Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Ufficio Rapporti con l'Unione Europea
Titolo: Sistema comune d'imposta sulle transazioni finanziarie - COM(2011)594
Serie: Documentazione per le Commissioni - Esame di atti e documenti dell'UE    Numero: 106
Data: 07/11/2011
Descrittori:
ATTIVITA' FINANZIARIE   MERCATO FINANZIARIO
TASSE, DIRITTI E ALTRI TIPI DI IMPOSTE     

 

Sistema comune d’imposta sulle

transazioni finanziarie - COM(2011)594

 

Dati identificativi

Tipo di atto

Proposta di direttiva concernente un sistema comune d’imposta sule transazioni finanziarie e recente modifica della direttiva 2008/7/CE

Data di adozione

28 settembre 2011

Base giuridica

Art. n. 113 del TFUE

Settori di intervento

Fiscalità

Mercati finanziari

 

Esame presso le Istituzioni dell’UE

-------------

 

Assegnazione

6 ottobre - VI Commissione Finanze

Termine per il controllo di sussidiarietà

2 dicembre 2011

Eventuale segnalazione da parte del Governo

 

Finalità/Motivazione

La proposta di direttiva - che fa seguito ad una comunicazione del 7 ottobre 2010 sulla tassazione del settore finanziario (vedi bollettino Attività dell’UE n. 136, “La tassazione del settore finanziario”) - costituisce, come sottolineato nella relazione illustrativa, una risposta ai ripetuti inviti a legiferare sulla materia formulati dal Consiglio europeo e dal Parlamento europeo.

In particolare, i capi di Stato e di governo della zona euro, nella riunione dell’11 marzo 2011, e il Consiglio europeo del 24 e 25 marzo 2011 hanno convenuto l’esigenza di esplorare e sviluppare l’opportunità di introdurre un’imposta sulle transazioni finanziarie a livello di zona euro, di UE e internazionale.

Il Parlamento europeo ha adottato, rispettivamente il 10 e 25 marzo 2010 e l’8 marzo 2011, tre risoluzioni con le quali ha invitato la Commissione a svolgere una valutazione dell’impatto potenziale di un’imposta sulle transazioni finanziarie, analizzandone vantaggi e svantaggi, anche ai fini del contributo al bilancio dell’UE e/o del finanziamento di misure di cooperazione con i Paesi in via di sviluppo.

 

La proposta è intesa, secondo la relazione illustrativa, al perseguimento di quattro obiettivi principali:

·       evitarela frammentazione del mercato interno dei servizi finanziari, visto il crescente numero di provvedimenti fiscali nazionali non coordinati in materia;

·       assicurare il giusto contributo degli enti finanziari alla copertura dei costi della crisi, nonché la parità di condizioni con gli altri settori dal punto di vista fiscale, tenuto conto che la maggior parte dei servizi finanziari e assicurativi è esente da IVA, con un vantaggio complessivo per il settore finanziario pari a circa lo 0,15% del PIL;

·       creare i disincentivi opportuni per le transazioni che non contribuiscono all’efficienza dei mercati finanziari, integrando le misure regolamentari mirate a evitare crisi future;

·       creare una nuova fonte di gettito per il finanziamento del bilancio europeo con l’obiettivo di sostituire gradualmente i contributi versati dagli Stati membri mediante la c.d. risorsa RNL. L’istituzione della nuova imposta costituisce infatti parte integrante del nuovo sistema di risorse proprie dell’Unione europea prospettato nella proposta di decisione del Consiglio al riguardo, presentata il 29 giugno 2011 (COM(2011)510);

·       contribuire in misura significativa al dibattito internazionale sulla tassazione del settore finanziario, dimostrando come sia possibile mettere a punto e introdurre un’imposta efficace e aprendo così la strada per un approccio condiviso con i maggiori partner internazionali. In base al documento di lavoro della Commissione europea, al di fuori dell’UE forme di tassazione del settore finanziario sono state introdotte da Singapore e Svizzera.

Contenuti

Campo di applicazione e definizioni

L’art. 1, paragrafo 2 della proposta, prevede che la direttiva si applichi a tutte le transazioni finanziarie a condizione che almeno una delle parti coinvolte nella transazione sia stabilita in uno Stato membro e che un ente finanziario stabilito sul territorio di uno Stato membro sia partecoinvolta nella transazione, agendo per conto proprio o per conto di altri soggetti oppure agendo a nome di una delle parti della transazione.

Il campo di applicazione del ITF comprenderebbe tutti gli strumenti negoziabili sul mercato dei capitali, strumenti del mercato monetario (a eccezione degli strumenti di pagamento), quote o azioni di organismi d’investimento collettivo e contratti derivati. L’imposta non sarebbe peraltro limitata alle operazioni sui mercati organizzati, come le strutture di negoziazione multilaterale, ma riguarderebbe anche altri tipi di transazioni tra cui quelle negoziate fuori borsa (over-the-counter).

Sarebbero invece escluse:

·       le operazioni del mercato primario, ad eccezione dell’emissione e del rimborso di azioni e quote di organismi d’investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM);

·       le transazioni con l’UE, la Banca europea per gli investimenti e gli enti istituiti dall’UE nonché con organizzazioni ed enti internazionali;

·       le transazioni con la Banca centrale europea e con le banche centrali nazionali, per evitare ripercussioni sul rifinanziamento degli enti finanziari o sulle politiche monetarie in generale.

Nella relazione illustrativa la Commissione sottolinea che la maggior parte delle attività finanziarie quotidiane che coinvolgono cittadini e imprese non rientrerebbe, pertanto, nel campo di applicazione dell’ITF: in particolare, sarebbero esenti la stipula di contratti assicurativi, i prestiti ipotecari, i crediti al consumo, i servizi di pagamento (fatta salva la loro successiva negoziazione all’interno di prodotti strutturati risulta imponibile).

 

Transazioni finanziarie

Ai fini dell’applicazione dell’imposta, la proposta definisce transazione finanziaria:

·       l’acquisto e la vendita di uno strumento finanziario prima della compensazione e del regolamento, compresi i contratti di vendita con patto di riacquisto e di acquisto con patto di rivendita, nonché i contratti di concessione e assunzione di titoli in prestito;

·       il trasferimento tra entità dello stesso gruppo del diritto di disporre di uno strumento finanziario a titolo di proprietario e qualsiasi operazione equivalente che implica il trasferimento del rischio associato allo strumento finanziario;

·       la stipula o modifica di contratti derivati.

 

Enti finanziari

Anche la definizione di enti finanziari proposta dalla Commissione è ampia e comprende: le imprese d’investimento, i mercati organizzati, gli enti creditizi, le imprese di assicurazione e riassicurazione, gli organismi d’investimento collettivo e i loro gestori, i fondi pensione e i loro gestori, le società di partecipazione, le società di leasing finanziario e le società veicolo.

Per ciascuna di tali categorie la proposta richiama, ove possibile, le definizioni contenute nella legislazione dell’UE vigente in materia.

Non sono considerati enti finanziari le controparti centrali – CC – (quali, ad esempio, la Cassa di Compensazione e garanzia), e i depositari centrali di titoli – DCT – (come i Monte Titoli in Italia), in quanto esse svolgono funzioni che di per sé non costituiscono attività di negoziazione e rivestono un ruolo fondamentale per un funzionamento più efficiente dei mercati finanziari.

 

Luogo di imposizione

Il luogo di imposizione sarebbe lo Stato membro sul cui territorio è stabilitol’ente finanziario coinvolto nella transazione. Ai sensi della proposta un ente finanziario si considera stabilito sul territorio di uno Stato membro quando si verifica almeno una delle seguenti condizioni:

·       è stato autorizzato dalle autorità di tale Stato ad agire in tale veste in relazione alle transazioni incluse nell’autorizzazione;

·       vi ha la sede legale, l’ indirizzo permanente o la residenza abituale o una succursale;

·       partecipa, agendo per conto proprio o per conto di altri soggetti, o agisce a nome di uno dei partecipanti, a una transazione finanziaria con un altro ente finanziario stabilito in tale Stato ai sensi dei punti precedenti, o con un soggetto ivi stabilito che non sia un ente finanziario.

 

Un ente finanziario non si considera stabilito sul territorio di uno Stato membro se il soggetto responsabile del versamento dell’ITF dimostra che non vi è alcun collegamento tra la sostanza economica della transazione e il territorio di qualsiasi Stato membro.

 

Un soggetto che non è un ente finanziario si considera stabilito in uno Stato membro se la sua sede legale o, in caso di persona fisica, il suo indirizzo permanente o la sua residenza abituale si trovano in tale Stato, o se ha una succursale in tale Stato, in relazione alle transazioni finanziarie da essa effettuate.

 

Esigibilità

L’imposta sarebbe esigibile nel momento in cui avviene la transazione finanziaria. Il suo successivo annullamento non sarebbe considerato motivo di non esigibilità dell’imposta, fatti salvi i casi di errori.

base imponibile e aliquote

La base imponibile degli strumenti finanziari (eccetto i derivati) è il corrispettivo pagato o

dovuto, a fronte del trasferimento, dalla controparte o da una parte terza.

Tale corrispettivo si considera pari al prezzo di mercato (l’intero ammontare che sarebbe

stato pagato a titolo di corrispettivo per lo strumento finanziario a condizioni di mercato nei i casi in cui il corrispettivo sia inferiore al prezzo di mercato o per le transazioni effettuate tra entità di un gruppo che non sono coperte dai concetti di “acquisto” e “vendita”

 

Per l’acquisto, la vendita, il trasferimento, la stipula e la modifica di contratti derivati, la base imponibile sarebbe costituita dall’ammontare nozionale al momento dell’acquisto, vendita, trasferimento, stipula o modifica del contratto derivato (il valore nozionale di un contratto derivato è l’importo in base al quale sono scambiati i flussi, espresso sia in termini di valore monetario sia in termini di quantità).

 

Le aliquote dell’imposta sarebbero fissate da ogni Stato membro come percentuale della base imponibile, in misura non inferiore allo:

·       0,1% in relazione alle transazioni finanziarie su tutti gli strumenti finanziari eccetto i derivati;

·       0,01% in relazione alle transazioni finanziarie sui contratti derivati.

 

Gli Stati membri sarebbero tenuti ad applicare la stessa aliquota a tutte le transazioni finanziarie che rientrano in ciascuna delle due categorie.

Versamento dell’imposta, prevenzione dell’elusione e dell’evasione

Gli Stati membri dovrebbero assicurare che l’ITF dovuta sia versata:

·       nel momento in cui essa diventa esigibile, in caso di transazioni effettuate per via elettronica;

·       entro tre giorni lavorativi dal momento in cui l’imposta diventa esigibile, in tutti gli altri casi.

Gli Stati membri dovrebbero, inoltre, adottare misure per prevenire l’evasione, l’elusione e l’abuso, anche avvalendosi degli strumenti di cooperazione amministrativa disponibili in materia di accertamento e recupero delle imposte, tra cui in particolare la direttiva 2011/16/UE, relativa alla cooperazione amministrativa nel settore fiscale (applicabile dal 1° gennaio 2013) e la direttiva 2010/24/CE sull’assistenza reciproca in materia di recupero dei crediti risultanti da dazi, imposte ed altre misure.

Atti delegati

In base all’art. 13 della proposta, alla Commissione europea è conferito il potere di adottare atti delegati nei seguenti due ambiti:

·       la definizione delle regole per stabilire se le attività svolte da un’impresa in termini di volume o di valore delle transazioni finanziarie costituiscono una quota significativa dell’attività complessiva dell’impresa (art. 2, par. 2 della proposta);

·       la specificazione delle misure che gli Stati membri devono intraprendere per prevenire elusione, evasione e abusi (art. 11, par. 2).

L’atto delegato entrerebbe in vigore solo se il Consiglio non solleva obiezioni entro un periodo di 2 mesi dalla notifica dell’atto o se, prima della scadenza di tale periodo, il Consiglio ha informato la Commissione che non intende sollevare obiezioni.

La delega può essere revocata in ogni momento dal Consiglio dell’UE.

Recepimento

Secondo la proposta, gli Stati membri dovrebbero adottare e pubblicare, entro il 31 dicembre 2013, le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva, e le applicherebbero a partire dal 1° gennaio 2014.

Si osserva, peraltro, che la proposta di decisone relativa al sistema delle risorse proprie dell’UE del 29 giugno 2011 (COM(2011)511) prospettava invece l’applicazione al regime dell’imposta, quale risorsa propria al più tardi nel 2018.

Clausola di revisione

La proposta prevede che ogni cinque anni, e per la prima volta entro il 31 dicembre 2016, la Commissione invii al Consiglio una relazione sull’applicazione della presente direttiva e, ove opportuno, una proposta di modifica della stessa.

 

Base giuridica

La base giuridica è individuata nell’articolo 113 del Trattato sul funzionamento dell’UE (TFUE), concernenti le disposizioni che riguardano l'armonizzazione delle legislazioni relative alle imposte sulla cifra d'affari, alle imposte di consumo ed altre imposte indirette, nella misura in cui detta armonizzazione sia necessaria per assicurare l'instaurazione ed il funzionamento del mercato interno ed evitare le distorsioni di concorrenza.

Sussidiarietà

La relazione illustrativa che soltanto l’armonizzazione e il coordinamento a livello europeo dell’imposizione sulle transazioni finanziarie consentirebbe di conseguire i seguenti obiettivi:

·       evitare la frammentazione del mercato finanziario dell’UE, assicurando che le transazioni finanziarie possano essere effettuate in tutti gli Stati membri a parità di condizioni;

·       prevenire il rischio di distorsione della concorrenza e di delocalizzazione delle attività finanziarie sia all’interno sia all’esterno dell’UE, con ricadute negative sul gettito di alcuni Stati membri;

·       evitare l’arbitraggio fiscale e il rischio di una doppia imposizione o di una non imposizione;

·       eliminare costi supplementari di adeguamento per il settore finanziario che discendono daI regimi fiscali nazionali molto diversi tra loro.

 

Queste considerazioni sarebbero dimostrate dalle evidenze empiriche: la relazione illustrativa della proposta riporta che 12 Stati membri (Austria, Belgio, Bulgaria, Finlandia, Repubblica ceca, Grecia, Ungheria, Irlanda, Polonia, Romania, Svezia, Regno Unito) hanno già introdotto prelievi sugli enti finanziari o stanno valutando la possibilità di introdurli; tali prelievi avrebbero determinato una delocalizzazione delle attività e/o degli enti o, per evitare questa conseguenza, sarebbero stati applicati in modo da gravare solo sulle basi imponibili relativamente immobili e non sugli stretti sostituti.

Proporzionalità

La relazione illustrativa rileva che l’armonizzazione proposta, sotto forma di direttiva anziché di regolamento, non andrebbe oltre le misure necessarie per conseguire gli obiettivi stabiliti, primo fra tutti il corretto funzionamento del mercato interno.

La proposta, infatti, si concentra sull’elaborazione di una struttura comune dell’imposta e di disposizioni comuni sulla sua esigibilità e lascia pertanto agli Stati membri un margine di manovra sufficiente per quanto riguarda l’effettiva definizione delle aliquote d’imposta superiori al minimo, nonché degli obblighi di contabilità e rendicontazione e delle misure di prevenzione dell’evasione,dell’elusione e dell’abuso fiscale.

 

Valutazione d’impatto

Valutazione della Commissione europea

La valutazione dell’impatto ha, anzitutto, analizzato due principali opzioni per la tassazione del settore finanziario: un’imposta sulle transazioni finanziarie (ITF) e un’imposta sulle attività finanziarie (IAF), nonché le possibili modalità di ciascuna di esse, considerando preferibile la seconda per il maggiore gettito che essa garantirebbe e per la sua idoneità a limitare l’assunzione di rischi eccessivi riducendo le negoziazioni di breve termine e la contrattazione di derivati con alta leva.

Secondo le ipotesi considerate dalla Commissione, la TAF, a differenza della ITF non avrebbe ad oggetto le transazioni ma i compensi e i profitti complessivi derivanti dalle attività finanziarie.

Applicando un’aliquota teorica additiva del 5% il gettito dell’IAF si attesterebbe infatti tra 9,3 e 30,3 miliardi di euro, mentre l’ITF offrirebbe gettito stimato tra 16,4 e 430 miliardi di euro (applicando un’aliquota pari, rispettivamente, allo 0,01% e allo 0,1% e tenendo conto delle varie ipotesi relative al calo dei volumi e ai prodotti rientranti nel campo di applicazione.

 

Per quanto concerne l’impatto sui modelli operativi nel settore finanziario, la valutazione rileva che l’introduzione dell’imposta determinerebbe un aumento dei costi delle transazioni andando a erodere il profitto marginale, con un impatto negativo sulle attività di negoziazione automatica sui mercati finanziari. Ne risentirebbe in modo particolare il modello operativo della negoziazione ad alta frequenza.

 

Al tempo stesso, secondo la valutazione di impatto, l’ITF avrebbe effetti distributivi progressivi, in quanto i suoi effetti aumenterebbero proporzionalmente al reddito, dato che i soggetti a più alto reddito usufruiscono in misura maggiore dei servizi forniti dal settore finanziario.

 

Al fine di attenuare l’impatto economico dell’imposta e i rischi di elusione e di delocalizzazione, la valutazione sottolinea l’esigenza che l’imposta presenti alcune caratteristiche specifiche (previste nella proposta di direttiva in esame):

·       un ampio campo di applicazione tenuto conto che il ricorso a definizioni più ristrette incentiverebbe le operazioni di elusione fiscale su vasta scala;

·       il principio della  tassazione nello Stato membro in cui sono stabiliti gli attori finanziari, indipendentemente dal luogo di esecuzione delle transazioni, in modo da applicare l’imposta anche nei casi in cui un ente finanziario esterno all’Unione sia coinvolto in una transazione finanziaria con una parte dell’UE o una delle sue succursali nell’UE sia coinvolta nella transazione;

·       aliquote d’imposta idonee a minimizzare l’impatto sul costo del capitale a fini diversi da quelli degli investimenti finanziari;

·       l’esclusione dal campo di applicazione dell’ITF delle operazioni dei mercati primari sia per i titoli, per non ostacolare la raccolta di capitali da parte dei governi e delle imprese, sia per le valute, onde evitare di imporre restrizioni alla libera circolazione dei capitali;

·       la separazione delle attività di concessione e assunzione di prestiti dei nuclei domestici, delle imprese o degli enti finanziari e di altre attività finanziarie quotidiane, come i prestiti ipotecari o le transazioni di pagamento.

Tenendo ferme queste caratteristiche, secondo i calcoli della Commissione, l’impatto negativo dell’ITF sul PIL nel lungo periodo sarebbe limitato a circa lo 0,5% rispetto allo scenario di base (senza introduzione di nuove imposte e con il mentenimento dell’esenzione IVA per il settore finanziario).

La riduzione del PIL a lungo termine, in assenza delle caratteristiche sopra indicare, sarebbe invece pari allo 1,76% in caso di aliquota dello 0,1% e dello 0,17% in caso di aliquota dello 0,01%.

Pur tenendo conto della capacità di gettito dell’ITF, la valutazione riconosce che essa potrebbe produrre un impatto negativo in termini di PIL per effetto della riduzione del volume di mercato delle transazioni, dell’aumento del costo del capitale  (i soggetti tassati cercheranno di trasmettere l’imposta ai propri clienti, con ripercussioni negative sugli investimenti) e dei rischi di delocalizzazione.

 

La Commissione ha elaborato due ipotesi di gettito complessivo dell’imposta, calcolate sulla base di due diverse aliquote:

·       aliquota dello 0,01%: il gettito sarebbe compreso tra 16,4 (con un’elasticità di -2 e una forte diminuzione dei volumi) e 43,4 miliardi di euro (con un’elasticità di 0 e una ridotta diminuzione dei volumi), ovvero dallo 0,13% allo 0,35% del PIL;

·       aliquota dello 0,1%: il gettito stimato totale si attesterebbe tra 73,3 (con un’elasticità di -2 e una forte diminuzione dei volumi) e 433,9 miliardi di euro (con un’elasticità di 0 e una ridotta diminuzione dei volumi), ovvero dallo 0,60% al 3,54% del PIL.

 

La valutazione rileva, infine, che la distribuzione geografica del gettito, in base ai criteri previsti dalla proposta presente direttiva, dipenderà dal luogo di stabilimento degli enti finanziari coinvolti nelle transazioni finanziarie e non dal luogo di negoziazione degli strumenti finanziari. Ciò comporterà probabilmente una minore concentrazione del gettito fiscale, soprattutto nei casi in cui gli enti finanziari intervengono su una piattaforma di negoziazione per conto di enti finanziari stabiliti in un altro Stato membro.

Valutazione del Governo

Il Governo non ha formulato una esplicita valutazione della proposta di direttiva in esame.

Peraltro, con riferimento alla introduzione della TTF quale nuova risorsa propria dell’UE, nel documento di posizione sul nuovo QFP, presentato dal Governo il 2 maggio 2011,  si precisa che l’Italia ritiene prioritaria concorda anche con l’introduzione di una o più nuove risorse fiscali, che assicurerebbero maggiore trasparenza un più diretto coinvolgimento del cittadino, ma si riserva di valutare in modo più approfondito le opzioni avanzate dalla Commissione, anche alla luce della base imponibile che verrà proposta, ritenendo fondamentale in ogni caso il rispetto dei principi della sovranità fiscale degli Stati e della neutralità fiscale.

In occasione della Conferenza sul quadro finanziario pluriennale 2014-2020 svoltasi a Bruxelles il 20-21 ottobre 2011, il sottosegretario agli esteri Mantica, in rappresentanza del Governo italiano, ha ribadito che l’Italia ha una posizione “aperta”, che potrà essere definita compitamente solo a seguito di ulteriori approfondimenti e chiarimenti sulla natura delle nuove risorse fiscali che consentano di valutare, tra l’altro, il loro impatto amministrativo e strutturale.

L’assetto della tassazione dei redditi di natura finanziaria in Italia (a cura del Servizio Studi)

Si ricorda preliminarmente che in Italia non esiste una imposizione sulle transazioni finanziarie.

Merita tuttavia ricordare che fino al 2007 era prevista l’applicazione di un’imposta di bollo su ciascuna operazione di borsa pari all’1,4 per mille. L’imposta è stata parzialmente soppressa e modificata con il decreto legislativo n. 435/97 e definitivamente cancellata dal nostro ordinamento con il decreto legge 248/2007.

Sotto un profili più generale, si illustra di seguito l’assetto della tassazione dei redditi finanziari, come ridisegnato dal D.L. 13 agosto 2011, n. 138 (articolo 2, commi da 6 a 34) che ha operato una complessiva riforma del settore, che sarà operativa a partire dal 1° gennaio 2012.

Per effetto delle modifiche operate, in particolare, dai commi 6-12 dell'articolo 2, le precedenti aliquote del 12,50 per cento e del 27 per cento, previste sui redditi di capitale e sui redditi diversi, sono unificate ad un livello intermedio fissato al 20 per cento.

Si ricorda peraltro che il riordino della tassazione dei redditi di natura finanziaria è previsto nel disegno di legge di iniziativa governativa recante Delega al Governo per la riforma fiscale e assistenziale, in discussione alla Camera dei deputati (A.C. 4566)[1].

Restano esclusi dall’ambito di applicazione della riforma, tra gli altri, i titoli di Stato ed equiparati, i titoli emessi da altri Stati (cd. white list, vale a dire i paesi che consentono un adeguato scambio di informazioni), i titoli di risparmio per l’economia meridionale, i piani di risparmio a lungo termine e le forme di previdenza complementare.

Le predette norme hanno altresì definito le modalità con cui nel risparmio gestito (polizze assicurative, gestioni  patrimoniali, fondi comuni mobiliari e fondi pensione) dovrà essere effettuata la tassazione dei titoli soggetti alla minore aliquota del 12,5%, al fine di non vanificare il trattamento di favore loro riservato; inoltre, le norme hanno accordato agli investitori la possibilità di  affrancare le plusvalenze maturate al 31 dicembre 2011, allo scopo di evitare la tassazione con la  maggiore  aliquota del 20%.

L’applicazione dell’aliquota del 20% riguarda i dividendi e i proventi assimilati, provenienti da partecipazioni non qualificate possedute al di fuori dell’attività d’impresa e non relative a società residenti in Paesi o territori a fiscalità privilegiata (se le partecipazioni non sono negoziate in un mercato regolamentato). Resta invariato il regime previsto i regime dei dividendi provenienti da partecipazioni qualificate. Continua, inoltre, ad applicarsi la disciplina vigente per le partecipazioni, qualificate e non, possedute dalle persone fisiche e dalle società personali nell’ambito dell’attività d’impresa.

Occorre ricordare altresì che il decreto-legge “Milleproroghe” 2011 (articolo 2, commi da 62 a 84 del D. L. n. 225 del 2010[2])ha riformato il regime di tassazione dei fondi comuni di investimento, al fine di equiparare il regime fiscale attualmente esistente per gli organismi di investimento collettivo del risparmio (OICR) residenti in Italia a quello previsto per gli OICR residenti in altro Stato membro dell’Unione europea, prevedendo sostanzialmente il passaggio dalla tassazione del cosiddetto “maturato”in capo ai fondi alla tassazione delcosiddetto “realizzato” in capo ai partecipanti al fondo che abbiano sottoscritto le relative quote, di modo che il reddito prodotto dal fondo venga tassato soltanto al momento dell’effettiva percezione da parte del sottoscrittore, ovvero al disinvestimento.

Il regime precedente alla riforma risultava infatti informato al criterio della maturazione, in base al quale la società di gestione prelevava annualmente, a titolo di imposta definitiva, un ammontare pari al 12,5 per cento sul risultato annuo conseguito dal fondo. Qualora, invece, il risultato della gestione dell’investimento fosse negativo, veniva considerato un equivalente risparmio di imposta che si poteva portare in compensazione o accantonare per effettuare una futura compensazione.

Nel corso delle audizioni svoltesi al Senato in occasione dell’indagine conoscitiva sulla riforma fiscale[3] la Banca d’Italia[4] ha osservato che la riforma operata dal D.L. 138/2011 ha mantenuto, per le gestioni individuali di portafogli, la tassazione al criterio del “maturato”, a differenza di quanto previsto per le gestioni collettive - per le quali, come appena ricordato supra, il prelievo è stato spostato all’effettiva percezione del provento. Di conseguenza, l’Autorità ha rilevato come queste ultime godano di un trattamento più vantaggioso rispetto all’investimento diretto, consistente nel vantaggio finanziario che deriva dallo spostamento del prelievo al momento del riscatto / cessione delle quote, sia per quanto riguarda le plusvalenze, sia per eventuali dividendi o interessi. Inoltre, è stato rilevato che la riforma del D. L. 138/2011, ancorché abbia uniformato le aliquote, non ha tuttavia corretto la distorsione derivante dalla suddivisione dei redditi finanziari in “redditi di capitale” e “redditi diversi di natura finanziaria”, distinzione che – a parere dell’Autorità – non coglie la complessità e l’articolazione degli strumenti finanziari.

 

 

 

L’impatto sull’ordinamento nazionale (a cura del Servizio Studi)

Nel motivare la proposta di istituzione della ITF, la Commissione sottolinea che il settore finanziario avrebbe beneficiato di un bassa pressione fiscale negli ultimi anni e, in particolare, che lo stesso settore finanziario godrebbe di un vantaggio di circa 18 miliardi di euro annui, a causa del regime di esenzione IVA applicabile ai servizi finanziari.

Al riguardo si osserva che detta esenzione comporta un regime di indetraibilità dell’imposta assolta sugli acquisti che diviene quindi un onere per le banche. L’esenzione da IVA è - al contrario - un beneficio per la clientela degli enti finanziari, come peraltro sottolineato dalla Federazione delle Banche, Assicurazioni e Finanza (FeBAF) nel corso dell’audizione presso la Commissione Finanze della Camera del 13 settembre 2011, nell’ambito della discussione del disegno di legge delega al governo per la riforma fiscale e assistenziale (AC 4566).

 

Le conseguenze di carattere finanziario (a cura del Servizio Bilancio dello Stato)

In linea generale l’introduzione della nuova imposta determina un incremento del gettito tributario e, quindi, un aumento della pressione fiscale cui potrebbe corrispondere, indirettamente, una rarefazione delle transazioni ed un aumento dei costi del capitale con conseguente contrazione del PIL. La dimensione di tali effetti per ciascun Paese dipenderà dalla distribuzione qualitativa e quantitativa delle transazioni e dagli eventuali successivi effetti di frammentazione e delocalizzazione conseguenti all’estensione del campo di applicazione dell’imposta e dalla determinazione delle aliquote.

In tale contesto andrebbe meglio individuato il soggetto in capo al quale si realizza la disponibilità effettiva del gettito del nuovo tributo. Ciò in quanto, come evidenziato nella relazione, la proposta di direttiva in esame mira a creare una nuova risorsa propria UE con l’obiettivo di sostituirla gradualmente ai contributi nazionali al bilancio dell’UE, riducendo l’onere per i bilanci nazionali. In particolare, andrebbe chiarito se, a livello di singoli Stati, il gettito del tributo sia in grado di garantire l’integrale copertura della quota di contributo nazionale alla UE e, in ogni caso, andrebbe chiarita la destinazione delle eccedenze positive e le modalità di compensazione delle eccedenze negative. L’eventuale ricorso alla manovrabilità del livello di aliquota concessa ai singoli Stati non appare, infatti, completamente efficace in quanto acuirebbe gli effetti negativi di rarefazione e delocalizzazione delle transazioni associate all’introduzione dell’imposta dalla stessa analisi di impatto.

E’ evidente, infatti, che la maggioranza degli Stati tenderà ad attestarsi sulle aliquote minime stabilite dalla direttiva al fine di evitare forme di concorrenza fiscale nell’ambito dell’area europea.

Ai fini della valutazione del gettito dell’ITF, andrebbero inoltre meglio specificate le modalità di applicazione del prelievo. Infatti, non appare chiaro se l’imposta gravi ad aliquota integrale su entrambe le controparti di una transazione, se si ripartisca tra le medesime ovvero si raddoppi in presenza di controparti centrali (persone giuridiche che si interpongono tra le controparti di una tassazione su uno o più mercati finanziari, diventando l’acquirente di ogni venditore e il venditore di ogni acquirente; cfr. art. 2 della proposta di direttiva in esame).

Si segnala, inoltre, che l’applicazione dell’imposta alle transazioni sui mercati secondari potrebbe determinare effetti indiretti sul costo del finanziamento del debito pubblico. Infatti, i prezzi di emissione dei titoli sovrani sul mercato primario risentono dell’andamento dei prezzi sul mercato secondario di tali titoli. Pertanto, un’imposizione sulle transazioni che si svolgono sul mercato secondario determinerebbe una riduzione del valore di mercato dei titoli che potrebbe influenzare anche i costi di emissione sul mercato primario. Tale effetto, con particolare riferimento all’odierno contesto finanziario, andrebbe valutato in termini di costi del debito pubblico.  

Quanto all’impatto economico dell’imposta sul mercato domestico, si osserva che l’introduzione del prelievo incrementerà i costi degli intermediari crediti in termini di maggior prelievo sull’attività di trading e sui derivati con funzione assicurativa del rischio. E’ ipotizzabile che tali costi si trasferiranno sulla clientela domestica con possibili effetti negativi in termini di crescita.

 

Esame presso le Istituzioni dell’UE

In seno al Consigli dei ministri dell’UE sono stati avviati dei tavoli tecnici per approfondire taluni aspetti della proposta, ed in particolare l’utilizzo della TTF come nuova risorsa propria dell’UE. Al riguardo, perplessità sono state espresse dai rappresentanti della Germania, della Svezia e della Repubblica ceca, dato che essa non risolverebbe, a loro avviso, i problemi dei “contribuenti netti” (ovvero i Paesi che versano al bilancio dell’UE più di quanto ricevono). Al contrario, i delegati di Francia, Portogallo, Romania e Slovenia hanno manifestato apertura circa il suo impiego quale nuova risorsa propria. I tedeschi hanno altresì espresso dubbi (condivisi anche da rappresentanti italiani al tavolo tecnico) sulle modalità di ripartizione della TTF tra gli Stati membri, anche in ragione della volatilità dell’imposta, che rende meno prevedibile il livello delle entrate di bilancio. Vi è un consenso pressoché unanime sulla necessità di contenere i costi amministrativi della nuova imposta. I rappresentanti di Regno Unito e – in misura minore – Spagna, hanno espresso preoccupazione per una TTF solo europea, che potrebbe creare seri rischi di delocalizzazione degli investimenti finanziari. 

La proposta è stata assegnata in sede referente presso la Commissione affari economici e monetari del Parlamento europeo, con il parere delle Commissioni bilancio, affari giuridici e mercato interno.

 

 

 

 

 

 

Esame presso altri Parlamenti nazionali

Sulla base dei dati forniti dal sito IPEX, l’esame della proposta di direttiva risulta avviato dai Parlamenti svedese, finlandese e portoghese, dal Bundesrat tedesco, dal Senato olandese, dal Senato ceco, dalla Camera rumena e dal Senato belga. Allo stato attuale, tuttavia, nessun Parlamento ha approvato atti di valutazione/indirizzo sulla proposta.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

XVI legislatura – Documentazione per le Commissioni – Esami di atti e documenti dell’UE, n. 106, 7 novembre 2011

Il bollettino è stato curato dall’ Ufficio Rapporti con l’Unione europea (' 066760.2145 - cdrue@camera.it)

I paragrafi “L’assetto della tassazione dei redditi di natura finanziaria in Italia” e “L’impatto sull’ordinamento nazionale” sono state curati dal Servizio Studi, Dipartimento finanze (' 06 6760.9496)

Il paragrafo “Le conseguenze di carattere finanziario”  è stato curato dal Servizio Bilancio dello Stato (' 06 6760.2174)

 

 



[1]     Tra i criteri di delega per il riordino della tassazione delle rendite finanziarie che l'A.C. 4566 individua si riportano i seguenti:

-     previsione, per i redditi di capitale e i redditi diversi di natura finanziaria, dell’introduzione di un’aliquota unica non superiore al 20 per cento in luogo delle due aliquote del 12,50 e del 27 per cento attualmente vigenti, facendo salva l’applicazione delle minori aliquote introdotte in adempimento di obblighi derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea. Sono esclusi dall’ambito applicativo di tale previsione i titoli pubblici;

-     introduzione di un livello di aliquota più basso rispetto a quello stabilito con il primo criterio direttivo per l’imposizione sui redditi di natura finanziaria derivanti da piani di risparmio a lungo termine appositamente istituiti e da forme di previdenza complementare: ciò al fine di incentivare il risparmio a lungo termine e quello di natura previdenziale;

-     definizione di termini di decorrenza dell’applicazione della nuova disciplina, con la facoltà di introdurre regimi di carattere transitorio per consentire l’applicazione delle aliquote delle ritenute e delle imposte sostitutive previgenti sui redditi di natura finanziaria maturati fino alla data di entrata in vigore della nuova disciplina allorché, in base ai nuovi criteri di decorrenza, tali redditi sarebbero soggetti alla nuova maggiore aliquota.

[2]     D.L. 29 dicembre 2010, n. 225, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie e convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 26 febbraio 2011, n. 10.

[3]     http://www.senato.it/commissioni/4568/106760/347014/sommarioindagini.htm

[4]     http://www.senato.it/documenti/repository/commissioni/comm06/Indagini%20conoscitive/BANCADITALIA.pdf