Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento giustizia
Titolo: Ricorso per l'efficienza delle amministrazioni e dei concessionari pubblici - Schema di D.Lgs. n. 142 (Schede di lettura e riferimenti normativi)
Riferimenti:
L N. 15 DEL 04-MAR-09   SCH.DEC 142/XVI
Serie: Atti del Governo    Numero: 133
Data: 16/11/2009
Descrittori:
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE   TUTELA DEI CONSUMATORI E DEGLI UTENTI
Organi della Camera: I-Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni
II-Giustizia

 

Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Atti del Governo

Ricorso per l’efficienza delle amministrazioni e dei concessionari pubblici

Schema di D.Lgs. n. 142

(artt. 2 e 4, L. n. 15/2009)

Schede di lettura e riferimenti normativi

 

 

 

 

 

n. 133

 

 

 

16 novembre 2009

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Giustizia

( 066760-9148 - * st_giustizia@camera.it

 

 

 

 

 

I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.

File: GI0279.doc


INDICE

Schede di lettura

Quadro normativo  3

Contenuto dello schema di decreto  5

Normativa di riferimento

§      Costituzione della Repubblica Italiana (artt. 3, 24, 76, 87, 103, 113, 117)21

§      R.D. 26 giugno 1924 n. 1054. Approvazione del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato (art. 27)26

§      L. 15 marzo 1997 n. 59. Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa (art. 11)28

§      D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 286. Riordino e potenziamento dei meccanismi e strumenti di monitoraggio e valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati dell'attività svolta dalle amministrazioni pubbliche, a norma dell'articolo 11 della L. 15 marzo 1997, n. 59  33

§      D.Lgs. 30 marzo 2001 n. 165.  Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche (art. 1)43

§      D.Lgs. 6 settembre 2005 n. 206. Codice del consumo, a norma dell'articolo 7 della L. 29 luglio 2003, n. 229 (artt. 139, 140 e 140-bis)45

§      D.P.C.M. 13 giugno 2008. Delega di funzioni del Presidente del Consiglio dei Ministri in materia di pubblica amministrazione e innovazione al Ministro senza portafoglio prof. Renato Brunetta  51

§      L. 4 marzo 2009, n. 15. Delega al Governo finalizzata all'ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e alla efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni nonché disposizioni integrative delle funzioni attribuite al Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro e alla Corte dei conti55

§      L. 18 giugno 2009 n. 69. Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile (art. 30)70

 


Schede di lettura

 


Quadro normativo

Lo schema di decreto legislativo in esame, volto all’introduzione di un’azione collettiva nei confronti delle pubbliche amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici, è adottato in attuazione della delega contenuta nell’articolo 2 della legge n. 15/2009(in materia di efficienza deIle pubbliche amministrazioni, cd. legge Brunetta). I principi e criteri direttivi sono individuati nell’articolo 4 della medesima legge.

Il nuovo istituto processuale potrà essere attivato dagli interessati nei confronti delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici che, nei rapporti con i cittadini, si dimostrino inefficienti discostandosi dagli standard di qualità, economicità e tempestività cui sono tenuti.

Come precisato nella relazione illustrativa, esso differisce dall’azione collettiva introdotta nel Codice del consumo dalla legge finanziaria 2008 e profondamente riformata dall’articolo 49 della legge n. 99 del 2009.

 

Finalità dell’azione collettiva ordinaria è la tutela dei diritti di una pluralità di consumatori e utenti che versano nei confronti di una stessa impresa in situazione identica (“diritti individuali omogenei”); può trattarsi di danni derivanti dalla violazione di diritti contrattuali o di diritti comunque spettanti al consumatore finale del prodotto (a prescindere da un rapporto contrattuale), da comportamenti anticoncorrenziali o da pratiche commerciali scorrette. La legittimazione ad agire in giudizio viene riconosciuta ai singoli cittadini-consumatori, anche mediante associazioni cui diano mandato o comitati cui partecipino. È possibile per altri consumatori aderire all’azione di classe; l’adesione comporta la rinuncia a ogni azione restitutoria o risarcitoria individuale. Il procedimento è scandito in due fasi, la prima volta alla pronuncia sull’ammissibilità dell’azione di classe; la seconda finalizzata invece alla decisione nel merito. In caso di accoglimento della domanda, il procedimento si conclude con la sentenza di condanna alla liquidazione, in via equitativa, delle somme dovute a coloro che hanno aderito all’azione ovvero con la definizione di un criterio omogeneo di calcolo per la suddetta liquidazione.

 

Mentre infatti l’azione ordinaria riguarda le lesioni dei diritti di consumatori e utenti in ambito contrattuale e, per certi ambiti, extracontrattuale, la class action amministrativa attiene invece al rapporto tra cittadini e pubbliche amministrazioni o concessionari in relazione alla natura pubblica del servizio erogato. La prima inoltre “mira a proteggere la parte debole dello squilibrio di posizioni sul mercato, con effetti limitati alla fase del contratto, l’azione qui configurata si propone, più incisivamente di intervenire sullo stesso processo di produzione del servizio, correggendone le eventuali storture”. A tal fine, la class action amministrativa, a differenza di quella generale, non mira al risarcimento del danno economico bensì al sollecito ripristino dell’efficienza del servizio, alla trasparenza dell’attività della Pubblica Amministrazione e dei concessionari dei servizi pubblici nonché – nel più complessivo quadro del recupero dell’efficienza della PA - al rafforzamento della valutazione e della responsabilità dei dipendenti pubblici.

La necessità di un coordinamento tra i due istituti aveva indotto il Governo a trattare la materia non nel decreto legislativo generale sulla riforma del pubblico impiego, ma in un secondo specifico decreto legislativo (cfr. la dichiarazione rilasciata dal Presidente del Consiglio dei ministri e dal Ministro Brunetta al termine del Consiglio dei ministri dello scorso 15 maggio).

 


Contenuto dello schema di decreto

Lo schema di decreto si compone di 8 articoli, l’ultimo dei quali si limita a prevedere l’invarianza degli oneri.

Finalità del nuovo istituto (art. 1, commi 1 e 6)

Finalità dell’azione sono il ripristino del corretto svolgimento della funzione o la corretta erogazione del servizio. In ogni caso, è escluso il risarcimento del danno, che potrà quindi ottenersi attraverso l’esercizio dei rimedi ordinari.

Tale esclusione è espressamente disposta dalla norma di delega (art. 4, comma 2, lett. l), n. 4).

Le situazioni giuridiche tutelate

I presupposti dell’azione vengono individuati nei seguenti (art. 1, comma 1):

 

§         titolarità di interessi giuridicamente rilevanti e omogenei per una pluralità di utenti e consumatori nei confronti delle amministrazioni pubbliche (salvo autorità amministrative indipendenti, Presidenza del Consiglio, organi costituzionali e giurisdizionali) e dei concessionari di pubblici servizi;

 

Si ricorda che l’art. 140-bis, comma 1, del codice del consumo tutela invece i “diritti individuali omogenei” dei consumatori e degli utenti, specificando, al comma 2, che essi devono versare “nei confronti di una stessa impresa in situazione identica” o essere titolari di “diritti identici”. Il Comitato per la legislazione, nel parere reso l’11 giugno sulla disposizione del collegato energia che ha riformato l’istituto, ha ravvisato la necessità di precisare l’area delle situazioni giuridiche soggettive tutelabili con lo strumento della class action; la Commissione giustizia, nel parere reso il 17 giugno sulla medesima disposizione, ha rilevato che “puntualizzare il carattere «diritti individuali omogenei», così come il riferimento ai diritti «identici» dei consumatori, rischia di rappresentare una restrizione eccessiva ed escludere dalla tutela quelle ipotesi di lesioni che presuppongono comunque la commissione di uno stesso illecito da parte dell'imprenditore”.

 

§         lesione di tali interessi in conseguenza:

-       di violazioni degli obblighi contenuti nelle carte dei servizi o di termini;

-       della mancata emanazione di atti amministrativi generali obbligatori non normativi da emanarsi obbligatoriamente entro e non oltre un termine fissato da una legge o da un regolamento;

-       di violazioni di standard qualitativi ed economici fissati dalle autorità di settore.

 

La relazione illustrativa evidenzia che l'oggetto del giudizio (lo scostamento da uno standard) si lega strettamente alla previa definizione di standard di qualità organizzativa, che si persegue con altri provvedimenti di attuazione del disegno complessivo di riforma di cui alla legge 15/2009. A tal proposito, si ricorda che il decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150 prevede che gli obiettivi delle pubbliche amministrazioni siano, tra l’altro, commisurati ai valori di riferimento derivanti da standard definiti a livello nazionale e internazionale, nonché da comparazioni con amministrazioni omologhe (art. 5, comma 2, lett. e). Le modalità di definizione, adozione e pubblicizzazione degli standard di qualità, i casi e le modalità di adozione delle carte dei servizi, i criteri di misurazione della qualità dei servizi, le condizioni di tutela degli utenti, nonché i casi e le modalità di indennizzo automatico e forfettario all'utenza per mancato rispetto degli standard di qualità sono stabilite con direttive, aggiornabili annualmente, del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta della Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità nelle amministrazioni pubbliche. Per quanto riguarda i servizi erogati direttamente o indirettamente dalle regioni e dagli enti locali, si provvede con atti di indirizzo e coordinamento adottati d'intesa con la Conferenza unificata di cui al decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, su proposta della Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità nelle amministrazioni pubbliche (art. 11, comma 2, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 2862, come sostituito dall'art. 28 del suddetto decreto legislativo 150/2009).

Per quanto riguarda la previsione che l'inerzia censurabile riguardi l'adozione di atti amministrativi generali "obbligatori e a carattere non normativo", la sezione consultiva per gli atti normativi del Consiglio di Stato ha osservato che "La limitazione agli atti obbligatori non trova fondamento nella delega. La specificazione relativa al carattere non normativo, poi, può dare adito ad equivoci, essendo consolidato l’uso del termine «atto amministrativo generale» con riferimento agli atti formalmente e sostanzialmente amministrativi (esemplare, al riguardo, l’art. 13, comma 1 della legge 241 del 1990, la quale menziona separatamente – ai fini dalla non applicazione del capo sulla partecipazione al procedimento amministrativo – gli “atti normativi” e gli “atti amministrativi generali”), sicché la precisazione appare inutile o, peggio, fuorviante (lasciando intendere – a contrario – che l’essenza del regolamento è quella di atto amministrativo generale, sia pure a contenuto normativo)" (parere n. 3831 del 2009, adunanza 9 giugno 2009, deposito 10 giugno 2009).

 

Pertanto sembra opportuno che venga chiarita la portata del riferimento agli “atti amministrativi generali obbligatori e a carattere non normativo”.

Ciò alla luce, da un lato, del parere del Consiglio di Stato sopra riportato e dall’altro dell’orientamento consolidato che definisce atto amministrativo generale l’atto della pubblica amministrazione che si rivolge ad una pluralità di soggetti indeterminata ed indeterminabile a priori, avendo contenuto generale gli atti normativi, che si distinguono dagli altri provvedimenti amministrativi in quanto costituiscono fonti del diritto.[1]

Inoltre, appare opportuno che venga chiarito se il riferimento ai termini contenuto nella disposizione riguarda  solo termini perentori o anche termini ordinatori.

 

§         La lesione dell’interesse deve essere diretta, concreta ed attuale.

 

In base ai principi generali applicabili anche al processo amministrativo, l’interesse ad agire costituisce condizione dell’azione (articolo 100 c.p.c.). Secondo la costante giurisprudenza, tale interesse si traduce:

§         nella concretezza della lesione, nel senso che, senza l’intervento del giudice, l’attore subirebbe un danno effettivo;

§         nella sua attualità, nel senso che essa deve sussistere al momento della pronuncia.

Legittimazione attiva (art. 1, commi 1, 3 e 4)

Legittimati all’esercizio dell’azione sono:

§         i singoli titolari degli interessi lesi rilevanti per la pluralità di consumatori o utenti (art. 1, comma 1);

§         le associazioni o comitati a tutela degli interessi dei propri associati, appartenenti alla pluralità di utenti e consumatori (art. 1, comma 4).

 

Tale ultima disposizione ha una portata estremamente ampia, posto che non circoscrive la legittimazione ad agire ai soggetti esponenziali di tali interessi, né richiede che il singolo conferisca alcun mandato all’associazione o al comitato.

 

L’articolo 140-bis del codice del consumo prevede invece l’esercizio della class action generale da parte del singolo componente della classe, anche mediante associazioni cui dà mandato o comitati cui partecipa.

 

In proposito si segnala che la relazione illustrativa precisa che non è parso possibile né opportuno in questa materia, a differenza di altre (tutela dell’ambiente e dei consumatori), circoscrivere la legittimazione ad un elenco consolidato di enti rappresentativi degli interessi collettivi dei cittadini.

 

L’art. 1, comma 3, attribuisce ai soggetti che si trovano nella medesima situazione giuridica del ricorrente la facoltà di intervenire, fissando il termine di venti giorni prima dell’udienza di discussione del ricorso.

 

Si ricorda che l’art. 22, comma 2, L. T.A.R. riconosce la facoltà di intervento a chiunque ha interesse nella contestazione. Come tuttavia costantemente affermato dalla giurisprudenza, deve ritenersi inammissibile l'intervento ad adiuvandum “spiegato nel processo amministrativo dal soggetto - cointeressato rispetto all'appellante e parte nel primo grado del giudizio - che sia ex se legittimato a proporre direttamente gravame in via principale; ciò dal momento che, in tale ipotesi, l'interveniente non fa valere, com’è tipico della figura dell’intervento, un mero interesse di fatto, bensì un interesse personale all'impugnazione di capi della sentenza immediatamente lesivi, che può farsi valere solo mediante proposizione di appello nei prescritti termini di impugnazione” (Cons. Stato, Sez. IV, 31 gennaio 2005, n. 217).

Legittimazione passiva (art. 1, commi 1 e 5)

La legittimazione passiva spetta alla pubblica amministrazione e ai concessionari dei servizi pubblici.

 

Si ricorda che, in base all’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001 che disciplina l'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, dalle quali sono esclusi gli organi costituzionali, “per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300”.

Con riferimento, invece, alle concessioni di servizi pubblici, il provvedimento concessorio è quello con cui la P.A.. attribuisce o trasferisce ex novo posizioni giuridiche attive al destinatario, ampliandone la sfera giuridica. Esso si distingue dai provvedimenti autorizzatori, nei quali la P.A. provvede alla rimozione di un limite legale posto all’esercizio di un’attività inerente ad un diritto soggettivo o ad una potestà pubblica che devono necessariamente preesistere in capo al destinatario. Nelle concessioni di pubblici servizi, la concessione è traslativa, in quanto il diritto preesiste in capo all’amministrazione ed è trasmesso al privato; in tali casi, inoltre, accanto al provvedimento con il quale si esercita il potere concessorio amministrativo, si può spesso individuare una convenzione bilaterale di diritto privato finalizzata a dare assetto ai rapporti patrimoniali tra concessionario e concedente (concessione-contratto). Per pubblico servizio, in generale, deve intendersi un’attività economica esercitata per erogare prestazioni volte a soddisfare bisogni collettivi ovvero l’atto con il quale è trasferito ad un soggetto privato (concessionario) l’esercizio di un servizio pubblico ritenuto indispensabile in un determinato contesto sociale. In base all’articolo 3, comma 12, del D.Lgs. n. 163/2006 (codice dei contratti pubblici) la «concessione di servizi» è un contratto che presenta le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di servizi (ovvero di un appalto avente per oggetto la prestazione dei servizi indicati specificamente nell’allegato II) ad eccezione del fatto che il corrispettivo della fornitura di servizi consiste unicamente nel diritto di gestire i servizi o in tale diritto accompagnato da un prezzo, in conformità all’articolo 30. Tale ultima disposizione, che esclude l’applicazione del codice per le concessioni di servizi, specifica che in queste ultime la controprestazione a favore del concessionario consiste unicamente nel diritto di gestire funzionalmente e di sfruttare economicamente il servizio, stabilisce i criteri per la corresponsione al concessionario di un prezzo e detta principi di carattere generale per la scelta del concessionario. L’articolo 113 del TUEL disciplina invece le modalità di affidamento della gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica. La figura del concessionario di pubblici servizi non si identifica con quella del “gestore di pubblici servizi” (richiamata anche dall’art. 23 della legge n. 241 del 1990 in materia di accesso ai documenti amministrativi). Tale ultima figura ha un’accezione più ampia rispetto alla prima, della quale peraltro è comprensiva.

 

Vengono esplicitamente esclusi dal novero dei soggetti nei cui confronti può essere esercitata l’azione:

§         le autorità amministrative indipendenti;

§         la Presidenza del Consiglio;

§         gli organi costituzionali;

§         gli organi giurisdizionali.

 

Occorre valutare tale disposizione nel riferimento alla Presidenza del Consiglio e alle autorità indipendenti alla luce della norma di delega che non contiene alcuna esplicita esclusione, consentendo in generale di agire nei confronti delle amministrazioni, nonché dei concessionari di servizi pubblici.

 

L’inciso contenuto nella norma di delega secondo cui sono “fatte salve le competenze degli organismi con funzioni di regolazione e controllo istituiti con legge dello Stato e preposti ai relativi settori” non sembra essere diretto alla limitazione dei soggetti passivi dell’azione, ma piuttosto a consentire il pieno svolgimento delle funzioni di regolazione e controllo da parte delle Autorità amministrative indipendenti.

Con specifico riferimento alle autorità amministrative indipendenti, la relazione illustrativa spiega che la loro esclusione è legata da un lato al fatto che esse non sono ricomprese nella definizione di amministrazione di cui al sopra richiamato art. 1 del d.lgs. n. 165; dall’altro, al fatto che le medesime “non svolgono compiti di amministrazione attiva che sola pare idonea a determinare la lesione dell’interesse del singolo che legittima al ricorso”.

Si segnala che nell’ordinamento non esiste una definizione giuridica di “autorità amministrativa indipendente”. Generalmente, tale nozione è riferita ad autorità amministrative in posizione peculiare rispetto agli ordinari rapporti gerarchici e funzionali che caratterizzano le amministrazioni statali e gli enti pubblici.

Il quadro legislativo europeo assegna alle autorità indipendenti un ruolo di grande rilevanza, prevedendo che gli organismi nazionali garantiscano in piena autonomia l’attuazione dei principi comunitari, traducendoli in norme regolamentari e in azioni di vigilanza conformi al dettato normativo dell’Unione. Molte delle autorità nazionali operano in sistemi di controllo istituzionale europeo caratterizzandosi altresì come organismi di raccordo tra il diritto comunitario ed il diritto interno, eppure nel nostro ordinamento le autorità sono tuttora organismi regolati da leggi istitutive non omogenee, con previsioni diverse in ordine alla struttura, alle funzioni, ai procedimenti, ai controlli e al regime degli atti.

Negli anni recenti si è registrata una proliferazione di questo tipo di strutture organizzative[2], la cui istituzione – malgrado le autorità siano state disciplinate ciascuna con una normativa distinta e specifica – è in tutti i casi finalizzata ad organizzare l’esercizio di funzioni amministrative di particolare rilievo, al di fuori degli apparati ministeriali, in modo da garantirne la maggiore e più completa imparzialità e neutralità politica. In conseguenza della loro preposizione allo svolgimento di funzioni di garanzia, esse sono poste in una posizione di terzietà rispetto all’amministrazione pubblica, sono dotate di proprio personale ed hanno generalmente una spiccata autonomia organizzativa, di spesa e di disciplina del proprio personale.

Le autorità sono costituite per svolgere funzioni di garanzia, regolazione, amministrazione e controllo in specifici settori della società civile e del mondo economico, che differiscono molto le une dalle altre per composizione, dandosi autorità con numero variabile di componenti; per modalità di nomina, essendo prevista la nomina da parte dei Presidenti delle Camere, o delle Assemblee parlamentari, o dal Governo.

Sono generalmente classificate tra le Autorità:

§         la Commissione nazionale per le società e la borsa – Consob;

§         il Garante per la protezione dei dati personali;

§         l’Autorità garante della concorrenza e del mercato- Antitrust;

§         l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni;

§         la Commissione di garanzia della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali;

§         l’Autorità per l’energia elettrica e il gas;

§         l’Autorità di vigilanza sui lavori pubblici;

§         l’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private – ISVAP;

§         la Commissione per la vigilanza dei fondi pensione – Covip.

È di solito considerata quale autorità amministrativa indipendente, pur con peculiari caratteristiche, anche la Banca d’Italia.

 

Il comma 5 precisa che il ricorso è proposto nei confronti degli enti i cui organi sono competenti ad esercitare le funzioni o a gestire i servizi cui sono riferiti le violazioni o le omissioni e attribuisce al dirigente responsabile dell’ufficio coinvolto, informato dagli enti intimati, la facoltà di intervenire in giudizio.

 

Con questa disposizione viene introdotto nel testo il riferimento ad “enti”, non presente nelle precedenti disposizioni, nelle quali sono menzionati pubbliche amministrazioni e concessionari

 

Giurisdizione e competenza (art. 3, comma 4)

La norma di delega prevede la giurisdizione esclusiva e di merito del giudice amministrativo (lett. i, n. 2), senza precisare i criteri di radicamento della competenza.

 

Si ricorda che il Consiglio di Stato (sez. IV, sent. n. 4772 dell’8 agosto 2006) in base alla legge TAR n. 1034/1971 (art. 2) ha affermato in via generale e primaria la regola del foro della sede dell’autorità emanante ai fini dell’individuazione della competenza territoriale. Prosegue il Consiglio, che la stessa legge 1034 pone, con riferimento agli atti emessi da organi centrali dello Stato o di enti pubblici a carattere ultraregionale il criterio del forum destinatae solutionis, stabilendo (art. 3) la competenza del Tribunale regionale per gli atti “la cui efficacia è limitata territorialmente alla circoscrizione del tribunale medesimo”.

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Il comma 4 dell’articolo 3 dello schema di decreto devolve quindi l’azione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e, con riferimento alla competenza, si limita a precisare che le questioni di competenza sono rilevabili d’ufficio.

 

La disposizione non prevede esplicitamente che la giurisdizione del giudice amministrativo sia estesa al merito, anche se essa si desume dai poteri del giudice in merito all’accertamento della violazione, dell’omissione o dell’inadempimento (art. 4, comma 1). In generale, si ricorda che per “giurisdizione di merito” si intende il peculiare sindacato sul corretto esercizio del potere amministrativo discrezionale che si traduce nell’attribuzione al giudice di un potere istruttorio e decisorio che va oltre il limite del mero riscontro della legittimità dell’atto e ne consente un pieno sindacato di merito. La giurisdizione di merito ha carattere eccezionale e quindi è esercitabile nei soli casi di legge.

 

Occorre valutare se, per ragioni di sistematica, anticipare la norma sulla giurisdizione, che nello schema di decreto è collocata al comma 4 dell’articolo 3 (dopo una serie di disposizioni riferite a specifici aspetti procedimentali della disciplina).

La preventiva diffida (articolo 3, commi 1-3)

Presupposto di ammissibilità del ricorso è la preventiva diffida all’amministrazione o al concessionario finalizzata al ripristino delle situazioni violate. La diffida – assente nell’azione collettiva ordinaria prevista dal Codice del consumo - costituisce anche strumento concesso all’amministrazione per porre rimedio ai vizi lamentati evitando il ricorso all’azione giudiziaria.

A seguito della presentazione della diffida all’organo di vertice dell’amministrazione o del concessionario, si instaura un procedimento interno volto all’adozione degli interventi ritenuti opportuni da parte del dirigente del settore “diffidato” che dovrà, nella sostanza, rimuovere le cause della violazione (dell’omissione o del mancato adempimento). La norma prevede che ogni settore della P.A. dovrà dotarsi di un modello procedimentale da seguire a seguito delle diffida. L’esperimento della diffida attribuisce un diritto di informazione al promotore sulle iniziative adottate.

 

Il termine previsto per la realizzazione degli interventi utili alla soddisfazione degli interessati è di novanta giorni.

 

Entro l’anno dalla scadenza di tale termine, a fronte di una inerzia dell’amministrazione o di un adempimento solo parziale, potrà essere proposto il ricorso innanzi al giudice amministrativo.

 

In luogo della diffida, l’interessato può promuovere la tutela in sede non contenziosa sulla base delle procedure previste dall’art. 30 della legge n. 69 del 2009. In tal caso, il ricorso può essere promosso entro un anno dall’esito di tali procedure.

 

Il citato articolo 30 dispone che le Carte dei servizi predisposte dai soggetti che erogano servizi pubblici o di pubblica utilità debbano prevedere la possibilità di promuovere la risoluzione non giurisdizionale della controversia (secondo uno schema-tipo di procedura conciliativa da individuare con decreto del Ministro dello sviluppo economico, da recepire nelle Carte dei servizi) che avviene entro 30 gg. dalla richiesta.

 

Occorre valutare la compatibilità di tale disposizione con la norma di delega, che prevede esplicitamente la diffida come condizione di ammissibilità dell’azione.

Il procedimento (articolo 1, commi 2, 3 e 5; articolo 3, comma 2)

Nel termine di un anno dalla scadenza dei 90 giorni assegnati all’amministrazione con la diffida o dall’esito negativo delle procedure di conciliazione attivate in base all’articolo 30 della legge n. 69 del 2009, potrà essere proposto ricorso innanzi al giudice amministrativo.

Nel ricorso dovrà essere dichiarata la persistenza (anche solo parziale) della situazione denunciata. Il ricorso sarà pubblicizzato sul sito istituzionale del Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione nonché su quello dell’amministrazione interessata.

L’udienza per la discussione del ricorso viene fissata in una data compresa tra il novantesimo e il centoventesimo giorno successivo a quello della pubblicazione della notizia. Nel termine di venti giorni prima dell’udienza di discussione hanno facoltà di intervenire i soggetti che si trovano nella medesima situazione giuridica del ricorrente.

 

La definizione del giudizio (art. 1, commi 1 e 6; art. 4, commi 1-4)

Il criterio delle risorse strumentali, finanziarie e umane concretamente a disposizione delle parti intimate costituisce parametro del giudizio sulla sussistenza della lesione.

 

Andrebbe valutata la portata di tale parametro con riferimento ai concessionari di pubblico servizio.

 

In caso di accoglimento del ricorso, il TAR ordina alla pubblica amministrazione o al concessionario di porre rimedio “entro un congruo termine” alla violazione (omissione o inadempimento). In ogni caso, è escluso il risarcimento del danno, che potrà quindi ottenersi attraverso l’esercizio dei rimedi ordinari

La disposizione precisa che l’attività conseguente alla sentenza dovrà avvenire senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica (l’invarianza finanziaria è confermata dall’articolo 8) e nei limiti delle risorse strumentali, finanziarie e umane già assegnate in via ordinaria.

 

In relazione a tali ultime limitazioni, occorre valutare l’efficacia del nuovo rimedio processuale, allorché in particolare la P.A. sia condannata ad un facere.

 

Della sentenza, favorevole o meno al ricorrente, è data notizia (come del ricorso) sul sito del Ministero per pubblica amministrazione e innovazione nonché su quello dell’amministrazione interessata.

 

La norma in esame stabilisce una serie di obblighi di comunicazione della sentenza di “condanna” irrevocabile della P.A.:

§         alla Commissione e all’organismo di cui al D.Lgs 150 del 2009[3] (artt. 13 e 14, di attuazione della cd. legge Brunetta);

La Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche è organo collegiale indipendente con il compito di indirizzare, coordinare e sovrintendere all'esercizio indipendente delle funzioni di valutazione, di garantire la trasparenza dei sistemi di valutazione, di assicurare la comparabilità e la visibilità degli indici di andamento gestionale, informando  annualmente il Ministro per l'attuazione del programma di Governo sull'attività svolta. L'Organismo indipendente di valutazione della performance è un organo di controllo interno nominato da ogni pubblica amministrazione con la funzione principale: di monitorare il funzionamento complessivo del sistema della valutazione, della trasparenza e integrità dei controlli interni, elaborando una relazione annuale; di comunicare tempestivamente le criticità riscontrate ai competenti organi interni di governo ed amministrazione, nonché alla Corte dei conti, all'Ispettorato per la funzione pubblica e alla citata Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche.

§         alla Corte dei conti;

§         agli organi preposti per l’eventuale avvio del giudizio disciplinare;

§         agli organi deputati alla valutazione dei dirigenti.

 

Obblighi di comunicazione all’amministrazione vigilante sono inoltre stabiliti per le sentenze che condannano i concessionari di servizi pubblici. Tali obblighi sono funzionali alle valutazioni di competenza in ordine all’esatto adempimento degli obblighi scaturenti dalla concessione o dalla convenzione.

 

Peraltro, in tali ipotesi, stante il mancato riferimento all’irrevocabilità della decisione sembra che la comunicazione all’amministrazione vigilante possa riguardare anche sentenze non definitive. Occorre un chiarimento sul punto.

 

Ulteriore effetto dell’accoglimento della domanda è l’accertamento da parte dell’amministrazione dei soggetti che hanno concorso a porre in essere le violazioni e l’adozione dei conseguenti provvedimenti.

Anche le misure adottate dall’amministrazione o dal concessionario in ottemperanza alla sentenza del giudice amministrativo sono pubblicate sul sito Internet del Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione e su quello dell’amministrazione (o del concessionario soccombente).

 

La pubblicità del procedimento, della sentenza e delle misure adottate per darvi seguito risponde - come si legge nella relazione governativa allo schema di decreto in esame - al potenziamento della funzione deterrente della nuova azione; ciò, nell’ottica di una sempre maggior responsabilizzazione dei pubblici dipendenti.

L’eventuale inottemperanza della P.A. (art. 5)

Attraverso il rinvio all’art. 27, comma 1, n. 4, della legge 1054 del 1924, si prevede il ricorso al giudizio di ottemperanza nell’ipotesi di mancato o insoddisfacente adeguamento alla sentenza del TAR da parte della pubblica amministrazione (e non anche del concessionario del servizio pubblico).

Il citato art. 27, comma 1, n. 4, della L. 1054/1924 (T.U. Consiglio di Stato) stabilisce che il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale decide dei ricorsi diretti ad ottenere l'adempimento dell'obbligo dell'autorità amministrativa di conformarsi, in quanto riguarda il caso deciso, al giudicato dei Tribunali che abbia riconosciuto la lesione di un diritto civile o politico.

L’art. 37 della legge 1034 del 1971 (cd. legge TAR) – dando veste legislativa ad orientamenti giurisprudenziali già maturati - ha esteso il giudizio di ottemperanza anche alle sentenze emesse dal giudice amministrativo.

Il giudizio di ottemperanza, che costituisce l’ipotesi più importante di giurisdizione di merito attribuita al giudice amministrativo, mira a garantire la concreta esecuzione. di una pronuncia del giudice ordinario o amministrativo che abbia accertato in via definiva la lesività o l’illegittimità di un atto o di un fatto della pubblica amministrazione. In tale giudizio, il giudice  può imporre alla P.A. in via sostitutiva, direttamente o a mezzo di un commissario ad acta, i comportamenti necessari (emanazione di provvedimenti, risarcimenti, ecc.) per assicurare l’adempimento del giudicato.

Si segnala che la nomina del commissario ad acta, in caso di perdurante inadempimento dell’amministrazione, è espressamente prevista tra i criteri di delega.

 

Come la sentenza definitiva di condanna, anche quella che accoglie il ricorso per inottemperanza va comunicata alla Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche ed all’Organismo indipendente di valutazione della performance; analoga comunicazione va fatta alla procura regionale della Corte dei conti.

Rapporto con la class action generale e con procedimenti instaurati presso Autorithies (art. 2)

Allo scopo di evitare possibili duplicazioni di giudizio e problemi di coordinamento sostanziale, l’azione non è proponibile:

-nel caso di instaurazione di un procedimento, non ancora definito, avente ad oggetto l’accertamento delle medesime condotte da parte di un organismo con funzione di regolazione e di controllo istituito con legge dello Stato”;

Si ricorda che la norma di delega fa espressamente salve le competenze degli organismi con funzioni di regolazione e controllo istituiti con legge dello Stato e preposti ai relativi settori. Tra i criteri della delega, inoltre, si prevede la predisposizione di strumenti e procedure idonei ad evitare che la class action amministrativa nei confronti dei concessionari di servizi pubblici possa essere proposta o proseguita, nel caso in cui un'autorità indipendente o comunque un organismo con funzioni di vigilanza e controllo nel relativo settore abbia avviato sul medesimo oggetto il procedimento di propria competenza.

 

Con riferimento alla concreta individuazione di tali organismi, si ricorda che la definizione quale “autorità nazionali competenti per la regolazione e il controllo” si ritrova nell’articolo l’articolo 2 della legge 481/1995 istitutiva dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas e dell’Autorità per le telecomunicazioni.

 

Posto che la disposizione non sembra potere essere riferita esclusivamente a tali organismi, occorre un chiarimento sulla sua portata e anche sulla sua applicabilità agli organismi di controllo sulla P.A. istituiti dal decreto legislativo 150/2009 (artt. 14 e 15) in materia di efficienza della pubblica amministrazione.

 

§         nel caso di instaurazione di un giudizio ai sensi degli articoli 139 e 140 del codice del consumo;

 

Tali disposizioni disciplinano l’accesso alla giustizia da parte delle associazioni dei consumatori nelle materie del codice del consumo (oltre che in altre specifiche materie) a tutela degli interessi collettivi di consumatori ed utenti.

 

§         nel caso di precedente attivazione della class action ordinaria (articolo 140-bis del codice del consumo)

 

Tali possibili sovrapposizioni sono essenzialmente configurabili rispetto ai casi in cui la class action amministrativa sia esercitata nei confronti dei concessionari di pubblici servizi.

 

Se, viceversa, il procedimento innanzi all'organismo di regolazione ovvero il giudizio ai sensi degli artt. 139 e 140 (ma non dell'art. 140-bis) del Codice del consumo viene instaurato dopo la proposizione del ricorso per l'efficienza delle amministrazioni, quest'ultimo viene sospeso fino alla definizione dei procedimenti successivamente instaurati.

A seguito del passaggio in giudicato della sentenza che definisce nel merito il giudizio instaurato ai sensi dei suddetti artt. 139 e 140 del Codice del consumo, il ricorso per l'efficienza delle amministrazioni diviene improcedibile.

Il giudizio avente ad oggetto il ricorso per l'efficienza delle amministrazioni deve invece essere riassunto entro 120 giorni dalla definizione del procedimento innanzi all'organismo di regolazione ovvero dalla definizione con pronuncia non di merito sui giudizi instaurati ai sensi degli artt. 139 e 140 del Codice del consumo. In caso di mancata riassunzione entro il suddetto termine, si verificherà la perenzione del ricorso.

Ai fini di assicurare l'effettività delle suddette previsioni, il comma 3 dell'art. 2 prevede che il soggetto contro cui sia stato proposto il ricorso per l'efficienza delle amministrazioni deve comunicare immediatamente al giudice l'eventuale pendenza o la successiva instaurazione dei procedimenti suddetti, così che il giudice possa adottare i provvedimenti illustrati.

 

L'art. 2 in esame non sembrerebbe disciplinare invece il caso in cui, dopo la proposizione del ricorso per l'efficienza delle amministrazioni, venga intentata un'azione di classe di cui all'art. 140-bis del Codice del consumo.

Si ricorda a tal proposito che il comma 6 dell'art. 140-bis prevede che il tribunale possa sospendere il giudizio relativo all'azione di classe quando sui fatti rilevanti ai fini del decidere sia in corso un'istruttoria davanti ad un'autorità indipendente ovvero un giudizio davanti al giudice amministrativo.

 

Monitoraggio (art. 6)

Spetta alla Presidenza del Consiglio dei ministri il monitoraggio dell’attuazione del nuovo istituto, anche ai fini dell’adozione di provvedimenti correttivi.

 

L’articolo 2, comma 3, della legge n. 15 del 2009 pone un termine di 24 mesi per l’adozione di eventuali disposizioni integrative e correttive

Disciplina transitoria (art. 7)

Lo schema di decreto legislativo in esame prevede un ambito di applicazione temporale differenziato:

§         per le amministrazioni e gli enti pubblici non economici nazionali, le nuove disposizioni si applicheranno ai fatti verificatisi successivamente al 1° gennaio 2010;

§         per le amministrazioni e gli enti pubblici non economici regionali e locali, le nuove disposizioni si applicheranno ai fatti verificatisi successivamente al 1° aprile 2010;

§         per i concessionari di servizi pubblici, le nuove disposizioni si applicheranno ai fatti verificatisi successivamente al 1° luglio 2010;

§         -per le amministrazioni, gli enti pubblici non economici e i concessionari di servizi pubblici suddetti che svolgono funzioni o erogano servizi in materia di tutela della salute o in materia di rapporti tributari, le nuove disposizioni si applicheranno ai fatti verificatisi successivamente al 1° ottobre 2010.

 

Si ricorda, invece, che la class action ordinaria prevista dal codice del consumo, astrattamente esercitabile anche nei confronti dei concessionari di servizi pubblici, potrà essere esercitata dal 1° gennaio 2010 (a seguito della proroga disposta con il decreto-legge 78/2009, convertito dalla legge 102/2009), ma in base alla norma transitoria contenuta nell’articolo 49 della lege 99/2009 che ha riformato l’istituto potrà avere ad oggetto anche fattispecie poste in essere successivamente al 15 agosto 2009, data di entrata in vigore della medesima legge n. 99 del 2009[4].

 




[1]    In base a tale orientamento, per la distinzione tra atti amministrativi generali e atti normativi della pubblica amministrazione possono essere utilizzati due criteri di demarcazione: un criterio formale, in base al quale si considera l’autoqualificazione dell’atto o il procedimento adottato per la sua emanazione. Tale criterio sembra essere preferito con riferimento agli atti emanati dal Governo e dai ministri, in quanto la legge, dettando una disciplina generale dei regolamenti governativi e ministeriali, ha stabilito una corrispondenza tra contenuto normativo e forma regolamentare (si v. art. 17, l. n. 400/1988).Negli altri casi, può soccorrere un criterio sostanziale di demarcazione, in base al quale la distinzione tra gli atti normativi e quelli generali della amministrazione consiste nella mancanza nei secondi del carattere dell’astrattezza e dell’innovatività.

[2]     In proposito, si veda anche l’intervento del sen. Villone presso la 1a Commissione Affari costituzionali del Senato (seduta del 3 aprile 2007), in cui ha illustrato in qualità di relatore il disegno di legge A.S. n. 1366. Il relatore ha rilevato “la circostanza che una proliferazione delle authorities fatalmente sottrae spazio al potere politico”. A suo avviso, occorre ridefinire il confine fra regolazione e autoregolazione, favorendo una maggiore partecipazione dei cittadini e adottando meccanismi che consentano di modificare quel confine nel tempo e a seconda delle circostanze.

[3]    Decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, Attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni.

[4]    Legge 23 luglio 2009 n. 99, Disposizioni per lo sviluppo e l'internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia.