Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento affari esteri
Titolo: Le elezioni per l'Assemblea costituente in Tunisia (23 ottobre 2011)
Serie: Note elezioni nel mondo    Numero: 111
Data: 17/10/2011
Descrittori:
ASSEMBLEA COSTITUENTE   ELEZIONI
TUNISIA     
Organi della Camera: III-Affari esteri e comunitari

SIWEB

Casella di testo: Elezioni parlamentari e presidenziali nel mondon. 111 – 17 ottobre 2011

 


Le elezioni per l’Assemblea costituente in Tunisia
(23 ottobre 2011)

Tunisia

 

Il 23 ottobre 2011 si svolgeranno le elezioni dell’Assemblea costituente in Tunisia. L’Assemblea costituente sarà composta da 218 membri eletti in 33 circoscrizioni plurinominali (delle quali 6 estere) con sistema proporzionale con metodo del quoziente con i più alti resti e liste chiuse che vedano la presenza paritaria ed alternata di un candidato di sesso maschile e di un candidato di sesso femminile.

 

A seguito della dimissioni del presidente Ben Alì nel gennaio 2011, la Tunisia ha avviato un processo di transizione costituzionale. In particolare, il 9 febbraio il Parlamento tunisino ha approvato una legge che consente al presidente ad interim (in base alla Costituzione previgente il presidente della Camera bassa) di emanare, su proposta del governo provvisorio, decreti con forza di legge in materia quali i diritti dell’uomo come definiti dalle convenzioni internazionali; l’organizzazione dei partiti politici; la riforma del sistema elettorale; l’amnistia. Su queste materie il governo riceve i pareri dell’Alta autorità per il raggiungimento degli obiettivi della Rivoluzione, della riforma politica e della transizione democratica, costituita il 18 febbraio e composta di rappresentanti di partiti politici, organizzazioni e associazioni di carattere nazionale, esponenti della società civile. Il 3 marzo è stata annunciata la decisione di convocare un’Assemblea costituente, le cui elezioni, previste inizialmente per il 24 luglio, sono state poi differite al 23 ottobre.

 

Attuale primo ministro del governo provvisorio è Beji Caid Essebsi, già ministro con il primo leader tunisino post-indipendenza Bourghiba. Principali movimenti candidati alle elezioni sono invece il partito islamista moderato Ennahda (guidato da Rachid Ghannouchi), dato per favorito dai sondaggi, e i movimenti di orientamento laico e progressista come il Partito democratico progressista (guidato da Najbi Chebbi), il Forum democratico per la libertà e il lavoro (guidato da Mustafa Ben Jafaar), il Congresso per la Repubblica (guidato da Moncef Marzouki) e il partito ex-comunista Ettajdid (guidato da Ahmed Ibrahim) (per ulteriori dettagli cfr. infra box “Principali partiti e movimenti della società civile tunisina al momento delle dimissioni di Ben Alì).

 

Nell’ambito del processo di organizzazione delle elezioni deve essere segnalato il lungo processo di registrazione degli elettori, concluso alla fine di agosto, e la presentazione delle liste dei candidati, tra il 7 e il 19 settembre.

 

L’attualità politica tunisina degli ultimi mesi è stata animata dal dibattito intorno all’operato dell’Alta autorità per il raggiungimento degli obiettivi della rivoluzione. In particolare, la decisione assunta nel mese di giugno di posticipare le elezioni è stata contestata, e solo in un secondo momento accettata, dal partito Ennahda. Il partito ha poi abbandonato i lavori dell’Alta Autorità anche per i contrasti sul decreto legge sull’organizzazione dei partiti politici. Il decreto legge, poi approvato il 20 luglio, proibisce i finanziamenti da imprese private e dall’estero ai movimenti politici. Da ricordare, nell’ambito dell’attività dell’Autorità, anche il parere reso sul decreto-legge in materia di associazioni, approvato alla fine di agosto.

 

I sospetti nei confronti di Ennahda sono legati anche al timore di una sua volontà di modificare il codice dello statuto personale del 1956 che, tra le altre cose, ha stabilito il matrimonio civile, il principio della libera scelta della donna di contrarre matrimonio, l’individuazione di un’età minima (18 anni) per contrarre matrimonio e l’abolizione della poligamia. Il programma ufficiale di Ennahda presentato il 14 settembre si pone l’obiettivo di costruire una democrazia basata sui valori islamici, sul modello turco, e si impegna, tra le altre cose, a non imporre alle donne alcun obbligo in materia di velo islamico

Da segnalare, a questo proposito, l’emergere nella realtà politica e sociale tunisina di movimenti islamisti “salafiti” più estremisti di Ennahda come Hizb al-Tahrir, che si sono resi protagonisti negli ultimi mesi di episodi di antisemitismo e di attacchi a negozi di alcolici e donne prive del velo (da segnalare da ultimo l’attacco agli inizi di ottobre alla televisione tunisina privata Nessma, di proprietà dell’uomo di affari Tarak Ben Ammar, per la trasmissione del film Persepolis). Forze islamiste sono state accusate anche per gli scontri violenti verificatisi in diverse città della Tunisia, nel mese di luglio, nel corso di proteste contro il governo provvisorio.

 

Nel corso della campagna elettorale stanno emergendo anche le diverse opzioni sul futuro istituzionale del paese: il partito Ennahda si è espresso a favore di un regime parlamentare, mentre il Forum democratico per le libertà si è espresso a favore di un regime presidenziale, con poteri limitati per il Presidente.

 

Principali partiti e movimenti della società civile tunisina al momento delle dimissioni di Ben Alì

Al momento delle dimissioni del presidente Ben Alì risultavano individuabili, nella realtà politica tunisina, i seguenti partiti e movimenti:

Rassemblement costituzionale democratico: denominazione assunta nel 1988 dal partito Neo-Dastour, che aveva guidato la Tunisia dall’indipendenza, l’RCD è stato, fino alla caduta di Ben Alì e al suo scioglimento agli inizi di marzo, il partito egemone della società civile tunisina (la costituzione di altri partiti è stata consentita in Tunisia dal 1981; gli altri partiti legalmente riconosciuti si sono prevalentemente caratterizzati come partiti satellite dell’RCD; forze di reale opposizione, riconosciute o semilegali durante il regime erano rappresentate dal Partito democratico progressista; dal Forum democratico per la libertà e il lavoro e da Ettajdid)

Movimento dei socialisti democratici: registrato nel 1983 e partito riconosciuto legalmente durante il regime di Bel Alì è guidato da Ismail Boulhaya

Partito di unità popolare, guidato da Mohammed Bouchiha, registrato nel 1983, sostenitore di un’economia fortemente pianificata

Partito social-liberale: fondato nel 1988, riconosciuto legalmente durante il regime di Bel Alì, guidato da Mondher Thabet, è considerato vicino all’RCD

Partito verde per il progresso: fondato nel 2006, riconosciuto legalmente durante il regime di Ben Alì, guidato da Mongi Khamassi

Partito democratico progressista: fondato nel 1988, semilegale durante il regime di Ben Alì e guidato da Najbi Chebbi, nominato ministro per lo sviluppo regionale nel governo Ghannouchi, di impostazione laica perseguitato dalle forze di sicurezza durante la presidenza di Ben Alì

Forum democratico per la libertà e il lavoro: fondato nel 1994 da Mustafa Ben Jafaar, di impostazione laica, radicato tra gli intellettuali, gli attivisti per i diritti umani e i professionisti; il suo programma richiede libere elezioni, amnistia per i prigionieri politici e eliminazione del ruolo egemone nella vita politica tunisina dell’RCD

Ettajdid: “Rinnovamento”, nato nel 1994 dalla trasformazione del partito comunista, riconosciuto legalmente, guidato da Ahmed Ibrahim con posizioni di centro-sinistra. Ibrahim è stato ministro dell’istruzione nel governo Ghannouchi

Congresso per la Repubblica: illegale dal 2002 il partito guidato da Moncef Marzouki, di impostazione laica, chiede l’instaurazione di un regime democratico, rispettoso dei diritti umani e civili

Ennahda: “Rinascita”, movimento islamista moderato, legato ai fratelli musulmani e fondato nel 1988, messo al bando nei primi anni Novanta, guidato da Rachid Ghannouchi (solo omonimo del primo capo di governo post-Ben Alì Ghannouchi), per 23 anni in esilio a Parigi. A febbraio Ghannouchi ha annunciato l’intenzione di affidare la leadership attiva del movimento al portavoce del movimento Hamadi Jebali. Sulla base di alcune interviste di Gannouchi e Jebali dello scorso febbraio la piattaforma politica del partito appare “flessibile” (o, secondo i critici, ambigua): il movimento ha espresso il proprio sostegno non solo ai valori democratici ed ai diritti umani, ma anche al codice personale e di famiglia come definito dalla legislazione laica tunisina, che rifiuta la poligamia e prevede la piena uguaglianza tra uomo e donna. I due esponenti politici hanno altresì definito l’indossare l’hijab come scelta personale; al tempo stesso però viene confermata l’adesione del partito alla Sharia e il rifiuto della separazione tra Stato e religione. Il movimento appare poi subire la pressione di movimenti giovanili “salafiti” più estremisti, come Hizb al-Tahrir che invocano la costituzione di un califfato islamico e la messa al bando dei partiti politici. Movimenti salafiti si sono resi protagonisti negli ultimi mesi di episodi di antisemitismo e di attacchi a negozi di alcolici e a donne prive del velo.

Ruolo importante nella vita politica e sociale tunisina, ed anche nelle proteste che hanno condotto alle dimissioni di Ben Alì, è svolto dall’Unione generale dei lavoratori tunisini (UGTT), attualmente guidata da Abdessalem Jrad; l’Unione, durante il regime di Ben Alì svolgeva istituzionalmente i compiti di rappresentanza dei lavoratori; essa era tradizionalmente divisa tra una dirigenza più vicina alla leadership governativa e quadri intermedi e di base più radicali.

 

 

 

Indicatori internazionali sul paese[1]:

Libertà politiche e civili: Stato “non libero” (Freedom House); regime autoritario (144 su 167 Economist)

Libertà di stampa: 164 su 178

Libertà di Internet 2009: “filtraggio” pervasivo per le questioni politiche, sociali e gli strumenti di internet, selettivo sui conflitti e la sicurezza (OpenNet Initiative)

Libertà religiosa: assenza di eventi significativi (ACS); Islam religione di stato  (USA)

Libertà economica: Stato “prevalentemente non libero” (100 su 179)

Corruzione percepita: 59 su 178

Variazione PIL 2009: + 3,1 per cento; 2010: + 3,6 per cento

 

 

 

Fonti: IFES, Carnegie Endowment for International Peace

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

 

 

Servizio Studi – Analisi dei temi di politica estera nell’ambito dell’Osservatorio di Politica Internazionale

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File: es0926ele



[1]    Gli indicatori internazionali sul paese, ripresi da autorevoli centri di ricerca, descrivono in particolare: la condizione delle libertà politiche e civili secondo le classificazioni di Freedom House e dell’Economist Intelligence Unit; la posizione del paese secondo l’indice della corruzione percepita predisposto da Transparency International (la posizione più alta nell’indice rappresenta una situazione di minore corruzione percepita) e secondo l’indice della libertà di stampa predisposto da Reporters sans Frontières (la posizione più alta nell’indice rappresenta una situazione di maggiore libertà di stampa); la condizione della libertà religiosa secondo i due rapporti annuali di “Aiuto alla Chiesa che soffre” (indicato con ACS) e del Dipartimento di Stato USA (indicato con USA); il tasso di crescita del PIL come riportato dall’Economist Intelligence Unit; la presenza di situazioni di conflitto armato secondo l’International Institute for Strategic Studies (IISS). Per ulteriori informazioni sulle fonti e i criteri adottati si rinvia alla nota esplicativa presente in Le elezioni programmate nel periodo febbraio-aprile 2011 (documentazione e ricerche n. 85, 9 febbraio 2011).