Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento bilancio
Altri Autori: Servizio Studi - Dipartimento giustizia , Servizio Studi - Dipartimento istituzioni , Servizio Bilancio dello Stato , Ufficio Rapporti con l'Unione Europea
Titolo: Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia - D.L. 69/2013 ' A.C. 1248 - Volume I - Schede di lettura (artt. 1-61)
Riferimenti:
DL N. 69 DEL 21-GIU-13   AC N. 1248/XVII
Serie: Progetti di legge    Numero: 36
Data: 28/06/2013
Descrittori:
ECONOMIA NAZIONALE   POLITICA ECONOMICA
Organi della Camera: I-Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni
V-Bilancio, Tesoro e programmazione

 

Camera dei deputati

XVII LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

Disposizioni urgenti
per il rilancio dell’economia

D.L. 69/2013 – A.C. 1248

Schede di lettura
(artt. 1-61)

 

 

 

 

 

 

n. 36

Volume I

 

 

28 giugno 2013

 


Servizio Studi

Area Istituzionale

( 066760-9559 / 066760-9148 – * st_giustizia@camera.it; @CD_giustizia

Area Finanza pubblica

( 066760-2233 / 066760-9496 – * st_bilancio@camera.it; @CD_bilancio

 

Hanno partecipato alla redazione del dossier i seguenti Servizi e Uffici:

Segreteria Generale – Ufficio Rapporti con l’Unione europea

( 066760-2145 – * cdrue@camera.it

Servizio Bilancio dello Stato

Nota di verifica n. 16

( 066760-2174 / 066760-9455 – * bs_segreteria@camera.it

Servizio Commissioni – Segreteria V Commissione

( 066760-3545 / 066760-3685 – * com_bilancio@camera.it

 

Il presente dossier è articolato in tre volumi che contengono:

-          il primo (n. 36/0) la Nota di sintesi del D.L.;

-          il secondo (n. 36 – Vol. I) le schede analitiche degli articoli da 1 a 61;

-          il terzo (n. 36 – Vol. II) le schede analitiche degli articoli da 62 a 85.

 

 

§      La nota di sintesi e le schede di lettura sono state redatte dal Servizio Studi.

§      Le parti relative ai profili di carattere finanziario sono state curate dal Servizio Bilancio dello Stato, nonché dalla Segreteria della V Commissione per quanto concerne le coperture.

§      Le parti relative ai documenti all’esame delle istituzioni dell’Unione europea state curate dall'Ufficio rapporti con l'Unione europea.

 

La documentazione dei servizi e degli uffici della Camera è destinata alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge. I contenuti originali possono essere riprodotti, nel rispetto della legge, a condizione che sia citata la fonte.

File: D13069s1

 


INDICE

Schede di lettura

§      Articolo 1 (Rafforzamento del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese) 3

§      Articolo 2 (Finanziamenti per l'acquisto di nuovi macchinari, impianti e attrezzature da parte delle piccole e medie imprese) 10

§      Articolo 3 (Rifinanziamento dei contratti di sviluppo ) 18

§      Articolo 4 (Norme in materia di concorrenza nel mercato del gas naturale e nei carburanti ) 22

§      Articolo 5 (Disposizioni per la riduzione dei prezzi dell’energia elettrica ed estensione della c.d. Robin Hood Tax ) 27

§      Articolo 6 (Gasolio per il riscaldamento delle coltivazioni sotto serra) 37

§      Articolo 7 (Imprese miste per lo sviluppo) 43

§      Articolo 8 (Partenariati) 45

§      Articolo 9, commi 1-4 (Accelerazione nell’utilizzazione dei fondi comunitari) 48

§      Articolo 9, comma 5 (Risorse del Fondo di solidarietà dell’Unione europea per gli interventi di emergenza ) 62

§      Articolo 10 (Liberalizzazione dell’allacciamento dei terminali di comunicazione alle interfacce della rete pubblica-WiFi) 65

§      Articolo 11 (Proroga del credito d’imposta per la produzione, la distribuzione e l’esercizio cinematografico) 70

§      Articolo 12 (Ricapitalizzazione della Società di Gestione del risparmio ) 72

§      Articolo 13 (Governance dell’Agenda digitale Italiana) 79

§      Articolo 14 (Misure per favorire la diffusione del domicilio digitale) 85

§      Articolo 15 (Commissione per il coordinamento del sistema pubblico di connettività) 91

§      Articolo 16 (Razionalizzazione dei CED Centri elaborazione dati – Modifiche al decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179) 93

§      Articolo 17 (Misure per favorire la realizzazione del Fascicolo sanitario elettronico) 94

§      Articolo 18, commi da 1 a 3, 11 e 12 (Istituzione di un Fondo per il finanziamento di infrastrutture cantierate o cantierabili) 100

§      Articolo 18, comma 4 (Corridoio tirrenico meridionale A12 – Appia e bretella autostradale Cisterna Valmontone) 106

§      Articolo 18, comma 5 (Assegnazione di risorse alla società concessionaria Strada dei parchi S.p.A.) 108

§      Articolo 18, comma 6 (Disposizioni concernenti la linea C della metropolitana di Roma) 110

§      Articolo 18, comma 7 (Contrattualizzazione di interventi cantierabili del Gruppo Ferrovie dello Stato ) 112

§      Articolo 18, comma 8 (Edilizia scolastica ) 115

§      Articolo 18, comma 9 (Primo Programma “6000 campanili”) 117

§      Articolo 18, comma 10 (Programma degli interventi di manutenzione straordinaria di ponti, viadotti e gallerie della rete stradale di interesse nazionale in gestione ad ANAS SpA) 119

§      Articolo 18, commi 13-14 (Copertura finanziaria) 121

§      Articolo 19, commi 1 e 2 (Disposizioni in materia di concessioni di lavori pubblici) 133

§      Articolo 19, commi 3-5 (Incentivi fiscali per la realizzazione di nuove infrastrutture) 138

§      Articolo 20 (Riprogrammazione interventi del Piano nazionale della sicurezza stradale ) 145

§      Articolo 21 (Differimento dell’operatività della garanzia globale di esecuzione ) 148

§      Articolo 22 (Misure per l’aumento della produttività nei porti ) 150

§      Articolo 23 (Disposizioni urgenti per il rilancio della nautica da diporto e del turismo nautico) 158

§      Articolo 24 (Disposizioni in materia ferroviaria) 165

§      Articolo 25, commi 1-4 e 7-8 (Disposizioni conseguenti alla soppressione dell’Agenzia per le infrastrutture stradali ed autostradali ) 174

§      Articolo 25, comma 5 (Utilizzo di risorse per i contratti di servizio con l’ENAV ) 182

§      Articolo 25 comma 6 (Sicurezza grandi dighe ) 184

§      Articolo 25, commi 9-11 (Collegamenti marittimi con le isole minori della Sicilia ) 186

§      Articolo 26 (Proroghe in materia di appalti pubblici 191

§      Articolo 27 (Semplificazione in materia di procedura CIPE e concessioni autostradali) 195

§      Articolo 28  (Indennizzo da ritardo nella conclusione del procedimento) 199

§      Articolo 29 (Data unica di efficacia degli obblighi) 209

§      Articolo 30 (Semplificazioni in materia edilizia) 213

§      Articolo 31 (Disposizioni in materia di D.U.R.C.) 225

§      Articoli 32 e 35 (Disposizioni in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro) 228

§      Articolo 33 (Semplificazione del procedimento per l'acquisto della cittadinanza per lo straniero nato in Italia) 237

§      Articolo 34 (Trasmissione telematica di specifici certificati medici) 241

§      Articolo 36 (Proroga di organismi di I.N.P.S. ed I.N.A.I.L.) 243

§      Articolo 37  (Zone a burocrazia zero ) 245

§      Articolo 38  (Disposizioni in materia di prevenzione incendi) 249

§      Articolo 39 (Uso individuale dei beni culturali e autorizzazione paesaggistica) 252

§      Articolo 40 (Riequilibrio finanziario dello stato di previsione della spesa del Ministero per i beni e le attività culturali) 255

§      Articolo 41 (Disposizioni in materia ambientale) 258

§      Articolo 42 (Soppressione di certificazioni sanitarie) 274

§      Articolo 43 (Disposizioni in materia di trapianti) 277

§      Articolo 44 (Riconoscimento del servizio prestato presso le pubbliche amministrazioni di altri Stati membri e semplificazioni per la certificazione di qualità delle materie prime utilizzate per la produzione di medicinali) 280

§      Articolo 45 (Omologazioni delle macchine agricole) 287

§      Articolo 46 (EXPO Milano 2015) 289

§      Articolo 47 (Fondo impianti sportivi) 291

§      Articolo 48 (Cooperazione con altri Stati per i materiali di armamento prodotti dall'industria nazionale) 293

§      Articolo 49 (Proroga e differimento di termini in materia di spending review) 295

§      Articolo 50 (Modifiche alla disciplina della responsabilità fiscale negli appalti) 298

§      Articolo 51 (Abrogazione del Modello 770 mensile) 300

§      Articolo 52 (Disposizioni per la riscossione mediante ruolo) 302

§      Articolo 53 (Disposizioni per la gestione delle entrate tributarie o patrimoniali, dei comuni e delle società da essi partecipate) 317

§      Articolo 54 (Questionari per la predisposizione dei fabbisogni standard  degli enti locali) 323

§      Articolo 55 (Norma interpretativa in materia di rimborsi IVA alle agenzie di viaggio) 325

§      Articolo 56 (Proroga termine di versamento dell’imposta sulle transazioni finanziarie) 330

§      Articolo 57 (Interventi straordinari a favore della ricerca per lo sviluppo del Paese ) 335

§      Articolo 58, commi 1, 2, 4-7 (Turn over nelle università e negli enti di ricerca) 340

§      Articolo 58, comma 3 (Chiamate dirette nelle università) 346

§      Articolo 59 (Borse di mobilità per gli studenti universitari) 347

§      Articolo 60 (Sistema di finanziamento delle università e procedure di valutazione delle attività amministrative delle università e degli enti di ricerca) 355

§      Articolo 61 (Copertura finanziaria) 363

Prospetto riepilogativo degli effetti finanziari del decreto-legge n. 69 del 2013

 

 


Schede di lettura

 


 

Articolo 1
(Rafforzamento del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese)

L’articolo 1, al fine dichiarato di potenziare gli interventi del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, contiene disposizioni non immediatamente applicative, esplicitando le finalità, nonché i principi e criteri cui deve attenersi il Governo - tramite l’emanazione di un decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze – per la definizione di misure volte:

§      ad ampliare le possibilità di accesso al credito da parte delle PMI (lettera a);

§      a limitare il rilascio della garanzia del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese alle operazioni finanziarie di nuova concessione o erogazione (lettera b).

Il decreto ministeriale cui è demandata la definizione delle disposizioni operative deve essere emanato entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto legge in esame.

 

Il Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese è stato costituito con legge n. 662/96 (art.2, comma 100, lettera a) con lo scopo di: “assicurare una parziale assicurazione ai crediti concessi dagli istituti di credito a favore delle piccole e medie imprese”. L’impatto sulle imprese è quindi quello di favorire l’accesso alle fonti finanziarie delle PMI mediante la concessione di una garanzia pubblica.

Le disposizioni operative per l’accesso al Fondo sono state da principio individuate dal D.M. 31 maggio 1999, n. 248 in attuazione della legge 7 agosto 1997, n. 266, all'art. 15.

A seconda della natura del soggetto che si rivolge al Fondo Centrale di Garanzia esistono diverse modalità di intervento:Garanzia diretta; Controgaranzia; Cogaranzia.

Un primo rafforzamento dell’operatività del Fondo è intervenuto con il decreto legge anti crisi n. 185/2008 convertito con legge n. 2 del 28/1/2009 e con il decreto legge incentivi n. 5/2009, convertito con legge n. 33 del 9/4/2009. Le principali novità di tali interventi sono stati:l’incremento della dotazione (circa 2 miliardi di euro stanziati per il periodo 2008-2012); l’estensione dell’operatività a imprese prima escluse; l’innalzamento dell’importo massimo garantito (disposto con Decreto del Ministro dello Sviluppo Economico del 9/4/09) a 1,5 milioni di euro; la garanzia di ultima istanza dello Stato (ponderazione zero).

A fine 2011, il Governo ha previsto la riforma e il rifinanziamento del Fondo centrale di garanzia per le PMI: con gli articoli 33 e 39 del DL 6 dicembre 2011 n. 201 convertito con modificazioni dalla Legge 22 dicembre 2011 n. 214 (cosiddetto Salva Italia), il plafond complessivo del Fondo è stato incrementato (rifinanziamento di 400 milioni di euro per ciascuno degli anni 2012, 2013, 2014) e sono state previste misure innovative. In attuazione delle citate disposizioni è stato adottato il D.M. 26 giugno 2012. Tale decreto individua, per gli interventi del Fondo, in relazione a tipologie di operazioni finanziarie, categorie di imprese beneficiarie, settori economici di appartenenza e aree geografiche: la misura della copertura degli interventi di garanzia e controgaranzia; la misura della copertura massima delle perdite; l'importo massimo garantito per singola impresa; la misura delle commissioni per l'accesso alla garanzia. È altresì definita la misura minima dell'accantonamento da operare, a titolo di coefficiente di rischio, per ogni operazione finanziaria ammessa alla garanzia del Fondo.

 

La prima finalità, ossia quella di ampliare la platea di imprese potenziali beneficiarie del Fondo, individuata dall’articolo 1, comma 1, lettera a), viene specificata, con l’esplicitazione di alcuni criteri direttivi.

Stando alla lettera della disposizione l’indicazione dei criteri tramite i quali perseguire l’obiettivo dell’ampliamento dell’accesso al credito non sembrerebbe essere esaustiva, in quanto la lettera a) del comma 1, all’alinea, contiene - proprio con riferimento ai criteri di specificazione - l’espressione “anche tramite”.

 

Potrebbe essere valutata l’opportunità di specificare se il Governo in sede di redazione del decreto attuativo possa individuare ulteriori criteri rispetto a quelli contenuti nella lettera a).

 

Il primo criterio indicato per l’ampliamento dell’accesso al credito, di cui all’art.1, comma 1, lettera a, n.1) è l'aggiornamento delle regole d'accesso, con riferimento alla valutazione delle imprese ammesse e alla misura dell’accantonamento a titolo di coefficiente di rischio. Tale aggiornamento è effettuato «in funzione del ciclo economico e dell'andamento del mercato finanziario e creditizio».

Non è ulteriormente specificato in che modo la congiuntura economica possa servire da parametro per la modifica del sistema di valutazione delle imprese ammesse.

Come già ricordato, da ultimo i criteri e le modalità per la concessione della garanzia e per la gestione del Fondo sono stati modificati dal D.M. 26 giugno 2012. Tale decreto ha disposto che i soggetti beneficiari sono le piccole e medie imprese, comprese le imprese artigiane in possesso dei parametri dimensionali di cui alla vigente disciplina comunitaria in materia di aiuti di Stato alle piccole e medie imprese (decreto MAP del 18 aprile 2005, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 238 del 12 ottobre 2005), ed alla Raccomandazione della Commissione Europea 2003/361/CE del 6 maggio 2003:

§       valutate “economicamente e finanziariamente sane” sulla base di criteri di valutazione che variano a seconda del settore di attività e del regime contabile dell’impresa beneficiaria;

§       appartenenti a qualsiasi settore (ad eccezione dei settori “sensibili” esclusi dall’UE in base a quanto stabilito dalle vigenti disposizioni comunitarie in materia di aiuti "de minimis”);

§       situate sul territorio nazionale (anche per investimenti all’estero)

Sono inoltre soggetti beneficiari i consorzi e le società consortili, costituiti tra piccole e medie imprese di cui agli articoli 17, 18, 19 e 23 della legge 5.10.91., n. 317, e le società consortili miste di cui all’articolo 27 della medesima legge

 

Il secondo criterio individuato dall’articolo 1, comma 1, lettera a) , numero 2) è più specifico ed è volto ad innalzare dall’attuale settanta per cento fino all’ottanta per cento dell’importo dell’operazione, la misura massima di copertura del Fondo per due tipologie di operazioni:

§      operazioni di anticipazione di credito verso imprese che vantano crediti nei confronti di pubbliche amministrazioni

§      operazioni finanziarie comunque finalizzate all'attività di impresa, aventi durata non inferiore a 36 mesi

 

Gli articoli 4 e 5 del D.M. 26-6-2012, la cui applicazione è richiamata nel testo, definiscono le modalità e i limiti delle operazioni rispettivamente di sostegno alle imprese creditrici nei confronti della pubblica amministrazione e per le operazioni con durata superiore a trentasei mesi, specificando nel primo caso che ai fini dell'ammissione alla garanzia del Fondo, i crediti devono essere certificati dall'Amministrazione debitrice, sia nell'ammontare, sia nella loro certezza, esigibilità e liquidità. Nel secondo caso invece è specificato che nel caso in cui le operazioni finanziarie abbiano ad oggetto il consolidamento di passività a breve termine, ai fini del riconoscimento della predetta misura massima di copertura nonché dell'importo massimo garantibile, l'operazione finanziaria per la quale è richiesta la garanzia del Fondo deve essere accordata al soggetto beneficiario da un soggetto finanziatore diverso, nonché appartenente ad un differente gruppo bancario, rispetto a quello che ha erogato, al medesimo soggetto beneficiario, i prestiti oggetto di consolidamento.

 

Il terzo criterio indicato dall’articolo 1, comma 1, lettera a) , numero 3) è volto a potenziare l’efficacia degli interventi del Fondo tramite la semplificazione delle procedure e delle modalità di presentazione delle richieste, in particolare attraverso lo sfruttamento delle tecnologie digitali.

Il quarto e ultimo criterio consiste nella previsione che le misure operative individuate dal governo nella predisposizione del decreto attuativo dovranno garantire l’effettivo trasferimento dei vantaggi della garanzia pubblica alle imprese destinatarie.

Andrebbe specificata l’effettiva portata normativa della disposizione di cui al numero 4 della lettera a), in quanto sembra che essa si limiti ad esprimere un mera finalità.

 

La lettera b) prevede che il Governo individui misure volte ad escludere l’accesso al Fondo per operazioni finanziarie già deliberate dai soggetti finanziatori, con l’intento evidente di circoscrivere la concessione della garanzia alle imprese che, effettivamente, abbiano bisogno di un sostegno pubblico per poter accedere al credito bancario.

Il comma 2, con riferimento all’approvazione delle condizioni di ammissibilità per l’accesso al Fondo adottate dal Comitato di gestione dello stesso, ribadisce la competenza del Ministro dello sviluppo economico (aggiornandone la denominazione). L’elemento innovativo consiste nella sostituzione del parere del Ministro dell’agricoltura, attualmente previsto, con quello del Ministro dell’Economia e delle finanze.

Le condizioni di ammissibilità nonché le disposizioni di carattere generale sono adottate, in base a quanto previsto dall’articolo 15, comma 3 della L. 7-8-1997 n. 266, da un “distinto organo, competente a deliberare in materia”, nel quale sono nominati anche un rappresentante delle banche e uno per ciascuna delle organizzazioni rappresentative a livello nazionale delle piccole e medie imprese industriali e commerciali. Tale organo è stato individuato dall’articolo 13 del più volte citato D.M. 31-5-1999 n. 248 (Regolamento recante criteri e modalità per la concessione della garanzia e per la gestione del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese) in un comitato, al quale è affidata l'amministrazione del Fondo. Il comma 2 dell’articolo 13 stabilisce che il comitato adotta le necessarie disposizioni operative nel rispetto della legge 7 agosto 1990, n. 241, in aderenza a criteri di semplificazione e di minima onerosità per i soggetti richiedenti. Il periodo oggetto di (implicita) modifica da parte della disposizione in esame prevede che le condizioni di ammissibilità e le disposizioni di carattere generale sono soggette all'approvazione del Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato sentito il Ministro per le politiche agricole e sono pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.

Per quanto riguarda la gestione del Fondo, essa è affidata ad un comitato di Gestione e ad un Gestore.

Il Comitato di gestione è formato da 21 componenti, nominati con Decreto del Ministero dello Sviluppo Economico, in rappresentanza degli interessi delle Amministrazioni Centrali (Ministero dello Sviluppo Economico, Ministero dell’Economia e delle Finanze, Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Presidenza del Consiglio dei Ministri), locali , di ABI e delle Categorie (Confindustria, Confapi, Confcommercio, Confartigianato, CNA, Casartigiani, Confartigianato/UNATRAS, Confesercenti e Confcooperative).

Si riunisce con cadenza settimanale e si occupa di: deliberare le disposizioni di carattere generale e le condizioni di ammissibilità dello strumento e, con riferimento alle singole operazioni, l’ammissione alla garanzia, le quote di accantonamento, il versamento degli acconti, la liquidazione delle perdite, le revoche e qualsiasi altra modifica. Inoltre, approva la situazione contabile del Fondo, la rendicontazione delle disponibilità, gli impegni e le insolvenze alla data del 31/12 precedente e segnala al Ministero dello Sviluppo Economico la necessità di integrazione delle risorse del Fondo

Il Gestore, a seguito dell’aggiudicazione della gara indetta dal Ministero dello Sviluppo Economico (bando di gara pubblicato in G.U.R.I. 5a serie speciale n. 107 del 15 settembre 2010), è ad oggi costituito da un raggruppamento temporaneo di imprese formato da cinque istituti bancari: MedioCredito Centrale S.p.A., in qualità di soggetto mandatario capofila, Artigiancassa S.p.A., MPS Capital Services Banca per le Imprese S.p.A., Mediocredito Italiano S.p.A. e Istituto Centrale delle Banche Popolari Italiane S.p.A., in qualità di mandanti.

 

Il comma 3 abroga la disposizione (comma 3 dell’articolo 11 del D.L. 185 del 2008) per la quale si riservava il 30% dell’importo di rifinanziamento del Fondo di garanzia agli interventi di controgaranzia del Fondo a favore dei Confidi previsto dall’articolo 13 del D.L. n. 269 del 2003, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 326 del 2003.

Con il termine “confidi” si intendono i consorzi con attività esterna, le società cooperative, le società consortili per azioni, a responsabilità limitata o cooperative, che svolgono l'attività di garanzia collettiva dei fidi al fine di agevolare le imprese nell’accesso ai finanziamenti, a breve medio e lungo termine, destinati allo sviluppo delle attività economiche e produttive. Il comma 20 del richiamato articolo 13 dispone che i confidi che riuniscono complessivamente non meno di 15.000 imprese e garantiscono finanziamenti complessivamente non inferiori a 500 milioni di euro possono istituire, anche tramite le loro associazioni nazionali di rappresentanza, fondi di garanzia interconsortile destinati alla prestazione di controgaranzie e cogaranzie ai confidi.

 

Il comma 4 sopprime l’ultimo periodo del comma 3 dell’articolo 39 del D.L. 201/2011 che prevede che una quota non inferiore all’80 per cento delle disponibilità finanziarie del Fondo è riservata ad interventi non superiori a cinquecentomila euro d’importo massimo garantito per singola impresa.

 

Il comma 5 prevede l’abrogazione dell’estensione della garanzia del Fondo di garanzia a favore delle piccole e medie imprese anche alle grandi imprese, limitatamente ai soli finanziamenti erogati con la partecipazione di Cassa depositi e prestiti. E’ dunque abrogato il comma 10-sexies dell’articolo 36 del D.L. 179/2012 che integrava il comma 4 dell’articolo 39, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, sopprimendosi contestualmente tale integrazione.

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

Nell’ambito del quadro finanziario pluriennale 2014-2020, la Commissione ha proposto uno strumento finanziario di debito dell'UE destinato a sostenere la crescita delle imprese e la ricerca e l'innovazione, che fornirà garanzie e altre forme di condivisione del rischio al fine di favorire i prestiti alle piccole e medie imprese (PMI), incluse quelle orientate alla ricerca e all'innovazione.

Tale strumento finanziario sarà una struttura integrata costituita di diversi dispositivi con obiettivi politici specifici, in linea con la comunicazione della Commissione su "Un quadro per la prossima generazione di strumenti finanziari innovativi: le piattaforme UE di capitale e di debito" (COM(2011) 662). Esso sarà finanziato dal programma per la competitività delle imprese e le PMI (COSME) 2014-2020, dal programma Horizon 2020 e dal programma Europa creativa:

§      attraverso il programma COSME la Commissione offrirà alle imprese e in particolare alle PMI uno strumento di garanzia dei prestiti, che offrirà garanzie per:

-   (i) il finanziamento mediante prestiti, prestiti subordinati e partecipativi o leasing per ridurre le particolari difficoltà che le PMI incontrano nell'ottenere crediti per la loro crescita;

-   (ii) la cartolarizzazione di portafogli di crediti concessi a PMI, volta a mobilitare risorse supplementari per il finanziamento delle piccole e medie imprese.

Ad eccezione dei prestiti del portafoglio cartolarizzato, lo strumento di garanzia dei prestiti coprirà i prestiti fino a 150.000 euro e con una scadenza minima di 12 mesi.

§      attraverso il programma Horizon 2020, la Commissione appronterà un dispositivo per la concessione di crediti (Debt Facility) con uno "sportello PMI" volto a sostenere le piccole e medie imprese orientate alla ricerca e all'innovazione. Lo "sportello PMI" destinerà a tali imprese prestiti mirati che andranno a integrare i finanziamenti concessi alle PMI in virtù dello strumento di garanzia dei prestiti previsto dal programma COSME;

§      attraverso il programma Europa creativa, la Commissione propone la creazione di uno strumento di garanzia mirato in special modo alle PMI operanti nei settori culturale e creativo.

L’accordo sul quadro finanziario pluriennale è stato raggiunto il 27 giugno 2013 concludendo i complessi negoziati a livelli di “trilogo” (Commissione europea, Consiglio e Parlamento europeo).

In occasione del Consiglio europeo del 27 e 28 giugno, come annunciato dal vicepresidente della Commissione Antonio Tajani, è prevista la presentazione di una serie di proposte concertate tra Commissione e Banca europea per gli investimenti (BEI) per agevolare l'accesso al credito alle piccole e medie imprese. A finanziare tali proposte saranno quasi 10 miliardi di euro di fondi strutturali e fondo d'investimento europei, cui si aggiungono 420 milioni di euro dai citati programmi COSME e Horizon 2020. Secondo quanto dichiarato dal vicepresidente Tajani, a seconda del tipo di strumento finanziario utilizzato e della sua struttura, si potrà ottenere un effetto leva diverso, a scelta degli Stati membri (fino a 100 miliardi di euro).

Profili finanziari

Il prospetto riepilogativo non ascrive alla norma effetti sui saldi di finanza pubblica.

 

La relazione tecnica precisa che la norma è finalizzata al rafforzamento ed alla razionalizzazione degli interventi del Fondo di garanzia. In particolare, la RT afferma che l’adeguamento dei criteri delle soglie di valutazione per l’accesso al Fondo, unitamente all’incremento della percentuale di copertura per le operazioni con durata non inferiore a 36 mesi per le operazioni di anticipazioni in favore di imprese che vantano crediti verso la P.A., determinerà una prevedibile crescita sia dell’operatività del Fondo (in virtù dell’ampliamento della platea delle imprese potenziali beneficiarie) sia degli accantonamenti operati (in ragione delle più alte coperture).

La RT afferma, inoltre, che tali modifiche avranno un impatto assolutamente marginale nell’anno in corso sull’operatività del Fondo. Infatti, l’adeguamento dei criteri sarà definito con un successivo decreto interministeriale e potrà essere effettivamente operativo solamente negli ultimi mesi del 2013.

La RT rileva, inoltre che, al prevedibile incremento del numero di operazioni ammesse alla garanzia conseguente all’ampliamento della platea delle imprese potenzialmente beneficiare si farà fronte attraverso maggiori accantonamenti a titolo di coefficiente di rischio, da operare anche con riferimento alla specifica categoria di imprese ammesse alla garanzia in virtù dell’adeguamento delle soglie di accesso, nella misura massima delle disponibilità del Fondo che, a legislazione vigente, è stato incrementato con lo stanziamento previsto per l’anno 2014[1].

La RT conclude affermando che la disposizione non comporta effetti negativi per la finanza pubblica.

 

In merito ai profili di quantificazione, si rileva che le norme appaiono essenzialmente rivolte a conferire all’amministrazione maggiori margini di discrezionalità nella gestione del Fondo centrale di garanzia per le PMI, al fine di aumentare l’efficienza degli aiuti all’accesso al credito per micro, piccole e medie imprese, nella misura massima delle disponibilità del Fondo. Al riguardo, non vi sono osservazioni da formulare.


 

Articolo 2
(Finanziamenti per l'acquisto di nuovi macchinari, impianti e attrezzature da parte delle piccole e medie imprese)

L'articolo 2 introduce un meccanismo incentivante per le piccole e medie imprese che vogliono effettuare investimenti per l'acquisto, anche tramite leasing, di macchinari, impianti e attrezzature ad uso produttivo.

I soggetti destinatari della misura agevolativa sono le piccole e medie imprese ai sensi della Raccomandazione 2003/361/Ce della Commissione del 6 maggio 2003.

Secondo la definizione della Raccomandazione citata nel testo le microimprese, le piccole o medie imprese vengono definite in funzione del loro organico e del loro fatturato ovvero del loro bilancio totale annuale. Una media impresa è definita come un'impresa il cui organico sia inferiore a 250 persone e il cui fatturato non superi 50 milioni di euro o il cui totale di bilancio annuale non sia superiore a 43 milioni di euro. Una piccola impresa è definita come un'impresa il cui organico sia inferiore a 50 persone e il cui fatturato o il totale del bilancio annuale non superi 10 milioni di euro.

Una microimpresa è definita come un'impresa il cui organico sia inferiore a 10 persone e il cui fatturato o il totale di bilancio annuale non superi 2 milioni di euro.

 

Il meccanismo prevede innanzitutto l'intervento di Cassa depositi e prestiti presso la gestione separata della quale viene costituito un plafond che sarà utilizzato dalla medesima Cassa per fornire, fino al 31 dicembre 2016, provvista dalle banche per la concessione di finanziamenti alle imprese che intendono effettuare investimenti per rinnovare i propri macchinari.

Per l’intervento della Cassa depositi e prestiti sono richiamate le disposizioni di cui all'articolo 3, comma 4-bis, del D.L. 5/2009, che consentono l'utilizzo delle risorse rivenienti dal risparmio postale e attribuite a Cassa depositi e prestiti S.p.A. per iniziative a favore delle piccole e medie imprese attraverso l'intermediazione di soggetti autorizzati all'esercizio del credito (comma 2).

Il comma 4-bis dell’articolo 3 del D.L. 5/2009 dispone in merito all’applicazione dell’articolo 5, comma 7, lettera a) del decreto-legge n. 269 del 2003 in relazione alle forme che possono assumere le operazioni di finanziamento che rientrano nella gestione separata della Cassa depositi e prestiti S.p.A. I soggetti beneficiari del finanziamento, sotto qualsiasi forma, rientranti nella c.d. gestione “separata” sono: lo Stato; le regioni; gli enti locali; gli enti pubblici in generale; gli organismi di diritto pubblico. Le forme di provvista relative a questi finanziamenti sono rappresentate, in primo luogo, dal risparmio postale, raccolto attraverso libretti di risparmio postale e buoni fruttiferi postali.

La norma chiarisce più specificamente le diverse forme che possono assumere le operazioni di finanziamento che rientrano nella gestione separata della Cassa, quali: la concessione di finanziamenti; il rilascio di garanzie; l’assunzione di capitale di rischio o di debito.

Le operazioni di finanziamento possono essere realizzate anche a favore delle piccole e medie imprese per finalità di sostegno all’economia. La norma infine aggiunge che tutte le operazioni precedentemente elencate possono essere effettuate:

1)    direttamente dalla Cassa medesima;

2)    mediante l’intermediazione di soggetti autorizzati all’esercizio del credito.

Tale ultima disposizione prevede l’eccezione delle operazioni a favore delle piccole e medie imprese per le quali è ammesso esclusivamente il finanziamento attraverso l’intermediazione di soggetti autorizzati all’esercizio del credito.

 

I finanziamenti sono erogati dalle banche che aderiscono alla convenzione da stipulare tra il Ministero dello sviluppo economico (sentito il Ministero dell'economia e delle finanze), Cassa depositi e prestiti S.p.A. e ABI.

A tale convenzione (o convenzioni) è rimessa altresì la disciplina di dettaglio, per quanto attiene, in particolare, alle modalità operative per la concessione dei finanziamenti agevolati, dei contratti tipo di finanziamento e cessione del credito, incluse le attività di monitoraggio e di rendicontazione svolte dalle banche. (comma 7).

I finanziamenti bancari avranno durata non superiore a cinque anni e saranno erogati fino ad un massimo di 2 milioni di euro per impresa, anche frazionato in più iniziative. Si prevede, inoltre, la possibilità che il finanziamento copra l'intero costo dell'investimento (comma 3).

 

Come sottolineato altresì dalla Relazione tecnica allegata al disegno di legge di conversione del decreto legge, l'istituzione presso Cassa depositi e prestiti S.p.A. di un plafond di 2,5 miliardi di euro – eventualmente incrementabile fino a 5 miliardi di euro sulla base del monitoraggio sull'andamento dei finanziamenti e nei limiti delle risorse disponibili o delle necessarie coperture – (comma 8) non ha impatto sul bilancio dello Stato, in quanto è effettuata da Cassa depositi e prestiti s.p.a. a condizioni di mercato, in analogia con altre iniziative a favore delle P.M.I., già precedentemente intraprese o tuttora in corso.

Nel supporto alle imprese, soprattutto di piccola e media dimensione la Cassa agisce in sinergia con il sistema bancario italiano. La cooperazione con l’Associazione Bancaria Italiana (ABI) ha consentito all’Istituto di strutturare, attraverso apposite Convenzioni, specifici Plafond di risorse, finalizzati a favorire l’accesso al credito delle PMI.

Il Plafond PMI 2009 è operante dalla seconda metà del 2009. Dotato con 8 miliardi di euro, interamente contrattualizzati, risulta stabilmente inserito nelle reti commerciali delle Banche italiane, che hanno aderito allo strumento per oltre il 92% in termini di quote di mercato.

Il Nuovo Plafond PMI, è stato lanciato da CDP a marzo 2012 con ulteriori 10 miliardi di euro, In questo scenario, CDP ha inteso far assumere allo strumento una chiara natura strutturale anticiclica, per il supporto delle imprese e per il loro accompagnamento nelle auspicate fasi di sviluppo degli investimenti e di nuova progettualità.

 

La seconda parte dell’intervento consiste nell’erogazione di un contributo statale alle imprese che accedono ai predetti finanziamenti bancari per coprire parte degli interessi (comma 4).

Il contributo è infatti calcolato in rapporto agli interessi sui finanziamenti bancari. E’ rimessa ad un decreto dello Sviluppo economico di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, la determinazione della misura massima del contributo nonché la definizione delle condizioni di accesso e le modalità di funzionamento (commi 4 e 5).

Si segnala che non è previsto alcun termine per l’emanazione del decreto ministeriale di cui al comma 5.

L’articolo 2, comma 4, terzo periodo con disposizione che appare priva di reale portata innovativa, specifica inoltre che “I contributi sono concessi nel rispetto della disciplina comunitaria applicabile e, comunque, nei limiti dell'autorizzazione di spesa di cui al comma 8”.

Per quanto riguarda l’erogazione dei contributi è autorizzata (comma 8, secondo periodo) la spesa di:

§      7, 5 milioni di euro per il 2014

§      21 milioni di euro per il 2015

§      35 milioni di euro per gli anni dal 2016 al 2019

§      17 milioni di euro per l’anno 2020

§      6 milioni di euro per l’anno 2021.

 

E’ inoltre prevista la possibilità che i finanziamenti, fino all'80 per cento del loro ammontare, siano assistititi dalla garanzia del Fondo centrale di garanzia per le piccole e medie imprese, a valere sulle risorse finanziarie già disponibili nel Fondo stesso. E’ demandata a decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze la determinazione delle modalità priorità di accesso e delle modalità di concessione della garanzia (comma 6).

Si segnala che non è previsto alcun termine per l’emanazione del decreto ministeriale di cui al comma 6.

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

Nell’ambito del quadro finanziario pluriennale, la Commissione ha proposto uno strumento finanziario di capitale proprio a livello dell'UE destinato a sostenere la crescita delle imprese dell'Unione e la ricerca e l'innovazione, che fornirà capitale di rischio e finanziamenti mezzanini alle imprese dall'avvio (incluso seed capital) alla fase di crescita.

Tale strumento finanziario sarà una struttura integrata costituita di diversi dispositivi con obiettivi politici specifici, in linea con il quadro per la prossima generazione di strumenti finanziari innovativi. Esso sarà finanziato dal programma per la competitività delle imprese e le PMI (COSME) e dal programma Horizon 2020:

§      il programma COSME comprenderà uno strumento di capitale proprio per le imprese nelle fasi di espansione e di crescita. Questo strumento avrà anche la possibilità di investire in nuove imprese nella prima fase di sviluppo insieme con il programma Horizon 2020;

§      il programma Horizon 2020 da parte sua includerà uno strumento di capitale proprio mirato alle imprese nella prima fase di sviluppo. Questo strumento avrà anche la possibilità di investire in imprese nelle fasi di espansione e di crescita insieme con il programma COSME.

Profili finanziari

Il prospetto riepilogativo ascrive alla norma i seguenti effetti sui saldi di finanza pubblica.

(milioni di euro)

 

Saldo netto da finanziare

Fabbisogno

Indebitamento netto

 

2013

2014

2015

2013

2014

2015

2013

2014

2015

Maggiori spese correnti

 

7,5

21

 

7,5

21

 

7,5

21

 

Si ricorda che, in base al comma 8, la spesa autorizzata va oltre il trienni, secondo il seguente sviluppo:

(mln di euro)

 

2014

2015

2016-2019

2020

2021

Autorizzazione annua di spesa per contributo in conto interessi

7,5

21

35

17

6

 

La relazione tecnica, nel richiamare le finalità e il contenuto della norma, sottolinea che i finanziamenti saranno erogati dalle banche aderenti all’iniziativa secondo le proprie autonome valutazioni.

La relazione sottolinea inoltre che i limiti per la determinazione del contributo erogabile alla singola impresa saranno fissati con apposito decreto interministeriale nel rispetto delle intensità massime di aiuto previste dalla disciplina comunitaria applicabile e dell’autorizzazione di spesa di cui al comma 8 e i contributi saranno materialmente erogati alle imprese beneficiarie in più quote, determinate in relazione alla effettiva durata del finanziamento.

Sotto il profilo dell’impatto dell’intervento sul bilancio dello Stato, la relazione evidenzia che la prima misura prevista dalla norma (plafond) – finalizzata a fornire provvista aggiuntiva al sistema bancario – non ha alcun impatto sul bilancio dello Stato, in quanto rappresenta un’operazione effettuata dalla Cassa depositi e prestiti S.p.A. a condizioni di mercato, in maniera analoga a quanto già fatto dalla stessa Cassa nell’ambito di altre recenti iniziative (Plafond 2009 e Nuovo Plafond PMI) realizzate negli scorsi anni e tutt’ora in corso.

La seconda misura disciplinata dalla norma, avente ad oggetto il riconoscimento del contributo previsto al comma 4, rapportato agli interessi calcolati sui finanziamenti concessi dalla banca, determina un fabbisogno finanziario determinato sulla base delle seguenti ipotesi:

§      erogazione, da parte di Cassa depositi e prestiti S.p.A. alle banche, della provvista “di scopo” in più tranche, in funzione del tiraggio delle risorse da parte delle banche aderenti all’iniziativa. L’ipotesi ritenuta più realistica è quella di erogazione di una prima tranche di 1 miliardo di euro nel 2014 e di due successive tranche, ciascuna di 750 milioni di euro, per gli anni 2015 e 2016. La provvista di Cassa depositi e prestiti, ai sensi del comma 8, potrà essere aumentata fino a 5 miliardi di euro sulla base delle risorse disponibili, ovvero che si renderanno disponibili con successivi provvedimenti legislativi, secondo gli esiti del monitoraggio sull’andamento dei finanziamenti effettuato dalla Cassa depositi e prestiti S.p.a.

§      restituzione alle banche, da parte delle piccole e medie imprese beneficiarie, dei finanziamenti ottenuti, in 5 anni, secondo un piano di ammortamento con rate semestrali;

§      importo massimo del contributo pari alla somma degli interessi calcolati sui finanziamenti applicando un tasso convenzionale, individuato dal decreto di cui al comma 5, stimato nella misura del 2,7% annuo.

Sulla base delle predette ipotesi, la relazione formula le seguenti previsioni di utilizzo della provvista CDP e stima del fabbisogno finanziario per l’erogazione del contributo

 

Tenuto conto dell’andamento della stima del fabbisogno finanziario per l’erogazione del contributo e della possibilità di incrementare la provvista di Cassa depositi e prestiti fino a 5 miliardi, in funzione delle risorse disponibili e degli esiti del monitoraggio, il comma 8 autorizza una spesa a fronte di tali oneri, parzialmente rimodulata rispetto al fabbisogno illustrato, nel limite massimo di 7,5 milioni di euro per l’anno 2014, 21 milioni di euro per l’anno 2015, 35 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016, 2017, 2018 e 2019, 17 milioni di euro nel 2020 e 6 milioni per il 2021. A tali oneri si provvede ai sensi dell’articolo 61.

 

Infine, per la terza e ultima misura prevista dalla norma al comma 6, rappresentata dal riconoscimento, sui finanziamenti concessi nell’ambito dell’iniziativa, di specifiche priorità e modalità semplificate di accesso agli interventi del “Fondo di garanzia per le PMI”, non sono previsti nuovi e maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato, in quanto l’accesso sarà consentito a valere sulle risorse finanziarie già disponibili sul predetto Fondo.

 

Con riferimento ai profili di quantificazione appaiono necessari chiarimenti in merito ai seguenti aspetti:

§      andrebbero in primo luogo meglio precisati i profili dell’operazione delineata dalla norma. In particolare andrebbe chiarito se la provvista resa disponibile dalla CDP esaurisca l’ammontare di risorse a valere sulle quali si prevede che le banche concedano i finanziamenti assistiti da garanzia statale. In tal caso, per lo meno con riferimento alla quota di finanziamenti assistiti dalla predetta garanzia (prevista fino a un massimo dell’80%), le banche stesse svolgerebbero una funzione di mera intermediazione tra la CDP e le imprese, senza svolgere alcuna funzione di erogazione del credito a valere su risorse proprie. La remunerazione del servizio reso dalle banche sembrerebbe pertanto assumere carattere di corrispettivo a fronte della gestione di un servizio di intermediazione, mentre gli interessi dovrebbero restare di spettanza della CDP. Andrebbero pertanto precisate le modalità di remunerazione del sistema bancario e di CDP e assicurato che l’autorizzazione di spesa disposta dalla norma risulti congrua con riferimento ad entrambe le modalità di remunerazione. Si segnala in proposito che la quantificazione operata sembra fare riferimento unicamente ad una spesa per interessi calcolata al tasso del 2,7% annuo (cfr. infra), senza chiarire come tale ammontare vada ripartito tra i predetti soggetti, né se lo stesso risulti o meno comprensivo di eventuali oneri per commissioni;

§      con riferimento alla quota di capitale erogato non assistita dalla garanzia statale, andrebbe precisato su chi gravi il rischio di insolvenza da parte delle imprese beneficiarie;

§      andrebbero meglio precisate le modalità dell’eventuale innalzamento del tetto di 2,5 mld fino all’ammontare massimo di 5 mld, che la norma condiziona all’esistenza di “risorse disponibili ovvero che si renderanno disponibili con successivi provvedimenti legislativi”;

§      in merito alla quantificazione dell’autorizzazione di spesa, si segnala che essa non risulta conforme agli importi evidenziati dalla relazione tecnica, come si evidenzia nella seguente tabella:

 

(mln di euro)

 

2014

2015

2016

2017

2018

2019

2020

2021

Totale

Autorizzazione annua di spesa per contributo in conto interessi

7,5

21

35

35

35

35

17

6

192

Quantificazione operata dalla relazione tecnica

6,8

19,0

39,9

50,0

36,7

23,1

10,6

3,2

189,1

Differenza

0,8

2,0

-4,9

-15,0

-1,7

11,9

6,4

2,8

2,4

 

 

In proposito la stessa evidenzia che l’autorizzazione di spesa opera una parziale rimodulazione rispetto al fabbisogno illustrato “tenuto conto dell’andamento della stima del fabbisogno finanziario per l’erogazione del contributo e della possibilità di incrementare la provvista di Cassa depositi e prestiti fino a 5 miliardi”. Al riguardo andrebbero chiariti i parametri alla base di tale rimodulazione e meglio specificate le relative motivazioni, chiarendo in particolare in che modo si sia tenuto conto dell’eventuale innalzamento della provvista fino a 5 mld. Si segnala infatti che, operando una verifica della stima sulla base delle specifiche fornite dalla relazione tecnica e con riferimento ad un ammontare della provvista di 2,5 mld, si perviene ad un onere complessivo, per l’intero arco di tempo considerato, leggermente superiore a quello indicato dalla relazione tecnica. Non sembra pertanto che la quantificazione operata possa già includere l’eventuale innalzamento del tetto della provvista fino a 5 mld;

§      in merito all’ammontare dell’autorizzazione di spesa , dal momento che la norma definisce sia il tetto del contributo in conto interessi, sia l’ammontare massimo dei finanziamenti concedibili, rimandando a un decreto ministeriale la definizione delle modalità di raccordo tra tali due tetti massimi, andrebbe chiarito con quali modalità si preveda di operare il raccordo tra i due limiti indicati dalla norma nel caso si verifichino disallineamenti nel corso dell’attuazione della disposizione;

§      con riferimento al rischio di escussione della garanzia statale concessa a fronte dei finanziamenti, si sottolinea che non appare prudenziale il mancato adeguamento della dotazione delle risorse destinate alla predetta finalità a fronte dell’esposizione al rischio addizionale derivante dalla norma in esame;

§      al fine di evitare l’insorgenza di rischi di riclassificazione della Cassa depositi e prestiti rispetto al perimetro della pubblica amministrazione, andrebbe assicurato che l’adesione alle convenzioni da parte della Cassa stessa non si configuri come un obbligo giuridico, ma sia soggetta alla libera valutazione in base alla convenienza economica dell’operazione.

Si segnala infine che il testo letterale della disposizione fa riferimento non solo alla concessione di finanziamenti ma anche di contributi in favore delle piccole imprese che effettuano investimenti in impianti. Andrebbe pertanto confermato che si tratti della medesima fattispecie, dovendosi intendere i contributi come riferiti al conto interessi sui finanziamenti erogati. Qualora infatti fosse prevista anche l’erogazione di contributi non soggetti al rimborso, i parametri di quantificazione degli effetti della disposizione, riferiti ai soli oneri per interessi, non risulterebbero adeguati.


 

Articolo 3
(Rifinanziamento dei contratti di sviluppo )

L’articolo 3 attribuisce 150 milioni di euro una tantum - a valere sulle disponibilità esistenti del Fondo per la crescita sostenibile - per il finanziamento dei contratti di sviluppo nel settore industriale, riguardanti territori regionali attualmente privi di copertura finanziaria.

 

In particolare il comma 1 definisce l’ambito di applicazione della misura di agevolazione, specificando che lo stanziamento di 150 milioni di euro è destinato finanziare, nel quadro degli interventi di cui all’articolo 43, del D.L. 112/2008, i programmi di sviluppo nel settore industriale, ivi inclusi quelli relativi alla trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli.

Tali programmi devono esser realizzati nei territori regionali che, sulla base delle fonti finanziarie disponibili alla data di entrata in vigore del presente decreto, non sono destinatari di risorse per la concessione delle agevolazioni.

 

Il D.M. 24 settembre 2010 ha attuato l'art. 43 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133 dettando le disposizioni in merito ai criteri e modalità di concessione di agevolazioni finanziarie tramite i contratti di sviluppo. Il Contratto di Sviluppo favorisce la realizzazione di investimenti di rilevanti dimensioni, proposti da imprese italiane ed estere. Finanzia investimenti nei settori industriale, turistico e commerciale. È rivolto alle imprese italiane alle imprese estere che hanno una sede stabile in Italia. È sottoscritto da una o più imprese, Invitalia e da eventuali Amministrazioni pubbliche. È composto da uno o più progetti di investimento ed eventuali progetti di ricerca industriale e sviluppo sperimentale inoltre può comprendere la realizzazione di infrastrutture di interesse pubblico..

I progetti di investimento del Contratto di Sviluppo possono essere realizzati:

§       nelle aree previste dalla Carta degli aiuti a finalità regionale approvata dalla Commissione europea per il periodo 2007-2013 (Aiuto di Stato n. 117/2010 pubblicato su GUUE del 10 agosto 2010, n. C 215/5)

§       nel resto del territorio nazionale, se presentati da PMI o da grandi imprese attive nella trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli, con meno di 750 dipendenti e/o un fatturato inferiore a 200 milioni di euro (cosiddette “imprese intermedie”).

I progetti di ricerca industriale e sviluppo sperimentale possono essere realizzati su tutto il territorio nazionale.

 

La relazione illustrativa precisa che allo stato attuale risultano assegnate ai contratti di sviluppo risorse, nell'ambito del Programma operativo nazionale ricerca e competitività 2007-2013 (PON R&C), del Piano di azione coesione (PAC) e delle risorse liberate del PON Sviluppo imprenditoriale locale 2000-2006 (PON SIL) ex decreto ministeriale 28 settembre 2012, finalizzate al finanziamento di programmi di sviluppo localizzati nelle sole regioni Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sardegna e Sicilia, mentre risultano prive di copertura finanziaria tutte le altre regioni. A queste ultime, pertanto, la norma in commento ha inteso assegnare risorse, per un ammontare pari a 150 milioni di euro.

 

Per quanto riguarda la formulazione del testo, si osserva che il riferimento “nei territori regionali che (..) non possono essere destinatari di risorse per la concessione di agevolazioni” potrebbe generare dubbi applicativi, in quanto i territori che possono beneficiare delle agevolazioni sono indicati dal D.M. 24 settembre 2010 (che rinvia ai territori di cui alla Carta degli aiuti a finalità regionale approvata dalla Commissione europea per il periodo 2007-2013) e quindi si determinerebbe una violazione delle regole comunitarie.

A tal fine potrebbe essere opportuno sostituire “possono essere” con “sono ”, determinando in tal modo la destinazione dei 150 milioni in questione ai “territori regionali che (..) non sono destinatari di risorse per la concessione di agevolazioni”.

 

Il comma 2 prevede che i detti programmi siano agevolati tramite la concessione del solo finanziamento agevolato, nel limite massimo del 50% dei costi ammissibili.

La disciplina dei contratti di sviluppo, contenuta nel D.M. 24 settembre 2010, prevede che le agevolazioni possono essere concesse nelle seguenti forme, anche in combinazione tra loro:

§       contributo in conto impianti,

§       contributo alla spesa,

§       finanziamento agevolato,

§       contributo in conto interessi.

 

Con riguardo al finanziamento agevolato le circolari applicative del D.M. 24 settembre 2010 (Circolare del Ministero dello sviluppo economico esplicativa 16 giugno 2011 per la concessione delle agevolazioni e Circolare 29/3/2013) specificano che l'eventuale finanziamento agevolato é concesso nella misura massima del 75% in termini di percentuale nominale rispetto alle spese ammissibili e deve essere assistito da idonee garanzie ipotecarie e/o bancarie. Il finanziamento agevolato ha una durata massima di otto anni oltre ad un periodo di utilizzo e preammortamento commisurato alla durata del programma e, comunque, non superiore a quattro anni. Il tasso agevolato di finanziamento é pari al 20% del tasso di riferimento vigente alla data di concessione delle agevolazioni, fissato sulla base di quanto stabilito dalla Commissione Europea.

 

Alla concessione del contributo a fondo perduto si provvede, conformemente a quanto previsto dall'articolo 8, comma 1, del decreto interministeriale del 24 settembre 2010, nel limite finanziario dell'eventuale cofinanziamento regionale disposto in favore dei singoli programmi d'investimento.

Si ricorda che il comma 1, dell’articolo 8 prevede che la proposta definitiva di contratto di sviluppo è presentata dal proponente all’Agenzia (Invitalia), che ne invia immediatamente copia alla Regione o alle Regioni interessate, entro il termine di 60 giorni dal ricevimento della comunicazione di cui all’articolo 7, comma 3, prorogabile una sola volta di non oltre 30 giorni. Decorso tale termine perentorio, senza che la documentazione prevista sia stata presentata o qualora quella presentata risulti incompleta, la stessa non è più ricevibile e la relativa istanza di accesso è considerata decaduta. La Regione o le Regioni, entro 30 giorni dal ricevimento della proposta comunica/no le proprie osservazioni ed il proprio parere ed eventualmente la disponibilità al cofinanziamento, specificandone la misura, all’Agenzia, che li trasmette immediatamente al MiSE. Nel caso in cui la Regione o le Regioni non trasmettano entro il termine sopra indicato le proprie osservazioni ed il proprio parere, quest’ultimo si considera positivo.

 

Il comma 3 prevede che le risorse (150 milioni) volte a finanziare i tali programmi di sviluppo nel settore industriale e agricolo siano a valere sulle disponibilità esistenti del Fondo per la crescita sostenibile (articolo 23, D.L. n. 83/2012 e D.M. 8 marzo 2013) Le somme che non risultino impegnate entro il 30 giugno 2014 per le finalità previste dal medesimo comma ritornano nella disponibilità del Fondo per la crescita sostenibile.

Si ricorda che l’articolo 23 ha trasformato il Fondo speciale rotativo per 'innovazione tecnologica (FIT) nel Fondo per la crescita sostenibile, chiamato a promuovere i progetti di ricerca strategica, il rafforzamento della struttura produttiva e la presenza internazionale delle imprese nazionali; nel contempo ha abrogato numerose disposizioni, contenute nell’Allegato 1, che contenevano una serie di misure incentivanti per le imprese.

Per l’attuazione di tale riforma è stato emanato il D.M. 8 marzo 2013, il quale ha definito:

§       le finalità, le tipologie di intervento e le forme di aiuto concedibili nell’ambito del Fondo. Gli aiuti possono essere erogati nella forma di finanziamento agevolato, contributo in conto impianti, contributo in conto capitale, contributo diretto alla spesa, contributo in conto interessi, concessione di garanzia, partecipazione al capitale di rischio, bonus fiscale;

§       i termini, le modalità e le procedure, anche in forma automatizzata, attraverso bandi o direttive del Ministro per lo sviluppo economico, che individuano, tra l'altro, l'ammontare delle risorse disponibili, i requisiti di accesso dei soggetti beneficiari, le condizioni di ammissibilità dei programmi e/o progetti, le spese ammissibili e la forma e l'intensità dell'agevolazione.

Secondo quanto riportato nella relazione tecnica allegata al D.M. 8 marzo 2013 in aggiunta alle risorse iniziali, affluiranno al Fondo, ai sensi dell'articolo 27, comma 10, del D.L. 83/2012, anche quelle rivenienti dal rimborso dei finanziamenti agevolati concessi ai sensi dell'articolo 7 della L. 181/1989. La dotazione finanziaria complessiva del Fondo può essere stimata in 630 milioni di euro, a cui potrà aggiungersi una quota delle risorse non utilizzate del Fondo rotativo per il sostegno alle imprese e gli investimenti in ricerca (articolo 30, comma 3, decreto legge 83/2013).

 

Il comma 4 prevede che le modalità e i criteri per l'attuazione degli interventi di cui al comma 1 siano definite con un decreto del Ministro dello sviluppo economico con riguardo a specifiche priorità in favore dei programmi che ricadono nei territori oggetto di accordi, stipulati dal medesimo Ministero, per lo sviluppo e la riconversione di aree interessate dalla crisi di specifici comparti produttivi o di rilevanti complessi aziendali.

 

Profili finanziari

Il prospetto riepilogativo non considera la norma.

 

La relazione tecnica afferma che l’onere finanziario a carattere rotativo, che costituisce anche limite di spesa, trova copertura nell’ambito della disponibilità del Fondo per la crescita sostenibile. Pertanto la norma non comporta effetti negativi per la finanza pubblica.

 

In merito ai profili di quantificazione, andrebbe escluso che l’utilizzo del Fondo per la crescita sostenibile per le finalità previste dalla norma in esame possa determinare erogazioni per cassa non coerenti rispetto a quanto scontato negli andamenti tendenziali a legislazione vigente.

Andrebbe inoltre confermato che la concessione di contributi a fondo perduto a carico dei cofinanziamenti regionali sarà subordinata al rispetto dei vincoli di spesa previsti per le regioni dal patto di stabilità interno.

 

 


 

Articolo 4
(Norme in materia di concorrenza nel mercato del gas naturale e nei carburanti )

Il comma 1 limita ai soli clienti domestici l’applicazione transitoria del servizio di tutela gas, cioè il servizio per il quale per alcuni clienti c.d. “vulnerabili”, i prezzi di riferimento sono determinati dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas.

A tal fine, la norma interviene sull’articolo 22, comma 2, del decreto legislativo n.164/2000 (cd. decreto Letta), come modificato dall’articolo 7, comma 1, del D.Lgs. n.93/2011, che ha inserito i piccoli clienti industriali tra i cd. “clienti vulnerabili”.

 

Si ricorda in proposito che il citato comma 2 dell’articolo 22 del D.Lgs. 164/2000 reca la definizione di clienti vulnerabili, nella quale rientrano:

§       i clienti domestici,

§       le utenze relative ad attività di servizio pubblico, tra cui ospedali, case di cura e di riposo, carceri, scuole, e altre strutture pubbliche e private che svolgono un'attività riconosciuta di assistenza,

§       i clienti civili e non civili i cui consumi non superano i 50.000 metri cubi annui.

Nei confronti di tali clienti, la norma prevede che l’AEEG continui transitoriamente a determinare i prezzi di riferimento.

Alle forniture dei clienti che scelgono il servizio di tutela vengono applicate le condizioni economiche di riferimento fissate periodicamente dall'Autorità per l'Energia Elettrica e del Gas in base alle disposizioni del Testo integrato delle attività di vendita al dettaglio di gas (Allegato A alla Delibera ARG/gas 64/09). 

Si ricorda inoltre che, in sede di recepimento a livello nazionale del cd. “terzo pacchetto energia” (attuato con il D.Lgs. 93/2011), l’Antitrust in diverse segnalazioni a Governo e Parlamento (tra le quali As821 e As 901) e nella Relazione annuale per il 2013 (Doc XLV, n.1). ha chiesto di non estendere ulteriormente il perimetro del regime di tutela attualmente previsto, che andrebbe anzi progressivamente superato per garantire lo svolgimento di una corretta concorrenza nei mercati al dettaglio.

 

Si segnala che, così come formulata, la norma esclude anche le utenze relative ad attività di servizio pubblico dall’applicazione del servizio di tutela gas.

 

I commi da 2 a 6 mirano a velocizzare e dare certezza all'avvio delle prime gare di distribuzione del gas per ambiti territoriali, rafforzando i termini e le competenze delle Regioni, prevedendo una penalizzazione economica per i comuni che ritardano ad individuare la stazione appaltante e disponendo un potere sostitutivo statale.

Si ricorda che il cd. "Regolamento Criteri" (DM 12 novembre 2011, n. 226, Regolamento per i criteri di gara e per la valutazione dell'offerta per l'affidamento del servizio della distribuzione del gas naturale, in attuazione dell'articolo 46-bis del decreto-legge 1° ottobre 2007, n. 159, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2007, n. 222.), in vigore dall’11 febbraio 2012, completa le norme relative all’indizione delle Gare di Ambito per la distribuzione del gas. In questo modo, le nuove gare saranno disciplinate secondo criteri stabiliti per legge e omogenei (idonei a regolamentare il calcolo del valore di riscatto, gli oneri in capo all’aggiudicatario, i criteri di aggiudicazione, il contratto di servizio ecc).

E’ l’ultimo dei quattro provvedimenti emanati per rendere operativo l’affidamento del servizio di distribuzione del gas naturale per ambito territoriale tramite gare. Precedentemente sono stati emanati: il Decreto ministeriale del 19 gennaio 2011 sulla determinazione degli ambiti territoriali minimi, il Decreto ministeriale del 21 aprile 2011 sulla tutela dell’occupazione e il Decreto del 18 ottobre 2011 sull’individuazione dei Comuni per ambito.

 

Il comma 2 qualifica come perentori i termini indicati dall’articolo 3 del D.M. 12 novembre 2011 per l’avvio delle gare d’ambito nel primo periodo di applicazione, decorsi i quali la Regione avvia la procedura di gara attraverso la nomina di un commissario ad acta.  

Andrebbe valutata l’opportunità di effettuare un’interpretazione autentica con legge in relazione ad un termine contenuto in un decreto ministeriale.

 

Si ricorda che l’articolo 14, comma 7, del D.Lgs. 164/2000 prevede che la procedura di gara sia avviata dagli enti locali non oltre un anno prima della scadenza dell'affidamento, in modo da evitare soluzioni di continuità nella gestione del servizio. Qualora l'ente locale non provveda entro il termine indicato, sarà la regione, anche attraverso la nomina di un commissario ad acta, ad avviare la procedura di gara.

Questa sarà la tempistica da rispettare a regime (ai sensi dell’articolo 3, comma 2, del D.M. 12 novembre 2011, n. 226), mentre per il primo periodo di applicazione il comma 1 del medesimo D.M. indica una serie di scadenze meno stringenti e differenziate per gruppi di comuni (come risulta dalle tabelle contenute nell’allegato 1). Decorsi tali termini,

la Regione, previa diffida ai soggetti inadempienti contenente un termine perentorio a provvedere, avvia la procedura di gara come nel caso “a regime”.

 

Il comma 3 proroga di quattro mesi le date limite entro cui convocare i Comuni dell’ambito per la scelta della stazione appaltante per i primi due raggruppamenti di comuni di cui all’Allegato 1 del D.M. che sono scadute o scadrebbero entro il mese di ottobre 2013, con uno spostamento dei termini relativi alla mancata nomina della stazione appaltante a data non anteriore al 1° gennaio 2014.

Inoltre, viene indicata una procedura per designare la stazione appaltante per tutti gli ambiti dell’Allegato 1 in cui non è presente il capoluogo di provincia.

In tali casi la scelta della stazione appaltante avviene a maggioranza qualificata dei due terzi dei comuni appartenenti all’ambito che rappresentino almeno i due terzi dei punti di riconsegna dell’ambito, come risultanti dai dati di riferimento per la formazione degli ambiti pubblicati sul sito internet del Ministero dello Sviluppo Economico.

 

Si ricorda che, ai sensi dell’articolo 2 del D.M. 12 novembre 2011, n. 226, nel il Comune capoluogo di provincia (qualora appartenente all'ambito) o la Provincia (negli altri casi) convoca, entro la data di cui all'allegato 1 per il primo periodo di applicazione, gli Enti locali dell'ambito per identificare la stazione appaltante per la gestione della gara per l'affidamento del servizio di distribuzione del gas naturale.

Se il Comune capoluogo di provincia appartiene all’ambito, gli enti locali demandano a questo il ruolo di stazione appaltante (ferma restando la possibilità di demandare in alternativa tale ruolo a una società di patrimonio delle reti ove presente). Altrimenti, essi individuano un Comune capofila, o la Provincia, o un altro soggetto già istituito, quale una società di patrimonio delle reti, al quale demandare il ruolo di stazione appaltante.

Nel primo periodo di applicazione, decorsi 6 mesi dalla data di cui all'allegato 1 senza che si sia proceduto all'individuazione della stazione appaltante, il Comune con il maggior numero di abitanti o la Provincia competente trasmette alla Regione una relazione sulla situazione e sulle attività svolte, per l'eventuale intervento della regione.

 

Il comma 4 dispone un potere sostitutivo statale in caso di inerzia della Regione nella nomina del commissario ad acta.

Se infatti la Regione competente non procede alla nomina del commissario ad acta, dopo quattro mesi dalla scadenza dei termini indicati dal comma 2, il Ministero dello sviluppo economico, sentita la Regione stessa, interviene per dare avvio alla gara, nominando un commissario ad acta.  

 

Il comma 5 prevede una forma di penalizzazione economica per gli enti locali nei casi in cui gli stessi non abbiano rispettato i termini per la scelta della stazione appaltante.

In tali casi, il 20% degli oneri che il gestore corrisponde annualmente agli Enti locali come quota parte della remunerazione del capitale è versato dal concessionario subentrante, con modalità stabilite dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas, in uno specifico capitolo della Cassa conguaglio settore elettrico per essere destinati alla riduzione delle tariffe di distribuzione dell’ambito corrispondente.

 

Il comma 6 lascia al Ministero dello sviluppo economico la facoltà di emanare linee guida su criteri e modalità operative per la valutazione del valore di rimborso degli impianti di distribuzione del gas naturale, con lo scopo di facilitare lo svolgimento delle gare e di ridurre i costi degli enti locali e delle imprese.

 

Il comma 7 riguarda invece la rete di distribuzione dei carburanti, ed in particolare estende la destinazione del fondo per la razionalizzazione della rete di distribuzione dei carburanti anche all’erogazione di contributi per la chiusura di impianti di distribuzione di carburanti liquidi e la loro contestuale trasformazione in impianti di distribuzione esclusiva di metano per autotrazione.

Si ricorda che il D.Lgs. 32/1998 ha provveduto a razionalizzare il sistema di distribuzione dei carburanti. L’articolo 6 ha istituito presso la cassa conguaglio GPL il Fondo per la razionalizzazione della rete di distribuzione dei carburanti, nel quale confluiscono i fondi residui disponibili nel conto economico avente la medesima denominazione, istituito ai sensi del provvedimento CIP n. 18 del 12 settembre 1989 e successive integrazioni e modificazioni. Tali disponibilità sono utilizzate per la concessione di indennizzi, per la chiusura di impianti, ai gestori e ai titolari di autorizzazione o concessione, secondo le condizioni, le modalità e i termini stabiliti D.M. 24 febbraio 1999.

Recentemente, il D.M. 19 aprile 2013 ha ridefinito definire la misura del contributo dovuto, nonché le condizioni, le modalità e i termini per l'utilizzo delle disponibilità del Fondo, in relazione alle previsioni dell'art. 28, comma 1, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, che stabilisce che il Fondo per la razionalizzazione della rete di distribuzione dei carburanti sia destinato anche all'erogazione di contributi sia per la chiusura di impianti di soggetti titolari di non più di dieci impianti, comunque non integrati verticalmente nel settore della raffinazione, sia per i costi ambientali di ripristino dei luoghi a seguito di chiusura di impianti di distribuzione, e che tali specifiche destinazioni sono ammesse per un periodo non eccedente i tre esercizi annuali successivi alla data di entrata in vigore della stessa legge di conversione-

Profili finanziari

Il prospetto riepilogativo non ascrive alla norma effetti sui saldi di finanza pubblica.

 

La relazione tecnica afferma che dalla norma non derivano effetti sui saldi di finanza pubblica.

 

La relazione illustrativa fornisce ulteriori informazioni sui profili finanziari della norma. In particolare:

§      la disposizione di cui al comma 1 favorirà il passaggio al mercato libero dei clienti non domestici connessi alle reti di distribuzione, con la possibilità di stipulare contratti a prezzi inferiori agli attuali. Di tale possibilità potranno avvalersi anche le utenze gas delle amministrazioni pubbliche centrali e locali connesse a tali reti, con potenziali benefìci in relazione alle spese per l'acquisto di forniture;

§      le entrate complessive derivanti agli enti locali dall'effettuazione delle gare di distribuzione del gas naturale (commi da 2 a 4) sono stimate intorno ai 250-300 milioni di euro (circa il doppio rispetto alle entrate attuali), così articolate:

-        20 milioni di euro per rimborso attività di controllo;

-        128 milioni di euro per la remunerazione del capitale investito per reti di proprietà dei comuni, con tasso di remunerazione del 7,6 per cento stabilito dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas (11 per cento degli impianti);

-        100 milioni di euro come percentuale del costo annuo di località a favore di tutti i comuni dell'ambito;

-        fino a circa 50 milioni di euro come titoli di efficienza energetica ai comuni per interventi addizionali offerti, con vantaggi indiretti (per i cittadini e artigiani locali) per interventi di riduzioni dei consumi energetici nell'ambito.

Ad esse vanno aggiunte le entrate per circa 20 milioni di euro derivanti daTOSAP/COSAP;

§      la sanzione in caso di inerzia degli enti locali (comma 5) non comporterà minori entrate per gli enti stessi, ma solo la destinazione diretta di parte delle entrate loro spettanti alla specifica finalità di riduzione delle tariffe di distribuzione pagate dai cittadini;

§      la disposizione di cui al comma 6 (linee guida per la valutazione del valore del rimborso da corrispondere al gestore uscente) consentirà di ridurre i costi dei comuni per effettuare tale valutazione, riducendo il tempo e la necessità di consulenze specifiche;

§      la disposizione di cui al comma 7 (incentivi per la trasformazione degli impianti di distribuzione carburanti in impianti di distribuzione di metano per autotrazione) non ha effetti sulla finanza pubblica, in quanto si limita ad estendere ad ulteriori fattispecie l’applicabilità degli incentivi gravanti su un fondo già esistente presso la Cassa conguaglio GPL, la cui alimentazione, a carico delle imprese petrolifere e dei gestori di impianti di distribuzione carburanti, è stata già disposta con precedenti normative.

 

In merito ai profili di quantificazione, appare opportuno che sia chiarito se gli effetti finanziari indicati dalla relazione illustrativa - e non menzionati dalla relazione tecnica - risultino scontati negli andamenti tendenziali a legislazione vigente o derivino da stime di effetti attesi la cui valutazione sarà effettuata in sede di consuntivo.

Con riferimento alla sanzione introdotta dal comma 5 in caso di inerzia degli enti locali (versamento di una quota dei rimborsi spettanti all’ente locale a titolo di remunerazione del capitale di località), si segnala che tale previsione, ove trovasse applicazione, potrebbe determinare minori entrate a carico degli enti locali. Pertanto, pur essendo la norma finalizzata a favorire il rispetto dei termini perentori di indizione delle gare, andrebbe valutato se da essa possano derivare effetti negativi in termini di sostenibilità dei vincoli di bilancio previsti dal patto di stabilità interno.


 

Articolo 5
(Disposizioni per la riduzione dei prezzi dell’energia elettrica ed estensione della c.d. Robin Hood Tax )

L’articolo 5 reca una serie di interventi diversi che impattano sui prezzi dell'energia elettrica, con un’estensione della Robin Hood tax in parte destinata a riduzione degli oneri generali di sistema, una riduzione delle tariffe incentivanti CIP 6 per le fonti rinnovabili e assimilate e il blocco di una maggiorazione degli incentivi all'elettricità prodotta da biocombustibili liquidi.

 

Il comma 1, con una modifica all’articolo 81 del D.L. n. 112 del 2008, estende l’applicazione della c.d. Robin Hood Tax (maggiorazione IRES) alle aziende con volume di ricavi superiori a 3 milioni di euro (nella normativa previgente era prevista per volumi superiori a 10 milioni) e un reddito imponibile superiore a 300 mila euro (nella normativa previgente era 1 milione di euro).

 

Si ricorda che l’articolo 81 del D.L. n. 112 del 2008 (modificato da ultimo dall’articolo 7, comma 1, del D.L. n. 138 del 2011) ha introdotto un'addizionale all'IRES nei confronti delle società che operano nel settore petrolifero, ivi compreso il settore dell’energia elettrica, con volume di ricavi superiore a 10 milioni di euro e un reddito imponibile superiore a 1 milione di euro (limiti abbassati dalla norma in esame). L’aliquota, fissata in origine al 5,5% e successivamente elevata al 6,5% (articolo 56 della L. n. 99 del 2009), è stata poi innalzata al 10,5% per i periodi di imposta dal 2011 al 2013 (articolo 7, comma 3 del D.L. n. 138 del 2011: misure di perequazione nei settori petrolifero, dell'energia elettrica e del gas). E' stata inoltre ampliata la platea di soggetti passivi cui si applica tale addizionale, estesa - tra l'altro - anche alle imprese operanti nel trasporto e distribuzione del gas naturale.

Si rammenta, inoltre, che la legge n. 7 del 2009 (ratifica trattato Italia-Libia) ha introdotto una ulteriore addizionale IRES al 4% (la cui disciplina è stata modificata dall'articolo 25-bis del D. L. n. 216 del 2011) per le imprese operanti nel settore degli idrocarburi con determinati requisiti, tra cui una capitalizzazione superiore a 20 miliardi di euro.

 

L'Autorità per l'energia elettrica e il gas il 24 gennaio 2013 ha trasmesso al Parlamento la relazione sull'attività di vigilanza svolta nell'anno 2012 sul divieto di traslazione della maggiorazione IRES (c.d. Robin Hood Tax) sui prezzi al consumo, previsto dall’articolo 81, comma 18. Nelle conclusioni si legge che alla luce dell'esito dell'attività svolta nel corso dell'anno 2012 resta confermata l'esigenza di una puntuale vigilanza sul rispetto del divieto di traslazione; le analisi relative all'ultimo esercizio monitorato hanno infatti mostrato che una parte dei soggetti vigilati ha continuato ad attuare politiche di prezzo tali da costituire una possibile violazione del divieto di traslazione, comportando comunque uno svantaggio economico per i consumatori finali.

La Robin Hood Tax ha prodotto un gettito di 1,45 miliardi di euro, per l'86% provenienti dagli operatori dei settore elettrico e del gas. Si segnala che nel 2012 le entrate sono triplicate rispetto al 2010 (527 milioni), in seguito all'incremento al 10,5% e all'allargamento dei settori interessati, superando ampiamente le previsioni del Tesoro, nonostante una parallela forte contrazione dei soggetti incisi.

 

Il comma 2 destina le risorse derivanti dall’estensione della Robin Hood tax alla riduzione della componente A2 della bolletta elettrica, una volta sottratte la quota da utilizzare per la copertura finanziaria disposta dall’articolo 61 del decreto. Le modalità attuative saranno individuate con decreto adottato dal Ministro dell'economia e delle finanze di concerto con il Ministro dello sviluppo economico entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto.

 

Si ricorda che la componente A2 degli oneri generali di sistema copre i costi per lo smantellamento delle centrali nucleari e la chiusura del ciclo del combustibile. E’ definita direttamente dall' Autorità per l' Energia Elettrica ed il Gas (AEEG) e il ricavato affluisce alla Cassa Conguaglio per il Settore Elettrico in un apposito Conto di gestione il cui utilizzo e gestione sono disciplinati dall'Autorità.

Secondo i dati pubblicati dall’AEEG sul proprio sito, gli oneri generali di sistema incidono del 19,23% sulla bolletta di un utente domestico tipo, per un totale di 98 euro annui su una bolletta media di 511 euro. All’interno degli oneri generali di sistema, la componente A2 rappresenta solamente il 2,51%. La maggior parte di questi oneri, infatti, è dovuta alla componente A3 (90,61%) che copre gli incentivi alle fonti rinnovabili e assimilate.

 

Il commi 3, 4 e 5 modificano le modalità di determinazione delle tariffe concesse agli impianti in regime Cip6, prevedendo una parziale deroga per gli impianti di termovalorizzazione di rifiuti nei primi otto anni di esercizio.

È definito un regime di gradualità per l'anno 2013, in cui continua ad essere utilizzato il paniere di riferimento di prodotti gas-petrolio ma con riduzione del peso dei prodotti petroliferi e, dunque, con una progressione verso il prezzo all'ingrosso del gas naturale cui si approderà a partire dal 1° gennaio 2014.

 

In particolare:

§      per l'anno 2013, il valore del costo evitato di combustibile da riconoscere in acconto fino alla fissazione del valore annuale di conguaglio, è determinato, per la componente convenzionale relativa al prezzo del combustibile, sulla base del paniere di riferimento di cui alla legge 23 luglio 2009, n. 99, in cui il peso dei prodotti petroliferi sia progressivamente ridotto in ciascun trimestre (80% per il primo trimestre, 70% per il secondo trimestre, 60% per il terzo e quarto trimestre). Il complemento al cento per cento è determinato in base al costo di approvvigionamento del gas naturale nei mercati all'ingrosso come definito dalla deliberazione del 9 maggio 2013, n. 196/2013/R/GAS e degli ulteriori provvedimenti dell'Autorità per l'energia elettrica e del gas (comma 3);

§      dal 2014, il valore del CEC è aggiornato trimestralmente in base al costo di approvvigionamento del gas naturale nei mercati all'ingrosso, ferma restando l'applicazione dei valori di consumo specifico di cui al decreto del Ministro dello sviluppo economico 20 novembre 2012 (comma 4);

§      per gli impianti di termovalorizzazione di rifiuti che alla data di entrata in vigore del presente decreto siano in esercizio convenzionato da un periodo inferiore a otto anni, fino al completamento dell'ottavo anno di esercizio il valore del CEC è determinato sulla base del paniere di riferimento di cui alla legge 23 luglio 2009, n. 99, in cui il peso dei prodotti petroliferi è pari al 60% per cento (comma 5).

La relazione illustrativa motiva la deroga per gli inceneritori che siano ancora nella prima fase di recupero dell'investimento effettuato, in considerazione della particolare utilità sociale di tali impianti. La disposizione interessa sette termovalorizzatori, alcuni dei quali collegati alla risoluzione di emergenze regionali e ammessi al CIP 6 in virtù di tali emergenze.

Andrebbe valutata l’opportunità di chiedere chiarimenti al Governo in merito alla deroga per i termovalorizzatori.

 

Riguardo all’attuazione, la norma precisa che il Ministro dello sviluppo economico, con provvedimento da adottare entro 60 giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto su proposta dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas, stabilisce le modalità di aggiornamento del valore del CEC, in acconto e in conguaglio, nonché le modalità di pubblicazione dei valori individuati secondo i criteri di cui ai commi 4 e 5.

Restano ferme le modalità di calcolo della componente relativa al margine di commercializzazione all'ingrosso e della componente di trasporto nonché i valori di consumo specifico di cui al D.M. 20 novembre 2012, cui è stato definito l’aggiornamento del CEC negli anni dal 2010 in poi e il valore di conguaglio del CEC per l’anno 2011 oltre che il valore di acconto del CEC per l’anno 2012.

 

Il sistema di incentivazione tariffaria noto come “CIP 6”, introdotto con il provvedimento del Comitato interministeriale dei prezzi n. 6/92 per incentivare la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili o assimilate, rientra tra i meccanismi "tradizionali" di incentivazione dell'energia, ovvero quei meccanismi che promuovono la realizzazione di impianti attraverso la remunerazione dell'energia a un prezzo garantito.

Il meccanismo consiste in un incentivo a favore dei produttori di energia elettrica con impianti alimentati da fonti rinnovabili o assimilate che, avvalendosi di un’apposita convenzione, cedono al GSE (Gestore del sistema elettrico) l’energia prodotta ad un prezzo di ritiro superiore a quello di mercato. La differenza di prezzo viene recuperata attraverso un’apposita voce di costo (componente A3) nella bolletta degli utenti.

Tale sistema di incentivazione di fatto non è andato a sostegno in via prioritaria delle fonti rinnovabili vere e proprie in quanto ne hanno beneficiato soprattutto gli impianti utilizzanti fonti assimilate tra cui i termovalorizzatori, alimentati da rifiuti.

L'incentivo ai kWh prodotti da impianti Cip6 è calcolato tenendo costo del tipo di tecnologia e del costo evitato del combustibile (CEC): il produttore Cip6 riceve il valore del quantitativo di gas che sarebbe stato necessario a produrre con il metano il kWh generato dall’impianto.

 

Si ricorda che

§       l’articolo 30, comma 15, della legge 99/09 ha disposto che, a decorrere dall’anno 2009, con decreto del Ministro dello sviluppo economico, su proposta dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas, è aggiornato trimestralmente il valore della componente del costo evitato di combustibile da riconoscere in acconto fino alla fissazione del valore annuale di conguaglio. Tali aggiornamenti sono effettuati sulla base di periodi trimestrali di registrazione delle quotazioni dei prodotti del paniere di riferimento della componente convenzionale relativa al valore del gas naturale di cui al punto 3 della deliberazione AEEG n. 154/08 del 21 ottobre 2008 per tener conto delle dinamiche di prezzo dei prodotti petroliferi, tenendo altresì conto dell’evoluzione dell’efficienza di conversione e fermi restando i criteri di calcolo del costo evitato di combustibile di cui alla deliberazione AEEG n. 249/06.

§       l’articolo 2, comma 141, della legge 244/07 stabilisce che, dal 2007, il valore medio del prezzo del metano ai fini dell’aggiornamento del costo evitato di combustibile sia determinato dall’Autorità, tenendo conto dell’effettiva struttura dei costi nel mercato del gas naturale;

§       ai sensi dell’articolo 30, comma 15, della legge 99/09, l’Autorità deve presentare una proposta al Ministro dello Sviluppo Economico per la definizione, a decorrere dal 2009, delle modalità di aggiornamento del costo evitato di combustibile.

Con il parere del 13 dicembre 2012 n. 535/2012/i/eel l’AEEG ha presentato al ministro dello sviluppo economico la propria proposta per la modifica delle modalità per l’aggiornamento dei valori di acconto e di conguaglio del costo evitato di combustibile, tenuto conto delle recenti evoluzioni del mercato gas. L’AEEG stima il risparmio sulle bollette elettriche derivante dall’applicazione per il calcolo del valore di conguaglio del CEC per l’anno 2012 delle proprie proposte di modifica in circa 500 milioni di euro in relazione al solo anno 2012.

Peraltro, il MiSE con il D.M. 24 aprile 2013 ha deciso di determinare, per l'anno 2012, il valore di conguaglio della componente del costo evitato di combustibile senza applicare le modifiche proposte, ferma restando la necessita' di modifica delle modalita' di aggiornamento a partire dall'anno 2013 per tener conto dell'evoluzione del mercato gas.

 

Nel motivare l’esigenza dell’intervento normativo in esame, il Governo spiega che, considerata la struttura del parco di produzione elettrico nazionale e l'uso prevalente di gas naturale, il CEC è da intendersi riferito al costo di produzione del kWh a gas naturale. L'attuale norma di determinazione del «costo evitato», contenuta nella legge n. 99 del 2009, fa invece ancora riferimento ad un paniere di prodotti olio-gas non più attuale, portando a valori tariffari per l'energia CIP 6/92 che sono ancora oggi di molto superiori ai reali costi evitati. Secondo i dati citati dalla relazione, il valore del kWh scambiato sulla Borsa elettrica è ormai stabilmente inferiore a 60 euro/MWh, contro un valore della tariffa CIP 6/92 di quasi 100 euro/MWh.

Il comma 6 abroga le disposizioni di cui all'articolo 30, comma 15, della legge 23 luglio 2009, n. 99, non indicandole specificamente, ma tramite un generico riferimento a quelle incompatibili con le norme del presente articolo.

 

Il comma 7 elimina la facoltà per i titolari di impianti di generazione energia elettrica alimentati da bioliquidi sostenibili[2], entrati in esercizio prima del 2013, di modificare il sistema di incentivazione vigente, con effetto dal 2013.

Tale opzione consente una maggiorazione degli incentivi all'elettricità prodotta da biocombustibili liquidi entro un limite massimo di ore annue di funzionamento, che da definirsi con decreto ministeriale.

La relazione illustrativa stima che tale maggiorazione comporterebbe un aumento degli oneri effettivi sulle tariffe che, assumendo un limite massimo di ore annue di funzionamento di circa 5000 ore, assommerebbe a oltre 300 milioni di euro all'anno, che gli operatori beneficiari del maggior incentivo impiegherebbero in larghissima misura per l'importazione del biocombustibile, con marginali effetti sull'occupazione

 

Tale facoltà era stata prevista dalla legge di stabilità 2013 (articolo 1, comma 364, della legge n. 228/2012), che aveva inserito all’interno del D.Lgs. 28/2011[3] i commi 7-bis, 7-ter e 7-quater dell'articolo 25, al fine di salvaguardare la quota di produzione di energia elettrica da impianti alimentati a bioliquidi e garantire così il rispetto degli obiettivi in materia di produzione di energia da fonti rinnovabili imposti dall'UE.

Si ricorda che il D.Lgs. 28/2011[4] ha previsto una modifica nel sistema di incentivazione della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili per gli impianti che entreranno in esercizio a partire dal 2013. Essi sono, infatti, incentivati con un nuovo meccanismo, definito nel dettaglio dal D.M. 6 luglio 2012, di “attuazione dell'art. 24 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, recante incentivazione della produzione di energia elettrica da impianti a fonti rinnovabili diversi dai fotovoltaici”.

Si ricorda che nel settore dei trasporti, la quota di energia da fonti rinnovabili nel 2020 deve essere almeno pari al 10% del consumo finale di energia in questo settore.

Il citato D.Lgs. 28/2011, all’articolo 33, comma 2, ha fissato una quota minima di impiego di biocarburanti nei trasporti del 5% per il 2014.

 

Il comma 8 precisa che l’attuazione dell’articolo 5 deve avvenire in modo da comportare una riduzione effettiva degli oneri generali di sistema elettrico e dei prezzi dell'energia elettrica.

 

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

E’ attualmente all’esame delle istituzioni europee la proposta di direttiva sulla tassazione dei prodotti energetici e dell'elettricità (COM(2011)169), finalizzata a favorire il raggiungimento da parte dell'UE degli obiettivi prefissati in termini di lotta al cambiamento climatico, di promozione dell'uso di fonti energetiche rinnovabili e di sostegno agli investimenti nell'economia "verde".

In base a tale proposta le imposte sull'energia sarebbero divise in due componenti:

Sul testo modificato dal Parlamento europeo con modifiche, il Consiglio europeo ha discusso, da ultimo, lo scorso 21 giugno.

 

Profili finanziari comma 1

Il prospetto riepilogativo ascrive alla norma i seguenti effetti sui saldi di finanza pubblica.

(milioni di euro)

 

Saldo netto da finanziare

Fabbisogno

Indebitamento netto

 

2013

2014

2015

2013

2014

2015

2013

2014

2015

Maggiori entrate

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Robin tax- addizionale IRES

 

 

150

 

 

150

 

 

150

L’ammontare iscritto nel 2015 include il doppio effetto di saldo (2014) e acconto (2015) dell’addizionale IRES. A decorrere dal 2016 il maggior gettito annuo risulta pari a 75 milioni di euro.

 

La relazione tecnica afferma che in relazione all’ampliamento della platea sono stati analizzati i dati dichiarati in Unico 2012 individuando i redditi imponibili dei soggetti che svolgono le attività di interesse con ricavi superiori a 3 mln di euro e con imponibile maggiore di 300.000 euro.

Dalla stima risultano maggiori imponibili per circa 1,15 miliardi cui corrispondono, in termini di competenza annua, circa 75 milioni a decorrere dal 2014 (1.150 mln x 6,5%).

In termini finanziari, considerando un acconto del 100%, si stimano i seguenti effetti sul gettito:

   (milioni di euro)

 

2013

2014

2015

 Dal 2016

Robin tax- addizionale IRES

--

--

150

75

 

In merito ai profili di quantificazione si segnala che la procedura adottata per la stima degli effetti finanziari appare in linea con quella utilizzata nella relazione tecnica riferita alla norma introduttiva dell’addizionale IRES per il settore energetico.

Tuttavia, per quanto concerne i dati e le ipotesi adottate si evidenzia che la relazione tecnica utilizza e proietta il maggiore imponibile rilevato in base all’analisi delle dichiarazioni Unico 2012 (anno 2011). Sul punto, andrebbe chiarito se le disposizioni in materia di riduzione dei prezzi dell’energia elettrica - contenute nei commi successivi dell’articolo in esame – potrebbero incidere negativamente sulla redditività delle società in argomento. In tale ipotesi, potrebbe risultare prudenziale considerare, ai fini della stima del maggior gettito, un abbattimento della base imponibile IRES.

Si evidenzia, infine, che la norma non indica esplicitamente la decorrenza del nuovo meccanismo, mentre dal procedimento di calcolo effettuato nella relazione tecnica si desume che l’estensione dei requisiti e dell’imponibile dovrebbe operare a decorrere dal periodo d’imposta 2014. In proposito andrebbe acquisito un chiarimento del Governo, anche per valutare l’opportunità che la norma indichi espressamente – al fine di evitare dubbi interpretativi – la decorrenza dell’incremento dell’addizionale IRES in esame.

Si segnala che l’art. 61, comma 1, lettera a), del provvedimento in esame dispone che una quota delle maggiori entrate recate dalla norma in commento sia destinata alla copertura finanziaria di oneri recati da altre norme, specificatamente individuate, contenute nel medesimo provvedimento.

Profili finanziari comma 2

Il prospetto riepilogativo ascrive alla norma i seguenti effetti sui saldi di finanza pubblica.

 (milioni di euro)

 

Saldo netto da finanziare

Fabbisogno

Indebitamento netto

 

2013

2014

2015

2013

2014

2015

2013

2014

2015

Maggiori spese correnti

 

 

104,1

 

 

 

 

 

 

Minori entrate

 

 

 

 

 

104,1

 

 

104,1

 

La relazione tecnica, afferma che la norma non determina effetti negativi per la finanza pubblica.

 

In merito ai profili di quantificazione, si osserva in primo luogo che la norma, nel prevedere la destinazione di risorse alla riduzione della tariffa elettrica, non ne specifica l’importo. Dal prospetto riepilogativo degli effetti finanziari del provvedimento risultano destinate alla predetta finalità risorse per 104,1 mln per il 2015. Peraltro, considerati gli utilizzi di risorse operati a copertura del provvedimento in esame dall’art. 61, comma 1, lettera a)[5], il predetto ammontare di 104,1 mln non sembra risultare disponibile per gli esercizi successivi al 2015, come si evince dalla seguente tabella:

(mln di euro)

 

 

2013

2014

2015

2016

2017

2018

2019

2020

2021

dal 2022

 

RISORSE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 5 c.1

Robin Tax

 

 

150

75

75

75

75

75

75

75

55

Rimborsi Iva agenzie di viaggio

2,4

12

12

12

12

12

12

12

12

12

 

Totale Risorse

2,4

12

162

87

87

87

87

87

87

87

 

IMPIEGHI

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

61, c.1,

 let. a)

Utilizzo a copertura del provvedimento

2,4

12

57,9

71,9

71,9

71,9

71,9

53,9

42,9

36,9

5, c. 2

Risorse disponibili per la riduzione delle tariffe elettriche

0

0

104,1

15,1

15,1

15,1

15,1

33,1

44,1

50,1

 

Totale impieghi

2,4

12

162

87

87

87

87

87

87

87

 

Sotto il profilo sostanziale andrebbe pertanto chiarito quale ammontare di risorse risulti destinato dalla norma in esame alla finalità di riduzione delle tariffe elettriche.

Sotto il profilo formale andrebbe inoltre chiarito se la norma si configuri come creazione di un fondo di spesa a decorrere dal 2015, destinato a compensare la Cassa conguagli per il settore elettrico[6] delle minori entrate che deriveranno dalla riduzione delle tariffe che verrà deliberata dall’Autorità per l’energia elettrica con le modalità da individuarsi con decreto interministeriale.

Si segnala infine che risulterebbe opportuno che l’individuazione delle modalità di riduzione delle tariffe elettriche, ad opera del citato decreto interministeriale, fosse assoggettata ad una clausola di neutralità finanziaria, al fine di garantire il rispetto del limite delle risorse disponibili.

 

In merito ai profili di copertura finanziaria, si osserva che la disposizione non indica in maniera esplicita l’ammontare delle maggiori entrate derivanti dall’ampliamento dei soggetti passivi dell’imposta cosiddetta Robin tax di cui al comma 1, sebbene esso possa desumersi dalla relazione tecnica e dal prospetto riepilogativo degli effetti finanziari allegato alla stessa. Inoltre, la disposizione, non indica quanta parte delle citate entrate siano destinate alla copertura della riduzione della componente A2 della tariffa elettrica, il cui ammontare peraltro può desumersi, solo limitatamente all’anno 2015, dal suddetto prospetto riepilogativo. Appare pertanto opportuno che il Governo chiarisca a quanto ammontino le risorse destinate alla riduzione della componente A2 per gli anni successivi al 2015.

Con riferimento alla formulazione della disposizione si segnala l’opportunità di sostituire le parole: “le maggiori entrate generate” con le seguenti: le maggiori entrate derivanti.

Profili finanziari commi da 3 a 8

Il prospetto riepilogativo non considera la norma.

 

La relazione tecnica sottolinea che le disposizioni appaiono suscettibili di generare potenziali risparmi per gli utenti finali. Afferma inoltre che dai commi da 3 a 8 non discendono effetti sui saldi di finanza pubblica.

 

La relazione introduttiva afferma che l'attuale criterio di determinazione del «costo evitato», contenuta nella legge n. 99 del 2009, fa riferimento ad un paniere di prodotti olio-gas non più attuale e porta a valori tariffari per l'energia CIP 6/92 molto superiori ai reali costi evitati: il valore dell’energia scambiato sulla Borsa elettrica è ormai stabilmente inferiore a 60 euro/MWh, contro un valore della tariffa CIP 6/92 di quasi 100 euro/MWh. L'Autorità per l'energia elettrica e il gas, nel dicembre 2012, ha proposto un adeguamento della tariffa ai valori di mercato del gas naturale. È stato comunque previsto un regime di gradualità per l'anno 2013, in cui continua ad essere utilizzato il paniere di riferimento di prodotti gas-petrolio ma con una riduzione in ogni trimestre del peso dei prodotti petroliferi, con una progressione verso il prezzo all'ingrosso del gas naturale cui si approderà a partire dal 1° gennaio 2014.

Con riferimento alla deroga per gli impianti di termovalorizzazione di rifiuti in convenzione CIP 6/92 che si trovino nei primi otto anni dell'esercizio in convenzione, la relazione afferma che la disposizione interessa sette termovalorizzatori, alcuni dei quali collegati alla risoluzione di emergenze regionali e ammessi al CIP 6 in virtù di tali emergenze.

Con riferimento all’abrogazione di cui al comma 7 - riguardante la maggiorazione degli incentivi all'elettricità prodotta da biocombustibili liquidi - la relazione afferma che la disposizione abrogata comporterebbe un aumento degli oneri effettivi sulle tariffe. Assumendo un limite massimo di ore annue di funzionamento di circa 5.000 ore, tale aggravio assommerebbe a oltre 300 milioni di euro all'anno, che gli operatori beneficiari del maggior incentivo impiegherebbero in larghissima misura per l'importazione del biocombustibile, con marginali effetti sull'occupazione. L'abrogazione si ritiene pertanto possibile senza effetti negativi sull'andamento della produzione, considerando che l'andamento del prezzo della materia prima – dopo un effettivo e brusco rialzo conosciuto negli anni scorsi – è ora ritornato a valori compatibili con la ripresa delle attività. Non sono dunque ipotizzabili riduzioni di gettito fiscale per le attività d'impresa.

 

In merito ai profili di quantificazione, andrebbe chiarito se siano stati considerati i possibili riflessi indiretti derivanti dalla riduzione della remunerazione spettante, a titolo di costo evitato di combustibile, alle imprese esercenti impianti di produzione di energia elettrica in convenzione CIP 6/97: si fa riferimento, in particolare, ad una eventuale riduzione del gettito delle imposte sui redditi di tali imprese.


 

Articolo 6
(Gasolio per il riscaldamento delle coltivazioni sotto serra)

Il comma 1 dell’articolo 6, relativamente al gasolio utilizzato per il riscaldamento delle coltivazioni sotto serra da parte dei coltivatori diretti e degli imprenditori agricoli professionali iscritti nella relativa gestione previdenziale ed assistenziale, fissa l’applicazione per il periodo 1° agosto 2013 - 31 dicembre 2015 dell’accisa nella misura di 25 euro per mille litri, nel caso che gli stessi soggetti, in sede di richiesta dell’assegnazione del gasolio, ai sensi del decreto ministeriale 14 dicembre 2001, n. 454, si obblighino a rispettare la progressiva riduzione del consumo di gasolio per finalità ambientali.

 

La Tabella A allegata al decreto legislativo n. 504 del 1995, nell’indicare gli impieghi dei prodotti energetici che comportano l'esenzione dall'accisa o l'applicazione di un'aliquota ridotta, al punto 5 riporta la voce “Impieghi in lavori agricoli, orticoli, in allevamento, nella silvicoltura e piscicoltura e nella florovivaistica” nelle seguenti misure:

 

- gasolio

22 per cento aliquota normale

- oli vegetali non modificati chimicamente

Esenzione

- benzina

49 per cento aliquota normale

 

L'agevolazione viene concessa anche mediante crediti o buoni d'imposta, sulla base di criteri stabiliti, in relazione alla estensione dei terreni, alla qualità delle colture ed alla dotazione delle macchine agricole effettivamente utilizzate, come definiti con il decreto del Ministro delle finanze 14 dicembre 2001, n. 454. In particolare ai sensi del decreto, all’articolo 1, comma 2, si considerano macchine adibite a lavori agricoli le macchine agricole previste dall'articolo 57 del nuovo codice della strada, gli impianti e le attrezzature destinate ad essere impiegate nelle attività agricole e forestali, le macchine per la prima trasformazione dei prodotti agricoli, nonché gli impianti di riscaldamento delle serre e dei locali adibiti ad attività di produzione.

 

Considerando che, ai sensi dell’Allegato I al medesimo D.Lgs. n. 540/1995, per il gasolio usato come carburante è prevista una accisa pari a 617,40 euro per mille litri (così fissata dalla Determinazione dell’Agenzia delle dogane 9 agosto 2012, n. 88789 e ribadita dall’articolo 1, comma 487, della legge di stabilità 2013), applicando a tale importo il 22 per cento quale aliquota ridotta, l’accisa per il gasolio utilizzato per il riscaldamento delle coltivazioni sotto serra è attualmente determinata in 135,83 euro per mille litri.

 

La formulazione della norma fa riferimento all’accisa “a livello di imposizione, per l’anno 2013”.

Tale riferimento all’anno 2013 non appare chiaro, in quanto il medesimo periodo fissa l’applicazione temporale della specifica accisa per il periodo dal 1° agosto 2013 al 31 dicembre 2015.

 

La disposizione in esame pone per i beneficiari la condizione che essi si obblighino a rispettare la progressiva riduzione del consumo di gasolio per finalità ambientali.

In merito a tale aspetto non appare chiaro come venga attuata tale condizione che, dalla formulazione del testo, sembrerebbe una “condizione necessaria” per ottenere il beneficio fiscale.

La disposizione sembrerebbe in ogni caso avere un valore di “impegno programmatico” con scopi ambientali: viene fornito gasolio con un’accisa ridotta a fronte di un impegno a ridurre il consumo di gasolio.

Viene peraltro da considerare che, in termini economici, a fronte di una riduzione del prezzo di un prodotto, tendenzialmente si genera un aumento della richiesta del prodotto stesso e quindi un maggior consumo.

 

Il comma in esame inoltre richiama la direttiva 2003/96/CE del Consiglio che ristruttura il quadro comunitario per la tassazione dei prodotti energetici e dell'elettricità.

In particolare l’articolo 17 della direttiva prevede che, a condizione che i livelli minimi di tassazione previsti nella presente direttiva siano rispettati in media per ciascuna impresa, gli Stati membri possono applicare sgravi fiscali sul consumo di prodotti energetici utilizzati per il riscaldamento o per i fini di cui all'articolo 8, paragrafo 2, lettere b) e c) e di elettricità nei seguenti casi: a) a favore delle imprese a forte consumo di energia; b) qualora siano conclusi accordi con imprese o associazioni di imprese, o qualora siano attuati regimi concernenti diritti commercializzabili o misure equivalenti, purché volti a conseguire obiettivi di protezione ambientale o a migliorare l'efficienza energetica.

 

Si ricorda che l’articolo 5, comma 5, del D.L. n. 268/2000, relativamente al periodo 3 ottobre 2000–31 dicembre 2000, prevedeva per il gasolio usato nelle coltivazioni sotto serra un’aliquota pari allo 0% di quella applicata sul gasolio usato come carburante. Con successivi provvedimenti è stata invece disposta l’esenzione dall’accisa. In particolare, l’articolo 24, comma 3, della legge n. 388/2000 (finanziaria 2001) ha disposto l’applicazione di tale agevolazione per il primo semestre 2001; successivamente, l’articolo 1, comma 3, del D.L. n. 246/2001 e l’articolo 3 del D.L. n. 356/01 hanno stabilito la proroga dell’agevolazione, rispettivamente al 30 settembre 2001 e al 31 dicembre 2001. Quindi la proroga di tale regime agevolativi veniva disposta annualmente in sede di legge finanziaria per gli anni dal 2002 al 2009 (articolo 13, comma 3, della legge n. 448/2001 (finanziaria 2002), articolo 19, comma 4, della legge n. 292/2002 (finanziaria 2003), articolo 2, comma 4, della legge n. 350/2003 (finanziaria 2004), articolo 1, comma 511, lett. h), della legge n. 311/2004 (finanziaria 2005), articolo 1, comma 115, della legge n. 266/2005 (finanziaria 2006), articolo 1, comma 394 della legge n. 296/2006 (finanziaria 2007), articolo 1, comma 175, della legge n. 244/2007 (finanziaria 2008) e dall’articolo 2, comma 14 della legge n. 203/2008 (finanziaria 2009).

Nel 2009 la Commissione europea ha qualificato tali misure come aiuti di Stato: le misure finanziate con risorse statali hanno favorito talune imprese (le aziende del settore dell'agricoltura e, in particolare, quelle che coltivano sotto serra) e hanno inciso sugli scambi e falsare la concorrenza, vista la posizione dell'Italia nella produzione agricola sotto serra.

Trattandosi di una forma agevolativa, il comma 2 ribadisce che, ai sensi dell’articolo 25 del regolamento (CE) n. 800/2008 della Commissione del 6 agosto 2008, il livello di accisa da corrispondere all’Unione non deve essere inferiore al livello minimo di imposizione definito dalla direttiva (CE) n. 2003/96/CE, e successive modificazioni.

Qualora tale livello minimo venga modificato l’accisa dovuta per il gasolio utilizzato per il riscaldamento delle coltivazioni sotto serra viene corrispondentemente adeguata.

La sintesi delle informazioni relative alla misura di cui al presente articolo è comunicata alla Commissione europea con le modalità di cui all’articolo 9 del citato regolamento (CE) n. 800/2008.

 

La disposizione richiamata prevede, al comma 1, che entro 20 giorni lavorativi dall'entrata in vigore di un regime di aiuti o dalla concessione di un aiuto ad hoc, esentati a norma del regolamento stesso, lo Stato membro interessato trasmette alla Commissione una sintesi delle informazioni relative alla misura d'aiuto in questione. Tale sintesi è fornita mediante modulo elettronico attraverso l'applicazione informatica della Commissione prevista a tale scopo e nella forma prevista all'allegato III. La Commissione accusa senza indugio ricevuta della sintesi. La sintesi è pubblicata dalla Commissione nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea e sul sito web della Commissione.

 

Il comma 3 reca la quantificazione dell’onere determinato dall’accisa agevolata per le coltivazioni in serra (25 euro per mille litri) disposta dal comma 1 e dalla relativa compensazione del livello minimo di imposizione del livello di accisa da corrispondere all’Unione europea (comma 2) indicandolo complessivamente in 14,4 milioni di euro per il 2013 (tale regime decorre dal 1° agosto 2013) e in 34,6 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014-2015.

 

Si osserva che la disposizione, nel richiamare le norme che determinano oneri, indica anche il comma 2, che invece non sembra recare oneri, in quanto in caso di modifica “comunitaria” del livello minimo automaticamente si dovrà provvedere ad un adeguamento dell’accisa dovuta per il gasolio per coltivazioni in serra.

 

Alla copertura dell’onere si provvede mediante riduzione dei consumi medi standardizzati di gasolio da ammettere all’impiego agevolato di cui al decreto del Ministro delle politiche agricole e forestali 26 febbraio 2002, recante “Determinazione dei consumi medi dei prodotti petroliferi impiegati in lavori agricoli, orticoli, in allevamento, nella silvicoltura e piscicoltura e nelle coltivazioni sotto serra ai fini dell’applicazione delle aliquote ridotte o dell’esenzione dell’accisa”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 67 del 20 marzo 2002, in misura tale da garantire la copertura finanziaria di cui al presente comma.

 

Si ricorda che la legge di stabilità 2013 (legge n. 228 del 2012) all’articolo 1, comma 517 dispone la riduzione del 5 per cento, a decorrere dal 1o gennaio 2014, dei consumi medi dei prodotti petroliferi da ammettere all'impiego agevolato in agricoltura, come determinati in modo standardizzato nell’Allegato 1 al decreto del Ministero delle politiche agricole del 26 febbraio 2002 (G.U. n. 67/2002). Limitatamente all’anno 2013 i predetti consumi medi standardizzati di gasolio da ammettere all'impiego agevolato in agricoltura sono ridotti del 10 per cento.

Peraltro, l’articolo 2 del citato decreto ministeriale stabilisce che le regioni e le province autonome, quando ricorrano le speciali condizioni elencate al comma 2, possano disporre le maggiorazioni di cui ai punti 19 e 20 dello stesso allegato 1.

 

Il comma 4 rinvia la disciplina dell’applicazione del presente articolo ad un decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, di concerto con il Ministro dell’economia e finanze.

Profili finanziari

Il prospetto riepilogativo ascrive alla norma i seguenti effetti sui saldi di finanza pubblica.

(milioni di euro)

 

Saldo netto da finanziare

Fabbisogno

Indebitamento netto

 

2013

2014

2015

2013

2014

2015

2013

2014

2015

Minori entrate

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Accisa gasolio riscaldamento sotto serra

14,4

34,6

34,6

14,4

34,6

34,6

14,4

34,6

34,6

Maggiori entrate

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Riduzione consumi medi standardizzati gasolio lavori agricoli

14,4

34,6

34,6

14,4

34,6

34,6

14,4

34,6

34,6

 

La relazione tecnica afferma che la norma modifica l’accisa, per il periodo 1/8/2013-31/12/2015, riducendola in misura pari a 25 euro per mille litri. La misura attuale applicata nel settore agricolo, pari al 22% dell’aliquota normale del gasolio (indicata in misura pari a 617,40 euro per mille litri), viene ipotizzata costante al valore di 135,828 euro per mille litri.

Dagli ultimi dati disponibili (fonte Agenzia delle Dogane, anno 2008) il consumo di gasolio agricolo per serre risulta pari a 280,7 mln di litri. Tale valore viene ridotto dell’8,13% per tenere conto della riduzione dei consumi registrata dal MISE; viene pertanto considerato un consumo di 258 mln di litri.

Il minor gettito di accise risulta quindi pari a

(135,828 – 25) euro x 258 milioni di litri/1000 litri= 28,6 mln di euro

al quale viene aggiunto il minor gettito IVA calcolato applicando l’aliquota al 21%.

L’onere complessivo su base annua risulta quindi pari a 34,6 mln (anni 2014 e 2015). Il minor gettito per l’anno 2013 è calcolato in proporzione ai mesi tenendo conto che la disposizione si applica a decorrere dal mese di agosto.

Alla copertura degli oneri si provvede mediante riduzione dei consumi medi standardizzati di gasolio da ammettere all’impiego agevolato di cui al decreto del Ministro delle politiche agricole forestali 26 febbraio 2002. In proposito, la RT ricorda che un’analoga disposizione era contenuta nell’art. 1, c. 517, della legge di stabilità 2013 e che in tale sede era stato stimato che una riduzione del 5% dei consumi medi standardizzati agevolati comportasse un maggior gettito pari a 54 milioni. Sulla base di tali elementi, si stima che, su base annua, è necessario ridurre i consumi agevolati del 3%-3,5% (per l’anno 2013, considerata la decorrenza da agosto, la riduzione risulta pari a circa 1%-1,5%).   

 

In merito ai profili di quantificazione andrebbe precisato il riferimento temporale di applicazione del beneficio. Ciò in quanto il comma 1 indica, da un lato, la decorrenza iniziale al 1/8/2013 e, dall’altro lato, stabilisce che la nuova misura è applicata “per l’anno 2013”. Sul punto, considerato che la relazione tecnica quantifica gli effetti finanziari a decorrere da agosto 2013, andrebbe fornita una precisazione al fine di evitare dubbi interpretativi della norma.

Per quanto concerne la quantificazione, appaiono necessari chiarimenti in merito alla metodologia utilizzata. In proposito, si segnala che viene applicata l’aliquota IVA 21%, per la quale però è previsto, a decorrere dal 1° ottobre 2013[7], un incremento al 22% e i relativi effetti di maggior gettito sono già scontati sui saldi di finanza pubblica. In secondo luogo, andrebbero precisate le modalità di determinazione degli effetti di cassa i quali, in base a quanto illustrato nella RT, sembrerebbero coincidere con gli effetti di competenza.

Andrebbe inoltre verificato il coordinamento della quantificazione in commento con la misura dell’accisa sul gasolio da rideterminare, ai sensi dell’art. 61 del provvedimento in esame, con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle dogane.

Ulteriori informazioni andrebbero fornite in merito alla eventualità, prevista dal comma 2, di adeguamento della misura agli eventuali nuovi limiti fissati dalla disciplina comunitaria. In tal caso, qualora fossero stabiliti valori inferiori a quelli attualmente fissati, il corrispondente adeguamento previsto dalla norma in esame comporterebbe effetti negativi di gettito che andrebbero quantificati e coperti.

Per quanto concerne, infine, la norma di copertura finanziaria, andrebbe confermato se, per l’anno 2013, sia possibile ridurre le quantità di consumi medi agevolati o se questi risultino già attribuiti ai soggetti beneficiari.

In merito ai profili di copertura finanziaria, si ricorda che la modalità di copertura disposta dal comma 3, che prevede la riduzione dei consumi medi standardizzati di gasolio da ammettere all’impiego agevolato, è stata da ultimo utilizzata dall’articolo 1, comma 517, della legge n. 228 del 2012.

 In particolare tale norma, a differenza di quella in esame, indicava esplicitamente la riduzione percentuale dei consumi medi standardizzati. Nella presente disposizione, invece, tale valore è desumibile esclusivamente dalla relazione tecnica, posto che la norma si è limitata ad indicare l’entità degli oneri complessivi derivanti dai consumi ammessi all’agevolazione e a rinviare ad un successivo decreto del ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali l’applicazione dell’articolo in esame.


 

Articolo 7
(Imprese miste per lo sviluppo)

Al fine di favorire la ripresa delle iniziative di cooperazione allo sviluppo, favorendo l’internazionalizzazione delle imprese italiane attraverso la creazione di joint ventures nei Paesi in via di sviluppo, l’articolo 7 novella il comma 1 dell’articolo 7 della legge n. 49 del 1987, che disciplina l’assetto della cooperazione italiana allo sviluppo

Il nuovo testo prevede che attraverso il Fondo di rotazione per la cooperazione allo sviluppo, gestito dal Mediocredito centrale (originariamente previsto dalla legge n. 227 del 1977, cd. “Legge Ossola” e disciplinato dall’art. 6 della richiamata legge n. 48 del 1987) possano essere concessi, ad imprese italiane, crediti agevolati per assicurare il finanziamento integrale del capitale di rischio ai fini della costituzione di joint ventures nei Paesi in via di sviluppo (PVS), con corresponsione dei crediti agevolati, anche in forma anticipata.

Nella relazione tecnica si sottolinea come il ricorso al Fondo rotativo sia attualmente sottoutilizzato (tra il 2000 ed il 2011 sono stati erogati 4,4 milioni di euro per otto proposte di finanziamento), laddove le disponibilità finanziarie riferibili al Fondo ammontano a circa 108 milioni di euro.

I crediti potranno essere erogati a favore di investitori pubblici o privati o di organizzazioni internazionali, sempre al fine di favorire da parte loro la costituzione di imprese miste nei PVS, ovvero di promuovere lo sviluppo attraverso altre agevolazioni identificate dal Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE).

Una quota del Fondo rotativo, sempre secondo quanto previsto dal comma 1, potrà altresì essere destinata a dar vita ad un nuovo Fondo di garanzia a tutela dei prestiti concessi da istituti di credito a imprese italiane, oppure per facilitare gli apporti di capitale italiano nelle imprese miste.

La previgente disciplina non prevedeva l’eventualità di una previa corresponsione di tali crediti e precisava che essi potessero coprire solo parzialmente il finanziamento del capitale di rischio.

 

La relazione tecnica precisa che la disposizione non comporta effetti negativi per la finanza pubblica, poiché le risorse disponibili sul Fondo continueranno ad essere impiegate con modalità a carattere di rotatività.

 

Da un punto di vista finanziario, sulla base della legge n. 49/1987, i mezzi per provvedere rispettivamente ai doni ed ai crediti vengono destinati su base annuale, con legge finanziaria, a due diversi fondi: il Fondo speciale per la cooperazione allo sviluppo – soppresso a partire dal 1995 riconducendolo alla gestione ordinaria - ed il Fondo rotativo presso il Mediocredito centrale di cui all’art. 6, a valere sulle cui risorse il Ministro del tesoro autorizza la concessione di crediti finanziari agevolati a Stati, banche centrali o enti pubblici dei Paesi in via di sviluppo, a condizione che detti crediti siano volti al conseguimento delle finalità precipue della cooperazione allo sviluppo.

Nel Fondo rotativo confluiscono anche gli stanziamenti effettuati in base alla precedente normativa nazionale sull’aiuto allo sviluppo, ovvero la richiamata legge 227/1977, la legge 38/1979 (“Cooperazione dell’Italia con i Paesi in via di sviluppo”) e la legge 7/1981 (“Stanziamenti aggiuntivi per l'aiuto pubblico a favore dei Paesi in via di sviluppo”). I crediti di aiuto potranno se del caso anche essere destinati all’acquisto in Paesi terzi di beni inerenti ai progetti approvati.

 

Profili finanziari

Il prospetto riepilogativo non considera la norma.

 

La relazione tecnica ricorda che l’articolo 7 della legge n.49/1987 prevede la concessione di prestiti agevolati a imprese miste (joint venture) formate tra imprese italiane e imprese dei Paesi in via di sviluppo. Secondo la RT, tale strumento di credito risulta alquanto sottoutilizzato: a fronte di una disponibilità del sottoconto “art. 7 del Fondo rotativo per la cooperazione allo sviluppo” calcolata in circa 108 milioni di euro al 31 dicembre 2012, dal 2000 al 2011 risultano erogati appena 4,4 milioni di euro per sole otto proposte di finanziamento.

La RT ricorda che con la nuova formulazione dell’art. 7, una parte del Fondo rotativo potrà essere utilizzato - in una percentuale da definire in sede regolamentare - per costituire un Fondo di garanzia che dovrebbe garantire una percentuale dei finanziamenti a tassi commerciali o a tassi agevolati concessi da Banche ad imprese miste nei PVS. Secondo la RT, tale strumento comporterebbe ripercussioni positive per le imprese, con particolare riferimento all’abbattimento dei costi delle fideiussioni bancarie a garanzia del credito, concesse dagli istituti bancari.

Secondo la RT l’attuazione della norma comporta una successiva revisione regolamentare da parte del CIPE della delibera n. 92 del 6 novembre 2009 riguardante le agevolazioni in favore di imprese miste operanti nei Paesi in via di sviluppo.

La RT conclude che la disposizione in esame non comporta effetti negativi per la finanza pubblica in quanto le risorse disponibili sul Fondo continueranno ad essere utilizzate con modalità aventi carattere di rotatività.

 

In merito ai profili di quantificazione, appare opportuno acquisire dal Governo ulteriori elementi in merito alle modalità di erogazione delle risorse del fondo, anche al fine di verificare se le stesse, pur nell’ambito della rotatività, possano incidere sui tendenziali di spesa.

 

 


 

Articolo 8
(Partenariati)

L’articolo 8 del decreto legge in esame introduce un articolo aggiuntivo, il 14-bis (Partenariati), alla legge 26 febbraio 1987, n. 49, Nuova disciplina della cooperazione dell'Italia con i Paesi in via di sviluppo.

 

Il comma 1 prevede, per l’attuazione degli interventi di cooperazione allo sviluppo definiti dalla stessa legge 49 del 1987, la sottoscrizione di appositi accordi di programma tra enti pubblici, organismi sopranazionali ed enti privati promotori dei predetti interventi.

Il comma precisa che gli accordi in questione sono soggetti al rispetto delle disposizioni della legge n. 241 del 1990, Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi che disciplina le modalità di stipula degli accordi sostitutivi di provvedimenti discrezionali della pubblica amministrazione, nonché degli accordi di programma, prescrivendo anche l’obbligo dell’esplicitazione della motivazione.

 

Attraverso il rinvio alla legge 7 agosto 1990, n. 241, la disposizione equipara gli accordi di cooperazione cofinanziati dal Ministero degli esteri e da altri soggetti pubblici, agli accordi di programma già previsti nella legislazione italiana, semplificando l’aspetto dell’autorizzazione normativa.

Viene in tal modo, di conseguenza, facilitato l’approccio olistico (c.d. whole of country approach) della cooperazione, principio che sovrintende agli aiuti ai paesi in via di sviluppo nuovamente ribadito nelle Linee guida della cooperazione italiana per il triennio 2013-2015. Il whole of country approach, adottato nel G8 del 2009 sotto la Presidenza italiana, prevede la collaborazione tra settore pubblico, settore privato e società civile e si prefigge la sinergica mobilitazione di tutti gli attori del “sistema Italia di cooperazione”, al fine di evitare dispersioni o duplicazioni di risorse e massimizzare i risultati. Tale approccio sistematico e innovativo è dunque teso a valorizzare gli attori della cooperazione, e ad ottimizzare tutte le risorse disponibili (fondi privati e pubblici, inclusi i meccanismi finanziari innovativi), e le diverse politiche di cooperazione.

Gli accordi di programma raggiungono altresì lo scopo di semplificare le modalità di collaborazione con l’Unione europea – il maggior donatore di aiuti allo sviluppo a livello mondiale - e con le organizzazioni internazionali che si occupano di aiuto allo sviluppo, come viene evidenziato nella relazione introduttiva al provvedimento.

 

Il comma 2 , stabilisce che la rendicontazione degli interventi avvenga in base alle norme ordinarie, rinviando ad un decreto di natura non regolamentare del ministro degli esteri, emanato d’intesa con il ministro dell’economia e delle finanze, la disciplina di dettaglio per la rendicontazione degli accordi di cui al comma precedente.

Il comma 2 richiama inoltre espressamente l'articolo 11, comma 1, lettera c), del D.Lgs n. 123 del 2011 ai fini della sottoposizione al controllo contabile successivo.

Si ricorda che il comma 1 dell’articolo 11 del decreto legislativo n. 123 del 2011 elenca gli atti che debbono essere sottoposti al controllo successivo di regolarità amministrativa e contabile tra i quali, alla lettera c): “rendiconti amministrativi afferenti a un'unica contabilità speciale alimentata con fondi di provenienza statale e non statale per la realizzazione di accordi di programma”.

 

Il comma 3 prescrive il versamento all’entrata del bilancio dello Stato delle somme statali non utilizzate alla fine dell’intervento di cooperazione ovvero, quando si tratta di fondi non statali, la loro restituzione ai soggetti privati o pubblici o sovranazionali che li avevano erogati.

 

Nella relazione tecnica si evidenzia che alla disposizione in oggetto, volta semplificare le procedure contabili di spesa, non si ascrivono oneri finanziari.

 

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

Nella comunicazione Potenziare l'impatto della politica di sviluppo dell'Unione europea: un programma di cambiamento, la Commissione segnala come per il progresso dei paesi in via di sviluppo sia cruciale attirare e mantenere cospicui investimenti privati nazionali ed esteri e migliorare le infrastrutture. Secondo la Commissione l'UE deve sviluppare nuove modalità di collaborazione con il settore privato, soprattutto per stimolare attività e risorse di tale settore al fine di fornire beni pubblici, e prevedere finanziamenti anticipati e meccanismi per la condivisione dei rischi, in modo da favorire partenariati pubblico-privato e investimenti privati.

A tal fine la promozione dei partenariati pubblico-privato figura tra le priorità di intervento del nuovo strumento finanziario per la cooperazione allo sviluppo, come risulta dalla proposta presentata dalla Commissione nell’ambito del quadro finanziario pluriennale 2014-2020 (COM (2011) 840). L’intervento di modifica rispetto allo strumento finanziario vigente si propone tra l’altro la definizione di un quadro giuridico chiaro per il ricorso a strumenti innovativi utilizzati da altri donatori, ad esempio combinare e utilizzare partenariati pubblico-privati.

 

Profili finanziari

Il prospetto riepilogativo non considera la norma.

 

La relazione tecnica afferma che la norma prevede una semplificazione delle spese cofinanziate dal MAE con soggetti pubblici privati organismi sovranazionali, assimilando gli accordi di cooperazione cofinanziati agli ordinari accordi di programma già vigenti ai sensi della legge n. 241/1990 e richiamati ai fini del relativo controllo contabile dal decreto legislativo n. 123/2011. In questo modo si semplifica l’aspetto dell’autorizzazione normativa e quello del controllo, evitando nel contempo di instaurare ipotesi di gestioni fuori bilancio occulte. Per quanto riguarda il controllo, le regole ordinarie prevedono che l’accordo di programma contenga un’esplicita previsione degli uffici di controllo affidatari, secondo il criterio guida della prevalenza dei fondi.

Trattandosi di norma volta semplificare le procedure contabili di spesa, ad essa non vengono ascritti effetti finanziari.

 

In merito ai profili di quantificazione non si hanno osservazioni da formulare, considerato che la norma è finalizzata a semplificare le procedure di intervento e di controllo nel settore della cooperazione allo sviluppo. Ne consegue che non vengono modificati i meccanismi di finanziamento pubblico degli interventi a valere sulle risorse disponibili a legislazione vigente.

 


 

Articolo 9, commi 1-4
(Accelerazione nell’utilizzazione dei fondi comunitari)

L’articolo 9 reca, ai commi da 1 a 4, norme sull’utilizzazione dei fondi strutturali europei, motivate, secondo la Relazione illustrativa, dall’esigenza di evitare il rischio di ulteriori ritardi nell’utilizzo delle risorse comunitarie e le conseguenze dell’attivazione delle sanzioni comunitarie del definanziamento delle risorse medesime.

 

L’obiettivo è perseguito dal comma 1 stabilendo un obbligo per le amministrazioni pubbliche di trattazione prioritaria di tale materia rispetto ad altre.

In particolare, si sancisce l’obbligo per le amministrazioni e le aziende dello Stato anche a ordinamento autonomo, ivi compresi gli istituti e le scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le istituzioni universitarie, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, gli enti pubblici non economici nazionali, le agenzie fiscali di cui al D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, di dare precedenza, nella trattazione degli affari di propria competenza, ai procedimenti, ai provvedimenti e agli atti, anche non aventi natura provvedimentale, relativi alle attività in qualsiasi modo connesse all’utilizzazione dei fondi strutturali europei, compresi quelli inerenti allo sviluppo rurale e alla pesca, e alla realizzazione dei progetti finanziati con i medesimi fondi.

 

L’obiettivo di accelerazione dei procedimenti in tale materia è già stato oggetto dei seguenti recenti interventi, effettuati sia con atti aventi forza e valore di legge, sia con atti amministrativi e accordi tra amministrazioni:

§         il D.Lgs. 31 maggio 2011, n. 88, all’articolo 3, comma 3, prevede che il Ministro delegato per la politica di coesione adotti, ove necessario e nel rispetto delle disposizioni dei regolamenti dell'Unione europea, le opportune misure di accelerazione degli interventi anche relativamente alle amministrazioni che risultano non in linea con la programmazione temporale degli interventi medesimi;

§         l'articolo 23, comma 4, della legge 12 novembre 2011, n. 183, stabilisce che le risorse provenienti da una riduzione del tasso di cofinanziamento nazionale dei programmi cofinanziati dai fondi strutturali 2007-2013, sono destinate alla realizzazione di interventi di sviluppo socio-economico concordati tra le Autorità italiane e la Commissione europea;

§         ai sensi della delibera CIPE n. 1 del 2001 con l’accordo nell’ambito del Comitato Nazionale del Quadro Strategico Nazionale (riunione del 30 marzo 2011) tra tutte le Regioni, le Amministrazioni centrali interessate e il partenariato economico e sociale, è stato individuato un percorso per l’accelerazione e la riprogrammazione delle risorse destinate alle aree sottoutilizzate, vale a dire sia quelle di carattere aggiuntivo previste dal Fondo per lo sviluppo e la coesione (ex Fondo per le aree sottoutilizzate) sia quelle definite dai fondi strutturali dell’Unione europea, mediante la fissazione di target di impegno e di spesa certificata alla Commissione europea.

Sono stati definiti specifici target calcolati in rapporto alle soglie annuali n+2 delle risorse comunitarie che devono essere raggiunte da ciascun Programma nel corso degli anni 2012 e 2013: In particolare, al 31 maggio 2013 deve essere raggiunto il 40% della soglia e al 31 ottobre 2013 l’80%.

§         con il Piano di Azione Coesione, adottato alla fine del 2011 - definito di intesa con la Commissione europea in attuazione degli impegni assunti dal Governo italiano nel corso del Vertice europeo del 26 ottobre 2011 - il quale ha permesso una riprogrammazione delle risorse comunitarie e la riduzione della quota di cofinanziamento nazionale, per complessivi 12,1 miliardi, che è stata trasferita al di fuori dei programmi operativi stessi, a favore di interventi considerati prioritari dal Piano di azione coesione.

 

Va ricordato che il Ministro per la coesione territoriale, nel corso dell’audizione del 12 giugno 2013 presso le Commissioni V e XIV della Camera, al 31 maggio 2013, data dell'ultima verifica dei target intermedi nazionali di spesa, ha reso noto che la spesa certificata cumulata per il complesso dell'Italia (19,8 miliardi di euro) ha superato (di 1,2 punti percentuali) l'obiettivo di spesa complessiva, raggiungendo un livello pari al 40% degli importi da considerare[8], ma che, tuttavia, questo dato riflette risultati molto differenziati fra le due macro aree. Nelle regioni più sviluppate si raggiunge infatti un livello di spesa pari al 49,4% delle risorse programmate, mentre nelle regioni meno sviluppate, la spesa si ferma al 35,7%. Determinante, al fine di conseguimento del risultato di spesa sopra indicato, che ha consentito di evitare una perdita di risorse derivanti dal bilancio comunitario a fine 2012, è stata – ricorda il Ministro - la riduzione del cofinanziamento nazionale, attuata attraverso il Piano di Azione Coesione, che ha ridotto l'ammontare complessivo delle spese da certificare a Bruxelles[9]. Nel complesso, tuttavia, le risorse ancora da spendere, anche dopo la riprogrammazione del Piano di Azione Coesione, ammontano a circa 30 miliardi di euro, la maggior parte dei quali nell'area della Convergenza.

 

Alla luce del contesto normativo e amministrativo illustrato, nonché dei dati relativi al raggiungimento dei targets, sarebbe opportuno un approfondimento in merito agli effetti ulteriori che la misura sarebbe in grado di produrre, soprattutto con riferimento all’accennato divario tra regioni.

Nell’ambito di tale approfondimento si dovrebbe verificare l’opportunità di conferire rango normativo ad una previsione che potrebbe rientrare nella prassi amministrativa, con formalizzazione in apposite circolari, sede nella quale effettuare una ponderazione comparativa delle specifiche fattispecie cui si riferiscono i procedimenti che le amministrazioni sono chiamate a svolgere. E’ vero che la veste normativa potrebbe assumere rilievo per l’eventualità che la priorità attribuita alla conclusione dei procedimenti relativi ai fondi strutturali impedisca il rispetto dei termini stabiliti per altri procedimenti amministrativi. Tuttavia, si consideri l’opportunità di un approfondimento in merito all’applicabilità dell’automatismo introdotto dalla norma, per dare preferenza ai procedimenti relativi ai fondi strutturali, ai casi in cui la stessa amministrazione sia responsabile anche di procedimenti in cui potrebbero essere implicati livelli essenziali di prestazioni o diritti fondamentali. Si valuti inoltre che la ritardata conclusione di procedimenti diversi da quelli in materia di fondi strutturali potrebbe rilevare ai fini dell’indennizzo da ritardo previsto dall’art. 28 dello stesso decreto–legge, con effetti dal punto di vista della finanza pubblica.

 

Per accelerare l’utilizzo dei fondi strutturali, il comma 2 dà facoltà allo Stato, o alla Regione, ove accertino ritardi ingiustificati nell’adozione di atti di competenza degli enti territoriali, di intervenire in via sussidiaria sostituendosi all’ente inadempiente, secondo quanto disposto dai successivi commi 3 e 4.

La norma, introducendo tale potere sostitutivo, richiama la necessità di non incorrere nelle sanzioni previste dall’ordinamento dell’Unione europea per i casi di mancata attuazione dei programmi e dei progetti cofinanziati con fondi strutturali europei e di sottoutilizzazione dei relativi finanziamenti, relativamente alla programmazione 2007-2013.

 

Per tale disposizione, che non è a regime, in quanto riferita solo alla programmazione 2007-2013, la Relazione illustrativa precisa che essa produce i suoi effetti nel periodo limitato che va dall’entrata in vigore del decreto-legge sino al 31 dicembre 2015 (termine finale per l’utilizzo dei fondi comunitari).

 

Con riferimento alle sanzioni previste dall’ordinamento dell’Unione europea, si ricorda che il mancato conseguimento degli obiettivi UE comporta, secondo i Regolamenti comunitari[10], una riduzione delle risorse per il Fondo e per il Programma operativo interessato.

Infatti, in base alla c.d. "regola dell'n+2", per ogni annualità contabile delle risorse impegnate – per ciascun fondo (FSE, FESR) e programma operativo (PO) sul bilancio comunitario - la parte che non risulta effettivamente spesa e certificata alla Commissione entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello dell’impegno di bilancio viene disimpegnata automaticamente.

Il disimpegno delle risorse comunitarie comporta anche la parallela riduzione di disponibilità delle relative risorse di cofinanziamento nazionale.

Al costante monitoraggio della spesa dei fondi strutturali nel quadro dei programmi operativi, nazionali e regionali, provvede il Ministro per la Coesione territoriale sulla base di dati validati dalla Ragioneria generale dello Stato e dal Dipartimento per le Politiche di Sviluppo e la Coesione economica.

 

Al riguardo, la Relazione illustrativa ricorda che la Commissione europea ha già proposto una raccomandazione del Consiglio dell’Unione europea per un rafforzamento dei poteri delle strutture centrali dello Stato al fine di realizzare un’efficace utilizzazione dei fondi comunitari. Nella Raccomandazione del 29 maggio 2013 (Raccomandazione del Consiglio sul programma nazionale di riforma 2013 dell’Italia e che formula un parere del Consiglio sul programma di stabilità dell’Italia 2012-2017[11]) la Commissione europea, nel sottolineare l’azione intrapresa dall’Italia per il miglioramento dell’efficienza e della qualità della spesa pubblica, raccomanda all’Italia di adottare nel periodo 2013-2014 misure strutturali per migliorare la gestione dei fondi dell’UE nelle Regioni del Mezzogiorno, in vista del periodo di programmazione 2014-2020.

Come ribadito dal Ministro Trigilia nel corso dell’audizione tenuta il 12 giugno scorso presso le Commissioni V e la XIV, tale convincimento è reso ancora più esplicito nella lettera che il Commissario europeo per la Politica Regionale, J. Hahn, ha inviato al Ministero per la coesione territoriale lo scorso 30 maggio, nella quale si fa riferimento alla necessità di rafforzare il ruolo nazionale e di accrescere la concentrazione delle risorse su pochi obiettivi ritenuti prioritari.

 

I commi 3 e 4 disciplinano il meccanismo volto a consentire allo Stato, per la parte relativa alla propria competenza, e alle Regioni, riguardo all’inadempienza degli enti locali, di intervenire in via di sussidiarietà, sostituendosi all’ente inadempiente, ove accertino ritardi ingiustificati nell’adozione di atti di competenza degli enti territoriali.

Le amministrazioni competenti all’utilizzazione dei diversi fondi strutturali, nei casi in cui riscontrino criticità nelle procedure di attuazione dei programmi, dei progetti e degli interventi riguardanti la programmazione 2007-2013, di cui al comma 2, sono tenute:

a)       a convocare una Conferenza di servizi al fine di individuare le inadempienze e accertarne le eventuali cause, rimuovendo, ove possibile, gli ostacoli verificatisi (comma 3);

b)      a comunicare, ove non sia stato possibile superare le eventuali inadempienze nel corso della Conferenza di servizi, all’ente territoriale inadempiente i motivi di ritardo nell’attuazione dei suddetti programmi nonché a indicare quali iniziative ed atti adottare (comma 4).

 

In caso di ulteriore mancato adempimento, entro il termine di 30 giorni dalla comunicazione, l’amministrazione dello Stato, sentite le Regioni interessate, adotta le iniziative necessarie al superamento delle criticità riscontrate, eventualmente sostituendosi all’ente inadempiente attraverso la nomina di uno o più commissari ad acta (comma 4).

 

Va notato che il comma 2 attribuisce un potere sostitutivo allo Stato e alle regioni nei confronti degli enti territoriali, senza specificare le categorie degli enti, per i quali il territorio è elemento costitutivo e competenti all’attuazione di progetti di utilizzazione di fondi, sui quali tale potere può essere esercitato.

Andrebbe chiarito se la disposizione intenda attribuire potere sostitutivo allo Stato anche nei confronti delle regioni, valutandone i presupposti alla luce dell’art. 120 Cost..

 

L’articolo 120, secondo comma, della Costituzione, come modificato dalla riforma del Titolo V del 2001, prevede un potere sostitutivo del Governo nei confronti di Regioni ed enti locali in gravi casi di inadempienza (mancato rispetto di norme internazionali o comunitarie) oppure qualora sia in pericolo la sicurezza pubblica, od ancora quando, in generale, lo richiedano la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica del Paese.

Il dettato costituzionale è stato attuato dall’articolo 8 della legge n. 131/2003 che disciplina l’esercizio del potere sostitutivo del Governo. Questo, nei casi di cui sopra, in primo luogo assegna all’ente inadempiente un congruo termine per adottare i provvedimenti necessari e, decorso inutilmente tale termine, può scegliere tra due opzioni: adottare direttamente i provvedimenti necessari, oppure nominare un apposito commissario ad acta. La procedura di decisione, identica nei due casi, prevede la deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito l'organo interessato, su proposta del Ministro competente o del Presidente del Consiglio dei ministri.

Come evidenziato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 43/2004, l’assetto delineato dalla Costituzione non esclude peraltro l’esercizio di poteri sostitutivi delle Regioni. Secondo la Corte, l’articolo 120, secondo comma, Cost. non può essere inteso nel senso che esaurisca, concentrandole tutte in capo allo Stato, le possibilità di esercizio di poteri sostitutivi. In realtà esso prevede solo un potere sostitutivo straordinario, in capo al Governo, da esercitarsi sulla base dei presupposti e per la tutela degli interessi ivi esplicitamente indicati, mentre lascia impregiudicata l’ammissibilità e la disciplina di altri casi di interventi sostitutivi, configurabili dalla legislazione di settore, statale o regionale, in capo ad organi dello Stato o delle Regioni o di altri enti territoriali, in correlazione con il riparto delle funzioni amministrative da essa realizzato e con le ipotesi specifiche che li possano rendere necessari.

L’articolo 120, secondo comma, non preclude dunque, in via di principio, la possibilità che la legge regionale, intervenendo in materie di propria competenza, e nel disciplinare, ai sensi dell’articolo 117, terzo e quarto comma, e dell’articolo 118, primo e secondo comma, della Costituzione, l’esercizio di funzioni amministrative di competenza dei Comuni, preveda anche poteri sostitutivi in capo ad organi regionali, per il compimento di atti o di attività obbligatorie, nel caso di inerzia o di inadempimento da parte dell’ente competente, al fine di salvaguardare interessi unitari che sarebbero compromessi dall’inerzia o dall’inadempimento medesimi.

Tuttavia, la Corte stabilisce che le ipotesi di esercizio di poteri sostitutivi debbono essere previste e disciplinate dalla legge, che deve definirne i presupposti sostanziali e procedurali (Corte Cost., sent. n. 43/2004). Il potere sostitutivo della Regione rinviene, pertanto, la propria base costituzionale non solo nell’art. 120, ma anche nell’interpretazione sistematica degli artt. 117, commi 3 e 4 e 118, commi 1 e 2, della Costituzione.

 

Si constata che il presupposto del potere sostitutivo dello Stato e delle regioni è individuato dal comma 2 nell’accertamento di “ritardi ingiustificati”, mentre il comma 3 prevede l’attivazione ella conferenza di servizi - da parte delle “amministrazioni”- all’esito del riscontro di “criticità”. In base allo stesso comma 3 la conferenza individua “inadempienze” e le relative cause.

Appare opportuno valutare i diversi presupposti indicati dai due commi ai fini dell’attivazione dei relativi procedimenti al fine di chiarirne la portata, in quanto gli stessi procedimenti comportano una modifica dell’assetto delle competenze stabilito dall’ordinamento.

Quanto al procedimento sostitutivo previsto dal comma 4, qualora esso riguardi le regioni, va notato che contrasta con quello previsto dalla legge costituzionale 131/2003 all’art. 8 per l’attuazione dell’art. 120 Cost..

 

L’art. 8 della L. 131/2008[12] prevede che, nei casi e per le finalità previsti dall'articolo 120, secondo comma, della Costituzione, il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro competente per materia, anche su iniziativa delle Regioni o degli enti locali, assegna all'ente interessato un congruo termine per adottare i provvedimenti dovuti o necessari; decorso inutilmente tale termine, il Consiglio dei ministri, sentito l'organo interessato, su proposta del Ministro competente o del Presidente del Consiglio dei ministri, adotta i provvedimenti necessari, anche normativi, ovvero nomina un apposito commissario. Alla riunione del Consiglio dei ministri partecipa il Presidente della Giunta regionale della Regione interessata al provvedimento. Qualora l'esercizio del potere sostitutivo si renda necessario al fine di porre rimedio alla violazione della normativa comunitaria, gli atti ed i provvedimenti di cui al comma 1 sono adottati su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche comunitarie e del Ministro competente per materia. Fatte salve le competenze delle Regioni a statuto speciale, qualora l'esercizio dei poteri sostitutivi riguardi Comuni, Province o Città metropolitane, la nomina del commissario deve tenere conto dei princìpi di sussidiarietà e di leale collaborazione. Il commissario provvede, sentito il Consiglio delle autonomie locali qualora tale organo sia stato istituito. Nei casi di assoluta urgenza, qualora l'intervento sostitutivo non sia procrastinabile senza mettere in pericolo le finalità tutelate dall'articolo 120 della Costituzione, il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro competente, anche su iniziativa delle Regioni o degli enti locali, adotta i provvedimenti necessari, che sono immediatamente comunicati alla Conferenza Stato-Regioni o alla Conferenza Stato-Città e autonomie locali, allargata ai rappresentanti delle Comunità montane, che possono chiederne il riesame.

Inoltre, i provvedimenti sostitutivi devono essere proporzionati alle finalità perseguite.

 

Il ritardo nell’utilizzo dei fondi comunitari e lo stato di attuazione al 31 aprile 2013

Nell’ambito delle risorse finanziarie UE complessivamente stanziate per il periodo di programmazione 2007-2013 (circa 308 miliardi di euro), la quota assegnata all’Italia ammonta a 28,8 miliardi a valere su due fondi comunitari (Fondo europeo di sviluppo regionale – FESR e Fondo sociale europeo - FSE). Tali risorse comunitarie sono state programmate con il Quadro strategico nazionale 2007-2013, approvato dalla Commissione europea con decisione del 13 luglio 2007, i cui interventi sono attuati attraverso 52 Programmi Operativi nazionali, regionali e interregionali, che definiscono le priorità strategiche per settori e territori.

Le risorse programmate nel QSN 2007-2013 ammontano a oltre 60 miliardi di euro, di cui circa 28,8 miliardi di fondi strutturali provenienti dalla UE e circa 31,6 miliardi di risorse di cofinanziamento nazionale (iscritti sul Fondo di rotazione per l’attuazione delle politiche comunitarie previsto dalla legge n. 183/1987), destinati a finanziare i tre Obiettivi prioritari di sviluppo.

La gran parte di tali risorse, 43,6 miliardi, all’incirca il 75% del totale, risultano destinate all’Obiettivo “Convergenza”, che interessa le Regioni Calabria Campania, Puglia, Sicilia, cui si aggiunge la Basilicata (considerata in regime di phasing-out dall’obiettivo Convergenza). All’Obiettivo “Competitività”, che interessa tutto il Centro-Nord, l’Abruzzo e il Molise, nonché la Sardegna (in regime di phasing-in) sono assegnati 15,8 miliardi di euro (circa il 22% delle risorse complessivamente destinate all’Italia). La quota residua, 0,8 milioni di euro, interessa i programmi dell’Obiettivo “Cooperazione territoriale”.

In merito allo stato di attuazione degli interventi strutturali 2007-2013, si ricorda che le amministrazioni centrali e regionali hanno incontrato rilevanti difficoltà nell’utilizzare le risorse comunitarie secondo la tempistica definita dalle norme comunitarie, con il rischio costante di disimpegno delle stesse, atteso che le regole europee prevedono il definanziamento (che comporta altresì la parallela riduzione della quota di cofinanziamento nazionale) delle risorse non spese entro il biennio successivo all'annualità di riferimento.

Al 31 dicembre 2010, dopo 4 anni di operatività dei fondi strutturali 2007-2013, lo stato di utilizzo dei fondi comunitari era molto preoccupante, l’Italia risultava essere penultima tra gli Stati membri, con una percentuale di impegni sulle risorse complessivamente disponibili del 22 per cento e di pagamenti intorno al 12 per cento.

 

Per recuperare tale ritardo, nel corso del 2011 è stata avviata, di intesa con la Commissione Europea, l’azione per accelerare l’attuazione dei programmi cofinanziati dai fondi strutturali 2007-2013, sulla base di quanto stabilito dalla delibera CIPE n. 1 e puntualmente concordato nel Comitato Nazionale del Quadro Strategico Nazionale (riunione del 30 marzo 2011) da tutte le Regioni, dalle Amministrazioni centrali interessate e dal partenariato economico e sociale.

Con la delibera CIPE n. 1/2011, in particolare, è stato individuato un percorso per l’accelerazione e la riprogrammazione delle risorse destinate alle aree sottoutilizzate, vale a dire sia quelle di carattere aggiuntivo previste dal Fondo per lo sviluppo e la coesione (ex Fondo per le aree sottoutilizzate) sia quelle definite dai fondi strutturali dell’Unione europea, mediante la fissazione di target di impegno e di spesa certificata alla Commissione europea.

Alla fine del 2011, è stato adottato il Piano di Azione Coesione, quale risposta del Governo italiano ai ritardi nell’attuazione dei programmi dei Fondi strutturali 2007-2013 – specie nelle Regioni dell’Obiettivo Convergenza – e alle richieste di intervento dell’Unione Europea.

Il Piano, nell’impegnare le amministrazioni centrali e locali a rilanciare i programmi in grave ritardo, ha mirato ad una concentrazione degli investimenti in quattro ambiti prioritari di interesse strategico nazionale (Istruzione, Agenda digitale, Occupazione e Infrastrutture ferroviarie), reperendo i necessari stanziamenti attraverso una riduzione della quota complessiva del cofinanziamento nazionale dei fondi strutturali nell’ambito dei programmi operativi regionali del Mezzogiorno, che è stato portato dal 50 al 25%, con conseguente riutilizzo delle risorse per il finanziamento, nelle medesime Regioni, delle azioni e degli interventi previsti nel Piano stesso.

Il Piano, articolato in tre fasi di riprogrammazione, ha determinato, nel suo complesso, una rimodulazione di risorse comunitarie e una riduzione delle risorse di cofinanziamento nazionale, per complessivi 12,1 miliardi di euro:

I fase: riprogrammazione di 3,5 miliardi dai programmi operativi regionali a favore di istruzione, ferrovie, formazione, agenda digitale, occupazione di lavoratori svantaggiati (15 dicembre 2011).

II fase: riprogrammazione di 2,9 miliardi dai programmi operativi nazionali e interregionali gestiti dalle amministrazioni centrali dello Stato a favore della cura per l’infanzia e per gli anziani non autosufficienti, dei giovani, della competitività e innovazione delle imprese, delle aree di attrazione culturale (11 maggio 2012).

III fase: riprogrammazione di 5,7 miliardi di euro dai programmi operativi regionali e nazionali a favore di misure anticicliche (volte a arginare gli effetti della crisi e dare sostegno al tessuto economico e sociale), di salvaguardia di alcuni progetti validi già avviati ma che necessitano di tempi più lunghi per dispiegare i loro effetti, e di nuove azioni regionali (11 dicembre 2012, terza ed ultima fase).

Al fine di agevolare il raggiungimento degli obiettivi di spesa previsti dai programmi regionali cofinanziati dall’Unione europea per il periodo 2007-2013, con il D.L. n. 201/2011 si è inoltre intervenuti ad escludere dai vincoli del patto di stabilità interno delle Regioni le spese effettuate a valere sulle risorse dei cofinanziamenti nazionali dei fondi strutturali comunitari. Ciò ha permesso di “non computare” nei saldi del patto di stabilità le spese sostenute dalle Regioni a valere sulle proprie risorse, nonché su quelle statali loro trasferite dal Fondo di rotazione per l’attuazione delle politiche comunitarie. La deroga al patto di stabilità ha consentito una accelerazione della capacità di spesa ed evitato il disimpegno automatico delle risorse comunitarie. L’esclusione di tali spese dai vincoli del patto, inizialmente prevista nel limite di 1.000 milioni di euro per gli anni 2012, 2013 e 2014, è stata aumentata di ulteriori 800 milioni di euro per l’anno 2013 dall’articolo 2, comma 7, del D.L. n. 35 del 2013, per consentire alle amministrazioni titolari dei programmi comunitari 2007-2013 di conseguire gli obiettivi posti dai target di spesa al 31 dicembre 2013 al fine di evitare la perdita delle risorse non utilizzate, secondo la regola del disimpegno automatico delle risorse.

 

Nonostante i progressi realizzati nell’ultimo anno, il ritardo nell’utilizzo dei fondi strutturali 2007-2013 continua ad essere preoccupante. Come già accennato, il Ministro per la coesione territoriale Trigilia, nel corso dell’audizione del 12 giugno 2013, ha messo in rilievo che, a due anni e mezzo dalla scadenza finale per la certificazione delle spese alla Commissione UE, il totale della spesa effettuata è pari a 19 miliardi di euro, corrispondente al 40% delle risorse complessive, come riprogrammate a seguito del secondo aggiornamento del Piano di Azione Coesione (che ha ridotto le risorse del QSN 2007-2013 da oltre 60 a circa 54 miliardi). Non appena saranno adottate le decisioni comunitarie relative alle riduzioni del cofinanziamento nazionale previste dal terzo aggiornamento del PAC, definito a dicembre 2012, la disponibilità complessiva delle risorse si assesterà a 49,5 miliardi.

Nel complesso, le risorse ancora da spendere entro il 31 dicembre 2015 (termine ultimo per effettuare pagamenti) ammontano, quindi, a circa 30 miliardi di euro, la maggior parte dei quali nell'area della Convergenza.

Molto differenziato è, peraltro, il risultato fra le due macro-aree del Paese: a fronte di un livello di spesa del 49 per cento circa nelle Regioni del Centro Nord, nell'area della Convergenza delle Regioni del Sud la spesa si ferma al 36 per cento.

Secondo le informazioni fornite dal Ministro, l'area ad alto rischio di disimpegno riguarda soprattutto alcuni Programmi nazionali e Programmi regionali dell'obiettivo Convergenza: in particolare il PON 'Reti e mobilità' e i POR di Campania, Calabria e Sicilia. Secondo una prima stima effettuata dal Ministero, il rischio di disimpegno delle risorse, per i programmi dell'obiettivo Convergenza afferenti al FESR, sarebbe di almeno 3,6 miliardi e riguarderebbe il POR Campania, Sicilia, Calabria, e i PON "Reti e Mobilità", "Energie rinnovabili", "Attrattori culturali" e "Sicurezza"; le risorse a rischio per i Programmi afferenti al FSE sarebbe di 0,5 miliardi di euro complessivi.

Il Ministro ha sottolineato, dunque, la necessità di una azione di riprogrammazione delle risorse a rischio, volta a concentrare i fondi resi disponibili su poche misure con effetto anticiclico. Le misure saranno costruite in modo da rispondere, per un verso, al crescente peggioramento della occupazione giovanile e al progressivo impoverimento delle famiglie, soprattutto al Sud. Per altro verso, saranno rivolte a sostenere il sistema delle imprese e promuovere investimenti in grado di stimolare le economie locali.

Tale riprogrammazione dovrebbe attuarsi in due fasi:

§       una prima fase riguarderà solo programmi nazionali e sarà basata sulla riduzione del cofinanziamento nazionale, da modulare caso per caso in relazione alle effettive possibilità e necessità, tenendo a tal fine conto, non solo dei livelli di rischio, ma anche della opportunità di utilizzare le risorse che si rendono così disponibili per iniziative non cofinanziabili dai programmi operativi (in particolare le misure per contrastare la povertà delle famiglie). I programmi nazionali della convergenza che possono essere interessati da questa riduzione sono: il PON Reti e Mobilità per 734 MEURO; il PON Sicurezza per 206 MEURO; il POIN Energia 32 MEURO. Ad essi si aggiungono ulteriori risorse del PON "Ricerca e Competitività" che verrebbero riallocate sulla misura di sostegno alle imprese attraverso il rifinanziamento della legge n. 185/1990. In totale si tratterebbe, quindi, di una prima manovra per circa 1 miliardo di euro.

§       l'intervento della seconda fase riguarderà invece i POR Campania, Sicilia e Calabria e sarà incentrato sul sostegno al sistema delle imprese e sulla promozione di investimenti maggiormente in grado di stimolare le economie locali. Tra le misure allo studio segnalo: il finanziamento di progetti, immediatamente cantierabili, da concludersi entro dicembre 2015, presentati dai Comuni all'interno del Piano città, il finanziamento per completare opere pubbliche già avviate e sospese per mancanza di fondi, previa attenta selezione degli interventi più strategici; il finanziamento di interventi di efficientamento energetico degli edifici pubblici (scuole, ospedali, carceri ed edifici pubblici) e il rifinanziamento del Fondo di Garanzia e la ricapitalizzazione dei Confidi per rafforzare la capacità di accesso al credito delle piccole e medie imprese; la promozione di reti tra imprese, Università e centri di ricerca.


 

Fondo europeo di sviluppo regionale

Stato di attuazione al 31 aprile 2013

(Fonte RGS-IGRUE)

Milioni di euro                                

Programmi FESR

Contributo 2007/2013

Pagamenti

% pagamenti/ contributo

Obiettivo Convergenza

30.595,55

9.236,43

30,19%

Poin Attrattori culturali, e turismo

681,73

162,08

23,77%

Poi Energie rinnovabili

1.103,79

468,53

42,45%

Pon Governance e AT FESR

226,19

114,37

50,56%

Pon Istruzione

510,78

237,35

46,47%

Pon reti e mobilità

2.576,61

626,60

24,32%

Pon Ricerca e competitività

4.424,39

1.898,19

42,90%

Pon Sicurezza per lo Sviluppo

978,08

453,89

46,41%

Calabria

2.545,06

654,84

25,73%

Campania

6.264,80

1.144,94

18,28%

Puglia

4.492,32

1.987,58

44,24%

Sicilia

6.039,61

1.135,26

18,80%

Basilicata

752,19

352,80

46,90%

Obiettivo Competitività

7.810,67

3.747,68

47,98%

Abruzzo

345,37

180,29

52,20%

Emilia Romagna

346,92

176,85

50,98%

Friuli Venezia Giulia

300,75

124,70

41,46%

Lazio

743,51

328,10

44,13%

Liguria

525,88

245,98

46,77%

Lombardia

531,75

254,66

47,89%

Marche

285,83

143,32

50,14%

Molise

192,52

82,07

42,63%

PA di Bolzano

73,94

37,22

50,34%

P.A. Trento

62,48

34,65

55,46%

Piemonte  

1.068,75

531,44

49,73%

Toscana

1.126,65

546,00

48,46%

Umbria

343,77

153,90

44,77%

Valle d'Aosta

48,52

26,66

54,95%

Veneto

452,69

212,38

46,92%

Sardegna

1.361,34

669,46

49,18%

Obiettivo Cooperazione

705,59

275,52

39,05%

TOTALE FESR

39.111,81

13.259,63

33,90%


Fondo sociale europeo

Stato di attuazione al 31 aprile 2013

(Fonte RGS-IGRUE)

Milioni di euro                                

Programmi FSE

Contributo 2007/2013

Pagamenti

% pagamenti
/contributo

Obiettivo Convergenza

6.916,28

3.149,11

45,53%

Campania

968,00

283,11

29,25%

Calabria

800,49

400,43

50,02%

Sicilia

1.632,31

652,02

39,94%

Basilicata

322,37

176,93

54,88%

Puglia

1.279,20

511,45

39,98%

Pon Governance e Azioni di Sistema

427,98

210,06

49,08%

Pon Competenze per lo Sviluppo

1.485,93

915,11

61,59%

Obietivo Competitività

7.621,44

4.440,20

58,26%

Abruzzo

316,56

143,26

45,26%

Emilia Romagna

847,20

577,69

68,19%

Friuli Venezia Giulia

316,64

200,95

63,46%

Lazio

730,50

330,25

45,21%

Liguria

391,65

192,11

49,05%

Lombardia

796,23

490,60

61,62%

Marche

278,74

162,30

58,23%

Molise

102,90

49,07

47,69%

PA di Bolzano

158,51

83,24

52,51%

P.A. Trento

217,27

173,36

79,79%

Piemonte  

1.001,10

606,83

60,62%

Toscana

659,60

386,40

58,58%

Umbria

227,38

105,27

46,30%

Valle d'Aosta

64,28

34,18

53,17%

Veneto

711,59

383,04

53,83%

Sardegna

729,29

478,49

65,61%

Azioni di Sistema

72,00

43,16

59,94%

TOTALE FSE

14.537,72

7.589,31

52,20%

 

 

 

Fondo europeo per la pesca

Stato di attuazione al 31 aprile 2013

(Fonte RGS-IGRUE)

Milioni di euro                                

F.E.P

Programmato 2007/2013

Totali
Pagamenti

% Pagamenti/ Programmato

Programma Operativo FEP

848,69

295,03

34,76%

 

 


Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale

Stato di attuazione al 31 aprile 2013

(Fonte RGS-IGRUE)

Milioni di euro                                

FEASR

Programmato 2007/2013

Totali
pagamenti

% pagamenti/ programmato

Rete Rurale Nazionale

82,92

42,50

51,25%

Abruzzo

426,33

190,11

44,59%

Bolzano

330,19

251,04

76,03%

Emilia Romagna

1.157,89

580,75

50,16%

Friuli Venezia Giulia

265,02

132,96

50,17%

Lazio

700,29

320,88

45,82%

Liguria

290,14

137,98

47,56%

Lombardia

1.025,19

636,84

62,12%

Marche

482,28

234,05

48,53%

Piemonte

974,09

501,02

51,43%

Toscana

870,53

418,91

48,12%

Trento

278,76

180,28

64,67%

Umbria

785,81

409,69

52,14%

Valle d'Aosta

123,65

82,74

66,91%

Veneto

1.042,16

518,30

49,73%

Molise

206,58

96,70

46,81%

Sardegna

1.284,75

650,93

50,67%

Basilicata

667,90

338,86

50,74%

Calabria

1.083,58

551,97

50,94%

Campania

1.804,08

744,21

41,25%

Puglia

1.595,09

770,94

48,33%

Sicilia

2.172,97

1.026,40

47,23%

Totale

17.650,20

8.818,06

49,96%

 

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

Semestre europeo 2013

Il 29 maggio la Commissione europea ha presentato, nell'ambito della procedura del Semestre europeo, raccomandazioni specifiche per ciascun Paese, sui rispettivi piani nazionali di riforma (PNR) e sui programmi di stabilità.

Le raccomandazioni della Commissione dovrebbero essere avallate politicamente dal Consiglio europeo del 27-28 giugno ed adottate formalmente dal Consiglio entro il mese di luglio 2013.

Commissione e Stati membri verificheranno l’attuazione delle raccomandazioni nel quadro di un processo di “valutazione tra pari”. La Commissione valuterà quindi i progressi realizzati nella prossima analisi annuale della crescita, che dovrebbe essere pubblicata nel gennaio 2014.

Per quanto concerne l’Italia, con riferimento alla politica di coesione, la Commissione raccomanda di “adottare misure strutturali per migliorare la gestione dei fondi dell’UE nelle regioni del Mezzogiorno in vista del periodo di programmazione 2014-2020”.

Fondi strutturali nel QFP 2014-2020

Nell’ambito delle proposte di riforma della politica coesione (COM2013)246) connesse al QFP 2014-2020, si prevede una profonda modifica dei meccanismi di programmazione e gestione dei fondi strutturali, secondo la seguente articolazione:

§      la stipula di un contratto di partenariato tra la Commissione stessa e gli Stati membri, che indica le priorità tematiche da perseguire nel periodo di programmazione;

§      la predisposizione da parte degli Stati membri (nell’ambito del contratto di partenariato e secondo un modello che sarà adottato dalla Commissione), di programmi operativi e approvati con decisione della Commissione medesima;

L’esame delle proposte relative alla politica di coesione è strettamente connesso al negoziato complessivo sul Quadro finanziario pluriennale (QFP) 2007-2014, nel cui ambito sarà definita l’entità delle risorse disponibile e la loro ripartizione tra le varie politiche di spesa. Il negoziato tra Consiglio dell’UE e Parlamento europeo è tuttora in corso, con l’obiettivo di raggiungere un accordo in tempo utile (entro la fine del 2013) per consentire l’approvazione delle proposte legislative connesse al QFP, tra cui quelle relative alla politica di coesione.

 

Profili finanziari

Il prospetto riepilogativo non considera la norma.

 

La relazione tecnica, specifica, in ordine al comma 5, che la disposizione è volta a superare dubbi interpretativi sorti in alcune sedi di controllo preventivo di legittimità, in ordine al soggetto giuridico legittimato a gestire, destinare ed erogare le risorse del Fondo di solidarietà.

La RT afferma inoltre che all’articolo in esame, avente carattere ordina mentale, non sono ascritti effetti finanziari.

 

In merito ai profili di quantificazione, andrebbe confermato che l’accelerazione della spesa a valere sui programmi cofinanziati sia in linea con le previsioni di spesa già scontate nei tendenziali a legislazione vigente. In caso contrario, infatti, si determinerebbe un aumento dell’indebitamento netto.

Nulla da osservare circa il conferimento delle risorse del Fondo di solidarietà al Fondo di rotazione per le politiche comunitarie e quindi ai soggetti competenti a gestire le emergenze, tenuto conto che non viene alterata la destinazione degli aiuti.


 

Articolo 9, comma 5
(Risorse del Fondo di solidarietà dell’Unione europea per gli interventi di emergenza )

Il comma 5 dell’articolo 9 dispone l’accreditamento delle risorse economiche del Fondo di solidarietà dell’Unione europea per gli interventi di emergenza al Fondo di rotazione per le politiche comunitarie e il trasferimento da questo alle gestioni commissariali attivate per fronteggiare i predetti interventi ovvero, in mancanza, alle amministrazioni competenti.

Secondo quanto precisato dalla relazione illustrativa la norma si renderebbe necessaria al fine di superare i dubbi interpretativi e applicativi sorti in sede di controllo preventivo di legittimità in ordine al soggetto giuridico legittimato a gestire le risorse economiche rivenienti dal Fondo, dubbi che – secondo quanto riportato nella relazione – avrebbero comportato il blocco di parte delle risorse economiche messe a disposizione dall’Unione europea, stante la mancata registrazione di provvedimenti assunti dalla regione Lombardia motivata dalla ritenuta competenza del Dipartimento della protezione civile. Dovrebbe trattarsi, pertanto, di problemi sorti in relazione alla gestione delle risorse del Fondo di solidarietà erogate a fronte degli eventi sismici del maggio 2012 che hanno colpito, tra l’altro, la Lombardia.

 

Si ricorda che in caso di calamità naturali il principale strumento che l’Unione europea mette a disposizione è il Fondo di solidarietà (FSUE). Il FSUE è stato istituito dal Regolamento (CE) n. 2012/2002 del Consiglio dell'11 novembre 2002 per permettere all’Unione europea di affrontare situazioni d'emergenza in maniera rapida, efficace e flessibile ed esprimere la solidarietà europea alle regioni colpite[13].

Il FSUE può fornire aiuti finanziari agli Stati membri e ai paesi che partecipano ai negoziati di adesione in caso di catastrofi naturali gravi che provochino, in almeno uno degli Stati interessati, danni stimati a oltre 3 miliardi di euro (prezzi 2002) o superiori allo 0,6% del reddito nazionale lordo dello Stato interessato. In circostanze eccezionali può essere fornito aiuto anche a una regione colpita da una catastrofe straordinaria naturale, anche se le predette soglie non sono raggiunte, qualora la catastrofe abbia colpito la maggior parte della popolazione, con profonde e durevoli ripercussioni sulle condizioni di vita dei cittadini e sulla stabilità economica della regione stessa. Le singole situazioni vengono valutate caso per caso dalla Commissione (art. 2 del citato Regolamento (CE) n. 2012/2002).

L’intervento del Fondo è concesso sotto forma di sovvenzione (art. 3 del citato Regolamento). L'obiettivo del Fondo è coprire una parte delle spese pubbliche sostenute per aiutare lo Stato beneficiario ad attuare, secondo la natura della catastrofe, i seguenti interventi di emergenza: a) ripristino immediato delle infrastrutture e delle attrezzature nei settori dell'elettricità, delle condutture idriche e fognarie, delle telecomunicazioni, dei trasporti, della sanità e dell'istruzione; b) realizzazione di misure provvisorie di alloggio e organizzazione dei servizi di soccorso destinati a soddisfare le necessità immediate della popolazione; c) messa in sicurezza immediata delle infrastrutture di prevenzione e misure di protezione immediata del patrimonio culturale; d) ripulitura immediata delle zone danneggiate, comprese le zone naturali.

La domanda di contributo deve pervenire alla Commissione entro 10 settimane a partire dal primo danno subito. La Commissione valuta la domanda e decide se proporre o meno all'autorità di bilancio (Parlamento europeo e Consiglio) di attivare il FSUE e mobilizzare l'importo dell'eventuale aiuto ritenuto adeguato. Una volta confermati gli stanziamenti, la sovvenzione viene versata immediatamente e in un'unica rata (articolo 4).

L’articolo 5 prevede che la Commissione e lo Stato beneficiario concludano una convenzione (o accordo) di attuazione della decisione che concede la sovvenzione. Tale accordo descrive segnatamente la natura e la localizzazione degli interventi che saranno finanziati dal Fondo e dispone in merito all’individuazione dell’organismo responsabile dell’attuazione dell’accordo medesimo.

Si ricorda che con riferimento all’intervento del FSUE per il sisma del 2009 in Abruzzo, ai sensi dell’art. 8 dell’accordo di attuazione della Decisione della Commissione dell’11 novembre 2009 che ha concesso la sovvenzione all’Italia, l’organismo responsabile del coordinamento e dell’attuazione della sovvenzione medesima è stato individuato nel Dipartimento della Protezione Civile[14].

Lo Stato beneficiario è responsabile dell'utilizzazione della sovvenzione e dell'eventuale coordinamento tra il contributo del FSUE e le altre fonti di finanziamento.

La parte di sovvenzione non utilizzata entro un anno va rimborsata alla Commissione.

Da ultimo, che l’articolo 2, comma 5, del decreto legge n. 74 del 2012, prevede che il Fondo per la ricostruzione delle aree colpite dal sisma del maggio 2012 nei territori delle regioni Emilia Romagna, Lombardia e Veneto venga alimentato, tra l’altro, con le risorse eventualmente rivenienti dal Fondo di solidarietà dell’Unione europea. Ai presidenti delle predette regioni, in qualità di Commissari delegati, sono intestate apposite contabilità speciali aperte presso la tesoreria statale su cui sono assegnate le risorse provenienti dal Fondo.

 

Per quanto riguarda il Fondo di rotazione per le politiche comunitarie, al quale vengono accreditate le risorse rivenienti dal Fondo di solidarietà della UE, si ricorda che esso è stato istituito dall’articolo 5 della legge n. 183 del 1987. In esso sono iscritte le risorse nazionali che costituiscono la quota di cofinanziamento che si affianca alle risorse assegnate dall'Unione europea per la realizzazione degli interventi finanziati a valere sui fondi comunitari, ai sensi del c.d. principio di addizionalità.

Il Fondo è iscritto nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze, nel cap. 7493 (Missione “L’Italia in Europa e nel mondo”, programma “Partecipazione italiana alle politiche di bilancio in ambito UE”). Nel bilancio per il 2013, la dotazione del Fondo risulta pari a 5,5 miliardi di euro per ciascuna annualità 2013-2015.

 

Da ultimo, la disposizione precisa che resta fermo il ruolo dell’organismo responsabile dell’attuazione dell’Accordo sottoscritto in sede europea.

Relativamente all’individuazione del citato organismo si rinvia a quanto detto in precedenza nella ricostruzione normativa relativa al FSUE.

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

Nel quadro della riforma della politica di coesione per il periodo 2014-2020, il 6 ottobre 2011 la Commissione ha presentato una comunicazione sul futuro del Fondo di solidarietà dell’UE - FSUE (COM(2011)613).

Allo scopo di migliorare la gestione del fondo, la Commissione sottolinea l’opportunità di modificare il regolamento (CE) n. 2012/2002, istitutivo del FSUE, con riferimento ai seguenti profili:

§       la definizione dell'ambito di intervento del Fondo di solidarietà;

§       la definizione di “catastrofi regionali”;

§       l’accelerazione delle erogazioni, con l’eventuale introduzione di anticipi;

§       la semplificazione amministrativa.

La comunicazione ha avviato il dibattito sulle prospettive di riforma del Fondo di solidarietà dell’UE (Consiglio dell’UE e Parlamento europeo non si sono ancora espressi), in vista della presentazione di una proposta legislativa.


 

Articolo 10
(Liberalizzazione dell’allacciamento dei terminali di comunicazione alle interfacce della rete pubblica-WiFi)

L’articolo 10 modifica sotto diversi profili la disciplina della prestazione al pubblico di servizi Internet. In particolare, si interviene sulle modalità di identificazione degli utenti; sui titoli autorizzativi necessari per l’effettuazione di tale attività e sull’installazione delle apparecchiature di comunicazione elettronica.

 

Identificazione degli utenti

 

Il comma 1 afferma il principio della libertà di offerta di accesso ad Internet al pubblico, senza necessità di identificazione personale degli utilizzatori, fermo restando l’obbligo del gestore di garantire la tracciabilità del collegamento, attraverso il MAC address.

 

Il MAC (Media Access Control) address è un codice di 48 bit (6 Byte) affidato in modo univoco dal produttore ad ogni scheda di rete. Si tratta in sostanza di un codice che consente l’identificazione di un terminale e non della persona.

 

Al riguardo, andrebbero chiarite le modalità con le quali si procederà alla tracciabilità del collegamento.

 

In proposito si ricorda che un obbligo di monitoraggio e identificazione degli utenti era previsto, con finalità di contrasto al terrorismo internazionale, per “pubblici esercizi” e “circoli privati” dall’articolo 7, commi 4 e 5, del decreto-legge n. 144/2005 (c.d. “decreto Pisanu”).

 

Il termine “pubblici esercizi” sembrava far riferimento alla definizione dell’articolo 86 del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza (R.D. 18 giugno 1931, n. 773), vale a dire una vasta categoria di esercizi commerciali, quali quelli per la somministrazione di alimenti e bevande, strutture ricettive, sale giochi. La successiva circolare del Dipartimento di pubblica sicurezza del 29 agosto 2005 chiariva peraltro che la disposizione era rivolta a tutti gli esercizi commerciali aperti al pubblico, includendovi quindi anche esercizi non compresi nella nozione di pubblici esercizi sopra richiamata, quali le librerie. Per “circoli privati” si sembrava invece fare riferimento alla fattispecie di cui al DPR n. 235/2001 (Regolamento recante semplificazioni del procedimento per il rilascio dell’autorizzazione alla somministrazione di alimenti e bevande da parte di circoli privati; i circoli privati si differenziano dai pubblici esercizi in quanto non costituiti in forma di impresa ma come associazioni senza scopo di lucro).

 

Tali disposizioni prevedevano che con decreto del Ministro dell’interno, di concerto con i ministri interessati e sentito il Garante per la protezione dei dati personali, si provvedesse al monitoraggio delle operazioni dell'utente e per l'archiviazione dei relativi dati nonché alla preventiva acquisizione di dati anagrafici riportati su un documento di identità dei soggetti che utilizzano postazioni pubbliche non vigilate per comunicazioni telematiche ovvero punti di accesso ad Internet utilizzando tecnologia senza fili. In attuazione della disposizione era stato emanato il decreto del Ministro dell’interno del 16 agosto 2005. Tale decreto aveva previsto (art. 3) che gli obblighi di identificazione, ma non quelli di monitoraggio, si applicassero anche nei confronti di tutti i fornitori di terminali utilizzabili per comunicazioni telematiche; rientravano così nell’ambito di applicazione del decreto anche postazioni internet presso biblioteche, università, centri di ricerca o uffici pubblici.

I commi 4 e 5 sono stati poi soppressi dal decreto-legge n. 225/2010. Conseguentemente si dovrebbe intendere implicitamente soppresso anche il decreto del Ministro dell’interno del 16 agosto 2005.

 

Al riguardo, ove si acceda a tale ipotesi, sembra potersi desumere che già prima dell’entrata in vigore della disposizione in commento per gli esercizi commerciali aperti al pubblico, per i circoli privati e per i soggetti pubblici non sussistessero specifici obblighi di identificazione e monitoraggio degli utenti. Dalla relazione illustrativa, che fa riferimento a “dubbi ed incertezze circa la responsabilità civile e penale del gestore” per eventuali illeciti compiuti attraverso postazioni Internet offerte al pubblico, sembrerebbe possibile ipotizzare che in molti casi in tali attività si fosse continuato a procedere all’identificazione degli utenti per tale motivo.

 

Il comma 2 specifica inoltre che la registrazione della traccia, ove non associata all’identità dell’utilizzatore, non costituisce trattamento di dati personali e non richiede adempimenti giuridici.

 

In proposito si ricorda che in materia di trattamento dei dati personali, l’articolo 132 del Codice per il trattamento dei dati personali (decreto legislativo n. 196/2003) prevede che “i dati relativi al traffico telefonico sono conservati dal fornitore per ventiquattro mesi dalla data della comunicazione, per finalità di accertamento e repressione dei reati, mentre, per le medesime finalità, i dati relativi al traffico telematico, esclusi comunque i contenuti delle comunicazioni, sono conservati dal fornitore per dodici mesi dalla data della comunicazione”

Come specificato dal Garante per la protezione dei dati personali, tali obblighi appaiono però “rivolti unicamente a coloro che realizzano esclusivamente, o prevalentemente, una trasmissione di segnali su reti di comunicazione elettroniche” (quali gli Internet service provider quindi) con esclusione dei soggetti che mettano a disposizione del pubblico punti di accesso ad Internet (così nella Deliberazione del Garante per la protezione dei dati personali Sicurezza dei dati di traffico telefonico e telematico del 17 gennaio 2008)

 

Anche in questo caso, pertanto, si può dedurre che già prima dell’entrata in vigore della disposizione in commento l’obbligo di conservazione dei dati personali non riguardasse gli esercizi commerciali aperti al pubblico, i circoli privati ed i soggetti pubblici. Peraltro si potrebbe anche ipotizzare che la disposizione produca l’effetto paradossale di imporre a tali soggetti l’obbligo di conservazione dei dati personali in quanto in alcuni casi l’obbligo di tracciabilità del collegamento previsto dal comma 1 potrebbe di per sé associarsi “all’identità dell’utilizzatore” (qualora ad esempio dal terminale in questione vengano effettuati pagamenti on line, con l’inserimento dei propri dati personali).

 

Titoli autorizzativi

 

Il comma 2 dell’articolo 10 precisa inoltre che se l’offerta di accesso ad internet non costituisce l’attività commerciale prevalente non è richiesta l’autorizzazione generale prevista dall’articolo 25 del codice delle comunicazioni elettroniche (decreto legislativo n. 259/2003) e la licenza rilasciata dal questore prevista dall’articolo 7 del decreto-legge n. 144/2005 (che peraltro era prevista come obbligatoria solo fino al 31 dicembre 2011).

 

In proposito merita richiamare che:

§      l’articolo 25 del codice delle comunicazioni elettroniche prevede in via generale, per la fornitura di reti e di servizi di comunicazione elettronica, un’autorizzazione generale (comma 3) che si esplica (comma 4) in una dichiarazione di inizio attività con il meccanismo del silenzio assenso; in base alla modifica introdotta dal decreto questo meccanismo non è più previsto quando l’offerta di accesso ad Internet non costituisce attività commerciale prevalente.

 

Al riguardo, si ricorda che il decreto legislativo n. 259/2003 nell’introdurre il regime dell’autorizzazione generale per le reti e i servizi di comunicazione elettronica, in luogo del precedente regime delle licenze individuali, attuava quanto previsto dalla direttiva-quadro 2002/21/CE. Tale direttiva chiarisce comunque che per servizio di comunicazione elettronica (sottoposto all’obbligo di autorizzazione generale) si intendono i “servizi forniti di norma a pagamento consistenti esclusivamente o prevalentemente nella trasmissione di segnali su reti di comunicazioni elettroniche”. Il Codice delle comunicazioni elettroniche non sembra recare un’autonoma definizione di “servizi di comunicazioni elettroniche”; andrebbe pertanto chiarito, per comprendere l’effettiva portata normativa dell’intervento, se nell’assetto previgente attività commerciali aperte al pubblico, soggetti pubblici e circoli privati (che in quanto tali non forniscono servizi consistenti esclusivamente o prevalentemente nella trasmissione di segnali su reti di comunicazioni elettroniche) fossero sottoposti all’obbligo di autorizzazione generale ai sensi dell’articolo 25 del Codice delle comunicazioni elettroniche;

 

§      il decreto-legge n. 144/2005 aveva introdotto con finalità di contrasto al terrorismo internazionale, per l’apertura di ”pubblici esercizi” e “circoli privati” (cfr. supra) che offrissero postazioni di accesso ad Internet l’obbligo di una licenza rilasciata dal questore.

 

Al riguardo, si segnala che, in base alle modifiche introdotte all’articolo 7 del decreto-legge n. 144/2005, dal decreto-legge n. 225/2010, l’obbligo della licenza è persistito, fino al 31 dicembre 2011 unicamente per l’apertura degli esercizi pubblici per i quali la fornitura dell’accesso ad Internet costituisse attività principale, mentre, successivamente a tale data, l’obbligo è già venuto meno anche per tali soggetti. Andrebbe pertanto chiarita la portata della disposizione.

 

Si potrebbe peraltro ipotizzare che la disposizione in commento produca l’effetto paradossale di reintrodurre l’obbligo di licenza da parte del questore per i soggetti per i quali l’accesso ad Internet costituisca attività commerciale prevalente.

 

Installazione delle apparecchiature di comunicazione elettronica

 

Il comma 3 dell’articolo 10 introduce infine, attraverso alcune modifiche al decreto legislativo n. 198/2010, misure di semplificazione per l’installazione delle apparecchiature di comunicazione elettronica.

In particolare:

§      viene meno, attraverso la soppressione dell’articolo 2 del decreto legislativo n. 198/2010, l’obbligo di affidare tali lavori unicamente alle imprese abilitate secondo le procedure previste dal medesimo decreto legislativo.

§      si prevede, attraverso una modifica del comma 2 dell’articolo 3 del medesimo decreto legislativo, l’abrogazione del decreto del Ministro delle poste e telecomunicazioni 23 maggio 1992 n. 314 (Regolamento recante disposizioni di attuazione della L. 28 marzo 1991, n. 109, in materia di allacciamenti e collaudi degli impianti telefonici interni).

 

L’articolo 2 del decreto legislativo n. 198/2010 (Attuazione della direttiva 2008/63/CE relativa alla concorrenza sui mercati delle apparecchiature terminali di telecomunicazioni) prevedeva che gli utenti delle reti di comunicazione elettronica fossero tenuti ad affidare i lavori di installazione, di allacciamento, di collaudo e di manutenzione delle apparecchiature terminali, che realizzano l'allacciamento dei terminali di telecomunicazione all'interfaccia della rete pubblica, ad imprese abilitate secondo le modalità previste con decreto del Ministro dello sviluppo economico chiamato tra le altre cose a disciplinare: a) la definizione dei requisiti  di qualificazione tecnico-professionali  che  devono  possedere  le  imprese; b) le modalità procedurali per il rilascio dell'abilitazione; c) le modalità di accertamento e di valutazione dei requisiti di qualificazione tecnico-professionali. Non risulta che il decreto attuativo di tale disposizione sia stato emanato; conseguentemente a disciplinare la questione è rimasto, in base a quanto disposto dal comma 3 dell’articolo 2 nel testo previgente alla modifica introdotta dalla disposizione in commento, il decreto del Ministro delle poste e telecomunicazioni 23 maggio 1992 n. 314.  

 

Si ricorda, peraltro, che in base all’articolo 3 della direttiva 2008/63/CE gli Stati membri hanno la facoltà, ma non l’obbligo, di “esigere dagli operatori economici un'idonea qualificazione tecnica per l'allacciamento, l'installazione e la manutenzione di apparecchiature terminali, qualificazione accertata in base a criteri oggettivi non discriminatori e resi pubblici”.

 


 

Articolo 11
(Proroga del credito d’imposta per la produzione, la distribuzione e l’esercizio cinematografico)

L’articolo 11 estende anche al periodo d’imposta 2014 i crediti d’imposta per la produzione, la distribuzione e l’esercizio cinematografico previsti dall’articolo 1, commi da 325 a 328 e da 330 a 337, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria 2008) e successive modificazioni, nel limite massimo di spesa di 45 milioni.

 

I meccanismi di incentivazione fiscale a favore degli investimenti nel settore cinematografico sono stati introdotti dalla richiamata legge finanziaria 2008 per il periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2007 e per i due periodi d’imposta successivi. Tali agevolazioni sono state successivamente prorogate a partire dal 1° gennaio 2011 e fino al 31 dicembre 2013 dall’art. 2, co. 4, del DL n. 225/2010.

In particolare, i commi 325-328, art. 1, della legge finanziaria 2008 riconoscono, in primo luogo, un credito di imposta ai soggetti passivi IRES e ai titolari di reddito di impresa a fini IRPEF, che non appartengono alla filiera del settore cinematografico ed audiovisivo (c.d. tax credit esterno) nella misura del 40% degli apporti in denaro effettuati per la produzione di opere cinematografiche riconosciute di nazionalità italiana di cui all’art. 5 del D.Lgs. n. 28/2004, entro il limite massimo di 1 milione di euro e purchè sia rispettato il c.d. “requisito di territorialità” (obbligo di utilizzare l’80% di detti apporti nel territorio nazionale, impiegando manodopera e servizi italiani).

Per le imprese interne alla filiera del cinema (c.d. tax credit interno) vengono invece riconosciuti, ai fini delle imposte sui redditi, crediti di imposta differenziati in varie percentuali e con determinati limiti massimi, a seconda che si tratti di imprese di produzione cinematografica, di imprese di distribuzione cinematografica ovvero di imprese di esercizio cinematografico. I suindicati crediti d’imposta, con riferimento alla stessa opera filmica, non sono in ogni caso cumulabili a favore della stessa impresa ovvero delle imprese che facciano parte dello stesso gruppo societario, o ancora di soggetti legati tra loro da un rapporto di partecipazione o controllati anche indirettamente dallo stesso soggetto, secondo le norme civilistiche.

I commi 330-332 stabiliscono i limiti massimi degli apporti ammessi ai fini del calcolo dei crediti di imposta e alla partecipazione complessiva agli utili degli associati e le condizioni per il riconoscimento del crediti d’imposta che, tra l’altro, può essere fruito a partire dalla data di rilascio del nulla osta di proiezione in pubblico del film (di cui alla legge n. 161/1962) e previa attestazione, rilasciata dall’impresa di produzione cinematografica, del rispetto delle condizioni richieste dalla legge. Il comma 333 ha demandato ad un decreto del MiBAC la fissazione delle disposizioni applicative delle disposizioni contenute ai suindicati commi. E’ pertanto intervenuto il D.M. 7 maggio 2009 che ha dettato la disciplina di dettaglio per la concessione dei crediti d’imposta in esame - e divieti di cumulo - per le imprese di produzione cinematografica in relazione alla realizzazione di opere cinematografiche. Successivamente, è stato inoltre emanato il D.M. 21 gennaio 2010 con riferimento ai crediti di imposta concessi alle imprese non appartenenti al settore cine-audiovisivo e alle imprese di distribuzione ed esercizio cinematografico, sia per l’attività di produzione, sia per quella di distribuzione di opere cinematografiche.

Il comma 334 stabilisce che l’efficacia delle agevolazioni introdotte sia subordinata all’autorizzazione della Commissione europea in materia di aiuti di Stato. I crediti d’imposta di cui è possibile fruire, pertanto, devono essere riferiti esclusivamente a spese sostenute successivamente a tale atto autorizzatorio. In proposito si ricorda che, da ultimo, la Commissione europea, con atto C(2011) 4984 definitivo del 6 luglio 2011 ha deciso di non sollevare obiezioni sul regime di proroga fino al 31 dicembre 2013 delle agevolazioni fiscali in commento. Infatti, la proroga e l’aumento della dotazione delle misure non hanno modificato la valutazione iniziale riguardante la compatibilità dei regimi già approvati dalla Commissione con atti N595/2008 e C25/2009 (ex- N673/08).

Il comma 335 attribuisce, inoltre, un credito d’imposta per spese relative a manodopera italiana: alle imprese di produzione esecutiva e di post-produzione nazionali viene riconosciuto un credito d’imposta, utilizzando manodopera italiana, del 25% dei costi di produzione, entro il limite massimo di 5 milioni di euro per ciascun film, su commissione di produzioni estere di pellicole, o loro parti, girate sul territorio nazionale. Le norme attuative di tale agevolazione, da emanarsi con decreto del MiBAC come previsto al comma 336, sono contenute nel sopra richiamato D.M. 7 maggio 2009.

Il comma 337 ha stabilito infine che i crediti d’imposta in commento sono utilizzabili esclusivamente in compensazione, non concorrono alla formazione del reddito ai fini fiscali, alla formazione del valore della produzione ai fini IRAP e non rilevano ai fini del calcolo degli interessi passivi deducibili dalla base imponibile.

 

La disposizione prevede l’emanazione di un provvedimento dell’Agenzia delle entrate con cui sono dettati termini e modalità di fruizione dei crediti di imposta nonché ogni altra disposizione finalizzata a garantire il rispetto del limite massimo di spesa di cui al precedente periodo.

 

Profili finanziari

 

Il prospetto riepilogativo ascrive alla norma i seguenti effetti sui saldi di finanza pubblica.

 (milioni di euro)

 

Saldo netto da finanziare

Fabbisogno

Indebitamento netto

 

2013

2014

2015

2013

2014

2015

2013

2014

2015

Maggiori spese correnti

 

45

 

 

45

 

 

45

 

 

La relazione tecnica afferma che la disposizione comporta oneri per 45 milioni di euro nel 2014, alla cui copertura si provvede ai sensi dell’articolo 61.

 

 

In merito ai profili di quantificazione, si osserva che l’agevolazione è concessa entro un limite massimo di spesa. Non si hanno quindi osservazioni da formulare a tal riguardo, nel presupposto che la procedura prevista per la concessione del beneficio sia idonea a garantire il rispetto del limite anzidetto.

 


 

Articolo 12
(Ricapitalizzazione della Società di Gestione del risparmio )

L’articolo 12, modificando l’articolo 33 del D.L. n. 98 del 2011, autorizza la spesa di 6 milioni di euro per l’anno 2013 (in luogo dei 3 milioni precedentemente stanziati, da ultimo, dalla legge di stabilità per il 2013) per l’apporto al capitale sociale della Società di gestione del risparmio per la valorizzazione e la dismissione del patrimonio immobiliare degli enti locali e dello Stato attraverso la gestione di un sistema integrato di fondi immobiliari chiusi.

 

In attuazione di quanto previsto dal comma 1 dell’articolo 33, con Decreto del Ministero dell'economia e delle finanze del 19 marzo 2013 (pubblicato nella G.U. n. 125 del 30/5/13) è stata costituita la Investimenti Immobiliari Italiani Societa' di Gestione del Risparmio società per azioni (Invimit SGR S.p.a.) con il compito di istituire fondi che partecipano a quelli immobiliari costituiti da enti territoriali, anche tramite società interamente partecipate, a cui conferire immobili oggetto di progetti di valorizzazione.

In allegato al decreto del 19 marzo 2013 è stato pubblicato lo Statuto della Invimit. Si evidenzia che l’articolo 5 dello Statuto prevede un capitale sociale di 2 milioni di euro. Il capitale è detenuto interamente dal Ministero dell’economia e delle finanze che esercita i diritti dell’azionista. Le azioni possono essere trasferite, mediante decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, a titolo gratuito all'Agenzia del demanio (articolo 33, comma 8-bis, del D.L. 98/2011).

Ai sensi dell’articolo 8 dello Statuto ciascun fondo comune di investimento o comparto di fondi istituito e/o gestito dalla Società costituisce patrimonio autonomo, distinto, a tutti gli effetti, dal patrimonio della Società, da quello dei partecipanti ai fondi e da ogni altro fondo gestito dalla stessa

Gli organi della Società sono il Presidente, l’Assemblea, il Consiglio di amministrazione e il Collegio sindacale.

 

Nel corso dell’audizione del 12 giugno 2013 presso la Commissione finanze della Camera dei deputati, il Direttore dell’Agenzia del Demanio, Stefano Scalera, ha affermato che nel corso del 2012 l’Agenzia ha individuato 350 immobili non strumentali e del valore di circa un miliardo di euro, potenzialmente conferibili a fondi di investimento immobiliare.

 

L’articolo 33 del D.L. 98/2011: il sistema integrato di fondi immobiliari

L’articolo 33 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 ha previsto la creazione di un sistema integrato di fondi immobiliari, con l’obiettivo di accrescere l’efficienza dei processi di sviluppo e di valorizzazione dei patrimoni immobiliari di proprietà degli enti territoriali, di altri enti pubblici e delle società interamente partecipate dai predetti enti.

Si prevede, pertanto, la costituzione, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di una Società di gestione del risparmio (SGR), con capitale sociale originariamente pari ad almeno 1 milione di euro, per l’istituzione e gestione di uno o più fondi d’investimento immobiliare (“Fondo nazionale”), che perseguano, in particolare, i seguenti obiettivi strategici:

a)    partecipare in fondi comuni di investimento immobiliare chiusi, promossi da regioni, province e comuni, anche in forma consorziata, e da altri enti pubblici ovvero da società interamente partecipate dai predetti enti (cosiddetto “Fondi di fondi”) (commi 1 e 2);

b)    investire direttamente nell’acquisto di immobili in locazione passiva alle pubbliche amministrazioni, in un ottica di razionalizzazione degli usi governativi (comma 1);

c)    partecipare, sulla base dell’eventuale emanazione di uno specifico decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, a fondi titolari di diritti di concessione o d’uso su beni indisponibili e demaniali (comma 1);

d)    acquistare immobili di proprietà degli enti territoriali ad uso ufficio o già inseriti in programmi di valorizzazione, recupero e sviluppo del territorio (comma 8-bis, introdotto dall’articolo 6, comma 7, della legge n. 183 del 2012).

Gli enti territoriali, sulla base di puntuali analisi di fattibilità, promuovono la costituzione di fondi comuni di investimento immobiliare (“Fondi territoriali”), a cui possono essere apportati beni immobili e diritti. Il comma 2 stabilisce che a tali fondi degli enti locali possono essere apportati beni immobili e diritti con le procedure previste dall'articolo 58 del D.L. n. 112 del 2008, a fronte della correlata emissione di quote, nonché quelli trasferiti ai sensi del D.Lgs. n. 85 del 2010 (federalismo demaniale)[15].

L’articolo 33 è stato integrato dal decreto-legge n. 95 del 2012 (c.d. “spending review”), il quale ha introdotto ulteriori modalità operative della società di gestione del risparmio: il MEF, attraverso la SGR, promuove la costituzione di uno o più fondi comuni d’investimento immobiliare, a cui trasferire immobili di proprietà dello Stato non utilizzati per finalità istituzionali (cd. “Fondo diretto”), nonché diritti reali immobiliari; inoltre, il MEF, sempre attraverso la SGR, promuove uno o più fondi comuni di investimento immobiliare a cui conferire gli immobili di proprietà dello Stato non più utilizzati dal Ministero della difesa per finalità istituzionali e suscettibili di valorizzazione (cd. “Fondo difesa”).

Il comma 2 dell’articolo 33 prevede che l’apporto dei beni, a fronte dell’emissione di quote del fondo, può avvenire esclusivamente sulla base di progetti di utilizzo o di valorizzazione, approvati con delibera dell’organo di governo dell’ente apportante, che possono essere presentati anche da soggetti privati.

Il comma 3 individua le risorse finanziarie necessarie a garantire l’effettiva possibilità per il Fondo nazionale di partecipare ai Fondi territoriali, mediante la sottoscrizione di quote da questi ultimi offerte su base competitiva, al fine di conseguire la liquidità necessaria per la realizzazione degli interventi di valorizzazione. A tal fine la norma prevede che il 20% del piano di impiego dei fondi disponibili previsto per gli enti previdenziali (enti pubblici di natura assicurativa o previdenziale) deve essere destinato alla sottoscrizione di quote del Fondo nazionale. L’investimento nel Fondo nazionale è, inoltre, compatibile con le vigenti disposizioni in materia di attività di copertura delle riserve tecniche delle compagnie di assicurazione private. È, infine, espressamente prevista la possibilità di una partecipazione da parte della Cassa depositi e prestiti.

Ai sensi del comma 4, la destinazione funzionale dei beni conferiti ai fondi può avvenire mediante accordi di programma (nonché sulla base della corrispondente legislazione regionale) da concludersi entro il termine perentorio di 180 giorni dalla data della delibera che promuove la costituzione dei fondi. Con la medesima procedura si procede alla regolarizzazione edilizia ed urbanistica degli immobili conferiti. L'apporto dei beni ai fondi viene sottoposto alla condizione sospensiva dell'espletamento delle procedure di valorizzazione e di regolarizzazione.

Il comma 5 detta la disciplina per gli immobili soggetti a vincoli di tutela in base al Codice dei beni culturali e del paesaggio (D.Lgs. n. 42 del 2004), mentre il comma 6 aggiunge un comma 9-bis all'articolo 58 del decreto-legge n. 112 del 2008, al fine di consentire - in caso di conferimento a fondi di investimento immobiliare dei beni inseriti negli elenchi richiamati dall’articolo - che la destinazione funzionale prevista dal piano delle alienazioni e delle valorizzazioni possa essere conseguita mediante accordi di programma (nonché sulla base della corrispondente legislazione regionale). Analogamente a quanto previsto al comma 4, il procedimento deve concludersi entro il termine perentorio di 180 giorni dall’apporto o dalla cessione sotto pena di retrocessione del bene all’ente locale. Con la medesima procedura si procede anche alla regolarizzazione edilizia ed urbanistica degli immobili conferiti.

Ai sensi del comma 7, gli apporti al fondo non danno luogo a redditi imponibili ovvero a perdite deducibili per l'apportante al momento dell'apporto. Le quote ricevute in cambio dell'immobile o del diritto oggetto di apporto mantengono, ai fini delle imposte sui redditi, il medesimo valore fiscalmente riconosciuto anteriormente all'apporto. Inoltre, per l'insieme degli apporti e delle eventuali successive retrocessioni, è dovuta un'imposta sostitutiva in luogo delle ordinarie imposte di registro, ipotecaria e catastale e dell'imposta comunale sull'incremento di valore degli immobili.

Il comma 8 dispone lo scioglimento e la liquidazione, ai sensi del codice civile, della società Patrimonio dello Stato s.p.a. entro trenta giorni dall'entrata in vigore del decreto.

Da ultimo l'articolo 6, comma 7, della legge n. 183 del 2011 ha inserito nell'articolo 33, a decorrere dal 1 gennaio 2012, un nuovo comma 8-bis con cui si prevede che i fondi istituiti dalla SGR possono acquistare immobili ad uso ufficio di proprietà degli enti territoriali, utilizzati dagli stessi o da altre pubbliche amministrazioni nonché altri immobili di proprietà dei medesimi enti di cui sia completato il processo di valorizzazione edilizio-urbanistico, qualora inseriti in programmi di valorizzazione, recupero e sviluppo del territorio. Le azioni della SGR possono essere trasferite a titolo gratuito all'Agenzia del demanio; infine, si prevede che con apposita convenzione la SGR possa avvalersi in via transitoria del personale dell'Agenzia del demanio.

Come detto l’articolo 26-ter del decreto-legge n. 95 del 2012 ha introdotto, oltre a quelle menzionate, diverse modifiche alla disciplina dettata dall’articolo 33. Si segnala, in particolare, che:

§      i fondi d'investimento a cui partecipa la SGR possono essere, oltre che promossi, anche partecipati dagli enti locali, in forma consorziata o associata; in tal modo possono accedere al “Fondo nazionale” anche i fondi promossi dai privati ai quali gli enti locali partecipano trasferendo o conferendo i loro immobili;

§      il capitale della SGR è detenuto interamente dal Ministero dell'economia e delle finanze, fatto salvo quanto previsto dal successivo comma 8-bis, che consente il trasferimento a titolo gratuito all'Agenzia del demanio delle azioni della SGR;

§      i fondi istituiti dalla SGR investono, anche, direttamente per acquisire immobili in locazione passiva alle P.A.;

§      viene esteso il meccanismo di finanziamento del “Fondo nazionale” ai Fondi di cui ai commi 8-ter (“Fondo diretto”) e 8-quater (“Fondo difesa”): l’investimento anche nei predetti fondi è compatibile con le vigenti disposizioni in materia di attività di copertura delle riserve tecniche delle compagnie di assicurazione private; è espressamente prevista la possibilità di una partecipazione da parte della Cassa depositi e prestiti; in particolare il venti per cento del piano di impiego dei fondi disponibili previsto per gli enti pubblici, di natura assicurativa o previdenziale, deve essere destinato per gli anni 2012, 2013 e 2014 alla sottoscrizione delle quote dei fondi di cui agli stessi commi 8-ter e 8-quater.

Inoltre, come anticipato, il nuovo comma 8-ter dell’articolo 33, al fine di conseguire la riduzione del debito pubblico, prevede che il Ministro dell’economia e delle finanze, attraverso la SGR di cui al comma 1, promuova la costituzione di uno o più fondi comuni d’investimento immobiliare a cui trasferire o conferire immobili di proprietà dello Stato non utilizzati per finalità istituzionali.

A differenza del fondo di cui ai commi 1 e 2 dell’articolo 33 (“Fondo nazionale”) che dovrebbe prevalentemente operare come “fondo di fondi”, tale fondo agirebbe come “fondo diretto” al quale possono essere trasferiti o conferiti:

§       immobili statali non utilizzati per finalità istituzionali, nonché diritti reali immobiliari;

§       immobili di società controllate direttamente o indirettamente dallo Stato, previa delibera;

§       beni demaniali valorizzabili, individuati dall’Agenzia del demanio, per i quali è prevista, a seguito di richiesta, la cessione gratuita a comuni, province e regioni;

§       beni immobili di regioni, province e comuni e di enti o società interamente partecipate dai predetti enti.

Le risorse derivanti dalla cessione delle quote del Ministero dell’economia e delle finanze, versate in entrata del bilancio dello Stato, possono essere riassegnate al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato o destinate al pagamento dei debiti dello Stato.

Ai fondi così costituiti possono essere trasferiti o conferiti:

§       gli immobili di proprietà delle società controllate direttamente o indirettamente dallo Stato, previa loro delibera;

§       i beni valorizzabili suscettibili di trasferimento, individuati dall’Agenzia del demanio, per i quali è prevista la cessione gratuita a comuni, province e regioni, a seguito di apposita manifestazione della volontà di valorizzazione da parte degli enti interessati (articolo 5, comma 1, lettera e), del D.Lgs. n. 85 del 2010, c.d. federalismo demaniale).

Il D.P.C.M. che, ai sensi dell’articolo 5, comma 1, lettera e), del D.Lgs. n. 85 del 2010, individua i beni immobili dello Stato suscettibili di trasferimento (c.d. white list) non è stato ancora pubblicato, in attesa della necessaria intesa in sede di Conferenza unificata Stato-Regioni.

Secondo la relazione illustrativa al disegno di legge di conversione del D.L. n. 95 del 2012 i beni in gestione all’Agenzia del demanio che verrebbero così individuati per essere da subito avviati, a seguito delle previste verifiche e procedure, alla valorizzazione e conferirti al fondo sono 350 (tra cui caserme, edifici museali non più utilizzati, ecc.), per un valore stimato, allo stato attuale, pari a 1,5 miliardi di euro, che a seguito della valorizzazione urbanistica operata dai comuni potrà anche raddoppiare. L’attività di valorizzazione della società di gestione del risparmio (SGR), che affiderà la gestione di portafogli ad operatori privati, potrà generare ulteriore valore grazie alle attività di trasformazione edilizia, che porterebbe il valore di conferimento anche a triplicare.

L’operazione sarà realizzata gradualmente anche in relazione alle condizioni dei mercati in funzione di tipologie omogenee di immobili da collocare e sulla base di segmenti specifici di mercato (aree geografiche, tipologia ecc.).

 

Si ricorda, da ultimo, che nel corso delle audizioni presso le Commissione bilancio della Camera, il 26 luglio 2012, e presso la Commissione finanze della Camera, il 12 dicembre 2012, il Dirigente generale della Direzione finanza e privatizzazioni del Dipartimento del Tesoro del MEF, Francesco Parlato, ha ricordato che è stato avviato dal Dipartimento del Tesoro in progetto “Patrimonio della PA”, ai sensi dell’art. 2, comma 222, della legge finanziaria 2010, finalizzato alla rilevazione annuale delle componenti degli attivi di tutte le amministrazioni pubbliche, sia centrali che locali. Attualmente la rilevazione riguarda i beni immobili (fabbricati e terreni), le concessioni e le partecipazioni. Sulla base delle informazioni ricevute dalle amministrazioni pubbliche che alla data della prima rilevazione hanno inviato i dati al Dipartimento del Tesoro (circa il 53% delle amministrazioni coinvolte), sono state rilevate oltre 530.000 unità immobiliari, per una superficie complessiva di oltre 222 milioni di metri quadrati. Tali dati sono riportati anche nel Documento di economia e finanza 2013 (DEF), sezione Programma nazionale di riforma, presentato dal Governo e approvato il 7 maggio 2013 sia da parte della Camera che del Senato.

Con riferimento alla destinazione d’uso, emerge che il 70% circa della superficie è utilizzato per lo svolgimento dell’attività istituzionale mentre il 9% è destinato all’uso residenziale (percentuale che sale al 47% se espresso in termini di unità immobiliari). L’80% delle unità immobiliari censite è detenuto da amministrazioni locali.

Sulla base delle informazioni comunicate e l’utilizzo di prezzi medi di mercato elaborati dall’osservatorio del mercato immobiliare (valori OMI) dell’Agenzia del territorio, una preliminare stima del valore di mercato delle unità immobiliari censite risulta dell’ordine di 340 miliardi di euro. La stima è stata ottenuta valutando gli immobili dello Stato sulla base del valore di bilancio (55 miliardi) e quelli delle altre amministrazioni ai prezzi medi di mercato elaborati dall'OMI (circa 285 miliardi). Si sottolinea che gran parte di detto patrimonio è utilizzato per fini istituzionali e tale elemento ovviamente costituisce un elemento vincolante nell’individuazione di beni da valorizzare e dismettere nell’ambito delle previste operazioni immobiliari.

Per quanto riguarda i terreni, i dati comunicati dalle amministrazioni al 31 marzo 2011 hanno permesso di censire quasi 760.000 terreni per una superficie corrispondente a oltre 1,3 milioni di ettari. La distribuzione dei terreni censiti al 31 marzo 2011 evidenzia che il 98% circa è detenuto dalle amministrazioni locali. Tra queste vi è una netta prevalenza dei comuni (82%) mentre le regioni e province autonome rappresentano circa il 7%. Una preliminare stima del valore dei terreni censiti, elaborata sulla base delle informazioni disponibili e i prezzi medi della banca dati INEA (dati valori fondiari al 2009), risulta dell’ordine di 30 miliardi di euro.

 

Profili finanziari

 

Il prospetto riepilogativo ascrive alla norma i seguenti effetti sui saldi di finanza pubblica.

(milioni di euro)

 

Saldo netto da finanziare

Fabbisogno

Indebitamento netto

 

2013

2014

2015

2013

2014

2015

2013

2014

2015

Maggiore spesa in conto capitale

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ricapitalizzazione società di gestione del risparmio

3

 

 

3

 

 

 

 

 

Minore spesa corrente

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Riduzione fondo fitti immobili (art.1, c.139, L.228/2012

 3

 

 

3

 

 

 3

 

 

 

La relazione tecnica si limita a riportare il contenuto della norma.

 

In merito ai profili di quantificazione andrebbero forniti chiarimenti circa l’esigenza di un incremento delle risorse in favore della SGR indicata dalla norma, tenuto conto che l’autorizzazione di spesa in commento (incrementata da 3 a 6 milioni) è stata recentemente inserita – rispetto al testo originario del decreto legge n. 98/2011- dalla legge di stabilità 2013 .

Il testo originario dell’art. 33 del decreto legge n. 98/2011 prevedeva, infatti, la costituzione di una SGR con un capitale sociale di 2 milioni di euro. A seguito di successivi interventi di modifica, l’ammontare del capitale sociale è stato ridotto ad un valore non inferiore a 1 milione di euro ed è stata introdotta un’autorizzazione di spesa di 3 milioni di euro per l’anno 2013 (finalizzata ad apporti di capitale sociale).

 

Andrebbero altresì acquisite conferme in merito alla effettiva possibilità di utilizzare le risorse sul Fondo per il pagamento dei canoni di locazione degli immobili senza pregiudicare le finalità. In proposito, infatti, si ricorda che l’istituzione del Fondo era funzionale alla riduzione degli asset patrimoniali finalizzata alla riduzione di un punto percentuale del debito pubblico.

Peraltro, la dotazione del Fondo è stata oggetto di significative riduzioni nel corso dell’esame parlamentare per l’approvazione della legge di stabilità 2013 (per l’anno 2013, si è passati da 900 milioni indicati nel ddl a 249 milioni stanziati dalla legge approvata).

 

In merito ai profili di copertura finanziaria, si rileva che la norma prevede la riduzione dell’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 1, comma 139, della legge n. 228 del 2012, che ha disposto l’istituzione del Fondo per il pagamento dei canoni di locazione degli immobili conferiti dallo Stato ad uno o più fondi immobiliari (capitolo 3074 – stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze).

Da una interrogazione effettuata al sistema informativo della Ragioneria generale dello Stato il capitolo del quale è previsto l’utilizzo reca le necessarie disponibilità.

Si segnala, inoltre, che la disposizione potrebbe essere opportunamente riformulata indicando esplicitamente al secondo periodo del comma 1, l’ammontare complessivo degli oneri, dal momento che tale ammontare, pari a 3 milioni di euro per l’anno 2013, risulta solo implicitamente dalla novella introdotta dal precedente periodo all’articolo 33, comma 1, del decreto-legge n. 98 del 2011.


 

Articolo 13
(Governance dell’Agenda digitale Italiana)

L’articolo 13 modifica alcune disposizioni del decreto-legge c.d. semplificazioni (D.L. 5/2012) e del decreto-legge c.d. crescita (D.L. 83/2012) con i quali è stato delineato il quadro complessivo di intervento per l’Agenda digitale italiana.

In particolare il comma 1 stabilisce modifiche che riguardano la governance del settore, incidendo sul soggetto a cui sono state conferite attribuzioni di indirizzo e coordinamento per la realizzazione dell’Agenda, cioè la Cabina di regia; mentre il comma 2 prevede modifiche che riguardano la realizzazione degli obiettivi dell'Agenda, incidendo sul soggetto cui sono state attribuite funzioni operative nel settore, cioè l’Agenzia per l’Italia digitale.

 

Il quadro della governance del settore è stato delineato con l’articolo 47 del D.L. 5/2012 (D.L.“semplificazioni”) che, al comma 2, ha previsto una cabina di regia da istituire con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, il Ministro per la coesione territoriale, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca e il Ministro dell'economia e delle finanze.

 

Essa è competente all'attuazione dell'agenda digitale italiana, attraverso il coordinamento degli interventi pubblici di regioni, province autonome ed enti locali, in conformità all’obiettivo governativo della modernizzazione dei rapporti tra pubblica amministrazione, cittadini e imprese stabilito dal comma 1 dello stesso art. 47. Tale comma specifica le azioni per le quali si pone l’esigenza di coordinamento: esse riguardano lo sviluppo di domanda e offerta di servizi digitali innovativi, il potenziamento dell’offerta di connettività a larga banda, l’incentivazione di cittadini e imprese all'utilizzo di servizi digitali e la promozione di capacità industriali adeguate a sostenere lo sviluppo di prodotti e servizi innovativi.

In particolare queste azioni hanno trovato una specificazione per obiettivi, in sede di conversione del decreto-legge, nel comma 2-bis, la cui elencazione dalle lett. a) a i), riempie di contenuti concreti l’attività di coordinamento della cabina di regia, da svolgere nel quadro delle indicazioni dell'agenda digitale europea, di cui alla comunicazione della Commissione europea COM (2010) 245 definitivo/2 del 26 agosto 2010.

 

La cabina è stata istituita con decreto 28 marzo 2012, ai sensi dell’art. 47, comma 2; è articolata in sei gruppi di lavoro per i seguenti obiettivi dell’Agenda digitale: infrastrutture e sicurezza; eCommerce; eGovernment Open Data; alfabetizzazione Informatica - competenze digitali; ricerca e innovazione; smart Cities and Communities.

 

L’art. 47 del D.L. 5/2012, nel prevedere la fonte istitutiva della cabina di regia, non ne stabiliva la composizione e l’art. 12 d.l.179/2012 ha previsto l’integrazione della cabina di regia, per gli aspetti relativi al settore sanitario, con un componente designato dal Ministro della salute, il cui incarico è svolto a titolo gratuito.

 

L’art. 13 del D.L. 69/2013, al comma 1, interviene su tale aspetto, indicando come componenti della cabina il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, il Ministro per la coesione territoriale, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, il Ministro della salute, il Ministro dell'economia e delle finanze, un Presidente di regione e un Sindaco designati dalla Conferenza Unificata. La presidenza della cabina è attribuita al Presidente del Consiglio dei Ministri o ad un suo delegato. Inoltre essa è integrata dai Ministri interessati alla trattazione di specifiche questioni.

Oltre ad individuare la composizione, costituita da rappresentanti degli Esecutivi statali, regionali e comunali, il comma 1 provvede a disciplinare i rapporti tra la cabina di regia e il Parlamento assicurando a quest’ultimo uno strumento conoscitivo sullo stato dell’agenda digitale definito “quadro complessivo” che la cabina di regia presenta al Parlamento, entro novanta giorni dall'entrata in vigore del decreto-legge.

 

La disposizione individua uno strumento diretto ad assicurare elementi di conoscenza al Parlamento.. Va notato però: che tale strumento non è previsto a regime, ma una tantum; non appare chiara la forma che lo strumento stesso dovrà assumere; la presentazione del medesimo strumento da parte della cabina di regia ne dovrebbe comportare la responsabilità collegiale in merito ai contenuti.

 

Sotto il profilo della successione temporale di fonti in tema di composizione della cabina di regia e di tecniche normative adottate, va notato che, da un punto di vista formale, la novella introdotta dall’art. 13, comma 1, non modifica l’art. 12 d.l.179/2012 sopra richiamato, in quanto esso è intervenuto sulla composizione della cabina senza novellare l’art. 47 del D.L. 5/2012.

 

Lo stesso art. 13, comma 1, prevede l’istituzione nella cabina di regia di un organismo consultivo permanente, composto da esperti in materia di innovazione tecnologica e da esponenti delle imprese private e delle università.

Tale organismo, denominato Tavolo permanente per l'innovazione e l'agenda digitale italiana, è istituito con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, per la cui adozione il comma 1 non prevede alcun termine.

La presidenza del Tavolo è attribuita al Commissario del Governo per l'attuazione dell'agenda digitale posto a capo di una struttura di missione per l'attuazione dell'agenda digitale istituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.

 

In base al comunicato stampa della riunione del Consiglio dei ministri del 15 giugno 2013 il Commissario per l’attuazione dell’agenda digitale è individuato nell’ing. Francesco Caio, mentre i componenti del Tavolo saranno scelti tra “esperti e rappresentanti di imprese e università”.

 

L’ultimo periodo del comma 1 stabilisce che all'istituzione della cabina di regia si provvede con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Presumibilmente tale clausola dovrebbe riferirsi anche agli altri soggetti - Tavolo tecnico, Commissario e struttura di missione – previsti dal comma 1.

 

In proposito, si può ricordare che l’articolo 7 del D.L. 95/2012 aveva soppresso la struttura di missione della Presidenza del Consiglio denominata Unità per l’e-government e l’innovazione per lo sviluppo, quantificando in 1.147.493 euro il relativo risparmio.

 

Dopo l’entrata in vigore dell’art. 47 del D.L. 5/2012, nel quadro della governance del settore si sono inseriti gli artt. 19-22 del D.L. 83/2012 che hanno disciplinato l’istituzione e le funzioni dell’Agenzia per l'Italia digitale, attribuendo a quest’ultima il compito di realizzare gli obiettivi dell'Agenda digitale italiana, ma in coerenza con gli indirizzi elaborati dalla Cabina di regia.

Ai sensi del D.L. 83/2012, i compiti dell’Agenzia si svolgono in un ambito segnato, da un lato, da tali indirizzi (art. 20) e, dall’altro, dalla vigilanza che su di essa è esercitata da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri o del Ministro da lui delegato, del Ministro dell'economia e delle finanze, del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, del Ministro dello sviluppo economico e del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca (art. 19).

 

L’art. 13 del D.L. 69/2013 interviene su tale vigilanza, con il comma 2, lett. a), attribuendola esclusivamente al Presidente del Consiglio dei Ministri, o al Ministro da lui delegato, nel quale si concentra, quindi, con un’unione personale, la presidenza del soggetto chiamato ad esprimere indirizzi e la competenza a vigilare il soggetto attuatore.

 

Tale concentrazione esprime la centralità che l’art. 13 del D.L. 69/2013 attribuisce al Presidente del Consiglio nel settore, centralità rafforzata anche da misure previste dalle successive lettere c), d) ed f).

 

In particolare il comma 2 lett. c) modifica le modalità di nomina del direttore dell’Agenzia: ai sensi dell’art. 21, comma 2, del D.L. 83/2012, il decreto di nomina doveva essere adottato dal Presidente del Consiglio entro un termine determinato, sulla base del concerto con i ministri ai quali era attribuita la vigilanza e previo avviso pubblico; in base alla novella che si introduce non è previsto alcun termine, è soppresso il concerto, in coerenza con la novella in tema di vigilanza, ed è eliminato l’obbligo del previo avviso pubblico.

 

Si prevede infatti che il direttore dell’Agenzia per l’Italia digitale sia nominato dal Presidente del Consiglio dei ministri o dal ministro delegato “tra persone di particolare e comprovata qualificazione professionale in materia di innovazione tecnologica e in possesso di documentata esperienza di elevato livello nella gestione di processi di innovazione”.

 

In proposito si ricorda che, in base alla procedura previgente, si era già provveduto, il 30 ottobre 2012, alla nomina del direttore dell’Agenzia per l’Italia digitale (individuato nell’ing. Agostino Ragosa), il quale in attesa della piena operatività dell’Agenzia ha fin qui operato come Commissario straordinario della stessa.

 

Il comma 2 lett. d) sopprime la previsione sia della proposta di tre ministri (Ministro dello sviluppo economico, Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca e dl Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione) che del concerto di un ministro (Ministro dell'economia e delle finanze) stabilite dall’art. 21, comma 4, del D.L. 83/2012 ai fini del decreto del Presidente del Consiglio, o del Ministro delegato, di approvazione dello statuto dell'Agenzia.

 

In proposito, si ricorda che lo statuto dell’Agenzia che avrebbe dovuto essere adottato entro il 14 dicembre 2012 (e cioè entro quarantacinque giorni dalla nomina del direttore dell’Agenzia) non è stato invece fin qui adottato. Al riguardo, in risposta alle interrogazioni a risposta immediata 3-00055 e 3-00056, nella seduta dell’Assemblea della Camera del 15 maggio 2013, il Ministro dello sviluppo economico ha precisato che lo statuto dell’Agenzia per l’Italia digitale inviato in un primo momento per errore alla Corte dei conti è stato ritirato dalla Corte da parte del Governo, sottoposto all’esame dell’Ufficio centrale del bilancio della Presidenza del Consiglio e quindi nuovamente inviato alla Corte dei conti per la registrazione.

 

Il comma 2, lett. f), sopprime la previsione della concertazione con il Ministro dello sviluppo economico, con il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, e con il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione previsto dall’art. 22, comma 6 del D.L. 83/2012 ai fini del decreto del Presidente del Consiglio che determina la dotazione delle risorse umane dell’Agenzia, mantenendo solo quella con il Ministro dell'economia e delle finanze (per le ulteriori previsioni della lett. f v. infra).

 

Il comma 2, lett. b) amplia la competenza dell’Agenzia, in quanto sopprime la previsione di salvezza delle funzioni dell’Istituto nazionale di documentazione, innovazione e ricerca educativa (INDIRE) nel supporto allo sviluppo del piano di innovazione nelle istituzioni scolastiche, inserita nel testo previgente dell’art. 20, co. 2, primo periodo, del D.L. 83/2012 (L. 134/2012).

L’INDIRE, ripristinato dal 1° settembre 2012 ai sensi dell’art. 19, co. 1, del D.L. 98/2011 (L. 111/2011), è un ente di ricerca con autonomia scientifica, finanziaria, patrimoniale, amministrativa e regolamentare.

In base agli articoli 2 e 4 dello Statuto, l’INDIRE, tra l’altro, ha il compito di:

§         curare la formazione in servizio del personale della scuola, in stretto raccordo con i processi di innovazione tecnologica, attraverso attività di accompagnamento e riqualificazione professionale, sia in presenza che in modalità e-learning;

§         sostenere le strategie di ricerca e formazione riferite allo sviluppo dell’innovazione digitale e dei sistemi tecnologici e documentari;

§          sviluppare ambienti e servizi di e-learning volti a favorire lo scambio di esperienze e la diffusione di modelli e materiali a sostegno dei processi di innovazione digitale della didattica e dello sviluppo dell’autonomia didattica.

Con specifico riferimento al piano di innovazione nelle istituzioni scolastiche, si ricorda che il MIUR - Direzione generale per gli Studi, la Statistica e i Sistemi Informativi, ha avviato un Piano per la scuola digitale.

Ulteriori informazioni sulle attività dell’INDIRE nell’ambito indicato sono disponibili alla pagina http://www.indire.it/content/index.php?action=istituto&id=14277.

 

Il comma 2, lett. e) ed f), interviene in tema di risorse umane dell’Agenzia.

Con la lett. e) vengono soppresse le prescrizioni stabilite, ai fini del transito di personale all’Agenzia, dall’art. 22, comma 4, secondo periodo del D.L. 83/2012. Il transito era subordinato - per il personale di DigitPA, dell'Agenzia per la diffusione delle tecnologie per l'innovazione e del Dipartimento per la digitalizzazione della pubblica amministrazione e l'innovazione tecnologica della Presidenza del Consiglio dei Ministri, dell'Istituto superiore delle comunicazioni e delle tecnologie dell'informazione in materia di sicurezza delle reti che fosse in posizione di comando - al previo interpello e alla valutazione comparativa della qualificazione professionale posseduta nonché dell'esperienza maturata nel settore dell'innovazione tecnologica, dell'anzianità di servizio nelle amministrazioni richiamate, e dei titoli di studio.

La lett. f) novella le previsioni del D.L. 83/2012, relative alla dotazione dell’Agenzia: oltre a ridurre, come si è visto, l’ambito della concertazione prescritta per l’adozione del relativo D.P.C.M., viene anche ridotto da 150 a 130 il limite massimo di unità della dotazione.

Quanto a quest’ultima ne è soppressa la definizione che la qualificava come “effettiva” ed è anche eliminata la limitazione al personale che fosse effettivamente trasferito: tali modifiche potrebbero indicare una situazione di flessibilità della dotazione sia pur nel massimo delle 130 unità.

 

Profili finanziari

 

Il prospetto riepilogativo non considera la norma.

 

La relazione tecnica si limita a ribadire il contenuto della norma e precisa che all’istituzione della cabina di regia e del tavolo si provvede con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

In proposito si ricorda che, relativamente alla cabina di regia, una analoga clausola di salvaguardia è contenuta nel comma 2-bis dell’articolo 47 del D.L. 5/2012.

 

 

In merito ai profili di quantificazione, appare opportuno un chiarimento circa l’assenza di oneri relativamente agli esperti e ai rappresentanti delle imprese e delle università che partecipano ai lavori del Tavolo istituito nell’ambito della cabina di regia, la cui attività ha carattere permanente. La relazione tecnica infatti non fornisce gli elementi atti a giustificare l’invarianza degli oneri con particolare riguardo a tali figure.

 

 


 

Articolo 14
(Misure per favorire la diffusione del domicilio digitale)

L'articolo 14 introduce una novella nell’art. 10 del D.L. n. 70/2011[16] già modificato da ultimo dal D.L. 179/2012[17], per prevedere la facoltà dei cittadini di richiedere, in sede di istanza di rilascio del documento in cui sono unificate la carta di identità elettronica (CIE) e la tessera sanitaria elettronica, una casella di posta elettronica certificata e di indicarla come domicilio digitale.

 

L’unificazione del documento era stata introdotta nell’art. 10 con una novella prevista dall’art. 1 dello stesso D.L. 179/2012, che riservava al Ministero dell’interno la responsabilità del processo di produzione e rilascio della carta di identità elettronica, in precedenza attribuita ai comuni, in un’ottica di semplificazione dell’intero sistema del rilascio. Tuttavia, fino a quando non sarà realizzata l’unificazione della tessera sanitaria e della carta d’identità elettronica, la generazione della tessera sanitaria su supporto di Carta nazionale dei servizi continuerà ad essere assicurata dal Ministero dell’economia e delle finanze. Inoltre, il comma 3 di tale articolo rimette ad un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri - su proposta del Ministro dell'interno e del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della salute, con il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione e con il Ministro delegato per l'innovazione tecnologica, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni, e le province autonome di Trento e di Bolzano, sentita l'Agenzia per l'Italia digitale - il progressivo ampliamento delle possibili utilizzazioni della carta d'identità elettronica “anche in relazione all'unificazione sul medesimo supporto della carta d'identità elettronica con la tessera sanitaria, alle modifiche ai parametri della carta d'identità elettronica e della tessera sanitaria necessarie per l'unificazione delle stesse sul medesimo supporto, nonché al rilascio gratuito del documento unificato”.

Viene invece attribuita a un decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, con il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione e con il Ministro delegato per l'innovazione tecnologica e, limitatamente ai profili sanitari, con il Ministro della salute, la determinazione delle modalità tecniche di produzione, distribuzione, gestione e supporto all'utilizzo del documento unificato.

 

Gli atti di normazione secondaria previsti dall’articolo che viene novellato- sia il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, per il quale non è disposto alcun termine, sia il decreto del Ministro dell'interno stabilito dal comma 3 - non risultano emanati e l’emissione della CIE risulta in una fase di sperimentazione che coinvolge 153 comuni, con applicazione effettiva limitata a 16 comuni[18]. E’ vigente invece il decreto del Ministero dell’Interno del 22 aprile 2008 che determina in euro 20,00 l'importo del corrispettivo da porre a carico dei richiedenti la carta d'identita' elettronica, importo riscosso dai comuni all'atto della richiesta di emissione della carta d'identita' elettronica[19].

 

In tale quadro la disposizione in esame non appare immediatamente applicativa sia in quanto rinvia a decreto ministeriale l’individuazione delle modalità di rilascio del domicilio digitale, sia in quanto la documentazione elettronica cui si fa riferimento è ancora in una fase sperimentale molto circoscritta sul territorio nazionale.

 

Si nota poi che il contesto normativo relativo al domicilio digitale appare caratterizzato da una stratificazione normativa che si intreccia con rinvii a fini applicativi ad atti di normazione secondaria.

 

Infatti, in tema di domicilio digitale, oltre alle disposizioni che l’art. 14 novella, vi sono anche quelle dell’art.3 bis del D.lgs. 82/2005, c.d. Codice dell’amministrazione digitale, introdotte con lo stesso D.L. 179/2012, già citato.

Esso già prevede la facoltà di ogni cittadino indicare alla pubblica amministrazione un proprio indirizzo di posta elettronica certificata, da rilasciare ai sensi dell’art. 16 bis, comma 5, del D.L. 185/2008[20], quale suo domicilio digitale. A sua volta tale comma rinvia ad un DPCM per le modalità di rilascio e di uso della casella di posta elettronica certificata assegnata ai cittadini[21].

L'indirizzo è inserito nell'Anagrafe nazionale della popolazione residente (ANPR) e reso disponibile a tutte le pubbliche amministrazioni e ai gestori o esercenti di pubblici servizi..

Inoltre, l’art. 3 bis rinvia, senza prevedere il termine per l’emanazione, a decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione e il Ministro delegato per l'innovazione tecnologica, sentita l'Agenzia per l'Italia digitale, per definire le modalità di comunicazione, variazione e cancellazione del proprio domicilio digitale da parte del cittadino, nonché le modalità di consultazione dell'ANPR da parte dei gestori o esercenti di pubblici servizi ai fini del reperimento del domicilio digitale dei propri utenti.

A decorrere dal 1° gennaio 2013, salvo i casi in cui è prevista dalla normativa vigente una diversa modalità di comunicazione o di pubblicazione in via telematica, le amministrazioni pubbliche e i gestori o esercenti di pubblici servizi comunicano con il cittadino esclusivamente tramite il domicilio digitale dallo stesso dichiarato, senza oneri di spedizione a suo carico.

 

Si ricorda che l’art. 1, comma 2, lett. c) del D.L. 179/2012 ha previsto un finanziamento aggiuntivo di 60 milioni per il 2013 e di 82 milioni a decorrere dal 2014, per la realizzazione e il rilascio gratuito del suddetto documento unificato.

 

La carta di identità elettronica, introdotta dalla legge 127/1997[22] e successivamente modificata dalla L. 191/1998[23], è definita dal Codice dell'amministrazione digitale (D.Lgs. n. 82/2005), modificato dal D.Lgs. 30 dicembre 2010, n. 235, come “il documento d'identità munito di elementi per l'identificazione fisica del titolare rilasciato su supporto informatico dalle amministrazioni comunali con la prevalente finalità di dimostrare l'identità anagrafica del suo titolare” (Articolo 1, comma 1 lettera c). Il D.Lgs. n. 235/2010 (Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, recante Codice dell'amministrazione digitale, a norma dell'articolo 33 della legge 18 giugno 2009, n. 69), come detto, ha apportato alcune modifiche alla disciplina della carta di identità elettronica. In particolare con riferimento all’accesso ai servizi erogati in rete dalle pubbliche amministrazioni viene previsto che la carta d'identità elettronica e la carta nazionale dei servizi costituiscono strumenti per l'accesso ai servizi erogati in rete dalle pubbliche amministrazioni per i quali sia necessaria l'”identificazione” – anziché l’“autenticazione” – informatica. Viene inoltre soppressa la disposizione (art. 64, comma 3 del CAD) che prevedeva la fissazione con DPCM di una data, comunque non successiva al 31 dicembre 2010, dalla quale non sarebbe più consentito l’accesso ai servizi in rete delle pubbliche amministrazioni con strumenti diversi dalla carta d’identità elettronica e dalla carta dei servizi.

Da ultimo si segnala che l’art. 7 del D.L. 9 febbraio 2012, n. 5 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e sviluppo), al comma 1, stabilisce, tra l’altro, che i documenti di identità e di riconoscimento, successivamente all’entrata in vigore del decreto medesimo, sono rilasciati o rinnovati con validità fino alla data, corrispondente al giorno e mese di nascita del titolare, immediatamente successiva alla scadenza che sarebbe altrimenti prevista per il documento medesimo.

Con riguardo alla Tessera sanitaria (TS), ai sensi dell’articolo 50, comma 1, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269[24], questa può essere utilizzata per le funzionalità che ne hanno determinato l'emissione: sostituisce il tesserino di codice fiscale; abilita all'accesso delle prestazioni sanitarie erogate dal SSN su tutto il territorio nazionale ed è Tessera di assicurazione malattia (Team) ai fini del riconoscimento dell'assistenza sanitaria nei Paesi della Comunità europea. Il DM 11 marzo 2004 ha definito le caratteristiche tecniche della TS. A regime, il progetto TS prevede che la tessera contenga le informazioni sanitarie del proprietario (prescrizioni, diagnosi e referti sanitari), configurandosi pertanto come un documento personale sanitario ma anche come chiave di accesso ai servizi online forniti dal SSN. In tal senso, l’articolo 50, comma 13, del citato decreto legge 269/2003, prevede la definizione delle modalità per il successivo e progressivo assorbimento, senza oneri aggiuntivi a carico del bilancio dello Stato, della TS nella carta di identità elettronica o nella carta nazionale dei servizi (CNS), demandando tale processo ad appositi decreti di natura non regolamentare del Ministro per l'innovazione e le tecnologie (ora Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione). La carta CNS, ovvero il sistema CNS, si configura come l’infrastruttura per l’accesso (via internet e digitale terrestre) ai servizi in rete della pubblica amministrazione (sanità, trasporti, biglietti) e alla gestione personalizzata delle informazioni da parte del cittadino-utente. La CNS corrisponde nella maggior parte dei casi alla Carta Regionale dei Servizi (CRS), una tessera dotata di microprocessore (smart card) che riunisce le funzioni di tessera sanitaria (TS) e carta nazionale dei servizi (CNS), configurandosi come uno strumento elettronico multiuso, finora adottato, in forma sperimentale e con modalità diverse, solo in alcune Regioni (Lombardia, Friuli-Venezia Giulia e Sicilia).

Il decreto legge 78/2010, all’articolo 11, comma 15, ha disposto che, in occasione del rinnovo delle tessere sanitarie in scadenza, il Ministero dell'economia e delle finanze curi la generazione e la progressiva consegna della TS-CNS, autorizzando a tal fine la spesa di 20 milioni di euro annui a decorrere dal 2011. Tale periodo transitorio avrà termine quando sarà emanato il decreto del Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione recante modalità di assorbimento della tessera sanitaria nella carta nazionale dei servizi.

 

Anche con riguardo all’unificazione di carta d’identità elettronica e di tessera sanitaria, si può notare che le stesse sono state oggetto di una normazione stratificata nel tempo e negli ultimi anni si è assistito, sia a livello nazionale che regionale, a una proliferazione di carte che, a vario titolo, consentono l'accesso a servizi messi a disposizione dalle diverse amministrazioni.

Nel tentativo di omogeneizzare le diverse realtà locali, il piano e-Gov 2012 ha previsto, tra l’altro, che le carte nazionali/regionali dei servizi sostituiscano o integrino le tessere sanitarie in tutte le regioni italiane (obiettivo 17).

 

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

Nell’ambito dell’agenda digitale, la Commissione ha presentato il 15 dicembre 2010 il “piano d'azione europeo per l'e-Government 2011-2015 - Valorizzare le TIC per promuovere un'amministrazione digitale intelligente, sostenibile e innovativa” (COM(2010)743) con l’obiettivo di aumentare l'uso dei servizi di e-Government, al 50% da parte dei cittadini dell'UE e all'80% da parte delle imprese entro il 2015.

Per realizzare tale obiettivo, come rilevato nel piano d’azione, è necessario aumentare l’efficienza ed efficacia dei governi e delle amministrazioni, agevolando i cambiamenti per fornire servizi pubblici migliori, meno invasivi, più sostenibili e più rapidi, riducendo gli oneri amministrativi e migliorando i processi organizzativi.

 

Profili finanziari

 

Il prospetto riepilogativo non considera la norma.

 

La relazione tecnica afferma che alle attività previste dal presente articolo si provvede nell’ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente.

Riguardo alle norme (articolo 16-bis, commi 5-8, del DL 185/2008) con le quali è stata a suo tempo prevista l’attribuzione ai cittadini richiedenti di una casella di posta elettronica certificata (PEC), si ricorda che esse erano corredate da una clausola di copertura, in base alla quale si faceva fronte agli oneri derivanti dalla norma (non quantificati)[25] mediante l’utilizzo di risorse assegnate al progetto “Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese” e non ancora impegnate: si trattava, in particolare, di una sezione speciale del predetto Fondo, alla quale erano state destinate risorse pari a 20 milioni di euro per il 2004, per il 2005 e per il 2006.

 Si ricorda che in attuazione dell’articolo 16-bis è stato successivamente emanato il DPCM 6 maggio 2009 (Rilascio e uso della casella di posta elettronica certificata assegnata ai cittadini), con il quale è stato precisato (articolo 2) che “l'attivazione della PEC e le comunicazioni che transitano per la predetta casella di PEC sono senza oneri per il cittadino”.

 

In merito ai profili di quantificazione, andrebbero acquisiti dati ed elementi volti a suffragare la coerenza della norma in esame rispetto alla clausola di neutralità finanziaria prevista dal testo.

In particolare, andrebbe chiarito:

          se per effetto della norma risulti modificata l’entità e/o la distribuzione temporale della spesa a suo tempo prevista per l’attribuzione delle caselle di posta elettronica certificata;

          se le risorse attualmente disponibili sulla sezione del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese utilizzata per la copertura degli oneri risultino ancora sufficienti – per entità e per ripartizione temporale - a finanziare la prosecuzione del programma di assegnazione e di gestione delle caselle PEC.

Al fine di chiarire tali aspetti, sembrerebbe utile acquisire dati ed elementi circa lo stato di avanzamento del programma PEC, la spesa a tal fine già effettuata anno per anno, l’entità delle residue risorse utilizzabili per la medesima finalità e le previsioni di spesa per l’esercizio in corso e per quelli successivi.

 

In merito ai profili di copertura finanziaria, con riferimento alla formulazione della clausola di neutralità finanziaria di cui al comma 2, si rileva che la stessa andrebbe riformulata conformemente alla prassi vigente, sostituendo le parole “non derivano” con le seguenti: non devono derivare.


 

Articolo 15
(Commissione per il coordinamento del sistema pubblico di connettività)

L’articolo 15 prevede, attraverso una modifica dell’articolo 80 del codice dell’amministrazione digitale (decreto legislativo n. 82/2005), che il presidente della Commissione per il coordinamento del sistema pubblico di connettività sia individuato, a seguito della soppressione di Digit-PA intervenuta con il decreto-legge n. 83/2012, nel Commissario per l’attuazione dell’Agenzia digitale o, su sua delega, nel direttore dell’Agenzia per l’Italia digitale. Si prevede inoltre che l’incarico del presidente e dei componenti la Commissione abbia la durata di un triennio, rinnovabile.

Nel testo previgente, invece, la presidenza dell’organismo era affidata al presidente di Digit-PA e l’incarico di presidente e componenti aveva la durata di un biennio, rinnovabile.

 

Con gli articoli da 19 a 22 del decreto-legge n. 83/2012, Digit-PA (ente nazionale per la digitalizzazione della pubblica amministrazione) è stata soppressa e le sue funzioni trasferite all’Agenzia per l’Italia digitale

 

Per la figura del Commissario per l’attuazione dell’Agenzia digitale, istituita dall’articolo 13, e più in generale per l’attuazione dell’Agenda digitale ed i profili concernenti l’istituzione dell’Agenzia per l’Italia digitale, si rinvia alla scheda relativa all’articolo 13.

 

Ai sensi dell’articolo 73 del Codice dell’amministrazione digitale, il sistema pubblico di connettività (SPC) costituisce l'insieme di infrastrutture tecnologiche e di regole tecniche, per lo sviluppo, la condivisione, l'integrazione e la diffusione del patrimonio informativo e dei dati della pubblica amministrazione, necessarie per assicurare l'interoperabilità di base ed evoluta e la cooperazione applicativa dei sistemi informatici e dei flussi informativi, garantendo la sicurezza, la riservatezza delle informazioni, nonché la salvaguardia e l'autonomia del patrimonio informativo di ciascuna pubblica amministrazione.

L’articolo 79 del codice affida alla commissione per il coordinamento del sistema pubblico di connettività Commissione i seguenti compiti: a) raccordo tra le amministrazioni pubbliche; b) approvazione delle linee guida e delle modalità operative e di funzionamento dei servizi e delle procedure per realizzare la cooperazione applicativa fra i servizi erogati dalle amministrazioni; c) promozione dell'evoluzione del  modello organizzativo e dell'architettura tecnologica del SPC in funzione del mutamento delle esigenze  delle  pubbliche amministrazioni e delle opportunità derivanti dalla evoluzione delle tecnologie; d) promozione della cooperazione applicativa fra le pubbliche amministrazioni, e) definizione dei criteri e verifica dell'applicazione in merito alla iscrizione, sospensione e cancellazione dagli elenchi dei fornitori qualificati SPC; f) sospensione e cancellazione dagli elenchi dei fornitori qualificati; g) verifica della qualità e della sicurezza dei servizi erogati dai fornitori qualificati del SPC; h) promozione del recepimento degli standard necessari a garantire la connettività, l'interoperabilità di base e avanzata, la cooperazione applicativa e la sicurezza del Sistema.

L’articolo 80 del codice prevede che la Commissione sia composta, oltre che dal presidente, da altri sedici membri, scelti tra persone di comprovata professionalità ed esperienza nel settore, nominati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri: otto componenti nominati in rappresentanza delle amministrazioni statali previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sette dei quali su proposta del Ministro per l'innovazione e le tecnologie ed uno su proposta del Ministro per la funzione pubblica; i restanti otto sono nominati su designazione della Conferenza unificata. Uno dei sette componenti proposti dal Ministro per l'innovazione e le tecnologie e' nominato in rappresentanza della Presidenza del Consiglio dei ministri. Quando esamina questioni di interesse della rete internazionale della pubblica amministrazione la Commissione e' integrata da un rappresentante del Ministero degli affari esteri, qualora non ne faccia già parte.


 

Articolo 16
(Razionalizzazione dei CED Centri elaborazione dati – Modifiche
al decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179)

L’articolo 16 prevede, attraverso una modifica dell’articolo 33-septies del decreto-legge n. 179/2012, che nell’ambito del piano triennale di razionalizzazione dei centri di elaborazione dati (CED) delle pubbliche amministrazioni siano individuati i livelli minimi dei requisiti di sicurezza, di capacità elaborativa e di risparmio energetico e le modalità di consolidamento e razionalizzazione, ricorrendo anche all’utilizzo dei centri di elaborazione dati di imprese pubbliche e private nel rispetto della legislazione in materia di contratti pubblici (vale a dire il decreto legislativo n. 163/2006).

 

Il comma 4 dell’articolo 33-septies prevede che entro il 30 settembre 2013 l'Agenzia per l'Italia digitale trasmetta al Presidente del Consiglio dei ministri, dopo adeguata consultazione pubblica, i risultati del censimento effettuato e le linee guida per la razionalizzazione dell'infrastruttura digitale della pubblica amministrazione. Entro i successivi novanta giorni il governo, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, d'intesa con la Conferenza unificata, adotta il piano triennale di razionalizzazione dei CED delle pubbliche amministrazioni, aggiornato annualmente.

Il medesimo articolo, al comma 2, definisce il CED come “il sito che ospita un impianto informatico atto alla erogazione di servizi interni alle amministrazioni pubbliche e servizi erogati esternamente dalle amministrazioni pubbliche che al minimo comprende apparati di calcolo, apparati di rete per la connessione e apparati di memorizzazione di massa”.

 

Profili finanziari

 

Il prospetto riepilogativo non considera la norma.

 

La relazione tecnica afferma che la norma ha carattere ordinamentale e non comporta effetti sui saldi di finanza pubblica.

Si ricorda che analoga esclusione di effetti finanziari era stata a suo tempo affermata dalla RT allegata all’articolo 33–septies del DL 179/2012, con il quale era stata prevista (al comma 4) l’adozione di un piano triennale di razionalizzazione dei CED.

 

In merito ai profili di quantificazione si osserva che andrebbero chiarite le eventuali implicazioni finanziarie della possibilità, prevista dalla norma, di ricorrere all’intervento di imprese pubbliche o private per assicurare il consolidamento e la razionalizzazione dei CED.


 

Articolo 17
(Misure per favorire la realizzazione del Fascicolo sanitario elettronico)

L’articolo in esame reca disposizioni in materia di Fascicolo sanitario elettronico (FSE). L’intervento legislativo apporta modifiche all’articolo 12 del decreto legge 179/2012, che istituisce il FSE e affida alle regioni e alle province autonome il compito di realizzarlo, sulla base di criteri unitari a livello nazionale, ancora da definirsi con decreto interministerriale.

A fronte di situazioni regionali molto diverse, l’articolo 17 stabilisce termini temporali certi per l’utilizzo del FSE su tutto il territorio nazionale.

 

Il FSE rappresenta l’elemento centrale delle politiche di e-health delle regioni ed è stato pensato per finalità di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione, di studio e ricerca scientifica in campo medico, biomedico ed epidemiologico, nonché per le finalità di programmazione sanitaria, verifica delle qualità delle cure e valutazione dell’assistenza sanitaria. Secondo un rapporto realizzato nel 2012 dal Cisis (l'organismo che coordina le politiche informatiche delle Regioni italiane), il Fascicolo risulta già realizzato in cinque tra Regioni e Province autonome (Lombardia, Provincia autonoma di Trento, Emilia-Romagna, Toscana e Sardegna), è in fase di sperimentazione in sette Regioni (Piemonte, Liguria, Marche, Veneto, Abruzzo, Campania, Basilicata), mentre risulta ancora in corso di realizzazione in Friuli Venezia Giulia, Umbria, Lazio, Molise, Puglia, Calabria e Sicilia. Soltanto previsto invece nelle restanti Regioni. Laddove realizzato, il fascicolo risulta potenzialmente disponibile per tutti i cittadini, ma il numero di fascicoli attivi, cioè i fascicoli dei cittadini che hanno fornito il consenso alla gestione dei loro dati sanitari, è complessivamente ancora abbastanza basso: in Toscana ha attivato il suo FSE circa il 32 per cento della popolazione (1,2 milioni di cittadini), in Lombardia oltre il 65 per cento (6 milioni di cittadini circa), mentre la percentuale è dell’80 per cento nella Provincia Autonoma di Trento (500.000 cittadini). Relativamente alle diverse componenti che costituiscono il fascicolo, risultano più frequentemente realizzate le funzioni collegate alla refertazione, in particolare per quanto riguarda i referti di laboratorio di analisi o di altra diagnostica e le schede di dimissione ospedaliera. Solamente tre Regioni hanno invece realizzato il Patient Summary, una delle principali componenti del FSE, cioè il quadro sintetico delle informazioni più importanti contenute nel FSE, utile in particolare nelle situazioni di emergenza.

 

Grazie alle novelle introdotte nel corpo dell’articolo 12, del D:L: 179/2012 le regioni e le province autonome devono provvedere all’istituzione del FSE entro il 31 dicembre 2014, ma già entro il 31 dicembre 2013 sono tenute a presentare all’Agenzia per l’Italia digitale i piani di progetto per la sua realizzazione. In base ai piani presentati, l’Agenzia per l’Italia digitale cura la progettazione e la realizzazione dell’infrastruttura centrale per il FSE. L’Agenzia ha anche il compito, insieme al Ministero della salute, di valutare ed approvare i piani entro 60 giorni. Successivamente, l’Agenzia e il Ministero della salute sono responsabili di monitorare che la realizzazione dei FSE sia conforme ai piani presentati.

 

Nel dettaglio, la norma in esame, al comma 1, introduce le seguenti modifiche all’articolo 12 del decreto legge 179/2012:

§      la lettera a) modifica il comma 2, fissando al 31 dicembre 2014 il termine entro il quale le regioni e le province autonome devono istituire il FSE;

 

§      la lettera b) modifica il comma 6, che già prevedeva che le finalità di studio e di ricerca scientifica in campo medico, biomedico ed epidemiologico, nonché le finalità di programmazione, sanitaria, verifica delle qualità delle cure e valutazione dell’assistenza sanitaria fossero perseguite dalle regioni e dalle province autonome nonché dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dal Ministero della salute, nei limiti delle rispettive competenze, senza l'utilizzo dei dati identificativi degli assistiti presenti nel FSE. Precedentemente era previsto che non potessero essere utilizzati nemmeno i documenti clinici presenti nel FSE.

 

§      la lettera c) modifica il comma 15 il quale aveva previsto che, per l’attuazione delle disposizioni in materia di FSE, le regioni e le province autonome potessero realizzare infrastrutture tecnologiche condivise a livello sovra-regionale, e avvalersi, anche mediante riuso[26], delle infrastrutture tecnologiche per il FSE già realizzate da altre regioni, o dei servizi da queste erogate. Integrando la disposizione, si prevede la possibilità, per regioni e province autonome, di utilizzare l’infrastruttura centrale per il FSE fruibile, in modalità cloud computing, e resa disponibile dall’Agenzia per l’Italia digitale avvalendosi della Sogei, società di Information & Communication Technology del Ministero dell'Economia e delle Finanze .

Nel testo dell’articolo si rinvia alla Sogei come alla società di cui al comma 15 dell'articolo 83 del D.L. 112/2008, norma che fra l’altro stabilisce che i diritti della società di gestione del sistema informativo dell'amministrazione finanziaria sono esercitati dal Ministero dell'Economia e delle Finanze. In un ottica di chiarezza e semplificazione, sarebbe forse stato opportuno riferirsi direttamente alla Sogei.

 

La Società di gestione informatica (SO.GE.I.) è stata costituita nel 1976 per la realizzazione e la conduzione tecnica del sistema informativo per il funzionamento dell’anagrafe tributaria. Con la convenzione di cui al decreto del Ministro delle finanze n. 864 del 13 aprile 1992, la SO.GE.I. ha assunto l’incarico di provvedere allo sviluppo e all’integrazione delle strutture informatiche centrali e periferiche del Ministero delle finanze, per una durata di nove anni. Nel luglio 2002 la SO.GE.I. è stata totalmente acquisita dal Ministero dell’economia e delle finanze.

 

La norma in esame specifica inoltre che l’infrastruttura centrale del FSE deve essere confome ai criteri stabiliti dal decreto attuativo interministeriale che, ai sensi del comma 7 dell’articolo 12 del 179/2012, avrebbe dovuto essere emanato entro 90 giorni dalla legge di conversione dello stesso decreto legge.

 

Il decreto attuativo, che non risulta emanato, deve definire i contenuti del FSE, i limiti di responsabilità e i compiti dei soggetti che concorrono alla sua implementazione; i sistemi di codifica dei dati; le garanzie e le misure di sicurezza da adottare nel trattamento dei dati personali nel rispetto dei diritti dell’assistito; le modalità e i livelli diversificati di accesso al FSE da parte dei soggetti del SSN e dei servizi socio-sanitari regionali, delle regioni e delle province autonome nonché del Ministero della salute e del Ministero del lavoro e delle politiche sociali; la definizione e le relative modalità di attribuzione di un codice identificativo univoco dell’assistito che non consenta l’identificazione diretta dell’interessato; i criteri per l’interoperabilità del FSE a livello regionale, nazionale ed europeo, nel rispetto delle regole tecniche del sistema pubblico di connettività.

 

§      La lettera d) inserisce nel corpo dell’articolo 12 i commi da 15-bis a 15-quinquies che definiscono le fasi procedurali per la realizzazione del FSE.

 

Il comma 15-bis stabilisce che entro il 31 dicembre 2013, le regioni e le province autonome presentano all’Agenzia per l’Italia digitale i piani di progetto per la realizzazione del FSE;

Il comma 15-ter dispone che l’Agenzia per l’Italia digitale, sulla base delle esigenze avanzate dalle regioni nell’ambito dei rispettivi piani, sia responsabile della progettazione e della realizzazione dell’infrastruttura centrale per il FSE di cui al comma 15;

Il comma 15-quater chiarisce che l’Agenzia per l’Italia digitale e il Ministero della salute operano congiuntamente, per le parti di rispettiva competenza, al fine di:

a) valutare e approvare, entro 60 giorni, i piani di progetto presentati dalle regioni e province autonome per la realizzazione del FSE, verificandone la conformità ai criteri stabiliti dal decreto attuativo interministeriale di definizione del FSE;

Andrebbe chiarito da quale termine temporale debbano decorrere i 60 giorni, anche se appare desumibile che questo possa essere identificato con il giorno della presentazione dei piani di progetto regionali/provinciali all’Agenzia per l’Italia digitale.

b) monitorare che le regioni e le province autonome realizzino il FSE conformemente ai piani di progetto approvati;

 

Infine, il comma 15-quinquies reca l’autorizzazione di spesa per la progettazione e la realizzazione dell’infrastruttura centrale di FSE in modalità cloud computing. Per il 2014 è autorizzata una spesa non superiore ai 10 milioni di euro e, a decorrere dal 2015, ai 5 milioni di euro, da definirsi su base annua con decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze su proposta dell’Agenzia per l’Italia digitale. Gli oneri sono stati quantificati tenendo conto delle attività iniziali di impianto e, a partire dall’anno 2015, delle attività di gestione.

Alla copertura degli oneri si provvede ai sensi dell’articolo 61 del decreto in esame(vedi infra).

 

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

Il tema della ricerca di soluzioni innovative in campo sanitario, in cui si inserisce la disposizione di cui all’articolo 17 sul fascicolo sanitario elettronico, è al centro della proposta di regolamento della Commissione europea sulla istituzione del programma "Salute per la crescita", terzo programma pluriennale d'azione dell'UE in materia di salute per il periodo 2014-2020 (COM(2011)709).

Sulla base della proposta, saranno stanziati 446 milioni di euro per finanziare un programma dell'UE della durata di 7 anni. Il programma erogherà finanziamenti sotto forma di sovvenzioni e appalti pubblici per organismi pubblici o privati, amministrazioni nazionali, ONG europee e organizzazioni internazionali, per la ricerca di soluzioni innovative che migliorino, tra l’altro, la sostenibilità dei sistemi sanitari nazionali.

La proposta, discussa dal Consiglio, da ultimo, il 21 giugno 2012, è attualmente all’esame del Parlamento europeo.

 

Profili finanziari

Il prospetto riepilogativo ascrive alla norma i seguenti effetti sui saldi di finanza pubblica.

 (milioni di euro)

 

Saldo netto da finanziare

Fabbisogno

Indebitamento netto

 

2013

2014

2015

2013

2014

2015

2013

2014

2015

Maggiori spese correnti

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Art 17, co 1

Gestione servizi infrastruttura centrale FSE

 

5

5

 

5

5

 

5

5

Maggiori spese in conto capitale

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Art 17, co 1

Progettazione e impianti infrastruttura centrale FSE

 

5

 

 

5

 

 

5

 

Come indicato dal testo e dalla relazione tecnica, la copertura di queste maggiori spese è effettuata nell’ambito del successivo articolo 61.

 

La relazione tecnica afferma che gli oneri connessi alla disposizione sono relativi alla progettazione e realizzazione della infrastruttura centrale che le regioni potranno utilizzare, in modalità cloud computing, quale alternativa allo sviluppo di proprie infrastrutture, in un’ottica di ottimizzazione degli investimenti e razionalizzazione delle infrastrutture nazionali.

Gli oneri sono quantificati, sulla base delle informazioni acquisite nell’ambito della Cabina di regia dell’Agenda digitale, tenendo conto delle attività iniziali di impianto (previste per l’anno 2014) e delle attività di gestione a regime a partire dall’anno 2015. In particolare, tali attività riguardano:

§      la progettazione e l’impianto della infrastruttura centrale, nel rispetto delle regole tecniche del Sistema pubblico di connettività, per oneri complessivi previsti non superiori a 5 milioni per il 2014;

§      l’implementazione e la gestione dei servizi telematici per consentire l’interfaccia con gli FSE regionali, nonché la circolarità delle informazioni, per oneri complessivi previsti non superiori a 3 milioni a regime a decorrere dall’anno 2014;

§      l’implementazione della gestione dei servizi di sicurezza, nel rispetto della normativa sulla protezione dei dati personali di cui al D.Lgs. 196/2003, relativa alla gestione per oneri complessivi previsti non superiori a 2 milioni a regime a decorrere dall’anno 2014.

Ai predetti oneri, pari a 10 milioni per il 2014 e a 5 milioni a decorrere dal 2015, si provvede ai sensi dell’articolo 61.

 

In merito ai profili di quantificazione, si rileva che la relazione non fornisce i dati posto alla base della quantificazione dei costi e della conseguente autorizzazione di spesa. Appare pertanto opportuno un chiarimento al riguardo.

 

 

In merito ai profili di copertura finanziaria, appare opportuno riformulare l’articolo 17, comma 1, lettera d), capoverso comma 15-quinquies, facendo riferimento non solo “alla realizzazione” dell’infrastruttura centrale del fascicolo sanitario elettronico, ma anche “alla gestione” dello stesso, conformemente a quanto indicato nella relazione tecnica, e indicando distintamente gli oneri di diversa natura - conto capitale e parte corrente – derivanti dall’intervento in esame, quali risultanti dal prospetto riepilogativo degli effetti finanziari. Sul punto appare opportuno acquisire l’avviso del Governo.

 

 


 

Articolo 18, commi da 1 a 3, 11 e 12
(Istituzione di un Fondo per il finanziamento di infrastrutture cantierate o cantierabili)

L’articolo 18 prevede, al comma 1, l’istituzione, nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di un Fondo con una dotazione complessiva pari a 2.069 milioni di euro ripartita per cinque anni, di cui:

§      335 milioni di euro per l’anno 2013;

§      405 milioni di euro per l’anno 2014;

§      652 milioni di euro per l’anno 2015;

§      535 milioni di euro per l’anno 2016;

§      142 milioni di euro per l’anno 2017.

Il comma 1 precisa che il Fondo è volto a consentire nell’anno 2013 la continuità dei cantieri in corso ovvero il perfezionamento degli atti contrattuali finalizzati all’avvio dei lavori.

 

Il Fondo ha delle caratteristiche di assoluta novità in quanto andrà a finanziare sia infrastrutture comprese nel Programma delle infrastrutture strategiche di cui alla legge n. 443 del 2001 (cd. “legge obiettivo”) che opere non incluse in tale programma. Accanto ad interventi relativi alle infrastrutture strategiche il Fondo andrà a finanziare anche interventi di manutenzione del territorio e per la sua messa in sicurezza, nonché interventi di piccola dimensione. Si tratta, pertanto, di uno strumento di carattere straordinario giustificato dall’esigenza, enunciata nella norma e nelle relazioni di accompagnamento, di rilancio della realizzazione del settore infrastrutturale nell’attuale situazione economica (l’articolo 18 è il primo articolo compreso nel capo III recante misure per il rilancio delle infrastrutture). In relazione a tale strumento, è opportuno svolgere preliminarmente due ordini di considerazioni.

In primo luogo, si rileva che la sussistenza di un unico criterio per la selezione delle opere finanziabili, in ragione del loro carattere di cantierabilità o di opere in corso, si configura come una deroga dei criteri di selezione delle opere prioritarie, nell’ambito delle infrastrutture strategiche, introdotti dall’articolo 161, comma 1-bis, del Codice dei contratti pubblici (coerenza con l'integrazione con le reti europee e territoriali, stato di avanzamento dell'iter procedurale, possibilità di prevalente finanziamento con capitale privato).

In secondo luogo, sempre con riferimento alle infrastrutture strategiche ma con una considerazione estendibile anche agli altri tipi di infrastrutture, è da rilevare che il comma 1 dell’articolo 18 configura un nuovo strumento di finanziamento, che va ad aggiungersi alle fonti di finanziamento pubbliche che si sono venute via via susseguendo nel corso degli ultimi anni. Come si è avuto modo di rilevare nella nota di sintesi e nel 7° Rapporto sull’attuazione della “legge obiettivo”, predisposto dal Servizio Studi in collaborazione con l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, negli ultimi anni dall’analisi delle disponibilità è emersa una maggiore articolazione delle fonti di finanziamento pubbliche a motivo anche dell’istituzione del Fondo per le infrastrutture ferroviarie, stradali e relativo ad opere di interesse strategico istituito dall’articolo 32, comma 1, del decreto-legge n. 98/2011 e delle risorse del Piano nazionale per il Sud. Il Fondo, pertanto, andrà ulteriormente ad articolare le fonti di finanziamento pubbliche delle opere.

 

Con riguardo all’assegnazione delle risorse del Fondo, in via generale si rileva che i commi 2 e 3 prevedono distinte procedure di assegnazione delle risorse a seconda che gli interventi necessitino o meno di ulteriori procedure autorizzatorie e/o approvative. I successivi commi 5 e 9 prevedono ulteriori interventi a valere sulle risorse del Fondo, ma in deroga alle procedure di cui al comma 2. Per le considerazioni inerenti invece gli interventi di cui al comma 10 si rinvia alla relativa scheda di commento.

 

Interventi finanziabili (comma 2)

In particolare, il comma 2 elenca gli interventi, finanziabili con le risorse assegnate al Fondo, che dovranno essere individuati, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto legge in commento, con uno o più decreti del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze. Il comma 2 provvede ad elencare specifici interventi, ma reca anche interventi di carattere generico. Con riguardo agli interventi finanziabili di carattere generico, essi riguardano:

§      il potenziamento dei nodi ;

La proposta di regolamento COM(2011)650 sulla rete transeuropea di trasporti TEN-T, attualmente all’esame delle istituzioni dell’Unione, dedica una disposizione specifica (art. 36) ai nodi urbani, prevedendo che gli Stati membri e gli altri promotori di progetti, nello sviluppo della rete globale nei nodi urbani, mirino a garantire, tra le altre cose, l'interconnessione tra l'infrastruttura ferroviaria, aerea e, se opportuno, per via navigabile interna, stradale e marittima della rete globale; la connessione adeguata tra diverse stazioni ferroviarie o aeroporti della rete globale all'interno di un nodo urbano; l'aggiramento delle aree urbane per il trasporto stradale e per il trasporto ferroviario merci per facilitare i flussi di traffico a lungo raggio sulla rete globale.

Si segnala, inoltre, che l’11° Allegato infrastrutture, presentato nel mese di aprile 2013 al Parlamento (Doc. LVII, n. 1 – Allegato 5), nella sezione relativa alle priorità funzionali da supportare finanziariamente nel triennio 2014-2016”, fa riferimento all’esigenza di assicurare le “priorità ̀legate a dare continuità ad impegni assunti” tra i quali sono inclusi i nodi metropolitani e nodi logistici di particolare rilievo (porti, aeroporti, interporti).

§      lo standard di interoperabilità dei corridoi europei e il miglioramento delle prestazioni della rete e dei servizi ferroviari;

La citata proposta di regolamento indica anche quale priorità per la rete globale dei trasporti la rimozione degli ostacoli tecnici ed amministrativi, in particolare quelli relativi all’interoperabilità delle reti (vale a dire la possibilità per i mezzi dei diversi paesi di circolare, senza ostacoli tecnici o amministrativi, su tutte le reti di trasporto nazionali dell’Unione rientranti nella rete globale) alla concorrenza (art. 10).

§      il superamento di criticità sulle infrastrutture viarie concernenti ponti e gallerie;

Si segnala che il comma 10 dell’articolo 18 (alla cui scheda di commento si rinvia) reca disposizioni in ordine alla definizione di un programma di interventi di manutenzione straordinaria di ponti, viadotti e gallerie della rete stradale d’interesse nazionale in gestione ad ANAS SpA che, secondo quanto rilevato dalla relazione tecnica, dovrebbe essere finanziato a valere sulle risorse del Fondo. Il programma deve essere approvato con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, in cui sono individuate le risorse a disposizione, ed attuato secondo una convenzione che disciplina i rapporti tra Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e ANAS S.p.A., i tempi previsti e le relative modalità di monitoraggio degli interventi.

 

Al riguardo, andrebbe chiarito se, nell’ambito degli interventi rispondenti alle finalità dei nodi e allo standard di interoperabilità dei corridoi europei, rientrano infrastrutture comprese nel Programma delle infrastrutture strategiche per le quali si sono perfezionate le procedure di individuazione con il coinvolgimento degli enti territoriali.

 

Per quanto riguarda invece gli specifici interventi finanziabili, essi riguardano:

§      il collegamento ferroviario funzionale tra la Regione Piemonte e la Valle d’Aosta;

Per quanto concerne il collegamento ferroviario funzionale tra la Regione Piemonte e la Valle d’Aosta il riferimento potrebbe intendersi come al potenziamento ed elettrificazione della linea Chivasso-Aosta e al collegamento diretto di tale linea Chivasso-Aosta con la linea Torino-Milano, opera inserita in origine nel Programma delle infrastrutture strategiche ma non presente né nel decimo (settembre 2012) né nell’undicesimo (aprile 2013) allegato infrastrutture. L’opera si trova allo stadio di progetto definitivo. Il costo stimato al 30 settembre 201 è di 73 milioni di euro con un fabbisogno ancora da coprire di 39 milioni di euro.

§      l’asse di collegamento tra la strada statale 640 e l’autostrada A19 Agrigento – Caltanissetta;

La delibera 37/2009 del CIPE ha approvato il progetto definitivo dell’“Itinerario Agrigento-Caltanissetta-A19 con l’adeguamento a 4 corsie della SS 640, assegnando all’ANAS un contributo massimo di 209,1 milioni di euro a valere sui 7.356 milioni di euro destinati con delibera CIPE 112/2008 a favore del Fondo infrastrutture di cui all’ art. 6 quinquies del D.L. 112/2008[27]. L'opera, suddivisa in due lotti, è riportata nel 11° Allegato Infrastrutture allegato al Documento di economia e finanza 2013 rispettivamente con i seguenti costi: 499,5 milioni di euro (lotto 1) e 770,21 milioni di euro (lotto 2) interamente disponibili.

§      gli assi autostradali Pedemontana Veneta e Tangenziale Esterna Est di Milano.

Per quanto riguarda gli assi autostradali Pedemontana Veneta e Tangenziale Esterna Est di Milano, il primo progetto, oggetto di delibera CIPE 96/2006, affidato in concessione dalla Regione Veneto tramite gara, secondo quanto riportato nell’11° aggiornamento del Programma delle infrastrutture strategiche, reca un costo di 2.130 milioni di euro[28] interamente disponibili. Il progetto della tangenziale esterna di Milano, approvato con delibera CIPE 95/2005, presenta un costo di 1.742 Meuro. Successivamente, la delibera CIPE 51/2011 ha preso atto delle varianti inserite nel progetto definitivo dell’opera, del programma di risoluzione delle interferenze e del nuovo cronoprogramma allegato all’Atto aggiuntivo alla Convenzione Unica, che prevede l’entrata in esercizio al 2 maggio 2015 (data di inizio dell’Expo 2015); viene approvato inoltre il progetto definitivo. secondo quanto riportato nell’11° aggiornamento del Programma delle infrastrutture strategiche, reca un costo di 1.659,9 milioni di euro[29] interamente disponibili. Per l’intervento relativo alla Tangenziale, la norma in commento prevede che l’atto aggiuntivo di aggiornamento della convenzione conseguente all’assegnazione del finanziamento è approvato con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze da adottarsi entro trenta giorni dalla trasmissione dell’atto convenzionale ad opera dell’amministrazione concedente.

 

Ulteriori interventi finanziabili con delibere CIPE (comma 3)

Entro quarantacinque giorni dalla data di entrata in vigore del decreto legge, con delibere CIPE possono essere finanziate, a valere sulle risorse del suddetto Fondo, nei limiti delle risorse annualmente disponibili:

§      l’asse viario Quadrilatero Umbria-Marche;

Il Quadrilatero Marche Umbria prevede la realizzazione di opere infrastrutturali viarie attraverso un innovativo piano di cofinanziamento, denominato Piano di Area Vasta (PAV), che consiste nel completamento e adeguamento di due arterie principali - l'asse Foligno-Civitanova Marche SS 77 e l'asse Perugia-Ancona SS 76 e 318 - della Pedemontana Fabriano-Muccia/Sfercia e altri interventi viari. Il CIPE, con delibera 58/2012, ha approvato il progetto definitivo di un lotto funzionale della Pedemontana delle Marche, per un costo pari a 90,2 Meuro interamente a carico della Regione Marche. A settembre 2012, il costo complessivo dell’opera è stimato in poco meno di 2,5 miliardi di euro con un fabbisogno di 771,340 milioni di euro [30].

§      la tratta Colosseo – Piazza Venezia della linea C della metropolitana di Roma;

Si rinvia alla scheda di commento del comma 6 dell’articolo 18, che detta le condizioni per la sottoposizione di tale tratta al CIPE.

§      la linea M4 della metropolitana di Milano;

La linea metropolitana M4 di Milano, metropolitana leggera ad automazione integrale, si svilupperà dalla zona del Lorenteggio a Linate con 21 stazioni, interconnettendosi con la linea 1 e con il passante ferroviario e servendo importanti poli urbani e l’aeroporto di Linate. La delibera CIPE 99/2009 ha approvato il progetto definitivo dell’opera, il cui costo, pari a 910 Meuro, comprensivo dell’IVA al 10%, verrà coperto per 546 Meuro dallo Stato, per 91 Meuro dal Comune di Milano e per 273 Meuro da parte di una Società mista pubblico/privata da costituirsi tra il Comune e i privati offerenti le migliori condizioni. A fine settembre il costo complessivo dell’opera risulta poco meno di 1,7 miliardi di euro[31].

§      il collegamento Milano-Venezia terzo lotto Rho-Monza;

Con l’accesso al Polo fieristico di Rho-Pero, l’opera, che dovrebbe completare la Tangenziale Nord fra Paderno Dugnano e Baranzate costituisce un intervento strategico in vista dell’Expo 2015.

 

Nel caso in cui non risultino attivabili altre fonti di finanziamento,con delibere del CIPE potranno altresì essere finanziati i seguenti interventi:

§      la linea 1 della metropolitana di Napoli;

Il completamento della linea 1 della metropolitana di Napoli riguarda circa 3,5 Km di completamento della tratta Dante-Garibaldi-Centro direzionale (stazione Centro direzionale esclusa), l’adeguamento di 5 stazioni ed altre opere accessorie. Sono previsti due importanti nodi di interscambio in corrispondenza della stazione Municipio e della stazione Garibaldi. La linea 1 si innesterà nella parte terminale del tronco ferroviario dell’Alifana. Il costo complessivo dell’opera alla fine di settembre 2012 risulta essere poco meno di 1,5 miliardi di euro[32].

§      l’asse autostradale Ragusa-Catania;

Il progetto dell’asse autostradale Ragusa-Catania, pari a circa 68 km complessivi, riguarda l’ammodernamento a quattro corsie della “SS 514 di Chiaramonte” e della “SS 194 Ragusana” nel tratto compreso fra lo svincolo con la SS 514, in prossimità di Comiso, e il nuovo svincolo di Lentini dell’asse autostradale Catania-Siracusa. Il costo complessivo dell’opera a fine settembre 2012 è pari a circa 815 milioni di euro di cui 217,3 milioni assegnati con la delibera CIPE 62/2011[33], costo che è riportato anche nell’11° aggiornamento del Programma delle infrastrutture strategiche.

§      la tratta Cancello – Frasso Telesino della linea AV/AC Napoli-Bari.

Il CIPE nella seduta del 18 febbraio 2013 ha approvato il progetto preliminare della tratta Cancello – Frasso Telesino della linea AV/AC Napoli-Bari. In base all’11° aggiornamento del Programma delle infrastrutture strategiche, il costo dell’opera ammonta a 730 milioni di euro, di cui 411,54 milioni disponibili e 318,46 ancora mancanti.

 

Si tratta di interventi localizzati nelle regioni dell’Obiettivo Convergenza che – come precisato dalla relazione tecnica – potranno accedere agli interventi del Fondo “solo nel caso in cui non risultassero attivabili le risorse del PON reti e viabilità allo stato non utilizzate ferma restando la procedura di riprogrammazione”.

 

Utilizzo e revoca delle risorse del Fondo (commi 11 e 12)

Nel caso in cui, entro il 31 dicembre 2013, non siano conseguite le finalità indicate al comma 1, si prevede la revoca dei finanziamenti assegnati a valere sul Fondo istituito ai sensi del comma 1 dell’articolo 18.

Nei decreti ministeriali e nelle delibera CIPE, con cui sono assegnate le risorse previste ai commi 2 e 3, devono essere stabiliti per ciascun intervento:

§      le modalità di utilizzo delle risorse assegnate;

§      il monitoraggio dell’avanzamento dei lavori;

§      l’applicazione di misure di revoca.

Le risorse revocate confluiscono nel Fondo infrastrutture ferroviarie, stradali e relativo a opere di interesse strategico[34].

 

L’art. 32 ha istituito, nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti il Fondo infrastrutture ferroviarie (cap.7060), stradali e relativo a opere di interesse strategico nonché per gli interventi per la salvaguardia della laguna di Venezia[35], dotato di 930 milioni per l'anno 2012 e 1.000 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2013 al 2016, assegnati con delibere CIPE e destinati prioritariamente alle opere ferroviarie.

Il Fondo in oggetto è stato successivamente ridotto da una serie di interventi legislativi successivi e, a seguito di tali riduzioni, le relative risorse risultano pari a 817,7 milioni di euro per il 2013, a 881,5 milioni per il 2014, a 855.8 milioni per il 2015 e a 862,3 milioni per il 2016 (Delibera CIPE del 18 febbraio 2013, n. 7/2013).

 

Le risorse assegnate a valere sul Fondo di cui al comma 1 non possono essere utilizzate per la risoluzione di contenziosi (comma 12).

 


 

Articolo 18, comma 4
(Corridoio tirrenico meridionale A12 – Appia e bretella autostradale Cisterna Valmontone)

La disposizione prevede l’utilizzazione indistinta delle risorse, già assegnate con la delibera CIPE n. 88/2010, per i lotti in cui è articolata l’opera “Corridoio tirrenico meridionale A12 – Appia e bretella autostradale Cisterna Valmontone”.

La norma prevede che l’opera, che deve essere interamente messa a gara, può essere realizzata e finanziata per lotti funzionali e, in assenza di finanziamento per la realizzazione delle tratte nei tre anni successivi all’aggiudicazione dell’opera, non è previsto alcun obbligo del concedente al finanziamento delle tratte medesime nei confronti del concessionario.

 

Il Corridoio Tirrenico Meridionale A12 – Formia e Cisterna – Valmontone, inserito nel Programma delle infrastrutture strategiche di cui alla legge n. 443/2001 (cd. “legge obiettivo”), è stato approvato dal CIPE a livello di progetto preliminare con delibera n. 50 del 2004, e riguardava un primo stralcio funzionale comprendente il Corridoio Tirrenico Meridionale, Tratta A12 – Sabaudia/Terracina e la tratta Cisterna Valmontone, rinviandosi ad una nuova e diversa progettazione preliminare il secondo stralcio del Corridoio Tirrenico Meridionale costituito dalla tratta Sabaudia/Terracina – Formia. Con la medesima delibera veniva assegnato un finanziamento di 259,5 milioni di euro (in termini di volume di investimenti) allo stralcio funzionale del Corridoio Tirrenico Meridionale, tratta A12 – Sabaudia/Terracina e un finanziamento di 100 milioni di euro (in termini di volume di investimenti) alla tratta Cisterna – Valmontone.

Con la delibera CIPE n. 88 del 2010, sono stati approvati i progetti definitivi: a) della tratta autostradale “Roma (Tor de’ Cenci) - Latina Nord (Borgo Piave)”, comprensiva delle complanari; b) della tratta autostradale “Cisterna – Valmontone”; c) delle relative opere connesse:- tangenziale di Labico;- asse secondario tra la SR “Ariana” e la SP “Artena – Cori”;- tangenziale di Lariano, nonché dei seguenti progetti preliminari delle ulteriori opere connesse: a) tangenziale di Latina; b) asse viario di collegamento tra Velletri e la SP “Velletri – Cori”; c) miglioramenti funzionali delle viabilità esistenti:- via dei Giardini (dallo svincolo di Aprilia Sud alla SR Nettunense);- via Apriliana (tra lo svincolo di Aprilia Nord e la stazione di Campoleone diLatina);- la SP “Velletri – Cori” (tra il nuovo asse di collegamento con Velletri e la tangenziale di Lariano). Con la medesima delibera si è preso atto che il soggetto aggiudicatore, al fine di eseguire in modo organico l’intervento, dovesse procedere con l’indizione di una unica procedura di gara ad evidenza pubblica per l’aggiudicazione di una concessione di costruzione e gestione, ponendo a base di gara i predetti progetti definitivi e preliminari, nonché la progettazione del Collegamento A12 – Roma (Tor de’ Cenci). Nella delibera si specifica che i contributi assegnati con delibera CIPE n. 50/2004 a valere sulle risorse destinate alle infrastrutture strategiche dalla legge n. 166/2002, sono allocati a favore dell’intero sistema autostradale oggetto della delibera e relative opere connesse e che tali contributi pubblici a fondo perduto, pari a 468,4 milioni di euro, sono destinati all’abbattimento del costo iniziale dell’intervento.

La Corte dei conti, con deliberazione 7/2013, ha ricusato il visto e la registrazione della delibera CIPE n. 86 del 2012 relativa all’approvazione del progetto definitivo dell’intervento “Completamento corridoio tirrenico meridionale A12- Appia e bretella autostradale Cisterna-Valmontone, tratto A12 Roma Civitavecchia – Roma (Tor de’ Cenci)”, con reiterazione del vincolo preordinato all’esproprio apposto con precedente delibera del CIPE n. 50/2004, nonché al parere sullo schema di convenzione. La delibera n. 86, secondo quanto si apprende dalla descrizione del contenuto nella deliberazione della Corte Conti, specifica che, riguardo al collegamento Cisterna Valmontone ed opere connesse, la progettazione, realizzazione e gestione restano subordinate all’avverarsi della condizione che si realizzi l’assegnazione di ulteriori risorse pubbliche necessarie, entro il termine di tre anni decorrenti dalla data di perfezionamento della citata convenzione. In tale prospettiva, la delibera del CIPE puntualizza che la copertura finanziaria viene assicurata nell’ambito del piano economico e finanziario riferito alle tratte A12 – Roma (Tor Dè Cenci) – Latina (Borgo Piave) con un contributo pubblico pari a 468,1 meuro, con l’ulteriore disposizione (punto 3 del deliberato) che formino oggetto della convenzione le sole tratte per le quali è disponibile la copertura finanziaria “nel presupposto che lo Stato non assume nessun obbligo di finanziamento delle tratte attualmente non coperte finanziariamente”.

Nel rinviare al contenuto della deliberazione 7/2013 per una ricostruzione puntuale della complessa vicenda, si segnala in questa sede che la Corte ha eccepito che la delibera non chiarisce, con puntuali prescrizioni, le ragioni e i criteri in base ai quali si è provveduto alla destinazione delle risorse assegnate esclusivamente al collegamento tra l’area pontina e l’A2 Cisterna Valmontone alle tratte A12 Roma Tor De Cenci e Roma Tor De Cenci - Latina Borgo Piave oggetto dello schema di convenzione.

Nel corso dello svolgimento di un atto di sindacato ispettivo presso l’VIII Commissione è stato precisato, nella risposta fornita dal dicastero di merito, che “la destinazione dei fondi all'intera opera è risultata, a parere della Corte, non univocamente stabilita per il lotto funzionale; tale interpretazione potrà essere corretta con opportuna definizione dell'utilizzo dei fondi”[36].

Per un approfondimento riguardante i profili economici e temporali dell’opera, vedi la scheda presente nel 7° Rapporto sull’attuazione della “legge obiettivo” – predisposta dal Servizio Studi della Camera in collaborazione con l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici (AVCP) - relativa al Sistema Intermodale Integrato Pontino Roma–Latina e Cisterna-Valmontone (aggiornata al 30 settembre 2012).

L’11° Allegato infrastrutture al Documento di economia e finanza 2013, trasmesso al Parlamento nel mese di aprile 2013, riporta: per l’opera Cisterna - Valmontone e opere connesse un costo di 714,09 milioni di euro; per il collegamento A12 Roma (Tor de' Cenci) un costo di 498,63 milioni di euro; per il Corridoio Intermodale Integrato Pontinio Roma – Latina un costo di 1515,93 milioni di euro con una disponibilità di 468,08 milioni di euro.


 

Articolo 18, comma 5
(Assegnazione di risorse alla società concessionaria Strada dei parchi S.p.A.)

La disposizione prevede, al fine di assicurare la continuità funzionale e la realizzazione degli investimenti previsti nella Convenzione vigente per la realizzazione e la gestione delle tratte autostradali A24 e A25 “Strade dei Parchi”, l’assegnazione di 90,7 milioni di euro (82,2 milioni di euro per l’anno 2013 e 8,5 milioni di euro per l’anno 2014) alla società concessionaria utilizzando le risorse del Fondo istituito al comma 1, in deroga agli appositi decreti ministeriali previsti al comma 2. La norma specifica che il predetto importo è destinato alla società concessionaria secondo le modalità previste dal Verbale d’Intesa sottoscritto da ANAS S.p.A. e Strada dei Parchi S.p.A il 16 dicembre 2010.

In particolare, dei 90,7 milioni di euro stanziati, 34,2 milioni sono un contributo statale e 56,5 milioni un’anticipazione del contributo dovuto dalla Regione Lazio, dalla Provincia e dal Comune di Roma ai sensi della citata Convenzione (in cui la Società Strada dei Parchi S.p.A. si è impegnata a progettare e realizzare una viabilità complanare all’autostrada A24, tra la Barriere di Roma Est e Via P. Togliatti, che prevede il contributo economico del Ministero delle Infrastrutture, della Regione Lazio, della Provincia di Roma e del Comune di Roma, per un investimento complessivo di 259 milioni di euro)[37]. Le risorse anticipate, entro il 31 dicembre 2015, dovranno essere versate al bilancio dello Stato per la successiva riassegnazione al "Fondo infrastrutture ferroviarie, stradali e relativo a opere di interesse strategico nonché per gli interventi di cui all'articolo 6 della legge 29 novembre 1984, n. 798" di cui all’articolo 32, comma 1, del D.L. 98/2011 (sul Fondo si veda la scheda di commento riferita ai commi da 1 a 3, nonché 11 e 12 dell’articolo 18).

Il raggruppamento Autostrade S.p.A.-Toto S.p.A. ha costituito la Società Strada dei Parchi S.p.A., che, dal 1° gennaio 2003, è subentrata alla precedente gestione per conto ANAS. La società ha pertanto la concessione di costruzione ed esercizio delle autostrade A24 (Roma-L’Aquila-Teramo) e A25 (Torano-Avezzano-Pescara): un sistema che costituisce collegamento tra il versante tirrenico e quello adriatico, formando una connessione tra l’Autostrada del Sole A1 (Milano-Napoli) e l’Autostrada Adriatica A14 (Bologna-Bari-Taranto). Il 18 novembre 2009 è stata sottoscritta la Nuova Convenzione Unica tra ANAS S.p.a. e Strada dei Parchi S.p.a., approvata dal CIPE con delibera 20/2010. La scadenza della concessione è fissata al 31 dicembre 2030.

Da ultimo, si rammenta che il comma 183 dell’articolo unico della legge n. 228/2012 (legge di stabilità 2013) prevede che il Governo possa procedere, fatta salva la preventiva verifica presso la Commissione europea della compatibilità comunitaria, ad una rinegoziazione con la società concessionaria delle autostrade A24-A25 delle condizioni della concessione anche al fine di evitare un incremento delle tariffe non sostenibile per l'utenza alle condizioni indicate nella norma.

 


 

Articolo 18, comma 6
(Disposizioni concernenti la linea C della metropolitana di Roma)

La norma prevede che, entro il 30 ottobre 2013, il progetto definitivo della tratta Colosseo - Piazza Venezia della linea C della metropolitana di Roma debba essere sottoposto al CIPE. Ai fini del finanziamento del progetto possono essere utilizzate le risorse del Fondo di cui al comma 1 dell’articolo 18, a condizione che la tratta Pantano - Centocelle della stessa linea C sia messa in esercizio entro il 15 ottobre 2013. Si rammenta che il comma 3 del medesimo articolo 18 già demanda a delibere CIPE, da adottarsi entro quarantacinque giorni dalla data di entrata in vigore del decreto legge, la possibilità di finanziare a valere sulle risorse del Fondo istituito dal comma 1 dell’articolo 18 alcune opere strategiche tra le quali la tratta Colosseo – Piazza Venezia della linea C della metropolitana di Roma. La disposizione in commento, pertanto, detta le condizioni alle quali la tratta è sottoposta all’esame del CIPE e la data entro la quale avverrà detto esame.

Il tracciato della Linea C della metropolitana di Roma comprende 42 stazioni per una lunghezza complessiva di 42 km, in parte ad automazione integrale (treni con guida senza macchinista). Nel dettaglio il tracciato fondamentale si articola in 6 tratte: - T2: Clodio/Mazzini–Fori Imperiali/Colosseo - T3: Fori Imperiali/Colosseo-San Giovanni - T4: San Giovanni-Malatesta - T5: Malatesta-Teano-Alessandrino - T6A: Alessandrino-Bivio Torrenova - T7: Bivio Torrenova-Pantano e deposito graniti.

L’opera è finanziata nell’ambito del Programma delle infrastrutture strategiche di cui alla legge n. 443/2001 (cd. “legge obiettivo”) [38].

La tratta T2 Clodio/Mazzini–Fori Imperiali/Colosseo, secondo quanto riportato nell’XI Allegato al Documento di economia e finanza 2013 trasmesso al Parlamento nel mese di aprile 2013, ha un costo di 769,44 milioni di euro. La disposizione in commento fa riferimento alla tratta Colosseo – Piazza Venezia nell’ambito della linea T2.

Per quanto riguarda invece le tratte T6A, T7, e deposito graniti, nel cui ambito è inclusa la tratta Pantano – Centocelle, secondo quanto riportato nel citato Allegato, il costo complessivo è pari a circa 930 milioni di euro interamente disponibili. In particolare, la tratta Pantano – Centocelle risulta in fase di ultimazione.

Con la delibera del CIPE n. 84 del 2011 è stata approvata la variante relativa all’utilizzo delle terre da scavo delle tratte T4 - T5 e T6A comprese nel tracciato fondamentale ed è stato individuato nell’importo di 3.486,864 milioni di euro il «limite di spesa» del tracciato fondamentale, ripartito per tratte e per quote di finanziamento tra i soggetti finanziatori.

Da ultimo, con la delibera CIPE n. 127 del 2012, sono state individuate le risorse statali pari a 81,1 milioni di euro, a parziale copertura dell’atto transattivo relativo alle tratte T3, T4, T5, T6A, T7 e deposito Graniti, tra Roma metropolitane s.r.l. (soggetto aggiudicatore) e metro C S.p.A. (contraente generale). Secondo quanto stabilito nel punto 1.8. di tale delibera, il nuovo «limite di spesa» del tracciato fondamentale della linea C della Metropolitana di Roma, costituito dalle tratte T2,T3, T4, T5, T6A, T7 e Deposito graniti, sarà rideterminato dal Comitato a seguito della trasmissione, da effettuarsi entro novanta giorni dalla pubblicazione della delibera (avvenuta il 22 giugno 2013), dei quadri economici aggiornati di tutte le tratte citate.


 

Articolo 18, comma 7
(Contrattualizzazione di interventi cantierabili del Gruppo Ferrovie dello Stato )

Il comma 7 dell’articolo 18 interviene in materia di investimenti del Gruppo Ferrovie dello Stato, in attesa dell'approvazione del Contratto di Programma - parte investimenti 2012 -2016 con RFI, autorizzando per l’importo di 300 milioni di Euro, la contrattualizzazione degli interventi per la sicurezza ferroviaria che siano immediatamente cantierabili di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 1 marzo 2012.

Più precisamente il riferimento è all’art. 1, comma 6 del richiamato DPCM, che ha disposto l’utilizzo, per l'anno 2012 della somma di 300 milioni di euro per gli investimenti del Gruppo Ferrovie dello Stato - Contratto di programma con RFI.

Con l’art. 1 del DPCM 1 marzo 2012 in questione si è provveduto a ripartire una parte delle risorse del Fondo, istituito nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze dall’art. 7-quinquies del D.L. n. 5 del 2009 e successivamente modificato dalla legge di stabilità 2012 (legge n. 183/2011), destinato ad assicurare il finanziamento di vari interventi urgenti e indifferibili. In base al DPCM il fondo è stato ripartito, per l’importo di 785 milioni di euro per l’anno 2012, sui 13 settori di intervento indicati nell’Elenco 3[39] allegato alla legge 183/2011, tra cui rientrano sia il Contratto di Programma con RFI che gli investimenti del Gruppo Ferrovie dello Stato.

 

Si ricorda che il nuovo contratto di programma tra RFI e Ministero delle infrastrutture per il periodo 2012-2016 si concretizzerà, in coerenza con la delibera CIPE n. 4/2012, in due atti distinti, entrambi in corso di stipulazione:

§       la parte servizi (lo schema di contratto è stato approvato dal CIPE il 18 marzo 2013) chiamata a gestire la manutenzione ordinaria e straordinaria e le attività di safety, security e navigazione;

§       la parte investimenti (lo schema di contratto è stato siglato da RFI e dal Ministero il 12 marzo 2013 ed è attualmente all'esame del CIPE) concentrata sul completamento delle opere in corso e l'avvio di opere prioritarie nell'ambito dei progetti di investimento finalizzato all'ammodernamento e lo sviluppo dell'infrastruttura.

In proposito si ricorda che il recente art. 7-ter del D.L. n. 43 del 2013, convertito dalla legge n. 71 del 24 giugno 2013, consente l’utilizzo delle risorse stanziate in bilancio per gli anni 2012 e 2013 per il contratto di programma tra Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e Rete ferroviaria italiana S.p.A–parte servizi, che siano eccedenti cioè residuali rispetto all’effettivo fabbisogno come indicato nel contratto stesso, per il finanziamento degli interventi di manutenzione straordinaria previsti dal contratto di programma – parte investimenti, da sostenere dalla stessa società negli anni 2012 e 2013, inclusi nel medesimo contratto.

Più in generale, si ricorda che i rapporti tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e RFI Spa sono stati affidati, nell’ambito di una concessione sessantennale, a contratti di programma quinquennali, sottoposti al parere parlamentare. Ai sensi dell’art. 14, del D.Lgs n. 188 del 2003[40], che ha definito le regole relative ai rapporti tra il gestore dell'infrastruttura ferroviaria nazionale e lo Stato, nel contratto di programma la concessione di finanziamenti, per far fronte a nuovi investimenti, alla manutenzione ed al rinnovo dell'infrastruttura ferroviaria, è disciplinata nei limiti delle risorse annualmente iscritte nel bilancio dello Stato ed è finalizzata al miglioramento della qualità dei servizi, dello sviluppo dell'infrastruttura stessa e del rispetto dei livelli di sicurezza compatibili con l'evoluzione tecnologica.

L’ultimo contratto di programma tra Ministero e RFI, relativo al periodo 2007-2011, è stato sottoscritto 31 ottobre 2007, nel corso della XV legislatura. Successivamente sono stati sottoscritti tre aggiornamenti nel 2008, nel 2009 e l’ultimo nel 2010-2011. In particolare l’ultimo aggiornamento 2010-2011, sottoscritto il 10 luglio 2012 (il parere della IX Commissione è stato reso nella seduta del 3 luglio 2012) ha anche prorogato la vigenza del contratto di programma 2007-2011 fino alla sottoscrizione del nuovo contratto. L’aggiornamento 2010-2011 al contratto di programma tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e RFI SpA prevede investimenti per 83.020 milioni di euro.

Per quanto riguarda l’ammontare delle risorse iscritte in bilancio, citate nel comma 1, si ricorda che nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti le previsioni di bilancio 2013 dettagliate per i singoli programmi recano in Tabella 10, Missione 13.8- Sviluppo e sicurezza del trasporto ferroviario, stanziamenti per 47,3 mln di euro. Le risorse più rilevanti si trovano però nell’ambito dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze (Tabella 2), in cui sono previsti gli stanziamenti per il programma 13.8 “Sostegno allo sviluppo del trasporto” riferito principalmente al settore ferroviario che reca complessivamente per il 2012 (previsioni assestate) 4.124,1 milioni di euro, mentre le previsioni di bilancio per il 2013 recano spese per 5.048,3 milioni di euro, pari a un aumento dello stanziamento di 924,2 milioni di euro (+ 22,4%) rispetto all’anno 2012.

Nella tabella seguente sono riassunti gli altri stanziamenti recenti per le infrastrutture ferroviarie:

 

 

Norma

Finalità/Destinazione

Importo stanziato (in milioni di euro)

Legge n. 183/2011
(articolo 33, comma 1, Elenco 3) e D.L. n. 95/2012 (articolo 23, comma 12-quater)

Incremento del Fondo per le esigenze urgenti e indifferibili per destinarlo a 13 finalità, tra cui anche gli investimenti del Gruppo Ferrovie dello Stato e il Contratto di programma con RFI

300 per il 2012

legge n. 228/2012 (legge di stabilità 2013)
(articolo 1, comma 175)

Continuità dei lavori di manutenzione straordinaria previsti dal contratto di programma con RFI

300 per il 2013

legge n. 228/2012 (legge di stabilità 2013
(articolo 1, comma 176)

Completamento degli interventi realizzati con la tecnica dei lotti costruttivi non funzionali, con riferimento al secondo lotto dei lavori della parte italiana del valico del Brennero

600 per l'anno 2013

D.L. n. 43/2013 (art. 7-ter, comma 1)

Utilizzo delle risorse stanziate in bilancio per gli anni 2012 e 2013 per il contratto di programma tra Ministero e RFI S.p.A– parte servizi, che siano eccedenti rispetto all’effettivo fabbisogno, per il finanziamento degli interventi di manutenzione straordinaria del contratto di programma–parte investimenti anni 2012 e 2013

 

D.L. n. 43/2013 (art. 7-ter, comma 2)

Finanziamento degli investimenti relativi alla rete infrastrutturale ferroviaria nazionale

120 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2015 al 2024

 

 


 

Articolo 18, comma 8
(Edilizia scolastica )

L’articolo 18, comma 8, prevede che, allo scopo di innalzare il livello di sicurezza degli edifici scolastici, l’INAIL destina fino a 100 milioni di euro annui per il triennio 2014-2016, per la definizione di un piano di edilizia scolastica[41], su proposta della Presidenza del Consiglio dei ministri, d'intesa con i Ministeri dell'istruzione, dell'università e della ricerca e delle infrastrutture e dei trasporti.

Tale intervento è effettuato restando fermo quanto previsto dall’articolo 53, comma 5, del D.L. 5/2012 (L. 35/2012), che demanda al CIPE, su proposta del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca e del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentita la Conferenza unificata, l’approvazione di un Piano di messa in sicurezza degli edifici scolastici[42] esistenti e di costruzione di nuovi edifici scolastici.

Si ricorda che l’articolo 53 del D.L. 5/2012 ha previsto l’approvazione di un “Piano nazionale di edilizia scolastica” entro 90 giorni dalla sua entrata in vigore (comma 1) e, nelle more dell’approvazione di tale Piano, di un “Piano di messa in sicurezza degli edifici scolastici esistenti e di costruzione di nuovi edifici scolastici” (comma 5).

In particolare il comma 5 ha individuato i seguenti interventi urgenti da attuare nelle more della definizione e approvazione del Piano nazionale:

§       approvazione, da parte del CIPE (su proposta dei Ministri dell’istruzione, dell’università e della ricerca e delle infrastrutture e dei trasporti, sentita la Conferenza unificata), di un Piano di messa in sicurezza degli edifici scolastici esistenti e di costruzione di nuovi edifici scolastici, anche favorendo interventi diretti al risparmio energetico e all’eliminazione delle locazioni a carattere oneroso, nell’ambito delle risorse assegnate al Ministero dell’istruzione dall’art. 33, comma 8, della L. 183/2011 e pari a 100 milioni di euro per l’anno 2012;

§       applicazione anche nel triennio 2012-2014 delle disposizioni di cui all’art. 1, comma 626, della L. 296/2006 (finanziaria 2007), con estensione dell’ambito di applicazione alle scuole primarie e dell’infanzia, subordinatamente al rispetto dei saldi strutturali di finanza pubblica.

§       Si ricorda che il citato comma 626, nella logica degli interventi per il miglioramento delle misure di prevenzione di cui al D.Lgs. 38/2000 (Disposizioni in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), ha previsto la definizione, in via sperimentale per il triennio 2007-2009, da parte dell’INAIL, d'intesa con i Ministri del lavoro e dell’istruzione e con gli enti locali competenti, di indirizzi programmatici per la promozione ed il finanziamento di progetti degli istituti di istruzione secondaria di primo grado e superiore per l'abbattimento delle barriere architettoniche o l'adeguamento delle strutture alle vigenti disposizioni in tema di sicurezza e igiene del lavoro. Lo stesso comma ha demandato all’INAIL la determinazione dell'entità delle risorse da destinare annualmente alle finalità di cui al comma, la definizione dei criteri e delle modalità per l'approvazione dei singoli progetti, nonché l’approvazione dei finanziamenti dei singoli progetti. In attuazione di tale disposizione la delibera del Consiglio di Indirizzo e di Vigilanza dell'INAIL n. 8 del 3 aprile 2007 ha determinato in 100 milioni di euro per il triennio 2007/2009 l'entità delle risorse da destinare alle finalità di cui al citato comma 626.

 

Sembrerebbe opportuno chiarire il rapporto fra il piano di edilizia scolastica previsto dal comma in esame e i due piani previsti dall’art. 53 del D.L. 5/2012. Andrebbe, inoltre, valutata la possibilità di un coinvolgimento della Conferenza unificata, alla luce di quanto disposto dall’art. 4 della L. 23/1996 - al quale fa riferimento anche l’art. 53, co. 1, del D.L. 5/2012 - in materia di programmazione dell’edilizia scolastica (che si realizza mediante piani generali triennali e piani annuali di attuazione predisposti e approvati dalle regioni) e di quanto previsto, con riferimento all’approvazione di appositi piani triennali di edilizia scolastica, dall’art. 11, co. da 4-bis a 4-octies del D.L. 179/2012 (L. 221/2012)[43].

 

Lo stanziamento deve avvenire nell'ambito degli investimenti immobiliari previsti dal piano di impiego dei fondi disponibili a carico degli enti pubblici e delle persone giuridiche private che gestiscono forme di previdenza e assistenza, di cui all'articolo 65 della L. 153/69.

L’articolo 65 della L. 153/69 dispone che i soggetti richiamati compilino annualmente un piano di impiego dei fondi disponibili (ossia le somme eccedenti la normale liquidità di gestione), approvato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze. Se non per particolari esigenze di bilancio, la percentuale da destinare agli investimenti immobiliari non può superare il 40%, né essere inferiore al 20% dei fondi disponibili. Anche i piani relativi agli investimenti immobiliari devono essere approvati dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

 


 

Articolo 18, comma 9
(Primo Programma “6000 campanili”)

Il comma 9 dell’articolo 18 destina contributi statali a favore dei piccoli comuni (con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti), per interventi infrastrutturali di adeguamento, ristrutturazione e nuova costruzione di edifici pubblici, per la realizzazione e manutenzione di reti viarie, nonché per la salvaguardia e la messa in sicurezza del territorio.

Alla realizzazione di tali interventi sono destinati 100 milioni di euro per l’anno 2014[44], utilizzando lo stanziamento del Fondo di cui al comma 1, in deroga alla procedura di assegnazione effettuata con decreti ministeriali indicata al comma 2.

Sono finanziabili solo gli interventi muniti di tutti i pareri, autorizzazioni, permessi e nulla osta previsti dal decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163[45] e dal decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207[46].

Con una convenzione[47], da stipularsi entro 30 giorni dall’entrata in vigore del decreto legge e da approvare con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti da pubblicare nella Gazzetta ufficiale, il Dipartimento per le infrastrutture, gli affari generali e il personale del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (MIT) e l'ANCI disciplinano i criteri per l’accesso ai finanziamenti.

I comuni, tramite l’ANCI, presentano, entro 60 giorni dalla pubblicazione della convenzione, le richieste di contributo finanziario (da un minimo di 500.000 euro fino ad un massimo 1.000.000 di euro per progetto) al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.

Ogni comune presenta un solo progetto ed è prevista una deroga al limite massimo del contributo concesso, soltanto nel caso in cui le risorse finanziarie aggiuntive necessarie siano già immediatamente disponibili e spendibili da parte del comune proponente.

Il Programma degli interventi che accedono al finanziamento è approvato con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti.

 

La norma in commento disciplina una procedura che coinvolge, da un lato, i comuni e, dall’altro, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti analogamente a quanto previsto per il “Piano nazionale per le città” disciplinato dall’art. 12 del D.L. 83/2012. Nell’ambito di tale Piano, infatti, i Comuni hanno proposto ad uno specifico organismo, la Cabina di regia, istituito nell’ambito del MIT e composto da una serie di soggetti specificati nella norma (tra i quali l’ANCI), proposte di contratti di valorizzazione urbana costituite da un insieme coordinato di interventi per la valorizzazione di aree urbane degradate. In data 8 febbraio 2013 il MIT ha emanato il decreto dipartimentale n. 1105/2013, di approvazione della destinazione delle risorse del Fondo citato proposta dalla Cabina di regia. I progetti che hanno superato la selezione potranno usufruire, secondo quanto indicato in un comunicato del MIT, "di un cofinanziamento nazionale di 318 milioni di euro (224 dal Fondo Piano Città e 94 dal Piano Azione Coesione per le Zone Franche Urbane dove si concentrano programmi di defiscalizzazione per le PMI).

Per quanto riguarda il finanziamento delle cosiddette “piccole opere”, si segnala che il 10° Allegato alla Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2012, approvato dal CIPE e dalla Conferenza unificata, ha incluso nel Programma delle infrastrutture strategiche gli interventi di piccole e medie opere nel Mezzogiorno già deliberati dal CIPE per un importo pari a 399 milioni di euro come confermato dall’11° Allegato infrastrutture trasmesso al Parlamento nel mese di aprile 2013[48].

 


 

Articolo 18, comma 10
(Programma degli interventi di manutenzione straordinaria di ponti, viadotti e gallerie della rete stradale di interesse nazionale in gestione ad ANAS SpA)

Il comma 10 dell’articolo 8 reca disposizioni in ordine alla definizione di un programma di interventi di manutenzione straordinaria di ponti, viadotti e gallerie della rete stradale d’interesse nazionale in gestione ad ANAS SpA[49].

Il programma deve essere approvato con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, in cui sono individuate le risorse a disposizione, ed attuato secondo una convenzione che disciplina i rapporti tra Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e ANAS S.p.A., i tempi previsti e le relative modalità di monitoraggio degli interventi.

La norma reca disposizioni in ordine alla definizione di un programma di interventi di manutenzione straordinaria sulla rete stradale di interesse stradale nazionale “fermo restando quanto previsto dal comma 2”, che demanda a decreti interministeriali l’assegnazione delle risorse del Fondo di cui al comma 1 dell’articolo 18 ad alcuni interventi ivi indicati tra i quali quelli volti al “superamento delle criticità sulle infrastrutture viarie concernenti i ponti e le gallerie”. La relazione tecnica precisa che la norma non determina oneri aggiuntivi rispetto a quelli recati dal comma 1 dell’articolo 18 in quanto si tratta di un programma finanziato da una quota delle risorse ivi previste.

 

In considerazione di quanto contenuto nella relazione tecnica e del disposto della norma in base alla quale “resta fermo quanto previsto dal comma 2”, andrebbe chiarito se il programma di interventi di manutenzione straordinaria di cui al comma 10 dell’articolo 18 è da considerarsi aggiuntivo rispetto agli interventi che dovranno essere individuati dai decreti interministeriali di cui al comma 2 (tra i quali sono compresi interventi per il superamento delle criticità sui ponti e sulle gallerie). Ciò anche in quanto il comma 10 disciplina una specifica procedura per l’individuazione degli interventi ivi previsti in deroga a quanto previsto dal comma 2. Potrebbe essere, inoltre, opportuno specificare, sulla scorta di quanto previsto dalle disposizioni di cui ai commi 5 e 9 dell’articolo 18, che le risorse del comma 10 dovranno essere assegnate “a valere sul Fondo di cui al comma 1 dell’articolo 18 (in considerazione di quanto rilevato dalla relazione tecnica) e in deroga alla procedura di cui al comma 2”.

In ordine agli investimenti per la realizzazione di nuove opere e la manutenzione della rete stradale di interesse nazionale, è il contratto di programma[50] l’atto che regola i rapporti tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, amministrazione concedente, e l’ANAS S.p.A., società concessionaria. Con il D.L. 98/2011, all’articolo 32, comma 1, è stato istituito il Fondo infrastrutture ferroviarie, stradali e relativo a opere di interesse strategico, con una dotazione di 930 milioni per l'anno 2012 e 1.000 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2013 al 2016, assegnate dal CIPE e destinate, tra l’altro, ai contratti di programma di ANAS S.p.A.[51] Anche nel Fondo per lo sviluppo e la coesione, istituito ai sensi dell’art. 4 del decreto legislativo n. 88/2011, sono presenti risorse per interventi viari di interesse nazionale, regionale e interregionale, di competenza di ANAS S.p.A, ricompresi nel Piano nazionale per il Sud (PNS) [52].

In materia di riordino dell'ANAS SpA, l'articolo 36, commi da 1 a 10, del D.L. 98/2011 ha dettato disposizioni al fine di ridefinire l’assetto delle funzioni e delle competenze, in materia di gestione della rete stradale e autostradale d’interesse nazionale, attraverso l’istituzione - dal 1° gennaio 2012 - dell’Agenzia per le infrastrutture stradali e autostradali del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (MIT). Tale Agenzia è stata poi soppressa[53] per la mancata adozione - prevista entro il 30 settembre 2012 - dello statuto, e del D.P.C.M. di individuazione delle unità di personale da trasferire all'Agenzia. Con la soppressione dell'Agenzia, dal 1° ottobre 2012, sono state trasferite al MIT, le attività e i compiti attribuiti all’Agenzia medesima [54]; conseguentemente, è stata prevista[55], tra l’altro, la sottoscrizione, entro il 30 giugno 2013, della nuova convenzione MIT-Anas, da approvarsi con decreto interministeriale dei Ministeri dell’economia e delle infrastrutture.


 

Articolo 18, commi 13-14
(Copertura finanziaria)

Il comma 13 provvede alla copertura finanziaria degli oneri derivanti dalla costituzione del Fondo cd. “sblocca cantieri” di cui al comma 1, pari a 335 milioni di euro nel 2013, 405 milioni nel 2014, 652 milioni nel 2015, 535 milioni nel 2016 e 142 milioni nel 2017.

Ad essi si provvede:

§      quanto a euro 235 milioni per l’anno 2013, mediante corrispondente riduzione delle risorse assegnate dall’articolo 1, comma 213, della legge n. 228/2012 (legge di stabilità 2013) al Fondo sviluppo e coesione destinate alla ridefinizione dei rapporti contrattuali con la società Stretto di Messina.

La relazione tecnica afferma che le citate risorse sono utilizzate a copertura in quanto allo stato non necessarie non essendo stato definito il contenzioso con il General Contractor.

Si ricorda che l’articolo 1, comma 213, della legge n. 228/2012 ha assegnato al Fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC), per il 2013, una dotazione finanziaria aggiuntiva di 250 milioni di euro destinandola all’attuazione delle misure urgenti per la ridefinizione dei rapporti contrattuali con la Società Stretto di Messina S.p.A. .

Il secondo periodo del comma ha destinato alle stesse finalità di ridefinizione dei rapporti contrattuali con la Società Stretto di Messina S.p.A[56]., ulteriori risorse, fino a un importo massimo di 50 milioni di euro, a valere sulle somme rivenienti da revoche relative a finanziamenti per la realizzazione di opere infrastrutturali comprese nel Programma delle infrastrutture strategiche.

Al riguardo, si fa presente che il D.L. 187/2012, successivamente confluito nell’articolo 34-decies del D.L. 179 del 2012, ha disciplinato la procedura da seguire per l’esame in linea tecnica del progetto definitivo dell'opera Ponte sullo Stretto di Messina e previsto, in mancanza del rispetto delle fasi disciplinate, la caducazione di tutti gli atti che regolano i rapporti di concessione, nonché delle convenzioni e di ogni altro rapporto contrattuale stipulato dalla società concessionaria. Il primo adempimento, alla cui mancanza è collegato il prodursi dell’effetto caducatorio, era la stipula, entro il termine perentorio del 1° marzo 2013, dell’atto aggiuntivo tra la societa' Stretto di Messina S.p.A. ed il contraente generale. Tale atto aggiuntivo non è stato stipulato.

§      quanto a euro 50 milioni per l’anno 2013, a euro 120 milioni per ciascuno degli anni 2014 e 2015 e a euro 142 milioni per l’anno 2016, mediante corrispondente riduzione dell’autorizzazione di spesa di cui all'articolo 5, comma 1 della legge n. 7/2009 di ratifica ed esecuzione del Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra la Repubblica italiana e la Grande Giamahiria araba libica popolare socialista, fatto a Bengasi il 30 agosto 2008.

La relazione tecnica precisa che le predette risorse utilizzate a copertura costituiscono “la quota ancora non utilizzata delle risorse destinate all’attuazione del Trattato di amicizia con la Libia”.

Al riguardo, si osserva che le risorse in questione sono finalizzate all'adempimento degli obblighi internazionali assunti dall'Italia con il Trattato di amicizia con la Libia, adempimento che la riduzione delle relative risorse rende inevitabile rinviare.

L’articolo 5 della legge n. 7/2009 reca gli stanziamenti per l’attuazione delle norme del citato Trattato. Si tratta, in particolare, di 180 milioni per ciascuno degli anni dal 2009 al 2028, destinati alla realizzazione di progetti infrastrutturali da realizzarsi da parte dell'Italia, sulla base delle proposte avanzate dalla Grande Giamahiria araba libica. Nella legge di bilancio 2013-2015 (legge n. 229/2012 e relativo D.M. Economia 31 dicembre 2012), tali stanziamenti sono iscritti sul capitolo 7800/Ministero Infrastrutture e trasporti.

Si rileva che l’autorizzazione legislativa di spesa in oggetto è stata ridotta per il 2013 dall’articolo 4, comma 1, lettera c), n. 2 del D.L. n. 54/2013 (interventi urgenti in materia di IMU e CIG), in corso di conversione, il quale, a parziale copertura degli interventi in esso previsti in materia di cassa integrazione guadagni, ha disposto che 100 milioni di euro per il 2013 delle disponibilità esistenti su tale autorizzazione siano versati all’entrata del bilancio statale.

Successivamente, il D.L. n. 63/2013, anch’esso in corso di conversione, a parziale copertura della proroga delle detrazione fiscale sugli interventi di ristrutturazione edilizia ed efficienza energetica, ha ulteriormente ridotto, all’articolo 21, le risorse dell’autorizzazione di spesa in questione in misura pari a 42,3 milioni di euro per l'anno 2014, a 50,7 milioni di euro per l'anno 2015, a 31,7 milioni di euro per l'anno 2016 e a 28,8 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2017 al 2023, contestualmente disponendone un incremento di 413,1 milioni di euro per l'anno 2024.

§      quanto a euro 96 milioni per l’anno 2014, a euro 258 milioni per l’anno 2015, a 143 milioni per l’anno 2016 e a euro 142 milioni per l’anno 2017 mediante corrispondente riduzione delle risorse stanziate per la realizzazione della nuova linea AV/AC Torino Lione, dall’articolo 1, comma 208, della legge n. 228/2012 (legge di stabilità 2013).

La relazione tecnica afferma che le predette risorse sono utilizzate a copertura in quanto “al momento non necessarie”.

Si ricorda che l’articolo 1, comma 208 della legge n. 228/2012 ha autorizzato, per il finanziamento di studi, progetti, attività e lavori preliminari nonché lavori definitivi della nuova linea ferroviaria Torino - Lione, la spesa di 60 milioni di euro per l'anno 2013, di 100 milioni di euro per l'anno 2014, di 680 milioni di euro per l'anno 2015 e 150 milioni per ciascuno degli anni dal 2016 al 2029.

La delibera CIPE n. 57/2011 ha approvato il progetto preliminare del collegamento internazionale Torino-Lione. Tale progetto si differenzia rispetto al progetto originario del 2005, sia relativamente al tracciato, che alle modalità realizzative. Sono inoltre previsti interventi per 41,5 milioni di euro per opere compensative dell’impatto territoriale e sociale, strettamente correlate alla funzionalità dell’opera. Per questi interventi la successiva delibera CIPE n. 23/2012 ha previsto un primo stanziamento di 10 milioni di euro[57]. Il 30 gennaio 2012 è stato sottoscritto tra Francia e Italia un protocollo addizionale all’Accordo iniziale del 29 gennaio 2001, il quale specifica il tracciato del progetto, approvando le modifiche apportate, e la ripartizione dei costi della sezione transfrontaliera e prevede che la linea ferroviaria sia realizzata per fasi funzionali[58]. Il relativo disegno di legge di autorizzazione alla ratifica è stato approvato dal Consiglio dei ministri nella riunione del 6 giugno 2013. Infine, con l’art. 7–quater del D.L. 43/2013 sono stati esclusi dai vincoli del patto di stabilità interno i pagamenti relativi all'attuazione degli interventi di riqualificazione del territorio finalizzati all'esecuzione del progetto relativo al collegamento internazionale Torino-Lione, o che in tal senso saranno individuati dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e dai rappresentanti degli enti locali interessati all'opera[59].

 

§      quanto a euro 50 milioni per l’anno 2013, a euro 189 milioni per l’anno 2014, a euro 274 milioni per l’anno 2015 e a euro 250 milioni per l’anno 2016 mediante corrispondente utilizzo delle risorse assegnate dal CIPE, con delibera in favore del secondo lotto del Terzo Valico dei Giovi, a valere sul “Fondo infrastrutture ferroviarie, stradali e relativo a opere di interesse strategico nonché per gli interventi nei comuni di Venezia e Chioggia” di cui all’articolo 32, comma 1, del D.L. n. 98/2011 (legge n. 111/2011).

Si ricorda che l’articolo 32, comma 1 del D.L. n. 98/2011 ha istituito nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti il "Fondo infrastrutture ferroviarie, stradali e relativo a opere di interesse strategico nonché per gli interventi di cui all'articolo 6 della legge n. 798/1984 (recante interventi nei comuni di Venezia e Chioggia)" con una dotazione di 930 milioni per l'anno 2012 e 1.000 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2013 al 2016. Le risorse del Fondo sono assegnate dal CIPE, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, e sono destinate prioritariamente alle opere ferroviarie da realizzare relative ai corridoi europei TEN-T e inseriti nel programma delle infrastrutture strategiche ai sensi dell'articolo 2, commi 232-234, della legge n. 191/2009, nonché ai contratti di programma con RFI S.p.A. e ANAS S.p.A.

Il Fondo in oggetto è stato successivamente ridotto da una serie di interventi legislativi successivi. A seguito di tali riduzioni, le relative risorse, pari a 817,7 milioni di euro per il 2013, a 881,5 milioni per il 2014, a 855,8 milioni per il 2015 e a 862,3 milioni per il 2016, sono state oggetto di riprogrammazione ad opera della Delibera CIPE del 18 febbraio 2013, n. 7/2013.

Nell’ambito di tale riprogrammazione, alla Linea AV/AC Milano-Genova (Terzo Valico dei Giovi) - 2° lotto, è destinata la somma di 171,4 milioni di euro per il 2013, di 200 milioni per il 2014, di 288 milioni per il 2015 e di 300,6 milioni per il 2016.

Da ultimo, l’art. 7-ter, comma 2 del D.L. 43/2013 reca uno stanziamento decennale, di 120 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2015 al 2024, per il finanziamento degli investimenti relativi alla rete infrastrutturale ferroviaria nazionale. In particolare, lo stanziamento sarà attribuito con delibere del CIPE, con priorità agli interventi per la realizzazione del Linea AV/AC Milano-Genova (terzo valico dei Giovi)[60].

In base all'ultimo allegato Infrastrutture del Documento di economia e finanza (DEF) di aprile 2013, il primo lotto dell’opera (in fase di realizzazione) avrà un costo di 718 milioni di euro (totalmente coperto); il secondo lotto (per il quale si è in attesa del progetto esecutivo) di 860 milioni di euro (anch'esso totalmente coperto); i lotti terzo, quarto, quinto e sesto (per tutti i quali si è in fase di progetto definitivo) di, rispettivamente, 1.510 milioni, 1.340 milioni, 1.200 milioni e 650 milioni di euro, per i quali deve essere ancora individuata la copertura finanziaria.

 

La Tabella che segue indica gli oneri recati dall’articolo 18, comma 1, per la costituzione del Fondo e le risorse utilizzate a copertura degli stessi:


 

milioni di euro

 

2013

2014

2015

2016

2017

ONERI

335

405

652

535

142

Art. 1, co. 213, L. n. 228/2012

(risorse aggiuntive FAS per definizione rapporti contrattuali stretto di Messina)

235

 

 

 

 

Art. 5, co. 1, L. n. 7/2009

(risorse per Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra la Repubblica italiana e la Grande Giamahiria libica)

50

120

120

142

 

Art. 1, co. 208, L. n. 228/2012

(risorse stanziate per la realizzazione della nuova linea AV/AC Torino Lione)

 

96

258

143

142

Del. CIPE n. 7/2013

Risorse a valere sul “Fondo infrastrutture ferroviarie, stradali e relativo a opere di interesse strategico” per secondo lotto del Terzo Valico dei Giovi

50

189

274

250

 

COPERTURA ONERI

335

405

652

535

142

 

Il comma 14 autorizza il Ministro dell’economia e finanze ad apportare le occorrenti variazioni di bilancio conseguenti alla ripartizione del Fondo di cui al comma 1.

 

Si osserva che la relazione tecnica sottolinea che al Fondo vengono destinate risorse “già finalizzate alla realizzazione di opere infrastrutturali strategiche e approvate, ma che non dispongono ancora di processi autorizzativi e/o progettuali perfezionati e quindi non necessitano di finanziamenti nell’immediato”; nel contempo, la relazione precisa che a tale prima fase “dovrà seguire, con la legge di stabilità 2014, un’azione coerente con le priorità strategiche e di ampia portata temporale, con la previsione di stanziamenti aggiuntivi per la realizzazione di opere che, nei prossimi anni, consentano al Paese di raggiungere…. un adeguato livello di infrastrutturazione”. Da quanto rilevato non è chiaro se in sede di legge di stabilità 2014 si provvederà a reperire le risorse finanziarie aggiuntive per incrementare gli stanziamenti e le assegnazioni riferiti alle opere citate nel comma 13 dell’articolo 18 in misura corrispondente alla quota parte delle risorse che è stata destinata alla copertura finanziaria del Fondo di cui al comma 1 del medesimo articolo 18.

 

Profili finanziari

Il prospetto riepilogativo ascrive alla norma i seguenti effetti sui saldi di finanza pubblica.

 

 

 (milioni di euro)

 

 

Saldo netto da finanziare

Fabbisogno

Indebitamento netto

co.

 

2013

2014

2015

2013

2014

2015

2013

2014

2015

 

Maggiori spese in conto capitale

335

505

752

195

470,1

661,7

195

470,1

661,7

1

Fondo sblocca cantieri

335

405

652

195

470,1

661,7

195

470,1

661,7

8

Piano edilizia scolastica

0

100

100

0

0

0

0

0

0

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Minori spese in conto capitale

335

505

752

195

470

662

195

470

662

8

 INAIL utilizzo risorse

0

100

100

0

0

0

0

0

0

13

Oneri transazioni relative alla realizzazione di opere pubbliche di interesse nazionale - Art. 1, c. 213, L. n. 228/2012

235

0

0

100

85

50

100

85

50

13

Riduzione finanziamento trattato Italia-Libia - Art. 5, c. 1, L. 7/2009

50

120

120

45

100

120

45

100

120

13

Torino-Lione - Art. 1, c. 208, L. n. 228/2012

0

96

258

0

96

218

0

96

218

13

Fondo di cui all'art. 32, c. 1, Dl n. 98/2011 - valico di Giovi

50

189

274

50

189

274

50

189

274

 

Si segnala che il prospetto riepilogativo reca unicamente le quantificazioni relative al triennio di riferimento, mentre l’articolo in esame reca disposizioni di carattere finanziario inerenti l’arco temporale dal 2013 al 2017. Risulterebbe pertanto opportuno acquisire l’intero sviluppo degli effetti finanziari derivanti dalle norme, con particolare riferimento ai saldi di fabbisogno e di indebitamento netto.

 

La relazione tecnica afferma che la finalità dell’articolo è quella di consentire, entro il corrente anno 2013, l’avvio di lavori immediatamente cantierabili nonché sbloccare lavori già in corso e per vari motivi interrotti, ottimizzando l’utilizzo delle scarse risorse disponibili.

A tale scopo viene istituito un apposito Fondo utilizzando risorse, per un ammontare complessivo di 2.069 milioni di euro, già finalizzate alla realizzazione di opere infrastrutturali strategiche e approvate ma che non dispongono ancora di processi autorizzativi e/o progettuali perfezionati e quindi non necessitano di finanziamenti nell’immediato.

Ciò permetterà di avviare una prima fase di rilancio del settore infrastrutturale, necessaria per far ripartire il motore del Paese, cui dovrà seguire, con la legge di stabilità 2014, la previsione di stanziamenti aggiuntivi.

Nello specifico le finalità dell’intervento normativo sono le seguenti:

§       consentire entro l’anno l’avanzamento dei lavori in corso e, quindi, il pagamento dei relativi SAL alle imprese affidatarie;

§       permettere l’apertura di cantieri di opere che, altrimenti, sarebbero state avviate nell’arco temporale di almeno 12/24 mesi o, addirittura, sarebbero rimaste ferme alla fase progettuale e autorizzativa;

§       garantire l’integrale copertura finanziaria a interventi per i quali sono concluse le procedure autorizzative, ma che non possono esser avviati in mancanza di adeguati finanziamenti.

Commi 2 e 3 (Procedure per l’assegnazione delle risorse) - Sono previste distinte procedure di assegnazione delle risorse di cui al comma 1 per due diversi gruppi di interventi:

a)  interventi che non necessitano di ulteriori procedure autorizzatorie e/o approvative, che vengono individuati e finanziati con decreti MIT–MEF da emanarsi entro 30 giorni dall’entrata in vigore del decreto legge (comma 2).

Si tratta in particolare dei seguenti interventi:

-      interventi di potenziamento dei nodi e dello standard di interoperabilità dei corridoi europei e per il miglioramento delle prestazioni della rete  e dei servizi ferroviari;

-      collegamento ferroviario funzionale tra la Regione Piemonte e la Valle d’Aosta;

-      interventi su ponti e gallerie per il superamento di criticità sulla rete stradale;

-      l’asse di collegamento tra la strada statale 640 e l’autostrada A19 Agrigento – Caltanissetta;

-      Pedemontana Veneta;

-      Tangenziale Esterna di Milano;

b)  interventi che vanno necessariamente sottoposti al CIPE in base alle norme vigenti, per i quali il CIPE stesso provvede con apposite delibere, da adottarsi entro 45 giorni dall’entrata in vigore del decreto legge (comma 3).

Si tratta in particolare dei seguenti interventi:

-      asse viario Quadrilatero Umbria-Marche;

-      linea C della metropolitana di Roma tratta Colosseo – Piazza Venezia;

-      linea M4 della metropolitana di Milano;

-      collegamento Milano-Venezia - terzo lotto Rho-Monza;

-      linea 1 della metropolitana di Napoli;

-      asse autostradale Ragusa-Catania;

-      linea AV/AC Napoli-Bari tratta Cancello – Frasso Telesino;

Gli ultimi tre interventi elencati, localizzati in regioni dell’“obiettivo convergenza”, potranno accedere al Fondo di cui al comma 1 solo nel caso in cui non risultassero attivabili le risorse del PON Reti e Viabilità allo stato non utilizzate, ferma restando la procedura di riprogrammazione.

La copertura degli oneri derivanti dai commi 1, 2 e 3 è indicata al comma 13.

Comma 4 (Celere corso della nuova Pontina)- E’ previsto che le risorse già assegnate dal CIPE con la delibera n. 88/2010 possano essere utilizzate indistintamente per i lotti in cui è articolata l’opera. Vengono, inoltre, definite procedure autorizzatorie che consentono di affidare l’intero progetto, la cui realizzazione può avvenire per singoli lotti funzionali in relazione ai finanziamenti disponibili, senza alcun impegno giuridicamente vincolante da parte dello Stato al finanziamento dei restanti lotti.

Il comma ha natura procedurale e non determina nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

Comma 5 (A24 e A25 “Strade dei Parchi”) – A valere sul Fondo di cui al comma 1, la norma destina alla società concessionaria Strada dei Parchi SpA l’importo complessivo di 90,7 milioni di euro, di cui 34,2 milioni quale contributo dovuto dallo Stato (quota residua) e 56,5 milioni di euro in via di anticipazione a fronte del contributo dovuto dalla Regione Lazio e dagli enti locali ai sensi della Convenzione vigente.

Il comma non determina oneri aggiuntivi rispetto a quelli recati dal comma 1, trattandosi di una finalizzazione delle risorse ivi previste.

Comma 6 (Linea C metropolitana di Roma) - E’ previsto il finanziamento, ai sensi del comma 2, del progetto definitivo della tratta Colosseo-Piazza Venezia, che dovrà essere sottoposto al CIPE entro il 30 ottobre 2013. L’assegnazione del finanziamento è condizionata alla messa in esercizio, entro il 15 ottobre 2013, della tratta della stessa linea C da Pantano a Centocelle, completata ma non ancora attivata.

La disposizione è di carattere procedurale e non determina oneri aggiuntivi rispetto a quelli recati dal comma 1.

Comma 7 (Interventi per la sicurezza ferroviaria) - Nelle more dell’approvazione del Contratto di Programma RFI – Parte Investimenti 2012–2016 è autorizzata la contrattualizzazione degli interventi per la sicurezza ferroviaria immediatamente cantierabili, già individuati e finanziati a legislazione vigente per l’importo di 300 milioni.

La disposizione non determina nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica trattandosi di risorse già previste a legislazione vigente.

Comma 8 (Edilizia scolastica) - Fermo restando quanto previsto dall’articolo 53, comma 5, del decreto legge n. 5 del 2012, viene previsto che l’INAIL, nell’ambito del piano di impiego dei fondi disponibili di cui all’articolo 65 della legge n. 153/1969, possa destinare fino a 100 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014-2016 all’attivazione di un piano di edilizia scolastica, su proposta della Presidenza del Consiglio dei Ministri, d’intesa con il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca e con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.

La disposizione non determina nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, trattandosi di finalizzazione di risorse ricomprese nel suddetto piano di impieghi dell’INAIL.

Comma 9 (Piccoli Comuni) - A valere sul Fondo di cui al comma 1, l’importo di 100 milioni di euro per l’anno 2014 viene destinato alla realizzazione del primo Programma “6.000 Campanili” concernente interventi infrastrutturali di adeguamento, ristrutturazione e nuova costruzione di edifici pubblici, ovvero di realizzazione e manutenzione di reti viarie nonché di salvaguardia e messa in sicurezza del territorio, nei Comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti.

Il comma non determina oneri aggiuntivi rispetto a quelli recati dal comma 1, trattandosi di finalizzazione di una quota delle risorse ivi previste.

Comma 10 (Manutenzione straordinaria rete stradale ANAS) – Viene disposto che, fermo restando quanto previsto dal comma 2, con decreto del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti sia approvato un programma di manutenzione straordinaria di ponti, viadotti e gallerie della rete stradale gestita da ANAS, con l’individuazione delle relative risorse, unitamente ad apposita convenzione da stipularsi con la Società ai fini dell’attuazione del programma e del monitoraggio degli interventi ivi previsti.

Il comma ha natura procedurale e non determina oneri aggiuntivi rispetto a quelli recati dal comma 1, trattandosi di un programma finanziato da una quota delle risorse ivi previste.

Commi 11 e 12 (Utilizzo e revoca delle risorse assegnate) - Viene previsto che i provvedimenti di assegnazione delle risorse di cui ai commi 2 e 3 stabiliscano le modalità di utilizzo, di monitoraggio e di revoca delle risorse stesse, disponendo altresì che le risorse revocate confluiscono nel Fondo per la realizzazione del valico di Giovi di cui all’articolo 32, comma 1, del decreto legge n. 98/2011 (comma 11). E’ disposto inoltre il divieto di utilizzare le risorse assegnate per la risoluzione di contenziosi (comma 12).

E norme attengono alle procedure e non determinano, quindi, nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

Comma 13 (Copertura finanziaria) - La copertura finanziaria degli oneri derivanti dall’articolo, pari a 2.069 milioni di euro, di cui 335 milioni di euro per l’anno 2013, 405 milioni di euro per l’anno 2014, 652 milioni di euro per l’anno 2015, 535 milioni di euro per l’anno 2016 e 142 milioni di euro per l’anno 2017, è assicurata mediante utilizzo di parte delle risorse già stanziate in favore della nuova linea AV/AC Torino-Lione e al momento non necessarie (639 milioni), della quota ancora non utilizzata delle risorse destinate all’attuazione del Trattato di amicizia con la Libia (432 milioni), dell’assegnazione disposta dal CIPE per la realizzazione del secondo lotto del Terzo Valico dei Giovi (763 milioni) e di risorse destinate alla ridefinizione dei rapporti contrattuali con la Società Stretto di Messina (235 milioni) e allo stato non necessarie non essendo definito il contenzioso con il General Contractor.

Comma 14 – La disposizione reca l’autorizzazione al Ministro dell’economia e delle finanze ad apportate le variazioni di bilancio necessarie all’attuazione dell’articolo.

 

In merito ai profili di quantificazione, si osserva preliminarmente che la norma distoglie, dalle finalità previste a legislazione vigente per destinarle a copertura della dotazione del Fondo “sblocca cantieri”, risorse inerenti opere infrastrutturali strategiche già approvate, in parte già in corso di realizzazione, ovvero risorse stanziate per trattati internazionali già sottoscritti o per procedure di contenzioso in corso di definizione. La copertura della disposizione in esame è pertanto rinvenuta, sotto il profilo sostanziale, non sul definanziamento di altre finalità di spesa, bensì sul mero rinvio di spese aventi in massima parte carattere obbligatorio. Ne consegue che resta da reperire, per gli esercizi futuri, la copertura delle spese oggetto solo formalmente di definanziamento da parte della norma in esame.

Con riferimento alla circostanza, sottolineata dalla relazione tecnica, che le risorse utilizzate a copertura, benché finalizzate alla realizzazione di opere infrastrutturali strategiche e approvate, non necessitano di finanziamenti nell’immediato, si evidenzia che le relative previsioni di spesa scontate negli andamenti tendenziali, come risultanti dal prospetto riepilogativo allegato al provvedimento in esame, assumono in larga misura andamenti per cassa conformi a quelli per competenza giuridica.

Andrebbe inoltre confermato che le opere per le quali è previsto l’avvio a valere sulle risorse del Fondo “sblocca cantieri” risultino interamente finanziate con le risorse disponibili, al fine di evitare che, alla predetta esigenza di reperire risorse per le finalità di spesa utilizzate a copertura, si aggiunga l’esigenza di reperire ulteriori risorse per il completamento di opere eventualmente finanziate solo in parte dalla norma in esame.

In proposito la stessa relazione tecnica, nell’evidenziare l’esigenza di reperire, con la legge di stabilità 2014, stanziamenti aggiuntivi, non rende esplicito se faccia riferimento ad una mera indicazione di carattere programmatico ovvero all’esigenza di reperire risorse il cui finanziamento risulti obbligatorio già sulla base della normativa vigente.

 

Con riferimento alle singole misure previste dalla norma in esame, specifici chiarimenti appaiono opportuni con riferimento alle seguenti disposizioni:

§      comma 7 (Interventi per la sicurezza ferroviaria): andrebbe chiarito se risultino scontati anche in termini di cassa e competenza economica gli effetti delle spese già individuate e finanziate a legislazione vigente per l’importo di 300 milioni, rispetto alle quali la norma in esame autorizza la contrattualizzazione;

§      comma 8 (Edilizia scolastica): andrebbe confermato che gli effetti sui saldi di fabbisogno e indebitamento netto, inerenti la spesa di 100 mln da parte dell’INAIL, risultino scontati negli andamenti tendenziali con la stessa tempistica connessa alla finalità di spesa prevista dalla norma in esame.

§       Andrebbe inoltre chiarito il criterio di contabilizzazione ai fini del saldo netto da finanziare della predetta spesa, registrata sia in riduzione che in aumento: la norma sembra infatti riguardare spese realizzate direttamente dall’INAIL a valere sul proprio bilancio e pertanto esterne rispetto al bilancio dello Stato.

§      comma 10 (Manutenzione straordinaria rete stradale ANAS): si segnala che la norma non specifica, come invece fa la relazione tecnica, che l’individuazione delle risorse inerenti gli interventi di manutenzione straordinaria della rete stradale, oggetto di apposita convenzione tra ANAS e Ministro dei trasporti, debba avvenire a valere delle risorse del fondo di cui al comma 1 e nei limiti delle stesse risorse. Su tale aspetto appare pertanto opportuna una conferma;

§      comma 11 (revoca delle risorse assegnate): si segnala che la riassegnazione al Fondo per la realizzazione del valico dei Giovi delle somme eventualmente oggetto di revoca, appare suscettibile di generare effetti di spesa, in termini di cassa e competenza economica, aventi una tempistica diversa rispetto a quella scontata con riferimento alla norma in esame, con conseguenti potenziali oneri non coperti;

§      comma 12 (divieto di utilizzo del fondo per la risoluzione di contenziosi): ferma restando la necessità, sopra segnalata, di rifinanziamento delle risorse utilizzate a copertura - inerenti il contenzioso con la Società Stretto di Messina, in relazione alla definizione della relativa procedura - appare opportuno che sia chiarito se si preveda la possibilità che, con riferimento alle numerose opere oggetto di finanziamento a valere sulle risorse del fondo, possa determinarsi un incremento delle fattispecie in ordine alle quali possano crearsi situazioni di contenzioso. In tal caso andrebbe verificato se si reputino congrue le ordinarie disponibilità di bilancio per tale finalità.

 

In merito ai profili di copertura finanziaria, si ricorda che la disposizione prevede la riduzione di diverse autorizzazioni di spesa. In particolare:

§      dell’articolo 1, comma 213, della legge n. 228 del 2012, che destina al fondo per lo sviluppo e la coesione una dotazione finanziaria aggiuntiva di 250 milioni di euro per l'anno 2013 da destinare all'attuazione delle misure urgenti per la ridefinizione dei rapporti contrattuali con la società Stretto di Messina Spa (capitolo 8425 – Ministero dello sviluppo economico);

§      dell’articolo 5, comma 1, della legge n. 7 del 2009, concernente la realizzazione in Libia di progetti infrastrutturali di base previsti dall'articolo 8 del Trattato di amicizia, partecipazione e cooperazione tra la Repubblica italiana e la grande Giamahiria araba libica fatto a Bengasi il 30 agosto 2008 (capitolo 7800 - Ministero delle infrastrutture e dei trasporti);

§      dell’articolo 1, comma 208, della legge n. 228 del 2012, che autorizza la spesa di 60 milioni di euro per l'anno 2013, di 100 milioni di euro per l'anno 2014, di 680 milioni di euro per l'anno 2015 e 150 milioni per ciascuno degli anni dal 2016 al 2029 per il finanziamento di studi, progetti, attività e lavori preliminari nonché lavori definitivi della nuova linea ferroviaria Torino - Lione (capitolo 7532 – Ministero delle infrastrutture e dei trasporti);

La norma, dispone, infine, l’utilizzo di una parte delle risorse assegnate dal CIPE in favore del secondo lotto del terzo valico di Giovi a valere sul Fondo infrastrutture ferroviarie, stradali e relativo a opere di interesse strategico di cui all’articolo 32, comma 1, del decreto-legge n. 98 del 2011 (capitolo 7514 – Ministero delle infrastrutture e dei trasporti).

Con riferimento alle autorizzazioni di spesa oggetto di riduzione, appare opportuno che il Governo chiarisca se l’utilizzo delle relative risorse non pregiudichi gli interventi già previsti a legislazione vigente a valere sulle medesime risorse.

In particolare, tale chiarimento appare opportuno soprattutto con riferimento alla riduzione dell’autorizzazione di spesa concernente la realizzazione in Libia di progetti infrastrutturali, in considerazione dell’utilizzo delle medesime risorse già previsto dall’articolo 4 del decreto-legge n. 54 del 2013 e dall’articolo 21 del decreto-legge n. 63 del 2013[61], del quale è dato conto, esclusivamente con riferimento agli anni dal 2013 al 2016, nella tabella di seguito indicata.

 

 

2013

2014

2015

2016

Stanziamenti previsti dall’articolo 5 della legge n. 7 del 2009 (con riferimento all’articolo 8 del Trattato)

180

180

180

180

Riduzioni previste dall’articolo 4 del dl n. 54 del 2013

100

0

0

0

Riduzioni previste dall’articolo 21 del dl n. 63 del 2013

0

42,3

50,7

31,7

Riduzioni previste dall’articolo 18 del presente decreto-legge

50

120

120

142

Risorse disponibili al netto degli utilizzi

30

17,7

9,3

6,3

 

Con riferimento all’utilizzo delle risorse assegnate dal CIPE in favore del Terzo Valico dei Giovi, si ricorda che a fronte del definanziamento previsto dalla disposizione in esame, nella misura complessiva di 763 milioni di euro per il periodo 2013-2016, l’articolo 7-ter del decreto-legge n. 43 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 71 del 2013, ha autorizzato la spesa di 120 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2015 al 2024, al fine di rifinanziare la rete infrastrutturale ferroviaria italiana con priorità per la prosecuzione dei lavori relativi ad alcune opere infrastrutturali, tra le quali quelle relative al Terzo Valico dei Giovi.

 


 

Articolo 19, commi 1 e 2
(Disposizioni in materia di concessioni di lavori pubblici)

Il comma 1 dell’articolo 19 reca una serie di novelle al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, d’ora in avanti Codice) finalizzate a incidere sulla disciplina dei contratti di partenariato pubblico privato, e segnatamente delle concessioni di lavori pubblici[62], relativamente alle dichiarazioni del soggetto concedente e alle condizioni che determinano la revisione del piano economico e finanziario degli investimenti del concessionario (comma 1, lettera a), nonché allo svolgimento di una consultazione preliminare con gli operatori economici invitati a presentare le offerte, al coinvolgimento degli istituti finanziatori fin dalla fase di gara, alla previsione di clausole di risoluzione del contratto di concessione in caso di mancato reperimento del finanziamento privato (comma 1, lettera b).

Le predette novelle al Codice si applicano alle operazioni di finanza di progetto (project financing), ad eccezione di quelle con bando già pubblicato alla data di entrata in vigore della disposizione (comma 2).

Le disposizioni sembrano volte ad agevolare la bancabilità dei progetti da realizzare in partenariato pubblico privato (PPP). In proposito, si segnala che la realizzazione delle infrastrutture in PPP, anche nella “legge obiettivo”, deve far fronte ad alcuni problemi legati alla complessità delle procedure, alla difficoltà di definire per via contrattuale l’allocazione del rischio tra le parti, nonché alla chiusura del finanziamento (financial closing)[63].

 

Comma 1, lettera a)- Modifiche all’articolo 143 del Codice

 

Il comma 1, lettera a), novella in più punti l’articolo 143 del Codice, che disciplina le caratteristiche delle concessioni di lavori pubblici.

 

Rilevanti modifiche a tale articolo sono state apportate dall’articolo 42, commi 1, 3 e 4, del decreto legge n. 201 del 2011 e dall’articolo dall'art. 50, comma 1, lett. 0a),del decreto legge n. 1 del 2012 finalizzate a incentivare il coinvolgimento dei capitali privati consentendo una maggiore flessibilità nell’utilizzo della cessione di immobili nell’affidamento delle concessioni, nonché anticipando l’afflusso dei proventi della gestione e riducendo l’onerosità finanziaria dell’operazione. Di particolare rilevanza la previsione circa la possibilità di fissare un periodo massimo di 50 anni per le nuove concessioni di importo superiore a un miliardo di euro (in luogo del limite di 30 anni previsto in precedenza) al fine di consentire il rientro del capitale investito e l’equilibrio economico-finanziario dell’operazione. Ulteriori disposizioni in materia di concessioni sono state dettate dagli articoli 50 e 55 del D.L. 1/2012 per assicurare adeguati livelli di bancabilità dell’opera, nonché per integrare la disciplina del subentro di un nuovo soggetto, nel caso di risoluzione del rapporto concessorio, e quella della cessione degli immobili.

 

Una prima modifica, integrativa del disposto del comma 5, prevede che il soggetto concedente, alla consegna dei lavori, fornisca una dichiarazione in cui attesti che è in possesso di tutte le autorizzazioni, licenze, abilitazioni, nulla osta, permessi o altri atti di assenso comunque denominati previsti dalla normativa vigente e che i predetti atti sono legittimi, efficaci e validi. Si ricorda, in proposito, che il comma 5 dell’articolo 143 prevede che le amministrazioni aggiudicatrici, previa analisi di convenienza economica, possono prevedere nel piano economico finanziario e nella convenzione, a titolo di prezzo, la cessione in proprietà o in diritto di godimento di beni immobili nella loro disponibilità o allo scopo espropriati la cui utilizzazione ovvero valorizzazione sia necessaria all'equilibrio economico-finanziario della concessione. La ratio della disposizione sembra, pertanto, quella di fornire una sorta di garanzia al concessionario relativamente agli immobili che vengono ceduti.

 

Un’ulteriore novella, che incide sul comma 8 dell’articolo 143, stabilisce che le norme legislative e regolamentari, che comunque incidono sull’equilibrio del piano economico finanziario (PEF) degli investimenti, del concessionario comportano la sua necessaria revisione. La disposizione sembra ampliare, rispetto al testo previgente, le fattispecie che consentono la revisione del piano.

 

Si ricorda che il comma 8, al fine di ristabilire l’equilibrio economico finanziario delle concessioni, ha previsto l’istituto della revisione del piano. Il testo della norma, nella parte in cui incide la novella in commento, nel disciplinare la revisione del piano, faceva riferimento alla necessità della revisione medesima in conseguenza di norme legislative o regolamentari che stabilissero nuove condizioni per l’esercizio delle attività previste nella concessione nel caso in cui dovessero determinare una modifica dell’equilibrio del piano. La novella consente di ricorrere all’istituto della revisione in tutti i casi di norme sopravvenute, che incidano comunque sull’equilibrio economico finanziario.

 

Con riguardo alla formulazione, sembra opportuno specificare il riferimento al terzo periodo del comma 8 dell’articolo 143.

 

Viene, altresì, introdotto un nuovo comma 8-bis che, ai fini dell’applicazione delle disposizioni di cui al comma 8, prevede che la convenzione definisce i presupposti e le condizioni di base del piano economico e finanziario le cui variazioni non imputabili al concessionario, qualora determinino una modifica dell’equilibrio del piano, comportano la sua revisione.

Si ricorda che il secondo periodo del comma 8 dell’articolo 143 precisa che i presupposti e le condizioni di base che determinano l'equilibrio economico-finanziario degli investimenti e della connessa gestione, da richiamare nelle premesse del contratto, ne costituiscono parte integrante.

 

Il nuovo comma 8-bis prevede, inoltre, che la convenzione contiene una definizione di equilibrio economico finanziario, che faccia riferimento ad indicatori di redditività e di capacità di rimborso del debito, nonché la procedura di verifica e la cadenza temporale degli adempimenti connessi.

 

Comma 1, lettera b)- Modifiche all’articolo 144 del Codice

La lettera b) novella in più punti l’articolo 144 del Codice, che disciplina le procedure di affidamento e la pubblicazione del bando relativo alle concessioni di lavori pubblici.

La prima modifica va ad integrare il comma 3-bis del citato articolo 144 al fine di prevedere nel bando, per le concessioni da affidare con procedura ristretta[64], la facoltà per le amministrazioni aggiudicatrici di svolgere una consultazione preliminare con gli operatori economici invitati a presentare le offerte prima del termine di scadenza delle offerte medesime. La consultazione è finalizzata a verificare l’eventuale presenza di criticità di finanziamento del progetto posto a base di gara. A seguito della consultazione l’amministrazione aggiudicatrice può modificare il termine di presentazione delle offerte allo scopo di adeguare la documentazione di gara; tale termine non può comunque essere inferiore a trenta giorni decorrenti dalla comunicazione ai soggetti interessati.

Si ricorda che già l’articolo 112-bis del Codice, inserito dall'art. 44, comma 8, lett. a), D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, disciplina una procedura di consultazione preliminare per gli appalti di lavori di importo superiore a 20 milioni di euro da affidarsi con la procedura ristretta in base alla quale le stazioni appaltanti indicano nel bando che sul progetto a base di gara è indetta una consultazione preliminare, garantendo il contraddittorio tra le parti.

 

L’importo delle misure di defiscalizzazione previste dall’articolo 18 della legge n. 183 del 2011 e del credito di imposta per le nuove infrastrutture di cui all’articolo 33 del decreto legge n. 179 del 2012, nonché l’importo degli eventuali contributi pubblici, non possono essere oggetto di consultazione. Si rammenta che sulle disposizioni relative alla defiscalizzazione e al credito di imposta interviene l’articolo 19, commi 3 e 4, del decreto legge (alla cui scheda di commento si rinvia).

 

Le ulteriori novelle provvedono a introdurre due commi aggiuntivi all’articolo 144 volti a inserire talune previsioni nel bando di gara. In particolare, il bando di gara:

§      può prevedere che l’offerta sia accompagnata da una dichiarazione di uno o più istituti in cui venga manifestato l’interesse a finanziare l’operazione (comma 3-ter). La norma specifica ulteriomente quanto già in realtà previsto dalla normativa vigente atteso che, per un verso, l’articolo 143, comma 7, e l’articolo 153, comma 9, del Codice prevedono che “in fase di gara le offerte debbano dare conto del preliminare coinvolgimento di uno o più istituti finanziatori nel progetto” e che, per l’altro, l’articolo 144, comma 3-bis, del medesimo Codice sottolinea che “i bandi e i relativi allegati, ivi compresi, a seconda dei casi, lo schema di contratto e il piano economico finanziario, sono definiti in modo da assicurare adeguati livelli di bancabilità dell'opera”. Rispetto alle predette norme, il coinvolgimento degli istituti finanziatori sembra maggiore in quanto si fa riferimento a una manifestazione di interesse.

§      prevede clausole risolutorie del contratto di concessione nel caso di mancata sottoscrizione del contratto di finanziamento o della mancata sottoscrizione o collocamento delle obbligazioni delle società di progetto di cui all’articolo 157 del Codice (cd. project bond) entro il termine fissato dal medesimo bando, che deve essere congruo e comunque non deve essere superiore a ventiquattro mesi dalla data di approvazione del progetto definitivo. Nel caso di risoluzione del contratto, al concessionario non spetterà alcun rimborso delle spese sostenute, incluse quelle relative alla progettazione definitiva. La norma precisa che il concessionario ha comunque facoltà di reperire altre forme di finanziamento previste dalla legislazione vigente purché intervengano entro lo stesso termine. Nel caso di parziale finanziamento del progetto si prevede, infine, che il bando di gara preveda una risoluzione limitata alla parte non finanziata rimanendo conseguentemente operativa solo la parte del contratto di concessione che regola lo “stralcio” oggetto di finanziamento e che comunque deve tecnicamente ed economicamente funzionale.

 

Comma 1, lettere c), d) ed e) - Modifiche agli articoli 153, 174 e 175 del Codice

 

Le lettere c), d) ed e) novellano rispettivamente gli articoli 153, 174 e 175 del Codice, concernenti rispettivamente la disciplina delle concessioni in finanza di progetto relative ai lavori “ordinari” e all’affidamento di opere strategiche, al fine di prevedere l’applicabilità, in quanto compatibile, delle disposizioni di cui ai commi 3-bis, 3-ter e 3-quater dell’articolo 144 del Codice, come modificate ovvero introdotte dalla predetta lettera b).

 

Comma 2 – Applicabilità delle modifiche del comma 1

Il comma 2 precisa che le predette novelle al Codice, segnatamente quelle all’articolo 144, non si applicano alle operazioni di project financing con bando già pubblicato alla data di entrata in vigore del decreto legge. Ciò dovrebbe consentire di salvaguardare le operazioni in corso dal cosiddetto rischio di change in law.

 

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

Si ricorda che è attualmente all’esame delle Istituzioni europee la proposta di direttiva (COM(2011)897) sull’aggiudicazione dei contratti di concessione. L’obiettivo della proposta è definire un quadro giuridico certo ed uniforme per gli Stati membri in materia di aggiudicazione di concessioni, volto in particolare a stabilire ciò che le distingue dagli appalti nonché a fornire il contenuto minimo degli obblighi di trasparenza e non discriminazione sanciti nel Trattato che devono essere rispettati durante lo svolgimento di una procedura di aggiudicazione.

La proposta, tra l’altro, prevede:

§       una definizione di concessione costruita sulla base dei precedenti giurisprudenziali della Corte di giustizia dell’Unione europea;

§       la pubblicazione obbligatoria sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea delle concessioni il cui valore sia pari o superiore a 5 milioni di euro;

§       una specifica disciplina circa le modifiche ai contratti di concessioni in esecuzione, in particolare ove giustificate da circostanze impreviste;

§       la previsione di determinati obblighi per quanto riguarda i criteri di selezione e di aggiudicazione applicati dalle amministrazioni aggiudicatrici e dagli enti aggiudicatori;

§       a definizione di alcune garanzie generali volte ad assicurare la trasparenza e parità di trattamento delle procedure di aggiudicazione, con particolare riguardo alla fase della negoziazione;

§       l’applicazione della direttive “ricorsi” (direttive 89/665/CEE e 92/13/CEE, come modificata dalla direttiva 2007/66/CE) per tutte le concessioni di valore sopra la soglia stabilita, al fine di garantire tutela giurisdizionale a tutte le imprese UE interessate a tale forma di partenariato pubblico privato.

In particolare, si segnala che in materia di sostenibilità finanziaria dell’esecuzione di una concessione l’articolo 36, paragrafo 1, della proposta (Selezione e valutazione qualitativa dei candidati), come modificato alla luce dell’orientamento generale approvato dal Consiglio dell’Unione europea dell’10-11 dicembre (vedi infra), prevede che le condizioni di partecipazione siano specificate nel bando di concessione e debbano limitarsi a quelle in materia di:

§      capacita economica e finanziaria;

§      capacita tecniche e professionali.


 

Articolo 19, commi 3-5
(Incentivi fiscali per la realizzazione di nuove infrastrutture)

Il comma 3 modifica la disciplina degli incentivi fiscali per la realizzazione di nuove infrastrutture riducendo da 500 a 200 milioni di euro il valore dell’opera al di sopra del quale viene concesso l’incentivo.

 

A seguito degli interventi apportati con il D.L. 179 del 2012, il legislatore ha delineato tre modalità di sostegno alla realizzazione di nuove opere, le cui procedure sembrano essere sostanzialmente analoghe:

§       in via sperimentale, viene introdotto un credito d’imposta per nuove opere di importo superiore a 500 milioni di euro (articolo 33, comma 1); esso spetta per la realizzazione di nuove opere infrastrutturali di importo superiore a 500 milioni di euro con contratti di partenariato pubblico privato (PPP) a valere sull’IRES e sull’IRAP generate in relazione alla costruzione e gestione dell’opera stessa;

§       è prevista l’esenzione dal pagamento del canone di concessione, sempre per nuove opere di importo superiore a 500 milioni di euro (comma 2-ter dell’articolo 33), cumulabile con la misura precedente;

§       si dispone la “defiscalizzazione” delle nuove opere incluse in piani o programmi di amministrazioni pubbliche previsti a legislazione vigente (ai sensi dell’articolo 18 della legge n. 183 del 2011), consistente nella possibilità di compensare le imposte con quanto dovuto dalla PA a titolo di contributo pubblico a fondo perduto.

 

Un’ulteriore misura riguarda la tassazione agevolata dei cd. project bond (ai sensi dell’articolo 1 del D.L. 83 del 2012), con l’applicazione di un’imposta sostitutiva con aliquota al 12,5% sulle emissioni obbligazionarie effettuate nei tre anni successivi al 26 giugno 2012 da parte delle società di progetto per finanziare gli investimenti in infrastrutture o nei servizi di pubblica utilità.

 

In particolare, la lettera a) del comma 3 - mediante sostituzione del comma 1, primo periodo, del citato articolo 33 - riduce da 500 a 200 milioni di euro il valore dell’opera infrastrutturale al di sopra del quale viene concesso il credito d’imposta in caso di realizzazione mediante contratti di partenariato pubblico-privato.

E’ introdotto un nuovo requisito, consistente nella rilevanza strategica nazionale dell’opera, mentre viene prorogato di un anno il limite temporale per l’approvazione della progettazione definitiva (dal 31 dicembre 2015 al 31 dicembre 2016).

 

Restano confermati i precedenti requisiti, vale a dire:

§         non usufruire di contributi pubblici a fondo perduto;

§         accertamento, in esito alla procedura di cui al successivo comma 2, della non sostenibilità del piano economico finanziario (PEF).

Il comma prevede, altresì, che il credito di imposta deve essere stabilito per ciascun progetto:

§         nella misura necessaria al raggiungimento dell’equilibrio del PEF;

§         comunque entro il limite massimo del 50% del costo dell’investimento.

 

Viene inoltre stabilito che il credito di imposta non costituisce ricavo ai fini delle imposte dirette e dell’IRAP e viene previsto che esso venga posto a base di gara per l’individuazione dell’affidatario del contratto di PPP e successivamente dovrà essere riportato anche nel contratto.

 

La lettera b) del comma 3 - mediante sostituzione del comma 2 dell’articolo 33 del D.L. 179/2012 -incide sulla procedura di verifica da parte del CIPE (che delibera, come già previsto nel testo previgente, previo parere del Nucleo di consulenza per l'Attuazione e Regolazione dei Servizi di pubblica utilità appositamente integrato da due componenti) della non sostenibilità del piano economico e finanziario. In particolare, rispetto al testo previgente, si precisa che il CIPE, con proprie delibere, individua l’elenco delle opere che, per effetto dell’applicazione delle misure del credito di imposta (di cui al comma 1 dell’articolo 33 del D.L. 179/2012) e dell’esenzione dal pagamento del canone di concessione (di cui al comma 2-ter dell’articolo 33 del D.L. 179/2012), conseguono le condizioni di equilibrio economico-finanziario necessarie a consentirne il finanziamento, e il valore complessivo delle opere che possono accedere alle agevolazioni. Per ciascuna infrastruttura sono, inoltre, determinate le misure agevolative necessarie per la sostenibilità del piano economico e finanziario e le modalità di accertamento, monitoraggio ed eventuale rideterminazione applicando, per quanto compatibili, i principi e i criteri definiti dal CIPE con le linee guida per l’applicazione delle misure di defiscalizzazione di cui all’articolo 18 della legge n. 183 del 2011 (vedi infra).

Nella seduta del 18 febbraio 2013 il CIPE ha approvato le linee guida per l'applicazione delle misure previste dall'articolo 18 della legge 183/2011 (e successive modificazioni) di compensazione delle imposte sui redditi, dell'IRAP, dell'IVA e del canone (quest'ultimo per le sole società autostradali), generati dalla realizzazione delle infrastrutture strategiche.

 

La successiva lettera c) del comma 3 - mediante sostituzione del comma 2-ter del medesimo articolo 33 - riconosce al soggetto titolare del contratto per la realizzazione di opere infrastrutturali con PPP (come già definite dal comma 1 sopra illustrato), l'esenzione dal pagamento del canone di concessione nella misura necessaria al raggiungimento dell'equilibrio del piano economico finanziario. La modifica è volta, pertanto, ad adeguare il riferimento alla nuova soglia al di sopra della quale è applicabile la misura del credito di imposta. Viene meno, rispetto alla formulazione previgente, il requisito dell’inserimento in piani o programmi di amministrazioni pubbliche atteso che, sulla scorta di quanto previsto per le opere agevolabili con la misura del credito di imposta, si fa riferimento al requisito della rilevanza strategica nazionale.

 

Si rammenta che l’art. 1, comma 1020, della legge n. 296 del 2006 è intervenuto sulla disciplina del canone annuo a carico degli enti concessionari (disciplinato dall’art. 10 della legge n. 537 del 1993), sotto due profili:

a)  sotto il profilo dell’entità del canone, che è stato incrementato dall’1 al 2,4 per cento dei proventi netti dei pedaggi di competenza dei concessionari;

b)  sotto il profilo della destinazione di tali somme, prevedendo che una parte delle medesime, pari al 42 per cento, sia corrisposta direttamente all’ANAS, che a sua volta provvede a destinarla alle sue attività di vigilanza e controllo sui concessionari, secondo direttive impartite dal Ministero delle infrastrutture.

 

La lettera d) aggiunge un periodo al comma 2-quater, al fine di rendere le misure sopra descritte alternative alla “defiscalizzazione” prevista dall’articolo 18 della citata legge n. 183 del 2011.

 

Tale articolo – più volte modificato al fine di precisarne i contenuti - ha introdotto le seguenti misure agevolative per favorire la realizzazione di nuove infrastrutture, incluse in piani o programmi di amministrazioni pubbliche previsti a legislazione vigente, da realizzare con contratti di partenariato pubblico privato, con l’obiettivo di azzerare il contributo pubblico a fondo perduto:

a) la compensazione delle imposte sui redditi e dell'IRAP generate durante il periodo di concessione con il predetto contributo a fondo perduto;

b) la compensazione dell'imposta sul valore aggiunto con il predetto contributo pubblico a fondo perduto, nonché, limitatamente alle grandi infrastrutture portuali, per un periodo non superiore ai 15 anni, con il 25% dell'incremento del gettito di imposta sul valore aggiunto relativa alle operazioni di importazione riconducibili all'infrastruttura oggetto dell'intervento;

c) il riconoscimento al concessionario come contributo in conto esercizio dell'ammontare del canone di concessione.

 

Resta invece confermata la cumulabilità dell’esenzione dal canone di concessione con il credito d’imposta di cui al comma 1. Nel complesso le due misure non potranno superare il 50 per cento del costo dell'investimento, tenendo conto anche del contributo pubblico a fondo perduto

 

La norma prevede quindi che la misura sia riconosciuta in conformità alla disciplina comunitaria in materia di aiuti di Stato (tale clausola era prima contenuta nel comma 2-ter). La norma fa riferimento genericamente alla disciplina comunitaria, il che potrebbe implicare la necessità di acquisire ai sensi degli articoli 107 e 108 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) la preventiva autorizzazione della Commissione europea ai fini dell’effettiva applicazione dell’esenzione. La necessità di acquisire tale autorizzazione preventiva sarebbe esclusa laddove l’agevolazione rientrasse, caso per caso, nel campo di applicazione della disciplina de minimis (200.000 euro per ciascuna impresa per tre anni).

 

Il comma 4 modifica il comma 2 dell’articolo 18 della citata legge n. 183 del 2011 demandando ad una delibera CIPE la definizione di tutte le disposizioni attuative della norma in commento. Conseguentemente, è abrogato il comma 3 del medesimo articolo 18 in base al quale l'efficacia delle misure previste ai commi 1 e 2 è subordinata all'emanazione del decreto del Ministero dell'economia e delle finanze previsto dall'articolo 104, comma 4, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni.

 

Secondo quanto emerge dalla relazione illustrativa la norma sembrerebbe volta, in particolare, a superare la necessità di emanare un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze per determinare le quote di ammortamento ammesse in deduzione per le concessioni relative alla costruzione e all'esercizio di opere pubbliche. L'articolo 104, comma 4, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, prevede che, per le concessioni relative alla costruzione e all'esercizio di opere pubbliche sono ammesse in deduzione quote di ammortamento finanziario differenziate da calcolare sull'investimento complessivo realizzato. Le quote di ammortamento sono determinate nei singoli casi con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze in rapporto proporzionale alle quote previste nel piano economico-finanziario della concessione, includendo nel costo ammortizzabile gli interessi passivi anche in deroga alle disposizioni del comma 1 dell'articolo 110 del medesimo testo unico.

 

Il comma 5 interviene sulla citata disciplina fiscale dei project bond, introdotta dall’articolo 1 del decreto-legge n. 83 del 2012.

 

L’articolo 1 del decreto-legge n. 83 ha introdotto un regime fiscale agevolato per gli interessi derivanti dai cd. “project bond”, ovvero dalle emissioni obbligazionarie effettuate, nei tre anni successivi al 26 giugno 2012 (data di entrata in vigore del D.L. 83 del 2012), dalle società di progetto per finanziare gli investimenti in infrastrutture o nei servizi di pubblica utilità (project bond). L’agevolazione consiste nell’assimilazione ai titoli di Stato e, dunque, a tassazione sostitutiva con aliquota al 12,5%. Le disposizioni precisano poi i limiti di deducibilità degli interessi passivi per i project bond (comma 2); introducono un regime agevolato, ai fini delle imposte di registro e ipocatastali, per le garanzie (e le operazioni ad esse correlate) rilasciate in relazione all’emissione di project bond (comma 3). L’emissione di detti titoli viene infine consentita anche alle società già operative, per coprire debiti contratti precedentemente sulle infrastrutture esistenti.

 

La modifica è volta a rendere strutturali le agevolazioni fiscali in materia di project bond, vale a dire la deducibilità degli interessi passivi e il regime agevolato, ai fini delle imposte di registro e ipocatastali, per le garanzie (e le operazioni ad esse correlate) rilasciate in relazione all’emissione di project bond. Continua ad applicarsi alle sole obbligazioni emesse nei tre anni successivi al 26 giugno 2012 l’agevolazione relativa al regime fiscale sugli interessi consistente nell’equiparazione a quello sui titoli di Stato (12,5%).

 

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

Il 7 novembre la Commissione europea e la Banca europea per gli investimenti (BEI) hanno sottoscritto un accordo di cooperazione che, attraverso una base finanziaria di 230 milioni di euro, consente di avviare la fase pilota dell'iniziativa “Prestiti obbligazionari Europa 2020”, intesa a finanziare progetti infrastrutturali nel settore delle reti transeuropee dei trasporti e dell'energia nel biennio 2012-2013 attraverso l'impiego di prestiti obbligazionari europei (project bond), secondo quanto previsto dal regolamento (UE) n. 670/2012.

Il progetto pilota relativo ai project bond è strettamente connesso all’istituzione, nell’ambito del Quadro finanziario pluriennale (QFP) dell’UE per il 2014-2020, del nuovo meccanismo per collegare l'Europa (Connecting Europe Facility - CEF) con il quale l’UE intende promuovere il finanziamento di determinate infrastrutture prioritarie che rispettino i criteri di sviluppo sostenibile definiti dalla Strategia Europa 2020 (COM(2011)665).

Il CEF si avvarrebbe sia di sovvenzioni sia di strumenti finanziari che comprenderebbero, oltre a strumenti di capitale proprio, anche strumenti con ripartizione del rischio tra cui project bond.

Come accennato, la proposta di regolamento che istituisce il CEF viene esaminata nell'ambito del negoziato sul prossimo QFP dell'Unione europea relativo al periodo 2014-2020. In base all’accordo raggiunto nel Consiglio europeo del 7-8 febbraio scorso, il CEF dovrebbe avere una dotazione finanziaria pari a 23,174 miliardi di euro, di cui 10 miliardi provenienti dal Fondo di coesione. Il 13 marzo 2013 il Parlamento europeo ha approvato a larga maggioranza (506 voti a favore, 161 contrari e 23 astensioni) una risoluzione con la quale respinge l'accordo nella sua versione attuale (il parere del Parlamento europeo è in questo caso vincolante). Per quanto concerne specificamente i settore delle infrastrutture, il Parlamento europeo ribadisce che il QFP dovrebbe garantire l'attuazione efficace della strategia Europa 2020, dotando l'Unione europea delle risorse necessarie per riprendersi dalla crisi e uscirne rafforzata.

 

Profili finanziari comma 3

Il prospetto riepilogativo non ascrive effetti alla norma.

 

La relazione tecnica afferma che la disposizione non determina effetti finanziari negativi per la finanza pubblica configurandosi come rinuncia a maggior gettito in quanto le agevolazioni ivi previste sono relative a imposte che, in assenza della realizzazione dell’opera, non si sarebbero prodotte e ciò potrà essere verificato in ambito CIPE, con l’individuazione dell’elenco e dell’importo complessivo massimo del valore delle opere oggetto di agevolazione.

Si ricorda che l’art. 33, comma 1, del decreto legge n. 179/2012 ha introdotto, in via sperimentale, un credito d’imposta – a valere su IRES ed IRAP - diretto a favorire la realizzazione di nuove opere infrastrutturali di importo superiore a 500 milioni di euro[65] (primo periodo). Il credito d’imposta spetta – in caso di progettazione approvata entro il 2015 - entro il limite massimo pari al 50% del costo dell’investimento (secondo periodo) e non rileva ai fini della determinazione della base imponibile delle imposte dirette e dell’IRAP (terzo periodo).

Il successivo comma 2-ter ha introdotto un ulteriore beneficio finalizzato alla realizzazione di nuove opere infrastrutturali – la cui progettazione sia approvata entro il 2015 - di importo superiore a 500 milioni per le quali è accertata la non sostenibilità del piano economico finanziario. Il beneficio consiste nell’esenzione dal pagamento del canone di concessione nella misura necessaria al raggiungimento dell’equilibrio del piano economico-finanziario (primo periodo).

Il comma 2-quater dispone che le due citate misure (credito d’imposta e esenzione da canone di concessione) possono essere utilizzate cumulativamente, al fine di assicurare la sostenibilità economica dell’operazione di partenariato pubblico-privato, entro il limite massimo pari al 50% del costo dell’investimento, tenendo conto anche del contributo pubblico a fondo perduto.

La relazione tecnica allegata al testo iniziale del provvedimento afferma, con riferimento al comma 1, che la disposizione non determina effetti finanziari in quanto rappresenta una rinuncia al maggior gettito.

La relazione tecnica allegata all’emendamento che ha introdotto i commi 2-ter e 2-quater non ha considerato le norme.

 

 

In merito ai profili di quantificazione, si osserva che l’invarianza finanziaria delle disposizioni in esame appare confermata solo nel caso in cui nelle previsioni tendenziali non fosse inclusa in alcun modo la redditività – sotto forma di entrate fiscali o di riscossione di canoni – delle infrastrutture interessate dalle norme.

Considerando che le previsioni tendenziali di gettito sono formulate sulla base di un modello macroeconomico che stima l’andamento del PIL sulla base delle sue componenti, l’ipotesi assunta dalla relazione tecnica - che la norma configuri una rinuncia ad un gettito aggiuntivo non scontato - richiederebbe:

§       che le previsioni tendenziali relative ai conti della PA scontino la riduzione della spesa per investimenti pubblici conseguente al blocco delle opere oggetto di agevolazione da parte della norma in esame. Tale circostanza non risulta, apparentemente, dal DEF per il 2013 e dal relativo allegato sulle infrastrutture strategiche, nel quale restano incluse le opere citate dalla Nota tecnica del Governo[66];

§       che, nelle previsioni macroeconomiche tendenziali, si assuma che il blocco della spesa per investimenti pubblici, di cui al punto precedente, si rifletta interamente sulla spesa complessiva per investimenti nel paese. In caso contrario, la detassazione prevista dalla norma risulterebbe suscettibile di incidere su una componente di spesa per investimento inclusa nelle previsioni tendenziali al pari della redditività propria dell’investimento stesso e del relativo gettito fiscale, che verrebbe conseguentemente ridotto.

Sul punto appare necessario acquisire conferma dal Governo.

 

Profili finanziari comma 5

Il prospetto riepilogativo non ascrive alla norma effetti sui saldi di finanza pubblica.

 

La relazione tecnica afferma che la disposizione configura una rinuncia a maggior gettito.

Si ricorda che la RT riferita all’articolo 1 del DL 83/2012, (con il quale le agevolazioni fiscali per le obbligazioni di progetto erano concesse per i progect bond emessi nei tre anni successivi alla data di entrata in vigore del medesimo DL 83/2012) affermava l’assenza di effetti finanziari atteso che lo strumento del project bond, sebbene già previsto dalla normativa vigente, non fosse diffuso sul mercato. La RT precisava, inoltre, che le agevolazioni previste potevano configurarsi come rinuncia a maggior gettito.

 

In merito ai profili di quantificazione, si osserva che l’invarianza finanziaria delle disposizioni in esame appare confermata nel caso in cui nelle previsioni tendenziali non sia incluso in alcun modo il maggior gettito derivante dall’interruzione del regime agevolativo in esame. Sul punto appare opportuna una conferma da parte del Governo.


 

Articolo 20
(Riprogrammazione interventi del Piano nazionale della sicurezza stradale )

L’articolo 20, comma 1, interviene in materia di sicurezza stradale disponendo la ricognizione dello stato di attuazione degli interventi del primo e del secondo Programma annuale di attuazione del Piano Nazionale della Sicurezza Stradale cofinanziati con legge 23 dicembre 1999, n. 488. La ricognizione è finalizzata alla eventuale revoca delle risorse destinate a finanziare gli interventi (relativi rispettivamente agli anni 2002 e 2003) che risultino non ancora avviati. In questo caso è infatti previsto che i relativi impegni di spesa siano revocati con uno o più decreti, di natura non regolamentare, del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze.

Si ricorda che il Piano nazionale della sicurezza stradale di cui all’art. 32, comma 5, della legge 144/1999, viene approvato dal CIPE (Comitato interministeriale per la programmazione economica) e viene attuato attraverso Programmi annuali. Esso consiste in un sistema articolato di indirizzi, di misure per la promozione e l'incentivazione di piani e strumenti per migliorare i livelli di sicurezza da parte degli enti proprietari e gestori di interventi infrastrutturali, di misure di prevenzione e controllo, di dispositivi normativi e organizzativi, finalizzati al miglioramento della sicurezza secondo gli obiettivi comunitari.

Con delibera CIPE 29 novembre 2002, n. 100/2002[67] , sono stati approvati il Piano nazionale della sicurezza stradale per il biennio 2002-2003 ed il primo programma annuale di attuazione del Piano nazionale per il 2002. Con Del. CIPE 13 novembre 2003, n. 81/2003[68] è stato approvato il secondo programma annuale di attuazione per il 2003. Il primo ed il secondo programma di attuazione sono stati finanziati con la legge 23 dicembre 1999 n. 488 (legge finanziaria 2000) per circa 342 mln di euro di investimento.

In proposito, la Relazione tecnica al provvedimento sostiene che “Nel decennio 2001 – 2010 sono stati finanziati complessivamente cinque programmi di attuazione rispetto ai dieci inizialmente previsti con l'impiego di una quota statale complessiva di 480 mln di euro che ha permesso il cofinanziamento di circa 1600 interventi per un volume complessivo di investimenti attivabili di 1000 mln di euro. La situazione del primo e del secondo Programma è differenziata a seguito di intervenute modifiche normative. I fondi attribuiti dalla L. n. 488/99 nella forma di limiti di impegno a seguito degli interventi di natura finanziaria operati con la Legge finanziaria del 2007, che ha limitato la possibilità di contrarre mutui garantiti dallo stato, sono stati convertiti a seguito dell'intervento del MEF in fondi da destinare alla contribuzione diretta. L'effetto … è che gli interventi che sono riusciti a partire prima della Finanziaria del 2007 sono finanziati attraverso mutui, i rimanenti sono invece finanziati attraverso la contribuzione diretta secondo quanto previsto da appositi decreti interministeriali MIT/MEF”.

Si ricorda che successivamente, con Del. 21 dicembre 2007, n. 143/2007[69], è stato approvato il terzo programma annuale di attuazione del Piano nazionale; con Del. CIPE 18 dicembre 2008, n. 108/2008[70] sono stati approvati il quarto e il quinto, ed ultimo, programma di attuazione del Piano nazionale. Infine, l’art. 4, comma 60 della legge n. 183 del 2011 (legge di stabilità 2012) ha ridotto di euro 135.000, a decorrere dall’anno 2012, gli oneri per il finanziamento del Piano nazionale della sicurezza stradale.

 

La ricognizione dello stato di attuazione degli interventi sarà svolta dal Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti insieme ai soggetti beneficiari e dovrà essere completata entro sessanta giorni dalla data del presente decreto legge (probabilmente il riferimento è da intendersi dalla data di entrata in vigore del presente decreto legge).

 

In base al comma 2, le risorse revocate saranno iscritte nel bilancio del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e destinate a tre finalità:

1)   realizzazione in cofinanziamento (deve intendersi in concorso con le regioni) di un programma di interventi per la sicurezza stradale, sulla base delle proposte formulate dalle regioni, come previsto dal successivo comma 4, in base al quale il programma da cofinanziare sarà definito sulla base delle proposte formulate dalle Regioni a seguito di specifica procedura fondata su criteri di selezione che dovranno tenere prioritariamente conto dell'importanza degli interventi in termini di effetti sul miglioramento della sicurezza stradale e della loro immediata cantierabilità;

2)   prosecuzione del monitoraggio dei programmi di attuazione del Piano nazionale della sicurezza stradale;

3)   implementazione e miglioramento del sistema di raccolta dati di incidentalità stradale in coerenza con quanto previsto dall'articolo 56 della legge 29 luglio 2010, n. 120.

Si ricorda che l’art. 56 della legge n. 120 del 2010, ha previsto la raccolta e l’invio dei dati relativi all’incidentalità stradale da parte delle Forze dell'ordine e degli enti locali al Dipartimento per i trasporti, la navigazione ed i sistemi informativi e statistici del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ai fini dell'aggiornamento degli archivi previsti dal Codice della Strada che sono i seguenti:

a)    presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti un archivio nazionale delle strade;

b)    presso il Dipartimento per i trasporti terrestri un archivio nazionale dei veicoli;

c)    presso il Dipartimento per i trasporti terrestri un'anagrafe nazionale degli abilitati alla guida, che include anche incidenti e violazioni.

Il decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, da emanarsi di concerto con il Ministro dell'interno, sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, che fissa i termini e le modalità per la trasmissione, in via telematica, dei dati relativi all'incidentalità stradale da parte delle Forze dell'ordine e degli enti locali, previsto dall’art. 56, comma 1 della legge n. 120 del 2010, non risulta ancora emanato.

 

Il comma 3, dispone che le somme relative ai finanziamenti revocati iscritte in conto residui siano versate all'entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica nel triennio 2013-2015, per le finalità del comma 2.

Il comma 5 autorizza il Ministero dell'economia e delle finanze ad apportare le variazioni di bilancio conseguenti all'attuazione dell’articolo.

 

Profili finanziari

Il prospetto riepilogativo non considera la norma.

 

La relazione tecnica afferma che il primo ed il secondo programma di attuazione del Piano nazionale della sicurezza stradale sono stati finanziati con la legge 23 dicembre 1999 n. 488 (legge finanziaria 2000) per circa 342 milioni di euro di investimento.

A seguito degli interventi di natura finanziaria operati con la legge finanziaria 2007, che ha limitato la possibilità di contrarre mutui garantiti dallo Stato, i fondi attribuiti dalla legge 488/99 nella forma di limiti di impegno, sono stati convertiti a seguito dell’intervento del MEF in fondi da destinare alla contribuzione diretta. Per effetto di quanto sopra richiamato, gli interventi previsti nell’ambito del primo e del secondo programma di attuazione avviati prima della Finanziaria 2007 sono finanziati attraverso mutui, mentre i rimanenti sono finanziati attraverso la contribuzione diretta, secondo quanto previsto da appositi decreti interministeriali MIT/MEF.

La RT conclude che le disposizioni di cui al presente articolo non comportano oneri a carico della finanza pubblica, in quanto si tratta di risorse, già previste a legislazione vigente, ancora non utilizzate che vengono destinate ad altre finalità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica.

 

In merito ai profili di quantificazione, appare necessario che siano chiariti i riflessi della norma sui saldi di cassa e competenza economica. Si rileva infatti che la norma autorizza il riversamento all’entrata del bilancio dello Stato di somme iscritte in conto residui, al fine del relativo utilizzo per le finalità di spesa previste dal testo. Andrebbe pertanto assicurato che il rispetto degli equilibri di finanza pubblica nel triennio 2013-2015, previsto dalla norma, si interpreti nel senso di una necessaria verifica ex ante della conformità del profilo di erogazione per cassa sia delle spese autorizzate sia di quelle utilizzate a copertura.


 

Articolo 21
(Differimento dell’operatività della garanzia globale di esecuzione )

L’articolo 21 reca il differimento del termine di entrata in operatività delle disposizioni in materia di garanzia globale di esecuzione (cd. performance bond) di cui alla parte II, titolo VI, capo II, del D.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207 (Regolamento di esecuzione ed attuazione del Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, forniture e servizi, d’ora in avanti Regolamento). In particolare, il termine per l’entrata in operatività del sistema di garanzia globale – già prorogato di un anno, ossia fino all’8 giugno 2013 dall’articolo 1, comma 2, del decreto legge n. 73 del 2012[71] – è ulteriormente differito al 30 giugno 2014.

 

Il comma 5 dell’articolo 357 del Regolamento ha previsto che le disposizioni della parte II, titolo VI, capo II (sistema di garanzia globale), si applicano ai contratti i cui bandi o avvisi con cui si indice una gara siano pubblicati a decorrere da un anno successivo alla data di entrata in vigore del regolamento, nonché, in caso di contratti senza pubblicazione di bandi o avvisi, ai contratti in cui gli inviti a presentare le offerte siano inviati a decorrere da un anno successivo alla data di entrata in vigore del regolamento.

La parte II del Regolamento disciplina i contratti pubblici relativi a lavori nei settori ordinari e il capo II, del titolo VI, istituisce (art. 129) il sistema di garanzia globale di esecuzione che consiste nella garanzia fideiussoria di buon adempimento e nella garanzia di subentro ed è obbligatoria “per gli appalti di progettazione esecutiva ed esecuzione di lavori di ammontare a base d'asta superiore a 75 milioni di euro, per gli affidamenti a contraente generale di qualunque ammontare, e, ove prevista dal bando o dall'avviso di gara, per gli appalti di sola esecuzione di ammontare a base d'asta superiore a 100 milioni di euro”. Gli articoli da 129 a 136 del Regolamento disciplinano, tra l’altro, l’istituzione e la definizione del sistema di garanzia globale di esecuzione, nonché le modalità di presentazione, l’oggetto, la durata, l’attivazione, i rapporti tra le parti.

Le motivazioni addotte dalla relazione illustrativa allo scopo di giustificare l’ulteriore differimento del termine di entrata in operatività della garanzia globale di esecuzione sono analoghe a quelle contenute nella relazione di accompagnamento del decreto legge n. 73 del 2012 relativamente alla proroga ivi recata e risiedono nelle difficoltà degli operatori del settore (banche e imprese) di porre in essere un tale sistema di garanzia.

 

Si osserva che la norma, analogamente alla proroga recata dall’articolo 1, comma 2, del decreto legge n. 73 del 2012, modifica in maniera non testuale il disposto dell’articolo 357, comma 5, del Regolamento, e che, con riferimento alla modifica di un atto secondario da parte di una norma legislativa di rango primario, secondo la circolare sulla formulazione tecnica dei testi legislativi “non si ricorre all’atto legislativo per apportare modifiche frammentarie ad atti non aventi forza di legge, al fine di evitare che questi ultimi presentino un diverso grado di “resistenza” ad interventi modificativi successivi”.

 

Si ricorda che il Regolamento è stato in passato modificato più volte nell’ambito di decreti legge: oltre alla già citata proroga di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legge n. 73 del 2012, si rammentano a titolo esemplificativo le norme di cui agli articoli: 4, comma 15, del decreto legge n. 70 del 2011; 20, comma 3, del decreto legge n. 5 del 2012; 12 del decreto legge n. 52 del 2012; 33-bis e 33-quinquies del decreto legge n. 179 del 2012. Il Comitato per la legislazione, nei pareri espressi su tali decreti legge, pur tenuto conto della complessità e della lunghezza delle procedure previste per l'adozione e per la modifica di atti di natura regolamentare, ha formulato raccomandazioni o condizioni rammentando quanto rilevato dalla predetta circolare in ossequio al sistema delle fonti del diritto.

 

Profili finanziari

Il prospetto riepilogativo non considera la norma.

 

La relazione tecnica afferma che la disposizione si limita a prevedere il differimento dell’entrata in operatività del sistema di garanzia globale di esecuzione che coinvolge il sistema delle imprese, delle banche, delle assicurazioni, non incidendo, tuttavia, sul committente pubblico. Per quest’ultimo, comunque, non si riduce il livello di garanzia, considerato che restano ferme le forme di garanzia già previste dal codice dei contratti pubblici (cauzione definitiva, garanzia a copertura dei rischi di esecuzione, polizza decennale).

La RT afferma infine che la disposizione, di carattere procedurale, non comporta nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato.

 

In merito ai profili di quantificazione, si rileva che la norma appare di natura prevalentemente ordinamentale, senza effetti diretti sulla finanza pubblica.

Dal punto di vista degli effetti indiretti, andrebbe valutato l’impatto delle norme in esame – in relazione a lavori appaltati da soggetti pubblici – sulla maggiore efficienza nella realizzazione dei lavori e sulle garanzie di corretta esecuzione degli stessi rispetto a quella teoricamente garantita a legislazione vigente.

 

 


 

Articolo 22
(Misure per l’aumento della produttività nei porti )

L’articolo 22 prevede tre tipologie di interventi in materia di porti.

1) Dragaggi nei porti

Il primo intervento, di cui al comma 1, lett. a), semplifica la disciplina in materia di dragaggi dei porti: viene in particolare modificata la legge n. 85/1994 di riordino della legislazione in materia portuale sui porti. all’articolo 5-bis, prevedendo che la contestualità tra operazioni di dragaggio e predisposizioni delle operazioni di bonifica ivi prevista avvenga non genericamente nei siti oggetto degli interventi, bensì più specificatamente nelle aree portuali e marino costiere poste in tali siti.

Viene poi previsto che il decreto di approvazione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare debba intervenire entro trenta giorni dalla suddetta trasmissione e che la sottomissione del progetto sui dragaggi alla Commissione di valutazione di impatto ambientale sia limitata al caso in cui il progetto preveda anche infrastrutture di contenimento non comprese nei provvedimenti di rilascio della valutazione di impatto ambientale o nei piani regolatori portuali di riferimento.

Il comma 1, lett. b), relativamente ai materiali derivanti dalle attività di dragaggio, consente la reimmissione nei siti idrici di provenienza ovvero l’utilizzazione per il rifacimento degli arenili anche dei materiali dei dragaggi che non presentino[72], come invece ora richiesto, caratteristiche analoghe al fondo naturale con riferimento al sito di prelievo, mantenendo l’unico requisito della idoneità al sito di destinazione.

Il comma 1, lett. c) novella la corrispondente lettera del comma 2 dell’articolo 5-bis, che consente l’utilizzo dei materiali non pericolosi[73] per il refluimento all’interno di casse di colmata di vasche di raccolta, o comunque in strutture di contenimento in possesso di determinati requisiti[74]. La modifica elimina il rinvio alle modalità operative adottate dal Ministero dell’ambiente, alla luce del fatto che il comma 6 non demanda più (per quanto previsto dalla lettera d) successiva) l’individuazione delle citate modalità al decreto del Ministero dell’ambiente.

Il comma 1, lett. d) prevede che il decreto Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e trasporti, per la definizione delle modalità e delle norme tecniche applicabili ai dragaggi dei materiali sia adottato anche senza il parere della Conferenza Stato-regioni e sia limitato alle norme tecniche applicabili alle operazioni di dragaggio e non più anche alle modalità dello stesso.

2) Tasse di ancoraggio e portuali

Il secondo intervento, di cui al comma 2, attiene al rafforzamento dell’autonomia finanziaria delle autorità portuali consentendogli di variare le tasse sulle merci e per l'ancoraggio: si consente in particolare di diminuire le tasse fino all’azzeramento, ovvero di aumentarle fino a un tetto massimo pari al doppio. La norma è finalizzata a consentire alle autorità portuali di modulare la propria offerta in relazione alle condizioni di svantaggio concorrenziale in cui possono trovarsi rispetto ad altri porti, anche stranieri.

La misura fa seguito all’applicazione in via sperimentale da parte delle autorità portuali, negli anni 2010, 2011 e 2012, della facoltà loro consentita dall'articolo 5, comma 7-duodecies, del decreto-legge n. 194/2009 di abbattere le tasse portuali e, in particolare, la tassa di ancoraggio. In base a quanto stabilito dall’articolo 1, comma 388, della legge n. 22872012 (legge di stabilità 2013) tale disposizione cesserà di avere effetto dal 30 giugno 2013.

Si ricorda che la disciplina delle tasse e diritti marittimi è stata delegificata dalla legge finanziaria 2007 (L. n. 296 del 2006, art. 1, co. 989) che ha autorizzato il Governo ad adottare un regolamento per rivedere la disciplina delle tasse e dei diritti marittimi semplificando e accorpando le tasse e le procedure di riscossione, accorpando la tassa e la sovrattassa di ancoraggio e attribuendole alle Autorità portuali. Il Regolamento di disciplina delle tasse e dei diritti marittimi (D.P.R. 28 maggio 2009, n. 107) è stato recentemente modificato dall’art. 84 del D.L. n. 1 del 2012, per prevedere l'applicazione identica delle tasse di ancoraggio e delle tasse portuali ai traffici nazionali ed a quelli intracomunitari, al fine di risolvere la procedura d’infrazione n. 2008/4387, con la quale la Commissione europea aveva chiesto allo Stato italiano di rendere conforme al diritto europeo l’intera normativa in materia di tasse portuali che gravano sul trasporto marittimo di cabotaggio, sia in arrivo che in partenza da porti italiani.

La tassa di ancoraggio (art. 1 del D.P.R. n. 107 del 2009) deve essere corrisposta dalle navi nazionali, dalle navi estere equiparate alle nazionali in virtù di trattati, nonché dalle navi operate da compagnie di navigazione di Stati con i quali l'Unione europea abbia stipulato accordi di navigazione e di trasporto marittimo, ancorché non battano la bandiera di detti Stati, che compiono operazioni commerciali in un porto, rada o spiaggia dello Stato o negli ambiti richiamati dall’articolo 3, comma 1, nella seguente misura, per ogni tonnellata di stazza netta:

a)    euro 0,09 per ogni tonnellata eccedente le prime 50, se hanno una stazza netta non superiore a 200 tonnellate;

b)    euro 0,14 se hanno una stazza netta superiore a 200 e fino a 350 tonnellate, ovvero se, avendo una stazza superiore a 350 tonnellate, navigano esclusivamente tra i porti dello Stato;

c)    euro 0,72 se hanno una stazza netta superiore a 350 tonnellate e provengono o sono dirette all'estero.

La tassa portuale (art. 2 del D.P.R. n. 107 del 2009), è invece dovuta sulle merci sbarcate ed imbarcate nei porti, nelle rade e spiagge dello Stato, ed è commisurata alle tonnellate metriche di merce.

L’articolo 4 dello stesso D.P.R. 107, ha previsto l’emanazione di successivi decreti governativi per l’adeguamento graduale dell'ammontare di tutte le tasse e diritti marittimi sulla base del tasso d'inflazione, a decorrere dalla data della loro ultima determinazione (1° gennaio 1993). Tali decreti non sono stati emanati, in quanto si è più volte fatto slittare il meccanismo di adeguamento, rispetto all’originaria previsione normativa, che fissava al 2009 l’inizio della procedura. Il D.L. n. 216/2011, art. 11, co. 1 lett. b), ha da ultimo sospeso sino al 1° gennaio 2013, l’applicazione delle disposizioni relative all’adeguamento graduale delle tasse e dei diritti marittimi in relazione al tasso di inflazione.

Con D.M. 24 dicembre 2012 sono state infine recentemente adeguate le aliquote della tassa di ancoraggio e della tassa portuale a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto ( 6 gennaio 2013).

Il periodo preso in considerazione per l’adeguamento è quello compreso tra il 1° gennaio 1993 ed il 31 dicembre 2011 nel quale è stato accertato che il tasso d'inflazione FOI accertato dall'ISTAT è stato pari al 59,3%. Secondo il principio della gradualità triennale previsto dall'art. 4, comma 2, del DPR n. 107, l'applicazione dell'adeguamento è stata ripartita nel triennio 2012, 2013 e 2014, nelle rispettive misure del 33%, 33% e 34%, così come l'applicazione degli adeguamenti annuali previsti nella misura del 75 per cento del tasso ufficiale d'inflazione è effettuata a partire dall'anno 2015.

 

Il comma 2 prevede poi che l'utilizzo delle entrate derivanti dalla autonomia impositiva e tariffaria delle autorità portuali, nonché la compensazione, con riduzioni di spese correnti, siano adeguatamente esposti nelle relazioni di bilancio di previsione e nel rendiconto generale.

Nei casi in cui le autorità portuali si avvalgano della facoltà di riduzione della tassa di ancoraggio in misura superiore al settanta per cento, viene esclusa la possibilità di pagare il tributo con la modalità dell'abbonamento annuale. Il collegio dei revisori dei conti deve attestare la compatibilità finanziaria delle operazioni poste in essere. Si prevede infine che dalla misura non debbano derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

 

Si ricorda la recente proposta di Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio che istituisce un quadro normativo per l’accesso al mercato dei servizi portuali e la trasparenza finanziaria dei porti, COM(2013) 296 del 23 maggio 2013, che si applicherà dal 1° luglio 2015 a tutti i porti marittimi indicati nella proposta della Commissione sugli orientamenti dell’Unione per lo sviluppo della rete trans europea di trasporto, con la facoltà degli Stati di applicarla ad altri porti marittimi, ha come obiettivi la regolazione dell’accesso al mercato dei servizi portuali, la disciplina della trasparenza finanziaria nei porti e la fissazione di forme condivise di governance nei porti europei.

In relazione alla trasparenza finanziaria, la proposta di Regolamento prevede che l’ente di gestione del porto riscuota i diritti per l’uso delle infrastrutture portuali e che per contribuire a un sistema efficiente di tariffazione dell’uso dell’infrastruttura, la struttura e il livello dei diritti d’uso dell’infrastruttura portuale siano definiti in modo autonomo dagli enti di gestione dei porti, sulla base della loro strategia commerciale e del loro piano di investimenti, tenendo conto delle condizioni di concorrenza vigenti nel mercato e in conformità alla normativa sugli aiuti di Stato. Si impone inoltre agli enti di gestione dei porti che ricevono finanziamenti pubblici, e che operano anche in qualità di prestatori di servizi, l’obbligo di mantenere una contabilità separata per distinguere le attività svolte in quanto ente di gestione del porto da quelle svolte su base concorrenziale. Si considera inoltre opportuno consentire la variazione dei diritti d’uso dell’infrastruttura portuale al fine di promuovere il trasporto marittimo di corto raggio e per attrarre navi che presentano una efficienza ambientale, energetica e di emissioni di carbonio nelle operazioni di trasporto superiore alla media, in particolare per le operazioni di trasporto marittimo off-shore o on-shore.

 

3) Autonomia finanziaria delle autorità portuali

 

Il comma 3 modifica il comma 1 dell'articolo 18-bis della legge 28 gennaio 1984, n. 94, introdotto dal decreto-legge n. 83/2012, in materia di autonomia finanziaria delle autorità portuali.

L’articolo 18-bis nella legge n. 84/1994 ha istituito nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti un fondo per interventi infrastrutturali nei porti e nei collegamenti stradali e ferroviari nei porti alimentato, nel limite di 70 milioni di euro annui, con la destinazione, su base annua, dell’uno per cento del gettito dell’IVA relativa all’importazione di merci introdotte nel territorio nazionale per il tramite di ciascun porto.

Circa la ripartizione del Fondo, il comma 2 prevede che il Ministero dell’economia e delle finanze quantifichi entro il 30 aprile di ciascun esercizio finanziario l'ammontare dell'imposta sul valore aggiunto dovuta sull'importazione delle merci introdotte nel territorio nazionale per il tramite di ciascun porto, nonché la quota da iscrivere nel fondo. Il comma 4 prevede che il fondo sia ripartito con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato-regioni, seguendo questi criteri:

 - a ciascun porto dovrà essere attribuito un importo pari all’ottanta per cento della quota dell’IVA dovuta sull'importazione delle merci introdotte nel territorio nazionale per suo tramite;

- il restante venti per cento del fondo complessivo dovrà essere ripartito tra i porti con finalità perequative, tenendo anche conto delle previsioni dei rispettivi piani operativi triennali e piani regolatori portuali (e quindi, sembra intendersi, dei programmi di investimento prospettati in tali documenti).

Il decreto non risulta ancora emanato.

 

Il comma 3 novella tale disciplina prevedendo:

a)   l’innalzamento da 70 milioni di euro annui a 90 milioni di euro annui del limite entro il quale le autorità portuali possono trattenere la percentuale dell’uno per cento dell’IVA riscossa nei porti;

b)   la destinazione delle risorse anche agli investimenti necessari alla messa in sicurezza, alla manutenzione e alla riqualificazione strutturale degli ambiti portuali.

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

Si ricorda che il tema delle politiche portuali, di cui all’articolo in esame, è considerato centrale dalle istituzioni europee, al cui esame sono attualmente i seguenti documenti di natura legislativa:

§      la proposta di regolamento (COM(2013)296), indirizzata al Parlamento europeo e al Consiglio, che istituisce un quadro normativo in materia di accesso al mercato dei servizi portuali e trasparenza finanziaria dei porti;

§      la comunicazione (COM(2013)295), che accompagna e integra la proposta di regolamento e individua otto interventi mirati dell'UE necessari a liberare ulteriormente il potenziale dei porti,

 

La nuova iniziativa, presentata il 23 maggio 2013 dalla Commissione europea, è volta a migliorare le operazioni portuali e le connessioni per il successivo trasporto in 319 porti marittimi principali - di cui 39 italiani - distribuiti lungo le coste europee, che già figurano peraltro in via prioritaria nelle proposte TEN-T (Rete Transeuropea di Trasporto) della Commissione.

 

I commi 2 e 3 dell’art. 22 del dl n. 69 intervengono al fine di rafforzare l’autonomia delle autorità portuali in ordine all’aumento o alla riduzione delle tasse portuali sulle merci e per l’ancoraggio, consentendo una più efficace risposta alla concorrenza dei porti degli altri paesi.

In tal senso le misure proposte dalla Commissione europea vanno nella medesima direzione, introducendo un grado di autonomia che consente alle autorità portuali di stabilire la struttura e l'importo dei diritti portuali in base alla propria strategia commerciale e d'investimento. Anziché imporre che quest’ultimi siano legati ai costi effettivi, ogni porto ha il diritto di fissare la struttura e il livello delle tasse portuali, purché la politica di tariffazione sia trasparente. La Commissione inoltre incoraggia ad adottare una differenziazione basata sulle prestazioni ambientali delle navi.

Profili finanziari

Il prospetto riepilogativo ascrive alla norma i seguenti effetti sui saldi di finanza pubblica.

 (milioni di euro)

 

Saldo netto da finanziare

Fabbisogno

Indebitamento netto

 

2013

2014

2015

2013

2014

2015

2013

2014

2015

Art. 22 co. 3

Maggiori spese in conto capitale

20

20

20

0

5

10

0

5

10

 

La copertura di tali oneri è effettuata nell’ambito dell’articolo 61. Riguardo agli effetti finanziari di quest’ultima norma, si rinvia alla relativa scheda e al prospetto riepilogativo allegato al presente Dossier.

 

La relazione tecnica afferma che il comma 1 è finalizzato a semplificare la normativa recentemente adottata in tema di dragaggi. Il comma in questione prevede, infatti, che il parere della commissione per la valutazione dell'impatto ambientale delle opere sia richiesto solo se il progetto di dragaggio includa la realizzazione di infrastrutture di contenimento non contemplate nella programmazione già approvata. Si evita in tal modo una reiterazione della valutazione della stessa commissione per opere la cui realizzazione sia già stata programmata. Pertanto, secondo la RT, il comma 1 ha esclusivamente carattere procedurale e non appare suscettibile di determinare nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato.

Riguardo al comma 2, la relazione tecnica ricorda che la misura delle tasse di ancoraggio e portuali è stata adeguata dal regolamento di cui al DPR 107/2009. Afferma inoltre che il controllo del collegio dei revisori – il cui intervento è previsto dal testo – consentirà di attestare la compatibilità finanziaria delle operazioni effettuate e, quindi, il mantenimento dell'equiIibrio di bilancio dell'autorità portuale. Pertanto anche da questa misura - che si configura come facoltativa - non derivano nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica

Riguardo al comma 3, la RT si limita a ribadire il contenuto della norma, affermando che la copertura finanziaria richiesta dall’innalzamento (da 70 a 90 milioni di euro all’anno) del limite massimo del Fondo per gli interventi di adeguamento dei porti si provvede nell’ambito della norma di copertura di cui all’articolo 61.

 

In merito ai profili di quantificazione, con riferimento al comma 2, che consente alle autorità portuali di variare le tasse di ancoraggio e portuale, appare opportuno acquisire un chiarimento in ordine ai riflessi di carattere finanziario della norma. Si fa riferimento, in particolare, all’ipotesi di variazioni in aumento di dette tasse, che potrebbe dare luogo ad un doppio effetto. Da una parte, potrebbe determinarsi un incremento del gettito per le autorità portuali (in assenza di vincoli espliciti dettati dalla norma - come nel caso in esame -, tale incremento di introiti sarebbe peraltro neutralizzato da un corrispondente incremento della capacità di spesa)[75]. Dall’altra, un aumento di dette tasse su soggetti passivi costituiti in forma di impresa determinerebbe una riduzione del gettito a livello statale, per effetto della deducibilità, dalle imposte ordinarie sui redditi, di una quota dei predetti tributi.

Nel caso - invece - di variazioni in diminuzione delle tasse di ancoraggio e portuali, il rispetto dell’obbligo di neutralità finanziaria previsto dal testo richiede l’allineamento temporale fra la predetta riduzione e la compensazione mediante una diminuzione delle spese correnti. Tale condizione appare implicita, fra l’altro, nell’obbligo di dare indicazione delle variazioni e delle relative compensazioni nella documentazione allegata ai bilanci di previsione annuali e nei rendiconti generali.

Sempre riguardo al meccanismo di variazione delle tasse di ancoraggio e portuali, andrebbe chiarito il coordinamento fra il comma 2 in esame e la norma della legge 296/2006 (che non risulta modificata con il presente provvedimento)[76] con la quale – contestualmente all’attribuzione alle autorità portuali dei gettiti delle tasse portuali e di ancoraggio – è stato istituito il Fondo perequativo per la compensazione dei diversi livelli di introito delle autorità portuali[77]. In particolare, andrebbero fornite indicazioni in ordine ai criteri di ripartizione del Fondo nel caso in cui le autorità si avvalgano della facoltà di variazione delle aliquote riconosciuta dalla norma in esame.

Ciò anche in considerazione della possibilità che, a parità di sforzo fiscale, gli introiti acquisiti da diverse autorità portuali risultino sperequati a causa del differente potenziale di gettito ad esse attribuito dalla norma in esame.

Riguardo al comma 3 (incremento della quota di IVA sulle importazioni portuali da utilizzare per il finanziamento del Fondo per l’adeguamento dei porti), si osserva che la RT non fornisce dati ed elementi volti a verificare la coerenza fra la quota indicata dal testo (90 milioni di euro all’anno) e la percentuale di gettito IVA da destinare annualmente all’alimentazione del Fondo (percentuale che non viene modificata pure in presenza di un incremento del limite di importo del Fondo medesimo). Peraltro, poiché sia la norma originaria sia la norma in esame recano autonome coperture finanziarie, andrebbe chiarito se, a prescindere dal riferimento all’IVA, la quota di 70 milioni prima (e di 90 milioni ora) debba essere intesa come importo costante della dotazione annuale del Fondo, a prescindere dal gettito IVA effettivamente conseguito nell’anno.

Tale interpretazione sembrerebbe avvalorata dal fatto che anche per l’anno in corso il prospetto riepilogativo ascrive, come effetto finanziario ai fini del SNF, l’intero importo IVA (+20 milioni), senza tenere conto dei mesi di applicazione nel 2013. Si ricorda inoltre che, durante l’esame parlamentare della norma che aveva introdotto l’articolo 18-bis, il Governo aveva precisato che l’eventuale quantificazione, pari all’1%, che dovesse eccedere tale limite non avrebbe comunque potuto essere destinata all’alimentazione del Fondo.

Appare infine opportuno acquisire chiarimenti in ordine agli effetti finanziari ascritti alla norma sui saldi di fabbisogno e indebitamento netto per il triennio 2013-2015. Infatti la RT non chiarisce i parametri sottostanti lo sviluppo attribuito all’utilizzo del Fondo in termini di cassa (0 nel 2013, 5 milioni nel 2014 e 10 milioni nel 2015). Sarebbe inoltre utile disporre dei dati circa la dinamica per cassa degli oneri negli esercizi successivi al triennio, tenuto conto che la norma di copertura (articolo 61) indica gli oneri derivanti da alcuni articoli (fra cui quello in esame) anche a decorrere dall’anno 2022.

 

In merito ai profili di copertura finanziaria, con riferimento al comma 3, si ricorda che la norma istitutiva del Fondo per il finanziamento degli interventi di adeguamento dei porti, di cui all’articolo 18-bis della legge n. 84 del 1994, non reca l’indicazione della decorrenza del fondo medesimo. Si osserva pertanto che l’incremento di quest’ultimo attraverso una novella della norma originaria potrebbe ingenerare dubbi riguardo alla decorrenza dell’onere. Potrebbe, quindi, risultare opportuno incrementare la dotazione del Fondo indicandone l’ammontare, con decorrenza dal 2013, in una distinta disposizione. Sul punto appare opportuno acquisire l’avviso del Governo.


 

Articolo 23
(Disposizioni urgenti per il rilancio della nautica da diporto e del turismo nautico)

Il comma 1 modifica l’articolo 49-bis, comma 5, del Codice della nautica da diporto (D.Lgs. n. 171 del 2005), in materia di noleggio occasionale di unità da diporto, consentendo l’assoggettamento ad imposta sostitutiva del 20 per cento, a richiesta del percipiente, dei proventi derivanti dalle attività di noleggio occasionale di durata complessiva non superiore a 40 giorni, indipendentemente quindi dall’ammontare dei proventi derivanti dal noleggio. La norma novellata prevedeva invece la possibilità di assoggettamento ad imposta sostitutiva solo nel limite di proventi inferiori a 30.000 euro. Rimane ferma l’esclusione della detraibilità o deducibilità dei costi e delle spese sostenute relative all'attività di noleggio.

Si ricorda che l’articolo 49-bis, che viene qui modificato e con il quale è stata disciplinata per la prima volta l’attività di noleggio occasionale, è stato recentemente introdotto nel Codice della nautica da diporto dall’art. 59-ter D.L. n. 1 del 2012, con finalità di incentivazione del turismo nautico. La norma ha infatti consentito al titolare persona fisica, ovvero all’utilizzatore a titolo di locazione finanziaria, di imbarcazioni e navi da diporto di effettuare, in forma occasionale e senza quindi che potesse essere qualificata come attività commerciale ai fini fiscali, l’attività di noleggio di tali unità. Per i proventi derivanti da tale attività, purché non superassero i 30.000 euro annui, è stato consentito l’assoggettamento a imposta sostitutiva delle imposte sui redditi con aliquota al 20%.

In attuazione della norma, con D.M. Infrastrutture e Trasporti del 26 febbraio 2013 sono state definite le modalità di comunicazioni telematiche necessarie per lo svolgimento dell'attività di noleggio occasionale di unità da diporto.

La normativa in precedenza - art. 47 del Codice della Navigazione - disciplinava solo l’ordinario noleggio di unità da diporto, definito come il contratto con cui una delle parti, in corrispettivo del nolo pattuito, si obbliga a mettere a disposizione dell'altra l'unità da diporto per un determinato periodo, da trascorrere a scopo ricreativo in zone marine o acque interne di sua scelta, da fermo o in navigazione, alle condizioni stabilite dal contratto.

Per quanto riguarda l’ambito di applicazione della norma - premesso che per navigazione da diporto si intende quella effettuata in acque marittime ed interne a scopi sportivi o ricreativi e senza fine di lucro, nonché quella esercitata a scopi commerciali, anche mediante le navi con scafo di lunghezza superiore a 24 metri e di stazza lorda non superiore alle 1.000 tonnellate destinate in navigazione internazionale esclusivamente al noleggio per finalità turistiche, - si tratta, come già previsto nell’art. 49-bis, delle sole imbarcazioni e navi da diporto come definite nell’art. 3, comma 1 del Codice della nautica da diporto.

Si tratta quindi solamente delle seguenti:

§      le imbarcazioni da diporto, cioè le unità con scafo di lunghezza superiore a dieci metri e fino a ventiquattro metri (misurate secondo le norme armonizzate);

§      le navi da diporto, definite dal codice come le unità con scafo di lunghezza superiore a ventiquattro metri (sempre misurate secondo le norme armonizzate EN/ISO/DIS 8666).

 

Sono quindi escluse le altre tipologie di imbarcazioni destinate alla navigazione da diporto che sono contemplate nell’art. 3, comma 1 del codice e precisamente i natanti da diporto (unità da diporto a remi, o con scafo di lunghezza pari o inferiore a dieci metri) e le generiche unità da diporto (definizione residuale che individua ogni altra costruzione di qualunque tipo e con qualunque mezzo di propulsione destinata alla navigazione da diporto). Dovrebbero essere altresì esclusi, in base al fatto che sono equiparati ai fini dell'abilitazione al comando alle unità da diporto, i motoscafi ad uso privato (art. 39, co. 5, del Codice).

 

Per quanto riguarda gli aspetti fiscali il comma 5 dell’articolo 49-bis del Codice della nautica (D.Lgs. n. 171 del 2005), introdotto dall’articolo 59-ter, del D.L. n. 1/2012 ha istituito un regime fiscale agevolato opzionale (imposta sostitutiva delle imposte sui redditi, con aliquota del 20 per cento[78]) per i proventi derivanti dal noleggio occasionale (la cui durata complessiva non deve essere superiore a 40 giorni, come modificato dal presente articolo).

Nel dettaglio, si accede a tale regime agevolato a condizione che:

§       il percipiente ne faccia richiesta. Si tratta infatti di un regime opzionale;

§       i proventi derivino dall’attività di noleggio occasionale. Tale noleggio deve essere esercitato dunque da persona fisica (titolare o utilizzatore) ed avere ad oggetto imbarcazioni e navi da diporto;

§       i proventi non siano superiori a 30.000 euro annui (ora soppresso);

§       il contribuente effettui l’apposita comunicazione all’Agenzia delle entrate, pena l’impossibilità di fruire del regime agevolato o, se ne fruisce già, la decadenza dallo stesso.

L’opzione per l’imposta sostitutiva preclude la possibilità di detrarre o dedurre costi e spese sostenute in relazione all’attività di noleggio.

Per quanto concerne il versamento dell’imposta, esso si effettua al medesimo termine fissato per il versamento del saldo IRPEF; di conseguenza l’acconto IRPEF verrà calcolato senza tenere conto delle disposizioni così introdotte.

Si rimanda all’ordinaria disciplina delle imposte sui redditi per la liquidazione, l’accertamento, la riscossione e il contenzioso dell’imposta sostitutiva.

Si demanda infine a un provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate (non ancora emanato) la definizione di modalità semplificate di documentazione e dichiarazione dei predetti proventi, nonché la fissazione delle modalità di versamento dell’imposta sostitutiva e delle altre disposizioni di attuazione.

 

Il comma 2 modifica l’articolo 16, comma 2, del D.L. n. 201 del 2011, che ha istituito la tassa sulle unità da diporto a decorrere dal 1° maggio 2012 . La norma è stata successivamente interamente sostituita dall’art. 60-bis, comma 1, lett. a), del D.L. n. 1 del 2012.

L’articolo 60-bis, comma 1, lett. a), del D.L. n. 1 del 2012, al fine di semplificare la determinazione della tassa sulle unità da diporto, ne ha previsto la definizione su base annuale, anziché su un calcolo giorno per giorno sulla base dello stazionamento in porti nazionali o della navigazione in acque pubbliche, come previsto dal testo originario. La tassa annuale per le unità da diporto, da pagare dal 1° maggio di ogni anno, era, nel testo previgente alle modifiche introdotte dalla disposizione in commento, determinata nelle seguenti misure in base alla lunghezza dello scopo:

 

Tassa annuale unità da diporto

Comma 2, lett.

euro

lunghezza dello scafo

a)

800

10,01 - 12 metri

b)

1.160

12,01 - 14 metri

c)

1.740

14,01 - 17 metri

d)

2.600

17,01 - 20 metri

e)

4.400

20,01 - 24 metri

f)

7.800

24,01 - 34 metri

g)

12.500

34,01 - 44 metri

h)

16.000

44,01 - 54 metri

i)

21.500

54,01 - 64 metri

l)

25.000

superiore a 64 metri

 

Il comma 2 in esame dispone ora la soppressione delle lettere a) e b) esentando quindi dal pagamento della tassa le unità da diporto con lunghezza fino a 14 metri – e ne riduce l’ammontare per le imbarcazioni di lunghezza compresa tra i 14 e i 20 metri (lettere c) e d)), che viene rideterminato in 870 euro annui (in luogo di 1.740 euro) per le unità tra i 14 e i 17 metri, e in 1.300 euro (in luogo di 2.600 euro) per le unità tra i 17 e i 20 metri di lunghezza.

Conseguentemente la tassa annuale per le unità da diporto verrebbe ad essere così rideterminata:

 

 

Tassa annuale unità da diporto

Comma 2, lett.

euro

lunghezza dello scafo

a)

esente

10,01 - 12 metri

b)

esente

12,01 -14 metri

c)

870

14,01 - 17 metri

d)

1.300

17,01 - 20 metri

e)

4.400

20,01 - 24 metri

f)

7.800

24,01 - 34 metri

g)

12.500

34,01 - 44 metri

h)

16.000

44,01 - 54 metri

i)

21.500

54,01 a 64 metri

l)

25.000

superiore a 64 metri

 

Circa l’ambito di applicazione, si ricorda che il comma 7 dell'articolo 16, specifica che la tassa si applica ai proprietari, agli usufruttuari, agli acquirenti con patto di riservato dominio o agli utilizzatori a titolo di locazione anche finanziaria, per la durata della stessa, residenti nel territorio dello Stato, nonché alle stabili organizzazioni in Italia dei soggetti non residenti, che posseggano, o a cui sia attribuibile il possesso di unità da diporto;

La tassa non si applica invece:

-             ai soggetti non residenti e non aventi stabili organizzazioni in Italia che posseggano unità da diporto, sempre che il loro possesso non sia attribuibile a soggetti residenti in Italia;

-             alle unità bene strumentale di aziende di locazione e noleggio.

 

Si ricorda infine che il comma 3 dell'articolo 16 specifica che la riduzione della tassa al 50% prevista per le unità a vela con motore ausiliario si applica quando il rapporto fra superficie velica e potenza del motore espresso in Kw non sia inferiore a 0.5, nonché prevede la riduzione al 50% anche per le unità con scafo di lunghezza fino ad 12 metri utilizzate esclusivamente dai proprietari residenti, come propri ordinari mezzi di locomozione, nei comuni ubicati nelle isole minori e nelle isole della laguna di Venezia.

 

Sotto il profilo del coordinamento con la normativa vigente, alla luce dell’esenzione dalla tassa per le imbarcazioni fino a 14 metri, andrebbe soppressa la prima parte del comma 3 dell'articolo 16 del decreto-legge n. 201 del 2011, che dimezza la tassa per le unità con scafo di lunghezza fino ad 12 metri utilizzate esclusivamente dai proprietari residenti, come propri ordinari mezzi di locomozione, nei comuni ubicati nelle isole minori e nelle isole della laguna di Venezia.

 

Si ricorda che il provvedimento dell’Agenzia delle entrate del 24 aprile 2012 sono state definite modalità, termini di versamento e di comunicazione dei dati identificativi delle unità da diporto soggette alla tassa annuale. In particolare l’articolo 2, nello specificare che la tassa (da pagare dal 1° maggio ai sensi del comma 2 dell’articolo 16) è riferita al periodo 1° maggio - 30 aprile dell’anno successivo, stabilisce che il versamento della tassa è effettuato entro il 31 maggio di ciascun anno.

 

La disposizione in esame non chiarisce se, nei confronti di coloro che hanno già pagato si debba dar luogo a eventuale restituzione delle somme versate. Al riguardo cfr. infra l’analisi dei profili finanziari.

 

Profili finanziari

Il prospetto riepilogativo ascrive alla norma i seguenti effetti sui saldi di finanza pubblica.

 

(milioni di euro)

 

Saldo netto da finanziare

Fabbisogno

Indebitamento netto

 

2013

2014

2015

2013

2014

2015

2013

2014

2015

Minori entrate

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Riduzione tassa annuale sulle unità da diporto

1,2

11,9

11,9

1,2

11,9

11,9

1,2

11,9

11,9

 

La relazione tecnica, in merito al comma 1, afferma che, in considerazione del fatto che alla RT originaria non erano stati ascritti effetti in termini di gettito e che la modifica riguarda fattispecie piuttosto limitate, la disposizione è suscettibile di produrre effetti negativi in termini di gettito di trascurabile entità.

Si ricorda che l’art. 49-bis, comma 5, del D.Lgs. n. 171/2005[79] ha introdotto la facoltà per i soggetti che effettuano in forma occasionale attività di noleggio di imbarcazioni o navi da diporto di applicare un regime fiscale agevolato. In base a tale regime, i proventi, se di importo non superiore a 30.000 euro annui, possono essere assoggettati ad un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e relative addizionali fissata in misura pari al 20%.

La relazione tecnica allegata all’emendamento[80] introduttivo non ha ascritto effetti finanziari alla disposizione anche se, come rilevato dal Servizio bilancio dello Stato, trattandosi di un regime fiscale opzionale, risulterebbe applicato dai soli contribuenti che ne traggono un vantaggio sul piano tributario.

Con l’art. 16, comma 2, del decreto legge n. 201/2011[81] è stato modificato il regime impositivo per le unità da diporto (da tassa di stazionamento a tassa annuale di possesso), che viene ora applicato in rapporto alla lunghezza dello scafo. La relazione tecnica allegata alla norma con cui tale nuovo regime è stato introdotto ha quantificato effetti netti di maggior gettito annuo pari a 155 milioni annui (tali effetti sono ottenuti dalla differenza tra il gettito lordo - 221 milioni, rispetto ai quali viene fornita la quantificazione per scaglioni di lunghezza scafo – e una riduzione forfetaria che viene indicata in via cumulativa). I dati riferiti al gettito lordo ripartito per scaglioni, evidenziano un gettito pari a circa 25 mln per la fascia di lunghezza scafo di metri 10-12, a circa 36 mln per la fascia di lunghezza scafo 12-14, a circa 48 mln per la fascia di lunghezza scafo 14-17, a circa 50 mln per la fascia di lunghezza scafo 17-20 e, per le restanti lunghezze (suddivise per fasce di lunghezza) il gettito rimanente.

Il decreto legge n. 16 del 2012 ha introdotto un regime di esenzione in favore dei soggetti affetti da particolari patologie di cui alla legge n. 104/1992. Rispetto a tale modifica, la relazione tecnica ha ritenuto che gli effetti fossero di trascurabile entità in considerazione dell’esiguo numero di soggetti interessati.

Per quanto concerne il comma 2 dell’articolo in esame, la RT afferma che, sulla base dei versamenti effettuati nel 2012 (sia tramite i modelli F24, sia tramite versamenti diretti), la perdita di gettito è stimata in 1,2 mln nel 2013 e in 11,9 milioni annui a decorrere dal 2014.

 

In merito ai profili di quantificazione, per quanto concerne il comma 1¸si segnala che la disposizione rappresenta una facoltà per i contribuenti, i quali sceglieranno di applicare il regime sostitutivo solo nel caso di un risparmio d’imposta. Si ritiene pertanto che gli effetti negativi indicati dalla relazione tecnica andrebbero comunque quantificati ai fini della loro iscrizione nei saldi di finanza pubblica.

In proposito, si rinvia anche alle richieste di chiarimento formulate dal Servizio Bilancio della Camera dei deputati[82] in occasione dell’introduzione dell’agevolazione in commento.

 

Per quanto concerne la norma di copertura contenuta nel comma 2, si segnala che la relazione tecnica non fornisce indicazioni in merito agli elementi e alle ipotesi utilizzate per la quantificazione. Gli importi indicati nel prospetto riepilogativo, peraltro, non appaiono in linea con i dati forniti nella relazione tecnica allegata all’emendamento approvato nel corso dell’esame del decreto legge n. 1 del 2012[83]. Sul punto appare opportuno l’avviso del Governo.

Rispetto ad un gettito lordo stimato in 221 milioni annui, gli effetti ascritti sui saldi di finanza pubblica ammontano, al netto delle riduzioni forfetarie, a 155 milioni annui. Inoltre, con riferimento al gettito lordo, la quota attribuita alle prime due fasce (che ora divengono esenti) era quasi il 28% e la quota attribuita alla terza e quarta fascia (la cui imposta ora viene dimezzata) era quasi il 28%.

 

Ulteriori chiarimenti andrebbero forniti in merito agli effetti ascritti nel 2013 tenuto conto che si tratta di un’imposta annuale il cui termine di versamento è scaduto il 31 maggio 2013[84]. Andrebbero pertanto indicati i criteri utilizzati per la stima del minor gettito 2013 (1,2 milioni) e andrebbe altresì chiarito se siano stati valutati i possibili effetti recati dalle eventuali richieste di rimborso dell’imposta imposta versata, per l’anno 2013, dai contribuenti entro il regolare termine di versamento.

 

In merito ai profili di copertura finanziaria si segnala che la disposizione di cui al comma 2 non indica esplicitamente la quantificazione delle minori entrate derivanti dalle modifiche alle tariffe per la nautica da diporto. Tale quantificazione può desumersi esclusivamente dalla relazione tecnica e dal prospetto riepilogativo degli effetti finanziari allegato alla stessa. Pertanto al fine di verificare la coerenza tra gli oneri quantificati e la loro copertura finanziaria di cui all’articolo 61, appare opportuno integrare la disposizione in esame, indicando esplicitamente la quantificazione delle relative minori entrate, valutata in 1,2 milioni di euro per il 2013 e in 11,9 milioni di euro annui a decorrere dal 2014. Sul punto appare opportuno acquisire l’avviso del Governo.


 

Articolo 24
(Disposizioni in materia ferroviaria)

L’articolo 24 interviene in materia ferroviaria in diversi ambiti:

§      con il comma 1 in materia di accesso all’infrastruttura ferroviaria ed ai servizi relativi, modificando il d.lgs. n. 188/2003;

§      con il comma 2 sulla separazione contabile e dei bilanci delle imprese ferroviarie;

§      con i commi 3 e 4 sul cabotaggio per i servizi passeggeri ferroviari nazionali a media e lunga percorrenza, modificando la legge n. 99 del 2009.

Canoni per l’accesso all’infrastruttura ferroviaria e ai servizi (comma 1)

Il comma 1, lett. a), modifica l'articolo 17, comma 1, del decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 188, che ha dato attuazione nel nostro ordinamento alle direttive 2001/12/CE, 2001/13/CE e 2001/14/CE in materia ferroviaria e che disciplina i canoni di accesso all’infrastruttura ferroviaria. L’art. 17 in particolare definisce attualmente la procedura per la determinazione del canone dovuto per l'accesso all'infrastruttura ferroviaria nazionale prevedendo che, ai fini dell'accesso e dell'utilizzo equo e non discriminatorio dell'infrastruttura ferroviaria da parte delle associazioni internazionali di imprese ferroviarie e delle imprese ferroviarie, il canone sia stabilito con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, acquisita una motivata relazione da parte del Gestore dell'infrastruttura ferroviaria (vale a dire Rfi Spa), previo parere del CIPE e d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano limitatamente ai servizi di loro competenza.

In relazione al decreto ministeriale di determinazione dei canoni per l’accesso all’infrastruttura ferroviaria, si ricorda che il termine del 30 giugno 2006 previsto per l’emanazione di tale decreto in base all’articolo 17 comma 10 del d.lgs. 8 luglio 2003, n. 188, è stato successivamente più volte prorogato, ad opera dell’art. 17 del decreto legge n. 248/2007, poi dell’art. 25 del D.L: n. 207 del 2008 ed infine abrogato dall’articolo 62 della legge n. 99 del 2009. L’articolo 17 del d.lgs. n. 188/2003 prevedeva peraltro che, nelle more dell’emanazione del decreto, i canoni di utilizzo dell'infrastruttura ferroviaria continuassero ad essere calcolati sulla base dei criteri dettati dal D.M. 21 marzo 2000 e dal D.M. 22 marzo 2000 del Ministero delle infrastrutture e trasporti, successivamente poi adeguati in base al tasso di inflazione (DM 15 luglio 2003 , DM 18 agosto 2006).

Si segnala peraltro che la determinazione dei canoni per l’accesso all’infrastruttura ferroviaria potrebbe rientrare tra le future competenze dell’Autorità di regolazione per i trasporti, istituita dal decreto-legge n. 201/2011 ma non ancora operativa. Tra le competenze dell’Autorità rientrano infatti il compito di garantire “condizioni di accesso eque e non discriminatorie alle infrastrutture ferroviarie, portuali, aeroportuali e alle reti autostradali” e quello di “definire i criteri per la fissazione di tariffe, canoni e pedaggi”, nonché, con riferimento specifico al trasporto ferroviario, quello di “sentiti il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, le regioni e gli enti locali interessati, definire gli ambiti del servizio pubblico sulle tratte e le modalità di finanziamento” (art. 37 del decreto-legge n. 201/2011).

Con la modifica del comma 1 lett. a) in commento si prevede invece che il decreto ministeriale debba solo approvare la proposta del Gestore per l'individuazione del canone dovuto e che il decreto stesso sia adottato semplicemente sentita la Conferenza Stato-Regioni, anziché previa intesa con la Conferenza stessa, come previsto in precedenza.

Si ricorda che l'assetto del sistema ferroviario italiano, secondo quanto previsto dalle direttive comunitarie in materia, in particolare del c.d. “terzo pacchetto ferroviario” recepite con la legge n. 99 del 2009 e con il D.Lgs. n. 15 del 2010, è caratterizzato da una situazione di separazione tra gestione dell'infrastruttura ferroviaria e svolgimento del servizio, alla quale si è accompagnata la separazione societaria, all'interno dell'Holding Ferrovie dello Stato Spa, tra RFI, società titolare della concessione della rete, e Trenitalia, concessionaria del servizio pubblico ferroviario. Nel contesto di separazione tra gestione della rete ed attività di trasporto, l’articolo 38 della legge n. 166/2002, come modificato dall’articolo 9, comma 2-bis, del decreto-legge n. 159/2007, ha stabilito che tutti i servizi di trasporto ferroviario di interesse nazionale, sia passeggeri che merci, da sottoporre al regime degli obblighi di servizio pubblico siano regolati con contratti di servizio di durata quinquennale, non sottoposti a parere parlamentare, da affidare mediante procedura che rispetti la normativa comunitaria (la quale allo stato non impone l’obbligo di gara; con la modifica introdotta con il decreto-legge n. 159/2007 è stato soppresso il precedente riferimento all’espletamento di “procedure concorsuali”). In base al decreto legislativo n. 188/2003 i rapporti tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e RFI Spa sono stati affidati, nell’ambito di una concessione sessantennale, a contratti di programma quinquennali, previamente sottoposti, in questo caso, al parere parlamentare.

Si ricorda altresì che la IX Commissione della Camera ha svolto nella scorsa legislatura un'indagine conoscitiva sul settore del trasporto ferroviario di passeggeri e merci, il cui documento conclusivo, approvato all’unanimità il 24 gennaio 2012 ha , tra le altre, prospettato la necessità delle seguenti misure :

§       la possibile separazione proprietaria fra gestore della rete e fornitore del servizio, che si potrebbe realizzare collocando RFI (Rete Ferroviaria Italiana) al di fuori del Gruppo Ferrovie dello Stato (di cui è parte il fornitore dei servizi ferroviari Trenitalia), pur mantenendo il controllo pubblico del gestore, previa puntuale verifica dell'economicità della gestione;

§       piena garanzia della concorrenza, attraverso l'istituzione di una nuova Autorità indipendente dei trasporti, ovvero mediante l’ampliamento delle funzioni di un'Autorità esistente;

§       ridefinizione del servizio universale, inteso quale insieme minimo di servizi di qualità predefinita per i quali non sia possibile l'equilibrio economico, ma che si ritiene tuttavia necessario di garantire alla collettività con meccanismi di compensazione finanziaria pubblica, anche prevedendone un'apertura alla concorrenza tra le imprese, che dovrebbe manifestarsi non «nel mercato» ma «per il mercato», ossia selezionando, mediante gara, le imprese in grado di svolgere con più efficienza i servizi stessi.

 

Il comma 1 lett. b) sostituisce poi il comma 11 dell’art. 17, aggiungendo, rispetto al testo vigente, la previsione dell’emanazione di uno o più decreti ministeriali che possano regolare anche i corrispettivi dei servizi non ricompresi in quelli obbligatori inclusi nel canone di accesso all'infrastruttura.

L’art. 17 rinvia attualmente a uno o più decreti del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, da pubblicarsi nella Gazzetta Ufficiale, per:

1)      la definizione del quadro per l'accesso all'infrastruttura, i principi e le procedure per l'assegnazione della capacità di cui all'articolo 27 del decreto;

2)      il calcolo del canone ai fini dell'utilizzo dell'infrastruttura ferroviaria;

3)      i corrispettivi per la fornitura dei servizi di cui all'articolo 20;

4)      le regole in materia di servizi di cui al medesimo articolo 20.

 

Con la modifica della lett. b), che interviene sul sopra citato punto 3), il decreto ministeriale potrà anche prevedere corrispettivi per i servizi di cui all’articolo 20 non ricompresi in quelli obbligatori inclusi nel canone di accesso all'infrastruttura. L’art. 20 ricomprende infatti una elencazione di servizi la cui fornitura è ricompresa obbligatoriamente nel canone ed una seconda elencazione di servizi a cui le imprese hanno diritto ma senza che sia specificato nella sul fatto che il loro costo sia ricompreso nel canone, consistenti ad esempio nell’accesso a stazioni passeggeri, ad aree di sosta e ricovero treni, ai centri di manutenzione, alle aree smistamento treni, agli scali merci ed agli impianti di combustibile, nonché in altri servizi complementari.

 

In proposito si ricorda infatti che l’art. 20 del D.Lgs. n. 188 del 2003 prevede che il gestore dell'infrastruttura debba garantire alle associazioni internazionali di imprese ferroviarie e alle imprese ferroviarie cui sono state assegnate tracce orarie, a condizioni eque e non discriminatorie, e senza corresponsione di alcun onere aggiuntivo rispetto al canone di accesso, la fornitura dei seguenti servizi:

a) trattamento delle richieste di capacità di infrastruttura, ai fini della conclusione dei contratti per la conclusione dei diritti di utilizzo dell’infrastruttura ferroviaria; b) utilizzo della capacità assegnata; c) uso degli scambi e dei raccordi; d) controllo e regolazione della circolazione dei treni, segnalamento e instradamento dei convogli, nonché comunicazione di ogni informazione relativa alla circolazione; e) uso del sistema di alimentazione elettrica per la corrente di trazione, ove disponibile; f) ogni altra informazione necessaria per la realizzazione o la gestione del servizio per il quale è stata concessa la capacità.

Inoltre, le stesse imprese hanno anche diritto, dietro pagamento di corrispettivi equi e non discriminatori, all'accesso ed all'utilizzo, a condizioni eque, non discriminatorie e trasparenti, di: a) impianti di approvvigionamento di combustibile; b) stazioni passeggeri, strutture ed edifici ad esse annessi; c) scali e terminali merci; d) aree e impianti di smistamento e di composizione dei treni; e) aree, impianti ed edifici destinati alla sosta, al ricovero ed al deposito di materiale rotabile e di merci; f) centri di manutenzione ed ogni altra infrastruttura tecnica. Il gestore dell'infrastruttura può rifiutare le richieste delle imprese ferroviarie di fornitura di questi servizi esclusivamente qualora sussistano valide alternative a condizioni di mercato.

Infine, il gestore dell'infrastruttura presta, ove disponibili, anche i seguenti servizi complementari: a) corrente di trazione; b) preriscaldamento treni passeggeri; c) fornitura di combustibile e ogni altro servizio fornito presso le infrastrutture a cui è consentito l'accesso; c-bis) servizi di manovra;c-ter) controllo della circolazione di treni che effettuano trasporti di merci pericolose, previa sottoscrizione di contratti specifici con il gestore dell’infrastruttura;c-quater) assistenza alla circolazione di treni speciali, previa sottoscrizione di contratti specifici con il gestore dell’infrastruttura

 

Separazione contabile e dei bilanci delle imprese ferroviarie (comma 2)

 

Il comma 2 dell’articolo 24 reca una norma che intende rispondere ai rilievi della Commissione europea nella procedura di infrazione 2012/2213 nella quale si chiede di completare l'adeguamento della normativa nazionale agli obblighi previsti dalla direttiva 91/440/CEE, in materia di separazione contabile e dei bilanci, attuata nel nostro ordinamento dal D.Lgs n. 188 del 2003.

La disposizione aggiunge a tal fine all'articolo 5 del decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 188, un nuovo comma 4-bis in base al quale la separazione contabile e dei bilanci dovrà fornire la rappresentazione trasparente delle attività di servizio pubblico e dei corrispettivi e/o fondi pubblici percepiti per ogni attività.

Si ricorda che la separazione contabile e dei bilanci è disciplinata dallo stesso articolo 5 del D.Lgs. n. 188 del 2003 il quale prevede l’obbligo per le imprese ferroviarie di rendere pubblico il bilancio annuale, nel quale vanno tenute separate le attività connesse con la prestazione di servizi di trasporto merci. Qualora siano erogati fondi per le attività relative alla prestazione di servizi di trasporto per servizio pubblico, questi devono figurare separatamente nella pertinente contabilità e non possono essere trasferiti alle attività relative alla prestazione di altri servizi di trasporto o ad altre attività. Qualora l'impresa ferroviaria svolga attività connesse alla gestione dell'infrastruttura ferroviaria, nel bilancio sono tenute separate le attività connesse alla prestazione di servizi di trasporto da quelle connesse alla gestione dell'infrastruttura ferroviaria. Il finanziamento pubblico concesso ad uno di questi due settori di attività non può essere trasferito all'altro. I conti relativi ai due settori di attività sono tenuti in modo da riflettere tale divieto

 

Cabotaggio e limitazioni di accesso al mercato per i servizi passeggeri ferroviari nazionali (commi 3 e 4)

 

Il comma 3 dell’art. 24, interviene in vario modo sulle procedure di accesso al mercato nei segmenti di trasporto nazionale passeggeri a media e lunga percorrenza, nonché per integrare il recepimento della direttiva 2007/58/CE.

Il comma 3, lett. a) dell’art. 24, modifica innanzitutto l'articolo 59 della legge 23 luglio 2009, n. 99, relativamente alle limitazioni allo svolgimento di servizi ferroviari passeggeri in ambito nazionale. La norma che si intende novellare attualmente prevede che lo svolgimento di servizi ferroviari passeggeri in ambito nazionale, ivi compresa la parte di servizi internazionali svolta sul territorio italiano, possa essere soggetto a limitazioni nel diritto di far salire e scendere passeggeri in stazioni situate lungo il percorso del servizio, nei casi in cui il loro esercizio possa compromettere l’equilibrio economico di un contratto di servizio pubblico (del quale è titolare, come si è visto, Trenitalia Spa, società del gruppo Ferrovie dello Stato Spa) in termini di redditività di tutti i servizi coperti da tale contratto, incluse le ripercussioni sul costo netto per le competenti autorità pubbliche titolari del contratto, domanda dei passeggeri, determinazione dei prezzi dei biglietti e relative modalità di emissione, ubicazione e numero delle fermate, orario e frequenza del nuovo servizio proposto.

Occorre ricordare infatti che in tale ottica l’art. 21, comma 4 del D.L. n. 98 del 2011 era intervenuto introducendo all’art. 17 del D.Lgs. n. 188 del 2003 un comma 11-ter che ha previsto a decorrere dal 13 dicembre 2011, un sovrapprezzo al canone dovuto per l'esercizio dei servizi di trasporto passeggeri a media e lunga percorrenza, non forniti nell'ambito di contratti di servizio pubblico, per la parte espletata su linee appositamente costruite o adattate per l'alta velocità, la cui finalità dichiarata era di consentire uno sviluppo dei processi concorrenziali nel settore dei trasporti ferroviari, in armonia con la necessità di assicurare la copertura degli oneri per i servizi universali di trasporto ferroviario di interesse nazionale oggetto di contratto di servizio pubblico. La misura del sovrapprezzo (comma 11-quater), aggiornata ogni tre anni, è determinata, conformemente al diritto comunitario – e in particolare alla direttiva 2007/58/CE[85], recepita in Italia con il D.Lgs. 25 gennaio 2010, n. 15 - ai principi di equità, trasparenza, non discriminazione e proporzionalità, con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentito l’Ufficio per la regolazione dei servizi ferroviari sulla base dei costi dei servizi ferroviari oggetto dei contratti di servizio pubblico, senza compromettere la redditività economica del servizio di trasporto ad alta velocità. I proventi derivanti dall’imposizione del sovrapprezzo non possono eccedere quanto necessario per coprire, in tutto o in parte, i costi originati dall’adempimento degli obblighi di servizio pubblico, tenendo conto degli introiti relativi agli stessi obblighi di servizio pubblico e di un margine di utile ragionevole per l’adempimento di detti obblighi.

 

La modifica del comma 3, lett. a) consiste nel sostituire le parole: "diritto di far salire e scendere" con il "diritto di far salire o scendere", circoscrivendo quindi la limitazione, per le imprese concorrenti dell’impresa titolare del contratto di servizio pubblico, alla salita alternativamente alla discesa.

 

Si ricorda anche che l'articolo 58 della legge n. 99/2009 ha stabilito che per lo svolgimento di servizi ferroviari passeggeri aventi origine e destinazione sul territorio italiano è necessario il possesso di una licenza che può essere rilasciata unicamente ad imprese aventi sede legale in Italia e, se controllate da imprese straniere, a condizioni di reciprocità. In base all'articolo 60 la medesima licenza è necessaria anche per il trasporto ferroviario regionale e locale qualora questo utilizzi l'infrastruttura nazionale.

 

La lett. b) del comma 3 inserisce poi i nuovi commi 4-bis e 4-ter allo stesso articolo 59 della sopra citata legge n. 99/2009, introducendo per l’autorità competente la possibilità di imporre, in alternativa alle limitazioni sopra richiamate, il pagamento di diritti di compensazione da parte delle imprese ferroviarie diverse dall’impresa titolare del contratto di pubblico servizio che intendono far salire o scendere passeggeri in stazioni italiane.

In dettaglio, il nuovo comma 4-bis prevede che l'autorità competente, qualora venga accertata la compromissione dell'equilibrio economico del contratto di servizio pubblico, possa richiedere all'impresa ferroviaria oggetto della procedura di cui al comma 2, la riscossione di opportuni, trasparenti e non discriminatori diritti di compensazione. Viene stabilito peraltro che tale compensazione non possa eccedere quanto necessario per coprire i costi originati dall'adempimento degli obblighi di servizio, inclusa la componente di remunerazione del capitale investito prevista nei contratti di servizio.

Nel caso in cui le imprese ferroviarie, interessate dal procedimento di limitazione di cui ai commi 1 e 2, provvedano al pagamento dei diritti alla competente autorità, queste non saranno più soggette alle limitazioni sul far salire o scendere i passeggeri fintanto che non si incorra in nuove ulteriori compromissioni dei contratti di servizio pubblico sulle relazioni interessate.

Con il nuovo comma 4-ter si dispone che si prescinda dalla valutazione di cui ai commi precedenti e dalle limitazioni conseguenti (vale a dire la possibilità per l’autorità competente di imporre limitazioni o il pagamento di diritti di compensazione), qualora il modello di esercizio sia tale che le fermate intermedie siano a distanza superiore ai 100 Km e i livelli tariffari applicati risultino di almeno il 20% superiori a quelli dei servizi a committenza pubblica.

In sostanza: le imprese ferroviarie che vogliano far salire i propri passeggeri in stazioni italiane, anche nell’ambito di treni di collegamento internazionale, non potranno essere soggette a limitazioni o al pagamento di diritti di compensazione se la distanza tra le fermate intermedie superi i 100 km e se le tariffe relative sono almeno del 20% superiori a quelle dei servizi a committenza pubblica.

Si ricorda che nell’ambito del “quarto pacchetto ferroviario” è compresa una proposta di regolamento sull'apertura del mercato dei servizi di trasporto nazionale di passeggeri per ferrovia (COM(2013)28) adottata dalla Commissione europea il 30 gennaio 2013 e trasmessa al Parlamento europeo.

 

La proposta prevede, con la finalità di aumentare la quantità e migliorare la qualità dei servizi di trasporto passeggeri, norme comuni in materia di aggiudicazione dei contratti di servizio pubblico mediante gara nel trasporto di passeggeri per ferrovia, che diventa la regola generale anche nel trasporto ferroviario (con un periodo decennale di transizione fino al 2 dicembre 2019), consentendo anche alle autorità competenti di aggiudicare a imprese ferroviarie diverse contratti di trasporto passeggeri per ferrovia che riguardano parti della stessa rete o un complesso di tragitti. La possibilità di aggiudicazione diretta a un operatore interno per un contratto di volume esiguo o quale misura di emergenza e la verifica giuridica della decisione di aggiudicazione saranno disposizioni di applicazione immediata. I contratti di servizio pubblico nel settore ferroviario che sono aggiudicati direttamente tra il 1° gennaio 2013 e il 2 dicembre 2019, potranno restare in vigore fino alla data di scadenza, ma non oltre il 31 dicembre 2022. Si prevedono inoltre misure di accompagnamento atte a migliorare l'esito delle procedure di gara.

Procedure di contenzioso

Il 24 gennaio 2013 la Commissione europea ha inviato all’Italia di una lettera di messa in mora ex art. 258 TFUE, in materia di separazione contabile delle imprese ferroviarie e dei gestori dell’infrastruttura ferroviaria, contestando in particolare la corretta applicazione da parte dell’Italia degli artt. 6, paragrafo 1, e 9, paragrafo 4, della direttiva 91/440/CEE del Consiglio, modificata dalla direttiva 2011/12/CE, relativa allo sviluppo delle ferrovie comunitarie, e dell’art. 6, paragrafo 1, in combinato disposto con il punto 5 dell’allegato del regolamento (CE) n. 1370/2007, relativo ai servizi pubblici di trasposto passeggeri su strada e per ferrovia.

Attraverso il sistema EU-Pilot[86] (rif. 2465/11/DG MOVE), la Commissione ha invitato le autorità italiane a fornire chiarimenti in merito alla corretta applicazione della normativa dell’UE, a seguito dei quali è emerso che l’Italia ha correttamente recepito la normativa europea, ma non l’ha correttamente applicata.

Per quanto riguarda l’applicazione dell’art. 6, paragrafo 1, della direttiva 91/440/CEE del Consiglio, modificata dalla direttiva 2011/12/CE, che vieta ogni trasferimento di finanziamenti pubblici tra il gestore dell’infrastruttura e l’operatore ferroviario, è emerso che ha avuto luogo un certo numero di trasferimenti di attività o impianti da parte del gestore dell’infrastruttura (RFI – Rete ferroviaria italiana) all’operatore ferroviario (Trenitalia e FS Logistica).

Per quanto riguarda l’applicazione dell’art. 9, paragrafo 4, della direttiva 91/440/CEE del Consiglio, modificata dalla direttiva 2011/12/CE, che dispone la pubblicazione di conti separati per le atttività connesse alla prestazione di servizi di trasposto merci, è risultato che la società FS Logistica non ha mai pubblicato la sua contabilità.

In meritio all’applicazione dell’art. 6, paragrafo 1, in combinato disposto con con il punto 5 dell’allegato del regolamento (CE) n. 1370/2007, si escludono i trasferimenti di ricavi da un servizio pubblico a un altro settore di attività dell’operatore pubblico, mentre i fondi erogati per le attività relative alla prestazione di servizi di trasporto passeggeri a titolo di servizio pubblico non risultano correttamente indicati nei conti.

La Commissione ha ritenuto pertanto che l’Italia sia venuta meno agli obblighi imposti dalla sopracitata normativa e ha avviato la procedura di infrazione n. 2013/2213.

Nella relazione al decreto-legge n. 69, il Governo precisa che l’Italia ha recepito la separazione contabile fra le varie attività (soprattutto tra il settore merci e passeggeri), ma non la parte relativa all’ulteriore separazione contabile dei bilanci e dei conti profitti e perdite connessi alle singole attività, ovvero quelle oggetto di contribuzione pubblica e quelle a mercato, ritenendo sufficiente l’adozione di una contabilità regolatoria ricostruita ex post sulla base dei dati di contabilità industriale. Attraverso il comma 2 dell’art. 24 si è quindi provveduto all’inserimento, nel testo del decreto legislativo n. 188 del 2003, di tale ulteriore condizione, a chiarimento degli obblighi

 

Profili finanziari

Il prospetto riepilogativo non considera le norme.

 

La relazione tecnica afferma, con riferimento al comma 1 (determinazione del canone per l’utilizzo dell’infrastruttura ferroviaria con apposito decreto del Ministro, su proposta del Gestore), che la modifica riconosce la sussistenza di una piena autonomia decisionale del Gestore nella definizione del canone per l’accesso, lasciando al Ministero la verifica di conformità della proposta rispetto ai principi di determinazione del canone stesso. Per la medesima motivazione viene introdotto - in luogo dell’approvazione preliminare dello schema di decreto da parte della Conferenza Stato-regioni (come previsto dalla previgente normativa) - un procedimento di consultazione della Conferenza stessa.

Con riferimento al comma 2 (separazione contabile delle attività di servizio pubblico e dei corrispettivi pubblici), la RT afferma che la norma è finalizzata a dare riscontro ad alcuni rilievi esposti dalla Commissione europea e tradottisi nella procedura di infrazione 2012/2213. La separazione contabile dei bilanci, prevista dalla direttiva europea 91/440/CEE in materia di separazione contabile dei bilanci, già attuata nel nostro ordinamento dal D. Lgs. 188/2003, richiede tuttavia un ulteriore adeguamento volto a soddisfare la richiesta, formulata dalla Commissione, di fornire una rappresentazione trasparente delle attività di servizio pubblico e dei corrispettivi percepiti per ogni attività.

In sintesi, con riferimento ai commi 1 e 2 la RT afferma che dalle norme non derivano nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, ma al contrario possono derivare risparmi connessi all’archiviazione della procedura di infrazione 2012/2213.

Per quanto attiene al comma 3 (diritti di compensazione nei servizi ferroviari passeggeri in ambito nazionale), la RT afferma che le disposizioni sono volte a dare soluzione ad alcuni ostacoli applicativi riscontrati per l’attuazione della legge 99/2009, prevedendo che le competenti autorità possano richiedere alle imprese ferroviarie che forniscono trasporto internazionale di passeggeri, in luogo delle limitazioni nel diritto di far salire o scendere i passeggeri in stazioni situate lungo il percorso del servizio, il pagamento di diritti di compensazione, comprensivi della remunerazione del capitale investito prevista nei contratti di servizio pubblico. Al fine di garantire un certo ambito di mercato libero anche sulle linee già impegnate dai servizi di pubblica utilità, viene esclusa la compensazione nel caso in cui il modello di esercizio preveda fermate distanti tra loro più di 100 km. e i livelli tariffari superino di almeno il 20% quelli dei servizi a committenza pubblica.

La RT conclude affermando che anche il comma 3 non comporta oneri a carico della finanza pubblica.

 

In merito ai profili di quantificazione, si osserva che dalla riscossione di diritti di compensazione (comma 3) possono derivare entrate aggiuntive per le autorità competenti nel settore del trasporto pubblico. Dalla norma, pertanto, non dovrebbero derivare effetti diretti per la finanza pubblica. Con riferimento ai possibili effetti di carattere indiretto, appare utile acquisire chiarimenti circa il regime fiscale applicato all’impresa che fornisce il trasporto internazionale, stante la deducibilità dei diritti di compensazione.

Appare altresì utile acquisire valutazioni circa l’impatto dell’introduzione dei suddetti diritti, con particolare riferimento alla traslazione del loro onere sugli utenti finali del servizio.


 

Articolo 25, commi 1-4 e 7-8
(Disposizioni conseguenti alla soppressione dell’Agenzia per le infrastrutture stradali ed autostradali )

Disposizioni concernenti il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (commi 1-4)

 

I commi da 1 a 4 dell'articolo 25 recano disposizioni finalizzate a consentire l'espletamento da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (MIT), senza soluzione di continuità, delle attività di vigilanza sulle concessionarie autostradali, transitate al MIT a decorrere dal 1° ottobre 2012, unitamente alle altre competenze individuate dall'art. 36 del D.L. 98/2011, in seguito alla soppressione dell'Agenzia per le infrastrutture stradali ed autostradali.

A tal fine vengono disciplinate idonee modalità di trasferimento al MIT delle necessarie risorse umane (comma 1) e finanziarie (commi 2, 3 e 4).

Relativamente alla richiamata Agenzia per le infrastrutture stradali ed autostradali si ricorda che essa è stata istituita (a decorrere dal 1° gennaio 2012) dall’art. 36 del D.L. 98/2011, che ha introdotto un’articolata disciplina volta a ridefinire l’assetto delle funzioni e delle competenze in materia di gestione della rete stradale e autostradale di interesse nazionale. L’art. 36, comma 2, ha quindi provveduto ad elencare le funzioni attribuite all’Agenzia, che possono essere così riassunte:

§         funzioni di programmazione della costruzione di nuove strade statali e nuove autostrade e del loro progressivo miglioramento;

§         funzioni di amministrazione concedente;

§         approvazione dei progetti relativi ai lavori inerenti la rete autostradale di interesse nazionale;

§         proposta in ordine alla regolazione e variazioni tariffarie per le concessioni autostradali;

§         vigilanza sui concessionari;

§         studi e sperimentazioni in materia di viabilità, traffico e circolazione;

§         effettuazione, a pagamento, di consulenze e progettazioni per conto di altre amministrazioni od enti italiani e stranieri.

 

Il successivo comma 4 ha disposto il subentro (entro il 30 settembre 2012) dell'Agenzia ad ANAS s.p.a. nelle funzioni di concedente per le convenzioni in essere alla stessa data.

Il comma 5 dell’art. 36 ha poi disposto, relativamente alle attività e ai compiti di cui al comma 2, che l'Agenzia esercita ogni competenza già attribuita in materia all'Ispettorato di vigilanza sulle concessionarie autostradali e ad altri uffici di ANAS s.p.a. ovvero ad uffici di amministrazioni dello Stato, i quali sono conseguentemente soppressi a decorrere dal 1° gennaio 2012.

Per garantire l’espletamento delle funzioni trasferite, lo stesso comma 5 ha previsto il trasferimento all’Agenzia:

§         del personale degli uffici soppressi con rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, in servizio alla data del 31 maggio 2012;

Lo stesso comma 5 ha dettato disposizioni per il trasferimento delle risorse umane e per l’applicazione del trattamento economico.

Tali disposizioni hanno disposto che al personale trasferito “si applica la disciplina dei contratti collettivi nazionali relativi al comparto Ministeri e dell'Area I della dirigenza. Il personale trasferito mantiene il trattamento economico fondamentale ed accessorio, limitatamente alle voci fisse e continuative, corrisposto al momento del trasferimento, nonché l'inquadramento previdenziale. Nel caso in cui il predetto trattamento economico risulti più elevato rispetto a quello previsto è attribuito per la differenza un assegno ad personam riassorbibile con i successivi miglioramenti economici a qualsiasi titolo conseguiti. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze ed il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione si procede alla individuazione delle unità di personale da trasferire all'Agenzia e alla riduzione delle dotazioni organiche e delle strutture delle amministrazioni interessate al trasferimento delle funzioni in misura corrispondente al personale effettivamente trasferito. Con lo stesso decreto è stabilita un'apposita tabella di corrispondenza tra le qualifiche e le posizioni economiche del personale assegnato all'Agenzia”.

§         delle risorse finanziarie :

-      previste per detto personale a legislazione vigente nello stato di previsione del MIT;

-      nonché delle risorse di cui all'art. 1, comma 1020, della L. 296/2006, già finalizzate, in via prioritaria, alla vigilanza sulle concessionarie autostradali nei limiti delle esigenze di copertura delle spese di funzionamento dell'Agenzia (sulla disciplina relativa al citato canone annuo si rinvia a quanto riportato nel commento al comma 2).

 

Nelle more dell’adozione dello statuto della nuova Agenzia, l’art. 11, comma 5, del D.L. 216/2011 (come novellato dall'art. 12, comma 79, lett. a), del D.L. 95/2012) ha previsto, in caso di mancata adozione entro il 30 settembre 2012 dello statuto e del D.P.C.M. di individuazione delle unità di personale da trasferire all'Agenzia, la soppressione dell'Agenzia stessa e il trasferimento al MIT, a decorrere dal 1° ottobre 2012, delle attività e dei compiti già attribuiti alla medesima. Lo stesso comma 5 dell’art. 11 ha chiarito che il MIT, in caso di soppressione dell’Agenzia, sarebbe rimasto titolare delle risorse previste dall'art. 36, comma 5, del D.L. 98/2011.

Scaduto inutilmente il termine per l’emanazione dello statuto, l’Agenzia è stata considerata soppressa (ai sensi del citato art. 11) e quindi con il decreto 1° ottobre 2012, n. 341, il MIT ha provveduto all’istituzione della Struttura di vigilanza sulle concessionarie autostradali, cui è stata affidata la gran parte delle funzioni indicate dal comma 2 dell’art. 36, del D.L. 98/2011, che inizialmente erano state affidate all’Agenzia.

Il citato decreto n. 341/2012, oltre ad individuare le funzioni trasferite, ha dettato disposizioni in materia di personale e, all’art. 5, ha previsto che alla copertura degli oneri relativi al funzionamento della Struttura nonché delle spese derivanti dalle attività connesse alle funzioni attribuite alla Struttura medesima “si provvede ai sensi dell’articolo 36, comma 5, del decreto-legge n. 98/2011, mediante utilizzo delle risorse derivanti dall’articolo 1, comma 1020, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, da versare all’entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate con uno o più decreti del Ministro dell’economia e delle finanze sui pertinenti capitoli di bilancio nello stato di previsione della spesa del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti”.

 

Nel dettaglio, il comma 1, per la finalità suindicata, demanda ad un D.P.C.M. le modalità di individuazione delle risorse umane che devono essere trasferite dall’A.N.A.S. S.p.A. al MIT, nonché la definizione della tabella di equiparazione tra il personale trasferito e quello appartenente al comparto Ministeri e all'Area I della dirigenza. Il personale così trasferito, a cui continua ad applicarsi quanto previsto dall’articolo 36, comma 5, del D.L. 98/2011, mantiene la posizione assicurativa già costituita nell’assicurazione generale obbligatoria, ovvero nelle forme sostitutive o esclusive della predetta assicurazione.

Si segnala che il testo non prevede un termine entro il quale il suddetto D.P.C.M. debba essere adottato.

 

Ai fini della copertura degli oneri connessi al trasferimento di personale previsto dal comma 1, il comma 2 prevede che il D.P.C.M. contemplato dal comma 1 provveda all’individuazione delle risorse derivanti:

§         dalle sub-concessioni su sedime autostradale;

La relazione tecnica quantifica le risorse derivanti dai canoni di sub-concessione, già dovuti al concedente ai sensi delle convenzioni, “in 21,7 milioni di euro come da bilancio ANAS 2011 e previsti per il 2013 nell’ordine di 17 milioni di euro”.

§         e, ove necessario, di quelle derivanti dal canone comunque corrisposto ad ANAS S.p.a. ai sensi dell’art. 1, comma 1020, secondo periodo, della L. 296/2006, anche mediante apposita rideterminazione della quota percentuale del predetto canone da corrispondere direttamente ad ANAS S.p.a. da parte dei concessionari autostradali.

L’art. 10, comma 3, della L. 537/1993 ha previsto che, a decorrere dal 1° gennaio 1994, gli enti concessionari di autostrade sono tenuti a corrispondere allo Stato un canone annuo, la cui misura è stata più volte modificata: dall’art. 1, comma 1020, della L. 296/2006 (finanziaria 2007), dall’art. 1-bis del D.L. 162/2008 e dall’art. 19, comma 9-bis, del D.L. 78/2009.

A seguito di tali modifiche, la misura del canone annuo è fissata nel 2,4% dei proventi netti dei pedaggi di competenza dei concessionari.

In particolare, per quanto rileva ai fini della disposizione in commento, si evidenzia che, ai sensi del secondo periodo del comma 1020 della L. 296/2006, il 42% di tale canone è corrisposto direttamente all’ANAS che provvede a darne distinta evidenza nel piano economico-finanziario e lo destina prioritariamente alle sue attività di vigilanza e controllo sui concessionari predetti, fino alla concorrenza dei relativi costi, ivi compresa la corresponsione di contributi alle concessionarie, secondo direttive impartite dal MIT volte anche al conseguimento della loro maggiore efficienza ed efficacia.

Si ricorda, inoltre, che il D.L. 78/2009 ha aumentato il canone incorporandovi un sovrapprezzo sui pedaggi (che era previsto dall’art. 1, comma 1021, della legge finanziaria 2007, abrogato dal citato comma 9-bis dell’art. 19 del D.L. 78/2009) e che un ulteriore aumento, basato sulla percorrenza chilometrica dei veicoli, è stato disposto dal comma 4 dell’art. 15 del D.L. 78/2010[87].

Si ricorda infine che l’art. 33, comma 4, del D.L. 179/2012 ha trasferito alla Regione Toscana i canoni di cui all'art. 1, comma 1020, della L. 296/2006 derivanti dalla realizzazione del completamento dell'autostrada Livorno-Civitavecchia, tratto Cecina-Civitavecchia, per i primi dieci anni di gestione dell'infrastruttura, fino alla quota massima annua del 75%.

 

Lo stesso comma reca altresì disposizioni di natura contabile. Viene infatti disposto che le citate risorse dovranno essere iscritte nello stato di previsione del MIT e che ANAS S.p.a. provvederà a dare esplicita evidenza tra i ricavi propri del conto economico delle entrate acquisite ai sensi del citato comma 1020.

 

Il comma 3 disciplina le modalità di versamento al bilancio dello Stato, da parte dell’ANAS, dei canoni relativi alle sub-concessioni sul sedime autostradale.

Viene quindi previsto che l’ANAS provveda a versare all’entrata del bilancio dello Stato, per la successiva riassegnazione (con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze) ad apposito capitolo dello stato di previsione del MIT, entro il 30 giugno 2013, la quota relativa al periodo 1° ottobre - 31 dicembre 2012, al netto delle anticipazioni già effettuate, dei canoni afferenti alla competenza dell’anno 2012 concernenti le sub-concessioni sul sedime autostradale previsti a carico dei concessionari autostradali.

A decorrere dal 2013, i canoni di competenza relativi alle sub-concessioni sul sedime autostradale dovranno essere versati con cadenza mensile, entro il mese successivo, nella misura del 90% del corrispondente periodo dell’anno precedente, salvo conguaglio da effettuarsi entro il 31 marzo dell’anno successivo. Per il solo anno di competenza 2013 il termine di versamento delle prime sei rate è fissato al 31 luglio 2013.

 

Il comma 4 dispone che il MIT assume le situazioni debitorie e creditorie relative alle funzioni trasferite (indicate dall’art. 36, comma 2, del D.L. 98/2011 e ribadite dall’art. 11, comma 5, del D.L. 216/2011) e l’eventuale contenzioso, sorti a far data dal 1° ottobre 2012.

La relazione illustrativa sottolinea che tale disposizione lascia in capo all’ANAS la legittimazione processuale attiva e passiva per i contenziosi instaurati in data antecedente al 1° ottobre 2012, dato che le risorse per far fronte a detti contenziosi sono nella disponibilità dell'ANAS stessa.

 

 

Disposizioni concernenti ANAS (commi 7-8)

 

I commi 7 e 8 recano alcune novelle all'art. 36 del D.L. 98/2011, finalizzate principalmente a modificare i termini in esso previsti:

§         per l’adozione dello statuto dell’ANAS. Il termine previsto viene differito dal 30 marzo 2013 (termine peraltro risultante dalla proroga disposta dall’ art. 1, comma 180, della L. 228/2012) al 30 novembre 2013 in ragione – così si legge nella relazione illustrativa - delle rilevanti modifiche della configurazione della stessa ANAS a seguito del riparto delle funzioni tra concedente (MIT) e concessionario (ANAS) della rete autostradale, conseguente alla soppressione dell’Agenzia;

Relativamente allo statuto dell’ANAS, nella recente relazione allegata alla Determinazione n. 36/2013 della Corte dei conti si legge che a seguito dell’intervenuta soppressione dell’Agenzia per le infrastrutture stradali ed autostradali e del trasferimento al MIT, a decorrere dal 1° ottobre 2012, dei compiti già attribuiti alla medesima nonché delle risorse finanziarie, umane e strumentali previste dall’art. 11, comma 5, del D.L. 216/2011 (sul punto si rinvia alla ricostruzione normativa operata nel commento del comma 1) “l’Amministratore Unico di ANAS ha provveduto, in applicazione dell’art. 36, comma 9, d.l. n. 98/2011, a trasmettere ai competenti Uffici del MEF e del MIT il 5 ottobre 2012 una bozza ulteriormente aggiornata del nuovo Statuto sociale, già oggetto di precedenti comunicazioni. Le principali novità della nuova versione riguardano la configurazione del c.d. controllo analogo che è stata allineata agli Statuti di altre società in house interamente partecipate dal MEF (quali, ad esempio, Consip S.p.A., Consap S.p.A. e Sogei S.p.A.). È, inoltre, stabilito che il CdA della Società sia composto da tre membri, in applicazione del dettato del d.l. n. 95/2012 in tema di Spending Review nonché in conformità a quanto previsto per altre società di riferimento controllate al 100% dal MEF”.

§         per la ricostituzione del consiglio di amministrazione della medesima società. La novella anticipa il termine per la ricostituzione del consiglio di amministrazione in ragione della proroga del termine di adozione dello statuto.

 

Il mutato quadro delle scadenze temporali ha reso altresì necessario l’eliminazione del riferimento all’amministratore unico in luogo di un generico riferimento all’organo amministrativo, dato che l’amministratore unico resterà in carica fino all’Assemblea di nomina del nuovo consiglio di amministrazione, che avverrà in data precedente a quella prevista per la predisposizione del nuovo statuto.


 

Il seguente testo a fronte evidenzia le modifiche apportate:

 

Testo previgente dell’art. 36, comma 9

Nuovo testo dell’art. 36, comma 9

9. L'amministratore unico provvede altresì alla riorganizzazione delle residue risorse di Anas s.p.a. nonché alla predisposizione del nuovo statuto della società che, entro il 30 marzo 2013, è approvato con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti.

9. L’organo amministrativo provvede altresì alla riorganizzazione delle residue risorse di Anas s.p.a. nonché alla predisposizione del nuovo statuto della società che, entro il 30 novembre 2013, è approvato con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti.

Entro 30 giorni dall'emanazione del decreto di approvazione dello statuto,

Entro 30 giorni dalla data di approvazione da parte dell’assemblea del bilancio dell’esercizio 2012,

viene convocata l'assemblea di Anas s.p.a. per la ricostituzione del consiglio di amministrazione. Il nuovo statuto di Anas s.p.a. prevede i requisiti necessari per stabilire forme di controllo analogo del Ministero dell'economia e delle finanze e del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti sulla società, al fine di assicurare la funzione di organo in house dell'amministrazione.

viene convocata l'assemblea di Anas s.p.a. per la ricostituzione del consiglio di amministrazione. Il nuovo statuto di Anas s.p.a. prevede i requisiti necessari per stabilire forme di controllo analogo del Ministero dell'economia e delle finanze e del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti sulla società, al fine di assicurare la funzione di organo in house dell'amministrazione.

 

Procedure di contenzioso

La Commissione europea ha avviato due procedimenti in relazione alle società partecipate dal gruppo Tirrenia:

 

·      un'indagine in materia di aiuti di Stato, avviata il 5 ottobre 2011, riguardante alcune misure di sostegno pubblico adottate dall’Italia a favore delle società dell'ex Gruppo Tirrenia che gestiscono il servizio di traghetti tra l'Italia continentale e diverse isole.

L’obiettivo dell’indagine è quello di valutare se la proroga dei contratti di servizio pubblico oltre la fine del 2008 sia conforme alle norme UE in materia di servizi di interesse economico generale. I contratti riguardano i trasporti marittimi tra l'Italia continentale e la Sicilia, la Sardegna ed altre isole italiane; le società interessate dall’indagine sono Tirrenia di Navigazione, Caremar, Saremar, Siremar e Toremar. La Commissione esaminerà, inoltre, se vi sia stato un ulteriore sostegno concesso alle società del gruppo Tirrenia nel contesto della loro privatizzazione che possa falsare la concorrenza sul mercato;

Nel novembre 2012 la Commissione ha ampliato la portata dell’indagine. La Commissione vuole valutare altresì: se le compensazioni concesse dal gennaio 2012 fino al completamento della privatizzazione delle società siano conformi alle norme UE in materia di servizi di interesse economico generale (SIEG); se le nuove compensazioni per gli obblighi di servizio pubblico concesse dall'Italia agli acquirenti delle società siano conformi a tali norme; se la proroga dell'aiuto al salvataggio per Tirrenia di Navigazione e Siremar oltre i sei mesi previsti dagli orientamenti UE sugli aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione di imprese sia compatibile con le norme UE in materia di aiuti di Stato (l'aiuto al salvataggio è stato autorizzato dalla Commissione nel novembre 2010, il finanziamento pubblico è stato rimborsato dalle società con un anno di ritardo rispetto al termine autorizzato di sei mesi); se una controgaranzia che sarebbe stata prestata dalla regione Sicilia abbia conferito un indebito vantaggio all'acquirente di Siremar. La Commissione vuole appurare inoltre se Tirrenia sia stata venduta a CIN (Compagnia italiana di navigazione) ad un prezzo inferiore al valore di mercato, come stabilito da un esperto indipendente nominato dalle autorità nazionali.

·      un parere motivato (procedura n. 2007/4609) del 21 giugno 2012, per violazione del regolamento (CEE) n. 3577/92 sul cabotaggio marittimo.

La Commissione contesta all'Italia di aver prorogato automaticamente la validità di tre contratti di servizio pubblico (scaduti nel 2008) a favore delle società di navigazione "Caremar" in Campania, "Laziomar" nel Lazio, e "Saremar" in Sardegna, senza procedere all'indizione di gare per l'aggiudicazione dei nuovi contratti. Qualora entro due mesi l'Italia non notifichi le misure adottate per conformarsi al suddetto regolamento, la Commissione potrà adire la Corte di giustizia dell'UE.

 

Profili finanziari commi 1-4

Il prospetto riepilogativo ascrive alla norma i seguenti effetti sui saldi di finanza pubblica.

(milioni di euro)

 

Saldo netto da finanziare

Fabbisogno

Indebitamento netto

 

2013

2014

2015

2013

2014

2015

2013

2014

2015

Maggiori entrate extratributarie

15,5

17,0

17,0

 

 

 

 

 

 

Maggiori spese correnti

15,5

17,0

17,0

 

 

 

 

 

 

 

La relazione tecnica afferma che le risorse necessarie per fare fronte, da parte del MIT, allo svolgimento delle nuove funzioni sono individuate in quelle derivanti da canoni di sub concessione, già dovuti al concedente ai sensi delle convenzioni – allo stato quantificati in 21,7 milioni di euro come da bilancio ANAS 2011 e previsti per il 2013 nell’ordine di 17 milioni di euro – nonché, ove necessario, sulla quota parte del canone di concessione di competenza ANAS. Per l’anno 2012, l’ANAS versa al MIT la quota di sua spettanza (ottobre-dicembre 2012) versata dai concessionari ad Anas entro il 31 maggio 2013. Per gli anni successivi i concessionari verseranno i canoni al bilancio dello Stato con cadenza mensile.

Per il solo anno 2013 le prime sei rate sono versate entro il 31 luglio 2013.

Le disposizioni non comportano nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica trovando copertura nelle risorse, già previste a legislazione vigente, derivanti dal versamento a favore del concedente dei canoni di sub-concessione e, ove necessario, di quelle derivanti dal versamento del canone di concessione già dovuto ai sensi dell’art. 1, comma 1020, L. n. 296/2006.

In particolare nel 2013 saranno versate all’entrata del bilancio dello Stato circa 15,5 milioni relativi ai canoni di sub concessione, comprensivi delle quote del periodo ottobre - dicembre 2012 e circa 17 milioni a decorrere dal 2014. Tali risorse saranno corrispondentemente iscritte in spesa per finanziamento delle spese di funzionamento dell’Ispettorato di vigilanza sui concessionari della rete autostradale.

E’ inoltre prevista una disposizione volta a chiarire che il trasferimento delle competenze al MIT a far data dal 1°/10/2012 non incide sulla legittimazione processuale attiva e passiva che resta in capo all’ANAS per i contenziosi instaurati in data antecedente al 1° ottobre 2012; tale disposizione tiene conto del fatto che le risorse per far fronte a detti contenziosi sono nella disponibilità di ANAS.

 

In merito ai profili di quantificazione si osserva che la relazione tecnica non fornisce elementi di quantificazione con riferimento agli oneri di personale trasferiti al MIT, né fornisce idonea dimostrazione della coincidenza tra i predetti oneri e le risorse inerenti i canoni di sub concessione, parimenti trasferite al MIT. Una valutazione di congruità dei predetti importi risulterebbe opportuna sia in termini assoluti, con riferimento al primo esercizio di attuazione della disposizione, sia in termini dinamici, con riferimento alla futura evoluzione degli oneri di personale e delle risorse per canoni da sub concessioni poste a fronte dei predetti oneri.

Con riferimento a queste ultime andrebbe inoltre fornito uno specifico chiarimento in merito alla quantificazione operata per il 2013, indicata in 15,5 mln a fronte di un gettito di canoni di sub concessioni stimato, per tale esercizio, in 17 mln. Sembrerebbe inoltre che tale ultimo importo vada incrementato, e non ridotto, con riferimento al trasferimento al MIT delle risorse relative all’ultimo trimestre 2012.


 

Articolo 25, comma 5
(Utilizzo di risorse per i contratti di servizio con l’ENAV )

Il comma 5 dell’articolo 25 consente che le disponibilità residue delle risorse iscritte in bilancio per l'anno 2012 destinate ai contratti di servizio e di programma dell'ENAV S.p.A. (lEnte nazionale di assistenza al volo ), di cui all'articolo 5, comma 10, del decreto-legge 4 marzo 1989, n. 77, possano essere utilizzate per la compensazione dei costi sostenuti dall'ENAV nell'anno 2012, e previsti dai predetti contratti, per garantire la sicurezza ai propri impianti e per garantire la sicurezza operativa, di cui all'articolo 11-septies del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203.

 

L’art. 11-septies richiamato ha novellato l’art. 2, comma 1, della legge finanziaria 2004 (legge n.350/2003) che aveva istituito ai fini del miglioramento della sicurezza l'addizionale comunale sui diritti d'imbarco di passeggeri sulle aeromobili destinata a compensare ENAV Spa, secondo modalità regolate dal contratto di servizio, anche dei costi per garantire la sicurezza ai propri impianti e per garantire la sicurezza operativa.

 

Si ricorda che l’ENAV S.p.A, società interamente controllata dal Ministero dell’economia e delle finanze e sottoposta alla vigilanza del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, è la Società a cui lo Stato demanda la gestione e il controllo del traffico aereo civile in Italia. L’attività svolta dall’ENAV è indirizzata con contratti di programma e di servizio ed è finanziata mediante le tariffe aeree di rotta e di terminale, corrisposte dai Vettori. Il contratto di programma 2007-2009 è stato sottoposto al parere delle competenti Commissioni parlamentari: la IX Commissione della Camera dei deputati ha reso parere favorevole nella seduta del 21 dicembre 2011. Il contratto di servizio, in base all’art. 9 della legge n. 665/1996, ha durata almeno triennale e regola le prestazioni e definisce i servizi di rilevanza sociale che l'ENAV è tenuto ad erogare in condizioni di non remunerazione dei costi e ne stabilisce i corrispettivi economici e le modalità di erogazione; definisce altresì gli standard di sicurezza e di qualità dei servizi erogati, anche in base alla normativa comunitaria; definisce le sanzioni per i casi di inadempienza. Sullo schema di contratto di servizio non è invece previsto il parere parlamentare. L’ultimo contratto di servizio stipulato è quello relativo al periodo 2007-2009.L’ultima Relazione annuale al Parlamento sull’attività svolta dall’ENAV (relativa all’esercizio finanziario 2011) è stata trasmessa Il 4 dicembre 2012 (Doc. XV, n. 481).

Il bilancio dell’ENAV per l’anno 2012, approvato il 16 maggio 2013, ha chiuso con un utile netto di 46 milioni di Euro che, depurato dell'effetto del rimborso IRES, evidenzia un risultato positivo di 23 mln di euro. Il contesto operativo è stato caratterizzato da una congiuntura economica negativa i cui effetti hanno avuto impatti anche sul trasporto aereo, con una riduzione del traffico assistito del -3% sulla rotta e del -5,7% sugli aeroporti.

 

Con riferimento alla disposizione, la Relazione tecnica al provvedimento afferma che la stessa risulta necessaria per “sbloccare urgentemente i contratti di programma e di servizio tra lo Stato e l'ENAV Spa, relativi ai periodi 2010-2012 e 2013-2015, assicurando le risorse necessarie allo scopo. Infatti, a fronte dei 90 milioni di euro complessivi, necessari a coprire il triennio 2010-2012, si dispone allo stato di 72,2 milioni di euro, sufficienti a coprire due intere annualità e solo quota parte della terza. La norma consente di reperire le risorse mancanti pari a 17,8 milioni di euro a valere sulle disponibilità residue di capitolo di spesa del Ministero dell'economia e delle finanze - imputato alle erogazioni in favore dell'ENAV Spa per i servizi resi in condizione di non remunerabilità diretta dei costi - assicurando in tal modo la definizione del contratto di programma 2010-1012. Conseguentemente sarà possibile procedere anche a definire le procedure relative al contratto 2013-2015, le cui risorse risultano già disponibili”.


 

Articolo 25 comma 6
(Sicurezza grandi dighe )

La norma precisa, in relazione all’assunzione di 32 unità di personale già disposta dall’articolo 55, comma 1-ter del D.L.1/2012, che venga corrispondentemente adeguata la dotazione organica del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti[88] (MIT) attraverso l’inserimento di un periodo aggiuntivo a tale disposizione.

La norma precisa, inoltre, che l’adeguamento della dotazione organica del Ministero è volta a superare lo stato di emergenza derivante dalla scadenza delle gestioni commissariali già operanti per la messa in sicurezza delle grandi dighe senza concessionario[89].

Il DPCM 10 marzo 2011[90] ha prorogato fino al 29 febbraio 2012 il regime straordinario di protezione civile instaurato dal DPCM 18 novembre 2004, per l’accelerazione degli interventi di messa in sicurezza delle grandi dighe senza concessione, individuate dal soppresso RID (Registro Italiano Dighe), ai sensi degli articoli 1 e 2 del D.L. 79/2004, ove si dispone che alla definizione degli interventi per la messa in sicurezza delle grandi dighe si provvede su indicazione del Registro italiano dighe e previa emanazione della citata deliberazione di cui all'art. 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225. Successivamente, sono state emanate diverse ordinanze di protezione civile, al fine di procedere alla messa in sicurezza dei citati invasi.

L’O.P.C.M. 3920/2011, modificando l'ordinanza 3736/2009, ha consentito tra l’altro al MIT di stipulare, per i suddetti scopi, fino ad un massimo di quindici contratti di collaborazione coordinata e continuativa o di consulenza, di durata annuale.

Successivamente, l’art. 55, comma 1-ter, del D.L. 1/2012 ha autorizzato il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, per lo svolgimento delle attività di vigilanza e controllo delle grandi dighe e delle opere di derivazione a valle e condotte forzate, ad assumere a tempo indeterminato 32 unità di personale, anche in deroga alla normativa vigente in materia di assunzioni, stanziando a tale scopo la spesa di euro 1.514.000 annui a decorrere dal 2013.

Per la copertura di tali oneri, viene parzialmente utilizzata una quota delle entrate, previste per il 2013 dall'art. 2, comma 172, del decreto-legge n. 262/2006, utilizzate per il finanziamento delle attività già facenti capo al RID, provenienti dalla contribuzione a carico degli utenti dei servizi delle grandi dighe riscossa dai concessionari, non coperte dal finanziamento a carico dello Stato[91]. In attuazione del comma 173, che ha demandato ad apposito decreto interministeriale la fissazione dei criteri e dei parametri per la quantificazione degli oneri connessi alle attività già facenti capo al RID, sono stati emanati due decreti, in data 4 giugno 2009[92].

Si ricorda inoltre che una serie di misure volte a migliorare la sicurezza delle grandi dighe gestite da concessionari sono state introdotte dall’art. 43, commi 7-15, del decreto legge n. 201/2011.

 


 

Articolo 25, commi 9-11
(Collegamenti marittimi con le isole minori della Sicilia )

L’articolo 25, commi da 9 a 11, trasferisce alla Regione siciliana sia le funzioni che i compiti di vigilanza sulle attività previste nella Convenzione per l'esercizio dei servizi di collegamento marittimo con isole minori siciliane, sottoscritta in data 30 luglio 2012.

Si tratta della Convenzione tra il Ministero delle infrastrutture e i trasporti e la Società Compagnia delle Isole S.p.A, stipulata ai sensi dell'articolo 1, comma 998, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 e dell'articolo 19-ter del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135, e che disciplina il complesso degli obblighi e dei diritti derivanti dall'esercizio dei servizi di collegamento marittimo tra la Sicilia e le Isole minori siciliane: Vulcano, Lipari, Panarea, Salina, Rinella, Stromboli, Ginostra, Filicudi, Alicudi, Favignana, Marettimo, Levanzo, Ustica, Pantelleria, Linosa, Lampedusa. La Convenzione ha efficacia dal 30 luglio 2012 fino al 30 luglio 2024 (art. 4 della Convenzione) e per lo svolgimento dei servizi della Convenzione, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti si è obbligato a versare alla Società un corrispettivo annuo di euro 55.694.895.

Si ricorda che l’art. 6, comma 19 del D.L. n. 95 del 2012, convertito dalla legge n. 135 del 2012 ha approvato ex lege le convenzioni stipulate con i soggetti che si sono aggiudicati i compendi aziendali delle società Tirrenia di navigazione S.p.A. e Siremar-Sicilia regionale marittima S.p.A . La norma ha inoltre previsto che le convenzioni producono effetti a far data dalla sottoscrizione e che ogni successiva modificazione ovvero integrazione delle suddette convenzioni sia approvata con decreto del Ministro delle infrastrutture e trasporti di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentite le regioni interessate.

L’attività di vigilanza (art. 10 della Convenzione) è attualmente svolta dai Ministeri vigilanti (il Ministero delle infrastrutture e trasporti e il Ministero dell’economia e finanze) e riguarda:

§      il rispetto degli obblighi della Convenzione,la richiesta di informazioni e l’effettuazione di controlli anche con poteri di ispezione e di acquisizione della documentazione;

§      la richiesta semestrale di dati contabili;

§      la verifica dell’idoneità delle navi adibite ai servizi di collegamento;

§      lì approvazione dei piani delle navi;

§      la proposta di risoluzione del rapporto per inadempimento.

 

Si ricorda che la Convenzione del 2012 ha sostituito la precedente Convenzione fra lo Stato e la Società Siremar, stipulata il 17 dicembre 1991 e modificata nel 1994 e 1995. Circa la procedura di privatizzazione di Siremar, già intestataria delle convenzioni per l'espletamento dei servizi di collegamento marittimo fra il continente e la regione Sicilia ed in regime di amministrazione straordinaria, si ricorda che la procedura di gara è stata espletata dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e nell’ottobre 2011 si è aggiudicata la gara per la cessione la Compagnie delle isole, società controllata da Mediterranea Holding SpA, la quale a sua volta vede una significativa partecipazione azionaria della Regione Siciliana, oltre che di altri operatori del settore come Lauro, Isolemar, Acies. L’acquisizione di Siremar da parte della Compagnia delle isole è stata ritenuta non lesiva della concorrenza da parte dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato con provvedimento n. 23023 del 23 novembre 2011, in quanto nelle rotte nelle quali Siremar detiene significative quote di mercato i soci di Mediterranea Holding ed in particolare il gruppo Lauro non risultano attivi. Tuttavia, la società di navigazione siciliana (composta dalle società Caronte & Tourist e Ustica Lines), che aveva partecipato alla gara, ha richiesto al TAR del Lazio l’annullamento della stessa. In particolare oggetto di contestazione è stata la controgaranzia finanziaria offerta dalla Regione Siciliana alla Compagnie delle Isole, che costituirebbe un aiuto di Stato illegittimo. Il TAR del Lazio, con ordinanza del 7 luglio 2012, ha sospeso l’esito della gara; il Consiglio di Stato con sentenza del 18 luglio 201 ha poi revocato la sospensiva.

La Regione Sicilia, che detiene il 43,023% delle azioni di Mediterranea Holding di navigazione, ha approvato ad aprile 2013 una delibera della Giunta in cui si prevede la «valorizzazione delle azioni» di Mediterranea Holding per eliminare tutte quelle attività non ritenute strategiche ed onerose per il bilancio regionale. La Compagnia delle Isole, è stata costituita il 22 febbraio 2011 con capitale sociale di un milione, suddiviso in un milione di azioni, di cui Mediterranea holding ha sottoscritto 600.000 azioni diventando azionista di maggioranza. Il capitale sociale di Mediterranea ammonta a 8,6 milioni ed esiste un'opzione aperta per aumentare il capitale a 14 milioni entro il 30 giungo 2013: la Regione Sicilia ha già sottoscritto e versato l'aumento di capitale per 2,3 milioni di euro.

 

Il comma 10 prevede, in conseguenza del trasferimento delle funzioni alla Regione Sicilia operato dal comma 9, il trasferimento, dai Ministeri vigilanti alla Regione Sicilia, di ogni successiva modifica o integrazione della Convenzione, che dovrà essere approvata con decreto del Presidente della Regione. La disposizione novella quanto previsto dall’art. 6, comma 19 del D.L. n. 95 /2012 che ha approvato la Convenzione, in base al quale la convenzione produce effetti a far data dalla sottoscrizione e ogni successiva modificazione ovvero integrazione deve essere approvata con decreto del Ministro delle infrastrutture e trasporti di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentite le regioni interessate.

Dal punto di vista della redazione del testo si segnala quindi che il comma 10 interviene modificando l’art. 6, comma 19 della legge n. 135/2012, di conversione del decreto-legge n. 95 del 2012: la novella dovrebbe invece essere più correttamente apportata all’art. 6, comma 19 del decreto legge n. 95/2012.

Si ricorda inoltre che l’art. 3, co.3 della Convenzione prevede che le eventuali modifiche dell'assetto dei servizi debbano essere individuate d’intesa tra la Società da un lato, la Regione ed i Ministeri vigilanti (dei Trasporti e dell’Economia e delle finanze) dall'altro.

 

Il comma 11 rinvia infine ad un decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti la definizione delle modifiche, nei successivi trenta giorni, del testo della Convenzione, per adeguarla alle nuove disposizioni previste dai commi in commento.

 

A tale proposito si segnala quindi che le disposizioni dei commi da 9 ad 11 dell’articolo 25 incidono sui rapporti regolati dalla Convenzione vigente tra il Ministero delle infrastrutture e la Compagnia delle Isole S.p.A, società privata ma partecipata dalla Regione Sicilia tramite la società Mediterranea Holding, derogando anche alle procedure previste dalla Convenzione stessa per la sua modifica.

 

Profili finanziari commi da 5 a 11

Il prospetto riepilogativo non considera la norma.

 

La relazione tecnica afferma che le disposizioni recate dal comma 5 rispondono all'esigenza di permettere la conclusione dei contratti di servizio e di programma tra Stato ed Enav 2010-2012 e conseguentemente 2013-2015, assicurando le risorse finanziarie da destinare alla compensazione dei costi sostenuti da ENAV nell'anno 2012 per garantire la sicurezza dei propri impianti e operativa.

Dette risorse, quantificate in 17,8 milioni di euro, sono individuate neII'ambito delle disponibilità residue del capitolo 1890\MEF già stanziate per far fronte agli oneri provenienti dai servizi di assistenza al volo disciplinati nei contratti.

La relazione illustrativa, in parte ribadendo quanto detto dalla relazione tecnica, afferma che la disposizione sopra descritta nasce dalla necessità di sbloccare urgentemente i contratti di programma e di servizio tra lo Stato e l’ENAV Spa, relativi ai periodi 2010-2012 e 2013-2015, assicurando le risorse necessarie allo scopo. Infatti, a fronte dei 90 milioni di euro complessivi, necessari a coprire il triennio 2010-2012, si dispone allo stato di 72,2 milioni di euro, sufficienti a coprire due intere annualità e solo quota parte della terza. La norma consente di reperire le risorse mancanti pari a 17,8 milioni di euro a valere sulle disponibilità residue di capitolo di spesa del Ministero dell’economia e delle finanze - imputato alle erogazioni in favore dell’ENAV Spa per i servizi resi in condizione di non remunerabilità diretta dei costi - assicurando in tal modo la definizione del contratto di programma 2010-1012.

La disposizione non comporta, pertanto, effetti negativi per la finanza pubblica.

La disposizione di cui al comma 6, secondo la relazione tecnica, è volta a garantire la sicurezza delle dighe per la salvaguardia delle popolazioni a valle, in considerazione dell'accertata grave carenza di organico tecnico della Struttura specialistica del Ministero addetta alla vigilanza e controllo sulla sicurezza delle dighe. La disposizione, di natura ordinamentale, non comporta effetti finanziari in quanto prevede l'adeguamento della dotazione organica del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti al fine di consentire l'assunzione di n. 32 unità di personale già prevista, con idonea copertura finanziaria, dall' art. 55, comma 1-ter, del decreto-legge n. 1/2012.

Con il comma 7 si posticipa la predisposizione del nuovo Statuto di ANAS dal 30 marzo 2013 al 30 novembre 2013 al fine di consentire una compiuta realizzazione degli interventi di riorganizzazione della Società in considerazione del trasferimento al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti delle funzioni di vigilanza e di concedente. La proposta normativa, ha carattere ordinamentale e non comporta nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato.

Le disposizioni di cui ai commi da 9 a 11 sono volte a trasferire alla Regione siciliana la vigilanza sulle attività previste nella Convenzione per l'esercizio dei servizi di collegamento marittimo fra la Sicilia e le relative isole minori, attualmente di competenza del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e del Ministero dell'economia e delle finanze. Per una più proficua incidenza dell'attività di vigilanza viene trasferita alla Regione la titolarità di ambedue le funzioni, tenuto conto che solo quest'ultima ha la possibilità di garantire in tempi brevi il soddisfacimento delle esigenze della collettività che spesso rivestono carattere di assoluta emergenza e di salvaguardia dell'ordine pubblico e che pertanto necessitano di un costante confronto fra gli enti locali interessati e la Regione siciliana. Viene altresì previsto, per ovvia conseguente congruenza, che le successive modifiche o integrazioni della Convenzione stipulata siano demandate alla competenza del Presidente della Regione siciliana.

La relazione tecnica assume che anche le disposizioni recate dai commi da 9 a 11 abbiano di carattere prettamente ordinamentale e, pertanto, non si ravvisano effetti finanziari negativi a carico della finanza pubblica.

 

In merito ai profili di quantificazione, appare necessario che siano forniti ulteriori chiarimenti sulla natura dell’intervento disposto a norma del comma 5. Dal tenore letterale delle disposizioni sembra che le stesse autorizzino l’utilizzo di somme in conformità con le finalità che hanno determinato lo stanziamento delle somme stesse e, pertanto, non risulta immediatamente evidente la necessità dell’intervento normativo in questione.

Andrebbe inoltre chiarito se l’attuale utilizzo degli stanziamenti possa alterare i profili di cassa già incorporati nelle previsioni di spesa a legislazione vigente.

Su tali questioni è utile acquisire l’avviso del Governo.

 Con riferimento alle disposizioni recate dal comma 9 - che trasferisce alla Regione siciliana la vigilanza sulle attività previste nella Convenzione per l'esercizio dei servizi di collegamento marittimo fra la Sicilia e le relative isole minori, attualmente di competenza del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e del Ministero dell'economia e delle finanze - si osserva che la relazione tecnica non chiarisce l’entità delle risorse umane, strumentali e finanziarie necessarie allo svolgimento delle nuove funzioni. A tal proposito si rammenta che l’articolo 19 della legge di contabilità[93] stabilisce che le leggi e i provvedimenti che comportano oneri a carico dei bilanci delle amministrazioni pubbliche devono contenere la previsione dell'onere stesso e l'indicazione della copertura finanziaria riferita ai relativi bilanci, annuali e pluriennali. Conseguentemente appare necessario che il Governo fornisca ulteriori elementi informativi volti a dimostrare che lo spostamento di funzioni dall’ambito statale a quello regionale possa essere disposto senza determinare un aggravio delle spese poste a carico del bilancio della Regione siciliana.


 

Articolo 26
(Proroghe in materia di appalti pubblici

Il comma 1 dell'articolo 26, che riscrive il comma 418 della L. 228/2012 (legge di stabilità 2013), proroga al 31 gennaio 2014 e al 30 aprile 2014 i termini di pubblicazione dei dati relativi all’esercizio 2012 in materia di procedimenti di scelta del contraente. Si tratta delle scadenze previste per i dati relativi all’esercizio 2013.

La norma dispone, pertanto, che tali dati siano pubblicati unitamente ai dati relativi al 2013.

Si ricorda in proposito che il comma 32 dell’art. 1 della L. 190/2012 (recante “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione”) prevede i seguenti adempimenti:

§      entro il 31 gennaio di ogni anno, le stazioni appaltanti, con riferimento ai procedimenti di scelta del contraente ai sensi del Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. 163/2006), devono pubblicare una serie di informazioni (struttura proponente; oggetto del bando; elenco degli operatori invitati a presentare offerte; aggiudicatario; importo di aggiudicazione; tempi di completamento dell'opera, servizio o fornitura; importo delle somme liquidate), relativamente all'anno precedente, in tabelle riassuntive rese liberamente scaricabili in un formato digitale standard aperto che consenta di analizzare e rielaborare, anche a fini statistici, i dati informatici. Lo stesso comma prevede che le medesime informazioni siano trasmesse all’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (AVCP) ai fini della successiva pubblicazione sul sito web dell’Autorità stessa;

§      entro il 30 aprile di ogni anno, l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici (AVCP) deve trasmettere alla Corte dei conti l'elenco delle amministrazioni che hanno omesso di trasmettere e pubblicare, in tutto o in parte, in formato digitale standard aperto, le informazioni suddette.

 

Il testo previgente del comma 418 prevedeva che, in sede di prima applicazione (quindi in sostanza per i dati relativi al 2012), i termini citati fossero differiti al 31 marzo 2013 e al 30 giugno 2013.

 

Si segnala che l’AVCP ha provveduto in data 26 maggio 2013, con la deliberazione n. 26, ad emanare le prime indicazioni per l'assolvimento degli adempimenti in questione.

 

Il comma 2 proroga di 2 anni, dal 31 dicembre 2013 al 31 dicembre 2015, i termini fissati dalle seguenti disposizioni recate dall’art. 253 del D.Lgs. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici), che prevedono una serie di agevolazioni transitorie rispetto al regime ordinario:

§         comma 9-bis, che disciplina le modalità di dimostrazione di requisiti a fini di qualificazione delle imprese. In particolare il comma riguarda:

-      la dimostrazione del requisito della cifra di affari realizzata con lavori svolti mediante attività diretta ed indiretta, del requisito dell'adeguata dotazione di attrezzature tecniche e del requisito dell'adeguato organico medio annuo. A tal fine, sino al 31 dicembre 2013 (ora 2015), il periodo di attività documentabile è quello relativo ai migliori cinque anni del decennio antecedente la data di sottoscrizione del contratto con la SOA (Società Organismo di Attestazione) per il conseguimento della qualificazione;

-      la dimostrazione del requisito dei lavori realizzati in ciascuna categoria e del requisito dell'esecuzione di un singolo lavoro ovvero di due o tre lavori in ogni singola categoria. A tal fine, sino al 31 dicembre 2013 (ora 2015), sono da considerare i lavori realizzati nel decennio antecedente la data di sottoscrizione del contratto con la SOA per il conseguimento della qualificazione. Le disposizioni si applicano anche alle imprese di cui all'articolo 40, comma 8 (imprese affidatarie di lavori pubblici di importo fino a 150.000 euro), per la dimostrazione dei requisiti di ordine tecnico-organizzativo, nonché agli operatori economici di cui all'articolo 47 (operatori economici stabiliti in Stati diversi dall'Italia) con le modalità ivi previste.

Le citate agevolazioni operano in luogo delle disposizioni del Regolamento di attuazione del Codice dei contratti, di cui al D.P.R. 207/2010, che fanno riferimento all’ultimo quinquennio (cfr. artt. 79, 83 e 90 del Regolamento).

§         comma 15-bis, che disciplina le modalità di dimostrazione dei requisiti di capacità tecnico-professionale ed economico-finanziaria in relazione alle procedure di affidamento di cui all'art. 91 (incarichi di progettazione, di coordinamento della sicurezza in fase di progettazione, di direzione dei lavori, di coordinamento della sicurezza in fase di esecuzione e di collaudo).

Nel dettaglio il comma citato prevede che, per le finalità indicate, sino al 31 dicembre 2013 (ora 2015), il periodo di attività documentabile è quello relativo ai migliori tre anni del quinquennio precedente o ai migliori cinque anni del decennio precedente la data di pubblicazione del bando di gara. Le disposizioni si applicano anche agli operatori economici di cui all'articolo 47 (operatori economici stabiliti in Stati diversi dall'Italia) con le modalità ivi previste;

Le citate agevolazioni operano in luogo delle disposizioni dettate dall’art. 263 del Regolamento di attuazione del Codice dei contratti, di cui al D.P.R. 207/2010.

§         comma 20-bis, che consente fino al 31 dicembre 2013 (ora 2015), alle stazioni appaltanti, di applicare le disposizioni di cui agli articoli 122, comma 9, e 124, comma 8 (che consentono l’esclusione automatica delle offerte anomale) a tutti i contratti di importo inferiore alle soglie comunitarie previste dall’art. 28 del Codice.

L’art. 28 definisce gli importi delle soglie dei contratti pubblici di rilevanza comunitaria nella misura di 130.000-200.000 euro per gli appalti di forniture e di servizi e 5 milioni euro per gli appalti di lavori pubblici e per le concessioni di lavori pubblici.

La disposizione che qui si proroga è stata introdotta nel testo del Codice dei contratti dall'art. 4, comma 2, lett. ll), n. 3), del D.L. 70/2011 al fine di allargare la deroga al regime ordinario già consentita dai citati artt. 122, comma 9, e 124, comma 8. Tali articoli consentono infatti alle amministrazioni di utilizzare l'esclusione automatica solo per lavori di importo inferiore a 1 milione di euro e per servizi e forniture fino a 100.000 euro.

La relazione illustrativa giustifica la proroga alla luce dell’attuale crisi economica e del fatto che il procedimento di esclusione automatica delle offerte anomale consente un indubbio risparmio di tempo rispetto al procedimento ordinario di valutazione della congruità dell'offerta.

Si segnala tuttavia che con la sentenza 10 giugno 2011, n. 184, nel dichiarare incostituzionali alcune disposizioni della legge regionale sugli appalti nella regione Sardegna (L.R. n. 5/2007), nella parte in cui avevano inteso estendere l’applicazione dell’esclusione automatica al di là di quanto previsto dall’ordinamento nazionale, la Consulta ha avuto modo di rilevare che l’esclusione automatica è suscettibile di generare una limitazione della concorrenza.

Si segnala, infine, che l’art. 5, comma 1, lett. c), del D.L. 43/2013 consente - per i contratti di appalto di lavori, servizi e forniture della società Expo 2015 S.p.A. – l’applicazione del citato comma 20-bis, “anche per i contratti sopra la soglia di rilevanza comunitaria e oltre la data del 31 dicembre 2013”. La stessa lettera c) prevede che tale disposizione sia applicabile anche alle stazioni appaltanti relativamente ad una serie di opere strettamente funzionali all'Expo indicate dalla norma stessa.

 

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

Il 20 dicembre 2011 la Commissione europea ha si presentato un pacchetto di misure volte a modificare la normativa in materia di appalti pubblici, che comprende:

§      una proposta di direttiva sugli appalti nei cosiddetti “settori speciali”, cioè acqua, energia, trasporti e servizi postali (COM(2011)895);

§      una proposta di direttiva sugli appalti pubblici (COM(2011)896);

§      una proposta di direttiva sull'aggiudicazione dei contratti di concessione (COM(2011)897).

Le nuove norme sono volte a sostituire le direttive 2004/17/CE (appalti degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto e servizi postali) e 2004/18/CE (aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, forniture e servizi).

In particolare la proposta di direttiva sugli appalti pubblici (COM(2011)896), prevede che le amministrazioni aggiudicatrici debbano inviare il testo dei contratti conclusi all'organo di vigilanza, tuttavia, poiché occorre evitare di dar luogo a oneri amministrativi sproporzionati, l'obbligo di trasmissione del testo completo dei contratti conclusi deve limitarsi a contratti il cui valore è relativamente elevato (da 1.000.000 fino a 10.000.000 di euro per le forniture e i servizi).

Per quanto riguarda le “offerte anomale”, dopo aver sottolineato che gli appalti dovranno essere aggiudicati sulla base degli stessi criteri già previsti dalle direttive vigenti - quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa e del prezzo più basso - la proposta di direttiva sugli appalti nei cosiddetti “settori speciali” e la proposta di direttiva sugli appalti pubblici prospettano l’obbligo per le amministrazioni aggiudicatrici, in caso di offerte anormalmente basse, di chiedere agli operatori economici di fornire spiegazioni in merito al prezzo o ai costi applicati; se l'offerente non è in grado di fornire una motivazione sufficiente, l'amministrazione aggiudicatrice deve avere il diritto di respingere l'offerta. L'amministrazione aggiudicatrice dovrebbe respingere l'offerta se ha accertato che l'offerta è anormalmente bassa in quanto non rispetta gli obblighi stabiliti dalla legislazione dell'Unione in materia di diritto del lavoro e di previdenza sociale o di diritto ambientale.

Le proposte seguono la procedura legislativa ordinaria. Il Parlamento europeo dovrebbe esaminarle in sessione plenaria il 22 ottobre 2013, mentre il Consiglio l’11 dicembre 2012 ha concordato un orientamento generale sulle proposte del pacchetto. Allo stato attuale sono in corso i negoziati interistituzionali tra rappresentanti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione (c.d. triloghi), al fine di giungere ad un accordo su un testo comune che consenta l’adozione delle nuove direttive in prima lettura.

 


 

Articolo 27
(Semplificazione in materia di procedura CIPE e concessioni autostradali)

Il comma 1 dell'articolo 27, attraverso la riscrittura del comma 5 dell’art. 21 del D.L. 355/2003, modifica la procedura per l’approvazione degli adeguamenti annuali delle tariffe autostradali, al fine di armonizzarla al mutato assetto delle competenze istituzionali, a seguito del trasferimento dall'ANAS al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (MIT) delle funzioni di concedente della rete autostradale.

Ciò spiega l’eliminazione della parte della disposizione che disciplinava, nell’ambito della citata procedura, il rapporto tra concedente e MIT, cioè tra due soggetti che nel mutato assetto vengono a coincidere.

Relativamente all’assetto delle competenze in materia autostradale si ricorda che il D.L. 98/2011, all'articolo 36, commi 1-10, ha introdotto un’articolata disciplina volta a ridefinire l’assetto delle funzioni e delle competenze in materia di gestione della rete stradale e autostradale di interesse nazionale, per un verso, attraverso l’istituzione dell’Agenzia per le infrastrutture stradali e autostradali presso il MIT e, per l’altro, la conseguente ridefinizione delle funzioni di ANAS. In particolare il comma 4 dell’art. 36 prevedeva il subentro dell’Agenzia ad ANAS S.p.A. nelle funzioni di concedente per le convenzioni in essere e in tutti gli atti convenzionali con le società regionali, nonché con i concessionari autostradali.

Tuttavia, poiché il Governo non ha provveduto all’emanazione dello statuto della nuova Agenzia nel termine previsto, questa è stata considerata soppressa (ai sensi dell’art. 11, comma 5, del D.L. 216/2011) e quindi con il decreto 1° ottobre 2012, n. 341, il MIT ha provveduto all’istituzione della Struttura di vigilanza sulle concessionarie autostradali, cui sono state affidate le funzioni indicate dalle lettere b)-f) del comma 2 dell’art. 36, del D.L. 98/2011, che inizialmente erano state affidate all’Agenzia. In particolare la lettera e) riguarda proprio una funzione che rileva ai fini del comma in esame, vale a dire la “proposta in ordine alla regolazione e variazioni tariffarie per le concessioni autostradali”.

 

Ulteriori modifiche, come si evince dal testo a fronte di seguito riportato, riguardano le mutate scadenze temporali e l’inserimento del parametro K.

Si ricorda che la componente investimenti del parametro K (indicata anche con la simbologia KINVESTIMENTI) rappresenta, nelle formule di adeguamento tariffario[94], la variazione percentuale annuale della tariffa determinata ogni anno in modo da consentire la remunerazione degli investimenti realizzati l’anno precedente quello di applicazione.

Benchè non contemplata dal testo previgente, il parametro K era comunque già tenuto in considerazione nell’ambito della procedura di cui trattasi[95].

 

Testo previgente

Nuovo testo

5. Il concessionario provvede a comunicare al concedente, entro il 31 ottobre di ogni anno, le

variazioni tariffarie che intende applicare nonchè la componente investimenti del parametro X relativo a ciascuno dei nuovi interventi aggiuntivi.

Il concedente, nei successivi trenta giorni, previa verifica della correttezza delle variazioni tariffarie, trasmette la comunicazione, nonchè una sua proposta,

5. Il concessionario formula al concedente, entro il 15 ottobre di ogni anno, la proposta di

variazioni tariffarie che intende applicare nonché la componente investimenti dei parametri X e K relativi a ciascuno dei nuovi interventi aggiuntivi.

 

 

 

 

ai Ministri delle infrastrutture e dei trasporti e dell'economia e delle finanze, i quali, di concerto, approvano o rigettano le variazioni proposte con provvedimento motivato nei quindici giorni successivi al ricevimento della comunicazione.

Con decreto motivato del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da adottarsi entro il 15 dicembre, sono approvate o rigettate le variazioni proposte.

Il provvedimento motivato può riguardare esclusivamente le verifiche relative alla correttezza dei valori inseriti nella formula revisionale e dei relativi conteggi, nonchè alla sussistenza di gravi inadempienze delle disposizioni previste dalla convenzione e che siano state formalmente contestate dal concessionario entro il 30 giugno precedente

Il decreto motivato può riguardare esclusivamente le verifiche relative alla correttezza dei valori inseriti nella formula revisionale e dei relativi conteggi, nonché alla sussistenza di gravi inadempienze delle disposizioni previste dalla convenzione e che siano state formalmente contestate dal concessionario entro il 30 giugno precedente.

 

 

Il comma 2, lettera a), interviene sulla disciplina delle opere strategiche, al fine di accelerare la nuova procedura di approvazione unica del progetto preliminare (PP) da parte del CIPE, prevista dall'art. 169-bis del D.Lgs. 163/2006 (introdotto dall'art. 41, comma 2, lett. a), del D.L. 201/2011).

Viene altresì inserita la corretta denominazione del Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica della Presidenza del Consiglio dei Ministri (istituito con D.P.C.M. 21 giugno 2007), in luogo di quella errata (Dipartimento per la programmazione economica) recata dal testo previgente.

Relativamente alla citata procedura di approvazione unica del PP, si ricorda che il testo del comma 1 dell’art. 169-bis del Codice dei contratti pubblici, nella parte non novellata, prevede che, su proposta del MIT, il CIPE possa valutare il PP ai fini dell'approvazione unica dello stesso, assicurando l'integrale copertura finanziaria del progetto. In caso di opere finanziate a carico della finanza pubblica, la delibera CIPE relativa al PP deve indicare un termine perentorio, a pena di decadenza dell'efficacia della delibera e del finanziamento, per l'approvazione del progetto definitivo. In caso di approvazione unica del PP, il progetto definitivo è approvato con decreto interministeriale (adottato di concerto dai Ministeri delle infrastrutture, dell’economia e dell’ambiente, per i profili di rispettiva competenza), sentito il citato Dipartimento della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

 

L’accelerazione della citata procedura viene impressa attraverso la previsione:

§         di un termine (di 60 giorni) per il pronunciamento da parte del Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica della Presidenza del Consiglio dei ministri;

§         del meccanismo del silenzio-assenso nei casi di mancato rispetto del termine citato, per cui il provvedimento di approvazione può essere comunque adottato.

 

Il comma 2, lettera b), interviene ulteriormente sulla medesima procedura di approvazione, ma con riguardo all’iter del progetto definitivo (PD), disciplinato dal comma 3 dell'art. 169-bis del D.Lgs. 163/2006.

Relativamente al citato iter approvativo del PD, si ricorda che il testo del comma 3, nella parte non novellata, prevede che il PD sia rimesso da parte del soggetto aggiudicatore, del concessionario o contraente generale a ciascuna delle amministrazioni interessate dal progetto rappresentate nel CIPE e a tutte le ulteriori amministrazioni competenti a rilasciare permessi e autorizzazioni di ogni genere e tipo, nonché ai gestori di opere interferenti. Nel termine perentorio di 45 giorni dal ricevimento del progetto le P.A. competenti e i gestori di opere interferenti possono presentare motivate proposte di adeguamento o richieste di prescrizioni per il PD o di varianti migliorative che non modificano la localizzazione e le caratteristiche essenziali delle opere, nel rispetto dei limiti di spesa e delle caratteristiche prestazionali e delle specifiche funzionali individuati in sede di progetto preliminare. Nei 30 giorni successivi il MIT valuta la compatibilità delle proposte e richieste pervenute dalle P.A. competenti e dai gestori di opere interferenti con le indicazioni vincolanti contenute nel progetto preliminare approvato e, nel caso in cui verifichi il rispetto di tutte le condizioni previste dal comma 2, il PD viene approvato con il decreto interministeriale previsto dal comma 1.

 

La citata procedura viene integrata con la previsione di un periodo aggiuntivo, alla fine del comma 3 dell'art. 169-bis, che, in caso di criticità procedurali, tali da non consentire il rispetto del citato termine di 30 giorni per l’adozione del decreto, dispone che il MIT riferisce al Consiglio dei Ministri per le conseguenti determinazioni.

 

Profili finanziari

Il prospetto riepilogativo non ascrive alla norma effetti sui saldi di finanza pubblica.

 

La relazione tecnica afferma il carattere procedurale della norma, dalla quale non derivano nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

 

In merito ai profili di quantificazione non si formulano osservazioni, tenuto conto del carattere procedurale della norma.

Sotto il profilo applicativo, andrebbe comunque valutato se l’eliminazione della fase procedurale intermedia (ossia della proposta formulata al Ministro da parte del concedente) possa limitare - più di quanto non sia già determinato dalla normativa vigente - la possibilità di intervenire sulle variazioni tariffarie proposte dal concessionario.


 

Articolo 28
(Indennizzo da ritardo nella conclusione del procedimento)

L’articolo 28 introduce il diritto di chiedere un indennizzo da ritardo della pubblica amministrazione nella conclusione dei procedimenti amministrativi iniziati ad istanza di parte. La misura si affianca all’istituto del risarcimento del danno da ritardo, già previsto dalla legge n. 241/1990 (di seguito, legge proc.), e, al pari di questo, è volta a conseguire un più vasto rispetto dei termini di conclusione dei procedimenti amministrativi.

L’applicazione delle disposizioni è consentita in via sperimentale per diciotto mesi solo per i procedimenti relativi all’attività di impresa e rinviata ad una successiva valutazione negli altri casi. La successiva valutazione potrebbe condurre anche alla previsione della cessazione del nuovo istituto.

La disciplina vigente della conclusione del procedimento amministrativo

La materia dei termini procedimentali è contenuta nell’articolo 2 della legge 241/1990, che stabilisce la disciplina generale dell’obbligo di provvedere in capo alle pubbliche amministrazioni. Al fine di ridurre i termini di conclusione ed assicurare l’effettività del loro rispetto da parte delle amministrazioni, tale disposizione è stata già ampiamente modificata nel corso della XVI legislatura dalla L. 69/2009 (articolo 7), dalla L. 190/2012 (articolo 1, co. 38)

All’esito degli interventi di novella, l’articolo 2 della legge proc. stabilisce che i procedimenti amministrativi di competenza delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali devono concludersi entro trenta giorni, a meno che disposizioni di legge ovvero i provvedimenti di natura regolamentare da emanarsi da parte di ciascuna amministrazione prevedano un termine diverso.

 

All'adozione di tali provvedimenti si provvede con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta dei Ministri competenti e di concerto con i Ministri per la pubblica amministrazione e l'innovazione e per la semplificazione normativa, che individuano i termini di conclusione dei procedimenti di competenza delle amministrazioni statali.

 

In ogni caso, i termini fissati dalle amministrazioni non possono comunque essere superiori ai novanta giorni.

 

La legge ammette tuttavia la possibilità di prevedere termini superiori ai novanta giorni in considerazione della «sostenibilità dei tempi sotto il profilo dell’organizzazione amministrativa, della natura degli interessi pubblici tutelati e della particolare complessità del procedimento». In questi casi, tuttavia, il termine massimo di durata non può oltrepassare comunque i centottanta giorni e per l’adozione del relativo regolamento è necessaria sia la proposta dei Ministri per la pubblica amministrazione e l’innovazione e per la semplificazione normativa, sia la previa deliberazione del Consiglio dei Ministri. Sono esclusi da tale disciplina i procedimenti di acquisto della cittadinanza italiana e quelli riguardanti l’immigrazione[96].

 

I termini per la conclusione del procedimento decorrono dall’inizio del procedimento d’ufficio o dal ricevimento della domanda, se il procedimento è ad iniziativa di parte. È ammessa la sospensione del termine, per una sola volta e per un periodo non superiore a 30 giorni, per l’acquisizione di informazioni o di certificazioni relative a fatti, stati o qualità non attestati in documenti già in possesso dell’amministrazione stessa o non direttamente acquisibili presso altre pubbliche amministrazioni.

 

Contestualmente, l’articolo 2, co. 1, della legge proc., come modificato dalla L: 190/2012, prevede la possibilità per le pubbliche amministrazioni di concludere il procedimento con un provvedimento espresso redatto in forma semplificata qualora ravvisino “la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza della domanda”. La semplificazione consiste nel fatto che la motivazione può consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo. In tal modo, s’intendono fornire gli strumenti per attuare correttamente l’obbligo di concludere il procedimento con un provvedimento espresso, già sancito dall’articolo 2 della L. 241, nei casi in cui si riscontri l’assoluta mancanza dei presupposti per l’avvio della stessa istruttoria, al fine di realizzare un’ulteriore semplificazione ed accelerazione dell’attività amministrativa.

Oltre a stabilire una rideterminazione dei termini procedimentali, la legge 69/2009, con l’obiettivo di dare effettività a tali disposizioni, ha disciplinato le conseguenze del ritardo nel provvedere da parte dell'amministrazione, sia nei riguardi dei cittadini destinatari dell’azione amministrativa, sia nei riguardi dei dirigenti ai quali si possa far risalire la responsabilità del ritardo medesimo.

Sotto il primo aspetto, l’articolo 2-bis della legge proc. prevede, a carico di tutte le amministrazioni pubbliche, l’obbligo del risarcimento del danno ingiusto cagionato al cittadino in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento.

 

La nuova ipotesi di indennizzo da ritardo

La disposizione in esame introduce l’indennizzo da ritardo, indicandone al comma 1, l’ambito di applicazione soggettivo. L’ipotesi attiene al ritardo determinato dalla pubblica amministrazione (che può essere sia quella che ha dato avvio al procedimento, sia altra amministrazione, che intervenga nel corso del procedimento e che abbia causato il ritardo, come, ad esempio, la p.a. che debba rendere un parere), ma anche dai soggetti privati preposti all’esercizio di attività amministrative.

 

L’articolo 1, comma 1-ter, della legge proc., introdotto dalla L. 15/2005, vincola tali soggetti al rispetto dei principi generali dell’attività amministrativa sanciti dal comma 1 del medesimo articolo. La legge 190/2012 ha di recente novellato la disposizione specificando che devono assicurare un livello di garanzia dei principi non inferiore a quello cui sono tenute le p.a. Tali soggetti sono altresì tenuti al risarcimento del danno da ritardo ai sensi dell’articolo 2-bis della legge proc.

 

Quanto all’ambito di applicazione oggettivo, l’indennizzo è ammesso solo nelle ipotesi di mero ritardo nella conclusione di procedimenti ad istanza di parte. Pertanto l’indennizzo non può essere richiesto nei procedimenti avviati d’ufficio ed è determinato dal fattore temporale quale mero nesso causale.

Inoltre, anche per i procedimenti avviati su iniziativa di parte, è espressamente escluso in via ulteriore:

§         nei procedimenti concernenti lo svolgimento di pubblici concorsi;

§         nelle ipotesi di silenzio qualificato.

 

Il silenzio è l’inerzia dell’amministrazione. Nel nostro ordinamento, sono riconosciute varie forme di silenzio, nate nell’ambito della giustizia amministrativa o introdotte dal legislatore. La distinzione principale è quella intercorrente tra silenzio non significativo e silenzio cui il legislatore ha attribuito un significato effettuale (silenzio significativo).

Il silenzio non significativo, categoria di matrice giurisprudenziale, è divenuto categoria generale con l’art. 2 della legge proc. che previsto che l’amministrazione concluda il procedimento amministrativo in un tempo prefissato. Si parla al riguardo di silenzio-inadempimento o silenzio-rifiuto: si tratta di un mero fatto e si realizza quando l’amministrazione omette di provvedere nel termine senza che vi sia una particolare attribuzione legislativa di significato a tale inerzia.

Negli altri casi di silenzio significativo, l’ordinamento ricollega al decorso del termine la produzione di un effetto equivalente all’emanazione di un provvedimento favorevole (silenzio-assenso) o di diniego (silenzio-diniego) a seguito di istanza del privato. Si parla, infine di silenzio-rigetto nell’ipotesi di inerzia dell’amministrazione dinanzi alla presentazione di un ricorso amministrativo: in tal caso, il ricorso si intende respinto.

 

Pertanto con l’espressione “silenzio qualificato” dovrebbero intendersi tutte le ipotesi in cui il legislatore ha attribuito un significato all’inerzia dell’amministrazione.

 

La misura dell’indennizzo è stabilita in una somma pari a 30 euro per ogni giorno di ritardo rispetto alla data di scadenza del termine procedimentale. È stabilito anche un tetto massimo, in base al quale l’indennizzo non può essere superiore in ogni caso alla somma di 2.000 euro.

Il procedimento per ottenere l’indennizzo

Per ottenere l’indennizzo, il comma 2 dell’articolo 28 richiede all’istante di azionare il potere sostitutivo previsto dall’art. 2, co. 9-bis, della legge proc.

 

Il potere sostitutivo in caso di inerzia dell’amministrazione è stato introdotto dall’articolo 1 del D.L. 5/2012 (c.d. decreto semplificazioni), che ha aggiunto all’articolo 2 della legge proc. i commi da 9-bis a 9-quinquies.

Il comma 9-bis prevede una misura di pianificazione organizzativa, in base alla quale nell’ambito delle pubbliche amministrazioni, l’organo di governo deve individuare, tra le figure apicali, il soggetto a cui attribuire il potere sostitutivo in caso di inerzia.

La medesima disposizione stabilisce in proposito alcuni criteri suppletivi ove l’organo di governo non provveda all’individuazione: infatti, in tal caso, il potere sostitutivo si intende attribuito al dirigente generale. In mancanza di questi, al dirigente preposto all’ufficio o in mancanza al funzionario di più elevato livello presente nell’amministrazione. A seguito di un’ulteriore novella introdotta dall’art. 13, co. 01, D.L. 83/2012, tali informazioni sono oggetto di un obbligo di pubblicità sul sito internet istituzionale dell’amministrazione. In caso di ritardo, il titolare del potere sostitutivo comunica senza indugio il nominativo del responsabile per valutare l’opportunità di avviare il procedimento disciplinare, secondo le disposizioni del proprio ordinamento e dei contratti collettivi nazionali di lavoro, e, in caso di mancata ottemperanza a tali disposizioni, assume, oltre alla propria responsabilità, anche quella del responsabile.

Il comma 9-ter garantisce al privato in attesa del provvedimento dell’amministrazione, ove il termine per la conclusione del procedimento sia inutilmente decorso, la possibilità di rivolgersi direttamente al titolare del potere sostitutivo (individuato ai sensi del comma precedente) affinché concluda il procedimento medesimo o attraverso le strutture competenti o ricorrendo alla nomina di un commissario.

In ogni caso, il provvedimento finale dovrà essere adottato entro un termine pari alla metà di quello originariamente previsto. In tal modo, l’introduzione a regime di un potere sostitutivo attribuisce al privato in attesa del provvedimento, prima di ricorrere all’azione giudiziale, un ulteriore strumento esperibile a garanzia dell’effettività dell’azione amministrativa. Tra gli oneri incombenti in capo al titolare del potere sostitutivo, secondo quanto previsto dal comma 9-quater, vi è quello di comunicare all’organo di governo entro il 30 gennaio di ogni anno, i procedimenti, suddivisi per tipologia e strutture amministrative competenti, nei quali non è stato rispettato il termine di conclusione previsti dalla legge e o dai regolamenti.

In base al comma 9-quinquies, l’amministrazione deve “riconoscere” l’eventuale ritardo nell’adempimento, indicando in tutti i provvedimenti rilasciati su istanza di parte, sia il termine previsto per disposizione di legge o regolamentare, sia quello effettivamente impiegato.

Sono esclusi dall’applicazione delle disposizioni introdotte i procedimenti tributari e quelli in materia di giochi pubblici, con l’effetto di mantenere ferma la disciplina di settore.

Poiché la disciplina sul potere sostitutivo attualmente non si applica ai soggetti privati preposti all’esercizio di attività amministrativa, la disposizione richiede che gli stessi provvedano a individuare il responsabile.

 

Entro sette giorni dalla scadenza del termine procedimentale, l’istante deve rivolgersi al titolare del potere sostitutivo. Tale termine è qualificato decadenziale: pertanto, la sua inutile decorrenza comporta l’estinzione del diritto all’indennizzo.

Il comma 3 della disposizione in esame prevede che qualora il titolare del potere sostitutivo non emani il provvedimento ovvero non liquidi l’indennizzo maturato fino a quella data, l’istante può proporre ricorso dinanzi al giudice amministrativo ai sensi dell’articolo 117 del Codice del processo amministrativo (D.Lgs. 104/2010), che disciplina il rito avverso il silenzio della p.a.

 

La formulazione del testo dell’articolo 3 non consente un’immediata comprensione del procedimento de quo. In particolare, non appare chiaro: se il responsabile del potere sostitutivo possa in via discrezionale optare per l’adozione del provvedimento o per l’indennizzo; ovvero debba procedere all’indennizzo solo qualora non provveda ad emanare il provvedimento in via sostitutiva nel termine, ridotto della metà rispetto a quello originario, fissato dall’art. 2, co. 9-ter, legge proc..

Si valuti, inoltre, l’opportunità di coordinare la disposizione in esame con quelle dettate dai commi 9-bis e ss. dell’art. 2, legge proc, mediante novella di tale disposizione.

 

Il ricorso giurisdizionale previsto dal citato art. 117 è volto ad accertare la legittimità o meno del silenzio dell’amministrazione in relazione all’obbligo di conclusione del procedimento con un provvedimento espresso. Il legislatore fa salva la possibilità di proporre ricorso per decreto ingiuntivo ai sensi dell’articolo 118 del Codice ove ne ricorrano i presupposti.

 

Il Titolo III del libro IV del Codice del processo amministrativo, composto del solo art. 117, è dedicato al rito avverso il silenzio della pubblica amministrazione, anch’esso codificato senza innovazioni particolari, salvo un coordinamento in caso di concorso di azioni diverse con quella relativa alla mera inerzia.

Il ricorso avverso il silenzio è proposto, senza previa diffida, con atto notificato all’amministrazione e ad almeno un contro interessato fintanto che perdura l’inadempimento e, comunque, non oltre un anno dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento.

Il ricorso è deciso con sentenza in forma semplificata e in caso di totale o parziale accoglimento il giudice ordina all’amministrazione di provvedere entro un termine non superiore, di norma, a trenta giorni. Ove occorra, il giudice nomina un commissario ad acta con la sentenza con cui definisce il giudizio o successivamente su istanza della parte interessata.

Nel caso in cui nel corso del giudizio avverso il silenzio sopravvenga il provvedimento espresso, o un atto connesso con l’oggetto della controversia, questo può essere impugnato anche con motivi aggiunti, nei termini e con il rito previsto per il provvedimento espresso, e l’intero giudizio prosegue con tale rito. In tale ipotesi è prevista una conversione obbligatoria del rito camerale in rito ordinario, essendo sopravvenuto il provvedimento espresso e incentrandosi il contenzioso su quest’ultimo.

Quanto al ricorso per decreto ingiuntivo, disciplinato dall’art. 118 del Codice del processo amministrativo, si tratta di un procedimento analogo a quello disciplinato nel codice di procedura civile (e dunque che presuppone un credito liquido, certo ed esigibile ex art. 633 c.p.c.) che può essere attivato nelle materie di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, se le controversie abbiano ad oggetto diritti soggettivi di natura patrimoniale.

 

La disposizione specifica che può proporsi congiuntamente al ricorso avverso il silenzio, anche la domanda per ottenere l'indennizzo. In questa ipotesi, anche tale domanda è trattata con rito camerale e decisa con sentenza in forma semplificata.

 

Attualmente, l’articolo 117, co. 6, prevede che se insieme all’azione avverso il silenzio viene proposta l’azione di risarcimento del danno per inosservanza dolosa o colposa del termine per provvedere, il giudice può definire con il rito camerale l’azione avverso il silenzio e fissare l’udienza pubblica per la trattazione della domanda risarcitoria.

 

Ai sensi del comma 6, qualora il giudice dichiari inammissibile il ricorso ovvero lo rigetti in ragione della inammissibilità o della manifesta infondatezza dell’istanza che ha dato avvio al procedimento, il giudice condanna il ricorrente a pagare una somma da due a quattro volte superiore il contributo unificato (su cui, v. infra) in favore dell’amministrazione resistente.

 

Si ricorda che, proprio al fine di favorire il rispetto dell’obbligo di provvedere nei termini previsti, il legislatore ha introdotto la c.d. conclusione semplificata del procedimento di cui all’articolo 2, co. 1, legge proc. (v. supra).

 

Il comma 5 dell’articolo 28 riduce della metà il contributo unificato nei ricorsi disciplinati dalla disposizione in commento e pone un vincolo di destinazione delle relative risorse in favore di un capitolo dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, che lo utilizzerà per la realizzazione di interventi urgenti in materia di giustizia amministrativa (ex art. 37, comma 10, secondo periodo del D.L. 98/2011).

 

Quanto all’importo del contributo unificato, In base all’art. 13, comma 6-bis, del TU spese di giustizia (DPR 115/2002) per il ricorso ai sensi dell’art. 117 del Codice del processo amministrativo sono dovuti 300 euro; conseguentemente, nei casi appena descritti, il contributo dovuto è di 150 euro. Pertanto, si consideri che l’indennizzo per cinque giorni di ritardo rifonde del pagamento del contributo.

 

La segreteria del giudice è tenuta dalla previsione contenuta al comma 7 a comunicare la pronuncia di condanna a carico dell’amministrazione:

§      alla Corte dei conti al fine del controllo di gestione sulla pubblica amministrazione;

§      al Procuratore regionale della Corte dei Conti per le valutazioni di competenza

§      al titolare dell'azione disciplinare verso i dipendenti pubblici interessati dal procedimento amministrativo.

 

Il comma 8, infine, prevede che sia nella comunicazione di avvio del procedimento (prevista dall’art. 7, legge proc.), sia nelle informazioni sul procedimento che devono essere pubblicate a cura delle p.a. ai sensi dell’art. 35, D.Lgs. 33/2013, debba essere fatta menzione:

§      del diritto all'indennizzo, nonché delle modalità e dei termini per conseguirlo

§      del soggetto cui è attribuito il potere sostitutivo e i termini a questo assegnati per la conclusione del procedimento.

 

Sul punto, si ricorda che l’articolo 35 del citato D.Lgs. 33/2013 già prevede, al comma 1, lett. m), la pubblicazione del nome del soggetto a cui è attribuito, in caso di inerzia, il potere sostitutivo, nonché le modalità per attivare tale potere, con indicazione dei recapiti telefonici e delle caselle di posta elettronica istituzionale. Atteso, inoltre, che con il D.Lgs. 33, il legislatore ha inteso raccogliere e riordinare tutte le disposizioni relative agli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni, si valuti l’opportunità di coordinare nuovi obblighi con novelle al testo del decreto medesimo.

La novella alla legge 241/1990

Il comma 9 dell’articolo 28 novella la legge proc. introducendo all’articolo 2-bis, che prevede al comma 1 la risarcibilità del danno da ritardo, un nuovo comma 2.

La nuova disposizione prevede quanto già disposto dal comma 1 dell’articolo 28 in commento, ossia, in caso di inosservanza del termine di conclusione del procedimento ad istanza di parte, per il quale sussiste l'obbligo di pronunziarsi, il diritto dell’istante di ottenere un indennizzo per il mero ritardo. Al pari di quanto previsto al comma 1 della disposizione in commento sono escluse le ipotesi di silenzio qualificato e i procedimenti relativi ai concorsi pubblici.

La disposizione prosegue rinviando alla legge o, sulla base di una legge, ad un regolamento di delegificazione per disciplinare le condizioni e le modalità del diritto all’indennizzo.

 

La formulazione del testo della novella potrebbe non dar luogo a problemi interpretativi di coordinamento tra le disposizioni recate dall’articolo 28, commi 1-8, e la disciplina contenuta nella legge proc., in quanto, le disposizioni di legge attuative a cui fa rinvio il nuovo comma 2 del novellato art. 2-bis della legge proc. dovrebbero, presumibilmente, essere proprio le disposizioni dell’articolo 28 in esame.

Tuttavia, si valuti se sia opportuno introdurre una novella alla legge proc considerato il carattere sperimentale dell’efficacia delle nuove disposizioni, stabilito dai commi 10 e 12 dell’articolo 28 (su cui, v. infra) e delle incertezze sull’applicazione dell’indennizzo.

In ogni caso, la previsione della novella e della disciplina dettata negli altri commi dell’art. 28 comporta la coesistenza in sedi diverse dell’ordinamento, e con diversi livelli di dettaglio, del regime relativo ad uno stesso istituto.

 

Da ultimo, la novella precisa che in caso di indennizzo, le somme corrisposte o da corrispondere a tale titolo sono detratte dal risarcimento.

In tal modo si ribadisce che la richiesta di indennizzo non esclude, ricorrendone i presupposti, di chiedere anche il risarcimento del danno da ritardo. In tale ipotesi, il risarcimento sarà dovuto solo per la misura maggiore, tenuto conto della cifra corrisposta o da corrispondere (ancorché quantificata) a titolo di indennizzo.

 

È nota la differenza tra indennizzo e risarcimento del danno. Il primo consiste nel pagamento dovuto ad un soggetto per un pregiudizio da subìto che, però, non consegue ad un atto illecito. Il risarcimento, invece, è dovuto quale ristoro di un danno subito, ossia un pregiudizio conseguente ad atto illecito e come tale fonte di responsabilità civile.

L’applicazione in via sperimentale

I commi 10, 11 e 12 dell’articolo 28 dettano disposizioni relative alla efficacia delle disposizioni sul diritto all’indennizzo da ritardo.

In particolare, si prescrive l’applicazione in via sperimentale delle stesse ai soli procedimenti amministrativi relativi all’avvio e all’esercizio dell’attività di impresa, iniziati successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione, con decorrenza a partire da tale data.

La fase sperimentale avrà una durata di diciotto mesi, al termine dei quali, sulla base del monitoraggio relativo alla sua applicazione, sarà adottato un regolamento di delegificazione ex art. 17, co. 2, L. 400/1988, con il quale potranno essere stabiliti la conferma o la rimodulazione o la “cessazione” – rectius dell’efficacia - delle disposizioni sull’indennizzo per i procedimenti relativi all’impresa, ovvero anche la decorrenza di tali disposizioni per i procedimenti amministrativi esclusi dalla prima fase sperimentale. L’applicazione per questi potrà avvenire eventualmente con modalità graduali.

Il regolamento è adottato su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza unificata.

Come si può notare, benchè la disposizione illustrata faccia rinvio alla categoria di regolamenti dell’art.17, co. 2, L. 400/1988, la disciplina adottata si discosta da quella prevista dal citato articolo, che richiede che, in sede di autorizzazione all'esercizio della potestà regolamentare del Governo, si determinin le norme generali regolatrici della materia e si disponga l'abrogazione delle norme vigenti, con effetto dall'entrata in vigore delle norme regolamentari.

 

A proposito dell’autorizzazione alla delegificazione disposta dal comma 12, si segnala, come costantemente evidenziato nella giurisprudenza del Comitato per la legislazione, che la sentenza della Corte costituzionale n. 149 del 2012, in un obiter dictum, lascia impregiudicata – cioè non esclude - la possibilità di pronunciarsi sulla “correttezza della prassi di autorizzare l’emanazione di regolamenti di delegificazione tramite decreto-legge”, nonché “ogni valutazione sulle procedure di delegificazione non conformi al modello previsto dall’art. 17, comma 2, della legge n. 400 del 1988, quale è quella prevista dalla disposizione impugnata, che non determina «le norme generali regolatrici della materia», né indica espressamente le norme di rango primario da ritenersi abrogate con effetto dalla data di entrata in vigore dei regolamenti di delegificazione”.

Si consideri ulteriormente, alla luce della natura urgente del decreto-legge in esame, che l’adozione del regolamento di delegificazione è autorizzata a decorrere da una data lontana nel tempo (diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione), senza alcun termine, e che lo stesso potrà a sua volta prevedere l’applicazione “in via graduale” delle disposizioni per determinate fattispecie.

 

Il comma 11 prevede che gli oneri finanziari derivanti dall’applicazione dell’indennizzo restano a carico degli stanziamenti ordinari di bilancio di ciascuna amministrazione interessata.

 

Profili finanziari

Il prospetto riepilogativo non considera la norma.

 

La relazione tecnica, dopo aver ribadito il contenuto delle norme, afferma agli oneri derivanti dall’applicazione del presente articolo si potrà fare fronte nell'ambito stanziamenti ordinari di bilancio di ciascuna amministrazione interessata, tenuto anche conto che:

§      l'ambito di applicazione è circoscritto ai soli nuovi procedimenti di avvio ed esercizio di attività di impresa;

§      nel caso emergano criticità, le pubbliche amministrazioni interessate potranno individuare ai sensi dell'art. 2 legge 241 del 1990, termini procedimentali più adeguati alle loro esigenze organizzative, fino ad un massimo di 180 giorni;

§      in ogni caso, è previsto un monitoraggio dell'applicazione della disposizione nonché la possibilità, in sede di verifica, di disporre con regolamento la cessazione delle disposizioni in questione.

 

In merito ai profili di quantificazione si osserva che per una più approfondita valutazione dei profili finanziari della norma sarebbe utile disporre dei dati, anche a carattere campionario, concernenti il contenzioso esistente tra cittadini e pubbliche amministrazioni relativo ai ritardi nella conclusione dei provvedimenti. Qualora, infatti, l’entità di tale contenzioso risultasse rilevante, si potrebbe, di conseguenza, prefigurare la possibilità che le nuove norme potrebbero determinare l’effettiva applicazione di sanzioni a carico della pubblica amministrazione. A tal proposito deve rilevarsi che la clausola di monitoraggio prevista dal comma 12 non risulta idonea ad interrompere il manifestarsi di effetti finanziari negativi dal momento che la stessa non è attivabile nel momento in cui gli effetti pregiudizievoli sono rilevati, ma solo ed esclusivamente al termine del periodo di osservazione di diciotto mesi nel corso dei quali le norme esplicano pienamente i loro effetti. Parimenti non appare idoneo ad escludere effetti pregiudizievoli la previsione che le sanzioni sono poste a carico dell’ente sanzionato, dal momento che non risulta evidente se tutte le pubbliche amministrazioni dispongano di risorse da accantonare e rendere indisponibili al fine di fronteggiare l’eventuale applicazione ad esse delle sanzioni previste dal testo in esame. Da ultimo si osserva che la sanzione è comminata per il mero ritardo prescindendo da ogni condotta dolosa o colposa: ne consegue che anche in presenza di fattispecie in relazione alle quali risulta impossibile procedere nei tempi previsti l’indennizzo previsto risulta comunque dovuto. A tal proposito potrebbe essere utile puntualizzare con maggiore precisione l’ambito di applicazione della norme riferito “ai procedimenti amministrativi relativi all’avvio e all’esercizio dell’attività di impresa”.

 

In merito ai profili di copertura finanziaria, potrebbe risultare opportuno modificare il comma 11, prevedendo che le amministrazioni interessate provvedono alla sua attuazione nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Sul punto appare opportuno acquisire l’avviso del Governo.


 

Articolo 29
(Data unica di efficacia degli obblighi)

L’articolo 29 pone l’obbligo di fissare la data di decorrenza dell’efficacia degli obblighi amministrativi introdotti a carico di cittadini ed imprese al 1° luglio o al 1° gennaio successivi alla loro entrata in vigore.

Inoltre, viene posto l’obbligo da parte del responsabile della trasparenza delle amministrazioni competenti sia di pubblicare sul sito istituzionale le date di efficacia dei nuovi obblighi amministrativi introdotti, sia di comunicarle al Dipartimento della funzione pubblica, che a sua volta le pubblicherà in apposite pagine web.

Entrambi gli obblighi, come si vedrà infra in dettaglio, non sono immediatamente efficaci.

 

In primo luogo, il comma 1 individua le categorie degli atti che, qualora introducano nuovi oneri amministrativi a carico di cittadini ed imprese, devono contestualmente prevederne la decorrenza dell’efficacia in due “finestre” predeterminate: appunto il 1° luglio o il 1° gennaio successivi alla loro entrata in vigore. In particolare la disposizione riguarda i seguenti provvedimenti:

§         atti normativi del Governo;

§         regolamenti ministeriali;

§         atti amministrativi a carattere generale:

-         delle amministrazioni dello Stato

-         degli enti pubblici nazionali e

-         delle agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300.

 

Si tratta, come si vede di una ampia ed eterogenea pluralità di atti – idonea a comprendere anche i decreti-legge, in quanto “atti normativi del Governo” - accomunati dalla caratteristica della generalità dei soggetti nei confronti dei quali producono i propri effetti.

 

In particolare, la giurisprudenza ha affermato che gli atti amministrativi generali “sono espressione di mera potestà amministrativa e sono rivolti alla cura concreta di interessi pubblici, con effetti diretti nei confronti di una pluralità di destinatari non necessariamente determinati nel provvedimento, ma determinabili”; i regolamenti, che rientrano tra gli atti normativi, sono, invece, “espressione di una potestà normativa attribuita all’amministrazione, secondaria rispetto alla potestà legislativa, e disciplinano in astratto tipi di rapporti giuridici mediante una regolazione attuativa o integrativa della legge, ma ugualmente innovativa rispetto all’ordinamento giuridico esistente, con precetti aventi i caratteri della generalità e dell’astrattezza” (T.A.R. Basilicata, 197/2000, Cons. Stato, Sez. IV, 15 febbraio 2001).

 

Inoltre, il comma 1 prevede due deroghe in presenza di particolari esigenze di celerità dell'azione amministrativa o derivanti dalla necessità di dare tempestiva attuazione ad atti dell'Unione europea.

 

Si osserva che andrebbe valutata l’opportunità di estendere espressamente l’applicazione della disposizione in esame alle autorità amministrative indipendenti, in ordine delle ampie competenze regolatorie proprie di alcune di esse.

 

Il comma 2 provvede a delimitare l’ambito oggettivo di applicazione di quanto disposto dal comma 1: la dichiarazione della decorrenza dell’efficacia riguarda gli obblighi amministrativi che comportano la “raccolta, elaborazione, trasmissione, conservazione e produzione di informazioni e documenti, cui cittadini e imprese sono tenuti nei confronti della pubblica amministrazione”. Sono, pertanto, escluse altre tipologie di scadenze, ad esempio quelle riguardanti i pagamenti.

 

La misura introdotta dall’articolo in esame non interviene sul versante della riduzione degli oneri amministrativi – politica avviata della scorsa legislatura - ma intende limitare uno degli effetti derivanti dall’instabilità normativa, ossia la frequente modificazione delle modalità, procedure e termini concernenti gli obblighi amministrativi gravanti su cittadini ed imprese, attraverso appunto l’introduzione di due “finestre” annuali prefissate di decorrenza di tali modifiche, in modo da consentire la predisposizione per tempo da parte degli interessati degli strumenti necessari per ottemperare a detti obblighi.

 

La riduzione degli oneri amministrativi è un tema che si inquadra nella cornice ordinamentale europea ed è stato perseguito in base all’impegno assunto dallo Stato italiano nel Consiglio dei ministri europeo dell’8-9 marzo 2007. Per “oneri amministrativi”, s’intendono i costi degli adempimenti cui cittadini ed imprese sono tenuti nei confronti delle pubbliche amministrazioni nell'ambito del procedimento amministrativo, compreso qualunque adempimento comportante raccolta, elaborazione, trasmissione, conservazione e produzione di informazioni e documenti alla pubblica amministrazione.

Sulla materia, nel corso della XVI legislatura, si sono susseguiti diversi interventi normativi, costituiti dall’articolo 25 del D.L. 112/2008, poi modificato dall’art. 6, co. 2, lett. f), D.L. 70/2011, dall’articolo 8 della L. 180/2011 (c.d. statuto delle imprese) e, da ultimo, dall’art. 3, del D.L. 5/2012 (c.d. decreto semplificazioni).

L’obiettivo perseguito è, da un parte, la misurazione degli oneri amministrativi derivanti da obblighi informativi nelle materie affidate alla competenza dello Stato e, dall’altro, la loro riduzione per una quota complessiva del 25 per cento, entro il 31 dicembre 2012.

 

Si osserva che andrebbe valutata l’opportunità di prevedere, in aggiunta alle due date di decorrenza, anche l’introduzione di un periodo di tempo predeterminato che debba necessariamente intercorrere tra la pubblicazione del provvedimento recante un nuovo onere e la sua entrata in vigore, in modo da evitare l’eventualità che l’effetto di conoscibilità sia precluso in caso di provvedimenti adottati in una data molto prossima ad una delle due finestre.

Andrebbe, inoltre, valutata l’opportunità di applicare le disposizioni in esame non solamente agli atti che introducono nuovi oneri amministrativi, ma anche a quelli che modificano quelli vigenti.

 

L’articolo in esame introduce una misura già esistente in Francia, dove la circolare del 23 maggio 2011 del Primo Ministro ha introdotto un dispositivo (DCEV: dispositif de dates communes d’entrée en vigueur) volto a tutelare le imprese dalle conseguenze negative dell’instabilità normativa. La circolare riguarda i regolamenti concernenti le imprese e impone la previsione di uno scarto temporale, non inferiore a due mesi, tra la pubblicazione delle misure adottate dal Governo e la loro entrata in vigore, al fine di permettere alle imprese di prepararsi nelle migliori condizioni possibili all’adeguamento. Inoltre, viene prevista la creazione di due finestre (primo gennaio/primo luglio) per l’entrata in vigore delle nuove regole per fornire uno scadenzario chiaro alle imprese (www.legifrance.gouv.fr/affichTexte.do?cidTexte=JORFTEXT000024058202).

Tale circolare è richiamata nel rapporto I costi per la competitività italiana derivanti dalla instabilità normativa: cause e possibili rimedi (pubblicato in allegato ai resoconti della seduta del Comitato per la legislazione del 5 febbraio 2013), ove si auspica “l’introduzione, anche nel nostro ordinamento, di meccanismi volti a tutelare le imprese dalle conseguenze negative dell’instabilità normativa, fissando delle finestre per l’entrata in vigore delle nuove regole al fine di creare così uno scadenzario chiaro alle imprese e prevedendo comunque scarti temporali adeguati tra pubblicazione delle misure e relativa entrata in vigore”.

 

Inoltre, il comma 3 aggiungendo un articolo 12-bis al decreto legislativo 33/2013 che raccoglie le disposizioni in materia di trasparenza delle pubbliche amministrazioni, prevede che il responsabile della trasparenza di ciascuna delle amministrazioni competenti sia tenuto a pubblicare sul sito istituzionale lo scadenzario con l'indicazione delle date di efficacia dei nuovi obblighi amministrativi introdotti. Inoltre, lo scadenzario viene comunicato al Dipartimento della funzione pubblica per la pubblicazione riepilogativa in un'apposita sezione del sito istituzionale.

L’inosservanza di tali obblighi costituisce elemento di valutazione della responsabilità dirigenziale.

Le modalità di pubblicazione sono demandate ad uno o più decreti del Presidente del Consiglio, da adottare, su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione, entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto (comma 4).

 

Sul punto, si ricorda che l’articolo 34 del citato D.Lgs. 33/2013 già prevede la pubblicazione degli oneri informativi, definiti come qualunque obbligo informativo o adempimento che comporti la raccolta, l'elaborazione, la trasmissione, la conservazione e la produzione di informazioni e documenti alla pubblica amministrazione. Pertanto, si valuti l’opportunità di un coordinamento tra le due disposizioni.

 

Infine, il comma 5 introduce una disposizione transitoria, fissando la decorrenza dell’efficacia del comma 1 al 2 luglio 2013.

In merito a tale decorrenza appare opportuno un chiarimento per quanto riguarda la scelta della data.


 

Articolo 30
(Semplificazioni in materia edilizia)

Modifiche della sagoma e ristrutturazione edilizia

Ai sensi del comma 1, lettera a), dell'articolo 30, salvo il comma 6 dell’art. 22 del D.P.R. 380/2001 (secondo cui la DIA deve essere preceduta, per lavori su immobili vincolati, dall’autorizzazione o parere previsto dalle norme vigenti), vengono esclusi dal novero degli “interventi di ristrutturazione edilizia” - elencati dalla lettera d) del comma 1 dell’art. 3 del medesimo decreto - quelli di demolizione e ricostruzione che comportano solamente variazioni nella sagoma.

Il testo previgente della lettera d) definiva quali "interventi di ristrutturazione edilizia", gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica. Il requisito della sagoma viene quindi eliminato dalla lettera a) in commento.

 

Viene inoltre introdotto, all’art. 3, comma 1, lett. d), un periodo che mira a ricomprendere nella ristrutturazione edilizia anche il ripristino/ricostruzione di edifici crollati o demoliti.

 

Le variazioni nella sagoma vengono invece ancora considerate come elemento per considerare l’intervento – sia di demolizione/ricostruzione, sia di ripristino/ricostruzione di edifici crollati/demoliti - come “di ristrutturazione edilizia” qualora l’immobile sia vincolato ai sensi del D.Lgs. 42/2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio).

 

 

La successiva lettera c) reca una modifica consequenziale, volta a far sì che gli interventi di ristrutturazione edilizie con modifiche della sagoma non siano più soggetti a permesso di costruire, a meno che non riguardino immobili vincolati ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio.

Si ricorda che il testo previgente dell’art. 10 del T.U. edilizia provvedeva a subordinare a permesso di costruire, tra gli altri, gli interventi di ristrutturazione edilizia “che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d'uso”.

 

 

Un’ulteriore modifica consequenziale è apportata dalla successiva lettera e), che novella l’art. 22, comma 2, del T.U. edilizia relativo alla possibilità di operare alcune tipologie di varianti al permesso di costruire semplicemente tramite la DIA.

Il testo previgente del citato comma 2 disponeva, infatti, che “sono realizzabili mediante denuncia di inizio attività le varianti a permessi di costruire che non incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, che non modificano la destinazione d'uso e la categoria edilizia, non alterano la sagoma dell'edificio e non violano le eventuali prescrizioni contenute nel permesso di costruire”.

Lo stesso comma prevede che, ai fini dell'attività di vigilanza urbanistico-edilizia e del rilascio del certificato di agibilità, tali DIA costituiscono parte integrante del procedimento relativo al permesso di costruzione dell'intervento principale e possono essere presentate prima della dichiarazione di ultimazione dei lavori.

 

La novella in questione, coordinandosi con quelle recate dalle lettere a) e c) del comma 1 dell'articolo 30, integra il citato comma 2 al fine di chiarire che il divieto di alterazione della sagoma riguarda i soli edifici vincolati ai sensi del D.Lgs. 42/204.

Di conseguenza, negli edifici non vincolati, sarà possibile operare con la DIA una variante al permesso di costruire anche qualora la variante stessa preveda modifiche della sagoma.

 

Riepilogando. La lettera a) amplia la platea degli interventi considerabili come “ristrutturazioni edilizie” eliminando il requisito dell’invarianza della sagoma (salvo gli immobili vincolati, per i quali il requisito rimane).

La successiva lettera c) elimina il criterio dell’invarianza della sagoma dall’art. 10, per cui gli interventi di ristrutturazione edilizia che si limitano a modificare la sola sagoma (sempre che si tratti di immobili non vincolati, perché altrimenti il criterio rimane) non sono più soggetti a permesso di costruire e, quindi, ai sensi dell’art. 22, comma 1, saranno effettuabili semplicemente con la DIA.

Si ricorda in proposito che l’art. 22, comma 1, dispone che sono realizzabili mediante DIA gli interventi non riconducibili all'elenco di cui all'articolo 10 (permesso di costruire) e all'articolo 6 (attività edilizia libera), purché, ovviamente, conformi alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente.

La lettera e) estende tale facilitazione anche alle varianti dei permessi di costruire.

 

Si ricorda infine che la DIA può essere sostituita dalla più snella SCIA (Segnalazione certificata di inizio attività), introdotta dal comma 4-bis dell'art. 49, del D.L. 78/2010, attraverso la sostituzione dell’art. 19 della L. 241/1990.

L’art. 5 (comma 2, lett. b) e c) del D.L. 70/2011 ha infatti chiarito che la SCIA si applica anche all’edilizia in sostituzione della DIA, ma non della superDIA (ovvero la Dia alternativa al permesso di costruire disciplinata dall'art. 22, comma 3), consentendo l’avvio dei lavori il giorno stesso della sua presentazione (mentre con la DIA occorre attendere 30 giorni).

 

La relazione illustrativa sottolinea che le norme recate dalle lettere a), c) ed e) sono volte a favorire la riqualificazione del patrimonio edilizio esistente ed evitare ulteriore consumo del territorio.

Riguardo agli immobili vincolati si ricorda che, comunque, l’art. 22, comma 6, prevede che la realizzazione degli interventi assoggettati a DIA o superDIA che riguardino immobili sottoposti a tutela storico-artistica o paesaggistica-ambientale, è subordinata al preventivo rilascio del parere o dell'autorizzazione richiesti dalle relative previsioni normative, tra cui rientrano quelle dettate dal Codice dei beni culturali e del paesaggio (D.Lgs. 42/2004) che ha sostituito il D.Lgs. 490/1999, che ancora viene citato nel testo del comma 6.

Si segnala altresì che sulla questione dei mutamenti di sagoma si è espressa la Corte costituzionale che, con la sentenza n. 309/2011, ha censurato l’art. 27, comma 1, lettera d), ultimo periodo, della legge della Regione Lombardia n. 12 del 2005, come interpretato dall’art. 22 della successiva L.R. 7/2010, che aveva definito come ristrutturazione edilizia interventi di demolizione e ricostruzione senza il vincolo della sagoma, in contrasto con l’allora vigente art. 3, comma 1, lettera d), del D.P.R. 380/2001 che, secondo la Corte, rappresenta un principio fondamentale in materia di governo del territorio.

 

Con riferimento alle semplificazioni operate dalle lettere c) ed e), che consentono di eseguire con semplice DIA (e quindi, in sostituzione di questa, con la SCIA) interventi di ristrutturazione edilizia o varianti a permessi di costruire comportanti modifiche della sagoma, si segnala altresì la disposizione dettata dal comma 4 del nuovo art. 23-bis introdotto nel T.U. edilizia dalla lettera f) del comma 1 dell’articolo 30. Tale comma 4 prevede infatti, che se tali interventi sono collocati nelle zone territoriali omogenee A di cui al D.M. 1444/1968 e in quelle equipollenti secondo l'eventuale diversa denominazione adottata dalle leggi regionali, allora i lavori non possono in ogni caso avere inizio prima di 20 giorni dalla presentazione della SCIA.

Si ricorda che le citate zone A, ai sensi dell’art. 2 del D.M. 1444/1968, includono “le parti del territorio interessate da agglomerati urbani che rivestono carattere storico, artistico o di particolare pregio ambientale o da porzioni di essi, comprese le aree circostanti, che possono considerarsi parte integrante, per tali caratteristiche, degli agglomerati stessi”.

Si fa notare che la disposizione recata da tale comma 4 sembra in qualche modo bilanciare le semplificazioni previste dalle lettere c) ed e) del comma in commento nei casi in cui l’immobile non sia vincolato; per gli immobili vincolati non è infatti possibile presentare la SCIA, come chiarito dalle lettere a), c) ed e).

Dichiarazione del tecnico abilitato per interventi di edilizia libera

Il comma 1, lettera b), dell'articolo 30 novella l’art. 6, comma 4, del D.P.R. 380/2001 (T.U. edilizia) provvedendo ad abrogare quella parte del comma che prevedeva, limitatamente ad alcune tipologie di interventi di edilizia libera (indicati dalla lettere a) ed e-bis) del comma 2), la dichiarazione del tecnico abilitato di non avere rapporti di dipendenza con l'impresa né con il committente.

Si rammenta che il citato comma 4 prevede, limitatamente agli interventi di cui al comma 2, lettere a) ed e-bis), che l'interessato, unitamente alla comunicazione di inizio dei lavori, trasmette all'amministrazione comunale i dati identificativi dell'impresa alla quale intende affidare la realizzazione dei lavori e una relazione tecnica provvista di data certa e corredata degli opportuni elaborati progettuali, a firma di un tecnico abilitato che assevera, sotto la propria responsabilità, che i lavori sono conformi agli strumenti urbanistici approvati e ai regolamenti edilizi vigenti e che per essi la normativa statale e regionale non prevede il rilascio di un titolo abilitativo. Oltre a tale dichiarazioni il testo previgente contemplava anche la dichiarazione, da parte del tecnico, di non avere rapporti di dipendenza con l'impresa né con il committente. Tale obbligo aggiuntivo viene quindi soppresso, eliminando quella che da più parti era stata giudicata come una norma difficilmente applicabile, in considerazione del fatto che il tecnico sarebbe incaricato dalla committenza per lo svolgimento dei servizi previsti dal comma 4 citato (relazione tecnica e asseverazione delle conformità urbanistico-edilizia) in cambio di un onorario.

Si ricorda che le citate lettere a) ed e-bis) del comma 2 dell’art. 6 del D.P.R. 380/2001 elencano i seguenti interventi di edilizia libera:

a) gli interventi di manutenzione straordinaria, ivi compresa l’apertura di porte interne o lo spostamento di pareti interne, sempre che non riguardino le parti strutturali dell’edificio, non comportino aumento del numero delle unità immobiliari e non implichino incremento dei parametri urbanistici;

e-bis) le modifiche interne di carattere edilizio sulla superficie coperta dei fabbricati adibiti ad esercizio d'impresa, ovvero le modifiche della destinazione d'uso dei locali adibiti ad esercizio d'impresa.

Rilascio del permesso di costruire su immobili vincolati

La lettera d) del comma 1 dell'articolo 30 novella l’art. 20 del T.U. edilizia che disciplina il procedimento da seguire per il rilascio del permesso di costruire, nella parte relativa all’atto di assenso per immobili su cui sussistono vincoli ambientali, paesaggistici o culturali.

La principale innovazione apportata dalla lettera in esame, contemplata dal nuovo testo del comma 9, è che, in caso di immobili vincolati, il procedimento si deve concludere con l'adozione di un provvedimento espresso.

Il testo previgente prevedeva invece l’ipotesi del silenzio-rifiuto.

 

Viene altresì prevista l’applicazione delle disposizioni dell’art. 2 della L. 241/1990.

Tale articolo prevede, tra l’altro, l’obbligo di conclusione del procedimento con l’adozione di un provvedimento espresso (comma 1); demanda alla disciplina del Codice del processo amministrativo la tutela in materia di silenzio dell'amministrazione e prevede che la mancata o tardiva emanazione del provvedimento costituisce elemento di valutazione della performance individuale, nonché di responsabilità disciplinare e amministrativo-contabile del dirigente e del funzionario inadempiente. Lo stesso articolo disciplina l’attribuzione di poteri sostitutivi nei casi di inerzia.

 

Nel caso di diniego dell’atto di assenso, viene previsto che il responsabile del procedimento trasmetta al richiedente il provvedimento di diniego entro 5 giorni dalla data in cui è acquisito agli atti, con le indicazioni di cui all’art. 3, comma 4, della L. 241/1990, cioè del termine e dell'autorità cui è possibile ricorrere.

 

Ulteriore novità è rappresentata dall’introduzione di una disposizione secondo cui, per gli immobili sottoposti a vincolo paesaggistico, resta fermo quanto previsto dall’art. 146, comma 9, del D.Lgs. 42/2004.

Tale comma 9 disciplina la procedura da seguire nel caso di silenzio del soprintendente in merito al parere obbligatorio e vincolante che egli deve rendere sull'istanza di autorizzazione paesaggistica. Tale comma è modificato dall’articolo 39, comma 1, lettera b), numero 3), del decreto legge in commento alla cui scheda si rinvia.

Lo stesso comma 9 ha demandato ad apposito regolamento (D.P.R. 9 luglio 2010, n. 139) la delegificazione delle procedure semplificate per il rilascio dell'autorizzazione paesaggistica in relazione ad interventi di lieve entità.

 

Testo previgente dell’art. 20, commi 8-10

Nuovo testo dell’art. 20, commi 8-9

8. Decorso inutilmente il termine per l'adozione del provvedimento conclusivo, ove il dirigente o il responsabile dell’ufficio non abbia opposto motivato diniego, sulla domanda di permesso di costruire si intende formato il silenzio-assenso, fatti salvi i casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali, per i quali si applicano le disposizioni di cui ai commi 9 e 10.

8. Decorso inutilmente il termine per l'adozione del provvedimento conclusivo, ove il dirigente o il responsabile dell’ufficio non abbia opposto motivato diniego, sulla domanda di permesso di costruire si intende formato il silenzio-assenso, fatti salvi i casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali, per i quali si applicano le disposizioni di cui al comma 9.

 

9. Qualora l'immobile oggetto dell'intervento sia sottoposto ad un vincolo la cui tutela compete, anche in via di delega, alla stessa amministrazione comunale, il termine di cui al comma 6 decorre dal rilascio del relativo atto di assenso. Ove tale atto non sia favorevole, decorso il termine per l'adozione del provvedimento conclusivo, sulla domanda di permesso di costruire si intende formato il silenzio-rifiuto.

9. Qualora l'immobile oggetto dell'intervento sia sottoposto a vincoli ambientali, paesaggistici o culturali, il termine di cui al comma 6 decorre dal rilascio del relativo atto di assenso,

 

il procedimento è concluso con l'adozione di un provvedimento espresso e si applica quanto previsto dall'articolo 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni.

10. Qualora l'immobile oggetto dell'intervento sia sottoposto ad un vincolo la cui tutela non compete all'amministrazione comunale, il competente ufficio comunale acquisisce il relativo assenso nell'ambito della conferenza di servizi di cui al comma 5-bis. In caso di esito non favorevole, sulla domanda di permesso di costruire si intende formato il silenzio-rifiuto.

In caso di diniego dell’atto di assenso, eventualmente acquisito in conferenza di servizi, decorso il termine per l’adozione del provvedimento finale, la domanda di rilascio del permesso di costruire si intende respinta.

 

Il responsabile del procedimento trasmette al richiedente il provvedimento di diniego dell’atto di assenso entro cinque giorni dalla data in cui è acquisito agli atti, con le indicazioni di cui all’articolo 3, comma 4, della legge 7 agosto 1990, n. 241 e successive modificazioni.

Per gli immobili sottoposti a vincolo paesaggistico, resta fermo quanto previsto dall’articolo 146, comma 9, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni.

 

Autorizzazioni preliminari alla SCIA e alla comunicazione di inizio lavori

La lettera f) del comma 1 dell'articolo 30 introduce nel T.U. edilizia un nuovo articolo 23-bis in materia di autorizzazioni preliminari alla SCIA (segnalazione certificata di inizio attività) e alla comunicazione dell’inizio dei lavori.

Il comma 1 dell’art. 23-bis prevede che, per gli interventi assoggettati a SCIA, l’interessato può richiedere allo sportello unico di provvedere all’acquisizione di tutti gli atti di assenso, comunque denominati, necessari per l’intervento edilizio:

§         prima di presentare la SCIA;

§         o contestualmente alla segnalazione.

 

Lo stesso comma dispone che lo sportello unico deve comunicare tempestivamente all’interessato l’avvenuta acquisizione degli atti di assenso. Se tali atti non vengono acquisiti entro il termine di cui all’art. 20, comma 3, del T.U. edilizia (cioè entro 60 giorni dalla presentazione della domanda) deve essere convocata apposita conferenza di servizi, come stabilito dal comma 5-bis del medesimo articolo 20.

Relativamente alla SCIA (introdotta dal comma 4-bis dell'art. 49, del D.L. 78/2010, attraverso la sostituzione dell’art. 19 della L. 241/1990), si ricorda che essa si applica (come confermato dall’art. 5, comma 2, lett. b) e c), del D.L. 70/2011) anche all’edilizia in sostituzione della DIA, ma non della superDIA (ovvero la DIA alternativa al permesso di costruire disciplinata dall'art. 22, comma 3, del T.U. edilizia).

A sua volta la DIA, ai sensi dell’art. 22, comma 1, è ammessa per tutti gli interventi non riconducibili all'elenco di cui all'articolo 10 (permesso di costruire) e all'articolo 6 (attività edilizia libera), purché, ovviamente, conformi alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente.

La presentazione della SCIA consente l’avvio dei lavori il giorno stesso della sua presentazione, mentre con la DIA occorre attendere 30 giorni.

 

Il comma 2 dell’art. 23-bis prevede che, in caso di presentazione contestuale della SCIA e dell’istanza di acquisizione degli atti di assenso necessari per l’intervento edilizio, l’interessato possa dare inizio ai lavori solo dopo la comunicazione da parte dello sportello unico dell’avvenuta acquisizione dei medesimi atti di assenso o dell’esito positivo della conferenza di servizi.

 

Ai sensi del comma 3, le disposizioni di cui ai commi 1 e 2, si applicano anche alla comunicazione di inizio lavori (CIL) prevista per gli interventi di edilizia libera dall’art. 6, comma 2, qualora siano necessari atti di assenso, comunque denominati, per la realizzazione dell’intervento edilizio.

 

Il comma 4 reca una disposizione relativa alla realizzazione di interventi o di varianti a permessi di costruire ai quali è applicabile la SCIA e comportanti modifiche della sagoma rispetto all’edificio preesistente o già assentito.

Ai sensi del comma 4, se tali interventi/varianti riguardano immobili collocati all’interno delle zone territoriali omogenee A di cui al D.M. 1444/1968 e in quelle equipollenti secondo l'eventuale diversa denominazione adottata dalle leggi regionali, allora i lavori non possono in ogni caso avere inizio prima di 20 giorni dalla presentazione della SCIA.

Si ricorda che le citate zone A, ai sensi dell’art. 2 del D.M. 1444/1968, includono “le parti del territorio interessate da agglomerati urbani che rivestono carattere storico, artistico o di particolare pregio ambientale o da porzioni di essi, comprese le aree circostanti, che possono considerarsi parte integrante, per tali caratteristiche, degli agglomerati stessi”.

 

Si fa notare che la disposizione recata dal comma 4 sembra in qualche modo bilanciare le semplificazioni previste dalle lettere c) ed e) del comma in esame (v. supra).

 

Certificato di agibilità

La lettera g) integra il disposto dell’art. 24 del T.U. edilizia (che disciplina il rilascio del certificato di agibilità), mediante l’aggiunta di due nuovi commi (4-bis e 4-ter) che consentono e disciplinano il rilascio del certificato di agibilità parziale e la sua durata.

 

Il nuovo comma 4-bis consente di richiedere il certificato di agibilità anche:

a) per singoli edifici o singole porzioni della costruzione, purché funzionalmente autonomi, qualora siano state realizzate e collaudate le opere di urbanizzazione primaria relative all’intero intervento edilizio e siano state completate le parti comuni relative al singolo edificio o singola porzione della costruzione;

b) per singole unità immobiliari, purché siano completati le opere strutturali, gli impianti, le parti comuni e le opere di urbanizzazione primaria ultimate o dichiarate funzionali rispetto all’edificio oggetto di agibilità parziale.

Si osserva che non appare chiara la formulazione della lettera b), non tanto per la presenza del refuso “primarie” in luogo di “primaria”, quanto perché non appare chiaro a cosa si riferisca l’ultima parte che recita “ultimate o dichiarate funzionali rispetto all’edificio oggetto di agibilità parziale”.

 

Si fa notare che la disposizione recata dal nuovo comma 4-bis consente di recepire nell’ordinamento una pratica, quella del rilascio del certificato di agibilità parziale, già in uso, in modo tacito o regolamentato, nella maggior parte degli enti preposti al suo rilascio.

 

Il nuovo comma 4-ter dispone che nei predetti casi di rilascio del certificato di agibilità parziale, prima della scadenza del termine triennale entro il quale l’opera deve essere completata, lo stesso è prorogato, per una sola volta, di 3 anni.

La norma fa riferimento ai termini previsti dagli articoli 15, comma 2, e 23, comma 2. Vale a dire il termine di efficacia, rispettivamente, del permesso di costruire e della DIA. In entrambi i casi tale termine è fissato in 3 anni dalle disposizioni citate.

 

Lo stesso comma 4-ter dispone, sempre nei predetti casi di rilascio del certificato di agibilità parziale, che, salvo diversa indicazione delle leggi regionali, non si applicano le disposizioni dell’art. 25, comma 5-bis - introdotte dalla lettera h) del comma in esame - che semplificano le modalità di presentazione della domanda di rilascio del certificato di agibilità.

 

Ai sensi dell’art. 24 del T.U. edilizia, il certificato di agibilità attesta la sussistenza delle condizioni (indicate dal comma 1) di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati, valutate secondo quanto dispone la normativa vigente. Tale certificato, che deve essere richiesto dal titolare del permesso di costruire o da colui che ha presentato la DIA, viene rilasciato dal dirigente o dal responsabile del competente ufficio comunale con riferimento ai seguenti interventi:

a) nuove costruzioni;

b) ricostruzioni o sopraelevazioni, totali o parziali;

c) interventi su edifici esistenti che possano influire sulle condizioni di cui al comma 1.

 

La lettera h) integra il disposto dell’art. 25 del T.U. edilizia (che disciplina il procedimento di rilascio del certificato di agibilità), mediante l’aggiunta di due nuovi commi (5-bis e 5-ter).

Il nuovo comma 5-bis prevede una modalità alternativa (a quella prevista dai commi 1-5 dell’art. 25) per il rilascio del certificato di agibilità.

Il seguente testo a fronte consente di cogliere le differenze tra i due procedimenti.

 

Art. 25, commi 1-5

Art. 25, comma 5-bis

1. Entro quindici giorni dall'ultimazione dei lavori di finitura dell'intervento, il soggetto di cui all'articolo 24, comma 3, è tenuto a presentare allo sportello unico la domanda di rilascio del certificato di agibilità, corredata della seguente documentazione:

5-bis. Ove l’interessato non proponga domanda ai sensi del comma 1, presenta

b) dichiarazione sottoscritta dallo stesso richiedente il certificato di agibilità di conformità dell'opera rispetto al progetto approvato, nonché in ordine alla avvenuta prosciugatura dei muri e della salubrità degli ambienti;

la dichiarazione del direttore dei lavori o, qualora non nominato, di un professionista abilitato, con la quale si attesta la conformità dell’opera al progetto presentato e la sua agibilità, corredata dalla seguente documentazione:

a) richiesta di accatastamento dell'edificio, sottoscritta dallo stesso richiedente il certificato di agibilità, che lo sportello unico provvede a trasmettere al catasto;

a) richiesta di accatastamento dell’edificio che lo sportello unico provvede a trasmettere al catasto;

 

c) dichiarazione dell'impresa installatrice che attesta la conformità degli impianti installati negli edifici adibiti ad uso civile alle prescrizioni di cui agli articoli 113 e127, nonché all'articolo 1 della legge 9 gennaio 1991, n. 10, ovvero certificato di collaudo degli stessi, ove previsto, ovvero ancora certificazione di conformità degli impianti prevista dagli articoli 111 e 126 del presente testo unico.

b) dichiarazione dell’impresa installatrice che attesta la conformità degli impianti installati negli edifici alle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico valutate secondo la normativa vigente.

 

2. Lo sportello unico comunica al richiedente, entro dieci giorni dalla ricezione della domanda di cui al comma 1, il nominativo del responsabile del procedimento ai sensi degli articoli 4 e 5 della legge 7 agosto 1990, n. 241.

 

3. Entro trenta giorni dalla ricezione della domanda di cui al comma 1, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, previa eventuale ispezione dell'edificio, rilascia il certificato di agibilità verificata la seguente documentazione:

 

a) certificato di collaudo statico di cui all'articolo 67;

b) certificato del competente ufficio tecnico della regione, di cui all'articolo 62, attestante la conformità delle opere eseguite nelle zone sismiche alle disposizioni di cui al capo IV della parte II;

c) la documentazione indicata al comma 1;

d) dichiarazione di conformità delle opere realizzate alla normativa vigente in materia di accessibilità e superamento delle barriere architettoniche di cui all'articolo 77, nonché all'articolo 82.

(Il comma 5-bis prevede che quanto sopra sia disposto)

fermo restando l’obbligo di presentazione della documentazione di cui al comma 3,

lettere a), b) e d)

4. Trascorso inutilmente il termine di cui al comma 3, l'agibilità si intende attestata nel caso sia stato rilasciato il parere dell'A.S.L. di cui all'articolo 5, comma 3, lettera a).

In caso di autodichiarazione (in luogo del parere ASL), il termine per la formazione del silenzio-assenso è di sessanta giorni.

e all’articolo 5, comma 3, lettera a),

5. Il termine di cui al comma 3 può essere interrotto una sola volta dal responsabile del procedimento, entro quindici giorni dalla domanda, esclusivamente per la richiesta di documentazione integrativa, che non sia già nella disponibilità dell'amministrazione o che non possa essere acquisita autonomamente. In tal caso, il termine di trenta giorni ricomincia a decorrere dalla data di ricezione della documentazione integrativa.

 

 

Da una comparazione tra i due procedimenti si evidenzia che il procedimento standard è basato sull’istanza del richiedente, mentre il nuovo procedimento prevede una dichiarazione.

Il nuovo comma 5-bis però non disciplina gli aspetti procedurali che devono essere seguiti per il controllo della dichiarazione né tantomeno come si addivenga al rilascio del certificato di agibilità (per intenderci quelle indicate in corsivo nella tabella precedente).

Tale aspetto viene demandato, dal comma 5-ter, alla disciplina regionale.

Il comma 5-ter dispone infatti che le Regioni a statuto ordinario disciplinano con legge le modalità per l’attuazione delle disposizioni di cui al comma 5-bis e per l’effettuazione dei controlli.

Parcheggi pertinenziali

Il comma 2 dell'articolo 30 novella il comma 5 dell’art. 9 della legge 24 marzo 1989, n. 122 (c.d. legge Tognoli), ampliando l'ambito di applicazione della disposizione (introdotta dall’art. 10 del D.L. 5/2012) che consente il trasferimento dei c.d. parcheggi pertinenziali, chiarendo che il trasferimento può riguardare anche il solo vincolo pertinenziale, ipotesi che, secondo la relazione illustrativa, sarebbe frequente nella pratica.

Si ricorda che il citato art. 10 del D.L. 5/2012 ha novellato il comma 5 dell’art. 9 della L. 122/1989 al fine di consentire il trasferimento della proprietà dei parcheggi realizzati a norma del comma 1 del medesimo articolo 9 (solitamente si tratta di parcheggi pertinenziali su aree private, realizzati dai proprietari di immobili nel sottosuolo o al piano terreno dei fabbricati), a condizione che diventino pertinenza di un altro immobile sito nel medesimo comune (primo periodo del comma 5), con esclusione dei parcheggi realizzati in diritto di superficie su aree comunali o nel sottosuolo delle stesse (secondo periodo del comma 5).

Per una descrizione dettagliata della disposizione introdotta dall’art. 10 del D.L. 5/2012 si rinvia al commento contenuto nel dossier n. 595 del 2012.

 

La formulazione del comma 2 non appare di immediata interpretazione. Può, essere, in particolare, opportuno precisare se con “trasferimento del solo vincolo pertinenziale” si intenda il mantenimento della proprietà del parcheggio con trasferimento del diritto d’uso in capo ad un terzo, proprietario di unità immobiliare nello stesso comune.

Termine di inizio e fine lavori nel permesso di costruire, DIA e SCIA

Il comma 3 dell'articolo 30, ferma restando la diversa disciplina regionale e previa comunicazione del soggetto interessato, prevede la proroga di 2 anni dei termini di inizio e di ultimazione dei lavori fissati per il permesso di costruire dall’art. 15 del T.U. edilizia.

Lo stesso comma chiarisce che la proroga riguarda i termini come indicati nei titoli abilitativi rilasciati o comunque formatisi antecedentemente all’entrata in vigore del decreto legge.

Il successivo comma 4 estende l’applicazione delle disposizioni citate del comma 3 anche alle DIA e SCIA presentate entro lo stesso termine.

Il comma 5 dispone che l’attuazione dei commi 3 e 4 avvenga senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

 

Relativamente alla disciplina dettata dall’art. 15 si ricorda che, in base al comma 1, nel permesso di costruire sono indicati i termini di inizio e di ultimazione dei lavori.

Ai sensi del comma 2 il termine per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo; quello di ultimazione, entro il quale l'opera deve essere completata non può superare i 3 anni dall'inizio dei lavori. Lo stesso comma 2 disciplina i casi di proroga, che può avvenire con provvedimento motivato e solo per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso. La norma fa riferimento esclusivo alla mole dell'opera da realizzare o alle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive, ovvero quando si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più esercizi finanziari.

Relativamente alla DIA si ricorda che l’art. 23, comma 2, dispone che la denuncia di inizio attività è sottoposta al termine massimo di efficacia pari a 3 anni.

La legge non dispone invece esplicitamente sull'efficacia della SCIA, alla quale si applica, quindi, la disciplina del T.U. edilizia (D.P.R. 380/2001) e quindi il termine di efficacia di 3 anni previsto dall’art. 23. È questa l'interpretazione data dallo studio del Consiglio nazionale dei notai n. 325-11/C, in seguito alla confermata estensione della SCIA in ambito edilizio operata dal D.L. 70/2011.

 

Il comma 6 dispone, infine, l’applicazione non immediata delle disposizioni dell'articolo in esame, bensì solamente dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge.

 

Profili finanziari

 

Il prospetto riepilogativo non considera le norme.

 

La relazione tecnica esclude effetti finanziari, in considerazione del carattere ordinamentale delle norme.

 

In merito ai profili di quantificazione andrebbero chiarite le modalità applicative dei commi 3 e 4, al fine di suffragare l’effettiva coerenza fra tali norme e la clausola di neutralità finanziaria contenuta nel comma 5. In particolare, andrebbe escluso che le proroghe in esame possano determinare una riduzione del flusso annuo dei contributi dovuti dai soggetti richiedenti, a fronte di costi organizzativi in parte non comprimibili.


 

Articolo 31
(Disposizioni in materia di D.U.R.C.)

L’articolo 31 introduce disposizioni di semplificazione in materia di Documento unico di regolarità contributiva (DURC)[97].

Più precisamente:

§      estende la procedura compensativa (prevista dallo stesso articolo 13-bis) in virtù della quale si procede al rilascio del DURC in presenza di crediti certificati nei confronti delle P.A. di importo pari ai versamenti contributivi dovuti, anche alle procedure di appalto pubblico e di appalti privati in edilizia, eliminando il riferimento all’articolo 1, comma 1175, della L. 296/2006 contenuto nell’articolo 13-bis, comma 5, del D.L. 52/2012 (comma 1);

Si ricorda che, il comma 1175 prevede che, a decorrere dal 1° luglio 2007, i benefici previsti dalla normativa in materia di lavoro e di previdenza sociale sono riservati ai datori di lavoro che rispettino tutte le seguenti condizioni:

- siano in possesso del DURC;

- rispettino gli altri obblighi previsti dalla legislazione vigente (presumibilmente, ratione materiae, dalla legislazione lavoristica e previdenziale);

- rispettino gli accordi e i contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale;

 

§      prevede che, ai fini del pagamento delle prestazioni rese nei contratti di appalto, il DURC relativo all’affidatario e ai subappaltatori sia acquisito, d’ufficio, dalla stazione appaltante (commi 2 e 6) e che i titoli di pagamento siano corredati dal DURC, anche in formato elettronico (comma 7).

L’obbligo di presentare la certificazione di regolarità contributiva di cui all'articolo 2 del D.L. 210/2002 era invece attribuito all’affidatario dagli articoli 38, comma 3, e 118, comma 6, del D. Lgs. 163/2006.

Si segnala che una previsione in parte analoga è contenuta nell’articolo 16-bis, comma 10, del D.L. 185/2008 che dispone l’obbligo, per le stazioni appaltanti pubbliche, di acquisire d’ufficio, anche attraverso strumenti informatici, il DURC presso gli istituti o gli enti abilitati al rilascio ad ogni fine di legge.

 

·       dispone che nei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, la validità del DURC sia estesa a 180 giorni e venga acquisito dalla stazione appaltante sempre attraverso strumenti informatici; inoltre, la richiesta del DURC viene limitata unicamente alle fasi dell’affidamento e della gestione del contratto (fermo restando l’obbligo di produzione del DURC per il pagamento delle prestazioni), riducendo da cinque a due le fasi procedurali in cui è richiesto; infine, nel caso in cui il DURC registri un’inadempienza, la stazione appaltante trattiene l’importo dovuto dal certificato di pagamento, provvedendo essa stessa, direttamente, al versamento agli enti previdenziali e assicurativi creditori. Il pagamento di quanto dovuto per le inadempienze accertate mediante il DURC e' disposto dai soggetti di cui all'articolo 3, comma 1, lettera b), del DPR 207/2010 (commi 3, 4 e 5).

Si ricorda che la validità del DURC è in linea generale mensile[98], mentre per il settore degli appalti privati è trimestrale[99].

I soggetti indicati dall’articolo 3, comma 1, lettera b), del D.P.R. 207/2010, (regolamento di esecuzione ed attuazione del D.Lgs. 163/2006) sono le amministrazioni aggiudicatrici, gli organismi di diritto pubblico, gli enti aggiudicatori, gli altri soggetti aggiudicatori, i soggetti aggiudicatori e le stazioni appaltanti indicati rispettivamente dall'articolo 3, commi 25, 26, 29, 31, 32 e 33, del D.Lgs. 163/2006.

 

§      prevede che le amministrazioni competenti trasmettano l’invito alla regolarizzazione (entro e non oltre quindici giorni) delle eventuali inadempienze mediante posta elettronica, all’interessato o per il tramite del consulente del lavoro (comma 8).

 

Profili finanziari

Il prospetto riepilogativo non considera la norma.

 

La relazione tecnica afferma che le norme rivestono carattere ordinamentale e che pertanto non comportano effetti sui saldi di finanza pubblica.

 

La relazione illustrativa, riferita al comma 1, afferma che le disposizioni consentono l’applicazione della procedura compensativa anche ai fini del rilascio del DURC nell’ambito delle procedure di appalto pubblico e nell’ambito degli appalti privati in edilizia.

 

In merito ai profili di quantificazione, non vi sono osservazioni da formulare attesa la natura ordinamentale delle disposizioni in esame.

Per quanto attiene alle modifiche di cui al comma 1 - pur rilevando che le disposizioni relative alla compensazione tra crediti vantati nei confronti delle pubbliche amministrazioni e oneri contributivi non ancora versati da parte di un unico soggetto già sono in vigore nell’ordinamento - appare utile acquisire chiarimenti circa la portata applicativa della modifica in esame, alla luce di quanto affermato nella relazione illustrativa.

 


 

Articoli 32 e 35
(Disposizioni in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro)

Gli articoli 32 e 35 recano disposizioni volte alla semplificazione di specifiche procedure in materia di sicurezza sul lavoro.

Più specificamente:

§      l’articolo 32 reca numerosi interventi di semplificazione in materia di lavoro, attraverso una serie di novelle al D.Lgs. 81/2008, in materia di sicurezza sul lavoro, al D.Lgs. 136/2006, in materia di pubblici appalti, ed al D.P.R. 1124/1965, concernente l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali;

§      l’articolo 35 individua di apposite procedure al fine di semplificare gli obblighi di informazione, formazione e sorveglianza sanitaria anche quando il lavoratore svolga la sua attività in azienda per un periodo non superiore a 50 giorni nel corso di una anno solare.

 

Documento unico di valutazione dei rischi da interferenze (DUVRI)

 

La lettera a) del comma 1 dell’articolo 32 prevede alcune semplificazioni inerenti alla documentazione relativa agli adempimenti per quanto concerne il DUVRI, di cui all’articolo 26 del D.Lgs. 81/2008.

 

IL DUVRI deve essere elaborato qualora un'impresa esterna intervenga nell'unità produttiva per effettuare lavori di manutenzione o impiantare cantieri temporanei non soggetti all'obbligo di stesura del Piano di sicurezza e coordinamento, in conformità a quanto disposto dall'articolo 26 del D.Lgs. 81/2008. L’onere della redazione spetta all’azienda committente, sia pubblica sia privata. Il DUVRI, che deve essere allegato al contratto d'appalto o d'opera, ha lo scopo di:

§       valutare i rischi derivanti dalle interferenze reciproche dovuti alle due diverse attività;

§       indicare le misure adottate per eliminare i rischi da interferenza;

§       indicare le misure adottate per ridurre al minimo i rischi non eliminabili;

§       verificare che le maestranze incaricate dei lavori siano in possesso dei requisiti tecnici adeguati;

§       accertare che le maestranze incaricate dei lavori siano in regola con le posizioni assicurative INAIL;

§       individuare i costi della sicurezza.

In particolare, i commi 3 e 3-bis dell’articolo 26 del D:Lgs. 81/2008 prevedevano, nel testo previgente alle disposizioni in esame, che il datore di lavoro committente promuovesse la cooperazione ed il coordinamento con appaltatori e subappaltatori elaborando appunto un unico documento di valutazione dei rischi (comma 3) che indicasse le misure adottate per eliminare o, ove ciò non fosse stato possibile, ridurre al minimo i rischi da interferenze. Tale documento deve essere allegato al contratto di appalto o di opera e va adeguato in funzione dell’evoluzione dei lavori, servizi e forniture. Le richiamate disposizioni non trovano applicazione per i rischi specifici propri dell'attività delle imprese appaltatrici o dei singoli lavoratori autonomi. Nel campo di applicazione del D.Lgs. 163/2006, il documento è redatto, ai fini dell’affidamento del contratto, dal soggetto titolare del potere decisionale e di spesa relativo alla gestione dello specifico appalto. Il successivo comma 3-bis prevedeva che l’obbligo richiamato non si applicasse ai servizi di natura intellettuale, alle mere forniture di materiali o attrezzature nonché ai lavori o servizi la cui durata non fosse superiore ai 2 giorni, sempre che essi non comportassero rischi derivanti dalla presenza di agenti cancerogeni, biologici, atmosfere esplosive o dalla presenza dei rischi particolari di cui all’ allegato XI (come, ad esempio, lavori con esposizione a sostanze chimiche, biologiche, radiazioni ionizzanti, ecc.).

 

A seguito delle modifiche apportate, si prevede che la cooperazione e coordinamento tra il committente, appaltatori e subappaltatori per la prevenzione dei rischi da interferenze si possano attuare, limitatamente ai settori di attività con basso rischio infortunistico, con l’individuazione di un incaricato, in possesso dei requisiti tipici di un preposto, nonché di aggiornamento e conoscenza dell’ambiente di lavoro, al fine di sovrintendere alle attività di cooperazione e di coordinamento. La figura dell’incaricato (o del suo sostituto) deve essere obbligatoriamente ed immediatamente individuata nel contratto di appalto o d’opera. Inoltre, l’obbligo di redazione del DUVRI non trova applicazione per i servizi di natura intellettuale, per le mere forniture di materiali o attrezzature nonché peri lavori o servizi la cui durata non sia superiore ai 10 uomini-giorno, dove per uomini-giorno si intende l’entità presunta dei lavori, servizi e forniture rappresentata dalla somma delle giornate di lavoro necessarie all’effettuazione dei lavori, servizi o forniture considerata con riferimento all’arco temporale di un anno dall’inizio dei lavori[100].

 

Individuazione delle attività a basso rischio

La lettera b) del comma 1 dell’articolo 32 apporta alcune modifiche all’articolo 29 del D.Lgs. 81/2008. Oltre a modifiche meramente formali di coordinamento , vengono introdotti i nuovi commi 6-ter e 6-quater.

Più specificamente, con il nuovo comma 6-ter viene demandata ad uno specifico decreto l’individuazione dei settori di attività a basso rischio infortunistico, sulla base di criteri e parametri oggettivi, desunti dagli indici infortunistici di settore dell’INAIL. Nello stesso decreto viene altresì allegato il modello con il quale, fermi restando i relativi obblighi, i datori di lavoro delle aziende che operano nei settori di attività a basso rischio infortunistico possono attestare di aver effettuato la valutazione dei rischi (effettuazione della valutazione dei rischi ed elaborazione del relativo documento). Resta ferma la facoltà delle aziende di utilizzare le procedure standardizzate previste dai commi 5 e 6 dell’articolo 26 (concernenti, rispettivamente, la valutazione dei rischi da interferenze e quella valutare dell’adeguatezza e sufficienza del valore economico dell’appalto al costo del lavoro e al costo relativo alla sicurezza). Il nuovo comma 6-quater dispone che fino alla data di entrata in vigore del decreto richiamato per le aziende a basso rischio infortunistico continuino ad applicarsi le disposizioni di cui ai commi 5, 6 e 6-bis del medesimo articolo 29 (concernenti le procedure per la valutazione dei rischi da effettuare per i datori di lavoro che occupino rispettivamente, fino a 10 e fino a 50 lavoratori).

Ai sensi del successivo comma 2, il richiamato decreto deve essere adottato entro 90 giorni dall’entrata in vigore del provvedimento in esame.

 

Corsi di formazione dei soggetti deputati alla sicurezza adeguati alla natura dei rischi presenti sul luogo di lavoro e relativi alle attività lavorative

 

Le lettere c) e d) del comma 1 dell’articolo 32 inserendo, rispettivamente, il comma 5-bis all’articolo 32 e il comma 14-bis all’articolo 37 del D.Lgs. 81/2008, hanno lo scopo di evitare ogni duplicazione dei corsi di formazione e aggiornamento per determinati soggetti (responsabili e addetti ai servizi di protezione e sicurezza, dirigenti, preposti, lavoratori, rappresentati dei lavoratori per la sicurezza). In particolare, si prevede che nelle ipotesi di sovrapposizione (totale o parziale) dei contenuti dei richiamati corsi, venga riconosciuto un credito formativo per la durata ed i contenuti della formazione e dell’aggiornamento corrispondenti erogati.

 

Comunicazioni obbligatorie agli organi di vigilanza

La lettera e) del comma 1 dell’articolo 32 sostituisce interamente il contenuto dell’articolo 67 del D.Lgs. 81/2008, relativo all’obbligo di comunicazione all’organo di vigilanza competente di informazioni relative a nuovi insediamenti produttivi o ampliamenti e ristrutturazioni di quelli esistenti.

 

Nel testo previgente del richiamato articolo 67, la costruzione e la realizzazione di edifici o locali da adibire a lavorazioni industriali, nonché gli ampliamenti e le ristrutturazioni di quelli esistenti, dovevano essere eseguiti nel rispetto della normativa di settore ed essere notificati all'organo di vigilanza competente per territorio.

La richiamata notifica doveva indicare gli aspetti considerati nella valutazione e relativi alla descrizione dell'oggetto delle lavorazioni e delle principali modalità di esecuzione delle stesse, nonché alla descrizione delle caratteristiche dei locali e degli impianti.

Entro 30 giorni dalla data di notifica, l'organo di vigilanza poteva chiedere ulteriori dati e prescrivere modificazioni in relazione ai dati notificati. La richiamata notifica si applicava ai luoghi di lavoro ove fosse prevista la presenza di più di 3 lavoratori, ed era valida ai fini delle eliminazioni e delle semplificazioni di cui all'articolo 53, comma 5 (comunicazione effettuata attraverso reti di comunicazione elettronica, attraverso la trasmissione della password in modalità criptata e fermi restando determinati parametri di sicurezza).

 

Il nuovo teso dell’articolo 67 prevede:

§    la conferma dell’obbligo di descrizione dell’oggetto delle lavorazioni e delle principali modalità di esecuzione delle stesse, nonché delle caratteristiche dei locali e degli impianti (comma 1);

§    che la comunicazione possa essere effettuata dal datore di lavoro nell’ambito delle istanze, delle segnalazioni o delle attestazioni presentate allo sportello unico per le attività produttive con le modalità stabilite dal regolamento di cui al D.P.R. 160/2010. L’individuazione delle informazioni da trasmettere e l’approvazione dei modelli uniformi da utilizzare per i fini indicati è demandata ad un apposito decreto interministeriale, da emanare entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della disposizione in esame (comma 2);

§    l’obbligo, per le amministrazioni riceventi la comunicazione, di trasmettere in via telematica all’organo di vigilanza competente per territorio le informazioni loro pervenute con le modalità indicate in precedenza (comma 3);

§    la conferma che l’obbligo di comunicazione operi nei luoghi di lavoro con più di 3 lavoratori (comma 4)

§    che fino all’entrata in vigore del decreto suddetto interministeriale, trovino applicazione le disposizioni di cui al comma 1 (comma 5).

 

Verifiche periodiche delle attrezzature di lavoro

La lettera f) del comma 1 dell’articolo 32 sostituisce i commi 11 e 12 dell’articolo 71 del D.Lgs. 81/2008, disciplinante le verifiche sulle attrezzature di lavoro disposte dagli organismi a ciò deputati.

 

Il richiamato comma 11 stabiliva che, oltre a quanto previsto per le varie tipologie di controllo sulle attrezzature, il datore di lavoro sottoponesse le attrezzature di lavoro individuate dall’allegato VII del D.Lgs. 81/2008 a verifiche periodiche, allo scopo di valutarne l’effettivo stato di conservazione e di efficienza ai fini di sicurezza, con la frequenza indicata nel medesimo allegato. La prima di tali verifiche era effettuata dall’ISPESL nel termine di 60 giorni dalla richiesta, decorso inutilmente il quale il datore di lavoro poteva avvalersi delle ASL o di soggetti pubblici o privati abilitati con specifiche modalità. Le successive verifiche erano effettuate dai soggetti indicati, che vi provvedevano nel termine di 30 giorni dalla richiesta, decorso inutilmente il quale il datore di lavoro poteva avvalersi di soggetti pubblici o privati abilitati, sempre con specifiche modalità. Le verifiche erano onerose, con spese di effettuazione a carico del datore di lavoro.

Il successivo comma 12 prevedeva che per le richiamate verifiche le ASL e l'ISPESL potessero avvalersi del supporto di soggetti pubblici o privati abilitati, con questi ultimi che acquistano la qualifica di incaricati di pubblico servizio e rispondono direttamente alla struttura pubblica titolare della funzione.

 

Rispetto al testo previgente:

§      si dispone che l’Istituto deputato alle verifiche sia l’INAIL (in virtù della soppressione dell’ISPESL disposta dall’articolo 7, comma 1, del D.L. 78/2010 con conseguente passaggio di funzioni appunto all’INAIL) e si diminuisce il termine da 60 a 45 giorni entro il quale l’Istituto deve effettuare la prima verifica;

§      si introduce l’obbligo, per l’INAIL, le ASL e l’ARPA, di comunicare al datore di lavoro, entro 15 giorni dalla richiesta, l’eventuale impossibilità di effettuare le verifiche di propria competenza. In questo caso il datore di lavoro può avvalersi di soggetti pubblici o privati abilitati alle verifiche E’ altresì previsto che l’INAIL, le ASL o l’ARPA possano avvalersi del supporto di soggetti pubblici o privati abilitati, con questi ultimi che acquistano la qualifica di incaricati di pubblico servizio e rispondono direttamente alla struttura pubblica titolare della funzione.

 

Dall’attuazione della disposizione non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica (comma 3). E’ obbligatorio, per le Amministrazioni interessate, adempiere ai compiti derivanti dalla disposizione medesima con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

 

Adempimenti nei cantieri

Le lettere g) ed h) del comma 1 dell’articolo 32 prevedono alcune semplificazioni di adempimenti connessi alle misure per la salute e sicurezza nei cantieri temporanei o mobili, di cui all’articolo 88 del D.Lgs. 81/2008.

 

In particolare:

§      aggiungendo un periodo all’articolo 88, comma 2, lettera g-bis), si dispone la disapplicazione della disciplina del D.Lgs. 81/2008, oltre che ai lavori relativi a impianti elettrici, reti informatiche, gas, acqua, condizionamento e riscaldamento che non comportino lavori edili o di ingegneria civile, anche ai piccoli lavori la cui durata presunta non è superiore ai 10 uomini-giorno, finalizzati alla realizzazione o manutenzione delle infrastrutture per servizi;

§      inserendo il nuovo articolo 104-bis, si demanda ad un decreto interministeriale l’individuazione di modelli semplificati per la redazione di alcuni documenti relativi ai cantieri (quali il piano operativo di sicurezza, il piano di sicurezza e coordinamento, nonché il fascicolo dell’opera).

Ai sensi del successivo comma 2, il richiamato decreto deve essere adottato entro 60 giorni dall’entrata in vigore del provvedimento in esame.

 

Invio di specifiche comunicazioni in via telematica

Le lettere i), l), m) ed n) del comma 1 dell’articolo 32 prevedono l’invio telematico di specifiche comunicazioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro, anche per mezzo di organismi paritetici o organizzazioni sindacali dei datori di lavoro.

 

Si tratta, nello specifico:

§      della comunicazione all’organo di vigilanza inviata dal datore di lavoro dopo che lo stesso abbia informato i lavoratori del superamento dei valori limite di esposizione professionale, delle cause dell'evento e delle misure di prevenzione e protezione adottate, di cui all’articolo 225, comma 8, del D.Lgs. 81/2008 (lettera i));

§      della comunicazione all’organo di vigilanza con la quale il datore di lavoro comunica il verificarsi degli eventi non prevedibili o incidenti che possono comportare un'esposizione anomala dei lavoratori ad agenti cancerogeni o mutageni, indicando analiticamente le misure adottate per ridurre al minimo le conseguenze dannose o pericolose, di cui all’articolo 240, comma 3, del D.Lgs. 81/2008 (lettera l));

§      della comunicazione che il datore di lavoro invia all’organo di vigilanza prima dei lavori che possano comportare, per i lavoratori, un’esposizione ad amianto, di cui all’articolo 250, comma 1, del D.Lgs. 81/2008 (lettera m));

§      della comunicazione inviata dal datore di lavoro all’organo di vigilanza (nonché ai lavoratori ed al rappresentante per la sicurezza) competente nel caso di incidenti che possano provocare la dispersione nell'ambiente di specifici agenti biologici, di cui all’articolo 277, comma 2, del D.Lgs. 81/2008 (lettera n)).

 

Semplificazione di prestazioni lavorative di breve durata

L’articolo 35, aggiungendo il comma 13-bis all’articolo 3 del D.Lgs. 81/2008, relativo al campo di applicazione del provvedimento stesso, demanda ad un apposito decreto interministeriale, nel rispetto dei livelli generali di tutela in materia di salute e sicurezza sul lavoro e fermi restando gli obblighi di cui agli articoli 36, 37 (sull’informazione e formazione dei lavoratori) e 41 (sorveglianza sanitaria) del D.Lgs. 81/2008, la definizione di misure di semplificazione degli adempimenti relativi all’informazione, formazione e sorveglianza sanitaria previsti dal D.Lgs. 81/2008 applicabili alle prestazioni che implicano una permanenza del lavoratore in azienda per un periodo non superiore a cinquanta giornate lavorative nell’anno solare di riferimento, al fine di tener conto, mediante idonee attestazioni, degli obblighi assolti dallo stesso o da altri datori di lavoro nei confronti del lavoratore durante l’anno solare in corso.

Si segnala, al riguardo, che il testo, pur subordinando la procedura di semplificazione all’adozione di uno specifico decreto, non indica il termine entro il quale lo stesso debba essere adottato.

Gli articoli 36 e 37 del D.Lgs. 81/2008 concernono l’informazione e la formazione dei lavoratori, prevedendo in particolare, il principio della facile comprensione del contenuto della informazione da parte dei lavoratori, consentendo loro di acquisire le relative conoscenze. Lo stesso articolo dispone altresì l’obbligo di informare i lavoratori immigrati previa verifica della comprensione della lingua utilizzata nel percorso informativo. Il successivo articolo 37 ha disciplinato la formazione dei lavoratori e delle loro rappresentanze, potenziandola rispetto alle disposizioni contenute nella normativa previgente. L’articolo 41, in materia di sorveglianza sanitaria, ha in particolare stabilito, innovando la disciplina previgente, che la stessa sorveglianza includa la visita medica preventiva intesa a valutare l’idoneità alla mansione specifica, la visita medica periodica, la visita medica richiesta dal lavoratore alle condizioni sopraindicate, la visita medica svolta in occasione del cambio della mansione e la visita medica all’atto della cessazione del rapporto di lavoro.

 

Piano di sicurezza sostitutivo negli contratti di appalto pubblici

Il comma 4 dell’articolo 32 inserisce il nuovo comma 2-bis all’articolo 131 del D.Lgs. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici), il quale demanda ad un decreto interministeriale, da adottarsi ai sensi del comma 5 entro 60 giorni dall’entrata in vigore del provvedimento in esame, l’individuazione di modelli semplificati per la redazione del piano di sicurezza sostitutivo del piano di sicurezza e coordinamento, fermi restando i relativi obblighi.

 

Si ricorda che il richiamato articolo 131, nell’ambito della sicurezza nei cantieri temporanei o mobili, ha disposto, tra l’altro, l’obbligo, per l'appaltatore od il concessionario, di redigere e consegnare entro 30 giorni dall'aggiudicazione dell’appalto, e comunque prima della consegna dei lavori, alle Amministrazioni aggiudicatrici o agli altri soggetti aggiudicatori un piano di sicurezza sostitutivo del piano di sicurezza e di coordinamento quando quest'ultimo non sia previsto ai sensi del D.Lgs. 81/2008 (Allegato XV).

Ai sensi dell’articolo 100 del D.Lgs. 81/2008, il piano di sicurezza e coordinamento (PSC), che è parte integrante del contratto di appalto, è costituito da una relazione tecnica e prescrizioni correlate alla complessità dell'opera da realizzare ed alle eventuali fasi critiche del processo di costruzione, atte a prevenire o ridurre i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, nonché la stima dei costi della sicurezza indicati al punto 4 dell'allegato XV del D.Lgs. 81/2008.

 

Semplificazione delle denunce di infortuni sul lavoro

Il comma 6 dell’articolo 32 apporta alcune modifiche al D.P.R. 1124/1965 (T.U. delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), allo scopo di semplificare le procedure di comunicazione e notifica di denuncia degli infortuni sul lavoro da parte del datore di lavoro.

 

In particolare:

§      viene abrogato l’articolo 54, che dispone l’obbligo, per il datore di lavoro, di denunciare entro 2 giorni all’autorità locale di pubblica sicurezza ogni infortunio sul lavoro che abbia per conseguenza la morte o l’inabilità al lavoro per più di 3 giorni. L’abrogazione opera a decorrere dal centottantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore del decreto di cui all’articolo 8, comma 4, del D.Lgs. 81/2008, che definisce le regole tecniche per la realizzazione e il funzionamento del Sistema informativo nazionale per la prevenzione (SINP) nei luoghi di lavoro (lettera a));

§      Si segnala, al riguardo, che il richiamato decreto, che doveva essere adottato entro 180 giorni dall’entrata in vigore del D.Lgs. 81/2008, non risulta essere stato emanato alla data di pubblicazione del dossier in esame.

§      modificando l’articolo 56:

-        si prevede l’obbligo, per le autorità competenti, di acquisire dall’I.N.A.I.L., mediante accesso telematico, i dati relativi alle denunce di infortuni sul lavoro mortali e di quelli con prognosi superiore a 30 giorni (lettera b), n. 1));

-        si prevede che l’attivazione dell’inchiesta, da parte dei servizi ispettivi della direzione territoriale del lavoro competente ai fini dell’accertamento relativo alla situazione del soggetto infortunato non sia più d’ufficio, bensì, mediante accesso alla banca dati I.N.A.I.L. dei dati relativi alle denunce di infortuni, su richiesta del lavoratore infortunato, di un superstite o dell’I.N.A.I.L. (lettera b), n. 2));

Nella disciplina previgente, infatti (secondo comma dell’articolo 56 del D.P.R. 1124/1965), la direzione provinciale del lavoro - settore ispezione del lavoro – competente doveva procedere, nel più breve tempo possibile, e in ogni caso entro 4 giorni dal ricevimento della denuncia, ad un'inchiesta al fine di accertare: la natura del lavoro al quale era addetto l'infortunato; le circostanze in cui è avvenuto l'infortunio e la causa e la natura di esso, anche in riferimento ad eventuali deficienze di misure di igiene e di prevenzione; l'identità dell'infortunato e il luogo dove esso si trova; la natura e l'entità delle lesioni; lo stato dell'infortunato; la retribuzione; in caso di morte, le condizioni di famiglia dell'infortunato, i superstiti aventi diritto a rendita e la residenza di questi ultimi.

-        che agli adempimenti previsti dall’articolo 56 debba provvedersi con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica (lettera b), n. 3)).

Ai sensi del comma 7, infine, le modalità di comunicazione delle disposizioni richiamate trovano applicazione a decorrere dal centottantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore del decreto di cui all’articolo 8, comma 4, del D.Lgs. 81/2008, in precedenza richiamato.

Profili finanziari

Il prospetto riepilogativo non considera la norma.

 

La relazione tecnica afferma che dalle disposizioni in esame, che sono di carattere ordinamentale, non derivano nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Ciò in particolare per il comma 1, lettera f), relativo alle verifiche periodiche delle attrezzature di lavoro, come risulta dalla clausola di invarianza finanziaria. La RT precisa, altresì, che le verifiche disposte all’articolo 71 del D. Lgs. 81/2001, come modificato dalla norma in esame, sono onerose e che le spese per la loro effettuazione sono poste a carico del datore di lavoro.

 

In merito ai profili di quantificazione, si rileva che le disposizioni in esame appaiono a prevalente carattere ordinamentale.

Per quanto attiene alle verifiche relative alle attrezzature di lavoro, non vi sono osservazioni da formulare atteso che le modifiche, introdotte dalla norma in esame, ampliano la platea dei soggetti abilitati alle operazioni di verifica, ferma restando l’onerosità delle verifiche a carico dei soggetti richiedenti e che gli adempimenti dei soggetti pubblici sono svolti nell’ambito delle umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, come specificato dal comma 3.

Analogamente, con riferimento alle comunicazioni in caso di morte o inabilità al lavoro per più di tre giorni (comma 6), non vi sono osservazioni da formulare atteso che le disposizioni specificano che per gli adempimenti a carico dei soggetti pubblici si provvede con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.


 

Articolo 33
(Semplificazione del procedimento per l'acquisto della cittadinanza per lo straniero nato in Italia)

L’articolo 33 introduce alcune disposizioni per il procedimento per l'acquisto della cittadinanza dello straniero nato in Italia.

 

La legge 91/1992 di disciplina della cittadinanza prevede diverse modalità di acquisto della cittadinanza italiana da parte dello straniero, tra queste le principali consistono nell’acquisto per matrimonio (art. 5) e per concessione (art. 9). Esiste poi una ulteriore forma di accesso alla cittadinanza, riservata agli stranieri nati in Italia e qui legalmente residenti, senza interruzioni, fino al raggiungimento del 18° anno di vita. Questo tipo di acquisto della cittadinanza per elezione è subordinato alla presentazione di una apposita dichiarazione entro un anno dalla maggiore età (art. 4, comma 2).

In questo caso, l’attribuzione della cittadinanza è automatica, ma condizionata alla dimostrazione del possesso dei requisiti richiesti (nascita in Italia e ininterrotta residenza legale per 18 anni) e previa presentazione della dichiarazione in tempo utile (entro un anno).

Tale dichiarazione di volontà deve essere resa dall’interessato all’ufficiale dello stato civile del comune di residenza. Alla dichiarazione devono essere allegati l’atto di nascita e la documentazione relativa alla residenza (DPR 572/1993, art. 3, comma 4).

Ai sensi del regolamento di esecuzione della legge del 1992 si considera legalmente residente nel territorio dello Stato chi vi risiede avendo soddisfatto le condizioni e gli adempimenti previsti dalle norme in materia di ingresso e di soggiorno degli stranieri e da quelle in materia di iscrizione anagrafica (DPR 572/1993). In questo modo di fatto la residenza legale, prevista dalla legge, viene di fatto equiparata alla residenza anagrafica.

L’impostazione del regolamento non è condivisa dalla giurisprudenza di merito, ritenendo applicabile alla fattispecie in questione il concetto di residenza legale come definito dall’articolo 43 codice civile quale luogo in cui la persona ha la dimora abituale (Corte di Appello di Napoli, sent. 1486/2012).

Anche la prassi amministrativa più recente ha individuato criteri di applicazione dell’art. 4, comma 2, della legge del 1992 finalizzati ad evitare che le omissioni o i ritardi relativi agli adempimenti (come l’iscrizione anagrafica) spettanti ai genitori e non imputabili al minore, possano arrecare a questi un danno, in armonia con la linea di azione del Governo e con l’orientamento in ambito internazionale volti alla tutela in via primaria degli interessi del minore.

 

Così la circolare del Ministero dell’interno 7 novembre 2007, n. 22: “Alla luce delle più recenti linee interpretative introdotte con la circolare n. K.60.1 del 5 gennaio 2007, si precisa [...] che l’iscrizione anagrafica tardiva del minore presso un Comune italiano, potrà considerarsi non pregiudizievole ai fini dell’acquisto della cittadinanza italiana, ai sensi dell’ art. 4 comma 2 della legge 91/92, ove vi sia una documentazione atta a dimostrare l’effettiva presenza dello stesso nel nostro Paese nel periodo antecedente la regolarizzazione anagrafica (attestati di vaccinazione, certificati medici in generale etc.).

L’iscrizione anagrafica dovrà comunque essere ragionevolmente ricollegabile al momento della nascita e quest’ultima dovrà essere stata regolarmente denunciata presso un Comune italiano da almeno uno dei genitori legalmente residente in Italia. [...] I criteri forniti, volti a garantire la positiva conclusione del percorso di inserimento per i bambini stranieri nati nel nostro territorio, completano l’orientamento espresso con la circolare K.69/89 del 18 febbraio 1997, che aveva già indicato le modalità di superamento di alcune omissioni relative alla regolarizzazione del minore in Italia, ai fini dell’applicazione del citato art.4, comma 2”.

Per quanto riguarda il requisito della residenza "senza interruzioni" si ricorda che, con circolare del 5 gennaio 2007, il Ministero dell’interno è intervenuto sull’argomento. Nel passato, infatti, l’interruzione della permanenza in Italia è stata motivo di preclusione alla concessione della cittadinanza per residenza ai sensi dell’articolo 9 della legge n. 91 del 1992 (ma lo stesso discorso è valido per l’articolo 4, comma 2) in quanto si riteneva non maturato il presupposto normativo. Ma, in un mondo in costante evoluzione non si è potuto non tener conto delle mutate condizioni di vita, le quali possono determinare brevi periodi di allontanamento dal territorio nazionale per motivate ragioni, quali, ad esempio, esigenze lavorative, di studio o di semplice arricchimento e scambio culturale. Sulla base di tali considerazioni – supportate peraltro da pronunce giurisprudenziali – le eventuali assenze temporanee sono oggi considerate non più pregiudizievoli ai fini della concessione dello status civitatis a condizione che l’aspirante cittadino, recandosi all’estero, abbia comunque mantenuto in Italia la propria residenza legale, vale a dire l’iscrizione anagrafica presso il comune di residenza e il titolo di soggiorno valido per l’intero arco temporale, nonché il centro delle proprie relazioni familiari e sociali. Le ragioni dell’assenza - dovute comunque per lo più a necessità di studio, di lavoro, di assistenza alla famiglia di origine e di cure mediche - devono essere però comprovate da idonea documentazione che lo straniero è tenuto a produrre ad integrazione dell’istanza[101].

 

La disposizione in esame interviene sulle questioni di agevolazione e semplificazione del procedimento di acquisto della cittadinanza nella fase di dimostrazione della residenza ininterrotta affrontate in sede di circolari amministrative.

Quindi, il comma 1 prevede che, ai fini dell'acquisto della cittadinanza italiana, all'interessato non sono imputabili eventuali inadempimenti riconducibili ai genitori o agli uffici della pubblica amministrazione, e che egli possa dimostrare il possesso dei requisiti con ogni altra idonea documentazione.

 

Secondo quanto riportato nella relazione illustrativa che accompagna il disegno di legge di conversione del decreto-legge presentato al Parlamento, la norma recepisce “un orientamento consolidato da parte della giurisprudenza (Corte di appello di Napoli, sentenza n. 1486 del 13 aprile 2012; Tribunale di Imperia, decreto n. 1295 del 11 settembre 2012; Tribunale di Reggio Emilia – I sezione civile, decreto 31 gennaio 2013; Tribunale di Lecce – II sezione civile, sentenza del 11 marzo 2013; Tribunale di Firenze – I sezione civile, decreto del 5 aprile 2013), che riconosce al figlio nato in Italia da genitori stranieri il diritto di acquisire la cittadinanza al compimento della maggiore età, nei casi in cui ci siano inadempimenti di natura amministrativa, a lui non imputabili, da parte dei genitori o degli ufficiali di stato civile o di altri soggetti. In tal modo, la giurisprudenza ha considerato rilevante la sussistenza in concreto dei requisiti per ottenere la cittadinanza da parte del neo maggiorenne nato in Italia da genitori stranieri, documentabili, tra l'altro, con certificazioni scolastiche o mediche attestanti la sua presenza in Italia fin dalla nascita e il suo inserimento nel tessuto socio-culturale”.

 

Appare opportuno verificare la necessità di intervenire con legge in materia, dal momento che, come si visto sopra, la prassi amministrativa sembrerebbe aver già provveduto a definire con precisione le modalità di dimostrazione dei requisiti richiesti dalla legge. Pertanto, un intervento con una norma di rango primario avrebbe l’effetto di “legificazione” di atti di interpretazione dell’amministrazione.

Inoltre, la norma introdotta, nel riferirsi a eventuali inadempimenti dei genitori o della pubblica amministrazione, per la sua genericità, potrebbe non essere sufficiente al raggiungimento dell’obiettivo prefissato, rendendo ancora indispensabile, ai fini all’applicazione della legge, il ricorso alla prassi. Pertanto, qualora si ritenga inevitabile l’intervento con legge, si potrebbe valutare la possibilità di esplicitarne in modo più dettagliato il contenuto.

Infine, dal punto di vista della tecnica legislativa, andrebbe valutata l’opportunità di introdurre le disposizioni in esame in forma di novella della legge 91/1992.

 

Il comma 2 interviene in riferimento alla dichiarazione per l'acquisto della cittadinanza italiana, prevedendo che gli ufficiali di stato civile debbano comunicare all'interessato, al compimento del diciottesimo anno di età, presso la sede di residenza che risulta all'ufficio, la possibilità di esercitare il predetto diritto entro il diciannovesimo anno di età. In mancanza, il diritto potrà essere esercitato anche oltre il termine fissato dalla legge.

Tale comma non definisce le modalità e i termini per l’invio della comunicazione agli interessati da parte dell’ufficiale dello stato civile concernente la possibilità di presentare istanza di acquisto della cittadinanza. In proposito andrebbero acquisiti elementi anche al fine di escludere eventuali profili di onerosità per gli uffici interessati.

 

Contestualmente all’inizio dell’iter parlamentare del decreto-legge in oggetto, si fa presente che sono vanno all’esame di sede referente presso la I Commissione della Camera alcune proposte di legge di iniziativa parlamentare e una di iniziativa popolare (A.C. 9 ed abbinate) volte a modificare nel complesso diverse disposizioni della legge 91/1992, tra cui anche l’acquisto della cittadinanza degli stranieri nati in Italia e residenti fino al compimento della maggiore età, oggetto dell’art. 33 del decreto in esame.


 

Articolo 34
(Trasmissione telematica di specifici certificati medici)

L’articolo 34 introduce la possibilità di trasmissione per via telematica dei certificati medici di gravidanza, parto e interruzione di gravidanza, ai fini dell’erogazione delle prestazioni di maternità, modificando l’articolo 21 del D.Lgs. 151/2001.

In base al citato articolo 21 i predetti certificati devono essere consegnati in modalità cartacea dalla lavoratrice stessa allo sportello delle sedi dell’INPS territorialmente competenti o tramite lettera raccomandata.

Si ricorda che analoga previsione è contenuta nel comma 3 dell’articolo 47 del D. Lgs. 151/2001, relativamente alla fruizione dei congedi per malattia dei figli.

 

Rispetto al testo previgente l’obbligo di presentazione del certificato medico di gravidanza, parto e interruzione di gravidanza è ora a carico del medico del SSN che deve trasmetterlo, esclusivamente per via telematica, all’INPS secondo le modalità definite con decreto interministeriale, da adottarsi entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame, utilizzando il sistema di trasmissione delle certificazioni di malattia di cui al D.M. 26 febbraio 2010. Le richiamate disposizioni trovano applicazione a decorrere dal novantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore del decreto interministeriale di cui sopra. Fino a tale data, l’obbligo di presentazione dl certificato rimane a carico della lavoratrice (comma 1, lettere a) e b)).

Il DM 26 febbraio 2010 disciplina il sistema di trasmissione delle certificazioni di malattia. Si ricorda che l’obbligo della trasmissione telematica dei certificati di malattia nel settore pubblico e privato è sancito dall’articolo 7 del D.L. 179/2012 a partire dal 18 dicembre 2012.

Dalle disposizioni in esame, ai sensi del successivo comma 2 non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

 

Il prospetto riepilogativo non considera la norma.

 

La relazione tecnica afferma che la norma è diretta a prevedere l'ulteriore evoluzione delle attuali procedure di trasmissione telematica dei certificati di malattia (ex DM 26/2/2010), realizzate nell'ambito del Sistema Tessera Sanitaria, ex DL. 269/2003, al fine di prevedere anche la trasmissione telematica dei certificati medici di gravidanza e di parto.

Tale evoluzione, sulla base de!le valutazioni di Sogei, comporta un mero adeguamento di entità trascurabile delle attuali procedure sia al livello del Sistema centralizzato Tessera Sanitaria che al livello dei sistemi informativi regionali, realizzabile, pertanto, nell'ambito delle ordinarie risorse giù previste.

 

In merito ai profili di quantificazione, non si hanno osservazioni da formulare.

 


 

Articolo 36
(Proroga di organismi di I.N.P.S. ed I.N.A.I.L.)

L’articolo 36 prevede la proroga degli incarichi dei componenti dei consigli di indirizzo e vigilanza dell’I.N.P.S. e dell’I.N.A.I.L., operanti alla data del 30 aprile 2013, fino alla costituzione dei nuovi consigli di indirizzo e vigilanza e comunque non oltre il 30 settembre 2013 (comma 1).

La scadenza naturale dei richiamati organi di entrambi gli istituti è stata il 2 gennaio 2013, secondo quanto previsto dal D.P.C.M. del 2 gennaio 2009; tale termine è stato già prorogato al 30 aprile 2013 dall’articolo 1, comma 402, della L. 228/2012 (legge di stabilità per il 2013).

Più specificamente, il comma 1 dispone la proroga del richiamato termine di scadenza, nelle more del completamento del processo di riordino degli enti previdenziali (di cui all’articolo 7, commi 1-14, del D.L. 78/2010, che ha portato alla soppressione, dal 31 maggio 2010, di IPSEMA, ISPESL - con relativo trasferimento di funzioni e personale all’INAIL - e IPOST - con relativo trasferimento di funzioni e personale all’INPS, nonché dell’ENAM - con relativo passaggio di funzioni e personale all’INPDAP-, nonché dell’ulteriore processo di riordino di cui all’articolo 21, comma del D.L. 201/2011 che ha disposto la soppressione dal 1° gennaio 2012 di INPDAP ed ENPALS, con relativo trasferimento funzioni e personale all’INPS), al fine di garantire la continuità dell'azione amministrativa e gestionale, nonché il rispetto dei prescritti adempimenti di natura contabile, economica e finanziaria.

 

Il successivo comma 2 (dispone che gli obiettivi di risparmio rivenienti dalle misure di razionalizzazione organizzativa dell'INPS e dell'INAIL di cui all'articolo 4, comma 66, della legge di stabilità 2012 (L. 183/2011), siano incrementati, in aggiunta a quanto disposto dall’articolo 1, comma 403, della L. 228/2012, di ulteriori 150.000 euro per il 2013 (per uno stanziamento complessivo pari quindi a 300.000 euro). Tali disponibilità sono destinate per le spese di funzionamento conseguenti alla proroga dei CIV degli enti stessi, ai sensi del precedente comma.

L’articolo 4, comma 66, della legge di stabilità 2012 ha previsto, allo scopo di concorrere al raggiungimento degli obiettivi programmati di finanza pubblica per gli anni 2012 e successivi, l’obbligo, per l’INPS, l’INPDAP e INAIL (nell’ambito della propria autonomia), di adottare specifiche misure di razionalizzazione organizzativa, al fine di ridurre le proprie spese di funzionamento in misura non inferiore all’importo complessivo, in termini di saldo netto, di 60 milioni di euro per l’anno 2012, 10 milioni di euro per l’anno 2013 e 16,5 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2014.

 

Profili finanziari

 

Il prospetto riepilogativo ascrive alla norma i seguenti effetti sui saldi di finanza pubblica:

 

(milioni di euro)

 

Saldo netto da finanziare

Fabbisogno

Indebitamento netto

 

2013

2014

2015

2013

2014

2015

2013

2014

2015

Maggiori spese correnti (comma 1)

0,15

 

 

0,15

 

 

0,15

 

 

Minori spese correnti (comma 2)

0,15

 

 

0,15

 

 

0,15

 

 

 

La relazione tecnica, oltre a descrivere la norma, afferma che alla stessa non sono ascritti effetti negativi per la finanza pubblica.

 

Si ricorda che l’articolo 7, comma 9, del DL 78/2010 ha disposto che, con effetto dalla ricostituzione dei consigli di indirizzi e vigilanza, il numero dei rispettivi componenti sia ridotto in misura non inferiore al trenta per cento. La RT allegata alla norma quantificava – senza fornire i parametri alla base del calcolo - i risparmi in euro 463.334, affermando altresì che gli stessi sarebbero stati effettivi a decorrere dalla ricostituzione degli organi stessi prevista per l’anno 2013.

Si ricorda altresì che l’articolo 1, commi 402 e 403, della L. 228/2012 (Legge di stabilità 2013) ha prorogato il termine di scadenza dei consigli fino al 30 aprile 2013, incrementando conseguentemente gli obiettivi di risparmio rivenienti dalle misure di razionalizzazione organizzativa dell'INPS e dell'INAIL di 150.000 euro per l'anno 2013.

 

In merito ai profili di quantificazione, si osserva che l’onere, quantificato in 150.000 euro per il 2013, appare lievemente sottostimato rispetto alla quantificazione operata per l’articolo 7, comma 9, del DL 78/2010.

In proporzione, la quota di minori risparmi derivante dalla proroga di 5 mesi dal 30 aprile al 30 settembre 2013, è infatti quantificabile in circa 193.000 euro, alla luce di quanto riportato dalla relazione tecnica allegata alla norma originaria, di cui all’articolo 7 del DL 78/2010.

Andrebbe altresì acquisita conferma dal Governo circa la sostenibilità degli ulteriori obiettivi di risparmio rivenienti dalle misure di razionalizzazione di INPS e INAIL.

Si ricorda che la relazione tecnica relativa all’articolo 4, comma 66, della L. 183/2011 (Legge di stabilità 2012) precisava che il risparmio derivante dalla riorganizzazione amministrativa di INPS, INPDAP e INAIL, era pari a 60 milioni di euro nel 2012, 10 milioni di euro nel 2013 e 16,5 milioni di euro annui a decorrere dal 2014. Tale obiettivo, come sopra ricordato, era stato incrementato dall’articolo 1, comma 403, della L. 228/2012, in ragione di 150.000 euro per l’anno 2013.

 

 


 

Articolo 37
(Zone a burocrazia zero )

L’articolo 37 interviene nella materia della semplificazione degli oneri burocratici delle imprese. Tale materia è oggetto di una normazione che negli ultimi anni è stata particolarmente copiosa e ha prodotto una stratificazione di disposizioni la cui lettura coordinata risulta non sempre agevole.

L’articolo in esame non sembra apportare modifiche sostanziali al suddetto quadro normativo, esplicitamente ribadendo che resta fermo “quanto previsto dalle norme di liberalizzazione delle attività economiche e riduzione degli oneri amministrativi delle imprese”.

In particolare l’oggetto dell’intervento sono i percorsi sperimentali di semplificazione amministrativa per gli impianti produttivi e le iniziative ed attività delle imprese, attivati stramite lo strumento delle convenzioni di cui all’articolo 12 del decreto-legge 9 febbraio, 2012. n. 5.

La rubrica dell’articolo fa riferimento alla possibilità, prevista dall’art. 37-bis del D.L. 179/2012, di individuare, nell’ambito delle attività sperimentali, “zone a burocrazia zero”, nelle quali provare forme di deregulation controllata ed utilizzare le risorse previste per le zone franche urbane disagiate.

 

Secondo quanto previsto dall’articolo 12 del D.L. 5/2012 le Regioni, le Camere di commercio, industria, agricoltura e artigianato, i comuni e le loro associazioni, le agenzie per le imprese ove costituite, le altre amministrazioni competenti e le organizzazioni e le associazioni di categoria interessate, comprese le organizzazioni dei produttori di cui al decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228, possono stipulare convenzioni, su proposta dei Ministri per la pubblica amministrazione e la semplificazione e per lo sviluppo economico, sentita la Conferenza unificata Stato-regioni ed autonomie locali, per attivare percorsi sperimentali di semplificazione amministrativa per gli impianti produttivi e le iniziative ed attività delle imprese sul territorio, in ambiti delimitati e a partecipazione volontaria, anche mediante deroghe alle procedure ed ai termini per l'esercizio delle competenze facenti esclusivamente capo ai soggetti partecipanti, dandone preventiva ed adeguata informazione pubblica.

Con riguardo all’oggetto delle attività di sperimentazione il citato articolo 37-bis del D.L. 179/2012 ha previsto che nell'ambito di cui all'articolo 12, comma 1, del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2012, n. 35, che proseguono fino al 31 dicembre 2013, possono essere individuate «zone a burocrazia zero», non soggette a vincolo paesaggistico-territoriale o del patrimonio storico-artistico. In tali zone i soggetti sperimentatori possono individuare e rendere pubblici i casi in cui il rilascio delle autorizzazioni di competenza necessarie alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto sono sostituite da una comunicazione dell'interessato allo sportello unico per le attività produttive. Nei rimanenti casi per le nuove iniziative produttive, avviate successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, i procedimenti amministrativi sono conclusi con l'adozione del provvedimento conclusivo previa apposita conferenza di servizi telematica ed aperta a tutti gli interessati, anche con modalità asincrona. I provvedimenti conclusivi di tali procedimenti si intendono senz'altro positivamente adottati entro trenta giorni dall'avvio del procedimento se un provvedimento espresso non è adottato entro tale termine. Tale disciplina non si applica ai procedimenti amministrativi di natura tributaria, di pubblica sicurezza ed attinenti all'incolumità pubblica.

Va peraltro ricordato che l’articolo 37-bis abroga la previdente disciplina in materia di zone a burocrazia zero contenuta nell’articolo 43 del D.L. 31-5-2010 n. 78. L’articolo 43 prevedeva la possibilità che le “zone a burocrazia zero” fossero istituite “nel Meridione d’Italia”, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell'interno. In tali zone le nuove iniziative produttive avviate avrebbero goduto di una serie di vantaggi in termini di semplificazione e snellimento del procedimenti amministrativi. La corte Costituzionale con sentenza 19-22 luglio 2011, n. 232, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’ articolo 43, nella parte in cui è destinato ad applicarsi anche ai procedimenti amministrativi che si svolgono entro l'ambito delle materie di competenza regionale concorrente e residuale.

La legge n.183 del 2011 aveva peraltro esteso in via sperimentale, fino al 31 dicembre 2013, all'intero territorio nazionale la disciplina delle zone a burocrazia zero prevista dall'articolo 43 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78.

 

Con riguardo alle convenzioni, il comma 1 prevede che i soggetti sottoscrittori possono stipularle entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto legge in esame;

Non appare chiara la portata normativa del comma 1, che sembra introdurre un termine per un’attività facoltativa. Andrebbe valutata l’opportunità di chiarire il significato della disposizione che potrebbe prestarsi all’interpretazione - che non appare in linea con l’impianto generale della materia - secondo la quale è fissato un termine oltre il quale l’attività convenzionale non può più essere esercitata.

Si ricorda peraltro che l’articolo 37-bis del D.L. 179/2012 ha previsto che le sperimentazioni attivate con lo strumento delle convenzioni possono proseguire fino al 31 dicembre 2013.

 

Il comma 2 attiene alle attività sperimentali di semplificazione attivate con le convenzioni sopra citate, per le quali si prevede l’estensione a tutto il territorio nazionale. La finalità dell’estensione è quella di creare un sistema integrato di dati telematici tra le diverse amministrazioni e i gestori di servizi pubblici e di servizi per la pubblica utilità.

Dal tenore letterale della disposizione di cui al comma 2 non appare chiaro l’oggetto e di conseguenza la portata normativa della disposizione stessa. In particolare non appare chiaro come le attività sperimentali che sono oggetto di convenzioni volontarie attivate dalle regioni e dagli enti locali e dunque differiscono tra loro per oggetto e portata applicativa, possano essere estese a tutto il territorio nazionale. Sembrerebbe dunque opportuno chiarire quale sia l’oggetto dell’estensione delle sperimentazioni.

 

Secondo i dati forniti nella Relazione che il Governo, allo scadere della XVI legislatura, ha presentato alle Camere in materia di “Liberalizzazione delle attività economiche e riduzione degli oneri amministrativi delle imprese” (ai sensi di quanto previsto dall’articolo 1, comma 3 del D.L. 1 del 2012) le sperimentazioni in corso alla data del 25 marzo 2013 sono le seguenti:

a)       Regione Abruzzo, Comuni della Regione e altre amministrazioni: Attuazione SUAP

b)       Regione Sicilia, Comuni della Regione e altre amministrazioni: modulistica standardizzata per riforma SUAP

c)       Regione Toscana, Comuni della Regione e altre amministrazioni: modello procedurale unificato per la conferenza di servizi telematica;

d)       Regione Veneto, Comuni della Regione, altre amministrazioni e Unioncamere Veneto: regime SUAP telematico;

e)       Provincia di Potenza, Comuni della provincia ed altre amministrazioni: informatizzazione del procedimento e “zone a burocrazia zero”.

 

Il comma 3 prevede che i soggetti sperimentatori individuano e rendono pubblici sul loro sito istituzionale, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, i casi in cui il rilascio delle autorizzazioni di competenza sia sostituito da una comunicazione dell’interessato.

 

I commi 4 e 5 prevedono nuovi compiti per il Ministero dello sviluppo economico:

§      promuovere l’accesso alle informazioni, comprese quelle in cui il rilascio delle autorizzazioni di competenza sia sostituito da una comunicazione dell’interessato, tramite il proprio sito istituzionale

§      predisporre, d’intesa con il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione un Piano nazionale delle zone a burocrazia zero e monitorarne costantemente l’attuazione pubblicando sul proprio sito una relazione trimestrale.

 

Il comma 6 prevede che le attività di sperimentazione non sono soggette a limitazioni, se non quando sia necessario tutelare i principi fondamentali della Costituzione, la sicurezza, la libertà e la dignità dell’uomo e l’utilità sociale.

Infine si prevede una clausola di salvaguardia secondo la quale agli adempimenti di cui al presente articolo, presumibilmente i nuovi compiti assegnati al MISE, si provvede con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica

 

 

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

Si rimanda al paragrafo “Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE” relativo all’articolo 14.

 

Profili finanziari

Il prospetto riepilogativo non considera la norma.

 

La relazione tecnica conferma l’assenza di effetti finanziari, conformemente alla clausola di non onerosità presente nel comma 6.

 

In merito ai profili di quantificazione, con riferimento alla creazione di un sistema integrato di dati telematici tra le amministrazioni e i gestori dei servizi pubblici, si rileva che la relazione non reca gli elementi necessari a suffragare l’invarianza di oneri. Sul punto appare opportuno un chiarimento da parte del Governo.


 

Articolo 38
(
Disposizioni in materia di prevenzione incendi)

Il comma 1 dell'articolo 38 semplifica gli adempimenti di prevenzione incendi per i soggetti responsabili delle c.d. nuove attività (attività assoggettate alla disciplina di prevenzione incendi solo in seguito all’emanazione del D.P.R. 151/2011) richiamate dall’art. 11, comma 4, del D.P.R. 151/2011.

La semplificazione consiste nell’esenzione dalla presentazione dell’istanza preliminare - prevista dall’art. 3 del D.P.R.151/2011 per le sole attività di categoria B e C - per i progetti di nuovi impianti o costruzioni nonché dei progetti di modifiche comportanti un aggravio delle preesistenti condizioni di sicurezza antincendio. Tale esenzione opera qualora i soggetti responsabili siano già in possesso di atti abilitativi riguardanti anche la sussistenza dei requisiti di sicurezza antincendio, rilasciati dalle competenti autorità.

 

Per comprendere le terminologie fin qui utilizzate è necessario chiarire i punti salienti della nuova disciplina dettata dal Regolamento di semplificazione della disciplina dei procedimenti relativi alla prevenzione degli incendi di cui al D.P.R. 151/2011.

Con l’emanazione del D.P.R. 151/2011 le attività sottoposte ai controlli di prevenzione incendi sono state suddivise in tre categorie (A, B e C), in ragione del loro grado di pericolosità, elencate nell'allegato I al medesimo decreto e assoggettate a una disciplina differenziata.

Rientrano nella categoria A le attività poco rischiose, mentre le categorie B e C riguardano attività con livelli di rischio medio-alti; solo per queste ultime categorie il decreto prevede (all’art. 3) l’obbligo del parere di conformità, da parte del Comando provinciale dei vigili del fuoco territorialmente competente, sui progetti di nuovi impianti o costruzioni nonché dei progetti di modifiche da apportare a quelli esistenti, che comportino un aggravio delle preesistenti condizioni di sicurezza antincendio.

Rispetto all’elenco di attività previsto dalla normativa previgente (recata dal D.M. 16 febbraio 1982), il nuovo elenco di cui all’allegato I del D.P.R. n. 151 prevede l’assoggettamento alla disciplina di prevenzione incendi ad attività non precedentemente contemplate. Le nuove attività introdotte si riferiscono essenzialmente[102] a:

§         infrastrutture di trasporto a elevato rischio (aerostazioni, stazioni ferroviarie, stazioni marittime, con superficie coperta accessibile al pubblico superiore a 5.000 m2; metropolitane in tutto o in parte sotterranee; interporti con superficie superiore a 20.000 m2; gallerie stradali di lunghezza superiore a 500 metri e ferroviarie superiori a 2.000 metri[103]);

§         grandi complessi per il terziario (edifici e/o complessi edilizi a uso terziario e/o industriale caratterizzati da promiscuità strutturale e/o dei sistemi delle vie di esodo e/o impiantistica con presenza di persone superiore a 300 unità, ovvero di superficie complessiva superiore a 5.000 m2, indipendentemente dal numero di attività costituenti e dalla relativa diversa titolarità);

§         demolizioni di veicoli e simili con relativi depositi, di superficie superiore a 3.000 m2;

§         strutture turistico-ricettive all'aria aperta (campeggi, villaggi turistici, ecc.) con capacità ricettiva superiore a 400 persone.

 

Relativamente al citato comma 4 dell’art. 11 del D.P.R. 151/2011 si ricorda che esso reca una disposizione transitoria in base alla quale gli enti e i privati responsabili delle nuove attività introdotte all'Allegato I, esistenti alla data di pubblicazione del regolamento (pubblicato nella G.U. 22 settembre 2011, n. 221), devono espletare gli adempimenti prescritti dal decreto non immediatamente, ma entro 2 anni dall’entrata in vigore del medesimo regolamento, vale a dire entro il 7 ottobre 2013.

Tale termine, inizialmente fissato al 7 ottobre 2012, è stato prorogato di un anno dall’art. 7, comma 2-bis, del D.L. 83/2012.

Per quanto riguarda gli adempimenti prescritti dal D.P.R. 151/2011 essi possono essere schematicamente sintetizzati come segue, a seconda della categoria di rischio dell’attività:

 

Categoria di attività

Istanza preliminare per ottenere il parere di conformità (art. 3 D.P.R. 151/2011)

Istanza per l’ottenimento del certificato di prevenzione incendi (CPI), tramite segnalazione certificata di inizio attività- SCIA (art. 4 D.P.R. 151/2011)

A

NO

B

C

 

Il comma 2 proroga di un ulteriore anno, vale a dire al 7 ottobre 2014, il termine per l’assolvimento degli adempimenti prescritti dagli articoli 3 e 4 del D.P.R. 151/2011, da parte dei soggetti responsabili delle c.d. nuove attività, ferma restando l’esclusione disposta dal comma 1 dell'articolo in esame.

Profili finanziari

Il prospetto riepilogativo non considera la norma.

 

La relazione tecnica esclude effetti sui saldi di finanza pubblica.

Non sembra invece riferibile al testo in esame l’affermazione, contenuta nella RT, secondo la quale l’articolo 38 attribuirebbe al Ministero dell’interno una delega per l'armonizzazione fra la disciplina delle attività a rischio di incidente rilevante e la disciplina dettata dal regolamento di semplificazione in materia di prevenzione incendi.

 

La relazione illustrativa afferma che la norma, evitando duplicazioni di adempimenti, determina una riduzione degli oneri amministrativi e dei conseguenti costi per i soggetti e gli enti interessati.

Si ricorda infine che il DPR 151/2011 è corredato di una clausola di neutralità finanziaria (articolo 13), in base alla quale dal regolamento non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Nel corso dell’esame parlamentare del provvedimento[104] il Governo ha confermato l’assenza di oneri anche con riferimento ai pagamenti per diritti relativi ai compiti di istruttoria e di controllo. In particolare, il Governo ha affermato che la neutralità finanziaria della nuova disciplina sarebbe stata assicurata da una rimodulazione del sistema tariffario volta a garantire importi complessivamente pari a quelli in precedenza introitati[105].

 

In merito ai profili di quantificazione andrebbe valutata la coerenza delle norme in esame rispetto agli obblighi di neutralità finanziaria previsti dal DPR 151/2011. In particolare, andrebbe confermata l’assenza di oneri anche con riferimento ai diritti relativi ai compiti di istruttoria e di controllo introitati dagli organismi pubblici competenti.

 

 


 

Articolo 39
(
Uso individuale dei beni culturali e autorizzazione paesaggistica)

L’art. 39 reca modifiche al Codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lgs. 42/2004) in tema di uso individuale dei beni culturali e di autorizzazione paesaggistica.

 

In particolare, il comma 1, lett. a), novella l’art. 106 del d.lgs. 42/2004 affidando al Ministero per i beni e le attività culturali la determinazione - che, in base all’articolo citato, spetta al soprintendente - del canone per la concessione in uso, a singoli richiedenti, di beni in consegna al medesimo Ministero.

La relazione illustrativa evidenzia che si tratta di un chiarimento del quadro normativo vigente, poiché, in base all’art. 17, comma 3, lett. l), del DPR 233/2007, recante regolamento di riorganizzazione del Ministero per i beni e le attività culturali, la competenza a concedere in uso i beni culturali in consegna allo stesso Ministero spetta al direttore regionale e non al soprintendente.

 

L’art. 106 del d.lgs. 42/2004 dispone che lo Stato, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali possono concedere a singoli richiedenti l’uso dei beni culturali che hanno in consegna, purché per finalità compatibili con la loro destinazione culturale (ad esempio, un immobile può essere concesso ad una università, purché ne faccia sede di conferenze e di studio). Per i beni in consegna al Ministero, la determinazione del canone (secondo gli indirizzi dettati dall’art. 108) era rimessa dal codice al soprintendente.

Per completezza si ricorda che, sempre in base all’art. 106, per i beni in consegna agli altri soggetti la concessione in uso è subordinata all’autorizzazione del Ministero ed è rilasciata a condizione che il conferimento garantisca la conservazione e la fruizione pubblica del bene e sia assicurata la compatibilità della destinazione d'uso con il carattere storico-artistico del bene medesimo.

 

La lettera b) del comma 1, che novella i commi 4, 5 e 9 dell’articolo 146 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, modifica il termine di efficacia dell’autorizzazione paesaggistica e incide su talune fasi del procedimento amministrativo di rilascio della medesima autorizzazione al fine di ridurne i tempi. In particolare, la lettera b):

§      aggiunge un periodo al comma 4 dell’articolo 146, estendendo l’efficacia quinquennale dell’autorizzazione paesaggistica per un ulteriore periodo massimo di dodici mesi, nel caso di lavori iniziati nel quinquennio decorrente dalla data di rilascio dell’autorizzazione (numero 1);

Ai sensi del comma 4 dell’art. 146, l'autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l'intervento urbanistico-edilizio. L'autorizzazione è efficace per un periodo di cinque anni, scaduto il quale l'esecuzione dei progettati lavori deve essere sottoposta a nuova autorizzazione.

§      modifica il secondo periodo del comma 5 dell’articolo 146 dimezzando da 90 a 45 giorni il termine per l’espressione del parere obbligatorio non vincolante del soprintendente, nell’ambito delle procedure di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, nel caso specifico in cui siano state approvate le prescrizioni d’uso dei beni paesaggistici tutelati e sia stato positivamente verificato l’adeguamento degli strumenti urbanistici alle medesime prescrizioni. Decorso tale termine, l’amministrazione competente provvede sulla domanda di autorizzazione (numero 2);

Il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica spetta, ai sensi dell’art. 146 del Codice, alla regione che esercita tale funzione avvalendosi di propri uffici dotati di adeguate competenze tecnico-scientifiche e idonee risorse strumentali. La disciplina dell’art. 146 riconduce comunque le competenze sull’autorizzazione paesaggistica nell’ambito della Soprintendenza: si prevede, infatti, l’incardinamento della Soprintendenza all’interno dello stesso procedimento di rilascio dell’autorizzazione, in quanto la regione si può pronunciare solo dopo aver “acquisito il parere vincolante del Soprintendente” (comma 5, primo periodo) in relazione agli interventi da eseguirsi su immobili ed aree sottoposti a tutela.

Qualora, invece, i Comuni abbiano già recepito negli strumenti urbanistici le prescrizioni del piano paesaggistico regionale e il Ministero abbia valutato positivamente tale adeguamento, il parere del Soprintendente, all’esito dell’approvazione delle prescrizioni d’uso dei beni paesaggistici tutelati, assume natura obbligatoria non vincolante (comma 5, secondo periodo)[106]. In conseguenza della modifica apportata dall’articolo 4, comma 16, del D.L. 70/2011, era stato disposto un termine per l’espressione di tale parere del soprintendente pari a novanta giorni dalla ricezione degli atti decorso il quale il parere medesimo si considerava favorevole. Su tale termine incide la novella in commento.

§      sostituisce i primi tre periodi del comma 9 dell’articolo 146, stabilendo infine che, trascorso il termine di 45 giorni senza che il soprintendente abbia reso il parere vincolante, l'amministrazione competente provvede sulla domanda di autorizzazione (numero 3).

Ai sensi dell’art. 146, comma 8, il soprintendente rende il parere vincolante di cui al comma 5, limitatamente alla compatibilità paesaggistica del progettato intervento nel suo complesso ed alla conformità dello stesso alle disposizioni contenute nel piano paesaggistico.

I primi tre periodi del comma 9 dell’art. 146, sostituiti dalla novella in commento, prevedevano che, in assenza del parere di cui al comma 8, l'amministrazione competente indicesse una conferenza di servizi - alla quale il soprintendente era tenuto a partecipare o a fare pervenire il parere scritto - che avrebbe dovuto pronunciarsi entro il termine perentorio di quindici giorni. In ogni caso, decorsi sessanta giorni dalla ricezione degli atti da parte del soprintendente, l'amministrazione competente poteva provvedere sulla domanda di autorizzazione.

La modifica in commento elimina il ricorso alla conferenza dei servizi conseguentemente riducendo il termine (da sessanta a quarantacinque giorni) oltre il quale l’amministrazione competente provvede sulla domanda di autorizzazione a prescindere dal suddetto parere.

 

 


 

Articolo 40
(Riequilibrio finanziario dello stato di previsione della spesa del Ministero per i beni e le attività culturali)

L’articolo 40 prevede la possibilità che il Ministro per i beni e le attività culturali versi all’entrata del bilancio dello Stato risorse disponibili nei conti di tesoreria delle Soprintendenze dotate di autonomia speciale, per la successiva riassegnazione allo stato di previsione della spesa del Ministero per i beni e le attività culturali, in aggiunta agli ordinari stanziamenti di bilancio, per l’attività di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale.

 

In particolare, l’art. 40 novella l’art. 2, comma 8, del D.L. 34/2011 (L. 75/2011), - che aveva consentito al Ministro per i beni e le attività culturali di provvedere, in deroga al regime ordinario (v. infra), con proprio decreto, a trasferire risorse tra le disponibilità giacenti sui conti di tesoreria delle Soprintendenze dotate di autonomia speciale, al fine di assicurarne l'equilibrio finanziario, comunque assicurando l’assolvimento degli impegni già presi sulle disponibilità suddette - disponendo che il Ministro possa anche versare le stesse risorse all’entrata del bilancio dello Stato. Per tali versamenti il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare le occorrenti variazioni di bilancio, affinché gli stessi introiti siano riassegnati, a fini di reintegro e in aggiunta agli ordinari stanziamenti di bilancio, allo stato di previsione della spesa del MIBAC per l’attività di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale.

 

Le Soprintendenze dotate di autonomia speciale sono individuate dall’art. 15, co. 3, lett. a)-f), del DPR 233/2007: Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Napoli e Pompei; Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Roma; Soprintendenza speciale per il patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico e per il polo museale della città di Venezia e dei comuni della Gronda lagunare; Soprintendenza speciale per il patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico e per il polo museale della città di Napoli; Soprintendenza speciale per il patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico e per il polo museale della città di Roma; Soprintendenza speciale per il patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico e per il polo museale della città di Firenze.

 

La previsione già recata dall’art. 2, co. 8, del D.L. 34/2011 era stata esplicitamente assunta (senza procedere a novella) in deroga a quanto disposto dall’art. 4, co. 3, del DPR n. 240/2003 recante il regolamento sul funzionamento amministrativo-contabile e sulla disciplina del servizio di cassa delle Soprintendenze dotate di autonomia gestionale, il quale pone un limite percentuale alle risorse attingibili dal Ministero.

In particolare, la disposizione citata prevede che il Ministro, al fine di consentire il riequilibrio finanziario nell’ambito delle Soprintendenze medesime, può disporre con proprio decreto, annualmente, che una quota non superiore al 30% delle risorse derivanti dalle entrate da proventi diversi, sia versata all’entrata del bilancio dello Stato e riassegnata con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze allo stato di previsione del Mibac, per la ripartizione tra le Soprintendenze interessate in relazione alle rispettive esigenze finanziarie.

 

L’ultimo periodo dell’articolo in esame mantiene fermi, in ogni caso, gli obblighi di versamento all’entrata del bilancio dello Stato previsti dall’art. 4, co. 85, della L. 183/2011 (legge di stabilità 2012), come modificato dall’art. 1, co. 78, della L. 228/2012 (legge di stabilità 2013).

                                                       

L’art. 4, co. 85, della L. 183/2011, come modificato dall’art. 1, co. 78, della L. 228/2012 (legge di stabilità 2013), dispone che, le somme giacenti, alla data di entrata in vigore della stessa L. 183/2011, nelle contabilità speciali intestate ai capi degli Istituti centrali e periferici del Ministero, compresi gli Istituti dotati di autonomia speciale, di cui all’art. 15, co. 3, del DPR 233/2007 (alle Soprintendenze sopra citate si aggiungono l'Istituto superiore per la conservazione ed il restauro, la Biblioteca nazionale centrale di Roma, la Biblioteca nazionale centrale di Firenze, il Centro per il libro e la lettura, l'Archivio centrale dello Stato), per la gestione dei fondi loro assegnati in applicazione dei piani di spesa per la realizzazione di interventi nel settore dei beni culturali (sull’argomento si veda, nel dossier del Servizio Studi n. 708/4 del 31 gennaio 2013, la scheda di lettura relativa all’art. 1, co. 78, della L. 228/2012), con priorità per quelle accreditate fino al 31 dicembre 2006, sono versate all’entrata del bilancio dello Stato, rispettivamente per un importo pari a 60,4 milioni di euro entro il 30 giugno 2012 e a 10 milioni di euro entro il 30 giugno 2013, previa individuazione con uno o più decreti del Ministro per i beni e le attività culturali, su proposta del Segretario generale.

Le motivazioni delle modifiche apportate dalla legge di stabilità 2013 sono state esplicitate dal rappresentante del Governo con la presentazione di una nota durante la discussione presso la VII Commissione della Camera il 30 ottobre 2012. In particolare, nella nota è stato evidenziato che “Come precisato con circolare n. 22/2012 del Segretariato generale, le somme reperite in seguito all'applicazione della norma in oggetto, devono essere versate in conto entrata del bilancio dello Stato sul capo XXIX, capitolo 3680 denominato «entrate eventuali e diverse concernenti il ministero per i beni e le attività culturali». Pertanto non è prevista alcuna riassegnazione ai capitoli dello stato di previsione della spesa del Ministero per i beni e le attività culturali”.

 

Si segnala che l’art. 1 della legge 71/2013, di conversione del D.L. 43/2012, ha trasferito al Mibac le funzioni in materia di turismo, disponendo anche la modifica della denominazione dello stesso in “Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo”.

 

Profili finanziari

Il prospetto riepilogativo non considera la norma.

 

La relazione tecnica afferma che la norma non comporta oneri a carico della finanza pubblica, ma permette di ottimizzare l’utilizzo delle risorse disponibili all’interno dell’Amministrazione.

 

In merito ai profili di quantificazione non si hanno osservazioni da formulare nel presupposto, su cui appare opportuno una conferma da parte del Governo, che la diversa destinazione delle risorse riassegnate non comporti un’accelerazione della spesa rispetto a quanto già scontato nei quadri tendenziali a legislazione vigente.


 

Articolo 41
(Disposizioni in materia ambientale)

Comma 1 (Disciplina delle acque di falda emunte)

Il comma 1 provvede a riscrivere l’art. 243 del D.Lgs. 152/2006 (Codice dell’ambiente) al fine di semplificare la disciplina, in esso recata, delle acque di falda emunte nell'ambito di interventi di bonifica dei siti contaminati.

Tale fattispecie operativa ricorre abbastanza frequentemente nell'ambito delle operazioni di messa in sicurezza e di bonifica delle falde acquifere sotterranee effettuate all'interno dei siti.

Prima dell’emanazione del Codice dell’ambiente, in assenza di una chiara indicazione da parte della normativa previgente, la tesi prevalente (sostenuta, dallo stesso Ministero dell’ambiente) prevedeva che le acque di falda emunte dovessero essere considerate sempre e comunque quali rifiuti liquidi da trattare, con la conseguente inapplicabilità nella fase di scarico dei limiti di emissione previsti in materia di scarichi idrici, in favore invece dei più restrittivi limiti previsti per le operazioni di bonifica, nonché il conseguentemente appesantimento delle procedure autorizzative; rendendo quindi più laboriose le procedure di bonifica.

Con l'adozione dell'articolo 243 del Codice si è invece chiarito che i limiti di emissione applicabili alla fase dello scarico delle acque emunte sono quelli previsti per le acque reflue industriali.

Tuttavia, la disposizione non ha chiarito in modo esplicito il regime applicabile a dette acque al momento dell’emungimento.

Ciò ha lasciato spazio all’elaborazione della giurisprudenza amministrativa, che ha oscillato tra due contrapposti orientamenti: da un lato si è sostenuto che quando, sin dall'emungimento, le acque di bonifica vengono avviate tramite tubatura alla depurazione ed al successivo scarico (compiendo un percorso in tutto e per tutto analogo a quello che compiono le acque di processo) è possibile escludere l'applicazione della disciplina sui rifiuti[107]; dall'altro[108] si è invece sostenuta l'esistenza di una presunzione circa la qualifica delle acque emunte quali "rifiuti liquidi", che troverebbe la propria fonte nell'inclusione di tali acque nel Catalogo europeo dei rifiuti.

Si rammenta in proposito la voce 19.13 “rifiuti prodotti dalle operazioni di bonifica di terreni e risanamento delle acque di falda” contenuta nell’allegato D del Codice, che recepisce il catalogo nell’ordinamento nazionale.

 

L’intervento operato dalla disposizione in commento è finalizzato a semplificare la gestione delle acque emunte chiarendo la non applicazione della disciplina vigente in materia di rifiuti.

E’ questa infatti la sostanza del nuovo comma 4 dell’art. 243, secondo cui le acque emunte convogliate tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il punto di prelievo di dette acque con il punto di immissione delle stesse, previo trattamento di depurazione, in corpo ricettore, sono assimilate alle acque reflue industriali che provengono da uno scarico e come tali soggette al regime di cui alla Parte III del Codice, che, tra l’altro, contiene la disciplina degli scarichi idrici (artt. 100-108).

Riguardo alle altre disposizioni si segnala che il comma 1 individua l’ambito di applicazione della disciplina in tutti quei casi in cui le acque di falda contaminate determinano una situazione di rischio sanitario.

Il comma 2 prevede che, in tali casi, gli interventi di emungimento e trattamento delle acque di falda contaminate sono ammessi in via residuale, cioè solo nei casi in cui non è altrimenti possibile eliminare, prevenire o ridurre a livelli accettabili il rischio sanitario associato alla circolazione e alla diffusione delle stesse.

Lo stesso comma 2 prevede, come già il testo previgente, la possibilità di utilizzo in cicli produttivi in esercizio nel sito stesso. Il nuovo testo sembra considerare prioritario questo utilizzo nell’ottica del “rispetto dei principi di risparmio idrico”.

Il nuovo comma 3, relativamente allo scarico delle acque emunte in corpi idrici superficiali o in fognatura (già contemplato dal previgente comma 1), chiarisce che esso deve avvenire previo trattamento depurativo da effettuarsi presso apposito impianto di trattamento delle acque di falda o presso gli impianti di trattamento delle acque reflue industriali esistenti ed in esercizio in loco, che risultino tecnicamente idonei.

Il nuovo comma 5 riproduce nella sostanza quanto disposto dal previgente comma 2 relativamente alla possibilità - in deroga al divieto di scarico diretto nelle acque sotterranee e nel sottosuolo previsto dal comma 1 dell'articolo 104 del Codice -, ai soli fini della bonifica delle acque sotterranee, di reimmettere, previo trattamento, le acque sotterranee nello stesso acquifero da cui sono emunte.

L’unica modifica che appare di rilievo appare la disposizione integrativa che consente “reiterati cicli di emungimento e re immissione”.

Il nuovo comma 6 dispone che, in ogni caso, le attività di cui ai commi 2-5 devono garantire un’effettiva riduzione dei carichi inquinanti immessi nell’ambiente. Lo stesso comma dispone altresì, a tal fine, la determinazione in massa dei valori limite di emissione degli scarichi degli impianti di trattamento delle acque di falda contaminate emunte.

 

Il seguente testo a fronte evidenzia le modifiche rispetto alla disciplina previgente:

 

Testo previgente dell’art. 243

Nuovo testo dell’art. 243

 

 

 

 

 

1. Nei casi in cui le acque di falda contaminate determinano una situazione di rischio sanitario, oltre alla eliminazione della fonte di contaminazione ove possibile e economicamente sostenibile, devono essere adottate misure di attenuazione della diffusione della contaminazione conformi alle finalità generali e agli obiettivi di tutela, conservazione e risparmio delle risorse idriche stabiliti dalla Parte III del presente decreto.

 

 

 

 

 

 

 

 

1. Le acque di falda emunte dalle falde sotterranee, nell'ambito degli interventi di bonifica o messa in sicurezza di un sito, possono essere scaricate, direttamente o dopo essere state utilizzate in cicli produttivi in esercizio nel sito stesso, nel rispetto dei limiti di emissione di acque reflue industriali in acque superficiali di cui al presente decreto.

2. Gli interventi di conterminazione fisica o idraulica con emungimento e trattamento delle acque di falda contaminate, sono ammessi solo nei casi in cui non è altrimenti possibile eliminare, prevenire o ridurre a livelli accettabili il rischio sanitario associato alla circolazione e alla diffusione delle stesse. Nel rispetto dei principi di risparmio idrico di cui al comma precedente, in tali evenienze deve essere valutata la possibilità tecnica di utilizzazione delle acque emunte nei cicli produttivi in esercizio nel sito stesso o ai fini di cui al comma 6.

3. Ove non si proceda secondo quanto previsto ai commi precedenti, l’immissione di acque emunte in corpi idrici superficiali o in fognatura deve avvenire previo trattamento depurativo da effettuarsi presso apposito impianto di trattamento delle acque di falda o presso gli impianti di trattamento delle acque reflue industriali esistenti ed in esercizio in loco, che risultino tecnicamente idonei.

 

4. Le acque emunte convogliate tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il punto di prelievo di dette acque con il punto di immissione delle stesse, previo trattamento di depurazione, in corpo ricettore, sono assimilate alle acque reflue industriali che provengono da uno scarico e come tali soggette al regime di cui alla Parte III del presente decreto.

2. In deroga a quanto previsto dal comma 1 dell'articolo 104, ai soli fini della bonifica dell'acquifero, è ammessa la reimmissione, previo trattamento, delle acque sotterranee nella stessa unità geologica da cui le stesse sono state estratte, indicando

la tipologia di trattamento, le caratteristiche quali-quantitative delle acque reimmesse, le modalità di reimmissione e le misure di messa in sicurezza della porzione di acquifero interessato dal sistema di estrazione/reimmissione.

5. In deroga a quanto previsto dal comma 1 dell'articolo 104, ai soli fini della bonifica delle acque sotterranee, è ammessa la reimmissione, previo trattamento, delle acque sotterranee nello stesso acquifero da cui sono emunte. Il progetto previsto all’articolo 242 deve indicare la tipologia di trattamento, le caratteristiche quali-quantitative delle acque reimmesse, le modalità di reimmissione e le misure di messa in sicurezza della porzione di acquifero interessato dal sistema di estrazione/reimmissione.

Le acque reimmesse devono essere state sottoposte ad un trattamento finalizzato alla bonifica dell'acquifero e non devono contenere altre acque di scarico o altre sostanze pericolose diverse, per qualità e quantità, da quelle presenti nelle acque prelevate.

Le acque emunte possono essere reimmesse, anche mediante reiterati cicli di emungimento e reimmissione, nel medesimo acquifero ai soli fini della bonifica dello stesso, previo trattamento in idoneo impianto che ne riduca in modo effettivo la contaminazione, e non devono contenere altre acque di scarico né altre sostanze.

 

6. In ogni caso le attività di cui ai commi 2, 3, 4, e 5 devono garantire un’effettiva riduzione dei carichi inquinanti immessi nell’ambiente; a tal fine i valori limite di emissione degli scarichi degli impianti di trattamento delle acque di falda contaminate emunte sono determinati in massa.

 

Comma 2 (terre e rocce da scavo)

Il comma 2 reca una disciplina in deroga all’utilizzazione delle terre e rocce da scavo disposta dal regolamento di cui al D.M. 161/2012.

In particolare, la disposizione novella l’art. 184-bis del D.Lgs. 152/2006 (Codice dell’ambiente) prevedendo l’aggiunta di un comma 2-bis che limita l’applicazione del D.M. 161/2012 alle sole terre e rocce da scavo che provengono da attività o opere soggette a VIA (valutazione d’impatto ambientale) o ad AIA (autorizzazione integrata ambientale).

Viene altresì disposto che il D.M. 161/2012 non si applica comunque alle ipotesi disciplinate dall’art. 109 del Codice.

 

Relativamente alle ipotesi disciplinate dall’art. 109 del Codice, per le quali viene stabilita la non applicazione, in ogni caso, del D.M. 161/2012, si ricorda che tali ipotesi riguardano i seguenti materiali (ai sensi dei commi 1 e 5 del citato art. 109):

§         materiali di escavo di fondali marini o salmastri o di terreni litoranei emersi;

§         inerti, materiali geologici inorganici e manufatti;

§         materiale organico e inorganico di origine marina o salmastra, prodotto durante l'attività di pesca effettuata in mare o laguna o stagni salmastri;

§         fondali marini movimentati durante l'attività di posa in mare di cavi e condotte.

 

Si ricorda che l’art. 49 del D.L. 1/2012 ha demandato ad apposito decreto la regolamentazione per l’utilizzo delle terre e rocce da scavo come sottoprodotti. Lo stesso articolo ha previsto l’abrogazione della disciplina delle terre e rocce da scavo dettata dall’articolo 186 del decreto legislativo n. 152/2006 (cd. Codice ambientale) a decorrere dall’entrata in vigore del nuovo regolamento. In attuazione di tale norma è stato emanato il D.M. 161/2012 che ha dettato le condizioni alle quali le terre e rocce da scavo sono considerate sottoprodotti (e pertanto escluse dall’applicazione della normativa sui rifiuti) ai sensi dell'articolo 184-bis del D.Lgs. 152/2006, e stabilito l’abrogazione dell'art. 186.

 

Si fa notare che il comma in esame reca una disposizione pressoché identica a quella recata dal comma 1 dell’art. 8-bis del D.L. 43/2013 con il quale andrebbe coordinato.

Si fa notare, in proposito, che il citato comma 1 dell’art. 8-bis presenta una formulazione non chiara che potrebbe farlo ritenere applicabile alle sole opere disciplinate dal D.L. 43. Nel citato comma 1 viene infatti premesso che il limite all’applicabilità del D.M. 161/2012 viene introdotto “al fine di rendere più celere e più agevole la realizzazione degli interventi urgenti previsti dal presente decreto”.

Sul comma in esame occorre comunque sollevare la medesima osservazione operata riguardo al citato comma 1, cioè che non appare chiaro quale possa essere la disciplina applicabile nel caso di terre e rocce da scavo in cantieri oltre i 6.000 metri cubi relativi ad opere non soggette ad AIA o VIA.

Si ricorda che al di sotto dei 6.000 metri cubi, ai sensi del comma 2 dell’art. 8-bis, del D.L. 43/2013, si applica la disciplina prevista dall’art. 186 del D.Lgs. 152/2006.

 

Relativamente all’applicazione del D.M. 161/2012 si segnala, infine, che tale decreto non si applica, per quanto disposto dall’art. 17-bis del D.L. 74/2012, nelle zone di Emilia, Lombardia e Veneto colpite dagli eventi sismici del maggio 2012.

 

Comma 3 (matrici materiali di riporto)

Il comma 3 novella le disposizioni in materia di matrici materiali di riporto introdotte dall’art. 3 del D.L. 2/2012 utilizzati per vari scopi, tra i quali la realizzazione di riempimenti e livellamenti del terreno.

Come si evince dal testo a fronte di seguito riportato, si ravvisa innanzitutto una modifica nella definizione delle citate matrici materiali di riporto.

Si rileva altresì che mentre il testo previgente rinviava al decreto attuativo dell’art. 49 del D.L. 1/2012 (vale a dire al D.M. 161/2012), il nuovo testo non fa più riferimento a tale rinvio. Si tratta di una modifica di carattere sostanziale come risulta più chiaramente dalla descrizione di seguito riportata.

Si fa altresì notare che la definizione recata dal D.M. 161/2012 è piuttosto dettagliata rispetto alla definizione recata dalla norma in commento.

Si segnala che la disposizione, inoltre, non chiarisce l’applicabilità della definizione recata dal D.M. 161/2012 e della relativa disciplina, chiarimento che apparirebbe opportuno anche alla luce delle diverse ipotesi di applicabilità del medesimo D.M.

Relativamente alla definizione recata dal D.M. 161/2012, si ricorda che l’art. 1, comma 1, lett. c), di tale decreto definisce riporto un “orizzonte stratigrafico costituito da una miscela eterogenea di materiali di origine antropica e suolo/sottosuolo come definito nell'allegato 9”.

Il successivo allegato 9 stabilisce che i riporti citati “si configurano come orizzonti stratigrafici costituiti da materiali di origine antropica, ossia derivanti da attività quali attività di scavo, di demolizione edilizia, ecc, che si possono presentare variamente frammisti al suolo e al sottosuolo. In particolare, i riporti sono per lo più una miscela eterogenea di terreno naturale e di materiali di origine antropica, anche di derivazione edilizio-urbanistica pregressa che, utilizzati nel corso dei secoli per successivi riempimenti e livellamenti del terreno, si sono stratificati e sedimentati nel suolo fino a profondità variabili e che, compattandosi con il terreno naturale, si sono assestati determinando un nuovo orizzonte stratigrafico. I materiali da riporto sono stati impiegati per attività quali rimodellamento morfologico, recupero ambientale, formazione di rilevati e sottofondi stradali, realizzazione di massicciate ferroviarie e aeroportuali, riempimenti e colmate, nonché formazione di terrapieni. Ai fini del presente regolamento, i materiali di origine antropica che si possono riscontrare nei riporti, qualora frammisti al terreno naturale nella quantità massima del 20%, sono indicativamente identificabili con le seguenti tipologie di materiali: materiali litoidi, pietrisco tolto d'opera, calcestruzzi, laterizi, prodotti ceramici, intonaci”.

L’intervento sulla definizione dei materiali di riporto si articola sostanzialmente in due profili di innovazione consistenti in particolare:

§      nell’esplicitazione, nella definizione, del riferimento ai materiali di origine antropica in cui si intendono compresi “residui e scarti di produzione e di consumo”;

§      nell’introduzione del test di cessione volto a verificare l’eventuale contaminazione.

Si osserva, peraltro, che la possibile presenza di rifiuti nel terreno ha creato recentemente una serie di contenziosi vertenti sulla possibilità di escludere i riporti, ai sensi dell’art. 185, dalla disciplina sui rifiuti.

Si cita in proposito la recente sentenza della Cassazione penale 19 aprile 2013, n. 18265 che ha escluso che il materiale terroso misto a rifiuti di vario genere possa essere qualificato come "suolo" ai sensi dell'art. 185 del D.Lgs. 152/2006.

 

Relativamente all’utilizzo dei materiali di riporto, il nuovo testo dell’art. 3 prevede un netto cambiamento.

Il testo previgente disponeva infatti l’applicazione ai riporti del D.M. 161/2012 e, nelle more della sua adozione, prevedeva che tali riporti venissero considerati sottoprodotti solo al ricorrere delle condizioni di cui all'art. 184-bis del D.Lgs. 152/2006 (origine delle sostanze o degli oggetti da un processo di produzione, di cui costituiscono parte integrante; utilizzo della sostanza o dell’oggetto, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi; utilizzo della sostanza o dell’oggetto direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale; legalità dell’ulteriore utilizzo).

Il nuovo testo previsto dal comma in esame prevede invece, ai fini dell’applicazione dell’art. 185, comma 1, lettere b) e c), del D.Lgs. 152/2006, la sottoposizione delle matrici materiali di riporto a test di cessione effettuato sui materiali granulari ai sensi dell’art. 9 del D.M. ambiente 5 febbraio 1998[109], ai fini delle metodiche da utilizzare per escludere rischi di contaminazione delle acque sotterranee.

Si ricorda che ai sensi delle citate lettere b) e c) sono esclusi dalla disciplina dei rifiuti:

b) il terreno (in situ), inclusi il suolo contaminato non scavato e gli edifici collegati permanentemente al terreno, fermo restando quanto previsto dagli artt. 239 e ss. relativamente alla bonifica di siti contaminati;

c) il suolo non contaminato e altro materiale allo stato naturale escavato nel corso di attività di costruzione, ove sia certo che esso verrà riutilizzato a fini di costruzione allo stato naturale e nello stesso sito in cui è stato escavato.

Ai sensi del comma 1 dell’art. 3 del D.L. 2/2012, i citati riferimenti al «suolo» contenuti all'articolo 185, commi 1, lettere b) e c), si interpretano come riferiti anche alle matrici materiali di riporto.

Il citato articolo 9 del D.M. 5 febbraio 1998 reca una serie di norme tecniche, anche con rinvii alle opportune norme UNI, per l’effettuazione del test di cessione.

 

A seconda della conformità o meno ai limiti del citato test viene prevista una diversa disciplina, come schematizzato di seguito:

Conformità ai limiti del test

Non conformità ai limiti del test

viene richiesto comunque il rispetto di quanto previsto dalla legislazione vigente in materia di bonifica dei siti contaminati

3 alternative possibili:

§         rimozione dei riporti;

§         raggiungimento della conformità al test tramite operazioni di trattamento che rimuovono i contaminanti;

§         messa in sicurezza permanente utilizzando le migliori tecniche disponibili e a costi sostenibili che consentono di utilizzare l’area secondo la destinazione urbanistica senza rischi per la salute

Relativamente ai costi connessi alle attività (disciplinate dal nuovo testo dei commi 2 e 3) per consentire l’utilizzo dei riporti, il nuovo comma 3-bis dispone che siano posti integralmente a carico dei soggetti richiedenti le verifiche ivi previste.

 

Testo previgente dell’art. 3, commi 1-3

Nuovo testo dell’art. 3, commi 1-3

1. Ferma restando la disciplina in materia di bonifica dei suoli contaminati, i riferimenti al «suolo» contenuti all'articolo 185, commi 1, lettere b) e c), e 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, si interpretano come riferiti anche alle matrici materiali di riporto di cui all'allegato 2 alla parte IV del medesimo decreto legislativo.

1. Ferma restando la disciplina in materia di bonifica dei suoli contaminati, i riferimenti al «suolo» contenuti all'articolo 185, commi 1, lettere b) e c), e 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, si interpretano come riferiti anche alle matrici materiali di riporto di cui all'allegato 2 alla parte IV del medesimo decreto legislativo

2. Ai fini dell'applicazione del presente articolo, per matrici materiali di riporto si intendono i materiali eterogenei, come disciplinati dal decreto di cui all'articolo 49 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, utilizzati per la realizzazione di riempimenti e rilevati, non assimilabili per caratteristiche geologiche e stratigrafiche al terreno in situ, all'interno dei quali possono trovarsi materiali estranei.

costituite da una miscela eterogenea di materiale di origine antropica, quali residui e scarti di produzione e di consumo, e di terreno, che compone un orizzonte stratigrafico specifico rispetto alle caratteristiche geologiche e stratigrafiche naturali del terreno in un determinato sito e utilizzati per la realizzazione di riempimenti, di rilevati e di reinterri.

3. Fino alla data di entrata in vigore del decreto di cui al comma 2 del presente articolo, le matrici materiali di riporto, eventualmente presenti nel suolo di cui all'articolo 185, commi 1, lettere b) e c), e 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, sono considerate sottoprodotti solo se ricorrono le condizioni di cui all'articolo 184-bis del citato decreto legislativo n. 152 del 2006.

 

 

2. Ai fini deIl’applicazione dell’articolo 185, comma 1, lettere b) e c), del decreto legislativo n. 152 del 2006, le matrici materiali di riporto devono essere sottoposte a test di cessione effettuato sui materiali granulari ai sensi dell’articolo 9 del decreto del Ministro dell’ambiente 5 febbraio 1998, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale 16 aprile 1998, n. 88, ai fini delle metodiche da utilizzare per escludere rischi di contaminazione delle acque sotterranee e, ove conformi ai limiti del test di cessione, devono rispettare quanto previsto dalla legislazione vigente in materia di bonifica dei siti contaminati.

 

3. Le matrici materiali di riporto che non siano risultate conformi ai limiti del test di cessione sono fonti di contaminazione e come tali devono essere rimosse o devono essere rese conformi al test di cessione tramite operazioni di trattamento che rimuovono i contaminanti o devono essere sottoposte a messa in sicurezza permanente utilizzando le migliori tecniche disponibili e a costi sostenibili che consentono di utilizzare l’area secondo la destinazione urbanistica senza rischi per la salute.

3-bis. Gli oneri derivanti dai commi 2 e 3 sono posti integralmente a carico dei soggetti richiedenti le verifiche ivi previste.

Comma 4 (interventi di nuova costruzione per la sosta e il soggiorno di turisti)

Il comma 4 dell'articolo 41, nel contesto delle disposizioni di carattere ambientale, integra la definizione di interventi di nuova costruzione recata dall’art. 3 del T.U. edilizia (D.P.R. 380/2001), attraverso una modifica alla lettera e.5) del comma 1 del medesimo articolo.

Ai sensi della citata lettera e.5) è da considerare come intervento di nuova costruzione “l'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee”.

Il comma 4 esclude dalla casistica contemplata dalla lettera e.5) le installazioni posizionate, con temporaneo ancoraggio al suolo, all’interno di strutture ricettive all’aperto, in conformità alla normativa regionale di settore, per Ia sosta ed il soggiorno di turisti.

Per tali installazioni non è quindi necessario il permesso di costruire, purché la loro collocazione sia effettuata in conformità alle leggi regionali applicabili e al progetto già autorizzato con il rilascio del permesso di costruire per le medesime strutture ricettive.

Si tratta di una norma che, come sottolineato dalle associazioni di settore, consente di “risolvere alcune questioni interpretative, spesso causa di sequestri e di blocco dell’attività”[110].

Si ricorda, infatti, che numerose leggi regionali prevedono che per le citate installazioni non sia necessario alcun titolo abilitativo. Si citano, a titolo di esempio, l’art. 7, comma 2, della L.R. Basilicata 6/2008 e l’art. 30, comma 6, della L.R. Veneto 33/2002.

Comma 5 (Poteri del “Commissario rifiuti” nella Provincia di Roma)

Il comma 5 novella il comma 359 dell’art. 1 della L. 228/2012 (legge di stabilità 2013) al fine di chiarire i poteri attribuiti al Commissario, nominato con il D.M. Ambiente 3 gennaio 2013 per fronteggiare la situazione di grave criticità nella gestione dei rifiuti urbani nel territorio nella provincia di Roma.

In particolare il comma in esame provvede a:

§         attribuire al Commissario citato anche i poteri previsti dall’art. 2 dell’O.P.C.M. 6 settembre 2011, n. 3963;

L’art. 2 dell’ordinanza citata prevede, ai fini del superamento dell'emergenza, e nelle more della messa in esercizio, da parte dei Soggetti competenti, del sistema impiantistico previsto dal Piano regionale di smaltimento dei rifiuti, che il Commissario provveda all'individuazione, alla progettazione ed alla successiva realizzazione di uno o più siti di discarica per lo smaltimento dei rifiuti urbani prodotti dai comuni di Roma, Fiumicino, Ciampino e dallo Stato della città del Vaticano. Il comma 2 prevede che il Commissario provveda, mediante procedure di affidamento coerenti con la somma urgenza o con la specificità delle prestazioni occorrenti.

Ai sensi del comma 3, nelle more del completamento del sistema impiantistico regionale, il Commissario può adottare i provvedimenti necessari per assicurare la prosecuzione, senza soluzione di continuità, dello smaltimento dei rifiuti nell'area interessata dallo stato di emergenza.

Il comma 4 attribuisce al Commissario poteri sostituivi (previa diffida) nei casi di accertata inerzia dei Soggetti preposti alla gestione, manutenzione, od implementazione degli impianti per il trattamento e lo smaltimento dei rifiuti urbani prodotti nell'area interessata dallo stato di emergenza.

Il comma 5 prevede che, a conclusione delle attività di cui ai commi precedenti, il commissario autorizzi la messa in esercizio degli impianti destinati alla gestione dei rifiuti e provveda al loro immediato trasferimento al comune di Roma.

§         chiarire che il commissario è autorizzato a procedere con i poteri di cui agli articoli 1, comma 2, ed agli articoli 2, 3 e 4 dell'O.P.C.M. 6 settembre 2011, n. 3963[111], nel caso in cui tali poteri siano attribuiti, in tutto o in parte, con il decreto di nomina del commissario medesimo.

 

Sulla situazione della gestione dei rifiuti nel Lazio si ricorda che in data 17 giugno 2011, è stata avviata la procedura di infrazione n. 2011/4021, e che il 21 marzo 2013 l’Italia è stata deferita alla Corte di Giustizia per non conformità alla direttiva europea sulle discariche (1999/31/CE). Su tale procedura si rinvia alla sezione relativa alle procedure di contenzioso.

Al fine di porre rimedio alla procedura di infrazione il Governo ha emanato il D.P.C.M. 22 luglio 2011 con cui è stato dichiarato, fino al 31 dicembre 2012, lo stato di emergenza ambientale nel territorio della provincia di Roma in relazione all'imminente chiusura della discarica di Malagrotta ed alla conseguente necessità di realizzare un sito alternativo per lo smaltimento dei rifiuti.

In attuazione di tale decreto è stata emanata l’O.P.C.M. n. 3963 del 6 settembre 2011.

In seguito alle difficoltà nell’individuazione del citato sito alternativo che hanno portato alle dimissioni del commissario incaricato, con il D.P.C.M. 25 maggio 2012, è stato nominato il nuovo Commissario delegato per l'emergenza ambientale nel territorio della provincia di Roma nella persona del prefetto Goffredo Sottile.

Successivamente l’art. 1, comma 358, della L. 228/2012 (legge di stabilità per il 2013), in considerazione del permanere di una situazione di grave criticità nella gestione dei rifiuti urbani nel territorio della provincia di Roma, ha demandato ad apposito decreto del Ministro dell'ambiente, al fine di non determinare soluzioni di continuità nelle azioni in corso, la nomina di un commissario che provveda in via sostitutiva degli enti competenti in via ordinaria e a cui sono attribuiti (ai sensi del comma 359) parte dei poteri previsti dall’O.P.C.M. 3963/2011.

Il successivo comma 360 ha attribuito al citato commissario ulteriori compiti in ambito regionale:

a) autorizzazione alla realizzazione e gestione delle discariche per lo smaltimento dei rifiuti urbani nonché di impianti per il trattamento di rifiuto urbano indifferenziato e differenziato, nel rispetto della normativa comunitaria tecnica di settore;

b) supporto alla Regione Lazio nelle iniziative necessarie al rientro nella gestione ordinaria;

c) adozione, a fronte dell'accertata inerzia dei soggetti preposti alla gestione, manutenzione, od implementazione degli impianti per il recupero e lo smaltimento dei rifiuti urbani prodotti nei comuni di Roma capitale, Fiumicino, Ciampino e nello Stato della Città del Vaticano, previa diffida ad adempiere entro termini perentori non inferiori a giorni trenta, dei necessari provvedimenti di natura sostitutiva in danno dei soggetti inadempienti.

In attuazione del citato comma 358 è stato emanato il D.M. 3 gennaio 2013, che ha nominato lo stesso prefetto Sottile quale Commissario per fronteggiare la situazione di grave criticità nella gestione dei rifiuti urbani nel territorio nella provincia di Roma per la durata di 6 mesi. Tale decreto è stato integrato con il D.M. 25 marzo 2013 ai fini dell’adeguamento, da parte del Commissario, delle autorizzazioni impiantistiche.

Si segnala, infine, che nel sito web del Ministero dell'ambiente, è stato pubblicato un comunicato che dà notizia dell’avvenuta firma, da parte del Ministro, di un decreto che prevede “la proroga di tre mesi per la discarica di Malagrotta, sino a fine settembre; individuazione di una discarica di servizio entro il 31 luglio e più poteri al commissario per i rifiuti di Roma, Goffredo Sottile”.

Commi 6-7 (“Commissari rifiuti” nella Regione Campania)

Il comma 6 detta disposizioni volte alla nomina, con decreti del Ministro dell’ambiente, di uno o più commissari ad acta per provvedere, in via sostitutiva degli enti competenti in via ordinaria:

§         alla realizzazione e l’avvio della gestione degli impianti nella Regione Campania, già previsti e non ancora realizzati;

§         alle altre iniziative strettamente strumentali e necessarie.

 

I decreti, adottati sentiti gli enti interessati, specificano i compiti e la durata della nomina, per un periodo di 6 mesi, salvo proroga o revoca.

 

Il comma 7 pone a carico degli enti e dei soggetti inadempienti, secondo le modalità da stabilirsi con i citati decreti del Ministro dell’ambiente, gli oneri derivanti dall’attuazione del comma 6.

 

La norma precisa che la nomina dei commissaria ad acta è volta alla semplificazione e all’accelerazione nell’attuazione degli interventi di adeguamento del sistema dei rifiuti nella Regione Campania e finalizzate e all’accelerazione dell’attuazione delle azioni in corso per il superamento delle criticità della gestione del sistema stesso e, quindi, per il superamento della procedura di infrazione comunitaria n. 2007/2195. Sul deferimento dell’Italia innanzi alla Corte di giustizia europea si rinvia alla sezione relativa alle procedure di contenzioso.

Relativamente al contenuto dei commi in esame, si fa notare che la soluzione adottata è analoga a quella prevista dai commi 358-361 dell’art. 1 della L. 228/2012 per la situazione di criticità in atto nella provincia di Roma, illustrata nel commento al precedente comma 5, atteso che con il medesimo comma 358 viene nominato un commissario che provveda in via sostitutiva degli Enti competenti in via ordinaria

Si segnala che la previsione di commissari è stata già prevista dall’art. 1, comma 2, del D.L. 196/2010 con cui sono state dettate disposizioni relative al subentro delle amministrazioni territoriali della regione Campania nelle attività di gestione del ciclo integrato dei rifiuti, alla luce del cessare della situazione emergenziale avvenuto alla data del 31 dicembre 2009. Tale comma ha previsto la nomina di commissari da parte del Presidente della Regione “al fine di garantire la realizzazione urgente dei siti da destinare a discarica, nonché ad impianti di trattamento o di smaltimento dei rifiuti nella regione Campania”, nonché, ai sensi del successivo comma 2-bis, “al fine di garantire la realizzazione urgente di impianti nella regione Campania destinati al recupero, alla produzione e alla fornitura di energia mediante trattamenti termici di rifiuti”.

In attuazione di tali disposizioni, con il Decreto del Presidente della Giunta Regionale della Campania n. 207 del 25 luglio 2012, il viceprefetto Raffaele Ruberto è stato nominato, per la durata di 24 mesi, decorrenti dal 30 luglio 2012, Commissario Straordinario, ai sensi dell’art. 1, comma 2, del D.L. 196/2010, in sostituzione del prefetto Vardè (nominato con i precedenti decreti presidenziali n. 64/2011 e 159/2011) “per l’assolvimento dei compiti nello stesso previsti e con i poteri ivi conferiti, ai fini della prosecuzione dell’espletamento delle procedure finalizzate alla individuazione dei siti e alla realizzazione di impianti di discarica nei territori delle province di Napoli e di Salerno”.

La durata dei commissari straordinari è stata prorogata da 24 a 36 mesi dall’art. 3, comma 3, del D.L. 43/2013 (convertito dalla legge 24 giugno 2013, n. 71).

 

Procedure di contenzioso

Con riferimento al comma 5, che riguarda l’accelerazione di alcune procedure di competenza del Commissario nominato per l’emergenza rifiuti nel Lazio, si ricorda che è in corso la procedura di infrazione n. 2011/4021, in relazione alla quale il 31 maggio 2012 la Commissione europea ha inviato all’Italia un parere motivato in relazione alla non conformità alla normativa europea sulle discariche di rifiuti (direttiva 1999/31/CE in combinato disposto con la direttiva quadro sui rifiuti 2008/98/CE)) della discarica di Malagrotta e di altre discariche laziali.

La Commissione contesta la mancata istituzione nella Regione Lazio di una rete integrata e adeguata di impianti di smaltimento dei rifiuti e di impianti per il recupero dei rifiuti urbani non differenziati che tengano conto delle migliori tecniche disponibili (art. 16, paragrafo 1 direttiva 2008/98/CE).

In particolare, secondo la Commissione, la discarica di Malagrotta e i subATO di Rieti e di Latina evidenziano un deficit nella capacità di assolvere all’obbligo di pretrattamento meccanico biologico previsto dall’art. 6, lettera a) della direttiva 1999/31/CE, che dispone per i rifiuti urbani conferiti in discarica un trattamento che comprenda un’adeguata selezione delle diverse frazioni dei rifiuti e la necessaria stabilizzazione della frazione organica in essi contenuta. Infine, la Commissione rileva la mancata attuazione delle misure idonee ad evitare i disagi causati dai rifiuti maleodoranti (art. 13 direttiva 2008/98/CE).

In relazione a tale procedimento di infrazione, il 21 marzo 2013 la Commissione europea ha deciso il deferimento dell’Italia alla Corte di giustizia.

In particolare, La Commissione ritiene che i rifiuti stoccati presso le discariche del Lazio non subiscano il trattamento prescritto dalla normativa europea, non essendo sufficiente la frantumazione e lo sminuzzamento prima dell’interramento, come invece affermato dalle autorità italiane. Infatti, in base alla direttiva 1999/31/CE e alla direttiva quadro sui rifiuti (2008/98/CE), per prevenire o ridurre gli effetti negativi sull’ambiente e qualunque rischio che ne derivi per la salute umana, il trattamento deve comprendere anche una corretta selezione dei diversi flussi di rifiuti.

 

Con riferimento ai commi 6 e 7, che recano disposizioni per accelerare le procedure per la realizzazione e l’avvio della gestione degli impianti di rifiuti in Campania, si segnala che la relazione illustrativa al disegno di legge precisa che la norma è diretta ad evitare la condanna dell’Italia nella procedura di infrazione n. 2007/2195.

Con riferimento a tale procedura, la Commissione europea, in data 20 giugno 2013, ha deciso di deferire l’Italia innanzi alla Corte di giustizia dell’Unione europea ai sensi dell’art. 260 del TFUE. Con tale decisione, la Commissione propone alla Corte di comminare all’Italia una sanzione pecuniaria nella forma di a) una somma forfettaria, calcolata sulla base di 28.090 euro per ogni giorno trascorso tra la data della prima sentenza ex art. 258 TFUE (4 marzo 2010) e la data della seconda sentenza della Corte, a seguito del deferimento in esame; b) una penalità di mora giornaliera, pari a 256.819 euro, dal giorno in cui la Corte pronuncerà la seconda sentenza fino al completo adempimento di quest’ultima.

Si ricorda che, il 4 marzo 2010 la Corte di giustizia ha emesso una sentenza (causa C-297/08) con la quale ha giudicato l’Italia inadempiente agli obblighi incombenti in forza della direttiva 2006/12/CE (direttiva “rifiuti”). In particolare, la Corte contesta all’Italia di non avere adottato tutte le misure necessarie allo smaltimento dei rifiuti nella regione Campania ovvero di non aver creato una rete integrata ed adeguata di impianti di smaltimento idonei a consentire l’autosufficienza in materia di smaltimento di rifiuti e che tale situazione avrebbe determinato un pericolo per la salute dell’uomo e per l’ambiente.

Successivamente, con una lettera di messa in mora del 29 settembre 2011, la Commissione europea ha invitato l’Italia a conformarsi alla sentenza. L’Italia ha adottato un nuovo piano di gestione dei rifiuti per la Campania nel gennaio 2012 e a giugno ha presentato un programma di misure destinate a gestire i rifiuti nella regione fino al 2016, quando dovrebbero diventare operativi nuovi impianti di trattamento.

Si ricorda che in seguito alla procedura di infrazione avviata a carico dell’Italia nel 2007 la Commissione europea ha deciso di sospendere il pagamento di 135 milioni di contributi Ue che dal 2007 al 2013 avrebbero dovuto finanziare i progetti relativi ai rifiuti, e di altri 10,5 milioni del periodo 2000-2006 che sono stati aboliti.

Pur riconoscendo i progressi fatti, ad esempio sotto il profilo della raccolta differenziata, i punti problematici che hanno condotto la Commissione alla decisione di deferire alla Corte l’Italia, sono i ritardi che hanno portato all'arresto della costruzione della maggior parte degli impianti previsti per il recupero dei rifiuti organici, degli inceneritori e delle discariche (che mettono a rischio il completamento delle opere entro il 2016), la sorte incerta di sei milioni di tonnellate di rifiuti imballati e stoccati presso vari siti in Campania e il basso tasso di raccolta differenziata nella provincia di Napoli (pur essendo la città della Campania che produce più rifiuti, Napoli ha un tasso di raccolta differenziata solo di circa il 20%).

Si ricorda che, il 19 aprile 2013, il Tribunale (cause riunite T-99/09 e T-308/09) ha confermato la decisione della Commissione europea di considerare inammissibili le domande di pagamenti intermedi delle autorità italiane per ottenere il rimborso a carico dei Fondi strutturali (FERS) delle spese effettuate in relazione alla misura 1.7 del programma operativo (POR) “Campania”, concernente operazioni relative al sistema regionale di gestione e di smaltimento dei rifiuti. La decisione della Commissione era motivata proprio dall’esistenza della procedura di infrazione n. 2007/2195, relativa alla gestione dei rifiuti in Campania.

 

Profili finanziari

Il prospetto riepilogativo non considera le norme.

 

La relazione tecnica afferma che le norme rivestono carattere ordinamentale e pertanto non comportano effetti sui saldi di finanza pubblica.

 

In merito ai profili di quantificazione, si rileva che le norme in esame appaiono di carattere prevalentemente ordinamentale, come affermato nella relazione tecnica. In riferimento ai commi 1, 2 e 3 si segnala tuttavia l’opportunità di acquisire dati ed elementi volti ad escludere interventi normativi non conformi alla legislazione comunitaria o eventuali oneri per interventi di risanamento o di bonifica connessi all’utilizzo dei materiali interessati.

Con riferimento ai commi 6 e 7, appare opportuno che siano meglio precisati i soggetti sui quali graveranno gli oneri connessi alla nomina dei commissari ad acta, che la norma pone a carico “degli enti e dei soggetti inadempienti”. In particolare, nella misura in cui i predetti oneri graveranno sui bilanci delle amministrazioni locali, andrebbe chiarito se si possano determinare riflessi negativi in termini di rispetto dei vincoli previsti dal patto di stabilità interno.

 


 

Articolo 42
(Soppressione di certificazioni sanitarie)

La norma provvede a semplificare alcune procedure relative alle certificazioni e alle autorizzazioni sanitarie ritenute desuete alla luce dell’efficacia delle prestazioni.

L’articolo 42 riprende in gran parte il disegno di legge Disposizioni per la semplificazione degli adempimenti amministrativi connessi alla tutela della salute (A.S. 1249) d’iniziativa governativa, presentato nel corso della XV Legislatura, i cui contenuti costituivano il risultato delle valutazioni di un gruppo di lavoro istituito presso il Ministero della salute, con il compito di procedere ad una ricognizione della normativa in materia, per individuare le pratiche sanitarie di certificazione o di autorizzazione prive di valenza sanitaria.

 

In particolare, per quanto riguarda il comma 1, fermi restando gli obblighi di certificazione per i lavoratori soggetti a sorveglianza sanitaria, previsti dal D.Lgs. 81/2008 in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, vengono abrogate alcune disposizioni concernenti l’obbligo di taluni certificati attestanti l’idoneità psico-fisica al lavoro.

 

Le disposizioni abrogate si riferiscono ai seguenti certificati:

a)   certificato di sana e robusta costituzione, di cui:

1) all’articolo 2 del Regolamento sugli alunni, gli esami e le tasse negli istituti medi di istruzione di cui al R.D. 653/1925;

Si ricorda che l’art. 2, secondo comma, del Regolamento sopra richiamato prevede la presentazione di un certificato medico, dal quale risultino, ai fini dell’inscrizione al corso superiore dell’istituto magistrale, la sana e robusta costituzione fisica “e l’assenza di imperfezioni tali da diminuire il prestigio di un insegnante o da impedirgli il pieno adempimento dei suoi doveri”.

2) all’articolo 17, secondo comma, del Regolamento riguardante le scuole-convitto professionali per infermiere e le scuole specializzate di medicina, pubblica igiene ed assistenza sociale per assistenti sanitarie visitatrici, di cui al R.D. 2330/1929;

Il secondo comma del richiamato art. 17 che disciplina l’ammissione alla scuola-convitto professionale per infermiere, elenca, tra i diversi certificati da allegare a tale domanda, “il certificato medico di sana e robusta costituzione fisica o di perfetto stato mentale, debitamente legalizzato”.

3) all’articolo 3, secondo comma, lettera f), del Regolamento per la carriera e la disciplina del personale della Corte dei conti di cui al R.D. 1364/1933.;

4) all’articolo 8, comma 2, del D.P.R. 402/2000 recante il Regolamento concernente modalità per il conseguimento della idoneità alle funzioni di ufficiale esattoriale;

 

b)   limitatamente alle lavorazioni non a rischio, certificato di idoneità per l’assunzione, di cui all’articolo 9 del D.P.R. 1668/1956 recante il Regolamento per l'esecuzione della disciplina legislativa sull'apprendistato, e all’articolo 8 della legge 977/1967 sulla Tutela del lavoro dei fanciulli e degli adolescenti;

 

c)   certificato medico comprovante la sana costituzione fisica per i farmacisti, di cui:

1) all’articolo 4, primo comma, lettera e), del Regolamento per il servizio farmaceutico di cui al R.D. 1706/1938;

2) all’articolo 31, quinto comma, del Regolamento per il servizio farmaceutico di cui al R.D. 1706/1938;

3) all’articolo 5, secondo comma, numero 3), del D.P.R. 1275/1971 recante norme concernenti il servizio farmaceutico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 21 agosto 1971, n. 1275;

 

d)   certificato di idoneità fisica per l’assunzione nel pubblico impiego, di cui:

1) all’articolo 2, primo comma, numero 4) del D.P.R. 3/1957, Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato;

2) all’articolo 11, secondo comma, lettera c) del D.P.R. 686/1957, Norme di esecuzione del testo unico delle disposizioni sullo statuto degli impiegati civili dello Stato;

3) all’articolo 2, comma 1, numero 3) del D.P.R. 487/1994 recante Norme sull'accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le modalità di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di assunzione nei pubblici impieghi;

4) all’articolo 1, comma 1, lettera b) del D.P.R. 483/1997, Regolamento recante la disciplina concorsuale per il personale dirigenziale del Servizio sanitario nazionale;

5) all’articolo 2, comma 1, lettera b) del D.P.R. 220/2001, Regolamento recante disciplina concorsuale del personale non dirigenziale del Servizio sanitario nazionale;

 

e)   certificato di idoneità psico-fisica all’attività di maestro di sci, di cui all’articolo 4, comma 1, lettera c) della legge 81/1991, Legge-quadro per la professione di maestro di sci e ulteriori disposizioni in materia di ordinamento della professione di guida alpina.

 

Il comma 2 dell’articolo in esame apporta le seguenti modifiche all’articolo 12 del D.P.R. 1275/1971 recante norme concernenti il servizio farmaceutico:

La lettera a) sopprime, al primo comma dell’articolo 12, l’obbligo, per il titolare, di esibire tanti certificati medici quanti sono i dipendenti dell’esercizio farmaceutico. Resta, per il titolare, l’obbligo di comunicare al medico provinciale il nome e cognome, la data di assunzione e di cessazione degli addetti all'esercizio;

La lettera b), considerando che il titolare di un esercizio farmaceutico non deve più esibire la certificazione medica degli addetti l’esercizio, sostituisce le parole: “Le suddette comunicazioni devono essere trascritte” con le seguenti: “La suddetta comunicazione deve essere trascritta”.

Al proposito si rileva che, sebbene le certificazioni mediche non siano più richieste, rimane l’obbligo del titolare dell’esercizio farmaceutico di comunicare al medico provinciale l’assunzione/cessazione dal lavoro degli addetti l’esercizio. Presumibilmente entrambe le comunicazioni devono essere trascritte in apposito registro.

 

Il comma 3 prevede, che, per i lavoratori che rientrano nell’ambito della disciplina di cui al D. Lgs. 81/2008 in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, non trovano applicazione, in virtù delle disposizioni contenute nello stesso provvedimento, le disposizioni concernenti l’obbligo della certificazione attestante l’idoneità psico-fisica relativa all’esecuzione di operazioni relative all’impiego di gas tossici, di cui all’articolo 27, primo comma, numero 4, del regolamento di cui al R.D. 147/1927.

 

Il comma 4 abroga le disposizioni relative all’obbligatorietà del certificato per la vendita dei generi di monopolio, di cui all’articolo 6, primo comma, numero 5), della legge 1293/1957 sull’Organizzazione dei servizi di distribuzione e vendita dei generi di monopolio. Pertanto vengono eliminate dalle cause di esclusione dalla gestione dei magazzini di vendita, la presenza di malattie infettive o contagiose.

 

Il comma 5 sopprime, all’articolo 3, comma 1, del D.Lgs. 77/2002 recante Disciplina del Servizio civile nazionale, le parole “muniti di idoneità fisica”. Pertanto non è più richiesta alcuna certificazione relativa all’idoneità fisica per essere ammesso a svolgere il Servizio civile.

 

Il comma 6 abroga la lettera e) dell’articolo 5, comma 1, della legge 374/1991 che istituisce il giudice di pace, e la lettera e) dell’articolo 2, comma 1, della legge 276/1997 in materia di giudici onorari aggregati. Pertanto non è più richiesto il requisito dell’idoneità fisica e psichica per entrambe le nomine.

 

Infine, il comma 7 abroga la legge 1239/1939, Istituzione di una tessera sanitaria per le persone addette ai lavori domestici.

 


 

Articolo 43
(Disposizioni in materia di trapianti)

L’articolo 43 intende ottimizzare la circolazione di informazioni in materia di dichiarazioni di volontà per la donazione di organi e tessuti. A tal fine, i Comuni vengono incaricati di trasmettere al Sistema Informativo Trapianti (SIT) i dati, nel caso questi siano stati inseriti nelle carte di identità, relativi al consenso o diniego alla donazione.

L’intervento legislativo è attuato modificando l’articolo 3 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, dedicato alla carta di identità, che già prevede la possibilità di indicare il consenso o il diniego del titolare del documento alla donazione, in caso di morte, dei propri organi e tessuti.

 

L’articolo 3, comma 8-bis, del D.L. 194/2009, ha introdotto nel corpo dell’articolo 3 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (R.D. 773/1931), la possibilità di indicare sulla carta di identità il consenso o il diniego del titolare del documento alla donazione dei propri organi e tessuti in caso di morte. Tale norma, che estende di fatto la titolarità per la raccolta e la conservazione di tale informazioni alle anagrafi comunali, a fronte del rilascio/rinnovo della Carta d’identità richiesta dai cittadini residenti, è stata testata da un progetto-pilota "La Donazione degli Organi come Tratto Identitario", affidato alla Regione Umbria dai Ministeri della Salute e degli Interni, alla cui attuazione ha collaborato Federsanità Anci. Per offrire un modello organizzativo e gestionale dell'espressione della dichiarazione di volontà sono state realizzate delle Linee guida. Nel giugno 2013, la Regione Toscana ha siglato il progetto “Una scelta in comune”, frutto di un accordo di collaborazione tra Regione, Anci-Federsanità, AIDO e Centro nazionale trapianti. Anche in questo caso, se il cittadino intende dichiarare, compilerà un apposito modulo e i suoi dati verranno inseriti nel SIT. Sarà possibile recedere in qualsiasi momento dalla scelta, comunicandolo alla propria Asl.

 

Nel dettaglio, il comma 1 della norma in esame aggiunge al secondo comma dell’articolo 3 del R.D. 773/1931 la previsione che i Comuni trasmettano al SIT i dati relativi al consenso o al diniego alla donazione.

Sembrerebbe più opportuno aggiungere la disposizione in esame al comma 3 dell’articolo 3 del R.D. 773/1931, dedicato all’inserimento sulla carta di identità dei dati relativi al consenso o al diniego alla donazione.

 

Il Sistema Informativo dei Trapianti (SIT) è stato istituito nell'ambito del Sistema Informativo Sanitario dall’articolo 7 della L. 91/1999, che ha tra i suoi obiettivi anche l’informatizzazione delle attività della rete nazionale dei trapianti per garantire la tracciabilità e la trasparenza dell' intero processo di "donazione-prelievo-trapianto".Il SIT svolge le seguenti attività: Registra e raccoglie le dichiarazioni di volontà di donazione di organi e tessuti da parte dei cittadini; Raccoglie dai gestori di lista regionali le liste di attesa standard dei pazienti in attesa di trapianto; Gestisce a livello nazionale il Programma Nazionale Pediatrico e la lista delle urgenze; Registra il flusso dei dati sull' attività di donazione e prelievo di organi e tessuti, l’attività di trapianto di organi e la distribuzione di tessuti alle banche certificate; Gestisce il registro del trapianto da vivente; Raccoglie i follow-up dei pazienti trapiantati, anche in maniera specifica rispetto ai diversi protocolli previsti dalle normative sulla sicurezza.

 

Il comma 2 dell’articolo in esame reca la clausola di invarianza finanziaria.

 

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

Si ricorda che, in materia di consenso o diniego alla donazione di organi, il Consiglio dell’Unione europea ha adottato, in data 7 dicembre 2012, conclusioni (2012/C 396/03) sulla comunicazione della Commissione europea recante il Piano di azione per la donazione e il trapianto di organi (2009-2015): rafforzare la cooperazione tra gli Stati membri (COM(2008)819).

In particolare, dopo avere ricordato l’importanza di incoraggiare le persone a impegnarsi a diventare donatori di organi dopo il decesso, ha ribadito la necessità per ciascuno Stato membro di definire e organizzare con chiarezza i sistemi di consenso del donatore, proteggendoli anche da potenziali rischi, svantaggi fisici e finanziari, correlati al processo di donazione. Inoltre, ha invitato gli Stati membri, tra l’altro, a condividere le informazioni relative ai loro sistemi nazionali di consenso del donatore e a creare registri o registrazioni per il controllo successivo alla donazione, in linea con il disposto della direttiva 2010/53/UE, anche con la finalità di proteggere i donatori viventi.

Profili finanziari

Il prospetto riepilogativo non considera la norma.

 

La relazione tecnica afferma che la proposta normativa in esame riveste carattere di urgenza in quanto finalizzata a superare le difficoltà attuative connesse alla lacuna normativa dell'attuale articolo 3 del regio decreto n. 773 del 1931, come integrato dall'articolo 3, comma 8-bis, del DL 194/2009, che non ha previsto le modalità di trasferimento dei relativi dati (consenso o diniego a donare gli organi) dai comuni al Sistema informativo dei trapianti.

Tale previsione deve anche consentire al sistema trapianti (h 24) la verifica della volontà o meno della persona a donare gli organi (h 24) ove ricorrano, per esempio, casi di decessi improvvisi. Da ciò scaturisce la necessità che le dichiarazioni non siano apposte unicamente sulla carta di identità, ma siano contestualmente registrate e gestite attraverso il SIT, che può essere consultato dal Centro di coordinamento dei trapianti.

In base ai dati attualmente presenti nel SIT, i cittadini che hanno manifestato la propria volontà alla donazione di organi sono circa 1.330.000, di cui circa 115.000 mediante registrazione presso le ASL e circa 1.200.000 mediante iscrizione all'Associazione italiana donazioni di organi. Risultano inoltre 9.046 persone in lista di attesa.

La RT conferma infine che l’attuazione delle disposizioni in esame è assicurata con le risorse umane, strumentali e finanziarie già a disposizione a legislazione vigente.

 

In merito ai profili di quantificazione, si rileva che la norma si limita a richiedere ai comuni la trasmissione al Sistema informativo trapianti dei dati circa la volontà espressa dai cittadini al momento dell’emissione della carta d’identità.

Al fine di suffragare la neutralità finanziaria della disposizione, appare tuttavia opportuno un chiarimento da parte del Governo in ordine ai costi connessi alla raccolta di tali informazioni di carattere sensibile e circa l’adeguatezza delle risorse a disposizione degli enti locali per fare fronte a tali compiti.

 

In merito ai profili di copertura finanziaria, andrebbe valutata l’opportunità di riformulare la clausola di neutralità finanziaria di cui al comma 2 in coerenza con quanto previsto dalla relazione tecnica che riferisce la citata neutralità non solo alle risorse umane e strumentali, ma anche a quelle finanziarie. Sul punto appare opportuno acquisire l’avviso del Governo.


 

Articolo 44
(Riconoscimento del servizio prestato presso le pubbliche amministrazioni di altri Stati membri e semplificazioni per la certificazione di qualità delle materie prime utilizzate per la produzione di medicinali)

L'articolo 44, commi 1 e 2, riconosce ai dipendenti dell'area della dirigenza medica, veterinaria e sanitaria, operanti presso strutture sanitarie pubbliche, il servizio prestato presso strutture sanitarie pubbliche di un altro paese UE.

 

I commi 1 e 2 dell’articolo in esame sono identici all’articolo 2 dell’A.S. 588, Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea - Legge europea 2013, ora all’esame, in sede referente, della 14ª Commissione permanente (Politiche dell'Unione europea) del Senato.

 

Nel dettaglio, l’articolo 44, comma 1, modifica l’articolo 5 del D.L. 59/2008, che obbliga le amministrazioni pubbliche italiane a valutare, ai fini giuridici ed economici, l'esperienza professionale e l'anzianità acquisite da cittadini comunitari nel territorio di altri Stati dell’Unione europea, anche in periodi antecedenti all’adesione del medesimo al’Unione europea, secondo condizioni di parità rispetto a quelle acquisite nell'ambito dell'ordinamento italiano.

 

La modifica apportata dall’articolo in esame, fa seguito alla procedura di infrazione 2009/4686. La Commissione europea, nel parere motivato inviato il 26 aprile 2012, rileva che la disciplina contrattuale interna relativa alla dirigenza medica e veterinaria viola l'articolo 45 del Trattato sul funzionamento dell'UE e il regolamento CEE 1612/1968, relativi al principio della libera circolazione dei lavoratori all'interno dell'Unione, in quanto non prevede che i periodi di attività trascorsi dai medici alle dipendenze di un altro Stato membro dell'UE, prima di essere assegnati all'amministrazione sanitaria italiana, siano valutati, in Italia, ai fini del calcolo degli anni di esperienza professionale e di anzianità.

 

Pertanto viene previsto che, per le aree della dirigenza medica, veterinaria e sanitaria, che presta servizio presso le strutture sanitarie pubbliche, qualora l'ordinamento italiano richieda ai fini del riconoscimento di vantaggi economici o professionali, che l’esperienza professionale e l’anzianità siano maturate senza soluzione di continuità, la medesima condizione non si applica se la soluzione di continuità dipende dal passaggio dell’interessato da una struttura sanitaria pubblica (di cui alla legge 735/1960) di uno Stato membro a quella di un altro Stato membro.

 

La legge 735/1960 riconosce il servizio sanitario prestato all'estero da sanitari italiani presso Enti pubblici sanitari o presso Istituti che svolgono attività sanitaria nell'interesse pubblico ai fini dell'ammissione ai concorsi ai posti di sanitario presso Enti locali banditi nella Repubblica e come titolo valutabile nei concorsi medesimi, analogamente a quanto previsto delle vigenti disposizioni per i servizi sanitari prestati nel territorio nazionale.

 

La soppressione della condizione della continuità ha effetti retroattivi.

 

Il comma 2 dell’articolo 44 provvede ai fini della copertura degli oneri finanziari mediante le risorse del fondo di rotazione per l'attuazione delle politiche comunitarie, di cui all’articolo 5 della legge 183/1987, versate all’entrata del bilancio delle Stato per essere riassegnate al Fondo sanitario nazionale. Le somme sono erogate alle regioni sulla base di apposito riparto, da effettuarsi con decreto del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le regioni e le province autonome.

 

I successivi commi 3 e 4 dell’articolo 44 sospendono, fino alla data di entrata in vigore del decreto legislativo di recepimento della Direttiva 2011/62/UE, l’applicazione della disciplina relativa alla certificazione di conformità alle norme di buona fabbricazione di cui al comma 3, primo periodo, dell’articolo 54 del D. Lgs. 219/2006, mantenendo, fino alla medesima data, la disciplina transitoria in materia, con riferimento alle sostanze attive impiegate come materie prime per la produzione di medicinali, di cui all’art. 54, comma 3-bis del D.Lgs. 219/2006.

 

Ai sensi del testo originario dell’art. 54, commi 3 e 3-bis, del D.Lgs. 219/2006, veniva richiesto, a decorrere dal 1° gennaio 2009 – termine prorogato in ultimo al 3 luglio 2013 dal D.L. 216/2011 -, un certificato di conformità alle norme di buona fabbricazione rilasciato (all'officina di produzione della materia prima) dall'autorità competente (di uno Stato membro dell'Unione europea) per l'impiego delle materie prime per la produzione di medicinali (anche se importate da Paesi non appartenenti all'Unione europea). Fino a tale data, si consentiva che la certificazione fosse rilasciata dalla persona qualificata responsabile della produzione del medicinale. Il differimento fino al 3 luglio 2013, operato dal D.L. 216/2011, aveva consentito di mantenere, in seno all’ordinamento italiano, la previsione dell’obbligo del certificato di conformità alle norme di buona fabbricazione, sulla base delle stesse motivazioni che ne avevano giustificato l’iniziale previsione e, sotto un altro profilo, aveva consentito di attendere il recepimento, entro il 2 gennaio 2013, della Direttiva 2011/62/UE dell’8 giugno 2011, intervenuta in materia, considerato che le disposizioni concernenti le norme di buona fabbricazione delle materie prime saranno applicate in ambito comunitario a partire dal 2 luglio 2013.

 

Si ricorda che la Direttiva 2011/62/UE è contenuta nell’Allegato B del Disegno di legge Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea - Legge di delegazione europea 2013 (A.S. 587) ora all’esame, in sede referente, della 14ª Commissione permanente (Politiche dell'Unione europea) del Senato. L’A.S. 587 determina il termine per l'esercizio della delega - il cui oggetto è l'attuazione, appunto, delle direttive individuate negli allegati - mediante rinvio all'articolo 31 della legge 234/2012. Poiché il termine di recepimento della Direttiva 2011/62/UE , fissato al 2 gennaio 2013, è già scaduto, il termine di esercizio della delega è fissato entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della medesima legge di delegazione europea (art. 1, comma 2, dell’A.S. 587).

 

In particolare, la Direttiva 2011/62/UE prevede, nel caso di fabbricazione in paesi terzi di sostanze attive destinate all'esportazione verso l'Unione europea, che l'autorità competente del Paese esportatore dovrà attestare che gli stabilimenti interessati siano sottoposti a controlli periodici severi e trasparenti, disposti anche senza preavviso, a garanzia di un livello di tutela della salute pubblica almeno pari agli standard richiesti a livello europeo. Allo scopo di rafforzare la tutela della catena distributiva legale, gli importatori, i fabbricanti e i distributori di sostanze attive dovranno essere registrati presso un'autorità competente con la qualifica di 'intermediari'. Inoltre i titolari delle autorizzazioni dovranno verificare - mediante controlli diretti - che i fabbricanti e i distributori di farmaci rispettino le buone pratiche. Come specificato in una comunicazione dell’AIFA, ai sensi della Direttiva 2011/62/UE, a partire dal 2 luglio 2013 i titolari di Autorizzazione all’Immissione in Commercio (AIC) che utilizzino materie prime farmacologicamente attive importate o derivanti da altre materie prime farmacologicamente attive importate, sono invitati a verificare che il produttore extra-EU possa soddisfare il requisito dell’obbligo di conferma scritto (written confirmation). Materie prime farmacologicamente attive potranno essere importate da paesi extra EU, in assenza di “written confirmation”, solo se provenienti da paesi considerati “equivalenti” dalla Commissione Europea. Al momento solo quattro Paesi, Israele, Svizzera, Australia e Singapore, hanno richiesto alla Commissione Europea di ottenere un giudizio di equivalenza, e la loro valutazione è in corso.

 

Nel dettaglio, il comma 3 dell’articolo in esame disapplica, fino all’entrata in vigore dei decreti legislativi di recepimento della Direttiva 2011/62/UE, la disciplina recata dall’articolo 54, comma 3, primo periodo, del D.Lgs. 219/2006. Fino alla stessa data le materie prime, come definite dal comma 2 dell’articolo 54 dello stesso D. Lgs. 219/2006, devono essere corredate di una certificazione di qualità che attesti la conformità alle norme di buona fabbricazione rilasciata dalla persona qualificata responsabile della produzione del medicinale che utilizza le materie prime. Resta ferma la possibilità per l’AIFA di effettuare ispezioni dirette a verificare la conformità delle materie prime alla certificazione resa (procedura già prevista dall’articolo 54, comma 3-bis).

Conseguentemente, il comma 4 della disposizione in esame abroga il comma 3-bis dell’articolo 54 del D.Lgs. 219/2006.

 

Il comma 2 dell’articolo 54 del D. Lgs. 219/2006 definisce come materie prime utilizzate nella produzione di medicinali anche le sostanze attive utilizzate, con riferimento sia alle fasi di produzione totale o parziale sia all'importazione di una sostanza attiva, anche utilizzata essa stessa come materia prima per la produzione o estrazione di altre sostanze attive, sia alle varie operazioni di divisione, confezionamento o presentazione che precedono l'incorporazione della materia prima nel medicinale, compresi il riconfezionamento e la rietichettatura effettuati da un distributore all'ingrosso di materie prime.

 

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

Il tema della la mobilità transfrontaliera dei lavoratori, di cui ai commi 1 e 2 dell’articolo in esame, con riferimento alle professioni mediche del SSN, è considerato centrale dalle istituzioni europee, al cui esame sono attualmente i seguenti documenti di natura legislativa:

§      la proposta di direttiva sui requisiti minimi per migliorare la mobilità dei lavoratori e la salvaguardia di diritti a pensione complementare (COM(2007)603);

§      la proposta di direttiva relativa alle misure volte ad agevolare l'esercizio dei diritti conferiti ai lavoratori nel quadro della libera circolazione dei lavoratori (COM(2013)236);

Su ambedue le proposte, si è espresso favorevolmente il Consiglio europeo del 27 e 28 giugno, come risulta dalla proposta di conclusioni del 24 giugno.

Procedure di contenzioso

Sui commi 1 e 2, in materia di libera circolazione dei lavoratori, è attualmente in corso la procedura di infrazione n. 2009/4686. In particolare, la Commissione europea ha inviato il 26 aprile 2012 un parere motivato ex art. 258 TFUE nei confronti dell’Italia in merito al riconoscimento dell’esperienza professionale acquisita nel settore sanitario di un altro Stato membro. In particolare, la Commissione rileva che la disciplina contrattuale interna relativa alla dirigenza medica e veterinaria viola l’art. 45 del Trattato sul funzionamento dell’UE e il regolamento CEE 1612/68, relativi al principio della libera circolazione dei lavoratori all’interno della UE.

La Commissione rileva come in base alla normativa italiana sui medici dipendenti pubblici i periodi di attività trascorsi dai medici alle dipendenze di un altro Stato membro dell’UE, prima di essere assegnati all’amministrazione sanitaria italiana, non vengono valutati, in Italia, ai fini del calcolo degli anni di esperienza professionale e di anzianità. Le autorità italiane sostengono che l’esperienza professionale potrebbe consolidarsi solo se riferita, negli anni, alle stesse identiche mansioni, requisito che farebbe difetto nel caso in cui parte dell’attività lavorativa fosse spesa all’estero.

Si ricorda che l’articolo 2 del disegno di legge europea (AS 588), attualmente all’esame presso il Senato è volto a sanare la procedura di infrazione in esame.

 

Sui commi 3 e 4, relativi alle procedure di immissione in commercio di medicinali ad uso umano, si segnala che l’Italia è stata messa in mora dalla Commissione europea nell’ambito della procedura di infrazione n. 2013/147, per mancato recepimento della direttiva 2011/62/UE, che modifica la direttiva 2001/83/CE, recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano, al fine di impedire l’ingresso di medicinali falsificati nella catena di fornitura legale.

 

Profili finanziari commi 1 e 2

Il prospetto riepilogativo non considera la norma.

 

La relazione tecnica afferma che lo scopo della norma è quello di eliminare la discriminazione indiretta nei confronti dei cittadini degli altri Stati membri.

La stima degli oneri economici si basa sulla quantificazione dei dirigenti medici e veterinari e dei dirigenti sanitari attualmente operanti presso le strutture sanitarie pubbliche del servizio sanitario nazionale, che abbiano in precedenza lavorato in strutture pubbliche di altri Stati dell'Unione europea e che si siano trasferiti in Italia allo scopo di espletare la propria attività professionale presso le strutture sanitarie pubbliche italiane. Infatti a legislazione vigente l'esperienza maturata in altri Stati membri non può cumularsi con quella espletata in Italia, a causa della soluzione di continuità determinatasi in ragione del trasferimento. Il testo in esame, al contrario, rende tale esperienza conteggiabile ai fini del riconoscimento di un migliore trattamento economico.

Il Ministero della Salute, al fine di quantificare l’onere, ha chiesto ai Direttori generali degli enti e delle aziende del Servizio sanitario nazionale di procedere ad un'attività ricognitiva finalizzata ad acquisire elementi in ordine alla quantificazione dei dirigenti medici e veterinari che presentino caratteristiche tali da poter beneficiare della proposta normativa in esame.

Su un totale di 220 strutture sanitarie interpellate, hanno fornito riscontro 171, di cui 90 Aziende sanitarie locali, 68 Aziende ospedaliere universitarie e 13 Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico di diritto pubblico. Le aziende che sono interessate dalla modifica normativa risultano essere pari a 66.

Dalla elaborazione dei dati pervenuti risulta che, allo stato attuale, un numero pari a circa 153 dirigenti, medici e sanitari, presenti le caratteristiche suddette e che, ove si applicasse la norma in esame, si determinerebbe un incremento presunto totale di spesa, per l'anno 2012, di euro 231.266, che rappresenta il risultato differenziale tra l'ammontare delle indennità attualmente spettanti, sulla base della legislazione vigente, ai soggetti interessati, e quella che deriverebbe dall'applicazione della norma in esame. Dalla rilevazione effettuata si è inoltre stimato un ammontare di circa euro 2.396.290, quale importo complessivo da corrispondere eventualmente a titolo di emolumenti arretrati, nel caso di conteggio dell'anzianità pregressa sulla base della norma in esame.

Utilizzando un fattore moltiplicativo pari ad 1,28, assumendo cioè che nel resto degli enti che non hanno fornito risposta sussista una situazione analoga avremo complessivamente i seguenti dati:

§      Numero di dirigenti coinvolti: 161

§      Differenziale annuale sulle indennità corrisposte: 296.021

§      Arretrati: 3.067.251.

L’onere annuale per indennità e le somme da corrispondere a titolo di arretrati sono state determinate moltiplicando l’importo risultante dalla rilevazione statistica per il coefficiente 1,28 indicato dalla relazione tecnica. La platea dei soggetti coinvolti non coincide con quella che si determina adottando lo stesso criterio (ossia moltiplicando la platea rilevata statisticamente di 153 soggetti per il valore 1,28) che è pari a 196 unità di personale.

La relazione tecnica chiarisce che la norma è stata volutamente circoscritta al solo ambito sanitario, anche per ordini di valutazione tecnica contabile, posto che, per esempio, il Fondo sanitario nazionale non può pagare altri che il personale del comparto di riferimento.

Il Fondo ex articolo 5 della legge n. 183 del 1987, è dotato della capienza necessaria a far fronte agli oneri sopra stimati. La relazione tecnica rileva che il fondo assicura capienza anche nell'ipotesi in cui i valori effettivi dovessero discostarsi da quelli stimati (peraltro in maniera prudenziale).

 

In merito ai profili di quantificazione si osserva che la quantificazione sembrerebbe basarsi, secondo il tenore letterale della relazione tecnica, su una rilevazione statistica riferibile al personale in servizio e che, pertanto, non è stata oggetto di analoga valutazione la spesa riveniente, a solo titolo di arretrati, dal riconoscimento della maggiore indennità da liquidare al personale che ricade nell’ambito applicativo della norma ma risulta ormai cessato dal servizio.

Si rileva, altresì, che la relazione tecnica afferma che la norma è stata “volutamente circoscritta al solo ambito sanitario, anche per ordini di valutazione tecnica contabile”. Tale affermazione sembra far intendere che una più ampia platea dei lavoratori potrebbe vantare il diritto a vedersi riconosciute l’esperienza e le anzianità maturate al servizio di pubbliche amministrazioni di altri Stati membri.

Non è chiaro, infine, perché le maggiori/minori spese derivanti dall’articolato in esame non siano evidenziate nel prospetto riepilogativo.

In merito a tali questioni appare necessario acquisire ulteriori elementi informativi da parte del Governo.

 

 

In merito ai profili di copertura finanziaria, si segnala che il comma 2 non reca una esplicita quantificazione dell’onere, che appare peraltro desumibile solo dalla relazione tecnica.

La relazione tecnica afferma, inoltre, che la disposizione determina l’insorgere di diritti soggettivi e non può, quindi, configurarsi in termini di limite massimo di spesa.

Alla luce di tali elementi, al fine di garantire il rispetto della vigente normativa contabile, potrebbe valutarsi l’opportunità di introdurre nel testo una esplicita autorizzazione di spesa formulata in termini di previsione e di corredarla con una esplicita clausola di salvaguardia a valere sul Fondo di rotazione per le politiche comunitarie di cui all’articolo 5 della legge n. 183 del 1987 (capitolo 7493 – Ministero dell’economia e delle finanze) già utilizzato con finalità di copertura. Infatti, come indicato nella relazione tecnica, il predetto Fondo presenta la necessaria capienza sia per la copertura degli oneri previsti, sia per la copertura degli ulteriori effetti finanziari che potrebbero determinarsi in caso di eventuale scostamento dall’onere previsto. Al riguardo, appare opportuno acquisire l’avviso del Governo.

 

Si ricorda inoltre che la norma in esame riproduce il contenuto dell’articolo 2 dell’atto Senato n. 588, recante disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea - Legge europea 2013, in corso di esame in prima lettura presso l’altro ramo del Parlamento.

 

Profili finanziari commi 3 e 4

Il prospetto riepilogativo non considera le norme.

 

La relazione tecnica afferma che i commi 3 e 4 hanno carattere ordinamentale e non determinano effetti finanziari.

 

In merito ai profili di quantificazione non si formulano osservazioni, tenuto conto delle precisazioni fornite dalla relazione illustrativa in ordine ai profili di compatibilità comunitaria.

 

 


 

Articolo 45
(Omologazioni delle macchine agricole)

L’articolo 45, attraverso una modifica del comma 2 dell’articolo 107 del codice della strada (decreto legislativo n. 285/1992), prevede che, per le macchine agricole, l’accertamento dei dati di identificazione, della potenza del motore e della conformità alle prescrizioni tecniche previste dalla legge possa avvenire non solo da parte del Dipartimento per i trasporti terrestri del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, come attualmente previsto, ma anche da parte delle strutture o degli enti in possesso dei requisiti che saranno stabiliti con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministro delle politiche agricole. Rimane fermo che le modalità di accertamento siano stabilite con decreto del Ministero dei trasporti, di concerto con i Ministri delle politiche agricole e forestali e del lavoro e delle politiche sociali, fatte salve le competenze del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio in materia di emissioni inquinanti e di rumore.

 

Si ricorda che il codice della strada definisce (art. 58) le macchine agricole come “macchine a ruote o a cingoli destinate ad essere impiegate nelle attività agricole o forestali”.

 

L’articolo 107, comma 1, del codice della Strada prevede che le macchine agricole siano soggette all'accertamento dei dati di identificazione, della potenza del motore quando ricorre e della corrispondenza alle prescrizioni tecniche ed alle caratteristiche disposte a norma di legge, rinviando al regolamento di esecuzione e di attuazione del codice (DPR n. 495/1992) l’individuazione delle categorie di macchine agricole operatrici trainate che sono escluse dall'accertamento di cui sopra (il regolamento prevede, all’articolo 292, l’esclusione degli aratri, delle seminatrici e degli erpici).

 Il comma 2 dell’articolo 107, nel testo previgente alla modifica in commento prevedeva che l'accertamento di cui al comma 1 avesse luogo mediante visita e prova da parte degli uffici competenti del Dipartimento per i trasporti terrestri, secondo modalità stabilite con decreto del Ministero dei trasporti, di concerto con i Ministri delle politiche agricole e forestali e del lavoro e delle politiche sociali, fatte salve le competenze del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio in materia di emissioni inquinanti e di rumore.

 

Profili finanziari

Il prospetto riepilogativo non considera la norma.

 

La relazione tecnica afferma che dalla disposizione non derivano effetti finanziari sui saldi di finanza pubblica, in quanto la norma estende ad altri soggetti, diversi dal Dipartimento per i trasporti terrestri, la competenza alla omologazione delle macchine agricole consentendo da un lato, il recupero dei diritti e delle imposte, che verrebbero versati allo Stato italiano, dall’altro alle aziende italiane costruttrici di conseguire risparmi sulle spese tecniche delle omologazioni.

 

 

In merito ai profili di quantificazione, non si hanno osservazioni da formulare.

 


 

Articolo 46
(EXPO Milano 2015)

L’articolo 46 prevede in via straordinaria, fino al 31 dicembre 2015, che i limiti di spesa vigenti per relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità, rappresentanza e missioni non si applichino agli enti locali coinvolti nell’organizzazione del grande evento EXPO Milano 2015.

La norma specifica che gli enti locali coinvolti nell’EXPO 2015 sono quelli indicati nel DPCM 6 maggio 2013.

Al fine di provvedere a ridefinire gli organismi per la gestione delle attività connesse allo svolgimento di EXPO Milano 2015 e le relative competenze, è stato emanato, in attuazione del comma 1, lettera a), dell’art. 5 del D.L. 43/2013[112] (definitivamente approvato dall’Assemblea della Camera il 21 giugno 2013), il D.P.C.M. 6 maggio 2013. Il decreto, oltre a intervenire sulla nomina del Commissario unico, ha disciplinato le funzioni del Commissario generale di sezione per il Padiglione Italia, della Commissione di coordinamento, della società di gestione «EXPO 2015 S.p.A.» e il Tavolo istituzionale per il governo complessivo degli interventi regionali e sovraregionali. Il decreto reca, negli allegati 1 e 2, rispettivamente il dettaglio degli investimenti per le opere infrastrutturali «essenziali» Expo Milano 2015 e le opere connesse, con i relativi importi e gli enti attuatori.

Il decreto menziona esplicitamente, tra gli enti locali coinvolti, la provincia di Milano, i comuni di Milano, Rho e Pero, la Camera di commercio di Milano; a proposito del Tavolo istituzionale per il governo complessivo degli interventi, il decreto, oltre a citare tali enti, fa generico riferimento alla partecipazione, per quanto di eventuale competenza, degli enti locali regionali.

In particolare, si prevede che, fino al 31 dicembre 2015, non si applicano le disposizioni di cui ai commi 8 e 12 dell’articolo 6 del D.L. 78/2010 limitatamente alle spese connesse con l’organizzazione del grande evento.

Il comma 8[113] dell’articolo 6, del D.L 78/2010, stabilisce, a decorrere dal 2011, limiti annuali di spesa per relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e rappresentanza; le amministrazioni pubbliche non possono effettuare spese per tali voci per un ammontare superiore al 20 per cento della spesa sostenuta nell'anno 2009 per le medesime finalità.

Il comma 12[114] dell’articolo 6, del D.L 78/2010 stabilisce, a decorrere dal 2011, limiti annuali di spesa per le missioni, anche all’estero, delle pubbliche amministrazioni, che non possono effettuare spese per tali voci per un ammontare superiore al 50 per cento della spesa sostenuta nel 2009.

 

Profili finanziari

Il prospetto riepilogativo degli effetti finanziari del provvedimento non considera la norma in esame.

 

La relazione tecnica afferma che la norma è volta a evitare limitazioni che impediscano l’utilizzo delle risorse destinate alla realizzazione dell’Expò. In particolare l’esclusione dell’applicazione dei vincoli vigenti in materia di spese per relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità, missioni e spese di rappresentanza consentirebbe una maggiore flessibilità in relazione allo stanziamento disponibile sul pertinente capitolo di bilancio.

Alla disposizione non sono ascritti effetti finanziari negativi in quanto i risparmi di spesa ascrivibili alla formulazione originaria della disposizione non erano stati scontati nei tendenziali.

 

In merito ai profili di quantificazione, non si hanno osservazioni da formulare nel presupposto, sul quale è necessaria la conferma del Governo, che resti fermo l’assoggettamento al vincolo del patto di stabilità interno dei bilanci degli enti locali interessati dalla disposizione.

 

 


 

Articolo 47
(Fondo impianti sportivi)

L’articolo 47 reca modifiche all’articolo 90 della legge n. 289 del 2002 in relazione al Fondo di garanzia per i mutui relativi alla costruzione, all'ampliamento, all'attrezzatura, al miglioramento o all'acquisto di impianti sportivi.

 

L’articolo 90 della legge finanziaria 2003 (legge n. 289 del 2002), al comma 12 nel testo originario - ha istituito presso l'Istituto per il credito sportivo un Fondo di garanzia per la fornitura di garanzia sussidiaria a quella ipotecaria per i mutui relativi alla costruzione, all'ampliamento, all'attrez­zatura, al miglioramento o all'acquisto di impianti sportivi, ivi compresa l'acquisizione delle relative aree, da parte di società o associazioni sportive dilettantistiche con personalità giuridica. Ai sensi del comma 13 con apposito regolamento del Ministro per i beni e le attività culturali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, previa deliberazione del Consiglio nazionale del CONI, si sarebbe provveduto alla disciplina del Fondo, in particolar modo relativamente alle forme di intervento del Fondo in relazione all'entità del finanziamento e al tipo di impianto. Si dispone, inoltre che il Fondo è gestito e amministrato a titolo gratuito dall'Istituto per il credito sportivo (comma 14), mentre al comma 15 si ribadisce che la garanzia prestata dal Fondo è di natura sussidiaria, si esplica nei limiti e con le modalità stabiliti dal regolamento e opera entro i limiti delle disponibilità del Fondo.

I commi 12 e 13 sono stati sostituiti dall’articolo 64, comma 3-ter del D.L. n. 78 del 2012: in particolare il comma 12 ha eliminato la specifica che la garanzia del fondo sia sussidiaria a quella ipotecaria (specifica che, tuttavia, è contenuta nel successivo comma 15) e ha ampliato il novero dei soggetti che potranno usufruire della stessa garanzia, ricomprendendo anche “ogni altro soggetto pubblico o privato che persegua, anche indirettamente, finalità sportive”. Con la nuova formulazione del comma 13 il regolamento che avrebbe dovuto disciplinare il Fondo è stato sostituito dalla previsione di criteri di gestione approvati dal Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport, su proposta dell'Istituto per il credito sportivo, sentito il Comitato olimpico nazionale italiano. Al Fondo possono essere destinati ulteriori apporti conferiti direttamente o indirettamente da enti pubblici.

 

Con la modifica recata dalla lettera a), novellando il comma 13 – come sostituito dall’articolo 64, comma 3-ter, del D.L. 78 del 2012 – si dispone che i criteri di gestione del Fondo siano approvati dal Presidente del Consiglio dei ministri, o dall’autorità di Governo delegato per lo sport, ove nominata, in luogo del Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport.

Tale disposizione, di carattere più generale, si rende necessaria alla luce delle continue modifiche della struttura della Presidenza del Consiglio dei ministri dovute al conferimento delle deleghe ai Ministri senza portafoglio nelle successive compagini governative. L’attuale formulazione “Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport” è stata infatti introdotta nel 2012 quando la delega per lo sport era stata ad esso attribuita.

 

La successiva lettera b) abroga il comma 15 dell’articolo 90 ai sensi del quale la garanzia prestata dal Fondo è di natura sussidiaria, si esplica nei limiti e con le modalità stabiliti dal regolamento e opera entro i limiti delle disponibilità del Fondo.

La soppressione della garanzia sussidiaria (già eliminata in sede di modifica del comma 12 ad opera del D.L. n. 78 del 2012) avrebbe lo scopo di rendere più fruibile l’accesso al fondo di garanzia per il finanziamento per la costruzione di impianti sportivi, per cui continuano a sussistere le ordinarie forme di garanzia.

 

Profili finanziari

Il prospetto riepilogativo non considera la norma.

 

La relazione tecnica afferma che l'abrogazione espressa dell'articolo 90, comma 15, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 si rende opportuna attesa la sua incompatibilità con i commi 12 e 13 del medesimo articolo, così come modificati dalla legge 7 agosto 2012, n. 134.

 

La relazione tecnica afferma che dalla disposizione non derivano effetti finanziari sui saldi di finanza pubblica.

 

In merito ai profili di quantificazione si osserva che l’eliminazione della sussidiarietà e dei limiti alla garanzia sembra comportare un incremento del rischio che la garanzia sia escussa in misura superiore a quanto previsto in base alla legislazione previgente. Su tali aspetti appare necessario acquisire l’avviso del Governo.


 

Articolo 48
(Cooperazione con altri Stati per i materiali di armamento prodotti dall'industria nazionale)

L’articolo 48 del decreto legge in esame novella il decreto legislativo n. 66 del 2010 (Codice dell’ordinamento militare) al fine di inserirvi il nuovo articolo 537-bis in materia di cooperazione con altri Stati per i materiali di armamento prodotti dall'industria nazionale.

Nello specifico, il nuovo articolo 537-bis del Codice dell’ordinamento militare è finalizzato a consentire la partecipazione del Governo, ed in particolare del Ministero della Difesa e delle sue articolazioni, nell’ambito delle operazioni contrattuali con altri Paesi aventi ad oggetto:

 

§      l'acquisto da parte dei citati Stati di materiali di armamento prodotti dall'industria nazionale, ovvero in uso alle Forze armate italiane;

§      la fornitura del necessario supporto logistico e di assistenza tecnica.

 

Scopo della disposizione è quello di agevolare lo svolgimento delle richiamate operazioni in considerazione del fatto che “è ricorrente la richiesta e la sollecitazione da parte di Stati esteri del tramite statuale quale indispensabile garanzia per l'acquisto di materiale nel settore, in carenza del quale, nella quasi totalità dei casi, essi preferiscono orientare le loro scelte verso realtà industriali di altri Paesi che si possono, invece, avvalere della cooperazione delle strutture statali di riferimento. In sostanza, per diversi Stati esteri trattare con un altro Stato e non con società private è condizione necessaria e indispensabile”.

 

La disposizione in esame pone come condizione di operatività l’esistenza di accordi di cooperazione o di reciproca assistenza tecnico-militare tra l’Italia e il Paese con il quale si intende procedere a talune delle richiamate operazioni ed il pieno rispetto della normativa in materia di esportazione di materiali d'armamento di cui alla legge n. 185 del 1990.

 

La disposizione in esame demanda, poi, ad un apposito regolamento adottato ai sensi del comma 1 dell’articolo 17 della legge n. 400 del 1988 il compito di definire la disciplina esecutiva e attuativa delle disposizioni previste dalla norma in esame. Viene, altresì, specificato che i proventi derivanti dalle citate attività siano versati all'entrata del bilancio dello Stato per essere integralmente riassegnati ai fondi di cui all'articolo 619 del codice dell'ordinamento militare.

 

In relazione al tema della cooperazione internazionale nel settore della difesa, si ricorda che l’Italia nel corso dei decenni ha stipulato accordi di cooperazione militare, e più in generale nel settore della difesa, con una molteplicità di Paesi, anche in ossequio alle direttrici fondamentali della propria politica estera e di sicurezza – al proposito vanno notati ad esempio i numerosi accordi bilaterali firmati con i Paesi emersi dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica e del blocco orientale.

Nell’ambito di tali accordi sono ricorrenti clausole che riguardano il commercio di armamenti, sovente con il riferimento a più ampi quadri di cooperazione internazionale che ne assicurano la praticabilità in relazione alla sicurezza. Vale la pena di ricordare a tal proposito che le Nazioni Unite il 3 giugno 2013 hanno aperto alla firma il Trattato sul commercio internazionale delle armi (ATT – Arms Trade Treaty), la cui futura entrata in vigore aggiungerà certamente un’ulteriore cornice di regolazione nella materia (l’Italia ha subito firmato il Trattato, che dovrà essere esaminato in Parlamento per l’autorizzazione alla ratifica).

Attualmente sono in vigore accordi di cooperazione nel campo della difesa con i seguenti Paesi: Albania, Algeria, Arabia Saudita, Argentina, Brasile, Bulgaria, Repubblica Ceca, Cile, Corea del Sud, Croazia, Emirati Arabi, Estonia, Filippine, Finlandia, Georgia, Gibuti, Giordania, Grecia, India, Lettonia, Libano, Lituania, Repubblica Macedone, MalaYsia, Malta, moldova, Oman, Perù, Serbia, Slovenia, Spagna, Sudafrica, Svesia, Svizzera, Tunisia, Ucraina, Federazione Russa, Stati uniti d’America, Bilusa, Uzbekistan Vietnam.

 

Profili finanziari

Il prospetto riepilogativo non considera la norma.

 

La relazione tecnica si limita ad affermare, dopo aver ribadito il contenuto delle norme, che dalla disposizione non derivano effetti finanziari.

 

In merito ai profili di quantificazione, dal momento che la norma appare derogatoria rispetto al limite alle riassegnazioni fissato a norma dell’articolo 1, comma 46, della legge n. 266/2005, andrebbe chiarito se tale deroga possa comportare conseguenze onerose in relazione ai tendenziali stimati a legislazione vigente per la riassegnazione di entrate.

Appare altresì opportuno che sia valutato se le nuove attività previste dalla norma in esame possano essere svolte con le risorse di strumentali, finanziarie e di personale esistenti a legislazione vigente senza precludere il perseguimento delle altre finalità istituzionali.


 

Articolo 49
(Proroga e differimento di termini in materia di spending review)

L’articolo 49, comma 1, reca la proroga dei termini relativi alla spending review sulle società pubbliche cd. “strumentali”.

Si tratta, in particolare, delle società controllate direttamente o indirettamente dalle amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1 comma 2, del D.Lgs. n. 165/2001[115] che abbiano conseguito nel 2011 un fatturato da prestazione di servizi alla P.A. superiore al 90% del loro intero fatturato.

Per tali società, l’articolo 4 del decreto legge n. 95/2012 (legge n. 135/2012) ha previsto che si proceda, alternativamente, allo scioglimento ovvero all’alienazione, dettando, per l’una e all’altra di queste operazioni, una tempistica differente:

a)   lo scioglimento, entro il 31 dicembre 2013;

b)   in alternativa allo scioglimento, l’alienazione con procedure ad evidenza pubblica, entro il 30 giugno 2013, delle partecipazioni detenute alla data del 7 luglio 2012[116]. In tale caso, il servizio è contestualmente assegnato alla società privatizzata per cinque anni a decorrere dal 1° gennaio 2014.

Il provvedimento in esame proroga di sei mesi, dal 30 giugno 2013 al 31 dicembre 2013, il termine entro il quale procedere alla alienazione delle partecipazioni, e di sei mesi, dal 1 gennaio 2014 al 1 luglio 2014, il termine a decorrere dal quale il servizio strumentale è assegnato alla società privatizzata.

 

Il comma 2 differisce altresì al 31 dicembre 2013 il termine, invero già scaduto il 7 aprile 2013, decorso il quale sono automaticamente soppressi gli enti, le agenzie e gli organismi non siano già stati soppressi o riaccorpati dagli enti territoriali ai sensi dell’articolo 9, commi 1 e 4, del citato D.L. n. 95/2012.

La medesima norma fa salvi gli atti compiuti dagli enti, agenzie ed organismi che hanno proseguito la loro attività oltre il 7 aprile 2013.

Si ricorda che l’articolo 9 comma 1 del D.L. n. 95/2012 ha imposto alle regioni, alle province e ai comuni di sopprimere o accorpare enti, agenzie e organismi comunque denominati e di qualsiasi natura giuridica che, alla data del 7 luglio 2012, esercitavano, anche in via strumentale, funzioni fondamentali (di cui all'articolo 117, comma secondo, lettera p), della Costituzione) o funzioni amministrative spettanti a comuni, province e città metropolitane.

In alternativa alla soppressione o all’accorpamento, il legislatore ha consentito la riduzione in misura non inferiore al 20 per cento degli oneri finanziari dei predetti enti.

In caso di mancato intervento in tal senso da parte degli enti territoriali interessati entro il 7 aprile 2013[117], il comma 4 dell’articolo 9 ha disposto la soppressione automatica degli enti e la nullità di tutti gli atti adottati successivamente a tale data.

 

Con riferimento alla norma in commento, si osserva che poiché il termine previsto dal comma 4 dell’articolo 9 del D.L. n. 95/2012 è ormai scaduto, gli enti, le agenzie e gli organismi interessati dalla norma risulterebbero già soppressi ope legis e nulli gli eventuali atti da essi posti in essere successivamente.

La norma in esame, più che di un differimento, sembrerebbe, pertanto, avere l’effetto di una riviviscenza di norme che hanno già esplicato i propri effetti, rendendo ancora vigenti gli enti ed organismi che, alla data del 7 aprile 2013 dovrebbero essere stati già automaticamente soppressi, nonché di farne salvi gli atti di quegli enti che hanno comunque proseguito l’attività.

 

Profili finanziari

Il prospetto riepilogativo non considera la norma.

 

La relazione tecnica afferma che l’articolo in esame non determina effetti negativi per la finanza pubblica, considerato che anche alle norme oggetto di proroga (articolo 4 e articolo 9, comma 4, del DL 95/2012) non erano stati ascritti effetti finanziari.

 

In merito ai profili di quantificazione non si formulano osservazioni con riferimento ai possibili effetti diretti associabili ai commi 1 e 2, considerato che alle norme oggetto di proroga - contenute nel DL 95/2012 - non erano stati ascritti, a suo tempo, effetti finanziari.

Ciò premesso, si ricorda tuttavia che la relazione tecnica riferita al DL 95/2012 aveva affermato:

§      che la riduzione del numero delle società in house (articolo 4) avrebbe generato effetti finanziari positivi, sia pure accertabili soltanto a consuntivo;

§      che l’articolo 9 avrebbe determinato una riduzione del 20 per cento degli oneri finanziari e risparmi quantificabili a consuntivo.

Poiché le norme in esame si riflettono sui tempi di completamento delle predette operazioni di razionalizzazione, andrebbe acquisita una valutazione del Governo circa gli effetti indiretti connessi al mancato o ritardato conseguimento dei risparmi previsti (ancorché non quantificati) dalla relazione tecnica allegata al DL 95/2012.

Con riferimento, invece, agli introiti derivanti dalla cessione delle partecipazioni di cui al comma 1, si ricorda che - in occasione dell’esame parlamentare del disegno di legge di conversione del DL 95/2012 - era stato rilevato[118] che tali entrate hanno natura finanziaria e pertanto risultano ininfluenti ai fini del saldo dell’indebitamento netto. Pertanto, in assenza - come nel caso dell’articolo 4, comma 1 - di un vincolo di destinazione al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato o alla riduzione del debito degli enti territoriali, il possibile utilizzo delle predette entrate per altre finalità di spesa determinerebbe effetti negativi non compensati sul saldo di competenza economica.

In proposito si osserva comunque che il nuovo termine previsto dalla norma in esame non supera l’esercizio 2013 e quindi non dovrebbe modificare la dinamica degli introiti derivanti, per il medesimo anno, da tali operazioni.

 


 

Articolo 50
(
Modifiche alla disciplina della responsabilità fiscale negli appalti)

L’articolo 50 reca modifiche all’articolo 35, comma 28 del D.L. n. 223/2006 in tema di responsabilità solidale dell’appaltatore. In particolare tale responsabilità viene meno per quanto riguarda il versamento dell’Iva, mentre rimane per il versamento delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente.

 

L'attuale formulazione della norma in questione è stata disposta dall’articolo 13-ter del D.L. n. 83 del 2012, il quale ha altresì aggiunto i commi 28-bis e 28-ter, sempre in tema di soggetti responsabili per il versamento di somme all'erario nel caso di appalto di opere e di servizi.

La disposizione, in sintesi, prevede la responsabilità dell'appaltatore e del committente per il versamento all'erario delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente e dell'imposta sul valore aggiunto dovuta dal subappaltatore e dall'appaltatore in relazione alle prestazioni effettuate nell'ambito del contratto. La responsabilità è esclusa se l'appaltatore/committente acquisisce la documentazione attestante che i versamenti fiscali, scaduti alla data del pagamento del corrispettivo, sono stati correttamente eseguiti dal subappaltatore/appaltatore; tale documentazione può consistere anche nella asseverazione rilasciata da CAF o da professionisti abilitati. Sia l'appaltatore che il committente possono sospendere il pagamento del corrispettivo dovuto al subappaltatore/appaltatore fino all'esibizione della predetta documentazione. L'inosservanza delle modalità di pagamento previste a carico del committente è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5.000 a euro 200.000 se gli adempimenti prescritti non sono stati correttamente eseguiti dall'appaltatore e dal subappaltatore. Tale responsabilità, comunque, è limitata all’ipotesi in cui, pur in assenza della presentazione della documentazione, tali versamenti non risultino eseguiti dall’appaltatore o dall’eventuale subappaltatore.

E’ infine prevista l'applicazione delle predette norme ai contratti di appalto e subappalto di opere, forniture e servizi conclusi da soggetti che operano nell'ambito di attività rilevanti a fini IVA, dai soggetti IRES, dallo Stato e dagli enti pubblici, escludendo le stazioni appaltanti.

In precedenza il comma 28 era stato sostituito dal comma 5-bis dell'art. 2, D.L. 2 marzo 2012, n. 16, con il quale si prevedeva nel caso di appalto di opere o di servizi, la responsabilità solidale del committente imprenditore o datore di lavoro con l'appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori, entro il limite di due anni dalla cessazione dell'appalto, per il versamento all'erario delle ritenute sui redditi di lavoro dipendente e dell'imposta sul valore aggiunto scaturente dalle fatture inerenti alle prestazioni effettuate nell'ambito dell'appalto, ove non dimostrasse di avere messo in atto tutte le cautele possibili per evitare l'inadempimento.

L'Agenzia delle entrate con la circolare 2/E del 1° marzo 2013 ha fornito, dopo la precedente circolare n.40/E del 2012, ulteriori chiarimenti sulle problematiche interpretative sorte sull'articolo 13-ter del D.L. n. 83 del 2012. In particolare, per quanto riguarda l'ambito oggettivo di applicazione, è stato escluso che l'articolo 13-ter trovi applicazione soltanto in relazione ai contratti stipulati dagli operatori economici del settore edilizio, avendo invece una portata generale. Non rientrano nel campo applicativo della norma le tipologie contrattuali diverse dal contratto di appalto di opere e servizi (gli appalti di fornitura di beni, il contratto d'opera, il contratto di trasporto, il contratto di subfornitura, le prestazioni rese nell'ambito del rapporto consortile).

Si segnala, inoltre, che Confindustria ha presentato nel marzo 2013 una formale denuncia (complaint) alla Commissione europea per sostenere l'incompatibilità con il diritto comunitario delle regole che riguardano nello specifico la responsabilità solidale dell'appaltatore per quanto riguarda il versamento all'erario dell'Iva dovuta dal subappaltatore. Analoga denuncia è stata presentata dall’Associazione italiana dei dottori commercialisti di Milano.

 

Profili finanziari

Il prospetto riepilogativo non ascrive alla norma effetti sui saldi di finanza pubblica.

 

La relazione tecnica afferma che la disposizione limita l’applicazione della previsione legislativa della responsabilità solidale dell’appaltatore per il versamento all’Erario delle sole ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente e non anche dell’imposta sul valore aggiunto dovuta dal subappaltatore in relazione alle prestazioni effettuate nell’ambito del contratto di subappalto.

Coerentemente con quanto valutato in sede di relazioni tecniche ai provvedimenti originari, si stima che la disposizione in esame non determini effetti finanziari.

 

In merito ai profili di quantificazione si segnala che la norma sulla quale si interviene era finalizzata a garantire – anche attraverso la partecipazione dei committenti alla verifica della correttezza degli adempimenti tributari – maggiore certezza nel conseguimento del gettito IVA. Pertanto, pur considerando che alla norma originaria non erano stati ascritti effetti di gettito, è opportuno che il Governo confermi che le modifiche introdotte, che limitano la responsabilità solidale dell’appaltatore, non comportino una riduzione degli effetti deterrenti nei confronti del mancato versamento dell’IVA da parte del subappaltatore.

 

 


 

Articolo 51
(
Abrogazione del Modello 770 mensile)

L’articolo 51 abroga il comma 1 dell’articolo 44-bis del D.L. n. 269 del 2003, relativo alla semplificazione della dichiarazione annuale presentata dai sostituti d’imposta attraverso la trasmissione mensile dei dati.

 

Si segnala che, poiché l’articolo 44-bis del D.L. n. 269 del 2003 è composto di un unico comma, sarebbe opportuno disporre l’abrogazione dell’intero articolo 44-bis.

 

L’articolo 44-bis è stato inserito nel D.L. n. 269 del 2003 dall’articolo 1, comma 121, della legge finanziaria 2008 (legge n. 244/2007) e successivamente modificato dall’articolo 42, comma 2, del D.L. n. 207 del 2008, dall’articolo 1, comma 6, del D.L. n. 194 del 2009 e dall’articolo 29, comma 7, del D.L. n. 216 del 2011.

 

Le disposizioni introdotte dal citato articolo 44-bis avrebbero lo scopo di semplificare la dichiarazione annuale presentata dai sostituti d’imposta tenuti al rilascio della certificazione di cui all’articolo 4, commi 6-ter e 6-quater, del D.P.R. n. 322 del 1998, recante il regolamento sulle modalità per la presentazione delle dichiarazioni relative alle imposte sui redditi, all'imposta regionale sulle attività produttive e all'imposta sul valore aggiunto, ai sensi dell'articolo 3, comma 136, della legge n. 662 del 1996[119].

 

L’articolo 44-bis dispone pertanto che – originariamente - a partire dalle retribuzioni corrisposte con riferimento al mese di gennaio 2009 - i sostituti di imposta dovranno comunicare, mensilmente e per via telematica, direttamente o tramite gli intermediari abilitati, i dati retributivi e le informazioni necessarie per il calcolo delle ritenute fiscali e dei relativi conguagli, per il calcolo dei contributi, per l’implementazione delle posizioni assicurative individuali e per l’erogazione delle prestazioni. I sopra illustrati obblighi di comunicazione dovranno essere assolti mediante una dichiarazione mensile da presentare entro l’ultimo giorno del mese successivo a quello di riferimento.

Un primo intervento modificativo del testo è stato disposto dall’articolo 42, comma 2, del D.L. n. 207 del 2008, che ha differito il termine di riferimento al gennaio 2010. Successivamente l’articolo 1, comma 6, del D.L. n. 194 del 2009, oltre a differire tale termine al gennaio 2011, ha previsto altresì un periodo di sperimentazione a partire dal 2010, con modalità stabilite di concerto tra l’Agenzia delle entrate e l’Istituto nazionale della previdenza sociale – INPS. I termini sono stati quindi differiti dall’articolo 1, comma 1, del D.L. n. 225 del 2010 e, da ultimo, dal D.P.C.M. 25 marzo 2011.

Conseguentemente la formulazione vigente del comma 2 dell’articolo 42 risulta essere la seguente: “Il termine di decorrenza stabilito nel mese di gennaio 2009 dal comma 1 dell'articolo 44-bis del D.L. n. 269 del 2003, è prorogato al mese di gennaio 2014 previa sperimentazione, a partire dall'anno 2013, con modalità stabilite di concerto tra l'Agenzia delle entrate e l'Istituto nazionale della previdenza sociale.

 

Sembrerebbe pertanto opportuno disporre l’abrogazione anche del comma 2 dell’articolo 42 del D.L. n. 30 dicembre 2008, n. 207, nonché abrogare o riformulare i commi 122 e 123 dell’articolo 1 della legge n. 244 del 2007 (i quali fanno riferimento al comma 121, che ha introdotto nell’ordinamento l’articolo 44-bis del D.L. n. 269 del 2003, che il presente articolo 51 abroga).

 


 

Articolo 52
(Disposizioni per la riscossione mediante ruolo)

L’articolo 52, comma 1, modifica e integra la disciplina della riscossione delle imposte contenuta nel D.P.R. n. 602 del 1973, prevedendo una serie di misure finalizzate ad agevolare i contribuenti in difficoltà economica o con momentanea carenza di liquidità.

La norma è volta a migliorare le relazioni con i debitori, anche in ragione dell'impegno assunto dal Governo con la risoluzione in Commissione VI Finanze della Camera, atto n. 7/00014, del 21 maggio 2013 (risoluzione conclusiva atto n. 8/00002 approvata il 22 maggio 2013). In particolare rispetto all’atto di indirizzo parlamentare sono state attuate le seguenti indicazioni:

§         è ampliata fino a dieci anni la possibilità di rateazione del pagamento delle imposte (120 rate mensili), nei casi di comprovata e grave situazione di difficoltà, eventualmente prorogabile per altri dieci anni (la normativa previgente prevede che la dilazione possa essere concessa fino a 72 rate, prorogabili per lo stesso periodo). A tal fine, devono ricorrere congiuntamente due condizioni:

-       l’accertata impossibilità per il contribuente di assolvere il pagamento secondo un piano di rateazione ordinario;

-       la solvibilità del contribuente valutata in relazione al piano di rateazione richiesto.

§      è ampliato a otto il numero di rate non pagate, anche non consecutive, a partire dal quale il debitore decade dal beneficio della rateizzazione del proprio debito tributario;

§      viene stabilità l’impignorabilità sulla prima ed unica casa di abitazione a fronte di debiti iscritti a ruolo; per gli altri immobili del debitore l'agente della riscossione può procedere all'espropriazione immobiliare se l'importo complessivo del credito per cui si procede è superiore a centoventimila euro (il precedente limite era di ventimila euro);

§      i limiti di pignorabilità dei beni strumentali, previsti dall'articolo 515 del codice di procedura civile, sono estesi ai debitori costituiti in forma societaria;

§      si dà impulso alla revisione del sistema di remunerazione della riscossione, prevedendo l'adozione del relativo decreto ministeriale entro il 30 settembre (comma 2).

Sono inoltre previste le seguenti misure:

§         la vendita in proprio dei beni pignorati, per la quale può essere effettuata la stima di un esperto nominato dal giudice, deve avvenire nei cinque giorni antecedenti il primo incanto; per consentire al debitore di disporre di un congruo termine per esercitare concretamente la predetta facoltà di vendita in proprio il termine di efficacia del pignoramento è prolungato da centoventi a duecento giorni;

§         sono escluse dal pignoramento presso terzi le somme depositate sul conto corrente del debitore dovute a titolo di stipendio, di salario o di altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, relative all’ultimo emolumento accreditato.

 

Il Governo non ha, invece, ritenuto possibile recepire, per il momento, gli ulteriori criteri indicati nella citata risoluzione. In particolare, nella relazione illustrativa si afferma che la riduzione dell’entità degli interessi di mora in caso di ritardato pagamento comporterebbe una perdita di gettito stimata in circa 120 milioni di euro. Non è stato ritenuto opportuno, inoltre, limitare l’applicazione del principio del solve et repete previsto dall’articolo 15 del D.P.R. n. 602/1973, secondo il quale il contribuente che presenti ricorso in sede giurisdizionale avverso atti di accertamento tributario relativi ad imposte dirette o IVA deve comunque versare un terzo della somma richiesta dall'amministrazione: il Governo ha ritenuto che tale riforma avrebbe determinato non solo ingenti perdite di gettito, allo stato non quantificabili, ma anche ricorsi meramente dilatori e strumentali. Sotto i due profili citati il Governo ritiene opportuno procedere attraverso un intervento più ampio ed organico, anche a carattere di delega. Si segnala peraltro che le questioni citate sono oggetto della proposta di legge in materia di delega fiscale all’esame della Commissione Finanze della Camera.

Rateazione

La lettera a) del comma 1 prevede l’estensione fino a dieci anni della possibilità di rateazione del pagamento delle imposte (120 rate mensili), nei casi di comprovata e grave situazione di difficoltà, eventualmente prorogabile per altri dieci anni (la normativa previgente prevede che la dilazione possa essere concessa fino a 72 rate, prorogabili per lo stesso periodo). A tal fine, devono ricorrere congiuntamente due condizioni:

§      l’accertata impossibilità per il contribuente di assolvere il pagamento secondo un piano di rateazione ordinario;

§      la solvibilità del contribuente valutata in relazione al piano di rateazione richiesto.

La decadenza dal beneficio della rateizzazione scatta nel caso del mancato pagamento di otto rate anche non consecutive (in luogo delle previgenti due rate consecutive). In tal caso il comma 3 dell’articolo 19 del D.P.R. n. 602/1973 prevede che: il debitore decade automaticamente dal beneficio della rateazione; l'intero importo iscritto a ruolo ancora dovuto è immediatamente ed automaticamente riscuotibile in unica soluzione; il carico non può più essere rateizzato.

Il comma 3 dell’articolo in esame prevede che, entro 30 giorni dalla data di conversione del decreto-legge in esame, un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze stabilisca le modalità di attuazione e monitoraggio degli effetti derivanti dall’applicazione del meccanismo di rateazione inserito con la norma in commento.

 

La norma in esame introduce un nuovo comma 1-quinques all’articolo 19 del D.P.R. n. 602 del 1973, con il quale si disciplina l’ipotesi della “comprovata e grave situazione di difficoltà legata alla congiuntura economica” in cui si trovi il contribuente debitore, per ragioni estranee alla propria responsabilità. In tal caso si prevede che la rateazione prevista dai commi 1 e 1-bis può essere aumentata fino a centoventi rate mensili.

La fattispecie di “comprovata e grave situazione di difficoltà” è integrata quando ricorrono congiuntamente le due condizioni: accertata impossibilità per il contribuente di pagare il debito tributario secondo un piano di rateazione ordinario e valutazione della sua solvibilità secondo il piano di rateazione decennale.

 

Tale descritta situazione, pertanto, si aggiunge all’ipotesi di temporanea situazione di obiettiva difficoltà, prevista dal comma 1, per il quale è ammessa una rateazione in 72 rate mensili, e all’ipotesi di comprovato peggioramento della situazione di obiettiva difficoltà, per il quale il comma 1-bis consente un ulteriore periodo di dilazione del pagamento fino a 72 mesi. Si rammenta che il comma 1-ter (inserito dal D.L. n. 16/2012) consente un piano di rateazione con rate di importo crescente (l’importo minimo della rata è di 100 euro).

Dopo la ricezione della richiesta di rateazione, l'agente della riscossione può iscrivere l'ipoteca sugli immobili del proprietario solo nel caso di mancato accoglimento della richiesta, ovvero nel caso di decadenza, fatte comunque salve le ipoteche già iscritte alla data di concessione della rateazione. La possibilità di rateizzare i debiti si applica anche nei confronti degli enti previdenziali, salvo che nei casi di ottemperanza ad obblighi derivanti da sanzioni comunitarie.

Equitalia, con un comunicato dell'8 maggio 2013, ha reso noto che la soglia massima che permette di chiedere la rateizzazione con una semplice richiesta motivata è stata elevata da 20 mila a 50 mila euro. Il contribuente che ha ottenuto la rateazione non è più considerato inadempiente e può richiedere il Durc (Documento unico di regolarità contributiva) per partecipare alle gare di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi.

La rateazione delle somme dovute al fisco può essere chiesta nelle diverse fasi dell’obbligazione tributaria. In proposito si ricorda che il D.L. n. 98 del 2011 ha eliminato l’obbligo di prestazione di garanzia per accedere alla rateazione di debiti tributari - anche superiori a 50.000 euro - conseguenti ad istituti deflativi del contenzioso, ovvero all’accertamento con adesione e alla conciliazione giudiziale; nello stesso filone, il D.L. n. 201 del 2011 (articolo 10, comma 13-decies) ha del tutto eliminato l’obbligo di garanzia per i pagamenti conseguenti ad “avvisi bonari”.

Si ricorda inoltre che il D.Lgs. n. 462 del 1997 prevede l’iscrizione diretta a ruolo, a titolo definitivo, delle somme dovute a seguito dei controlli automatizzati effettuati in materia di imposte sui redditi e di IVA. Il contribuente può però evitare l’iscrizione a ruolo se (articolo 2, comma 2) effettua il pagamento entro 30 giorni dal ricevimento del c.d. “avviso bonario”, ovvero della comunicazione relativa all'esito della liquidazione, effettuata per evitare la reiterazione di errori e per consentire la regolarizzazione degli aspetti formali, ovvero contenente la rideterminazione delle somme dovute, a seguito dei chiarimenti forniti dal contribuente o dal sostituto d'imposta. In tale ipotesi la sanzione è ridotta ad un terzo del dovuto (10% invece del 30%). Anche nel caso di controllo formale della dichiarazione da cui risulta un debito d’imposta (successivo articolo 3 del D.Lgs. n. 462 del 1997) il contribuente può evitare l’iscrizione a ruolo, se effettua il pagamento entro trenta giorni dal ricevimento del c.d. “avviso bonario”; in questo caso la sanzione è ridotta a due terzi di quella ordinaria (20% invece del 30%). La scelta di effettuare il pagamento rateale delle somme liquidate con l’avviso bonario è lasciata alla discrezionalità del contribuente, che però decade dal beneficio della dilazione se omette il pagamento della prima rata entro il termine di 30 giorni dal ricevimento della comunicazione, ovvero nel caso di omissione del pagamento anche di una sola delle rate diverse dalla prima entro il termine fissato per il versamento della rata successiva (ad esempio, se la seconda rata non è pagata entro il termine fissato per la scadenza della terza). La rateizzazione delle somme richieste nella comunicazione di irregolarità (c.d. “avviso bonario”) può avvenire con le seguenti modalità: fino a 5.000 euro, le somme possono essere rateizzate in un numero massimo di 6 rate trimestrali; oltre 5.000 euro, le somme possono essere rateizzate in un numero massimo di 20 rate trimestrali. Le rate possono essere anche di importo decrescente, fermo restando il numero massimo previsto (articolo 3).

La decadenza della procedura di pagamento rateale comporta l’iscrizione a ruolo del debito relativo alle imposte, agli interessi e alle sanzioni (conteggiate in misura piena), previa deduzione di quanto è già stato versato. Per effetto delle modifiche operate con il D.L. n. 16/2012 (articolo 1, comma 1), il contribuente anche se decaduto dal beneficio della rateazione dei pagamenti conseguenti agli “avvisi bonari” potrà in ogni caso avvalersi della dilazione specificamente prevista dall’articolo 19 del D.P.R. n. 602 del 1973 per le somme iscritte a ruolo.

È possibile chiedere la rateazione anche per il pagamento delle somme derivanti da accertamenti esecutivi, ma solo dopo l’affidamento dell’atto all’agente della riscossione, ovvero 30 giorni dopo la scadenza del termine per ricorrere (articolo 29, comma 1, lettera g), del D.L. n. 78 del 2010).

Si riporta di seguito una tabella consegnata dal Direttore dell’Agenzia delle entrate, Attilio Befera, nel corso dell’audizione presso la Commissione finanze della Camera dei deputati del 6 giugno 2013, dal quale si desume che al 31 marzo 2013 Equitalia ha concesso quasi 2 milioni di rateazioni, per un ammontare complessivo di circa 22 miliardi di euro dilazionati.

 

Rateazioni concesse attive al 31/3/2013

N.

Importi (Euro)

 

Equitalia Nord S.p.A.

605.827

7.964.667.909

 

Equitalia Centro S.p.A.

551.359

5.203.941.691

 

Equitalia Sud S.p.A.

760.576

8.851.040.712

Montante totale

1.917.762

22.019.650.312

 

 

 

 

Incidenze sui montanti

N.

Importi

tipologia contribuenti

 

 

Persone fisiche

 

77,0%

34,0%

Persone giuridiche e titolari di partita IVA

23,0%

66,0%

debiti

 

 

 

fino a 5.000 €

 

72,0%

10,5%

da 5.000 a 50.000 €

24,6%

31,8%

da 50.000 a 500.000 €

3,2%

34,1%

oltre 500.000 €

 

0,2%

23,6%

numero rate

 

 

 

fino a 12

 

35,1%

3,8%

fino a 24

 

24,0%

7,6%

fino a 36

 

12,0%

8,9%

fino a 48

 

9,2%

8,3%

fino a 60

 

2,0%

4,0%

fino a 72

 

17,7%

67,5%

 

Vendita in proprio dei beni pignorati

La lettera b) del comma 1 modifica e integra con due nuovi commi l’articolo 52 del D.P.R. 602/1973, in materia di vendita di beni pignorati a seguito di esecuzione forzata per debiti tributari. Tale articolo è stato in precedenza modificato dal D.L. n. 201 del 2011 (articolo 10, comma 13-terdecies) il quale ha consentito al contribuente sottoposto a esecuzione forzata – in luogo dell’agente della riscossione - di mettere direttamente in vendita i beni pignorati o ipotecati, versando all’erario l’intero ricavato. La vendita deve avvenire con il consenso dell’agente della riscossione, il quale interviene nell’atto di cessione. L’eccedenza è rimborsata al debitore entro dieci giorni lavorativi.

 

In estrema sintesi, la normativa speciale delle procedure di esecuzione forzata fiscale, contenuta negli articoli 45 e ss.gg del D.P.R. 602/1973, si articola in tre momenti: pignoramento dei beni, vendita e assegnazione del ricavato. Il pignoramento avviene secondo le regole processuali comuni e culmina in un verbale da consegnare e notificare al debitore. Al pignoramento segue la messa all’incanto dei beni pignorati, anch’essa verbalizzata. Il processo esecutivo non può essere sospeso dal giudice dell’esecuzione, salvo che ricorrano gravi motivi e vi sia fondato pericolo di grave e irreparabile danno. Le attribuzioni svolte dagli ufficiali giudiziari ordinari sono svolte dagli agenti della riscossione. Agenti e concessionari possono dunque procedere all’espropriazione di beni mobili non registrati del soggetto inadempiente, di beni mobili registrati del soggetto inadempiente e di beni immobili del soggetto inadempiente, senza autorizzazione dell'autorità giudiziaria.

 

La lettera b) al n. 1), per la determinazione del valore del bene oggetto di vendita, aggiunge ai rimandi agli articoli 68 e 79 del D.P.R. 602/1973, l’articolo 80, comma 2, il quale prevede per la vendita di un immobile la stima di un esperto nel caso in cui il giudice, su istanza del debitore o dell’agente della riscossione, ritenga che il valore determinato ai sensi dell’articolo 79 sia manifestamente inadeguato (l’articolo 80 è stato così modificato dalla lettera l), si veda oltre).

 

Per i beni mobili (articolo 68) si prevede che il valore dei beni pignorati sia quello risultante da listino di borsa o di mercato, ovvero, in mancanza, sia quello che risulta dal valore attribuito nel verbale di pignoramento. Ove il concessionario lo richieda, e in ogni caso per gli oggetti preziosi, il prezzo base è stabilito da uno stimatore designato dal giudice dell'esecuzione. Nello stesso modo si provvede, sentito il concessionario, se vi è richiesta del debitore e la nomina dello stimatore risulti opportuna in rapporto alle particolari caratteristiche dei beni pignorati.

Per i beni immobili (articolo 79) si fa riferimento al valore determinato ai sensi delle rettifiche effettuate dagli uffici finanziari ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro (articolo 52, comma 4 del D.P.R. 131/86). Tale valore si basa sulla rendita catastale rivalutata (ovvero proposta, se l’immobile non è iscritto ovvero ha non ha rendita), ovvero sul reddito dominicale rivalutato se il terreno non è edificabile. A tali importi si applicano moltiplicatori diversi secondo la categoria catastale di appartenenza/di attribuzione del bene oggetto di vendita. Se non è possibile determinare in tal modo il prezzo base (articolo 79, co. 2) il concessionario richiede l'attribuzione della rendita catastale del bene stesso al competente ufficio del territorio, che provvede entro centoventi giorni. Se si tratta di terreni per i quali gli strumenti urbanistici prevedono la destinazione edificatoria, il prezzo è stabilito con perizia dell'ufficio del territorio.

 

La lettera b) al n. 2) introduce i commi 2-ter e 2-quater all’articolo 52 con i quali viene precisato che la vendita in proprio del bene pignorato o ipotecato deve avvenire nei cinque giorni antecedenti il primo incanto. Si prevede, inoltre, che qualora ciò non abbia luogo e l'agente della riscossione attivatosi per la vendita coattiva abbia necessità di procedere al secondo incanto, il debitore possa comunque esercitare la facoltà di vendita diretta entro il giorno antecedente la data stabilita per il secondo incanto.

La lettera c), modificando il comma 1 dell’articolo 53, prolunga il termine di efficacia del pignoramento da centoventi a duecento giorni, al fine di consentire al debitore di disporre di un congruo termine per esercitare concretamente la predetta facoltà di vendita in proprio.

Ciò si rende opportuno anche in ragione delle previsioni di cui al comma 2, lettera b), dell'articolo 80 del D.P.R. n. 602/1973, come modificato dal presente decreto, ove si prevede la nomina di ausiliari per la stima del valore del cespite pignorato o per relazionare sulle condizioni e caratteristiche del bene, con conseguente naturale dilatazione dei tempi tecnici necessari.

Limite al pignoramento dei beni strumentali

La lettera d), modificando l’articolo 62 del D.P.R. n. 602/73, estende alle imprese che abbiano forma giuridica di società e nei casi di prevalenza del capitale sul lavoro i limiti alla pignorabilità dei beni strumentali già riconosciuti dal codice di procedura civile alle ditte individuali. Il pignoramento può riguardare al massimo un quinto dei beni aziendali, e può essere effettuato solo laddove non sia congruo il valore di presumibile realizzo degli altri beni del debitore (nuovo comma 1).

Si prevede, inoltre, che nel caso di pignoramento dei beni strumentali il debitore ne sia obbligatoriamente nominato custode. La vendita all’asta non possa avvenire prima che siano trascorsi almeno trecento giorni e non dopo i successivi sessanta giorni (comma 1-bis).

 

Il previgente comma 1 dell’articolo 62 prevedeva la pignorabilità dei beni strumentali per l'esercizio della professione, dell'arte o del mestiere del debitore nel caso di somme dovute per imposte sul reddito riferite ai due anni anteriori a quello in cui si procede (sottoposte a privilegio previsto dall'articolo 2759 del codice civile).

Il comma 3 dell’articolo 515 del codice di procedura civile, richiamato dalla norma in esame, prevede che gli strumenti, gli oggetti e i libri indispensabili per l’esercizio della professione, dell’arte o del mestiere del debitore possono essere pignorati nei limiti di un quinto, quando il presumibile valore di realizzo degli altri beni rinvenuti dall’ufficiale giudiziario o indicati dal debitore non appare sufficiente per la soddisfazione del credito. Il secondo periodo del comma 3 prevede, inoltre, che il predetto limite non si applica per i debitori costituiti in forma societaria e in ogni caso se nelle attività del debitore risulta una prevalenza del capitale investito sul lavoro.

Si osserva che, non essendo stata modificata l’ultima parte del predetto comma 3 dell’articolo 515, risulta una diversa disciplina del pignoramento dei beni strumentali delle società, a seconda che si tratti di una procedura di esecuzione forzata fiscale (nuovo articolo 62 in esame: limite del quinto e custodia presso il debitore), ovvero di una esecuzione forzata civile (in cui il predetto limite non si applica).

Pignoramento presso terzi (stipendi e pensioni)

Con le lettere e) e f) sono adottate misure volte ad attenuare alcuni effetti del pignoramento presso terzi, in particolar modo nel caso di stipendi e pensioni accreditati su conto corrente, al fine di evitare che vengano meno i limiti alla relativa pignorabilità.

La lettera e) modificando l'articolo 72-bis (pignoramento dei crediti verso terzi) eleva da quindici a sessanta giorni il termine entro il quale il terzo pignorato deve pagare il credito direttamente all’agente della riscossione.

Ciò consentirebbe al debitore che abbia fondate ragioni da opporre all'iniziativa di riscossione avviata di attivare, in tempi consoni, le tutele del caso, evitando che, nelle more, il terzo disponga l'accredito delle somme pignorate.

 

 La lettera f) aggiunge il comma 2-ter all’articolo 72-ter del D.P.R. 602/1973, inserito dal D.L. n. 16 del 2012 al fine di graduare i limiti di pignorabilità degli stipendi (ovvero di altre indennità relative al rapporto di lavoro).

L’articolo 72-ter prevede la misura del quinto dello stipendio (prevista dall’articolo 545 del c.p.c.) come intaccabile dal pignoramento nel caso di salario avente un importo superiore a 5.000. Per gli importi fino a 2.500 euro si prevede il limite di pignorabilità da parte dell’agente della riscossione in misura pari a un decimo. Per gli importi tra 2.500 e 5.000 euro la misura è di un settimo.

Con il comma 2-ter in commento sono escluse dal pignoramento le somme depositate sul conto corrente del debitore dovute a titolo di stipendio, di salario o di altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, relative all’ultimo emolumento accreditato.

Tale norma è volta ad ovviare al rischio del venir meno dei limiti alla pignorabilità degli stipendi e delle pensioni, tenuto conto che il D.L. n. 201 del 2011 ha imposto l'accredito degli emolumenti retributivi e pensionistici superiori a 1000 sul conto corrente bancario/postale e, considerato che, per costante e consolidato orientamento giurisprudenziale, le somme di danaro, una volta depositate sul conto, perdono qualsiasi connessione con la eventuale speciale destinazione delle stesse, ovvero con il titolo per il quale sono versate in favore dell'avente diritto

Si evidenzia al riguardo che Equitalia, con nota interna del 22 aprile 2013, ha stabilito di non procedere al pignoramento sui conti correnti di banche e poste dove affluiscono i redditi dei lavoratori dipendenti e dei pensionati di importo inferiore a 5 mila euro. Le azioni di pignoramento direttamente sul conto corrente sono attivabili solo dopo che sia stato effettuato il pignoramento presso il datore di lavoro e/o l'ente pensionistico e che, in ragione delle trattenute accreditate, il reddito da stipendio/pensione risulti pari o superiore a 5.000 euro mensili. Si tratta di un'iniziativa interna di Equitalia per tutelare le fasce più deboli dei cittadini in attesa che vengano adottati interventi normativi che stabiliscano nuove regole. 

Limiti alla espropriazione immobiliare

Le successive lettere g), h), i), l) e m) intervengono in materia di espropriazione immobiliare. In primo luogo si prevede la impignorabilità dell’unica casa di abitazione (non di lusso) del debitore, escludendo la possibilità che l'agente possa avviare l'espropriazione forzata immobiliare. Nell'ipotesi di espropriazione iniziata da creditori privati, è riconosciuto al creditore pubblico il diritto di intervento secondo i principi generali dell'ordinamento processuale.

In particolare la lettera g) sostituisce il primo comma dell’articolo 72 (espropriazione immobiliare) del D.P.R. 602/1973, facendo salva, in primo luogo, la facoltà di intervento dell’agente della riscossione nella procedura di espropriazione iniziata da altri creditori.

Al riguardo si osserva che la norma fa riferimento all’articolo 563 del codice di procedura civile (Condizioni e tempo dell'intervento), nell’ambito dell’espropriazione immobiliare. Tuttavia tale articolo è stato abrogato dall'articolo 2, comma 3, lett. e), D.L. 14 marzo 2005, n. 35.

 

La norma in esame prevede che l’agente della riscossione non può dare corso all’espropriazione dell’unico immobile di proprietà del debitore, qualora esso costituisca la sua casa di abitazione dove risiede anagraficamente. Sono esclusi da questa previsione le case di lusso aventi le caratteristiche individuate dal D.M. n. 218 del 1969 (Caratteristiche delle abitazioni di lusso) e i fabbricati delle categorie catastali A/8 (abitazioni in ville) e A/9 (castelli, palazzi di eminenti pregi artistici o storici).

Per gli altri immobili del debitore (abitazioni non prima casa, case di lusso, fabbricati A/8 e A/9) l'agente della riscossione può procedere all'espropriazione immobiliare se l'importo complessivo del credito per cui si procede è superiore a centoventimila euro (il precedente limite, modificato da ultimo dal D.L. n. 16 del 2012, era di ventimila euro). Si prevede, inoltre, che in tal caso l’espropriazione può essere avviata se è stata iscritta ipoteca (di cui all’articolo 77) e sono decorsi almeno sei mesi dall’iscrizione senza che il debito sia stato estinto.

Si evidenzia che ai sensi del comma 1 dell’articolo 77 l’iscrizione dell’ipoteca può avvenire solo dopo che siano decorsi sessanta giorni dalla notifica della cartella di pagamento, salve le disposizioni relative alla dilazione ed alla sospensione del pagamento.

 

La lettera h), con una modifica dell’articolo 77, precisa che l’ipoteca può essere iscritta anche nei casi sopra descritti (unica casa di abitazione e per gli altri immobili per credito inferiore a centoventimila euro), purché l'importo complessivo del credito per cui si procede non sia inferiore complessivamente a ventimila euro.

La finalità di garanzia dell’ipoteca immobiliare non è necessariamente preordinata all’esecuzione. Essa, infatti, mira ad impedire, in primo luogo, che siano pregiudicate le ragioni creditorie degli enti impositori per i quali l'agente della riscossione procede, nel caso in cui altri creditori avviino l'espropriazione o impongano altri vincoli reali sul bene gravato dalla cautela. Ha, del pari, la finalità di assicurare il diritto di prelazione sul ricavato della vendita conseguente all'esproprio promosso da altri e, nell'ipotesi di fallimento del debitore, di consentire all'agente della riscossione di soddisfarsi ugualmente con prelazione sul ricavato. L'iscrizione comporta, inoltre, il diritto di sequela. Il debitore resta, infatti, libero di disporre del bene ipotecato, ma il trasferimento eventualmente disposto nonostante l'iscrizione della cautela non è opponibile all'agente della riscossione, che può soddisfarsi sul bene acquisito da terzi.

 

Le lettere i) e l) integrano le norme previste per la pubblicità degli incanti e per la stima del valore dell’immobile pignorato.

In particolare si prevede che gli agenti della riscossione, per rendere quanto più proficue le operazioni di vendita, hanno l'obbligo di pubblicizzare la vendita stessa sui siti delle proprie società di riscossione (articolo 80, comma 1-bis).

Il giudice, su istanza del debitore o dell’agente della riscossione, nel caso in cui ritenga che il prezzo base, determinato ai sensi dell’articolo 79, sia manifestamente inadeguato, nomina un esperto per effettuare la stima. L’agente della riscossione può richiedere la nomina di un ausiliario per l'identificazione delle caratteristiche del bene o per esigenze di custodia (articolo 80, comma 2).

Per la determinazione del prezzo base degli beni immobili (articolo 79) si fa riferimento al valore determinato ai sensi delle rettifiche effettuate dagli uffici finanziari ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro (articolo 52, comma 4 del D.P.R. 131/86). Tale valore si basa sulla rendita catastale rivalutata (ovvero proposta, se l’immobile non è iscritto ovvero ha non ha rendita), ovvero sul reddito dominicale rivalutato se il terreno non è edificabile. A tali importi si applicano moltiplicatori diversi secondo la categoria catastale di appartenenza/di attribuzione del bene oggetto di vendita. Se non è possibile determinare in tal modo il prezzo base (articolo 79, co. 2) il concessionario richiede l'attribuzione della rendita catastale del bene stesso al competente ufficio del territorio, che provvede entro centoventi giorni. Se si tratta di terreni per i quali gli strumenti urbanistici prevedono la destinazione edificatoria, il prezzo è stabilito con perizia dell'ufficio del territorio.

 

Nei casi in cui il giudice abbia disposto la pubblicità degli incanti a mezzo di giornali o con altre forme di pubblicità commerciale, ovvero abbia nominato un esperto per la stima, ovvero un ausiliario per la relazione sulle condizioni del bene pignorato e per la custodia, le spese sono anticipate dalla parte richiedente e liquidate dal giudice in prededuzione, ovvero in via prioritaria (articolo 80, comma 2-bis).

Nel caso in cui siano state effettuate le nomine sopradette (esperto o ausiliario) il pignoramento non perda efficacia se il primo incanto, a causa delle nomine, non può essere effettuato entro il nuovo termine di legge, ovvero duecento giorni (articolo 80, comma 2-bis). In tal caso, l'agente della riscossione ha l'onere di fissare i nuovi incanti e di notificare il relativo avviso al soggetto nei confronti del quale si procede (articolo 78, comma 2-bis).

 

La lettera m) modifica il comma 1 dell’articolo 85 (Assegnazione dell'immobile allo Stato) prevedendo che nel caso in cui anche il terzo incanto abbia avuto esito negativo l’immobile invenduto venga devoluto allo Stato al prezzo base del terzo incanto (in precedenza era previsto il minor prezzo tra il prezzo base del terzo incanto e la somma per la quale si procede).

La Corte costituzionale con la sentenza n. 281 del 2011 ha dichiarato l’illegittimità della norma in questione, imponendo al legislatore di rivedere la misura del prezzo di assegnazione dell’immobile invenduto, in quanto l'importo del credito per il quale si procede non ha alcuna relazione con il valore dell'immobile. La Corte ha pertanto suggerito di far riferimento al prezzo del terzo incanto, salvo diversa valutazione del legislatore che però sia in ragionevole rapporto con il valore del bene pignorato.

Remunerazione degli agenti della riscossione

Il comma 2, modificando l’articolo 10, comma 13-quinquies, del D.L. n. 201 del 2011, anticipa al 30 settembre (in luogo del 31 dicembre) il termine entro il quale devono essere adottati i decreti non regolamentari del Ministro dell’economia e delle finanze che calcolano annualmente il rimborso spettante agli agenti della riscossione e in materia di rimborso spese, propedeutici all’avvio del nuovo sistema di remunerazione degli agenti della riscossione.

La relazione illustrativa afferma che lo schema di decreto volto a dare attuazione alla norma è in fase di predisposizione.

L’articolo 10, ai commi da 13-quater a 13-septies del D. L. n. 201 del 2011, ha previsto la riforma del sistema della remunerazione degli agenti della riscossione. Sino all’entrata in vigore dei provvedimenti attuativi della nuova disciplina resta ferma l’antecedente disciplina in materia di remunerazione degli agenti della riscossione, recata dall’articolo 17 del D.Lgs. 112/1999 nella sua antecedente formulazione. In attesa dell'entrata in vigore di detta riforma, il D.L. n. 95 del 2012 ha previsto (articolo 5, comma 1) una riduzione dell'aggio di un punto percentuale sui ruoli emessi dal 1° gennaio 2013 (che dunque passa dal nove all’otto per cento a decorrere dalla predetta data).

Si rammenta in estrema sintesi che, a seguito della riforma del sistema della riscossione (operata dall’articolo 3 del decreto-legge 30 settembre 2005 n. 203), la riscossione dei tributi è passata dai soggetti privati (titolari di concessione) all’Agenzia delle entrate, che la effettua mediante la società Riscossione S.p.A., operante dal 1° ottobre 2006 ed oggi denominata Equitalia S.p.A., nonché attraverso le società da essa partecipate.

Il richiamato articolo 10 del D. L. n. 201 del 2011 ha in primo luogo disposto la sostituzione dell’attuale sistema di remunerazione basato sull’aggio con l’attribuzione agli agenti della riscossione di un rimborso dei costi fissi risultanti dal bilancio certificato. La previsione del rimborso è finalizzata ad assicurare il funzionamento del servizio nazionale della riscossione, a presidiare la funzione di deterrenza e contrasto all’evasione e il progressivo innalzamento del tasso di adesione spontanea agli obblighi tributari. Tale rimborso è da calcolarsi annualmente in misura percentuale delle somme iscritte a ruolo riscosse e dei relativi interessi di mora, con decreto non regolamentare del Ministro dell’economia e delle finanze, tenuto conto dei seguenti, specifici parametri:

§      carichi annui affidati;

§      andamento delle riscossioni coattive;

§      processo di ottimizzazione, efficientamento e riduzione dei costi del gruppo Equitalia S.p.A..

Il predetto decreto dovrà in ogni caso garantire al contribuente oneri inferiori a quelli esistenti alla data del 6 dicembre 2011.

In sostanza, il sistema di remunerazione con aggio è sostituito dal predetto rimborso percentuale, alla cui determinazione si deve procedere in base ad elementi connessi ad elementi di fatto come l’andamento della riscossione, ma anche in rapporto a indicatori di produttività ed efficienza dell’agente unico della riscossione.

Il rimborso è posto a carico del debitore nella misura del cinquantuno per cento, nel caso di pagamento tempestivo (entro sessanta giorni dalla notifica della cartella di pagamento). La parte rimanente rimane a carico dell’ente creditore. Per pagamenti tardivi (successivi ai sessanta giorni dalla notifica) il rimborso è interamente a carico del contribuente.

È stata, inoltre, novellata la disciplina in materia di rimborsi spettanti all’agente della riscossione in rapporto alle procedure esecutive. In particolare, per effetto delle modifiche, continuerà ad essere attribuito all’agente un rimborso per le spese sostenute; ma questo, anziché essere riferito in via generica alle spese relative alle procedure esecutive, riguarderà gli specifici oneri connessi allo svolgimento delle singole procedure.

Rimane ferma l’attribuzione delle spese per i rimborsi in capo all’ente creditore ove il ruolo sia annullato (per sgravio o inesigibilità) e, negli altri casi, in capo al debitore. In luogo dell’effettuazione dei rimborsi secondo quanto stabilito da una apposita tabella si attribuisce (comma 6.1 dell’articolo 17, D.Lgs. n. 112 del 1999) ad un decreto non regolamentare la determinazione:

§      delle tipologie di spese rimborsabili;

§      della misura del rimborso, che deve essere determinata anche proporzionalmente al carico affidato e progressivamente rispetto al numero di procedure attivate a carico del debitore;

§      delle modalità di erogazione del rimborso.

Inoltre si prevede che il suddetto rimborso non spetti sulle somme riconosciute indebite. Viene dunque eliminata la prescrizione che richiede un provvedimento di sgravio (provvedimento dell'ente creditore che riconosca, in tutto o in parte, non dovute le somme iscritte a ruolo) e che teneva fermo il diritto al rimborso delle spese anche in tale ipotesi; si pongono le spese di notifica della cartella di pagamento a carico dell’ente creditore anche nel caso di annullamento del ruolo.

Il decreto (comma 13-quinquies) che calcola annualmente il rimborso spettante agli agenti della riscossione nonché quello in materia di rimborso spese devono essere emanati entro il 31 dicembre 2013 (termine sostituito dalla norma in esame con il termine del 30 settembre 2013); sino all’entrata in vigore di tali provvedimenti attuativi (comma 13-sexies), resta ferma la disciplina vigente in materia di remunerazione degli agenti della riscossione.

Si ricorda che in attesa dell'entrata in vigore di detta riforma, il decreto-legge n. 95 del 2012 ha previsto (articolo 5, comma 1) una riduzione dell'aggio di un punto percentuale sui ruoli emessi dal 1° gennaio 2013 (che dunque passa dal nove all’otto per cento a decorrere dalla predetta data). Accanto a tale previsione è stata prevista un’ulteriore, eventuale, riduzione dell’aggio che potrà essere alimentata dalle eventuali maggiori risorse rispetto a quanto considerato nei saldi tendenziali di finanza pubblica - correlate anche al processo di ottimizzazione ed efficientamento nella riscossione dei tributi e di riduzione dei costi di funzionamento del gruppo Equitalia S.p.A - fino a un massimo di ulteriori quattro punti percentuali.

 

La vigente remunerazione del servizio della riscossione

Si ricorda che, a legislazione vigente, agli agenti della riscossione spetta:

§       una remunerazione per l’attività da essi svolta (articolo 17 del D.Lgs. 112/1999) mediante un compenso – detto aggio - pari al nove per cento delle somme iscritte a ruolo riscosse e dei relativi interessi di mora, a carico del debitore in tutto o in parte, secondo la tempestività del pagamento; l’aggio è dell’otto per cento sui ruoli emessi dal 1° gennaio 2013;

§       il rimborso delle spese sostenute per le procedure esecutive poste in essere.

In particolare, il contribuente che ha ricevuto la cartella di pagamento emessa in base al ruolo deve versare le somme ivi annotate entro 60 giorni dalla notifica (articolo 25, comma 2 del D.P.R. 602/1973), cui si aggiunge parte dell’aggio, ovvero il 4,65 per cento delle somme iscritte a ruolo (articolo 17, comma 1 del D.Lgs. 112 del 1999); la restante parte dell'aggio è a carico dell'ente creditore. Nel caso di pagamento successivo ai 60 giorni, l’aggio è integralmente a carico del debitore. L'agente della riscossione (articolo 17, comma 4) trattiene l'aggio all'atto del riversamento all'ente impositore delle somme riscosse. La percentuale a carico del debitore nel caso di pagamento entro 60 giorni può essere rideterminata con decreto non regolamentare del Ministro dell'economia e delle finanze, nel limite di due punti percentuali di differenza rispetto alle misure stabilite, tenuto conto del carico dei ruoli affidati, dell'andamento delle riscossioni e dei costi del sistema. Nel caso di iscrizione a ruolo non derivante da inadempimento (prevista, ad esempio, per i redditi sottoposti a tassazione separata) l'aggio è a carico dell'ente creditore se il pagamento avviene entro il sessantesimo giorno dalla data di notifica della cartella; in caso contrario è a carico del debitore. Limitatamente alla riscossione spontanea a mezzo ruolo, l'aggio spetta agli agenti della riscossione nella percentuale stabilita dal decreto del 4 agosto 2000 del Ministro delle finanze.

Inoltre (articolo 17, comma 6) all’agente della riscossione spetta il rimborso delle spese relative alle procedure esecutive, sulla base di una tabella approvata con decreto del Ministero delle finanze, con il quale sono altresì stabilite le modalità di erogazione del rimborso stesso. Tale rimborso è a carico dell'ente creditore, se il ruolo viene annullato per effetto di provvedimenti di sgravio o in caso di inesigibilità. Negli altri casi è a carico del debitore. Il rimborso delle spese relative alle procedure esecutive maturate nel corso di ciascun anno solare e richiesto entro il 30 marzo dell'anno successivo, è erogato entro il 30 giugno dello stesso anno. In caso di mancata erogazione, l'agente della riscossione è autorizzato a compensare il relativo importo con le somme da riversare. Il diniego, a titolo definitivo, del discarico della quota per il cui recupero sono state svolte le procedure che determinano il rimborso, obbliga l'agente della riscossione a restituire all'ente, entro il decimo giorno successivo alla richiesta, l'importo anticipato, maggiorato degli interessi legali. L'importo dei rimborsi spese riscossi dopo l'erogazione o la compensazione, maggiorato degli interessi legali, è riversato entro il 30 novembre di ciascun anno.

In caso di emanazione (articolo 17, comma 7-bis) di un provvedimento dell'ente creditore che riconosce, in tutto o in parte, non dovute le somme iscritte a ruolo, all'agente della riscossione spetta comunque un compenso per l'attività di esecuzione di tale provvedimento; la misura e le modalità di erogazione del compenso sono stabilite con il decreto ministeriale che fissa le misure del rimborso delle spese per le procedure esecutive; sulle somme riscosse e riconosciute indebite non spetta tuttavia l'aggio.

 

Valutazioni della Corte dei conti sull’attività di riscossione

 

La Corte dei conti, nel Rapporto 2013 sul coordinamento della finanza pubblica, ha espresso alcune valutazioni sull’andamento della riscossione nel corso degli ultimi anni.

In particolare si afferma che nel consuntivo 2012, l’andamento della riscossione segnala un preoccupante indebolimento:

- il volume della riscossione a mezzo ruoli, che fra il 2006 e il 2010 era cresciuto quasi del 77 per cento, ha segnato per la seconda volta una flessione (quasi il 13 per cento nel 2012, in aggiunta al 3 per cento registrato nel 2011);

- il carico affidato ad Equitalia, al netto di sgravi e sospensioni, è cresciuto ulteriormente (quasi del 2 per cento, fino a circa 77 miliardi), anche se a un ritmo molto più contenuto di quelli sperimentati nel trienni precedente (+50 per cento rispetto al 2008);

- il tasso di riscossione (rapporto fra il riscosso e il carico netto), collocatosi all’1,94 per cento, ha registrato una nuova caduta dopo quella segnata nel 2011, scendendo molto al di sotto del minimo toccato nel 2006 (2,66 per cento).

Quanto ai fattori che sono all’origine del rilevato indebolimento dell’attività di riscossione, un ruolo significativo appare derivare dal peggioramento del quadro economico che, se in molti casi ha comportato un differimento (sfruttando le possibilità di rateazione), in altri ha finito per rendere insolventi i debitori. L’accentuata flessione delle riscossioni contributive è probabilmente frutto della concentrazione di entrambi i fenomeni, particolarmente diffusi nei settori ad alto impiego di manodopera (l’edilizia).

Effetti non meno rilevanti sembrano, secondo la Corte, derivare dal susseguirsi di novità normative che hanno finito per indebolire oggettivamente l’azione di riscossione coattiva dei tributi. Ci si riferisce, in particolare, alle disposizioni che hanno limitato l’iscrizione di ipoteca sugli immobili, le possibilità di espropriazione immobiliare e la pignorabilità di stipendi e salari. Secondo la Corte, quindi, la posizione creditoria dello Stato sarebbe divenuta per molti versi deteriore rispetto alle possibilità di tutela che la legge riconosce al creditore privato munito di titolo esecutivo.

 

Profili finanziari

Il prospetto riepilogativo non ascrive alle norme effetti sui saldi di finanza pubblica.

 

La relazione tecnica afferma che alle norme non vengono ascritti effetti finanziari.

Più in particolare, la RT ritiene che:

§      l’estensione della rateazione evita la ripresa di un’esecuzione forzata nei confronti di soggetti che si trovano in difficoltà economico-finanziarie consentendo invece un’ulteriore dilazione che assicura un costante flusso di cassa. Tali misure sono, pertanto, ritenute suscettibili di determinare effetti positivi in termini di entrate, andando incontro alle esigenze dei contribuenti che, in ragione del calo del reddito disponibile per effetto dell’attuale congiuntura negativa, si trovino ad avere, nell’arco temporale di riferimento, più di una volta problemi di liquidità in prossimità dello scadere della rata concordata;

§      le modifiche alla procedura per la vendita all’incanto (aumento da 120 a 200 gg del termine di efficacia del pignoramento) sono dirette a consentire al debitore di disporre di un congruo termine per esercitare concretamente la vendita in proprio;

§      le modifiche in materia di pignoramento dei beni strumentali estendono anche alle società, nei casi di prevalenza del capitale sul lavoro, le limitazioni già stabilite dal codice di procedura civile alla pignorabilità dei beni utilizzati da imprenditori ditte individuali;

§      l’incremento da 15 a 60 gg del termine per il pagamento del credito direttamente al concessionario, in caso di pignoramento, è finalizzato a consentire al debitore, che abbia fondate ragioni da opporre, di attivare le tutele del caso evitando che il terzo disponga l’accredito delle somme pignorate.

 

In merito ai profili di quantificazione, si prende atto di quanto affermato dalla relazione tecnica e non si hanno osservazioni da formulare.

Con riferimento ai profili applicativi della norma, sarebbe tuttavia opportuna una precisazione in merito all’incremento da due a otto rate “anche non consecutive” come presupposto per la perdita del diritto alla rateazione. In proposito, tenuto conto che – come affermato dalla RT – la disposizione è diretta ad assicurare un flusso di cassa in luogo di una ripresa dell’esecuzione forzata, andrebbe precisato se, ai fini della verifica delle otto rate non pagate, rilevino anche quelle già scadute e non regolarmente pagate alla data di entrata in vigore della presente disposizione. Ciò in considerazione del fatto che la disciplina previgente - sulla quale si interviene - stabilisce che la perdita al diritto alla rateazione si verifica in caso di mancato pagamento di due rate consecutive.


 

Articolo 53
(Disposizioni per la gestione delle entrate tributarie o patrimoniali, dei comuni e delle società da essi partecipate)

L’articolo 53 proroga - al 31 dicembre 2013 l’operatività delle vigenti disposizioni in materia di gestione delle entrate locali (anche per le entrate di natura diversa dai tributi di tutti gli enti territoriali, non solo dei comuni), consentendo anche ai concessionari diversi da Equitalia di proseguire le attività di accertamento e riscossione di entrate locali, purché in presenza dei requisiti per l'iscrizione all’albo dei soggetti abilitati ad accertare e riscuotere le entrate locali.

 

La revisione del sistema della riscossione delle entrate locali

Si ricorda che sostanziali novità in tema di riscossione delle entrate degli enti locali sono state introdotte dall’articolo 7, comma 2, lettere da gg-bis) a gg-septies) del decreto-legge n. 70 del 2011. In particolare, è stato previsto che Equitalia Spa e le società da essa partecipate cessino di effettuare le attività di accertamento, liquidazione e riscossione - spontanea e coattiva - delle entrate, tributarie o patrimoniali, dei comuni e delle società da essi partecipate. Fino alla cessazione delle attività di competenza di Equitalia, è stata prorogata (articolo 10, comma 13-novies del D.L. 201 del 2011) l’operatività delle vigenti disposizioni in materia di gestione delle entrate locali contenute nell’articolo 3, commi 24, 25 e 25-bis del D.L. n. 203 del 2005, che aveva soppresso il sistema di affidamento in concessione del servizio nazionale della riscossione, attribuendo all'Agenzia delle entrate (che le esercita mediante Equitalia) le funzioni relative alla riscossione.

Ai sensi del citato comma 24, alle ex società concessionarie della riscossione è stata data la possibilità di trasferire, in via totale o parziale, il proprio capitale sociale ad Equitalia (continuando dunque, anche con assetti proprietari diversi, a svolgere l'attività di riscossione erariale e locale).

In alternativa, e fino al momento dell'eventuale cessione, totale o parziale, del proprio capitale sociale ad Equitalia, ai concessionari è stato consentito di scorporare il ramo d'azienda concernente le attività svolte in regime di concessione per conto degli enti locali, cedendolo a soggetti terzi, nonché alle società iscritte nell'apposito albo dei soggetti abilitati ad effettuare le attività di accertamento e riscossione dei tributi per gli enti locali (ai sensi dell'articolo 53, comma 1, del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446).

Nel caso di scorporo e di cessione del ramo di azienda, le norme hanno consentito ai cessionari di proseguire le attività di accertamento e riscossione di entrate locali, in mancanza di diversa determinazione degli enti medesimi (che avrebbero potuto optare per l’affidamento in house o per la gestione diretta, ovvero associata, etc.), purché le società avessero i requisiti per l'iscrizione al citato albo dei soggetti abilitati ad accertare e riscuotere le entrate locali. Ai cessionari è stato concesso di agire mediante la procedura dell'ingiunzione fiscale, fatta eccezione per i ruoli consegnati fino alla data del trasferimento, per i quali avrebbero trovato applicazione le ordinarie disposizioni di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602.

Ai sensi del successivo comma 25, nel caso di mancato trasferimento del ramo d’azienda e ove non vi fosse diversa determinazione dell'ente creditore, le attività di accertamento e riscossione sono affidate a Equitalia S.p.A. o alle società partecipate, fermo il rispetto di procedure di gara ad evidenza pubblica.

Infine, fatto salvo l'eventuale affidamento temporaneo a Equitalia, il comma 25-bis sancisce che l'attività di riscossione spontanea e coattiva degli enti pubblici territoriali può essere svolta dalle società cessionarie del ramo d'azienda, da Equitalia e dalle partecipate soltanto a seguito di affidamento mediante procedure ad evidenza pubblica, con decorrenza 30 giugno 2013.

 

Dal momento di tale cessazione, spetterà dunque ai comuni effettuare la riscossione spontanea e coattiva delle entrate tributarie e patrimoniali e, ove optino per l’affidamento del servizio a soggetti esterni, essi dovranno procedere nel rispetto delle norme in materia di evidenza pubblica. Per effetto delle modifiche operate dal D.L. n. 16 del 2012 (articolo 5, comma 8-bis), nel caso di affidamento del servizio a soggetti esterni, la riscossione delle entrate dovrà essere effettuata mediante l'apertura di uno o più conti correnti di riscossione, postali o bancari, intestati al soggetto affidatario e dedicati alla riscossione delle entrate dell'ente affidante, sui quali dovranno affluire tutte le somme riscosse.

Nell’esercizio dell’attività di riscossione i comuni potranno avvalersi (lettera gg-quater) dello strumento dell’ingiunzione fiscale (disciplinata dal regio decreto n. 639 del 1910) e delle procedure di riscossione coattiva erariale (di cui al titolo II del D.P.R. n. 603 del 1973) in quanto compatibili.

Inoltre, (articolo 29 comma 8-bis del D.L. n. 216 del 2011) anche la società Riscossione Sicilia spa - così come Equitalia Spa e le partecipate – cesserà di effettuare le attività di accertamento, liquidazione e riscossione spontanea e coattiva delle entrate, tributarie o patrimoniali, dei comuni e delle società da essi partecipate.

In materia si ricorda che, per effetto delle norme contenute nel D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150 (articolo 32), dal 12 ottobre 2011 le controversie in materia di opposizione all'ingiunzione fiscale per il pagamento delle entrate patrimoniali degli enti pubblici sono regolate dal rito ordinario di cognizione, di cui al libro II del Codice di procedura civile.

Anche i decreti legislativi di attuazione della legge sul federalismo fiscale recano disposizioni in materia di riscossione delle entrate locali; in particolare, l’articolo 11 del D.Lgs. n. 149 del 2011 prevede che i criteri generali per la gestione organica dei tributi siano definiti dalle province con l'Agenzia delle entrate; il successivo articolo 12 affida all’accordo fra Governo, Regioni, province e comuni la definizione di un programma pluriennale di attività di contrasto dell'evasione fiscale, gli obiettivi intermedi che debbono essere raggiunti da ciascun ente nell'ambito delle suddette attività antievasione e le misure premiali o sanzionatorie in relazione al raggiungimento degli obiettivi stessi.

 

 

La norma interviene modificando il comma 2-ter dell’articolo 10, del decreto-legge n. 35 del 2013, che aveva consentito ai comuni di continuare ad avvalersi di Equitalia per la riscossione dei tributi fino al 31 dicembre 2013. Tale norma consentiva quindi - solo per la predetta attività di riscossione dei tributi (e non anche per le entrate di natura diversa) - di superare la scadenza del 30 giugno 2013, a decorrere dalla quale la società Equitalia e le società per azioni dalla stessa partecipata avrebbero cessato - secondo quanto stabilito all'articolo 7, lettera gg-ter), del decreto legge 13 maggio 2011, n. 70, e successive proroghe - di effettuare le attività di accertamento, liquidazione e riscossione, spontanea e coattiva, delle entrate dei comuni e delle società da questi ultimi partecipate.

Tale termine, inizialmente fissato al 1° gennaio 2012, era stato successivamente prorogato al 31 dicembre 2012 dal decreto – legge n. 201 del 2011 e, quindi, al 30 giugno 2013 dall’articolo 9, comma 4, del decreto – legge n. 174 del 2012, in attesa del riordino della disciplina delle attività di gestione e riscossione delle entrate degli enti territoriali.

Il citato decreto-legge n. 174 del 2012 conteneva anche la proroga - sempre al 30 giugno 2013 - dell’operatività delle disposizioni in materia di gestione delle entrate locali (di tutti gli enti territoriali, non solo dei comuni), contenute in particolare nell’articolo 3, commi 24, 25 e 25-bis del decreto-legge n. 203 del 2005, riguardanti le società concessionarie diverse da Equitalia. Tale termine non è stato peraltro prorogato dal DL 35 del 2013, restando confermata la scadenza, per le predette società, al 30 giugno 2013.

 

La norma in commento allinea quindi tutte le scadenze al 31 dicembre 2013 al fine di favorire il riordino della disciplina delle attività di gestione e riscossione delle entrate dei Comuni, anche mediante istituzione di un consorzio, che si avvale delle società del Gruppo Equitalia per le attività di supporto all’esercizio delle funzioni relative alla riscossione.

 

La disciplina dei consorzi tra enti locali è contenuta nell’articolo 31 TUEL ed è stata integrata dal comma 28 dell’art. 2 della legge finanziaria 2008 (legge 244/2007).

I consorzi, previsti per la gestione associata di uno o più servizi e funzioni, sono espressione dell’autonomia amministrativa e gestionale degli enti locali, che possono costituirli secondo le norme previste per le aziende speciali di cui all'articolo 114 TUEL. Il consorzio si costituisce attraverso l’approvazione a maggioranza assoluta, da parte dei componenti dei consigli degli enti interessati, di una convenzione e dello statuto del consorzio. I consorzi prevedono specifici organi rappresentativi dei diversi enti associati, quali l’assemblea del consorzio composta dai rappresentanti degli enti consorziati, nella persona del sindaco, del presidente o di un loro delegato, ognuno con responsabilità proporzionata alla quota di partecipazione fissata dalla convenzione e dallo statuto. L'assemblea elegge il consiglio di amministrazione e ne approva gli atti fondamentali previsti dallo statuto. L’art. 31 TUEL vieta altresì la costituzione di più di un consorzio tra gli stessi enti locali, mentre in caso di rilevante interesse pubblico, la legge dello Stato può prevedere la costituzione di consorzi obbligatori per l'esercizio di determinate funzioni e servizi, demandandone l'attuazione alle leggi regionali.

Il comma 28 dell’art. 2 della legge finanziaria 2008 (legge 244/2007) ha previsto che, ai fini della semplificazione della varietà e della diversità delle forme associative comunali e del processo di riorganizzazione sovracomunale dei servizi, delle funzioni e delle strutture, ad ogni amministrazione comunale è consentita l’adesione ad una unica forma associativa per gestire il medesimo servizio per ciascuna delle tipologie previste nell’ambito delle forme associative e di collaborazione tra gli enti locali (previste dagli artt. 31, 32 e 33 del TUEL). A partire dal 1° gennaio 2010, se permane l’adesione multipla ogni atto adottato dall’associazione tra comuni è nullo ed è, altresì, nullo ogni atto attinente all’adesione o allo svolgimento di essa da parte dell’amministrazione comunale interessata. Fanno eccezione i consorzi deputati alla organizzazione ed alla gestione del servizio idrico integrato e del servizio di gestione dei rifiuti; fanno altresì eccezione i consorzi istituiti o resi obbligatori da leggi statali o regionali.

L'art. 2, comma 186, lett. e), della legge 23 dicembre 2009, n. 191, ha stabilito che i comuni devono procedere alla soppressione dei consorzi di funzioni tra enti locali, facendo salvi i rapporti di lavoro a tempo indeterminato esistenti. I comuni assumono le funzioni esercitate dai consorzi soppressi nonché le relative risorse, con successione ai medesimi consorzi in tutti i rapporti giuridici in essere e ad ogni altro effetto.

Infine, l’art. 19, del decreto-legge n. 95 del 2012 ha previsto che i comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti, ovvero fino a 3.000 se appartenenti a comunità montane, esercitano obbligatoriamente in forma associata, mediante unione di comuni o convenzione, le funzioni fondamentali elencate nel medesimo articolo 19, ad esclusione di quelle relative allo stato civile.

 

In relazione all’eventuale istituzione di un consorzio, si osserva che la disposizione reintroduce l'istituto del consorzio, abrogato dalla legge, seppur limitandolo all'esercizio della funzione di riscossione, senza peraltro chiarire le modalità di istituzione nonché i compiti e le funzioni attribuiti al medesimo.

 

Per quanto riguarda il riordino della riscossione delle entrate degli enti locali, si ricorda che presso la Commissione Finanze della Camera è in corso di esame la proposta di legge n. 1122 che riprende integralmente il contenuto del disegno di legge delega per la revisione del sistema fiscale presentato dal Governo il 18 giugno 2012 (A.C. 5291) e approvato il 12 ottobre 2012, in prima lettura, dalla Camera dei deputati. Alla proposta sono abbinate la pdl 282 (Causi e altri) sostanzialmente identica e la pdl 950 (Zanetti) in materia di contrasto all'elusione fiscale e abuso del diritto.

 

L’articolo 3, comma 12, lettera c), nel prevedere quindi il riordino della riscossione delle entrate degli enti locali, reca i seguenti princìpi e criteri direttivi:

§       assicurare certezza, efficienza ed efficacia nell’esercizio dei poteri di riscossione mediante:

§       revisione della normativa vigente e in un testo unico di riferimento;

§       revisione della disciplina dell’ingiunzione di pagamento e recepimento delle procedure e gli istituti previsti per la gestione dei ruoli;

§       nei casi di esternalizzazione delle funzioni in materia di riscossione:

§       revisione dei requisiti per l’iscrizione all’albo dei soggetti abilitati ad effettuare le attività di accertamento e riscossione dei tributi per gli enti locali;

§       emanazione di linee guida per la redazione di capitolati di gara e per la formulazione dei contratti di affidamento o di servizio

§       introduzione di adeguati strumenti di controllo, anche ispettivo

§       la pubblicizzazione dei principali elementi dei contratti stipulati

§       allineamento degli oneri e dei costi secondo le modalità e nella misura massima stabilite dalle attuali norme sulla remunerazione del servizio della riscossione;

§       rispetto della normativa europea, nonché adeguata valorizzazione e messa a disposizione delle autonomie locali delle competenze tecniche, organizzative e specialistiche in materia di entrate degli enti locali accumulate presso le aziende del gruppo Equitalia, anche attraverso un riassetto organizzativo del gruppo stesso;

§       assoggettamento delle attività di riscossione coattiva a regole pubblicistiche, a garanzia dei contribuenti;

§       previsione di un codice deontologico dei soggetti affidatari dei servizi di riscossione e degli ufficiali della riscossione, da adottare con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze;

§       previsione di specifiche cause di incompatibilità per i rappresentanti legali, amministratori o componenti degli organi di controllo interni dei soggetti affidatari dei servizi.

 

Sul tema della riscossione, il 22 maggio 2013 la Commissione Finanze ha approvato la risoluzione 8-00002, che impegna il governo a fornire maggiore flessibilità alle procedure di riscossione coattiva dei tributi, al fine di evitare che gli strumenti della riscossione possano pregiudicare la sopravvivenza economica del soggetto debitore, salvaguardando in tal modo gli stessi interessi erariali; a ricercare soluzioni che consentano un rientro più graduale del debito, prevedendo criteri obiettivi e non discrezionali nella valutazione della situazione economico-finanziaria del contribuente, in particolare procedendo, tra l'altro:

§       ad ampliare il numero massimo di rate in cui può essere ripartito il debito;

§       ad escludere l'applicazione degli istituti dell'espropriazione forzata immobiliare e dell'ipoteca sulla prima casa di abitazione del debitore;

§       ad estendere gli attuali limiti alla pignorabilità dei beni utilizzati per l'esercizio dell'attività imprenditoriale e professionale ai debitori costituiti in forma societaria, previa proposizione di un piano di rientro rateizzato dei debiti;

§       a dare sollecita attuazione all'articolo 10, comma 13-quater, del decreto – legge n. 201 del 2011, che prevede la sostituzione dell'attuale sistema di remunerazione delle attività di riscossione, basato sull’«aggio», con un meccanismo basato invece sul rimborso dei costi fissi legati alle attività di riscossione;

§       a ridurre l'entità degli interessi di mora gravanti sul contribuente in caso di ritardato pagamento;

§       a verificare l'efficacia ed efficienza del nuovo sistema di accertamento e riscossione delle entrate comunali, al fine di rendere omogenee le procedure in materia, recependo, attraverso la revisione della disciplina dell'ingiunzione di pagamento, le procedure e gli istituti vigenti per la gestione dei ruoli, adattandoli alle peculiarità della riscossione locale;

§       a valutare l'opportunità di limitare in materia tributaria ogni forma di applicazione del principio del cosiddetto «solve et repete» e di rimodulare la disciplina della riscossione frazionata.

 

Profili finanziari

Il prospetto riepilogativo non ascrive alla norma effetti sui saldi di finanza pubblica.

 

La relazione tecnica afferma che la disposizione è diretta ad evitare che entrate di natura diversa da quelle tributarie restino escluse dal differimento al 31 dicembre 2013 nonché a favorire la complessiva rivisitazione del quadro normativo afferente alla gestione e riscossione delle entrate dei comuni consentendo anche l’istituzione di un Consorzio che possa occuparsi per loro conto di tali attività avvalendosi, in fase di riscossione, del supporto delle società del Gruppo Equitalia.

Alla disposizione non si ascrivono effetti finanziari.

 

In merito ai profili di quantificazione non si hanno osservazioni da formulare tenuto conto che, nel rispetto del Patto di stabilità interno, eventuali ulteriori oneri a carico dei comuni per l’istituzione del Consorzio non determinano effetti sui saldi di finanza pubblica.

 

 


 

Articolo 54
(Questionari per la predisposizione dei fabbisogni standard
degli enti locali)

L’articolo 54 reca disposizioni concernenti la disponibilità e la pubblicità dei questionari predisposti dalla società SOSE (Soluzioni per il Sistema Economico)[120] Spa, ai fini della predisposizione delle metodologie per la determinazione dei fabbisogni standard degli enti locali, sulla base di quanto dispone l’articolo 5 del decreto legislativo n.216 del 2010[121], prevedendo che:

§      i questionari sono resi disponibili sul sito della SOSE e con provvedimento del Ministero dell’economia e delle finanze da pubblicare sulla G.U. viene data notizia della data di tale disponibilità;

§      dalla data di pubblicazione del suddetto provvedimento decorre il termine di sessanta giorni, previsto dal comma 1, lettera c) del sopracitato articolo 5, entro cui i comuni e le province devono compilare e restituire per via telematica i questionari.

 

La procedura di determinazione dei fabbisogni standard – che, si rammenta, secondo la legge delega n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale costituiscono i nuovi parametri in base ai quali individuare il finanziamento delle spese degli enti locali al fini di un graduale superamento del criterio della spesa storica – viene affidata dal decreto legislativo n. 216 del 2010 alla SOSE spa che, avvalendosi anche dell’IFEL (Istituto per la finanza e l’economia locale) e dell’Istat, predispone le metodologie occorrenti alla determinazione dei fabbisogni medesimi, che dovranno far riferimento ai criteri ed alle indicazioni recate dall’articolo 5 del medesimo decreto legislativo.

In particolare, i valori dei fabbisogni andranno individuati con tecniche statistiche che diano rilievo alle caratteristiche individuali dei singoli Comuni e Province, utilizzando i dati di spesa storica tenendo conto dei gruppi omogenei e tenendo altresì conto della spesa relativa a servizi esternalizzati o svolti in forma associata; considerando altresì una quota di spesa per abitante e tenendo conto della produttività e della diversità della spesa in relazione all'ampiezza demografica, alle caratteristiche territoriali, con particolare riferimento al livello di infrastrutturazione del territorio, alla presenza di zone montane, alle caratteristiche demografiche, sociali e produttive dei predetti diversi enti, al personale impiegato, alla efficienza, all'efficacia e alla qualità dei servizi erogati nonché al grado di soddisfazione degli utenti.

Ai fini della predisposizione delle metodologie in questione, la SOSE predispone appositi questionari, funzionali alla raccolta dei dati contabili e strutturali di comuni e province, cui andranno inviati con un termine di compilazione e restituzione stabilito in sessanta giorni. L’inosservanza di tale termine comporta il blocco, fino all’avvenuto invio del questionario, dei trasferimenti a qualunque titolo da erogare all’ente locale inadempiente.

L’articolo in commento sembra pertanto finalizzato a disciplinare con norma primaria la procedura relativa ai questionari inviati (rectius, somministrati, come recita l’articolo 5, comma 1, lettera c) del D.Lgs. n. 216/2010) agli enti locali, soprattutto ai fini della individuazione del termine di decorrenza dei sessanta giorni per la restituzione degli stessi.

Si tratta di una procedura di fatto già seguita, atteso che la stessa risulta attuata, nei termini ora stabiliti in norma, ad opera dei Decreti Direttoriali del Direttore generale delle finanze 21 febbraio 2012, pubblicato sulla G.U. 25 febbraio 2012, n.47, 16 novembre 2012, pubblicato sulla G.U. 20 novembre 2012, n.271 e 7 dicembre 2012, pubblicato sulla G.U. 12 dicembre 2012, n.289. Ciascuno di tali decreti, nel comunicare la disponibilità di questionari relativi ad alcune funzioni di comuni e province, precisa che il termine di sessanta giorni per la restituzione degli stessi decorre dalla data di pubblicazione dei decreti medesimi.

Profili finanziari

Il prospetto riepilogativo non ascrive alla norma effetti sui saldi di finanza pubblica.

 

La relazione tecnica afferma che, considerato il tenore procedurale della disposizione, alla stessa non si ascrivono effetti finanziari.

 

La relazione illustrativa chiarisce che la norma è finalizzata a ripristinare una previsione già presente nel DL 70/2011 ma impropriamente abrogata con il D. Lgs. 33/2013, anche se ancora utile ed attuale.

 

In merito ai profili di quantificazione non si formulano osservazioni, tenuto conto degli effetti di economia procedurale ascritti alla norma dalla relazione illustrativa.


 

Articolo 55
(Norma interpretativa in materia di rimborsi IVA alle agenzie di viaggio)

L’articolo 55 reca una norma interpretativa relativamente alla disciplina IVA applicabile alle agenzie di viaggio e turismo, contenuta all’articolo 74-ter del D.P.R. n. 633 del 1972, il quale recepisce quanto disposto all’articolo 26 della sesta direttiva IVA 77/388/CEE del 17 maggio 1977.

L’articolo 74-ter prevede un regime speciale per l’attività svolta dagli operatori turistici in nome e per conto proprio - anche tramite mandatari - con particolare riferimento all’offerta, all’interno ed all’esterno del territorio nazionale in cui ha sede l’operatore, di “pacchetti turistici” costituiti ai sensi dell’articolo 2 del D.Lgs. n. 111/1995.

In tal modo i servizi forniti durante il viaggio direttamente ai clienti sono assoggettati all’imposta nei diversi Paesi in cui gli stessi vengono erogati, mentre il margine destinato all’agenzia di viaggio è assoggettato ad imposizione nello Stato di residenza di quest’ultima. In caso di applicazione del descritto regime speciale, come disposto al successivo terzo comma dell’articolo 74-ter, inoltre, “non è ammessa in detrazione l’imposta relativa ai costi” sostenuti dalle predette agenzie di viaggio per l’acquisizione presso terzi dei beni e dei servizi destinati ad essere forniti a diretto vantaggio dei viaggiatori.

Con decreto del Ministro delle finanze 30 luglio 1999, n. 340, sono state definite particolari modalità di applicazione dell'imposta sul valore aggiunto alle operazioni effettuate dalle agenzie di viaggio e turismo.

 

Come illustra la relazione di accompagnamento (A.C. 1248), il debito IVA delle agenzie di viaggio è determinato non in termini di «imposta da imposta», vale a dire detraendo dall'imposta applicata sulle vendite di servizi l'imposta assolta sugli acquisti, bensì in termini «base da base». Secondo quest'ultimo meccanismo l'imposta assolta sugli acquisti resta indetraibile per l'agenzia di viaggio, mentre il debito d'imposta viene calcolato scorporando la medesima dal margine dell'agenzia, margine a sua volta determinato sottraendo dai corrispettivi il totale dei costi sostenuti per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate da terzi a diretto vantaggio dei viaggiatori.

Tuttavia l’applicazione del terzo comma dell’art. 74-ter ha generato nel tempo notevoli incertezze con riferimento all'imposta assolta sui beni e servizi acquistati da agenzie di viaggio stabilite fuori dell'Unione europea e da queste inglobati in pacchetti turistici venduti al pubblico, anche alla luce degli indirizzi interpretativi di orientamento diverso ad opera dell’Amministrazione finanziaria (risoluzione del Dipartimento delle entrate del Ministero delle finanze n. 62 del 7 aprile 1999, risoluzione dell'Agenzia delle entrate n. 141 del 26 novembre 2004).

 

La disposizione in esame richiama peraltro quanto disposto dall’articolo 310 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, come interpretata dalla Corte di giustizia dell’Unione europea.

 

Gli articoli da 306 a 310 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio (Sistema comune IVA) disciplinano il regime speciale per le agenzie di viaggio.

In particolare l’articolo 310 stabilisce che gli importi dell'IVA imputati all'agenzia di viaggio da altri soggetti passivi per le operazioni effettuate per la realizzazione del viaggio effettuate a diretto vantaggio del viaggiatore non sono né detraibili né rimborsabili in alcuno Stato membro.

 

La Relazione illustrativa sottolinea che tale imposta non è detraibile né rimborsabile alle agenzie di viaggio stabilite in Italia o in un altro Stato membro dell'Unione europea, per cui un'interpretazione dell'articolo 74-ter, comma 3, con la quale si accordasse il rimborso dell'imposta in questione, produrrebbe vantaggi competitivi a favore delle agenzie di viaggio stabilite fuori dell'Unione europea, Ciò sarebbe in aperto contrasto anche con l'articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 86/560/CEE del Consiglio, del 17 novembre 1986, in materia di rimborsi ai soggetti stabiliti fuori dell'Unione europea, che prevede che il rimborso non può essere concesso a condizioni più favorevoli di quelle applicate ai soggetti passivi della Comunità.

 

Pertanto, al fine di definire la questione, l’articolo 55 in esame provvede ad interpretare l’articolo 74-ter, comma 3, del D.P.R. n. 633 del 1972, nel senso che l’imposta assolta sulle cessioni di beni e sulle prestazioni di servizi, di cui al comma 2 dello stesso articolo, effettuate da terzi nei confronti delle agenzie di viaggio stabilite fuori dell’Unione europea a diretto vantaggio dei viaggiatori non è rimborsabile.

Secondo la relazione tecnica tale interpretazione della norma genererebbe a regime dal 2014 maggiori entrate per 12 milioni (2,4 milioni nel 2013).

 

In considerazione dell'incertezza interpretativa che ha regnato sulla materia, il secondo periodo dell’articolo 55 provvede a fare salvi i rimborsi che, alla data di entrata in vigore del presente decreto-legge, siano stati eventualmente effettuati; altresì non si dà luogo alla restituzione delle somme che, alla medesima data, siano state in un primo tempo rimborsate alle agenzie di viaggio e successivamente recuperate dagli uffici dell’amministrazione finanziaria.

Procedure di contenzioso

Il 30 maggio 2011 la Commissione europea ha presentato un ricorso alla Corte di giustizia con cui contesta che l’Italia avrebbe violato gli articoli 306-310 della direttiva 2006/112/CE, concernenti il regime speciale IVA delle agenzie di viaggio.

Tale regime deroga al trattamento fiscale ordinario, ai fini IVA, delle prestazioni di servizi e cessioni di beni, secondo il quale la base imponibile è costituita dal corrispettivo e il gettito dell’imposta affluisce allo Stato in cui la cessione/prestazione ha avuto luogo. Inoltre, il cedente/prestatore, se ha acquistato beni/servizi strumentali alla transazione per la quale è soggetto all’IVA, ha il diritto di detrarre, dall’IVA a proprio carico, la stessa IVA scaricata dal prestatore/cedente a monte (c.d. IVA a credito). Il regime speciale, invece, è quello eseguito, comunemente, dall’agenzia di viaggio al viaggiatore: l’agente di viaggio acquista diverse prestazioni localizzate sul territorio di un diverso Stato membro o di diversi Stati membri (ad esempio: alloggio sul territorio di uno stato, viaggio nel territorio di un altro Stato) e, assemblando tali beni e servizi in un pacchetto, li rivende al viaggiatore. Il trattamento IVA applicato al riguardo è il seguente:

1) le prestazioni/cessioni rivenute vengono considerate come un’unica prestazione e – nonostante le singole componenti abbiano luogo sul territorio di uno o più Stati membri diversi da quello in cui è stabilito l’agente di viaggio – l’IVA è dovuta a quest’ultimo Stato;

2) l’aliquota IVA non viene applicata sul corrispettivo ma sul “margine”, cioè sulla differenza tra il corrispettivo stesso e il costo già sostenuto dall’agente per acquistare sa altri operatori i beni/servizi rivenduti;

3) l’agente di viaggio non può detrarre l’IVA a credito.

In base all’articolo 74-ter del D.P.R. n. 633 del 1972, “le operazioni effettuate dalle agenzie di viaggio per l’organizzazione di pacchetti turistici costituiti da viaggi, vacanze, circuiti tutto compreso e connessi servizi, verso il pagamento di un corrispettivo globale sono considerate come una prestazione di servizi unica”. Tali disposizioni si applicano anche quando le prestazioni siano rese dalle agenzie tramite mandatari e non si applicano alle agenzie di viaggio che agiscono per nome e per conto dei clienti.

La Commissione ritiene che, secondo l’interpretazione data dall’Italia alle norme nazionali ed europee sopra richiamate, l’applicazione del regime speciale è prevista non solo quando le agenzie di viaggio vendono il servizio al viaggiatore, ma anche quando lo vendono a un soggetto diverso dal viaggiatore (ad esempio, nel caso in cui il servizio venga venduto da un’agenzia di viaggi ad un altero soggetto passivo IVA che, a sua volta, rivendesse i servizi di viaggio). Ad avviso della Commissione la normativa italiana in questione, non limitando esplicitamente l’applicazione del regime speciale ai servizi forniti al consumatore finale, cioè al viaggiatore, contrasterebbe con le disposizioni della direttiva 2006/112 sopra richiamate.

 

Profili finanziari

Il prospetto riepilogativo ascrive alla norma i seguenti effetti sui saldi di finanza pubblica.

 (milioni di euro)

 

Saldo netto da finanziare

Fabbisogno

Indebitamento netto

 

2013

2014

2015

2013

2014

2015

2013

2014

2015

Maggiori entrate

2,4

12

12

2,4

12

12

2,4

12

12

 

La relazione tecnica afferma che la norma elimina dubbi interpretativi in ordine alla spettanza o meno del rimborso IVA per tour operator esteri. In particolare si stabilisce che l’IVA non è rimborsabile nei confronti delle agenzie di viaggio stabilite fuori dall’Unione europea, fatti salvi gli eventuali rimborsi effettuati sino alla data di entrata in vigore della norma proposta. La RT sottolinea, inoltre, che non si dà luogo alla restituzione delle somme che eventualmente siano state in un primo tempo rimborsate alle agenzie di viaggio e successivamente recuperate.

La RT stima un effetto di positivo pari a 12 milioni di euro su base annua corrispondente all’ammontare dei rimborsi che attualmente, a causa del predetto dubbio interpretativo, vengono erogati. Pertanto, considerando prudenzialmente un effetto ridotto (circa il 20%) per il 2013, si stimano i seguenti effetti finanziari:

(milioni di euro)

2013

2014

2015

2,4

12

12

 

Si segnala che l’art. 61, comma 1, lettera a), del provvedimento in esame dispone che una quota delle maggiori entrate recate dalla norma in commento è destinata alla copertura finanziaria di oneri recati da altre disposizioni, specificatamente individuate, contenute nel medesimo provvedimento.

La relazione illustrativa precisa che l’interpretazione dell’articolo 74-ter, comma 3, del DPR 633/1972 ha generato incertezze nel caso di acquisto da parte di agenzie di viaggio stabilite fuori dall’UE. Una prima interpretazione (risoluzione Dipartimento entrate n. 62 del 7 aprile 1999) stabiliva il diritto della società estera (nello specifico una società canadese) a detrarre l’IVA assolta sull’acquisto di un servizio di autonoleggio da una società italiana: ciò in quanto, secondo tale interpretazione, l’attività di autonoleggio rientrava nell’attività propria dell’impresa (quindi oggettivamente detraibile) e le autovetture erano messe direttamente a disposizione dei clienti (a loro diretto vantaggio). Una più recente interpretazione (risoluzione Agenzia entrate n. 141 del 26 novembre 2004) ha invece ritenuto non detraibile la suddetta imposta. Ciò in quanto, ai sensi dell’art. 38-ter del DPR n. 633/72, il rimborso IVA in favore dei soggetti non residenti è ammesso in presenza di alcuni requisiti tra i quali è previsto quello della detraibilità dell’IVA assolta (che, invece, non è detraibile ai sensi dell’art. 74-ter, comma 3). Tale ultima interpretazione consente, peraltro, di evitare vantaggi competitivi delle agenzie di viaggio estere rispetto a quelle italiane.

 

In merito ai profili di quantificazione appaiono necessari chiarimenti diretti a confermare la presenza, nei tendenziali di finanza pubblica, degli effetti negativi dovuti ai rimborsi IVA in esame. Ciò in considerazione del fatto che la risoluzione interpretativa fornita dall’Agenzia delle entrate è del 2004 e che, pertanto, tali rimborsi non dovrebbero essere considerati negli attuali tendenziali.

In merito alla stima effettuata, si rileva che la relazione tecnica non fornisce gli elementi e i dati utilizzati per la quantificazione degli effetti finanziari. Sul punto appaiono necessarie maggiori informazioni al fine di consentire una verifica degli effetti ascritti.

Per quanto concerne, più in particolare, il 2013 andrebbe chiarito in quale modo sia stato quantificato l’effetto di 2,4 milioni (riferito ad un semestre, considerando che il provvedimento in esame è entrato in vigore il 22 giugno 2013) rispetto al dato annuale (12 milioni).

Ulteriori chiarimenti, infine, andrebbero forniti in merito alla qualificazione degli effetti finanziari (maggiori entrate) tenuto conto che la norma esclude il rimborso dell’imposta alle agenzie di viaggio estere.


 

Articolo 56
(Proroga termine di versamento dell’imposta sulle transazioni finanziarie)

L’articolo 56 (comma 1) – con una modifica all’articolo 1, comma 497, della legge di stabilità 2013, proroga al 1° settembre 2013 la decorrenza e al 16 ottobre 2013 il termine di versamento dell’imposta sulle transazioni finanziarie per le operazioni su strumenti derivati (di cui al comma 492) e per le negoziazioni ad alta frequenza su strumenti finanziari derivati e valori mobiliari (di cui al comma 495).

Per i trasferimenti di proprietà di azioni ed altri strumenti partecipativi (di cui al comma 491) e per le negoziazioni ad alta frequenza sui predetti trasferimenti, effettuati fino al 30 settembre 2013, il termine entro il quale effettuare il versamento è fissato al 16 ottobre 2013.

 

La legge di stabilità 2013 (articolo 1, commi da 491 a 500) ha introdotto un’imposta sulle transazioni finanziarie sulle seguenti operazioni:

§       trasferimento della proprietà di azioni ed altri strumenti partecipativi emessi da soggetti residenti nel territorio dello Stato nonché di titoli rappresentativi dei predetti strumenti indipendentemente dalla residenza del soggetto emittente, con un'aliquota pari allo 0,2 per cento del valore della transazione se le operazioni di acquisto sono effettuate fuori dai mercati regolamentati (over the counter); l'aliquota è dell'0,1 per cento per le operazioni concluse in mercati regolamentati o con sistemi multilaterali di negoziazione; per il 2013, considerata anche la partenza a esercizio già iniziato, la percentuale è fissata nella misura dello 0,22 per cento (per le operazioni over the counter) e dello 0,12 (per le operazioni concluse nei mercati regolamentati);

§       operazioni sui cosiddetti strumenti derivati, ad imposta in misura fissa, determinata con riferimento alla tipologia di strumento e al valore del contratto, secondo la tabella 3 allegata alla legge di stabilità;

§       negoziazioni ad alta frequenza relative ad azioni, ad altri strumenti partecipativi e derivati su equity.

 

Con il D.M. 21 febbraio 2013 sono state previste le norme attuative dell'imposta. L'imposta si applica al trasferimento della proprietà delle azioni e degli strumenti finanziari partecipativi emessi da società residenti nel territorio dello Stato con capitale superiore a 500 milioni di euro, a prescindere dal Paese di provenienza dell'ordine. Al decreto ministeriale è allegato l'elenco degli emittenti italiani con capitalizzazione attualmente inferiore alla predetta soglia.

Per quanto riguarda le operazioni su strumenti finanziari derivati e le operazioni sui valori mobiliari, si stabilisce un prelievo massimo di 200 euro.

Tra i primi la norma include quelli che abbiano come sottostante azioni o altri titoli partecipativi, o quelli il cui valore dipenda da uno o più dei medesimi strumenti finanziari; tra i secondi, quelli che permettano di acquisire o vendere tali strumenti finanziari o quelli che comportino un loro regolamento in contanti, inclusi warrants, covered warrants e certificates.

Per le operazioni che avvengono in mercati regolamentati o sistemi multilaterali di negoziazione, la medesima imposta è ridotta a un quinto, e può essere determinata con riferimento al valore di un contratto standard (lotto), tenendo conto del valore medio di quest’ultimo nel trimestre precedente.

Per quanto concerne la procedura di versamento delle imposte, nel caso di trasferimenti di azioni e altri titoli partecipativi, queste sono dovute dal soggetto a favore del quale avviene il trasferimento; nel caso di operazioni relative a strumenti finanziari derivati l’imposta è dovuta nella misura ivi stabilita da ciascuna delle controparti.

Il soggetto passivo è però diverso dal soggetto tenuto al versamento, in quanto il tributo viene versato dalle banche, dalle società fiduciarie e dalle imprese di investimento abilitate all'esercizio professionale nei confronti del pubblico dei servizi e delle attività di investimento, nonché dagli altri soggetti che comunque intervengono nell'esecuzione delle predette operazioni, ivi compresi gli intermediari non residenti, che possono nominare un rappresentante fiscale. Qualora nell'esecuzione dell'operazione intervengano più soggetti, l'imposta è versata da colui che riceve direttamente dall'acquirente o dalla controparte finale l'ordine di esecuzione. Nel caso in cui la transazione si realizza senza terzi soggetti, l'imposta è versata dal contribuente e tale adempimento deve essere effettuato entro il giorno sedici del mese successivo a quello del perfezionamento dell’operazione.

Infine, l’imposta sulle negoziazioni ad alta frequenza relative ad azioni, ad altri strumenti partecipativi e derivati su equity, è dovuta dal soggetto per conto del quale sono eseguiti gli ordini e si applica con un'aliquota dello 0,02 per cento sul controvalore degli ordini annullati o modificati, che in una giornata di borsa superino la soglia numerica stabilita con decreto ministeriale. Tale soglia non può in ogni caso essere inferiore al 60 per cento degli ordini trasmessi.

 

Il comma 2 stabilisce che la società di Gestione Accentrata per l'imposta dovuta sui trasferimenti di proprietà, sulle operazioni e sugli ordini sopra citati, effettuati fino al 30 settembre dai soggetti deleganti, provvede al versamento entro il 16 novembre 2013.

 

Ciò in quanto il citato decreto del Ministro dell'economia e delle finanze 21 febbraio 2013, all'articolo 19, comma 5, dispone che la Società di Gestione Accentrata provvede al versamento dell'imposta - in forza delle deleghe conferitegli dai responsabili dell'imposta stessa - entro il giorno 16 del secondo mese successivo alla data dell'operazione eccetto che per le operazioni del mese di novembre per le quali il versamento è effettuato entro il giorno 19 del mese di dicembre.

 

Si ricorda che ai sensi dell’articolo 80 del D.Lgs. n. 58 del 1998 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria) l'attività di gestione accentrata di strumenti finanziari ha carattere di impresa ed è esercitata nella forma di società per azioni, anche senza fine di lucro. Le società di gestione accentrata hanno per oggetto esclusivo la prestazione del servizio di gestione accentrata di strumenti finanziari e possono svolgere attività connesse e strumentali.

 

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

Il 14 febbraio 2013 la Commissione europea ha presentato la proposta di decisione che attua una cooperazione rafforzata nel settore dell’imposta sulle transazioni finanziarie (COM(2013)71). La decisione di ricorrere alla cooperazione rafforzata si è resa necessaria a causa dell’impossibilità di raggiungere, su una proposta analoga, l’unanimità dei 27 Stati membri, richiesta dai Trattati in materia di fiscalità.

L’imposta si applicherebbe a tutte le transazioni di strumenti finanziari tra enti finanziari per le quali almeno una controparte della transazione sia stabilita all’interno dell’UE. Lo scambio di azioni e obbligazioni sarebbe tassato con un’aliquota dello 0,1%, mentre per i derivati l’aliquota sarebbe dello 0,01%. Sarebbero escluse le transazioni con la BCE e le banche centrali nazionali, con i fondi di stabilizzazione dell’eurozona (EFSF ed ESM) e con le organizzazioni internazionali riconosciute dagli Stati membri. Sarebbero altresì esclusi i titoli di Stato collocati nel mercato primario.

La proposta segue una procedura legislativa speciale (già procedura di consultazione), che richiede l’unanimità in seno al Consiglio dell’UE e la mera consultazione del Parlamento europeo, il cui parere è atteso per la sessione del 3 luglio 2013. Il negoziato in seno al Consiglio sta evidenziando alcuni nodi legati, da un lato, al fatto che alcuni Stati membri, tra cui l’Italia, hanno già una tassa analoga a livello nazionale e incontrano delle difficoltà nel passaggio alla soluzione europea; dall'altro, all'individuazione degli elementi da escludere dall'ambito di applicazione della tassa (Italia, Francia e Spagna richiederebbero l’esenzione dalla tassa delle transazioni relative ai titoli di debito pubblico).

 

Il prospetto riepilogativo ascrive alla norma i seguenti effetti sui saldi di finanza pubblica.

 (milioni di euro)

 

Saldo netto da finanziare

Fabbisogno

Indebitamento netto

 

2013

2014

2015

2013

2014

2015

2013

2014

2015

Minori entrate – proroga termine di versamento dell’imposta

6,75

 

 

6,75

 

 

6,75

 

 

Maggiori spese correnti – oneri per interessi per slittamento del gettito dell’imposta

6,10

 

 

6,10

 

 

6,10

 

 

 

La relazione tecnica, per quanto riguarda il rinvio del termine di versamento per i trasferimenti di cui al comma 491 e per gli ordini di cui al comma 495 relativi ai predetti trasferimenti, nonché il rinvio dei versamenti dovuti dalla Società di gestione accentrata, evidenzia che essi non comportano effetti in termini di minori entrate in considerazione del fatto che il gettito è in ogni caso garantito nella stessa annualità.

Relativamente allo spostamento della decorrenza di applicazione dell’imposta dal 1° luglio al 1° settembre 2013 per le transazioni sui derivati e per le negoziazioni ad alta frequenza sugli stessi, la RT stima i seguenti effetti negativi sul gettito, sulla base di quanto valutato in sede di RT al provvedimento originario:

(milioni di euro)

2013

2014

2015

-6,75

0

0

 

La RT afferma, inoltre, che a tali effetti vanno aggiunti oneri per 6,1 milioni di euro dovuti alla maggiore spesa per interessi relativa allo slittamento del gettito di circa 640 milioni di euro per 80 giorni medi.

Pertanto, in base a quanto affermato dalla RT, la disposizione comporta oneri complessivi pari a 12,85 milioni di euro nel 2013, alla cui copertura si provvede ai sensi dell’articolo 61.

 

In merito ai profili di quantificazione, si rileva che la relazione tecnica non fornisce i dati e gli elementi utilizzati per la quantificazione degli effetti finanziari. Sul punto appaiono necessarie maggiori informazioni al fine di consentire una verifica degli effetti ascritti[122].

Inoltre, con particolare riferimento alla stima effettuata ai fini della determinazione della maggiore spesa per interessi, appare opportuno un chiarimento del Governo in merito sia alla determinazione dell’ammontare di 640 milioni indicato nella RT, sia alla misura del tasso di interesse utilizzato per la quantificazione del relativo onere. Ciò appare necessario anche al fine di valutare la prudenzialità della stima effettuata con riferimento a eventuali maggiori oneri dovuti alla variabilità del tasso di interesse.

 

In merito ai profili di copertura finanziaria si segnala che il comma 2 non indica esplicitamente la quantificazione degli oneri derivanti dalla proroga del termine di versamento dell’imposta sulle transazioni finanziarie. Tale quantificazione può desumersi esclusivamente dalla relazione tecnica e dal prospetto riepilogativo degli effetti finanziari allegato alla stessa. Pertanto al fine di verificare la coerenza tra gli oneri quantificati e la loro copertura finanziaria di cui all’articolo 61, appare opportuno integrare la disposizione in esame indicando esplicitamente la quantificazione dei relativi oneri, valutata in 12,85 milioni di euro nell’anno 2013. Al riguardo, appare opportuno acquisire l’avviso del Governo.

 


 

Articolo 57
(Interventi straordinari a favore della ricerca per lo sviluppo del Paese )

L’articolo 57 elenca una serie di interventi diretti al sostegno e allo sviluppo delle attività di ricerca fondamentale[123] e di ricerca industriale[124] che il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca sostiene con un contributo alla spesa, utilizzando a tal fine una parte della quota del fondo FAR destinata alla contribuzione a fondo perduto, nel limite del cinquanta per cento di essa (comma 1).

 

Gli interventi a sostegno della ricerca industriale e applicata, di competenza del MIUR, gravano sul Fondo per le agevolazioni alla ricerca (FAR) (attualmente confluito nel FIRST[125]), che si compone di una parte destinata al «credito agevolato», quale fondo di rotazione sul conto di tesoreria (C.to 3001) tenuto presso la Banca d'Italia, e di una parte destinata al «contributo alla spesa».

Secondo i dati forniti dalla relazione illustrativa, il rapporto tra le disponibilità del Fondo, negli ultimi cinque anni (fino al 2011, anno dell'ultimo rifinanziamento della parte destinata al contributo alla spesa), è stato di circa il 12% per il contributo alla spesa e l'88% per la parte di credito agevolato, con un tendenziale allargamento della forbice percentuale a discapito del contributo alla spesa.

La quota di interessi percepiti, a seguito del rientro di mutui o prestiti, negli ultimi dieci anni fino al 2012, è pari a circa 72 milioni di euro. Tale montante ha costituito un'alimentazione «esterna» che ha incrementato la dotazione iniziale del Fondo.

A causa della grave crisi economica di questi ultimi anni le imprese si sono trovate in grandi difficoltà a utilizzare il finanziamento di progetti di ricerca sotto la forma di mutui/prestiti e di credito agevolato, nonostante le condizioni particolarmente favorevoli sia con riferimento al tempo di restituzione (piano di ammortamento in dieci anni) che al tasso molto agevolato accordato (0,5 per cento).

Si rende pertanto necessario un intervento mirato di sostegno alle imprese privilegiando il contributo alla spesa.

 

Gli interventi elencati dalla norma mirano in particolare:

a)   al rafforzamento della ricerca fondamentale condotta nelle università e negli enti pubblici di ricerca;

b)   alla creazione e allo sviluppo di start-up innovative e spin-off universitari;

c)   alla valorizzazione dei progetti di social innovation per giovani al di sotto dei 30 anni;

d)   al sostegno allo sviluppo di capitale di rischio e crowdfunding (ovvero al finanziamento dei progetti effettuato da una molteplicità di soggetti);

e)   al potenziamento del rapporto tra mondo della ricerca pubblica e imprese, mediante forme di sostegno che favoriscano la partecipazione del mondo industriale al finanziamento dei corsi di dottorato e assegni di ricerca post-doc;

f)     al potenziamento infrastrutturale delle università e degli enti pubblici di ricerca, anche in relazione alla partecipazione alle grandi reti infrastrutturali europee nell'ottica di Horizon 2020;

g)   al sostegno agli investimenti in ricerca delle piccole e medie imprese, e in particolare delle società nelle quali la maggioranza delle quote o delle azioni del capitale sia posseduta da giovani al di sotto dei 35 anni;

h)   alla valorizzazione di grandi progetti/programmi a medio-lungo termine condotti in partenariato tra imprese e mondo pubblico della ricerca, con l'obiettivo di affrontare le grandi sfide sociali contemporanee;

i)      al supporto e alla incentivazione dei ricercatori che risultino vincitori di grant europei o di progetti a carico dei fondi PRIN o FIRB;

j)      l) al sostegno dell'internazionalizzazione delle imprese che partecipano a bandi europei di ricerca.

 

Secondo il comma 2, le risorse disponibili nel fondo FAR da destinare agli interventi elencati sono individuate con decreto del MIUR, di concerto con il MEF.

 

 

Si ricorda che gli articoli 60-63 del D.L. 83/2012 hanno ridefinito gli interventi di competenza del MIUR diretti al sostegno delle attività di ricerca fondamentale e di ricerca industriale.

Con il D.M. 19 febbraio 2013 il MIUR ha attuato tali disposizioni prevedendo le modalità di utilizzo e gestione del Fondo per gli investimenti nella ricerca scientifica e tecnologica (FIRST) e le disposizioni procedurali per la concessione delle agevolazioni a valere sulle relative risorse finanziarie, a norma degli articoli 60, 61, 62 e 63 del citato decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83.

 

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

Unione per l’innovazione

La strategia Europa 2020, avviata dal Consiglio europeo nel 2010, ha fissato l’obiettivo di un aumento degli investimenti nel settore ricerca e sviluppo tecnologico al 3% del PIL dell'UE entro il 2020 e ha inaugurato, tra le altre iniziative faro, l"Unione dell'innovazione", articolata nei seguenti obiettivi:

§       rafforzare la base di conoscenze dell'Europa e ridurre la frammentazione, promuovendo l'eccellenza nell'istruzione e lo sviluppo delle competenze, completando lo Spazio europeo della ricerca e sostenendo l'Istituto europeo di innovazione e tecnologia;

§       commercializzare le buone idee, aumentando l'accesso ai finanziamenti per le imprese innovative, creando un mercato unico dell'innovazione, promuovendo l'apertura e facendo leva sul potenziale creativo dell'Europa;

§       eliminare le disuguaglianze sociali e geografiche, diffondendo i benefici dell'innovazione in tutta l'UE, con una specializzazione intelligente e prestazioni sociali migliori;

§       unire le forze dei settori pubblico e privato per realizzare importanti progressi, avviando iniziative specifiche, denominate "partenariati europei per l'innovazione”, per tentare di eliminare simultaneamente tutti gli ostacoli, sul lato della domanda e dell'offerta, e far beneficiare dell'innovazione i cittadini europei nel più breve tempo possibile.

Horizon 2020

Nell'ambito delle azioni previste nel prossimo quadro finanziario pluriennale (QFP) 2014-2020, la Commissione europea ha presentato il 30 novembre 2011 un pacchetto di proposte relative all'istituzione di un nuovo strumento di finanziamento per la ricerca e l'innovazione nell'UE (programma Orizzonte 2020 - Horizon 2020).

Il nuovo strumento è destinato a riunire in un unico programma i finanziamenti erogati dall’UE - nell'attuale periodo di programmazione finanziaria 2007-2013 - a sostegno dell'intera catena dell'innovazione nell’ambito del settimo quadro del Programma Quadro per la Ricerca e lo Sviluppo Tecnologico (7PQ), del Programma per la Competitività e l'Innovazione (CIP) e dei finanziamenti per l'Istituto Europeo di Innovazione e Tecnologia (EIT).

Il totale dei finanziamenti previsti dalla Commissione europea è pari a 80 miliardi di euro per il periodo dal 2014 al 2020, 26 miliardi in più rispetto al periodo di programmazione finanziaria 2007-2013. La proposta della Commissione individua tre priorità o settori di intervento:

§       eccellenza scientifica: l’obiettivo è quello di rafforzare e consolidare lo spazio europeo della ricerca al fine di consentire al sistema di ricerca e innovazione dell’UE di essere più competitivo su scala mondiale;

§       leadership industriale: si intende accelerare lo sviluppo delle tecnologie e delle innovazioni a sostegno delle imprese, in particolare le PMI, rafforzando l’innovazione attraverso investimenti strategici nelle tecnologie chiave sia nei settori maturi sia in quelli emergenti.

§       sfide per la società: attraverso la promozione di una serie di azioni di natura trasversale (salute, cambiamento demografico, sicurezza alimentare, trasporti intelligenti, clima e risorse energetiche alternative, inclusione sociale).

Ciascuna delle suddette priorità è articolata in una serie di obiettivi specifici.

 

Profili finanziari

Il prospetto riepilogativo non considera la norma.

 

La relazione tecnica specifica, con riferimento al comma 1, che la disposizione prevede misure per la valorizzazione dei talenti, il potenziamento delle capacità di ricerca dei soggetti pubblici, il sostegno agli investimenti in ricerca delle imprese, sia grandi che piccole e medie, il lancio di grandi programmi di partenariato pubblico e privato, il rifinanziamento della ricerca fondamentale delle università e degli enti pubblici di ricerca.

Afferma che, per le finalità della norma, è utilizzata la quota destinata a contributi a fondo perduto del FAR. A tale proposito specifica che gli interventi a sostegno della ricerca industriale/applicata, di competenza del Ministero, gravano sul Fondo per le Agevolazioni alla Ricerca (FAR)[126], per la parte di “credito agevolato” (CA) quale fondo di rotazione. Sul Fondo sono presenti anche stanziamenti per il contributo alla spesa (CS).

La RT sottolinea come il rapporto tra le disponibilità, negli ultimi cinque anni (fino al 2011, anno dell’ultimo rifinanziamento del CS) sia stato pari al 12% per il CS e all’88% per il CA, con costante allargamento della forbice percentuale, a discapito del contributo alla spesa.

Secondo la RT, la quota interessi percepiti, a seguito della concessione di mutui/prestiti, negli ultimi dieci anni e fino al 2012, è pari a circa 72 milioni di euro. Tale montante ha costituito un’alimentazione “esterna” (costo del prestito a carico delle imprese beneficiarie dei prestiti) diversa da quella iniziale a carico del bilancio dello Stato.

La RT, afferma inoltre che l’intervento normativo mira a risolvere la mancanza di risorse anche per gli altri interventi di competenza del Ministero, oltre quelli di ricerca industriale/applicata.

Specifica quindi che le risorse disponibili sul fondo FAR assommano ad euro 100 milioni.

Afferma, infine, che la norma in esame si limita a dare una diversa finalizzazione alle somme presenti a titolo di contributo alla spesa, naturalmente nel limite di quelle disponibili e quindi di quelle che non siano già gravate da obbligazioni giuridicamente perfezionate. La norma non può quindi comportare nuovi o maggiori oneri.

 

In merito ai profili di quantificazione, andrebbe chiarito se i nuovi utilizzi dei contributi a fondo perduto del FAR previsti dalla norma possano determinare un’accelerazione della spesa rispetto alle previsioni scontate nei tendenziali con riferimento alla quota del FAR che attualmente opera quale fondo rotativo.


 

Articolo 58, commi 1, 2, 4-7
(Turn over nelle università e negli enti di ricerca)

L’articolo 58, co. 1, 2 e da 4 a 7, anticipa di un anno la possibilità che le università e gli enti di ricerca effettuino assunzioni nella misura del 50% (in luogo del 20%) della spesa relativa al corrispondente personale complessivamente cessato dal servizio nell'anno precedente. Ai maggiori oneri derivanti dall’aumento della facoltà di assunzione, pari ad euro 25 milioni nell’anno 2014 ed euro 49,8 milioni annui a decorrere dall’anno 2015, si provvede utilizzando parte dei risparmi conseguenti alle riduzioni di spesa per i servizi esternalizzati nelle scuole.

 

In particolare, il comma 1, apportando alcune modifiche all’articolo 66 del D.L. 112/2008 (L. 133/2008), concernente la disciplina sulla limitazione del turn-over nelle Amministrazioni pubbliche – che disponeva, ai commi 13-bis e 14, che università ed enti di ricerca potessero procedere ad assunzioni nella misura del 20% della spesa relativa al corrispondente personale complessivamente cessato dal servizio nell'anno precedente per il triennio 2012-2014, del 50% per il 2015 e del 100% dal 2016 –, prevede che i richiamati enti possano procedere ad assunzioni nella misura del 50% della spesa relativa al corrispondente personale cessato dal servizio nell’anno precedente per gli anni 2014 e 2015.

 

In base al comunicato stampa presente sul sito del Governo, in tal modo “si liberano posti per 1.500 ordinari e 1.500 nuovi ricercatori in “tenure track” (di cui all’art. 24, L. 240/2010).

 

In materia di limiti alle assunzioni per le università, si ricorda che l’art. 66 del D.L. 112/2008 (L. 133/2008) è stato da ultimo novellato dall’art. 14, co. 3, del D.L. 95/2012 (L. 135/2012) che, in particolare, con il comma 13-bis, ha definito una nuova disciplina per il turn over. In base alla nuova disciplina, le misure percentuali fissate valgono con riferimento “al sistema” delle università nel suo complesso, mentre all’attribuzione del contingente di assunzioni spettante a ciascun ateneo si provvede con decreto ministeriale, tenuto conto di quanto previsto dall’art. 7 del D.Lgs. 49/2012 (che ha individuato le combinazioni dei livelli degli indicatori di spesa per il personale e di spesa per indebitamento rilevanti, per ciascun ateneo, per la determinazione, tra l’altro, della misura delle assunzioni di personale a tempo indeterminato e del conferimento di contratti di ricerca a tempo determinato).

 

A tal fine, il comma 2 incrementa i fondi sui quali gravano le spese per il personale dei rispettivi comparti, prevedendo che:

§      il “Fondo per il funzionamento delle università statali” – rectius: Fondo per il finanziamento ordinario delle università – è incrementato di 21,4 milioni di euro nel 2014 e di 42,7 milioni di euro annui dal 2015;

§      il Fondo ordinario per gli enti di ricerca vigilati dal MIUR è incrementato di 3,6 milioni di euro nel 2014 e di 7,1 milioni di euro annui dal 2015.

 

La relazione tecnica chiarisce che l’importo stimato per il 2014 è pari al 50 per cento (circa) di quello a regime, ipotesi strutturata sull’assunto che nel 2014 le nuove assunzioni siano equidistribuite in corso d’anno.

 

Il Fondo per il finanziamento ordinario delle università (FFO), previsto dall’art. 5, co. 1, lett. a), della L. 537 del 1993, è allocato sul cap. 1694 dello stato di previsione del MIUR.

Il DM 111878 del 31 dicembre 2012, di ripartizione in capitoli, reca in corrispondenza del cap. 1694 una previsione di stanziamento di 6.574,3 milioni di euro per il 2014 e di 6.544,7 milioni di euro per il 2015, a fronte di 6.694,7 milioni di euro stanziati per il 2013.

 

Il Fondo ordinario per gli enti di ricerca vigilati dal MIUR (Consiglio nazionale delle ricerche, Agenzia spaziale italiana, Istituto nazionale di fisica nucleare, Istituto nazionale di astrofisica, Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, Istituto nazionale di ricerca metrologica, Istituto nazionale di oceanografia e geofisica sperimentale, Stazione zoologica A. Dohrn, Consorzio per l’Area di ricerca scientifica e tecnologica di Trieste, Istituto nazionale di alta matematica “F. Severi”, Museo storico della fisica-Centro di studi e ricerche E. Fermi, Istituto italiano di studi germanici), previsto dall’art. 7 del d.lgs. 204/1998, è determinato nella tab. C della legge di stabilità ed è allocato sul cap. 7236 dello stato di previsione del MIUR.

Il DM di ripartizione in capitoli sopra citato reca, in corrispondenza del cap. 7236, una previsione di spesa di 1.766,2 milioni di euro per il 2014 e di 1.759,5 milioni di euro per il 2015, a fronte di 1.768,5 milioni di euro stanziati per il 2013.

 

Ai sensi del comma 4, ai maggiori oneri derivanti dall’aumento della facoltà di assunzione, pari, dunque, ad euro 25 milioni nell’anno 2014 ed euro 49,8 milioni annui a decorrere dall’anno 2015, si provvede utilizzando parte dei risparmi conseguenti alle riduzioni di spesa per i servizi esternalizzati nelle scuole, di cui al comma 5.

Quest’ultimo fissa, per le istituzioni scolastiche ed educative statali, a decorrere dall’anno scolastico 2013/2014, un tetto alla spesa per l’acquisto di servizi esternalizzati, che devono avvenire nel rispetto dell’obbligo di avvalersi delle convenzioni quadro CONSIP: la spesa, infatti, non può essere superiore a quella che si sosterrebbe per coprire i posti di collaboratore scolastico accantonati ai sensi dell’art. 4 del DPR 119/2009. In relazione a questi ultimi, dispone anche che, a decorrere dal medesimo a.s. 2013/2014, il numero di posti accantonati non deve essere inferiore a quello dell’a.s. 2012/2013.

 

Si ricorda che l’articolo 1, comma 449, della legge n. 296/2006, richiamato nel testo del comma 5, dispone che tutte le amministrazioni statali centrali e periferiche, compresi gli istituti e le scuole di ogni ordine e grado, le istituzioni educative e le istituzioni universitarie, sono tenute ad approvvigionarsi di beni e servizi utilizzando le convenzioni-quadro CONSIP.

In relazione all’esternalizzazione dei servizi nelle scuole, l’art. 4 del DPR 119/2009 ha disposto che nelle istituzioni scolastiche in cui i compiti del profilo di collaboratore scolastico sono assicurati, in tutto o in parte, da personale esterno all'amministrazione, è indisponibile, a qualsiasi titolo, il 25% dei posti del corrispondente profilo professionale.

 

In particolare, la relazione illustrativa e la relazione tecnica chiariscono che l’importo a base di gara previsto per “la stipulanda convenzione Consip” per i servizi esternalizzati – che si prevede divenga attiva per il mese di settembre 2013 – sarà pari alla spesa che si sarebbe sostenuta per assumere un numero di collaboratori scolastici pari a quanti sono i posti accantonati in organico.

Il limite di spesa annuale è stimato in circa 280 milioni di euro - derivanti dal prodotto fra il numero dei posti di collaboratore scolastico accantonati nell’a.s. 2012-2013, pari a 11.851 posti, e lo stipendio annuale lordo di un collaboratore scolastico supplente, pari a 23.581,37 euro - a fronte di una spesa attuale di 390 milioni di euro.

Pertanto, il risparmio complessivo derivante dalle disposizioni recate dal comma 5 ammonta, in base alla relazione tecnica, a 110 milioni di euro annui a decorrere dal 2014 e di 36,6 milioni di euro già nel 2013..

 

In base al comma 6, le eventuali risorse recuperate attraverso quanto disposto dal comma 5, ulteriori rispetto agli importi indicati al comma 4 (25 milioni di euro per il 2014 e 49,8 milioni di euro annui a decorrere dal 2015), e al netto di quanto necessario per la compensazione degli effetti finanziari derivanti dall’art. 59, co. 9 – che dispone il riutilizzo delle somme impegnate e non pagate nel 2011 e 2012 del Fondo per il merito per nuove finalità (borse per la mobilità), tramite il versamento all’entrata del bilancio (v. infra) - sono destinate al funzionamento delle scuole e alle supplenze brevi.

 

Profili finanziari

Il prospetto riepilogativo ascrive alla norma i seguenti effetti sui saldi di finanza pubblica.

 (milioni di euro)

 

Saldo netto da finanziare

Fabbisogno

Indebitamento netto

 

2013

2014

2015

2013

2014

2015

2013

2014

2015

 

Maggiori spese correnti

Comma 2 ( FFO)

 

21,4

42,7

0,0

11,0

22,0

0,0

11,0

22,0

Comma 3 (Fondo ordinario enti di ricerca)

 

3,6

7,1

0,0

1,9

3,7

0,0

1,9

3,7

 

Totale commi 2 e 3

 

25,0

49,8

 

12,9

25,7

 

12,9

25,7

 

Minori spese correnti

Comma 5 (Riduzione risorse per servizi esternalizzati pulizia scuole)

 

25,0

49,8

 

25,0

49,8

 

25,0

49,8

 

 

La relazione tecnica spiega che la stima dei maggiori oneri di personale conseguenti alle disposizioni di cui ai commi 1 e 2, pari a euro 49,8 milioni lordo Stato a regime dall’anno 2015, è stata effettuata sulla base di un tasso di cessazione al 2,5% nell’anno 2013 sia per le università che per gli enti di ricerca, tenendo conto della spesa media per il personale dei relativi comparti come risultante dal Conto Annuale.

La RT presuppone che nel 2014, le assunzioni siano equidistribuite nel corso dell’anno e computa il relativo onere di tale anno nella misura del 50% di quello a regime. All’onere di regime, pari a complessivi 49,8 milioni a partire dal 2015, in termini di saldo netto da finanziare, corrisponde un effetto negativo sull’indebitamento netto e sul fabbisogno pari ad euro 25,7 milioni.

La RT specifica che il maggior onere come sopra determinato, è coperto, ai sensi dei commi da 4 a 6, mediante una riduzione delle spese per l’esternalizzazione dei servizi di pulizia ed altri servizi ausiliari presso le scuole.

Con riferimento al comma 3 la RT afferma che la norma è di carattere ordinamentale e dunque priva di effetti sulle finanze pubbliche.

La RT, con riferimento ai commi da 4 a 6, ricorda che le scuole statali possono provvedere all’acquisto di servizi esternalizzati solo e unicamente nei casi in cui alle stesse non sia assegnato tutto il personale collaboratore scolastico ordinariamente spettante, perché sono stati operati accantonamenti sui posti di organico di diritto. A tale riguardo fa presente che nel corrente anno scolastico 2012/2013 sono accantonati 11.851 posti di collaboratore scolastico.

Poiché lo stipendio annuale di un collaboratore scolastico supplente è pari ad euro 23.581 lordi, compresa l’indennità di vacanza contrattuale, la spesa massima per i contratti di esternalizzazione dei servizi di pulizia ed altri servizi ausiliari sarà pari a 11.851 x euro 23.581 = 280,2 milioni l’anno.

La RT ricorda che la spesa attuale è pari ad euro 390 milioni l’anno. Rispetto alla somma disponibile a legislazione vigente ed iscritta nello stato di previsione del MIUR (390 milioni), il limite di spesa annuale per i predetti servizi viene fissato in euro 280,2 milioni, con una differenza prevista di circa 110 milioni, sia in termini di saldo netto da finanziare che di indebitamento netto.

Sottolinea che detta riduzione di spesa non comporterà alcuna riduzione dei servizi acquistati dalle scuole, grazie al fatto che la stipulanda convenzione Consip prevede una base d’asta già definita, al netto dei servizi di competenza degli EE.LL., in misura pari al costo che si sosterrebbe per assumere 11.851 collaboratori scolastici, ad invarianza delle superfici pulite.

La RT prevede che la Convenzione Consip divenga attiva per il mese di settembre 2013, assicurando quindi il raggiungimento della quota di risparmi occorrente per la copertura dei maggiori oneri comportati dai commi 1 e 2.

Secondo la RT, la riduzione degli stanziamenti iscritti nei capitoli rimodulabili dei programmi della missione “Istruzione scolastica” prevista dal comma 5, risulta quindi assorbita dai maggiori oneri relativi all’incremento delle facoltà assunzionali di università ed enti di ricerca.

La RT reca quindi il seguente prospetto nel quale vengono indicati gli effetti sui saldi di finanza pubblica degli interventi di cui ai commi da 4 a 6:

 

(milioni di euro)

Effetti delle disposizioni per acquisto di servizi di pulizia nelle scuole

Saldo netto da finanziare

Fabbisogno/indebitamento netto

2013

2014

2015

2013

2014

2015

Spesa attuale servizi di pulizia

390

390

390

390

390

390

Dopo la stipula conv. CONSIP (da settembre 2013)

353,4

280

280

353,4

280

280

Risparmio previsto

36,6

110

110

36,6

110

110

                                                                 

 

La RT conclude ricordando che parte dei  predetti risparmi, anche in termini di indebitamento netto e fabbisogno, sono utilizzati per la copertura dei maggiori oneri di cui ai commi 2 e 3 del presente articolo oltre che del successivo articolo 59.

 

In merito ai profili di quantificazione non si hanno rilievi da formulare, tenuto conto che le quantificazioni riportate nella relazione tecnica in merito agli oneri determinati dai commi 1 e 2 appaiono sostanzialmente in linea con la quantificazione dei risparmi effettuata dalla RT riferita al DL 95/2013 (Spending review) relativi alla riduzione delle facoltà assunzionali delle università e degli enti di ricerca.

Quanto alla copertura degli oneri suddetti mediante l’utilizzo dei risparmi di spesa prodotti dal comma 5, si rileva che la riduzione delle risorse per i servizi esternalizzati si rende possibile senza pregiudizio per le istituzioni scolastiche solo a condizione che le convenzioni CONSIP per i servizi di pulizia possano effettivamente essere stipulate nei termini indicati e per l’ammontare di spesa riportato dalla RT (280 milioni di euro, anziché 390).

Sul punto sarebbe utile una conferma da parte del Governo, tenuto conto peraltro che parte dei risparmi attesi deve essere utilizzata per la compensazione degli effetti in termini di fabbisogno e indebitamento netto derivati dal comma 9 del successivo articolo 59.

 

In merito ai profili di copertura finanziaria, appare opportuno riformulare la disposizione di cui al comma 2 esplicitando che il rifinanziamento del Fondo per il funzionamento delle università statali e di quello degli enti di ricerca viene disposto al fine dell’attuazione degli interventi di cui al comma 1. Analogamente andrebbe riformulato il comma 4, riferendo gli oneri al comma 2, anziché al comma 1.

Con riferimento al comma 5, si potrebbe valutare la possibilità di riformulare la disposizione prevedendo, in coerenza con quanto precisato nella relazione tecnica, la riduzione degli stanziamenti destinati alle convenzioni per i servizi esternalizzati iscritti nei capitoli di spesa rimodulabili dei programmi della missione “Istruzione scolastica”, da attuare in conseguenza dei risparmi attesi dalle disposizioni di cui al medesimo comma 5. Sul punto appare opportuno acquisire l’avviso del Governo.


 

Articolo 58, comma 3
(Chiamate dirette nelle università)

Il comma 3 dell’art. 58 modifica la procedura per la chiamata diretta, da parte delle università, di studiosi che siano risultati vincitori di specifici programmi di ricerca di alta qualificazione, ove la chiamata sia effettuata entro 3 anni dalla vincita del programma, escludendo la necessità del parere dell’apposita commissione nominata dal Consiglio universitario nazionale (CUN).

A tal fine, novella l’art. 1, comma 9, della L. 230/2005, come da ultimo modificato dall’art. 29, co. 7, della L. 240/2010.

 

La relazione illustrativa evidenzia che nel caso specifico il parere della commissione non appare necessario perché la valutazione tecnica è stata già fatta in sede di selezione dei programmi da parte del MIUR.

 

L’art. 29, co. 7, della L. 240/2010 ha aggiunto alle due possibilità di chiamata diretta, da parte delle università, di professori ordinari e associati e di ricercatore, già previste dall’art. 1, co. 9, della L. 230/2005 (studiosi impegnati all’estero da almeno un triennio in attività di ricerca o insegnamento universitario, che ricoprano una posizione accademica equipollente in istituzioni universitarie estere; studiosi che abbiano già svolto per chiamata diretta autorizzata dal MIUR, nell’ambito del “programma di rientro dei cervelli” - si veda dossier del Servizio Studi n. 387/3 dell’8 febbraio 2011 -, un periodo di almeno 3 anni di ricerca e di docenza nelle università italiane e conseguito risultati scientifici congrui rispetto al posto per il quale ne viene proposta la chiamata), una terza possibilità, riferita a studiosi che siano risultati vincitori nell’ambito di specifici programmi di ricerca di alta qualificazione, finanziati dall’Unione europea o dallo stesso MIUR.

I programmi in questione sono stati individuati con DM MIUR 1 luglio 2011 (GU n. 256 del 3 novembre 2011). In particolare, l’art. 2 del DM ha disposto che i programmi devono avere una durata almeno triennale e non devono essersi conclusi, al momento della proposta di chiamata, da più di tre anni. Gli artt. 3 e 4 hanno identificato gli specifici programmi finanziati, rispettivamente, dal MIUR e dall’UE, mentre l’art. 5 ha disposto la revisione del DM ogni due anni.

Una ulteriore modifica introdotta dall’art. 29, co. 7, della L. 240/2010 ha riguardato la procedura. In particolare, è stato previsto che, per tutte le ipotesi di chiamata diretta, la concessione o il rifiuto del nulla osta da parte del Ministro, sulla base delle proposte formulate dalle università, siano preceduti dal parere di una commissione, nominata dal CUN, composta da tre professori ordinari appartenenti al settore scientifico disciplinare in riferimento al quale è proposta al chiamata (previamente, il parere era richiesto solo per la chiamata di studiosi di chiara fama, ulteriore ipotesi disciplinata dall’art. 1, co. 9, della L. 230/2005).

 


 

Articolo 59
(Borse di mobilità per gli studenti universitari)

L’art. 59 prevede un’autorizzazione di spesa di complessivi 17 milioni di euro per gli anni 2013-2015, finalizzata all’erogazione di borse per la mobilità in favore di studenti che intendano iscriversi nell’a.a. 2013/2014 ad una università che abbia sede in una regione diversa da quella di residenza.

Per avere accesso al beneficio è necessario aver conseguito in Italia, nell’anno scolastico 2012/2013, un diploma di istruzione secondaria di secondo grado con voto almeno pari a 95/100. Sono poi individuati ulteriori criteri per l’inserimento nella graduatoria di ammissione al beneficio.

 

In particolare, il comma 1 dispone che è autorizzata la spesa di 5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2013 e 2014 e di 7 milioni di euro per l’anno 2015, da iscrivere sul Fondo per il finanziamento ordinario delle università (si veda, per l’importo complessivo del FFO, la scheda relativa all’art. 60), per l’erogazione di borse per la mobilità a favore di studenti meritevoli che, per l’a.a. 2013/2014, intendano iscriversi a corsi di laurea o a corsi di laurea magistrale a ciclo unico di cui all’art. 6, co. 3, del DM 270/2004, presso università statali o non statali italiane - con esclusione delle università telematiche - che hanno sede in regione diversa da quella di residenza.

 

Con riferimento alla tipologia di corsi di laurea citati, si ricorda che, a seguito dell'art. 17, co. 95, della L. 127/1997, con DM 509/1999 è stato introdotto nell’ordinamento il c.d. “modello 3+2”, in base al quale le università rilasciano titoli di primo e di secondo livello, ossia laurea e laurea specialistica. I corsi di studio dello stesso livello, comunque denominati dagli atenei, aventi gli stessi obiettivi formativi qualificanti e le conseguenti attività formative sono raggruppati in classi di appartenenza, individuate attraverso decreti ministeriali.

Il medesimo DM ha introdotto i crediti formativi universitari (CFU), funzionali ad assicurare una maggiore mobilità internazionale degli studenti. I CFU misurano la quantità di impegno complessivo di apprendimento richiesta allo studente, comprensivo dello studio individuale e della partecipazione a lezioni, esercitazioni, tirocini e attività di orientamento. A ciascun CFU corrispondono, di norma, 25 ore di lavoro. Il lavoro di un anno corrisponde convenzionalmente a 60 crediti. Lo studente deve acquisire 180 crediti per conseguire la laurea e ulteriori 120 crediti per conseguire la laurea specialistica.

In seguito, il DM 270/2004 ha sostituito la denominazione di laurea specialistica con quella di laurea magistrale e, all’art. 6, co. 3, ha previsto la possibilità di ammissione (diretta) ad un corso di laurea magistrale con il possesso del diploma di scuola secondaria superiore, esclusivamente per i corsi regolati da normative dell'Unione europea che non prevedano, per i medesimi, titoli universitari di primo livello, ovvero per i corsi di studio finalizzati all'accesso alle professioni legali.

Su tale base, sono stati istituiti un corso di laurea magistrale in giurisprudenza (classe LMG/01) e, con riferimento ai corsi di laurea magistrale a ciclo unico regolati da direttive comunitarie che non prevedono titoli di primo livello, i corsi di laurea in: farmacia e farmacia industriale (LM-13); medicina e chirurgia (LM-14); medicina veterinaria (LM-42); odontoiatria e protesi dentaria (LM-46); architettura e ingegneria edile-architettura (LM–4).

Si ricorda, peraltro, che, con DM 249/2010 è stato istituito, in deroga esplicita alla previsione generale del “modello 3+2”, il corso di laurea magistrale a ciclo unico in Scienze della Formazione Primaria per l’insegnamento nella scuola dell’infanzia e nella scuola primaria (LM-85-bis) e che con DM 2 marzo 2011 è stata definita la classe di laurea magistrale a ciclo unico in Conservazione e restauro dei beni culturali (LMR/02) che, in base a quanto evidenziato dal rappresentante del Governo nella XVI legislatura, il 13 aprile 2010, in risposta all’interrogazione 5-02469, ha “come fonte normativa l'articolo 9 (rectius: 29), comma 9, del Codice dei beni culturali e del paesaggio e l'articolo 1, comma 4, del Decreto Ministeriale n. 87/2009”.

 

Appare dunque necessario chiarire se sono inclusi nella possibilità di ricevere le borse di studio per la mobilità gli studenti che si iscrivano ai corsi di laurea magistrale a ciclo unico in scienze della formazione primaria e ai corsi della classe di laurea magistrale a ciclo unico in conservazione e restauro dei beni culturali.

Sembrerebbe, inoltre, opportuno chiarire il riferimento all’iscrizione di risorse sul FFO anche in rapporto alle iscrizioni alle università non statali.

 

Si ricorda, infatti, che il FFO, istituito dall’art. 5, co. 1, lett. a), della L. 537 del 1993, riguarda le università statali, mentre i contributi alle università non statali legalmente riconosciute e abilitate a rilasciare titoli di studio con valore legale sono previsti dalla L. 243 del 1991.

Le risorse per il FFO sono allocate sul cap. 1694 dello stato di previsione del MIUR, mentre quelle per le università non statali sono allocate sul cap. 1692 dello stesso stato di previsione (sull’argomento, si veda anche la scheda relativa all’art. 60).

 

Il comma 3 prevede che l’ammissione al beneficio è disposta sulla base di criteri di merito, economici e logistici.

Con riferimento al criterio di merito - che rappresenta, anzitutto, un requisito - è previsto il conseguimento del diploma di istruzione secondaria di secondo grado in Italia nell’a.s. immediatamente precedente quello dell’iscrizione, ossia l’a.s. 2012/2013, con votazione almeno pari a 95/100. Valori superiori, come si vedrà infra, rilevano ai fini della graduatoria di ammissione al beneficio.

Le condizioni economiche dello studente sono individuate sulla base dell’Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE).

Il criterio logistico attiene alla distanza fra la sede di residenza dello studente e la sede dell’università alla quale questi intende iscriversi.

 

In base ai commi 2 e 4, le risorse sono suddivise fra le regioni con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, sentita la Conferenza Stato-regioni. Ogni regione elabora una graduatoria per le università site nel suo territorio ed attribuisce le borse fino ad esaurimento delle risorse spettanti. Le graduatorie sono comunicate al MIUR che, in base al comma 8, assegna le somme direttamente all’università presso la quale lo studente è iscritto, all’atto della sua effettiva immatricolazione. L’università provvede poi all’erogazione a favore dello studente.

 

Con riferimento alla formazione della graduatoria, il comma 4 dispone, inoltre, che, in caso di parità di punteggio, prevale, nell’ordine, il candidato che presenta un punteggio più alto relativo al criterio afferente alla condizione economica, quindi alla distanza fra la sede di residenza e quella dell’università prescelta e, infine, al voto conseguito nell’esame di Stato.

Peraltro, la definizione dei punteggi e delle modalità di attribuzione degli stessi per ciascuno dei criteri individuati dal comma 3 non è esplicitamente prevista dal provvedimento. Infatti, il comma 5 prevede che con un decreto interministeriale MIUR-MEF, da adottare, sentita la Conferenza Stato-regioni, entro il 30 luglio 2013, sono definiti “ulteriori criteri per la formazione della graduatoria”.

Sarebbe, dunque, opportuno chiarire se con l’espressione utilizzata si intenda fare riferimento anche all’aspetto indicato.

Allo stesso decreto è demandata, altresì, la definizione dell’importo delle borse di mobilità (che, secondo la relazione tecnica, potrebbe essere differenziato per regione, in rapporto ai costi del territorio) e le modalità di presentazione delle domande da parte degli studenti, per via telematica. Si stabilisce sin d’ora che il possesso dei requisiti richiesti è dichiarato dallo studente sotto la sua responsabilità ed è sottoposto a verifica all’esito dell’eventuale ammissione al godimento della borsa di studio.

 

Con riferimento al procedimento di emanazione dei decreti previsti ai commi 2 e 5, occorre valutare se la modalità di coinvolgimento della Conferenza Stato-regioni possa considerarsi sufficiente, alla luce della competenza legislativa esclusiva delle regioni in materia di diritto allo studio. In particolare, occorre valutare se non debba essere prevista l’intesa, in analogia con quanto dispone l’art. 7 del d.lgs. 68/2012 (si veda, più ampiamente, infra).

Con riferimento al decreto previsto al comma 5, si evidenzia, inoltre, che il termine previsto per la sua emanazione – 30 luglio 2013 – potrebbe essere antecedente alla data di conversione in legge del decreto-legge in esame e, dunque, esso potrebbe essere emanato senza tener conto delle modifiche eventualmente apportate nel corso dell’esame parlamentare.

 

Il mantenimento del diritto alla corresponsione della borsa di studio per gli anni accademici successivi al primo è subordinato, in base al comma 6, oltre che alla permanenza del requisito della residenza fuori sede, esclusivamente a requisiti di merito. In particolare, occorre aver acquisito almeno il 90 per cento dei CFU (si veda ante) previsti dal piano di studi per l’anno di iscrizione di riferimento, aver riportato negli esami una media di almeno 28/30 e nessun voto inferiore a 26/30.

In ogni caso, è necessario presentare ogni anno una apposita domanda.

 

Il comma 7 dispone che le borse di mobilità sono cumulabili con le borse di studio assegnate ai sensi del d.lgs. 68/2012.

 

Nell’ambito del sistema integrato di strumenti e servizi per la garanzia del diritto allo studio – al quale partecipano, nell’ambito delle rispettive competenze: lo Stato, che ha competenza esclusiva in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP); le regioni a statuto ordinario, che esercitano la competenza esclusiva in materia di diritto allo studio, disciplinando e attivando gli interventi per il concreto esercizio di tale diritto; le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano, che esercitano le competenze ad esse spettanti in base ai rispettivi statuti, tenendo conto dei LEP; le università e le istituzioni AFAM che, nei limiti delle proprie risorse, organizzano i propri servizi al fine di realizzare il successo formativo degli studi – il d.lgs. 68/2012 prevede l’erogazione di borse di studio in favore degli studenti meritevoli, anche se privi di mezzi, in possesso di determinati requisiti (v. infra).

La determinazione dell’importo standard della borsa di studio – cui si provvede con decreto MIUR-MEF, d’intesa con la Conferenza Stato-regioni, sentito il Consiglio nazionale degli studenti universitari (CNSU) – tiene in considerazione le differenze territoriali correlate ai costi di mantenimento agli studi. Questi ultimi sono calcolati, in maniera distinta per gli studenti in sede, pendolari o fuori sede, con riferimento alle voci di costo riferite a materiale didattico, trasporto, ristorazione, alloggio, accesso alla cultura. Il decreto è aggiornato con cadenza triennale (art. 7).

Una bozza di D.I. è all’esame della Conferenza Stato-regioni. In un comunicato stampa dell’11 aprile 2013, il MIUR ha evidenziato che ormai i contenuti del decreto non sono più in discussione e che si pone, invece, il nodo delle risorse future, a partire dall’a.a. 2014/2015.

In base all’art. 8 del d.lgs. 68/2012, la concessione delle borse di studio è assicurata, nei limiti delle risorse disponibili, a tutti gli studenti in possesso dei requisiti relativi al merito e alla condizione economica definiti con il medesimo D.I. che fissa con cadenza triennale l’importo.

I requisiti di merito sono stabiliti tenendo conto della durata normale dei corsi di studio, anche con riferimento ai valori mediani della relativa classe.

Le condizioni economiche saranno individuate sulla base dell’ISEE, anche tenendo conto della situazione economica del territorio in cui ha sede l’università o l’istituzione AFAM. Il d.lgs. dispone, inoltre, che si prevedono modalità integrative di selezione, quali l’Indicatore della situazione economica all’estero e l’Indicatore della situazione patrimoniale equivalente.

 

Fino all’emanazione del provvedimento, continuano ad applicarsi le disposizioni relative ai requisiti di merito e di condizione economica recate dal DPCM 9 aprile 2001, che utilizza come parametro di merito i CFU e individua le condizioni economiche dello studente sulla base degli stessi parametri previsti dal d.lgs. 68/2012.

 

Pertanto, nelle more dell'attuazione degli artt. 7 e 8 del d.lgs. 68/2012, per l'a.a. 2013/2014 il DM 26 marzo 2013 n. 222 ha definito gli importi minimi delle borse di studio in € 5.052,56 per gli studenti fuori sede, € 2.785,40 per gli studenti pendolari, € 1.904,42 per gli studenti in sede.

Lo stesso DM ha fissato i limiti massimi dell'ISEE tra i 15.546,34 ed i 20.728,45 euro e i limiti massimi dell'Indicatore della situazione patrimoniale equivalente tra i 27.206,11 e i 34.979,27 euro.

 

Il comma 9 dispone il mantenimento in bilancio, nel conto dei residui, delle risorse già impegnate negli anni 2011 e 2012 e non ancora pagate finalizzate a interventi del Fondo per il merito - istituito dall’art. 4 della L. 240/2010 (il cui decreto attuativo, come evidenzia anche la relazione tecnica, non è stato adottato) e destinato alla promozione dell’eccellenza e del merito fra gli studenti universitari dei corsi di laurea e di laurea magistrale, per la cui gestione l’art. 9, co. 3-14, del D.L. 70/2011 (L. 106/2011) ha istituito la Fondazione per il merito – ai fini del loro versamento all’entrata del bilancio dello Stato.

 

Le suddette somme, indicate nel limite di 17 milioni di euro, sono versate all’entrata del bilancio dello Stato nella misura di 5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2013 e 2014 e di 7 milioni per l’anno 2015.

La norma farebbe presumere che si tratti di somme impegnate per le finalità di cui al D.L n. 70/2011 che non debbano più essere pagate e che, dunque, possano essere utilizzate, tramite il versamento all’entrata del bilancio dello Stato, per le nuove finalità di cui al presente articolo.

La relazione tecnica afferma, infatti, che le somme in questione non sono, alla data, gravate da diritti soggettivi o da obbligazioni giuridicamente perfezionale ed è possibile rifinalizzarle per gli scopi della norma in esame.

La relazione tecnica specifica, inoltre, che tali risorse saranno utilizzate a copertura dell’onere derivante dalla corresponsione delle borse per la mobilità di cui ai commi precedenti.

 

Alla compensazione degli effetti finanziari, in termini di fabbisogno e indebitamento netto, derivanti dalla rifinalizzazione delle somme destinate al Fondo, si provvede si provvede a valere su quota parte delle risorse resesi disponibili ai sensi dell’articolo 58, per effetto della riduzione degli stanziamenti destinati alle convenzioni per i servizi esternalizzati (v. infra).

Sarebbe opportuno un chiarimento in merito al fatto che la norma, a fronte di un onere relativo al triennio 2013-2015, dispone la compensazione degli effetti finanziari a decorrere dall’esercizio finanziario 2014.

 

Al fine di promuovere l’eccellenza e il merito fra gli studenti universitari, l’art. 4 della L. 240/2010 ha istituito presso il MIUR un Fondo destinato a erogare premi di studio (a fondo perduto) e buoni studio (di cui una quota, determinata in relazione ai risultati accademici conseguiti, corrisposta in forma di prestito) e a costituire una garanzia per finanziamenti concessi agli studenti.

I beneficiari delle provvidenze sono individuati, per gli iscritti al primo anno per la prima volta, mediante prove nazionali standard e, per gli iscritti agli anni successivi al primo, mediante criteri nazionali standard di valutazione.

Successivamente, l’art. 9 del D.L. 70/2011 (L. 106/2011) ha istituito la Fondazione per il merito, come strumento operativo cui viene affidata la gestione del Fondo, cui possono affluire capitali pubblici e privati.

La Fondazione attua il coordinamento operativo della somministrazione delle prove nazionali standard – cui partecipano gli studenti dopo l’esame di maturità – e disciplina alcuni aspetti inerenti i criteri e modalità di utilizzo del Fondo, inclusa la ripartizione delle relative risorse tra le differenti destinazioni (mentre altri aspetti sono rimasti affidati a un decreto ministeriale che, come ante evidenziato, non è stato ancora emanato) .

Con particolare riguardo alle risorse stanziate, si ricorda che l’art. 9, co. 15, del D.L. 70/2011 ha autorizzato per il 2011 la spesa di 9 milioni di euro a favore del Fondo e di 1 milione di euro per la costituzione del fondo di dotazione della Fondazione, nonché di 1 milione di euro annui a decorrere dal 2012 a favore della Fondazione.

Dal DM 16 aprile 2012, n. 71, recante i criteri di ripartizione del FFO per il 2012, sono stati altresì destinati a sostegno del Fondo 9 milioni di euro, nell’ambito degli interventi a favore degli studenti.

Profili finanziari

Il prospetto riepilogativo ascrive alla norma i seguenti effetti sui saldi di finanza pubblica.

 

(milioni di euro)

 

Saldo netto da finanziare

Fabbisogno

Indebitamento netto

2013

2014

2015

2013

2014

2015

2013

2014

2015

Maggiori spese correnti

Comma 1 (Borse di mobilità)

5,0

5,0

7,0

5,0

5,0

7,0

5,0

5,0

7,0

 

Minori spese correnti

Comma 4 (Interventi per il merito – definanziamento)

 

 

 

7,0

4,0

3,0

7,0

4,0

3,0

 

Maggiori entrate extratributarie

Comma 9 – Versamento all’entrata del bilancio dello Stato dei residui

5,0

5,0

7,0

 

 

 

 

 

 

 

 

La relazione tecnica afferma che gli importi indicati dalla norma si configurano come limite di spesa in quanto le borse di mobilità non saranno attribuite alla totalità dei soggetti in possesso dei requisiti prescritti, bensì fino ad esaurimento delle risorse, sulla base di graduatorie regionali. Afferma inoltre che il numero dei possibili beneficiari dell’intervento dipende dall’importo della borsa che sarà determinato con decreto ministeriale e potrebbe essere differenziato per Regione, in relazione ai costi del territorio.

Ciononostante, ipotizza un importo della borsa di mobilità individuale pari a 5.000 euro in base al quale la somma di 5 milioni consentirebbe di finanziare la borsa per 1.000 studenti.

Ribadisce che all’onere derivante dall’attuazione dell’intervento previsto, si provvede mediante l’utilizzo delle risorse, non ancora pagate, concernenti l’autorizzazione di spesa relativa agli interventi per il merito. Tali risorse sono mantenute in bilancio per essere versate all’entrata del bilancio dello Stato per i corrispondenti importi autorizzati.

La RT precisa che il decreto previsto dall’art. 4 della legge 240/2010 non è stato ancora adottato e che, a legislazione vigente, sarebbe adottato entro l’anno e nello stesso lasso di tempo le somme disponibili per le relative finalità sarebbero spese. Le medesime somme non sono, dunque, alla data, gravate da diritti soggettivi o da obbligazioni giuridicamente perfezionate ed è pertanto possibile rifinalizzarle per gli scopi della norma in esame.

Ricorda infine che la norma proposta prevede che gli effetti negativi su fabbisogno ed indebitamento netto che potrebbero derivare dalla rifinalizzazione delle somme destinate al Fondo per il merito sono compensate a valere su parte dei risparmi di cui all’articolo 58.

 

In merito ai profili di quantificazione, si rileva in primo luogo che la norma autorizza un limite di spesa per il triennio (comma 1) pur prevedendo, al comma 6, la possibilità per gli studenti che hanno già avuto accesso al beneficio di mantenerlo in presenza di determinati requisiti. L’accesso alla borsa di studio pertanto sembra essere garantito dalla norma anche oltre il triennio cui si riferisce l’autorizzazione di spesa, almeno per quegli studenti iscritti ad un corso di laurea di durata quinquennale.

Inoltre, dalla lettura della norma sembrerebbe evincersi che tale beneficio si intenda “riservato” a coloro che effettuano l’immatricolazione nell’anno accademico 2013-2014 con esclusione, quindi, delle immatricolazioni negli anni successivi.

Sui suddetti aspetti sarebbero opportuni chiarimenti da parte del Governo.

In merito al comma 9, si rileva che la norma fa riferimento a somme già impegnate e non ancora pagate, per gli interventi di cui all’art. 9 del DL n. 70/2011, commi da 3 a 14, nel limite di 17 milioni di euro negli anni 2011 e 2012.

A tale proposito, si ricorda che il comma 15 del DL suddetto autorizza la spesa di 10 milioni di euro per l’anno 2011 in attuazione delle disposizioni recate dai commi da 3 a 14[127], e la spesa di 1 milione di euro a favore della Fondazione per il merito a decorrere dal 2012. Andrebbe pertanto confermato, al fine di verificare la congruità della quantificazione pari a 17 milioni di euro, a quali ulteriori risorse la disposizione faccia riferimento e in quali capitoli dello stato di previsione del MIUR siano iscritte.

Appare inoltre opportuno che il Governo chiarisca se gli effetti in termini di fabbisogno e indebitamento, attribuiti al comma 4 nel prospetto riepilogativo, debbano invece ritenersi riferiti al comma 9 che dispone il venir meno degli impegni di spesa non ancora pagati.

Infine, si rileva che nel prospetto riepilogativo non sembra riportata la compensazione degli effetti finanziari sui saldi di fabbisogno e indebitamento netto, come previsto esplicitamente dal comma 9 medesimo il quale stabilisce che la compensazione sia effettuata a valere sui risparmi di spesa ascritti all’articolo 58. Anche su questo aspetto si rende necessario un chiarimento del Governo.

 

In merito ai profili di copertura finanziaria, si segnala che alla compensazione degli effetti finanziari derivanti dal comma 9, previsti a partire dal 2014, si provvede a valere su quota parte delle risorse resesi disponibili ai sensi dell’articolo 58, per effetto della riduzione degli stanziamenti destinati alle convenzioni per i servizi esternalizzati.

In proposito, appare opportuno che il Governo chiarisca sia per quali ragioni a fronte di un onere relativo al triennio 2013-2015, si disponga la compensazione degli effetti finanziari non per il citato triennio, ma a decorrere dall’esercizio finanziario 2014, sia per quale motivo non sia stato esplicitato nella disposizione l’ammontare della compensazione prevista.


 

Articolo 60
(Sistema di finanziamento delle università e procedure di valutazione delle attività amministrative delle università e degli enti di ricerca)

L’art. 60 dispone che, a decorrere dal 2014, nel Fondo di finanziamento ordinario delle università statali e nel contributo alle università non statali legalmente riconosciute confluiscono le risorse attualmente destinate alla programmazione dello sviluppo del sistema universitario, alle borse di studio post laurea, nonché al Fondo per il sostegno dei giovani e per favorire la mobilità degli studenti.

Dispone, inoltre, che il sistema di valutazione delle attività amministrative delle università e di 12 enti di ricerca vigilati dal MIUR è svolto dall’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR).

 

In particolare, il comma 1 dispone che, al fine di semplificare il sistema di finanziamento delle università statali e non statali, a decorrere dal 2014 confluiscono nel Fondo di finanziamento ordinario (cap. 1694, relativo, come si è evidenziato nel commento relativo all’art. 59, alle università statali) e nel contributo erogato alle università non statali legalmente riconosciute, ai sensi della L. 243 del 1991 (cap. 1692) – per la quota di rispettiva competenza, calcolata sulla base delle assegnazioni relative al triennio 2010-2012 e indicata nella relazione tecnica (v. infra) – le risorse relative a:

§      fondo per la programmazione dello sviluppo del sistema universitario, di cui all’art. 5, co. 1, lett. c), della L. 537/1993 e alla L. 245/1990 (cap. 1690 dello stato di previsione del MIUR, esposto in tabella C della legge di stabilità).

Nel Decreto 111878 del 31 dicembre 2012, di ripartizione in capitoli delle unità di voto parlamentare relative al bilancio per l'anno finanziario 2013 e per il triennio 2013-2015, lo stanziamento previsto in corrispondenza del 2014 è pari a 43,6 milioni di euro. Rispetto a tale importo, la relazione tecnica indica un importo inferiore, pari a 43,0 milioni di euro, probabile conseguenza di tagli o accantonamenti disposti in applicazione di previsioni legislative.

Si valuti, al riguardo, l’opportunità di un chiarimento.

 

La L. 245/1990 aveva dettato norme per l’attuazione del piano quadriennale di sviluppo dell'università 1986-1990, nonché disposizioni sul piano triennale 1991-1993.

L’art. 5, co. 1, lett. c), della L. 537 del 1993 ha poi istituito nello stato di previsione del MIUR, a decorrere dal 1994, il Fondo per la programmazione dello sviluppo del sistema universitario, al fine di includervi le risorse destinate al finanziamento di specifiche iniziative, attività e progetti, comprese le nuove iniziative didattiche.

Con riferimento all’assegnazione delle risorse del fondo, si ricorda che l’art. 3, co. 4 e 5, del DM 23 dicembre 2010, n. 50 – recante le linee generali di indirizzo della programmazione delle università per il triennio 2010-2012 – ha previsto che esse sono suddivise tra le università statali (compresi gli Istituti ad ordinamento speciale) e le università non statali “in due quote proporzionali al relativo fondo di finanziamento ordinario”. In attuazione di tale disposto, sono intervenuti, rispettivamente per gli esercizi 2010, 2011 e 2012, i decreti direttoriali nn. 656/2010, 594/2011 e 32/2012.

 

§      fondo per il sostegno dei giovani e per favorire la mobilità degli studenti (cap. 1713 dello stato di previsione del MIUR. Il capitolo è diviso in 3 piani di gestione, di cui in questa sede rileverebbero, in base alla lettera dell’art. 60, co. 1 – che fa riferimento solo all’art. 1, co. 1, del D.L. 105/2003 (L. 170/2003) – il pg. 1-Fondo mobilità e il pg. 2-Assegni di ricerca.

In base alla relazione tecnica, peraltro, confluirà nel FFO anche il pg. 5-Contributo alla scuola di ateneo per la formazione europea Jean Monnet costituita in facoltà, per il quale l’autorizzazione di spesa è stata disposta dall’art. 1, co. 278, della L. 311/2004, che contestualmente ha trasformato la Scuola in Facoltà della seconda università degli studi di Napoli.

Sembrerebbe dunque opportuno fare riferimento, nel testo dell’art. 60, anche alle finalità di cui all’art. 1, co. 278, della L. 311/2004.

Per l’anno 2014, il citato DM di ripartizione in capitoli reca, in corrispondenza del cap. 1713, uno stanziamento di 72,2 milioni di euro. Anche in questo caso, la relazione tecnica indica un importo inferiore, pari a 71,3 milioni di euro.

Si rinvia a quanto osservato ante.

 

L’art. 4, co. 1, della L. 370/1999 aveva autorizzato la spesa per l'istituzione, nello stato di previsione del MIUR, di un Fondo integrativo per l'incentivazione dell'impegno didattico dei professori e dei ricercatori universitari, mentre l’art. 5 aveva autorizzato, fra l’altro, la spesa di 51,5 miliardi di lire a decorrere dal 2001, per il cofinanziamento di importi destinati dagli atenei all'attivazione di assegni di ricerca ai sensi dell'art. 51, co. 6, della L. 449/1997.

In seguito, l’art. 1 del D.L. 105/2003 (L. 170/2003) – senza novellare gli artt. 4 e 5 della L. 370/1999 – ha assegnato al Fondo sopra citato, le finalità di assicurare un adeguato livello di servizi destinati agli studenti e potenziarne la mobilità internazionale, incentivare le iscrizioni a corsi di studio di particolare interesse nazionale e comunitario, incrementare il numero dei giovani dotati di elevata qualificazione scientifica, nonché cofinanziare gli assegni di ricerca, modificandone anche la denominazione in “Fondo per il sostegno dei giovani e per favorire la mobilità degli studenti”.

Si ricorda, peraltro, che, l’art. 18, co. 5, del d.lgs. 68/2012 ha disposto che dal 2012 l’autorizzazione di spesa relativa al Fondo in questione è ridotta di 500 mila euro destinati al Fondo integrativo statale per la concessione delle borse di studio.

 

Per il potenziamento delle attività di ricerca, formazione e studi internazionali della Scuola di ateneo per la formazione europea Jean Monnet, costituita in facoltà, l’art. 1, co. 278, della L. 311/2004 ha previsto una autorizzazione di spesa di 2 milioni di euro a decorrere dall'anno 2005. Una spesa per ulteriori 1,5 milioni di euro è stata poi autorizzata dall’art. 11-quaterdecies, co. 3, del D.L. 203/2005 (L. 248/2005).

La tabella E della L. 296/2006 ha in seguito disposto il definanziamento dell’autorizzazione recata dall’art. 1, co. 278, della L. 311/2004, per l’importo di 1,5 milioni di euro per gli esercizi 2007, 2008, 2009. In seguito, l’art. 2, co. 557, della L. 244/2008 ha ripristinato l’importo di 1,5 milioni di euro dal 2008.

 

§      borse di studio post laurea (cap. 1686 dello stato di previsione del MIUR. Il capitolo è suddiviso in due piani di gestione, dei quali, in base alla relazione tecnica, rileva in questa sede solo il pg. 2-Borse di studio per la formazione di corsi di dottorato di ricerca, di perfezionamento e di specializzazione presso università italiane e straniere a favore di laureati. Il pg. 1 riguarda, invece, Borse di studio agli specializzandi medici periodo 1983-1991).

Per l’anno 2014, il citato DM di ripartizione in capitoli reca, in corrispondenza del pg. 2 del cap. 1686, uno stanziamento di 159,2 milioni di euro. Anche in tal caso la relazione tecnica indica un importo inferiore, pari a 157,2 milioni di euro.

Si rinvia a quanto osservato ante.

 

L’art. 1 della L. 398 del 1989 ha disposto che le università e gli istituti di istruzione universitaria conferiscono borse di studio per la frequenza dei corsi di perfezionamento e delle scuole di specializzazione previsti dallo statuto, per i corsi di dottorato di ricerca, per lo svolgimento di attività di ricerca dopo il dottorato e per i corsi di perfezionamento all'estero.

 

Per completezza, con riferimento al FFO, si evidenzia che, in base all’incremento disposto dal comma in esame, nonché alle risorse per consentire maggiori assunzioni nelle università, previste dall’art. 58, co. 2, e all’ulteriore afflusso di somme finalizzato all’erogazione di borse per la mobilità, sulla base di quanto disposto dall’art. 59, complessivamente la disponibilità nel 2014 dovrebbe essere pari a 6.860,0 milioni di euro.

 

Il comma 2, integrando il comma 12 dell’art. 13 del d.lgs. 150/2009 – che concerne la Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche – dispone che “il sistema di valutazionedelle attività amministrative delle università e di 12 enti di ricerca vigilati dal MIUR (Consiglio nazionale delle ricerche, Agenzia spaziale italiana, Istituto nazionale di fisica nucleare, Istituto nazionale di astrofisica, Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, Istituto nazionale di ricerca metrologica, Istituto nazionale di oceanografia e geofisica sperimentale, Stazione zoologica A. Dohrn, Consorzio per l’Area di ricerca scientifica e tecnologica di Trieste, Istituto nazionale di alta matematica “F. Severi”, Museo storico della fisica - Centro di studi e ricerche E. Fermi, Istituto italiano di studi germanici), riordinati ai sensi del Capo I del d.lgs. 213/2009, “è svolto dall’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR)”.

A tal fine, l’ANVUR deve rispettare i principi generali indicati dall’art. 3 del d.lgs. 150/2009 e attenersi agli indirizzi che la Commissione è chiamata a dare in base al comma 5 dell’art. 13.

In base al comma 3, l’ANVUR deve svolgere le funzioni indicate al comma 2 utilizzando le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

 

In relazione alla formulazione letterale utilizzata, appare opportuno chiarire se restano ferme le attività di valutazione della gestione amministrativa affidate ai nuclei di valutazione interna degli atenei (v. infra).

Inoltre, nella rubrica dell’articolo occorrerebbe chiarire che la valutazione riguarda le attività amministrative e inserire il riferimento anche alla valutazione relativa agli enti di ricerca.

Infine, si segnala, al comma 2, la presenza di un refuso: “della attività amministrative”.

 

La Commissione per la Valutazione, la Trasparenza e l’Integrità delle amministrazioni pubbliche (CIVIT) è stata istituita – in attuazione dell’art. 4, co. 2, lett. f), della L. 15/2009, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni – dall’art. 13 del d.lgs. 150/2009, che ha affidato alla stessa Commissione, chiamata ad operare in posizione di indipendenza di giudizio e di valutazione e in piena autonomia, il compito di indirizzare, coordinare e sovrintendere all’esercizio delle funzioni di valutazione.

I principi generali, recati dall’art. 3 del d.lgs. 150/2009, stabiliscono che la misurazione e la valutazione della performance sono volte al miglioramento della qualità dei servizi offerti dalle amministrazioni pubbliche, nonché alla crescita delle competenze professionali, attraverso la valorizzazione del merito e l'erogazione dei premi per i risultati perseguiti dai singoli e dalle unità organizzative. Ogni amministrazione pubblica deve misurare e valutare la performance con riferimento all'amministrazione nel suo complesso, alle unità organizzative o aree di responsabilità in cui si articola e ai singoli dipendenti, garantendo la comunicazione delle informazioni raccolte con la massima trasparenza, e deve misurare, valutare e premiare la performance individuale e quella organizzativa, secondo criteri connessi al soddisfacimento dell'interesse del destinatario dei servizi e degli interventi.

In base al comma 5 dell’art. 13, la Commissione, come ante indicato, indirizza, coordina e sovrintende all'esercizio delle funzioni di valutazione da parte degli Organismi indipendenti di valutazione della performance (OIV) di cui ogni amministrazione è tenuta a dotarsi e delle altre Agenzie di valutazione e, a tale fine: promuove sistemi e metodologie finalizzati al miglioramento della performance delle amministrazioni pubbliche; assicura la trasparenza dei risultati conseguiti; confronta le performance rispetto a standard ed esperienze nazionali e internazionali; favorisce la cultura della trasparenza, anche attraverso strumenti di prevenzione e di lotta alla corruzione, e la cultura delle pari opportunità.

Inoltre, il comma 12 del medesimo art. 13 ha previsto che con uno o più DPCM, su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, di concerto con i Ministri competenti, sono elaborate disposizioni per il raccordo tra le attività della Commissione e quelle delle Agenzie di valutazione esistenti.

 

Al riguardo, si ricorda che l’art. 2, co. 138-142, del D.L. 262/2006 (L. 286/2006), istituendo l’ANVUR, le ha attribuito, tra le altre, la funzione di indirizzo e coordinamento delle attività di valutazione demandate ai nuclei di valutazione interna degli atenei e degli enti di ricerca.

A loro volta, i nuclei di valutazione interna degli atenei sono stati istituiti, secondo le prescrizioni dell’art. 5, co. 22, della L. 537/1993, con il compito di verificare, mediante analisi comparative dei costi e dei rendimenti, l'imparzialità ed il buon andamento dell'azione amministrativa, oltre che la corretta gestione delle risorse pubbliche e la produttività della ricerca e della didattica. Il ruolo e le funzioni di tali organismi sono stati successivamente rafforzati con le disposizioni della L. 370/1999, il cui art. 1 ha previsto, fra l’altro, che il nucleo di valutazione di ateneo esplica funzioni di valutazione interna della gestione amministrativa.

Da ultimo, l’art. 2, co. 1, lett. r), della L. 240/2010 ha disposto che i nuclei svolgono anche, in raccordo con l’attività dell’ANVUR, le funzioni dell’organismo di valutazione della performance di cui all’art. 14 del d.lgs. 150/2009 al fine di promuovere il merito e il miglioramento della performance organizzativa e individuale.

Le funzioni di indirizzo dell’ANVUR nei confronti dei nuclei di valutazione degli atenei e degli enti di ricerca, ad eccezione di quelle loro affidate dalle istituzioni di appartenenza, sono state ribadite, da ultimo, dall’art. 3, co. 1, lett. c), del DPR 76/2010, recante regolamento concernente la struttura e il funzionamento dell’Agenzia.

 

Sul tema specifico dell’applicabilità del d.lgs. 150/2009 alle università, la stessa CIVIT si è espressa – all’esito di un incontro con la Conferenza dei rettori delle università italiane (CRUI), il Convegno permanente dei direttori amministrativi e dirigenti delle università italiane (CODAU) ed il Direttore generale per l’università, lo studente e il diritto allo studio del MIUR – con la Delibera n. 09/2010 dell’11 marzo 2010.

In particolare, la delibera del 2010 ha espresso l’avviso che le università non erano tenute ad istituire gli OIV, che l’attività di valutazione doveva continuare ad essere svolta dai Nuclei di valutazione interna degli atenei, che le università erano comunque destinatarie della disciplina dettata dal d.lgs. 150/2009 in materia di contrattazione collettiva e che, pertanto, erano chiamate a svolgere, sia pur in piena autonomia, procedure di valutazione delle strutture e del personale al fine di promuovere il merito.

Con la delibera, inoltre, è stata auspicata la celere definizione delle modalità di raccordo con l’attività affidata all’ANVUR, auspicio peraltro ribadito con la delibera n. 23/2013 del 16 aprile 2013.

 

Profili finanziari

Il prospetto riepilogativo non considera la disposizione.

 

La relazione tecnica afferma che il comma 1 propone la semplificazione ed il riordino del sistema di finanziamento delle università statali e non statali con riferimento alle risorse disponibili nello stato di previsione del Ministero dell’istruzione dell’università e della ricerca a decorrere dall’anno 2014. Tale revisione consente di semplificare la gestione delle risorse anche per tener conto delle recenti disposizioni (d.lgv. n. 49/2012 e DL n. 95/2012) concernenti la sostenibilità economica e l’equilibrio strutturale delle politiche di bilancio degli atenei, con particolare attenzione alle politiche di programmazione e reclutamento del personale, attraverso l’adozione del piano economico-finanziario triennale e l’individuazione di limiti massimi delle spese di personale e delle spese per indebitamento.

La RT rileva inoltre che la disposizione in esame è in linea con quanto previsto dalla Legge 24/12/1993, n. 537, articolo 5, comma 1, lettera a), che qualifica il fondo per il finanziamento ordinario delle università statali come la quota a carico del bilancio statale delle spese per il funzionamento e le attività istituzionali delle università.

Sottolinea che la norma non modifica le originarie destinazioni di spesa e non va intesa come un rifinanziamento degli stanziamenti destinati alle università, in quanto le risorse vengono fatte confluire nei due distinti capitoli 1694 e 1692 sulla base delle assegnazioni relative al triennio 2010 – 2012, come indicato nella successiva tabella 1.

La RT evidenzia inoltre che la disposizione non potrà dare luogo all’insorgenza di debiti pregressi, considerato che la destinazione delle risorse è stata già disposta dagli atenei negli esercizi precedenti e le risorse sono state già utilizzate dagli stessi.

Per quanto concerne le regole assunzionali degli atenei statali, conferma la non incidenza della disposizione con la disciplina definita dal decreto legge n. 95/2012, articolo 14, comma 3, se non entro quanto già previsto per il calcolo dell’indicatore delle spese di personale di cui all’articolo 5 del dlgs 49/2012.

Tale calcolo viene effettuato tenendo conto del rapporto tra le spese complessive di personale di competenza dell’anno di riferimento e i contributi statali destinati al funzionamento, intendendo la somma algebrica delle assegnazioni di competenza nell’anno di riferimento del FFO, del Fondo per la programmazione del sistema universitario, per la quota non vincolata nella destinazione, e di eventuali ulteriori assegnazioni statali con carattere di stabilità destinate alle spese complessive di personale. Ne risulta che, a solo titolo esemplificativo, la quota del FFO che sarà destinata al finanziamento delle borse del dottorato di ricerca non sarà conteggiata nell’ambito del denominatore relativo all’indicatore delle spese di personale.

La RT afferma che quanto previsto nella disposizione in esame non comporterà l’insorgenza di nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

Conclude affermando che il comma 2 non determina nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica in quanto l’Anvur provvede alle attività previste nei limiti delle risorse finanziarie, umane e strumentali disponibili a legislazione vigente.


 

Tabella 1

capitolo

denominazione

1692 contributo università non statali

1694 FFO università statali

2013

2014

2015

2013

2014

2015

1713/1

FFO

Fondo mobilità studenti

1.716.299

1.775.459

1.710.634

42.291.357

43.749.130

42.151.786

1713/2

Assegni di ricerca

818.542

846.757

815.841

20.722.042

21.436.326

20.653.654

1713/5

Contributo alla scuola di ateneo per la formazione europea Jean Monnet costituita in facoltà

 

 

 

3.337.772

3.452.825

3.326.757

1690

Fondo programmazione sviluppo sistema universitario

418.970

430.424

408.818

41.477.989

42.612.010

40.473.009

1686/2

Borse di studio per formazione, corsi di dottorato di ricerca…

8.970.894

9.115.377

8.864.107

145.699.687

148.046.300

143.965.320

 

 

In merito ai profili di quantificazione non si hanno osservazioni da formulare nel presupposto, su cui appare opportuno una conferma da parte del Governo, che, la diversa destinazione delle risorse riassegnate dal comma 1 non comporti un’accelerazione della spesa rispetto a quanto già scontato nei quadri tendenziali a legislazione vigente.

In merito alle ulteriori funzioni assegnate all’ANVUR, si rileva che la relazione non reca gli elementi necessari a suffragare l’invarianza di oneri. Sul punto appare opportuno un chiarimento da parte del Governo.

 

 

In merito ai profili di copertura finanziaria si segnala che il comma 1 è volta a prevedere la semplificazione e il riordino del sistema di finanziamento delle università mediante una riallocazione delle risorse disponibili nello stato di previsione del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca. In particolare, la norma prevede che, a decorrere dall’anno 2014, confluiscano nei capitoli 1692 e 1694, recanti risorse per le università statali, anche le risorse iscritte in altri capitoli del suddetto stato di previsione (capitoli 1686/2, 1690 e 1713).

Tuttavia, mentre ai sensi della disposizione richiamata dalla norma in esame sembrerebbero confluire nei citati capitoli 1692 e 1694 soltanto gli stanziamenti per la mobilità degli studenti e gli assegni di ricerca, dalla relazione tecnica, invece, risulta che dovrebbero confluire in tali capitoli anche le risorse relative alla scuola di ateneo per la formazione europea Jean Monnet di cui all’articolo 1, comma 278, della legge n. 311 del 2004, e all’articolo 11-quater decies, comma 3 del decreto-legge n. 203 del 2005. Al riguardo, potrebbe pertanto risultare opportuno integrare i riferimenti normativi previsti dalla disposizione conformemente al contenuto della relazione tecnica. Sul punto appare opportuno acquisire l’avviso del Governo.

Con riferimento alla formulazione della clausola di neutralità finanziaria di cui al comma 3, si rileva che la stessa andrebbe riformulata conformemente alla prassi vigente, sostituendo le parole “non derivano” con le seguenti: non devono derivare.

Articolo 61
(Copertura finanziaria)

L’articolo 61 provvede in ordine alla copertura finanziaria degli oneri derivanti da alcuni articoli del provvedimento, quantificati complessivamente pari a 34,05 milioni di euro per l’anno 2013, 94,4 milioni di euro per l’anno 2014, 57,9 milioni di euro per l’anno 2015, 71,9 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2016 al 2019, 53,9 milioni di euro per l’anno 2020, 42,9 milioni di euro per l’anno 2021 e a 36,9 milioni di euro a decorrere dall’anno 2022.

 

Tali oneri sono derivanti dalle seguenti disposizioni:

§       articolo 2, comma 8, che stanzia un contributo alle imprese per il periodo dal 2014 al 2021 per coprire quota parte degli interessi derivanti dall’accensione di finanziamenti per l’acquisto di nuovi macchinari ad uso produttivo;

§       articolo 11, che estende al 2014 il credito imposta nel settore cinematografico nel limite massimo di spesa di 45 milioni;

§       articolo 17, che reca misure per favorire la realizzazione del Fascicolo sanitario elettronico;

§       articolo 22, comma 3, che reca l’incremento di 20 milioni di euro annui del Fondo adeguamento porti;

§       articolo 23, che riduce la tassa sulle unità da diporto per favorire il rilancio del settore;

§       articolo 56, che prevede lo slittamento del versamento dell’imposta sulle transazioni finanziarie.

 

Agli oneri si provvede:

a)       quanto a 2,4 milioni di euro per l’anno 2013, a 12 milioni di euro per l’anno 2014, a 57,9 milioni di euro per l’anno 2015, a 71,9 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2016 al 2019, a 53,9 milioni di euro per l’anno 2020, a 42,9 milioni di euro per l’anno 2021 e a 36,9 milioni di euro a decorrere dall’anno 2022, mediante corrispondente utilizzo di quota parte delle maggiori entrate derivanti dagli articoli 5, comma 1 (Robin tax), e 55 (rimborsi IVA agenzie di viaggio con sede extra UE);

b)      quanto a 2,65 milioni di euro per l’anno 2013, mediante corrispondente riduzione, per il medesimo anno, dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2013, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al medesimo Ministero;

c)       quanto a 19 milioni di euro per l’anno 2013 e a 7,4 milioni di euro per l’anno 2014, mediante corrispondente riduzione dell’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 27, comma 10, sesto periodo, della legge 23 dicembre 1999, n. 488, che reca misure di sostegno all'emittenza televisiva locale, pari a 82 miliardi di lire annue a decorrere dal 2000 (circa 42,3 milioni di euro annui);

 

Si ricorda che tale disposizione ha destinato ottantadue miliardi di euro annui a decorrere dal 2000 alle misure di sostegno previste dall’articolo 45, comma 3, della legge n. 448/1998 (vale a dire il finanziamento del piano di interventi e di incentivi a sostegno  dell'emittenza  televisiva locale e dell'emittenza radiofonica locale e nazionale previsto dall’articolo 10 del decreto-legge n. 323/1993, anche al fine di consentire l’adeguamento degli impianti in base al  piano  nazionale  di  assegnazione delle frequenze per la radiodiffusione televisiva approvato dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni il 30 ottobre 1998).

 

d)         quanto a 10 milioni di euro per l’anno 2013, mediante corrispondente riduzione della quota di pertinenza statale dell’otto per mille IRPEF, di cui all’articolo 47, secondo comma, della legge 20 maggio 1985, n. 222.

Si ricorda che ai sensi dell'art. 47, commi 2 e 3, della legge n. 222/1985, una quota pari all'otto per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, liquidata dagli uffici sulla base delle dichiarazioni annuali, è destinata, in parte, a scopi di interesse sociale o di carattere umanitario a diretta gestione statale e, in parte, a scopi di carattere religioso a diretta gestione della Chiesa cattolica[128].

In merito alle risorse dell’otto per mille IRPEF di competenza statale, si ricorda che nella legge di bilancio 2013-2015 (Legge n. 229/2012 e relativo D.M. Economia 31 dicembre 2012 di riparto in capitoli dei programmi di spesa), la quota dell’otto per mille IRPEF di pertinenza statale, iscritta sul cap. 2780 dello stato di previsione del Ministero dell’economia, risulta pari a 13,8 milioni di euro nel 2013, 86,1 milioni nel 2014 e a 95,7 milioni nel 2015.

Si segnala che le risorse dell’otto per mille IRPEF dello Stato per gli anni 2014 e 2015 sono state, di recente, oggetto di riduzioni, ai sensi dell’articolo 12, comma 3, lettera c-sexies) del D.L. n. 35/2013 (riduzione di 2,1 milioni di euro per l'anno 2014 e di 35,8 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2015) e dell’articolo 21, comma 3, lettera d), del D.L. n. 63/2013 (riduzione di 35 milioni di euro per l’anno 2015).

e)         quanto a 75 milioni per l’anno 2014 mediante l’aumento dell’aliquota dell’accisa sulla benzina e sulla benzina con piombo, nonché dell’aliquota dell’accisa sul gasolio usato come carburante (di cui all’allegato I del testo unico accise), in modo tale da compensare il predetto onere nonché quello correlato ai rimborsi di cui al penultimo periodo della presente lettera.

L’allegato I al D.Lgs. n. 504 del 1995 elenca i prodotti assoggettati ad imposizione e le relative aliquote: per la benzina e la benzina con piombo è prevista una accisa pari a 564 euro per mille litri, mentre per il gasolio usato come carburante è indicata in 423 per mille litri. Tuttavia negli ultimi anni è stato previsto che la copertura degli oneri recati da numerosi provvedimenti legislativi fosse posta a valere sull’aumento di tali aliquote, rinviandone la determinazione ad una determinazione del Direttore dell’Agenzia delle dogane (al fine di conseguire un gettito pari all’onere da coprire), mentre in altri casi l’ammontare dell’aliquota dell’accisa è stata fissata direttamente dalla disposizione legislativa [129] Da ultimo, la legge di stabilità 2013 (legge n. 228/2012), all’articolo 1, comma 487, conferma, con decorrenza dal 1° gennaio 2013, quanto disposto con la determinazione del direttore dell'Agenzia delle dogane 9 agosto 2012, n. 88789, che ha fissato l’aliquota di accisa sulla benzina a 728,40 euro per mille litri e quella sul gasolio usato come carburante a 617,40 euro per mille litri.

La misura dell’aumento - tale da determinare maggiori entrate per 75 milioni nel 2014 - è stabilita con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle dogane da adottare entro il 31 dicembre 2013; il provvedimento è efficace dalla data di pubblicazione sul sito internet dell’Agenzia.

La disposizione in esame prevede che agli aumenti disposti ai sensi della presente lettera non trova applicazione l’articolo 1, comma 154, secondo periodo, della legge n. 662 del 1996, relativo alla misura massima dell'imposta regionale sulla benzina per autotrazione.

Tale norma stabilisce che eventuali aumenti erariali dell’accisa abbiano effetto, nelle regioni che hanno istituito tale imposta, solo per la differenza tra l’aumento erariale e la misura dell’imposta regionale sulla benzina per autotrazione.

In conseguenza di tale disapplicazione, i predetti aumenti si sommano ad eventuali imposte regionali sulla benzina vigenti nelle regioni a statuto ordinario.

L’articolo 17 del decreto legislativo 21 dicembre 1990, n. 398[130] ha autorizzato le regioni a statuto ordinario a istituire, con proprie leggi, un'imposta regionale sulla benzina per autotrazione, erogata dagli impianti di distribuzione ubicati nelle rispettive regioni, successivamente alla data di entrata in vigore della legge istitutiva. Ai sensi del citato articolo 1, comma 154 della legge 662/1996, l’importo massimo di tale imposta è pari a 0,025 euro per litro. Diverse disposizioni hanno consentito, nel tempo, di derogare ai limiti massimi stabiliti dalla legge.

Viene inoltre disposto il rimborso del maggior onere derivante dagli aumenti di accisa sul gasolio, nei confronti di:

§      soggetti esercenti le attività di trasporto merci (articolo 5, comma 1 del decreto-legge n. 452 del 2001) con veicoli di massa massima complessiva pari o superiore a 7,5 tonnellate[131];

§      enti pubblici e imprese pubbliche locali esercenti l'attività di trasporto pubblico locale (di cui al decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422[132], e relative leggi regionali di attuazione, norme richiamate dall’articolo 5, comma 2 del D.L. 452/2001);

§      imprese esercenti autoservizi di competenza statale, regionale e locale, (di cui alla legge 28 settembre 1939, n. 1822[133], al Regolamento (CEE) n. 684/92 del Consiglio del 16 marzo 1992[134], e successive modificazioni, e al citato decreto legislativo n. 422 del 1997, tutti richiamati dall’articolo 5, comma 2 del D.L. 452/2001);

§      enti pubblici e imprese esercenti trasporti a fune in servizio pubblico per trasporto di persone (articolo 5, comma 2 del D.L. 452/2001).

Il rimborso viene disposto con le modalità previste dall’articolo 6, comma 2, primo e secondo periodo, del decreto legislativo n. 26 del 2007, ai sensi del quale esso può venir effettuato anche in compensazione, a seguito della presentazione di apposita dichiarazione ai competenti Uffici dell'Agenzia delle dogane, secondo le modalità e con gli effetti previsti da apposito regolamento (di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 277 del 2000, recante disciplina dell'agevolazione fiscale a favore degli esercenti le attività di trasporto merci).

Da ultimo, la disposizione in esame conferma quanto disposto dall’articolo 24, comma 1, della legge di stabilità 2012 (legge n. 183/2011), ai sensi del quale le somme relative all’eventuale minor utilizzo delle risorse stanziate per le agevolazioni fiscali (finanziate attraverso l’aumento dell’aliquota dell’accisa sui taluni prodotti petroliferi), in favore delle imprese operanti nel settore cinematografico, ai sensi dell’art. 1, commi da 325 a 337 della legge n. 244/2007 e successivamente prorogate (tax credit esterno e interno, ovvero credito d’imposta per le spese sostenute da imprese esterne ed interne alla filiera del cinema; credito d’imposta per le imprese che si avvalgono di manodopera italiana), individuate con decreto dei Ministri per i beni e le attività culturali e dell’economia e delle finanze, sono riassegnate ogni anno con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze allo stato di previsione del MIBAC, ai fini del rifinanziamento del Fondo per la produzione, la distribuzione l'esercizio e le industrie tecniche (di cui all’art. 12 del D.Lgs. n. 28/2004).

 

 

La Tabella che segue indica gli oneri complessivi e le risorse utilizzate a copertura ai sensi dei commi dell’articolo in esame:

milioni di euro

 

 

2013

2014

2015

 

ONERI

34,05

94,40

57,90

2, co. 8

Contributo imprese per copertura quota parte interessi su finanziamenti bancari per acquisto nuovi macchinari

0

7,50

21,00

11

Credito imposta settore cinematografico

0

45,00

0

17

Fascicolo sanitario elettronico

0

10,00

5,00

22, co. 3

Fondo adeguamento porti

20,00

20,00

20,00

23

Nautica da diporto (minori entrate)

1,20

11,9

11,9

56

Slittamento versamento imposta sulle transazioni finanziarie (minori entrate)

6,75

0

0

56

Oneri per interessi slittamento versamento imposta sulle transazioni finanziarie

6,10

0

0

 

COPERTURA

34,05

94,40

57,90

a)

Maggiori entrate Robin tax (art. 5, co. 1) al netto riduzione componente A2 tariffa elettrica (co. 2)

0

0

45,90

a)

Maggiori entrate Agenzie di viaggio (art. 55)

2,40

12,00

12,00

b)

Tabella A Ministero economia e finanze

2,65

0

0

c)

Fondo emittenza locale

19,00

7,40

0

d)

Otto per mille IRPEF Stato

10,00

0

0

e)

Aumento aliquota accisa benzina e gasolio

0

75,00

0

 

Il comma 2 autorizza il Ministro dell’economia ad apportare le occorrenti variazioni di bilancio.

 

Profili finanziari

In merito ai profili di copertura finanziaria con riferimento all’utilizzo di quota parte delle maggiori entrate derivanti dall’articolo 5, recante modifiche all’applicazione dell’addizionale IRES (cosiddetta Robin Tax) e dall’articolo 55, recante disposizioni in materia rimborsi IVA alle agenzie di viaggio [comma 1, lettera a)], appare opportuno che il Governo chiarisca se l’utilizzo parziale delle maggiori entrate si riferisca alle sole entrate derivanti dall’articolo 5, comma 1, o anche a quelle di cui all’articolo 55, valutando l’opportunità, nel primo caso, di riformulare conseguentemente la disposizione.

Con riferimento all’utilizzo, nella misura di 2,65 milioni di euro per il 2013, dell’accantonamento del fondo speciale di parte corrente relativo al Ministero dell’economia e delle finanze, di cui al comma 1, lettera b), si segnala che l’accantonamento reca le necessarie disponibilità.

Con riferimento alla riduzione, nella misura di 19 milioni di euro per il 2013 e di 7,4 milioni di euro per il 2014, dell’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 27, comma 10, sesto periodo, della legge n. 488 del 1999, recante contributi alle emittenti televisive (capitolo 3121 - Ministero dello sviluppo economico), [comma 1 lettera c)], appare opportuno che il Governo chiarisca che l’utilizzo delle relative risorse non pregiudichi gli interventi già previsti a valere sulle stesse a legislazione vigente.

Infine, con riferimento alla riduzione, nella misura di 10 milioni di euro per il 2013, dell’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 47, secondo comma, della legge n. 222 del 1985 relativamente alla quota dell’otto per mille dell’IRPEF destinata allo Stato (capitolo 2780 - Ministero dell’economia e delle finanze), [comma 1 lettera d)], si segnala che la stessa, anche se non con riferimento all’esercizio finanziario 2013, è già stata oggetto recentemente di riduzioni, ai sensi dell’articolo 12, comma 3, lettera c-sexies) del decreto-legge n. 35 del 2013 e dell’articolo 21, comma 3, lettera d) del decreto-legge n. 63 del 2013.

 


Prospetto riepilogativo degli effetti finanziari del decreto-legge n. 69 del 2013

 

 



 

 



[1]     Da ultimo la dotazione del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese è stata incrementata di 400 milioni di euro annui, per ciascuno degli anni 2012, 2013 e 2014, dall’articolo 3, comma 4, del DL 201/2011.

[2]     Il D.M. (MiSE) del 6 luglio 2012 riguardante l’incentivazione della produzione di energia elettrica da impianti a fonti rinnovabili diversi dai fotovoltaici definisce bioliquidi sostenibili i combustibili liquidi ottenuti dalla biomassa che rispettano i requisiti di sostenibilità di cui all’ articolo 38 del decreto legislativo n. 28 del 2011.

[3]     Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE.

[4]     Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE.

[5]     Che fa riferimento, oltre alle entrate derivanti dall’art. 5, comma 1 dell’articolo in esame (cd. Robin tax), alle entrate derivanti dalla revisione dei rimborsi IVA nei confronti delle agenzie di viaggio, di cui all’art. 55.

[6]     Si ricorda che la Cassa conguagli del settore elettrico rientra nel perimetro della pubblica amministrazione. Ciò spiega l’iscrizione della posta in esame come maggiore spesa ai fini del saldo netto da finanziare (in relazione al trasferimento di risorse alla Cassa finalizzato a compensare la riduzione del gettito tariffario) e come minore entrata ai fini dei saldi complessivi di finanza pubblica (in relazione alla predetta riduzione del gettito tariffario).

[7]     V. art. 11, comma 1, del D.L. 28 giugno 2013, n. 76

[8]     http://www.coesioneterritoriale.gov.it/monitoraggio-spesa-certificata-31-maggio-2013-italia-40/

[9]     Con questa riduzione, consentita da un livello medio di cofinanziamento nazionale in Italia assai superiore rispetto a quello fissato dai regolamenti comunitari, si è infatti, corrispondentemente, ridotto l'ammontare complessivo delle spese da certificare a Bruxelles, ferme restando le risorse comunitarie attribuite e quindi rimborsabili, riducendo così la pressione temporale sulla spesa (e i correlati rischi di disimpegno per i Programmi maggiormente in ritardo).

[10]    Regolamento (CE) n. 1083/2006 del Consiglio dell’11 luglio 2006, recante le disposizioni generali sui Fondi strutturali.

[11]    Bruxelles, 29.5.2013, COM(2013) 362 final.

[12]    L. 5 giugno 2003, n. 131, Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla L.Cost. 18 ottobre 2001, n. 3., c.d. legge La Loggia.

[13]    http://ec.europa.eu/regional_policy/thefunds/solidarity/index_it.cfm il Fondo è stato istituito a seguito delle gravi inondazioni che hanno devastato l'Europa centrale nell'estate del 2002. Nel documento disponibile al link:

http://ec.europa.eu/regional_policy/thefunds/doc/interventions_since_2002.doc sono elencati gli utilizzi del Fondo nei vari anni. Per l’Italia lo stanziamento più consistente ha riguardato il terremoto in Abruzzo per un importo pari a 493,8 milioni di euro.

[14]    http://www.protezionecivile.gov.it/resources/cms/documents/RelazioneFSUE.pdf

[15]    Si ricorda che l’articolo 58 del D.L. n. 112 del 2008 ha previsto che per procedere al riordino, gestione e valorizzazione del patrimonio immobiliare di regioni, province, comuni e altri enti locali, ciascun ente con delibera dell'organo di governo individua, redigendo apposito elenco, i singoli beni immobili ricadenti nel territorio di competenza, non strumentali all'esercizio delle proprie funzioni istituzionali, suscettibili di valorizzazione ovvero di dismissione. Viene così redatto il piano delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari allegato al bilancio di previsione.

La Corte costituzionale, con sentenza n. 340 del 2009, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 58, comma 2, del D.L. n. 112 del 2008, nella parte in cui disciplinava le modalità di approvazione del piano delle alienazioni e valorizzazioni e di approvazione della variante allo strumento urbanistico generale, in quanto nella materia “governo del territorio”, ai sensi dell’articolo 117, terzo comma, ultimo periodo, della Costituzione, lo Stato ha soltanto il potere di fissare i principi fondamentali, spettando alle Regioni il potere di emanare la normativa di dettaglio.

Si rammenta, infine, che il D.Lgs. 28 maggio 2010, n. 85, concernente il federalismo demaniale, prevede l'individuazione dei beni statali che possono essere attribuiti, con D.P.C.M., a comuni, province, città metropolitane e regioni. Lo Stato, previa intesa in sede di Conferenza unificata, individua i beni da attribuire a titolo non oneroso. L'ente territoriale, a seguito dell'attribuzione, dispone del bene nell'interesse della collettività rappresentata ed è tenuto a favorirne la "massima valorizzazione funzionale". I beni trasferiti possono peraltro anche essere inseriti dalle regioni e dagli enti locali in processi di alienazione e dismissione; la deliberazione dell’ente territoriale di approvazione del piano di alienazioni e valorizzazioni dovrà tuttavia essere trasmessa ad una apposita conferenza di servizi volta ad acquisire le autorizzazioni, gli assensi e le approvazioni necessari alla variazione di destinazione urbanistica dei beni. Inoltre i beni trasferiti possono essere alienati solo previa valorizzazione attraverso le procedure per l’adozione delle varianti allo strumento urbanistico, ed a seguito di apposita attestazione di congruità rilasciata da parte dell’Agenzia del demanio o dell’Agenzia del territorio.

[16]    D.L. "Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per l'economia", convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106.

[17]    D..L. 18 ottobre 2012 n. 179, Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese, conv. con modificazioni dalla L 17 dicembre 2012, n. 221

[18]    http://servizidemografici.interno.it/it/cie/elenco-comuni-sperimentatori

 

[19]    http://servizidemografici.interno.it/sites/default/files/Decreto-22-aprile-2008.pdf. Inoltre, il decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione e con il Ministro dell'economia e delle finanze, dell'8 novembre 2007, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale - supplemento ordinario - n. 261 del 9 novembre 2007, recante «Regole tecniche della carta d'identita' elettronica» aveva, tra l'altro, determinato le nuove regole tecniche e di sicurezza della carta d'identita' elettronica in attuazione delle disposizioni contenute nell'art. 7-vicies ter della legge n. 43 del 2005.

[20]    D.l. 29 novembre 2008, n. 185, Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale.

conv. con modificazioni dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2.

[21]    DPCM 6 maggio 2009.

[22]    L. 15 maggio 1997, n. 127, Misure urgenti per lo snellimento dell’attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo.

[23]    L. 16 giugno 1998, n. 191, Modifiche ed integrazioni alle leggi 15 marzo 1997, n. 59, e 15 maggio 1997, n. 127 nonché norme in materia di formazione del personale dipendente e di lavoro a distanza nelle pubbliche amministrazioni. Disposizioni in materia di edilizia scolastica.

[24]    "Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici", convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326.

[25]    Pure in assenza di RT (e quindi in assenza di elementi che precisassero a quali voci di costo l’onere andasse attribuito), si presume che tali oneri riguardassero sia la predisposizione di un sistema idoneo al funzionamento delle caselle sia la gestione delle medesima (atteso che, secondo il comma 5, le comunicazioni che transitano per la casella di posta elettronica certificata sarebbero state senza oneri). Tali ipotesi appare confermata dal successivo DPCM 6 maggio 2009 (Rilascio e uso della casella di posta elettronica certificata assegnata ai cittadini), con il quale è stato precisato che l'attivazione della PEC e le relative comunicazioni sarebbero state senza oneri per il cittadino.

[26]    Ai sensi del D.Lgs. 82/2005, Codice dell’amministrazione digitale che dedica il Capo VI allo sviluppo, acquisizione e riuso di sistemi informatici nelle pubbliche amministrazioni. In tal senso, le pubbliche amministrazioni che siano titolari di programmi informatici realizzati su specifiche indicazioni del committente pubblico, hanno obbligo di darli in formato sorgente, completi della documentazione disponibile, in uso gratuito ad altre pubbliche amministrazioni che li richiedono e che intendano adattarli alle proprie esigenze, salvo motivate ragioni.

[27]    Per un approfondimento dell’opera si rinvia alla scheda 56 del 7° Rapporto sull’attuazione della “legge obiettivo” predisposto dal Servizio Studi della Camera in collaborazione con l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, che reca dati aggiornati al 30 settembre 2012.

[28]    Si rinvia alla scheda 29 del 7° Rapporto sull’attuazione della “legge obiettivo” predisposto dal Servizio Studi della Camera in collaborazione con l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, che reca dati aggiornati al 30 settembre 2012.

[29]    Si rinvia alla scheda 32 del 7° Rapporto sull’attuazione della “legge obiettivo” predisposto dal Servizio Studi della Camera in collaborazione con l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, che reca dati aggiornati al 30 settembre 2012.

[30]    Si rinvia alla scheda 71 del 7° Rapporto sull’attuazione della “legge obiettivo” predisposto dal Servizio Studi della Camera in collaborazione con l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, che reca dati aggiornati al 30 settembre 2012.

[31]    Si rinvia alla scheda 87 del 7° Rapporto sull’attuazione della “legge obiettivo” predisposto dal Servizio Studi della Camera in collaborazione con l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, che reca dati aggiornati al 30 settembre 2012.

[32]    Si rinvia alla scheda 106 del 7° Rapporto sull’attuazione della “legge obiettivo” predisposto dal Servizio Studi della Camera in collaborazione con l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, che reca dati aggiornati al 30 settembre 2012.

[33]    Si rinvia alla scheda 57 del 7° Rapporto sull’attuazione della “legge obiettivo” predisposto dal Servizio Studi della Camera in collaborazione con l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, che reca dati aggiornati al 30 settembre 2012.

[34]    Articolo 32, comma 1, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98.

[35]    Articolo 6 della legge 29 novembre 1984, n. 798.

[36]    Risposta all’interrogazione n. 5/00336 di giovedì 13 giugno 2013 disponibile al link http://banchedati.camera.it/sindacatoispettivo_17/showXhtml.asp?highLight=0&idAtto=2313&stile=8

 

[37]    Vedi la carta dei servizi di Strada dei Parchi S.p.A.

[38]    Per una descrizione delle principali caratteristiche dell’opera si rinvia alla scheda 105 del 7° Rapporto sullo stato di attuazione della “legge obiettivo”, predisposta dal Servizio Studi della Camera in collaborazione con l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, che reca dati al 30 settembre 2012.

[39]    I 13 settori di intervento del Fondo sono sinteticamente i seguenti: Fondo per le politiche giovanili; Investimenti Gruppo Ferrovie; Contratto di programma con RFI; Professionalizzazione Forze armate; Partecipazione italiana a Banche e Fondi internazionali; Esigenze connesse alla celebrazione della ricorrenza del 4 novembre; Provvidenze alle vittime dell'uranio impoverito; Ulteriori esigenze dei Ministeri; Interventi per assicurare la gratuità parziale dei libri di testo scolastici; Unione italiana ciechi; Interventi di carattere sociale; Interventi di sostegno all’editoria e al pluralismo dell’informazione.

[40]    Decreto che ha dato attuazione alle direttive 2001/12/CE, 2001/13/CE e 2001/14/CE in materia ferroviaria.

[41]    Per approfondimenti si veda la scheda di approfondimento sulla sicurezza scolastica che fa parte della documentazione di inizio legislatura.

[42]    A tutt’oggi tale Piano non è tuttavia ancora stato emanato.

[43]    Si segnala, peraltro, che per le finalità di cui ai commi da 4-bis a 4-quinquies dell’articolo 11 del D.L. 179/2012, a decorrere dall'esercizio finanziario 2013 è istituito nello stato di previsione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca il Fondo unico per l'edilizia scolastica, nel quale confluiscono tutte le risorse iscritte nel bilancio dello Stato comunque destinate a finanziare interventi di edilizia scolastica.

[44]    Nello stato di previsione del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.

[45]    Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE.

[46]    Regolamento di esecuzione ed attuazione del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, recante Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE.

[47]    Approvata con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti.

[48]    In proposito, si veda la scheda 195 del 7° Rapporto sullo stato di attuazione della “legge obiettivo”, predisposta dal Servizio Studi della Camera in collaborazione con l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici.

[49]    L'ANAS SpA è il concessionario della rete stradale ed autostradale italiana di interesse nazionale. La legge 27 dicembre 2002, n. 289 (finanziaria 2003), all'articolo 76, ha trasferito ad ANAS S.p.A., in conto aumento capitale, la rete stradale e autostradale individuata con il decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 461, e s.m.i., che elenca la rete autostradale e stradale classificata di interesse nazionale sulla base delle tabelle allegate al decreto legislativo medesimo.

[50]    L’art. 5 della Convenzione di concessione, stipulata il 19 dicembre 2002 ed approvata con Decreto interministeriale 31 dicembre 2002 n. 1030, tra Ministero delle infrastrutture e ANAS S.p.A., ai sensi dell’art. 7, comma 4, del citato D.L. 138/2002, stabilisce che i rapporti tra concessionario e Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, che opera di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze per quanto attiene agli aspetti finanziari, sono regolati da un contratto di programma, di durata non inferiore a tre anni, predisposto sulla base delle previsioni dei piani pluriennali di viabilità, aggiornabile e rinnovabile a seguito della verifica annuale sull’attuazione. L’ultimo Piano pluriennale della viabilità nazionale riguarda il periodo 2003-2012, su cui il CIPE con la delibera 18 marzo 2005, n. 4 ha espresso il proprio parere e l’ultimo contratto di programma ANAS è del 2012 (vedi delibera CIPE 9/2013).

[51]    Per un approfondimento in merito ai finanziamenti ANAS ed ai contratti di programma, si rimanda alla scheda le concessioni autostradali, che fa parte della documentazione di inizio legislatura e che reca notizie aggiornate al mese di marzo 2013.

[52]    Vedi la delibera CIPE 3 agosto 2011, n. 62.

[53]    Art. 11, comma 5, del D.L. 216/2011, come novellato dall'art. 12, comma 78, lett. a), del D.L. 95/2012.

[54]    La mancata emanazione dell’atto del governo n. 471 nel termine previsto, ha provocato la soppressione dell’Agenzia, e, con il decreto 1° ottobre 2012, n. 341, è stata trasferito l’ispettorato di Vigilanza Concessioni Autostradali dell’Anas (IVCA) al MIT, come struttura di vigilanza sulle concessionarie autostradali, a cui sono state affidate le funzioni indicate dalle lettere b)-f) del comma 2 dell’art. 36, del D.L. 98/2011.

[55]    Ai sensi dell’art. 36, commi 6 e 9, del D.L. 98/2011, modificati dal comma 180 dell’art. 1 della L. 228/2012 (legge di stabilità 2013).

[56]    Per quanto riguarda il progetto del Ponte sullo Stretto, si segnala che l’opera è compresa nel Programma delle infrastrutture strategiche (PIS) di cui all’art. 1, comma 1, della L. 443/2001 (“legge obiettivo”). Per una descrizione delle caratteristiche dell’opera e dello stato di attuazione al 30 settembre 2012 si rinvia alla scheda n. 65 del 7° Rapporto sull’attuazione della “legge obiettivo” predisposta dal Servizio Studi della Camera in collaborazione con l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici.

[57]    Inoltre, il 31 gennaio 2013 è stato presentato, presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il Progetto definitivo della sezione trasnfrontaliera della nuova linea ferroviaria Torino – Lione.

[58]    La prima fase è stata individuata nella sezione transfrontaliera compresa tra Susa, in Italia, e Saint-Jean-de-Maurienne, in Francia. Per quanto riguarda la ripartizione dei costi della sezione transfrontaliera, valutata in circa 8,5 miliardi di euro, l'Italia e la Francia forniranno il 60% dei finanziamenti (suddividendoli tra loro nella misura rispettivamente del 57,9% e del 42,1%) e l'Unione Europea il restante 40%. Le successive fasi funzionali, che dovranno essere regolate con successivi accordi, consisteranno, per quanto riguardo l’Italia, nella realizzazione di un tunnel di circa 19 km tra Susa e Chiusa San Michele.

[59]    Per approfondimenti in merito al progetto di collegamento internazionale Torino - Lione si rinvia alla scheda dell’opera tratta dal 7° Rapporto sullo stato di attuazione della "legge obiettivo" del Servizio Studi della Camera, presentato alla VIII Commissione (Ambiente) in data 19 dicembre 2012, che reca dati e informazioni al 30 settembre 2012

[60]    Per approfondimenti si veda la scheda n. 39 tratta dal 7° Rapporto sullo stato di attuazione della "legge obiettivo" del Servizio Studi della Camera, presentato alla VIII Commissione (Ambiente) in data 19 dicembre 2012, che reca dati e informazioni al 30 settembre 2012.

[61]    A tale proposito, si ricorda che l’articolo 21 del decreto-legge n. 63 del 2013 prevede anche un rifinanziamento delle suddette risorse nella misura di 413 milioni di euro nell’anno 2024.

[62]    Le concessioni di lavori pubblici rientrano, tra l’altro, tra i contratti di partenariato pubblico e privato come definiti dal Codice ai sensi del comma 15-ter dell’articolo 3.

[63]    Si veda, in proposito, quanto rilevato nel focus dedicato al PPP e alle opere strategiche (vol. n. 392, pagg. 51-ss) contenuto nel 7° Rapporto sull’attuazione della “legge obiettivo” predisposto dal Servizio Studi della Camera in collaborazione con l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici e presentato all’VIII Commissione ambiente il 19 dicembre 2012.

[64]  L’articolo 144, comma 1, del Codice prevede che le stazioni appaltanti affidano le concessioni di lavori pubblici con procedura aperta o ristretta, utilizzando il criterio selettivo dell'offerta economicamente più vantaggiosa.

 

[65]    L’accesso al beneficio è subordinato al possesso di specifici requisiti e condizioni indicati nel richiamato articolo 33.

[66]    In particolare, gli interventi di completamento di opere già cantierate e bloccate sono inclusi tra le priorità obbligate.

[67]    Gazzetta Ufficiale 20 gennaio 2003, n. 15.

[68]    Gazzetta Ufficiale 21 gennaio 2004, n. 16.

[69]    Gazzetta Ufficiale. 23 giugno 2008, n. 145.

[70]    Gazzetta Ufficiale 28 marzo 2009, n. 73.

[71]    D.L. 6 giugno 2012, n. 73, Disposizioni urgenti in materia di qualificazione delle imprese e di garanzia globale di esecuzione, convertito con modificazioni dalla legge 23 luglio 2012, n. 119.

[72]    All’origine ovvero a seguito di trattamenti aventi esclusivamente lo scopo della rimozione degli inquinanti, ad esclusione dei processi finalizzati alla immobilizzazione degli inquinanti stessi.

[73]    all'origine o a seguito di trattamenti finalizzati esclusivamente alla rimozione degli inquinanti, ad esclusione quindi dei processi finalizzati alla immobilizzazione degli inquinanti stessi quali solidificazione e stabilizzazione.

[74]    Vale a dire che presentino che presentino un sistema di impermeabilizzazione naturale o artificiale o completato artificialmente al perimetro e sul fondo in grado di assicurare requisiti  di  permeabilità equivalenti a quelli di uno strato di materiale naturale dello spessore di 1 metro con K minore o uguale a 1,0 x 10 - 9 m/s.

[75]    Di conseguenza, per le autorità portuali il saldo finale dell’operazione sarebbe pari a zero.

[76]    Si fa riferimento all’articolo 1, comma 983, della legge 296/2006.

[77]    Il Fondo perequativo, istituito presso il Ministero dei trasporti, è stato inizialmente dotato di 50 milioni di euro all'anno.

[78]    Si ricorda che i proventi derivanti da attività commerciali non esercitate abitualmente, nonché i redditi derivanti da attività di lavoro autonomo non esercitate abitualmente o quelli derivanti dalla assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere rientrano nella categoria di “redditi diversi” a fini IRPEF (articolo 67, comma 1 del TUIR), ove non costituiscano redditi di capitale, ovvero se non sono conseguiti nell'esercizio di arti e professioni o di imprese commerciali o da società in nome collettivo e in accomandita semplice, né in qualità di lavoro dipendente. In rapporto alle predette attività, il reddito imponibile (articolo 71, comma 2 del TUIR) è costituito dalla differenza tra l'ammontare percepito nel periodo di imposta e le spese specificamente inerenti alla produzione del reddito medesimo.

     

[79]    Modificato, da ultimo, dall’art. 59-bis del D.L. n. 1/2012

[80]    Emendamento presentato e approvato nel corso dell’esame del decreto legge n. 1/2012.

[81]    Come sostituito dal decreto legge n. 1/2012.

[82]    Dossier n. 386 del 14 marzo 2012 (decreto legge n. 1 del 2012, articolo 59-ter).

[83]    Articolo 60-bis AC 5025.

[84]    Si tratta del versamento dovuto al periodo 1/5/2013-30/4/2014. La circolare Agenzia entrate n. 16/E del 30 maggio 2012 precisa che “La tassa sulle unità  da diporto è annuale e, come precisato dal provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate del 24 aprile 2012, il relativo versamento è effettuato entro il 31 maggio di ciascun anno ed è riferito al periodo 1° maggio – 30 aprile dell’anno successivo”.

[85]    Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio del 23 ottobre 2007, n. 58, che modifica la direttiva 91/440/CEE del Consiglio relativa allo sviluppo delle ferrovie comunitarie e la direttiva 2001/14/CE relativa alla ripartizione della capacità di infrastruttura ferroviaria e all’imposizione dei diritti per l’utilizzo dell’infrastruttura ferroviaria.

      La direttiva 2007/58/CE è finalizzata a favorire l’apertura del mercato dei servizi ferroviari internazionali di trasporto passeggeri all’interno della Comunità, consentendo tale servizio senza l’obbligo dell’associazione di impresa.

[86]    Il sistema EU PILOT dal 2008 è lo strumento principale di comunicazione e cooperazione tramite il quale la Commissione, mediante il Punto di contatto, trasmette le richieste di informazione agli Stati membri (25 in tutto in quanto Malta e Lussemburgo non hanno ancora aderito a questo strumento di pre-contenzioso) al fine di assicurare la corretta applicazione della legislazione UE e prevenire possibili procedure d’infrazione.

[87]    Per i dettagli relativi agli aumenti disposti dai decreti-legge nn. 78/2009 e 78/2010 si rinvia al paragrafo “Disciplina del canone annuo e del sovrapprezzo autostradale” del dossier “L’Anas e le concessioni autostradali” del 6 luglio 2011.

[88]    Le funzione del RID, soppresso dai commi 170-171 dell’art. 2 del D.L. 262/2006, sono state assegnate alla Direzione Generale per le dighe e le infrastrutture idriche ed elettriche e gli Uffici Tecnici per le dighe, istituita dal DPR 211/2008 di riorganizzazione del MIT.

[89]    Si veda La relazione sullo stato di attuazione degli interventi urgenti per la messa in sicurezza delle

grandi dighe (Doc. CXII n. 3, aggiornata al 29 febbraio 2012), presentata nella XVI Lgs. dal MIT per l’individuazione di tali dighe.

[90]    Proroga dello stato di emergenza in relazione alla messa in sicurezza delle grandi dighe di Zerbino e La Spina (Piemonte); Molinaccio (Marche); Pasquasia e Cuba (Sicilia); Gigliara Monte (Calabria); Figoi e Galano (Liguria), Muro Lucano (Basilicata); Muraglione, Montestigliano e Fosso Bellaria (Toscana); Sterpeto (Lazio); La Para e Rio Grande (Umbria).

[91]    L’art. 1, comma 69, della L.228/2012 (legge di stabilità 2013) ha novellato il citato comma 172 e, a decorrere dal 1° gennaio 2013, ha portato il contributo dei concessionari delle grandi dighe ad euro 2.500.000 per l'anno 2012, ad euro 2.673.000 per l'anno 2013, ad euro 3.172.000 per l'anno 2014 e pari a euro 3.184.000 annui a decorrere dal 2015, a favore del bilancio dello Stato.

[92]    “Disciplina dei criteri di determinazione del contributo annuo da parte dei concessionari di dighe per le attività di vigilanza e controllo svolte dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti” e “Disciplina dei criteri di determinazione del diritto di istruttoria da parte dei richiedenti la concessione o dei concessionari, per le attività espletate dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, nella fase di progettazione e costruzione di dighe”.

[93]    Legge n. 296/2009

[94]    Per un approfondimento sulle formule tariffarie in uso si rinvia al paragrafo 3.4 “Illustrazione generale del regime tariffario” dell’intervento dell'Amministratore unico dell'ANAS presso la Commissione VIII (audizione del 1° febbraio 2012).

[95]    Una semplice dimostrazione viene dalla lettura del citato paragrafo 3.4 “Illustrazione generale del regime tariffario” dell’intervento dell'Amministratore unico dell'ANAS, ove si legge che “per l’adeguamento relativo all’anno 2012, l’ANAS, a seguito delle verifiche e dei conteggi effettuati, non ha accolto, riducendole, undici proposte relative al parametro K (investimenti) formulate dai concessionari, avendo rilevato dagli atti contabili una minor spesa rispetto a quanto programmato dai piani finanziari”.

[96]    Sul punto sono state adottate Linee di indirizzo con D.M. 12 gennaio 2010, in base alla quali, in caso di termini procedimentali superiori a novanta giorni e comunque inferiori a centottanta giorni, le Amministrazioni dovranno fornire una motivazione puntuale, con riferimento a ciascuno dei singoli procedimenti per i quali esse ritengono di dover stabilire questo diverso e maggiore termine, con riferimento alle ragioni giustificatrici indicate dalla legge n. 69 del 2009 (sostenibilità dei tempi sotto il profilo della organizzazione amministrativa, natura degli interessi pubblici tutelati, particolare complessità del procedimento).

[97]    Il DURC è stato introdotto dal D.Lgs. 494/1996 per i cantieri temporanei o mobili laddove si è previsto che il committente o il responsabile dei lavori, anche nel caso di affidamento dei lavori ad un'unica impresa, fosse tenuto a chiedere un certificato di regolarità contributiva rilasciata. Questa norma è ora riprodotta all’articolo 90 del D.lgs. 81/2008. In seguito, tale obbligo è stato esteso dapprima alle ipotesi di imprese affidatarie di un appalto pubblico, tenute alla presentazione del documento alla stazione appaltante a pena di revoca dell'affidamento (articolo 2 del D.L. 210/2002) , e successivamente per l’accesso da parte delle imprese ai benefici e alle sovvenzioni comunitarie anche per la realizzazione di investimenti

 

[98]    Si veda a riguardo il DM 24 ottobre 2007

[99]    In tal senso l’articolo 39-septies, del D.L. 30 dicembre 2005, n. 273, “Definizione e proroga di termini, nonché conseguenti disposizioni urgenti”, convertito in legge, con modificazioni dall'articolo 1, L. 23 febbraio 2006, n. 51

[100]  Si ricorda che in materia, a risposta dell’interrogazione 5-00221 (Fedriga) circa l’obbligo, dal 1° giugno 2013, anche per le aziende che occupino fino a 10 dipendenti, di essere in possesso del documento di valutazione dei rischi (di cui all’articolo 6, comma 8, lettera f), del D.Lgs. 81/2008) non essendo più sufficiente l'autocertificazione a dimostrazione dell'avvenuta valutazione di tutti i rischi presenti nei luoghi di lavoro, il 25 giugno u.s., il Governo ha affermato che la ratio sottesa all'elaborazione delle procedure standardizzate “è stata proprio quella di predisporre uno strumento che il datore di lavoro potrà facilmente utilizzare per effettuare la valutazione dei rischi presenti nella sua azienda (e, conseguentemente, per predisporre le misure volte a eliminare o, quanto meno, ridurre tali rischi), senza ricorrere ad esperti della materia”, anche in virtù del fatto che oramai sono passati 5 anni dall’entrata in vigore del D.Lgs. 81/2008, e che “un ritorno all'istituto dell'autocertificazione per le piccole imprese presenta forti criticità di ordine comunitario atteso che il nostro Paese è stato, sul punto, espressamente diffidato dall'Unione europea la quale, in recenti interlocuzioni nell'ambito di progetti pilota (prodromici all'apertura di vere e proprie procedure di infrazione), ha chiaramente fatto intendere che non tollererà che gli Stati membri prevedano semplici dichiarazioni relative alla valutazione dei rischi”. Ad ogni modo, lo stesso governo ha evidenziato come l’articolo in esame contenga norme di semplificazione, quali appunto, quella sul DUVRI e quella sui cantieri nel caso di piccoli lavori.

[101]  Camera dei deputati, Commissione Affari costituzionali, seduta dell’8 marzo 2007, intervento   del Sottosegretario all’interno, Lucidi.

[102]  Per un’analisi approfondita delle nuove attività previste dal D.P.R. n. 151 si rinvia alla tavola di comparazione con le attività elencate nel D.M. 16 febbraio 1982 contenuta nell’allegato II al D.P.R. n. 151.

[103]  L’art. 55, comma 1-bis, del D.L. 1/2012 ha disposto che per le attività di cui al numero 80 dell'Allegato I al D.P.R. 151/2011, vale a dire “gallerie stradali di lunghezza superiore a 500 metri e ferroviarie superiori a 2.000 metri”, i termini degli adempimenti restano rispettivamente disciplinati dal D.Lgs. 264/2006 e dal D.M. Infrastrutture e trasporti 28 ottobre 2005.

[104]  XVI legislatura - Atto del Governo n. 361 – Nota di verifica n. 303 del 31 maggio 2011.

[105]  V. Commissione Bilancio – seduta del 31 maggio 2011 - Note depositate agli atti della Commissione e predisposte dal Ministero dell’interno e dall’Ufficio legislativo del Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione.

[106]  Si ricorda, infatti, che, ai sensi del precedente art. 145, commi 4 e 5, i comuni sono tenuti ad adeguare gli strumenti di pianificazione urbanistica alle previsioni dei piani paesaggistici secondo le procedure previste dalla legge regionale ed alla regione, a sua volta, spetta disciplinare il procedimento di conformazione ed adeguamento degli strumenti urbanistici alle previsioni della pianificazione paesaggistica, assicurando la partecipazione degli organi ministeriali al procedimento medesimo.

[107]  Tar Sardegna, Sez. II, n. 549 del 21 aprile 2009; Tar Sicilia (PA), Sez. I, n. 540, del 20 marzo 2009, Tar Toscana, Sez. II, 19 maggio 2010, n. 1523; Tar Lombardia, Brescia, Sez. I, ord. n. 117/2010; Tar Lazio, Roma, sez. II, 16 maggio 2011, Tar Toscana Sez. II, 6 ottobre 2011, n. 1452.

[108]  Tar Sicilia (CT) ordinanza cautelare n. 788 del 7 giugno 2007 , successivamente ribadita, in sede di merito, con sentenza del 17 giugno 2008, n. 1188, nonché Tar Catania sentenza n. 207 del 29 gennaio 2008. Tar Friuli-Venezia Giulia, Sez. I, con sentenza del 26 maggio 2008, n. 301; Tar Calabria, sentenze 23 maggio 2008, nn. 1068 e 1069; Tar Lombardia (BS) Sez. I, sentenza n. 4883 del 20 dicembre 2010; Tar Campania, Sez. V, sentenza 21 marzo 2012, n. 1398.

[109]  Recante “Individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero ai sensi degli articoli 31 e 33 del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22”.

[110]  Assocamping, comunicato stampa del 20 giugno 2013 (www.assocampingweb.it/comunicati/2013/cst_200613.pdf).

[111]  Si ricorda che l’art. 1, comma 2, della citata ordinanza, prevede che il Commissario si avvalga, in qualità di Soggetto attuatore, nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, della Direzione attività produttive e rifiuti della regione Lazio per lo svolgimento della funzione di stazione appaltante per la realizzazione di una o più discariche e/o per l'ampliamento di discariche esistenti indicate dalla medesima Regione, nonché di un impianto di trattamento meccanico - biologico dei rifiuti urbani necessari a garantire la piena copertura del fabbisogno dell'area interessata dallo stato di emergenza.

L’art. 3 dell’ordinanza prevede invece che, per l'attuazione degli interventi dichiarati indifferibili, urgenti, di pubblica utilità e costituenti variante ai piani urbanistici, il Commissario, ove non sia possibile l'utilizzazione delle strutture pubbliche, possa affidare la progettazione anche a liberi professionisti, utilizzando, ove necessario, le deroghe di cui all'art. 4.

Lo stesso articolo disciplina le modalità di svolgimento dell’eventuale conferenza di servizi con la quale il Commissario, per gli interventi di competenza, provvede all'approvazione dei progetti, nonché incarica il Commissario di provvedere per le occupazioni d'urgenza e per le eventuali espropriazioni delle aree occorrenti per l'esecuzione delle opere e degli interventi, una volta emesso il decreto di occupazione d'urgenza, prescindendo da ogni altro adempimento, alla redazione dello stato di consistenza e del verbale di immissione in possesso dei suoli anche con la sola presenza di due testimoni.

L’art. 4 autorizza invece il Commissario, ove ritenuto indispensabile e sulla base di specifica motivazione, a derogare, nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico, della direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 22 ottobre 2004 e dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario, ad una serie di disposizioni, elencate dalla norma, tra cui si ricordano alcune norme del Codice dell’ambiente (D.Lgs. 152/2006) in materia di rifiuti, nonché del D.Lgs. 36/2003 sulle discariche, del D.P.R. 327/2001 in materia di espropriazioni e del D.Lgs. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici).

 

[112]  Tale articolo ha modificato il comma 2 dell'art. 14 del D.L.112/2008 in attuazione del quale era stato adottato il D.P.C.M. 22 ottobre 2008, da ultimo abrogato dal D.P.C.M. 6 maggio 2013.

[113]  Il comma 8 non si applica, tra l’altro, ai convegni organizzati dalle università e dagli enti di ricerca ed agli incontri istituzionali connessi all'attività di organismi internazionali o comunitari, alle feste nazionali previste da disposizioni di legge e a quelle istituzionali delle Forze armate e delle Forze di polizia.

[114]  Dal comma 12 sono escluse: le missioni internazionali di pace e delle Forze armate; le missioni delle Forze di polizia e dei Vigili del fuoco;              le missioni del personale di magistratura; le missioni strettamente connesse ad accordi internazionali ovvero indispensabili per assicurare la partecipazione a riunioni presso enti e organismi internazionali o comunitari, nonché con investitori istituzionali necessari alla gestione del debito pubblico; lo svolgimento di compiti ispettivi.

[115]  Ai sensi dell’articolo 1, comma 2 del D.Lgs. n. 165/2001 per “amministrazioni pubbliche” si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300.

[116]  Data di entrata in vigore del decreto legge n. 95/2012 (legge n. 135/2012).

[117]  9 mesi dalla data di entrata in vigore del D.L. n. 95/2012.

[118]  V. Camera dei deputati - Servizio Studi e Servizio Bilancio – Nota di verifica n. 672 del 31 luglio 2012 (parte II del Dossier).

[119]  In base a queste ultime disposizioni, i sostituti di imposta rilasciano un’apposita certificazione unica anche ai fini dei contributi dovuti all'Istituto nazionale per la previdenza sociale (I.N.P.S.) attestante l'ammontare complessivo delle dette somme e valori, l'ammontare delle ritenute operate, delle detrazioni di imposta effettuate e dei contributi previdenziali e assistenziali, nonché gli altri dati stabiliti con il provvedimento amministrativo di approvazione dello schema di certificazione unica. La certificazione è unica anche ai fini dei contributi dovuti agli altri enti e casse previdenziali. La certificazione unica sostituisce quelle previste ai fini contributivi.

[120]  La SOSE - Soluzioni per il Sistema Economico S.p.A. è una Società per azioni costituita con la partecipazione al capitale sociale del Ministero dell’Economia e delle Finanze per l’88% e della Banca d’Italia per l’12%, in base all’art. 10, comma 12 della legge 146/1998, con l’affidamento in concessione di svolgere tutte le attività relative alla costruzione, realizzazione e aggiornamento degli studi di settore.

[121]  Decreto legislativo 26 novembre 2010, recante disposizioni in materia di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard di comuni, province e città metropolitane, emanato in attuazione della legge delega sul federalismo fiscale n.42 del 2009.

[122]  In proposito si rileva che la RT a corredo della legge finanziaria per il 2013 stimava i seguenti effetti di gettito derivanti dalla disposizioni di cui ai commi da 491 a 500 relative all’imposta sulle transazioni finanziarie:

Imposta sulle transazioni

2013

2014

2015

Imposta trasferimenti azioni e strumenti partecipativi

987,2

1173,9

1161

Imposta su derivati equity

16,8

40,4

40,4

Imposta su negoziazioni ad alta frequenza

0,4

0,5

0,5

Totale

1.004,4

1.214,8

1.201,9

 

[123]  Secondo la comunicazione della Commissione europea 2006/C323/01 in materia di aiuti di Stato legati alla ricerca si intendono per «ricerca fondamentale» i lavori sperimentali o teorici svolti soprattutto per acquisire nuove conoscenze sui fondamenti di fenomeni e di fatti osservabili, senza che siano previste applicazioni o utilizzazioni pratiche dirette.

[124]  Secondo la comunicazione della Commissione europea 2006/C323/01 in materia di aiuti di Stato legati alla ricerca si intende per «ricerca industriale» la ricerca pianificata o indagini critiche miranti ad acquisire nuove conoscenze, da utilizzare per mettere a punto nuovi prodotti, processi o servizi o permettere un notevole miglioramento dei prodotti, processi o servizi esistenti. Comprende tale definizione la creazione di componenti di sistemi complessi necessaria per la ricerca industriale, in particolare per la validazione di tecnologie generiche, ad esclusione dei prototipi;

[125]  il fondo FIRST è stato istituito dall’art. 1, co. 870–874, della L. finanziaria 2007 nello stato di previsione del Ministero dell'università e della ricerca, e in esso sono confluite le risorse di alcuni fondi, fra cui il Fondo per le agevolazioni alla ricerca (FAR). Tale fondo è finanziato a valere sulle risorse del Fondo per l’erogazione del trattamento di fine rapporto (TFR), istituito presso l’INPS, ed è alimentato in via ordinaria dai conferimenti annualmente disposti dalla legge finanziaria, dai rientri dei contributi concessi sotto forma di credito agevolato e dalle risorse assegnate dal CIPE, nell’ambito del riparto del FAS (ora, del Fondo per lo sviluppo e la coesione).

[126]  Ora inglobato nel FIRST con DM 115/2013.

[127]  istituzione della Fondazione per il merito per la gestione del Fondo per il merito di cui all’art. 4, della legge n. 240/2010

[128]  Tali destinazioni vengono stabilite sulla base delle scelte espresse dai contribuenti in sede di dichiarazione annuale dei redditi. In caso di scelte non espresse da parte dei contribuenti, la destinazione si stabilisce in proporzione alle scelte espresse. Il successivo articolo 48 della legge n. 222/1985 dispone che le quote dell’8 per mille sono utilizzate: dallo Stato, per interventi straordinari per fame nel mondo, calamità naturali, assistenza ai rifugiati, conservazione di beni culturali; e dalla Chiesa cattolica per esigenze di culto della popolazione, sostentamento del clero, interventi caritativi a favore della collettività nazionale o di paesi del terzo mondo. Successive disposizioni legislative hanno previsto che la scelta sulla destinazione dell’otto per mille dell’imposta sul reddito delle persone fisiche possa essere effettuata anche a favore di altre confessioni religiose. I criteri e le procedure per l’utilizzazione della quota dell’otto per mille dell’IRPEF devoluta alla diretta gestione statale sono disciplinati dal D.P.R. 10 marzo 1998, n. 76, come successivamente modificato dal D.P.R. 23 settembre 2002, n. 250.

[129]  Determinazione 5 aprile 2011, n. 41102, Determinazione 28 giugno 2011, n. 77579, Determinazione 28 ottobre 2011, n. 127505, articolo 34, comma 4, della legge n. 183 del 2011, articolo 15, commi 1 e 2, del D.L. n. 201 del 2011, Determinazione 7 giugno 2012, n. 69805 e Determinazione 9 agosto 2012, n. 88789.

[130]  Istituzione e disciplina dell'addizionale regionale all'imposta erariale di trascrizione di cui alla legge 23 dicembre 1977, n. 952 e successive modificazioni, dell'addizionale regionale all'accisa sul gas naturale e per le utenze esenti, di un'imposta sostitutiva dell'addizionale, e previsione della facoltà delle regioni a statuto ordinario di istituire un'imposta regionale sulla benzina per autotrazione.

[131]  Il richiamato comma 1 indica veicoli di massa massima complessiva superiore a 3,5 tonnellate.

[132]  Recante il conferimento alle regioni ed agli enti locali di funzioni e compiti in materia di trasporto pubblico locale, a norma dell'articolo 4, comma 4, della L. 15 marzo 1997, n. 59.

[133]  Recante la disciplina degli autoservizi di linea (autolinee) per viaggiatori, bagagli e pacchi agricoli in regime di concessione all'industria privata.

[134]  Relativo alla fissazione di norme comuni per i trasporti internazionali di viaggiatori effettuati con autobus.