Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento affari esteri
Altri Autori: Servizio Studi - Dipartimento cultura , Servizio Studi - Dipartimento giustizia , Servizio Studi - Dipartimento istituzioni , Servizio Studi - Dipartimento lavoro , Servizio Rapporti Internazionali , Ufficio Rapporti con l'Unione Europea
Titolo: 55a Sessione della Commissione delle Nazioni Unite sullo status delle donne (New York 22 febbraio-4 marzo 2011) - Articolazione e temi della sessione, focus tematici
Serie: Documentazione e ricerche    Numero: 195
Data: 15/02/2011
Descrittori:
DONNE   ORGANIZZAZIONE DELLE NAZIONI UNITE ( ONU )
PARITA' TRA SESSI     
Organi della Camera: III-Affari esteri e comunitari
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Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione e ricerche

55ma Sessione della Commissione
delle Nazioni Unite sullo status delle donne

(New York 22 febbraio-4 marzo 2011)

 

Articolazione e temi della sessione,
focus tematici

 

 

 

 

 

 

n. 195

 

 

 

15 febbraio 2011

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Affari esteri

( 066760-4939 – * st_affari_esteri@camera.it

Hanno partecipato alla redazione del dossier i seguenti Servizi e Uffici:

Servizio Rapporti Internazionali

( 066760-3948 – * cdrin1@camera.it

Segreteria Generale – Ufficio Rapporti con l’Unione europea

( 066760-2145 – * cdrue@camera.it

Servizio Studi – Dipartimento Istituzioni

( 066760-3855– * st_istituzioni@camera.it

Servizio Studi – Dipartimento Giustizia

( 066760-9148– * st_giustizia@camera.it

Servizio Studi – Dipartimento Lavoro

( 066760-4884– * st_lavoro@camera.it

Servizio Studi – Dipartimento Cultura

( 066760-3255– * st_cultura@camera.it

 

 

 

 

I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.

File: es0659.doc


INDICE

La 55a Sessione della Commissione  delle Nazioni Unite sullo status  delle donne (CSW) (a cura del Servizio Rapporti Internazionali)

Le tematiche della  55a Sessione della CSW   3

L’organizzazione della 55a Sessione della CSW   5

Agenda provvisoria della 55a sessione della CSW   8

La Commissione delle Nazioni Unite sullo status delle donne  18

Ban Ki-moon Segretario Generale delle Nazioni Unite  29

Michelle Bachelet Presidente di UN Women  31

Focus tematici (a cura del Servizio Studi)

Le pari opportunità tra uomo e donna  35

Le pari opportunità come principio dell’ordinamento italiano  35

Le pari opportunità nella vita politica  36

Le pari opportunità nella Pubblica amministrazione  39

Le pari opportunità nel lavoro  40

Gli organismi pubblici a tutela delle pari opportunità  41

Le donne nelle istituzioni42

Le donne nella dirigenza pubblica  44

Le donne nella magistratura  44

Le donne nella formazione  45

Le donne nel mondo del lavoro  46

La legislazione di contrasto alle violenze  a carico di donne e bambine  49

I reati di violenza sessuale  49

Lo stalking  56

Le mutilazioni genitali femminili57

Gli atti di indirizzo recentemente approvati dal Parlamento  59

Le pari opportunità nell’Unione europea (a cura dell’Ufficio Rapporti con l’Unione europea)61

L’intervento dell’Unione europea: base giuridica  61

La nuova strategia UE per la parità di genere (2010-2015)62

Il sostegno finanziario  63

L’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere (EIGE)65

I risultati e la valutazione dell’Anno europeo per le pari opportunità (2007)66

L’Italia e le iniziative internazionali per la lotta alle mutilazioni genitali femminili67

Le posizioni delle Organizzazioni internazionali68

Il ruolo dell’Italia  71

L’attività legislativa e parlamentare  72

La gender equality strategy 2008-2011 del Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (UNDP)75

The Global Gender GAP Report 2010 del Forum economico mondiale  79

Il nuovo organismo delle Nazioni Unite per la paritá di genere: UN Women  83

L’evento dell’Unione interparlamentare sul ruolo dei Parlamenti nel promuovere l’accesso e la partecipazione delle donne e delle ragazze all’istruzione, alla formazione, alla scienza ed alla tecnologia (New York, 23 febbraio 2011) (a cura del Servizio Rapporti internazionali)

Invito (in inglese)89

Nota informativa (in inglese)90

 

 


SIWEB

La 55a Sessione della Commissione
delle Nazioni Unite sullo status
delle donne (CSW)
(a cura del Servizio Rapporti Internazionali)


Le tematiche della
55a Sessione della CSW

La 55a Sessione della Commissione delle Nazioni Unite sullo status delle donne ha una articolazione ricca e complessa, a dimostrazione della centralità che la condizione femminile viene sempre di più ad assumere a livello planetario.

I lavori si articoleranno in un dibattito generale ed in una serie di eventi collaterali.

Il dibattito generale sarà volto a valutare i progressi compiuti nel corso dell’anno nel campo dell’uguaglianza di genere, a definire standards globali ed a formulare politiche concrete per la promozione delle pari opportunità e dei diritti delle donne in campo politico, economico, sociale ed educativo.

Il tema prioritario della sessione riguarda: “L’accesso e la partecipazione di donne e bambine all’istruzione, alla formazione, alla scienza e alla tecnologia, anche per favorire le pari opportunità di pieno accesso all’occupazione e a un lavoro dignitoso”. Durante la prima settimana di lavori della Commissione, gli Stati Membri negozieranno le agreed conclusions (nuove raccomandazioni politiche) per accelerare l’implementazione degli impegni esistenti, inclusi quelli previsti dalla Piattaforma d’Azione di Pechino.

Verrà inoltre trattato un tema trattato in una precedente sessione e precisamente: “L’eliminazione di ogni forma di discriminazione e di violenza nei confronti delle bambine (agreed conclusions della 51^ Sessione della CSW).Una discussione interattiva valuterà I progressi raggiunti nell’implementazione delle agreed conclusions adottate alla fine della 51esima Sessione della CSW del 2007.

Verrà quindi affrontata una tematica emergente: “Eguaglianza di genere e sviluppo sostenibile”. Nel maggio 2012 si svolgerà, infatti, in Brasile la Conferenza internazionale sullo sviluppo sostenibile: l'obiettivo è, dunque, avviare quest'anno una discussione in ambito CSW, in modo da poter influenzare sul piano dei contenuti il processo negoziale preparatorio della conferenza.

Ulteriori temi di discussione saranno:

Come di consueto, si terrà anche, presso la sede delle Nazioni Unite a New York, un evento parlamentare, il 23 febbraio, sul tema: “Il ruolo dei Parlamenti nel promuovere l’accesso e la partecipazione delle donne e delle ragazze all’istruzione, alla formazione, alla scienza ed alla tecnologia” promosso dall’Unione interparlamentare e l’UN Women.

Inoltre, l’Unione interparlamentare organizzerà due eventi collaterali sulla salute delle madri e dei bambini, il 25 febbraio.

Il 24 febbraio, nel pomeriggio, vi sarà l’inaugurazione dell'UN Entity for Gender Equality and the Empowerment of Women, conosciuto come UN Women, alla guida del quale è stata preposta l’ex Presidente della Repubblica cilena, Michelle Bachelet: l’inaugurazione dell’UN Women rappresenta l’evento centrale della sessione di quest’anno.

 

 

 

 


                                          L’organizzazione della 55a Sessione della CSW

 

 

Martedì 22 Feb

Mercoledì 23 Feb

Giovedi 24 Feb

Venerdì 25 Feb

10:00-01:00

 am

- Apertura della sessione

 

- Elezione degli officers (punto 1)

 

- Approvazione dell'ordine del giorno e altre questioni organizzative (punto 2)

 

- Presentazione di documenti (punto 3)

 

Discussione generale(punto 3 nel suo complesso).

 

Esame dell'attuazione di: BPfA[1] e l'esito della 23a sessione speciale dell'Assemblea Generale - la condivisione di esperienze e buone pratiche in materia di attuazione della Piattaforma d'azione, al fine di superare gli ultimi ostacoli e le nuove sfide.

Panel 1: 

 

L'accesso e la partecipazione di donne e ragazze all'istruzione, alla formazione, alla scienza ed alla tecnologia, anche per la promozione delle pari opportunità, della piena occupazione e del diritto ad un lavoro dignitoso.

 

 

 

Iniziative politiche chiave nella gestione di tale tema

 

Focus su scienza e tecnologia

Discussione generale 

(punto 3) (segue)

Panel 3:

 

Valutazione dei progressi realizzati nell'attuazione delle conclusioni concordate "L'eliminazione di tutte le forme di discriminazione e violenza contro le bambine"

1.00 – 3.00

 pm

 

 

 

 

Panel per il 2012:

 

Il potenziamento della condizione delle donne rurali e il loro ruolo nella lotta alla fame, contro lo sradicamento della povertà, nello sviluppo e nei confronti delle sfide attuali.

 

 

 

 

 

 

Martedì 22 Feb

Mercoledì 23 Feb

Giovedi 24 Feb

Venerdì 25 Feb

3.00-6.00

 pm

Due tavole rotonde parallele di alto livello sul tema prioritario:

 

l'accesso e la partecipazione di donne e ragazze all'istruzione, alla formazione, alla scienza ed alla tecnologia, anche per la promozione delle pari opportunità, della piena occupazione e del diritto ad un lavoro dignitoso.

 

- Punto 3 (a) (i)

Panel 2:

 

 

l'accesso e la partecipazione di donne e ragazze all'istruzione, alla formazione, alla scienza ed alla tecnologia, anche per la promozione delle pari opportunità, della piena occupazione e del diritto ad un lavoro dignitoso.

 

 

Iniziative politiche chiave nella gestione di tale tema

 

Focus su istruzione e formazione

 

 

Discussione generale  (punto 3) (segue)

Consultazioni sui progetti di proposte

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lunedi 28 Feb

Martedì 1 Mar

Mercoledì 2 Mar

Giovedi 3 Mar

Venerdì 4 Mar

10:00-01:00

am

Discussione generale

(punto 3)(concluso)

 

in parallelo con
consultazioni informali (conclusioni concordate)

Panel 4: 

Questioni emergenti, tendenze e nuovi approcci a questioni che riguardano la situazione delle donne o la parità tra donne e uomini.

 

Pari opportunità e sviluppo sostenibile

 

03:00: termine per la presentazione dei progetti di proposta

Consultazioni informali (conclusioni concordate)

Seguiti delle risoluzioni e decisioni del Consiglio Economico e Sociale (punto 5) -presentazione e discussione

 

seguito da:

Introduzione di progetti di proposte

 

in parallelo con le consultazioni informali (conclusioni concordate)

Consultazione sui progetti di proposte

1 - 3 pm

 

 

 

 

 

3,00-6,00 pm

consultazioni informali (conclusioni concordate)

Pannello 5: 

 

Eliminazione delle cause di mortalità per le madri e di altre malattie. Potenziamento della condizione femminile.

 

 (CSW risoluzione 54 / 5)

Chiusura della riunione per esaminare la relazione del Gruppo di Lavoro sulle Comunicazioni  (punto 4)

 

 

seguito da:


consultazioni informali (conclusioni concordate)

Consultazioni informali (conclusioni concordate)

- Consultazione sui progetti di proposte 

 

- Ordine del giorno provvisorio per la 56ª sessione della CSW (punto 6)

 

- Approvazione del progetto di relazione della CSW su sua 55a sessione (punto 7)


La chiusura della 55a sessione seguita da -Apertura della 56ª sessione, al solo scopo di eleggere il presidente e altri membri dell'Ufficio di presidenza.

 


 

Economic and Social Council

 

Agenda provvisoria della 55a sessione della CSW

22 FEBBRAIO – 4 MARZO 2011

 

Ordine del giorno provvisorio commentato e proposta di organizzazione di lavoro*

 

1.      Elezione dei membri.

 

2. Approvazione dell’ordine del giorno e altre questioni organizzative.

 

3. Seguito dei lavori della quarta Conferenza mondiale sulla donna e della ventitreesima sessione speciale dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, intitolata “Donne 2000: uguaglianza di genere, sviluppo e pace per il XXI° Secolo”:

 

(a) Realizzazione degli obiettivi strategici e piani di azione nelle aree critiche  di riferimento, nonché ulteriori future azioni ed iniziative:

(I) TEMA PRIORITARIO: L'accesso e la partecipazione di donne e ragazze all'istruzione, alla formazione, alla scienza ed alla tecnologia, anche per la promozione delle pari opportunità, della piena occupazione e del diritto ad un lavoro dignitoso.

(II) TEMA DI ANALISI:  l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione e violenza contro le bambine.

 

4. Comunicazioni riguardanti la condizione della donna.

 

5. Seguito delle risoluzioni e delle decisioni del Consiglio economico e sociale.

 

6. Ordine del giorno provvisorio della 56ma sessione della Commissione.

 

7. Adozione della relazione della Commissione sulla sua 55ma sessione.


Note

 

1.             Elezione dei membri

Ai sensi dell’art. 15 del regolamento delle commissioni tecniche del Consiglio economico e sociale e in virtù della risoluzione 1987/21 e della decisione 2002/234 del Consiglio, la Commissione sulla condizione della donna ha, nella prima riunione della sua cinquantaquattresima sessione, il 13 marzo 2009, eletto per acclamazione Armen Martirosyan (Armenia) quale presidente e Leysa Sow (Senegal), Roberto Storaci (Italia) e Takashi Ashiki (Giappone) quali vicepresidenti della cinquantaquattresima e cinquantacinquesima sessione della Commissione. Il 14 ottobre 2009, durante la seconda riunione della cinquantaquattresima sessione della Commissione, e a seguito delle dimissioni di Armen Martirosyan, la Commissione ha eletto per acclamazione Garen Nazarian (Armenia) quale presidente di sessione per il prosieguo della cinquantaquattresima e per la cinquantacinquesima sessione.La Commissione ha inoltre eletto Julio Peralta (Paraguay) quale vice-presidente della cinquantaquattresima e della cinquantacinquesima sessione[2].

 

In seguito alle dimissioni di Roberto Storaci (Italia), Julio Peralta (Paraguay) e Ashiki Takashi (Giappone), la Commissione, nella prima riunione dellasuacinquantacinquesima sessione, il 12marzo 2010, ha eletto per acclamazione Filippo Cinti(Italia) e MaríaLuz Melone(Argentina)comeVice-Presidentiper la 55ma sessione.

 

Nella sua prima riunione, il 22 febbraio 2011, la Commissione sarà chiamata ad eleggere Tetsuya Rimura (Giappone), che è stato nominato dal gruppo asiatico degli Staticomevicepresidente,nonché a designare unodeivicepresidenti quale relatoredi della Commissione.

 

In conformitàcon la Risoluzione del Consiglio Economico eSociale2009/16 Commissione, nella sua 54ma sessione ha inoltre nominato cinquemembriper il Gruppo di Lavoro sulle Comunicazioni relative allo Status della Donna, istituito ai sensi della risoluzione 1983/27 del Consiglio Economico e Sociale.

 

 

 

 

2.             Adozione dell’ordine del giorno e altre questioni organizzative

L’art. 7 del regolamento prevede che la Commissione, all’inizio di ogni sessione, adotti l’ordine del giorno di quella sessione basandosi sull’ordine del giorno provvisorio.

 

L’ordine del giorno provvisorio e la documentazione per la 55ma sessione della Commissione sono stati approvati dal Consiglio economico e sociale nella sua decisione 2010/233.

 

La preparazione della 55ma sessione della Commissione è stata avviata ai sensi della sua conclusione 1996/1 sui metodi di lavoro, delle risoluzioni 2006/9 e 2009/15 del Consiglio economico e sociale Di conseguenza, l’Ufficio di presidenza della Commissione ha tenuto diverse riunioni e consultazioni informali con tutti gli Stati membri e osservatori della Commissione sulle modalità di revisione, al fine di concordarne il formato e il risultato.

 

In linea con la risoluzione 64/289 sulla massima coerenza a livello di sistema, l’Assemblea Generale ha stabilito la costituzione, quale entità composita, dell’United Nations Entità for Gender Equality (UN Women). Un Women è il risultato di una fusione tra UNIFEM ed altri tre organismi delle Nazioni Unite dedicati alle tematiche di genere:la Divisione per il Progresso delle Donne (DAW), l’Ufficio del Consulente Speciale sulle Questioni di Genere e il Progresso Femminile (OSAGI) e l’Istituto Internazionale delle Nazioni Unite di Ricerca e Formazione per il Progresso delle Donne (INSTRAW). UN Women svolge anche le funzioni di segretariato e svolge attività a livello nazionale.

 

Nella stessa risoluzione, è stato inoltre stabilito che l’Assemblea Generale, il Consiglio Sociale ed Economico e la Commissione sulla condizione della donna dovrebbero costituire una struttura a più livelli con lo scopo di fornire linee guida operative alla nuova struttura Un Women (cfr. par. 57(a)); allo stesso modo l’Assemblea Generale, il Consiglio Economico e Sociale e l’Executive Board di Un Women.dovrebbero costituire una struttura a più livelli per guidare le attività operative, dando al tempo stesso le direttive politiche ad Un Women (cfr. par. 57(b)). Nel par. 67, l’Assemblea sottolinea la necessità di stabilire meccanismi di revisione per i risultati, come pure la necessità di coerenza, efficacia e coordinamento tra gli aspetti normativi ed operativi dell’attività di UN Women soprattutto riguardo a tali questioni:

                 i.                La Commissione sulla condizione della donna e l’Executive Board di UN Women devono lavorare a stretto contatto per mantenere una direzione coerente delle attività nelle loro rispettive aeree;

               ii.                Il Consiglio Economico e Sociale deve approvare apposite misure per garantire il coordinamento tra i due organismi citati affinché sia garantita la coerenza tra le politiche della Commissione e la loro effettiva applicazione da parte di UN Women;

              iii.                Il capo di UN Women sottoporrà alla Commissione un rapporto annuale sugli aspetti normativi del proprio lavoro e sulla realizzazione delle politiche predisposte dalla Commissione.

 

 

Documentazione

Report del Direttore Esecutivo di UN Women alla Commissione per la condizione della donna (E/CN.6/2011/2)

 

 

3. Seguiti della Quarta Conferenza Mondiale sulle Donne e della 23ma Sessione Speciale delle Nazioni Unite, intitolata “Donne 2000: eguaglianza tra i sessi, sviluppo e pace per il 21mo secolo”

 

(a) Attuazione degli obiettivi strategici e dei piani di azione nelle aree più critiche, ulteriori iniziative

 

Tavola rotonda ad alto livello

 

Nella sua risoluzione 2006/9, il Consiglio Economico e Sociale ha deciso che l'annualetavola rotonda interattiva di alto livello tavolo si concentrerà su esperienze, insegnamenti ebuone pratiche, compresi i risultati  -forniti con dati di supporto, ove disponibili - in relazione allal'attuazione di precedenti impegni assunti per quanto riguarda il tema prioritario. 

 

La tavola rotonda di alto livello della 55ma sessione si concentrerà su L'accesso e la partecipazione di donne e ragazze all'istruzione, alla formazione, alla scienza ed alla tecnologia, anche per la promozione delle pari opportunità, della piena occupazione e del diritto ad un lavoro dignitoso.

 

 

Documentazione

Nota per l'Ufficio di presidenza della Commissione per la condizione della donna: guida alla discussione sull'accesso e la partecipazione di donne e ragazze all'istruzione, alla formazione, alla scienza ed alla tecnologia, anche per la promozione delle pari opportunità, della piena occupazione e del diritto ad un lavoro dignitoso.

 (E/CN.6/2011/4)

 

Tema prioritario

Nella sua Risoluzione 2009/15, il Consiglio Economico e Sociale ha approvato il metodo di lavoro e di organizzazione futuro per la Commissione. Di conseguenza, nella sua 55ma sessione, la Commissione prenderà in considerazione il tema: L'accesso e la partecipazione di donne e ragazze all'istruzione, alla formazione, alla scienza ed alla tecnologia, anche per la promozione delle pari opportunità, della piena occupazione e del diritto ad un lavoro dignitoso.

 

Tema di analisi

In conformità con Economico e Sociale 2009/15 risoluzione del Consiglio, la Commissione valuterà i progressi compiuti nell'attuazione delle conclusioni concordate dalla sua cinquantunesima sessione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione  l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione e violenza contro le bambine.  

 

Documentazione

Relazione del Segretario Generale sull’accesso e la partecipazione delle donne e delle bambine all’educazione, alla formazione, alla scienza, alla tecnologia, compresa la promozione di pari opportunità nell’accesso al pieno impiego e ad un lavoro dignitoso (E/CN.6/2011/3).

 

Relazione del Segretario Generale sui progressi compiuti per quanto riguarda la promozione delle problematiche legate alle pari opportunità, della messa in atto e del monitoraggio delle politiche e dei programmi nazionali, nell’ottica particolare dell’accesso e della partecipazione delle donne e delle bambine all’educazione, alla formazione, alla scienza, alla tecnologia, compresa la promozione di pari opportunità nell’accesso al pieno impiego e ad un lavoro dignitoso (E/CN.6/2011/5).

 

 

(b) Nuove questioni, tendenze ed approcci nuovi ai problemi che possono avere ripercussioni negative sulla condizione della donna o sull’eguaglianza dei sessi

 

Con la sua risoluzione 2006/9, il Consiglio economico e sociale ha chiesto alla presidenza della Commissione d’individuare prima di ogni sessione, in consultazione con tutti gli Stati e attraverso i loro gruppi regionali, un tema emergente da far esaminare alla Commissione tenendo conto degli sviluppi a livello globale e regionale, nonché delle attività previste nell'ambito delle Nazioni Unite in cui fosse richiesta una maggiore attenzione alle prospettive di genere. Dopo consultazioni, la presidenza ha deciso che la Commissione terrà un dibattito di esperti su una questione di attualità (da determinare).

 

 

(c) Trasversalità della problematica legata alle pari opportunità. Situazioni e questioni di programma

 

Progressi compiuti per quanto riguarda l’esame della problematica legata alle pari opportunità allo stadio nella promozione delle problematiche legate alle pari opportunità, della messa in atto e del monitoraggio delle politiche e dei programmi nazionali, nell’ottica particolare del tema prioritario.

 

Situazione delle donne palestinesi e assistenza alle stesse

Con la sua risoluzione 2009/14 sulla situazione delle donne palestinesi e sull’assistenza loro prestata, il Consiglio economico e sociale ha invitato la Commissione a continuare a monitorare e intervenire per quanto riguarda l'attuazione delle Strategie d’azione mirate al futuro per il progresso delle donne adottate a Nairobi, e in particolare del paragrafo 260 riguardante le donne e i bambini palestinesi, della Piattaforma d'azione di Pechino e degli esiti della ventitreesima sessione speciale dell'Assemblea generale. La Commissione ha inoltre chiesto al Segretario generale di continuare a verificare la situazione, assistere le donne palestinesi con tutti i mezzi disponibili e presentare alla Commissione, durante la sua cinquantacinquesima sessione, una relazione, comprensiva delle informazioni fornite dalla Commissione economica e sociale per l'Asia occidentale, sui progressi compiuti nell'attuazione di tale risoluzione.

 

Le donne e le bambine dinanzi alla minaccia dell’HIV e dell’AIDS

Nella risoluzione 54/2, la Commissione ha invitato il Segretario Generale di presentare un rapporto, in vista della 55ma sessione, sull’applicazione di detta risoluzione, mettendo l’accento sull’intensificazione delle misure in favore delle donne e delle bambine dinanzi alla minaccia dell’HIV e dell’AIDS, nonché per valutarne gli effetti in caso di contagio. 

 

Programma di lavoro comune sui diritti fondamentali delle donne

Conformemente alla risoluzione 39/5 della Commissione sulla condizione della donna, alla risoluzione 1997/43 della Commissione dei diritti dell’uomo ed alla risoluzione 6/30 del Consiglio dei Diritti dell’Uomo, la Commissione sulla condizione della donna esaminerà un rapporto sul programma di lavoro congiunto ONU-Women e Alto Commissario dei Diritti dell’Uomo.

 

 

Piano di lavoro congiunto sui diritti umani delle donne

Ai sensi della risoluzione 39/5 della Commissione sulla condizione della donna, della risoluzione 1997/43 della Commissione dei diritti umani e della risoluzione 6/30 del Consiglio dei diritti umani, la Commissione sulla condizione della donna prenderà in esame una relazione sul piano di lavoro congiunto della Divisione per il progresso delle donne e dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani.

 

Violenza contro le donne

Con la risoluzione 50/166 sul ruolo svolto dal Fondo di sviluppo delle Nazioni Unite per la donna nell’ambito dell’eliminazione della violenza contro le donne, l’Assemblea generale ha chiesto al Fondo di includere, nelle sue relazioni periodiche, informazioni sull’istituzione di un fondo fiduciario a sostegno di azioni nazionali, regionali e internazionali volte a eliminare la violenza contro le donne, e di fornire tali informazioni alla Commissione sulla condizione della donna.

 

Eliminare la mortalità e le malattie derivanti dal parto grazie al rinforzo della possibilità di azione delle donne

Con la risoluzione 54/5, la Commissione ha deciso di tenere una tavola rotonda di esperti sull’eliminazione della mortalità e delle malattie derivanti dal parto, nonché sulla necessità di rinforzare il ruolo delle donne in tale tema. Nella tavola rotonda sono previsti anche confronti e discussioni con i rappresentanti dei fondi, dei programmi, delle istituzioni specializzate e dei bureau delle Nazioni Unite competenti, fra cui figurano i rappresentanti della Banca Mondiale, rappresentanti del settore privato e della società civile, del GAVI (Global Alliance for Vaccines and Immunisation), del Fondo mondiale per la lotta contro l’AIDS, la tubercolosi e la malaria,  il Partenariato per la sanità nella maternità, neonatale ed infantile.

 

Convenzione sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne

Ai sensi dell’art. 21.2 della Convenzione sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne, le relazioni del Comitato per l'eliminazione della discriminazione contro le donne sono trasmesse alla Commissione per conoscenza. Le relazioni relative alla 44ma e45ma sessione (A/65/38) saranno presentate alla Commissione che esaminerà, inoltre, una nota del Segretariato di accompagnamento ai risultati della 46ma, 47ma e 48ma sessione.

 

Questioni programmatiche

La Commissione esaminerà e valuterà una nota del Segretario generale sul progetto di programma e di lavoro ONU Women per l’esercizio biennale 2012-2013 (sul quale l’Assemblea Generale si pronuncerà nel corso della 65ma sessione).

 

Documentazione

Relazione del Segretario generale sulla condizione delle donne palestinesi e l’assistenza loro prestata (E/CN.6/2011/6)

 

Relazione del Segretario generale sulle  donne e le bambine dinanzi alla minaccia dell’HIV e dell’AIDS  (E/CN.6/2011/7)

 

Relazione sul piano di lavoro congiunto della Divisione per il progresso delle donne e dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani (A/HRC/16/33-E/CN.6/2011/8)

 

Nota di accompagnamento del Segretario generale alla relazione del Fondo di sviluppo delle Nazioni Unite per la donna sulle attività del Fondo per l’eliminazione della violenza contro le donne (A/HRC/16/34-E/CN.6/2011/9)

 

Documenti informativi

Rapporto della Commissione per l’eliminazione della discriminazione contro le donne nella 44ma e 45ma sessione (A/65/38)

 

Nota del Segretariato sul progetto di programma di lavoro UN-Women per il periodo 2012-2013 (E/CN.6/2011/CRP.1)

 

Nota del Segretariato sui risultati della 46ma, 47ma e 48ma sessione del Comissione per l’eliminazione della discriminazione contro le donne (E/CN.6/2011/CRP.2)

 

 

4.    Comunicazioni attinenti alla condizione della donna

Con la sua risoluzione 76 (V), il Consiglio economico e sociale ha stabilito una procedura in base alla quale la Commissione riceve ed esamina le comunicazioni relative alla condizione della donna. Con la sua risoluzione 304 I (XI), il Consiglio ha emendato la risoluzione 76 (V) chiedendo al Segretario generale di compilare, prima di ogni sessione della Commissione, un elenco di comunicazioni confidenziali e non confidenziali, completo di brevi indicazioni sul contenuto di ciascuna comunicazione.

 

Con la sua risoluzione 1983/27, il Consiglio ha confermato che la Commissione ha il mandato di esaminare le comunicazioni confidenziali e non confidenziali relative alla condizione della donna, e ha autorizzato la stessa a nominare un gruppo di lavoro preposto alla valutazione di tali comunicazioni e alla stesura di relazioni al riguardo per la Commissione.

 

Con la sua risoluzione 1993/11, il Consiglio ha confermato che la Commissione è facoltà di indirizzare raccomandazioni al Consiglio sulle azioni da intraprendere nei confronti delle tendenze emergenti e delle forme di discriminazione contro le donne evidenziate dalle comunicazioni.

 

Con la sua decisione 2002/235, il Consiglio ha deciso, allo scopo di rendere più efficiente ed efficace la procedura di comunicazione della Commissione:

 

(a)   che la Commissione, a partire dalla sua quarantasettesima sessione, dovrà nominare ad ogni sessione i membri del Gruppo di lavoro per le comunicazioni relative alla condizione della donna della sessione successiva, di modo che i membri possano incontrarsi consentendo così al Segretariato di redigere la propria relazione non più tardi di tre giorni lavorativi prima dell’adozione dell’ordine del giorno da parte della Commissione;

 

(b)   che il Segretario generale dovrà:

 

(i)      informare i governi di ogni comunicazione che li riguardi da esaminarsi in sede di Commissione, e dare loro almeno 12 settimane di tempo prima dell’esame di tali comunicazioni da parte del Gruppo di lavoro;

(ii)    accertarsi che i membri del Gruppo di lavoro ricevano in anticipo gli elenchi delle comunicazioni comprensivi di eventuali risposte da parte dei governi, in modo da poterne tener conto nel preparare la relazione che sarà esaminata dalla Commissione.

 

Con la sua risoluzione 2009/16, il Consiglio economico e sociale ha deciso, allo scopo di rendere più efficiente ed efficace la procedura di comunicazione della Commissione, che la stessa dovrà, a partire dalla sua cinquantaquattresima sessione, nominare i membri del Gruppo di lavoro per le comunicazioni relative alla condizione della donna per un periodo di due anni.

 

 

Documentazione

Nota di accompagnamento del Segretario generale all’elenco delle comunicazioni confidenziali relative alla condizione della donna (E/CN.6/2010/SW/COMM.LIST/45/R e All.1).

 

 

5.    Seguito delle risoluzioni e delle decisioni del Consiglio economico e sociale

La Commissione prenderà in esame una lettera del Ppresidente del Consiglio economico e sociale sul seguito dato alle raccomandazioni politiche del Consiglio.

 

La risoluzione 2001/27 del Consiglio ha disposto che le Commissioni tecniche siano invitate a presentare un contributo coinciso e pragmatico al suo dibattito di alto livello annuale. Per il 2011, il tema dell’esame annuale ministeriale del Consiglio sarà “La realizzazione degli obiettivi stabiliti a livello internazionale e gli impegni riguardanti l’educazione”. La Commissione riceverà prima del contributo una nota del Segretario Generale concernente il contributo della stessa Commissione all’esame ministeriale 2011. 

 

 

Documentazione

Lettera datata 8 novembre 2010 dal Presidente del Consiglio Economico e Sociale al Presidente della Commissione sulla Condizione sulla Donna (E/CN.6/2011/10)

Nota del Segretariato sulla realizzazione degli obiettivi concordati a livello internazionale e degli impegni riguardanti l’educazione (E/CN.6/2011/11)

 

6.    Ordine del giorno provvisorio della 56ma sessione della Commissione

Ai sensi dell’art. 9 del regolamento delle commissioni tecniche del Consiglio, la Commissione prenderà in esame un ordine del giorno provvisorio della sua cinquantacinquesima sessione, comprensivo dell’elenco dei documenti da esaminare.

 

7.    Adozione della relazione della Commissione sulla sua 55ma sessione

Ai sensi dell’art. 37 del regolamento delle commissioni tecniche del Consiglio, la Commissione presenterà al Consiglio una relazione sui lavori della sua 55ma sessione.

 

 

 

 


 La Commissione delle Nazioni Unite sullo status delle donne

Istituzione

La Commissione sullo status delle donne (CSW) è stata istituita dal Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite (ECOSOC)[3] con la risoluzione 11 del 21 giugno 1946, come organismo parallelo alla Commissione sui Diritti Umani. Il compito principale della Commissione, il cui mandato è stato esteso nel 1987 (risoluzione ECOSOC 1987/22), è quello di elaborare rapporti e fornire raccomandazioni all’ECOSOC sulla promozione dei diritti delle donne in campo politico, economico, sociale e dell’istruzione. La Commissione presenta, inoltre, raccomandazioni e proposte d’azione al Consiglio su problemi urgenti che richiedono l’immediata attenzione nel settore dei diritti umani.

Ogni anno, i rappresentanti degli Stati membri si riuniscono per fare il punto sui progressi riguardanti la parità di genere, per individuare le sfide future, per stabilire gli standard globali e per formulare politiche concrete di promozione della parità di genere e dell’avanzamento delle donne in generale.

La Commissione si riunisce annualmente per un periodo di dieci giorni di lavoro, alla fine di febbraio – inizio marzo.

 

Si ricorda che particolare rilevanza ha avuto nel settembre del 1995 la Quarta Conferenza Mondiale sulle Donne a Pechino, che ebbe un grande successo nel determinare un nuovo impegno internazionale verso gli obiettivi dell'uguaglianza, dello sviluppo e della pace per tutte le donne del pianeta, facendo evolvere l'agenda globale verso il progresso delle donne nel ventunesimo secolo. 

Al termine dei lavori, la Conferenza di Pechino adottò la: Dichiarazione di Pechino e la Piattaforma di Azione di Pechino (Platform for Action). Questi due documentirappresentano tutt’oggi le disposizioni della comunità internazionale per la promozione di maggiori poteri e responsabilità delle donne e del principio di eguaglianza di genere.

Vale ricordare, per contiguità di materia, la Convenzione per la eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne (CEDAW). Tale Convenzione fu adottata dalla Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1979. Essa consta di un testo composto da un preambolo e da 30 articoli. Nel testo vengono fornite le definizioni di discriminazione contro le donne e vengono previste azioni nazionali per porre fine alle discriminazioni. La firma della Convenzione fu oggetto di una speciale cerimonia che avvenne a Copenhagen il 17 luglio 1980. La Convenzione entrò poi in vigore il 3 settembre 1981.

 

L’Italia ha ratificato la Convenzione con la legge 14 marzo 1985, n 132.

 

E’ stato aperto alla firma nel 1999 un Protocollo opzionale alla Convenzione. In esso viene tra l’altro prevista la possibilità per i privati e le loro associazioni di adire il Comitato ONU per la eliminazioni delle discriminazioni contro le donne, inviando specifici esposti e lamentele. Si specifica che tale Comitato è un organo diverso dalla CSW.

 

Il Protocollo opzionale è stato firmato dall’Italia il 10 dicembre 1999, ed è stato ratificato il 22 settembre 2000.

 

Si ricorda infine che la CEDAW sarà oggetto di celebrazione durante una specifica seduta dei lavori della CSW.

La Commissione sullo status delle donne ha ricevuto il compito dall’Assemblea Generale ONU di integrare nel suo programma il follow-up della Quarta conferenza Mondiale sulle Donne. A partire dal 1995, quindi, effettua la verifica della attuazione degli obiettivi fissati nella Conferenza di Pechino; ha quindi esaminato numerose delle aree critiche contenute nella Piattaforma stessa, allo scopo di verificare i progressi compiuti e di avanzare le raccomandazioni necessarie per accelerarne l'attuazione.

Nel 2000, l’Assemblea Generale – nel corso della 23a sessione speciale “Donne 2000: uguaglianza di genere, sviluppo e pace per il 21° secolo” - ha riesaminato i progressi compiuti nell’attuazione degli obiettivi contenuti nella Platform for Action e ha adottato due risoluzioni[4] contenenti, rispettivamente una Dichiarazione politica e Ulteriori Azioni e Iniziative per attuare la Dichiarazione di Pechino e la Piattaforma di Azione.

Si ricorda altresì che compito della Commissione è anche quello di analizzare la situazione della condizione della donna alla luce degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio. Gli obiettivi di Sviluppo del Millennio sono otto obiettivi che le Nazioni Unite hanno deciso di istituire, nel 2000, per il miglioramento complessivo di molte condizioni di vita dell’umanità. Essi sono:

 

1. Sradicare la povertà estrema e la fame

2. Garantire l'educazione primaria universale

3. Promuovere la parità dei sessi e l'autonomia delle donne

4. Ridurre la mortalità infantile

5. Migliorare la salute materna

6. Combattere l'HIV/AIDS, la malaria ed altre malattie

7. Garantire la sostenibilità ambientale

8. Sviluppare un partenariato mondiale per lo sviluppo

 

Appare evidente come gli otto obiettivi, in maniera più o meno marcata per ciascuno di essi, possano presentare profili riconducibili al tema della condizione della donna.

In questo contesto, la Commissione CSW ha deciso di inserire nel suo programma di lavoro 2010-2014 anche la verifica del raggiungimento degli Obiettivi del Millennio.

Evento parlamentare

A partire dalla sessione del 2005 è invalsa la pratica di organizzare, contestualmente alla sessione CSW, una giornata parlamentare (talvolta denominato evento parlamentare) organizzata dalla Unione Interparlamentare (UIP) in collaborazione con la Divisione per il progresso delle donne delle Nazioni Unite.

L’evento parlamentare avrà luogo il 23 febbraio 2011 ed avrà come tema: il ruolo dei Parlamenti nel promuovere l’accesso e la partecipazione delle donne e delle ragazze all’istruzione, alla formazione, alla scienza ed alla tecnologia (Room 6, UN Headquarters, New York, 10.00 -18.00) .

Si ricorda altresì che la UIP ha organizzato due side-event (evento parlamentare collaterale) il 25 febbraio 2011:

·         Parlamenti e gli Obiettivi del Millennio (Conference Room A, 10.00-11:15)

·         Violenza politica contro le donne (Conference Room A, 15.00-16.15)

Funzionamento

La Commissione si avvale per il suo funzionamento dell’ausilio della Divisione per il progresso delle donne delle Nazioni Unite, struttura che svolge anche le funzioni di Segretariato della Commissione e del suo Bureau.

 

Per contribuire ad una migliore comprensione del tema in discussione e per assistere la Commissione nelle sue deliberazioni, la Divisione per il progresso delle donne delle Nazioni Unite ha istituito altresì un Gruppo di esperti (Expert Group Meeting - EGM). Tale Gruppo ha licenziato, nel dicembre 2009, uno speciale Report che costituisce un supporto documentale per affrontare le tematiche oggetto dei lavori della Sessione 2010.

Composizione

La Commissione, inizialmente composta da 15 membri, è ora formata da 45 membri eletti dal Consiglio economico e sociale (ECOSOC) per un periodo di quattro anni. I membri, designati dai Governi, sono eletti sulla base dei seguenti criteri: tredici provenienti dagli Stati dell’Africa; undici dagli Stati dell’Asia; quattro dagli Stati dell’Europa dell’Est; nove dall’America Latina e dai Caraibi ed otto dall’Europa occidentale e dagli altri Stati.

Si ricorda che l’Italia fa parte della Commissione dal 2009 e che la sua partecipazione scadrà al termine al termine della sessione 2013.

Il Bureau della Commissione è invece un organo più ristretto che ha il compito di preparare la sessione annuale e assicurarne il buon andamento. I membri del Bureau sono eletti per due anni. Nel 2002, per migliorarne l’attività ed assicurare maggiore continuità, la Commissione ha stabilito di riunirsi subito dopo la chiusura della sessione annuale allo scopo di eleggere il nuovo Presidente e gli altri membri del Bureau.

Bureau

Il Bureau costituito per la 54.ma e 55.ma sessione è composto dai seguenti membri:

Nella sua prima riunione, il 22 febbraio 2011, la Commissione sarà chiamata ad eleggere Tetsuya Rimura (Giappone), che è stato nominato dal gruppo asiatico degli Staticomevicepresidente,nonché a designare unodeivicepresidenti quale relatoredi della Commissione.

 

Si segnala quindi la presenza di un italiano, il Primo Segretario Filippo Cinti, della Rappresentanza Permanente Italiana presso l’ONU, nella compagine del Bureau.

Di solito, al termine della riunione annuale la Commissione approva delle Conclusioni concordate, che contengono tra l’altro un insieme di temi prioritari per l’anno di lavoro. In genere, le conclusioni contengono un’analisi su temi di particolare interesse, nonché una serie di raccomandazioni concrete per i Governi, gli organi intergovernativi ed altre istituzioni della società civile, da attuare a livello internazionale, nazionale regionale e locale.

Nel caso della presente Sessione tale deliberazione si discosterà in parte dall’usuale prassi in ragione del particolare tema celebrativo del quindicennio dalla Dichiarazione di Pechino.

Oltre alle Conclusioni, la Commissioni adotta una serie di risoluzioni su varie questioni, tra cui la situazione e l’assistenza per le donne palestinesi, donne, bambine ed HIV, etc.

Il rapporto finale della Commissione è poi sottoposto, per l’adozione, all’ECOSOC.

 

La 55ma Sessione della CSW

La 55ma Sessione della Commissione si svolgerà, come di consueto, a New York, nel quartiere generale delle Nazioni Unite, dal 22 febbraio al 4 marzo 2011.

 

La delegazione italiana alla Conferenza di new York sarà guidata, come nelle sessioni precedenti, dal Ministro per le pari opportunità, Maria Rosaria Carfagna.

Ai lavori parteciperà anche una delegazione parlamentare, composta, per la Camera dei deputati, dalla Presidente Lorena Milanato (PDL) e dall’on. Sesa Amici (PD), rispettivamente Presidente e componente del Comitato per le pari opportunità della Camera; mentre per il Senato parteciperanno le senatrici Mariapia Garavaglia (PD), della Commissione Istruzione, e  Ada Spadoni Urbani (PDL),  Segretario della Commissione Lavoro.

 

Partecipazione parlamentare alle Conferenze precedenti

La 54ma sessione della Commissione sullo status delle donne (CSW) ha avuto luogo a New York dal 1° al 12 marzo 2010. L'evento parlamentare, organizzato congiuntamente dalle Nazioni Unite e dall'Unione interparlamentare, si è svolto il 2 marzo 2010 ed è stato dedicato al tema "Il ruolo dei Parlamenti nel rafforzare i diritti delle donne 15 anni dopo Pechino". Hanno partecipato ai lavori della Sessione le onn. Lorena Milanato (PdL - Presidente del Comitato per la pari opportunità), Emilia Grazia De Biasi (PD - membro del Comitato per le pari opportunità) e la sen. Anna Maria Serafini (PD - Vice Presidente della Commissione per l'Infanzia del Senato). La delegazione italiana era guidata dal Ministro per le Pari Opportunità, on. Maria Rosaria Carfagna.

 

La 53ma sessione annuale della CSW si è tenuta a New York dal 2 al 13 marzo 2009 ed ha avuto per tema “l’equa condivisione delle responsabilità tra donne e uomini nelle prestazioni di cure ai malati di HIV/AIDS”. Una delegazione parlamentare composta dalle onorevoli Emilia De Biasi (PD), Segretario di Presidenza, e Paola Pelino (PDL), componenti la Commissione Pari Opportunità, per la Camera, e per il Senato dalle senatrici Vittoria Franco (PD), della Commissione Istruzione, e Maria Ida Germontani (PDL), della Commissione Finanze e della Commissione Politiche dell'Unione europea, ha partecipato alla sessione ministeriale nell’ambito della delegazione italiana, guidata dal  Ministro per le Pari Opportunità, on. Maria Rosaria Carfagna. In occasione dell’evento, si è inoltre tenuta, il 4 marzo, una riunione dell’Unione Interparlamentare presso la sede delle Nazioni Unite a New York, nel corso della quale le onorevoli De Biasi e Pelino hanno svolto un intervento a nome del Parlamento italiano.

    

Per quanto riguarda le precedenti legislature, la partecipazione parlamentare alle Conferenze organizzate a partire dal 2005 è stata la seguente:

Nella XV legislatura:

-          Nel 2008, il Presidente aveva dato indicazione che il rappresentante della Camera fosse scelto nell’ambito del Comitato Pari opportunità, ma nessuna delle componenti ha potuto partecipare ai lavori, a causa dello scioglimento anticipato delle Camere.

-          Nel 2007 la delegazione italiana, guidata dal ministro Barbara Pollastrini, era composta dai senn. Maria Burani Procaccini (FI) e Marco Filippi (Ulivo), della Commissione infanzia, mentre nessuna delegazione in rappresentanza della Camera dei Deputati ha preso parte all’evento in ragione dell’intenso calendario dei lavori parlamentari.

 

Nella XIV legislatura:

-          Nel 2006, ha partecipato alla 50ma Sessione annuale (28 febbraio - 2 marzo), nell’ambito della delegazione italiana, guidata dal Ministro per le Pari opportunità, on. Stefania Prestigiacomo, l’on. Monica Baldi (FI), Segretario della Commissione Affari esteri.

-          Nel 2005, la delegazione italiana, guidata dal ministro Stefania  Prestigiacomo, si componeva delle onn. Maria Burani Procaccini (FI), Presidente della Commissione parlamentare per l’infanzia (FI) e Gabriella Pistone (Misto-Comunisti italiani), Segretario di Presidenza, nonché delle senn. Laura Bianconi (FI) ed Emanuela Baio Dossi (Margherita-DL-L’Ulivo).


 

 

 

 


SIWEB

Focus tematici
(a cura del Servizio Studi)

 


Le pari opportunità tra uomo e donna

Le pari opportunità come principio dell’ordinamento italiano

Il principio della parità tra i sessi è fissato dall’articolo 3, primo comma, della Costituzione che sancisce la pari dignità sociale e l’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge senza distinzioni di sesso, oltre che di razza, lingua, religione, di opinioni politiche e di condizioni sociali ed economiche.

Il secondo comma dell’art. 3 della Costituzione stabilisce un principio di uguaglianza sostanziale che impegna la Repubblica a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano la libertà e l’uguaglianza dei cittadini e ne impediscono la piena partecipazione alla vita politica, economica e sociale del Paese. Sulla base di tale principio, sono state adottate disposizioni di legge che configurano “azioni positive” nei confronti delle donne.

Una specificazione del principio di uguaglianza si ritrova nell’articolo 51, primo comma, della Costituzione che stabilisce la parità dei sessi nell’accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive. La legge costituzionale n. 1 del 2003[5] ha integrato tale disposizione prevedendo l’adozione di appositi provvedimenti per la promozione delle pari opportunità tra donne e uomini.

Ulteriori statuizioni si rinvengono nell’articolo 37 Cost., che dispone che la donna lavoratrice abbia gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni spettanti al lavoratore. Vi si stabilisce, inoltre, che le condizioni di lavoro devono essere tali da consentire alla donna l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale e adeguata protezione.

Si ricorda, inoltre, l’articolo 117, settimo comma, Cost., come modificato dalla legge costituzionale n. 3 del 2001[6], ai sensi del quale le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive.

Successivamente è stato adottato il Codice delle pari opportunità tra uomo e donna[7] (decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198), volto a raccogliere e semplificare tutta la normativa statale sull’uguaglianza dei sessi vigente nei settori della vita politica, sociale ed economica.

 

Il Codice raccoglie anche le norme relative alle consigliere e ai consiglieri di parità nominati a livello nazionale, regionale e provinciale e quelle concernenti le pari opportunità nel lavoro, nell’attività di impresa e nell’accesso alle cariche elettive. È composto di 58 articoli e si divide in quattro libri: il primo contiene disposizioni generali per la promozione delle pari opportunità tra uomo e donna, mentre nei libri successivi trovano spazio le disposizioni volte alla promozione delle pari opportunità nei rapporti etico-sociali, nei rapporti economici e nei rapporti civili e politici.

 

Le pari opportunità nella vita politica

L’ordinamento italiano, sia a livello nazionale sia a livello regionale, prevede disposizioni di carattere generale finalizzate alla promozione dell’accesso delle donne alle cariche elettive.

A livello nazionale, oltre alle disposizioni di rango costituzionale sopra richiamate, si segnala innanzitutto, tra la legislazione ordinaria, il testo unico delle leggi per l’elezione del Senato[8] nel quale si prevede che il sistema elettorale debba favorire “l’equilibrio della rappresentanza tra donne e uomini”.

 

L’articolo 56 del citato Codice delle pari opportunità, reca una norma, di attuazione dell’art. 51 Cost., volta a promuovere l’accesso delle donne alla carica di membro del Parlamento europeo, allo scopo di incrementare il tasso di partecipazione femminile alla vita politica e istituzionale del Paese.

A tal fine, la norma stabilisce che, nelle liste di candidati presentate per dette elezioni, nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore ai due terzi dei candidati presenti nella lista.

 

Il computo è effettuato a livello nazionale, sull’insieme delle liste presentate con un medesimo contrassegno nelle diverse circoscrizioni (è quindi possibile una compensazione tra le diverse aree geografiche). Nel computo si tiene conto una sola volta delle candidature plurime (un candidato o una candidata può infatti presentarsi in più circoscrizioni); la cifra risultante è arrotondata all’unità prossima.

 

Per i movimenti e i partiti politici che non abbiano rispettato questa proporzione, viene ridotto il contributo a titolo di rimborso per le spese elettorali, spettante ai sensi della L. 157/1999[9].

 

Dalla modifica costituzionale dell’articolo 51 discendono anche le norme inserite nella L. 244/2007[10] (Legge finanziaria 2008) ai commi 376 e 377 dell’art. 1 i quali, disponendo in tema di organizzazione del Governo, stabiliscono che la sua composizione deve essere coerente con il principio costituzionale delle pari opportunità nell’accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive.

Tra le disposizioni intese a promuovere la partecipazione attiva delle donne alla politica, va inoltre segnalata la legge n. 157 del 1999, che, in materia di rimborsi delle spese per le consultazioni elettorali, prevede l’obbligo a carico dei partiti di destinare almeno un importo pari al 5% del totale dei rimborsi elettorali ricevuti ad iniziative connesse alle predette finalità.

 

Anche a livello regionale, a seguito della modifica degli articoli 122 e 123 della Costituzione[11] che ha dato avvio al processo di elaborazione di nuovi statuti regionali e di leggi per l’elezione dei consigli nelle regioni a statuto ordinario, si registrano disposizioni volte a favorire l’accesso femminile alle candidature.

Tutte le regioni che hanno adottato norme in materia elettorale hanno introdotto disposizioni specifiche per favorire la parità di accesso alle candidature[12].

In particolare, le regioni Lazio (L.R. 2/2005, art. 3), Puglia (L.R. 2/2005, art. 3, co. 3), Toscana (L.R. 25/2004, art. 8, co. 4), Marche (L.r. 27/2004, art. 9, comma 6), Campania (L.R. 4/2009, art. 10) e da ultimo la regione Umbria (L.R. 2/2010, art. 3 comma 3) pongono il limite di due terzi alla presenza di candidati di ciascun sesso in ogni lista provinciale. Nelle liste regionali (tra le regioni citate, presenti solo nella regione Lazio) i candidati di entrambi i sessi devono essere invece in numero pari. Per la regione Abruzzo (L.R. 1/2002, art. 1-bis), invece, il limite è il 70%; nella regione Toscana, inoltre, in relazione alle candidature regionali, quando le liste indicano più candidati, ciascun genere deve essere rappresentato (art. 10, co. 2). Meno cogente la prescrizione della regione Calabria (L.R. 1/2005, art. unico, co. 6) per la quale nelle liste elettorali (provinciali e regionali) devono essere presenti candidati di entrambi i sessi.

Nella maggioranza dei casi l’inosservanza del limite è causa di inammissibilità; nelle regioni Lazio, Puglia e Umbria, invece, è causa di sanzione pecuniaria per le liste provinciali[13].

La legge della regione Campania, infine, contiene disposizioni anche in relazione alla campagna elettorale, in quanto dispone che i soggetti politici devono assicurare la presenza paritaria di candidati di entrambi i generi nei programmi di comunicazione politica e nei messaggi autogestiti (art. 10, comma 4, L.r. 4/2009).

 

Per quanto concerne le regioni a statuto speciale, la regione Friuli-Venezia Giulia, la regione Valle d’Aosta, la Regione siciliana e la Provincia autonoma di Trento hanno adottato norme in materia elettorale, tra cui disposizioni per favorire l’accesso alle cariche elettive di entrambi i sessi, come disposto dalla legge costituzionale 31 gennaio 2001, n. 2, relativa all’elezione diretta dei Presidenti delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e Bolzano[14].

Le disposizioni sono diversificate, tutte contengono obblighi nella presentazione delle liste:

§         per la regione Valle d’Aosta, in ogni lista di candidati all'elezione del Consiglio regionale ogni genere non può essere rappresentato in misura inferiore al 20 per cento, arrotondato all'unità superiore  (art. 3-bis, LR 3/1993 come modificato da ultimo dalla L.R. 22/2007); in sede di esame e ammissione delle liste, l’Ufficio elettorale regionale riduce al limite prescritto quelle contenenti un numero di candidati superiore al numero massimo prescritto, cancellando gli ultimi nomi; dichiara non valide le liste che non corrispondano alle predette condizioni (art. 9, comma 1, LR 3/1993 come modificato da ultimo dalla L.R. 22/2007);

§         per la regione Friuli-Venezia Giulia ogni lista circoscrizionale deve contenere, a pena di esclusione, non più del 60 per cento di candidati dello stesso genere; nelle liste i nomi dei candidati sono alternati per genere fino all'esaurimento del genere meno rappresentato; al fine di promuovere le pari opportunità, la legge statutaria prevede inoltre forme di incentivazione o penalizzazione nel riparto delle risorse spettanti ai gruppi consiliari (è considerato ‘sottorappresentato’ quello dei due generi che, in Consiglio, è rappresentato da meno di un terzo dei componenti) e disposizioni sulla campagna elettorale. I soggetti politici devono assicurare la presenza paritaria di candidati di entrambi i generi nei programmi di comunicazione politica offerti dalle emittenti radiotelevisive pubbliche e private e, per quanto riguarda i messaggi autogestiti previsti dalla vigente normativa sulle campagne elettorali, devono mettere in risalto con pari evidenza la presenza dei candidati di entrambi i generi nelle liste presentate dal soggetto politico che realizza il messaggio. (artt. 23, comma 2 e 32 L.R. 17/2007);

§         nella Regione siciliana, tutti i candidati di ogni lista regionale dopo il capolista devono essere inseriti secondo un criterio di alternanza tra uomini e donne; una lista provinciale non può includere un numero di candidati dello stesso sesso superiore a due terzi del numero dei candidati da eleggere nel collegio (art. 14, comma 1, L.R. 29/1951, come modificato dalla L.R. 7/2005);

§         nella Provincia autonoma di Trento, in ciascuna lista di candidati – a pena di inammissibilità - nessuno dei due generi può essere rappresentato in misura superiore a due terzi del numero dei candidati della lista, con eventuale arrotondamento all'unità superiore (art. 25 co. 6-bis e art. 30 co. 1 L.P. 2/2003 come modificata dalla L.P. 8/2008).

 

Il principio di pari opportunità è affermato anche dal testo unico sugli enti locali[15], laddove prevede che gli statuti comunali e provinciali stabiliscono norme per assicurare condizioni di pari opportunità tra uomo e donna e per promuovere la presenza di entrambi i sessi nelle giunte e negli organi collegiali del comune e della provincia, nonché degli enti, aziende ed istituzioni da essi dipendenti (art. 6).

Le pari opportunità nella Pubblica amministrazione

Il testo unico sul pubblico impiego[16] prevede che tutte le amministrazioni pubbliche debbano garantire la parità di trattamento e le pari opportunità tra gli uomini e le donne per l’accesso al lavoro e per il trattamento sul lavoro. A tal fine le pubbliche amministrazioni:

§         riservano alle donne, salva motivata impossibilità, almeno un terzo dei posti di componente delle commissioni di concorso;

§         adottano atti regolamentari per assicurare pari opportunità fra uomini e donne sul lavoro;

§         garantiscono la partecipazione delle proprie dipendenti ai corsi di formazione e di aggiornamento professionale, adottando modalità organizzative atte a favorirne la partecipazione, consentendo la conciliazione fra vita professionale e vita familiare;

§         possono finanziare programmi di azioni positive e l'attività dei Comitati pari opportunità nell'ambito delle disponibilità di bilancio.

Nel 2002, la legge di riordino della dirigenza statale[17] ha precisato che la tutela della parità dei sessi nella pubblica amministrazione si applica anche alla dirigenza.

Più recentemente, in seguito alla modifica apportata nel 2003 all’art. 51, primo comma, della Costituzione, il Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione ed il Ministro per i diritti e le pari opportunità hanno adottato la direttiva sulle Misure per attuare parità e pari opportunità tra uomini e donne nelle amministrazioni pubbliche[18], che sollecita la piena attuazione delle disposizioni vigenti in materia di parità nel pubblico impiego, e l’applicazione delle misure esistenti a tutela delle donne.

 

Il provvedimento, destinato ai vertici delle amministrazioni e in particolare ai responsabili del personale, intende “promuovere e diffondere la piena attuazione delle disposizioni vigenti, aumentare la presenza delle donne in posizioni apicali, sviluppare politiche per il lavoro pubblico, pratiche lavorative e, di conseguenza, culture organizzative di qualità tese a valorizzare l’apporto delle lavoratrici e dei lavoratori delle amministrazioni pubbliche”. Il provvedimento introduce a carico delle amministrazioni il compito di monitorare le aree critiche individuando al contempo le possibili azioni positive. Le amministrazioni sono dunque tenute a garantire ed esigere l’osservanza delle norme che vietano qualsiasi forma di discriminazione diretta o indiretta in riferimento ad ogni fase ed aspetto della vita lavorativa, e al tal proposito si ricordano le misure sanzionatorie vigenti, quali la nullità degli atti, l’applicazione di sanzioni amministrative, l’obbligo di reintegrazione nel posto di lavoro, nonché le conseguenze risarcitorie nel caso di danno.

Le pari opportunità nel lavoro

Il legislatore ha provveduto, nel corso degli anni, a creare una serie di strumenti per garantire le pari opportunità sul luogo di lavoro, contrastare le discriminazioni e promuovere l’occupazione femminile.

Oltre alla normativa degli anni ’70[19], con la quale si è vietata qualsiasi discriminazione fondata sul sesso nell’accesso al lavoro, si ricorda la legge n. 125 del 1991[20] che ha disciplinato le cosiddette “azioni positive”, ovvero quelle misure che, prevedendo situazioni di favore per le donne, realizzano lo scopo di rimuovere le disuguaglianze che si frappongono al raggiungimento di una condizione di parità in ambito lavorativo. Con il decreto legislativo n. 196 del 2000 si sono poi rafforzate le funzioni e i poteri dei Consiglieri di parità nazionali, regionali e provinciali[21], organi istituiti per la promozione e il controllo dell’attuazione dei principi di uguaglianza di opportunità e non discriminazione nel mondo del lavoro.

Il divieto di discriminazione fondata sul sesso per quanto concerne l’accesso al lavoro, con specifico riferimento allo stato matrimoniale, di famiglia o di gravidanza, è stato ulteriormente ribadito nell’articolo 3 del D.Lgs. 151 del 2001, che interviene a tutela e sostegno della maternità e della paternità[22]. Nello stesso provvedimento è vietata, inoltre, qualsiasi discriminazione fondata sul sesso in materia di orientamento, formazione, perfezionamento e aggiornamento professionale, con riguardo sia ai profili dell’accesso sia agli aspetti legati alla retribuzione, alla classificazione professionale e alla progressione nella carriera.

Nell’ambito della disciplina del lavoro molte fonti normative costituiscono recepimento di direttive comunitarie come quelle sulla parità delle retribuzioni tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile, sulla parità di trattamento e l’assenza di discriminazioni per quanto concerne l'accesso all'occupazione, alla formazione e alla promozione professionale.

 

Gli organismi pubblici a tutela delle pari opportunità

Nel 1996 all’atto della formazione del Governo è stato nominato per la prima volta un Ministro senza portafoglio per le pari opportunità, poi confermato in tutti i Governi successivi, al quale sono stati conferiti compiti di proposta, coordinamento e attuazione delle politiche governative in materia.

Nel 1997 è stato istituito presso la Presidenza del Consiglio il Dipartimento per le pari opportunità: sorto come struttura di supporto per l’attività del Ministro e con compiti di promozione e coordinamento delle politiche di parità, ha ampliato progressivamente le proprie competenze anche nel campo della lotta alla discriminazione razziale.

Presso il Dipartimento opera la segreteria della Commissione per le pari opportunità tra uomo e donna, organo consultivo e di proposta del Presidente del Consiglio dei ministri con compiti di elaborazione e promozione di iniziative, anche di tipo legislativo, per assicurare l’uguaglianza tra i sessi.

Per la promozione delle pari opportunità nel mondo del lavoro svolge un ruolo centrale il Ministero del lavoro, in cui dal 1991 opera il Comitato nazionale per l’attuazione dei principi di parità di trattamento ed uguaglianza di opportunità tra lavoratori e lavoratrici, organo consultivo del Ministro del lavoro con compiti di studio e di promozione in materia di parità nel settore della formazione professionale e del lavoro.

Presso il Ministero dello sviluppo economico opera il Comitato per l’imprenditoria femminile, istituito nel 1992 con compiti di promozione delle attività di ricerca e formazione sull’imprenditorialità femminile.

Infine, occorre segnalare l’attività dei Comitati per le pari opportunità nella pubblica amministrazione. Previsti dagli accordi nazionali di lavoro dei comparti del pubblico impiego a partire dal 1987, sono composti in misura paritetica da rappresentanti dell’amministrazione e delle organizzazioni sindacali. Essi hanno prevalentemente compiti di raccolta dati, promozione di iniziative, formulazione di proposte al fine di favorire effettive pari opportunità tra donne e uomini.

Tra le iniziative più recenti si ricordano:

§      il Forum permanente contro le molestie gravi e la violenza alle donne, per orientamento sessuale e identità di genere, istituito con decreto del 13 dicembre 2007, quale sede di dialogo e confronto fra istituzioni e società, nonché di sostegno e inclusione delle vittime;

§      l’Osservatorio nazionale contro la violenza sessuale e di genere, previsto dal comma 1261, art. 1, della L. 296/2006 (Legge finanziaria 2007), avente compiti di analisi e ricerca scientifica e di supporto alla progettazione ed implementazione delle politiche di prevenzione, sensibilizzazione e contrasto alla violenza di genere, contro le donne e contro le persone di diverso orientamento sessuale;

§      la Commissione per la prevenzione e il contrasto delle pratiche di mutilazione genitale femminile, istituita il 16 novembre 2006, con compiti informativi e di promozione di iniziative di sensibilizzazione ed operante presso il Dipartimento.

 

Le donne nelle istituzioni

Secondo l’analisi annuale del World economic forum sulla presenza delle donne nei livelli più alti delle istituzioni (Governo, Parlamento ed altre assemblee legislative, alta dirigenza ecc.) l’Italia si colloca al 74° posto su 134 Paesi nella classifica del 2010 (era al 72° nel 2009, al 67° posto nel 2008 ed all’84° nel 2007)[23].

I dati relativi alla presenza femminile negli organi costituzionali italiani mostrano, infatti, una presenza contenuta nei numeri e molto limitata quanto alle posizioni apicali. Nessuna donna ha mai rivestito la carica di Capo dello Stato o di Presidente del Consiglio e la carica di Presidente della Camera è stata declinata al femminile nelle legislature VIII, IX, X , con l’elezione dell’on. Nilde Iotti e XII con l’elezione dell’on. Irene Pivetti.

Quanto alla presenza parlamentare nella XVI legislatura sono state elette alla Camera dei deputati 133 donne, al Senato 58; tra i senatori a vita è stata nominata, il 1° agosto 2001, la prof.ssa Rita Levi Montalcini.

Nell'attuale Governo, le donne Ministro sono 5 (on. Stefania Prestigiacomo, Ministro dell’ambiente, tutela del territorio e del mare, on. Mariastella Gelmini, Ministro dell’istruzione, università e ricerca, on. Giorgia Meloni, Ministro senza portafoglio per le politiche per i giovani, on. Maria Rosaria Carfagna, Ministro senza portafoglio per le pari opportunità, on. Michela Vittoria Brambilla, Ministro senza portafoglio del turismo) su 22 ministri.

Le donne Sottosegretario di Stato sono 7 (on. Stefania Craxi, Affari esteri; sen. Maria Elisabetta Alberti Casellati, Giustizia; on. Francesca Martini e on. Eugenia Maria Roccella, Salute; Laura Ravetto, Rapporti con il Parlamento; Daniela Santanchè, Attuazione del programma di governo; Sonia Viale, Economia e finanze) su 31 Sottosegretari.

Nelle elezioni per il rinnovo al Parlamento europeo del 2004, le prime con la nuova legge, sono state elette 15 donne su 78 seggi spettanti all’Italia. Nelle elezioni precedenti (1999) le donne erano 8 su 87 seggi italiani. Nelle elezioni del 2009, le donne elette al Parlamento europeo risultano 16 su 72 seggi spettanti all’Italia.

Il 4 novembre 1996, il Presidente della Repubblica ha nominato per la prima volta una donna alla carica di giudice della Corte costituzionale: si tratta di Fernanda Contri, avvocato, (cessata dalla carica nel 2005) che aveva ricoperto in precedenza anche la carica di ministro degli Affari sociali e di componente del Consiglio Superiore della Magistratura. Un secondo giudice costituzionale di sesso femminile è stato nominato dal Presidente della Repubblica il 4 novembre 2005: si tratta di Maria Rita Saulle, professore ordinario universitario.

Per quanto riguarda gli organi di governo delle regioni, la presenza delle donne si attesta nel 2010 al 22,1% del totale nelle giunte e all’11,4% nei consigli regionali. Nei comuni italiani, la media della presenza femminile è pari all’11,8% nei consigli e al 17,9% nelle giunte comunali. Nelle province, i dati salgono al 12,9% del totale nei consigli provinciali, mentre gli assessori provinciali donne rappresentano il 17,2% del totale[24].

Le donne nella dirigenza pubblica

Anche se la presenza delle donne nella pubblica amministrazione è fortemente radicata, c’è un problema di sottorappresentazione delle stesse nelle posizioni di vertice.

Secondo i dati del Dipartimento della funzione pubblica[25], più del 55% del totale dei dipendenti con contratto a tempo indeterminato nella p.a. è costituito da donne.

Tuttavia, nella dirigenza emerge una netta situazione di squilibrio tra i generi. Nel 2009 sono state conteggiate 467 posizioni tra tutti i dirigenti appartenenti ai ruoli dello Stato, i dirigenti provenienti da altre amministrazioni pubbliche, le persone di particolare e comprovata qualificazione professionale cui è stato affidato un incarico dirigenziale di livello generale. La ripartizione per genere evidenzia che, tra gli incarichi di livello generale apicale (segretari generali di ministeri ed incarichi di direzione di strutture articolate al loro interno in uffici dirigenziali generali) si registra solo l’1,93% di posizioni assegnate alle donne in rapporto all’8,78% di posizioni assegnate agli uomini.

Si registra un miglioramento per quanto riguarda le posizioni di livello generale non apicali dove le donne si attestano al 25,05% e gli uomini al 64,24%.

Le donne nella magistratura

L’ingresso delle donne in magistratura risale in Italia al 1963, quando la legge n. 66 regolamentò “l’ammissione della donna ai pubblici uffici ed alle professioni”.

Il primo concorso aperto alle candidate donne fu indetto nel maggio dello stesso anno, e risultarono idonee al posto di uditore giudiziario 8 candidate su 187. Per fare un utile raffronto, nel concorso per l’accesso in magistratura del 2004, oltre il 60% dei 382 vincitori sono state donne.

Oggi, la presenza femminile in magistratura risulta in costante crescita: i magistrati ordinari in servizio sono 8.937 e di questi 4.056 sono donne (circa il 45%).

Sono però tuttora molto più ridotte le percentuali di presenza femminile man mano che si salgono i gradini della carriera in magistratura (si ricorda che ogni promozione “interna”, ovvero assegnazione di posti direttivi, avviene per titoli e per meriti, senza applicazione di c.d. “quote”).

In base a dati del 2007[26], ai vertici amministrativi (posti direttivi, p.es. presidenti di Tribunali o di Corte d’Appello, Procuratori o P.G., presidenti di sezione della Cassazione) troviamo solo il 4% di donne (22, contro 440 uomini).

I posti semidirettivi (giudici di Cassazione, di tribunale o di Corte d’Appello, sostituti procuratori) occupati da donne sono circa l’11% del totale (per l’esattezza 77 su 645).

Questi dati possono essere in parte spiegati anche con il relativamente recente ingresso delle donne nell’ordine giudiziario: la carriera del magistrato si sviluppa di norma fra i 35 e i 55 anni, dunque, oggi, riguarda prevalentemente coloro che hanno indossato la toga negli anni settanta del ‘900. Una presenza massiccia di donne in Magistratura si comincia invece ad avvertire solo più tardi (le donne erano meno del 3% nel 1971, oltre il 10% dieci anni dopo)[27].

 

Le donne nella formazione

Secondo gli ultimi dati disponibili relativi ai risultati scolastici, le ragazze si dimostrano più studiose dei ragazzi[28].

In relazione all’anno scolastico 2007-2008, nella scuola secondaria di I grado, la distribuzione del giudizio di licenza tra ragazzi e ragazze conferma che queste ultime ottengono i migliori risultati. In particolare, alle studentesse è stato attribuito il 61,8% dei giudizi di “ottimo” ed il 55,3% dei giudizi di “distinto”. Nella scuola secondaria di II grado, su un totale di 4.013 diplomati con lode, 2.372 (pari al 59,1%) sono state studentesse.

Anche il tasso di passaggio dalla scuola secondariasuperiore all’università, pari nel complesso al 65,8% nell’anno accademico 2007/2008, è più elevato per le donne (71,0%) rispetto agli uomini (60,0%)[29].

Parimenti, il numero di donne che conseguono la laurea è maggiore di quello degli uomini e raggiunge il 58% del totale. Con riferimento al rapporto con la popolazione di pari età, la quota di giovani donne (25 anni) che consegue il diploma di laurea è pari al 51,7%, a fronte del 36,6% dei ragazzi.

Questi dati si riflettono anche in quelli relativi alla formazione post-lauream: infatti, il 67,7% degli iscritti alle scuole di specializzazione sono donne. Per quanto riguarda i corsi di dottorato, le donne rappresentano il 51,7% tra gli ammessi ed il 52,8% tra i dottori di ricerca.

 

Le donne nel mondo del lavoro

Secondo gli ultimi dati disponibili[30], nel terzo trimestre del 2010 il numero di occupati risulta pari a 22.811.000 unità, segnalando un calo rispetto al trimestre precedente pari allo 0,1%. Per quanto riguarda i dati di genere, risultano 9.179.000 donne occupate a fronte di 13.610.000 uomini.

In particolare, in base ai dati non destagionalizzati, l’Istituto registra un modesto decremento dell’occupazione femminile rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente (-0,1%, pari a -11.000 unità), mentre la componente maschile registra un decremento maggiore (-1,5%, pari a -211.000 unità). La ri-duzione del numero degli occupati sintetizza un’ulteriore sostenuta flessione della componente italiana (-342.000 uomini, pari al –2,7%; –80.000 donne, pari al -1,0%) e una crescita di quella straniera (+131.000 uomini e +69.000 donne).

Per quanto attiene al tasso di occupazione, esso risulta pari al 56,7%, con una flessione di otto decimi di punto percentuale rispetto al terzo trimestre 2009. L’indicatore scende al 67,6% (-1,2%i su base annua) per gli uomini e al 45,8% (-0,3%) per le donne. Dopo la discesa intervenuta dal primo trimestre del 2009 al secondo trimestre 2010, il tasso di occupazione degli stranieri rimane pressoché stabile su base annua, posizionandosi al 63,7% (63,8% nel terzo trimestre 2009). Il risultato sintetizza un accrescimento dell’indicatore tra gli uomini (dal 77,7% al 78,3% per cento) e una persistente flessione tra le donne (dal 51,0% al 50,2%).

In base ai dati non destagionalizzati, nel terzo trimestre del 2010 la crescita della disoccupazione, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, continua ad interessare in misura più significativa gli uomini (+38.000 unità) in confronto alle donne (+12.000 unità). Rispetto al recente passato, l’allargamento dell’area della disoccupazione riguarda pressoché esclusivamente la componente italiana. Alla crescita della disoccupazione femminile straniera (+17.000 unità) ha corrisposto la flessione di quella maschile (-13.000 unità).

Per quanto concerne il tasso di disoccupazione, si registra un aumento, su dati non destagionalizzati III trimestre 2009 e stesso periodo 2010, dello 0,3% per la componente maschile e dello 0,1% per quella femminile. Nel Nord la sostanziale stabilità dell’indicatore (dal 5,1 al 5,2%) riguarda sia gli uomini sia le donne; nel Centro il tasso aumenta al 7,0% per cento (6,5% nell’anno precedente), per una crescita dovuta ad entrambe le componenti di genere. Nel Mezzogiorno il tasso di disoccupazione risulta pari al 12,1% (rispetto all’11,7% dell’anno precedente), con una punta del 13,9% per le donne.

Infine, riguardo al tasso di inattività, nel III trimestre 2010 si ha una percentuale pari al 38,6% (sei decimi di punto in più rispetto al 2009), con un incremento maggiore della componente maschile rispetto a quella femminile. Nel Nord l’indicatore raggiunge il 31,6% (31,0% nel III trimestre 2009). Nel Centro il tasso di inattività si posiziona al 34,1% (33,9% nel III trimestre 2009), scontando la crescita della componente maschile e il calo di quella femminile. Nel Mezzogiorno, il tasso di inattività registra un aumento tendenziale di un punto percentuale attestandosi al 50,0%. Il risultato riflette il significativo incremento della componente maschile e la moderata crescita di quella femminile, per la quale il tasso di inattività rimane comunque particolarmente elevato e pari al 64,5%.

Considerando la media nei paesi OCSE, il tasso di occupazione femminile in Italia resta ad un livello basso. Secondo quanto riportato nel Rapporto OCSE sull’occupazione nel 2010[31], infatti, per quanto attiene all’occupazione femminile, l’Italia si è attestata nel 2008 al 46,4%, a fronte del 56,5% della media OCSE.

Per quanto riguarda, infine, il pubblico impiego, sulla base degli ultimi dati disponibili[32] su 3.311.582 lavoratori a tempo indeterminato, 1.827.271 sono donne (vedi tabella che segue).

 


Pubblico impiego. Personale a tempo indeterminato.

Comparto

     Tempo Pieno

     Part-Time
fino al 50%

     Part-Time
oltre il 50%

Totale tempo
indeterminato

Totale

di cui
donne

Totale

di cui
donne

Totale

di cui
donne

Totale

di cui
donne

SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE

635.473

384.767

13.250

11.723

45.007

43.371

693.730

439.861

ENTI PUBBLICI NON ECONOMICI

51.928

28.061

778

571

2.023

1.795

54.729

30.427

ENTI DI RICERCA

17.682

7.570

133

55

371

310

18.186

7.935

REGIONI E AUT.LOC. (CCNL)

473.555

225.541

15.846

9.381

30.714

25.532

520.115

260.454

REGIONI A STATUTO SPECIALE

59.014

31.856

4.249

3.715

10.064

9.186

73.327

44.757

MINISTERI

166.665

82.491

5.053

3.747

7.523

6.511

179.241

92.749

AGENZIE FISCALI

49.992

22.944

646

339

3.768

3.173

54.406

26.456

PRESIDENZA CONSIGLIO MINISTRI

2.303

1.166

11

7

30

25

2.344

1.198

SCUOLA

1.048.489

815.122

10.555

8.031

15.728

13.160

1.074.772

836.313

A.F.A.M.

8.744

3.497

20

13

32

27

8.796

3.537

UNIVERSITA'

111.344

48.839

1.199

697

3.371

3.008

115.914

52.544

VIGILI DEL FUOCO

31.479

1.707

50

26

166

146

31.695

1.879

CORPI DI POLIZIA

325.376

21.597

0

0

0

0

325.376

21.597

FORZE ARMATE

145.675

2.085

0

0

0

0

145.675

2.085

MAGISTRATURA

10.486

4.312

0

0

0

0

10.486

4.312

CARRIERA DIPLOMATICA

919

154

0

0

0

0

919

154

CARRIERA PREFETTIZIA

1.415

737

0

0

0

0

1.415

737

CARRIERA PENITENZIARIA

456

276

0

0

0

0

456

276

TOTALE PUBBLICO IMPIEGO

3.140.995

1.682.722

51.790

38.305

118.797

106.244

3.311.582

1.827.271

 

 

Fonte: RGS, Conto annuale 2008

 

 

 


La legislazione di contrasto alle violenze
a carico di donne e bambine

I reati di violenza sessuale

Il codice penale inquadra i reati di violenza sessuale tra i delitti contro la libertà personale.

Tali reati sono disciplinati dagli articoli da 609-bis a 609-decies (inseriti dalla legge n. 66 del 1996 e parzialmente modificati dalle leggi n. 269 del 1998, n. 38 del 2006 e n. 94 del 2009).

 

L’art. 609-bis (Violenza sessuale) punisce con la reclusione da 5 a 10 anni chi, con violenza o minaccia o abuso di autorità, costringa taluno a compiere o subire atti sessuali (primo comma).

Alla stessa pena soggiace il soggetto che induce taluno a compiere o subire atti sessuali con le seguenti modalità (secondo comma):

§         abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto (n. 1);

§         traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona (n. 2).

Per i casi di minore gravità, è prevista la diminuzione della pena in misura non eccedente i due terzi (terzo comma).

Il legislatore non definisce il concetto di “atti sessuali”, rimettendo la specificazione della condotta all'interprete.

Dal punto di vista delle pene le disposizioni richiamate operano un sensibile inasprimento dei limiti edittali della reclusione rispetto alla disciplina previgente[33].

 

L'art. 609-ter (primo comma) disciplina alcune circostanze aggravanti del reato di violenza sessuale, prevedendo la pena della reclusione da 6 a 12 anni nei seguenti casi:

§         violenza sessuale su minore di 14 anni (n. 1);

§         uso di armi o di sostanze alcoliche, narcotiche o stupefacenti o di altri strumenti o sostanze gravemente lesivi della salute della persona offesa (n. 2);

§         fatto commesso da persona travisata o da persona che simuli la qualità di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio (n. 3);

§         fatto commesso su persona sottoposta a limitazioni della libertà personale (n. 4);

§         violenza sessuale commessa nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni 16, della quale il colpevole sia l'ascendente, il genitore anche adottivo, il tutore (n. 5);

§         fatto commesso all’interno o nelle immediate vicinanze di istituti di istruzione o di formazione frequentati dalle perso offese (n. 6).

Un’ulteriore circostanza aggravante è prevista dal secondo comma dell'art. 609-ter nel caso in cui la violenza sessuale sia commessa ai danni di persona che non ha compiuto gli anni 10; in questo caso la pena è della reclusione da 7 a 14 anni.

 

Per quanto riguarda il profilo inerente alla tutela dei minori, l’art. 609-quater (Atti sessuali con minorenne) prevede – al di fuori dei casi di violenza sessuale di cui all’art. 609-bis – la non punibilità del minore che compia atti sessuali con personache abbia compiuto 13 anni, purché la differenza di età tra i soggetti non sia superiore a 3 anni (terzo comma).

Al di fuori di questa ipotesi, viene mantenuto fermo il principio per il quale si presume che il minorenne sino a 14 anni non possa avere rapporti sessuali consensuali; qualora vi sia violenza, minaccia o abuso di autorità su persona minore di anni 14 si ha un'ipotesi di violenza sessuale aggravata (ai sensi dell’art. 609-ter, primo comma, n. 1), mentre se sussiste il consenso del minore di 14 anni si rientra nel reato di atti sessuali con minorenne, punito con le stesse pene previste dall'art. 609-bis (ai sensi dell’art. 609-quater, primo comma, n. 1).

Per quanto riguarda i minori di anni 16, il già citato articolo 609-quater stabilisce che la punibilità è limitata agli atti sessuali commessi da chi sia l’ascendente, il genitore anche adottivo, il di lui convivente, il tutore ovvero altra persona cui, per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore sia affidato o che abbia con il minore una relazione di convivenza (primo comma, n. 2).

Non sono, quindi, punibili gli atti sessuali con minore di 16 anni consenziente commessi da un soggetto “estraneo” al minore, ossia che non si trovi in quelle relazioni speciali per le quali l'art. 609-quater ritiene che vi sia uno stato di sudditanza psicologica tale da escludere valore al consenso prestato. Costituisce, invece, violenza sessuale aggravata l'ipotesi in cui i fatti di cui all'articolo 609-bis siano commessi nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni 16, della quale il colpevole sia l’ascendente, il genitore anche adottivo, il tutore.

Il secondo comma dell’articolo 609-quater (introdotto dalla legge n. 38 del 2006) specifica, inoltre, che al di fuori dei casi di cui all'articolo 609-bis, l'ascendente, il genitore, anche adottivo, o il di lui convivente, o il tutore che, con l'abuso dei poteri connessi alla sua posizione, compie atti sessuali con persona minore che ha compiuto gli anni sedici, è punito con la reclusione da tre a sei anni.

Per tutte le fattispecie di atti sessuali con minorenni, la pena è ridotta fino a due terzi nei casi di minore gravità (quarto comma).

Il quinto comma punisce, infine, con la reclusione da 7 a 14 anni (la stessa pena della violenza sessuale) chi compie atti sessuali con minore di anni 10.

L’art. 609-quinquies punisce con la reclusione da 6 mesi a 3 anni la corruzione di minorenne, ovvero il compimento di atti sessuali in presenza di persona minore di anni quattordici, al fine di farla assistere.

L’art. 609-sexies precisa che quando i delitti di violenza sessuale sono commessi in danno di un minore di anni 14 il colpevole non può invocare, a propria scusa, l’ignoranza dell’età della persona offesa.

L’art. 609-decies sancisce inoltre che per i delitti di riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù, di prostituzione minorile, pornografia minorile, di iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile, di violenza sessuale, anche aggravata, di corruzione di minorenne, di tratta di persone, di acquisto o alienazione di schiavi, di violenza sessuale di gruppo, commessi in danno di minorenni, e per il delitto di atti sessuali con minorenne, sia data comunicazione, a cura del procuratore della Repubblica, al tribunale per i minorenni (primo comma). L'autorità giudiziaria procedente cura che il minore, in sede processuale, sia assistito, dal punto di vista affettivo e psicologico, dai genitori o da persona idonea indicata dal minore, ferma restando l'assistenza dei servizi minorili del Ministero della giustizia e degli enti locali (secondo, terzo e quarto comma).

 

Dal punto di vista processuale la riforma del 1996, inserendo l’art. 609-septies del codice penale ha previsto che i reati di violenza sessuale, anche aggravati, e gli atti sessuali con minorenne siano punibili a querela della parte offesa e che la querela, una volta proposta, sia irrevocabile (primo e terzo comma).

Si procede, tuttavia, d'ufficio nei seguenti casi:

§         se il fatto è commesso nei confronti di persona minore di anni diciotto (n. 1).

§         se il fatto è commesso dall’ascendente, dal genitore, anche adottivo, dal di lui convivente, dal tutore o da un soggetto cui il minore sia affidato per ragioni di custodia, cura, educazione, vigilanza, istruzione o che abbia con esso una relazione di convivenza (n. 2)[34];

§         se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio nell'esercizio delle proprie funzioni (n. 3);

§         se il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d'ufficio (n. 4);

§         se il fatto è commesso nei confronti di minore di anni dieci consenziente (n.5);

§         se si tratta di violenza sessuale di gruppo (quarto comma).

Il termine per la proposizione della querela è stato ampliato a 6 mesi (secondo comma).

 

L’art. 609-octies introduce un apposito e autonomo titolo di reato per la fattispecie di violenza sessuale di gruppo, definendola come partecipazione, da parte di più persone riunite[35], ad atti di violenza sessuale, così come definiti dall'art. 609-bis.

Mentre è necessario che costoro partecipino all'esecuzione materiale del reato, non occorre che tutti compiano atti di violenza sessuale (Cass., Sez. III, 5 aprile 2000).

La pena è della reclusione da 6 a 12 anni ed è aumentata se concorre taluna delle circostanze aggravanti precedentemente descritte, contemplate dall’art. 609-ter (secondo e terzo comma).

Sono, inoltre, previste, in relazione a questa nuova fattispecie di reato alcune circostanze attenuanti specifiche. Viene infatti stabilito che la pena è diminuita per il partecipante la cui opera abbia avuto minima importanza nella preparazione o nell’esecuzione del reato. La pena è altresì diminuita per chi sia stato determinato a commettere il reato quando concorrono le condizioni stabilite dai numeri 3) e 4) del primo comma e dal terzo comma dell’articolo 112 c.p.[36]

 

Innovazioni particolari sono state introdotte anche con riferimento alle pene accessorie ed altri effetti penali di cui tratta l’art. 609-nonies.

È previsto, infatti, che la condanna o l’applicazione della pena su richiesta delle parti ai sensi dell’articolo 444 c.p.p. per uno dei reati di violenza sessuale introdotti dalla legge n. 66 del 1996 comporti le seguenti pene accessorie:

§         la perdita della potestà dei genitori, quando la qualità di genitore sia elemento costitutivo del reato o circostanza aggravante (il riferimento alla qualità di genitore come circostanza aggravante è stato introdotto dalla legge n. 38 del 2006);

§         l'interdizione perpetua dagli uffici di tutore e curatore;

§         la perdita del diritto agli alimenti e l'incapacità successoria nei confronti della persona offesa (primo comma).

La legge n. 38 del 2006 ha integrato l’articolo 609-nonies, prevedendo che la condanna o l'applicazione della pena su richiesta delle parti, per alcuno dei delitti di violenza sessuale, anche aggravata, e di violenza sessuale di gruppo, se commessi nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni diciotto, di atti sessuali con minorenne e di corruzione di minorenne, comporta in ogni caso l'interdizione perpetua da qualunque incarico nelle scuole di ogni ordine e grado nonché da ogni ufficio o servizio in istituzioni o in altre strutture pubbliche o private frequentate prevalentemente da minori (secondo comma).

 

In relazione alle forme di pubblicità del processo è stabilito che il dibattimento si tenga a porte aperte, salvo il diritto della persona offesa di chiedere lo svolgimento a porte chiuse, anche solo per una parte di esso (art. 472, comma 3-bis, c.p.p.). Tale scelta è obbligatoria quando la parte offesa è un minorenne. La legge limita poi la possibilità di formulare domande circa la vita privata o la sessualità della persona offesa, salvo che siano necessarie alla ricostruzione del fatto.

Alcune disposizioni della legge n. 66 del 1996 sono dedicate alla tutela e all'assistenza dei minori offesi da delitti di violenza sessuale. Si prevede, in particolare, che nei procedimenti relativi a delitti di violenza sessuale il pubblico ministero o la persona sottoposta ad indagini possano chiedere che si proceda con incidente probatorio all'assunzione della testimonianza del minore di 16 anni, anche al di là delle ipotesi disciplinate dal codice di procedura penale (art. 398 c.p.p.).

 

Infine, l’art. 16 della legge n. 66 del 1996 (come modificato dalla successiva legge sulla pedofilia) prevede che l'imputato per i delitti di violenza sessuale e prostituzione minorile sia sottoposto ad accertamenti per l'individuazione di patologie sessualmente trasmissibili, qualora le modalità del fatto possano prospettare un rischio di trasmissione delle patologie medesime; l'accertamento è effettuato con le forme della perizia.

 

I più recenti interventi normativi in materia

Il decreto-legge n. 11 del 2009, convertito dalla legge n. 38 del 2009:

§         ha esteso l’obbligatorietà della custodia cautelare in carcere, in presenza di gravi indizi di colpevolezza, a specifici delitti ritenuti di particolare gravità e allarme sociale, tra i quali la violenza sessuale (art. 609-bis), gli atti sessuali con minorenni (art. 609-quater) e la violenza sessuale di gruppo (art. 609-octies), salvo che ricorrano le circostanze attenuanti contemplate dagli stessi articoli (novella all’art. 275 del codice di procedura civile);

§         ha previsto l’arresto obbligatorio in flagranza per la violenza sessuale (esclusi i casi di minore gravità) e la violenza sessuale di gruppo (novella all’articolo 380 del codice penale);

§         reca disposizioni volte a rendere più difficile ai condannati per taluni delitti a sfondo sessuale l’accesso ai benefici penitenziari, ovvero l’assegnazione al lavoro all'esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione previste dal capo VI della medesima legge, esclusa la liberazione anticipata (novella all’articolo 4-bis  della legge 354/1975 sull’ordinamento penitenziario).

 

In particolare, tali benefici potranno essere concessi ai detenuti o internati per i delitti di cui agli articoli 609-bis (violenza sessuale, salva l’ipotesi in cui sia stata applicata la circostanza attenuante contemplata dalla medesima disposizione), 609-ter (violenza sessuale aggravata), 609-quater (atti sessuali con minorenni) e 609-octies (violenza sessuale di gruppo) del codice penale solo sulla base dei risultati dell'osservazione scientifica della personalità condotta collegialmente per almeno un anno anche con la partecipazione degli esperti di cui al quarto comma dell'articolo 80 della legge sull’ordinamento penitenziario.

Con specifico riferimento alla detenzione domiciliare, si segnala che l’art. 47-ter della legge 354/1975, al comma 01 (introdotto dalla legge n. 251 del 2005), che prevede l’espiazione presso la propria abitazione della pena della reclusione per il condannato ultrasettantenne, ha escluso l’applicazione di tale beneficio al condannato per violenza sessuale, atti sessuali con minorenne e violenza sessuale di gruppo (oltre che per un ulteriore nutrito catalogo di gravi delitti).

 

§         ha previstol’accesso al gratuito patrocinio, anche in deroga ai limiti di reddito ordinariamente previsti, a favore della persona offesa da taluni reati a sfondo sessuale (novella al testo unico in materia di spese di giustizia di cui al D.P.R. 115/2002).

§

Il decreto-legge, inoltre, prevede, quale aggravante speciale dell’omicidio, il fatto che esso sia commesso in occasione della commissione del delitto di violenza sessuale, di atti sessuali con minorenne e violenza sessuale di gruppo, nonché da parte dell’autore del delitto di atti persecutori nei confronti della stessa persona offesa (novella all’art. 576 del codice penale).

 

Le iniziative in corso

La Camera ha approvato nella seduta del 14 luglio 2009 un testo unificato di numerosi progetti di legge (uno dei quali del Governo), che reca un organico intervento in materia di violenza sessuale. Tale testo, attualmente all’esame del Senato (A.S. 1675), prevede tra l’altro l’inasprimento delle sanzioni per i reati in materia di violenza sessuale, ulteriori circostanze aggravanti, l’introduzione del reato di molestie sessuali (definito nella condotta di chi arreca molestia a taluno mediante un atto o un comportamento a contenuto esplicitamente sessuale), la possibilità di intervento in giudizio degli enti locali, dei centri antiviolenza e della Presidenza del Consiglio (nel caso di delitti in danno di minori o nell’ambito familiare), misure per l’informazione e l'assistenza sociale delle vittime di violenza, iniziative scolastiche contro la violenza e la discriminazione sessuale.

Presso la Commissione giustizia della Camera è inoltre iniziato l’esame di una proposta di legge volta ad estendere l’accesso al gratuito patrocinio anche per le spese relative a processi celebrati all'estero per violenze sessuali commesse all'estero ai danni di cittadini italiani (A.C. 2779).

Inoltre, il Parlamento sta attualmente esaminando anche:

§         il disegno di legge di ratifica della Convenzione di Lanzarote per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale. Il disegno di legge, già approvato dalla Camera all’unanimità (A.S. 1949-B), introduce in particolare i nuovi reati di adescamento di minorenni, anche attraverso Internet ("grooming") e di istigazione e apologia di pratiche di pedofilia e di pedopornografia;

§         due proposte di legge dell'opposizione in materia di omofobia (A.C. 1658 e A.C. 1882);

§         e alcuni progetti di legge (tra cui un disegno di legge del Governo, A.S. 1079), che, nell’ambito di più generali misure in materia di prostituzione, intervengono anche in materia penale.

 

Lo stalking

Il decreto-legge n. 11 del 2009 (convertito dalla legge n. 38 del 2009) ha introdotto nel codice penale l’articolo 612-bis, che disciplina il reato di Atti persecutori(“stalking”).

Per la sussistenza della nuova fattispecie delittuosa (procedibile a querela della persona offesa, salvo talune ipotesi specificamente indicate) si richiede la ripetitività della condotta, nonché l’idoneità dei comportamento a provocare nella vittima un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero a ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona alla medesima legata da relazione affettiva ovvero a costringere la stessa ad alterare le proprie abitudini di vita. La pena è della reclusione da sei mesi a quattro anni.

Il medesimo decreto-legge n. 11 del 2009 reca ulteriori misure in materia di stalking.

§         Al fine di apprestare tutela nel periodo che intercorre tra il comportamento persecutorio e la presentazione della querela e allo scopo di dissuadere preventivamente il reo dal compimento di nuovi atti, introduce la possibilità per la persona offesa di avanzare al questore richiesta di ammonimento nei confronti dell’autore della condotta e disciplina l’esercizio di tale potere da parte del questore.

§         Reca alcune modifiche al codice di procedura penale, finalizzate ad estendere ai procedimenti per il nuovo reato talune specifiche regole in materia probatoria.

 

In particolare, si prevede:

-          attraverso una novella all’art. 392, comma 1-bis, c.p.p., la possibilità per taluni delitti (tra i quali vengono inseriti i maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli e gli atti persecutori) che si proceda con incidente probatorio all’assunzione della testimonianza di persona minorenne ovvero della persona offesa maggiorenne anche al di fuori delle ipotesi di cui all’art. 392, comma 1, c.p.p.;

-          attraverso una novella all’art. 398, comma 5-bis, c.p.p., l’estensione delle particolari modalità di assunzione della prova ivi previste - che nel testo previgente si applicano solo nel caso in cui vi sia il coinvolgimento di minori infrasedicenni - a tutti i casi in cui vi sia il coinvolgimenti di minorenni nonché al caso di indagini per i reati di atti persecutori;

-          attraverso una novella all’art. 498, comma 4-ter), c.p.p., l’estensione delle particolari protezioni ivi previste per l'esame in dibattimento del minore vittima di reato (uso di un vetro specchio unitamente ad un impianto citofonico) anche ai procedimenti per il reato di atti persecutori nonché per l’esame in dibattimento del maggiorenne infermo di mente vittima del reato.

 

§         Prevede una nuova misura coercitiva, consistente nel divieto di avvicinamento dell’imputato ai luoghi frequentati dalla persona offesa ovvero di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o dalla persona offesa, attraverso l’inserimento nel c.p.p. dell’art. 282-ter. Il divieto può riguardare anche i luoghi frequentati da prossimi congiunti o da persone conviventi o comunque legate alla persona offesa da una relazione affettiva.

§         Prescrive specifici obblighi di comunicazione (nuovo art. 282-quater) all’autorità di pubblica sicurezza competente dei provvedimenti di cui al nuovo art. 282-ter nonché dell’art. 282-bis (allontanamento dalla casa familiare) ai fini dell’eventuale adozione dei provvedimenti in materia di armi e munizioni. Tali atti sono altresì comunicati alla parte offesa e ai servizi socio-assistenziali del territorio.

§         Pone a carico delle forze dell’ordine, dei presidi sanitari e delle istituzioni pubbliche che ricevono dalla vittima notizia di reato di atti persecutori l’obbligo di fornire alla medesima tutte le informazioni relative ai Centri Antiviolenza presenti sul territorio ed eventualmente di metterla in contatto con tali strutture.

§         Istituisce, infine, presso il Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio un numero verde nazionale a favore delle vittime degli atti persecutori, con compiti di assistenza psicologica e giuridica, nonché di comunicare gli atti persecutori segnalati alle forze dell'ordine, nei casi d'urgenza e su richiesta della persona offesa.

 

Le mutilazioni genitali femminili

La legge n. 7 del 2006 detta le misure necessarie per prevenire, contrastare e reprimere le pratiche di mutilazione genitale femminile, quali violazioni dei diritti fondamentali all’integrità della persona e alla salute delle donne e delle bambine (art. 1).

Tale legge in particolare ha introdotto nel codice penale un’autonoma fattispecie di reato (Pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili, art. 583-bis) che punisce con la reclusione da 4 a 12 anni chiunque, in assenza di esigenze terapeutiche, cagiona una mutilazione degli organi genitali femminili (clitoridectomia, escissione, infibulazione ed altre analoghe pratiche).

Quando la mutilazione sia di natura diversa dalle precedenti e sia volta a menomare le funzioni sessuali della donna, la pena è la reclusione da 3 a 7 anni; una specifica aggravante (pena aumentata di un terzo) è prevista quando le pratiche siano commesse a danno di un minore ovvero il fatto sia commesso a fini di lucro.

L’art. 583-bis – previa richiesta del Ministro della giustizia - stabilisce la punibilità delle mutilazioni genitali femminili, anche se l’illecito è commesso all’estero da cittadino italiano (o da straniero residente in Italia) o in danno di cittadino italiano (o di straniero residente in Italia).

 

Nella disciplina previgente, tali pratiche erano penalmente perseguibili nel nostro Paese, solo indirettamente, come lesioni personali (di solito gravi o gravissime) ai sensi degli articoli 582 e 583 del codice penale.

 

Pesanti pene accessorie sono previste dalla legge (nuovo art. 583 ter c.p.) nei confronti dei medici condannati per mutilazioni genitali: interdizione dall’esercizio della professione per un periodo da 3 a 10 anni; comunicazione della sentenza di condanna all’Ordine dei medici chirurgi e degli odontoiatri.

 

Attraverso l’inserimento dell’art. 25-quater.1 nel decreto legislativo n. 231 del 2001 (in materia di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche derivante da reato) la legge ha disposto specifiche sanzioni interdittive e pecuniarie (da 300 a 700 quote) a carico degli enti nella cui struttura è commesso il delitto di cui all’art. 583-bis.

La medesima legge, inoltre, ha previsto campagne informative e di sensibilizzazione delle popolazioni in cui tali pratiche sono più diffuse nonchè una più adeguata formazione del personale sanitario[37], oltre che l’istituzione di un numero verde volto sia a ricevere segnalazioni che a fornire informazioni e assistenza ai soggetti coinvolti nella pratica delle utilazioni genitali femminili.

 

Le iniziative in corso

Il Parlamento sta attualmente esaminando il disegno di legge di ratifica della Convenzione di Lanzarote per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale (A.S. 1949-B) che interviene anche sulle sanzioni accessorie del reato di mutilazioni genitali femminili (art. 583-bis c.p.).

In particolare, il disegno di legge già approvato dalla Camera e all’esame del Senato, dispone che quando il reato è commesso dal genitore o dal tutore del minore, la condanna comporta anche la decadenza dall’esercizio della potestà del genitore ovvero l’interdizione perpetua da qualsiasi ufficio attinente alla tutela, alla curatela e all’amministrazione di sostegno.

 

Gli atti di indirizzo recentemente approvati dal Parlamento

Nella seduta del 25 gennaio, l'Assemblea della Camera ha approvato le mozioni 1-00512 (a prima firma dell'on. Amici), 1-00534 (a prima firma dell'on. Binetti) e 1-00538 (a prima firma dell'onorevole Saltamartini) che sollecitano al Governo iniziative per contrastare la violenza nei confronti delle donne.

La mozione 1-00512 impegna il Governo ad adottare un piano organico di intervento volto al contrasto della violenza contro le donne, a individuare risorse economiche adeguate per la copertura del piano e per la rete dei centri antiviolenza e delle case rifugio, a definire una politica di prevenzione, formazione ed informazione e a porre in essere misure di tutela delle vittime della violenza.

La mozione 1-00534, oltre che più generali politiche di contrasto e di prevenzione della violenza nei confronti delle donne e di tutela delle vittime, chiede l'adozione di un sistema di monitoraggio a livello di sanità pubblica, atto ad individuare e ridurre le conseguenze della violenza sulle donne, sia sul piano assistenziale che organizzativo, e pone il tema del rispetto dell'immagine femminile da parte della televisione e degli altri mezzi di informazione; a tal fine, sollecita la rapida conclusione del nuovo contratto di servizio tra RAI e Ministero dello sviluppo economico.

La mozione 1-00538, infine, impegna il Governo a proseguire nelle numerose iniziative già avviate in materia in questa legislatura e a promuovere presso la Conferenza Stato-regioni azioni volte ad incentivare la realizzazione di misure a favore delle vittime di violenza, coinvolgendo le stesse in percorsi di formazione e di inserimento.

Si ricorda che il Parlamento, sulla stessa materia, aveva approvato il 28 gennaio 2009 alcuni atti di indirizzo, presentati da gruppi diversi (cfr. nuove formulazioni delle mozioni Pollastrini ed altri n. 1-00070, Mura ed altri n. 1-00083, Cicchitto, Cota, Iannaccone ed altri n. 1-00085), che impegnavano il Governo a presentare al più presto in Parlamento il Piano del Dipartimento pari opportunità contro la violenza alle donne e a prevedere per la sua attuazione risorse adeguate. 

Il Piano nazionale contro la violenza di genere e lo stalking  è previsto dalla legge finanziaria 2007 e finanziato dalla legge finanziaria 2008 attraverso l'istituzione di uno specifico Fondo; come comunicato dal Ministro delle pari opportunità nella seduta del 25 gennaio, il Piano,  attualmente in attesa di registrazione da parte della Corte dei conti, è finanziato con risorse pari nel complesso a 23 milioni di euro.

 


 

Le pari opportunità nell’Unione europea
(
a curadell’Ufficio Rapporti con l’Unione europea)

 

L’intervento dell’Unione europea: base giuridica

Gli obiettivi dell’Unione europea in materia di parità fra uomini e donne consistono, da un lato, nel garantire la parità di opportunità e di trattamento fra donne e uomini e, dall’altro, nella lotta contro qualsiasi discriminazione fondata sul sesso.

Il Trattato di Lisbona ha riaffermato il principio di uguaglianza tra donne e uomini (già enunciato agli articoli 2, 3 e 13 del previgente Trattato CE), inserendolo tra i valori (art. 2 TUE) e tra gli obiettivi (Art. 3, par. 3 TUE) dell’Unione. Inoltre il nuovo articolo 10 introdotto dal Trattato di Lisbona nel Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea prevede che nell’attuazione delle sue politiche ed azioni, l’Unione miri a combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l’origine etnica, la religione o le convinzioni personali, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale.

Per quanto riguarda l’ambito lavorativo, le disposizioni relative alla parità fra uomini e donne già previste agli articoli 137 e 141 del Trattato CE, per quanto riguarda le opportunità sul mercato del lavoro, il trattamento sul lavoro e le retribuzioni per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore, sono confluite, in base al Trattato di Lisbona, negli articoli 153 e 157 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea.

La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea riafferma il divieto di qualsiasi forma di discriminazione, in particolare quella fondata sul sesso, e il dovere di garantire la parità fra uomini e donne in tutti i campi, prevedendo, inoltre, che il principio della parità non osta al mantenimento o all’adozione di misure che prevedano vantaggi specifici a favore del sesso sottorappresentato.

Con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, la Carta dei diritti fondamentali ha assunto carattere giuridicamente vincolante  attraverso un apposito articolo di rinvio (art. 6 TUE).   

Il Consiglio europeo del 18-19 giugno 2009 ha adottato una dichiarazione solenne sui diritti dei lavoratori e sulla politica sociale nella quale ribadisce l’importanza del rispetto integrale del quadro e delle disposizioni dei trattati UE, sottolineando, tra le altre cose, che i trattati modificati dal trattato di Lisbona si prefiggono di combattere l’esclusione sociale e le discriminazioni e di promuovere la giustizia e la protezione sociali, la parità tra uomini e donne, la solidarietà tra le generazioni e la tutela dei diritti del minore.

La nuova strategia UE per la parità di genere (2010-2015)

Il 21 settembre 2010 la Commissione europea ha presentato la nuova  strategia 2010-2015 per la promozione della parità fra uomini e donne nell’Unione europea (COM(2010)491). La strategia prevede azioni basate su cinque priorità: pari indipendenza economica; pari retribuzione per lo stesso lavoro e lavoro di pari valore; parità nel processo decisionale; dignità, integrità e fine della violenza nei confronti delle donne; parità tra donne e uomini nelle azioni esterne.

Tra l’altro la Commissione ritiene necessario:

·      adottare misure volte ad aumentare la presenza delle donne nel mercato del lavoro, in linea con gli obiettivi della strategia Europa 2020,  e nei posti di responsabilità nel settore economico;

·      promuovere l'imprenditorialità femminile e il lavoro autonomo;

·      istituire una Giornata europea per la parità salariale per sensibilizzare l'opinione pubblica sul fatto che in Europa le donne continuano a guadagnare in media circa il 18% in meno degli uomini;

·      collaborare con tutti gli Stati membri per combattere la violenza contro le donne, e specialmente per sradicare le pratiche di mutilazione genitale femminile in Europa e nel mondo.

Per quanto riguarda in particolare la parità nel processo decisionale, la Commissione rileva che nella maggior parte degli Stati membri le donne continuano ad esseresottorappresentate nei processi e nelle posizioni decisionali, in particolare ai livellipiù alti, nonostante costituiscano quasi la metà della forza lavoro e più della metà dei nuovi diplomati universitari dell'UE.

Nonostante i progressi compiuti per raggiungere un equilibrio fra donne e uomini in campo politico, rimane ancora molto da fare, poiché in media solo uno su quattro deputati dei parlamenti nazionali e ministri dei governi nazionali è una donna.

In campo economico la percentuale delle donne è inferiore a quella degli uomini a tutti i livelli direttivi e decisionali. Nei consigli di amministrazione delle maggiori società quotate in borsa dell'UE solo il 10% dei membri e il 3% dei dirigenti sono donne. Studi dimostrano che la diversità di genere presenta vantaggi ed esiste una correlazione positiva tra le donne in posizioni dirigenti e i risultati economici.

Nonostante l'obiettivo fissato dall'UE nel 2005 del 25% di donne nelle funzioni direttive nel settore pubblico della ricerca, questa meta è ancora piuttosto lontana, dato che solo il 19% dei docenti universitari di ruolo dell'UE sono donne. Lo squilibrio tra donne e uomini prevalente nel campo scientifico e della ricerca costituisce ancora un grave ostacolo all'obiettivo europeo di aumentare la competitività e di sfruttare al massimo il potenziale innovativo.

Su tali basi, la Commissione intende:

·      esaminare iniziative mirate al miglioramento della parità di genere nei processi decisionali;

·      monitorare l'obiettivo del 25% di donne in posizioni direttive di alto livello nella ricerca;

·      monitorare i progressi verso l'obiettivo del 40% di membri di uno stesso sesso nei comitati e gruppi di esperti istituiti dalla Commissione;

·      sostenere gli sforzi per promuovere una maggiore partecipazione delle donne alle elezioni al Parlamento europeo, anche come candidate.

La Strategia 2010-2015 subentra alla tabella di marcia per la parità tra donne e uomini 2006-2010 (COM(2006)92) presentata dalla Commissione europea il 1° marzo 2006 e tiene conto della dichiarazione politica (cd. “ Carta per le donne”), (COM(2010)78), adottata dalla Commissione europea il 5 marzo 2010, in occasione della celebrazione dei  15 anni dalla piattaforma d'azione di Pechino.

Le azioni proposte dalla Commissione nella Strategia sono state accolte con favore dal Consiglio UE nelle conclusioni adottate il 6 dicembre scorso.

Il sostegno finanziario

Le iniziative UE a sostegno della parità di genere si avvalgono attualmente del sostegno finanziario dei seguenti programmi:

·   Programma comunitario per l’occupazione e la solidarietà - PROGRESS (2007-2013)

Il programma PROGRESS si prefigge di fornire un aiuto finanziario all’attuazione degli obiettivi dell’Unione europea nel settore dell’occupazione e degli affari sociali.

Il programma, con dotazione finanziaria complessiva pari a pari a 657.590.000 euro per il periodo 2007-2013, si articola in cinque sezioni distinte corrispondenti ai cinque grandi settori di attività, secondo la seguente ripartizione: 

·         occupazione 23%,

·         protezione sociale e integrazione 30%,

·         condizioni di lavoro 10%,

·         diversità e lotta contro la discriminazione 23%,

·         parità fra uomini e donne 12%.

Il restante 2% della dotazione è destinato alla copertura delle spese di gestione del programma.

Per quanto riguarda la parità tra donne e uomini, il programma PROGRESSpromuove l’integrazione della dimensione di genere in tutte le politiche comunitarie:

-   migliorando la comprensione della situazione relativa alle questioni di genere e all’integrazione della dimensione di genere, in particolare mediante analisi e studi e l’elaborazione di statistiche e indicatori, nonché valutando l’impatto della legislazione, delle politiche e delle prassi in vigore;

-   sostenendo l’applicazione della legislazione comunitaria in tema di parità fra uomini e donne mediante un monitoraggio efficace, l’organizzazione di seminari destinati a coloro che sono attivi nel settore e lo sviluppo di reti fra organismi specializzati nelle questioni relative alla parità;

-   sensibilizzando, diffondendo informazioni e promuovendo il dibattito sulle principali sfide e questioni politiche relative alla parità fra uomini e donne e all’integrazione di genere, anche tra le parti sociali, le ONG e gli altri soggetti interessati;

-   sviluppando la capacità delle principali reti di livello europeo di sostenere e sviluppare ulteriormente gli obiettivi politici comunitari e le strategie in materia di parità fra uomini e donne.

 

·   Programma DAPHNE III : Combattere la violenza contro i bambini, gli adolescenti e le donne (2007-2013)

Il programma Daphne III mira a prevenire e a combattere qualsiasi forma di violenza, in particolare di natura fisica, sessuale o psicologica, contro i bambini, i giovani e le donne. È altresì inteso a proteggere le vittime e i gruppi a rischio al fine di raggiungere un livello elevato di tutela della salute mentale, benessere e coesione sociale nell’Unione europea. Si tratta della terza fase del programma Daphne e copre il periodo 2007-2013, per il quale è stato stanziato un bilancio di 116,85 milioni di euro.

La Commissione presenterà entro il 31 marzo 2011 al Parlamento e al Consiglio una relazione di valutazione intermedia sull’attuazione e sui risultati dei progetti ed entro il 31 dicembre 2014 una relazione di valutazione ex post sull’attuazione e sui risultati del programma. Entro il 31 maggio 2012 presenterà anche una comunicazione sulla continuazione del programma in questione.

L’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere (EIGE)

L’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere è stato creato il 20 dicembre 2006 (Regolamento (CE) n. 1922/2006). Dotato di personalità giuridica, l’Istituto è formato da un consiglio di amministrazione, un direttore e dal suo personale, nonché da un forum di esperti. La sede dell’Istituto è a Vilnius (Lituania). Virginija Langbakk ha assunto l’incarico  di direttore nell’aprile 2009.

I principali obiettivi dell’Istituto sono:

·         la promozione e il rafforzamento dell’uguaglianza fra donne e uomini;

·         l’integrazione delle questioni di uguaglianza fra donne e uomini in tutte le politiche comunitarie e nelle relative politiche nazionali;

·         la lotta contro la discriminazione fondata sul sesso;

·         la sensibilizzazione dei cittadini europei.

Secondo il regolamento che istituisce l’EIGE, questo contributo si tradurrà essenzialmente in un’assistenza tecnica apportata alle istituzioni comunitarie, in particolare alla Commissione, nonché alle autorità degli Stati membri.

Le principali attività dell’Istituto per l’uguaglianza di genere saranno:

-    la raccolta, la registrazione, l’analisi e la diffusione di informazioni relative all’uguaglianza tra uomini e donne a livello comunitario. In base a criteri rigidi, l’Istituto elaborerà metodi volti ad aumentare l’obiettività, la comparabilità e l’affidabilità dei dati a livello europeo. Sulla base dei dati obiettivi, affidabili e comparabili che avrà riunito, elaborerà strumenti metodologici destinati ad integrare meglio la parità fra uomini e donne in tutte le politiche comunitarie.

-   l’organizzazione di attività volte a promuovere gli scambi di esperienze e lo sviluppo del dialogo a livello europeo con tutte le parti interessate, in particolare le istituzioni della Comunità e degli Stati membri, le parti sociali, le organizzazioni non governative, i centri di ricerca . Più specificatamente, l’Istituto:  creerà e coordinerà una rete europea sull’uguaglianza tra uomini e donne;  organizzerà riunioni ad hoc di esperti;  incoraggerà lo scambio di informazioni tra ricercatori e favorirà l’integrazione della prospettiva di genere nella loro ricerca;  svilupperà un dialogo e una cooperazione con organizzazioni non governative, enti operanti nel settore delle pari opportunità, università, esperti, centri di ricerca e parti sociali.

-   la collaborazione all’organizzazione di conferenze, campagne e riunioni a livello europeo al fine di sensibilizzare i cittadini dell’Unione europea riguardo alla parità tra gli uomini e le donne.

I risultati e la valutazione dell’Anno europeo per le pari opportunità (2007)

Il 19 giugno 2009 la Commissione ha adottato una comunicazione relativa ai risultati e alla valutazione globale dell’Anno europeo per le pari opportunità (2007) (COM(2009)269), che ha inteso diffondere tra i cittadini europei la consapevolezza dei loro diritti, con riferimento anche alla tutela offerta dalle direttive adottate a partire dal 2000 sulla base dell’articolo 13 TCE (direttiva 2000/43/CE che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica; direttiva 2000/78/CE che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro; direttiva  2004/113/CE, che attua il principio della parità` di trattamento tra uomini e donne per quanto riguarda l'accesso a beni e servizi e la loro fornitura).

La Commissione sottolinea che l'AEPO non ha dunque solo centrato il proprio obiettivo globale, ovvero sensibilizzare riguardo ai diritti e agli obblighi previsti dal quadro giuridico attualmente in vigore, ma è anche riuscito a innescare un dibattito sull'abbattimento delle barriere nella percezione dei 6 motivi di discriminazione (sesso, la razza o l'origine etnica, la religione o le convinzioni personali, gli handicap, l'età o le tendenze sessuali).  Il dibattito è sfociato nella decisione della Commissione di adottare una nuova proposta di direttiva (COM(2008)426) basata sull'articolo 13, tuttora all’esame delle istituzioni dell’Unione europea, al fine di armonizzare la protezione garantita nei confronti dei diversi motivi di discriminazione; inoltre ha fatto nascere un dialogo permanente tra gli Stati membri ed i principali soggetti in causa.

Secondo la Commissione questi traguardi contribuiranno al superamento dei timori e pregiudizi potenzialmente insiti nell'attuale crisi finanziaria ed economica, contrastando la nascita di nuove forme di discriminazione e impedendo così che un rafforzamento dell'emarginazione ostacoli il rilancio economico.

 


L’Italia e le iniziative internazionali per la
lotta alle mutilazioni genitali femminili

 

Per mutilazioni genitali femminili (MGF) si intendono tutte le pratiche volte alla parziale o totale rimozione degli organi genitali femminili esterni o qualsiasi altro danno arrecato agli organi genitali della donna, a fini non terapeutici. Sono classificate in quattro tipi, ciascuno dei quali articolato in varianti.

Secondo il WHO (World Health Organization), il tipo più comune è l'escissione del clitoride e delle labbra, che rappresenta più dell'80% di tutti i casi, mentre la forma più estrema, l'infibulazione, rappresenta circa il 15%.

Le MGF sono praticate prevalentemente in 28 paesi africani ma anche nella penisola araba, nel Medio Oriente e nel sudest asiatico. La Tabella allegata alla Dichiarazione congiunta del 2008 delle Agenzie dell’ONU[38] (v. infra) mostra che i paesi nei quali la pratica è maggiormente diffusa sono, in ordine decrescente, Somalia, Egitto, Guinea, Sierra Leone, Gibuti, Mali e Sudan, nei quali si stima che essa sia stata messa in atto su oltre il 90 per cento delle donne tra i 15 e i 49 anni.

Si calcola che siano 100-140 milioni le donne e le ragazze al mondo che hanno subito mutilazioni genitali in qualunque momento della loro vita (ma le MGF vengono effettuate perlopiù al di sotto dei quindici anni) fra le quali 92 milioni di bambine maggiori di dieci anni che vivono in Africa.

Ogni anno, circa 3 milioni di ragazze sono (o corrono il rischio di essere) sottoposte a MGF. Secondo il Parlamento europeo, su 500 mila donne che vivono in Europa sono state praticate mutilazioni, mentre secondo l’Istat, ogni anno in Italia sono circa 35 mila  le donne e le bambine emigrate vittime di tale pratica.

Le mutilazioni genitali femminili sono riconosciute a livello internazionale come violazioni dei diritti umani delle donne e riflettono disparità tra i sessi profondamente radicate e gravi forme di discriminazione. Oltre ad essere pratiche dolorose, esse costituiscono fonte di rischio per la salute, potendo causare shock, emorragie, infezioni batteriche, problemi urinari, danni permanenti all’area genitale, infertilità. Le MGF possono inoltre comportare maggiori rischi al momento del parto, riferiti sia alla madre che al bambino.

Da quanto detto finora si evince che le MGF costituiscono anche un impedimento al raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio: il Goal 3, ad esempio, promuove la parità di genere e l’empowerment delle donne; il Goal 4 la riduzione della mortalità infantile, e il Goal 5 la riduzione della mortalità materna. Nessuno di questi Obiettivi potrà essere realizzato finché non saranno completamente abbandonate le pratiche di MGF, poiché la salute delle donne, l’acquisizione da parte loro di maggior potere e il riconoscimento dei loro diritti sono condizioni essenziali per l’eliminazione della povertà (oggetto dell’Obiettivo n° 1).

Il WHO avverte che, sebbene le mutilazioni genitali siano praticate in varie forme da molte centinaia di anni, le ricerche scientifiche sulle ragioni per le quali esse continuano ad esserlo nel presente sono piuttosto limitate. Tuttavia, appare chiaro che le cause delle mutilazioni genitali siano da ricondurre ad un insieme di fattori culturali, religiosi e sociali che regolano le famiglie e le comunità.

Laddove le MGF sono una convenzione sociale, la pressione che spinge ad adeguare il proprio comportamento a quello prevalente è una forte motivazione per non dismettere l’abitudine. Alcuni falsi convincimenti, inoltre, contribuiscono a perpetrarla, come l’idea che le mutilazioni siano una parte necessaria della corretta educazione delle bambine e che esse corrispondano ad un dettato religioso. Alcuni tipi di MGF, inoltre, vengono praticati con il proposito di limitare allo stretto necessario i rapporti sessuali delle donne, scoraggiandone quelli illeciti  (per paura del dolore) e assicurando così la fedeltà della moglie verso il marito (presente o anche solo futuro).

I leader religiosi hanno assunto posizioni molto diversificate riguardo il problema: alcuni sostengono le MGF, altri le avversano, altri ancora le ritengono assolutamente irrilevanti per la religione.

Le posizioni delle Organizzazioni internazionali

Per la prima volta nel 1997 il WHO, l’UNICEF e l’UNFPA (United Nations Population Fund) hanno adottato una Dichiarazione comune che descriveva l’impatto della pratica sulla salute e ne sottolineava l’aspetto di violazione dei diritti umani. Da quel momento sono stati compiuti passi in avanti, anche grazie alla ricerca che ha permesso di individuare strategie di intervento e grazie al lavoro svolto all’interno delle comunità e all’approvazione di nuove normative in molti paesi. Tuttavia, nonostante gli sforzi a livello locale e internazionale[39], la diffusione delle MGF rimane alta. Un passaggio importante è costituito da una nuova Dichiarazione, nel 2008, (Eliminating Female Genital MutilationAn Interagency Statement) nata dall’esigenza di ottenere maggiori finanziamenti, unitamente a quella di coordinare il lavoro delle altre Agenzie dell’ONU che nel tempo si sono aggiunte a quelle del nucleo iniziale per collaborare nella lotta al fenomeno.

La nuova Dichiarazione è sottoscritta, oltre che da WHO,UNICEF e UNFPA, da UNAIDS, UNDP, UNECA, UNESCO, UNIFEM, UNHCHR, UNHCR. Essa contiene un’ampia disamina dei dati disponibili e, sulla base delle esperienze accumulate, fornisce indicazioni sugli elementi necessari per l’ottenimento del completo abbandono delle pratiche di MGF e la presa in carico delle vittime.

Nel 2007 l’UNFPA e l’UNICEF hanno dato vita ad un Programma congiunto con un approccio sub-regionale che, basandosi su iniziative che avevano già dimostrato il loro successo, promuove un’azione coordinata tra i paesi con caratteristiche simili. Nel 2008 il Programma coinvolgeva otto paesi, diventati dodici nel 2009[40]. A questi se ne sono aggiunti altri cinque (“altri paesi prioritari”) che portano il totale dei paesi seguiti in Africa a 17. Il Programma congiunto si propone di accelerare l’abbandono delle pratiche di mutilazione genitale femminile - con la riduzione del 40% sulle bambine al di sotto dei 15 anni - nei paesi nei quali esso opera e con l’obiettivo dell’abbandono totale in almeno uno di essi entro il 2012.

L’impegno internazionale unitamente all’impegno delle singole realtà locali ha fatto sì che oggi in 19 dei paesi africani più afflitti dalla pratica, le mutilazioni siano fuorilegge (tra di essi anche Burkina Faso, Togo, Senegal e Uganda). Un risultato dovuto anche all’entrata in vigore nel 2005 del Protocollo dell’Unione africana sui Diritti delle Donne in Africa, che all’Articolo 5 prescrive l’adozione di legislazioni nazionali contro le MGF[41].

L'eliminazione delle mutilazioni genitali femminili è riconducibile anche a numerose Convenzioni internazionali o regionali tra le quali si ricordano:

·         Convenzione contro la tortura e altre pratiche o punizioni inumane, crudeli e degradanti (1984);

·         Convenzione sui diritti civili e politici (1966);

·         Convenzione sui diritti economici, sociali e culturali (1966);

·         Convenzione sull'eliminazione delle discriminazioni nei confronti delle donne (CEDAW) (1979) (Che obbliga gli Stati firmatari a prendere le misure idonee, inclusa nuova legislazione, per modificare o abolire le leggi esistenti, i regolamenti e i costumi e le pratiche che costituiscono una discriminazione contro le donne);

·         Convenzione sui diritti dell'infanzia (1989) (Essa protegge i diritti della bambina all'eguaglianza di genere e stabilisce che gli stati debbano adottare ogni misura efficace atta ad abolire le pratiche tradizionali pregiudizievoli per la salute dei minori);

·         Convenzione sullo status dei rifugiati e i relativi protocolli (1951).

Convenzioni in ambito regionale:

·         la Carta africana sui diritti umani e dei popoli (1981),

·         Protocollo alla Carta africana sui diritti umani e dei popoli, relativo ai diritti della donna in Africa (2003);

·         la Carta africana sui diritti e il benessere dei bambini (1990) (che impone ai paesi che la ratificano di prendere tutte le misure appropriate per abolire le pratiche consuetudinarie dannose per il benessere, la crescita normale e lo sviluppo dei bambini e delle bambine, in particolare i costumi e le pratiche pregiudizievoli per la salute e discriminatori sulla base del sesso o di altro status);

·         la Convenzione europea sui diritti dell'uomo e le libertà fondamentali (1950).

·         I documenti internazionali di rilievo sono numerosi, tra di essi si possono segnalare:

·         il Programma di azione approvato alla quarta Conferenza sulle donne a Pechino (1995) (che dispone di rafforzare le leggi, riformare le istituzioni e promuovere norme e pratiche che eliminano la discriminazione contro le donne ed incoraggiano donne e uomini ad assumersi la responsabilità del loro comportamento sessuale e nella procreazione; assicurare il pieno rispetto per l'integrità fisica del corpo umano; eliminare la discriminazione nei confronti delle bambine nei settori della salute e della nutrizione, prendere tutte le misure appropriate per abolire le pratiche tradizionali pregiudiziali alla salute) ;

·         la dichiarazione dell'Assemblea generale delle Nazioni unite sull'eliminazione della violenza contro le donne (1993);

·         il Programma di azione della Conferenza internazionale sulla Popolazione e lo Sviluppo  (ICPD) (1994) (Essa richiede ai governi di abolire le Mgf dove esistano e di sostenere le ONG e le istituzioni che lottano per eliminare tali pratiche);

·         la dichiarazione della Commissione sulla condizione femminile del Consiglio economico e sociale delle Nazioni unite relativa all'abolizione della pratica delle mutilazioni genitali femminili (E/CN.6/2007/L.3/Rev.1)

·         la Risoluzione dell'Assemblea generale delle Nazioni unite A/Res/52/99 sulle pratiche tradizionali o consuetudinarie che riguardano la salute della donna.

 

 

Si ricorda che la Commissione sullo Status delle Donne (CSW) il 12 marzo 2010 ha adottato la risoluzione 54/7 per porre fine alle mutilazioni genitali femminile, che esprimeva soddisfazione per la nomina dello Speciale Rappresentante sulla violenza contro i bambini e sottolineava che l’empowerment delle donne e delle bambine è la chiave per ottenere il rispetto dei diritti umani. Tra l’altro, la risoluzione chiede agli Stati di attivare ragazzi e ragazze per la creazione di programmi per la prevenzione e l’eliminazione delle pratiche di MGF e di prendere le misure necessarie – anche legislative - per metterle al bando. La risoluzione, inoltre, chiede che gli Stati prevedano un insieme di misure punitive ed educative per promuovere il consenso intorno alla politica di abbandono di tali pratiche, nonché speciali misure per le donne rifugiate e migranti.

La International Campaign to Ban Female Genital Mutilation Worldwide  (costituita prevalentemente da parlamentari e attivisti dei diritti umani aderenti al Comitato inter-africanosulle pratiche tradizionali che incidono sulla salute di donne e bambini-CIAF, alla rete EURONET, all'Associazione La Palabre e all’associazione dei radicali italiani Non C’è Pace Senza Giustizia) si propone di promuovere  l'adozione di una Risoluzione di messa al bando universale delle mutilazioni genitali femminili da parte della 65a Assemblea Generale delle Nazioni Unite. La Campagna si basa sulla convinzione che una risoluzione dell’Assemblea generale costituirebbe un momento cruciale per la lotta alle MGF poiché la gravità e le dimensioni del fenomeno richiedono l’impegno dell’intera comunità internazionale all’adozione di tutte le misure necessarie ad estirparlo. Una risoluzione dell’ONU contenente un esplicito divieto, secondo i promotori, aiuterebbe a completare il mutamento di prospettiva: da problema di ordine sanitario o culturale, le MGF assumerebbero chiaramente, una volta per tutte, il rango di violazioni dei diritti umani e la forma indiscussa di violenza contro le donne.

Il ruolo dell’Italia

La necessità di approvare tale risoluzione è sostenuta anche dal Governo italiano che si è fatto carico di ricercare il necessario consenso di tutti i paesi africani ai fini della sua presentazione presso le Nazioni Unite (v. più avanti, l’intervento presso la Commissione Affari esteri del Senato del Sottosegretario agli Affari esteri, Vincenzo Scotti), lavorando a stretto contatto con l’associazione Non C’è Pace Senza Giustizia.

L’Italia ha inoltre aderito alla Campagna End Fgm, promossa da Amnesty International Ireland e da una decina di Ong europee fra le quali AIDOS (Associazione Italiana Donne per lo Sviluppo), che ha già raccolto quasi 30mila firme. La Campagna ha lo scopo di ottenere l’adozione da parte dell’Unione europea di una Strategia definitiva per porre fine alle pratiche di MGF e che preveda forme di assistenza alle donne che fuggono dai loro paesi per sfuggire a tali pratiche.

 

Ogni anno, il 6 febbraio si celebra la Giornata internazionale della tolleranza zero contro le mutilazione genitali femminili. In occasione della celebrazione della Giornata 2011 l'associazione radicale Non c’è pace senza giustizia, ha deciso di lanciare una campagna di comunicazione dal titolo "Decidi tu che segno lasciare", per sensibilizzare le comunità di migranti che soggiornano in Italia.

L’attività legislativa e parlamentare

Il tema delle mutilazioni genitali femminili è stato affrontato nella legislatura in corso da entrambi i rami del Parlamento, innanzitutto a partire dall’esame del ddl di conversione del decreto-legge 6 luglio 2010, n. 102, recante proroga degli interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace, di stabilizzazione e delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia. Il decreto, convertito con modificazioni dalla legge 3 agosto 2010, n. 126, reca all’articolo 2, comma 6 una disposizione che prevede una spesa aggiuntiva di “euro 778.500 per favorire iniziative dirette ad eliminare le mutilazioni genitali femminili, anche in vista dell'adozione di una risoluzione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite”.

Inoltre, il 21 luglio 2010, in sede di discussione presso la Camera dei deputati del decreto-legge citato, il governo ha accettato l’ordine del giorno Pianetta ed altri 9/3610-A/1 che impegna il Governo “ad assumere ogni iniziativa utile ai fini della presentazione ed approvazione presso la prossima Assemblea generale dell'ONU di una risoluzione per la messa al bando delle mutilazioni genitali femminili”.

Il 23 settembre 2010 il Senato ha approvato la mozione 1-00289 che impegna il Governo ad adoperarsi affinché l'Assemblea delle Nazioni Unite adotti una risoluzione per la messa al bando a livello globale delle mutilazioni genitali femminili. La mozione, a prima firma Bonino, è stata sottoscritta da senatori di tutte le forze politiche.

Nella seduta del 27 ottobre 2010 presso la Commissione Affari esteri del Senato, il sottosegretario Scotti ha reso comunicazioni circa l’attuazione della citata mozione 1-00289, sulla quale il governo aveva espresso parere favorevole. Il sottosegretario ha ricordato l’azione del governo italiano per promuovere l'adozione di una specifica risoluzione dell'Assemblea ONU ricordando che essa è ispirata al principio secondo il quale sono proprio i Paesi afflitti dal fenomeno – e in particolare l’Africa - a dover essere i principali promotori dell'iniziativa di bando.

Il Governo italiano si sta adoperando dunque per far maturare un consenso tra tali paesi, adottando un approccio graduale di cui ha dato conto (a partire dalla riunione presieduta dal Ministro degli affari esteri nel settembre 2009 a margine dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite, da cui è scaturita la creazione di un gruppo di lavoro informale, fino ai contatti avviati con i Paesi africani e in particolar modo con l'Egitto). L’intendimento del governo italiano è di presentare la risoluzione direttamente in Assemblea Generale (dove dovrebbe essere adottata per consenso), senza passare attraverso il previo esame della Terza Commissione, l’organo preposto alla trattazione dei diritti umani.

 

 

 

 


 

La gender equality strategy 2008-2011 del Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (UNDP)

 

La Gender Equality Strategy (GES) 2008-2011 rappresenta l’impegno e lo sforzo dell’UNDP per promuovere la parità di genere e l’empowerment delle donne. La GES si affianca al Piano Strategico dell’UNDP 2008-2011 di cui costituisce il completamento attraverso una migliore definizione di quanto il raggiungimento degli obiettivi riguardanti l’eguaglianza tra i generi rafforzi anche il raggiungimento dello sviluppo in tutte le sue aree.

Compito della GES è infatti quello di integrare l’uguaglianza di genere e l’empowerment delle donne nelle quattro principali aree sulle quali si focalizza il lavoro dell’UNDP: riduzione della povertà, governance democratica, prevenzione e uscita dalle crisi, ambiente e sviluppo sostenibile. Ciascuna area è strettamente collegata alle altre, ragione per la quale esse debbono essere affrontate in maniera integrata, tenendo conto anche della prospettiva di genere.

Un esempio su tutti che dimostra l’interdipendenza delle aree e il potenziale sinergico nella loro trattazione, riguarda la violenza su base sessista: nonostante stia divenendo sempre più comune identificare la violenza sessista come una violazione dei diritti umani che deve essere considerata come una delle priorità della governance democratica, non è ancora sufficiente la comprensione del fatto che la violenza, anche quella sessista, ha un impatto sull’economia delle famiglie, della comunità, quando non anche della nazione. Non si può pertanto parlare di progresso reale verso l’uguaglianza, lo sviluppo e la pace finché continueranno le violenze a danno di donne e bambine.

La GES 2008-2011 nasce dall’esperienza ottenuta grazie al Gender Action Plan 2006-2007, che ha avuto la funzione di preparare il successivo e più ampio ciclo di interventi, la Strategia per l’uguaglianza di genere, appunto. La GES si articola in obiettivi e indicatori molto dettagliati in ciascuna delle quattro aree di intervento dell’UNDP, come poco sopra accennato.

 

Riduzione della povertà

L’UNDP identificherà e metterà in atto iniziative ad hoc al fine di garantire che lo sviluppo equo e generalizzato previsto nel Piano strategico, tenga debitamente in conto i bisogni e i contributi delle donne, specialmente di quelle più povere.

Nel far sì che la realizzazione degli Obiettivi del Millennio faccia parte integrante delle strategie nazionali di sviluppo, l’UNDP si preoccuperà di sostenere gli organi nazionali al fine di ottenere da parte loro l’inclusione della prospettiva di genere, con particolare attenzione a quattro aree: gli strumenti di macro-pianificazione atti ad integrare le analisi di genere e a specificare i risultati sull’uguaglianza tra i generi; il lavoro femminile non pagato; gli investimenti pubblici diretti alle tematiche di genere; l’analisi dei dati sensibili nell’ambito dei generi per decidere l’allocazione delle risorse.

L’UNDP si farà poi carico di verificare che le donne non siano escluse dai benefici del processo di globalizzazione e che siano compensate per l’impatto negativo di accordi commerciali. Parimenti, l’UNDP ha il compito di coordinare il sistema delle Nazioni Unite per quanto riguarda la lotta all’AIDS, nella direzione di ridurre gli effetti dell’epidemia sullo sviluppo umano con particolare attenzione all’impatto sulle donne e le bambine, molto più colpite dal virus HIV – soprattutto nell’Africa sub sahariana – rispetto ai coetanei maschi.

 

Governance democratica

Le attività dell’UNDP volte a garantire istituzioni di governance democratica più solide (sia a livello centrale che locale) saranno principalmente dirette a sostenere la creazione di processi partecipativi realmente equi e di servizi pubblici sensibili alle problematiche di genere, legati alla realizzazione degli Obiettivi di sviluppo del Millennio. L’UNDP si impegna a diffondere il concetto in base al quale le strutture della governance che non prevedano la partecipazione equa di  entrambi i sessi o un equo godimento dei benefici derivanti da interventi dello Stato, sono strutture non democratiche e non inclusive.

La democrazia integrata implica infatti la partecipazione di tutti gli attori sociali, incluse le donne, nel dialogo e nel processo decisionale pubblico. Il principale obiettivo dell’UNDP è quello di accrescere la presenza delle donne in tutti i meccanismi dello Stato, a qualsiasi livello e, allo stesso tempo, di contribuire a migliorare le competenze del personale pubblico, sia maschile che femminile, nella direzione di affrontate il proprio lavoro avendo presente la prospettiva di genere. Le iniziative più rilevanti saranno assunte in collaborazione con alcuni partner quali l’UNIFEM, per elaborare gli strumenti e gli interventi che garantiscano che le riforme riguardanti parlamenti, servizi pubblici, sistemi giudiziari o decentramento  mettano in grado i funzionari dei governi di comprendere e di superare gli ostacoli alla piena partecipazione delle donne alla governance.

L’UNDP sosterrà l’espansione delle capacità nazionali per conformarsi alle dimensioni di uguaglianza tra i sessi disegnate nei numerosi trattati e convenzioni internazionali; continuerà inoltre ad assistere i paesi che chiedono di ratificare la Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti delle donne, che desiderino sottomettere dei rapporti  o adeguare le proprie normative a tale Convenzione.

 

Prevenzione delle crisi e gestione della fase di recupero

 L’UNDP ritiene che la prevenzione delle crisi e l’uscita dalla fase di emergenza nelle aree di disastro e conflitto richieda non solo il coinvolgimento delle donne, ma anche l’attenzione alle loro specifiche preoccupazioni e un impegno che tenga conto delle tematiche riguardanti la parità di genere.

Tale dimensione è approfondita nella strategia del Bureau for Crisis Prevention and Recovery e si articola in otto punti:

1.      Rafforzamento della sicurezza delle donne nelle situazioni di crisi.

Far cessare la violenza personale e istituzionale contro le donne. Rafforzare lo stato di diritto. Rendere più consapevoli delle questioni riguardanti il genere le organizzazioni di sicurezza, le operazioni di disarmo, di smobilitazione e di reintegrazione e le iniziative di riduzione del numero delle armi leggere.

2.      Promuovere la giustizia per le donne.

Incrementare la possibilità di accesso delle donne alla giustizia. Assicurare la tutela dei diritti economici, sociali, politici e culturali delle donne.

3.      Sviluppare il senso della cittadinanza, della partecipazione e il ruolo dirigenziale delle donne.

4.      Costruire la pace con e per le donne.

Garantire una reale partecipazione delle donne ai processi di pace, ufficiali e non. Introdurre la prospettiva di genere nel disegno e nell’attuazione degli accordi e nelle missioni di pace.

5.      Promuovere l’uguaglianza dei sessi nella prevenzione delle catastrofi.

6.      Garantire la fase di post-conflitto o post-catastrofe tenendo conto della prospettiva di genere

Inserire analisi di genere in tutti gli strumenti di pianificazione post-conflitto o post-catastrofe. Promuovere la tutela sociale e dare priorità ai settori più importanti per le donne: trasporti, accesso al credito e alla terra, salute.

7.      Promuovere la trasformazione dei governi nella direzione di incoraggiare le politiche in favore delle donne.

8.      Sviluppare le capacità per un cambiamento sociale.

 

Ambiente e Sviluppo sostenibile

L’obiettivo principale dell’inserimento della prospettiva di genere nei settori dell’ambiente e dell’energia è di assicurare l’uguaglianza di genere nella pianificazione di sistemi a qualsiasi livello e di allargare sia l’accesso delle donne ai meccanismi di finanziamento, sia l’orientamento dei finanziamenti verso i settori di cui le donne possono maggiormente usufruire.

 

 


The Global Gender GAP Report 2010 del Forum economico mondiale

Il Global Gender Gap Report, prodotto annualmente dal World Economic Forum che ha sede a Ginevra, fornisce un quadro di riferimento per la comprensione dell’ordine di grandezza delle disparità di genere nel mondo e costituisce un importante strumento per la loro valutazione. Il Rapporto si basa sul Global Gender Gap Index ideato nel 2006 con lo specifico proposito di fornire dati – raccolti secondo standard molto precisi ed articolati, e raffrontabili negli anni - sui gap tra uomini e donne nei 4 settori fondamentali: economico, politico, dell’istruzione e della salute.

Nel settore economico vengono valutati la composizione della forza lavoro, i gap retributivi e le differenze nelle carriere  (percentuali di donne rispetto agli uomini che occupano posti di legislatori, alti funzionari, manager, tecnici e professionisti).

La costruzione dell’Indice nel settore dell’istruzione tiene conto del numero di donne – confrontato con quello relativo agli uomini - alfabetizzate, iscritte a scuole di istruzione primaria, secondaria e terziaria.

Nel settore della salute viene innanzitutto calcolata la percentuale dei nuovi nati in base al sesso, per tenere conto del fenomeno delle “donne mancate” presente in molti paesi nei quali la nascita di figlie femmine è considerata una disgrazia. Inoltre viene misurata la differente aspettativa di vita nei due sessi.

Quanto al settore della politica, viene calcolata la percentuale di donne (rispetto agli uomini) che ricoprono la carica di ministro o di parlamentare, nonché di primo ministro o di capo dello stato negli ultimi 50 anni. Non sono disponibili dati circa le cariche nelle amministrazioni locali.

Il Global Gender Gap Report 2010 è stato redatto grazie alla collaborazione tra il World Economic Forum, l’Università di Berkley e l’Università di Harvard, e riporta i dati degli ultimi cinque anni per mostrare i progressi nei paesi monitorati in modo chiaro e trasparente. Analizza dati riguardanti 134 Paesi, che rappresentano oltre il 90% della popolazione mondiale.

Secondo il Global Gender Gap Index, i paesi nei quali si realizza maggiormente la parità tra i sessi nei settori indicati sono Islanda, Norvegia, Finlandia, Svezia e Nuova Zelanda; agli ultimi posti Mali, Pakistan, Ciad e Yemen. L’Italia si colloca al 74° posto.

Il Rapporto mostra che, complessivamente, nei paesi presi in considerazione il gap tra donne e uomini è stato coperto per circa il 96% nell’ambito della salute e per il 93% in quello dell’istruzione. Rimane alto il gap riguardante la partecipazione economica (coperto solo per il 59%) e molto alto quello riguardante la parità nella partecipazione politica (un percorso realizzato solo per il 18%).

Nei raggruppamenti in base al reddito, il Rapporto mostra che tra i paesi ad alto reddito le performance di parità migliori si registrano nella regione nordeuropea (Islanda, Norvegia, Finlandia e Svezia si collocano ai primi posti in assoluto, come ricordato); in quelli a reddito medio-alto, Sudafrica, Cuba e Namibia si classificano ai primi posti; nei paesi a reddito medio, Lesotho e Filippine sono in testa, mentre in quelli a basso reddito i paesi più virtuosi sono Mozambico e Uganda.

Nel 2010, 22 paesi hanno azzerato le differenze tra i sessi riguardo i livelli di istruzione: tra di essi si trovano paesi europei come la Francia e il Regno Unito, oltre agli Stati Uniti; l’Italia si classifica al 49° posto. Nell’ambito della salute, invece, sono 36 i paesi ad avere chiuso il gap tra i sessi; l’Italia si trova al 95° posto.

Se si analizzano i dati su base macroregionale, la regione nordamericana è quella nella quale si realizzano i migliori risultati in tutti e quattro i settori presi in considerazione: i soli Stati Uniti sono balzati dal 31° posto nel 2009 al 19° nel solo volgere di un anno.

Al contrario, la macroregione nella quale si verificano i peggiori risultati è quella che comprende il Medio oriente e il Nordafrica. A parte Israele, che si classifica al 52° posto (ma perde sette posizioni rispetto al 2009 a causa di lievi peggioramenti in tutti e quattro i settori) tutti gli altri paesi dell’area si collocano oltre il centesimo posto: Oman, Siria, Egitto, Marocco, Arabia Saudita e Yemen occupano la parte inferiore della classifica regionale.

Secondo il Rapporto, nell’ambito dei paesi europei l’Italia continua a posizionarsi nella parte più bassa della classifica (34a su 43 paesi) con un lieve peggioramento nel corso dell’ultimo anno. Come accennato, si trova al 74° posto su 134 paesi analizzati mentre nel 2009 occupava il 72° posto e nel 2008 il 67°. Dato un indice che va da un massimo di 1.00 (perfetta uguaglianza) ad un minimo di 0.00 (diseguaglianza totale), l’indice italiano è dello 0.677. La performance peggiore è nel campo dell’empowerment politico (il punteggio è pari a 0.152) ma, data la generale diffusa situazione di diseguaglianza in questo ambito, l’Italia si classifica al 54° posto. Al contrario, riguardo la salute, pur totalizzando un punteggio piuttosto alto (0.970), a causa delle migliori performance di molti altri paesi, l’Italia si colloca solo al 95° posto.

Infine, il Rapporto mette in luce il legame con le prestazioni economiche dei paesi. Posto che il fattore determinante della competitività di un paese risiede nel talento umano (capacità, istruzione e produttività della forza lavoro), va tenuto conto del fatto che le donne rappresentano la metà di quel potenziale e che ridurre il gap tra i sessi non risponde solamente all’esigenza di tutelare i diritti umani delle donne o di garantire l’equità, ma anche a quella di aumentare l’efficienza. Il raffronto tra il Global Gender Gap Index 2010 con il Global Competitiveness Index 2010-2011 da un lato e con i dati della Banca Mondiale relativi al PIL procapite dall’altro, confermano la stretta relazione esistente  tra l’uguaglianza di genere, il livello di competitività e il prodotto interno lordo. Così come altre analisi comprovano l’esistenza di uno stretto legame tra uguaglianza di genere e indice di sviluppo umano.

Sebbene il Rapporto affermi che tali correlazioni non siano prova di causalità, esse sono coerenti con la teoria e con la prova sempre più evidente del fatto che l’accrescimento del potere delle donne determina un più efficiente uso del talento umano di una nazione e, di conseguenza, la riduzione dell’ineguaglianza di genere ha per effetto un aumento della produttività e della crescita economica.


Il nuovo organismo delle Nazioni Unite per la paritá di genere: UN Women

 

Il 14 settembre 2009, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato una risoluzione sulla cosiddetta “coerenza del sistema”, dichiarando unanimemente la volontà di istituire una nuova entità delle Nazioni Unite per l’uguaglianza di genere e l’empowerment femminile.

Il 2 luglio 2010 lo stesso consesso ha votato all’unanimità la creazione di un nuovo organismo per l’uguaglianza di genere, denominato UN Entity for Gender Equality and the Empowerment of Women o, in breve, UN Women che sorge dalla fusione di quattro uffici e agenzie: UNIFEM (UN Development Fund for Women); DAW (Division for the Advancement of Women); l’Ufficio dello Special Adviser on Gender Issues; UN-INSTRAW (International Research and Training Institute for the Advancement of Women).

L’istituzione di UN Women è il risultato di anni di negoziati tra i paesi membri dell’ONU e le istanze del movimento femminile globale; è parte del processo di riforma dell’ONU, poiché riunisce risorse e competenze per un più forte impatto.

Le principali funzioni di UN Women sono:

·         sostenere gli organismi intergovernativi come la CSW (Commission on the Status of Women) nell’attività di formulazione di nuove politiche, standard globali e norme;

·         assistere gli Stati membri nell’implementazione di tali standard fornendo sostegno tecnico e finanziario ai paesi che ne facciano richiesta e creando una solida collaborazione con la società civile;

·         responsabilizzare l’intero sistema delle Nazioni Unite riguardo i propri impegni sull’uguaglianza di genere, compreso il monitoraggio dei progressi.

Il nuovo organismo è operativo dal mese di gennaio (la prima sessione ordinaria del Consiglio di amministrazione si è svolta dal 24 al 26 gennaio 2011). Il budget previsto è di circa 500 milioni di dollari, il doppio della somma delle risorse destinate alle quattro agenzie da cui nasce.

 La nuova Agenzia, che ha sede a New York, è diretta dall’ex presidente cilena, Michelle Bachelet, che assume la qualifica di Direttore Esecutivo nonché Vice Segretario Generale delle Nazioni Unite. Il 10 novembre 2010 il Consiglio Economico e Sociale ha eletto il Comitato esecutivo dell’Agenzia, i cui membri resteranno in carica per tutto il 2011.

Il Comitato esecutivo si compone come segue:

Africa: Angola, Capo Verde, Congo, Costa d’Avorio, Repubblica Democratica del Congo, Etiopia, Lesotho, Libia, Nigeria e Tanzania.

Asia: Bangladesh, Cina, India, Indonesia, Giappone, Kazakhstan, Malaysia, Pakistan, Repubblica di Corea e Timor Est.

Europa orientale: Estonia, Ungheria, Federazione Russa e Ucraina.

America latina e Caraibi: Argentina, Brasile, Repubblica Dominicana, El Salvador, Granada e Perù.

Europa occidentale: Danimarca, Francia, Italia (il rappresentante italiano è il dott. Clemente Contestabile, Primo Segretario della Rappresentanza Permanente a N. Y.), Lussemburgo e Svezia.

Paesi donatori: Messico, Norvegia, Arabia Saudita, Spagna, Regno Unito e Stati Uniti.

Le aree di intervento nelle quali UN Women concentrerà i propri sforzi sono di fondamentale importanza per l’uguaglianza delle donne:

-     la violenza contro le donne,

che rimane ancora molto diffusa e tocca tutti i paesi del mondo. Per combatterla servono leggi severe, accompagnate dall’implementazione e da servizi per la tutela e la prevenzione;

-     pace e sicurezza

E’ ormai riconosciuto che le donne portano il peso maggiore dei conflitti, anche considerando il fatto che spesso sono vittime di  stupro, considerato arma di guerra. Devono essere identificate le minacce specifiche contro le donne, che devono diventare protagoniste dei colloqui di pace e della ricostruzione post-conflitto;

-     leadership e partecipazione

Le donne hanno spazi ancora troppo limitati nei luoghi nei quali si prendono le decisioni che le riguardano, si tratti di organismi politici come di consigli di amministrazione di aziende. Le quote e altre misure speciali vanno prese in considerazione, secondo UN Women, perché aprono maggiori spazi alla partecipazione femminile, così come nuove competenze possono aiutare le donne a realizzare tutto il loro potenziale direttivo;

-     empowerment economico

Rispetto agli uomini, le donne hanno molte meno possibilità di accedere alla terra, al credito, a buoni posti di lavoro (la popolazione povera è costituita per il  70 per cento da donne), anche se un sempre maggiore numero di ricerche sta dimostrando che aumentare le opportunità economiche per le donne significa accrescere le economie delle singole nazioni. UN Women afferma che è necessario eliminare le troppe barriere che tuttora impediscono alle donne di afferrare le opportunità economiche; UN Women aiuta le donne a creare nuove condizioni che coprono tutto lo spettro economico: da quelle che possono  consentire una maggiore partecipazione delle donne ai processi di policy-making, a quelle che servono per offrire loro la capacità di procurarsi gli strumenti pratici per assicurarsi un livello di vita sostenibile;

-     pianificazione e bilanci nazionali

La formazione di bilanci nazionali che sia sensibili alla prospettiva di genere non significa creare bilanci separati per le donne e nemmeno semplicemente aumentare i fondi destinati ai programmi per le donne. Significa piuttosto cercare di assicurare che il prelievo e la allocazione di pubbliche risorse siano condotti in modo tale da contribuire efficacemente all’avanzamento dell’uguaglianza di genere e all’empowerment femminile. Un bilancio improntato all’uguaglianza di genere dovrebbe essere basato su accurate analisi per identificare i necessari interventi per l’implementazione delle politiche e delle norme che possono determinare un avanzamento nell’ambito dei diritti delle donne; in più di 40 paesi UN Women sostiene iniziative sia locali che nazionali per l’integrazione della prospettiva di genere nei processi di formazione dei bilanci;

-     diritti umani

UN Women pone la realizzazione dei diritti umani delle donne al centro del suo lavoro in tutte le aree tematiche. La Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (CEDAW) stabilisce standard internazionali riguardanti i diritti umani delle donne che gli Stati parte hanno l’obbligo di far applicare attraverso l’adozione di politiche  o di norme di legge;

-     Obiettivi di sviluppo del Millennio

UN Women è una delle tante agenzie delle Nazioni Unite con il compito di assistere i paesi impegnati nella realizzazione degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio. In particolare, l’Obiettivo n. 3 riguarda specificamente l’uguaglianza di genere, ma il suo raggiungimento è necessario ai fini della realizzazione degli altri obiettivi, dalla lotta alla diffusione dell’AIDS al contrasto degli effetti dei cambiamenti climatici.

Nel Rapporto elaborato in vista della 55^ sessione della CSW il Direttore Esecutivo Bachelet indica i seguenti 4 obiettivi di breve periodo, indispensabili al fine di rendere la UN Women operativa il prima possibile:

1.      strutturare una nuova organizzazione che abbia una specifica identità e mandato, in grado di intervenire sul campo laddove sussistono richieste di aiuto immediato da parte degli Stati membri;

 

2.      avviare una consultazione permanente con le varie Agenzie specializzate delle Nazioni Unite al fine di creare un meccanismo efficace di collaborazione e di interazione fra Stati membri e sistema ONU nell’implementazione degli obiettivi di uguaglianza di genere condivisi a livello internazionale;

3.      coinvolgere i vari stakeholders che hanno promosso e sostenuto la creazione di UN Women, includendo le istituzioni nazionali di parità e i gruppi di pressione femminili nonchè le reti di donne in tutti i paesi del mondo, che rivestono un ruolo cruciale nell’individuare le priorità strategiche d’azione future della UN Women;

4.      ottenere, il più rapidamente possibile, un solido livello di risorse che possa garantire la concreta realizzazione degli impegni concordati nell’ambito del mandato dell’Agenzia, creando un partnership innovativa con gli Stati membri che consenta un reale cambiamento nella vita di donne e fanciulle.

 

 

 


L’evento dell’Unione interparlamentare sul ruolo dei Parlamenti nel promuovere l’accesso e la partecipazione delle donne e delle ragazze all’istruzione, alla formazione, alla scienza ed alla tecnologia
(New York, 23 febbraio 2011)
(a cura del Servizio Rapporti internazionali)





 



[1]    Bejing Platform of Action

*    La proposta di organizzazione di lavoro saràemanata come doc. E/CN.6/2010/1/Add.1.

[2]    L’elenco dei membri della Commissione nella sua cinquantaquattresima sessione è riportato in allegato al presente documento.

[3]    Si ricorda che l’Italia fa parte del Consiglio dell’ECOSOC dal 2010 e che la sua partecipazione terminerà alla scadenza dei tre anni di mandato, ovvero il 31 dicembre 2012. Il Consiglio ECOSOC è composta da 54 membri governativi, eletti dalla Assemblea Generale. I seggi vengono assegnati sulla base della consueta allocazione di quote numeriche per criterio di appartenenza ad area geografica (Africa, Europa, ecc.).

[4]    Risoluzioni dell’Assemblea Generale S-23/2 e S-23/3 del 16 novembre 2000.

[5]     La legge costituzionale 30 maggio 2003, n. 1 ha aggiunto un periodo al primo comma dell'art. 51, che così recita: “Tutti i cittadini dell'uno o dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini”.

[6]     L. Cost. 18 ottobre 2001, n. 3, Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione.

[7]     D.Lgs. 11 aprile 2006, n. 198, Codice delle pari opportunità tra uomo e donna, a norma dell'articolo 6 della L. 28 novembre 2005, n. 246.

[8]     D.Lgs. 20 dicembre 1993, n. 533, Testo unico delle leggi recanti norme per l’elezione del Senato della Repubblica (art. 2).

[9]     L. 3 giugno 1999, n. 157, Nuove norme in materia di rimborso delle spese per consultazioni elettorali e referendarie e abrogazione delle disposizioni concernenti la contribuzione volontaria ai movimenti e partiti politici.

[10]   Legge 24 dicembre 2007, n. 244, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008).

[11]    L. Cost. 22 novembre 1999, n. 1, Disposizioni concernenti l'elezione diretta del Presidente della Giunta regionale e l'autonomia statutaria delle Regioni.

[12]   Si ricorda che le regioni a statuto ordinario, a seguito della riforma costituzionale operata con L. Cost. 1/1999, disciplinano con propria legge il sistema di elezione e i casi di ineleggibilità e incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della Giunta nonché dei consiglieri regionali, nei limiti dei principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica (art. 122 Cost.). Il sistema di elezione del Presidente della Giunta regionale e dei Consigli regionali continua ad essere disciplinato da un complesso di leggi statali – per le regioni che non hanno legiferato, ovvero per tutti gli aspetti non disciplinati da legge regionale, per le regioni che lo hanno fatto:

      - legge 17 febbraio 1968, n. 108, «Norme per l’elezione dei Consigli regionali delle regioni a statuto normale » (elezione del solo consiglio regionale con metodo interamente proporzionale), cui hanno fatto seguito:

- legge 23 febbraio 1995, n. 43, «Nuove norme per l’elezione dei Consigli delle regioni a statuto ordinario », (la cosiddetta “legge Tatarella”, che ha introdotto l’attuale sistema maggioritario quando Presidente e giunta erano eletti dal Consiglio regionale),

- l’articolo 5 (disposizioni transitorie) della legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1, «Disposizioni concernenti l’elezione diretta del Presidente della giunta regionale e l’autonomia statutaria delle regioni», che ha introdotto l’elezione diretta del Presidente della Giunta e la contestualità della elezione del consiglio regionale in costanza dei ‘vecchi’ statuti regionali,

- e, da ultimo, la L. 2 luglio 2004, n. 165, «Disposizioni di attuazione dell’articolo 122, primo comma, della costituzione», la legge-quadro che stabilisce i principi cui sottostà la potestà legislativa della regione in materia elettorale, stante la disposizione costituzionale che la sottopone ai «limiti dei principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica ».

[13]   In tutti e tre i casi, le leggi regionali dispongono che, in caso di inosservanza, i presentatori delle liste sono tenuti a versare alla Giunta regionale l’importo del rimborso per le spese elettorali di cui alla legge 157/1999, fino ad un massimo della metà, in misura direttamente proporzionale al numero di candidati eccedenti il numero massimo consentito.

[14]   Si ricorda che a legge costituzionale 31 gennaio 2001, n. 2 Disposizioni concernenti l'elezione diretta dei presidenti delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano, reca modifiche agli statuti speciali della regione Siciliana, della Valle d’Aosta, della Sardegna, del Friuli-Venezia Giulia  e del Trentino-Alto Adige. Analogamente a quanto fatto con la Legge costituzionale 1/1999 per le regioni a statuto ordinario, le modifiche apportate a ciascuno statuto attribuiscono alla regione e alle province autonome di Trento e di Bolzano la competenza legislativa sul proprio sistema di elezione dei consiglieri, del Presidente e degli altri componenti della Giunta, nonché la disciplina dei casi di ineleggibilità e incompatibilità. La legge elettorale regionale dovrà – tra l’altro – “promuovere condizioni di parità per l’accesso alle consultazioni elettorali”.

[15]   D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali.

[16]    D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche (art. 7, co. 1 e art. 57).

[17]   L. 15 luglio 2002, n. 145, Disposizioni per il riordino della dirigenza statale e per favorire lo scambio di esperienze e l’interazione tra pubblico e privato

[18]    G.U. 27 luglio 2007, n. 173.

[19]    L. 9 dicembre 1977, n. 903, Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro.

[20]    L. 10 aprile 1991, n. 125, Azioni positive per la realizzazione della parità uomo-donna nel lavoro, ora abrogata e confluita nel Codice delle pari opportunità.

[21]    Istituiti tra gli anni ‘80 e i primi anni ’90, sono stati ridisciplinati dal D.Lgs. 23 maggio 2000, n. 196, Disciplina dell’attività delle consigliere e dei consiglieri di parità e disposizioni in materia di azioni positive, a norma dell’articolo 47 della L. 17 maggio 1999, n. 144. Anche la legge 196 è confluita nel Codice delle pari opportunità.

[22]    Il D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151, Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’art. 15 della L. 8 marzo 2000, n. 53, successivamente modificato e integrato dal D.Lgs. 23 aprile 2003, n. 115.

[23]    World economic forum, The Global Gender Gap Report 2010, Ginevra 2010 (www.weforum.org/pdf/gendergap/report2010.pdf)

[24]   I dati sono tratti da uno studio dell’Osservatorio donne nella pubblica amministrazione, promosso da futuro@lfemminile e da Forum Pa sulla rilevazione sulla presenza femminile nei posti apicali politici ed amministrativi delle regioni e degli enti locali. I dati riportati nel testo sono aggiornati a settembre 2010 e disponibili al link http://donnepa.forumpa.it/.

[25]   I dati sono stati elaborati e diffusi nella Relazione al Parlamento sullo stato della Pubblica Amministrazione – Anno 2009, presentata dal Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione il 21 ottobre 2010 (Doc. XIII, n. 3-ter).

[26] I dati sono stati presentati dal Comitato pari opportunità del Consiglio Superiore della Magistratura in occasione del Convegno “Il diritto alle pari opportunità tra attuazione e negazione” del 22 maggio 2007.

[27]   Cfr. Rita Biancheri, “Mercato del lavoro famiglia e politiche sociali”, in “Lavoro e Diritto”, 2006.

[28]   I dati sono ricavati dalle tabelle reperibili nel sito internet del Ministero della pubblica istruzione: http://www.pubblica.istruzione.it/dg_studieprogrammazione/index_new.shtml.

[29]   Gli ultimi dati disponibili riguardano l’anno accademico 2007/2008 e sono tratti da Ministero dell’università e della ricerca – Sistema statistico nazionale, L’università in cifre 2008, settembre 2009.

[30] ISTAT, Rilevazione sulle forze di lavoro. III trimestre 2010, Roma 21 dicembre 2010 (http://www.istat.it/salastampa/comunicati/in_calendario/forzelav/20101221_00/testointegrale20101221.pdf)

[31]   OECD Employment Outlook 2010, pag. 276.

[32]   Ragioneria generale dello Stato, Conto annuale 2009.

[33]   Mentre precedentemente l’art. 519 c.p. prevedeva la detenzione da 3 a 10 anni, l’art. 520 da 1 a 5 anni e l’art. 521 le pene dei due articoli precedenti ridotte di un terzo, attualmente l’art. 609-bis prevede limiti edittali da 5 a 10 anni, salva la riduzione in misura non eccedente i due terzi nei casi di minore gravità.

[34]   Tale previsione è stata riformulata dalla legge n. 38 del 2006, introducendo il riferimento alla persona che abbia una relazione di convivenza con il minore.

[35]   In giurisprudenza si è affermato che, nel reato di cui all'art. 609-octies, ad integrare il concetto di gruppo sarebbero sufficienti due persone (cfr. Cass., Sez. III, 9 settembre 1996; Cass., Sez. III, 13 novembre 2003; Cass., Sez. I, 5 giugno 2001).

[36]   Tale diminuzione ricorre:

§       quando il colpevole è stato determinato a commettere il reato da chi esercita su di lui autorità, direzione o vigilanza;

§       quando, fuori del caso preveduto dall'articolo 111 (Determinazione al reato di persona non imputabile o non punibile), il colpevole è un minore di anni 18 o una persona in stato di infermità o di deficienza psichica determinato a commetere il reato da altri;

§       quando il colpevole è stato determinato a commettere il delitto dal genitore esercente la potestà.

[37] Con D.M. 17 dicembre 2007 sono state adottate le Linee guida destinate alle figure professionali che operano con le comunità di immigrati provenienti da Paesi dove sono effettuate le pratiche di mutilazione genitale femminile per realizzare una attività di prevenzione, assistenza e riabilitazione delle donne e delle bambine già sottoposte a tali pratiche.

[38]   Eliminating Female Genital Mutilation - An Interagency Statement.

[39]   Si ricorda, tra l’altro, l’assunzione dell’obiettivo globale per mettere fine alle pratiche di MGF fatto proprio dalla Sessione Speciale sull’Infanzia dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (2002).

[40]   Egitto, Sudan, Etiopia, Somalia, Uganda, Kenya, Gibuti, Senegal, Gambia, Guinea-Bissau, Guinea, Burkina Faso.

[41]   Protocol to the African Charter on Human and Peoples’ Rights on the Rights of Women in Africa, adottato l’11 luglio 2003 dall’Assemblea dell’Unione Africana ed entrato in vigour il 25 novembre 2005.