il nuovo iter procedurale previsto dalla norma in commento per l’approvazione del piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria prevede:

§         l’acquisizione da parte del Ministro dell'ambiente, sulla proposta del comitato degli esperti, dei pareri della regione e del commissario straordinario, che sono resi entro 7 giorni dalla richiesta, decorsi i quali il piano può comunque essere approvato anche in assenza dei pareri richiesti;

§         l’introduzione di un termine temporale preciso per l’approvazione del piano, che deve avvenire entro 15 giorni dal ricevimento dei pareri e comunque entro il 28 febbraio 2014.

 

Si rammenta che il comma 5 dell’articolo 1 del decreto legge n. 61 del 2013, prevede che, contestualmente alla nomina del commissario straordinario, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentiti i Ministri della salute e dello sviluppo economico, nomini un comitato di tre esperti, scelti tra soggetti di comprovata esperienza e competenza in materia di tutela dell'ambiente e della salute e di ingegneria impiantistica, che, sentito il commissario straordinario, predispone e propone al Ministro, entro sessanta giorni dalla nomina, in conformità alle norme dell'Unione europea e internazionali nonché alle leggi nazionali e regionali, il piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria che prevede le azioni e i tempi necessari per garantire il rispetto delle prescrizioni di legge e dell'A.I.A..

 

La norma in commento interviene anche sulla disciplina di approvazione del c.d. “piano industriale” per il quale viene semplicemente prevista l’approvazione con decreto del Ministro dello sviluppo economico.

Il testo previgente prevedeva anche un termine di 15 giorni dalla sua presentazione che non viene più contemplato dalla norma in esame.

 

Si fa altresì notare che nella relazione illustrativa viene fornita una descrizione della norma che non corrisponde al testo in esame. La relazione infatti afferma che i piani ambientale e industriale saranno approvati con “decreti del Presidente del consiglio dei Ministri su proposta, rispettivamente, del Ministro dell'ambiente e del Ministro dello sviluppo economico, avuto riguardo ai molteplici interessi, non solo strettamente ambientali e industriali toccati da tali piani”.

 

La lettera b) incide sulla portata del piano di tutela ambientale e sanitaria rispetto all’Autorizzazione Integrata Ambientale (A.I.A.).

Viene infatti disposto, con riferimento al decreto di approvazione del piano:

§         che esso conclude i procedimenti di riesame dell’A.I.A.;

§         che esso costituisce integrazione dell’A.I.A. medesima;

§         che il suo contenuto può essere modificato con le procedure previste dal d.lgs. 152/2006 (norme in materia ambientale) per il rinnovo, il riesame o l’aggiornamento dell’A.I.A.

La norma fa rinvio ai procedimenti di cui agli articoli 29-octies e 29-nonies.

L’articolo 29-octies disciplina il rinnovo (solitamente quinquennale) dell’A.I.A. o il riesame della stessa. Tale riesame viene effettuato dall'autorità competente quando l'inquinamento provocato dall'impianto è tale da rendere necessaria la revisione dei valori limite o sono disponibili nuove tecniche per garantire una notevole riduzione delle emissioni senza imporre costi eccessivi oppure quando nuove norme o la sicurezza di esercizio lo esigano. L’articolo 29-nonies disciplina invece l’aggiornamento dell’A.I.A. in caso di modifiche agli impianti.

Si segnala, inoltre, che l'articolo 3, comma 2, del decreto legge n. 207 del 2012 stabilisce che le prescrizioni volte a consentire la prosecuzione dell'attività produttiva dello stabilimento ILVA di Taranto sono quelle contenute nel provvedimento di riesame dell'A.I.A. del 26 ottobre 2012 e che il piano incide su tale provvedimento.

 

Si segnala che il terzo periodo del comma 7 dell’articolo 1 del D.L. 61/2013 prevede che l’approvazione del piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria “equivale a modifica dell’A.I.A.., limitatamente alla modulazione dei tempi di attuazione delle relative prescrizioni, che consenta il completamento degli adempimenti previsti nell’A.I.A..” non oltre trentasei mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del medesimo decreto legge n. 61 del 2013. La norma in commento, diversamente, sembrerebbe estendere la portata della citata norma all’intera A.I.A. atteso che configura il piano come “integrazione alla medesima autorizzazione integrata ambientale”. Tale disposizione sembrerebbe pertanto configurare, limitatamente alle fattispecie disciplinate dall’articolo 1 del decreto legge n. 61 del 2013, una disciplina derogatoria rispetto a quanto previsto dal cd. Codice dell’ambiente (d.lgs 152/2006), attuativo della normativa europea.

 

La lettera b) in esame precisa che è comunque fatta salva l'applicazione dell'articolo 12 del D.L. 101/2013.

Si ricorda in proposito che, al fine di garantire l'attuazione del piano di tutela ambientale e sanitaria, l’art. 12 del D.L. 101/2013 ha introdotto una serie di disposizioni finalizzate allo smaltimento dei rifiuti prodotti dall'attività dell'ILVA di Taranto e dagli interventi necessari per il risanamento ambientale. A tal fine, in particolare, il comma 1 di tale articolo ha autorizzato la costruzione e la gestione di due discariche localizzate nel perimetro dell'impianto produttivo dell'ILVA di Taranto, già sottoposte in passato a parere di compatibilità ambientale.

 

La lettera c) novella il comma 8 dell’art. 1 del D.L. 61/2013 al fine di chiarire che il commissario straordinario garantisce comunque la progressiva adozione delle misure previste dall'A.I.A. e dalle altre autorizzazioni e prescrizioni in materia di tutela ambientale e sanitaria fino all'approvazione del piano di tutela ambientale e sanitaria e non, come previsto dal testo previgente, fino all'approvazione del piano industriale: poiché il piano di tutela ambientale e sanitaria precede quello industriale, una volta approvato il primo (che costituisce integrazione dell’A.I.A. ai sensi della lettera b) dell'articolo in esame) dovranno essere osservati i termini previsti dal piano di tutela ambientale e sanitaria e non quelli dell’A.I.A. originaria.

 

La lettera d) integra le previsioni dell'art. 1, comma 8, del D.L. 61/2013, che impone al commissario straordinario di assicurare la progressiva adozione delle misure dell'A.I.A. e delle altre autorizzazioni e prescrizioni in materia di tutela ambientale e sanitaria, nelle more dell'approvazione del piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria (per quanto previsto dalla precedente lettera c).

La disposizione è formulata in termini di norma di interpretazione autentica ed è volta a chiarire i termini in cui debba intendersi rispettata la progressiva adozione delle predette misure ancorandola ad alcuni parametri e alle seguenti condizioni:

§         la qualità dell'aria nella zona esterna allo stabilimento, per la parte riconducibile alle sue emissioni, valutata sulla base dei parametri misurati dalle apposite centraline di monitoraggio gestite dall'ARPA, risulti conforme alle prescrizioni delle vigenti disposizioni europee e nazionali in materia, e comunque non abbia registrato un peggioramento rispetto all’inizio della gestione commissariale;

§          alla data di approvazione del piano di tutela ambientale e sanitaria, siano stati avviati gli interventi necessari ad ottemperare ad almeno il 70% del numero complessivo delle prescrizioni contenute nell’A.I.A., ferma restando la non applicazione dei termini previsti dalle predette autorizzazione e prescrizioni.

Per consentire la valutazione dei citati parametri, la lettera d) prevede la trasmissione all’ISPRA, da parte del commissario straordinario, entro 30 giorni dall'approvazione del piano di tutela ambientale e sanitaria, di una relazione indicante analiticamente gli interventi suddetti.

 

Si fa notare che nell'articolo in esame si fa spesso riferimento non all’A.I.A. ma, al plurale, alle “autorizzazioni integrate ambientali” e che potrebbe essere opportuno, anche al fine di evitare incertezze applicative, utilizzare in maniera univoca lo stesso termine. Tra l’altro, nel caso dell’ILVA, nonostante i provvedimenti relativi all’A.I.A. emanati recentemente siano numerosi (come si desume chiaramente dalla pagina dedicata all’ILVA del sito AIA del Ministero dell'ambiente), l’A.I.A. cui si fa riferimento è una sola.

 

La lettera e) è volta ad introdurre innovazioni procedimentali da applicare ai casi in cui l’A.I.A. impone, con le sue prescrizioni, la realizzazione di lavori o opere che a loro volta richiedono le più svariate autorizzazioni, intese, concerti, pareri, nulla osta e assensi comunque denominati degli enti territoriali, dei ministeri e di tutti gli altri enti coinvolti (permesso di costruire, denuncia di inizio attività, segnalazione certificata di inizio attività, nulla osta paesaggistico, ecc.).

Per la realizzazione dei lavori e delle opere prescritti dall’A.I.A. o dal piano delle misure di tutela ambientale e sanitaria, nonché dal piano industriale di conformazione delle attività produttive, la norma in esame prevede infatti la convocazione di una conferenza di servizi, gestita a livello centrale, che deve pronunciarsi entro il termine di 60 giorni dalla convocazione, per risolvere in un'unica sede i problemi di coordinamento dei vari procedimenti amministrativi. In proposito, la relazione illustrativa segnala che, nel caso dell’ILVA, si tratta di un numero elevatissimo (circa quaranta procedimenti edilizi). La conferenza di servizi è convocata dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, su proposta del commissario straordinario ai sensi dell’articoli 14 e seguenti della legge n. 241 del 1990.

La conferenza di servizi delineata dalla norma in esame ricalca grosso modo la disciplina generale contenuta negli articoli 14 e seguenti della L. 241/1990, come evidenzia il seguente testo a fronte.

La differenza più rilevante sembrerebbe l’introduzione di un’ipotesi di silenzio-assenso in caso di mancato pronunciamento da parte dell’autorità competente ad emettere la VIA, in deroga al principio generale sancito dal comma 7 dell’art. 14-ter della L. 241/1990 (v. infra).

 

Art. 14-ter, commi 3-4 e 7, L. 241/1990

Lettera e) del comma 1 dell’articolo 7 del D.L. 136/2013 (che novella il comma 9 dell’articolo 1 del D.L. 61/2013)

3. … le amministrazioni che vi partecipano (alla conferenza di servizi) determinano il termine per l'adozione della decisione conclusiva. I lavori della conferenza non possono superare i novanta giorni, salvo quanto previsto dal comma 4.

 

 

 

 

 

 

 

 

La conferenza di servizi si esprime dopo avere acquisito, se dovuto, il parere della commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, che si esprime sulla valutazione di impatto ambientale del progetto entro novanta giorni dalla sua presentazione, o sulla verifica di assoggettabilità alla procedura medesima entro quarantacinque giorni. I predetti termini sono comprensivi dei quindici giorni garantiti al pubblico interessato al fine di esprimere osservazioni sugli elaborati progettuali messi a disposizione.

4 … nei casi in cui sia richiesta la VIA, la conferenza di servizi si esprime dopo aver acquisito la valutazione medesima ed

Nei casi di attivazione delle procedure di VIA,

 

il termine di cui al comma 3 resta sospeso, per un massimo di novanta giorni, fino all'acquisizione della pronuncia sulla compatibilità ambientale.

il termine di conclusione della conferenza di servizi è sospeso per un massimo di novanta giorni.

 

Se la VIA non interviene nel termine previsto per l'adozione del relativo provvedimento, l'amministrazione competente si esprime in sede di conferenza di servizi, la quale si conclude nei trenta giorni successivi al termine predetto. Tuttavia, a richiesta della maggioranza dei soggetti partecipanti alla conferenza di servizi, il termine di trenta giorni di cui al precedente periodo è prorogato di altri trenta giorni nel caso che si appalesi la necessità di approfondimenti istruttori.

 

7. Si considera acquisito l'assenso dell'amministrazione, ivi comprese quelle preposte alla tutela della salute e della pubblica incolumità, alla tutela paessaggistico-territoriale e alla tutela ambientale, esclusi i provvedimenti in materia di VIA, VAS e AIA, il cui rappresentante, all'esito dei lavori della conferenza, non abbia espresso definitivamente la volontà dell'amministrazione rappresentata

Decorso tale termine, i pareri non espressi si intendono resi in senso favorevole. Solo nel caso di motivata richiesta di approfondimento tecnico, tale termine può essere prorogato una sola volta fino ad un massimo di trenta giorni.

 

 

La norma in esame dispone che la determinazione conclusiva della conferenza di servizi, adottata con decreto del Ministro dell'ambiente, costituisce variante ai piani territoriali ed urbanistici, per la quale non è necessaria la VAS (valutazione ambientale strategica). Nei casi di motivato dissenso delle autorità preposte alla tutela ambientale, culturale o paesaggistica, il Consiglio dei ministri si pronuncia sulla proposta, previa intesa con la regione o la provincia autonoma interessata, entro i venti giorni successivi all’intesa. La norma prevede che l’intesa si intende, comunque,  acquisita decorsi trenta giorni dalla relativa richiesta.

Viene altresì disposto che le cubature degli edifici di copertura di materie prime, sottoprodotti, rifiuti e impianti, previsti dall'AIA o da altre prescrizioni ambientali, sono considerate "volumi tecnici".

In mancanza di una definizione normativa di “volume tecnico” appare utile richiamare quanto affermato dalla recente giurisprudenza amministrativa, secondo cui “per l'identificazione della nozione di volume tecnico, ai fini dell'esclusione dal calcolo della volumetria ammissibile, occorre fare riferimento a tre ordini di parametri: il primo, positivo, di tipo funzionale, dovendo avere un rapporto di strumentalità necessaria con l'utilizzo della costruzione; il secondo ed il terzo negativi ricollegati, rispettivamente, all'impossibilità di soluzioni progettuali diverse (nel senso che tali costruzioni non devono essere ubicate all'interno della parte abitativa) e ad un rapporto di necessaria proporzionalità che deve sussistere fra i volumi e le esigenze edilizie completamente prive di una propria autonomia funzionale, anche potenziale, in quanto destinate a contenere gli impianti serventi di una costruzione principale stessa” (TAR Napoli, sentenza 22 agosto 2013, n. 4132).

 

La lettera f) aggiunge un comma 9-bis all’art. 1 del D.L. 61/2013 al fine di chiarire l’inapplicabilità delle sanzioni speciali (previste dall'art. 1, comma 3, del D.L. 207/2012) durante la gestione commissariale, al verificarsi delle seguenti condizioni:

§         rispetto del piano delle misure di tutela ambientale e industriale e del piano industriale;

§         progressiva adozione delle misure dell’AIA e delle altre autorizzazioni e prescrizioni in materia di tutela ambientale e sanitaria in conformità alle disposizioni dettate dal comma 8 come novellato dall'articolo in esame.

 

Viene altresì previsto che le citate sanzioni, ove riferite a atti o comportamenti imputabili alla gestione precedente al commissariamento, non possono essere poste a carico dell'impresa commissariata per tutta la durata del commissariamento e sono irrogate al titolare dell'impresa o al socio di maggioranza che abbiano posto in essere tali atti o comportamenti.

 

Si ricorda che l’art. 1, comma 3, del D.L. 61/2013 - ferme restando le sanzioni contemplate dalla disciplina in materia di AIA dettata dal d.lgs. 152/2006 o dalle altre disposizioni di carattere sanzionatorio penali e amministrative contenute nelle normative di settore – punisce la mancata osservanza delle prescrizioni contenute nel provvedimento di riesame dell’AIA con una sanzione amministrativa pecuniaria, escluso il pagamento in misura ridotta, da 50.000 euro fino al 10% del fatturato della società risultante dall'ultimo bilancio approvato.

 

La lettera g) aggiunge un comma 11-bis all’art. 1 del D.L. 61/2013, che prevede una procedura finalizzata a porre a carico del titolare o del socio di maggioranza dell'impresa commissariata il costo del risanamento ambientale. Si consente infatti al commissario straordinario di utilizzare le somme sequestrate anche per reati diversi da quelli ambientali, con un meccanismo che consente le compensazioni del caso.

Tale procedura prevede che dopo l'approvazione del piano industriale, il commissario straordinario diffida il titolare dell'impresa o il socio di maggioranza a mettere a disposizione entro 30 giorni le somme necessarie per l'attuazione dell'autorizzazione integrata ambientale e per l'adozione delle altre misure previste nel piano.

Le somme devono essere trasferite su un conto intestato all'azienda commissariata e sono scomputate in sede di confisca delle somme sequestrate, anche ai sensi del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, per reati ambientali o connessi all'attuazione dell'autorizzazione integrata ambientale.

Il D.Lgs. 231 del 2001, relativo alla responsabilità amministrativa da reato delle persone giuridiche, prevede - a seguito della condanna e fatti salvi i diritti di terzi di buona fede - un obbligo di confisca del prezzo o del profitto del reato; ove ciò non sia possibile, sono confiscate somme di denaro, beni o altre utilità  di valore equivalente.

In caso, tuttavia, di inadempimento, anche parziale, al versamento delle somme da parte del titolare dell’impresa la lett. g) prevede che su richiesta del commissario vengano trasferite sul c/c dell’azienda commissariata le somme sottoposte a sequestro penale, anche in relazione a processi penali diversi da quelli per reati ambientali o connessi all'attuazione dell’AIA.

Al proscioglimento del titolare dell'impresa o del socio di maggioranza da tali reati, consegue – salvo conguaglio per la parte eccedente - l’irripetibilità di tali somme per la sola parte in cui sono impiegate per l'attuazione dell'AIA e delle altre misure previste nel piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria. In caso di condanna per detti reati resta fermo l'eventuale credito dello Stato e degli altri eventuali soggetti offesi nella misura accertata dalla sentenza di condanna.

Alla data della cessazione del commissariamento, sulle somme derivanti da sequestro penale trasferite sul conto del commissario straordinario ma non ancora spese o impegnate dal commissario medesimo, rivive il vincolo di sequestro penale.

La recente normativa per l’emergenza ambientale e l’ILVA di Taranto

Si ricorda che il D.L. 4 giugno 2013, n. 61 contiene disposizioni volte a disciplinare – in via generale (all’art. 1) e con specifico riguardo allo stabilimento ILVA di Taranto (all’art. 2) – il commissariamento straordinario di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale la cui attività produttiva comporti pericoli gravi e rilevanti all'ambiente e alla salute a causa dell'inottemperanza alle disposizioni dell'AIA.

In particolare, ai sensi del comma 5 dell'art. 1 del D.L. 61/2013, contestualmente alla nomina del commissario straordinario, il Ministro dell'ambiente è tenuto a nominare un comitato di tre esperti, scelti tra soggetti di comprovata esperienza e competenza in materia di tutela dell'ambiente e della salute, nonché di ingegneria impiantistica. Tale comitato, sentito il commissario straordinario, entro 60 giorni dalla nomina, propone al Ministro il Piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria. Il Piano deve altresì prevedere le azioni ed i tempi necessari per garantire il rispetto delle prescrizioni di legge e dell'AIA, la cui contestata violazione ha determinato il commissariamento dell’ILVA. Nel medesimo comma vengono dettate norme per garantire la necessaria pubblicità dello schema di Piano e la partecipazione di tutti gli interessati alla sua elaborazione, nei tempi indicati.

Al fine di garantire l'attuazione del citato Piano, l’art. 12 del D.L. 101/2013 ha introdotto una serie di disposizioni finalizzate allo smaltimento dei rifiuti prodotti dall'attività dell'ILVA di Taranto e dagli interventi necessari per il risanamento ambientale. A tal fine, in particolare, il comma 1 di tale articolo ha autorizzato la costruzione e la gestione di due discariche localizzate nel perimetro dell'impianto produttivo dell'ILVA di Taranto, già sottoposte in passato a parere di compatibilità ambientale.

Entro il termine di 30 giorni dal decreto di approvazione del piano di cui sopra, il comma 6 dell'art. 1 del D.L. 61/2013 ha previsto che il commissario straordinario – comunicato il piano industriale ai responsabili dell'impresa, e acquisite e valutate le eventuali osservazioni pervenute entro i successivi dieci giorni – predispone il Piano industriale di conformazione delle attività produttive, che consente la continuazione dell'attività produttiva nel rispetto delle prescrizioni di tutela ambientale, sanitaria e di sicurezza.

Volendo avere una visione di insieme generale delle recenti disposizioni emanate in materia, si ricorda che il D.L. 61/2013 rappresenta il terzo decreto-legge finora emanato per cercare di superare la situazione di emergenza ambientale nell’area di Taranto, che è strettamente collegata alle vicende dello stabilimento ILVA. La citata emergenza è stata affrontata inizialmente dal Governo con l'emanazione del D.L. 7 agosto 2012, n. 129, che ha dettato norme concernenti la realizzazione degli interventi di riqualificazione e ambientalizzazione dell'area di Taranto e, per assicurarne l'attuazione, ha nominato un Commissario straordinario.

In precedenza, con decreto direttoriale del 15 marzo 2012 del Ministero dell'ambiente, era stato disposto d'ufficio l'adeguamento dell'AIA, rilasciata con decreto del 4 agosto 2011, alle conclusioni delle migliori tecniche disponibili europee (BAT - Best Available Techniques) relative al settore siderurgico. Successivamente il Ministero dell'ambiente ha concluso il riesame dell’AIA (decreto prot. DVA/DEC/2012/0000547 del 26 ottobre 2012) per l'esercizio dello stabilimento siderurgico ubicato nei comuni di Taranto e di Statte.

In conseguenza dell'emanazione di un nuovo provvedimento da parte del GIP di Taranto (datato 26 novembre 2012), con cui è stato disposto il sequestro dei prodotti finiti e semilavorati dello stabilimento, e del rigetto (avvenuto in data 30 novembre 2012), da parte del medesimo Gip, dell'istanza di dissequestro degli impianti a caldo dell'ILVA avanzata dall'azienda, è stato adottato il D.L. 3 dicembre 2012, n. 207, che ha dichiarato l'ILVA stabilimento di interesse strategico nazionale e dettato specifiche misure per garantire la continuità produttiva aziendale e la commercializzazione dei prodotti, anche di quelli realizzati antecedentemente all'entrata in vigore del medesimo decreto. Lo stesso decreto ha previsto la nomina di un garante (avvenuta con D.P.R. 16 gennaio 2013), incaricato di vigilare, avvalendosi dell'ISPRA, sull'attuazione delle disposizioni del medesimo decreto-legge.

Nel successivo mese di gennaio 2013 il Tribunale di Taranto ed il G.I.P. del medesimo tribunale, nell'ambito di ricorsi volti ad ottenere il dissequestro dei citati prodotti, hanno sollevato la questione di legittimità costituzionale della legge di conversione del decreto n. 207 e rimesso gli atti alla Consulta, la quale, con la sentenza 9 maggio 2013, n. 85, ha dichiarato in parte inammissibili ed in parte infondate le questioni sollevate. A seguito del deposito delle motivazioni della sentenza, è stato disposto il dissequestro dei prodotti finiti e semilavorati.

Le ulteriori vicende giudiziarie (in particolare il sequestro preventivo dei beni della capogruppo Riva Fire per 8,1 miliardi di euro, che ha portato alle dimissioni del Consiglio di amministrazione) hanno creato le premesse per l’emanazione del D.L. 61/2013.

Oltre alle già citate disposizioni finalizzate all’emanazione di appositi piani per la tutela ambientale e sanitaria e per la continuazione dell'attività produttiva, il D.L. 61/2013 ha provveduto a sopprimere la figura del Garante (istituita dal D.L. 207/2012).


 

Articolo 8
(Autorizzazione degli interventi previsti dal piano delle misure ambientali e sanitarie per l'Ilva di Taranto ricadenti in area SIN).

L’articolo 8 introduce una speciale procedura per l’autorizzazione alla  realizzazione degli interventi previsti dall’a.i.a e dal piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria (disciplinato dall’art. 7 del presente decreto) nell’area dello stabilimento ILVA di Taranto.

 

La rubrica chiarisce che gli interventi di cui trattasi sono solamente quelli ricadenti nel perimetro del SIN (sito inquinato di interesse nazionale). Tale limitazione tuttavia non viene menzionata nel testo dell’articolo che fa generico riferimento alle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC).

 

Si ricorda che il sito di Taranto è stato inserito tra i siti di bonifica di interesse nazionale (SIN) dall’art. 1, comma 4, della legge n. 426 del 1998. Con successivo D.M. del 10 gennaio 2000 ne è stata disposta la perimetrazione. La perimetrazione del SIN di Taranto copre una superficie complessiva pari a circa 115.000 ha, di cui 83.000 ha di superficie marina che interessa l’intera area portuale. Il SIN di Taranto viene anche descritto nell’allegato B al DM 18 settembre 2001, n. 468 che riporta, tra l’altro, che “la superficie interessata dagli interventi di bonifica e ripristino ambientale è pari a circa 22,0 km2 (aree private), 10,0 km2 (aree pubbliche), 22,0 km2 (Mar Piccolo), 51,1 km2 (Mar Grande), 9,8 km2 (Salina Grande). Lo sviluppo costiero è di circa 17 km”.

Relativamente alla definizione normativa di CSC, si ricorda che essa è contenuta all’art. 240, comma 1, lettera b), del d.lgs. 152/2006 (norme in materia ambientale), secondo cui per CSC si intendono i livelli di contaminazione delle matrici ambientali che costituiscono valori al di sopra dei quali è necessaria la caratterizzazione del sito e l'analisi di rischio sito specifica.  Ai sensi della successiva lettera d) un sito è definito come potenzialmente contaminato quando uno o più valori di concentrazione delle sostanze inquinanti rilevati nelle matrici ambientali risultino superiori ai valori di concentrazione soglia di contaminazione (CSC), in attesa di espletare le operazioni di caratterizzazione e di analisi di rischio sanitario e ambientale sito specifica, che ne permettano di determinare lo stato o meno di contaminazione sulla base delle concentrazioni soglia di rischio (CSR).

 

Il nuovo articolo 2-quinquies del D.L. 61/2013, ove vengono collocate le disposizioni introdotte dall'articolo in commento, prevede:

§         una procedura, disciplinata dai commi 2-3, applicabile alle porzioni di terreno che all'esito della caratterizzazione hanno evidenziato il rispetto delle CSC per le matrici suolo e sottosuolo;

In tal caso il comma 2 prevede che gli interventi siano dichiarati indifferibili ed urgenti. Lo stesso comma provvede ad elencare i seguenti criteri e modalità da rispettare nella realizzazione degli interventi, al fine di non interferire con la successiva bonifica delle acque sotterranee e delle altre matrici ambientali contaminate:

a) ogni singolo intervento deve essere comunicato alla regione, alla provincia, al comune territorialmente competenti e all'ARPA della regione Puglia almeno dieci giorni prima dell’inizio dei lavori, unitamente al relativo cronoprogramma;

b) nell'esecuzione degli interventi, con particolare riferimento all'attività di scavo, devono essere adottate tutte le precauzioni e gli accorgimenti idonei a prevenire e impedire un peggioramento della qualità delle acque sotterranee;

c) deve essere effettuato sul fondo scavo il campionamento del suolo superficiale con le modalità di cui al comma 3, che disciplina le modalità con cui deve avvenire il citato campionamento del suolo superficiale. Tale campionamento, che deve precedere la realizzazione di ogni singolo intervento, secondo quanto dispone la norma, deve essere effettuato per una profondità dal piano di fondo scavo di 0-1 metri;

Il comma 3 definisce le modalità attuative del campionamento di suolo superficiale: individuazione di celle uniformi per litologia di terreno; campionamento di 0-1 metri dal piano di fondo scavo; prelievo di almeno due campioni per cella; formazione di un campione composito ottenuto per miscelazione; ricerca degli analiti in tale campione composito ai fini della verifica delle CSC; conservazione di una parte dei campioni presso l’ARPA della regione Puglia).

d) il commissario straordinario comunica all'ARPA della regione Puglia l’eventuale ritrovamento di rifiuti nel corso delle attività di scavo, prima di procedere alla loro rimozione, ed al fine di effettuare le necessarie verifiche prima della prosecuzione dell'intervento;

e) qualora il fondo scavo presenti valori superiori alle CSC, a seguito del campionamento del suolo superficiale, il commissario straordinario ne dà comunicazione all'ARPA della regione Puglia e procede agli idonei interventi garantendo il raggiungimento del rispetto delle CSC;

f) il suolo e il sottosuolo conformi alle CSC possono essere riutilizzati in sito.

 

§         un aggravio procedurale, disciplinato dal comma 4, per le aree non caratterizzate o che, all'esito della caratterizzazione, abbiano evidenziato il mancato rispetto delle CSC per le matrici suolo e sottosuolo.

In tali casi il comma 4 prevede che gli interventi siano realizzabili solo previa verifica, da parte dell’ARPA della regione Puglia, della compatibilità con i successivi o contestuali interventi di messa in sicurezza e bonifica che risulteranno necessari.

Lo stesso comma prevede che la conclusione dell’istruttoria da parte dell’ARPA avvenga entro 30 giorni dalla presentazione del progetto dell'intervento. A tali fini il Ministero dell'ambiente definisce con l’ARPA, entro 30 giorni, previo parere dell’ISPRA, un apposito protocollo tecnico operativo.

Al riguardo, andrebbe valutata l’opportunità di definire l’ultimo dei termini citati atteso che la norma non specifica se i trenta giorni decorrano dall’entrata in vigore del presente decreto-legge.

Procedure di contenzioso

(A cura dell’Ufficio Rapporti con l’Unione europea))

La Commissione, avviando il 26 settembre 2013 una specifica procedura di infrazione (n. 2177/2013), ha dichiarato la messa in mora dell’Italia per il mancato rispetto della normativa europea sia in materia di emissioni industriali sia di responsabilità ambientale.

Si ricorda che lo stabilimento siderurgico ILVA di Taranto era uno degli impianti industriali oggetto della procedura di infrazione n. 2008/2071, riguardante numerosi stabilimenti industriali privi di autorizzazione ai sensi della direttiva 2008/1/CE (IPCC). In esito a tale procedura di infrazione, la Corte di giustizia dell’UE, nel marzo 2011, ha dichiarato l’inadempienza dell’Italia per la mancata adozione delle misure necessarie a garantire che il funzionamento degli impianti industriali sia conforme a quanto disposto dalla direttiva (causa 50/10).

Il 4 agosto 2011, allo stabilimento ILVA di Taranto è stata rilasciata un’autorizzazione integrata ambientale (AIA), parzialmente rivista da una successiva nuova autorizzazione rilasciata il 26 ottobre 2012.

Lo stabilimento è, inoltre, oggetto di indagini giudiziarie e, in esito ad esse, anche di provvedimenti cautelari, tra cui, si ricorda, il sequestro di alcune unità produttive.

Infine, il Governo italiano ha emanato una serie di misure legislative volte ad assicurare la continuazione delle attività produttive, sia pure a precise condizioni (si ricordano, in primo luogo, il DL n. 207/2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 231/2012; il DL n. 61/2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 89/2013 e il DL n. 101/2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 125/2013).

In particolare, ad avviso della Commissione, il gestore dello stabilimento ILVA di Taranto risulta inadempiente in relazione a numerose prescrizioni previste dall’AIA dell’ottobre 2012.

Le inadempienze riguardano:

-     la mancata copertura dei siti di stoccaggio dei minerali e dei materiali polverulenti, il mancato adeguamento della macchine per lo scarico dei materiali e dei nastri trasportatori, al fine di evitare emissioni di polveri;

-     la mancata realizzazione di una nuova rete di idranti e di macchine per la nebulizzazione di acqua sui materiali stoccati, sempre al fine di ridurre le emissioni di polveri;

-     la mancata adozione di misure per la riduzione delle emissioni di polveri dagli altoforni;

-     la mancata copertura delle unità produttive nonché la mancata realizzazione di sistemi di captazione e convogliamento delle emissioni;

-     la mancata adozione di provvedimenti volti alla minimizzazione delle emissioni gassose dagli impianti di trattamento dei gas;

-     la mancata adozione di misure per il controllo dell’emissione di particolato con il flusso di vapore acqueo in uscita dalle torri di spegnimento;

-     mancata adozione di provvedimenti per la riduzione delle emissioni di polveri dalle acciaierie.

Sul rispetto delle altre prescrizioni dell’AIA, le autorità italiane stanno ancora conducendo verifiche.

Alla luce di quanto premesso, ad avviso della Commissione risulta evidente che lo stabilimento siderurgico di Taranto è gestito in violazione dell’articolo 14, lettera a), della direttiva 96/61/CE (Integrated Pollution Prevention and Control - IPCC), a norma del quale gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché il gestore rispetti, nel proprio impianto, le condizioni dell’autorizzazione.

Inoltre, la Commissione sottolinea che l’AIA, che doveva essere rilasciata entro il 30 ottobre 2007, è stata rilasciata solo nell’agosto 2011, malgrado la citata sentenza a conclusione della procedura di infrazione.

La Commissione elenca una serie di circostanze dalle quali risulta evidente la consapevolezza delle autorità italiane delle conseguenze inquinanti della condotta del gestore dello stabilimento.

In particolare, si ricordano:

-     l’inclusione della zona industriale di Taranto tra i Siti di Interesse Nazionale (SIN) altamente inquinati e da bonificare;

-     la caratterizzazione cui è stato sottoposto il sito di pertinenza dell’ILVA, da cui è risultato che il suolo, le acque superficiali e le acque sotterranee del sito sono fortemente inquinate. Per il contrasto di tale inquinamento, attribuito dal ministero dell’Ambiente all’attività produttiva dello stabilimento ILVA (nota 8898/TRI/VIII del 28/3/2013), non risultano ancora intraprese azioni di bonifica;

-     il grave inquinamento anche dei comuni limitrofi di Taranto, da attribuire all’attività dello stabilimento ILVA. Tale inquinamento è dimostrato dalle ordinanze del sindaco di Taranto che interessano, in particolare, il quartiere Tamburi, il più vicino allo stabilimento, nonché dallo stanziamento di 8 milioni di euro disposto dalle autorità italiane per bonificare il quartiere.

La responsabilità dell’attività industriale dello stabilimento ILVA è comprovata dalle dimensioni dello stabilimento medesimo (il più grande stabilimento industriale della provincia di Taranto).

Le altre prove di responsabilità sono individuate dalla Commissione nelle seguenti circostanze:

-     la vicinanza dello stabilimento con le zone della provincia di Taranto più inquinate (il quartiere Tamburi e il comune di Statte);

-     le rilevazioni del Ministero della salute che provano il livello di inquinamento delle aree di Statte e del quartiere Tamburi. A tali aree sono, inoltre, riconducibili anche le percentuali più alte di ricoveri in ospedali e di decessi per patologie quali il cancro, le malattie cardiovascolari e quelle respiratorie;

-     la condanna della Corte di giustizia europea dell’Italia (causa C-68/11) per il superamento dei valori limite di PM10 nel 2006 e 2007 in 55 zone e agglomerati italiani, Taranto compresa. Ulteriori superamenti sono stati registrati anche nel 2008 e nel 2011, come risulta dalle valutazioni sulla qualità dell’aria inviate ogni anno dall’Italia alla Commissione.

Infine, la consapevolezza delle autorità italiane dei pericoli legati all’attività dello stabilimento ILVA sono ulteriormente dimostrati dalla decisione, nel DL n. 61/2013, di nominare un commissario straordinario per l’ILVA, per oggettivi pericoli gravi e rilevanti per l’integrità dell’ambiente e della salute a causa della reiterata inosservanza dell’autorizzazione integrata ambientale.

Il comportamento dell’Italia, ad avviso della Commissione, è in violazione anche dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera b), della direttiva IPCC, a norma del quale gli Stati membri devono garantire che gli impianti siano gestiti in modo da evitare fenomeni di inquinamento significativo.

Infine, la Commissione ritiene che l’Italia abbia violato anche l’articolo 6, paragrafo 3, e l’articolo 8, paragrafo 2, della direttiva sulla responsabilità ambientale (2004/35/CE). In base a tali norme, infatti, l’operatore responsabile del danno ambientale deve adottare le necessarie misure di riparazione o, quanto meno, sostenere i relativi costi (principio “chi inquina paga”). Se l’operatore non adempie, lo Stato può adottare le misure di riparazione necessarie e recuperarne i costi dall’operatore inadempiente.

Secondo la Commissione, non risulta che le autorità italiane abbiano preso provvedimenti in tale senso, dal momento che lo stabilimento ILVA di Taranto continua a inquinare, funzionando in violazione della direttiva IPCC e del’AIA, le cui scadenze, inoltre, sono state prorogate, differendo nel tempo l’adozione dei provvedimenti che potrebbero ridurre l’impatto ambientale dell’attività produttiva.

 

Si ricorda, infine, che l’avvio della procedura di infrazione segue la conclusione della procedura EU Pilot (caso 3268/2012 ENVI), avviata dalla Commissione europea sul funzionamento dell’ILVA di Taranto, il 26 maggio 2012, la cui documentazione è disponibile sul sito dell’ISPRA (http://www.isprambiente.gov.it/it/garante_aia_ilva/monitoraggio-della-commissione-europea).


 

Articolo 9
(Misure per le imprese di interesse strategico nazionale in amministrazione straordinaria)

L’articolo 9 riguarda i casi in cui gli atti e i provvedimenti di liquidazione dei beni di imprese in amministrazione straordinaria, siano oggetto di ricorso al tribunale in confronto del commissario straordinario e degli altri eventuali interessati. In tali casi, nelle more della definizione del giudizio:

§      i termini di durata del programma redatto dal commissario straordinario sono prorogati;

§      allo stesso commissario è attribuito il potere di negoziare con l'acquirente dell'azienda o di rami di azienda, modalità gestionali volte a garantire la ordinata prosecuzione dell'attività produttiva.

 

In particolare, la norma integra la disciplina dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza (D.Lgs 270/1999, cosiddetta “legge Prodi-bis”) con un articolo 65-bis, contenente misure per la salvaguardia della continuità aziendale. 

Si ricorda che l’articolo 65 del D.Lgs 270/1999 disciplina l’impugnazione degli atti di liquidazione dei beni di imprese in amministrazione straordinaria. In particolare si prevede che contro gli atti e i provvedimenti lesivi di diritti soggettivi, relativi a tale liquidazione, è ammesso ricorso al tribunale in confronto del commissario straordinario e degli altri eventuali interessati. Contro il decreto del tribunale che decide in camera di consiglio è ammesso reclamo a norma dell'articolo 739 del codice di procedura civile. Il ricorso non ha effetto sospensivo.

 

In caso di reclamo avverso il decreto del tribunale che ha deciso il ricorso per l’impugnazione degli atti di vendita di aziende o rami d'azienda posti in essere da una procedura di amministrazione straordinaria, nelle more del passaggio in giudicato del decreto che definisce il giudizio, si prevede la proroga del programma del Commissario straordinario.

 

IL D. Lgs 270/1999 prevede (articolo 54) che il commissario straordinario, entro i sessanta giorni successivi al decreto di apertura della procedura, presenta al Ministero dell'industria un programma redatto secondo uno degli indirizzi alternativi in merito al recupero dell'equilibrio economico delle attività imprenditoriali. Tale risultato si può realizzare, in via alternativa: a) tramite la cessione dei complessi aziendali, sulla base di un programma di prosecuzione dell'esercizio dell'impresa di durata non superiore ad un anno («programma di cessione dei complessi aziendali») ; b) tramite la ristrutturazione economica e finanziaria dell'impresa, sulla base di un programma di risanamento di durata non superiore a due anni («programma di ristrutturazione») b-bis) per le società operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali anche tramite la cessione di complessi di beni e contratti sulla base di un programma di prosecuzione dell'esercizio dell'impresa di durata non superiore ad un anno («programma di cessione dei complessi di beni e contratti»)  (articolo 27).

 

Sempre nelle more del definitivo accertamento da parte dell'Autorità Giudiziaria della validità degli atti di liquidazione, ed in particolare in pendenza del citato reclamo, viene inoltre attributo ai commissari straordinari il potere di regolare convenzionalmente con l'acquirente dell'azienda o di rami di azienda, sentito il comitato di sorveglianza e previa autorizzazione ministeriale, modalità di gestione idonee a consentire la salvaguardia della continuità aziendale e dei livelli occupazionali.

 

Tali previsioni si applicano anche alle procedure di amministrazione straordinaria per le grandi imprese in stato di insolvenza finalizzata alla ristrutturazione industriale delle stesse, sotto la supervisione del Ministro competente, di cui al decreto-legge n. 347/2003 (nota come “legge Marzano”).

 

Si ricorda che con il decreto-legge 134/2008, noto anche come “decreto Alitalia” l’ambito di applicazione del decreto-legge 347/2003 era stato esteso anche alle imprese che intendono avvalersi, piuttosto che delle procedure di ristrutturazione economica e finanziaria, delle procedure di cessione di complessi aziendali, sulla base di un programma di prosecuzione dell'esercizio dell'impresa di durata non superiore ad un anno.


 

Articolo 10
(Entrata in vigore)

L’art. 10 dispone l’entrata in vigore del provvedimento il giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.



[1] L’operatività di tali interventi, concernenti l'occupazione giovanile e la lotta alla povertà nel Mezzogiorno - in quanto finanziati con la quota di cofinanziamento nazionale dei Fondi strutturali (di cui al Fondo di rotazione per l’attuazione delle politiche comunitarie) destinata ai Programmi operativi nazionali 2007-2013 o al Piano di Azione Coesione - decorre appunto dalla data di perfezionamento degli atti di riprogrammazione dei Programmi operativi dei fondi strutturali e del Piano di Azione Coesione (comma 4).

[2]     Delle rimodulazioni del Piano – che di fatto interessano il periodo 2013-2016 - si terrà conto ai fini della definizione della programmazione delle risorse per il successivo periodo di programmazione 2014-2020.

[3]     Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 16 aprile 2010, è stato dichiarato lo stato di emergenza in relazione alla riattivazione del movimento franoso nel territorio del comune di Montaguto, in provincia di Avellino, prorogato dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 12 febbraio 2011 fino al 30 aprile 2012. Con ordinanza n. 73 del 2013, il 2 aprile 2013 è stata dichiarata la fine dell’emergenza, subentrando l’amministrazione ordinariamente competente.

[4]     Proroga della attività dell'Unità tecnica amministrativa di cui all'articolo 15 dell'O.P.C.M. n. 3920 del 28 gennaio 2011.

[5]     L’articolo 11, comma 8 del D.L. n. 93/2013 ha ridotto la dotazione per il 2014 della Sezione enti locali del Fondo anticipazioni liquidità di 75 milioni di euro, a copertura degli oneri derivanti dall'istituzione del Fondo rotativo per la concessione di finanziamenti alle fondazioni lirico sinfoniche

[6]     Si veda in proposito i dati  contenuti nell’elenco degli enti beneficiari disponibile sul sito internet di Cassa depositi e prestiti al seguente indirizzo: http://www.cassaddpp.it/static/upload/deb/debiti-pa_allegato-1_elenco-enti-beneficiari_15-05-2013.pdf

[7]     Da quanto risulta dall’ultimo aggiornamento del MEF del 29 novembre 2013 sullo stato dei pagamenti dei debiti commerciali , Cassa depositi e prestiti ha provveduto ad erogare agli enti locali nell’anno 2013 risorse per 2,98 miliardi di euro a valere sulle risorse stanziate dal D.L. n. 35 e dal D.L. n. 102.              

[8]     La dotazione complessiva del Fondo anticipazioni liquidità, prevista dall’articolo 1, comma 10 del D.L. 35/2013 come modificato dall’articolo 13, comma 1 del D.L. 102/2013, ammonta a 16,5 miliardi per il 2013 e a 7,3 miliardi per il 2014. Alla dotazione per il 2014 sono stati aggiunti, come sopra evidenziato, ulteriori 7,2 miliardi di euro dall’articolo 13, comma 8 del medesimo D.L. n. 102/2013, che saranno però oggetto di ripartizione tra le tre sezioni del Fondo ad opera di un successivo decreto da adottarsi entro il 28 febbraio 2014.

[9]     Pubblicata nella G. U. 21 agosto 2010, n. 195.

[10]    Pubblicata nella G. U. 25 settembre 2012, n. 224.

[11]    Pubblicato nella G. U. 25 novembre 2006, n. 275.

[12]    Pubblicata nella G. U. 12 dicembre 2006, n. 288.

[13]    Pubblicata nella G. U. 27 dicembre 2008, n. 301.

[14]    Pubblicata nella G. U. 24 novembre 2011, n. 274.

[15]    Pubblicato nella G. U. 4 gennaio 2011, n. 2.

[16]    Pubblicato nella G. U. 4 gennaio 2012, n. 3.