Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione
(Versione per stampa)
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Autore: | Servizio Biblioteca - Ufficio Legislazione straniera | ||||
Titolo: | RASSEGNA PARLAMENTARE COMPARATA DI POLITICA INTERNAZIONALE E DI SICUREZZA 2/2009. L'attività parlamentare in Francia, Germania, Regno Unito, Spagna e Stati Uniti in materia di politica estera, difesa e sicurezza | ||||
Serie: | Rassegna parlamentare comparata di politica internazionale e sicurezza Numero: 2 | ||||
Data: | 16/02/2009 | ||||
Descrittori: |
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Organi della Camera: |
III-Affari esteri e comunitari
IV-Difesa |
L’attività parlamentare in Francia, Germania, Regno Unito, Spagna e Stati Uniti
in materia di politica estera, difesa e sicurezza
(a cura dell’Ufficio Legislazione Straniera)
Anno III, n. 2 16 Febbraio 2009 |
Francia
Il 4 febbraio 2009 presso
Il senatore ha, in primo luogo, fatto un bilancio della situazione attuale, ponendo in luce i progressi registrati in materia di diritti economici con una regressione dell’analfabetismo, della fame e delle pandemie. In materia di diritti civili e politici il continente europeo costituisce incontestabilmente la regione in cui sono maggiormente tutelati, grazie anche al ruolo svolto dal Consiglio d’Europa e dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, in particolare per ciò che riguarda l’abolizione della pena di morte, la repressione del traffico di esseri umani, la protezione dei minori dagli abusi sessuali e la condanna dell’uso della tortura.
Badinter ha però posto in evidenza che, parallelamente a questi progressi, sono state registrate delle situazioni critiche come lo stato delle carceri nei paesi dell’antica sfera sovietica o la regressione dei diritti dell’individuo che ha accompagnato la lotta al terrorismo dopo l’11 settembre 2001, degradando l’immagine delle democrazie liberali nei paesi non occidentali e favorendo in essi la convinzione che la difesa dei diritti umani è promossa fin dove non sia minacciata la sicurezza nazionale. Tale convinzione ha minato il principio del carattere universale dei Diritti dell’uomo anche presso le organizzazioni internazionali come l’ONU. In riferimento alla lotta al terrorismo, il senatore ha sottolineato come il Parlamento europeo abbia riaffermato come questa non deve disconoscere i diritti fondamentali e ha ricordato che l’Unione europea ha sempre assunto una posizione di ferma difesa di tali diritti a livello internazionale.
A giudizio del relatore risulta inquietante e grave il fatto di aver rimesso in questione, nelle istanze internazionali, il carattere universale dei diritti dell’uomo contestato in nome della sovranità nazionale. Questa posizione, assunta da paesi, quali la Cina, il Venezuela, la Libia o Cuba che privilegiano il rispetto del principio della non ingerenza nei loro affari interni, è da ritenere contraria all’evoluzione del diritto internazionale in materia che si fonda sulla cooperazione. Problemi analoghi sono posti dalla concezione religiosa della società, propria dei paesi islamici ed, in particolare dell’Organizzazione della Conferenza islamica (OCI), i quali ritengono che i diritti umani debbano essere interpretati alla luce della legge religiosa. Le diverse posizioni sono all’origine della frattura riscontrata nelle organizzazioni internazionali con particolare riferimento al Consiglio per i diritti dell’uomo dell’ONU, la cui composizione privilegia i paesi islamici (17 rappresentanti) piuttosto che l’Unione europea (7 rappresentanti).
In base a queste considerazioni il senatore Badinter ha concluso facendo appello ad una vigilanza più serrata, da parte dell’Europa, nelle sedi internazionali ed affermando che il multiculturalismo applicato alla questione dei diritti dell’uomo non può che portare alla loro negazione. Inoltre ha sollecitato il Senato a partecipare con un suo rappresentante alla Conferenza di Durban che si svolgerà nel corso del 2009.
Stati Uniti
Il 12 febbraio 2009, presso
Il dibattito è stato introdotto dal presidente
della sottocommissione, Gary L.
Ackerman, il quale ha citato alcuni passaggi di un’audizione del
In effetti la situazione si presenta ancora più problematica, poiché si è ormai entrati in una spirale di cui non si intravede la fine e che ha reso impossibile la soluzione dei due Stati, Israele e Palestina. Tra i molti ostacoli, egli ha ricordato i diversi comportamenti e atti delle due parti del conflitto (sebbene non equivalenti sul piano morale), che hanno innescato una “dinamica distruttiva”.
I termini di un accordo
di pace sono in realtà gli stessi almeno dalla fine dell’amministrazione
Clinton. Il problema è costituito dal fatto che Hamas non accetta le condizioni
del Quartetto, vale a dire il riconoscimento di Israele, il ripudio della
violenza e l’accettazione dell’accordo tra Autorità palestinese (AP) e Israele.
La situazione è complicata da alcuni atteggiamenti delle parti: Israele ufficialmente
non vuole la distruzione di Hamas, che rappresenta comunque un nemico mortale, l’AP
condanna Israele per la violenza a Gaza, pur sperando in una sconfitta di Hamas
per riprendere il controllo della striscia, e Hamas, mentre nelle sue
dichiarazioni in arabo rivendica la liberazione completa della Palestina
(quindi la distruzione di Israele), in quelle in inglese dichiara sufficiente
il ritiro israeliano dai territori occupati nel
In conclusione, Ackerman ha sottolineato come sia necessario, sulla scorta dell’esperienza in Iraq, che la sicurezza sia anteposta alla politica. Appare indispensabile che Israele comprenda come sia nel suo stesso interesse che le iniziative di sicurezza in Cisgiordania abbiano successo, al fine di poter estendere l’esperienza a Gaza. Gli USA, Israele, l’AP e gli Stati arabi devono operare per risolvere la situazione di Gaza, dato che vi sono urgenti bisogni umanitari e di ricostruzione, complicati anche dal fatto che è difficile capire se il recente conflitto abbia indebolito o rafforzato Hamas.
Terminato l’intervento del presidente Ackerman sono stati auditi alcuni esperti in materia.
David Makovksy, presidente del Project on the Middle East Peace Process del Washington Institute, ha inquadrato il conflitto come una conseguenza naturale della guerra del 2006, con il quale Israele ha cercato di rimediare alla perdita in termini di sicurezza subita in quella occasione, riponendo altresì fiducia nel dinamismo delle nuove amministrazioni americana e israeliana nel favorire una soluzione pacifica.
Ziad J. Asali, presidente dell’American Task Force on Palestine, ha presentato un dettagliato documento sulla guerra a Gaza (http://foreignaffairs.house.gov/111/asa021209.pdf), ponendo in particolare l’accento sulle conseguenze umanitarie e in termini di infrastrutture, nonché sulla necessità della ricostruzione nella striscia.
Dal canto suo Michele Dunne, esperta del Carnegie Endowment for International Peace, ha focalizzato la sua attenzione sul ruolo dell’Egitto, paese che può svolgere un ruolo di pressione su Hamas e ha indicato come sia necessario un miglioramento delle relazioni tra USA ed Egitto, anche sul terreno della ricostruzione a Gaza e in altre zone.
Infine Danielle Pletka, dell’American Enterprise Institute, ha ricordato come non sia possibile porre fine al problema israelo-palestinese, senza risolvere prima la questione palestinese, migliorando anche le condizioni di vita della popolazione, attraverso l’isolamento di Hamas, l’aiuto ad Israele e il danneggiamento di quei soggetti che aiutano e finanziano Hamas, tra cui Siria, Libano e Iran.
XVI Legislatura – Rassegna parlamentare comparata di politica internazionale e sicurezza, Anno III, n. 2 - 16 Febbraio 2009