Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento giustizia
Titolo: Diffamazione a mezzo della stampa o altro mezzo di diffusione - A.A.C. 881 e 4714 - Elementi per istruttoria legislativa
Riferimenti:
AC N. 881/XVI   AC N. 4714/XVI
Serie: Progetti di legge    Numero: 698
Data: 02/10/2012
Organi della Camera: II-Giustizia

 

2 ottobre 2012

 

n. 698/0

 

Diffamazione a mezzo della stampa o altro
mezzo di diffusione

A.C. 881 e 4714

Elementi per l’istruttoria legislativa

 

 

Numero dei progetti di legge

881 e 4714

Titolo

Modifiche alla legge 8 febbraio 1948, n. 47, al codice penale e al codice di procedura penale in materia di diffamazione, di diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione, di ingiuria e di condanna del querelante (pdl 881)

Modifica dell’articolo 57 del codice penale, in materia

di reati commessi con il mezzo della stampa (pdl 4714)

Iniziativa

Parlamentare

Iter al Senato

No

Numero di articoli

3 (pdl 881); 1 (pdl 4714)

Date:

 

presentazione o trasmissione alla Camera

8 maggio 2008 (pdl 881); 25 ottobre 2011 (pdl 4714)

assegnazione

14 settembre 2009 (pdl 881); 12 novembre 2011 (pdl 4714)

Commissione competente

II Commissione giustizia

Sede

Referente

Pareri previsti

I Affari Costituzionali, VII Cultura e IX Trasporti

 

 


Contenuto

La proposta di legge C. 881 (Pecorella-Costa)

La proposta, composta di tre articoli, modifica in particolare la disciplina della diffamazione a mezzo stampa, sostanzialmente riprendendo il contenuto di un testo unificato approvato in prima lettura dalla Camera nella XIV legislatura, il cui iter si è poi interrotto al Senato (A.S. 3176).

Punto qualificante dell’intervento appare l’eliminazione della pena detentiva per i delitti contro l’onore (ingiuria e diffamazione), che non vengono depenalizzati ma conservano la natura giuridica di delitto.

Dopo la novella dell’art. 1 con cui viene precisata l’applicabilità della legge anche ai siti Internet di natura editoriale (comma 1), ulteriori modifiche interessano gli articoli 8, 12 e 13 della legge 47/1948 (legge sulla stampa), nella quale è poi introdotto un articolo aggiuntivo (11-bis).

Il comma 2 dell’art. 1 interviene sull’art. 8della legge sulla stampa in materia di diritto di rettifica. E’, anzitutto, specificato (lett. a)), in relazione ai quotidiani, che le dichiarazioni o le rettifiche della persona offesa devono essere pubblicate senza commento.

Sono, poi, introdotti due commi che ampliano l’ambito applicativo dell'istituto della rettifica alle trasmissioni televisive o radiofoniche, alla stampa non periodica (ad es. i libri) e ai siti informatici.

Anche per i siti informatici, il termine di pubblicazione della dichiarazione o della rettifica è di 48 ore dalla richiesta e a questa vanno date lo stesso rilievo, caratteristiche grafiche e metodologia di accesso al sito della notizia lesiva cui si riferiscono.

La lettera c) prevede, per la stampa non periodica, l’obbligo di pubblicazione a proprie spese da parte dell’autore dello scritto ritenuto diffamatorio su non più di due quotidiani nazionali delle dichiarazioni o rettifiche della persona offesa, sempre che queste ultime “non abbiano contenuto suscettibile di incriminazione penale”. La rettifica va pubblicata entro sette giorni dalla richiesta con adeguato rilievo e deve far chiaro riferimento allo scritto cui si riferisce.

In materia di conseguenze civili della diffamazione, il comma 3 dell’art. 1 in esame mira a limitare l’entità del risarcimento del danno a favore dell’offeso dal reato, risarcimento, per il quale, ai sensi dell’art. 11 della legge 47/1948, sono civilmente responsabili, in solido con gli autori del reato e fra di loro, il proprietario della pubblicazione e l'editore.

Con un nuovo art. 11-bis aggiunto alla legge n. 47/1948, si prevede, infatti, che il giudice - determinando l’ammontare del quantum risarcitorio - deve tenere conto dell’effetto riparatorio già conseguito con la pubblicazione della rettifica.

La nuova disposizione stabilisce, poi, un limite massimo di 30.000 euro al risarcimento del danno non patrimoniale che il giudice determina in via equitativa; tale limite non è tuttavia vincolante in caso di recidiva nei confronti della stessa persona, accertata con sentenza definitiva sia civile che penale.

L’art. 11-bis determina, infine, in un anno dalla pubblicazione il tempo della prescrizione dell’azione civile per il risarcimento del danno da diffamazione a mezzo stampa nei casi previsti dalla legge 47/1948.

Il comma 4 dell’art. 1 abroga l’art. 12 della legge sulla stampa che prevede, in caso di diffamazione commessa col mezzo della stampa, la possibile richiesta da parte del danneggiato - oltre al risarcimento del danno - di una ulteriore somma a titolo di riparazione.

Il comma 5 dell’art. 1 riformula l’art. 13 della legge sulla stampa, escludendo che la diffamazione a mezzo stampa consistente nell’attribuzione di un fatto determinato, possa essere sanzionata con pena detentiva.

Per il reato in questione è, infatti, stabilita, al comma 1, la sola pena della multa, da determinare tra i 5.000 e i 10.000 euro.

Attualmente, l’art. 13 della legge sulla stampa prevede per la diffamazione a mezzo stampa consistente nell’attribuzione di un fatto determinato la pena congiunta della reclusione da 1 a 6 anni e la multa non inferiore a 258 euro.

All’eventuale condanna del giornalista consegue come pena accessoria la pubblicazione della sentenza. Solo in caso di recidiva del condannato, il giudice impone l’ulteriore pena accessoria della sospensione dalla professione per un periodo da uno a sei mesi.

In base al comma 3, è considerato causa di esclusione della punibilità l’adempimento da parte dell’autore dell’offesa degli obblighi di pubblicazione di dichiarazioni e rettifiche.

A seguito della condanna, il giudice deve trasmettere gli atti all’ordine professionale ai fini delle determinazioni relative alle sanzioni disciplinari.

 

L’articolo 2 della proposta di legge interviene sul codice penale modificando il regime dei delitti contro l'onore, l'ingiuria, la diffamazione e la diffamazione a mezzo stampa, in maniera coerente rispetto alle scelte effettuate per il delitto di diffamazione a mezzo stampa per fatto determinato.

 

Il comma 1 dell’art. 2 novella l’art. 57 c.p. concernente la responsabilità dei direttori dei periodici in relazione ai contenuti delle pubblicazioni; si tratta oggi di responsabilità a titolo di colpa per omesso controllo sanzionata, in caso di commissione di un reato, con la pena stabilita per tale reato, diminuita fino ad un terzo.

Il contenuto dell’art. 57 è riformulato ed adeguato, fin dalla rubrica, alle nuove modalità (oltre alla stampa periodica) con cui possono essere commessi i reati (ovvero diffusione radiotelevisiva ed altri mezzi di diffusione). E’ inoltre rafforzato il nesso di causalità tra i doveri di vigilanza del direttore e i delitti commessi. E’ resa obbligatoria per il giudice, in caso di condanna del direttore, la riduzione di un terzo della pena prevista per il delitto (

Il successivo comma 2 della norma in esame sostituisce l’art. 594 c.p., relativo al delitto di ingiuria.

 

L’ingiuria (art. 594 c.p.) – reato attribuito alla competenza del giudice di pace - è l’illecito commesso da chi offende l’onore e il decoro di una persona presente ed è punito con la multa da 258 a 2.582 euro. Alla stessa pena soggiace chi commette il reato con comunicazioni telegrafiche, telefoniche, scritti, disegni o altri mezzi rivolti alla persona offesa.

La stessa multa oppure la pena della permanenza domiciliare da 6 giorni a 30 giorni o la pena del lavoro di pubblica utilità per un periodo da 10 giorni a 3 mesi è prevista se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato. L'offesa commessa in presenza di più persone è considerata circostanza aggravante (art. 64 c.p.) comportando, quindi, un aumento di pena fino a un terzo.

Prima dell’attribuzione dell’ingiuria alla competenza del giudice di pace (con il d.Lgs. 274/2000), il reato era punito con la reclusione fino a 6 mesi o con la multa fino a 516 euro; analoga sanzione era applicata se il reato era commesso con comunicazioni telegrafiche, telefoniche, scritti, disegni, ecc. L’ingiuria aggravata dall’attribuzione di un fatto determinato era invece punita con la reclusione fino a un anno o la multa fino a 1.032 euro; il reato commesso in presenza di più persone era sanzionato con l’aumento di un terzo della pena.

Con il nuovo art. 594 c.p. l’ingiuria (sia verbale che commessa con altri mezzi) è sanzionabile con la sola pena pecuniaria della multa, fino a 5.000 euro (primo comma).

La nuova disposizione raccoglie insieme, nel terzo comma, con lo stesso aumento di pena, le attuali circostanze aggravanti dell’ingiuria ovvero l’attribuzione di un fatto determinato nonché la sua commissione in presenza di una pluralità di persone (secondo e terzo comma vigenti) prevedendo, in tali ipotesi, un aumento di pena (fino ad 1/3 ex art. 64 c.p.).

 

Analogo intervento riguarda il reato di diffamazione con la riformulazione dell’art. 595 del codice penale da cui è eliminata la previsione della pena detentiva.

Il nuovo art. 595 sanziona la diffamazione solo in via pecuniaria, con la multa da 1.500 a 6.000 euro (primo comma).

Cambiano le sanzioni al ricorso delle aggravanti:

-             l’attribuzione di un fatto determinato aggrava la pena pecuniaria fino ad un terzo (secondo comma);

-             la diffamazione a mezzo stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico comporta una multa da 3.000 a 8.000 euro (terzo comma).

 

Anche in relazione a tale fattispecie, la pubblicazione da parte dell’autore del reato di una completa rettifica del giudizio o del contenuto diffamatorio costituisce causa di non punibilità per l’autore della diffamazione (quarto comma).

Alla recidiva nel reato di diffamazione, come nella diffamazione a mezzo stampa di cui all’art. 13 della legge 48/1947, consegue l’applicazione della pena accessoria dell’interdizione del condannato per un periodo da 1 a 6 mesi dalla professione di giornalista (quinto comma).

 

L’articolo 3 della p.d.l. aggiunge un comma all’art. 427 del codice di procedura penale, relativo alla condanna del querelante alle spese e ai danni.

Il comma aggiuntivo 3-bis prevede che il giudice possa irrogare al querelante una sanzione pecuniaria da 1.000 a 10.000 euro in caso di querela temeraria, in favore della cassa delle ammende.

 

 

La proposta di legge C 4714 (Genovese)

L’articolo unico della proposta propone una nuova formulazione dell’art. 57 del codice penale sui reati commessi col mezzo della stampa periodica per la cui responsabilità di natura omissiva è chiamato in causa il direttore responsabile della testata (o il suo vice).

Più precisamente, la norma punisce l’omissione di controllo sui contenuti della pubblicazione costituente reato. Per il direttore responsabile del periodico il legislatore oggi prevede, quindi, un reato autonomo punibile a titolo di colpa, consistente non in forme generiche di negligenza, imprudenza o imperizia, bensì nell'inosservanza di una specifica regola di condotta, vale a dire nel mancato esercizio sul contenuto del periodico del controllo necessario ad impedire che col mezzo della pubblicazione siano commessi reati.

L’articolo unico della p.d.l. 4714 detta una riformulazione dell’art. 57 c.p. che, in particolare, elimina la possibilità dell’applicazione della pena detentiva, prevedendo a carico del direttore responsabile la sola pena pecuniaria della multa non inferiore a 5.000 euro.

Inoltre, nel nuovo testo dell’art. 57 è soppresso l’inciso “a titolo di colpa” riferito alla responsabilità del direttore.

 

Relazioni allegate

Entrambe le proposte di legge, d’iniziativa parlamentare, sono accompagnate dalla relazione illustrativa.

 

Necessità dell’intervento con legge

E’ necessario porre in essere le modifiche con legge, in quanto dirette a modificare vigenti disposizioni di rango legislativo.

 

Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite

Le proposte di legge costituiscono esercizio della competenza legislativa esclusiva dello Stato ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., con riguardo a giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale.

 

Compatibilità con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo
(in collaborazione con l’Avvocatura, Osservatorio sulle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo)

L’art. 10 della Convenzione EDU (Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo) reca: 

“1. Ogni persona ha diritto alla libertà d’espressione. Tale diritto include la libertà d’opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera. Il presente articolo non impedisce agli Stati di sottoporre a un regime di autorizzazione le imprese di radiodiffusione, cinematografiche o televisive.

2. L’esercizio di queste libertà, poiché comporta doveri e responsabilità, può essere sottoposto alle formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni che sono previste dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla sicurezza nazionale, all’integrità territoriale o alla pubblica sicurezza, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, alla protezione della reputazione o dei diritti altrui, per impedire la divulgazione di informazioni riservate o per garantire l’autorità e l’imparzialità del potere giudiziario”.

 

Nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo quello di libera espressione è considerato un diritto centrale nel sistema di salvaguardia dei diritti dell’uomo. In questo ambito, la Corte ha sempre sottolineato il ruolo di ‘cane da guardia’ esercitato dagli organi di stampa, da cui consegue la loro funzione di riferire al grande pubblico su fatti di interesse, e ha considerato le sanzioni a carico dei giornalisti come un’ingerenza nell’esercizio di tale diritto.

La Corte EDU ritiene tale ingerenza legittima solo a tre condizioni: che essa sia prevista dalla legge; che essa sia un mezzo necessario per perseguire finalità legittime nel contesto di una società democratica; che essa sia proporzionata al fatto (per tutte Steel e Morris c. Regno Unito, 15 febbraio 2005).

 

Nella sentenza del 2 aprile 2009 (Kydonis c. Grecia) la Corte di Strasburgo condannando la Grecia al risarcimento di un giornalista ha ritenuto che “le pene detentive non sono compatibili con la libertà di espressione” perché “il carcere ha un effetto deterrente sulla libertà dei giornalisti di informare con effetti negativi sulla collettività che ha a sua volta diritto a ricevere informazioni”. La CEDU ha ribadito come la previsione del carcere sia “suscettibile di provocare un effetto dissuasivo per l'esercizio della libertà di stampa”.

Nella giurisprudenza della Corte EDU non risultano pronunzie che affrontino specificamente il tema della distinzione tra redattore dell’articolo e direttore responsabile. Viceversa, vi sono molti precedenti che offrono criteri alla luce dei quali valutare la sussistenza del requisito della proporzione.

Sotto questo profilo, la Corte ammette che tra i criteri di giudizio possano essere la natura e la misura delle sanzioni (v. ancora la sentenza Steel and Morris e, in particolare, la sentenza Dupuis c. Francia, 12 novembre 2007), anche se non risultano passaggi specificamente inerenti alla diversità tra pene detentive e pecuniarie.

Nella sentenza Ormanni c. Italia (17 luglio 2007) si rinviene tra i criteri di giudizio ai fini della proporzione la circostanza che il diffamato abbia potuto replicare (più specificamente, è stata affermata nella sanzione al giornalista la sproporzione e, dunque, la violazione dell’art. 10 CEDU, in ragione del fatto che oltretutto al diffamato era stata offerta occasione sulla stessa testata di dare la sua versione dei fatti).

Molte sentenze recenti hanno constatato una violazione dell’art. 10 e in ciò hanno generalmente fatto leva sulla mancanza del requisito della proporzione. E’ stato infatti più volte considerato eccessivo il peso economico della sanzione sulla persona accusata di aver diffamato il soggetto assunto a obiettivo della propria cronaca o critica. Si vedano – oltre alle citate Dupuis e Ormanni - Riolo c. Italia (17 luglio 2008); Saaristo c. Finlandia (12 ottobre 2010) e Publico c. Portogallo (7 dicembre 2010).

 

Incidenza sull’ordinamento giuridico

 

Coordinamento con la normativa vigente

Il coordinamento è assicurato tramite la tecnica della novellazione.

 

Impatto sui destinatari delle norme

Le modificazioni delle sanzioni (pena pecuniaria in luogo della pena detentiva) e quelle relative a fattispecie penali determinano l’applicabilità dell’art. 2 c.p. (Successione di leggi penali) e in particolare: del terzo comma (se vi è stata condanna a pena detentiva e la legge posteriore prevede esclusivamente la pena pecuniaria, la pena detentiva inflitta si converte immediatamente nella corrispondente pena pecuniaria) e del quarto comma (se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile).

 

Formulazione del testo

L’art. 2, comma 1, lett. b), della pdl 881, nel disciplinare la rettifica per le trasmissioni tv e radio, richiama l’art. 32 del t.u. radio-tv (il richiamo appropriato pare dovere essere invece all’art. 32-quinquies).

 

 

 


 

 

 

 

 

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