Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione
(Versione per stampa)
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento lavoro | ||||||||
Titolo: | Delega al Governo in materia di lavori usuranti e di riorganizzazione di enti, misure contro il lavoro sommerso e norme in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro - A.C. 1441-quater - Schede di lettura | ||||||||
Riferimenti: |
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Serie: | Progetti di legge Numero: 41 | ||||||||
Data: | 15/09/2008 | ||||||||
Descrittori: |
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Organi della Camera: | XI-Lavoro pubblico e privato |
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Camera dei deputati |
XVI LEGISLATURA |
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SERVIZIO STUDI |
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Progetti di legge |
Delega al Governo in materia di lavori usuranti e di riorganizzazione di enti, misure contro il lavoro sommerso e norme in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro A.C. 1441-quater |
Schede di lettura |
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n. 41 |
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15 settembre 2008 |
Dipartimento Lavoro
SIWEB
I dossier del Servizio studi sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.
File: LA0053.doc
INDICE
§ Articolo 23 (Delega al Governo per la revisione della disciplina in tema di lavori usuranti)
§ Articolo 32 (Misure contro il lavoro sommerso)
§ Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE (a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)
§ Articolo 37 (Territorializzazione delle procedure concorsuali)
§ Articolo 38 (Mobilità del personale delle pubbliche amministrazioni)
§ Articolo 65 (Clausole generali e certificazione)
§ Articolo 66 (Conciliazione e arbitrato)
1. Il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi di riassetto normativo, al fine di concedere ai lavoratori dipendenti impegnati in particolari lavori o attività e che maturano i requisiti per l'accesso al pensionamento a decorrere dal 1o gennaio 2008 la possibilità di conseguire, su domanda, il diritto al pensionamento anticipato con requisiti inferiori a quelli previsti per la generalità dei lavoratori dipendenti, secondo i princìpi e criteri direttivi di cui all'articolo 1, comma 3, lettere a), b), c), d), e), f) e g), della legge 24 dicembre 2007, n. 247. Restano ferme le modalità procedurali per l'emanazione dei predetti decreti legislativi indicate dai commi 90 e 91 e le norme di copertura di cui al comma 92 del citato articolo 1 della legge 24 dicembre 2007, n. 247.
L'articolo 23reca una delega al Governo per una apposita disciplina relativa al pensionamento anticipato dei soggetti che svolgono lavori usuranti.
Una normativa sui benefici previdenziali per i lavoratori che svolgono attività usuranti era già stata introdotta nel nostro ordinamento dal D.Lgs. 374/1993[1], in attuazione della delega prevista dall'art. 3, comma 1, lett. f), della L. 421/1992[2]. Tale normativa era poi stata ampiamente rivisitata dalla L. 335/1995 di riforma del sistema pensionistico (“Legge Dini”).
Secondo l'art. 1 del D.Lgs. 374/1993 sono considerati particolarmente usuranti i lavori "per il cui svolgimento è richiesto un impegno psicofisico particolarmente intenso e continuativo, condizionato da fattori che non possono essere prevenuti con misure idonee".
Le attività particolarmente usuranti sono individuate dalla tabella A allegata al medesimo decreto. In particolare, tale tabella comprende le seguenti attività:
- lavoro notturno continuativo;
- lavori alle linee di montaggio con ritmi vincolati;
- lavori in galleria, cava o miniera;
- lavori espletati direttamente dal lavoratore in spazi ristretti: all'interno di condotti, di cunicoli di servizio, di pozzi, di fognature, di serbatoi, di caldaie;
- lavori in altezza: su scale aree, con funi a tecchia o parete, su ponti a sbalzo, su ponti a castello installati su natanti, su ponti mobili a sospensione (a questi lavori sono assimilati quelli svolti dal gruista, dall'addetto alla costruzione di camini e dal copritetto);
- lavori in cassoni ad aria compressa;
- lavori svolti dai palombari;
- lavori in celle frigorifere o all'interno di ambiente con temperatura uguale o inferiore a 5 gradi centigradi;
- lavori ad alte temperature: addetti ai forni e fonditori nell'industria metallurgica e soffiatori nella lavorazione del vetro cavo;
- autisti di mezzi rotabili di superficie;
- marittimi imbarcati a bordo;
- personale addetto ai reparti di pronto soccorso, rianimazione, chirurgia d'urgenza;
- trattoristi;
- addetti alle serre e fungaie;
- lavori di asportazione dell'amianto da impianti industriali, da carrozze ferroviarie e da edifici industriali e civili.
La tabella può essere modificata con decreto del Ministro del lavoro, di concerto con il Ministro dell’economia, sentite le organizzazioni sindacali dei lavoratori maggiormente rappresentative sul piano nazionale.
E’ necessario peraltro evidenziare che la normativa vigente (articolo 2, comma 1, del D.Lgs. 374/1993) distingue due tipi di attività usuranti: al primo periodo fa riferimento a quelle particolarmente usuranti elencate nella tabella A; nel secondo periodo fa riferimento (sempre nell’ambito delle attività particolarmente usuranti) ad un sottoinsieme più ristretto di attività considerate (ancora) più usuranti "anche sotto il profilo delle aspettative di vita e dell'esposizione al rischio professionale di particolare intensità", prevedendo per tale sottoinsieme benefici ancora maggiori. Il sottoinsieme è stato individuato espressamente dal decreto del Ministro del lavoro, di concerto con i Ministri del tesoro, della sanità e per la funzione pubblica del 19 maggio 1999 (cfr. infra).
Ai lavoratori prevalentemente occupati, a decorrere dall'entrata in vigore del D.Lgs. 374/1993 (8 ottobre 1993), in attività particolarmente usuranti è consentito di anticipare il pensionamento, mediante abbassamento del limite di età pensionabile nella misura di due mesi per ogni anno di attività; la riduzione non può comunque superare un totale di 60 mesi (art. 2, comma 1, primo periodo, D.Lgs. 374/1993).
Fermo restando il requisito minimo di un anno di attività usurante continuata, il beneficio è frazionabile in giornate sempreché, in ciascun anno, il periodo di attività lavorativa svolta abbia avuto una durata di almeno centoventi giorni (art. 2, comma 2, D.Lgs. 374/1993)[3].
E’ poi prevista, esclusivamente per i lavoratori impegnati in attività caratterizzate da una maggiore gravità dell'usura (come detto individuate dall’art. 2 del D.M. 19 maggio 1999), la riduzione del limite di anzianità contributiva, ai fini del pensionamento di anzianità, di un anno ogni dieci di occupazione nelle medesime attività, fino ad un massimo di 24 mesi complessivamente considerati (art. 2, comma 1, secondo periodo, del D.Lgs. 374/1993, introdotto dall’art. 1, comma 35, della L. 335/1995)[4] .
Sono comunque fatti salvi i trattamenti di miglior favore previsti dai singoli ordinamenti pensionistici, ove questi prevedano anticipazioni dei limiti di età pensionabile in dipendenza delle attività particolarmente usuranti[5] (art. 2, comma 3, D.Lgs. 374/1993).
Il riconoscimento dei benefici previdenziali presuppone peraltro l’individuazione, ai sensi dell’articolo 3 del medesimo D.Lgs. 374/1993, come modificato dall’articolo 1, comma 34, della legge di riforma del sistema pensionistico (L. 335/1995), delle mansioni particolarmente usuranti all’interno delle categorie di lavori usuranti di cui alla Tabella A, nonché delle modalità di copertura dei relativi oneri.
Tale individuazione è rimessa a successivi decreti ministeriali - distinti per i lavoratori del settore privato, per i lavoratori autonomi assicurati presso l'INPS e per i lavoratori del settore pubblico - da emanarsi su proposta delle organizzazioni sindacali. La copertura degli oneri deve avvenire attraverso una aliquota contributiva definita secondo criteri attuariali riferiti all'anticipo dell'età pensionabile; per i lavoratori pubblici deve inoltre essere rispettato il limite delle risorse finanziarie preordinate ai rinnovi dei contratti di lavoro.
In particolare, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera a) del D.Lgs. 374/1993, per i lavoratori del settore privato l’individuazione delle mansioni particolarmente usuranti è rimesso ad un decreto del Ministro del lavoro di concerto con il Ministro del tesoro, su proposta congiunta delle organizzazioni sindacali e datoriali maggiormente rappresentative a livello nazionale.
In caso di mancata formulazione delle proposte da parte delle organizzazioni sindacali è previsto un potere sostitutivo del Ministro del lavoro (art. 3, comma 3, D.Lgs. 374/1993).
L'art. 59, comma 11, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, ha ulteriormente modificato la procedura per l'individuazione delle mansioni usuranti, stabilendo che i criteri per tale individuazione fossero stabiliti con un decreto del Ministro del lavoro, di concerto con i Ministri del tesoro, del bilancio, della sanità e della funzione pubblica e per gli affari regionali, da emanarsi entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge, su parere di una commissione tecnico-scientifica, composta da non più di venti componenti, costituita con carattere paritetico da rappresentanti delle amministrazioni interessate e delle organizzazioni maggiormente rappresentative dei datori di lavoro e dei lavoratori.
In attuazione dell’art. 59, comma 11, della L. 449/1997 è stato emanato il decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 19 maggio 1999 (pubblicato sulla G.U. n. 208 del 4 settembre 1999).
Il decreto ministeriale 19 maggio 1999 ha determinato, all’art. 1, comma 1, i criteri cui le organizzazioni sindacali devono attenersi ai fini dell'individuazione delle mansioni particolarmente usuranti e della determinazione delle aliquote contributive.
Si tratta, in particolare, dei seguenti criteri:
- l'attesa di vita al compimento dell'età pensionabile;
- la prevalenza della mansione usurante:
- la mancanza di possibilità di prevenzione;
- la compatibilità fisico-psichica in funzione dell'età;
- l'elevata frequenza degli infortuni, con particolare riferimento alle fasce di età superiori ai cinquanta anni;
- l'età media della pensione di invalidità;
- il profilo ergonomico;
- l'esposizione ad agenti chimici, fisici, biologici, individuati secondo la normativa di prevenzione vigente.
E’ esplicitamente ribadito che gli oneri sono a totale carico delle categorie interessate.
E’ fissato un termine per la formulazione delle proposte delle organizzazioni sindacali e datoriali. In particolare si prevede che le organizzazioni sindacali e datoriali formulino congiuntamente apposite proposte entro e non oltre cinque mesi dalla data di pubblicazione del decreto ministeriale nella Gazzetta Ufficiale. Decorso infruttuosamente il predetto termine, si prevede l’applicazione delle disposizioni di cui all'art. 3, comma 3, del D.Lgs. 374/1993, come riformulato dall'art. 1, comma 34, della L. 335/1995: viene pertanto ribadito il potere sostitutivo del Ministro del lavoro, di concerto con il Ministro del tesoro, sentita una commissione tecnico-scientifica, che è tenuta formulare il relativo parere entro e non oltre cinque mesi dalla data della sua costituzione (art. 1, comma 2, D.M. 19 maggio 1999).
L’articolo 3, comma 4 del D.Lgs. 374/1993 prevede inoltre una disciplina particolare per la copertura degli oneri relativi a “determinate mansioni in ragione delle caratteristiche di maggiore gravità dell'usura che esse presentano anche sotto il profilo dell'incidenza della stessa sulle aspettative di vita, dell'esposizione al rischio professionale di particolare intensità, delle peculiari caratteristiche dei rispettivi ambiti di attività con riferimento particolare alle componenti socio-economiche che le connotano”: si tratta sostanzialmente del sottoinsieme più ristretto di attività considerate (ancora) più usuranti di cui al secondo periodo dell’articolo 2, comma 1. Per tali oneri è rimesso ad un decreto del Ministro del lavoro, di concerto con il Ministro del tesoro, sentita una commissione tecnico scientifica, il riconoscimento di un concorso dello Stato, in misura non superiore al 20 per cento.
Si consideri che, in attuazione dell’articolo 3, comma 4 del D.Lgs. 374/1993, l’articolo 2 del decreto ministeriale 19 maggio 1999 ha individuato direttamente, nell'ambito delle attività elencate nella citata tabella A allegata al D.Lgs. 374/1993, le “mansioni particolarmente usuranti in ragione delle caratteristiche di maggiore gravità dell'usura che esse presentano”, di cui all’articolo 2, comma 1, secondo periodo.
Le mansioni sono le seguenti:
- «lavori in galleria, cava o miniera»: mansioni svolte in sotterraneo con carattere di prevalenza e continuità;
- «lavori nelle cave»: mansioni svolte dagli addetti alle cave di materiale di pietra e ornamentale;
- «lavori nelle gallerie»: mansioni svolte dagli addetti al fronte di avanzamento con carattere di prevalenza e continuità;
- «lavori in cassoni ad aria compressa»;
- «lavori svolti dai palombari»;
- «lavori ad alte temperature»: mansioni che espongono ad alte temperature, quando non sia possibile adottare misure di prevenzione, quali, a titolo esemplificativo, quelle degli addetti alle fonderie di 2ª fusione, non comandata a distanza, dei refrattaristi, degli addetti ad operazioni di colata manuale;
- «lavorazione del vetro cavo»: mansioni dei soffiatori nell'industria del vetro cavo eseguito a mano e a soffio;
- «lavori espletati in spazi ristretti», con carattere di prevalenza e continuità ed in particolare delle attività di costruzione, riparazione e manutenzione navale, le mansioni svolte continuativamente all'interno di spazi ristretti, quali intercapedini, pozzetti, doppi fondi, di bordo o di grandi blocchi strutture;
- «lavori di asportazione dell'amianto»: mansioni svolte con carattere di prevalenza e continuità.
Per tali mansioni, come già previsto dall’art. 3, comma 4, del D.Lgs. 374/1993, è ribadito il concorso dello Stato alla copertura degli oneri, in misura non superiore al 20 per cento, nell’ambito delle risorse già preordinate dalla legge di riforma del sistema pensionistico (L. 335/1995).
Si attribuisce alle organizzazioni sindacali e datoriali il compito di formulare congiuntamente, entro il termine di cinque mesi dalla pubblicazione del decreto, le proposte per la determinazione delle aliquote contributive relative alle mansioni individuate dal comma 1; inoltre, anche in questo caso, in mancanza delle proposte delle organizzazioni sindacali e datoriali si prevede il potere sostitutivo del Ministro del lavoro, di concerto con il Ministro del tesoro, sentita una commissione tecnico scientifica (art. 2, comma 3).
Si consideri, tuttavia, che l'applicazione della normativa in materia di attività usuranti ha subito, dalla data di emanazione del D.Lgs. 374/1993, notevoli ritardi e non ha mai acquisito piena operatività (se non in via transitoria: cfr. infra). Difatti, non essendo stata completata la procedura di cui all’articolo 1, comma 2 e all’articolo 2, comma 3 del D.M. 19 maggio 1999, non sono stati mai emanati i provvedimenti attuativi necessari per individuare le mansioni particolarmente usuranti e determinare le aliquote contributive per la copertura dei conseguenti oneri, in modo da rendere concretamente operativi “a regime” i benefici previdenziali previsti dall’articolo 2 del D.Lgs. 374/1993 e dall’articolo 1, commi 35-37, della L. 335/1995.
In considerazione di tale situazione, stante la mancata operatività della normativa di cui al più volte richiamato D.Lgs. 374/1993, e successive modificazioni, “in attesa della definizione, tra le parti sociali, dei criteri di attuazione della normativa di cui al decreto legislativo 11 agosto 1993, n. 374”[6], la legge 23 dicembre 2000, n. 388 (legge finanziaria per il 2001), all’articolo 78, commi 8, 11, 12 e 13, aveva previsto una disciplina transitoria, consistente nella riduzione dei requisiti di età anagrafica e contributiva per l’accesso al trattamento pensionistico secondo quanto già previsto dalla normativa in materia di lavori usuranti, i cui effetti si sono però già esauriti.
In base a tale disciplina, il beneficio della riduzione dei requisiti di età anagrafica e contributiva è stato riconosciuto ai lavoratori che:
a) per il periodo successivo all’8 ottobre 1993 (data di entrata in vigore del D.Lgs. 374/1993) avevano svolto prevalentemente le mansioni particolarmente usuranti, per le caratteristiche di maggior gravità dell’usura che queste presentano, individuate dal citato art. 2 del D.M. 19 maggio 1999;
b) potevano far valere entro il 31 dicembre 2001 i requisiti per il pensionamento di anzianità o di vecchiaia, utilizzando le riduzioni di età pensionabile e di anzianità contributiva previste dalla normativa sui lavori usuranti.
In attuazione dell'art. 78, comma 11, della citata L. 388/2000, è stato emanato il D.M. 17 aprile 2001 che detta le disposizioni per ottenere il riconoscimento dei benefici previdenziali di riduzione dei requisiti anagrafici e di anzianità contributiva relativi alle mansioni particolarmente usuranti[7]. Pertanto i lavoratori che hanno maturato il diritto alla pensione entro il 31 dicembre 2001 hanno potuto avvalersi dei benefici previsti dal citato D.Lgs. 374/1993[8].
Allo stato attuale, quindi, essendo ormai esauriti gli effetti di tale disciplina transitoria e in mancanza dei provvedimenti attuativi necessari per rendere concretamente operativi “a regime” i benefici previdenziali previsti dall’articolo 2 del D.Lgs. 374/1993 e dall’articolo 1, commi 35-37, della L. 335/1995, i lavoratori interessati non possono concretamente godere dei benefici previsti per lo svolgimento di lavori usuranti.
Si ricorda inoltre che, al fine di superare tale situazione di “stallo”, la L. 247/2007[9], all’articolo 1, comma 3, ha previsto una delega legislativa, da esercitare entro tre mesi dall’entrata in vigore della medesima legge, volta a concedere ai lavoratori dipendenti impegnati in lavori o attività connotati da un particolare indice di stress psico-fisico, che maturano i requisiti pensionistici a decorrere dal 1° gennaio 2008, la possibilità di accedere anticipatamente al trattamento pensionistico.
In attuazione della menzionata delega di cui alla L. 247/2007 è stato predisposto e trasmesso alla Camera e al Senato, ai fini dell’espressione del parere, lo schema di decreto legislativo recante “Disposizioni in materia di accesso anticipato al pensionamento per gli addetti alle lavorazioni particolarmente faticose e pesanti” (atto n. 238), volto appunto a consentire ai lavoratori subordinati addetti a lavori particolarmente faticosi e pesanti (cd “attività usuranti”) di accedere anticipatamente al pensionamento, con requisiti inferiori a quelli previsti per la generalità dei lavoratori dipendenti .
Su tale schema di decreto legislativo la XI Commissione (Lavoro) della Camera ha espresso un parere favorevole con osservazioni in data 1° aprile 2008, mentre la 11a Commissione (Lavoro, previdenza sociale) del Senato, pur avendo avviato l’esame del provvedimento, non ha espresso il parere entro la scadenza del termine.
Tuttavia il termine finale per l’esercizio della delega (30 maggio 2008) è scaduto senza che tale decreto legislativo venisse definitivamente emanato. Si ricorda, al riguardo, che il termine per l’esercizio della delega, stabilito al 31 marzo 2008, è stato automaticamente prorogato di 60 giorni in base al “meccanismo” di cui all’articolo 1, comma 90, della L. 247/2007 e quindi è scaduto il 30 maggio 2008.
Anche la delega prevista dall’articolo in esame, da esercitare con uno o più decreti legislativi entro sei mesi dall’entrata in vigore del provvedimento in esame, è volta a concedere ai lavoratori dipendenti impegnati in lavori o attività connotati da un particolare indice di stress psico-fisico (cfr. infra), che maturano i requisiti pensionistici a decorrere dal 1° gennaio 2008, la possibilità, su domanda, di accedere anticipatamente al trattamento pensionistico.
I principi e criteri direttivi per l’esercizio della delega vengono indicati per relationem. Si dispone infatti che, ai fini dell’attuazione della delega, si faccia riferimento ai principi e criteri direttivi di cui all'articolo 1, comma 3, lettere a), b), c), d), e), f) e g), della L. 247/2007. In sostanza vengono richiamati gli stessi principi e criteri direttivi previsti dalla precedente delega in materia di cui alla menzionata L. 247/2007, che come già detto non è stata esercitata entro il termine previsto (cfr. supra).
Si ricorda che l’articolo 1, comma 3, della L. 247/2007 ha dettato i seguenti principi e criteri direttivi per l’esercizio della delega.
Per quanto riguarda il beneficio pensionistico attribuito, si dispone (lettera a)) che debba essere previsto un requisito anagrafico minimo ridotto di 3 anni e, comunque, almeno pari a 57 anni di età, fermi restando il requisito minimo di anzianità contributiva pari a 35 anni e la disciplina relativa alla decorrenza del pensionamento (cd. “finestre”).
Per quanto riguarda i soggetti beneficiari, si dispone (lettera b)) che possano usufruire del pensionamento anticipato quattro diverse categorie di soggetti:
- i lavoratori impegnati in mansioni particolarmente usuranti di cui all’articolo 2 del D.M. 19 maggio 1999;
- i lavoratori subordinati notturni, così come definiti dal D.Lgs. 66/2003[10];
- i lavoratori addetti alla cd. “linea catena” che, nell’ambito di un processo produttivo in serie, svolgano lavori caratterizzati dalla ripetizione costante dello stesso ciclo lavorativo su parti staccate di un prodotto finale;
- conducenti di veicoli pesanti adibiti a servizi pubblici di trasporto di persone.
Viene tuttavia precisato (lettera c)) che i lavoratori, per usufruire dei benefici pensionistici in questione, non solamente devono svolgere le attività di cui alla precedente lettera b) al momento dell’accesso al trattamento pensionistico di anzianità ma devono aver svolto le medesime attività per un certo periodo di tempo e in particolare:
- nel periodo transitorio, per un arco di tempo minimo di 7 anni negli ultimi 10 anni di attività lavorativa;
- a regime, per un arco di tempo almeno pari alla metà della vita lavorativa.
Il legislatore delegato, inoltre, deve individuare la documentazione e gli elementi di prova di data certa volti a dimostrare il possesso dei requisiti soggettivi ed oggettivi nonché disciplinare il relativo procedimento di accertamento, anche tramite verifica ispettiva (lettera d)).
La successiva lettera e) contempla la necessità di prevedere sanzioni amministrative in misura non inferiore a 500 euro e non superiore a 2000 euro e altre misure di carattere sanzionatorio nell’ipotesi di omissione da parte del datore di lavoro degli adempimenti relativi agli obblighi di comunicazione ai competenti uffici della pubblica amministrazione dell’articolazione dell’attività produttiva ovvero dell’organizzazione dell’orario di lavoro aventi le caratteristiche di cui alla precedente lettera b) (cfr supra), relativamente, rispettivamente, alla c.d. ”linea catena” ed al lavoro notturno.
Secondo la medesima lettera e) il legislatore delegato deve prevedere inoltre, fermo restando quanto previsto dall’articolo 484 c.p. (concernente la falsità in registri e notificazioni) e le altre ipotesi di reato previste dalla legislazione vigente in caso di comunicazioni mendaci, anche relativamente ai presupposti del conseguimento dei benefici, una sanzione pecuniaria fino al 200% delle somme indebitamente percepite. Si consideri che quest’ultima fattispecie sanzionatoria sembrerebbe diretta ai casi di dichiarazioni non veritiere al fine di usufruire dei benefici previdenziali previsti per i lavoratori che svolgono attività usuranti.
La norma inoltre dispone che, nella specificazione dei criteri per la concessione dei benefici pensionistici in questione, deve essere assicurata la coerenza con il limite massimo delle risorse finanziarie di uno specifico Fondo, la cui dotazione finanziaria è pari a 83 milioni di euro per l’anno 2009, 200 milioni di euro per l’anno 2010, 312 milioni di euro per l’anno 2011, 350 milioni di euro per l’anno 2012, 383 milioni di euro a decorrere dall’anno 2013 (lettera f)).
Infine, si stabilisce (lettera g)) che, allorché dovesse verificarsi uno scostamento rispetto alle risorse finanziarie appositamente stanziate, il Ministro del lavoro debba informare tempestivamente il Ministro dell’economia ai fini dell’adozione dei provvedimenti di cui all’articolo 11-ter, comma 7, della L. 468/1978 (apposita relazione al Parlamento e conseguenti iniziative legislative).
L’articolo in esame si rifà alla disciplina della menzionata delega in materia di lavori usuranti di cui alla L. 247/2007 anche per quanto riguarda le modalità procedurali per l'emanazione dei decreti legislativi in questione (disponendo che si applicano al riguardo i commi 90 e 91 dell’articolo 1 della L. 247/2007), nonché la clausola di copertura finanziaria (disponendo che rimane valida la norma di copertura di cui al comma 92 del citato articolo 1).
I menzionati commi 90 e 91 disciplinano la procedura per l’emanazione dei decreti legislativi da adottare ai sensi della L. 247/2007.
Il comma 90, in particolare, dispone che tutti gli schemi di decreti legislativi siano deliberati in via preliminare dal Consiglio dei ministri sentite le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro maggiormente rappresentative a livello nazionale, nonché gli organismi a livello nazionale rappresentativi del personale militare e delle forze di polizia a ordinamento civile relativamente agli schemi dei decreti legislativi adottati ai sensi del comma 6, recante una delega finalizzata ad estendere l’obiettivo dell’elevazione dell’età media di accesso al pensionamento anche ai regimi pensionistici armonizzati e agli altri regimi e gestioni pensionistiche per cui siano previsti requisiti diversi da quelli vigenti nell’assicurazione generale obbligatoria.
Sugli schemi così deliberati è prevista l’acquisizione del parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano sulle materie di competenza.
Si dispone quindi che tali schemi siano trasmessi alle Camere ai fini dell'espressione dei pareri da parte delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per le conseguenze di carattere finanziario, da rendere entro 30 giorni dall’assegnazione. Le Commissioni parlamentari hanno la possibilità di chiedere una proroga di 20 giorni per l'espressione del parere, qualora ciò si renda necessario per la complessità della materia o per il numero degli schemi trasmessi nello stesso periodo all'esame delle stesse Commissioni.
Qualora i termini per l'espressione del parere delle Commissioni parlamentari scadano nei 30 giorni che precedono la scadenza del termine per l'esercizio della delega, o successivamente, quest'ultimo è prorogato di sessanta giorni. Il predetto termine è invece prorogato di 20 giorni nel caso in cui sia concessa la proroga del termine per l'espressione del parere.
Decorso il termine stabilito ai fini dell’espressione del parere (30 giorni dall’assegnazione), ovvero quello eventualmente prorogato (30 giorni dall’assegnazione più ulteriori 20 giorni), senza che le Commissioni abbiano espresso i pareri di rispettiva competenza, i decreti legislativi possono essere comunque emanati. Infine, si dispone che, entro i 30 giorni successivi all’espressione dei pareri, il Governo, qualora non intenda conformarsi alle condizioni eventualmente formulate nei medesimi pareri con riferimento all’esigenza di garantire il rispetto dell’articolo 81, quarto comma, della Costituzione (relativo alla copertura finanziaria dei provvedimenti legislativi), debba ritrasmettere alle Camere i testi, corredati dai necessari elementi integrativi di informazione, per i pareri definitivi delle competenti Commissioni, che devono essere espressi entro 30 giorni dalla data della trasmissione.
Il comma 91 reca l’autorizzazione ad adottare disposizioni correttive e integrative dei decreti legislativi in questione entro 18 mesi dalla data di entrata in vigore dei medesimi decreti, nel rispetto dei principi e criteri direttivi previsti dalla legge in esame e con le stesse modalità procedurali stabilite dal comma 90. Il medesimo comma reca altresì una delega al Governo, da esercitare entro 18 mesi dall’entrata in vigore delle disposizioni correttive e integrative, volta ad adottare i decreti legislativi recanti le norme eventualmente occorrenti per il coordinamento dei decreti emanati ai sensi della legge in esame con le altre leggi dello Stato e l'abrogazione delle norme divenute incompatibili.
Per quanto attiene ai maggiori oneri derivanti dalle disposizioni recate dalla L. 247/2007, il successivo comma 92 quantifica tali oneri in:
- 1.264 milioni di euro per l’anno 2008;
- 1.520 milioni di euro per l’anno 2009;
- 3.048 milioni di euro per ciascuno degli anni 2010 e 2011;
- 1.898 milioni di euro a decorrere dall’anno 2012.
La copertura finanziaria di tali oneri è posta a valere sulle risorse stanziate nell’apposito Fondo per il finanziamento del “Protocollo su previdenza, lavoro e competitività per l’equità e la crescita sostenibili” del 23 luglio 2007, istituito dall’articolo 2, comma 508, della legge finanziaria per il 2008 (L. 244/2007), entro il limite delle medesime risorse[11].
A tal fine, il primo periodo del comma 92 subordina l’efficacia delle disposizioni recate dalla L. 247/2007 all’entrata in vigore delle norme della legge finanziaria per il 2008 che recano l’istituzione del Fondo per il finanziamento del Protocollo del 23 luglio 2007 (articolo 2, comma 508, L. 244/2007), a valere sulle cui risorse è posta la copertura finanziaria degli oneri derivanti dalla L. 247/2007[12].
La dotazione del Fondo stabilita dalla legge finanziaria risulta capiente ai suddetti fini, in quanto risulta pari a 1.264 milioni di euro per il 2008, 1.520 milioni per il 2009, e a 3.048 milioni per ciascuno degli anni 2010 e 2011 e 1.898 milioni di euro annui a decorrere dal 2012 (coincidendo quindi con gli oneri quantificati dal comma 92).
In sostanza l’articolo in esame, “confermando” la norma di copertura di cui all’articolo 1, comma 92, della L. 247/2007, stabilisce che alla copertura finanziaria degli oneri derivanti dall’attuazione della delega in esame si provvede a valere sulle risorse stanziate nell’apposito Fondo per il finanziamento del Protocollo sul welfare del 23 luglio 2007, istituito dall’articolo 2, comma 508, della legge finanziaria per il 2008 (L. 244/2007).
Si ricorda, al riguardo, che il principio direttivo di cui all’articolo 1, comma 3, lettera f), della L. 247/2007, che si applica anche alla delega in esame, dispone che gli oneri determinati dai decreti legislativi attuativi della delega devono rimanere entro il limite massimo delle risorse finanziarie di uno specifico Fondo, la cui dotazione finanziaria è pari a 83 milioni di euro per l’anno 2009, 200 milioni di euro per l’anno 2010, 312 milioni di euro per l’anno 2011, 350 milioni di euro per l’anno 2012, 383 milioni di euro a decorrere dall’anno 2013.
Si può affermare che l’articolo in esame, disponendo una delega al Governo su materia identica a quella precedente di cui all’articolo 1, comma 3, della L. 247/2007, richiamando integralmente gli stessi principi e criteri direttivi di cui alla menzionata precedente delega, e, altresì, rifacendosi alla precedente delega anche per quanto riguarda le modalità procedurali per l'emanazione dei decreti legislativi nonché per le modalità di copertura finanziaria, in sostanza determina una riapertura dei termini per l’esercizio della delega in materia di pensionamento anticipato dei soggetti che svolgono lavori usuranti prevista dalla L. 247/2007.
Infine si ricorda che sono già all’esame della XI Commissione (Lavoro) le abbinate proposte di legge C. 1297 (Damiano ed altri) e C. 1367 (Cazzola ed altri), volte anch’esse a prevedere una disciplina in materia di pensionamento anticipato dei soggetti che svolgono lavori usuranti.
Articolo 24
(Deleghe al Governo per la
riorganizzazione di enti vigilati dal Ministero del lavoro, della salute e
delle politiche sociali)
1. Il Governo è delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi finalizzati alla riorganizzazione dell'Istituto superiore di sanità, dell'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, dell'Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro, degli Istituti zooprofilattici sperimentali, della Croce rossa italiana, della Lega italiana per la lotta contro i tumori, dell'Agenzia italiana del farmaco, dell'Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori, dell'Istituto per gli affari sociali e di Italia Lavoro Spa nonché alla ridefinizione del rapporto di vigilanza del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali sugli stessi enti, istituti e società, in base ai seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) semplificazione e snellimento dell'organizzazione e della struttura amministrativa degli enti, istituti e società vigilati, adeguando le stesse ai princìpi di efficacia, efficienza ed economicità dell'attività amministrativa e all'organizzazione del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, prevedendo altresì la trasformazione di Italia Lavoro Spa in ente pubblico economico, con eventuale incorporazione nello stesso, in tutto o in parte, dell'Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori e dell'Istituto per gli affari sociali;
b) razionalizzazione e ottimizzazione delle spese e dei costi di funzionamento, previa riorganizzazione dei relativi centri di spesa e mediante adeguamento dell'organizzazione e della struttura amministrativa degli enti e istituti vigilati ai princìpi e alle esigenze di razionalizzazione di cui all'articolo 1, comma 404, della legge 27 dicembre 2006, n. 296;
c) ridefinizione del rapporto di vigilanza tra il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali e gli enti e istituti vigilati, prevedendo, in particolare, la possibilità per il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali di emanare indirizzi e direttive nei confronti degli enti o istituti sottoposti alla sua vigilanza;
d) previsione dell'obbligo degli enti e istituti vigilati di adeguare i propri statuti alle disposizioni dei decreti legislativi emanati in attuazione del presente articolo, entro il termine di un anno dalla data di entrata in vigore degli stessi.
2. I decreti legislativi di cui al comma 1 sono emanati su proposta del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, con il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione e con il Ministro dello sviluppo economico, previo parere delle competenti Commissioni parlamentari e della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. I pareri sono espressi, rispettivamente, entro quaranta ed entro trenta giorni dalla data di trasmissione degli schemi di decreti legislativi; decorsi tali termini i decreti sono emanati anche in assenza dei pareri.
3. L'adozione dei decreti legislativi attuativi della delega di cui al presente articolo non deve comportare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
4. Entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, si procede al riordino degli organi collegiali e degli altri organismi istituiti con legge o con regolamento nell'amministrazione centrale della salute, mediante l'emanazione di regolamenti adottati ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, nel rispetto dei seguenti criteri:
a) eliminazione delle duplicazioni organizzative e funzionali;
b) razionalizzazione delle competenze delle strutture che svolgono funzioni omogenee;
c) limitazione del numero delle strutture a quelle strettamente indispensabili all'adempimento delle funzioni riguardanti la tutela della salute;
d) diminuzione del numero dei componenti degli organismi.
L’articolo 24 delega il Governo ad adottare, entro dodici mesi dall’entrata in vigore del provvedimento, uno o più decreti legislativi volti a riorganizzare una serie di enti vigilati dal Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, nonché a ridefinire il rapporto di vigilanza del menzionato Ministero sugli stessi enti. Si tratta, in particolare: dell'Istituto superiore di sanità, dell'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, dell'Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro, degli Istituti zooprofilattici sperimentali, della Croce rossa italiana, della Lega italiana per la lotta contro i tumori, dell'Agenzia italiana del farmaco, dell'Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori, dell'Istituto per gli affari sociali e di Italia Lavoro Spa.
La delega deve essere esercitata sulla base dei seguenti criteri e principi direttivi (comma 1):
§ semplificare e snellire l’organizzazione e la struttura amministrativa dei suddetti enti, prevedendo anche la trasformazione di Italia Lavoro Spa in ente pubblico economico, con eventuale incorporazione nel medesimo dell'Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori e dell'Istituto per gli affari sociali;
§ razionalizzare e ottimizzare i costi di funzionamento, attraverso la riorganizzazione dei centri di spesa e l’adeguamento dell’organizzazione e della struttura amministrativa degli enti vigilati ai principi di razionalizzazione di cui al comma 404 dell’articolo 1 della L. 296/2006 (legge finanziaria 2007);
Il comma 404 dell’articolo 1 della L. 296/2006, al fine di razionalizzare e ottimizzare l'organizzazione delle spese e dei costi di funzionamento dei Ministeri, aveva disposto l’emanazione di regolamenti ai sensi dell'articolo 17, comma 4-bis della legge n. 400 del 1988, fissando peraltro il termine del 30 aprile 2007.
Nell’indicare con maggiore dettaglio le finalità di tale opera di riorganizzazione, il menzionato comma 404 precisava i seguenti punti:
- riorganizzazione degli uffici di livello dirigenziale generale e non generale, procedendo alla riduzione in misura non inferiore al 10 per cento di quelli di livello dirigenziale generale ed al 5 per cento di quelli di livello dirigenziale non generale (lettera a));
- gestione unitaria del personale e dei servizi comuni anche mediante strumenti di innovazione amministrativa e tecnologica (lettera b));
- rideterminazione delle strutture periferiche (lettera c));
- riorganizzazione degli uffici con funzioni ispettive e di controllo (lettera d));
- riduzione degli organismi di analisi, consulenza e studio di elevata specializzazione (lettera e));
- riduzione delle dotazioni organiche in modo da assicurare che il personale utilizzato per funzioni di supporto (gestione delle risorse umane, sistemi informativi, servizi manutentivi e logistici, affari generali, provveditorati e contabilità) non ecceda comunque il 15 per cento delle risorse umane complessivamente utilizzate da ogni amministrazione, mediante processi di riorganizzazione e di formazione e riconversione del personale addetto alle predette funzioni che consentano di ridurne il numero in misura non inferiore all'8 per cento all'anno fino al raggiungimento del limite predetto (lettera f));
- avvio della ristrutturazione della rete diplomatica, consolare e degli istituti di cultura ed in particolare l'unificazione dei servizi contabili degli uffici della rete diplomatica aventi sede nella stessa città estera (lettera g)).
Il comma 2 dispone che i menzionati decreti legislativi devono essere emanati su proposta del Ministro del lavoro, di concerto con il Ministro dell’economia, con il Ministro per la pubblica amministrazione e con il Ministro dello sviluppo economico, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti e della Conferenza Stato-regioni, da esprimersi rispettivamente entro 40 ed entro 30 giorni dalla data di trasmissione.
Il comma 3 precisa che i decreti legislativi in questione non devono recare nuovi oneri per la finanza pubblica.
Il comma 4 prevede l’emanazione, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, di regolamenti adottati ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, per il riordino degli organi collegiali e degli altri organismi istituiti con legge o con regolamento nell'amministrazione centrale della salute, nel rispetto dei seguenti criteri:
a) eliminazione delle duplicazioni organizzative e funzionali;
b) razionalizzazione delle competenze delle strutture che svolgono funzioni omogenee;
c) limitazione del numero delle strutture a quelle strettamente indispensabili all'adempimento delle funzioni riguardanti la tutela della salute;
d) diminuzione del numero dei componenti degli organismi.
L’articolo 17, comma 2, della legge n. 400/88 prevede che con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il Consiglio di Stato, sono emanati i regolamenti per la disciplina delle materie, non coperte da riserva assoluta di legge prevista dalla Costituzione, per le quali le leggi della Repubblica, autorizzando l'esercizio della potestà regolamentare del Governo, determinano le norme generali regolatrici della materia e dispongono l'abrogazione delle norme vigenti, con effetto dall'entrata in vigore delle norme regolamentari.
1. All'articolo 3 del decreto-legge 22 febbraio 2002, n. 12, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2002, n. 73, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) il comma 3 è sostituito dal seguente:
«3. Ferma restando l'applicazione delle sanzioni già previste dalla normativa in vigore, l'impiego di lavoratori senza preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro, da parte del datore di lavoro privato, con la sola esclusione del datore di lavoro domestico, è altresì punito con la sanzione amministrativa da euro 1.500 a euro 12.000 per ciascun lavoratore, maggiorata di euro 150 per ciascuna giornata di lavoro effettivo. L'importo della sanzione è da euro 1.000 a euro 8.000 per ciascun lavoratore, maggiorato di euro 30 per ciascuna giornata di lavoro irregolare nel caso in cui il lavoratore risulti regolarmente occupato per un periodo lavorativo successivo. L'importo delle sanzioni civili connesse all'evasione dei contributi e dei premi riferiti a ciascun lavoratore di cui ai periodi precedenti è aumentato del 50 per cento»;
b) il comma 4 è sostituito dal seguente:
«4. Le sanzioni di cui al comma 3 non trovano applicazione qualora, dalle registrazioni effettuate sul libro unico del lavoro nel mese precedente all'accertamento ispettivo oppure da altri adempimenti obbligatori precedentemente assolti, si evidenzi comunque la volontà di non occultare il rapporto, anche se trattasi di differente qualificazione»;
c) il comma 5 è sostituito dal seguente:
«5. All'irrogazione delle sanzioni amministrative di cui al comma 3 provvedono gli organi di vigilanza che effettuano accertamenti in materia di lavoro, fisco e previdenza. Autorità competente a ricevere il rapporto ai sensi dell'articolo 17 della legge 24 novembre 1981, n. 689, è la direzione provinciale del lavoro territorialmente competente».
2. Al comma 7-bis dell'articolo 36-bis del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, introdotto dall'articolo 1, comma 54, della legge 24 dicembre 2007, n. 247, la parola: «constatate» è sostituita dalla seguente: «commesse».
L’articolo 32 reca disposizioni in materia di sanzioni relative all’utilizzo di lavoro irregolare.
Il comma 1 modifica, tramite novella, la disciplina di cui ai commi da 3 a 5 dell’articolo 3 del D.L. 12/2002[13], relativa alle sanzioni amministrative e civili previste in caso di impiego di personale non risultante dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria.
In particolare, la lettera a) del comma in esame provvede a sostituire il comma 3 dell’articolo 3 del D.L. 12/2002.
Si ricorda che il menzionato comma 3, così come modificato dall’art. 36-bis del D.L. 223/2006[14], al fine di rendere più efficace, in termini di deterrenza, la previsione sanzionatoria relativa all’impiego di lavoratori non risultanti dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria, prevede in tal caso la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 1.500 a euro 12.000 per ciascun lavoratore, maggiorata di 150 euro per ciascuna giornata di lavoro effettivo.
Inoltre, con la stessa finalità di rendere più rigorosa la disciplina sanzionatoria nel caso di utilizzazione di “lavoro nero”, si prevede che l’importo delle sanzioni civili connesse all’omesso versamento dei contributi e premi riferiti a ciascun lavoratore impiegato irregolarmente non può essere inferiore a 3.000 euro, a prescindere dalla durata della prestazione lavorativa accertata.
In primo luogo al menzionato comma 3, così come sostituito dalla disposizione in esame, per individuare l’oggetto della violazione si fa riferimento non più all'impiego di lavoratori non risultanti dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria, bensì all’impiego di lavoratori senza preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto lavorativo (da parte del datore di lavoro privato). Inoltre si escludono dai soggetti passibili delle sanzioni i datori di lavoro domestico.
Inoltre, con una significativa modifica, viene introdotta una sanzione amministrativa più lieve per coloro che, dopo aver utilizzato lavoro irregolare, abbiano successivamente regolarizzato il lavoratore in tal modo impiegato. Difatti, si prevede la sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000 euro a 8.000 euro per ciascun lavoratore, maggiorata di 30 euro per ciascuna giornata di lavoro irregolare, nel caso in cui il lavoratore risulti regolarmente impiegato per un periodo lavorativo successivo.
Un’altra modifica di notevole portata riguarda l’entità della sanzioni civili applicate, prevedendosi che l’importo delle sanzioni civili connesse all’omesso versamento dei contributi e premi riferiti a ciascun lavoratore impiegato irregolarmente è aumentato del 50%. Si rammenta che invece il vigente comma 3 prevede che tale importo non può essere inferiore a 3.000 euro, a prescindere dalla durata della prestazione lavorativa accertata.
La lettera b) del comma in esame, invece, sostituendo il comma 4 dell’articolo 3 del D.L. 12/2002, introduce una norma volta ad escludere dall’applicazione delle sanzioni amministrative e civili relative all’impiego di lavoro sommerso coloro che non abbiano dolosamente occultato il rapporto di lavoro. In particolare si prevede che le menzionate sanzioni non si applicano nel caso in cui, dalle registrazioni effettuate sul libro unico del lavoro nel mese precedente all’ispezione oppure da altri adempimenti obbligatori in precedenza assolti, si rilevi comunque l’intenzione di non occultare il rapporto lavorativo, anche se al medesimo è stata attribuita una diversa qualificazione.
Si ricorda che l’articolo 39 del D.L. 112/2008[15], al fine di introdurre alcune misure di semplificazione per quanto riguarda gli adempimenti obbligatori di natura formale nella gestione dei rapporti di lavoro, prevede l’istituzione del libro unico del lavoro, il quale sostituisce i libri che il datore di lavoro doveva obbligatoriamente istituire ai sensi della normativa precedente e cioè, in particolare, il libro matricola e il libro paga[16].
In particolare, si dispone (comma 1) che il libro unico del lavoro deve essere istituito e tenuto da ogni datore di lavoro privato, con la sola esclusione del datore di lavoro domestico. In questo documento sono iscritti tutti i lavoratori subordinati, i collaboratori coordinati e continuativi e gli associati in partecipazione con apporto lavorativo. Inoltre, per ciascun lavoratore devono essere indicati il nominativo, il codice fiscale e, ove ricorrano, la qualifica e il livello, la retribuzione base, l’anzianità di servizio, nonché le relative posizioni assicurative.
Per quanto riguarda gli obblighi relativi alla tenuta del libro unico del lavoro, si stabilisce (comma 2) che nel medesimo debba essere annotata ogni dazione in danaro o in natura corrisposta o gestita dal datore di lavoro, indicando distintamente le somme erogate a titolo di premio o per lavoro straordinario. Il libro unico del lavoro deve altresì contenere un calendario delle presenze del lavoratore, da cui deve risultare, per ogni giornata, il numero di ore di lavoro effettuate da ciascun lavoratore dipendente, nonché l’indicazione delle ore di lavoro straordinario, delle assenze dal lavoro, delle ferie e dei riposi.
I dati sopra indicati devono essere riportati per ciascun mese di riferimento ed entro il 16 del mese successivo (comma 3).
Si rinvia a un decreto del Ministro del lavoro, da adottarsi entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame, la disciplina delle modalità e dei tempi di tenuta e conservazione del libro unico del lavoro nonché del relativo regime transitorio (comma 4)[17].
Inoltre, si stabilisce che la consegna in copia al lavoratore delle scritturazioni effettuate sul libro unico del lavoro comporta per il datore di lavoro l’adempimento degli obblighi di cui alla L. 4/1953, relativi alla consegna dei prospetti di paga (comma 5).
Vengono stabilite (comma 6) le seguenti sanzioni da applicare in caso di omissioni nella istituzione, tenuta ed esibizione del libro unico del lavoro:
- una sanzione pecuniaria amministrativa da 500 a 2.500 euro in caso di mancata istituzione e tenuta;
- una sanzione pecuniaria amministrativa da 200 a 2.000 euro nei casi di omessa esibizione agli organi di vigilanza;
- una sanzione pecuniaria amministrativa da 250 a 2.000 euro per i soggetti di cui all’articolo 1, comma 4, della L. 12/1979[18] che, senza giustificato motivo, non ottemperino entro quindici giorni alla richiesta degli organi di vigilanza di esibire la documentazione in loro possesso; in caso di recidiva di tale violazione, la stessa sanzione varia da 500 a 3000. I soggetti cui si riferisce la norma sono i servizi o i centri di assistenza fiscale istituiti dalle rispettiva associazioni di categoria cui le imprese artigiane, nonché le altre piccole imprese, anche in forma cooperativa, possono affidare l’esecuzione degli adempimenti in materia di lavoro, previdenza ed assistenza sociale dei lavoratori dipendenti.
Inoltre, si prevedono (comma 7) specifiche sanzioni per irregolarità nella tenuta del libro unico del lavoro:
- una sanzione pecuniaria amministrativa da 150 a 1.500 euro nei casi di omessa o infedele registrazione dei dati relativi ai nominativi dei lavoratori impiegati, alle retribuzioni e alle dazioni in danaro o in natura, nonché quelle relative alle presenze (di cui ai commi 1 e 2 dell’articolo in esame), qualora tali violazioni determinano differenti trattamenti retributivi, previdenziali o fiscali. Tale sanzione va da 500 a 3000 euro se tale violazione si riferisce a più di dieci lavoratori;
- una sanzione pecuniaria amministrativa da 100 a 600 euro se la violazione si riferisce all’obbligo di riportare i dati per ciascun mese di riferimento (di cui al comma 3 dell’articolo in esame). Tale sanzione va da 150 a 1.500 euro se tale violazione si riferisce a più di dieci lavoratori;
- una sanzione pecuniaria amministrativa da 100 a 600 euro nel caso di mancata conservazione del libro unico del lavoro per il periodo temporale stabilito nel previsto decreto del Ministro del lavoro (di cui al comma 4 dell’articolo in esame).
Viene precisato che alla contestazione delle sanzioni amministrative esaminate provvedono gli organi di vigilanza che effettuano accertamenti in materia di lavoro e previdenza e che l’autorità competente a ricevere il rapporto ai sensi dell’articolo 17 della L. 689/1981[19]è la Direzione provinciale del lavoro territorialmente competente.
Si evidenzia, infine, che, in connessione all’istituzione del libro unico del lavoro, si dispone (comma 10) l’abrogazione delle norme relative all’obbligo e alle modalità di tenuta del libro matricola e del libro paga (articolo 134 del R.D. 1422/1924; articolo 7 della L. 1122/1955; articoli 39 e 41 del D.P.R. 797/1955; artt. 20, 21, 25 e 26 del D.P.R. 1124/1965; art. 42 della L. 153/1969; art. 1, comma 1178, della L. 296/2006; D.M. 30 ottobre 2002), nonché del registro d’impresa nel settore agricolo (art. 9-quater del D.L. 510/1996).
La lettera c) del comma in esame, novellando il comma 5 dell’articolo 3 del D.L. 12/2002, è volta a modificare le norme relative alla competenza all’irrogazione delle sanzioni amministrative relative all’impiego di lavoro irregolare.
Si ricorda che il vigente comma 4 del menzionato articolo 3 (recante una disposizione che viene in pratica soppressa dalla lettera b) del comma in esame: cfr. supra) dispone che alla constatazione delle violazione relative all’impiego di lavoro irregolare procedono gli organi preposti ai controlli in materia fiscale, contributiva e del lavoro.
Invece il successivo comma 5, così come novellato dall’articolo 36-bis, comma 7, lettera b), del D.L. 223/2006, attribuisce la competenza all’irrogazione della sanzione amministrativa per l’impiego di lavoratori non risultanti dalle scritture obbligatorie alla Direzione provinciale del lavoro competente per territorio. Si consideri che invece la previgente formulazione del comma 5 attribuiva la competenza in questione all’Agenzia delle entrate.
La formulazione del menzionato comma 5 introdotta dalla disposizione in esame attribuisce la competenza all’irrogazione delle sanzioni amministrative relative all’impiego di lavoro irregolare agli organi ispettivi che effettuano controlli in materia di lavoro, fisco e previdenza. Viene altresì precisato che l’autorità competente a ricevere il rapporto ai sensi dell’articolo 17 della L. 689/1981 è la Direzione provinciale del lavoro competente per territorio.
Si ricorda che il citato articolo 17 dispone che, qualora non sia stato effettuato il pagamento in misura ridotta della sanzione amministrativa pecuniaria, il funzionario o l'agente che ha accertato la violazione deve presentare rapporto, con la prova delle eseguite contestazioni o notificazioni, all'ufficio periferico cui sono demandati attribuzioni e compiti del Ministero nella cui competenza rientra la materia alla quale si riferisce la violazione o, in mancanza, al prefetto (attualmente: Ufficio Territoriale del Governo – UTG).
Infine, il comma 2 dell’articolo in esame è volto a novellare il comma 7-bis dell’articolo 36-bis del D.L. 223/2006, introdotto dall’articolo 1, comma 54, della L. 247/2007 recante attuazione del Protocollo sul welfare del 23 luglio 2007.
Il citato comma 7-bis prevede che l'adozione dei provvedimenti sanzionatori amministrativi di cui all'articolo 3 del D.L. 12/2002, relativi alle violazioni constatate prima dell’entrata in vigore del D.L. 223/2006, rimane di competenza dell'Agenzia delle entrate, in luogo della Direzione provinciale del lavoro.
In sostanza, la disposizione è volta a distinguere la competenza sulla irrogazione delle sanzioni amministrative relative all’impiego di lavoratori non risultanti dalle scritture obbligatorie a seconda del momento della constatazione delle medesime violazioni. Per le violazioni constatate prima dell’entrata in vigore del D.L. 223/2206 la competenza viene attribuita all’Agenzia delle entrate, mentre per le violazioni constatate successivamente all’entrata in vigore del D.L. 223/2206 la competenza spetta alla Direzione provinciale del lavoro.
Il comma 7-bis, inoltre, dispone che tale adozione di sanzioni effettuata dall’Agenzia delle entrate sia soggetta alle disposizioni del D.Lgs. 472/1997[20], relativo alle sanzioni amministrative comminate per violazioni tributarie, ad eccezione del comma 2 dell'articolo 16 dello stesso D.Lgs. 472[21].
In particolare, a seguito della modifica in esame, si dispone che rimane di competenza dell'Agenzia delle entrate l'adozione dei suddetti provvedimenti sanzionatori amministrativi relativi alle violazioni “commesse”(anziché “constatate”) prima dell’entrata in vigore del D.L. 223/2006[22].
Pertanto, la disposizione in esame è volta ad ampliare, sul piano temporale, la residua competenza “ad esaurimento” dell’Agenzia delle entrate all’adozione dei summenzionati provvedimenti sanzionatori amministrativi, estendendo tale competenza a tutte le violazioni commesse in data antecedente a quella di entrata in vigore del D.L. 223/2006, a prescindere dal momento in cui avviene la constatazione di tali sanzioni da parte degli organi ispettivi. Invece, ai sensi della normativa vigente, è necessario, a tali fini, che la violazione sia stata non solo commessa ma anche constatata prima della data di entrata in vigore del D.L. 223/2006.
Il 15 luglio 2008 il Consiglio ha adottato la decisione sugli orientamenti a favore dell’occupazione che, insieme alla raccomandazione relativa agli indirizzi di massima per le politiche economiche degli Stati membri e della Comunità, forma gli orientamenti integrati per la crescita e l’occupazione[23].
In particolare, la decisione comprende l’orientamento 21 “Favorire al tempo stesso flessibilità e sicurezza occupazionale e ridurre la segmentazione del mercato del lavoro, tenendo debito conto del ruolo delle parti sociali” sottolinea l’esigenza di affrontare il problema del lavoro clandestino.
Nel 2006 la Commissione ha avviato un dibattito pubblico sull’evoluzione del diritto del lavoro in modo tale da sostenere gli obiettivi della strategia di Lisbona ed ottenere una crescita sostenibile con più posti di lavoro di migliore qualità. A conclusione del processo di consultazione (avviato sulla base di un apposito Libro verde), la Commissione ha presentato, il 27 giugno 2007, una comunicazione intesa a definire principi comuni in materia di flessicurezza per consentire agli Stati membri di sviluppare strategie di flessicurezza adattate al proprio contesto nazionale.
La comunicazione delinea proposte in merito a otto principi comuni di flessicurezza tra cui il seguente:
“la flessicurezza dovrebbe promuovere mercati del lavoro aperti, reattivi e inclusivi, superando la segmentazione. Riguarda sia gli occupati sia i non occupati. Le persone inattive, i disoccupati, i lavoratori irregolari, i precari o quanti si trovano ai margini del mercato del lavoro hanno bisogno di vedersi offrire migliori opportunità, incentivi economici e misure di sostegno per un più facile accesso al lavoro o di supporti per essere aiutati a progredire verso un’occupazione stabile e giuridicamente sicura. Il sostegno dovrebbe essere disponibile per tutti gli occupati al fine di rimanere occupabili, progredire e gestire le transizioni verso il mondo del lavoro e da un posto di lavoro all’altro”.
I principi comuni sono stati accolti con favore dal Parlamento europeo e dal Consiglio occupazione che ha invitato la Commissione ad assumere le iniziative necessarie per consentire l’attuazione dell’approccio proposto per gli Stati membri.
Il Parlamento europeo, in particolare, nella risoluzione dell’11 luglio 2007 su “modernizzare il diritto del lavoro per rispondere alle sfide del XXI secolo” sottolinea che la lotta contro il lavoro sommerso rientri tra le priorità di una riforma del diritto del lavoro negli Stati membri. Il Parlamento europeo, inoltre, invita gli Stati membri a rivedere e adattare i sistemi di previdenza sociale e a completare le politiche attive del mercato del lavoro, segnatamente la formazione e l’apprendimento permanente allo scopo di realizzare nuove realtà lavorative, sostenere le transizioni tra professioni e il reinserimento nel mercato del lavoro per evitare una non necessaria dipendenza dai sussidi e dal lavoro sommerso.
Il Consiglio europeo del 13 e 14 marzo 2008, ha invitato gli Stati membri ad attuare i principi comuni concordati di flessicurezza delineando nei loro programmi nazionali di riforma per il 2008 le modalità nazionali di attuazione di tali principi.
Il 19 maggio 2008 la Commissione ha lanciato, in cooperazione con le parti sociali europee, la “missione per la flessicurezza”, un’iniziativa per contribuire alla messa in pratica, a livello nazionale, della flessicurezza. Le conclusioni della missione saranno illustrate in un rapporto che sarà pubblicato a dicembre 2008.
1. Il comma 1 dell'articolo 35 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, è sostituito dal seguente:
«1. Le pubbliche amministrazioni coprono i propri fabbisogni nel rispetto del principio del prevalente accesso dall'esterno, tramite concorso pubblico, e del previo esperimento delle procedure di mobilità, con le modalità da adottare nei propri regolamenti di organizzazione. L'assunzione nelle amministrazioni pubbliche avviene con contratto individuale di lavoro:
a) tramite procedure selettive conformi ai princìpi di cui al comma 3, volte all'accertamento della professionalità richiesta;
b) mediante avviamento degli iscritti negli elenchi anagrafici ai sensi della legislazione vigente per le qualifiche e profili per i quali è richiesto il solo requisito della scuola dell'obbligo, facendo salvi gli eventuali ulteriori requisiti per specifiche professionalità».
2. Al comma 4 dell'articolo 35 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, dopo il primo periodo è inserito il seguente: «A tali fini le dotazioni organiche sono articolate per area o categoria, profilo professionale e posizione economica».
3. Al comma 5 dell'articolo 35 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, è premesso il seguente periodo: «Le amministrazioni dello Stato e gli enti pubblici non economici individuano i posti per i quali avviare le procedure concorsuali dall'esterno e di progressione interna nella programmazione triennale dei fabbisogni con riferimento alle sedi di servizio e, ove ciò non sia possibile, con riferimento ad ambiti regionali».
4. Al comma 5-bis dell'articolo 35 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, introdotto dall'articolo 1, comma 230, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, dopo le parole: «I vincitori dei concorsi» sono inserite le seguenti: «e i vincitori delle procedure di progressione verticale» ed è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Nelle procedure di progressione verticale la permanenza nelle sedi carenti di organico, individuate dalle amministrazioni e comunicate alla Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica, è considerata titolo di preferenza».
L'articolo 37 reca alcune modifiche all’articolo 35 del D.Lgs. 165/2001[24], in materia di reclutamento del personale delle pubbliche amministrazioni. In particolare:
§ si sostituisce il comma 1 del citato articolo 35, al fine di evidenziare il principio della prevalenza, nel coprire il proprio fabbisogno di personale, del reclutamento dall’esterno tramite concorsi pubblici, previo ricorso alla mobilità (comma 1);
§ si modifica il comma 4 del medesimo articolo 35, al fine di precisare che, in maniera funzionale rispetto alle determinazioni sull’avvio di procedure di reclutamento, le dotazioni organiche devono essere articolate per area o categoria, profilo professionale e posizione economica (comma 2);
§ modificando il comma 5 del più volte richiamato articolo 35, si dispone l’obbligo, per le amministrazioni dello Stato e gli enti pubblici non economici, di individuare i posti da ricoprire, in sede di programmazione triennale del fabbisogno di personale, con riferimento alle sedi di servizio ovvero all'ambito regionale (comma 3);
§ novellando il successivo comma 5-bis, si stabilisce l’obbligo, per i vincitori delle procedure di progressione verticale di permanenza nella sede di destinazione per un periodo di almeno cinque anni, e si considera titolo di preferenza nelle stesse procedure la permanenza in sedi carenti di organico (comma 4).
Come già detto, il comma 1 dell’articolo in esame sostituisce il comma 1 dell’articolo 35 del D.Lgs. 165/2001, in modo da inserire una precisazione sulle modalità di soddisfacimento del fabbisogno di personale.
Il vigente articolo 35, comma 1, del D.Lgs. 165/2001 prevede che l'assunzione nelle amministrazioni pubbliche avvenga, con contratto individuale di lavoro:
a) tramite procedure selettive, conformi a determinati principi stabiliti dal comma 3[25], volte all'accertamento della professionalità richiesta, che garantiscano in misura adeguata l'accesso dall'esterno;
b) tramite avviamento degli iscritti nelle liste di collocamento ai sensi della normativa vigente per le qualifiche e profili per i quali è richiesto il solo requisito della scuola dell'obbligo, facendo salvi gli eventuali ulteriori requisiti per specifiche professionalità.
Rispetto al testo vigente, il nuovo testo del comma 1 precisa che le pubbliche amministrazioni debbano coprire i propri fabbisogni di personale nel rispetto del principio del prevalente accesso dall'esterno, tramite procedure concorsuali, e del previo esperimento delle procedure di mobilità, con le modalità da definire nei propri regolamenti di organizzazione.
Per il resto, viene confermata sostanzialmente la disposizione contenuta nel testo vigente, con limitate modifiche di carattere formale, alcune consequenziali alla suddetto principio introdotto (come nella lettera a)), altre volte ad adeguarsi alla nuova disciplina del collocamento pubblico (facendo riferimento agli elenchi anagrafici e non più alle liste di collocamento: vedi lettera b)).
Il comma 2, come accennato in precedenza, novella il comma 4 del medesimo articolo 35 aggiungendo un’ulteriore periodo.
Si ricorda che il citato articolo 35, comma 4, del D.Lgs. 165/2001 stabilisce che le determinazioni relative all'avvio di procedure di reclutamento sono adottate da ciascuna amministrazione o ente sulla base della programmazione triennale del fabbisogno di personale. Per le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, le agenzie, ivi compresa l'Agenzia autonoma per la gestione dell'albo dei segretari comunali e provinciali, gli enti pubblici non economici e gli enti di ricerca, con organico superiore alle 200 unità, l'avvio delle procedure concorsuali è subordinato all'emanazione di apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare su proposta del Ministro per la funzione pubblica di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze.
Inoltre, il comma 4-bis del medesimo articolo 35 estende la procedura autorizzatoria tramite apposito D.P.C.M., prevista dal precedente comma 4 per l’avvio delle procedure di reclutamento del personale a tempo indeterminato, alle procedure di reclutamento dirette a selezionare personale a tempo determinato per contingenti superiori alle cinque unità, inclusi i contratti di formazione e lavoro, precisando che l’avvio delle procedure di reclutamento debba tener conto degli aspetti finanziari e dei criteri di cui al successivo articolo 36 (relativi ai limiti per l’utilizzazione di forme contrattuali flessibili di assunzione e di impiego del personale).
In particolare, tramite tale modifica, si dispone che, ai fini delle determinazioni relative all'avvio delle procedure di reclutamento, da adottare da ciascuna amministrazione o ente sulla base della programmazione triennale del fabbisogno di personale deliberata ai sensi dell'articolo 39 della L. 27 dicembre 1997, n. 449 (provvedimento collegato alla manovra finanziaria per il 1998)[26], le dotazioni organiche devono essere articolate per area o categoria, profilo professionale e posizione economica.
Il successivo comma 3 integra il comma 5 del più volte richiamato articolo 35.
Il comma 5 stabilisce che i concorsi pubblici per le assunzioni nelle amministrazioni statali e nelle aziende autonome si espletano di norma a livello regionale. Eventuali deroghe, per ragioni tecnico-amministrative o di economicità, devono essere autorizzate dal Presidente del Consiglio. Si prevede inoltre la possibilità, per gli uffici aventi sede regionale, compartimentale o provinciale, di bandire concorsi unici circoscrizionali per l'accesso alle varie professionalità.
In particolare, aggiungendo un periodo all’inizio del menzionato comma 5, il comma in esame introduce l’obbligo, per le amministrazioni dello Stato e gli enti pubblici non economici, di individuare i posti per i quali avviare le procedure concorsuali dall'esterno e di progressione interna, nell’ambito della programmazione triennale dei fabbisogni, con riferimento alle sedi di servizio e, ove ciò non sia possibile, con riferimento ad ambiti regionali.
Il comma 4, infine, reca alcune modifiche al comma 5-bis del più volte citato articolo 35.
Introdotto dall’articolo 1, comma 230, della legge finanziaria per il 2006 (L. 266/2005), il menzionato comma 5-bis obbliga i vincitori dei concorsi a permanere nella sede di prima destinazione per un periodo non inferiore a cinque anni, disponendo che tale obbligo non è derogabile dai contratti collettivi.
Rispetto al testo vigente, si prevede che l’obbligo di permanenza quinquennale nella sede di destinazione operi anche per i vincitori delle procedure di progressione verticale (cioè sostanzialmente i vincitori di “concorsi interni”).
Inoltre, si dispone che ai fini della formazione delle graduatorie nelle procedure di progressione verticale, sia considerata titolo di preferenza la permanenza nelle sedi carenti di organico, individuate dalle amministrazioni e comunicate al Dipartimento della funzione pubblica presso la Presidenza del Consiglio dei ministri.
1. In caso di conferimento di funzioni statali alle regioni e alle autonomie locali ovvero di trasferimento o di conferimento di attività svolte da pubbliche amministrazioni ad altri soggetti pubblici ovvero di esternalizzazione di attività e di servizi, si applicano al personale ivi adibito, in caso di esubero, le disposizioni dell'articolo 33 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.
2. Il personale che oppone un reiterato rifiuto, pari a due volte in cinque anni, per giustificate e obiettive esigenze di organizzazione dell'amministrazione, si considera in posizione di esubero, con conseguente applicazione di quanto previsto dall'articolo 33 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.
3. All'articolo 30 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, dopo il comma 2-quinquies è aggiunto il seguente:
«2-sexies. Le pubbliche amministrazioni, per motivate esigenze organizzative, risultanti dai documenti di programmazione previsti all'articolo 6, possono utilizzare in assegnazione temporanea, con le modalità previste dai rispettivi ordinamenti, personale di altre amministrazioni per un periodo non superiore a tre anni, fermi restando quanto già previsto da norme speciali sulla materia, nonché il regime di spesa eventualmente previsto da tali norme e dal presente decreto».
L’articolo 38 reca disposizioni in materia di mobilità del personale delle amministrazioni pubbliche.
In particolare il comma 1 dispone che, se a seguito di conferimento di funzioni statali alle regioni ed agli enti locali ovvero di trasferimento di attività svolte da pubbliche amministrazioni ad altri soggetti pubblici ovvero di esternalizzazione di attività e servizi il personale adibito a tali funzioni risulta in eccedenza, a tale personale si applicano le disposizioni in materia di mobilità collettiva e di collocamento in disponibilità di cui all’articolo 33 del D.Lgs. 165/2001.
La disciplina della gestione del personale in esubero delle pubbliche amministrazioni è contenuta principalmente negli articoli 33, 34 e 34-bis del D.Lgs. 165/2001, che prevedono in primo luogo che sia attivata una apposita procedura volta a raggiungere un accordo con le organizzazioni sindacali per ricollocare almeno parzialmente il personale in esubero nell'ambito della medesima amministrazione o presso altre amministrazioni (cd. “mobilità collettiva”). All’esito di tale procedura, il personale eccedente di cui non è stata possibile la ricollocazione lavorativa viene collocato in disponibilità e quindi, oltre a percepire un’apposita indennità, viene iscritto in appositi elenchi da cui si attinge preliminarmente per soddisfare le esigenze di personale delle amministrazioni pubbliche che presentano necessità di assumere nuovo personale. Decorso il termine massimo di ventiquattro mesi dal collocamento in disponibilità, anche in mancanza di ricollocazione presso altra amministrazione, il rapporto di lavoro si intende definitivamente risolto di diritto.
Più in dettaglio, l’articolo 33, al comma 1, dispone che le pubbliche amministrazioni che rilevino esuberi di personale sono tenute ad informare preventivamente le organizzazioni sindacali e ad osservare le apposite procedure di “mobilità collettiva” previste dal medesimo articolo. Si precisa che, salvo quanto previsto dal medesimo articolo, si applicano le disposizioni in materia di collocamento in mobilità di cui alla legge 23 luglio 1991, n. 223[27], ed in particolare l'articolo 4, comma 11 (relativo alla possibilità per gli accordi sindacali che prevedano il riassorbimento totale o parziale dei lavoratori ritenuti eccedenti, di stabilire la loro assegnazione a mansioni diverse da quelle svolte, anche in deroga al secondo comma dell'art. 2103 del codice civile) e l'articolo 5, commi 1 e 2 (relativi alle modalità di individuazione dei lavoratori da collocare in mobilità).
La disciplina relativa alla “mobilità collettiva” di cui all’articolo 33 si applica qualora l’eccedenza di personale interessi almeno 10 dipendenti (articolo 33, comma 2). In tal caso la pubblica amministrazione interessata dall’eccedenza attiva una apposita procedura alla quale partecipano le organizzazioni sindacali, volta a ricollocare totalmente o parzialmente il personale in esubero nell'ambito della medesima amministrazione o presso altre amministrazioni. Tale procedura può concludersi - comunque entro quarantacinque giorni dal suo avvio - con il raggiungimento dell’accordo o con apposito verbale nel quale sono riportate le diverse posizioni delle parti. In caso di disaccordo, le organizzazioni sindacali possono richiedere che il confronto prosegua secondo determinate modalità; comunque la procedura si conclude in ogni caso, anche dopo tale eventuale ulteriore fase di confronto, al massimo entro sessanta giorni dal suo avvio (articolo 33, commi 3, 4 e 5).
I contratti collettivi nazionali possono inoltre stabilire criteri generali e procedure per consentire, tenuto conto delle caratteristiche del comparto, la gestione delle eccedenze di personale attraverso la mobilità volontaria presso altre amministrazioni nell'ambito della provincia o in quello diverso che, in relazione alla distribuzione territoriale delle amministrazioni o alla situazione del mercato del lavoro, sia stabilito dai contratti collettivi nazionali (articolo 33, comma 6).
All’esito della prevista procedura o comunque nel caso l’esubero riguardi meno di 10 dipendenti, l’amministrazione colloca in disponibilità il personale che non sia possibile impiegare diversamente nell'ambito della medesima amministrazione, che non possa essere ricollocato presso altre amministrazioni, ovvero che non abbia preso servizio presso la diversa amministrazione che, secondo gli accordi intervenuti ai sensi dei commi precedenti, ne avrebbe consentito il ricollocamento (articolo 33, comma 7).
Il lavoratore “in disponibilità” ha comunque diritto ad un’indennità pari all’80% dello stipendio e dell'indennità integrativa speciale, con esclusione di qualsiasi altro emolumento retributivo comunque denominato, per la durata massima di 24 mesi. I periodi di godimento dell'indennità sono riconosciuti ai fini della determinazione dei requisiti di accesso alla pensione e della misura della stessa (articolo 33, comma 8).
L’articolo 34 del D.Lgs. 165/2001 dispone in via generale che il personale risultato in eccedenza e posto in disponibilità al termine dell’apposita procedura disciplinata dall’articolo 33 del medesimo decreto legislativo, sia iscritto, secondo l’ordine cronologico di sospensione del relativo rapporto di lavoro, in appositi elenchi formati e gestiti:
- dal Dipartimento della funzione pubblica, per le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, e per gli enti pubblici non economici nazionali (comma 2);
- dalle strutture regionali e provinciali individuate con legge regionale ai sensi del D.Lgs. 469/1997, per le altre amministrazioni (comma 3).
È previsto espressamente che il Dipartimento della funzione pubblica realizzi "opportune forme di coordinamento" tra l'elenco da esso gestito e quelli tenuti dalle strutture regionali e provinciali. A tale coordinamento, nonché alla collaborazione con il Dipartimento della funzione pubblica ai fini della riqualificazione e ricollocazione del personale, fa riferimento il comma 3 dell’articolo 34 ove dispone che "le leggi regionali previste dal D.Lgs. 469/1997, nel provvedere all’organizzazione del sistema regionale per l’impiego, si adeguano ai principi di cui al comma 2".
Principalmente alle strutture regionali e provinciali sono affidati i compiti relativi allariqualificazione professionaledel personale e alla sua ricollocazione presso altre amministrazioni; per quanto riguarda il personale statale, infatti, è previsto che a tali fini il Dipartimento della funzione pubblica si avvalga della loro collaborazione. In materia interviene poi il successivo comma 5, che prevede che i contratti collettivi nazionali possano costituire fondi riservati per riqualificare personale in disponibilità ed incentivarne la ricollocazione, in particolare mediante mobilità volontaria. Tali fondi possono essere utilizzati per riqualificare anche il personale eccedente trasferito ai sensi dell'articolo 33 prima del collocamento in disponibilità.
Il comma 4 completa la disciplina relativa all’indennità di disponibilità prevista dall’articolo 33, comma 8, e dispone la definitiva risoluzione del rapporto di lavoro del pubblico dipendente alla decorrenza del periodo massimo di fruizione della stessa. Viene stabilito che il dipendente collocato in disponibilità ha diritto all’indennità per la durata prevista dall’articolo 33 (al massimo 24 mesi); per tutto tale periodo, ha altresì diritto a che siano corrisposti all’ente previdenziale di riferimento gli oneri sociali relativi alla retribuzione goduta al momento del collocamento in disponibilità. Le spese, relative sia all’erogazione dell’indennità che alla corresponsione degli oneri sociali, gravano sul bilancio dell’amministrazione di appartenenza del dipendente fino alla sua ricollocazione o alla decorrenza del termine massimo di disponibilità.
Scaduto tale termine senza che sia stata possibile la ricollocazione presso altra amministrazione, e a far data da esso, il rapporto di lavoro si intende definitivamente risolto.
Ilcomma 6 dell’articolo 34 subordina la possibilità di procedere a nuove assunzioni all’utilizzo del personale collocato in disponibilità. Viene infatti disposto che, nell’ambito della programmazione triennale delle assunzioni prevista dall’articolo 39 della L. 27 dicembre 1997, n. 449 (provvedimento collegato alla manovra finanziaria per il 1998)[28], le nuove assunzioni siano subordinate alla verifica dell’impossibilità di ricollocare tale personale.
Infine, i commi 7 e 8 dell'articolo 34dettano disposizioni particolari per gli enti pubblici territoriali in generale e per gli enti locali in situazione di dissesto finanziario. I primi vengono autorizzati ad utilizzare le economie derivanti dalla minore spesa dal collocamento in disponibilità del personale per la formazione e riqualificazione di esso. Quanto agli enti territoriali in dissesto, si prevede che ad essi continui ad applicarsi la disciplina dettata in materia di gestione del personale in disponibilità dal D.Lgs. 77/1995[29].
L’articolo 34-bis, che reca disposizioni in materia di mobilità, prevede l’obbligo per le pubbliche amministrazioni di utilizzare il personale già collocato in disponibilità prima di avviare le procedure per le nuove assunzioni.
In particolare, il comma 1 stabilisce che le amministrazioni pubbliche, prima di avviare le procedure di assunzione del personale, devono comunicare una serie di informazioni relative al personale per il quale si intende bandire il concorso, con particolare riguardo per l’area, il livello (ovvero la posizione economica all’interno dell’area), la sede di destinazione.
I soggetti ai quali è rivolta la comunicazione - che sono gli stessi i quali, ai sensi del precedente articolo 34, formano e gestiscono gli elenchi del personale in disponibilità - sono:
- il Dipartimento per la funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri per le assunzioni da effettuare presso le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, e per gli enti pubblici non economici nazionali;
- le strutture regionali e provinciali di cui al D.Lgs. 469/1997[30], per le assunzioni da effettuare presso le altre amministrazioni[31].
Il comma 2 stabilisce che il soggetto al quale è rivolta la comunicazione provvede entro 15 giorni dalla stessa ad assegnare all’amministrazione richiedente il personale che risulta iscritto nel proprio elenco. L’assegnazione del personale deve avvenire secondo l’anzianità di iscrizione nell’elenco del personale collocato in disponibilità.
Nel caso in cui la comunicazione sia stata rivolta alle strutture regionali e provinciali e queste abbiano accertato l’assenza nei propri elenchi di personale da assegnare alle amministrazioni richiedenti, le suddette strutture devono tempestivamente (non è stabilito un termine preciso) comunicare al Dipartimento della funzione pubblica le informazioni che gli sono state a loro volta comunicate dall’amministrazione richiedente. Il Dipartimento della funzione pubblica, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, provvederà, entro 15 giorni dal ricevimento della predetta comunicazione, ad assegnare all’amministrazione richiedente il personale che risulta iscritto nel proprio elenco. Avvenuta l’assegnazione, l’amministrazione provvede ad iscrivere il dipendente ad essa destinato nei propri ruoli; conseguentemente il rapporto di lavoro prosegue con l’amministrazione che ha comunicato l’intenzione di bandire il concorso.
Il comma 3 dispone quindi che le amministrazioni possono provvedere ad organizzare percorsi di qualificazione del personale assegnato ai sensi del comma 2.
Il comma 4 prevede che le amministrazioni potranno avviare la procedura di assunzione mediante concorso per tutte le posizioni che non sono state coperte con assegnazione di personale in disponibilità, decorsi due mesi dalla ricezione della comunicazione da parte del Dipartimento della funzione pubblica. La comunicazione è diretta se proviene dalle amministrazioni statali e dagli enti pubblici non economici comprese le università e per conoscenza per le altre amministrazioni..
Il comma 5 dispone la nullità delle assunzioni effettuate in violazione delle procedure previste dallo stesso articolo per la mobilità attivata d’ufficio.
Il comma 5-bis dà mandato al Dipartimento della funzione pubblica di verificare presso le amministrazioni pubbliche l’eventuale interesse ad acquisire in mobilità i dipendenti in eccedenza di altre amministrazioni. In tal caso saranno applicate le disposizioni dell’articolo 4, comma 2, del D.L. 163/1995[32], che ha previsto un meccanismo di snellimento delle procedure di assegnazione dei dipendenti pubblici dichiarati eccedenti, disponendo che essi possano essere trasferiti con decreto del Ministro della funzione pubblica ad altra amministrazione che ne faccia richiesta, previo assenso dell'interessato[33].
Ai sensi del comma 2, inoltre, il personale che rifiuta, per due volte in 5 anni, il trasferimento per giustificate ed obiettive esigenze di organizzazione dell’amministrazione, si considera in posizione di esubero e viene conseguentemente collocato in disponibilità secondo quanto previsto dall’articolo 33 del D.Lgs. 165/2001.
Al riguardo si osserva che, nel comma 2, non è indicato espressamente l’oggetto del rifiuto da parte del personale. Sarebbe quindi opportuno esplicitare nel testo del medesimo comma che la norma riguarda il personale che oppone un rifiuto al trasferimento.
Infine, il comma 3 è volto a novellare l’articolo 30 del D.Lgs. 165/2001, recante disposizioni in materia di mobilità volontaria di personale tra pubbliche amministrazioni, aggiungendo al menzionato articolo il comma 2-sexies.
Si ricorda, in tema di mobilità del personale del settore pubblico, che la mobilità volontaria (tramite passaggio diretto di personale tra diverse amministrazioni pubbliche) è disciplinata dall'articolo 30 del D.Lgs. 165/2001, mentre i successivi articoli 33, 34 e 34-bis pongono la disciplina della mobilità collettiva (cfr. supra).
In particolare, l’articolo 30 stabilisce che le amministrazioni possano ricoprire posti vacanti in organico mediante cessione del contratto di dipendenti appartenenti alla stessa qualifica in servizio presso altre amministrazioni, che facciano domanda di trasferimento. Il trasferimento è disposto previo consenso dell'amministrazione di appartenenza (comma 1).
Le procedure ed i criteri generali per l’attuazione del passaggio diretto dei dipendenti sono definiti dai contratti collettivi nazionali. Si stabilisce la nullità degli accordi, atti o clausole dei contratti collettivi che intendano eludere l’obbligo di ricorrere alla mobilità prima di procedere al reclutamento di nuovo personale (comma 2).
Il comma 2-bis dell’art. 30, prevede che le amministrazioni pubbliche, al fine di coprire le vacanze di organico e prima dell’espletamento delle procedure concorsuali, devono attivare le procedure di mobilità mediante passaggio diretto dei dipendenti di cui al comma 1 del medesimo art. 30. Esse devono comunque provvedere in via prioritaria all’immissione in ruolo dei dipendenti che, provenienti da altre amministrazioni, prestino già attività presso l’amministrazione in posizione di comando o di fuori ruolo, purché tali dipendenti appartengano alla medesima area presentino la relativa domanda di trasferimento. Entro i limiti dei posti vacanti, i dipendenti sono inquadrati nella medesima area funzionale e con la posizione economica corrispondente a quella posseduta nella amministrazione di provenienza.
Il comma 2-ter dell’art. 30 reca specifiche disposizioni in merito all’immissione in ruolo del personale della Presidenza del Consiglio e del Ministero degli affari esteri. In particolare tale comma prevede che l’immissione in ruolo di cui al precedente comma 2-bis, limitatamente alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e al Ministero degli affari esteri, in ragione della specifica professionalità richiesta ai propri dipendenti, avviene previa valutazione comparativa dei titoli di servizio e di studio, posseduti dai dipendenti comandati o fuori ruolo al momento della presentazione della domanda di trasferimento, nei limiti dei posti effettivamente disponibili[34].
Il comma 2-quinquies all’art. 30, in merito al trattamento del dipendente trasferito per mobilità, specifica che, salvo diversa previsione, al dipendente si applica il trattamento giuridico ed economico – compreso quello accessorio – previsto dal contratto collettivo vigente nel comparto dell’amministrazione di destinazione[35].
In particolare, il comma 2-sexies dispone che le pubbliche amministrazioni, per motivate esigenze organizzative, possano utilizzare in assegnazione temporanea, secondo le modalità previste dai rispettivi ordinamenti, personale di altre amministrazioni per un periodo non superiore a 3 anni, fermo restando quanto già previsto da norme speciali in materia.
1. I dipendenti pubblici possono essere collocati in aspettativa, senza assegni e senza decorrenza dell'anzianità di servizio, per un periodo massimo di dodici mesi, anche per avviare attività professionali e imprenditoriali. L'aspettativa è concessa dall'amministrazione, tenuto conto delle esigenze organizzative, previo esame della documentazione prodotta dall'interessato.
2. Nel periodo di cui al comma 1 del presente articolo non si applicano le disposizioni in tema di incompatibilità di cui all'articolo 53 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni.
3. Resta fermo quanto previsto dall'articolo 23-bis del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni.
L’articolo 39, comma 1, prevede la possibilità, per i dipendenti pubblici, di essere collocati in aspettativa non retribuita e senza decorrenza dell'anzianità di servizio, per un periodo massimo di dodici mesi, anche per avviare attività professionali e imprenditoriali.
L'amministrazione di appartenenza decide la concessione dell’aspettativa tenendo conto delle esigenze organizzative, dopo aver esaminato la documentazione prodotta dall'interessato.
Il successivo comma 2 prevede che nel periodo di aspettativa non trovino applicazione le disposizioni in tema di incompatibilità per i dipendenti pubblici, di cui all'articolo 53 del D.Lgs. 165/2001.
L’articolo 53 del D.Lgs. 165/2001, che riprende con talune modifiche il contenuto dell’art. 58 del D.Lgs. 29/1993[36], contiene la disciplina di carattere generale in materia di incompatibilità e di cumulo di impieghi per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni. Regimi speciali sono peraltro previsti per determinate categorie di dipendenti pubblici richiamate dalla disposizione (personale docente, direttivo e ispettivo della scuola, personale docente dei conservatori, personale degli enti lirici e personale del servizio sanitario nazionale).
Il principio fondamentale che regola la materia è quello dell’esclusività del rapporto di impiego del pubblico dipendente, che trova una sua traduzione normativa nell’articolo 60 del T.U. in materia di impiegati civili dello Stato[37], richiamato espressamente dal comma 1 dell’articolo 53.
In base a tale disposizione i dipendenti pubblici non può esercitare il commercio, l'industria, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro, tranne che si tratti di cariche in società o enti per le quali la nomina è riservata allo Stato e sia all'uopo intervenuta l'autorizzazione del Ministro competente. In base al successivo articolo 61 il divieto di non si applica nei casi di società cooperative e agli impieghi come perito o arbitro, purché vi sia una previa autorizzazione del Ministro o del capo ufficio da lui delegato.
Il divieto è sostanzialmente ribadito dall’articolo 1, comma 60, della L. 662/1996, il quale prevede, al di fuori dei casi di rapporto di lavoro part-time con prestazione lavorativa non superiore al 50% di quella a tempo pieno, un divieto di svolgere attività di lavoro subordinato o autonomo tranne che la legge o altra fonte normativa ne prevedano l'autorizzazione rilasciata dall'amministrazione di appartenenza e l'autorizzazione sia stata concessa.
Una deroga di carattere generale al principio è peraltro contenuta nell’art. 23-bis dello stesso D.Lgs. 165/2001[38], che consente ai dirigenti delle pubbliche amministrazioni, agli appartenenti alla carriera diplomatica e prefettizia e, limitatamente agli incarichi pubblici, ai magistrati ordinari, amministrativi e contabili nonché agli avvocati e procuratori dello Stato di essere collocati, a domanda, in aspettativa senza assegni per lo svolgimento di attività presso soggetti e organismi, pubblici o privati, anche operanti in sede internazionale.
La violazione delle norme in materia di incompatibilità è sanzionata dall’articolo 1, comma 61, della L. 662/1996. In particolare, tale violazione costituisce giusta causa di recesso per i rapporti di lavoro disciplinati dai contratti collettivi nazionali di lavoro e costituisce causa di decadenza dall'impiego per il restante personale, purché le prestazioni per le attività di lavoro subordinato o autonomo svolte al di fuori del rapporto di impiego con l'amministrazione di appartenenza non siano rese a titolo gratuito, presso associazioni di volontariato o cooperative a carattere socio-assistenziale senza scopo di lucro.
Si ritiene pertanto superato il sistema previsto dall’articolo 63 del T.U. del 1957 che prevedeva una diffida a cessare dalla situazione di incompatibilità.
L’articolo 53, commi 2-16, del D.Lgs. 165/2001 reca poi una articolata disciplina del cumulo di impieghi ed incarichi dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, incentrata sul principio dell’autorizzazione allo svolgimento dell’incarico[39] da parte dell’amministrazione di competenza, che deve decidere sulla base di criteri oggettivi e predeterminati che garantiscano in particolare l’assenza di casi di incompatibilità.
Si prevedono inoltre (articolo 53, commi 7-9) specifiche sanzioni per l’inosservanza della richiesta di autorizzazione all’incarico. In particolare:
- il conferimento da parte di un’altra pubblica amministrazione costituisce una infrazione disciplinare per il funzionario responsabile del procedimento e causa di nullità del provvedimento. L'importo previsto come corrispettivo dell'incarico, ove gravi su fondi in disponibilità dell'amministrazione conferente, è trasferito all'amministrazione di appartenenza del dipendente ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti;
- per gli enti pubblici economici e i soggetti privati il conferimento, oltre alle sanzioni per le eventuali violazioni tributarie o contributive, determina l’applicazione di una sanzione pecuniaria pari al doppio degli emolumenti corrisposti sotto qualsiasi forma al dipendente pubblico. All'accertamento delle violazioni e all'irrogazione delle sanzioni provvede il Ministero delle finanze, avvalendosi della Guardia di finanza;
- per quanto riguarda il dipendente, l’inosservanza del divieto, salve le più gravi sanzioni e ferma restando la responsabilità disciplinare, comporta che il compenso dovuto per le prestazioni eventualmente svolte deve essere versato, a cura dell'erogante o, in difetto, del percettore, nel conto dell'entrata del bilancio dell'amministrazione di appartenenza del dipendente per essere destinato ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti.
Sono inoltre previsti (articolo 53, co. 11-16) meccanismi volti a garantire la visibilità e la trasparenza degli incarichi conferiti ai dipendenti pubblici attraverso la costituzione presso il Dipartimento della funzione pubblica della c.d. anagrafe degli incarichi, già istituita dall'articolo 24 della L. 412/1991[40].
Si ricorda, infine, che l’articolo 47 del D.L. 112/2008[41], introducendo un comma 16-bis al richiamato articolo 53,al fine di rafforzare i controlli sul rispetto della disciplina in materia di incompatibilità e di limiti al cumulo degli incarichi per i pubblici dipendenti, ha attribuito al Dipartimento della funzione pubblica il compito di disporre – per il tramite dell’Ispettorato della funzione pubblica – verifiche in ordine al rispetto alla disciplina delle incompatibilità prevista in via generale dal medesimo articolo 53 e, con riferimento ai rapporti di lavoro a tempo parziale con prestazione lavorativa superiore al 50% di quella a tempo pieno, dall’articolo 1, comma 56 e ss., della L. 662/1996 (provvedimento collegato alla manovra finanziaria per il 1997).
Il comma 3, infine, fa salva la disciplina specifica di cui all'articolo 23-bis del richiamato D.Lgs. 165/2001, in materia di collocamento in aspettativa senza assegni del personale con qualifica dirigenziale, degli appartenenti alla carriera diplomatica e prefettizia, dei magistrati ordinari, amministrativi e contabili e degli avvocati e procuratori dello Stato, per lo svolgimento di attività presso soggetti diversi dall’amministrazione di appartenenza (cfr. supra).
1. In tutti i casi nei quali le disposizioni di legge nelle materie di cui all'articolo 409 del codice di procedura civile e all'articolo 63, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, contengano clausole generali, ivi comprese le norme in tema di instaurazione di un rapporto di lavoro, esercizio dei poteri datoriali, trasferimento di azienda e recesso, il controllo giudiziale è limitato esclusivamente, in conformità ai princìpi generali dell'ordinamento, all'accertamento del presupposto di legittimità e non può essere esteso al sindacato di merito sulle valutazioni tecniche, organizzative e produttive che competono al datore di lavoro o al committente.
2. Nella qualificazione del contratto di lavoro e nell'interpretazione delle relative clausole il giudice non può discostarsi dalle valutazioni delle parti espresse in sede di certificazione dei contratti di lavoro di cui al titolo VIII del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni, salvo il caso di erronea qualificazione del contratto, di vizi del consenso o di difformità tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione.
3. Nel valutare le motivazioni poste a base del licenziamento, il giudice fa riferimento alle tipizzazioni di giusta causa e di giustificato motivo presenti nei contratti collettivi di lavoro stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi ovvero nei contratti individuali di lavoro ove stipulati con l'assistenza e la consulenza delle commissioni di certificazione di cui al titolo VIII del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni. Nel definire le conseguenze da riconnettere al licenziamento, il giudice tiene ugualmente conto di elementi e di parametri fissati dai predetti contratti e comunque considera le dimensioni e le condizioni dell'attività esercitata dal datore di lavoro, la situazione del mercato del lavoro locale, l'anzianità e le condizioni del lavoratore, nonché il comportamento delle parti anche prima del licenziamento.
4. L'articolo 75 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente:
«Art. 75. - (Finalità). - 1. Al fine di ridurre il contenzioso in materia di lavoro le parti possono ottenere la certificazione dei contratti in cui sia dedotta, direttamente o indirettamente, una prestazione di lavoro secondo la procedura volontaria stabilita nel presente titolo».
5. Dall'attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Gli adempimenti previsti dal presente articolo sono svolti nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.
L’articolo 65 reca disposizioni relative al controllo giudiziale sul rispetto delle “clausole generali” contenute nelle leggi, nonché sulla certificazione dei contratti di lavoro.
In particolare il comma 1 è volto a delimitare il potere di controllo giudiziale sulla ricorrenza dei presupposti previsti dalle “clausole generali” contenute nelle disposizioni di legge relative ai rapporti di lavoro subordinato privato e agli altri rapporti di lavoro (sostanzialmente di carattere “parasubordinato”) di cui all’articolo 409 c.p.c., nonché ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 63, comma 1, del D.Lgs. 165/2001.
Si ricorda che l’articolo 63, comma 1, del D.Lgs. 165/2001 attribuisce alla giurisdizione del giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni - ad eccezione di quelle relative ai rapporti di lavoro del personale in regime di diritto pubblico di cui all’articolo 3 del medesimo decreto legislativo[42] (cfr. infra) - incluse le controversie concernenti l'assunzione al lavoro, il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali e la responsabilità dirigenziale, nonché quelle concernenti le indennità di fine rapporto, anche se vengano in questione atti amministrativi presupposti, i quali, se sono rilevanti ai fini della decisione, sono disapplicati dal giudice se illegittimi.
Si consideri, inoltre, che il comma 4 del medesimo articolo 63 dispone che restano devolute al giudice amministrativo le controversie in materia di procedure concorsuali per il reclutamento dei dipendenti pubblici, nonché, in sede di giurisdizione esclusiva, le controversie relative ai menzionati rapporti di lavoro del personale in regime di diritto pubblico, ivi comprese le controversie relative ai diritti patrimoniali connessi.
A titolo esemplificativo, il comma in esame indica alcune ipotesi di “clausole generali”, quali le norme in materia di instaurazione del rapporto di lavoro e recesso dal medesimo rapporto, esercizio dei poteri del datore di lavoro, trasferimento di azienda.
Si evidenzia, al riguardo, che dalla relazione illustrativa si desume che per “clausole generali” si intendono quelle disposizioni legislative che, al fine di definire l’ambito di legittimità del ricorso a particolari tipologie di lavoro o a decisioni delle parti, non fanno riferimento a specifiche causali tipizzate, bensì stabiliscono requisiti di carattere generale e quindi flessibili, seppur effettivi e verificabili.
Sarebbe tuttavia opportuno specificare meglio, nel testo del comma 1 in esame, al fine di evitare dubbi interpretativi, cosa si intende per “clausole generali”.
Con riferimento alle predette “clausole generali”, nelle menzionate materie, pertanto, il comma in esame dispone che il controllo giudiziale deve limitarsi esclusivamente all’accertamento del presupposto di legittimità e non può estendersi al sindacato di merito sulle valutazioni tecniche, organizzative e produttive che spettano al datore di lavoro o al committente.
I commi 2 e 3, invece, al fine di promuovere e incentivare l’istituto della certificazione dei contratti di lavoro, recano disposizioni volte a rafforzare il valore vincolante (anche nei confronti del giudice) dell’accertamento effettuato in tale sede.
In particolare, il comma 2 interviene sulla possibilità per il giudice di discostarsi da quanto previsto in sede di certificazione del contratto di lavoro.
Si ricorda che il D.Lgs. 276/2003[43], concernente la riforma del mercato del lavoro, conseguentemente all’introduzione delle nuove tipologie di lavoro flessibile, prevede una procedura di certificazione del contratto stipulato tra le parti.
Si tratta di una procedura volontaria di certificazione dei contratti di lavoro presso specifiche Commissioni di certificazione, al fine di ridurre il contenzioso in materia di individuazione della tipologia del contratto di lavoro stipulato in concreto. Tale certificazione, sostanzialmente, consente di attribuire piena forza legale al contratto, precludendo la possibilità di ricorso in giudizio se non per erronea qualificazione del contratto, difformità tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione o vizi del consenso e mantenendo la sua efficacia giuridica fino all’accoglimento di uno dei ricorsi giurisdizionali esperibili.
Possono svolgere la procedura di certificazione, che è volontaria e consegue necessariamente ad un’istanza scritta comune delle parti del contratto di lavoro (articolo 78), le Commissioni di certificazione istituite presso (articolo 76):
- gli enti bilaterali costituiti su iniziativa di associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentativi. Tali enti possono altresì certificare le rinunzie e le transazioni di cui all’articolo 2113 c.c. (articolo 82);
- le Direzioni provinciali del lavoro, secondo quanto stabilito da apposito decreto del Ministro del lavoro;
- le Università, pubbliche e private, esclusivamente nell’ambito di rapporti di collaborazione e consulenza attivati con docenti di diritto del lavoro di ruolo, ai sensi dell’articolo 66 del D.P.R. 382/1980;
- il Ministero del lavoro - Direzione generale della tutela delle condizioni di lavoro, esclusivamente nei casi in cui il datore di lavoro abbia le proprie sedi di lavoro in almeno due province anche di regioni diverse, ovvero per quei datori di lavoro con unica sede di lavoro associati ad organizzazioni imprenditoriali che abbiano predisposto a livello nazionale schemi di convenzioni certificati dalla commissione di certificazione istituita presso il Ministero del lavoro, nell'ambito delle risorse umane e strumentali già operanti presso la Direzione generale della tutela delle condizioni di lavoro;
- i consigli provinciali dei consulenti del lavoro di cui alla L. 12/1979, esclusivamente per i contratti di lavoro instaurati nell'ambito territoriale di riferimento.
Tali sedi di certificazione svolgono anche funzioni di consulenza ed assistenza effettiva alle parti del contratto di lavoro (articolo 81).
L’articolo 78 disciplina il procedimento di certificazione, che è volontario e richiede una istanza scritta delle parti del contratto di lavoro. In particolare le procedure di certificazione sono determinate all’atto della costituzione delle commissioni di certificazione dalle Direzioni provinciali del lavoro, dagli enti bilaterali e dalle Università (pubbliche e private, comprese le Fondazioni universitarie). Tali procedure, inoltre, sono svolte nel rispetto dei codici di buone pratiche, nonché di specifici principi, quali:
- l’obbligo di comunicazione dell’inizio del procedimento alle Direzioni provinciali del lavoro, che provvedono ad inoltrare la comunicazione alle autorità pubbliche nei confronti delle quali l’atto di certificazione è destinato a produrre effetti. Tali autorità possono presentare osservazioni alle commissioni di certificazione;
- il procedimento di certificazione deve essere concluso entro il termine di 30 giorni dal ricevimento dell’istanza;
- la motivazione dell’atto di certificazione, il quale deve contenere anche il termine e l’autorità cui è possibile ricorrere;
- infine, l’atto di certificazione deve contenere un’esplicita menzione degli effetti civili, amministrativi, previdenziali o fiscali, in relazione ai quali le parti richiedono la certificazione.
I codici di buone pratiche, adottati con decreto del Ministro del lavoro, hanno il fine di individuare le clausole indisponibili in sede di certificazione dei rapporti di lavoro, con specifico riferimento ai diritti e ai trattamenti economici e normativi. I codici devono recepire, se esistenti, le indicazioni contenute negli accordi interconfederali stipulati dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
I moduli e i formulari per la certificazione del contratto o del relativo programma negoziale, definiti con apposito decreto del Ministro del lavoro, devono tenere conto, all’uopo, degli orientamenti giurisprudenziali prevalenti in materia di qualificazione del contratto di lavoro, come autonomo o subordinato, in relazione alle diverse tipologie di lavoro.
Come precisato dall’articolo 79, gli effetti dell’accertamento dell’organo certificatore permangono, anche verso i terzi, fino al momento in cui sia stato accolto, con sentenza di merito, uno dei risorsi giurisdizionali esperibili ai sensi dell’articolo 80.
Ai sensi dell’articolo 80, nei confronti dell’atto di certificazione, le parti e i terzi interessati dagli effetti dell’atto stesso possono proporre ricorso presso il tribunale con funzioni del giudice del lavoro, per vizi del consenso, erronea qualificazione del contratto, oppure difformità, tra il programma negoziale certificato e la sua attuazione. Tuttavia, chiunque intenda presentare ricorso giurisdizionale contro la certificazione, deve obbligatoriamente rivolgersi alla commissione di certificazione che ha adottato l’atto di certificazione per espletare un tentativo di obbligatorio di conciliazione, ai sensi dell’articolo 410 c.p.c.[44].
L’accertamento giurisdizionale per erroneità della qualificazione ha effetto dal momento della conclusione dell’accordo contrattuale, mentre l’accertamento per difformità ha effetto a decorrere dal momento in cui la sentenza accerta l’inizio della difformità.
Il giudice del lavoro, inoltre, terrà conto del comportamento complessivo tenuto dalle parti in sede di certificazione del rapporto di lavoro e di definizione della controversia dinanzi alla commissione di certificazione, ai fini di quanto previsto dagli artt. 91, 92 e 96 c.p.c.[45].
Inoltre, le parti possono presentare ricorso contro l'atto certificatorio, dinnanzi al tribunale amministrativo regionale nella cui giurisdizione ha sede la commissione che ha certificato il contratto, per violazione del procedimento o per eccesso di potere.
Infine, la disciplina in questione prevede ulteriori ipotesi in cui si può far ricorso alle procedure di certificazione: rinunzie e transazioni del lavoratore (articolo 82), deposito del regolamento interno delle cooperative (articolo 83), stipulazione di appalto e attuazione del relativo programma negoziale anche ai fini della distinzione concreta tra somministrazione di lavoro e appalto (articolo 84).
Con la disposizione in esame si prevede che il giudice, nella qualificazione del contratto di lavoro e nell’interpretazione delle clausole in esso contenute, non può discostarsi dalle valutazioni delle parti espresse nell’ambito della certificazione dei contratti di lavoro, salvo nei casi di erronea qualificazione del contratto, di vizi del consenso o di difformità tra la previsione negoziale certificata e la sua attuazione.
Invece, il comma 3 reca disposizioni relative agli elementi presenti nei contratti collettivi e individuali di lavoro di cui il giudice deve tener conto nei contenzioni relativi ai licenziamenti individuali (si rinvia alla ricostruzione normativa relativa ai licenziamenti individuali contenuta nella scheda relativa all’articolo 67).
In particolare, si dispone che il giudice, nel valutare le motivazioni poste alla base del licenziamento, deve far riferimento alle tipizzazioni di giusta causa e di giustificato motivo presenti nei contratti collettivi di lavoro ovvero nei contratti individuali di lavoro se stipulati con l’assistenza delle summenzionate commissioni di certificazione.
Analogamente, il giudice deve tener conto degli elementi e dei parametri appositamente individuati dai suddetti contratti, nello stabilire “le conseguenze da riconnettere al licenziamento”. A tal fine, inoltre, il giudice deve comunque tener conto di una serie di elementi di fatto: dimensioni e condizioni dell’attività del datore di lavoro; situazione del mercato del lavoro locale; anzianità e condizioni del lavoratore; comportamento delle parti contrattuali anche nel periodo precedente al licenziamento.
Si osserva che sarebbe opportuno chiarire, nel testo, il riferimento a “le conseguenze da riconnettere al licenziamento”, per definire le quali il giudice deve tener conto di determinati elementi e parametri indicati dalla norma. Sembrerebbe che la norma intenda stabilire gli elementi e i parametri che il giudice deve considerare allorché debba determinare l’indennità prevista dalla normativa vigente in caso di licenziamento illegittimo per mancanza della giusta causa o del giustificato motivo (nei casi in cui al lavoratore si applichi la “tutela obbligatoria”contro i licenziamenti illegittimi).
In proposito si rileva inoltre che la norma in esame andrebbe coordinata con l’articolo 8 della L. 604/1966, che, per i casi di licenziamento illegittimo non rientranti nell’ambito di applicazione della “tutela reale” di cui all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (L. 300/1970), pone a carico del datore di lavoro l’obbligo di riassumere il lavoratore oppure di risarcirlo con un’indennità da stabilirsi, tra un minimo e un massimo indicato dalla legge, sulla base di determinati parametri simili ma non del tutto coincidenti con quelli indicati dalla norma in esame.
Il menzionato articolo 8 della L. 604/1966 dispone che, ove non ricorrano gli estremi della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento, "il datore di lavoro è tenuto a riassumere il prestatore di lavoro entro il termine di tre giorni o, in mancanza, a risarcire il danno versandogli un'indennità di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità dell'ultima retribuzione di fatto, avuto riguardo al numero dei dipendenti occupati, alle dimensioni dell'impresa, all'anzianità di servizio del prestatore di lavoro, al comportamento e alle condizioni delle parti. La misura massima della predetta indennità può essere maggiorata fino a 10 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore a dieci anni e fino a 14 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore a venti anni, se dipendenti da datore di lavoro che occupa più di quindici prestatori di lavoro".
Il comma 4 provvede a riformulare l’articolo 75 del D.Lgs. 276/2003, che individua la finalità della procedura di certificazione (cfr. supra).
A parte differenze di carattere prettamente formale, la formulazione prevista dalla disposizione in esame sembrerebbe voler ampliare, anche sul piano definitorio, l’ambito di intervento della certificazione, dal momento che, mentre la il testo vigente fa riferimento al “contenzioso in materia di qualificazione dei contratti di lavoro”, la disposizione in esame in maniera più generale si riferisce al “contenzioso in materia di lavoro”.
Infine il comma 5 stabilisce che dall’attuazione dell’articolo in esame non devono derivare nuovi oneri per la finanza pubblica.
1. L'articolo 410 del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:
«Art. 410. - (Tentativo di conciliazione). - Chi intende proporre in giudizio una domanda relativa ai rapporti previsti dall'articolo 409 del presente codice e dall'articolo 63, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, può promuovere, anche tramite l'associazione sindacale alla quale aderisce o conferisce mandato, un previo tentativo di conciliazione presso la commissione di conciliazione individuata secondo i criteri di cui all'articolo 413.
La comunicazione della richiesta di espletamento del tentativo di conciliazione interrompe la prescrizione e sospende, per la durata del tentativo di conciliazione e per i venti giorni successivi alla sua conclusione, il decorso di ogni termine di decadenza.
Le commissioni di conciliazione sono istituite presso la direzione provinciale del lavoro. La commissione è composta dal direttore dell'ufficio stesso o da un suo delegato, in qualità di presidente, da quattro rappresentanti effettivi e da quattro supplenti dei datori di lavoro e da quattro rappresentanti effettivi e da quattro supplenti dei lavoratori, designati dalle rispettive organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative.
Le commissioni, quando se ne ravvisi la necessità, affidano il tentativo di conciliazione a proprie sottocommissioni, presiedute dal direttore della direzione provinciale del lavoro o da un suo delegato, che rispecchino la composizione prevista dal terzo comma. In ogni caso per la validità della riunione è necessaria la presenza del presidente e di almeno un rappresentante dei datori di lavoro e almeno un rappresentante dei lavoratori.
La richiesta del tentativo di conciliazione, sottoscritta dall'istante, è consegnata o spedita mediante raccomandata con avviso di ricevimento. Copia della richiesta del tentativo di conciliazione deve essere consegnata o spedita a cura della stessa parte istante alla controparte.
La richiesta deve precisare:
1) nome, cognome e residenza dell'istante e del convenuto; se l'istante o il convenuto sono una persona giuridica, un'associazione non riconosciuta o un comitato, l'istanza deve indicare la denominazione o la ditta nonché la sede;
2) il luogo ove è sorto il rapporto ovvero dove si trova l'azienda o sua dipendenza alla quale è addetto il lavoratore o presso la quale egli prestava la sua opera al momento della fine del rapporto;
3) il luogo dove devono essere fatte alla parte istante le comunicazioni inerenti alla procedura;
4) l'esposizione dei fatti e delle ragioni posti a fondamento della pretesa.
Entro venti giorni dal ricevimento della copia della richiesta, la controparte deposita presso la commissione di conciliazione una memoria contenente le difese e le eccezioni in fatto e in diritto, le eventuali domande in via riconvenzionale e l'indicazione dei mezzi di prova. Entro i dieci giorni successivi al deposito, la commissione fissa la comparizione delle parti per il tentativo di conciliazione, che deve essere tenuto entro i successivi trenta giorni. Dinanzi alla commissione il lavoratore può farsi rappresentare o assistere anche da un'organizzazione cui aderisce o conferisce mandato.
La conciliazione della lite da parte di chi rappresenta la pubblica amministrazione, anche in sede giudiziale ai sensi dell'articolo 420, commi primo, secondo e terzo, non può dar luogo a responsabilità amministrativa».
2. L'articolo 411 del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:
«Art. 411. - (Processo verbale di conciliazione). - Se la conciliazione esperita ai sensi dell'articolo 410 riesce, anche limitatamente ad una parte della domanda, viene redatto separato processo verbale sottoscritto dalle parti e dai componenti della commissione di conciliazione. Il verbale costituisce titolo esecutivo a seguito di provvedimento del giudice su istanza della parte interessata.
Se non si raggiunge l'accordo tra le parti, la commissione di conciliazione deve formulare una proposta per la bonaria definizione della controversia. Se la proposta non è accettata, i termini di essa sono riassunti nel verbale con indicazione delle valutazioni espresse dalle parti.
Ove il tentativo di conciliazione sia stato richiesto dalle parti, al ricorso depositato ai sensi dell'articolo 415 devono essere allegati i verbali e le memorie concernenti il tentativo di conciliazione non riuscito».
3. L'articolo 412 del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:
«Art. 412. - (Risoluzione arbitrale della controversia). - In qualunque fase del tentativo di conciliazione, o al suo termine in caso di mancata riuscita, le parti possono accordarsi per la risoluzione della lite, affidando alla commissione di conciliazione il mandato a risolvere in via arbitrale la controversia.
Nel conferire mandato per la risoluzione arbitrale della controversia, le parti devono indicare:
1) il termine per l'emanazione del lodo, spirato il quale l'incarico deve intendersi revocato;
2) le norme che la commissione deve applicare al merito della controversia, ivi compresa la decisione secondo equità, nel rispetto dei princìpi generali dell'ordinamento.
Il lodo emanato a conclusione dell'arbitrato, sottoscritto dagli arbitri e autenticato, produce tra le parti gli effetti di cui all'articolo 1372 e all'articolo 2113, quarto comma, del codice civile e ha efficacia di titolo esecutivo ai sensi dell'articolo 474 del presente codice a seguito del provvedimento del giudice su istanza della parte interessata ai sensi dell'articolo 825.
Il lodo è impugnabile ai sensi dell'articolo 808-ter».
4. L'articolo 412-ter del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:
«Art. 412-ter. - (Altre modalità di conciliazione previste dalla contrattazione collettiva). - La conciliazione, nelle materie di cui all'articolo 409 del presente codice e all'articolo 63, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, può essere svolta altresì presso le sedi previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative.
Si applicano, in quanto compatibili, le norme di cui agli articoli 410, 411 e 412».
5. L'articolo 412-quater del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:
«Art. 412-quater. - (Altre modalità di conciliazione e arbitrato). - Ferma restando la facoltà di ciascuna delle parti di adire l'autorità giudiziaria e di avvalersi delle procedure di conciliazione e di arbitrato previste dalla legge, le controversie di cui all'articolo 409 del presente codice e all'articolo 63, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, possono essere altresì proposte innanzi al collegio di conciliazione e arbitrato irrituale costituito secondo quanto previsto dai commi seguenti. È nulla ogni clausola del contratto individuale di lavoro o comunque pattuita che obblighi una parte o entrambe a proporre le controversie indicate nel periodo precedente al collegio di conciliazione e arbitrato.
Il collegio di conciliazione e arbitrato è composto da un rappresentante di ciascuna delle parti e da un terzo membro, in funzione di presidente, scelto di comune accordo dagli arbitri di parte tra i professori universitari di materie giuridiche e gli avvocati ammessi al patrocinio davanti alla Corte di cassazione.
La parte che intenda ricorrere al collegio di conciliazione e arbitrato deve notificare all'altra parte un ricorso sottoscritto, salvo che si tratti di una pubblica amministrazione, da un avvocato al quale abbia conferito mandato e presso il quale deve eleggere il domicilio. Il ricorso deve contenere la nomina dell'arbitro di parte e indicare l'oggetto della domanda, le ragioni di fatto e di diritto sulle quali si fonda la domanda stessa, i mezzi di prova e il valore della controversia entro il quale si intende limitare la domanda.
Se la parte convenuta intende accettare la procedura di conciliazione e arbitrato nomina il proprio arbitro di parte, il quale entro trenta giorni dalla notifica del ricorso procede, ove possibile, concordemente con l'altro arbitro, alla scelta del presidente e della sede del collegio. Ove ciò non avvenga ciascuna delle parti è libera di adire l'autorità giudiziaria.
In caso di scelta concorde del terzo arbitro e della sede del collegio, la parte convenuta, entro trenta giorni da tale scelta, deve depositare presso la sede del collegio una memoria difensiva sottoscritta, salvo che si tratti di una pubblica amministrazione, da un avvocato cui abbia conferito mandato e presso il quale deve eleggere il domicilio. La memoria deve contenere le difese e le eccezioni in fatto e in diritto, le eventuali domande in via riconvenzionale e l'indicazione dei mezzi di prova.
Entro dieci giorni dal deposito della memoria difensiva il ricorrente può depositare presso la sede del collegio una memoria di replica senza modificare il contenuto del ricorso. Nei successivi dieci giorni il convenuto può depositare presso la sede del collegio una controreplica senza modificare il contenuto della memoria difensiva.
Il collegio fissa il giorno dell'udienza, da tenere entro trenta giorni dalla scadenza del termine per la controreplica del convenuto, dandone comunicazione alle parti nel domicilio eletto almeno dieci giorni prima.
All'udienza il collegio esperisce il tentativo di conciliazione. Se la conciliazione riesce si applicano le disposizioni dell'articolo 411, commi primo e terzo, del presente codice, e dell'articolo 66, comma 8, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.
Se la conciliazione non riesce il collegio provvede, ove occorra, a interrogare le parti e ad ammettere ed espletare le prove, altrimenti invita all'immediata discussione orale. Nel caso di ammissione delle prove il collegio può rinviare ad altra udienza, a non più di dieci giorni di distanza, per l'assunzione delle stesse e la discussione orale.
La controversia è decisa, entro venti giorni dall'udienza di discussione, mediante un lodo. Il lodo è impugnabile ai sensi dell'articolo 808-ter.
Il compenso del presidente del collegio è fissato in misura pari al 2 per cento del valore della controversia dichiarato in ricorso ed è versato dalle parti per metà ciascuna presso la sede del collegio mediante assegni circolari intestati al presidente almeno cinque giorni prima dell'udienza. Ciascuna parte provvede a compensare l'arbitro da essa nominato. Le spese legali e quelle per il compenso del presidente e dell'arbitro di parte, queste ultime nella misura dell'1 per cento del suddetto valore della controversia, sono liquidate nel lodo ai sensi degli articoli 91, primo comma, e 92.
I contratti collettivi nazionali di categoria possono istituire un fondo per il rimborso al lavoratore delle spese per il compenso del presidente del collegio e del proprio arbitro di parte».
6. In deroga a quanto previsto dall'articolo 412-quater del codice di procedura civile, i contratti collettivi nazionali di lavoro possono prevedere clausole compromissorie che comportino la devoluzione della controversia al collegio arbitrale anche sulla base di forme di adesione tacita dei soggetti interessati alla procedura arbitrale.
7. Le controversie di cui all'articolo 409 del codice di procedura civile possono essere decise da arbitri, oltre che nei casi previsti dall'articolo 806 del medesimo codice e dall'articolo 5 della legge 11 agosto 1973, n. 533, e successive modificazioni, anche qualora il contratto e la clausola compromissoria ivi contenuta, ovvero il compromesso, siano stati certificati in base alle norme di cui al titolo VIII del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni. Le commissioni di certificazione accertano che la clausola compromissoria, ovvero il compromesso, contenga, anche mediante rinvio a regolamenti preesistenti dei collegi arbitrali, i criteri per la liquidazione dei compensi spettanti agli arbitri e il termine entro il quale il lodo deve essere emanato.
8. Gli organi di certificazione di cui all'articolo 76 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni, possono istituire camere arbitrali per la definizione, ai sensi dell'articolo 808-ter del codice di procedura civile, delle controversie nelle materie di cui all'articolo 409 del medesimo codice e all'articolo 63, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. Le commissioni di cui al citato articolo 76 del decreto legislativo n. 276 del 2003, e successive modificazioni, possono concludere convenzioni con le quali prevedano la costituzione di camere arbitrali unitarie. Si applica, in quanto compatibile, l'articolo 412, commi terzo e quarto, del codice di procedura civile.
9. Presso le sedi di certificazione può altresì essere esperito il tentativo di conciliazione di cui all'articolo 410 del codice di procedura civile.
10. All'articolo 82 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, le parole: «di cui all'articolo 76, comma 1, lettera a), del presente decreto legislativo» sono soppresse.
11. Il comma 2 dell'articolo 83 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, è abrogato.
12. All'articolo 2113, quarto comma, del codice civile, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «e dell'articolo 82 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni».
13. Il secondo comma dell'articolo 410-bis e l'articolo 412-bis del codice di procedura civile sono abrogati.
14. Dall'attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Gli adempimenti previsti dal presente articolo sono svolti nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.
L’articolo in esame interviene sulla disciplina del processo del lavoro contenuta nel codice di procedura civile disponendo, in particolare, in materia di conciliazione ed arbitrato.
La novella, che interessa gli articoli 410, 411, 412, 412-ter e 412-quater del codice di rito, mira ad introdurre, nei contenziosi di lavoro, una nuova disciplina della procedura del tentativo di conciliazione, da tenere presso le apposite commissioni istituite presso le Direzioni provinciali del lavoro.
Gli artt. 410 e 411 dettano specifiche disposizioni sul procedimento e sul processo verbale di conciliazione, mentre l’art. 412 prevede la possibile risoluzione arbitrale della controversia (devoluta alla citata commissione dalle stesse parti in qualunque momento del tentativo di conciliazione in corso) e gli effetti esecutivi del lodo raggiunto.
Gli articoli 412-ter e 412-quater, prevedono, rispettivamente, che i tentativi di conciliazione possono essere svolti anche nelle forme previste dalla contrattazione collettiva (412-ter) nonché la possibile proposizione delle liti in oggetto davanti ad appositi collegi di conciliazione e arbitrato irrituale, in relazione ai cui giudizi sono dettati specifici passaggi procedimentali (art. 412-quater).
Delle norme indicate, relative ai primi cinque commi dell’art. 66, è predisposto un testo a fronte che evidenzia le novelle introdotte nel codice di rito civile.
Codice di Procedura Civile |
AC 1441 (Governo) |
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Art. 410 |
Art. 410 |
Tentativo obbligatorio di conciliazione |
Tentativo di conciliazione |
1. Chi intende proporre in giudizio una domanda relativa ai rapporti previsti dall'articolo 409 e non ritiene di avvalersi delle procedure di conciliazione previste dai contratti e accordi collettivi deve promuovere, anche tramite l'associazione sindacale alla quale aderisce o conferisca mandato, il tentativo di conciliazione presso la commissione di conciliazione individuata secondo i criteri di cui all'articolo 413. |
1. Chi intende proporre in giudizio una domanda relativa ai rapporti previsti dall'articolo 409 del presente codice e dall'articolo 63, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, può promuovere, anche tramite l'associazione sindacale alla quale aderisce o conferisce mandato, un previo tentativo di conciliazione presso la commissione di conciliazione individuata secondo i criteri di cui all'articolo 413. |
2. La comunicazione della richiesta di espletamento del tentativo di conciliazione interrompe la prescrizione e sospende, per la durata del tentativo di conciliazione e per i venti giorni successivi alla sua conclusione, il decorso di ogni termine di decadenza. |
2. Identico. |
3. La commissione, ricevuta la richiesta tenta la conciliazione della controversia, convocando le parti, per una riunione da tenersi non oltre dieci giorni dal ricevimento della richiesta. |
[cfr. infra, comma 7] |
4. Con provvedimento del direttore dell'ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione è istituita in ogni provincia presso l'ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione, una commissione provinciale di conciliazione composta dal direttore dell'ufficio stesso, o da un suo delegato, in qualità di presidente, da quattro rappresentanti effettivi e da quattro supplenti dei datori di lavoro e da quattro rappresentanti effettivi e da quattro supplenti dei lavoratori, designati dalle rispettive organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative su base nazionale. |
3. Le commissioni di conciliazione sono istituite presso la direzione provinciale del lavoro. La commissione è composta dal direttore dell'ufficio stesso o da un suo delegato, in qualità di presidente, da quattro rappresentanti effettivi e da quattro supplenti dei datori di lavoro e da quattro rappresentanti effettivi e da quattro supplenti dei lavoratori, designati dalle rispettive organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative. |
5. Commissioni di conciliazione possono essere istituite, con le stesse modalità e con la medesima composizione di cui al precedente comma, anche presso le sezioni zonali degli uffici provinciali del lavoro e della massima occupazione. |
Soppresso. |
6. Le commissioni, quando se ne ravvisi la necessità, affidano il tentativo di conciliazione a proprie sottocommissioni, presiedute dal direttore dell'ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione o da un suo delegato che rispecchino la composizione prevista dal precedente terzo comma. 7. In ogni caso per la validità della riunione è necessaria la presenza del presidente e di almeno un rappresentante dei datori di lavoro e di uno dei lavoratori. |
4. Le commissioni, quando se ne ravvisi la necessità, affidano il tentativo di conciliazione a proprie sottocommissioni, presiedute dal direttore della direzione provinciale del lavoro o da un suo delegato, che rispecchino la composizione prevista dal terzo comma. In ogni caso per la validità della riunione è necessaria la presenza del presidente e di almeno un rappresentante dei datori di lavoro e almeno un rappresentante dei lavoratori. |
8. Ove la riunione della commissione non sia possibile per la mancata presenza di almeno uno dei componenti di cui al precedente comma, il direttore dell'ufficio provinciale del lavoro certifica l'impossibilità di procedere al tentativo di conciliazione. |
Soppresso. |
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5. La richiesta del tentativo di conciliazione, sottoscritta dall'istante, è consegnata o spedita mediante raccomandata con avviso di ricevimento. Copia della richiesta del tentativo di conciliazione deve essere consegnata o spedita a cura della stessa parte istante alla controparte. |
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6. La richiesta deve precisare: 1) nome, cognome e residenza dell'istante e del convenuto; se l'istante o il convenuto sono una persona giuridica, un'associazione non riconosciuta o un comitato, l'istanza deve indicare la denominazione o la ditta nonché la sede; 2) il luogo ove è sorto il rapporto ovvero dove si trova l'azienda o sua dipendenza alla quale è addetto il lavoratore o presso la quale egli prestava la sua opera al momento della fine del rapporto; 3) il luogo dove devono essere fatte alla parte istante le comunicazioni inerenti alla procedura; 4) l'esposizione dei fatti e delle ragioni posti a fondamento della pretesa. |
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7. Entro venti giorni dal ricevimento della copia della richiesta, la controparte deposita presso la commissione di conciliazione una memoria contenente le difese e le eccezioni in fatto e in diritto, le eventuali domande in via riconvenzionale e l'indicazione dei mezzi di prova. Entro i dieci giorni successivi al deposito, la commissione fissa la comparizione delle parti per il tentativo di conciliazione, che deve essere tenuto entro i successivi trenta giorni. Dinanzi alla commissione il lavoratore può farsi rappresentare o assistere anche da un'organizzazione cui aderisce o conferisce mandato. |
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8. La conciliazione della lite da parte di chi rappresenta la pubblica amministrazione, anche in sede giudiziale ai sensi dell'articolo 420, commi primo, secondo e terzo, non può dar luogo a responsabilità amministrativa. |
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Art. 410-bis |
Art. 410-bis |
Termine per l'espletamento del tentativo di conciliazione |
Termine per l'espletamento del tentativo di conciliazione |
1. Il tentativo di conciliazione, anche se nelle forme previste dai contratti e accordi collettivi, deve essere espletato entro sessanta giorni dalla presentazione della richiesta |
1. Identico. |
2. Trascorso inutilmente tale termine, il tentativo di conciliazione si considera comunque espletato ai fini dell'articolo 412-bis. |
2. Abrogato. |
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Art. 411 |
Art. 411 |
Processo verbale di conciliazione |
Processo verbale di conciliazione |
1. Se la conciliazione riesce, si forma processo verbale che deve essere sottoscritto dalle parti e dal presidente del collegio che ha esperito il tentativo, il quale certifica l'autografia della sottoscrizione delle parti o la loro impossibilità di sottoscrivere. |
1. Se la conciliazione esperita ai sensi dell'articolo 410 riesce, anche limitatamente ad una parte della domanda, viene redatto separato processo verbale sottoscritto dalle parti e dai componenti della commissione di conciliazione. Il verbale costituisce titolo esecutivo a seguito di provvedimento del giudice su istanza della parte interessata. |
2. Il processo verbale è depositato a cura delle parti o dell'ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione nella cancelleria del tribunale nella cui circoscrizione è stato formato. Il giudice, su istanza della parte interessata, accertata la regolarità formale del verbale di conciliazione, lo dichiara esecutivo con decreto. |
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2. Se non si raggiunge l'accordo tra le parti, la commissione di conciliazione deve formulare una proposta per la bonaria definizione della controversia. Se la proposta non è accettata, i termini di essa sono riassunti nel verbale con indicazione delle valutazioni espresse dalle parti. |
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3. Ove il tentativo di conciliazione sia stato richiesto dalle parti, al ricorso depositato ai sensi dell'articolo 415 devono essere allegati i verbali e le memorie concernenti il tentativo di conciliazione non riuscito. |
3. Se il tentativo di conciliazione si è svolto in sede sindacale, il processo verbale di avvenuta conciliazione è depositato presso l'ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione a cura di una delle parti o per il tramite di un'associazione sindacale. Il direttore, o un suo delegato, accertatane l'autenticità, provvede a depositarlo nella cancelleria del tribunale nella cui circoscrizione è stato redatto. Il giudice su istanza della parte interessata accertata la regolarità formale del verbale di conciliazione, lo dichiara esecutivo con decreto. |
Soppresso. |
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Art. 412 |
Art. 412 |
Verbale di mancata conciliazione |
Risoluzione arbitrale della controversia |
1. Se la conciliazione non riesce, si forma processo verbale con l'indicazione delle ragioni del mancato accordo; in esso le parti possono indicare la soluzione anche parziale sulla quale concordano, precisando, quando è possibile, l'ammontare del credito che spetta al lavoratore. In quest'ultimo caso il processo verbale acquista efficacia di titolo esecutivo, osservate le disposizioni di cui all'articolo 411. |
1. In qualunque fase del tentativo di conciliazione, o al suo termine in caso di mancata riuscita, le parti possono accordarsi per la risoluzione della lite, affidando alla commissione di conciliazione il mandato a risolvere in via arbitrale la controversia. 2. Nel conferire mandato per la risoluzione arbitrale della controversia, le parti devono indicare: |
2. L'ufficio provinciale del lavoro rilascia alla parte copia del verbale entro cinque giorni dalla richiesta. 3. Le disposizioni del primo comma si applicano anche al tentativo di conciliazione in sede sindacale. 4. Delle risultanze del verbale di cui al primo comma il giudice tiene conto in sede di decisione sulle spese del successivo giudizio. |
1) il termine per l'emanazione del lodo, spirato il quale l'incarico deve intendersi revocato; 2) le norme che la commissione deve applicare al merito della controversia, ivi compresa la decisione secondo equità, nel rispetto dei princìpi generali dell'ordinamento. 3. Il lodo emanato a conclusione dell'arbitrato, sottoscritto dagli arbitri e autenticato, produce tra le parti gli effetti di cui all'articolo 1372 e all'articolo 2113, quarto comma, del codice civile e ha efficacia di titolo esecutivo ai sensi dell'articolo 474 del presente codice a seguito del provvedimento del giudice su istanza della parte interessata ai sensi dell'articolo 825. 4. Il lodo è impugnabile ai sensi dell'articolo 808-ter. |
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Art. 412-bis |
Art. 412-bis |
Procedibilità della domanda |
Procedibilità della domanda |
L'espletamento del tentativo di conciliazione costituisce condizione di procedibilità della domanda. L'improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto nella memoria difensiva di cui all'articolo 416 e può essere rilevata d'ufficio dal giudice non oltre l'udienza di cui all'articolo 420. Il giudice ove rilevi che non è stato promosso il tentativo di conciliazione ovvero che la domanda giudiziale è stata presentata prima dei sessanta giorni dalla promozione del tentativo stesso, sospende il giudizio e fissa alle parti il termine perentorio di sessanta giorni per promuovere il tentativo di conciliazione. Trascorso il termine di cui al primo comma dell'articolo 410-bis, il processo può essere riassunto entro il termine perentorio di centottanta giorni. Ove il processo non sia stato tempestivamente riassunto, il giudice dichiara d'ufficio l'estinzione del processo con decreto cui si applica la disposizione di cui all'articolo 308. Il mancato espletamento del tentativo di conciliazione non preclude la concessione dei provvedimenti speciali d'urgenza e di quelli cautelari previsti nel capo III del titolo I del libro IV. |
Abrogato |
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Art. 412-ter |
Art. 412-ter |
Arbitrato irrituale previsto dai contratti collettivi |
Altre modalità di conciliazione previste dalla contrattazione collettiva |
1. Se il tentativo di conciliazione non riesce o comunque è decorso il termine previsto per l'espletamento, le parti possono concordare di deferire ad arbitri la risoluzione della controversia, anche tramite l'organizzazione sindacale alla quale aderiscono o abbiano conferito mandato, se i contratti o accordi collettivi nazionali di lavoro prevedono tale facoltà e stabiliscono: a) le modalità della richiesta di devoluzione della controversia al collegio arbitrale e il termine entro il quale l'altra parte può aderirvi; b) la composizione del collegio arbitrale e la procedura per la nomina del presidente e dei componenti; c) le forme e i modi di espletamento dell'eventuale istruttoria; d) il termine entro il quale il collegio deve emettere il lodo, dandone comunicazione alle parti interessate; e) i criteri per la liquidazione dei compensi agli arbitri. |
1. La conciliazione, nelle materie di cui all'articolo 409 del presente codice e all'articolo 63, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, può essere svolta altresì presso le sedi previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative. |
2. I contratti e accordi collettivi possono, altresì, prevedere l'istituzione di collegi o camere arbitrali stabili, composti e distribuiti sul territorio secondo criteri stabiliti in sede di contrattazione nazionale. |
2. Si applicano, in quanto compatibili, le norme di cui agli articoli 410, 411 e 412. |
3. Nella pronuncia del lodo arbitrale si applica l'articolo 429, terzo comma, del codice di procedura civile. |
Soppresso. |
4. Salva diversa previsione della contrattazione collettiva, per la liquidazione delle spese della procedura arbitrale si applicano altresì gli articoli 91, primo comma, e 92 del codice di procedura civile. |
Soppresso. |
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Art. 412-quater |
Art. 412-quater |
Impugnazione ed esecutività del lodo arbitrale |
Altre modalità di conciliazione e arbitrato |
1. Sulle controversie aventi ad oggetto la validità del lodo arbitrale decide in un unico grado il Tribunale, in funzione del giudice del lavoro, della circoscrizione in cui è la sede dell'arbitrato. Il ricorso è depositato entro il termine di trenta giorni dalla notificazione del lodo. 2. Trascorso tale termine, o se le parti hanno comunque dichiarato per iscritto di accettare la decisione arbitrale, ovvero se il ricorso è stato respinto dal Tribunale, il lodo è depositato nella cancelleria del Tribunale nella cui circoscrizione è la sede dell'arbitrato. Il giudice, su istanza della parte interessata, accertata la regolarità formale del lodo arbitrale, lo dichiara esecutivo con decreto. |
1. Ferma restando la facoltà di ciascuna delle parti di adire l'autorità giudiziaria e di avvalersi delle procedure di conciliazione e di arbitrato previste dalla legge, le controversie di cui all'articolo 409 del presente codice e all'articolo 63, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, possono essere altresì proposte innanzi al collegio di conciliazione e arbitrato irrituale costituito secondo quanto previsto dai commi seguenti. È nulla ogni clausola del contratto individuale di lavoro o comunque pattuita che obblighi una parte o entrambe a proporre le controversie indicate nel periodo precedente al collegio di conciliazione e arbitrato. |
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2. Il collegio di conciliazione e arbitrato è composto da un rappresentante di ciascuna delle parti e da un terzo membro, in funzione di presidente, scelto di comune accordo dagli arbitri di parte tra i professori universitari di materie giuridiche e gli avvocati ammessi al patrocinio davanti alla Corte di cassazione. |
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3. La parte che intenda ricorrere al collegio di conciliazione e arbitrato deve notificare all'altra parte un ricorso sottoscritto, salvo che si tratti di una pubblica amministrazione, da un avvocato al quale abbia conferito mandato e presso il quale deve eleggere il domicilio. Il ricorso deve contenere la nomina dell'arbitro di parte e indicare l'oggetto della domanda, le ragioni di fatto e di diritto sulle quali si fonda la domanda stessa, i mezzi di prova e il valore della controversia entro il quale si intende limitare la domanda. |
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4. Se la parte convenuta intende accettare la procedura di conciliazione e arbitrato nomina il proprio arbitro di parte, il quale entro trenta giorni dalla notifica del ricorso procede, ove possibile, concordemente con l'altro arbitro, alla scelta del presidente e della sede del collegio. Ove ciò non avvenga ciascuna delle parti è libera di adire l'autorità giudiziaria. |
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5. In caso di scelta concorde del terzo arbitro e della sede del collegio, la parte convenuta, entro trenta giorni da tale scelta, deve depositare presso la sede del collegio una memoria difensiva sottoscritta, salvo che si tratti di una pubblica amministrazione, da un avvocato cui abbia conferito mandato e presso il quale deve eleggere il domicilio. La memoria deve contenere le difese e le eccezioni in fatto e in diritto, le eventuali domande in via riconvenzionale e l'indicazione dei mezzi di prova. |
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6. Entro dieci giorni dal deposito della memoria difensiva il ricorrente può depositare presso la sede del collegio una memoria di replica senza modificare il contenuto del ricorso. Nei successivi dieci giorni il convenuto può depositare presso la sede del collegio una controreplica senza modificare il contenuto della memoria difensiva. |
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7. Il collegio fissa il giorno dell'udienza, da tenere entro trenta giorni dalla scadenza del termine per la controreplica del convenuto, dandone comunicazione alle parti nel domicilio eletto almeno dieci giorni prima. |
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8. All'udienza il collegio esperisce il tentativo di conciliazione. Se la conciliazione riesce si applicano le disposizioni dell'articolo 411, commi primo e terzo, del presente codice, e dell'articolo 66, comma 8, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. |
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9. Se la conciliazione non riesce il collegio provvede, ove occorra, a interrogare le parti e ad ammettere ed espletare le prove, altrimenti invita all'immediata discussione orale. Nel caso di ammissione delle prove il collegio può rinviare ad altra udienza, a non più di dieci giorni di distanza, per l'assunzione delle stesse e la discussione orale. |
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10. La controversia è decisa, entro venti giorni dall'udienza di discussione, mediante un lodo. Il lodo è impugnabile ai sensi dell'articolo 808-ter. |
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11. Il compenso del presidente del collegio è fissato in misura pari al 2 per cento del valore della controversia dichiarato in ricorso ed è versato dalle parti per metà ciascuna presso la sede del collegio mediante assegni circolari intestati al presidente almeno cinque giorni prima dell'udienza. Ciascuna parte provvede a compensare l'arbitro da essa nominato. Le spese legali e quelle per il compenso del presidente e dell'arbitro di parte, queste ultime nella misura dell'1 per cento del suddetto valore della controversia, sono liquidate nel lodo ai sensi degli articoli 91, primo comma, e 92. |
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12. I contratti collettivi nazionali di categoria possono istituire un fondo per il rimborso al lavoratore delle spese per il compenso del presidente del collegio e del proprio arbitro di parte. |
Il comma 6 prevede che, in deroga al nuovo art. 412-quater, i CCLN possano prevedere clausole compromissorie relative alla devoluzione al collegio arbitrale anche sulla base di “forme di adesione tacita” alla procedura arbitrale.
Il commi 7, 8 e 9 estendono ulteriormente la possibilità di arbitrato, rituale e irrituale. L’arbitrato sarà, infatti, possibile anche quando il contratto di lavoro e la clausola compromissoria siano “certificati” in conformità delle previsioni del D.Lgs. n. 276 del 2003[46] ovvero siano validati dalle apposite commissioni di certificazione di cui all’art. 76 del citato decreto legislativo[47]. Gli stessi organi di certificazione possono istituire camere arbitrali “irrituali”, presso le quali può anche essere esperito, preliminarmente, il tentativo di conciliazione.
Il comma 10, estende a tutte le commissioni di certificazione la competenza a certificare - a conferma della volontà abdicativa o transattiva delle parti stesse - tutte le rinunce e transazioni relative a diritti del lavoratore derivanti da disposizioni inderogabili di legge e da contratti e accordi collettivi (di cui all’art. 2113 c.c.).
Il comma 11 abroga il comma 2 dell’art. 83 del D.Lgs. n. 276 del 2003, che prevede che la certificazione del contenuto del regolamento interno delle cooperative (riguardante la tipologia dei rapporti di lavoro attuati o da attuare con i soci lavoratori), depositato presso la competente Direzione provinciale del lavoro, debba essere espletata da specifiche commissioni istituite nelle sole sedi di certificazione presso le stesse Direzioni provinciali.
Il comma 12 novella il quarto comma dell’art. 2113 del codice civile prevedendo l’inapplicabilità della disciplina ivi contenuta in materia di rinunzie e transazionianche alle conciliazioni intervenute presso le commissioni di conciliazione.
Il comma 13 in coerenza con le novelle introdotte, abroga l’art. 412-bis del codice di procedura civile, relativo al tentativo di conciliazione nel processo del lavoro come condizione di procedibilità della domanda. Per coordinamento, è abrogato anche il secondo comma dell’art. 410-bis che fa riferimento all’art. 412-bis (cfr. ante, testo a fronte).
Il comma 14 è relativo alla clausola d’invarianza finanziaria.
1. Il primo comma dell'articolo 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, è sostituito dal seguente:
«Il licenziamento da parte del datore di lavoro deve essere impugnato a pena di decadenza entro centoventi giorni dalla ricezione della sua comunicazione, ovvero dalla comunicazione dei motivi, ove non contestuale, con ricorso depositato nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro».
2. Il termine di decadenza, previsto dall'articolo 6, primo comma, della legge 15 luglio 1966, n. 604, come sostituito dal comma 1 del presente articolo, si applica anche ai casi di nullità del licenziamento, nonché ai casi di licenziamento inefficace di cui all'articolo 2 della citata legge n. 604 del 1966.
3. Il termine di decadenza previsto dall'articolo 6, primo comma, della legge 15 luglio 1966, n. 604, come sostituito dal comma 1 del presente articolo, si applica inoltre:
a) ai licenziamenti anche qualora presuppongano la risoluzione di questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro ovvero alla legittimità del termine apposto al contratto;
b) al recesso del committente nei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, anche nella modalità a progetto, di cui all'articolo 409, numero 3), del codice di procedura civile;
c) al trasferimento ai sensi dell'articolo 2103 del codice civile.
L’articolo 67 è volto a modificare le disposizioni relative alle modalità e ai termini per l’impugnazione dei licenziamenti individuali.
La vigente disciplina dei licenziamenti individuali[48] è differenziata in ragione della “soglia dimensionale” del datore di lavoro, secondo una articolazione di ipotesi che peraltro, rispetto ai testi originari delle leggi in materia (L. 15 luglio 1966, n. 604; articolo 18 della L. 20 maggio 1970, n. 300), è stata semplificata dalla L. 11 maggio 1990, n. 108.
A parte le situazioni, ormai residuali, in cui permane il regime di libera recedibilità (c.d. recesso ad nutum), originariamente previsto per tutti i rapporti di lavoro a tempo indeterminato dall'articolo 2118 del codice civile, la disciplina vigente, nel caso di licenziamento senza giusta causa o giustificato motivo, distingue un'area nella quale si applica la c.d. "tutela reale" del lavoratore, prevista dall'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, ed un'area nella quale si applica invece la c.d. "tutela obbligatoria", di cui all'articolo 8 della L. 604/1966. Nel primo caso, il datore di lavoro ha l'obbligo di reintegrare il lavoratore illegittimamente licenziato, salvo che questi non preferisca farsi liquidare una indennità sostitutiva della reintegrazione nel posto di lavoro; nel secondo, spetta al datore di lavoro la scelta tra la riassunzione del lavoratore e la corresponsione di una indennità pecuniaria.
L'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, come accennato, prevede la "tutela reale", che comporta la reintegrazione del lavoratore illegittimamente licenziato nel posto di lavoro. Tale forma di tutela si applica nei confronti dei datori di lavoro (imprenditori e non imprenditori) che occupino più di 15 dipendenti (ovvero 5 dipendenti per gli imprenditori agricoli) in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento.La medesima forma di tutela si applica altresì nei confronti dei datori di lavoro che nell'ambito dello stesso comune occupano più di 15 dipendenti ed alle imprese agricole che nel medesimo ambito territoriale occupano più di 5 dipendenti, anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso al datore di lavoro che occupa alle sue dipendenze più di 60 lavoratori.
Si ricorda che la normativa vigente, a parte il caso del licenziamento illegittimo per mancanza di giusta causa o giustificato motivo, prevede la “tutela reale” (e quindi la reintegrazione), indipendentemente dai limiti dimensionali del datore di lavoro, allorché il giudice abbia:
- dichiarato inefficace il licenziamento per mancanza della forma scritta o della comunicazione, sempre per iscritto, dei motivi del licenziamento stesso (articolo 2 della legge n. 604/1966);
- ovvero dichiarato la nullità del licenziamento discriminatorio, in quanto determinato (a prescindere dalla motivazione addotta) da ragioni di credo politico o fede religiosa, dall'appartenenza ad un sindacato e dalla partecipazione ad attività sindacali, ovvero da ragioni di discriminazione razziale, di lingua o di sesso (articolo 4 della legge n. 604/1966 e articolo 15 della legge n. 300/1970).
Con la stessa sentenza con cui il giudice dispone la reintegrazione ai sensi dell’articolo 18, comma 1 (che, ai sensi dell'articolo 18, comma 6, è provvisoriamente esecutiva) il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore, stabilendo un’indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione e al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali per il medesimo periodo. Il risarcimento non potrà essere inferiore a 5 mensilità di retribuzione globale di fatto (articolo 18, comma 4).
Fermo restando il diritto al risarcimento del danno quantificato come sopra, al prestatore di lavoro è riconosciuta la facoltà di chiedere, in luogo della reintegrazione, un’indennità pari a 15 mensilità di retribuzione globale di fatto (articolo 18, comma 5).
Al di fuori del campo di applicazione dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, e quindi essenzialmente per le imprese fino a 15 dipendenti, si applica invece la “tutela obbligatoria” di cui all'articolo 8 della legge n. 604/1966. Tale articolo dispone che, ove non ricorrano gli estremi della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento, "il datore di lavoro è tenuto a riassumere il prestatore di lavoro entro il termine di tre giorni o, in mancanza, a risarcire il danno versandogli un'indennità di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità dell'ultima retribuzione di fatto, avuto riguardo al numero dei dipendenti occupati, alle dimensioni dell'impresa, all'anzianità di servizio del prestatore di lavoro, al comportamento e alle condizioni delle parti. La misura massima della predetta indennità può essere maggiorata fino a 10 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore a dieci anni e fino a 14 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore a venti anni, se dipendenti da datore di lavoro che occupa più di quindici prestatori di lavoro".
A prescindere dalle diverse opinioni prospettate in dottrina ed in giurisprudenza circa la configurazione, dal punto di vista teorico, del rapporto tra le due obbligazioni (riassunzione e risarcimento del danno)[49], è certo che la norma di cui sopra non consente al lavoratore di ottenere, senza il concorso della volontà del datore di lavoro, il ripristino della precedente posizione lavorativa. Per altro verso, il risarcimento previsto nel caso di mancata riassunzione (che deve intendersi comunque dovuto anche quando sia il lavoratore a non voler ripristinare il rapporto, per effetto della sentenza interpretativa di rigetto n. 194 del 28 dicembre 1970 della Corte costituzionale) è comunque inferiore a quello previsto dall'articolo 18 della legge n. 300/1970.
Sussistono poi opinioni diversificate anche in ordine alla questione se la riassunzione dia luogo ad un nuovo rapporto di lavoro (come sembra ritenere l'opinione prevalente), ovvero costituisca la prosecuzione o la rinnovata attuazione del precedente rapporto, questione la cui soluzione ha naturalmente conseguenze significative per vari profili (spettanza di ulteriori erogazioni per i periodi intermedi, anzianità aziendale, trattamento di fine rapporto).
In particolare il comma 1, sostituendo l’articolo 6, primo comma, della L. 604/1966, allunga da 60 giorni a 120 giorni dal ricevimento della sua comunicazione (ovvero della comunicazione dei motivi se non contestuale) il termine, previsto a pena di decadenza, per l’impugnazione del licenziamento.
Tuttavia, allo stesso tempo, si dispone che tale impugnazione possa essere effettuata esclusivamente con ricorso al giudice del lavoro depositato nella relativa cancelleria, facendo quindi venir meno la possibilità, prevista dalla normativa vigente, di impugnare il licenziamento con qualsiasi atto scritto, anche stragiudiziale, idoneo a far conoscere la volontà del lavoratore.
Si evidenzia che la formulazione della disposizione in esame sembrerebbe voler prevedere che il termine per l’impugnazione si intende rispettato se il ricorso viene depositato entro tale termine presso la cancelleria, non occorrendo altresì la notifica al datore di lavoro. Invece la dottrina e la giurisprudenza prevalenti interpretano la normativa vigente nel senso della necessità della notifica entro il termine, considerando l’impugnazione un atto recettizio[50].
Il comma 2 precisa che il termine previsto a pena di decadenza dal precedente comma per l’impugnazione del licenziamento si applica anche ai casi di nullità del licenziamento, nonché alle ipotesi di licenziamento inefficace.
Si evidenzia che invece, in base all’interpretazione prevalente della normativa vigente, il termine di decadenza in questione si applica, oltre che al licenziamento ingiustificato (in assenza della giusta causa o del giustificato motivo), anche al licenziamento nullo in quanto discriminatorio ai sensi dell’articolo 4 della L. 604/1966 ed al licenziamento disciplinare illegittimo per violazione del procedimento di cui all’articolo 7 della L. 300/1970 (Statuto dei lavoratori)[51].
Al contrario, secondo tale prevalente orientamento interpretativo, lo stesso termine di decadenza non è applicabile al licenziamento inefficace per mancanza della forma scritta o per omessa tempestiva comunicazione dei motivi richiesti dal lavoratore (non potendosi far carico al lavoratore di rispettare il termine per l’impugnazione se il datore di lavoro non abbia preventivamente assolto ai propri oneri di comunicazione), né al licenziamento nullo disposto nel periodo di interdizione per matrimonio o maternità ed al licenziamento nullo per motivo illecito o frode alla legge (dal momento che la disposizione relativa al termine di decadenza è contenuta nella L. 604/1966 che non si applica alle predette fattispecie)[52].
Pertanto, il provvedimento in esame sembra voler estendere l’ambito di applicabilità del termine di decadenza per l’impugnazione di cui all’articolo 6, primo comma, della L. 604/1966 ad ulteriori casi di licenziamento illegittimo, comprendendovi anche tutti i casi di nullità (quindi anche quelli che ai sensi dell’interpretazione prevalente della normativa vigente rimangono esclusi) nonché i casi di inefficacia per vizio di forma o per omessa tempestiva comunicazione dei motivi richiesti.
Il comma 3 estende ulteriormente l’ambito di applicazione del termine di decadenza per l’impugnazione di cui al menzionato articolo 6, primo comma, della L. 604/1966. In primo luogo, viene precisato che tale termine si applica anche ai licenziamenti che presuppongano la risoluzione di questioni attinenti alla qualificazione del rapporto lavorativo ovvero alla legittimità del termine apposto al contratto. Inoltre, si prevede l’applicazione del termine anche al di fuori dei casi di licenziamento e, in particolare, alle seguenti fattispecie:
- recesso del committente nei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, anche a progetto;
La collaborazione coordinata e continuativa si configura come un rapporto di lavoro nel quale il collaboratore si impegna a compiere un’opera od un servizio, in via continuativa, a favore del committente, ed in coordinamento con il committente stesso, senza che però si crei un vero e proprio vincolo di subordinazione.
Il D.Lgs. 276/2003[53] ha introdotto una specifica disciplina delle collaborazioni coordinate e continuative (lavoro a progetto), finalizzata a superare gli abusi che hanno condotto all’uso talvolta improprio di tale strumento contrattuale per eludere la disciplina del rapporto di lavoro subordinato.
A tal fine si stabilisce (articolo 61), creando in questo modo la nuova figura del lavoratore a progetto, l’obbligo di ricondurre i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa ad uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso, determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del coordinamento con l’organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione dell’attività lavorativa. Da tale previsione sono escluse le prestazioni meramente occasionali, cioè i rapporti di durata complessiva non superiore a trenta giorni nel corso dell’anno solare con lo stesso committente, salvo che il compenso complessivo per lo svolgimento della prestazione sia superiore a 5 mila euro. Sono escluse dal campo di applicazione della disciplina del lavoro a progetto anche le professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi.
Il contratto di lavoro a progetto deve essere redatto in forma scritta ad probationem, deve contenere, tra gli altri, l’indicazione della durata della prestazione lavorativa e del progetto, o programma, di lavoro o delle fasi di esso, nonché il corrispettivo e le relative modalità di pagamento e le forme di coordinamento del lavoratore, che in ogni caso non devono essere tali da pregiudicare l’autonomia del collaboratore stesso. Lo stesso contratto, infine, deve prevedere forme di tutela della salute e sicurezza del collaboratore a progetto (articolo 62).
Si prevede che, nel caso in cui i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa siano instaurati senza individuare uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso, vengono considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato fin dalla data di costituzione del rapporto (articolo 69, comma 1).
Si consideri, infine, che la disciplina del lavoro a progetto non si applica al settore pubblico, poiché l’art. 1 del D.Lgs. 276/2003 dispone espressamente che la disciplina introdotta dal medesimo decreto non si applica alle amministrazioni pubbliche e al relativo personale.
- trasferimento del lavoratore subordinato da un’unità produttiva ad un’altra.
Si ricorda che l’articolo 2103 c.c. stabilisce che il lavoratore dipendente non può essere trasferito da una unità produttiva ad una altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive e che ogni patto contrario è nullo.
[1] D.Lgs. 11 agosto 1993, n. 374, Attuazione dell'art. 3, comma 1, lettera f), della legge 23 ottobre 1992, n. 421, recante benefici per le attività usuranti.
[2] L. 23 ottobre 1992, n. 421, Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale.
[3] Per tali lavoratori, inoltre, i limiti di età introdotti dalla legge di riforma del sistema pensionistico per l'accesso alla pensione di anzianità nel regime retributivo sono ridotti fino al massimo di un anno (art. 1, comma 36, della L. 335/1995).
[4] Per quanto riguarda invece le pensioni che saranno liquidate esclusivamente con il nuovo sistema contributivo, i lavoratori impegnati in lavori particolarmente usuranti hanno facoltà di optare tra una più elevata pensione (mediante applicazione di un coefficiente di trasformazione del montante contributivo maggiorato, rispetto all'età anagrafica all'atto del pensionamento, di un anno per ogni sei anni di occupazione nelle attività usuranti) o un anticipo, in proporzione corrispondente e fino al massimo di un anno, del diritto al conseguimento della pensione di vecchiaia (art. 1, comma 37, della L. 335/1995).
[5] A tale riguardo, si segnala che la legge 3 gennaio 1960, n. 5, prevede, all'art. 1, che i lavoratori delle miniere, cave e torbiere possano andare in pensione a 55 anni, purché siano stati addetti complessivamente, anche se con discontinuità, per almeno 15 anni a lavori di sotterraneo. L'art. 25 del D.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, dispone invece che il servizio prestato dagli operai dello Stato addetti ai lavori insalubri (come definiti da ultimo dal decreto del Ministro della Sanità del 19 novembre 1981) o ai polverifici, sia maggiorato di un quarto.
[6] In tal senso, l’art. 78, comma 8, della legge 23 dicembre 2000, n. 388.
[7] D.M. 17 aprile 2001, Attuazione dell'art. 78, della L. 23 dicembre 2000, n. 388 (Finanziaria 2001). Benefìci in favore dei lavoratori che risultino aver svolto prevalentemente mansioni particolarmente usuranti per le caratteristiche di maggior gravità dell'usura. La materia è stata successivamente oggetto della circolare INPS n. 115 del 25 maggio 2001 e, per i lavoratori iscritti al Fondo speciale dipendenti della Ferrovie dello Stato Spa, della circolare INPS n. 161 del 10 agosto 2001.
[8] In base ad una rilevazione effettuata dall’INPS nel mese di maggio 2003, i lavoratori che hanno usufruito del beneficio sono stati 416 (di cui 407 hanno fruito dell’anticipo rispetto ai requisiti di vecchiaia e 9 dell’anticipo rispetto ai requisiti di anzianità).
[9] Legge 24 dicembre 2007, n. 247, Norme di attuazione del Protocollo del 23 luglio 2007 su previdenza, lavoro e competitività per favorire l'equità e la crescita sostenibili, nonché ulteriori norme in materia di lavoro e previdenza sociale.
[10] D.Lgs. 8 aprile 2003, n. 66, Attuazione della direttiva 93/104/CE e della direttiva 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro.
Si ricorda che l’articolo 1, comma 2, lettera e), del richiamato D.Lgs. 66/2003 definisce come “lavoratore notturno”:
- qualsiasi lavoratore che durante il periodo notturno svolga almeno tre ore del suo tempo di lavoro giornaliero impiegato in modo normale;
- qualsiasi lavoratore che svolga durante il periodo notturno almeno una parte del suo orario di lavoro secondo le norme definite dalla contrattazione collettiva. In difetto di disciplina da parte della contrattazione collettiva è considerato lavoratore notturno qualsiasi lavoratore che svolga lavoro notturno per un minimo di ottanta giorni lavorativi all'anno; il suddetto limite minimo è riproporzionato in caso di lavoro part-time.
[11] Si ricorda, tuttavia, che il comma 78 dell’articolo 1 della L. 247/2007 reca una specifica clausola di copertura finanziaria con riferimento alle disposizioni di cui ai precedenti commi 76 e 77 (relative alla totalizzazione dei contributi assicurativi e al riscatto della durata dei corsi universitari ai fini pensionistici), riducendo in maniera corrispondente ai relativi oneri (200 mln di euro) le risorse del Fondo di cui all’articolo 5, comma 8, del D.L. 81/2007. Inoltre, il comma 86 reca una specifica clausola di copertura finanziaria con riferimento alla disposizione di cui al precedente comma 85 (strumenti di sostegno al reddito in favore dei lavoratori portuali addetti alle prestazioni di lavoro temporaneo), a valere sulle le risorse destinate dalla legge finanziaria per il 2008 alla proroga degli strumenti per il sostegno del reddito dei lavoratori - ammortizzatori sociali, nel limite massimo di 12 mln di euro per l’anno 2008. Pertanto la copertura finanziaria di cui al menzionato comma 92 riguarda tutte le disposizioni recate dalla L. 247/2007 ad eccezione della disposizione di cui ai commi 76 e 77 (per le quali provvede in maniera specifica il comma 78) e al comma 85 (per le quali provvede in maniera specifica il comma 86).
[12] Si consideri, a tale riguardo, che tutte le disposizioni della legge finanziaria per il 2008 sono entrate in vigore il 1° gennaio 2008, ai sensi dell’articolo 3, comma 164 (fatta eccezione per alcune disposizioni specificamente richiamate, che entrano in vigore il giorno della pubblicazione nella Gazzetta ufficiale della legge finanziaria). Peraltro anche la L. 247/2007 è entrata in vigore il 1° gennaio 2008, ai sensi del comma 94 della medesima legge.
[13] D.L. 22 febbraio 2002, n. 12, Disposizioni urgenti per il completamento delle operazioni di emersione di attività detenute all'estero e di lavoro irregolare, convertito, con modificazioni, dalla L. 23 aprile 2002, n. 73.
[14] D.L. 4 luglio 2006 n. 223, Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale, convertito, con modificazioni, dalla L. 4 agosto 2006, n. 248.
[15] D.L. 25 giugno 2008 n. 112, Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria, convertito, con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2008, n. 133.
[16] In base alla normativa previgente, il datore di lavoro doveva tenere e conservare una serie di libri e documenti connessi allo svolgimento del rapporto di lavoro, cioè il libro matricola e il libro paga (che vengono soppressi e sostituiti dal libro unico del lavoro con il menzionato D.L. 112/2008), oltre al registro infortuni e al registro delle visite mediche. Il libro matricola doveva riportare, nell’ordine cronologico di assunzione, il numero di dipendenti, i loro dati anagrafici e la loro posizione professionale, al fine di documentare l’esistenza del rapporto di lavoro agli enti previdenziali e assicurativi. Nel libro paga dovevano essere annotati tutti gli elementi che compongono al retribuzione dei lavoratori, le trattenute operate e l’importo dell’assegno per il nucleo familiare corrisposto. Nel registro infortuni il datore di lavoro deve annotare cronologicamente tutti gli infortuni accaduti ai lavoratori che comportino l’assenza dal lavoro almeno di un giorno (senza considerare quello dell’infortunio), indipendentemente dal fatto che l’infortunio sia o meno coperto dall’assicurazione INAIL. La tenuta del registro delle visite mediche è obbligatoria in determinati casi previsti dalla legge, al fine di segnalare l’effettuazione e l’esito delle visite mediche prescritte prima dell’assunzione o delle visite periodiche.
[17] E’ da ritenere che l’obbligo di istituzione del libro unico del lavoro diventi effettivo solamente dopo l’emanazione di tale decreto. Pertanto, nelle more dell’emanazione della normativa attuativa che stabilirà modalità e tempi di tenuta e conservazione del libro unico del lavoro nonché il relativo regime transitorio, dovrebbe continuare ad applicarsi la normativa precedente.
[18] L. 11 gennaio 1979, n. 12, Norme per l'ordinamento della professione di consulente del lavoro.
[19] L. 24 novembre 1981, n. 689, Modifiche al sistema penale.
[20] D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, Disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie, a norma dell'articolo 3, comma 133, della L. 23 dicembre 1996, n. 662.
[21] L’articolo 16 del D.Lgs. 472/1997 disciplina il procedimento di irrogazione delle sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie. Il comma 2, in particolare, stabilisce l’obbligo di corredare la notifica con l’indicazione, a pena di nullità, dei fatti attribuiti al trasgressore, degli elementi probatori, delle norme applicate, dei criteri che ritiene di seguire per la determinazione delle sanzioni e della loro entità nonché dei minimi edittali previsti dalla legge per le singole violazioni. Inoltre, se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto né ricevuto dal trasgressore, questo deve essere allegato all'atto che lo richiama salvo che quest'ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale.
[22] Si consideri infine che il D.L. 31 dicembre 2007, n. 248, Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria, convertito con modificazioni dalla L. 28 febbraio 2008, n. 31, all’articolo 7, comma 1, dispone la proroga al 30 giugno 2008 del termine per la notifica dei provvedimenti sanzionatori amministrativi di cui all'articolo 3 del D.L. 12/2002, relativi alle violazioni constatate fino al 31 dicembre 2002.
[23] La raccomandazione relativa agli indirizzi di massima per le politiche economiche degli Stati membri e della Comunità per il periodo 2008-2010 è stata adottata dal Consiglio il 14 maggio 2008, unitamente alla raccomandazione sull’aggiornamento nel 2008 degli indirizzi di massima per le politiche degli Stati membri e della Comunità e sull’attuazione delle politiche per l’occupazione degli Stati membri.
[24] D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche.
[25] Ai sensi del comma 3 dell’articolo 35, le procedure di reclutamento nelle pubbliche amministrazioni devono rispettare i seguenti principi:
- adeguata pubblicità della selezione e modalità di svolgimento, al fine di garantire imparzialità e assicurare economicità e celerità di espletamento;
- adozione di meccanismi oggettivi e trasparenti, idonei a verificare il possesso dei requisiti attitudinali e professionali richiesti in relazione alla posizione da ricoprire;
- rispetto delle pari opportunità tra lavoratrici e lavoratori;
- decentramento delle procedure di reclutamento;
- una composizione delle commissioni esaminatrici che assicuri provata competenza ed imparzialità.
[26] Le norme dell’articolo 39 della richiamata L. 449/1997 hanno previsto, principalmente, una disciplina innovativa con riferimento al regime di assunzioni da parte delle amministrazioni pubbliche, introducendo un principio di programmazione delle assunzioni stesse che ha inteso superare – quale strumento di controllo della spesa di personale - la precedente normativa imperniata sul principio del blocco delle assunzioni (tale intenzione è stata tuttavia in parte disattesa dalla successiva legislazione, che ha fatto ricorso nuovamente al blocco del turn over per controllare la spesa di personale). In particolare, il comma 1 dell’articolo 39 ha posto a carico degli "organi di vertice" delle amministrazioni pubbliche un obbligo di programmazione triennale del fabbisogno di personale, tenendo conto delle assunzioni che le amministrazioni stesse sono tenute a operare in base alle norme sul collocamento obbligatorio dei disabili; la finalità di tale obbligo è quella di “assicurare le esigenze di funzionalità e di ottimizzare le risorse per il migliore funzionamento dei servizi compatibilmente con le disponibilità finanziarie e di bilancio”.
[27] Norme in materia di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della Comunità europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavoro.
[28] Le norme dell’articolo 39 della richiamata L. 449/1997 hanno previsto, principalmente, una disciplina innovativa con riferimento al regime di assunzioni da parte delle amministrazioni pubbliche, introducendo un principio di programmazione delle assunzioni stesse che ha inteso superare – quale strumento di controllo della spesa di personale - la precedente normativa imperniata sul principio del blocco delle assunzioni (tale intenzione è stata tuttavia in parte disattesa dalla successiva legislazione, che ha fatto ricorso nuovamente al blocco del turn over per controllare la spesa di personale). In particolare, il comma 1 dell’articolo 39 ha posto a carico degli "organi di vertice" delle amministrazioni pubbliche un obbligo di programmazione triennale del fabbisogno di personale, tenendo conto delle assunzioni che le amministrazioni stesse sono tenute a operare in base alle norme sul collocamento obbligatorio dei disabili; la finalità di tale obbligo è quella di “assicurare le esigenze di funzionalità e di ottimizzare le risorse per il migliore funzionamento dei servizi compatibilmente con le disponibilità finanziarie e di bilancio”.
[29] D.Lgs. 25 febbraio 1995, n. 77, Ordinamento finanziario e contabile degli enti locali.
[30] D.Lgs. 23 dicembre 1997, n. 469, Conferimento alle regioni e agli enti locali di funzioni e compiti in materia di mercato del lavoro, a norma dell'articolo 1 della L. 15 marzo 1997, n. 59.
[31] Si ricorda che i capi I-III del D.Lgs. 469/1997, e successive modificazioni, hanno conferito alle regioni, nonché - tramite queste ultime - agli enti locali (in particolare, alle province) le funzioni amministrative in materia di collocamento (pubblico) e di politiche attive del lavoro, fermo restando il ruolo generale di indirizzo, promozione e coordinamento da parte dello Stato.
[32] D.L. 12 maggio 1995, n. 163, Misure urgenti per la semplificazione dei procedimenti amministrativi e per il miglioramento dell'efficienza delle pubbliche amministrazioni, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 luglio 1995, n. 273.
[33] Si consideri altresì che l’articolo 30 del D.Lgs. 165/2001 stabilisce che le amministrazioni possano ricoprire posti vacanti in organico mediante passaggio diretto di dipendenti appartenenti alla stessa qualifica in servizio presso altre amministrazioni, che facciano domanda di trasferimento. Il trasferimento è disposto previo consenso dell'amministrazione di appartenenza. L’attuazione delle procedure e dei criteri generali richiamati è demandata alla contrattazione collettiva nazionale.
[34] Il comma 2-quater autorizza la Presidenza del Consiglio ad indicare, nell’ambito delle procedure concorsuali per il reclutamento di 180 unità di personale da destinare al Dipartimento della protezione civile (previste dall’art. 3, comma 59, della legge finanziaria per il 2004 e fatte salve dall’art. 1, comma 95, della legge finanziaria per il 2005) una riserva di posti destinata al personale assunto con ordinanza per esigenze della Protezione civile e del Servizio civile.
[35] Tale disposizione ha introdotto una innovazione di non poco conto rispetto alla normativa previgente, che invece riconosceva il diritto alla conservazione del trattamento economico più favorevole (principio del “divieto di reformatio in pejus”), nel caso di mobilità.
[36] D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, Razionalizzazione dell'organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell'articolo 2 della L. 23 ottobre 1992, n. 421.
[37] D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato.
[38] La disposizione è stata introdotta dalla L. 15 luglio 2002, n. 145, Disposizioni per il riordino della dirigenza statale e per favorire lo scambio di esperienze e l'interazione tra pubblico e privato.
[39] La disciplina si applica a tutti gli incarichi, anche occasionali, non compresi nei compiti e doveri di ufficio, per i quali sia previsto un compenso. Sono peraltro esclusi i compensi derivanti:
- dalla collaborazione a giornali, riviste, enciclopedie e simili;
- dalla utilizzazione economica da parte dell'autore o inventore di opere dell'ingegno e di invenzioni industriali;
- dalla partecipazione a convegni e seminari;
- da incarichi per i quali è corrisposto solo il rimborso delle spese documentate;
- da incarichi per lo svolgimento dei quali il dipendente è posto in posizione di aspettativa, di comando o fuori ruolo;
- da incarichi conferiti dalle organizzazioni sindacali a dipendenti presso le stesse distaccati o in aspettativa non retribuita;
- da attività di formazione diretta ai dipendenti della pubblica amministrazione.
[40] L. 30 dicembre 1991 n. 412, Disposizioni in materia di finanza pubblica.
[41] D.L. 25 giugno 2008 n. 112, Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria, convertito, con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2008, n. 133.
[42] Si ricorda che, ai sensi dell’articolo 3 del D.Lgs. 165 del 2001, sono tuttora in regime di diritto pubblico e rimangono quindi disciplinati dai rispettivi ordinamenti in deroga alle norme generali sulla “privatizzazione” e “contrattualizzazione” dei rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni (di cui all’articolo 2, commi 2 e 3 del medesimo decreto): i magistrati ordinari, amministrativi e contabili; gli avvocati e procuratori dello Stato; il personale militare e le Forze di polizia di Stato; il personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia; i dipendenti degli enti che svolgono la loro attività nelle materie contemplate dall'articolo 1 del D.Lgs. Capo provv. dello Stato 691/1947, dalla L. 281/1985 e dalla L. 287/1990, cioè sostanzialmente nelle materie della vigilanza sul mercato dei valori mobiliari, della tutela del risparmio e della tutela della concorrenza e del mercato (quali Banca d’Italia, Consob, Autorità garante della concorrenza e del mercato); il personale, anche di livello dirigenziale, del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, esclusi il personale volontario; il personale della carriera dirigenziale penitenziaria; i professori e i ricercatori universitari.
[43] D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, “Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla L. 14 febbraio 2003, n. 30”.
[44] Il richiamato articolo stabilisce che chi intenda proporre in giudizio una domanda relativa ai rapporti previsti dal precedente articolo 409 e non ritiene di avvalersi delle procedure di conciliazione previste dai contratti e accordi collettivi deve promuovere, anche tramite l'associazione sindacale alla quale aderisce o conferisca mandato, il tentativo di conciliazione presso la commissione di conciliazione individuata secondo i criteri di cui al successivo articolo 413.
[45] L’articolo 91 c.p.c. stabilisce che il giudice, con la sentenza che chiude il processo davanti a lui, condanna la parte soccombente al rimborso delle spese a favore dell'altra parte e ne liquida l'ammontare insieme con gli onorari di difesa.
Il successivo articolo 92, in merito alla condanna alle spese per singoli atti, prevede che il giudice, nel pronunciare la condanna di cui all'articolo precedente, può escludere la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice, se le ritiene eccessive o superflue; e può, indipendentemente dalla soccombenza, condannare una parte al rimborso delle spese, anche non ripetibili che, per trasgressione al dovere di cui al precedente articolo 88 che dispone che le parti e i loro difensori hanno il dovere di comportarsi in giudizio con lealtà e probità, essa ha causato all'altra parte.
L’articolo 96, infine, dispone che se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell'altra parte, la condanna oltre che alle spese, al risarcimento dei danni che liquida, anche d'ufficio, nella sentenza.
[46] Decreto Legislativo 10 settembre 2003, n. 276, "Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30".
[47] Secondo l’art. 76 sono organi abilitati alla certificazione dei contratti di lavoro le commissioni di certificazione istituite presso: a) gli enti bilaterali costituiti nell'àmbito territoriale di riferimento ovvero a livello nazionale quando la commissione di certificazione sia costituita nell'àmbito di organismi bilaterali a competenza nazionale; b) le Direzioni provinciali del lavoro e le province, secondo quanto stabilito da DM Lavoro 21 luglio 2004); c) le università pubbliche e private, comprese le Fondazioni universitarie, registrate nell'albo di cui al comma 2, esclusivamente nell'àmbito di rapporti di collaborazione e consulenza attivati con docenti di diritto del lavoro di ruolo ai sensi dell'articolo 66 del DPR 382/1980; c-bis) il Ministero del lavoro e delle politiche sociali - Direzione generale della tutela delle condizioni di lavoro, esclusivamente nei casi in cui il datore di lavoro abbia le proprie sedi di lavoro in almeno due province anche di regioni diverse ovvero per quei datori di lavoro con unica sede di lavoro associati ad organizzazioni imprenditoriali che abbiano predisposto a livello nazionale schemi di convenzioni certificati dalla commissione di certificazione istituita presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, nell'ambito delle risorse umane e strumentali già operanti presso la Direzione generale della tutela delle condizioni di lavoro; c-ter) i consigli provinciali dei consulenti del lavoro, esclusivamente per i contratti di lavoro instaurati nell'ambito territoriale di riferimento senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
[48] Materia diversa è quella dei licenziamenti collettivi, disciplinati dalla L. 23 luglio 1991, n. 223 (articolo 24), che sono quelli effettuati dalle imprese con un numero di dipendenti superiore a 15 nei confronti di almeno 5 dipendenti nell'arco di 120 giorni, in conseguenza di una riduzione o trasformazione di attività o di lavoro, o per cessazione dell'attività.
[49] Si è ipotizzata al riguardo l'applicabilità dello schema normativo delle obbligazioni alternative (articolo 1285 e ss. del codice civile), con scelta spettante al debitore, ovvero di quello della obbligazione facoltativa, identificando l'obbligazione principale in quella di riassunzione: le due ipotesi hanno conseguenze diverse nel caso di sopravvenuta impossibilità di una delle due forme di adempimento.
[50] Cfr. A. Vallebona, Istituzioni di diritto di lavoro, II. Il rapporto di lavoro, 2002, pag. 370, che richiama, in tal senso, le seguenti pronunce del giudice di legittimità: Cass. 19 ottobre 1981, n. 5468; Cass. S.U. 18 ottobre 1982 n. 5395; Cass. 6 dicembre 1984 n. 6432; Cass. S.U. 2 marzo 1987 n. 2174; Cass. 21 settembre 2000 n. 12507. Lo stesso autore menziona invece, come pronuncia divergente da tale orientamento maggioritario, Cass. 11 ottobre 1978 n. 4550.
[51] Cfr. A.Vallebona, cit., pag. 369, che richiama, in tal senso, alcune sentenze della Corte di Cassazione.
[52] Cfr. A.Vallebona, cit., pagg. 369-370, che richiama, in tal senso, alcune sentenze della Corte di Cassazione.
[53] D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla L. 14 febbraio 2003, n. 30.