Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Bilancio dello Stato
Titolo: Doc. 196: Attribuzione a comuni, province, città metropolitane e regioni di un proprio patrimonio (Schema di decreto legislativo)
Riferimenti:
SCH.DEC 196/XVI     
Serie: Note di verifica    Numero: 184
Data: 21/04/2010
Descrittori:
ENTI LOCALI   PATRIMONIO DEGLI ENTI LOCALI
PATRIMONIO REGIONALE   REGIONI

 


Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

 

 

 

 

 

 

Verifica delle quantificazioni

 

 

 

 

 

Attribuzione a comuni, province, città metropolitane

e regioni di un proprio patrimonio

 

 

(Schema di decreto legislativo n. 196)

 

 

 

 

 

 

N. 184 - 21 aprile 2010

 

 


 

La verifica delle relazioni tecniche che corredano i provvedimenti all'esame della Camera e degli effetti finanziari dei provvedimenti privi di relazione tecnica è curata dal Servizio Bilancio dello Stato.

La verifica delle disposizioni di copertura, evidenziata da apposita cornice, è curata dalla Segreteria della V Commissione (Bilancio, tesoro e programmazione).

L’analisi è svolta a fini istruttori, a supporto delle valutazioni proprie degli organi parlamentari, ed ha lo scopo di segnalare ai deputati, ove ne ricorrano i presupposti, la necessità di acquisire chiarimenti ovvero ulteriori dati e informazioni in merito a specifici aspetti dei testi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

SERVIZIO BILANCIO DELLO STATO – Servizio Responsabile

( 066760-2174 / 066760-9455 – * bs_segreteria@camera.it

 

SERVIZIO COMMISSIONI – Segreteria della V Commissione

( 066760-3545 / 066760-3685 – * com_bilancio@camera.it

 

 

 

 

 

 

 


 

Estremi del provvedimento

 

 

DOC:

 

196

Natura dell’atto:

 

Schema di decreto legislativo

Titolo breve:

 

Attribuzione a comuni, province, città metropolitane e regioni di un proprio patrimonio

 

Riferimento normativo:

 

articoli 2 e 19 della legge n. 42 del 2009

Relazione tecnica:

 

 

 

 

 

 

Assegnazione

 

 

Alla Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale

 

ai sensi

 

 

(termine per l’esame: 17 maggio 2010)

 

Alla Commissione Bilancio

ai sensi

 

 

(termine per l’esame: 17 maggio 2010)

 

 

 

 

 

 


INDICE

 

 

ARTICOLI da 1 a 5. 4

Individuazione e trasferimento dei beni4

ARTICOLO 6. 10

Semplificazione delle procedure di attuazione del federalismo demaniale. 10

ARTICOLO 7. 11

Disposizioni finali11

ARTICOLI da 1 a 6. 12

Individuazione e trasferimento dei beni12

ARTICOLO 7. 14

Disposizioni finali14



PREMESSA

 

 

Lo schema di decreto in esame attua l’articolo 19 della legge n. 42 del 2009[1].

La norma citata prevede che, con riguardo all’attuazione dell’articolo 119, comma 6, della Costituzione[2], i relativi decreti legislativi stabiliscano i principi generali per l’attribuzione di un proprio patrimonio a comuni, province, città metropolitane e regioni nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi:

a) attribuzione a titolo non oneroso ad ogni livello di governo di distinte tipologie di beni, commisurate alle dimensioni territoriali, alle capacità finanziarie ed alle competenze e funzioni effettivamente svolte o esercitate dalle diverse regioni ed enti locali, fatta salva la determinazione da parte dello Stato di apposite liste che individuino nell’ambito delle citate tipologie i singoli beni da attribuire;

b) attribuzione dei beni immobili sulla base del criterio di territorialità;

c) ricorso alla concertazione in sede di Conferenza unificata, ai fini dell’attribuzione dei beni a comuni, province, città metropolitane e regioni;

d) individuazione delle tipologie di beni di rilevanza nazionale che non possono essere trasferiti, ivi compresi i beni appartenenti al patrimonio culturale nazionale.

 

Il provvedimento, approvato in via preliminare dal Consiglio dei Ministri del 17 dicembre 2009, è stato trasmesso, con lettera in data 30 dicembre 2009, per l’espressione del parere parlamentare, ai sensi degli articoli 2 e 19 della legge n. 42 del 2009.

L’articolo 2, comma 3, della legge n. 42 del 2009 dispone, in particolare, che gli schemi di decreto legislativo attuativi delle norme di delega, previa intesa da sancire in sede di Conferenza unificata ai sensi dell’articolo 3 del Decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, siano trasmessi alle Camere, ciascuno corredato di relazione tecnica che evidenzi gli effetti delle disposizioni recate dal medesimo schema sui singoli saldi di finanza pubblica, affinché su di essi sia espresso, entro sessanta giorni dalla trasmissione, il parere della Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale[3] e delle Commissioni parlamentari competenti per le conseguenze di carattere finanziario.

In mancanza di intesa in seno alla Conferenza Unificata nel termine prescritto di trenta giorni. Il Consiglio dei Ministri delibera, approvando una relazione che è trasmessa alle Camere. Nella relazione sono indicate le specifiche motivazioni per le quali l’intesa non è stata raggiunta.

Lo schema di decreto è stato trasmesso il 28 dicembre alla Conferenza Unificata ai fini del raggiungimento dell’intesa. Essendo stata tuttavia sconvocata per iniziativa delle Regioni la seduta della Conferenza del 27 gennaio, prevista per l’esame del provvedimento, e non essendosi svolta successivamente alcuna seduta di tale organo, non è stato possibile concludere l’intesa nel termine prescritto di trenta giorni.

Pertanto, il 17 marzo 2010, il Governo ha trasmesso nuovamente alle Camere lo schema di decreto legislativo approvato il 17 dicembre 2009, corredato di relazione tecnica, unitamente alla relazione in cui sono indicate le cause del mancato raggiungimento dell’intesa con la Conferenza Unificata.

Alla relazione è allegato un testo del provvedimento che recepisce le richieste di modifica avanzate dalle autonomie locali, formulate in sede tecnica dall’ANCI e dall’UPI. Tale testo è stato sottoposto - ai sensi dell’articolo 9, comma 6, del decreto legislativo n. 281 del 1997 - al parere della Conferenza Stato - città ed autonomie locali. La Conferenza, nella seduta del 4 marzo 2010, si è espressa in senso favorevole sul testo presentato, come integrato da ulteriori modifiche concordate nel corso della medesima seduta.

 

La presente Nota si compone di due parti. Nella prima sono esaminate, per il profilo finanziario, le disposizioni dello schema di decreto approvato in via preliminare dal Consiglio dei Ministri nella seduta del 17 dicembre 2009, corredato di relazione tecnica debitamente verificata dal MEF-RGS e presentato alle Camere per i prescritti pareri.

Nella seconda sono sinteticamente esaminate, sempre per il profilo degli effetti finanziari, le modifiche proposte dalle autonomie locali, recepite nel testo oggetto del parere favorevole della Conferenza Stato – città ed autonomie locali nella seduta del 4 marzo u.s.

 

 

I) Schema di decreto legislativo approvato il 17 dicembre 2009

 

 

VERIFICA DELLE QUANTIFICAZIONI

       

ARTICOLI da 1 a 5

Individuazione e trasferimento dei beni

Le norme, all’articolo 1, dispongono che con il provvedimento in esame e con uno o più DPCM attuativi siano individuati i beni statali che, su richiesta dell’ente territoriale interessato, possono essere attribuiti a titolo non oneroso a Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni. Gli enti territoriali destinatari sono tenuti a garantire la massima valorizzazione funzionale dei beni loro attribuiti.

 

L’articolo 2 disciplina le modalità di attribuzione dei beni. In particolare, lo Stato, a seguito di intesa conclusa in sede di Conferenza unificata, individua, secondo i criteri di territorialità, sussidiarietà, adeguatezza, semplificazione, capacità finanziaria, correlazione con competenze e funzioni, valorizzazione ambientale, i beni da attribuire a titolo non oneroso agli enti territoriali. Tali enti possono richiedere l’attribuzione a titolo non oneroso dei beni già individuati a tal fine dallo Stato.

L’ente territoriale, in seguito all’attribuzione, dispone del bene nell’interesse della collettività rappresentata ed è tenuto ad assicurarne la massima valorizzazione funzionale a vantaggio diretto o indiretto della collettività stessa. Nei confronti della collettività interessata, l’ente è tenuto ad assicurare la massima informazione sul processo di valorizzazione; per i Comuni è prevista la possibilità di indire forme di consultazione popolare, anche in forma telematica.   

Le norme, inoltre, al comma 5 dell’articolo 2, specificano i contenuti applicativi dei principi in base ai quali i beni dello Stato sono attribuiti, anche in quote indivise, agli enti territoriali. In particolare, in merito al principio di semplificazione, si precisa che, in applicazione di tale criterio, i beni possono essere inseriti dalle Regioni e dagli enti locali in processi di alienazione e dismissione secondo le procedure di cui all’articolo 58 del decreto legge n. 112 del 2008[4]. In merito all’applicazione del principio di capacità finanziaria, intesa come idoneità finanziaria necessaria a garantire le esigenze di tutela, gestione e valorizzazione del bene, si precisa, altresì, che l’attribuzione dei beni immobili dello Stato può realizzarsi, su richiesta dell’ente territoriale interessato e senza ulteriori oneri a carico dello Stato, mediante conferimento diretto dei beni a fondi comuni di investimento immobiliare costituiti, o da costituire, da uno o più enti territoriali, anche ai sensi del medesimo articolo 58 del decreto legge n. 112 del 2008.

 

Gli articoli 3 e 4 delineano rispettivamente la procedura di trasferimento dei beni e lo status dei beni trasferiti. I beni sono individuati ed attribuiti ad uno o più livelli di governo territoriale attraverso l’inserimento in appositi elenchi, corredati da adeguati elementi informativi, adottati con uno o più DPCM, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo in esame, previa intesa sancita in sede di Conferenza unificata. La medesima procedura è prevista per l’adozione di DPCM modificativi o integrativi.

Con riguardo alle aree ed ai fabbricati, gli enti territoriali che intendono acquisirli presentano, entro trenta giorni dalla data di pubblicazione dei suddetti decreti, una domanda di attribuzione all’Agenzia del Demanio. In base alle domande pervenute, entro i successivi trenta giorni, è adottato un ulteriore DPCM di attribuzione dei beni, che, dalla data di pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale, costituisce titolo per la trascrizione e la voltura catastale dei beni a favore di ciascun ente territoriale.

I beni sono trasferiti con tutte le pertinenze, accessori, oneri e pesi ed entrano a far parte del patrimonio disponibile degli enti territoriali, con eccezione di quelli appartenenti al demanio marittimo, idrico ed aeroportuale, cui continua ad applicarsi il regime previsto dal codice civile, dal codice della navigazione e dalle leggi regionali, statali e comunitarie di settore. Ove ne ricorrano i presupposti, il DPCM di attribuzione dei beni demaniali diversi da quelli sopra elencati ne indica, motivandola, l’inclusione nel demanio o nel patrimonio indisponibile degli enti destinatari.

Il trasferimento dei beni ha efficacia dalla data di pubblicazione del decreto riguardante l’attribuzione dei beni ed ha luogo nello stato di fatto e di diritto in cui i beni si trovano. Contestualmente l’ente territoriale ne assume il possesso giuridico e subentra in tutti i rapporti attivi e passivi relativi ai beni trasferiti, fermi restando i limiti derivanti da vincoli storici, artistici ed ambientali.

 

L’articolo 5 elenca le seguenti tipologie di beni dello Stato oggetto, con le relative pertinenze, di trasferimento agli enti territoriali che li richiedano:

Ÿ        tutti i beni del demanio  marittimo (art. 822 C.c. ed art. 28 del codice di navigazione), esclusi quelli direttamente utilizzati dalle amministrazioni statali;

·        tutti i benidel demanio idrico di interesse regionale o provinciale, opere idrauliche e di bonifica di competenza statale ( artt. 822, 942, 945-947 del C.c. e leggi speciali di settore);

·        tutti gli aeroporti di interesse regionale appartenenti al demanio aeronautico civile statale (art. 698 del codice di navigazione);

·        tutte le miniere ubicate in terra ferma;

·        tutte le aree ed i fabbricati di proprietà dello Stato diversi da quelli di cui ai punti precedenti, con esclusione di quelli espressamente esclusi dalla procedura di trasferimento.

Non possono, infatti, in ogni caso essere trasferiti:

·        gli immobili in uso per comprovate ed effettive finalità istituzionali alle amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, agli enti pubblici, alle Agenzie;

·        i porti e gli aeroporti di rilevanza economica nazionale ed internazionale;

·        i beni appartenenti al patrimonio culturale, salvo quanto previsto dalla normativa vigente;

·        i beni oggetto di accordo o intese con gli enti territoriali per la razionalizzazione o valorizzazione dei rispettivi patrimoni immobiliari sottoscritti alla data di entrata in vigore del decreto in esame;

·        le reti di interesse statale, comprese le energetiche;

·        le strade ferrate in uso;

·        i beni costituenti la dotazione della Presidenza della Repubblica.

Ai fini dell’esclusione, le amministrazioni statali e gli enti interessati comunicano all’Agenzia del Demanio l’elenco motivato dei beni di cui chiedono l’esclusione. Con successivo provvedimento del direttore dell’Agenzia è redatto e reso pubblico l’elenco complessivo dei beni esclusi.

E’ inoltre prevista l’adozione di un apposito DPCM finalizzato all’individuazione dei beni immobili in uso del Ministero della difesa suscettibili di trasferimento.

 

La relazione tecnica afferma che il provvedimento non determina oneri aggiuntivi per la finanza pubblica.

In particolare, l’articolo 3, che stabilisce le modalità di trasferimento dei beni dello Stato, appare suscettibile di determinare una riduzione del gettito erariale; tuttavia, la disposizione di cui al successivo articolo 7, riguardante la rideterminazione dei trasferimenti erariali agli enti territoriali in misura tale da compensare le minori entrate, garantisce la neutralità finanziaria dell’operazione.

Il gettito erariale potenzialmente interessato da riduzioni è quantificato in complessivi 189 milioni di euro annui, sulla base delle previsioni di bilancio 2010 in termini di competenza, riguardanti le voci interessate, in base alle tipologie di beni indicati dalle norme.

Le voci potenzialmente interessate sono le seguenti:

(milioni di euro)

Voci

Importi

Redditi di beni immobili patrimoniali per affitti, concessioni, canoni vari ed altre voci similari

40

Entrate da regolarizzazioni di occupazioni del demanio marittimo

6

Proventi dell’utilizzazione di acque pubbliche

3

Proventi dei beni demaniali, compreso il demanio marittimo

140

Totale

189

 

La relazione tecnica precisa, inoltre, che la determinazione degli importi di cui dovranno essere ridotte le risorse attribuite agli enti locali sarà effettuata in sede di DPCM di attribuzione dei beni, allorché saranno noti i beni oggetto di trasferimento e gli enti destinatari dei medesimi.

 

Al riguardo si rileva che le norme presentano alcuni aspetti in merito ai quali appare opportuno acquisire ulteriori elementi di chiarimento, sia al fine di pervenire ad una più profonda comprensione delle modalità attuative, sia al fine di meglio delinearne i profili di natura finanziaria.

Occorre, infatti, ribadire, come già osservato in occasione dell’esame del disegno di legge di delega, che alcuni dei beni oggetto di trasferimento sono attualmente iscritti nell’attivo del conto patrimoniale dello Stato a fronte di un passivo costituito dallo stock di debito pubblico di pertinenza delle amministrazioni centrali, che costituisce circa il 94 per cento della consistenza complessiva del debito pubblico esistente[5]. La riduzione di quote dell’attivo patrimoniale a fronte dell’invarianza delle passività appare affievolire gli strumenti di garanzia dello Stato rispetto al debito esistente. Le concrete modalità di individuazione e trasferimento dei beni agli enti territoriali e le relative conseguenze in termini di consistenza residua dell’attivo patrimoniale dello Stato possono influire in modo più o meno significativo su tale aspetto.

Occorre altresì segnalare che, ai sensi dell’articolo 1, comma 5, della legge n. 266 del 2005, a decorrere dal 2006, i maggiori proventi derivanti dalla dismissione o alienazione del patrimonio immobiliare dello Stato sono destinati alla riduzione del debito.

L’attribuzione a titolo non oneroso agli enti territoriali di parte di tale patrimonio appare, pertanto, precludere il ricorso a tale possibilità di incidere direttamente sulla consistenza del debito ed indirettamente sui relativi oneri di gestione.

Si osserva inoltre che, non essendo previsto per le amministrazioni territoriali analogo vincolo di destinazione a riduzione del debito dei proventi da dismissione immobiliare, l’eventuale utilizzo a fini di copertura, da parte delle predette amministrazioni, dei proventi derivanti dalla dismissione o dal conferimento dei beni loro trasferiti ai sensi del provvedimento inesame potrebbe determinare effetti peggiorativi del saldo di bilancio strutturale della PA, in ragione della natura straordinaria delle entrate conseguenti a dismissioni di assets patrimoniali.

Andrebbe, altresì, chiarito se la facoltà prevista per gli enti territoriali di poter richiedere l’attribuzione di determinati beni, già individuati come trasferibili, sia esercitabile con riguardo a tutte le tipologie di beni trasferibili, ovvero esclusivamente in riferimento alle aree e fabbricati. Le norme, infatti, sembrano far riferimento a tale facoltà di opzione in alcune circostanze in termini generali (articoli 1, 2 e 5), in altre (articolo 3) con esclusivo riferimento alle aree ed ai fabbricati, per i quali è prevista una procedura di istanza all’Agenzia del Demanio. In altri termini, non è chiaro se il trasferimento interessi in modo esaustivo tutti i beni, individuati come trasferibili ai diversi livelli di governo ai sensi dell’articolo 5, ovvero se siano trasferiti solo i beni delle diverse tipologie di cui gli enti medesimi abbiano richiesto l’attribuzione. 

Chiarire le modalità di trasferimento dei beni appare necessario al fine di valutare l’effettiva possibilità di attuare sia l’obiettivo di valorizzazione funzionale dei beni stessi, cui è finalizzato il provvedimento, sia il criterio di attribuzione in base alla capacità finanziaria, prescritto dalla norma di delega. Tali modalità, inoltre, come si è detto, influiscono sull’eventuale consistenza e composizione del patrimonio residuo dello Stato e, quindi, sulla relativa funzione di valore a garanzia dell’esposizione debitoria.

Andrebbe, inoltre, chiarito come le norme in esame si coordinino, sul piano operativo e finanziario, con quelle contenute nell’articolo 2, comma 222, della legge finanziaria 2010[6].

La norma citata è finalizzata ad una più efficiente utilizzazione degli immobili di proprietà dello Stato e delle amministrazioni pubbliche con lo scopo di ridurre il ricorso alle locazioni passive, anche attraverso operazioni di permuta. La norma dispone, tra l’altro, un censimento, con modalità telematiche, di tutti gli immobili pubblici utilizzati, o detenuti a qualsiasi titolo, dalle amministrazioni pubbliche ai fini della redazione del rendiconto patrimoniale dello Stato.

La relazione tecnica al disegno di legge finanziaria 2010, riguardante le norme in questione, ha assegnato alle medesime un effetto di risparmio di spesa di circa 65 milioni di euro annui dal 2011.

 

Con riguardo agli effetti di riduzione del gettito erariale e di riduzione compensativa dei trasferimenti agli enti territoriali, esaminati dalla relazione tecnica in relazione all’articolo 3, occorre rilevare che, al pari della formulazione letterale della norma, tale analisi non considera gli eventuali oneri di gestione connessi alla proprietà dei beni, attualmente sostenuti dallo Stato, che saranno sostenuti dagli enti territoriali subentranti, nelle more della definizione dei processi di valorizzazione o dismissione. Andrebbe pertanto acquisita conferma che la decurtazione dei trasferimenti spettanti agli enti locali debba in ogni caso intendersi commisurata all’ammontare del gettito erariale connesso ai beni trasferiti, senza operare decurtazioni in ragione degli oneri di gestione eventualmente connessi ai beni stessi.

In proposito appare, inoltre, opportuno segnalare, che i beni immobili statali suscettibili di trasferimento, in quanto non utilizzati per compiti istituzionali, non godono, ai sensi dell’articolo 7, comma 1, lettera a), del D. Lgs. n. 504 del 1992, dell’esenzione dall’ICI. Pertanto, nel caso di trasferimento di tali beni ai comuni nei quali i medesimi sono localizzati, per gli enti locali interessati si determinerebbe, almeno nel periodo che precede l’eventuale alienazione, una perdita di gettito a titolo di ICI.   

 

 

ARTICOLO 6

Semplificazione delle procedure di attuazione del federalismo demaniale

Le norme, al fine di favorire il conferimento dei beni trasferiti a fondi comuni di investimento immobiliare da parte degli enti territoriali, prevedono l’adozione di appositi regolamenti di riordino ed adeguamento della disciplina di tali fondi, di cui all’articolo 14-bis della legge n. 86 del 1994[7], disponendone i relativi principi e criteri direttivi.

In particolare, è previsto che agli apporti ai fondi da parte di enti pubblici continui ad applicarsi la disciplina fiscale prevista dei commi 10 ed 11 dell’articolo 14-bis della legge n. 86 del 1994.

I commi citati prevedono quanto segue:

·          gli apporti al fondo non danno luogo a redditi imponibili o a perdite deducibili per l’apportante al momento dell’apporto. Le quote ricevute in cambio dell’immobile o del diritto oggetto di apporto mantengono, ai fini delle imposte sui redditi,  lo stesso valore fiscalmente riconosciuto anteriormente all’apporto;

·          per l’insieme degli apporti e delle eventuali successive retrocessioni è dovuta, in luogo delle ordinarie imposte di registro, ipotecaria e catastale e dell’INVIM un’imposta sostitutiva nella misura fissa di un milione di lire.

Nel caso di apporti da soggetti privati si applica la normativa vigente riguardante i fondi comuni di investimento di cui all’articolo 37 del D. Lgs. n. 58 del 1998[8].

Per i proventi attualmente corrisposti dai fondi comuni immobiliari è prevista una ritenuta a titolo di imposta del 20 per cento. La ritenuta si applica a titolo di acconto per le imprese commerciali.

 

La relazione tecnica, in merito alle disposizioni di cui all’articolo in esame, riguardanti il regime fiscale da applicarsi agli apporti effettuati da enti pubblici e da soggetti privati ai fondi comuni di investimento immobiliare, precisa che, trattandosi della conservazione di regimi fiscali vigenti, non si determinano significativi effetti di gettito.

 

Nulla da osservare al riguardo.

 

ARTICOLO 7

Disposizioni finali

Le norme dispongono l’esenzione da ogni tassa e tributo di tutti gli atti, contratti e formalità necessari per l’attuazione del decreto (comma 1).

Dispongono, altresì, che con uno o più DPCM siano determinati i criteri ed i tempi per ridurre le risorse spettanti a qualsiasi titolo agli enti territoriali in funzione della riduzione di entrate erariali conseguente all’adozione dei provvedimenti di trasferimento dei beni dello Stato (comma 2).

 

La relazione tecnica, in merito all’esenzione fiscale, disposta dal comma 1, per gli atti e gli adempimenti connessi all’attuazione del provvedimento, precisa che, trattandosi di nuovi atti i cui effetti in termini di gettito non sono scontati nelle previsioni di bilancio, non si determinano variazioni rispetto al gettito previsto.

In merito al comma 2, afferma che la disposizione garantisce la neutralità finanziaria del provvedimento attraverso la rideterminazione dei trasferimenti erariali agli enti territoriali, tali da compensare le minori entrate erariali connesse ai redditi generati dai beni trasferiti.

 

Nulla da osservare in merito agli effetti del comma 1.

Con riguardo al comma 2, si segnala che, il tenore letterale delle disposizioni, a differenza di quanto affermato nella relazione tecnica, non appare disporreespressamente il requisito di contestualità tra l’adozione dei DPCM di attribuzione dei beni e la determinazione delle riduzioni compensative delle risorse spettanti agli enti territoriali assegnatari dei beni dello Stato. Tale allineamento temporale appare tuttavia necessario al fine di evitare possibili effetti negativi per il bilancio dello Stato o degli enti territoriali interessati. Andrebbe pertanto assicurato che sia garantita la contestualità tra l’attribuzione agli enti territoriali delle entrate inerenti gli immobili loro attribuiti e la riduzione compensativa delle risorse loro spettanti ad altro titolo.

Con riferimento alla mancata considerazione a fini compensativi, da parte della norma in esame, di altre partite finanziarie inerenti i beni immobili oggetto di trasferimento (quali gli eventuali oneri di gestione o l’eventuale ICI attualmente dovuta dallo Stato ai comuni) cfr. le osservazioni formulate con riferimento all’articolo 1.

 

II) Testo presentato in Conferenza Stato-città ed autonomie locali con le ulteriori modifiche concordate nella seduta del 4 marzo 2010

 

 

ANALISI DEGLI EFFETTI FINANZIARI

 

ARTICOLI da 1 a 6

Individuazione e trasferimento dei beni

Rispetto al testo dello schema di decreto legislativo formulato dal Governo si individuano, in particolare, le seguenti modifiche:

·        mediante integrazioni apportate ad alcuni commi dell’articolo 2 e mediante la soppressione del riferimento esclusivo alle aree ed ai fabbricati per la procedura di opzione da parte degli enti territoriali, di cui all’articolo 3, comma 2, risulta inequivocabilmente stabilito che la procedura di trasferimento dei beni agli enti territoriali si determini esclusivamente in base ad una espressa richiesta degli enti interessati, compatibilmente con l’esigenza di garantire un’equa distribuzione dei beni tra i diversi livelli di governo;

·        nell’ipotesi di inserimento, da parte degli enti territoriali, dei beni trasferiti in processi di alienazione e dismissione (articolo 2, comma 5, lettera b)), secondo le procedure di cui all’articolo 58 del decreto legge n. 112 del 2008, per assicurare la massima valorizzazione dei beni, è introdotta una procedura per l’acquisizione delle autorizzazioni necessarie alla variazione di destinazione urbanistica. A tal fine, la deliberazione del consiglio comunale o provinciale di approvazione del piano delle alienazioni e valorizzazioni è trasmessa ad un’apposita conferenza di servizi, cui partecipano il Comune, la Provincia e la Regione interessati. La determinazione finale della suddetta conferenza costituisce provvedimento unico di autorizzazione delle varianti allo strumento urbanistico generale;

·        i beni del demanio marittimo sono individuati in gruppi nell’ambito degli appositi elenchi dei beni suscettibili di trasferimento (articolo 3, comma 1) e la domanda di attribuzione formulata dagli enti territoriali deve riferirsi a tutti i beni compresi in ciascun gruppo (articolo 3, comma 2);

·        è fissato entro un anno dalla data di entrata in vigore del decreto in esame il termine di emanazione del DPCM con il quale sono individuati i beni immobili in uso al Ministero della difesa suscettibili di trasferimento. A tal fine è prevista l’intesa sancita in sede di Conferenza Unificata (articolo 5, comma 4);

·        il Ministero per i beni e le attività culturali, entro un anno dalla data di entrata in vigore del decreto in esame, provvede al trasferimento agli enti territoriali dei beni e delle cose indicati negli accordi di valorizzazione e nei conseguenti programmi di sviluppo culturale stipulati con tali enti ai sensi dell’articolo 112, comma 4, del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo n. 42 del 2004 (articolo 5, comma 5);

·        è confermata la possibilità, per gli enti territoriali, di poter comunque promuovere la costituzione di fondi comuni di investimento immobiliare con apporto privato o di partecipare agli stessi nell’ambito della disciplina ordinaria in materia di fondi immobiliari chiusi di cui al decreto legislativo n. 58 del 1998 (articolo 6, comma 2).     

 

 

Al riguardo si osserva che le integrazioni apportate agli articoli 2 e 3 del testo dello schema di decreto, che inequivocabilmente prevedono che la procedura di trasferimento dei beni agli enti territoriali si determini esclusivamente in base ad una espressa richiesta degli enti interessati, eliminano i profili di incertezza rilevati in riferimento al testo originario.

Tale scelta, peraltro, conferma le criticità segnalate in merito al depotenziamento del patrimonio statale quale presidio a garanzia dello stock di debito esistente ed in merito alla rinuncia, da parte dello Stato, ad utilizzare tale patrimonio, attraverso procedure di valorizzazione e successiva alienazione, direttamente a riduzione del debito.

E’, infatti, presumibile supporre che gli enti territoriali eserciteranno l’opzione con riguardo soprattutto ai beni la cui tipologia e natura sia in grado di garantire processi di valorizzazione rapidi e meno onerosi e di assicurare  una maggiore redditività.

In merito, inoltre, al trasferimento agli enti territoriali dei beni culturali ricompresi nell’ambito degli accordi di valorizzazione, appare opportuno chiarire se anche tale trasferimento sarà realizzato solo a seguito di opzione da parte degli enti territoriali che abbiano stipulato tali accordi e se tale trasferimento implichi il venir meno dell’apporto finanziario dello Stato ai relativi piani di valorizzazione e sviluppo culturale.   

 

 

ARTICOLO 7

Disposizioni finali

Rispetto al testo originario, lo schema in esame:

·        prevede che i DPCM di cui al comma 2 dell’articolo in esame determinino i criteri per l’adeguamento, anziché la riduzione delle risorse spettanti agli enti territoriali in funzione della riduzione delle entrate erariali conseguenti al trasferimento dei beni. Per l’emanazione di tali decreti è comunque previsto il raggiungimento di un’intesa sancita in sede di Conferenza Unificata;

·        alle procedure di spesa relative ai beni trasferiti non si applicano i vincoli relativi al rispetto del patto di stabilità interno, per un importo corrispondente alle spese già sostenute dallo Stato per la gestione del bene trasferito. Tale importo sarà determinato secondo criteri e modalità individuati con apposito DPCM (articolo 7, comma 3).  

 

Al riguardo, in merito alla disposizione che introduce una deroga al patto di stabilità interno, si osserva che tale deroga appare avere carattere permanente e non essere esclusivamente limitata, in termini temporali, al periodo transitorio, nel quale gli enti territoriali assegnatari dei beni dovranno presumibilmente assumerne gli oneri di gestione e manutenzione, in vista di una loro alienazione ovvero di una loro valorizzazione economica o funzionale.

In proposito, occorre peraltro segnalare che la vigente normativa in materia di patto di stabilità interno, contenuta negli articoli del Titolo III, capo III, del decreto legge n. 112 del 2008, disciplina tale istituto esclusivamente per il periodo dal 2009 al 2011. La legge di delega in materia di federalismo fiscale prevede, tra i principi e criteri direttivi della delega in materia di coordinamento e disciplina fiscale dei diversi livelli di governo (articolo 17), l’obbligo per gli enti territoriali di assicurare il concorso agli obiettivi di finanza pubblica.

Tale previsione colloca pertanto il sistema dei vincoli posti alla finanza degli enti territoriali nella prospettiva della condivisione di un comune obiettivo programmatico e non già del miglioramento differenziale di risultati di bilancio già raggiunti in esercizi pregressi, come generalmente previsto nelle diverse versioni del patto di stabilità interno.

In tale contesto, sembra apparire ancora indefinito il quadro normativo delle regole nell’ambito del quale il vincolo permanente introdotto dalla disposizione in esame verrebbe ad operare in funzione derogatoria.

Inoltre, qualora tale principio derogatorio non dovesse intendersi come limitato alla fase transitoria, antecedente alla valorizzazione dei beni trasferiti, si evidenzierebbe una asimmetria nel trattamento contabile delle spese rispetto a quello dei ricavi derivanti dal processo di valorizzazione stesso: questi ultimi infatti concorrerebbero, a differenza delle spese, a migliorare i saldi utili ai fini del patto di stabilità interno.

Andrebbero acquisiti, inoltre, chiarimenti in merito ai possibili effetti sui bilanci degli enti territoriali dovuti alla diversa tempistica tra acquisizione delle entrate da valorizzazione o dismissione dei beni trasferiti e eventuali spese in conto capitale finanziate con le entrate predette. Qualora tali spese richiedano tempi più lunghi, potrebbero determinarsi nell’esercizio di acquisizione delle entrate avanzi di amministrazione non utilizzabili negli esercizi successivi a copertura delle spese medesime.



[1] Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione.

[2] La norma costituzionale citata dispone che i Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni abbiano un proprio patrimonio, attribuito secondo i principi generali determinati dalla legge dello Stato. Tali enti possono ricorrere all’indebitamento solo per finanziare spese di investimento, restando esclusa ogni garanzia dello Stato sui prestiti dagli stessi contratti.

[3] La cui istituzione è prevista ai sensi dell’articolo 3 della medesima legge n. 42 del 2009.

[4] L’articolo citato, ai fini della valorizzazione del patrimonio degli enti territoriali, dispone, in particolare, che ciascun ente proceda alla ricognizione dei beni immobili ricadenti nel territorio di competenza e non strumentali all’attività istituzionale, suscettibili di valorizzazione o di dismissione e ne rediga apposito elenco. E’, quindi, redatto un piano di alienazione e valorizzazione degli immobili allegato al bilancio di previsione. L’inserimento degli immobili nel piano ne determina la conseguente classificazione come patrimonio disponibile e ne dispone espressamente la destinazione urbanistica; la deliberazione del consiglio comunale di approvazione del piano di alienazioni e valorizzazioni costituisce variante allo strumento urbanistico generale. Tale variante, in quanto relativa a singoli immobili, non necessita di verifiche di conformità agli eventuali atti di pianificazione sovraordinata di competenza delle Province  e delle Regioni, salvo nei casi di varianti relative a terreni classificati come agricoli dallo strumento urbanistico generale vigente o nei casi di variazioni volumetriche superiori al 10 per cento dei volumi previsti dal medesimo strumento urbanistico.

La Corte Costituzionale, con sentenza 16-30 dicembre 2009, n. 340, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle disposizioni riguardanti l’automaticità della variante urbanistica a seguito della delibera di approvazione del piano di alienazione e valorizzazione, rinviando i cambiamenti di destinazione urbanistica degli immobili alle ordinarie procedure.  

[5] Banca d’Italia, Supplemento al Bollettino statistico, Finanza pubblica, fabbisogno e debito, n.9 del 2010.

[6] Legge n. 191 del 2009.

[7] Istituzione e disciplina dei fondi comuni di investimento immobiliare chiusi. L’articolo 14-bis riguarda in particolare i fondi istituiti con apporto di beni immobili costituito per oltre il 51 per cento da beni o diritti reali apportati esclusivamente dallo Stato, dagli enti di previdenza pubblici, da regioni, da enti locali e loro consorzi, ovvero da società interamente possedute, anche indirettamente, dai medesimi soggetti.

[8] Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge n. 6 febbraio 1996, n. 52.