Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento affari esteri
Titolo: La situazione nel Corno d'Africa
Serie: Note di politica internazionale    Numero: 123
Data: 19/11/2012
Descrittori:
CORNO D'AFRICA     
Organi della Camera: III-Affari esteri e comunitari

Casella di testo: Note di politica internazionalen. 12319 novembre 2012

La situazione nel Corno d’Africa


 


Il 3 febbraio scorso è stata ufficialmente decretata la fine dello stato di carestia in Somalia – il paese del Corno d’Africa più colpito dalla gravissima crisi alimentare la cui punta massima è stata raggiunta nell’estate del 2011, l’anno più secco dal 1950.

Nel 2011 il Corno d’Africa è stato infatti investito da una devastante siccità che ha danneggiato milioni di persone. Le popolazioni delle regioni meridionali e centrali della Somalia sono state le più interessate. La combinazione di siccità, insicurezza alimentare e violazioni dei diritti umani hanno spinto centinaia di migliaia di somali, per lo più donne e bambini, ad abbandonare le proprie abitazioni per cercare rifugio nei paesi vicini.

Secondo i dati forniti dall’UNHCR, nel mese di agosto 2012 i rifugiati somali nella regione del Corno d’Africa hanno superato la quota di un milione, anche se il flusso sta rallentando. Somalia, Afghanistan e Iraq, sono i paesi che danno origine alla maggiore quantità di profughi. Quelli in partenza dalla Somalia vengono ospitati in Kenya, Yemen, Egitto, Etiopia, Eritrea, Gibuti, Tanzania e Uganda. A questi vanno aggiunti 1.360.000 somali sfollati interni. 

 

Il quadro politico somalo

Dopo due decenni di guerra civile, però, la situazione in Somalia sembra finalmente giunta ad una svolta e la speranza di una pace duratura si fa più sostenuta. Dopo l’abbandono di Mogadiscio da parte degli Shebaab, migliaia di civili sono tornati in città, e la stessa cosa sta avvenendo in altre località della costa meridionale. Anche Kisimayo, ultima roccaforte del gruppo terrorista islamico, nonostante alcune sacche isolate di resistenza, è da qualche settimana sotto il controllo delle truppe regolari.

A questo si accompagna l’insediamento delle nuove istituzioni, sostenute dalla comunità internazionale –dagli Stati Uniti in primis – e dal Kenya, le cui truppe hanno avuto un ruolo determinante nella sconfitta e nella dispersione degli Shebaab.

Il nuovo Parlamento somalo, insediato nello scorso luglio e composto da 275 membri nominati dai membri anziani dei clan, ha eletto l’11 settembre il nuovo presidente della Somalia: si tratta di Hassan Sheikh Mohamud, accademico e fondatore, nel 2011, del Peace and Development Party (PDP). Il Parlamento lo ha preferito al Presidente in carica, Sheikh Sharif Sheikh Ahmed. Secondo alcuni analisti Hassan Sheikh Mohamud rappresenta una speranza per il futuro del paese, grazie alla sua estraneità alla violenza e alla corruzione che da troppo tempo contraddistinguono la Somalia.

Il Capo dello Stato somalo ha nominato Primo ministro un uomo d'affari, estraneo alla politica, Abdi Farah Shirdon Saaid, la cui nomina ha suscitato il plauso della comunità internazionale (ma non quello di al Shabaab che ha lanciato un appello alla popolazione somala affinché si unisca alla lotta contro il “governo di infedeli”).

Il 5 novembre il nuovo premier somalo ha presentato ufficialmente il suo nuovo governo, composto di soli dieci ministri, che ha in seguito ricevuto la fiducia del Parlamento. Per la prima volta il ministero degli esteri è affidato ad una donna, Fauzia Yusuf Haji Adan, originaria del Somaliland. Il nuovo governo ha portato un po’ di ottimismo nei giudizi degli osservatori internazionali circa il futuro del paese, grazie al fatto che sembra aver intrapreso una direzione che taglia i legami con aspetti del passato molto critici.

Il percorso verso la normalizzazione della Somalia è ancora in corso ma, anche grazie al sostegno  delle forze del Kenya, dell’Etiopia e dell’Unione africana[1], la dilagante presenza degli Shabaab è stata notevolmente arginata, consentendo, come si è detto, la riconquista di Mogadiscio prima, di Kisimayo e di altre importanti città poi. Il territorio non è però ancora del tutto sotto il controllo dello stato, ragione per la quale il Consiglio di Sicurezza dell'Onu ha approvato il 7 novembre la risoluzione che proroga il mandato della missione Amisom fino al 7 marzo 2013.

Sebbene infatti la milizia di al-Shabaab sia ora dispersa in piccoli gruppi, ha ancora la forza di condurre attacchi a sorpresa, operazioni che mette in atto occasionalmente specialmente nella capitale.

 

La crisi umanitaria

Ai cambiamenti sul piano istituzionale non si affiancano però ancora grossi avanzamenti sul piano umanitario, dove l’allarme rimane ancora elevato. Le troppe stagioni consecutive di siccità nel Corno d’Africa hanno determinato la necessità di continuare ad assistere milioni di persone. In Somalia la popolazione che ancora abbisogna di aiuti alimentari è stata calcolata dall’OCHA (United Nations Office for the Coordination of Humanitarian Affairs) intorno ai 2,12 milioni di persone (nel 2011 era stata toccata la cifra record di 4 milioni). Di questi – secondo un bollettino del 26 settembre del Food Security and Nutrition Analysis Unit report – circa 236 mila sono seriamente malnutriti e bisognosi di trattamenti specifici.

Il quadro della povertà e dell’estrema arretratezza diviene ancora più chiaro se si prendono in considerazione i dati forniti dal Somalia Human Development Report 2012 curato dall’UNDP (United Nations Development Programme): l’indice di sviluppo umano è stato calcolato essere pari a 0,285, laddove il valore ideale è 1. Se, come ipotizza il Rapporto, fossero disponibili  dati confrontabili relativi all’indice di sviluppo umano di tutti i paesi del mondo, la Somalia probabilmente si collocherebbe quasi al fondo della classifica, al 165° posto su 170 paesi (previsioni del 2010). La speranza di vita è di 50 anni (era di 47 anni nel 2001).

L’ineguaglianza di genere è fortissima, superata solo in pochissimi altri paesi al mondo. Le donne patiscono una forte esclusione e una condizione di ineguaglianza che interessa tutte e tre le dimensioni prese in considerazione dall’Indice di Ineguaglianza di Genere (GII): la salute, l’occupazione e la partecipazione al mercato del lavoro. Le ragazze somale sono costrette a sposarsi molto giovani e le violenze contro le donne e le ragazze sono diffusissime. Le leggi tradizionali, usate in luogo di quelle dello Stato, sono altamente discriminatorie nei confronti del genere femminile.

La popolazione maggiormente sofferente è quella nomade ed è considerata per il 99 per cento povera in tutte le dimensioni considerate.

Infine, secondo il Rapporto dell’UNICEF State of the World’s Children 2012, la Somalia si colloca al primo posto per la mortalità infantile (bambini al di sotto dei cinque anni) a causa della scarsità di servizi sanitari e della loro scarsa qualità, del basso numero di vaccinazioni, della malnutrizione e del frequente scoppio di epidemie.

 

La situazione nei paesi confinanti

Gli altri paesi della regione del Corno d’Africa che, come si è detto, continuano ad ospitare i numerosi profughi somali, sono a loro volta gravemente colpiti dalle conseguenze della siccità. Sempre secondo l’OCHA le persone che necessitano di assistenza umanitaria sono complessivamente in lieve diminuzione ma, ad esempio, assommano ancora a 2,1 milioni in Kenya (dati aggiornati al mese di settembre 2012) e 70 mila a Gibuti.

I campi profughi del Kenya ospitano 532.660 somali (oltre 13 mila sono giunti solo nel 2012), quelli etiopi 214.167 (circa 25.500 dei quali arrivati nel 2012) e più di 29 mila quelli ugandesi. Un’altra meta dei profughi somali è lo Yemen che ne ospita 219 mila, 14 mila dei quali sono giunti nel 2012[2]. Il viaggio verso lo Yemen è il più pericoloso: durante l’attraversamento del golfo di Aden si verifica un numero incalcolabile di morti, mentre moltissimi cadono vittima dei trafficanti di esseri umani. Si calcola che  nel 2012 (fino ad ottobre) siano transitate attraverso il Golfo 80 mila persone, delle quali 17.500 circa erano somali.

Dadaab, nel Kenya nordorientale è sorto tra il 1991 e il 1992 per ospitare i rifugiati a seguito della guerra civile culminata con il rovesciamento di Siad Barre. E’ il campo profughi più grande del mondo. In occasione del 63° comitato esecutivo dell’UNHCR, che si è svolto a Ginevra lo scorso ottobre, l’Ong Medici senza Frontiere ha denunciato che i rifugiati somali continuano a vivere in condizioni di estremo disagio (dovute alla riduzione degli aiuti e al conseguente peggioramento dei servizi di base) e in un clima di paura per l’assenza di sicurezza.

Uccisioni ed episodi di violenza si susseguono con preoccupante frequenza, e riguardano civili, militari e anche operatori umanitari. Per questa ragione MSF ha chiesto agli Stati Parte della Convenzione dell’Onu sui rifugiati di dare il proprio contributo al governo del Kenya e all’UNHCR affinché questi possano migliorare le tutele e l’assistenza ai rifugiati.

Sebbene il Kenya imponga ai rifugiati somali di risiedere nei campi profughi, un consistente numero di essi vive ormai da anni in città come Garissa. Proprio a causa del diffondersi di una situazione di insicurezza e di violenze, il Commissario della contea di Garissa ha ordinato ai somali e agli altri stranieri non registrati di trasferirsi complesso di Dadaab, pena un dislocamento forzato. Della questione di Dadaab si è occupato anche il capo di stato keniano, Mwai Kibaki che, lo scorso settembre, ha esortato le agenzie dell’Onu e le altre organizzazioni internazionali a fornire assistenza umanitaria ai civili che vivono nelle zone liberate della Somalia.

Anche Dollo Ado in Etiopia, un complesso di cinque campi, secondo solo a quello di Dadaab, soffre per la situazione di sovraffollamento che si verifica da ormai troppi anni. Ciascun campo contiene circa trentamila persone e i nuovi arrivati vengono trasferiti nei campi di Buramino (l’ultimo sorto) e di Kobe e Hillaweyn. I somali continuano a giungere a Dollo Ado, anche se il flusso è in calo: dai 2000 al giorno nel luglio 2011 a una media di 30 al giorno attualmente.

Oltre a una devastante crisi umanitaria, l’esistenza di campi così vasti e sovraffollati ha anche creato un problema ambientale, dovuto in molti casi al depauperamento delle risorse, in particolare delle aree boschive, ormai trasformate in nuda terra.

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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File: es1266inf.doc



[1] Nella missione dell’Unione Africana, AMISOM (African Union Mission in Somalia), sono impiegate prevalentemente truppe ugandesi e burundesi di religione cristiana.

[2] dati UNHCR al 31 ottobre 2012.