Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento finanze
Titolo: Disposizioni urgenti concernenti l'IMU, l'alienazione di immobili pubblici e la Banca d'Italia D.L. 133/2013 ' A.C. 1941 - Schede di lettura
Riferimenti:
DL N. 133 DEL 23-DIC-13   AC N. 1941/XVII
Serie: Progetti di legge    Numero: 109
Data: 13/01/2014
Descrittori:
ALIENAZIONE DI BENI   BANCA D' ITALIA E BANCHE CENTRALI
BANCA D'ITALIA ( BANKITALIA )   DECRETO LEGGE 2013 0133
IMMOBILI DEMANIALI   IMMOBILI DI ENTI ED UFFICI PUBBLICI
IMPOSTA MUNICIPALE UNICA (IMU)   IMPOSTE SUGLI IMMOBILI
Organi della Camera: VI-Finanze

 

Camera dei deputati

XVII LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

Disposizioni urgenti concernenti l'IMU, l'alienazione di immobili pubblici
e la Banca d'Italia

D.L. 133/2013 – A.C. 1941

Schede di lettura

 

 

 

 

 

 

n. 109

 

 

 

13 gennaio 2014

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi

Dipartimento Finanze

( 066760-9496 – * st_finanze@camera.it

 

 

 

 

 

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File: D13133.doc


INDICE

Schede di lettura

§      Articolo 1 (Abolizione della seconda rata dell'IMU) 3

§      Articolo 2 (Disposizioni in materia di acconti di imposte) 15

§      Articolo 3 (Disposizioni in materia di immobili pubblici) 21

§      Articolo 4 (Capitale della Banca d'Italia) 30

§      Articolo 5 (Organi della Banca d'Italia) 42

§      Articolo 6 (Disposizioni di coordinamento e altre disposizioni) 44

§      Articolo 7 (Disposizioni in materia di accise) 51

§      Articolo 8 (Copertura finanziaria) 53

§      Articolo 9 (Entrata in vigore) 54

 


Schede di lettura


 

Articolo 1
(Abolizione della seconda rata dell'IMU)

 

 

L’articolo 1 reca disposizioni in materia di IMU.

 

In particolare, si abolisce la seconda rata IMU per l’anno 2013 per una serie di immobili indicati dalle norme in esame (commi 1, 2 e 9), salvo l’obbligo di versamento di una quota di imposta dovuta per il 2013, nei comuni che hanno deliberato aumenti rispetto alle norme statali (comma 5).

 

Più in dettaglio, la seconda rata IMU non è dovuta per le seguenti tipologie di immobili:

a)   abitazioni principali e assimilati (IACP e cooperative edilizie a proprietà indivisa) (ai sensi dell'articolo 1, comma 1, lettere a) e b), del D.L. 21 maggio 2013, n. 54). Da tale previsione sono esclusi i fabbricati di lusso (di particolare pregio e valore, categoria catastale A/1; abitazioni in villa, categoria catastale A/8; castelli e i palazzi di eminente pregio artistico o storico, categoria catastale A/9).

 

b)   la casa coniugale assegnata al coniuge, a seguito di provvedimento di separazione legale, annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio (di cui all'articolo 4, comma 12-quinquies del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16);

Si ricorda che il richiamato l'articolo 4, comma 12-quinquies, del decreto-legge n. 16 del 2012 ha previsto, ai soli fini IMU, che l'assegnazione della casa coniugale al coniuge, disposta a seguito di provvedimento di separazione legale, annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, si intende in ogni caso effettuata a titolo di diritto di abitazione.

 

c)   l’immobile posseduto, e non concesso in locazione, dal personale in servizio permanente appartenente alle Forze armate e di polizia e dal personale appartenente alla carriera prefettizia, per il quale non sono richieste le condizioni della dimora abituale e della residenza anagrafica (immobili di cui all'articolo 2, comma 5, del decreto-legge del 31 agosto 2013, n. 102);

La citata norma ha introdotto agevolazioni per il personale in servizio permanente appartenente alle Forze armate e alle Forze di polizia ad ordinamento militare, quello dipendente delle Forze di polizia ad ordinamento civile, nonché per il personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e per il personale appartenente alla carriera prefettizia; per tali soggetti è possibile ottenere il riconoscimento di “abitazione principale” a fini IMU per l’immobile posseduto, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, e non concesso in locazione, anche in assenza delle condizioni della dimora abituale e della residenza anagrafica. Tale agevolazione si applica a decorrere dal 1° luglio 2013 e a condizione che il fabbricato non sia accatastato come A/1, A/8 o A/9 (ovvero abitazioni di tipo signorile, ville, castelli, palazzi di eminenti pregi artistici o storici).

 

d)   i terreni agricoli, nonché quelli non coltivati, di cui all'articolo 13, comma 5, del decreto-legge n. 201 del 2011, posseduti e condotti dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali iscritti nella previdenza agricola;

Per i terreni agricoli, a fini IMU, sono considerati non fabbricabili i terreni posseduti e condotti dai coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali iscritti nella previdenza agricola, al verificarsi delle condizioni di legge. Dunque, ai fini delle riduzioni riservate alla ruralità, rileva l'insieme dei coltivatori diretti e degli imprenditori agricoli professionali individuati dall'articolo 1 del D.Lgs. 99 del 2004; tale formulazione sembra anche includere le società di capitali che operano nel settore, oltre alle persone fisiche. Ai fini del calcolo del valore dei terreni agricoli, si applica un moltiplicatore pari a 135, ridotto a 75 qualora il terreno sia posseduto e condotto dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali iscritti nella previdenza agricola (comma 5 dell'articolo 13, D.L. 201 del 2011; in origine il moltiplicatore era pari a 110, ma l’articolo 1, comma 707, lettera c) della legge di stabilità 2014 ha ulteriori ridotto detto moltiplicatore) applicabile, per la determinazione della base imponibile IMU, ai terreni agricoli, nonché a quelli non coltivati, posseduti e condotti dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali iscritti nella previdenza agricola.

Ai sensi del comma 8-bis all'articolo 13, i terreni agricoli posseduti e condotti da coltivatori diretti o da imprenditori agricoli professionali sono assoggettati ad IMU solo per la parte di valore eccedente 6.000 euro, con le seguenti riduzioni, di importo decrescente all'aumentare del valore dell'immobile:

-        del 70 per cento dell'imposta gravante sulla parte di valore eccedente i predetti 6.000 euro e fino a euro 15.500;

-        del 50 per cento di quella gravante sulla parte di valore eccedente 15.500 euro e fino a 25.500 euro ;

-        del 25 per cento di quella gravante sulla parte di valore eccedente 25.500 euro e fino a 32.000 euro;

 

e)      i fabbricati rurali ad uso strumentale di cui all'articolo 13, comma 8, del decreto-legge n. 201 del 2011.

Fino al 2013, la disciplina IMU ha assoggettato i fabbricati rurali ad imposta. I fabbricati ad uso abitativo hanno scontato l'IMU nelle modalità ordinarie (dunque, ove ricorressero le condizioni di legge, anche secondo le disposizioni previste per l'abitazione principale). Per i fabbricati rurali strumentali, il comma 8 dell'articolo 13 prevede un'aliquota ridotta allo 0,2 per cento, con facoltà dei comuni di diminuirla ulteriormente fino allo 0,1 per cento. Accanto alle suindicate misura, l'articolo 9, comma 8 del D.Lgs. n. 23 del 2011 (federalismo municipale) esenta dall'imposta i fabbricati rurali a uso strumentale ubicati nei comuni classificati montani o parzialmente montani, di cui all'elenco dei comuni italiani predisposto dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT). La circolare n. 3/DF del Dipartimento delle finanze del 18 maggio 2012 chiarisce che ai fini dell'esenzione è sufficiente che il fabbricato rurale sia ubicato nel territorio del comune ricompreso in detto elenco, indipendentemente dalla circostanza che il comune sia parzialmente montano. Inoltre, è prevista una riserva di disciplina a favore delle province autonome di Trento e Bolzano. Esse, conformemente ai propri statuti e in deroga alle agevolazioni ed esenzioni previste dalla legge, potranno assoggettare a IMU i fabbricati rurali strumentali con l'aliquota allo 0,2 per cento (abbassabile dai comuni allo 0,1), ferma la possibilità di introdurre esenzioni, detrazioni o deduzioni ai sensi delle norme del TU delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, ovvero in base all'articolo 80 del D.P.R. n. 670 del 1972. L’articolo 10, comma 4-quater del decreto-legge n. 35 del 2013 ha esteso la non applicazione della riserva allo Stato relativamente ai fabbricati rurali ad uso strumentale ubicati nei comuni classificati dall’ISTAT montani o parzialmente montani assoggettati all’IMU dalle province autonome di Trento e di Bolzano.

 

Il comma 2 ribadisce che per i terreni agricoli ed i fabbricati rurali diversi da quelli individuati dalla citate lettere d) ed e) del comma 1, l'esenzione dal pagamento della seconda rata dell’IMU non si applica. La seconda rata IMU è dunque dovuta sui terreni agricoli posseduti e condotti da soggetti diversi dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali, nonché dai fabbricati rurali non strumentali che non costituiscono abitazione principale del contribuente.

 

Si ricorda che ai sensi dell'articolo 1, comma 1, del decreto-legge n. 102 del 2013 non era dovuta la prima rata dell'IMU per l'anno 2013 su tutti i terreni agricoli e fabbricati rurali di cui all'articolo 13, commi 4, 5 e 8, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201.

 

Ai sensi del comma 9, la seconda rata dell’IMU per l’anno 2013 non è dovuta anche con riferimento ai seguenti immobili equiparabili dai comuni all'abitazione principale:

§      l'unità immobiliare posseduta a titolo di proprietà o di usufrutto da anziani o disabili che acquisiscono la residenza in istituti di ricovero o sanitari a seguito di ricovero permanente, a condizione che la stessa non risulti locata, nonché l'unità immobiliare posseduta dai cittadini italiani non residenti nel territorio dello Stato a titolo di proprietà o di usufrutto in Italia, a condizione che non risulti locata (ai sensi dell'articolo 13, comma 10, del decreto-legge n. 201 del 2011);

§      le unità immobiliari e relative pertinenze non “di lusso” concesse in comodato ai parenti in linea retta entro il primo grado che le utilizzano come abitazione principale (articolo 2-bis del decreto-legge n. 102 del 2013).

 

Si rammenta tuttavia che, in relazione a tali tipologie di immobili, non spettano ai comuni le risorse aggiuntive stanziate a titolo di ristoro del minor gettito (di cui ai commi 3, 4 e 6) anche tramite il minore accantonamento di cui al comma 8 (su cui vedi infra).

 

L’abolizione della seconda rata dell’IMU per l’anno 2013 fa salvo quanto previsto dal comma 5 dell’articolo in esame, modificato nel corso dell’esame al Senato, secondo il quale il contribuente è tenuto a versare una quota (40 per cento) dell'eventuale differenza tra l'ammontare dell'IMU risultante dall'applicazione dell'aliquota e della detrazione per la “prima casa” deliberate o confermate dal comune per l'anno 2013 e, se inferiore, quello risultante dall'applicazione dell'aliquota e della detrazione di base previste dalle norme statali.

In altri termini, nei comuni in cui l'aliquota IMU è stata incrementata rispetto al valore base, i contribuenti saranno tenuti a versare, entro il 24 gennaio 2014 (termine così posticipato dal 16 gennaio per effetto dell’esame del provvedimento al Senato) il 40 per cento dell'eventuale differenza tra l'aliquota base e quella deliberata dal singolo comune.

Si rammenta che tale differimento è già disposto dall’articolo 1, comma 680, della già citata legge di stabilità 2014 (legge n. 147 del 2013), entrata in vigore il 1° gennaio 2014.

La menzionata norma differisce alla stessa data anche il termine di versamento della maggiorazione standard della TARES (ove non eseguito entro la data del 16 dicembre 2013; i comuni inviano il modello di pagamento precompilato, in tempo utile per il versamento della maggiorazione).

 

Sembrerebbe dunque opportuno un coordinamento tra le disposizioni della legge di stabilità e la norma in commento.

 

Si ricorda al riguardo che l'articolo 8, comma 2, del decreto-legge n. 102 del 2013, in deroga a quanto previsto dall'articolo 13, comma 13-bis, del D.L. n. 201 del 2011, stabilisce che per l’anno 2013 le deliberazioni di approvazione delle aliquote e delle detrazioni, nonché i regolamenti dell'IMU, acquistano efficacia a decorrere dalla data di pubblicazione nel sito istituzionale di ciascun comune, che deve avvenire entro il 9 dicembre 2013 e deve recare l'indicazione della data di pubblicazione. In caso di mancata pubblicazione entro detto termine, si applicano gli atti adottati per l'anno precedente.

Gli elenchi (per regione) dei regolamenti e delle aliquote adottate dai comuni negli anni 2012 e 2013 sono pubblicati sul sito del Dipartimento delle finanze all'indirizzo, rispettivamente

http://www.finanze.it/dipartimentopolitichefiscali/fiscalitalocale/imu2012/dati/download.htm?anno=2012

e

http://www.finanze.it/dipartimentopolitichefiscali/fiscalitalocale/imu2012/dati/download.htm?anno=2013.

 

 

Dall’ICI all’IMU alla IUC

Con il decreto-legge n. 93 del 2008 è stata disposta l’esenzione ICI dell’immobile adibito ad abitazione principale del soggetto passivo d’imposta e delle relative pertinenze, nonché delle unità immobiliari che il comune avesse assimilato all’abitazione principale.

Successivamente, il decreto legislativo n. 23 del 2011, in materia di federalismo fiscale municipale ha istituito e disciplinato l'imposta municipale propria - IMU, volta a sostituire la componente del reddito IRPEF (e relative addizionali) relativa agli immobili non locati e l'ICI, con un'applicazione in origine prevista per l’anno 2014.

Tuttavia, per rispondere ad esigenze di risanamento dei conti pubblici, l’applicazione dell’IMU, ai sensi dell'articolo 13 del D.L. 201/2011, è stata anticipata al 2012 e la sua disciplina è stata profondamente innovata.

In particolare, l'IMU si applica dal 2012 al possesso di immobili (fabbricati, aree fabbricabili e terreni agricoli), compresa l'abitazione principale e le pertinenze della stessa; essa è dovuta nella misura dello 0,76 per cento del valore dell'immobile, determinato ai sensi della disciplina ICI (articolo 5 del D.Lgs. n. 504/1992). A tal fine, l'articolo 13 del D.L. 201/2011 ha innalzato la misura dei moltiplicatori da applicarsi alla rendita catastale delle diverse tipologie di immobili.

L’imposta, negli anni 2012 e 2013 è stata applicata (con le esenzioni e limitazioni apportate, per il 2013, dai D.L. 54/2013 e 102/2013, per cui vedi infra) anche all'abitazione principale del contribuente, con aliquota di base pari allo 0,4 per cento. Per il 2012 e il 2013 è stata prevista, in favore dell’abitazione principale, una detrazione d'imposta pari a 200 euro, incrementata di 50 euro per ciascun figlio residente e dimorante nell'abitazione medesima purché di età non superiore a 26 anni (fino al limite massimo di 400 euro per tale aumento). Il D.L. n. 16 del 2012 (in materia di semplificazioni tributarie) ha reso più stringenti i requisiti per la qualifica di “abitazione principale”, al fine di prevedere che le agevolazioni disposte per tali immobili si applichino a un solo cespite per nucleo familiare, ovvero quello in cui il possessore ed il suo nucleo familiare abbiano stabilito dimora e residenza anagrafica. Si consente ai comuni di considerare, a fini IMU, come abitazione principale l’immobile posseduto da anziani o disabili che acquisiscono la residenza in strutture di ricovero o sanitarie a seguito di ricovero permanente, purché il bene non sia locato, nonché l’immobile posseduto nel territorio dello Stato da cittadini italiani non residenti in Italia, purché non locato.

L’articolo 2, comma 5, del D.L. 102 del 2013, qualifica ex lege come abitazione principale, anche in assenza delle condizioni della dimora abituale e della residenza anagrafica, l’immobile posseduto dal personale in servizio permanente appartenente alle Forze armate e alle Forze di polizia ad ordinamento militare, quello dipendente delle Forze di polizia ad ordinamento civile, nonché per il personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e per il personale appartenente alla carriera prefettizia, a condizione che tale immobile sia iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, e non concesso in locazione. Ai sensi dell'articolo 2-bis si concede ai comuni la facoltà, ai fini del pagamento della seconda rata dell’IMU 2013, di equiparare all'abitazione principale le unità immobiliari e relative pertinenze non “di lusso” concesse in comodato ai parenti in linea retta entro il primo grado che le utilizzano come abitazione principale.

I comuni possono modificare le predette aliquote di base (sia per l’abitazione principale che per gli altri immobili), in aumento o diminuzione, entro margini stabiliti dalla legge. Sono previste misure di aliquota ridotta per legge e misure di aliquote che i comuni hanno la facoltà di ridurre (ad esempio, per gli immobili locati è prevista la facoltà di riduzione allo 0,4 per cento).

In materia di agevolazioni e le esenzioni, non vi è una perfetta sovrapposizione tra agevolazioni ICI e agevolazioni IMU; le norme del decreto legislativo n. 504 del 1992, che ha istituito e disciplinato l’imposta comunale sugli immobili, risultano infatti applicabili solo ove espressamente richiamati. In particolare, in virtù di tale esplicito rinvio, sono esenti da IMU (come lo erano da ICI) gli immobili posseduti da enti non commerciali, con un regime tuttavia profondamente diverso. L'articolo 91-bis del D.L. n. 1 del 2012 ha sancito che dal 2013 l’esenzione da IMU (ex ICI) per gli immobili di enti non commerciali adibiti a specifiche attività è applicabile solo nel caso in cui le predette attività siano svolte con modalità non commerciali. In sostanza, dal 2013, nel caso in cui tali attività – pur dando luogo, astrattamente, a esenzione – siano svolte con modalità commerciali, gli immobili degli enti non commerciali ove sono effettuate sono soggetti (in tutto o in parte) a imposta municipale. Con DM del 19 novembre 2012 sono state introdotte le necessarie disposizioni attuative, ai fini dell'individuazione dell'area di esenzione dall'IMU per gli immobili su cui svolgono la propria attività gli enti non commerciali. In particolare alla norma secondaria è demandata l'individuazione dei requisiti, generali e di settore, per qualificare le attività come svolte con modalità non commerciali, ai fini dell'applicazione delle suddette agevolazioni. L’articolo 9 del decreto-legge n. 174 del 2012 ha poi sottratto gli immobili delle fondazioni bancarie dall’esenzione IMU disposta, in favore degli enti non commerciali, in relazione allo svolgimento di determinate attività. Di conseguenza anche per gli immobili delle fondazioni bancarie su cui insistono attività non qualificabili come “commerciali” (ai sensi delle norme di legge e delle relative disposizioni attuative) è dovuta l’imposta municipale, in deroga alle citate disposizioni generali.

La legge di stabilità 2013 (articolo 1, commi 380 e da 382 a 384 della legge n. 228 del 2012) ha innovato l'assetto della destinazione del gettito rinveniente dall’IMU, conseguentemente ridefinendo i rapporti finanziari tra Stato e comuni delineato dal D.Lgs. n. 23 del 2011 sul federalismo municipale, nell’ambito del quale si dispone l’abrogazione di numerose disposizioni. In particolare, viene attribuito ai comuni l’intero gettito IMU, ad esclusione di quello derivante dagli immobili ad uso produttivo, che rimane destinato allo Stato.

Il già citato D.L. 102 del 2013 ha abolito per l’anno 2013 la prima rata dell’imposta municipale sperimentale (IMU), su abitazioni principali, terreni agricoli e fabbricati rurali, immobili per i quali tale rata era già stata sospesa con il decreto-legge n. 54 del 2013.

Si rammenta che la predetta sospensione di cui al D.L. 54 del 2013 era stata disposta nelle more di una complessiva riforma della disciplina dell’imposizione fiscale sul patrimonio immobiliare, da realizzare sulla base di alcuni principi: la riforma della disciplina del tributo comunale sui rifiuti e sui servizi; la modifica dell’articolazione della potestà impositiva a livello statale e locale; l’introduzione della deducibilità ai fini della determinazione del reddito di impresa dell’imposta municipale propria relativa agli immobili utilizzati per attività produttive; una riforma dell’imposizione immobiliare è stata realizzata dalla legge di stabilità 2014, nelle modalità sinteticamente illustrate infra.

Il D.L. 102/2013 ha inoltre innovato il panorama delle esenzioni e agevolazioni in materia di IMU: in particolare, sono stati esentati dalla seconda rata dell’IMU per l’anno 2013, e dal pagamento dell’imposta a decorrere dal 1° gennaio 2014, i cosiddetti “beni merce”, ossia i fabbricati costruiti e destinati dall’impresa costruttrice alla vendita, fintanto che permanga tale destinazione e non siano in ogni caso locati. Sono stati esplicitamente equiparati all’abitazione principale gli immobili appartenenti alle cooperative edilizie a proprietà indivisa, adibite ad abitazione principale nonché gli alloggi sociali, mentre per gli alloggi regolarmente assegnati dagli Istituti autonomi per le case popolari (IACP) o dagli enti di edilizia residenziale pubblica si prevede l’applicazione della detrazione d’imposta nella misura prevista per l’abitazione principale; si dispone inoltre l’esenzione, a decorrere dal 2014, dall’IMU degli immobili destinati alla ricerca scientifica.

La legge n. 147 del 2013 (legge di stabilità 2014, articolo 1, commi 639 e ss.gg.) reca il complessivo riordino della tassazione immobiliare, istituendo l'Imposta Unica Comunale (IUC), che si basa su due presupposti impositivi: uno costituito dal possesso di immobili e collegato alla loro natura e valore (IMU), che non colpisce le abitazioni principali; l'altro collegato all'erogazione e alla fruizione di servizi comunali (TASI e TARI).

Più in dettaglio l'Imposta Unica Comunale si articola da una parte, nell'imposta municipale propria (IMU), dovuta dal possessore di immobili, escluse le abitazioni principali; dall’altra, nella tributo per i servizi indivisibili (TASI), a carico sia del possessore che dell'utilizzatore e nella tassa sui rifiuti (TARI), destinata a finanziare i costi del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti, a carico dell'utilizzatore. L'aliquota massima complessiva dell'IMU e della TASI non può superare i limiti prefissati per la sola IMU al 31 dicembre 2013, vale a dire il 10,6 per cento;

Viene disciplinata l’applicazione della tassa sui rifiuti - TARI e se ne individuano il presupposto, i soggetti tenuti al pagamento, le riduzioni e le esclusioni, riprendendo, in larga parte, quanto previsto dalla normativa vigente in materia di TARES, che viene contestualmente abrogata. Per quanto riguarda il tributo per i servizi indivisibili comunali - TASI, esso viene destinato al finanziamento dei servizi comunali rivolti all’intera collettività. Soggetto passivo è il possessore o il detentore dell’immobile; la base imponibile è il valore dell’immobile rilevante a fini IMU. La TASI avrà un’aliquota base dell’1 per mille, che potrà essere azzerata o modificata dai Comuni. L’aliquota della TASI, al netto dell'aliquota di base, sommata a quella dell’Imu dovrà comunque essere contenuta entro un tetto massimo, ovvero all’aliquota massima fissata al 31 dicembre 2013 per l’IMU (10,6 per mille o aliquote inferiori secondo la tipologia d’immobile). Per il solo 2014 l’aliquota massima sulle abitazioni principali non potrà superare il 2,5 per mille. Il comune disciplina riduzioni ed esenzioni in specifiche ipotesi determinate dalla norma primaria, nonché ripartisce il tributo tra detentore dell’immobile e titolare di diritto reale su di esso. Per i fabbricati rurali strumentali l'aliquota massima della TASI non può superare l’1 per mille.

Viene posticipato dal 16 al 24 gennaio 2014 (cfr. infra nella scheda di lettura) il termine per il versamento della cd. mini IMU 2013 ovvero la quota (40 per cento) dell’eventuale differenza tra l'IMU deliberata (aliquota e detrazione) dal comune di riferimento per l'anno 2013 e, se inferiore, quella risultante dall'applicazione dell'aliquota e della detrazione di base previste dalle norme statali, per gli immobili interessati dall’abolizione della seconda rata 2013 del predetto tributo; è prorogato alla stessa data del 24 gennaio 2014 il termine per il versamento della maggiorazione standard TARES (di euro pari a 0,30 euro per metro quadrato, a copertura dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni), ove detto versamento non sia stato eseguito entro la data del 16 dicembre 2013.

Si individua la disciplina generale dell’Imposta unica comunale (IUC), demandandone l’applicazione al comune con regolamento, Per quanto riguarda la TARI, il regolamento deve disciplinare tra l'altro, i criteri di determinazione delle tariffe e le eventuali riduzioni ed esenzioni, che tengano conto della capacità contributiva della famiglia, anche attraverso l'applicazione dell'ISEE. Riguardo alla TASI il regolamento disciplina, oltre alle riduzioni, l’individuazione dei servizi indivisibili e l’indicazione analitica, per ciascuno di tali servizi, dei relativi costi alla cui copertura la TASI è diretta. Si introducono una serie di sanzioni in caso di mancata collaborazione, omissione di versamento, infedele dichiarazione e così via. Viene attribuita ai comuni la facoltà di affidare, per la durata del contratto in essere (e non più solo fino al 31 dicembre 2014, come nella norma originaria), la riscossione della TARI e della tariffa puntuale di misurazione dei rifiuti ai soggetti ai quali è già affidato il servizio di gestione rifiuti, nonché, anche disgiuntamente, la gestione dell'accertamento e della riscossione della TASI ai soggetti ai quali, alla stessa data, risulta affidato il servizio di accertamento e riscossione dell'IMU, della TARSU e della TARES. I comuni che applicano la tariffa avente natura corrispettiva in luogo della TARI disciplinano, con proprio regolamento, le modalità di versamento del corrispettivo.

Da tale assetto discende una conseguentemente modifica della disciplina IMU, che dal 2014 non si applicherà all’abitazione principale e alle relative pertinenze, nonché ad altre tipologie di immobili individuate ex lege. L’imposta rimarrà applicabile sugli immobili cd. “di lusso” adibiti ad abitazione principale, con il regime agevolato attualmente previsto per l’abitazione principale (aliquota ridotta e detrazione). L’IMU dovuta sugli immobili strumentali viene resa deducibile dalle imposte sui redditi nella misura del 30 per cento per il 2014; successivamente, la quota deducibile a regime sarà del 20 per cento. Inoltre si assoggetta a IRPEF per il 50 per cento il reddito degli immobili ad uso abitativo non locati. Sono infine recate specifiche disposizioni per la dichiarazione ed il versamento dell’IMU da parte degli enti non commerciali.

Viene ridotta da 110 a 75 la misura del moltiplicatore (di cui all’articolo 13, comma 5 del D.L. n. 201 del 2011) applicabile, per la determinazione della base imponibile IMU, ai terreni agricoli, nonché a quelli non coltivati, posseduti e condotti dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali iscritti nella previdenza agricola.

Infine sono esentati da IMU, a decorrere dall'anno 2014, i fabbricati rurali ad uso strumentale.

Il quadro della riforma è completato disciplinando le conseguenze degli erronei versamenti IMU per l’anno 2012.

Infine, la legge di stabilità 2014 (articolo 1, comma 728; si veda tuttavia il commento al comma 12-bis dell’articolo in esame) esclude il pagamento di sanzioni ed interessi nel caso di insufficiente versamento della seconda rata dell'IMU 2013, qualora la differenza sia corrisposta entro il termine della prima rata 2014.

Per l’anno 2014 si assegnano al Fondo di solidarietà comunale 500 milioni di euro, finalizzati a finanziare la previsione, da parte dei Comuni, di detrazioni dalla TASI a favore dell'abitazione principale e delle pertinenze della stessa, nonché dei familiari dimoranti abitualmente e residenti anagraficamente nell'unità immobiliare adibita ad abitazione.

 

 

Il comma 3 reca disposizioni finalizzate ad assicurare ai comuni il ristoro del minor gettito IMU derivante dall'abolizione della seconda rata di cui al comma 1.

A tal fine, vengono stanziate risorse pari a 2.164 milioni di euro per l'anno 2013, di cui 2.076 milioni per i comuni delle Regioni a statuto ordinario, della Regione siciliana e della Regione Sardegna e 87 milioni per i comuni delle regioni a statuto speciale Friuli-Venezia Giulia e Valle d'Aosta e delle province autonome di Trento e di Bolzano.

 

La Relazione tecnica precisa che l’intervento proposto dal comma 1 comporta oneri stimati in 2.164 milioni di euro, corrispondenti al minore gettito dell’IMU 2013 al netto dei versamenti effettuati dai contribuenti entro il 16 gennaio 2014.

I suddetti oneri sono stati calcolati sulla base del gettito effettivo IMU 2012 per gli immobili interessati dal provvedimento, incrementato di un importo complessivo stimato relativo alle variazioni deliberate dai comuni per il 2013 rispetto a quanto deliberato nel 2012 (circa 500 milioni di euro) e al netto di quanto già corrisposto ex D.L. 102/2013 (contributo a ristoro del gettito della I rata IMU 2013) e di quanto verrà versato in base a quanto disposto dal presente articolo da parte dei contribuenti (40% dello sforzo fiscale 2013 rispetto alle aliquote di base).

 

Il comma 4 stabilisce che, entro il 20 dicembre 2013, quota parte di tali risorse, pari a 1.729 milioni, è attribuita dal Ministero dell'interno limitatamente ai comuni delle Regioni a statuto ordinario, della Sicilia e della Sardegna, nella misura indicata, per ciascun comune, nell'allegato A al testo in esame, corrispondente alla metà dell'ammontare determinato applicando l'aliquota e la detrazione di base previste dalle norme statali per ciascuna tipologia di immobile.

Come sopra già ricordato, nei comuni in cui l'aliquota IMU è stata incrementata rispetto al valore base, i contribuenti saranno tenuti a versare, entro il 24 gennaio 2014, il 40 per cento dell'eventuale differenza tra l'aliquota base e quella deliberata dal singolo comune.

 

Per quanto concerne invece i comuni delle regioni a statuto speciale Friuli-Venezia Giulia e Valle d'Aosta e delle province autonome di Trento e di Bolzano, il minor gettito IMU è compensato attraverso un minor accantonamento a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali, ai sensi dell'articolo 13, comma 17, del D.L. n. 201/2011, per complessivi 86 milioni, nelle misure indicate nel citato allegato A (comma 8).

 

Com'è noto, l'ordinamento finanziario di questi enti – disciplinato dagli statuti speciali e dalle relative norme di attuazione - prevede che essi, oltre ad avere competenza legislativa esclusiva in materia di enti locali al pari delle regioni Sicilia e Sardegna, provvedano alla finanza degli enti locali del proprio territorio con risorse del proprio bilancio, senza alcun apporto da parte dello Stato. In sostanza le fonti di finanziamento delle suddette regioni a statuto speciale, costituite dalle quote di compartecipazione ai tributi erariali stabilite nelle norme statutarie, coprono anche il finanziamento degli enti locali.

Il minor gettito IMU, 'rimborsato' ai comuni delle regioni a statuto ordinario e delle regioni Sicilia e Sardegna con maggiori trasferimenti da parte del Ministero dell’interno secondo quanto disposto dal comma 4, viene pertanto ristorato ai comuni delle altre regioni a statuto speciale in altra modalità, attraverso un minor accantonamento a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali, ai sensi dell’articolo 13, comma 17, del D.L. n. 201/2011. Visto il diverso ordinamento finanziario sono, infatti, le regioni che dovranno provvedere a rifondere il minor gettito ai comuni.

La norma citata dispone in relazione al maggior gettito ottenuto dai comuni in relazione alle modifiche alla disciplina IMU disposta dallo stesso articolo 13. In quel caso, la norma esplicita che le regioni Friuli Venezia Giulia e Valle d'Aosta e le Province autonome di Trento e di Bolzano assicurano allo Stato il recupero del maggior gettito imputabile ai comuni ricadenti nel proprio territorio, secondo quanto verrà disposto con le norme di attuazione degli statuti speciali. Fino all'emanazione delle norme di attuazione il recupero è effettuato a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali, attraverso l'accantonamento di un importo pari al maggior gettito stimato.

 

Il comma 6 rimanda ad un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell'interno, sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, da emanare entro il 28 febbraio 2014, la determinazione a conguaglio del contributo compensativo, per l’importo di 348 milioni, quale risultante dalla differenza tra le risorse complessivamente stanziate dal comma 3 (2.164 milioni) e quelle distribuite a ciascun comune con il comma 4 (1.729 milioni) e con il comma 8 (86 milioni).

L’attribuzione delle suddette risorse - attraverso la diversa procedura dell’assegnazione di trasferimenti da parte del Ministro dell’interno per i comuni delle regioni a statuto ordinario, della Regione siciliana e della Regione Sardegna e attraverso il minor accantonamento a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali per i comuni delle regioni a statuto speciale Friuli-Venezia Giulia e Valle d'Aosta e delle province autonome di Trento e di Bolzano - è definita sulla base di una metodologia concordata con l'associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI), che prenda come base i dati del gettito IMU 2012 e operi una stima delle manovre effettuate dai comuni nel 2013, tenendo altresì conto di quanto già corrisposto ai comuni come rimborso, con riferimento alle stesse tipologie di immobili, del minor gettito IMU derivante dall'abolizione della prima rata per l’anno 2013, ai sensi dell'articolo 3, comma 1, del decreto-legge n. 102 del 2013.

Qualora dal decreto risulti riconosciuto al comune un ammontare complessivo di importi superiore a quanto ad esso spettante dall'applicazione delle aliquote e della detrazione per ciascuna tipologia di immobile di cui al comma 1, deliberate o confermate per l'anno 2013, l'eccedenza deve essere destinata dal comune a riduzione delle imposte comunali dovute sui medesimi immobili per l'anno 2014 (comma 7).

 

Il comma 10 autorizza il Ministro dell'economia e delle finanze ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio; qualora i procedimenti per l'assegnazione degli stanziamenti non siano completati entro il 10 dicembre 2013, viene altresì autorizzato il pagamento tramite anticipazione di tesoreria per l'erogazione del trasferimento compensativo ai comuni.

 

Il comma 11 autorizza i comuni beneficiari dei trasferimenti compensativi di ristoro ad apportare le necessarie variazioni di bilancio entro il 15 dicembre 2013. Ciò in deroga all'articolo 175 del Testo unico degli enti locali (TUEL) di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000, il quale prevede che le variazioni al bilancio possono essere deliberate non oltre il 30 novembre di ciascun anno.

 

Il comma 12 infine, in considerazione delle possibili carenze di liquidità che potrebbero insorgere nei comuni a seguito dell'applicazione delle disposizioni in commento, incrementa per l'anno 2014 il limite massimo di ricorso da parte degli enti locali ad anticipazioni di tesoreria, sino alla data del 31 marzo 2014, da tre a cinque dodicesimi.

 

Con riferimento ai limiti massimi di anticipazioni di tesoreria, si ricorda che l’articolo 222 del TUEL prevede la concessione di anticipazioni agli enti locali da parte del tesoriere entro il limite massimo dei tre dodicesimi delle entrate correnti accertate nel penultimo anno precedente, corrispondenti per i comuni, le province, le città metropolitane e le unioni di comuni ai primi tre titoli dell’entrata del bilancio e per le comunità montane ai primi due titoli. Gli enti locali sono tenuti al pagamenti degli interessi sulle anticipazioni di tesoreria, che decorrono dall'effettivo utilizzo delle somme.

Si ricorda che l’innalzamento del limite massimo di ricorso alle anticipazioni di tesoreria da tre a cinque dodicesimi delle entrate correnti è previsto dall’articolo 3, comma 1, lett. i-bis) del D.L. n. 174/2012, per gli enti locali in stato di dissesto economico-finanziario, per i quali sia stata certificata una condizione di grave indisponibilità di cassa, per la durata di sei mesi a decorrere dalla data in cui è stata certificata tale grave indisponibilità di cassa.

 

I relativi maggiori oneri per interessi a carico dei comuni sono rimborsati dal Ministero dell'interno nel limite massimo di 3,7 milioni di euro.

Per le modalità ed i termini del rimborso, il comma prevede il rinvio ad apposito decreto del Ministero dell'interno, da adottare entro il 31 gennaio 2014.

Tale ammontare è stato calcolato, secondo quanto indicato nella Relazione tecnica, applicando un tasso di interesse annuale pari al 3 per cento con riferimento alla quota del 40 per cento delle maggiorazioni deliberate nell’anno 2013 a carico dei contribuenti pari a circa 440 milioni, per un periodo di trenta giorni e, relativamente alla sì restante quota di 348,5 milioni prevista a conguaglio nell’anno 2014, per un periodo di 89 giorni.

 

Il comma 12-bis, introdotto durante l’esame del provvedimento al Senato, esclude l’applicazione di sanzioni ed interessi nel caso di insufficiente versamento della seconda rata dell’IMU 2013, ove la differenza sia versata entro il termine del 24 gennaio 2014

Si rammenta che una disposizione di analogo tenore è contenuta nella legge di stabilità 2014 (articolo 1, comma 728), ai sensi del quale, però, la sanatoria è condizionata al versamento della differenza entro il termine di versamento della prima rata IMU dovuta per l'anno 2014.

 

Al riguardo, appare opportuno un coordinamento normativo tra le disposizioni menzionate.

 

Si segnala, più in generale, che la sovrapposizione di numerose disposizioni, peraltro modificate in brevissimo lasso di tempo, potrebbe avere riflessi sulla certezza del diritto e, in particolare, apportare elementi di incertezza in ordine agli adempimenti dei contribuenti.


 

Articolo 2
(Disposizioni in materia di acconti di imposte)

 

 

L’articolo 2, non modificato al Senato, detta disposizioni in materia di acconti di imposta.

 

Anzitutto, il comma 1 aumenta al 128,5 per cento la misura dell'acconto IRES ed IRAP per il periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2013 per gli enti creditizi, finanziari e assicurativi e per la Banca d'Italia.

Più in dettaglio, la norma inserisce un nuovo comma 20-bis all'articolo 11 del decreto-legge 28 giugno 2013, n. 76, con il quale - ferma restando l'applicazione dell'articolo 15, comma 4, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 102 - per il periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2013 viene aumentata al 128,5 per cento la misura dell'acconto dell'imposta sul reddito delle società (IRES) per:

§       gli enti creditizi e finanziari di cui al decreto legislativo n. 87 del 1992;

§       la Banca d'Italia;

§       le società e gli enti che esercitano attività assicurativa.

 

Si ricorda che il comma 20 dell'articolo 11 citato ha aumentato dal 100 al 101 per cento la misura dell'acconto dell’imposta sul reddito delle società per il solo periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2013 (la percentuale di acconto IRES ed IRAP nel 2012 era pari al 100 per cento). Viene peraltro specificato che gli effetti della disposizione si producono esclusivamente sulla seconda o unica rata di acconto, effettuando il versamento in misura corrispondente alla differenza fra l’acconto complessivamente dovuto e l’importo dell’eventuale prima rata di acconto.

 

Pertanto, per effetto della disposizione in esame, per il periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2013 la percentuale di acconto IRES viene aumentata di 27,5 punti percentuali (passando dal 101 al 128,5 per cento).

 

Si evidenzia che gli incrementi delle percentuali di acconto previsti per le imposte sui redditi hanno effetto anche ai fini dell’imposta sul reddito delle attività produttive (IRAP). Infatti, ai fini IRAP, per esplicita previsione dell’articolo 30, comma 3, del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, gli acconti devono essere versati con le modalità e nei termini stabiliti per le imposte sui redditi.

Ciò comporta che ai sensi del comma 1, per il periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2013, anche la misura dell’acconto IRAP per i soggetti IRES è incrementata al 128,5 per cento.

 

Riguardo al contenuto della norma, si segnala che la norma introduce un ulteriore anticipo d’imposta superiore al totale complessivo dell’imposta stessa.

 

Quanto ai soggetti interessati dall'aumento dell'acconto, la norma in esame fa riferimento agli enti creditizi e finanziari di cui al decreto legislativo n. 87 del 1992. Tali soggetti, ai sensi dell'articolo 1 del predetto decreto legislativo, sono: le banche; le società di gestione dei fondi comuni d'investimento mobiliare; le società finanziarie capogruppo dei gruppi bancari iscritti nell'albo; le società che svolgono attività di intermediazione mobiliare; i soggetti di cui ai titoli V, V-bis e V-ter del TUB (intermediari finanziari, istituti di moneta elettronica ed istituti di pagamento) nonché le società esercenti altre attività finanziarie indicate nell'art. 59, comma 1, lettera b), dello stesso TUB.

 

La norma fa salva l'applicazione del comma 4 dell'articolo 15 del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 102 (a sua volta modificato dal successivo comma 6 su cui si veda più diffusamente infra), contenente una clausola di salvaguardia finanziaria relativamente al gettito atteso dall’IVA e dalla definizione agevolata dei contenziosi, che forniscono copertura finanziaria agli oneri derivanti dallo stesso decreto-legge n. 102.

In attuazione di tale disposizione è stato emanato un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze (vedi oltre) con cui è stato disposto l’ulteriore incremento, rispetto alle misure previste dalle disposizioni di legge vigenti, dell’acconto dell’IRES di 1,5 punti percentuali per il periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2013 e per quello successivo.

Pertanto, per il periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2013, gli esercenti attività finanziarie, creditizie e assicurative e la Banca d'Italia effettuano il versamento dell’acconto dell’IRES nella misura del 130 per cento e tutti gli altri soggetti IRES nella misura del 102,5 per cento. L’incremento delle aliquote vale anche ai fini dell’IRAP.

Per il periodo d’imposta 2014, invece, tutti i soggetti IRES, compresi quelli esercenti attività nei settori finanziari, creditizi e assicurativi, calcolano l’acconto dell’IRES (e, conseguentemente, dell’IRAP) in misura pari al 101,5 per cento.

 

Nei confronti degli stessi soggetti interessati dalla disposizione di cui al comma 1 (ossia gli enti creditizi, finanziari e assicurativi e la Banca d'Italia) il comma 2 prevede - per il periodo d'imposta in corso al 31 dicembre - una addizionale alla aliquota IRES di 8,5 punti percentuali.

 

Si ricorda che, ai sensi dell'articolo 77 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR), l'IRES è commisurata al reddito complessivo netto con l'aliquota del 27,5 per cento.

 

La disposizione opera in deroga all'articolo 3 della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente), secondo il quale le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo; relativamente ai tributi periodici le modifiche introdotte si applicano solo a partire dal periodo d'imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle disposizioni che le prevedono (comma 1). Esso prevede altresì che le disposizioni tributarie non possano prevedere adempimenti a carico dei contribuenti la cui scadenza sia fissata anteriormente al sessantesimo giorno dalla data della loro entrata in vigore o dell'adozione dei provvedimenti di attuazione in esse espressamente previsti (comma 2).

 

Viene specificato che l'addizionale non è dovuta sulle variazioni in aumento derivanti dall'applicazione dell'articolo 106, comma 3, del TUIR.

 

Si ricorda che il vigente terzo comma dell'articolo 106 del TUIR, come modificato dalla legge di stabilità 2014, prevede che per gli enti creditizi e finanziari le svalutazioni dei crediti risultanti in bilancio, per l'importo non coperto da garanzia assicurativa, che derivano dalle operazioni di erogazione del credito alla clientela (compresi i crediti finanziari concessi a Stati, banche centrali o enti di Stato esteri destinati al finanziamento delle esportazioni italiane o delle attività ad esse collegate) sono deducibili in quote costanti nell’esercizio in cui sono contabilizzate e nei quattro successivi. Le svalutazioni si assumono al netto delle rivalutazioni dei crediti risultanti in bilancio. Fanno eccezione le perdite su crediti realizzate mediante cessione a titolo oneroso, che sono deducibili integralmente nell’esercizio in cui sono rilevate in bilancio.

 

Sempre in riferimento all'addizionale IRES introdotta dal comma 2, il comma 3 detta disposizioni specifiche per i soggetti che hanno esercitato l'opzione per la tassazione di gruppo e per la trasparenza fiscale.

 

Si ricorda che l'adesione al regime opzionale del consolidato fiscale nazionale consente di determinare l’IRES in modo unitario con riferimento al gruppo societario cui appartengono i soggetti interessati, effettuando la somma algebrica dei redditi complessivi netti, opportunamente rettificati, di ciascuno dei soggetti aderenti.

Con l'opzione per il regime di trasparenza fiscale il reddito della società non è tassato in capo alla società stessa, bensì vengono imputati a ciascun socio gli utili o le perdite, in proporzione alla quota di possesso, a prescindere dall'effettiva percezione.

 

Si prevede in particolare che:

§       i soggetti che hanno esercitato l'opzione per la tassazione di gruppo (articolo 117 del TUIR) e i soggetti che hanno esercitato, in qualità di partecipati, l'opzione per la trasparenza fiscale (articolo 115 del TUIR) assoggettano autonomamente il proprio reddito imponibile all'addizionale e provvedono al relativo versamento;

§       i soggetti che hanno esercitato l'opzione per la trasparenza fiscale in qualità di partecipanti assoggettano il proprio reddito imponibile all'addizionale senza tener conto del reddito imputato dalla società partecipata.

 

Il comma 4 proroga il termine di scadenza per versamento della seconda o unica rata di acconto IRES. In particolare si prevede che la seconda o unica rata di acconto IRES, dovuta per il periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2013, è versata entro il 10 dicembre 2013.

Per i soggetti il cui periodo d'imposta non coincide con l'anno solare, il versamento va invece effettuato entro il decimo giorno del dodicesimo mese dello stesso periodo d'imposta.

La rata di acconto viene determinata in misura corrispondente alla differenza fra l'acconto complessivamente dovuto e l'importo dell'eventuale prima rata di acconto

 

Anche in tale ipotesi la proroga dei termini di versamento IRES ha effetto sul versamento della seconda o unica rata di acconto IRAP, in virtù del richiamo contenuto nell’articolo 30, comma 3, del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 , secondo cui ai fini IRAP gli acconti devono essere versati con le modalità e nei termini stabiliti per le imposte sui redditi.

 

Si ricorda che i versamenti a saldo e l’eventuale primo acconto IRES devono essere eseguiti entro il 16 del sesto mese successivo a quello di chiusura del periodo d’imposta, oppure entro il trentesimo giorno successivo, maggiorando le somme dello 0,40 per cento a titolo di interesse corrispettivo.

L'acconto è pagato in due rate, salvo che il versamento da eseguire alla scadenza della prima non superi i 103 euro. In questo caso, il 40% dell’acconto dovuto è versato alla scadenza della prima rata e il residuo importo alla scadenza della seconda, cioè entro l’ultimo giorno dell’undicesimo mese successivo a quello di chiusura del periodo d’imposta cui si riferisce la dichiarazione.

La norma in esame ha pertanto posticipato la scadenza per il versamento della seconda o unica rata di acconto Ires, per il periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2013, al decimo giorno del dodicesimo mese successivo a quello di chiusura del periodo d'imposta a cui si riferisce la dichiarazione; per i soggetti con esercizio coincidente con l'anno solare, il termine è, quindi, quello del 10 dicembre 2013.

 

Il comma 5 introduce, a decorrere dall'anno 2013, a carico dei soggetti che applicano l'imposta sostitutiva sul risparmio amministrato di cui all'articolo 5 del decreto legislativo 21 novembre 1997, n. 461, il versamento di un acconto del 100 per cento entro il 16 dicembre di ciascun anno.

 

Si ricorda che l'articolo 5 del decreto legislativo 21 novembre 1997, n. 461, ha introdotto un'imposta sostitutiva sulle plusvalenze e sugli altri redditi diversi di cui alle lettere da c) a c-quinquies) del comma 1 dell'articolo 81 del TUIR (regime del risparmio amministrato).

Ai sensi del successivo articolo 6 il contribuente ha facoltà di optare per l'applicazione dell'imposta sostitutiva su ciascuna delle plusvalenze realizzate, con esclusione di quelle relative a depositi in valuta, a condizione che i titoli, quote o certificati siano in custodia o in amministrazione presso banche e società di intermediazione mobiliare e altri soggetti individuati in appositi decreti ministeriali; l'imposta sostitutiva si applica su ciascuna plusvalenza, differenziale positivo o provento percepito dal contribuente. Qualora i soggetti sopra citati non siano in possesso dei dati e delle informazioni necessarie per l'applicazione dell'imposta sostitutiva, devono richiederle al contribuente, anteriormente all'effettuazione delle operazioni; il contribuente comunica al soggetto incaricato dell'applicazione dell'imposta i dati e le informazioni richieste, consegnando, anche in copia, la relativa documentazione, o, in mancanza, una dichiarazione sostitutiva in cui attesti i predetti dati ed informazioni. I soggetti suddetti sospendono l'esecuzione delle operazioni a cui sono tenuti in relazione al rapporto, fino a che non ottengono i dati e le informazioni necessarie all'applicazione dell'imposta.

Ai sensi del comma 9 dello stesso articolo 6 i soggetti citati provvedono al versamento diretto dell'imposta dovuta dal contribuente al concessionario della riscossione ovvero alla sezione di tesoreria provinciale, entro il quindicesimo giorno del secondo mese successivo a quello in cui è stata applicata, trattenendone l'importo su ciascun reddito realizzato o ricevendone provvista dal contribuente. Per le operazioni effettuate con l'intervento di intermediari autorizzati ad operare nei mercati regolamentati italiani, l'operazione si considera effettuata, ai fini del versamento, entro il termine previsto per le relative liquidazioni.

 

Il comma 5 prevede pertanto che i soggetti che applicano l'imposta sostitutiva sul regime del risparmio amministrato sono tenuti, entro il 16 dicembre di ciascun anno, al versamento di un importo, a titolo di acconto, pari al 100 per cento dell'ammontare complessivo dei versamenti dovuti nel periodo gennaio-novembre dello stesso anno, ai sensi dell'articolo 6, comma 9 del citato decreto legislativo n. 461 del 1997.

Il versamento effettuato può essere scomputato, a decorrere dal 1° gennaio dell'anno successivo, dai versamenti della stessa imposta sostitutiva.

 

Si evidenzia come la nuova disciplina si applichi a decorrere dall'anno 2013: pertanto, a differenza delle altre disposizioni in materia di acconti recate dall'articolo in esame, non presenta carattere temporaneo.

 

Come anticipato, il comma 6 modifica la clausola di salvaguardia contenuta nel comma 4 dell'articolo 15 del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 102.

 

Il comma 4 dell'articolo 15 citato reca una clausola di salvaguardia finanziaria relativamente al gettito atteso dall’IVA e dalla definizione agevolata in appello dei giudizi di responsabilità amministrativo-contabile (previsti dagli articoli 13 e 14 dello stesso decreto), che forniscono copertura finanziaria agli oneri derivanti dal provvedimento.

La norma originaria prevede in particolare un monitoraggio da parte del Ministero dell'economia e delle finanze sull’andamento delle suddette entrate. Qualora dal monitoraggio emerga un gettito inferiore a quello necessario a garantire la copertura finanziaria del provvedimento, il Ministro dell'economia e delle finanze, entro il mese di novembre 2013, stabilisce con proprio decreto l'aumento della misura degli acconti ai fini dell'IRES e dell'IRAP, e l'aumento delle accise di cui alla Direttiva del Consiglio 2008/118/CE del 16 dicembre 2008, in misura tale da assicurare il conseguimento degli obiettivi di maggior gettito anche ai fini della eventuale compensazione delle minori entrate che si dovessero generare nel 2014 per effetto dell'aumento degli acconti per l'anno 2013.

 

Tale disposizione viene modificata dalla norma in esame prevedendo che, a seguito del monitoraggio sulle entrate, il Ministro dell'economia e delle finanze, con proprio decreto, da emanare entro il 2 dicembre 2013, stabilisce l'aumento della misura degli acconti IRES e IRAP, dovuti per i periodi d'imposta 2013 e 2014, e l'aumento, a decorrere dal 1° gennaio 2015, delle accise, in misura tale da assicurare il conseguimento degli obiettivi anche ai fini della eventuale compensazione delle minori entrate che si dovessero generare per effetto dell'aumento degli acconti.

 

In applicazione di tale disposizione è stato emanato dal Ministro dell'economia e delle finanze il decreto 30 novembre 2013[1] (pubblicato nella G.U. n. 282 del 2 dicembre 2013).

 

Tale decreto - considerato che dal monitoraggio effettuato sulle entrate derivanti dalla definizione agevolata dei giudizi di responsabilità amministrativo-contabile dei concessionari dei giochi sono risultati introitati circa 340 milioni di euro (a fronte dei 600 milioni di euro previsti) e che l'ammontare delle maggiori entrate IVA per pagamento dei debiti pregressi delle P.A. ammonta a circa 540 milioni di euro (a fronte dei 925 milioni di euro previsti) - interviene attivando la citata clausola di salvaguardia (ex articolo 15, comma 4, del decreto-legge n. 102 del 2013).

Si dispone pertanto, per il periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2013 e per il successivo, che la misura dell'acconto IRES sia aumentata di 1,5 punti percentuali.

Si prevede altresì che con provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, da adottare entro il 31 dicembre 2014, sia disposto l'ulteriore aumento, a decorrere dal 1° gennaio 2015 e fino al 15 febbraio 2016, dell'aliquota dell'accisa sulla benzina e sulla benzina con piombo, nonché dell'aliquota dell'accisa sul gasolio usato come carburante, in misura tale da determinare maggiori entrate nette non inferiori a 671,1 milioni di euro per l'anno 2015 e 17,8 milioni di euro per l'anno 2016.

 


 

Articolo 3
(Disposizioni in materia di immobili pubblici)

 

 

L’articolo 3 detta disposizioni in materia di dismissione di immobili pubblici semplificando la procedura relativa alla vendita a trattativa privata anche in blocco. In primo luogo si estende a tale procedura la normativa che consente la sanatoria di irregolarità successivamente al trasferimento.

Si prevede inoltre che possano essere interessati dalla vendita in blocco a trattativa privata gli immobili ad uso prevalentemente non abitativo appartenenti al patrimonio pubblico, i quali comprendono anche locali accessori destinati al custode.

Il meccanismo di dismissione a trattativa privata anche in blocco è esteso anche agli immobili degli enti territoriali. In tale ipotesi si prevede che gli enti territoriali interessati individuino, con apposita delibera, gli immobili che intendono dismettere. La delibera conferisce mandato al Ministero dell'economia e delle finanze per l'inserimento nel decreto dirigenziale che autorizza alla vendita in blocco.

Nel corso dell’esame al Senato è stato inoltre previsto il divieto di alienazione di immobili con la procedura in esame alle società la cui struttura non consente l'identificazione di chi ne detiene la proprietà o il controllo. Sono inoltre esclusi dalla trattativa privata i soggetti che siano stati condannati, con sentenza irrevocabile, per reati fiscali o tributari.

Si prevede che i fondi immobiliari gestiti dalla Invimit SGR, finalizzati alla valorizzazione e alla dismissione degli immobili pubblici, operano sul mercato in regime di libera concorrenza.

Il decreto ministeriale con il quale sono individuati i terreni agricoli di proprietà dello Stato e degli enti pubblici nazionali non utilizzabili per altre finalità istituzionali da alienare o locare a cura dell’Agenzia del demanio, per i quali è riconosciuto il diritto di prelazione ai giovani imprenditori agricoli, deve essere adottato, in sede di prima applicazione, entro e non oltre il 30 aprile 2014.

Si prevede, infine, che i Ministeri interessati individuano e comunicano all’Agenzia del demanio gli immobili di rilevante interesse culturale, paesaggistico e ambientale in ordine ai quali ritengano prioritario mantenere la proprietà dello Stato. L’Agenzia del demanio, entro due mesi dalla relativa comunicazione, sospende le eventuali procedure di dismissione o di conferimento a SGR dei beni da sottoporre a tutela. Tali vincoli non devono comunque determinare una riduzione dell'introito complessivo derivante dai processi di dismissione finalizzati ad obiettivi di finanza pubblica.

 

 

Si evidenzia che la legge di stabilità 2014 (articolo 1, comma 391, della legge n. 147 del 2013) ha previsto la definizione da parte del Governo di un programma straordinario di cessioni di immobili pubblici, compresi quelli detenuti dal Ministero della difesa e non utilizzati per finalità istituzionali. Tale programma, da definire entro 60 giorni dal 1° gennaio 2014 (data di entrata in vigore della legge), dovrà consentire introiti per il periodo 2014-2016 non inferiori a 500 milioni di euro annui.

Il programma è definito dal Governo sentita la Conferenza Unificata e la società di gestione del risparmio di cui all’articolo 33 del decreto-legge n. 98 del 2011, ovvero la Investimenti Immobiliari Italiani Società di Gestione del Risparmio società per azioni (Invimit SGR S.p.a.), istituita con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze del 19 marzo 2013. L’attività della Invimit è volta principalmente alla creazione di fondi a gestione diretta di asset pubblici, di enti territoriali e previdenziali, per una proficua amministrazione e messa a reddito degli immobili e alla istituzione di un ‘fondo di fondi’ a supporto di programmi di valorizzazione promossi dall’Agenzia del Demanio, da enti territoriali e anche da privati, interessati a partecipare alla riqualificazione del patrimonio pubblico.

Si segnala, inoltre, che nella relazione governativa al D.L. n. 120 del 2013, contenente misure urgenti di riequilibrio della finanza pubblica, il Governo ha affermato che per riportare il deficit del bilancio 2013 entro un valore non superiore al 3% del Pil concorre altresì un programma di dismissioni immobiliari per complessivi 525 milioni di euro, da adottare con procedure a legislazione vigente, da realizzare entro il 2013.

Nel corso della conversione del D.L. n. 120 del 2013 il Governo ha chiarito che tali dismissioni avverranno secondo la procedura già utilizzata in occasione di precedenti analoghe operazioni, ovvero con vendita a trattativa privata anche in blocco (articolo 11-quinquies del D.L. n. 203 del 2005). Con riferimento alla controparte il Governo ha comunicato il coinvolgimento diretto o indiretto di Cassa Depositi e Presiti, attesa la disponibilità manifestata da quest’ultima.

Nella Gazzetta Ufficiale n. 2 del 3 gennaio 2014 sono stati pubblicati due decreti del Ministero dell’economia e delle finanze che hanno autorizzato la vendita a trattativa privata di determinati beni individuati da alcuni enti locali e dall’Agenzia del demanio. Le procedure di vendita devono essere ultimate entro il 31 dicembre 2013, previa verifica da parte Ministero dei beni, delle attività culturali e del turismo sull’eventuale valore storico dei beni.

In particolare il decreto 20 dicembre 2013 ha autorizzato la provincia di Torino, i comuni di Torino, Venezia, Verona e Firenze e la Regione Lombardia ha vendere gli immobili individuati dalle delibere assunte dagli stessi enti.

Il decreto 23 dicembre 2013 ha autorizzato l’Agenzia del demanio a vendere a trattativa privata, anche in blocco, i beni immobili di proprietà dello Stato individuati dalla stessa Agenzia. L’elenco dei beni è allegato al decreto. Si tratta prevalentemente di caserme, magazzini, campi sportivi militari e altre strutture. Tra questi si segnalano, il palazzo degli esami di Stato e l'ex fabbrica d'armi a Roma, l'ex scuola di sanità militare, villa Tolomei e il complesso Bardini a Firenze, le isole di Sant'Angelo delle polveri e di S. Giacomo in palude a Venezia.

 

 

Più in dettaglio, il comma 1, ai fini della valorizzazione degli immobili pubblici oggetto di dismissione, dispone che alle alienazioni di immobili di cui all'articolo 11-quinquies del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, si applichino le disposizioni recate dall'articolo 40, sesto comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, che consentono la sanatoria di irregolarità successivamente al trasferimento.

 

Si ricorda, in sintesi, che l'articolo 11-quinquies del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, ha dettato disposizioni in materia di dismissione di immobili pubblici, la cui alienazione è considerata urgente con prioritario riferimento a quelli il cui prezzo di vendita sia determinato secondo criteri e valori di mercato. In base alla norma il Ministero dell’economia e delle finanze, con decreto dirigenziale, di concerto con le amministrazioni che li hanno in uso, autorizza l’Agenzia del demanio a vendere con le modalità di cui all'articolo 7 del decreto-legge 24 dicembre 2002, n. 282, ovvero a trattativa privata, anche in blocco, i beni immobili ad uso non abitativo appartenenti al patrimonio pubblico.

 

Con la norma in esame si prevede che all'alienazione di tali immobili è possibile applicare l'articolo 40, sesto comma, della legge n. 47 del 1985, secondo il quale qualora l'immobile rientri nelle previsioni di sanabilità e sia oggetto di trasferimento derivante da procedure esecutive, può essere presentata domanda di sanatoria.

Il sesto comma dell'articolo 40 prevede un termine di centoventi giorni dall'atto di trasferimento dell'immobile per la presentazione della domanda di sanatoria. Tale termine viene peraltro derogato dal comma in esame, che consente di presentare la domanda di sanatoria entro un anno dall'atto di trasferimento dell'immobile.

 

La norma interviene al fine di agevolare la dismissione di immobili pubblici caratterizzati dalla carenza di un titolo edilizio "ordinario" e da una conseguente situazione di non conformità edilizia. A tal fine, secondo quanto evidenziato nella relazione, si intenderebbe consentire all'acquirente dell'immobile di usufruire della possibilità di sanare le irregolarità edilizie - nei limiti delle previsioni di sanabilità - successivamente al trasferimento, con impatto positivo sul valore degli immobili.

Il sesto comma dell’articolo 40 fissa il termine per la presentazione delle domande di sanatoria nella ipotesi in cui l'immobile rientri nelle previsioni di sanabilità di cui al capo IV della medesima legge 47/1985 (si tratta, tra l’altro, di opere abusive senza titolo edilizio o con titolo edilizio inefficace).

 

Nel corso dell’esame al Senato il comma 1 è stato novellato al fine di chiarire che la medesima norma persegue anche la finalità di prevenire nuove urbanizzazioni e ridurre il consumo di suolo.

 

Si ricorda, in proposito al tema del consumo di suolo, che sono in corso di esame alla Camera alcune proposte di legge volte proprio a dettare norme per il contenimento dell'uso di suolo e la rigenerazione urbana (A.C. 70, abbinata con le proposte nn. 150, 392, 1050, 1128 e 1322, in corso di esame presso l’VIII Commissione) e in materia di valorizzazione delle aree agricole e di contenimento del consumo del suolo (A.C. 948, abbinata con l’A.C. 902, in corso di esame presso le Commissioni riunite VIII e XIII).

 

Il comma 2 interviene sulla disciplina della dismissione in blocco di immobili pubblici ai sensi del già citato articolo 11-quinquies del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, apportando alcune modifiche al comma 1.

In particolare, la lettera a) del comma 2 introduce la possibilità per l'Agenzia del demanio, previa autorizzazione del Ministero dell'economia e delle finanze, di vendere a trattativa privata (anche in blocco), anche i beni immobili ad uso prevalentemente non abitativo appartenenti al patrimonio pubblico.

La precisazione sull’uso prevalentemente non abitativo consentirebbe di superare criticità emerse nei casi in cui l'immobile sia adibito ad uso non abitativo ma comprenda, ad esempio, locali adibiti a custodia o foresteria (quali caserme dimesse presidiate da un addetto alla custodia che vi alloggia).

Si evidenzia che il decreto 23 dicembre 2013 del Ministero dell’economia e delle finanze ha autorizzato l’Agenzia del demanio a vendere a trattativa privata, anche in blocco, i beni immobili di proprietà dello Stato individuati dalla stessa Agenzia. L’elenco dei beni è allegato al decreto. Si tratta prevalentemente di caserme, magazzini, campi sportivi militari e altre strutture. Il decreto tiene conto della modifica in esame, comprendendo immobili ad uso non prevalentemente abitativo appartenenti al patrimonio pubblico. Le procedure di vendita devono essere ultimate entro il 31 dicembre 2013, previa verifica da parte Ministero dei beni, delle attività culturali e del turismo sull’eventuale valore storico dei beni.

 

La lettera b) estende invece il meccanismo di dismissione individuato dall'articolo 11-quinquies citato agli immobili degli enti territoriali.

In tale ipotesi si prevede, pertanto, che gli enti territoriali interessati individuino, con apposita delibera (articolo 58 del D.L. n. 112 del 2008) gli immobili che intendono dismettere. La delibera conferisce mandato al Ministero dell'economia e delle finanze per l'inserimento nel decreto dirigenziale che autorizza alla vendita in blocco.

Si evidenzia che, recependo la norma in esame, il decreto 20 dicembre 2013 del Ministero dell’economia e delle finanze ha autorizzato la provincia di Torino, i comuni di Torino, Venezia, Verona e Firenze e la Regione Lombardia ha vendere gli immobili individuati dalle delibere assunte dagli stessi enti. Le procedure di vendita devono essere ultimate entro il 31 dicembre 2013, previa verifica da parte Ministero dei beni, delle attività culturali e del turismo sull’eventuale valore storico dei beni.

L’articolo 58 del decreto-legge n. 112 del 2008 (modificato dal D.L. n. 201 del 2011) ha previsto che per procedere al riordino, gestione e valorizzazione del patrimonio immobiliare di regioni, province, comuni e altri enti locali, ciascun ente individui i singoli beni immobili ricadenti nel territorio di competenza, non strumentali all'esercizio delle proprie funzioni istituzionali, suscettibili di valorizzazione ovvero di dismissione, e predisponga un piano delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari, allegato al bilancio di previsione. Gli enti possono in ogni caso individuare forme di valorizzazione alternative, nel rispetto dei principi di salvaguardia dell'interesse pubblico e mediante l'utilizzo di strumenti competitivi, conferire i propri beni immobili anche residenziali a fondi comuni di investimento immobiliare ovvero promuoverne la costituzione. Tale disposizione è stata modificata dall'articolo 27, comma 1 del D.L. 201/2011, nel senso di consentire anche agli enti partecipati dagli enti territoriali di individuare gli immobili suscettibili di valorizzazione o di dismissione.

 

Il Ministro dell’economia e delle finanze, Saccomanni, nel corso di un’audizione al Senato il 13 dicembre 2013, ha affermato che con la norma in esame risulterà favorita la dismissione di immobili da parte degli enti territoriali, che potranno così contribuire al consolidamento dei conti pubblici. La norma non introduce una deroga generalizzata alle ordinarie procedure previste dalla normativa contabile, in quanto il decreto del Ministero dell’economia e delle finanze assicura che il ricorso alla trattativa privata avvenga nel rispetto dei limiti procedurali stabiliti per legge.

Nel corso dell’esame al Senato è stato inoltre previsto il divieto di alienazione di immobili con la procedura in esame alle società la cui struttura non consente l'identificazione di chi (persone fisiche o società) ne detiene la proprietà o il controllo. L’utilizzo di società anonime, aventi sede all'estero, nelle suddette operazioni immobiliari è vietato e costituisce causa di nullità dell'atto di trasferimento. Si prevede inoltre che, fermi restando i controlli già previsti dalla vigente normativa antimafia, sono esclusi dalla trattativa privata i soggetti che siano stati condannati, con sentenza irrevocabile, per reati fiscali o tributari.

 

Il comma 2-bis, inserito nel corso dell’esame al Senato, specifica che i fondi immobiliari gestiti dalla Invimit SGR, finalizzati alla valorizzazione e alla dismissione degli immobili pubblici, operano sul mercato in regime di libera concorrenza.

La norma inserisce il nuovo articolo 33-ter (Disposizioni sulla gestione dei fondi) nel D.L. n. 98 del 2011, il quale con riferimento ai fondi di cui all'articolo 33, commi 1, 8-bis, 8-ter e 8-quater, e quelli di cui all'articolo 33-bis, gestiti in forma separata e autonoma dall'amministrazione della società di cui all'articolo 33, comma 1, prevede che essi operano sul mercato in regime di libera concorrenza.


 

Con il D.L. n. 98 del 2011 (successivamente modificato) è stata disciplinata la creazione di un sistema integrato di fondi immobiliari, con l’obiettivo di accrescere l’efficienza dei processi di sviluppo e di valorizzazione dei patrimoni immobiliari di proprietà degli enti territoriali, di altri enti pubblici e delle società interamente partecipate dai predetti enti.

Con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze del 19 marzo 2013 (G.U. n. 125 del 30/5/13) è stata istituita la Investimenti Immobiliari Italiani Società di Gestione del Risparmio società per azioni (Invimit SGR S.p.a.) con il compito di istituire fondi che partecipano a quelli immobiliari costituiti da enti territoriali, anche tramite società interamente partecipate, a cui conferire immobili oggetto di progetti di valorizzazione. In primo luogo la SGR, con capitale sociale pari a 8 milioni di euro, istituisce e gestisce uno o più fondi d’investimento immobiliare (“Fondo nazionale”, comma 1), che perseguano, in particolare, i seguenti obiettivi strategici: partecipare in fondi comuni di investimento immobiliare chiusi, promossi da regioni, province e comuni, anche in forma consorziata, e da altri enti pubblici ovvero da società interamente partecipate dai predetti enti (cosiddetto “Fondi di fondi”) (commi 1 e 2); investire direttamente nell’acquisto di immobili in locazione passiva alle pubbliche amministrazioni, in ottica di razionalizzazione degli usi governativi (comma 1); partecipare, sulla base dell’eventuale emanazione di uno specifico decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, a fondi titolari di diritti di concessione o d’uso su beni indisponibili e demaniali (comma 1); acquistare immobili di proprietà degli enti territoriali ad uso ufficio o già inseriti in programmi di valorizzazione, recupero e sviluppo del territorio (comma 8-bis).

Gli enti territoriali, sulla base di puntuali analisi di fattibilità, promuovono la costituzione di fondi comuni di investimento immobiliare (“Fondi territoriali”, comma 2), a cui possono essere apportati beni immobili e diritti. A tali fondi degli enti locali possono essere apportati beni immobili e diritti con le procedure previste dall'articolo 58 del D.L. n. 112 del 2008, a fronte della correlata emissione di quote, nonché quelli trasferiti ai sensi del D.Lgs. n. 85 del 2010 (federalismo demaniale).

I fondi istituiti dalla SGR possono altresì investire direttamente al fine di acquisire immobili in locazione passiva alle pubbliche amministrazioni ovvero partecipare a fondi titolari di diritti di concessione o d'uso su beni indisponibili e demaniali, che prevedano la possibilità di locare tutto o in parte il bene oggetto della concessione. Le azioni della SGR possono essere trasferite con D.M. a titolo gratuito all’Agenzia del Demanio; la SGR può avvalersi in via transitoria del personale dell’Agenzia.

Il D.L. n. 95 del 2012 ha introdotto ulteriori modalità operative della società di gestione del risparmio, prevedendo la costituzione di altre tipologie di fondi immobiliari, con l’obiettivo esplicito di conseguire la riduzione del debito pubblico. Il MEF, attraverso la SGR, promuove la costituzione di uno o più fondi comuni d’investimento immobiliare, a cui trasferire immobili di proprietà dello Stato non utilizzati per finalità istituzionali (cd. “Fondo diretto”, comma 8-ter), nonché diritti reali immobiliari. Le risorse derivanti dalla cessione delle quote dei fondi sono riassegnate al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato e destinate al pagamento dei debiti dello Stato. A differenza del fondo di cui ai commi 1 e 2 dell’articolo 33 (“Fondo nazionale”) che dovrebbe prevalentemente operare come “fondo di fondi”, tale fondo agirebbe come “fondo diretto” al quale possono essere trasferiti o conferiti: immobili statali non utilizzati per finalità istituzionali, nonché diritti reali immobiliari; immobili di società controllate direttamente o indirettamente dallo Stato, previa delibera; beni demaniali valorizzabili, individuati dall’Agenzia del demanio, per i quali è prevista, a seguito di richiesta, la cessione gratuita a comuni, province e regioni; beni immobili di regioni, province e comuni e di enti o società interamente partecipate dai predetti enti.

Il MEF, sempre attraverso la SGR, promuove uno o più fondi comuni di investimento immobiliare a cui conferire gli immobili di proprietà dello Stato non più utilizzati dal Ministero della difesa per finalità istituzionali e suscettibili di valorizzazione (cd. “Fondo difesa”, comma 8-quater).

Il MEF l'11 ottobre 2013 ha comunicato che la Banca d'Italia, sentita la Consob, ha autorizzato la società Invimit (Investimenti Immobiliari Italiani) alla gestione collettiva del risparmio.

L’articolo 33-bis del D.L. n. 98 del 2011 prevede ulteriori strumenti per la gestione degli immobili pubblici, quali società, consorzi o fondi immobiliari, promossi e partecipati dall’Agenzia del demanio. Tali iniziative sono volte alla valorizzazione, trasformazione, gestione e alienazione del patrimonio immobiliare pubblico, non solo di proprietà dello Stato e degli enti vigilati, ma soprattutto degli enti territoriali. Alle società promosse dall'Agenzia del demanio per la valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico, ai sensi dell’articolo 33-bis, si applica il trattamento fiscale previsto per le Società di investimento immobiliare quotate.

Si ricorda che da ultimo l'articolo 56-bis del D.L. n. 69 del 2013 ha rinnovato la procedura di trasferimento di beni immobili, demaniali o patrimoniali, di proprietà dello Stato, prevedendo nel periodo dal 1° settembre 2013 al 30 novembre 2013 la possibilità per gli enti territoriali di fare richiesta all'Agenzia del demanio di attribuzione di tali beni, eccetto le tipologie specificamente indicate. Non possono essere trasferiti i beni in uso per finalità dello Stato o per quelle in materia di razionalizzazione degli spazi e di contenimento della spesa; i beni per i quali siano in corso procedure volte a consentirne l'uso per le medesime finalità; i beni per i quali siano in corso operazioni di valorizzazione o dismissione ai sensi dell'art. 33 D.L. 98/2011.

 

 

Il comma 2-ter, inserito nel corso dell’esame al Senato, prevede che il decreto ministeriale con il quale sono individuati i terreni agricoli di proprietà dello Stato e degli enti pubblici nazionali non utilizzabili per altre finalità istituzionali da alienare o locare a cura dell’Agenzia del demanio, per i quali è riconosciuto il diritto di prelazione ai giovani imprenditori agricoli, deve essere adottato, in sede di prima applicazione, entro e non oltre il 30 aprile 2014.

La norma inserisce un nuovo comma 1-bis all'articolo 66 del D.L. n. 1 del 2012, il quale ha previsto una nuova disciplina di alienazione, in via prioritaria ai giovani agricoltori, dei terreni agricoli di proprietà dello Stato e degli enti pubblici nazionali non utilizzabili per altre finalità istituzionali; in alternativa alla vendita si potrà disporre la locazione dei terreni.

 

I nuovi commi 2-quater-2-septies, inseriti nel corso dell’esame al Senato, prevedono che i Ministeri interessati individuano e comunicano all’Agenzia del demanio gli immobili di rilevante interesse culturale, paesaggistico e ambientale in ordine ai quali ritengano prioritario mantenere la proprietà dello Stato. L’Agenzia del demanio, entro due mesi dalla relativa comunicazione, sospende le eventuali procedure di dismissione o conferimento a SGR dei beni da sottoporre a tutela. Tali norme, tuttavia, in relazione ai processi di dismissione finalizzati ad obiettivi di finanza pubblica, non devono comunque determinare una riduzione dell'introito complessivo connesso ai suddetti processi di dismissione.

In particolare il comma 2-quater affida al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo (MIBAC) il compito di individuare, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, nell'ambito dei beni immobili di proprietà dello Stato, anche valutando le segnalazioni provenienti da regioni, enti locali e associazioni portatrici di interessi diffusi, i beni di rilevante interesse culturale o paesaggistico in ordine ai quali ritenga prioritario mantenere la proprietà dello Stato ed avviare procedimenti di tutela e valorizzazione ai sensi delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio.

Analogamente il comma 2-quinquies assegna al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, il compito di individuare, nell'ambito dei beni immobili di proprietà dello Stato, anche valutando le segnalazioni provenienti da regioni, enti locali e associazioni portatrici di interessi diffusi, i beni di rilevante interesse ambientale in ordine ai quali ritenga prioritario mantenere la proprietà dello Stato ed avviare procedimenti rivolti all'istituzione di aree naturali protette o all'integrazione territoriale di aree naturali protette già istituite.

Il comma 2-sexies prevede che i due Ministri competenti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, comunicano all'Agenzia del demanio l'avvio dei procedimenti sopra descritti. Entro e non oltre due mesi dal ricevimento della suddetta comunicazione l'Agenzia del demanio procede conseguentemente alla sospensione di eventuali procedure di dismissione o conferimento a società di gestione dei beni da sottoporre a tutela, già avviate.

La norma cita i riferimenti normativi relativi alle procedure di dismissione e di conferimento a società di gestione. Si tratta, in particolare, di:

§      D.L. n. 351 del 2001: operazioni di cartolarizzazione di immobili pubblici (artt. 2 e 3), programmi unitari di valorizzazione territoriale (art. 3-ter) e fondi comuni di investimento immobiliare (articolo 4);

§      D.L. n. 203 del 2005: vendita a trattativa privata anche in blocco (articolo 11-quinquies);

§      D.L. n. 98 del 2011: sistema integrato di fondi immobiliari (articoli 33 e 33-bis).

Il comma 2-septies stabilisce che le norme succitate che prevedono un procedimento volto alla tutela di beni immobili di rilevante interesse culturale, paesaggistico e ambientale, non devono comunque determinare una riduzione dell'introito complessivo connesso ai processi di dismissione finalizzati ad obiettivi di finanza pubblica.

Al riguardo si rammenta, come evidenziato all’inizio della scheda, che la legge di stabilità 2014 ha previsto la definizione da parte del Governo di un programma straordinario di cessioni di immobili pubblici, compresi quelli detenuti dal Ministero della difesa e non utilizzati per finalità istituzionali. Tale programma, da definire entro 60 giorni dal 1° gennaio 2014 (data di entrata in vigore della legge), dovrà consentire introiti per il periodo 2014-2016 non inferiori a 500 milioni di euro annui.

Si ricorda, inoltre, che a copertura del D.L. n. 120 del 2013, finalizzato a riportare il deficit del bilancio 2013 entro un valore non superiore al 3% del Pil, concorre altresì un programma di dismissioni immobiliari per complessivi 525 milioni di euro, da adottare con procedure a legislazione vigente, da realizzare entro il 2013. Nel corso della conversione del D.L. n. 120 del 2013 il Governo ha chiarito che tali dismissioni avverranno secondo la procedura già utilizzata in occasione di precedenti analoghe operazioni, ovvero con vendita a trattativa privata anche in blocco (articolo 11-quinquies del D.L. n. 203 del 2005). I decreti 20 dicembre 2013 e 23 dicembre 2013 del Ministero dell’economia e delle finanze (pubblicati nella Gazzetta ufficiale n. 2 del 3 gennaio 2014) hanno autorizzato la vendita a trattativa privata di determinati beni individuati da alcuni enti locali e dall’Agenzia del demanio. Le procedure di vendita devono essere ultimate entro il 31 dicembre 2013, previa verifica da parte Ministero dei beni, delle attività culturali e del turismo sull’eventuale valore storico dei beni.

Si ricorda, infine, che alcune tipologie di fondi immobiliari previsti dall’articolo 33 del D.L. n. 98 del 2011 (in particolare si tratta del c.d. Fondo diretto e del c.d. Fondo difesa) sono costituiti con l’obiettivo esplicito di conseguire la riduzione del debito pubblico.


 

Articolo 4
(Capitale della Banca d'Italia)

 

 

L’articolo 4, modificato durante l’esame al Senato, detta disposizioni concernenti il capitale della Banca d'Italia. In estrema sintesi, si ribadisce la natura della Banca d'Italia di istituto di diritto pubblico, banca centrale della Repubblica italiana e parte integrante del Sistema Europeo di Banche Centrali ed autorità nazionale competente nel meccanismo di vigilanza unico europeo; se ne afferma l’indipendenza nell'esercizio dei suoi poteri e nella gestione delle sue finanze (comma 1).

L’Istituto è autorizzato ad aumentare il proprio capitale mediante utilizzo delle riserve statutarie all'importo di 7,5 miliardi di euro (comma 2); le modifiche apportate al Senato hanno specificato che, a seguito dell’aumento, il capitale sarà rappresentato da quote di nuova emissione, pari a 25.000 euro ciascuna (anziché 20.000, come previsto dal testo originario). Ai sensi del comma 3 ai partecipanti possono essere distribuiti esclusivamente dividendi annuali, a valere sugli utili netti, per un importo non superiore al 6 per cento del capitale. Il comma 4 individua le categorie di investitori che possono acquisire le quote di partecipazione al capitale dell'Istituto; per effetto delle modifiche al Senato, le banche e le imprese assicurative e i fondi pensione partecipanti devono avere sede legale ed amministrazione centrale in Italia; in caso di perdita di detto requisito dovrà procedersi all’alienazione delle quote (comma 4-bis, introdotto al Senato). Il comma 5 pone limiti alla partecipazione al capitale; in particolare, il limite di partecipazione al Senato è stato abbassato dal 5 al 3 per cento del capitale. La sanzione per le quote in eccesso è la non spettanza il diritto di voto e l’imputazione dei relativi dividendi sono imputati alle riserve statutarie della Banca d'Italia.

Il comma 6 consente alla Banca d'Italia di acquistare temporaneamente le proprie quote di partecipazione e stipulare contratti aventi ad oggetto le medesime, al fine di favorire il rispetto dei limiti di partecipazione al proprio capitale fissati dal precedente comma. Per tali quote il diritto di voto viene sospeso e i dividendi sono imputati alle riserve statutarie della Banca d'Italia.

Il comma 6-bis), inserito al Senato, introduce l’obbligo dell’Istituto di riferire annualmente alle Camere sulle operazioni di partecipazione al proprio capitale.

 

Secondo quanto emerso nel corso dell’esame al Senato, l'intervento intende anzitutto conferire certezza al quadro normativo concernente i partecipanti al capitale della Banca, nel rispetto dei principi di autonomia organizzativa e indipendenza riconosciuti dai Trattati Europei, dallo Statuto del Sistema europeo delle banche centrali (SEBC) e dall'ordinamento interno. L'obiettivo è pertanto di assicurare un'ampia distribuzione fra i partecipanti delle quote rappresentative di un patrimonio di pubblico interesse, considerato che un assetto proprietario che contribuisca all'indipendenza della Banca d'Italia è rappresentato dall'equilibrata distribuzione delle quote, come stabilito dallo Statuto della Banca d’Italia (articolo 3, comma 2) e positivamente valutato dalla BCE nel suo parere del 25 agosto 2006 sul medesimo Statuto (CON/2006/44). In particolare, il paragrafo 3.1 del citato parere afferma che, in conformità di quanto previsto nell’articolo 3 dello statuto modificato, il trasferimento delle quote del capitale della Banca d’Italia avverrà solo previo consenso del Consiglio superiore, preservando in ogni caso l’autonomia e l’indipendenza dell’Istituto e l’equilibrata distribuzione delle quote.

Sul testo normativo proposto è stato richiesto il parere della BCE, rilasciato il 27 dicembre 2013, il cui contenuto verrà sinteticamente illustrato parallelamente alle disposizioni commentate. Preliminarmente si rileva, però, che la BCE ha sottolineato che, anche in casi di estrema urgenza, le autorità nazionali non sono esonerate dall’obbligo di consultare la BCE e di accordarle un tempo sufficiente a consentire che il suo parere sia tenuto in considerazione, come stabilito dagli articoli 127, paragrafo 4, e 282 paragrafo 5, del Trattato. Inoltre, l’articolo 3, paragrafo 4 della Decisione 98/415/CE obbliga gli Stati membri a sospendere il processo di approvazione di un progetto di disposizioni legislative in attesa della ricezione del parere della BCE.

La BCE ha ricevuto la richiesta di consultazione il 22 novembre 2013, mentre il decreto legge è stato approvato il 27 novembre 2013. L’Istituto ha dunque ricordato che l'approvazione di disposizioni normative prima della pronuncia del parere della BCE o della scadenza del termine stabilito equivale a un caso di non consultazione, richiamando a tale proposito l’attenzione del MEF circa il rispetto della procedura di consultazione tenuto conto, in particolare, della rilevanza della normativa per la Banca d’Italia e l’Eurosistema.

 

 

La natura, la governance e l’assetto proprietario della Banca d’Italia
nella previgente disciplina

L’assetto funzionale e di governance della Banca d’Italia si basa su un complesso di fonti articolate e di diverso livello: normativa comunitaria che regola l’attività del Sistema europeo di banche centrali (SEBC); disposizioni bancarie e finanziarie attinenti ai poteri di vigilanza; altre norme che disciplinano i rapporti con il Ministero dell’Economia e delle finanze e con le altre autorità; Statuto.

Nell’ambito dell’Eurosistema, di cui è parte integrante, la Banca d’Italia concorre alle decisioni di politica monetaria attraverso la partecipazione del Governatore al Consiglio direttivo della Banca Centrale Europea (BCE) e quella di propri esperti ai Comitati e Gruppi di lavoro dell’Eurosistema ai fini della relativa istruttoria tecnica. Svolge tali compiti e funzioni ai sensi del Trattato CE (articolo 105, ora articolo 127 del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea - TFUE) e dello Statuto del SEBC (articolo 3).

A livello nazionale, le principali fonti normative che riguardano funzioni e organizzazione dell’Istituto sono: il decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 (TUB); il decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (TUF); il decreto legislativo 10 marzo 1998, n. 43 (adeguamento dell’ordinamento nazionale alle disposizioni del Trattato CE in materia di politica monetaria e SEBC); la legge 28 dicembre 2005, n. 262 (disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari); il decreto legislativo 29 dicembre 2006, n. 303 (norme di coordinamento del TUB e del TUF con la legge 28 dicembre 2005, n. 262); il DPR 12 dicembre 2006 (approvazione del nuovo Statuto) e infine il DPR 27 dicembre 2013, che ha concluso l'iter di approvazione delle modifiche allo Statuto della Banca d'Italia, indotte dal decreto legge in esame (cfr. la scheda di lettura degli articolo 5 e 6).

Riflessi fondamentali per il funzionamento della Banca derivano dalla sua appartenenza al SEBC e dalle funzioni che le competono come parte integrante del Sistema. La partecipazione del Governatore al Consiglio direttivo della BCE comporta che i compiti e i poteri esercitati in tale ambito siano riservati esclusivamente alla carica. La governance della Banca si fonda sui principi di autonomia e di indipendenza affermati in sede comunitaria e nell’ordinamento nazionale, e ribaditi dallo Statuto.

L’indipendenza della Banca, quale Autorità di vigilanza, da interferenze indirette dei partecipanti è garantita da norme risalenti (articolo 5, comma 1, D.Lgs.C.P.S. n. 691 del 1947) che escludono dalle competenze del Consiglio superiore la materia della vigilanza creditizia e finanziaria.

L’organizzazione della Banca d’Italia è stata significativamente modificata dell’articolo 19 della legge 28 dicembre 2005, n. 262, concentrandosi essenzialmente su tre aspetti: l’indipendenza e la trasparenza nelle decisioni della Banca; la struttura di governo interna dell’Istituto; l’assetto proprietario della Banca.

Riguardo alle garanzie d’indipendenza e trasparenza, l’articolo 19 citato, dopo aver riaffermato, al comma 1, l’inserimento dell’Istituto nel Sistema europeo delle Banche centrali (SEBC), al comma 3 stabilisce che le disposizioni normative nazionali, di rango primario e secondario, devono assicurare alla Banca d’Italia e ai componenti dei suoi organi l’indipendenza richiesta dalla normativa comunitaria.

Ai sensi del comma 4, inoltre, la Banca d’Italia, nell’esercizio delle proprie funzioni, con particolare riferimento a quelle di vigilanza, è tenuta ad operare nel rispetto del principio di trasparenza, inteso come “naturale complemento” dell’indipendenza dell’autorità di vigilanza. Lo stesso comma 4 impone alla Banca d’Italia di riferire sulla propria attività al Parlamento e al Governo.

Il comma 5 dispone che gli atti emessi dagli organi della Banca d’Italia debbano avere forma scritta e debbano essere motivati, indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’Amministrazione in base all’articolo 3, comma 1, della legge 7 agosto 1990, n. 241, in tema di procedimento amministrativo. Si prescrive inoltre che debba essere redatto apposito verbale delle riunioni degli organi collegiali, al fine di consentire la trasparenza e la sindacabilità del processo decisionale.

Il comma 6 trasferisce al Direttorio la competenza ad adottare i provvedimenti aventi rilevanza esterna (già rientranti nella competenza del Governatore) e quella relativa agli atti adottati su sua delega. Tale disposizione non si applica, comunque, alle decisioni rientranti nelle attribuzioni del SEBC. Agli atti del Direttorio si applica quanto previsto dal comma 5, che impone la forma scritta, la motivazione e la redazione di verbale della riunione in cui l’atto è adottato. Si stabilisce che le deliberazioni del Direttorio sono adottate a maggioranza, in caso di parità dei voti prevalendo il voto del Governatore.

 

Per quanto concerne la riforma della struttura di governo interna, il comma 7 dell’articolo 19 ha limitato a sei anni il mandato del Governatore (nell’assetto previgente mancava un limite temporale alla sua durata nella carica), con la possibilità di un solo rinnovo. Gli altri membri del Direttorio durano in carica sei anni, con la possibilità di un solo rinnovo.

Ai sensi del comma 8, la nomina del Governatore è disposta con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il parere del Consiglio superiore della Banca d’Italia.

Tale procedimento si applica anche per la revoca del Governatore, nei casi previsti dall’articolo 14, paragrafo 2, del Protocollo sullo statuto del Sistema europeo di banche centrali e della Banca centrale europea, secondo cui il governatore di una banca centrale nazionale può essere sollevato dall’incarico solo se non soddisfa più le condizioni necessarie per l’esercizio delle sue funzioni o se si è reso colpevole di gravi mancanze.

Il comma 9 dispone l’adeguamento dello Statuto della Banca d’Italia alle nuove disposizioni entro due mesi dalla data della loro entrata in vigore. Entro il medesimo termine, lo Statuto della Banca d’Italia deve essere adeguato ridefinendo le competenze del Consiglio superiore al fine di attribuire allo stesso anche funzioni di vigilanza e controllo all’interno della Banca d’Italia.

Con D.P.R. del 12 dicembre 2006 è stato approvato il previgente Statuto dell'Istituto, che ha introdotto innovazioni riguardanti organi, competenze, procedure. Le principali modifiche hanno riguardato: l’enunciazione del principio dell’indipendenza della Banca (articolo 1); l’introduzione del mandato a termine per tutti i membri del Direttorio (artt. 24, 25, 26); l’adeguamento delle norme su nomina, rinnovo del mandato e revoca del Governatore (articolo 17); l’introduzione del principio di collegialità per l’adozione da parte del Direttorio - i cui componenti sono aumentati a cinque - dei provvedimenti aventi rilevanza esterna attinenti alle funzioni istituzionali (artt. 21, 22, 23); l’ampliamento delle competenze del Consiglio superiore (articolo 18); la previsione di una Relazione illustrativa con cui la Banca riferisce annualmente al Parlamento e al Governo sulla propria attività (articolo 41).

 

Con riferimento all’assetto proprietario della Banca, il comma 2 del citato articolo 19 conferma la natura della Banca d’Italia quale istituto di diritto pubblico, già affermata dall’articolo 20 del regio decreto-legge 12 marzo 1936, n. 375.

Il successivo comma 10 dell’articolo 19 affida a un regolamento governativo il compito di ridefinire l’assetto proprietario della Banca d’Italia e di disciplinare le modalità di trasferimento delle quote di partecipazione al capitale della Banca d’Italia in possesso di soggetti diversi dallo Stato o da altri enti pubblici, entro tre anni dalla data di entrata in vigore della legge.

Per quanto concerne la struttura proprietaria dell’Istituto, il legislatore del 1936 stabilì che il capitale della Banca fosse di trecento milioni di lire e fosse rappresentato da trecentomila quote di mille lire ciascuna interamente versate. Ai fini della tutela del pubblico credito e dalla continuità d’indirizzo dell'Istituto di emissione, le quote di partecipazione al capitale sono nominative e possono appartenere solamente a:

§       casse di risparmio;

§       istituti di credito di diritto pubblico e banche di interesse nazionale;

§       istituti di previdenza;

§       istituti di assicurazione.

Il processo di trasformazione delle banche pubbliche in società per azioni, verificatosi nel corso negli anni ’90 del secolo passato ad opera della legge 30 luglio 1990, n. 218, ha poi influito – di fatto – sulla titolarità delle quote di partecipazione al capitale della Banca d’Italia.

L’articolo 27 del decreto legislativo 17 maggio 1999, n. 153 ha quindi disciplinato la partecipazione al capitale della Banca d’Italia da parte delle fondazioni bancarie, enti di diritto privato che avevano effettuato il conferimento delle aziende bancarie alle società nate dal processo di trasformazione delle banche pubbliche.

Il previgente articolo 3 dello Statuto della Banca d’Italia prevedeva che la cessione di quote del capitale avvenisse solo previo consenso del Consiglio Superiore e su proposta del Direttorio “nel rispetto dell’autonomia e dell’indipendenza dell’Istituto e di una equilibrata distribuzione”.


Nella tabella seguente è indicata la composizione del capitale dell’Istituto aggiornata al 16 ottobre 2013.

 

Ente partecipante

Numero quote

Numero voti

 

 

 

Intesa Sanpaolo S.p.A.

91.035

50

UniCredit S.p.A.

66.342

50

Assicurazioni Generali S.p.A.

19.000

42

Cassa di Risparmio in Bologna S.p.A.

18.602

41

INPS

15.000

34

Banca Carige S.p.A. - Cassa di Risparmio di Genova e Imperia

11.869

27

Banca Nazionale del Lavoro S.p.A.

8.500

21

Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A.

7.500

19

Cassa di Risparmio di Biella e Vercelli S.p.A.

6.300

16

Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza S.p.A.

6.094

16

Cassa di Risparmio di Firenze S.p.A.

5.656

15

Fondiaria - SAI S.p.A.

4.000

12

Allianz Società per Azioni

4.000

12

Banco Popolare s.c.

3.668

11

Cassa di Risparmio del Veneto S.p.A.

3.610

11

Cassa di Risparmio di Asti S.p.A.

2.800

9

Cassa di Risparmio di Venezia S.p.A.

2.626

9

Banca delle Marche S.p.A.

2.459

8

INAIL

2.000

8

Milano Assicurazioni

2.000

8

Cassa di Risparmio del Friuli Venezia Giulia S.p.A. (CARIFVG S.P.A.)

1.869

7

Cassa di Risparmio di Pistoia e della Lucchesia S.p.A.

1.126

6

Cassa di Risparmio dell’Umbria S.p.A.

1.106

6

Cassa di Risparmio di Ferrara S.p.A.

949

5

Banca Popolare di Milano S.c.a r.l.

873

5

Cassa di Risparmio di Ravenna S.p.A.

769

5

Banca Regionale Europea S.p.A.

759

5

Cassa di Risparmio di Fossano S.p.A.

750

5

Banca Popolare di Vicenza S.c.p.A.

687

5

Cassa di Risparmio di Cesena S.p.A.

675

5

Banca dell’Adriatico S.p.A.

653

5

Cassa di Risparmio di S. Miniato S.p.A.

652

5

Cassa dei Risparmi di Forlì e della Romagna S.p.A.

605

5

Banca Carime S.p.A.

500

5

Società Reale Mutua Assicurazioni

500

5

Veneto Banca S.c.p.a.

480

4

Banca Popolare dell’Emilia Romagna S.c.

430

4

Banca CARIM - Cassa di Risparmio di Rimini S.p.A.

393

3

Cassa di Risparmio di Bolzano S.p.A.

377

3

Cassa di Risparmio di Bra S.p.A.

329

3

Cassa di Risparmio di Cento S.p.A.

311

3

Cassa di Risparmio della Spezia S.p.A.

266

2

Cassa di Risparmio della Provincia di Viterbo S.p.A.

251

2

Cassa di Risparmio di Orvieto S.p.A.

237

2

Banca Cassa di Risparmio di Savigliano S.p.A.

200

2

Cassa di Risparmio di Volterra S.p.A.

194

1

Cassa di Risparmio della Provincia di Chieti S.p.A.

151

1

Cassa di Risparmio di Fermo S.p.A.

130

1

Cassa di Risparmio di Savona S.p.A.

123

1

TERCAS - Cassa di Risparmio della Provincia di Teramo S.p.A.

115

1

Cassa di Risparmio di Civitavecchia S.p.A.

111

1

Credito Valtellinese S.c.

101

1

Cassa di Risparmio di Carrara S.p.A.

101

1

CARILO - Cassa di Risparmio di Loreto S.p.A.

100

1

Cassa di Risparmio della Repubblica di S. Marino S.p.A.

36

Banca CARIPE S.p.A.

8

Banca Monte Parma S.p.A.

8

Cassa di Risparmio di Rieti S.p.A.

8

Cassa di Risparmio di Saluzzo S.p.A.

4

Banca del Monte di Lucca S.p.A.

2

TOTALI

300.000

535

 

Il comma 1 dell'articolo 4 ribadisce che la Banca d'Italia è:

§       istituto di diritto pubblico (articolo 20 del R.D.L. n. 375 del 1936 e articolo 19 della legge n. 262 del 2005);

§       banca centrale della Repubblica italiana e parte integrante del Sistema Europeo di Banche Centrali (articolo 2 del D.Lgs. n. 43 del 1998 e articolo 19 della legge n. 262 del 2005);

§       autorità nazionale competente nel meccanismo di vigilanza unico di cui all'articolo 6 del Regolamento (UE) n. 1024/2013 del Consiglio del 15 ottobre 2013.

 

Si ricorda che l’istituzione del meccanismo di vigilanza unico nell’autunno 2014 rappresenta uno dei passaggi previsti per la realizzazione dell’unione bancaria in Europa, volta a dare vita a un quadro finanziario integrato per salvaguardare la stabilità finanziaria e ridurre al minimo il costo dei fallimenti delle banche. Le sue componenti saranno il meccanismo di vigilanza unico e i nuovi quadri integrati di garanzia dei depositi e di risoluzione delle crisi degli enti creditizi.

Con il regolamento (UE) N. 1024/2013 del Consiglio del 15 ottobre 2013 sono stati attribuiti alla Banca centrale europea compiti specifici in merito alle politiche in materia di vigilanza prudenziale degli enti creditizi; in particolare, l'articolo 6 disciplina la cooperazione tra la BCE e le autorità nazionali nell'ambito del meccanismo di vigilanza unico.

 

La Banca d'Italia è indipendente nell'esercizio dei suoi poteri e nella gestione delle sue finanze, analogamente a quanto previsto per la BCE dall'articolo 282, par. 3, del Trattato UE.

 

L'articolo 19, comma 3, della legge n. 262 del 2005 prevede che le disposizioni normative nazionali, di rango primario e secondario, assicurano alla Banca d'Italia ed ai componenti dei suoi organi l'indipendenza richiesta dalla normativa comunitaria per il migliore esercizio dei poteri attribuiti nonché per l'assolvimento dei compiti e dei doveri spettanti.

L'articolo 1 dello Statuto stabilisce che, nell’esercizio delle proprie funzioni, la Banca d’Italia e i componenti dei suoi organi operano con autonomia e indipendenza nel rispetto del principio di trasparenza.

 

Il comma 2 autorizza la Banca d'Italia ad aumentare il proprio capitale mediante utilizzo delle riserve statutarie all'importo di 7,5 miliardi di euro.

 

Si ricorda che il previgente valore del capitale della Banca d'Italia, ai sensi dell'articolo 20 del R.D.L. n. 375 del 1936 (che viene abrogato dal successivo articolo 6, comma 2) ammontava a trecento milioni di lire, rappresentato da trecentomila quote di mille lire ciascuna interamente versate; ai sensi dell’articolo 3 dello Statuto il capitale ammontava a 156.000 euro, suddiviso in quote di partecipazione nominative di 0,52 euro ciascuna.

 

Per effetto delle modifiche apportate al provvedimento al Senato si specifica che il capitale, a seguito dell’aumento, verrà rappresentato da quote nominative di nuova emissione, di un importo che al Senato è stato innalzato da 20.000 a 25.000 euro ciascuna.

 

Come precisato dal Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, nell’Assemblea straordinaria dei partecipanti al capitale dell’Istituto del 23 dicembre 2013, il capitale viene portato a 7,5 miliardi di euro, rappresentato da quote nominative di partecipazione il cui valore è indicato dalla legge; quelle attuali verranno annullate e si procederà all’emissione di nuove quote. Per realizzare l’aumento di capitale, in assenza di indicazioni specifiche del legislatore, sentiti i pareri del Consiglio superiore e del Collegio sindacale, si utilizzano in parti uguali le riserve ordinaria e straordinaria.

I

Quanto al nuovo ammontare del capitale fissato dalla norma in esame, si ricorda come questo sia stato considerato congruo da una commissione di esperti indipendenti che ha redatto un rapporto. Analogamente si è espresso il Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, audito presso la 6° commissione Finanze e Tesoro del Senato il 12 dicembre 2013.

Il Ministro dell’Economia e delle Finanze, d’intesa con il Governatore della Banca d’Italia, ha pubblicato il 9 novembre 2013 il predetto rapporto sull'aggiornamento del valore delle quote di capitale della Banca d’Italia.

Il rapporto evidenzia anzitutto come l'assetto azionario dell'Istituto andrebbe rivisto prima di tutto perché i processi di concentrazione avvenuti negli ultimi anni hanno accresciuto la percentuale del capitale detenuta dai più grandi gruppi bancari; andrebbero inoltre evitati gli effetti negativi della legge n. 262 del 2005 laddove contempla un possibile trasferimento allo Stato della proprietà, mantenendo così l'indipendenza dell'Istituto dalle pressioni politiche; andrebbero infine modificate le norme che disciplinano la struttura proprietaria per chiarire che i partecipanti non hanno diritti economici sulla parte delle riserve della banca riveniente dal signoraggio, che deriva esclusivamente dalla funzione pubblica di emissione delle banconote.

Il modo più ovvio per ridurre la concentrazione dei partecipanti - si legge nel rapporto - consiste nell'introduzione di un limite massimo alla percentuale di quote detenibili da ciascun soggetto, ampliando allo stesso tempo la base azionaria. A tal fine, le quote dovrebbero essere facilmente trasferibili e in grado di attrarre potenziali acquirenti (investitori istituzionali con un orizzonte di lungo periodo).

Il rapporto ritiene pertanto necessario:

§       calcolare il valore corrente delle quote della Banca;

§       aumentare il valore del capitale della Banca, trasferendo una parte di riserve a capitale;

§       attribuire ai partecipanti un flusso futuro di dividendi, il cui valore attuale netto sia pari al valore corrente stimato delle azioni della Banca (ponendo contemporaneamente fine a ogni eventuale pretesa sulle riserve statutarie);

§       fissare un limite massimo alla quota di capitale detenibile da una singola istituzione o gruppo, stabilendo un intervallo temporale entro il quale cedere obbligatoriamente le quote eccedenti.

Secondo il rapporto la riforma, per essere equa, non deve incidere sul valore delle quote dei partecipanti. Questo risultato dipende dal valore del capitale della banca e dal tasso di dividendo adottato nel nuovo regime.

Per gli esperti, nelle attuali condizioni di mercato, qualora il capitale della banca venisse aumentato a 6-7 miliardi di euro e considerando un tasso di dividendo del 6% (360 o 420 milioni di termini assoluti), il valore delle azioni dopo la riforma si collocherebbe in un intervallo compreso tra 5 e 7,5 miliardi di euro. La riforma non modificherebbe i diritti economici dei partecipanti, garantendo un flusso futuro di dividendi il cui valore attuale netto è pari al valore corrente stimato delle azioni della Banca.

 

Ai sensi del comma 3, si fissa un tetto massimo ai dividendi, corrisposti annualmente, pari al 6 per cento del capitale.

 

Come sottolineato dal Governatore nella già citata audizione al Senato, poiché il capitale viene portato a 7,5 miliardi, l’ammontare massimo dei dividendi distribuibili ai partecipanti è di 450 milioni di euro. Rispetto alla situazione attuale, si passa da un dividendo ridotto, ma crescente indefinitamente negli anni futuri, a uno oggi più elevato ma soggetto a un tetto fisso nel tempo, mantenendo l’equivalenza tra il valore attuale dei due flussi di pagamenti.

Gli articoli 39 e 40 dello Statuto della Banca d'Italia prevedevano in passato la possibilità di accantonare annualmente alle riserve importi fino al 40 per cento degli utili netti dell’esercizio (tale misura, nel nuovo Statuto, è abbassata al 20 per cento).

Le norme previgenti destinavano i frutti relativi all’investimento delle riserve ad aumento delle riserve stesse, con una eccezione.

L'articolo 39 prevedeva in particolare che ai partecipanti fossero distribuiti dividendi per un importo fino al 10 per cento del capitale (ossia sino a un massimo di 15.600 euro; oggi, come già detto, tale limite è al 6 per cento).

L’articolo 40 stabiliva la possibilità, dai frutti annualmente percepiti sugli investimenti delle riserve, su proposta del Consiglio Superiore e con l’approvazione dell’assemblea ordinaria, di prelevare e distribuire - in aggiunta a quanto previsto dall’articolo 39 - una somma non superiore al 4 per cento dell’importo delle riserve medesime quali risultano dal bilancio dell’anno precedente. I partecipanti potevano quindi ricevere una somma aggiuntiva, prelevata dai frutti degli investimenti delle riserve, ma non superiore al 4 per cento di queste ultime.

Tale somma aggiuntiva - come evidenziato dal rapporto sull'aggiornamento del valore delle quote di capitale della Banca d’Italia sopra citato - ha costituito la vera remunerazione dei partecipanti negli ultimi decenni. L’importo distribuito si è sempre collocato su valori di gran lunga inferiori al limite massimo del 4 per cento delle riserve (negli ultimi 14 anni si è commisurato allo 0,5 per cento); per il 2012 sono stati distribuiti a tale titolo circa € 70 milioni.

 

Resta inalterato il sistema di riconoscimento all'erario degli utili netti previsto dall'articolo 39, comma 2, dello Statuto; il nuovo Statuto elimina – si veda in proposito il meccanismo di adattamento cui al successivo articolo 6, comma 5, lettera b) - la previsione (articolo 40, comma 3) che riconosce ai partecipanti pretese sull'importo delle riserve.

 

Nel parere del 27 dicembre u.s., la BCE ha sottolineato come il principio dell’indipendenza finanziaria sia uno degli aspetti dell’indipendenza delle banche centrali che fanno parte del Sistema europeo di banche centrali; esso esige che una banca centrale (BCN) disponga dei mezzi sufficienti non soltanto ad espletare i compiti connessi al SEBC o all’Eurosistema, ma anche quelli previsti nel proprio ambito nazionale, quali il finanziamento della propria gestione e delle proprie operazioni. L’indipendenza finanziaria implica altresì che la BCN sia sempre sufficientemente capitalizzata.

La BCE ha preso atto dell’autorizzazione ad aumentare il capitale della Banca d’Italia e del fatto che esso è stato determinato in stretta cooperazione con Banca d’Italia, che ha istituito un Comitato di esperti di alto livello per valutare il valore corrente delle proprie quote, in quanto considera fondamentale, dal punto di vista dell’indipendenza delle banche centrali, che tali decisioni siano concordate e adottate in stretta collaborazione con la BCN interessata.

Con riguardo all’indipendenza finanziaria, si è fatto presente che la Banca d’Italia dovrebbe essere sempre sufficientemente capitalizzata e trovarsi sempre in condizione di creare, consolidare e ricostituire riserve appropriate e commisurate al livello di rischio emergente dalla natura delle sue attività, incluse le riserve costituite da utili non distribuiti, al fine di preservare un adeguato livello di capitalizzazione. Il Comitato di esperti di alto livello istituito dalla Banca d’Italia ha proceduto alla valutazione sulla base di un Dividend discount model basato su parametri selezionati; tuttavia la BCE ha ritenuto che una valutazione così a lungo termine, in cui sono formulate supposizioni in merito ai futuri dividendi nell’arco di un periodo superiore a 20 anni, implichi l’utilizzo di dati congetturali in ordine alla quantificazione dei parametri chiave, ritenendo auspicabili ulteriori dettagli sui presupposti quantitativi alla base della valutazione. In ogni caso, la BCE raccomanda alla Banca d’Italia, essendo stata pienamente coinvolta nella valutazione e trovandosi nella posizione migliore per valutare il livello di capitale richiesto, di agire prudentemente e in conformità con i principi e gli obiettivi del SEBC all’atto di effettuazione dell’aumento di capitale.

 

Il comma 4, modificato durante l’esame al Senato, individua le categorie di investitori che possono acquisire le quote di partecipazione al capitale dell'Istituto.

Si tratta in particolare di:

§       banche aventi sede legale e amministrazione centrale in Italia; nella formulazione originaria del decreto, si consentiva la partecipazione anche alle banche con la sola sede legale italiana, nonché a quelle aventi sede legale e amministrazione centrale in uno Stato membro dell'Unione europea diverso dall'Italia;

§       imprese di assicurazione e di riassicurazione aventi sede legale e amministrazione centrale in Italia; nella formulazione originaria del decreto, si consentiva la partecipazione anche alle imprese assicurative con la sola sede legale italiana, ovvero aventi sede legale e amministrazione centrale in uno Stato membro dell'Unione europea diverso dall'Italia;

§       fondazioni bancarie di cui all'articolo 27 del decreto legislativo n. 153 del 1999;

§       enti ed istituti di previdenza ed assicurazione aventi sede legale in Italia; rispetto alla norma vigente, è introdotta la possibilità di partecipazione da parte dei fondi pensione (istituiti in Italia ai sensi dell'articolo 4, comma 1, del decreto legislativo n. 252 del 2005). Rispetto alla formulazione originaria del decreto-legge, le modifiche al Senato hanno escluso la possibilità di partecipare al capitale per i fondi pensione istituiti in UE ai sensi dell’articolo 15-ter dello stesso decreto legislativo n. 252 del 2005.

 

Il Governatore Visco, nella citata Audizione del 13 dicembre, aveva chiarito che la decisione di aprire il capitale della Banca a soggetti di altri Paesi dell’Unione era una decisione politica e che non contrastava con la collocazione dell’Istituto nella governance economica europea, in quanto restano ferme la non ingerenza dei partecipanti negli affari istituzionali stabilita dalla legge nazionale in conformità con i Trattati Europei, nonché la delimitazione dei loro diritti patrimoniali che il decreto legge precisa e circoscrive.

 

Banche, assicurazione, fondazioni, enti ed istituti di previdenza ed assicurazione già possono acquisire quote di partecipazione, mentre per i fondi pensioni la norma introduce una innovazione.

La norma chiarisce altresì che tutte le banche possono partecipare al capitale dell'Istituto.

 

Attualmente solo le banche succedute nelle posizioni giuridiche delle aziende creditizie considerate dalla legge n. 375 del 1936 (casse di risparmio, istituti di credito di diritto pubblico, banche di interesse nazionale) risultano pienamente legittimate al possesso delle quote.

 

Il comma 4-bis dispone che, ove le banche e le imprese di assicurazione partecipanti al capitale della Banca d’Italia dovessero perdere il requisito di sede legale o di amministrazione centrale in Italia, si proceda alla vendita delle quote a favore di un soggetto in possesso dei requisiti di territorialità richiesti dalle norme, con sospensione del relativo diritto di voto fino alla vendita delle predette quote rimane sospeso il relativo diritto di voto.

 

Di conseguenza, con le modifiche apportate al Senato, come già rilevato supra, viene esclusa – rispetto al testo originario della norma – la possibilità che banche, assicurazioni e fondi pensione di stati membri dell'Unione europea partecipino al capitale della Banca.

Sul punto, il Ministero dell'economia e delle finanze (con comunicato n. 239 del 2 dicembre 2013) ha ribadito come - in conformità ai Trattati europei ed ai principi di libertà in essi contenuti - non sia possibile escludere che i soggetti autorizzati a partecipare al capitale della Banca d’Italia possano avere anche sede legale e amministrazione centrale in uno Stato dell’Unione diverso dall’Italia.

Occorrerebbe dunque verificare la compatibilità della modifica così intervenuta con la summenzionata disciplina europea.

 

Ai sensi del comma 5, anch’esso modificato al Senato, ciascun partecipante non può possedere una quota di capitale superiore al 3 per cento (ammontare così modificato per effetto dell’esame nell’altro ramo del Parlamento) né direttamente né indirettamente.

Durante l’esame al Senato è stato specificato che, ai fini del calcolo delle partecipazioni indirette si deve fa riferimento alle definizioni di controllo dettate dagli ordinamenti di settore dei quotisti.

 

Per le quote in eccesso:

§       non spetta il diritto di voto;

§       i relativi dividendi sono imputati alle riserve statutarie della Banca d'Italia.

 

Attualmente Intesa Sanpaolo S.p.A. (30,3 per cento), UniCredit S.p.A. (22,1 per cento), Assicurazioni Generali S.p.A. (6,3 per cento) e Cassa di Risparmio in Bologna S.p.A. (6,3 per cento) possiedono quote in ammontare superiore al 5 per cento del capitale; l'INPS possiede quote pari al 5 per cento.

SI segnala peraltro come il limite al diritto di voto sia inferiore a quello in precedenza previsto dallo Statuto: ai sensi del previgente articolo 9 dello Statuto, avevano diritto di intervenire all’assemblea i partecipanti titolari, da almeno tre mesi, di 100 o più quote di partecipazione. I partecipanti aventi diritto di intervenire avevano un voto per ogni 100 quote sino a 500 quote, ed un voto per ogni 500 quote in più delle 500, purché ne fossero titolari da non meno di tre mesi. Ciascun partecipante non aveva diritto in alcun caso a più di 50 voti.

Il novellato articolo 9 ha assegnato il diritto di intervenire e votare in assemblea a coloro che sono iscritti nel registro dei partecipanti da almeno tre mesi. I partecipanti che siano titolari di un numero di quote inferiore allo 0,1 per cento del capitale possono intervenire ed esprimere il proprio voto solo facendosi rappresentare da un altro partecipante. Ogni partecipante avente diritto può intervenire per il tramite del proprio rappresentante legale o di altra persona, che non faccia parte del Consiglio superiore della Banca né del Collegio sindacale, munita di procura speciale. Ogni intervenuto non può rappresentare più di quattro partecipanti.

 

Il comma 6, modificato al Senato, consente alla Banca d'Italia di acquistare temporaneamente le proprie quote di partecipazione e stipulare contratti aventi ad oggetto le medesime, al fine di favorire il rispetto dei limiti di partecipazione al proprio capitale fissati dal precedente comma.

Per tali quote il diritto di voto viene sospeso e i dividendi sono imputati alle riserve statutarie della Banca d'Italia.

 

Tali operazioni:

§       sono autorizzate dal Consiglio Superiore, con il parere favorevole del Collegio Sindacale;

§       sono effettuate con i soggetti appartenenti alle categorie individuate dal comma 4 (banche, imprese di assicurazione e riassicurazione, enti ed istituti di previdenza ed assicurazione aventi sede legale in Italia e fondi pensione;

§       sono realizzate con modalità tali da assicurare trasparenza, parità di trattamento e, per effetto delle modifiche apportate al Senato, salvaguardia del patrimonio della Banca d'Italia, con riferimento al presumibile valore di realizzo.

 

La BCE, nel citato parere del 27 dicembre 2013, prende atto che la possibilità, per Banca d’Italia, di effettuare dette operazioni di acquisto può comportare un trasferimento di risorse finanziarie agli azionisti. Le modalità di tali operazioni non sono definite nel decreto legge; raccomanda dunque che esse, per quanto di carattere temporaneo, siano conformi a tutte le pertinenti normative dell'Unione.

 

Il comma 6-bis), inserito al Senato, introduce l’obbligo dell’Istituto di riferire annualmente alle Camere sulle operazioni di partecipazione al proprio capitale.


 

Articolo 5
(Organi della Banca d'Italia)

 

 

L’articolo 5 detta disposizioni concernenti gli organi della Banca d'Italia, in particolare disponendo che né l'Assemblea dei partecipanti, né il Consiglio superiore della Banca d'Italia abbiano ingerenza nelle materie relative all'esercizio delle funzioni istituzionali dell'Istituto. Inoltre sono recate norme sulla composizione del predetto Consiglio Superiore e sui requisiti dei partecipanti.

 

Si rammenta preliminarmente che il D.P.R. 27 dicembre 2013 ha concluso l'iter di approvazione delle modifiche allo Statuto della Banca d'Italia, indotte dal decreto legge in esame.

Anche nell’attuale assetto statutario la governance della Banca d’Italia è affidata ai seguenti organi centrali: l’Assemblea dei partecipanti, il Consiglio superiore, il Direttorio, il Collegio sindacale, il Governatore, il Direttore generale e i tre Vice direttori generali.

In estrema sintesi, l’assemblea generale ordinaria dei partecipanti si riunisce annualmente, non più tardi del 31 maggio, per deliberare sull’approvazione del bilancio, sul riparto degli utili e, ove occorra, sulla nomina dei sindaci e del Presidente del Collegio sindacale. L’assemblea straordinaria è l’organo competente a deliberare le modifiche statutarie; le assemblee ordinarie deliberano su ogni altra materia prevista dallo Statuto.

Il consiglio superiore è l'organo cui spetta l'amministrazione generale nonché la vigilanza sull'andamento della gestione e il controllo interno della Banca. Nomina, su proposta del Governatore, il Direttore generale e i vice Direttori generali e concorre, fornendo un parere, alla procedura di nomina del Governatore. Ha competenze su aspetti gestionali, organizzativi e contabili: adotta le deliberazioni riguardanti l'articolazione territoriale e l'assetto organizzativo generale della Banca, approva il bilancio annuale di previsione degli impegni di spesa e gli accordi stipulati con le organizzazioni sindacali e viene informato dal Governatore sui fatti rilevanti concernenti l'amministrazione della Banca. Il Consiglio superiore si compone del Governatore e di tredici consiglieri nominati nelle assemblee dei partecipanti presso le sedi della Banca.

Il Direttorio è un organo collegiale, costituito dal Governatore, dal Direttore generale e da tre Vice direttori generali, competente per l’assunzione dei provvedimenti aventi rilevanza esterna relativi all’esercizio delle funzioni pubbliche attribuite dalla legge alla Banca per il perseguimento delle finalità istituzionali, con esclusione delle decisioni rientranti nelle attribuzioni del SEBC. Le deliberazioni sono assunte a maggioranza dei presenti; in caso di parità prevale il voto del Governatore. Delle riunioni viene redatto apposito verbale.

Il Governatore rappresenta la Banca d’Italia di fronte ai terzi in tutti gli atti e contratti e nei giudizi. Ha le competenze e i poteri riservati alla carica dal trattato, dallo statuto del SEBC e dalle relative disposizioni applicative e attuative comunitarie e interne; dura in carica sei anni ed il mandato è rinnovabile per una sola volta.

Il Direttore generale ha la competenza per gli atti di ordinaria amministrazione ed attua le deliberazioni del Consiglio superiore; coadiuva il Governatore nell’esercizio delle sue attribuzioni e lo surroga nel caso di assenza o d’impedimento.

I Vice direttori generali coadiuvano il Direttore generale nell’esercizio delle sue attribuzioni.

Il Collegio sindacale svolge funzioni di controllo sull’amministrazione della Banca per l’osservanza della legge, dello Statuto e del Regolamento generale. Si compone di cinque membri effettivi, tra cui il Presidente, e due supplenti, nominati dall’Assemblea dei partecipanti, che rimangono in carica tre anni e sono rieleggibili non più di tre volte.

 

Il comma 1 dell'articolo 5 stabilisce che l'Assemblea dei partecipanti e il Consiglio superiore della Banca d'Italia non abbiano ingerenza nelle materie relative all'esercizio delle funzioni istituzionali dell'Istituto.

Si tratta in particolare delle funzioni pubbliche attribuite alla Banca d'Italia o al Governatore per il perseguimento delle finalità istituzionali dal Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea, dallo Statuto del SEBC e della BCE, dalla normativa dell'Unione Europea e dalla legge.

 

La norma riprende, ampliandolo, il principio contenuto al comma 1 dell'articolo 5 del D.Lgs.C.P.S. n. 691 del 1947, secondo il quale il Consiglio superiore della Banca d'Italia (che è organo nominato dai partecipanti al capitale) non ha ingerenza nella materia devoluta dall'articolo 1 al Comitato Interministeriale (ossia la vigilanza in materia di tutela del risparmio, in materia di esercizio della funzione creditizia e in materia valutaria). Tale disposizione viene conseguentemente soppressa dal successivo articolo 6, comma 3, cui si fa rinvio.

 

Il comma 2 prevede che il Consiglio Superiore della Banca d'Italia si compone del Governatore e di 13 consiglieri, nominati nelle assemblee dei partecipanti presso le sedi della Banca, fra i candidati individuati da un comitato costituito all'interno dello stesso Consiglio tra persone che posseggano i requisiti di indipendenza, onorabilità e professionalità previsti dallo Statuto della Banca d'Italia.

 

Si segnala che lo Statuto della Banca d'Italia, nella formulazione precedente, già prevedeva tale composizione del Consiglio superiore (Governatore e 13 consiglieri nominati nelle assemblee dei partecipanti presso le sedi della Banca): la novità consiste pertanto nell'istituzione di apposito comitato a cui viene affidato il compito di selezionare una lista di candidati, in possesso dei requisiti di indipendenza, onorabilità e professionalità, da sottoporre per l'elezione alle assemblee presso le sedi della Banca.


 

Articolo 6
(Disposizioni di coordinamento e altre disposizioni)

 

 

L’articolo 6, modificato durante l’esame al Senato, detta varie disposizioni (in particolare, abrogazioni e norme di coordinamento) concernenti il nuovo assetto e la governance della Banca d'Italia.

In primo luogo, sono soppressi i poteri di sospensione e di annullamento delle delibere dell'assemblea e del Consiglio superiore della Banca d’Italia da parte del delegato governativo e del Ministro dell'economia e delle finanze. In secondo luogo sono abrogate le disposizioni incompatibili con le modifiche apportate alla disciplina del capitale e degli organi della Banca d'Italia.

SI prevede il conseguente adeguamento dello Statuto della Banca d’Italia alle disposizioni introdotte dal testo in esame, entro sei mesi dalla loro entrata in vigore; si segnala che l’iter di emanazione del nuovo Statuto si è concluso con l’emanazione del decreto del Presidente della Repubblica del 27 dicembre 2013.

Il comma 6 dispone che - a partire dall'esercizio in corso al 30 novembre 2013 - le quote di partecipazione al capitale di Banca d'Italia siano iscritte nel comparto delle attività destinate alla negoziazione.

Il comma 6-bis, introdotto al Senato, autorizza la Banca d'Italia a procedere alla dematerializzazione delle quote di partecipazione al proprio capitale.

Infine, ai sensi del comma 6-ter (anch’esso introdotto al Senato) si anticipa al 31 dicembre 2013 l’entrata in vigore del nuovo Statuto della Banca d'Italia (approvato con decreto del Presidente della Repubblica del 27 dicembre 2013).

 

Il comma 1 sostituisce l'articolo 114 del con regio decreto 28 aprile 1910, n. 204, che disciplina la partecipazione del governo alle sedute dell'Assemblea e del Consiglio della Banca d'Italia e che, nella sua formulazione previgente, consentiva la sospensione delle delibere e il loro successivo annullamento.

 

Il testo previgente dell'articolo 114 prevedeva in particolare che la direzione generale della Banca d'Italia dovesse informare volta per volta, e in tempo utile, il Ministro del tesoro del giorno e dell'ora fissati per la convocazione dell'assemblea generale degli azionisti, per le adunanze del Consiglio superiore e per quelle della Commissione liquidatrice della Banca romana, inviando contemporaneamente un elenco degli affari da trattarsi. Eguali comunicazioni erano da farsi dai Banchi di Napoli e di Sicilia per le adunanze del Consiglio generale e del Consiglio centrale di amministrazione.

Si specificava che alle sedute dell'assemblea, dei Consigli e della Commissione suddetta assistesse un ispettore governativo, o, in sua vece, un funzionario a ciò delegato dal Ministro del tesoro, con facoltà di sospendere l'esecuzione delle deliberazioni che creda contrarie alle leggi, ai regolamenti e agli statuti. Alla conferma della sospensione il Ministro medesimo poteva far seguire l'annullamento della deliberazione, quando questa sia riconosciuta contraria alle leggi, ai regolamenti ed agli statuti

 

Nel testo del novellato articolo 114 vengono soppressi i poteri di sospensione e di annullamento da parte del delegato governativo e del Ministro dell'economia e delle finanze sulle delibere dell'assemblea e del Consiglio superiore.

 

Si ricorda al riguardo che l'articolo 3, comma 3, del decreto legislativo n. 43 del 1998 aveva già limitato i suddetti poteri di sospensione ed annullamento posti in capo al governo (disposizione peraltro abrogata dal successivo comma 4 dell'articolo in esame).

Il comma 3 dell'articolo 3 citato prevede infatti che i poteri di sospensione e di annullamento previsti dagli articoli 114 e 115 del testo unico delle leggi sugli istituti di emissione non si applicano alle determinazioni del Consiglio superiore della Banca d'Italia adottate nelle materie rientranti nelle competenze del SEBC e, in particolare, a quelle aventi per oggetto le banconote, le norme e le condizioni per le operazioni della Banca e la nomina dei corrispondenti della Banca all'interno e all'estero.

 

Rimane invece l'obbligo, da parte della Banca d'Italia, di informare il Ministro dell'Economia e delle finanze riguardo alle convocazioni dell'assemblea generale dei partecipanti e alle adunanze del Consiglio superiore, così come viene mantenuto il potere governativo di inviare un proprio rappresentante (o un funzionario delegato dal Ministro dell'Economia e delle finanze) ad assistere alle assemblee ordinarie dei partecipanti ed alle sedute del Consiglio superiore dell'Istituto.

 

Il comma 2 abroga una serie di disposizioni che risultano incompatibili con le modifiche apportate alla disciplina della Banca d'Italia dagli articoli 4 e 5 e, in particolare:

§       l'articolo 115 del regio decreto 28 aprile 1910, n. 204, concernente il potere del Ministro dell'economia di sospendere ed annullare direttamente una deliberazione dell'Assemblea o del Consiglio ritenuta contraria alle leggi, agli statuti e ai regolamenti;

§       gli articoli 20, 21 e 22 del regio decreto-legge 12 marzo 1936, n. 375.

L'articolo 20 recava disposizioni sul capitale della Banca, sulle quote (modificate dall’articolo 4 del provvedimento in esame) e sulla composizione del Consiglio superiore della Banca (modificata dall’articolo 5 del provvedimento in esame). Si rinvia alle relative schede di lettura per approfondimenti.

 

Ulteriori abrogazioni vengono disposte dai commi 3 e 4 dell'articolo in esame. Sono abrogati in particolare:

§       il comma 1 dell'articolo 5, del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 17 luglio 1947, n. 691, ai sensi della quale il Consiglio superiore della Banca d'Italia non aveva ingerenza nella materia devoluta dall'articolo 1 al Comitato Interministeriale per il credito ed il risparmio (ossia in materia di tutela del risparmio, in materia di esercizio della funzione creditizia e in materia valutaria);

§       il comma 3, dell'articolo 3, del decreto legislativo 10 marzo 1998, n. 43, essa, coma già visto supra, prevedeva che i poteri di sospensione e di annullamento previsti dagli articoli 114 e 115 del testo unico delle leggi sugli istituti di emissione non si applicassero alle determinazioni del Consiglio superiore della Banca d'Italia adottate nelle materie rientranti nelle competenze del SEBC e, in particolare, a quelle aventi per oggetto le banconote, le norme e le condizioni per le operazioni della Banca e la nomina dei corrispondenti della Banca all'interno e all'estero;

§       il comma 10 dell'articolo 19, della legge 28 dicembre 2005, n. 262. Tale norma prevedeva la ridefinizione con regolamento dell'assetto proprietario della Banca d'Italia e la disciplina del trasferimento delle quote di partecipazione al capitale della Banca d'Italia in possesso di soggetti diversi dallo Stato o da altri enti pubblici (per cui si veda l’articolo 4 del provvedimento in esame).

Al riguardo, si segnala che nel rapporto sull'aggiornamento del valore delle quote di capitale della Banca d’Italia (su cui si veda più diffusamente nella scheda relativa all'articolo 4) si raccomanda di evitare il dispiegarsi degli effetti negativi della legge n. 262 del 2005, mai attuata, che contempla un possibile trasferimento allo Stato della proprietà della Banca. Secondo il rapporto, infatti, l’equilibrio che per anni ha assicurato l’indipendenza dell’Istituto, preservandone la capacità di resistere alle pressioni politiche, non andrebbe alterato.

 

Il comma 5 dell’articolo 6 prevede l'adeguamento dello Statuto della Banca d’Italia alle disposizioni introdotte dal testo in esame, con le modalità previste dal decreto legislativo n. 43 del 1998 (articolo 10, comma 2), entro sei mesi dalla loro entrata in vigore (ovvero entro il 30 maggio 2014).

La norma esplicita una serie di principi direttivi da tenere in considerazione per l'adeguamento statutario.

 

In base al comma 2 dell'articolo 10 citato le modifiche dello Statuto della Banca sono deliberate dall'assemblea straordinaria dei partecipanti e sono approvate dal Presidente della Repubblica con proprio decreto, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri.

 

Si segnala che con l’emanazione del decreto del Presidente della Repubblica del 27 dicembre 2013 (deliberato dall'assemblea straordinaria del 23 dicembre 2013 e pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 31 dicembre 2013) si è concluso l’iter di approvazione delle modifiche allo Statuto della Banca d’Italia, indotte dal decreto legge in esame come pubblicato nella Gazzetta Ufficiale.

 

In estrema sintesi, le principali innovazioni riguardano: l’aumento di capitale a 7,5 miliardi di euro mediante utilizzo delle riserve statutarie; la limitazione dei diritti economici dei partecipanti alla distribuzione di dividendi annuali, a valere sugli utili netti, per un importo non superiore al 6% del capitale; i soggetti legittimati a detenere quote del capitale della Banca; l’introduzione di un limite individuale al possesso di quote del capitale e la sterilizzazione dei diritti di governance ed economici per la parte detenuta in eccesso rispetto a tale limite; la facoltà per la Banca d'Italia di acquistare quote in via temporanea, al fine di favorire il rispetto del limite partecipativo.

Lo Statuto ribadisce il principio, costantemente seguito nella prassi, che l’Assemblea dei partecipanti e il Consiglio superiore non hanno alcun potere di intervento sull’esercizio delle funzioni istituzionali della Banca, confermando la validità del sistema di governo dell’Istituto, che ne ha assicurato nel corso degli anni l’autonomia e l’indipendenza.

Per quanto riguarda il Consiglio superiore, viene recepita l’indicazione legislativa di istituire al suo interno un Comitato nomine, con il compito di vagliare il possesso, da parte dei candidati alla nomina o alla rielezione, di specifici requisiti di professionalità, onorabilità e indipendenza. Particolarmente analitica è la disciplina dell’indipendenza, che definisce una casistica articolata con riferimento al potere politico, agli organi di governo centrale e locale e ai soggetti vigilati, escludendo ogni forma di conflitto di interessi con la Banca.

 

Si segnala che i princìpi e criteri direttivi recati dall’articolo in commento in ordine all’adeguamento dello Statuto sono stati in parte modificati per effetto dell’esame del provvedimento al Senato.

 

In particolare, lo Statuto deve:

a)   mantenere adeguati presidi patrimoniali alla rischiosità, in coerenza con gli orientamenti del SEBC;

b)   limitare i diritti patrimoniali dei partecipanti a quanto previsto all'articolo 4, commi 2 e 3 del provvedimento in esame (in materia di partecipazione al capitale e distribuzione di dividendi sugli utili netti);

c)   prevedere un periodo di adeguamento - non superiore a 36 mesi, soglia così innalzata, dagli originari 24 mesi, durante l’esame al Senato - durante il quale, per le quote di partecipazione eccedenti la soglia del 3 per cento del capitale non spetta il diritto di voto, ma sono riconosciuti i relativi dividendi. Tale periodo di adeguamento decorre dal completamento dell'aumento di capitale all'importo di euro 7.500.000.000, disposto dall'articolo 4, comma 2.

Come sottolineato dal Governatore Visco nella Relazione all’Assemblea straordinaria dei Partecipanti al capitale della Banca d’Italia, tenutasi il 23 dicembre u.s., in tema di capitale e organi, per assicurare al testo maggiore flessibilità e capacità di adattamento rispetto a eventuali modifiche in sede di conversione del D.L. 133/2013, viene operato un rinvio alla legge per quanto riguarda le categorie dei partecipanti, il limite alla singola partecipazione e il periodo transitorio durante il quale alle quote eccedenti il limite sono riconosciuti i dividendi, con esclusione del diritto di voto.

d)   abrogazione della clausola di gradimento alla cessione delle quote, che può avvenire solo fra gli investitori autorizzati a detenere appartenenti alle categorie indicate all'articolo 4, comma 4 (banche aventi sede legale e amministrazione centrale in Italia; imprese di assicurazione e riassicurazione aventi sede legale e amministrazione centrale in Italia; fondazioni bancarie, enti ed istituti di previdenza ed assicurazione aventi sede legale in Italia e fondi pensione istituiti italiani).

Si tratta della disposizione, contenuta al previgente articolo 3, comma 2 dello Statuto, secondo la quale il trasferimento delle quote doveva avvenire, su proposta del Direttorio, solo previo consenso del Consiglio superiore, nel rispetto dell’autonomia e dell’indipendenza dell’Istituto e della equilibrata distribuzione delle quote.

 

Per effetto delle modifiche apportate al Senato, nello Statuto deve rimanere ferma la verifica, da parte del Consiglio superiore della Banca d'Italia, del rispetto dei limiti di partecipazione al capitale, nonché della ricorrenza dei requisiti di onorabilità in capo agli esponenti e alla compagine sociale dei soggetti acquirenti, con riferimento ai rispettivi ordinamenti di appartenenza. Ove tali requisiti non fossero soddisfatti, il Consiglio annulla la cessione delle quote.

 

Si segnala che lo Statuto, all’articolo 19, comma 3, lettera l), prevede che il Consiglio vigili sul rispetto dei requisiti di partecipazione al capitale della Banca, nonché sulla ricorrenza dei requisiti di onorabilità in capo agli esponenti aziendali e ai partecipanti dei soggetti acquirenti previsti dalla disciplina normativa e statutaria a questi applicabile.

Si segnala, tuttavia, che il nuovo Statuto non contiene la sanzione dell’annullabilità della cessione delle quote.

 

Il comma 6, modificato al Senato al fine di costituire un mercato per le quote della Banca d’Italia, dispone che i partecipanti al capitale della Banca d'Italia, a partire dall’esercizio in corso al 30 novembre 2013 (data di entrata in vigore del decreto in esame) iscrivano le relative quote, ove già non incluse, nel comparto delle attività finanziarie detenute per la negoziazione (portafoglio di trading).

Restano in ogni caso ferme le disposizioni di cui all'articolo 4 del decreto legislativo 28 febbraio 2005, n. 38, che obbliga alcune tipologie societarie (tra cui banche ed assicurazioni) a redigere il bilancio di esercizio in conformità ai princìpi contabili internazionali.

Si segnala al riguardo che l’articolo 1, comma 148 della legge di stabilità 2014 (legge n. 147 del 2013) dispone che al predetto trasferimento delle quote all’interno delle scritture contabili dei partecipanti al capitale della Banca d’Italia si applichino alcune disposizioni del DM 8 giugno 2011 e, in particolare le disposizioni concernenti (articolo 4) la valenza fiscale attribuita agli strumenti finanziari sottoposti a riclassificazione.

 

Il richiamato decreto ministeriale del 8 giugno 2011 reca norme di coordinamento tra alcuni principi contabili internazionali (di cui al regolamento (CE) n. 1606/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 luglio 2002, adottati con regolamenti UE, entrati in vigore nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2009 e il 31 dicembre 2010) e le regole di determinazione della base imponibile dell'IRES e del'IRAP. Tra i richiamati regolamenti vi è il regolamento n. 1171/2009 del 30 novembre 2009, che ha recepito le modifiche apportate all'IFRIC 9 e allo IAS 39, che assume particolare rilevanza per le banche e le istituzioni finanziaria.

Lo IAS 39 definisce i criteri contabili per la rilevazione, valutazione e informativa di bilancio relativi alle attività e passività finanziarie. Dal tipo di classificazione delle attività finanziarie dipende il criterio di valutazione adottato, fair value o costo ammortizzato. Secondo i principi contabili internazionali IAS/IFRS il fair value è il corrispettivo al quale un’attività può essere scambiata, o una passività estinta, tra parti consapevoli e disponibili, in una transazione tra terzi indipendenti. Si tratta dunque non del prezzo, ma di un valore stimato come “ragionevole” o “equo” in un’eventuale transazione sul mercato.

Tra le attività finanziarie, lo IAS 39 individua anche la categoria delle attività finanziarie dette di fair value through profit and loss (FVTPL), ovvero quelle rilevate al fair value, suddivise in due sottoportafogli: il primo riguarda le attività “held for trading” (HFT) cioè attività detenute a scopo di negoziazione. In tale sottocategoria vanno compresi i titoli e le partecipazioni facenti parte dell’attivo circolante e destinate ad essere negoziati nel breve periodo con l’obiettivo di ottenere vantaggi dalle fluttuazioni dei prezzi; il secondo sottoportafoglio, invece, comprende le attività finanziarie designate al fair value per opzione, le fair value option (FVO). Analogamente, la circolare della Banca d’Italia n. 262 del 2005 specifica che alla voce “attività finanziarie detenute per la negoziazione” figurano tutte le attività finanziarie (titoli di debito, titoli di capitale, finanziamenti, derivati ecc.) allocate nel portafoglio di negoziazione, ivi inclusi i derivati scaduti e quelli deteriorati.

Il richiamato articolo 4 del DM 8 giugno 2011 prevede che, ove uno strumento finanziario sia riclassificato in una delle categorie previste dallo IAS 39 (come nell’ipotesi de qua: la quota di partecipazione al capitale della Banca d’Italia è ex lege classificata come attività detenuta per la negoziazione), che comporta il passaggio ad un diverso regime fiscale dello strumento stesso, il valore dello strumento finanziario iscritto nella nuova categoria, quale risultante da atto di data certa e, in ogni caso, dal bilancio d'esercizio approvato successivamente alla data di riclassificazione, assume rilievo fiscale; esso diventa dunque rilevante ai fini della determinazione delle imposte sui redditi e dell’IRAP.

In particolare, il differenziale tra il valore di riclassificazione e quello fiscalmente riconosciuto prima della riclassificazione dello strumento finanziario in un'altra categoria tra quelle contemplate dallo IAS 39, rileva secondo la disciplina fiscale applicabile allo strumento finanziario prima della riclassificazione.

Il predetto comma 148 della legge di stabilità 2014 consente:

§       di applicare l’articolo 4 sul rilievo fiscale delle attività riclassificate in una categoria IAS 39 all’ipotesi de qua (la quota di partecipazione al capitale della Banca d’Italia è ex lege classificata come attività detenuta per la negoziazione), qualunque fosse la categoria in cui le quote erano precedentemente classificate;

§       di sottoporre i maggior valori derivanti dalla riclassificazione contabile delle quote (che le attività detenute per la negoziazione sono infatti valutate al fair value), aventi rilievo fiscale, all’imposta sostitutiva al 12 per cento (di cui al comma 143 della legge di stabilità, per i beni non ammortizzabili), in luogo della sottoposizione a IRES e IRAP secondo le regole generali.

 

In ordine alle modifiche allo Statuto della Banca d’Italia disposte dal presente articolo, la Banca Centrale Europea, nel parere reso il 27 dicembre 2013, ha preso atto del fatto che le regole specifiche relative all’imposizione di limiti alla detenzione di quote della Banca d’Italia e ulteriori chiarimenti in ordine a possibili operazioni di acquisto delle proprie quote, unitamente ai relativi limiti temporali, sarebbero stati introdotti per mezzo di modifiche allo Statuto della Banca d’Italia.

Per quanto concerne la collocazione delle partecipazioni nel comparto delle attività finanziarie detenute per la negoziazione, si auspica che la ricapitalizzazione risulti sempre pienamente conforme al quadro prudenziale e al sistema contabile dell’Unione e, in particolare, che le regole sulla riclassificazione degli strumenti finanziari di cui agli IAS e IFRS siano rispettate. Si auspica inoltre una coerente applicazione dei principi guida dettati dagli IFRS in materia di stima del fair value degli stessi strumenti.

 

Il comma 6-bis, introdotto al Senato, autorizza la Banca d'Italia a procedere alla dematerializzazione delle quote di partecipazione al proprio capitale. Il trasferimento delle quote ha luogo, previa verifica del rispetto dei requisiti di cui al comma 5, lettera d) (rispetto dei limiti di partecipazione al capitale, nonché della ricorrenza dei requisiti di onorabilità in capo agli esponenti e alla compagine sociale dei soggetti acquirenti), mediante scritturazione sui conti aperti dalla Banca d'Italia a nome dei partecipanti.

Trova applicazione l'articolo 2355, quinto comma, del codice civile (il trasferimento si opera mediante scritturazione sui conti destinati a registrare i movimenti degli strumenti finanziari; in tal caso, se le azioni sono nominative, si applica il terzo comma e la scritturazione sul conto equivale alla girata) e, in quanto compatibili con le disposizioni del presente comma e dello Statuto della Banca d'Italia, le disposizioni di cui al titolo II, capo II, della parte III del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (recante la disciplina della gestione accentrata in regime di dematerializzazione).

 

La dematerializzazione degli strumenti finanziari consiste nella trasformazione del certificato cartaceo in una scrittura contabile su di un registro elettronico. La dematerializzazione può assumere differenti forme: si parla di dematerializzazione impropria quando essa è limitata alla semplice fase di circolazione, mentre si parla di vera dematerializzazione quando vi è la soppressione totale del documento.

 

Infine, ai sensi del comma 6-ter (anch’esso introdotto al Senato) anticipa l’entrata in vigore dello Statuto della Banca d'Italia (deliberato dall'assemblea straordinaria del 23 dicembre 2013, approvato con decreto del Presidente della Repubblica del 27 dicembre 2013 e pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 31 dicembre 2013) al 31 dicembre 2013 (in luogo dell’ordinario termine di vacatio legis del 15 gennaio 2014), disponendo contestualmente che il bilancio per l'anno 2013 della Banca sia redatto secondo le relative disposizioni.


 

Articolo 7
(Disposizioni in materia di accise)

 

 

L’articolo 7 - non modificato al Senato - reca disposizioni di coordinamento in materia di accise, precisando che gli incrementi di accisa su birra, prodotti alcolici intermedi e all'alcole etilico, previsti a copertura di alcune norme di tutela dei beni culturali e del finanziamento del tax credit nel settore cinematografico (disposte dall’articolo 15, comma 2, lettere e-bis) ed e-ter) del decreto-legge n. 91 del 2013), si riferiscono alle aliquote di accisa come successivamente rideterminate dall'articolo 25 del decreto-legge n. 104 del 2013.

 

Si rammenta che, per effetto del combinato disposto dei decreti-legge n. 91 del 2013 (articolo 14, comma 2) e n. 104 del 2013 (articolo 25) sono stati disposti successivi aumenti delle aliquote di accisa relative alla birra, ai prodotti alcolici intermedi e all'alcole etilico.

 

In particolare, sono aumentate dal 10 ottobre 2013 le seguenti aliquote:

§       birra: euro 2,66 per ettolitro e per grado-Plato;

§       prodotti alcolici intermedi: euro 77,53 per ettolitro;

§       alcole etilico: euro 905,51 per ettolitro anidro.

 

Inoltre (a fini di coordinamento con quanto disposto dal D.L. n. 91 del 2013) a decorrere dal 1° gennaio 2014 sono disposti i seguenti aumenti:

§       birra: euro 2,70 per ettolitro e per grado-Plato;

§       prodotti alcolici intermedi: euro 78,81 per ettolitro;

§       alcole etilico: euro 920,31 per ettolitro anidro.

 

Infine, a decorrere dal 1° gennaio 2015 gli incrementi saranno i seguenti:

§       birra: euro 2,99 per ettolitro e per grado-Plato;

§       prodotti alcolici intermedi: euro 87,28 per ettolitro;

§       alcole etilico: euro 1019,21 per ettolitro anidro.

 

In aggiunta a tali disposizioni, le lettere e-bis) ed e-ter) del comma 2 dell'articolo 15 del decreto-legge n. 91 del 2013 hanno previsto ulteriori incrementi delle aliquote di accisa relative alla birra, ai prodotti alcolici intermedi e all'alcole etilico, a copertura, rispettivamente, dell'articolo 5, commi 3 e 3-bis (restauro del Mausoleo di Augusto, tutela di beni culturali e celebrazioni di particolari ricorrenze), e dell'articolo 8 (tax credit cinema) del medesimo decreto-legge.

L’incremento, deve essere tale da garantire un maggior gettito netto pari almeno a 8 milioni di euro per l'anno 2014 (lett. e-bis) e a 20 milioni di euro a decorrere dall'anno 2014 (lett. e-ter).

 

Con la norma in esame si precisa che gli incrementi di accisa previsti dalle citate lettere e-bis) ed e-ter) si riferiscono alle aliquote di accisa come rideterminate dall'articolo 25 del decreto-legge n. 104 del 2013.

Tali ulteriori incrementi sono stati definiti con la determinazione del Direttore dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli del 23 dicembre 2013, n. 145744, pubblicata sul sito internet della Agenzia stessa, nelle seguenti misure:.

a) dal 1° marzo 2014:

- birra: euro 2,77 per ettolitro e per grado-Plato;

- prodotti alcolici intermedi: euro 80,71 per ettolitro;

- alcole etilico: euro 942,49 per ettolitro anidro;

b) dal 1° gennaio 2015:

- birra: euro 3,04 per ettolitro e per grado-Plato;

- prodotti alcolici intermedi: euro 88,67 per ettolitro;

- alcole etilico: euro 1.035,52 per ettolitro anidro.

 

Nella successiva tavola si riporta l’evoluzione temporale dell’aliquota di accisa per tali prodotti.

 

 

euro per:

10/10/2013
31/12/2013

1/1/2014
28/2/2014

1/3/2014
31/12/2014

Da 1/1/2015

Birra

ettolitro e per grado-Plato

2,66

2,70

2,77

3,04

Alcolici intermedi

ettolitro

77,53

78,81

80,71

88,67

Alcole etilico

ettolitro anidro

905,51

920,31

942,49

1.035,52

 


 

Articolo 8
(Copertura finanziaria)

 

 

L’articolo 8 reca la copertura finanziaria del provvedimento.

 

Esso dispone in particolare che la copertura degli oneri recati dagli articoli 1 e 2 - quantificati complessivamente in 2.163,097 milioni di euro per l'anno 2013 e 1.500,653 milioni di euro per l'anno 2014 - viene assicurata dalle maggiori entrate derivanti dallo stesso articolo 2, che detta disposizioni in materia di acconti di imposta.


 

Articolo 9
(Entrata in vigore)

 

 

L’articolo 9 dispone l'entrata in vigore del provvedimento nel giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale (ossia il 30 novembre 2013).

 



[1]     Attivazione della clausola di salvaguardia, di cui al comma 4 dell'articolo 15 del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 102, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 ottobre 2013, n. 124, e successive modificazioni.