Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento bilancio
Titolo: Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria - D.L. 112/2008 ' A.C. 1386 - Schede di lettura
Riferimenti:
AC N. 1386/XVI   DL N. 112 DEL 25-GIU-08
Serie: Progetti di legge    Numero: 15
Data: 30/06/2008
Descrittori:
ECONOMIA NAZIONALE   FINANZA PUBBLICA
ORGANIZZAZIONE FISCALE   PIANI DI SVILUPPO
PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO     


Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

 

 

SERVIZIO STUDI

Progetti di legge

 

 

 

 

 

Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria

 

D.L. 112/2008 – A.C. 1386

Schede di lettura

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

n. 15

 

30 giugno 2008


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Coordinamento: Dipartimento Bilancio e politica economica

 

 

I dossier del Servizio studi sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.

 

File: D08112.doc

 


I N D I C E

 

Schede di lettura

§      Articolo 1 (Finalità ed ambito di intervento)9

§      Articolo 2 (Banda larga)11

§      Articolo 3 (Start up)17

§      Articolo 4 (Strumenti innovativi di investimento)20

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE (a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)21

§      Articolo 5 (Sorveglianza dei prezzi)23

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE (a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)26

§      Articolo 6 (Sostegno all’internazionalizzazione alle imprese)28

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE (a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)32

§      Articolo 7 (Strategia energetica nazionale e stipula di accordi per ridurre le emissioni di CO2)34

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE (a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)39

§      Articolo 8 (Legge obiettivo per lo sfruttamento di giacimenti di idrocarburi)41

§      Articolo 9 (Sterilizzazione dell’IVA sugli aumenti petroliferi)45

§      Articolo 10 (Promozione degli interventi infrastrutturali strategici e nei settori dell’energia e delle telecomunicazioni)48

§      Articolo 11 (Piano casa)51

§      Articolo 12 (Abrogazione della revoca delle concessioni TAV)61

§      Articolo 13 (Misure per valorizzare il patrimonio residenziale pubblico)65

§      Articolo 14 (Expo Milano 2015)68

§      Articolo 15 (Costo dei libri scolastici)70

§      Articolo 16 (Facoltà di trasformazione in fondazioni delle università)76

§      Articolo 17 (Progetti di ricerca di eccellenza)85

§      Articolo 18 (Reclutamento del personale delle società pubbliche)88

§      Articolo 19 (Abolizione dei limiti al cumulo tra pensione e redditi di lavoro)91

§      Articolo 20 (Disposizioni in materia contributiva)100

§      Articolo 21 (Modifiche alla disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato)110

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE (a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)113

§      Articolo 22 (Modifiche alla disciplina dei contratti occasionali di tipo accessorio)115

§      Articolo 23 (Modifiche alla disciplina del contratto di apprendistato)118

§      Articolo 24 (“Taglia-leggi”)126

§      Articolo 25 (“Taglia-oneri” amministrativi)133

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE (a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)141

§      Articolo 26 (“Taglia-enti”)144

§      Articolo 27 (“Taglia-carta”)152

§      Articolo 28 (Misure per garantire la razionalizzazione di strutture tecniche statali)154

§      Articolo 29 (Trattamento dei dati personali)160

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE (a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)163

§      Articolo 30 (Semplificazione dei controlli amministrativi a carico delle imprese soggette a certificazione)165

§      Articolo 31 (Durata e rinnovo della carta d’identità)168

§      Articolo 32, commi 1-2 (Limitazioni all’uso del contante)174

§      Articolo 32, comma 3 (Soppressione dell’obbligo di tenuta di conti correnti da parte dei lavoratori autonomi)176

§      Articolo 33, commi 1-2 (Applicabilità degli studi di settore)177

§      Articolo 33, comma 3 (Elenco clienti fornitori)179

§      Articolo 34 (Tutela dei consumatori e apparecchi di misurazione)181

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE (a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)182

Procedure di contenzioso (a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)183

§      Articolo 35 (Semplificazione della disciplina per l’installazione degli impianti all’interno degli edifici)184

§      Articolo 36 (Class action)188

§      Articolo 37, comma 1 (Certificazioni e prestazioni sanitarie)191

§      Articolo 37, comma 2 (Ambito di applicazione del testo unico in materia di immigrazione di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998)192

§      Articolo 38 (Impresa in un giorno)196

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE (a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)205

§      Articolo 39 (Adempimenti di natura formale nella gestione dei rapporti di lavoro)206

§      Articolo 40 (Tenuta dei documenti di lavoro e altri adempimenti formali)216

§      Articolo 41 (Modifiche alla disciplina in materia di orario di lavoro)222

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE (a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)229

Procedure di contenzioso (a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)230

§      Articolo 42 (Accesso agli elenchi dei contribuenti)232

§      Articolo 43 (Semplificazione degli strumenti di attrazione degli investimenti e di sviluppo d’impresa)236

§      Articolo 44 (Semplificazione e riordino delle procedure di erogazione dei contributi all’editoria)242

§      Articolo 45 (Soppressione del Servizio consultivo ed ispettivo tributario e della Commissione spesa pubblica)246

§      Articolo 46 (Riduzione delle collaborazioni e consulenze nella pubblica amministrazione)252

§      Articolo 47 (Controlli su incompatibilità, cumulo di impieghi e incarichi)265

§      Articolo 48 (Risparmio energetico)271

§      Articolo 49 (Lavoro flessibile nelle Pubbliche amministrazioni)273

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE (a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)278

§      Articolo 50 (Cancellazione della causa dal ruolo)280

§      Articolo 51 (Comunicazioni e notificazioni per via telematica)281

§      Articolo 52 (Misure urgenti per il contenimento delle spese di giustizia)285

§      Articolo 53 (Razionalizzazione del processo del lavoro)288

§      Articolo 54 (Accelerazione del processo amministrativo)290

§      Articolo 55 (Accelerazione del contenzioso tributario)293

§      Articolo 56 (Disposizioni transitorie)295

§      Articolo 57 (Servizi di Cabotaggio)296

§      Articolo 58 (Ricognizione e valorizzazione del patrimonio immobiliare di regioni, comuni ed altri enti locali)302

§      Articolo 59 (Finmeccanica S.p.a.)306

§      Articolo 60, commi 1-6, 8-10 e 13-15 (Missioni di spesa e monitoraggio della finanza pubblica)310

§      Articolo 60, comma 7 (Copertura delle leggi di spesa)325

§      Articolo 60, comma 11 (Riduzioni di spesa – Cooperazione allo sviluppo)329

§      Articolo 60, comma 12 (Riduzioni di spesa – Industrie difesa)331

§      Articolo 61 (Potenziamento degli strumenti di controllo e monitoraggio della spesa della Corte dei conti)332

§      Articolo 62 (Contenimento dell’indebitamento delle regioni e degli enti locali)338

§      Articolo 63, comma 1 (Partecipazioni missioni internazionali di pace)341

§      Articolo 63, comma 2 (Minori economie derivanti da trasformazione e soppressione di enti pubblici)343

§      Articolo 63, comma 3 (Fondo per il funzionamento delle istituzioni scolastiche)345

§      Articolo 63, comma 4 (Autorizzazione di spesa a favore di Ferrovie dello Stato)347

§      Articolo 63, comma 5 (Utilizzo da parte di ANAS delle disponibilità giacenti)348

§      Articolo 63, comma 6 (Incremento autorizzazione di spesa Fondo per l’occupazione)350

§      Articolo 63, comma 7 (Integrazione autorizzazione di spesa Fondo per le politiche sociali)351

§      Articolo 63, comma 8 (Istituzione Fondo per il finanziamento misure di proroga di agevolazioni fiscali)352

§      Articolo 63, comma 9 (Stanziamenti a favore del CONI)353

§      Articolo 63, comma 10 (Integrazione del Fondo interventi strutturali di politica economica)354

§      Articolo 63, comma 11 (Autorizzazione all’INAIL all’utilizzo dei fondi disponibili per investimenti infrastrutturali)355

§      Articolo 63, commi 12-13 (Fondo per la promozione e il sostegno dello sviluppo del trasporto pubblico locale)357

§      Articolo 64 (Disposizioni in materia di organizzazione scolastica)360

§      Articolo 65 (Forze armate)367

§      Articolo 66 (Turn over)370


§      Articolo 67 (Norme in materia di contrattazione integrativa e di controllo dei contratti nazionali ed integrativi)383

§      Articolo 68 (Riduzione degli organismi collegiali e di duplicazioni di strutture)395

§      Articolo 69 (Progressione triennale)401

§      Articolo 70 (Esclusione di trattamenti economici aggiuntivi per infermità dipendente da causa di servizio)403

§      Articolo 71 (Assenze per malattia e per permesso retribuito dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni)408

§      Articolo 72 (Personale dipendente prossimo al compimento dei limiti di età per il collocamento a riposo)414

§      Articolo 73 (Part time)421

§      Articolo 74 (Riduzione degli assetti organizzativi)424

§      Articolo 75 (Autorità indipendenti)430

§      Articolo 76, commi 1-2 e 4-7 (Spese di personale per gli enti locali e delle camere di commercio)433

§      Articolo 76, comma 3 (Indennità degli amministratori locali)438

§      Articolo 76, comma 8 (Personale delle aziende speciali delle Camere di commercio)444

§      Articolo 77 (Patto di stabilità interno)445

§      Articolo 78 (Disposizioni urgenti per Roma capitale)447

§      Articolo 79 (Programmazione delle risorse per la spesa sanitaria)454

§      Articolo 80 (Piano straordinario di verifica delle invalidità civili)460

§      Articolo 81, commi 1-7 (Ulteriore aliquota di prodotto della coltivazione)465

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE (a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)468

§      Articolo 81, commi 8-15 (Acconto sul valore delle aliquote di prodotto della coltivazione di idrocarburi)470

§      Articolo 81, commi 16-18 (Regime fiscale nel settore energetico)474

§      Articolo 81, commi 19-25 (Valutazione delle rimanenze delle imprese operanti nei settori petrolifero e del gas)476

§      Articolo 81, commi 26-28 (Concessione di coltivazione di idrocarburi – conferimenti allo Stato)482

§      Articolo 81, commi 29-31 (Istituzione Fondo di solidarietà per i cittadini meno abbienti)483

§      Articolo 81, commi 32-38 (Istituzione della carta acquisti)485


§      Articolo 82, commi 1-5 (Deducibilità degli interessi passivi per banche ed assicurazioni ai fini IRES ed IRAP)488

§      Articolo 82, commi 6-8 (Deducibilità della variazione della riserva sinistri)491

§      Articolo 82, commi 9-10 (Acconti imposta di bollo e imposta sulle assicurazioni)494

§      Articolo 82, commi 11-13 (Svalutazione dei crediti e accantonamento per rischi sui crediti)497

§      Articolo 82, commi 14-15 (Imposta di registro contratti di locazione immobiliare)499

§      Articolo 82, comma 16 (Regime IVA delle prestazioni ausiliarie nei gruppi bancari e assicurativi)503

§      Articolo 82, commi 17-22 (Disposizioni tributarie riguardanti fondi di investimento immobiliari “familiari”)505

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE (a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)510

§      Articolo 82, commi 23-24 (Abolizione di agevolazioni in materia di stock option)511

§      Articolo 82, commi 25-26 (Cooperative a mutualità prevalente)513

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE (a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)514

§      Articolo 82, comma 27 (Elevazione della ritenuta sugli interessi corrisposti dalle cooperative ai soci)517

§      Articolo 82, commi 28-29 (Cooperative di consumo e consorzi)519

§      Articolo 83, commi 1-2 (Controllo obblighi fiscali e contributivi dei soggetti extracomunitari e dei non residenti)521

§      Articolo 83, comma 3 (Sviluppo attività di controllo)522

§      Articolo 83, comma 4 (Partecipazione dei Comuni al contrasto all’evasione fiscale)523

§      Articolo 83, commi 5-7 (Contrasto alle frodi in materia di IVA)524

§      Articolo 83, commi 8-15 (Piano straordinario di controlli finalizzati all’accertamento sintetico e efficientamento dell’Amministrazione fiscale)526

§      Articolo 83, commi 16-17 (Contrasto all’evasione fiscale derivante dalle estero-residenze fittizie delle persone fisiche)533

§      Articolo 83, comma 18 (Semplificazioni nella gestione dei rapporti tributari)536

§      Articolo 83, commi 19-20 (Adeguamento degli studi di settore alle realtà economiche locali)540

§      Articolo 83, commi 21-22 (Restituzione di pagamenti in eccesso effettuati da soggetti iscritti a ruolo)542

§      Articolo 83, comma 23 (Soppressione delle garanzie per rateazione di importi iscritti a ruolo)545

§      Articolo 83, comma 24 (Aumento valore catastale per immobili messi all’incanto)547

§      Articolo 83, commi 25-28 (Comitato strategico per lo sviluppo e la tutela all’estero degli interessi nazionali in economia)548

§      Articolo 84 (Copertura finanziaria)551

 


A v v e r t e n z a

Al fine di agevolare la consultazione del presente dossier, le singole disposizioni del decreto-legge vengono di seguito aggregate sulla base delle materie alle quali afferiscono:

Articolo

Affari costituzionali

24

“Taglia-leggi”

25

“Taglia-oneri” amministrativi

26

“Taglia-enti”

27

“Taglia-carta”

31

Durata e rinnovo della carta d’identità

37, co. 2

Ambito di applicazione del testo unico in materia di immigrazione di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998

47

Controlli su incompatibilità, cumulo di impieghi e incarichi

61

Potenziamento degli strumenti di controllo e monitoraggio della spesa della Corte dei conti

68

Riduzione degli organismi collegiali e di duplicazioni di strutture

74

Riduzione degli assetti organizzativi

76, co. 3

Indennità degli amministratori locali

Articolo

Affari sociali

37, co. 1

Certificazioni e prestazioni sanitarie

79

Programmazione delle risorse per la spesa sanitaria

80

Piano straordinario di verifica delle invalidità civili

81,
co. 29-31

Istituzione fondo di solidarietà per i cittadini meno abbienti

81,
co. 32-38

Istituzione della carta acquisti

Articolo

Ambiente

10

Promozione degli interventi infrastrutturali strategici e nei settori dell’energia e delle telecomunicazioni

11

Piano casa

13

Misure per valorizzare il patrimonio residenziale pubblico

14

Expo Milano 2015

28

Misure per garantire la razionalizzazione di strutture tecniche statali

30

Semplificazione dei controlli amministrativi a carico delle imprese soggette a certificazione

63, co. 5

Utilizzo da parte di ANAS delle disponibilità giacenti

Articolo

Attività produttive

4

Strumenti innovativi di investimento

5

Sorveglianza dei prezzi

6

Sostegno all’internazionalizzazione alle imprese

7

“Strategia energetica nazionale” e stipula di accordi per ridurre le emissioni di CO2

Articolo

(segue Attività produttive)

8

Legge obiettivo per lo sfruttamento di giacimenti di idrocarburi

10

Promozione degli interventi infrastrutturali strategici e nei settori dell’energia e delle telecomunicazioni

17

Progetti di ricerca di eccellenza

34

Tutela dei consumatori e apparecchi di misurazione

35

Semplificazione della disciplina per l’installazione degli impianti all’interno degli edifici

38

Impresa in un giorno

59

Finmeccanica S.p.a.

76, co 8

Personale delle aziende speciali delle camere di commercio

81,
co. 1-7

Ulteriore aliquota di prodotto della coltivazione

81,
co. 8-15

Acconto sul valore delle aliquote di prodotto della coltivazione di idrocarburi

81,
co. 26-28

Concessione di coltivazione di idrocarburi – conferimenti allo Stato

81,
co. 29-31

Istituzione fondo di solidarietà per i cittadini meno abbienti

Articolo

Bilancio

1

Finalità ed ambito di intervento

9

Sterilizzazione dell’IVA sugli aumenti petroliferi

43

Semplificazione degli strumenti di attrazione degli investimenti e di sviluppo d’impresa

45, co. 3

Servizio consultivo ed ispettivo tributario e Commissione spesa pubblica

48

Risparmio energetico

60, co.
1-6, 8-10, 13-15

Missioni di spesa e monitoraggio della finanza pubblica

60, co. 7

Copertura delle leggi di spesa

63, co. 2

Minori economie derivanti da trasformazione e soppressione di enti pubblici

63, co. 10

Integrazione del Fondo interventi strutturali di politica economica

76, co.
1-2, 4-7

Spese di personale per gli enti locali e delle camere di commercio

77

Patto di stabilità interno

78

Disposizioni urgenti per Roma capitale

84

Copertura finanziaria

Articolo

Cultura

15

Costo dei libri scolastici

16

Facoltà di trasformazione in fondazioni delle università

44

Semplificazione e riordino delle procedure di erogazione dei contributi all’editoria

63

Esigenze prioritarie:

63, co. 9

Stanziamenti a favore del CONI

64

Disposizioni in materia di organizzazione scolastica

69, co. 2

Risparmi università

63, co. 3

Fondo per il funzionamento delle istituzioni scolastiche

Articolo

Difesa

60, co. 12

Riduzioni di spesa (Industrie difesa)

65

Forze armate

Articolo

Esteri

14

Expo Milano 2015

60, co. 11

Riduzioni di spesa (Cooperazione allo sviluppo)

63, co. 1

Partecipazioni missioni internazionali di pace

83,
co. 25-28

Comitato strategico per lo sviluppo e la tutela all’estero degli interessi nazionali in economia

Articolo

Finanze

3

Start up

9

Sterilizzazione dell’IVA sugli aumenti petroliferi

32, co 1-2

Limitazioni all’uso del contante

32, co 3

Soppressione dell’obbligo di tenuta di conti correnti da parte dei lavoratori autonomi

33, co 1-2

Applicabilità degli studi di settore

33, co 3

Elenco clienti fornitori

42

Accesso agli elenchi dei contribuenti

45

Servizio consultivo ed ispettivo tributario e Commissione spesa pubblica

55

Accelerazione del contenzioso tributario

58

Ricognizione e valorizzazione del patrimonio immobiliare di regioni, comuni ed altri enti locali

62

Contenimento dell’indebitamento delle regioni e degli enti locali

63, co. 8

Istituzione Fondo per il finanziamento misure di proroga di agevolazioni fiscali

81, co. 1-7

Ulteriore aliquota di prodotto della coltivazione

81,
co. 8-15

Acconto sul valore delle aliquote di prodotto della coltivazione di idrocarburi

81,
co. 16-18

Addizionale IRES per il settore energia

81,
co. 19-25

Valutazione delle rimanenze delle imprese operanti nei settori petrolifero e del gas

81,
co. 26-28

Concessione di coltivazione di idrocarburi – conferimenti allo Stato

81,
co. 29-31

Istituzione fondo di solidarietà per i cittadini meno abbienti

82,
co. 1-5

Deducibilità degli interessi passivi per banche ed assicurazioni ai fini IRES ed IRAP

82,
co. 6-8

Deducibilità della variazione della riserva sinistri

82,
co. 9-10

Acconti imposta di bollo e imposta sulle assicurazioni

82,
co. 11-13

Svalutazione dei crediti e accantonamento per rischi su crediti

82,
co. 14-15

Imposta di registro contratti di locazione immobiliare

82, co. 16

 

Regime IVA delle prestazioni ausiliarie nei gruppi bancari e assicurativi

 

Articolo

(segue Finanze)

82,
co. 17-22

Disposizioni tributarie riguardanti fondi d’investimento immobiliare “familiari”

82,
co. 23-24

Abolizione di agevolazioni in materia di stock option

82,
co. 25-26

Cooperative a mutualità prevalente

82, co. 27

Elevazione della ritenuta sugli interessi corrisposti dalle cooperative ai soci

82,
co. 28-29

Cooperative di consumo e consorzi

83, co. 1-2

Controllo obblighi fiscali e contributivi dei soggetti extracomunitari e dei non residenti

83, co. 3

Sviluppo attività di controllo

83, co. 4

Partecipazione dei Comuni al contrasto alla evasione fiscale

83, co. 5-7

Contrasto alle frodi in materia di imposta sul valore aggiunto

83,
co. 8-15

Piano straordinario di controlli finalizzati all’accertamento sintetico e efficientamento dell’Amministrazione fiscale

83,
co. 16-17

Contrasto all’evasione fiscale derivante dalle estero-residenze fittizie delle persone fisiche

83, co. 18

Semplificazioni nella gestione dei rapporti tributari

83,
co. 19-20

Adeguamento degli studi di settore alle realtà economiche locali

83,
co. 21-22

Restituzione di pagamenti in eccesso effettuati da soggetti iscritti a ruolo

83, co. 23

Soppressione delle garanzie per rateazione di importi iscritti a ruolo

83, co. 24

Aumento valore catastale per immobili messi all’incanto

Articolo

Giustizia

29

Trattamento dei dati personali

36

Class action

50

Cancellazione della causa dal ruolo

51

Comunicazioni e notificazioni per via telematica

52

Misure urgenti per il contenimento delle spese di giustizia

53

Razionalizzazione del processo del lavoro

54

Accelerazione del processo amministrativo

56

Disposizioni transitorie

Articolo

Lavoro

18

Reclutamento del personale delle società pubbliche

19

Abolizione dei limiti al cumulo tra pensione e redditi di lavoro

20

Disposizioni in materia contributiva

21

Modifiche alla disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato

22

Modifiche alla disciplina dei contratti occasionali di tipo accessorio

23

Modifiche alla disciplina del contratto di apprendistato

39

Adempimenti di natura formale nella gestione dei rapporti di lavoro

40

Tenuta dei documenti di lavoro e altri adempimenti formali

41

Modifiche alla disciplina in materia di orario di lavoro

47

 

Controlli su incompatibilità, cumulo di impieghi e incarichi

 

Articolo

(segue Lavoro)

49

Lavoro flessibile nelle Pubbliche amministrazioni

63, co. 6

Incremento autorizzazione di spesa Fondo per l’occupazione

63, co. 11

Autorizzazione all’INAIL all’utilizzo dei fondi disponibili per investimenti infrastrutturali

66

Turn over

67

Contrattazione integrativa e di controllo dei contratti nazionali ed integrativi

69

Progressione triennale

70

Esclusione trattamenti economici aggiuntivi per infermità dipendente da causa di servizio

71

Assenze per malattia e per permesso retribuito dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni

72

Personale dipendente prossimo al compimento dei limiti di età per il collocamento a riposo

73

Part time

75

Autorità indipendenti

76,
co.1-2, 4-7

Spese di personale per gli enti locali e delle camere di commercio

76, co 8

Personale delle aziende speciali delle camere di commercio

80

Piano straordinario di verifica delle invalidità civili

83,
co. 1-2

Controllo obblighi fiscali e contributivi dei soggetti extracomunitari e dei non residenti

Articolo

Trasporti

2

Banda larga

12

Abrogazione della revoca delle concessioni TAV

57, co.1-4

Servizi di Cabotaggio

63, co. 4

Autorizzazione di spesa a favore di Ferrovie dello Stato

63,
co. 12-13

Istituzione del Fondo per trasporto pubblico locale

 


Schede di lettura


 

Articolo 1
(Finalità ed ambito di intervento)


1. Le disposizioni del presente decreto comprendono le misure necessarie e urgenti per attuare, a decorrere dalla seconda metà dell'esercizio finanziario in corso, un intervento organico diretto a conseguire, unitamente agli altri provvedimenti indicati nel Documento di programmazione economica e finanziaria per il 2009:

a) un obiettivo di indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche che risulti pari al 2,5 per cento del PIL nel 2008 e, conseguentemente, al 2 per cento nel 2009, all'1 per cento nel 2010 e allo 0,1 per cento nel 2011 nonché a mantenere il rapporto tra debito pubblico e PIL entro valori non superiori al 103,9 per cento nel 2008, al 102,7 per cento nel 2009, al 100,4 per cento nel 2010 ed al 97,2 per cento nel 2011;

a) la crescita del tasso di incremento del PIL rispetto agli andamenti tendenziali per l'esercizio in corso e per il successivo triennio attraverso l'immediato avvio di maggiori investimenti in materia di innova­zione e ricerca, sviluppo dell'attività imprenditoriale, efficientamento e diversi­ficazione delle fonti di energia, potenziamento dell'attività della pubblica amministrazione e rilancio delle privatizzazioni, edilizia residenziale e sviluppo delle città nonché attraverso interventi volti a garantire condizioni di competitività per la semplificazione e l'accelerazione delle procedure amministrative e giurisdizionali incidenti sul potere di acquisto delle famiglie e sul costo della vita e concernenti le attività di impresa nonché per la semplificazione dei rapporti di lavoro tali da determinare effetti positivi in termini di crescita economica e sociale.


 

 

L’articolo 1 ha origine dal fatto che il decreto-legge in esame è stato approvato dal Consiglio dei ministri contestualmente al Documento di programmazione economica e finanziaria 2009-2013. Il Governo, quindi, ha inteso in primo luogo chiarire come la necessità e l’urgenza del provvedimento in esame si fondino sull’opportunità di dare tempestiva attuazione al DPEF 2009-2013. Si è voluto inoltre esplicitare il rapporto sussistente tra il DPEF ed il decreto-legge che avvia, in modo organico e sistematico, la realizzazione della manovra finanziaria relativamente all’intero periodo considerato in sede di programmazione finanziaria.

In particolare, il comma 1 chiarisce che il provvedimento in esame reca le misure necessarie ed urgenti per attuare, a decorrere (e con effetti finanziari) dalla seconda metà dell’esercizio finanziario in corso, unitamente agli altri provvedimenti indicati nel DPEF per il 2009:

Il DPEF precisa che la manovra finanziaria si articolerà in quattro provvedimenti normativi: il decreto-legge in esame, un disegno di legge per il completamento degli interventi che concorrono alla realizzazione degli obiettivi indicati dallo stesso DPEF entro il 2001, due ulteriori disegni di legge concernenti rispettivamente l’attuazione del federalismo fiscale e norme volte alla costituzione di un codice delle autonomie nonché alla realizzazione di interventi per Roma capitale.

a)      un obiettivo di indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche pari al 2,5% del PIL nel 2008, al 2% del PIL nel 2009, all’1% del PIL nel 2010, fino a giungere ad un saldo positivo pari allo 0,1% del PIL nel 2011, nonché a mantenere il rapporto debito pubblico/PIL entro valori non superiori al 103,9% nel 2008, al 102,7% nel 2009, al 100,4% nel 2010 ed al 97,2%% nel 2011;

Si ricorda come negli obiettivi in termini di indebitamento netto e di rapporto debito pubblico e PIL - definiti in termini identici nel DPEF - si sostanziano i c.d. parametri di Maastricht rivelanti ai fini del rispetto del Trattato e del Patto di stabilità e crescita per i Paesi dell’area euro.

b)      la crescita del PIL (che non viene quantificata) rispetto agli andamenti tendenziali per l’esercizio in corso e per il successivo triennio attraverso maggiori investimenti in una serie di settori (innovazione e ricerca, sviluppo dell’attività imprenditoriale, efficientamento e diversificazione delle fonti di energia, potenziamento della pubblica amministrazione ecc.), interventi per semplificare ed accelerare le procedure amministrative e giurisdizionali incidenti sul potere d’acquisto e sul costo della vita, interventi per la semplificazione dei rapporti di lavoro volti a promuovere la crescita economica e sociale.

 

L’articolo evidenzia come il tratto unificante del decreto-legge in esame sia rappresentato dal concorso delle norme in esso contenute all’attuazione della manovra finanziaria. Sotto tale profilo, il provvedimento presenta quindi il requisito dell’omogeneità. Esso, inoltre, risulta di immediata applicazione in quanto, già nel 2008, ha effetti sull’indebitamento netto della P.A., in termini di manovra netta, pari a 492 milioni.

 


 

Articolo 2
(Banda larga)


1. Gli interventi di installazione di reti e impianti di comunicazione elettronica in fibra ottica sono realizzabili mediante denuncia di inizio attività.

2. L'operatore della comunicazione ha facoltà di utilizzare per la posa della fibra nei cavidotti, senza oneri, le infrastrutture civili già esistenti di proprietà a qualsiasi titolo pubblica o comunque in titolarità di concessionari pubblici. Qualora dall'esecuzione dell'opera possa derivare un pregiudizio alle infrastrutture civili esistenti le parti, senza che ciò possa cagionare ritardo alcuno all'esecuzione dei lavori, concordano un equo indennizzo, che, in caso di dissenso, è determinato dal giudice.

3. Nei casi di cui al comma 2 resta salvo il potere regolamentare riconosciuto, in materia di coubicazione e condivisione di infrastrutture, all'Autorità Garante per le Comunicazioni dall'articolo 89, primo comma, del decreto legislativo 1 agosto 2003, n. 259. All'Autorità Garante per le Comunicazioni compete altresì l'emanazione del regolamento di cui all'articolo 4, terzo comma, della legge 31 luglio 1997, n. 249, in materia di installazione delle reti dorsali.

4. L 'operatore della comunicazione, almeno trenta giorni prima dell'effettivo inizio dei lavori, presenta allo sportello unico dell'Amministrazione territoriale competente la denuncia, accompagnata da una dettagliata relazione e dagli elaborati progettuali, che asseveri la conformità delle opere da realizzare alla normativa vigente. Con il medesimo atto, trasmesso anche al gestore interessato, indica le infrastrutture civili esistenti di cui intenda avvalersi ai sensi del comma 2 per la posa della fibra.

5. Le infrastrutture destinate all'installazione di reti e impianti di comunicazione elettronica in fibra ottica sono assimilate ad ogni effetto alle opere di urbanizzazione primaria di cui all'articolo 16, comma 7 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380.

6. La denuncia di inizio attività è sottoposta al termine massimo di efficacia di tre anni. L'interessato è comunque tenuto a comunicare allo sportello unico la data di ultimazione dei lavori.

7. Qualora l'immobile interessato dall'intervento sia sottoposto ad un vincolo la cui tutela compete, anche in via di delega, alla stessa amministrazione comunale, il termine di trenta giorni antecedente l'inizio dei lavori decorre dal rilascio del relativo atto di assenso. Ove tale atto non sia favorevole, la denuncia è priva di effetti.

8. Qualora l'immobile oggetto dell'intervento sia sottoposto ad un vincolo la cui tutela non compete all'amministrazione comunale, ove il parere favorevole del soggetto preposto alla tutela non sia stato allegato alla denuncia il competente ufficio comunale convoca una conferenza di servizi ai sensi degli articoli 14, 14-bis, 14-ter, 14-quater, della legge 7 agosto 1990, n. 241. Il termine di trenta giorni di cui al comma 1 decorre dall'esito della conferenza. In caso di esito non favorevole, la denuncia è priva di effetti.

9. La sussistenza del titolo è provata con la copia della denuncia di inizio attività da cui risulti la data di ricevimento della denuncia, l'elenco di quanto presentato a corredo del progetto nonché gli atti di assenso eventualmente necessari.

10. Il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, ove entro il termine indicato al comma 3 sia riscontrata l'assenza di una o più delle condizioni legittimanti, ovvero qualora esistano specifici motivi ostativi di sicurezza, incolumità pubblica o salute, notifica all'interessato l'ordine motivato di non effettuare il previsto intervento, contestualmente indicando le modifiche che si rendono necessarie per conseguire l'assenso dell'Amministrazione. È comunque salva la facoltà di ripresentare la denuncia di inizio attività, con le modifiche le integrazioni necessarie per renderla conforme alla normativa vigente.

11. L'operatore della comunicazione decorso il termine di cui al comma 4 e nel rispetto dei commi che precedono dà comunicazione dell'inizio dell'attività al Comune.

12. Ultimato l'intervento, il progettista o un tecnico abilitato rilascia un certificato di collaudo finale che va presentato allo sportello unico, con il quale si attesta la conformità dell'opera al progetto presentato con la denuncia di inizio attività.

13. Per gli aspetti non regolati dal presente articolo si applica l'articolo 23 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001. Può applicarsi, ove ritenuta più favorevole dal richiedente, le disposizioni di cui all'articolo 45.

14. Salve le disposizioni di cui agli articoli 90 e 91 del decreto legislativo 1o agosto 2003, n. 259, i soggetti pubblici non possono opporsi alla installazione nella loro proprietà di reti e impianti interrati di comunicazione elettronica in fibra ottica, ad eccezione del caso che si tratti di beni facenti parte del patrimonio indisponibile dello Stato, delle province e dei comuni e che tale attività possa arrecare concreta turbativa al pubblico servizio. L'occupazione e l'utilizzo del suolo pubblico per i fini di cui alla presente norma non necessita di autonomo titolo abilitativo.

15. Gli articoli 90 e 91 del decreto legislativo 1o agosto 2003, n. 259 si applicano anche alle opere occorrenti per la realizzazione degli impianti di comunicazione elettronica in fibra ottica su immobili di proprietà privata, senza la necessità di alcuna preventiva richiesta di utenza.


 

 

L’articolo 2 introduce norme per agevolare i lavori di infrastrutturazione nel settore delle comunicazioni elettroniche. A tal fine, il comma 1 prevede che l’installazione di reti e impianti in fibra ottica[1] sono realizzabili con la procedura della denuncia di inizio attività (DIA).

 

Si ricorda che, ai sensi dell’articolo 22 del DPR 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico in materia di edilizia), sono realizzabili mediante denuncia di inizio attività gli interventi non subordinati al permesso di costruire (di cui all’articolo 10 dello stesso DPR 380), e non rientranti nella categoria dell’attività edilizia libera (di cui all’articolo 6 del DPR), purché conformi alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente.

La vigente normativa in materia di infrastrutture per la comunicazione elettronica è dettata dal decreto legislativo n. 259 del 2003 (Codice delle comunicazioni elettroniche). In particolare, l’articolo 87 prevede che per l'installazione di infrastrutture per impianti radioelettrici e la modifica delle caratteristiche di emissione di questi ultimi e, in specie, l'installazione di torri, di tralicci, di impianti radio-trasmittenti, di ripetitori di servizi di comunicazione elettronica, di stazioni radio base per reti di comunicazioni elettroniche mobili GSM/UMTS, per reti di diffusione, distribuzione e contribuzione dedicate alla televisione digitale terrestre, per reti a radiofrequenza dedicate alle emergenze sanitarie ed alla protezione civile, deve essere presentata domanda all’Ente locale competente, previo accertamento - demandato all’Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente – circa i limiti di esposizione e i valori di attenzione. Salvo che un’amministrazione interessataabbia espresso dissenso, con conseguente convocazione di una conferenza di servizi, l’istanza si intende accolta qualora, entro novanta giorni dalla presentazione, non sia stato comunicato un provvedimento di diniego. I lavori devono essere realizzati entro dodici mesi dalla data del provvedimento di autorizzazione.

L’articolo 88 dello stesso d.lgs. n. 259/2003 dispone che, qualora l'installazione di infrastrutture di comunicazione elettronica presupponga la realizzazione di opere civili o, comunque, l'effettuazione di scavi e l'occupazione di suolo pubblico, i soggetti interessati sono tenuti a presentare apposita istanza conforme ai modelli predisposti dagli Enti locali.Trascorso il termine di novanta giorni dalla presentazione della domanda, senza che l'Amministrazione abbia concluso il procedimento con un provvedimento espresso ovvero abbia indetto un'apposita conferenza di servizi, la domanda si intende accolta. Nel caso di attraversamenti di strade e comunque di lavori di scavo di lunghezza inferiore ai duecento metri, il termine è ridotto a trenta giorni.

 

Il comma 2 prevede che l’operatore della comunicazione può utilizzare senza oneri le infrastrutture civili esistenti, ove di proprietà pubblica o in regime di concessione pubblica. Se dalla esecuzione dell’opera possano derivare pregiudizi alle infrastrutture interessate, le parti concordano un equo indennizzo, senza determinare ritardi nella prosecuzione dei lavori,

Con riferimento a tali fattispecie, il comma 3 fa salvo il potere di regolamentazione riconosciuto all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni dall’articolo 89, comma 1, del citato d.lgs. n. 259/2003.

Tale norma prevede che, quando un operatore che fornisce reti di comunicazione elettronica ha il diritto di installare infrastrutture su proprietà pubbliche o private ovvero al di sopra o al di sotto di esse, in base alle disposizioni in materia di limitazioni legali della proprietà, servitù ed espropriazione previste dallo stesso decreto, l’Autorità, anche mediante l’adozione di specifici regolamenti, incoraggia la coubicazione o la condivisione di tali infrastrutture o proprietà.

Il secondo periodo del comma 3 richiama inoltre la competenza della stessa Autorità in materia di emanazione delle regolamento sulla installazione delle reti dorsali, di cui all’articolo 4 della legge n. 249/1997.

 

Si segnala che tale articolo è stato abrogato dall’articolo 18 del decreto legislativo n. 259/2003.

 

L’articolo 4 della legge n. 249/1997 prevedeva che l'installazione delle reti di telecomunicazione che transitano su beni pubblici è subordinata al rilascio di concessione per l'uso del suolo pubblico da parte dei comuni e comunque in modo non discriminatorio tra i diversi soggetti richiedenti. In tali concessioni i comuni possono prevedere obblighi di natura civica. A tal fine l'Autorità emana un regolamento che disciplina in linea generale le modalità ed i limiti con cui possono essere previsti gli stessi obblighi, la cui validità si estende anche alle concessioni precedentemente rilasciate, su richiesta dei comuni interessati.L'installazione delle reti dorsali, così come definite in un apposito regolamento emanato dall'Autorità, è soggetta esclusivamente al rilascio di licenza da parte della stessa Autorità.

 

In ordine alle procedure connesse ai lavori di cui all’articolo in esame, il comma 4 prevede che l’operatore della comunicazione debba presentare la denuncia, almeno trenta giorni prima dell’inizio dei lavori, allo sportello unico dell’amministrazione competente per territorio, corredandola con una relazione ed elaborati che attestino la conformità del progetto alla normativa vigente, e che precisino le infrastrutture civili di cui intenda avvalersi secondo quanto previsto dal comma 2.

 

Il comma 5 prevede che le infrastrutture destinate alle comunicazioni n fibra ottica siano assimilate alle opere di urbanizzazione primaria di cui all’articolo 16, comma 7, del citato DPR n. 380/2001.

 

Si ricorda, in proposito, che l’articolo 16 prevede, al comma 1, che il rilascio del permesso di costruire comporti la corresponsione di un contributo, commisurato all’incidenza degli oneri di urbanizzazione, incidenza che, ai sensi del comma 4, viene stabilita con deliberazione del consiglio comunale. Il comma 7 specifica che gli oneri di urbanizzazione primaria sono relativi ai seguenti interventi: strade residenziali, spazi di sosta o di parcheggio, fognature, rete idrica, rete di distribuzione dell'energia elettrica e del gas, pubblica illuminazione.

 

Il comma 6 prevede un termine massimo di efficacia di tre anni per la denuncia di inizio attività e pone a carico dell’interessato l’onere di comunicare allo sportello unico la data di ultimazione dei lavori.

I commi 7 e 8 regolano le ipotesi in cui l’immobile interessato dall’intervento sia sottoposto a vincolo. Ove la tutela del bene appartenga all’amministrazione comunale, dispone che il termine di trenta giorni (di cui al comma 4) decorra dalla data di rilascio dell’assenso; se tale atto non sia favorevole, la denuncia resta priva di efficacia. Se la competenza circa la tutela dell’immobile appartenga a soggetto diverso dall’amministrazione comunale, e se il parere di tale ente non sia stato allegato alla denuncia di inizio attività, deve essere convocata una conferenza di servizi, ai sensi della legge n. 241/1990. Il termine di trenta giorni decorre in questo caso dall’esito della conferenza; se tale esito non è favorevole, la denuncia resta priva di efficacia.

 

Si ricorda che la procedura ora illustrata ricalca quanto previsto dall’articolo 23 del citato DPR n. 380/2001, il quale, nel disciplinare in via generale la procedura della denuncia di inizio attività, prevede appunto che, ove sia necessario acquisire atti di assenso di altre amministrazioni, l’ufficio comunale competente debba convocare un’apposita conferenza di servizi.

 

Il comma 9 precisa che la sussistenza del titolo che legittima l’operatore ad effettuare i lavori è provata dalla copia della denuncia, da cui risulti la data di ricevimento della stessa, e i relativi allegati.

Il comma 10 regola le ipotesi che possono dare luogo ad un diniego dell’intervento. A tal fine, si prevede che il dirigente del competente ufficio comunale, ove verifichi l’assenza delle condizioni legittimanti, ovvero l’esistenza di ragioni ostative di sicurezza, incolumità pubblica o salute, comunica all’interessato l’ordine motivato di non procedere ai lavori ed indica le modifiche necessarie per ottenere l’assenso dell’amministrazione. La denuncia di inizio attività può essere successivamente ripresentata, con le conseguenti modificazioni.

Il comma 11 dispone che l’operatore, decorso il termine di trenta giorni previsto dal comma 4, debba comunicare al comune l’inizio effettivo dei lavori.

Al termine dell’intervento, il comma 12 prevede che il progettista – o un tecnico qualificato – provveda al rilascio del certificato di collaudo, che va presentato allo sportello unico.

Il comma 13 fa rinvio, per gli aspetti non regolamentati, all’articolo 23 del DPR n. 380/2001, che disciplinain via generale la procedura della DIA per le opere edilizie, ovvero, se ritenute più favorevoli dal richiedente, alle disposizioni di cui all’articolo 45 dello stesso DPR.

Si osserva in proposito che non appare del tutto chiaro tale rinvio all’articolo 45, che regola la sospensione dell’azione penale per violazioni edilizie in pendenza di procedure di sanatoria amministrativa.

 

DI particolare rilievo è la previsione di cui al comma 14, il quale stabilisce che i soggetti pubblici non possano opporsi alla installazione nelle loro proprietà di reti e impianti per la comunicazione elettronica in fibra ottica, a meno che si tratti di beni appartenenti al patrimonio indisponibile di Stato, province o comuni, ovvero che l’attività possa arrecare turbamento al pubblico servizio. Sono comunque fatte salve le previsioni di cui agli articoli 90 e 91 del d.lgs. n. 259/2003.

 

L’articolo 90 regola le ipotesi di procedura di esproprio per la realizzazione di impianti di comunicazione elettronica ad uso pubblico, o dichiarati di pubblica utilità con decreto del Ministero delle comunicazioni. L’articolo 91 individua specifiche limitazioni legali alla proprietà – pubblica o privata - dei beni immobili, interessati dalla realizzazione delle opere e degli impianti di cui all’articolo 90.

 

Il comma 15, infine, prevede l’applicazione degli articoli 90 e 91 del d.lgs. n. 259/2003 - ora illustrati – anche quando le opere per la realizzazione di impianti di comunicazione in fibra ottica interessino immobili di proprietà privata.

 

 


 

Articolo 3
(Start up)


1. Dopo il comma 6 dell'articolo 68 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, sono aggiunti i seguenti commi:

«6-bis. Le plusvalenze di cui alle lettere c) e c-bis) del comma 1, dell'articolo 67 derivanti dalla cessione di partecipazioni al capitale in società di cui all'articolo 5, escluse le società semplici e gli enti ad esse equiparati, e all'articolo 73, comma 1, lettera a), costituite da non più di sette anni, possedute da almeno tre anni, ovvero dalla cessione degli strumenti finanziari e dei contratti indicati nelle disposizioni di cui alle lettere c) e c-bis) relativi alle medesime società, rispettivamente posseduti e stipulati da almeno tre anni, non concorrono alla formazione del reddito imponibile in quanto esenti qualora e nella misura in cui, entro due anni dal loro conseguimento, siano reinvestite in società di cui all'articolo 5 e all'articolo 73, comma 1, lettera a), che svolgono la medesima attività, mediante la sottoscrizione del capitale sociale o l'acquisto di partecipazioni al capitale delle medesime, sempreché si tratti di società costituite da non più di tre anni.

6-ter. L'importo dell'esenzione prevista dal comma precedente non può in ogni caso eccedere il quintuplo del costo sostenuto dalla società le cui partecipazioni sono oggetto di cessione, nei cinque anni anteriori alla cessione, per l'acquisizione o la realizzazione di beni materiali ammortizzabili, diversi dagli immobili, e di beni immateriali ammortizzabili, nonché per spese di ricerca e sviluppo.».


 

 

L’articolo 3 interviene sulla disciplina IRPEF relativa al regime di tassazione delle plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni e strumenti assimilati, di cui agli articoli 67 e 68 del TUIR.

In particolare, aggiungendo i commi 6-bis e 6-ter all’articolo 68 del TUIR, viene ampliato l’ambito di esenzione dalle imposte dirette delle plusvalenze realizzate dalle persone fisiche non esercenti attività d’impresa o di lavoro autonomo nonché dagli enti e associazioni non commerciali[2].

 

L’articolo 67, comma 1, lettere c) e c-bis) del TUIR, individua le tipologie di plusvalenze conseguite da persone fisiche non imprenditori le quali, se non costituiscono redditi di capitale, sono qualificate come “Redditi diversi”. Si tratta, in linea generale, delle partecipazioni qualificate[3] (lettera c)) e non qualificate (lettera c-bis)) rappresentate da:

-        azioni, comprese quelle privilegiate e con esclusione delle azioni di godimento emesse da soggetti residenti;

-        azioni di risparmio convertibili in azioni ordinarie;

-        quote sociali e altre forme di partecipazione al capitale o al patrimonio delle società ed enti commerciali compresi gli strumenti finanziari assimilabili alle azioni[4];

-        altri titoli partecipativi, ossia titoli o diritti attraverso i quali è possibile acquisire partecipazioni sociali (es. diritto di opzione, obbligazioni convertibili).

Ai sensi dell’articolo 68, comma 3, del TUIR la plusvalenza realizzata, a decorrere dal 2009, dalla cessione di partecipazioni qualificate concorre alla formazione del reddito complessivo nella misura del 49,72%[5] del relativo ammontare (c.d. Partecipation exemption o PEX) ed è pertanto soggetto al regime di tassazione ordinaria.

Se, invece, la plusvalenza deriva da cessioni di partecipazioni non qualificate, il regime di tassazione previsto dall’articolo 5, comma 2, del d.lgs. n. 461/1997 è rappresentato da un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi fissata in misura pari al 12,50%.

 

Il nuovo comma 6-bisdispone l’esenzione ai fini IRPEF delle plusvalenze di cui alle richiamate lettere c) e c-bis) dell’articolo 67 qualora siano presenti i seguenti requisiti:

a)      la forma giuridica della società partecipata deve essere prevista dall’articolo 5 del TUIR (società di persone e soggetti assimilati) con esclusione delle società semplici e degli enti ad esse equiparate) ovvero dall’articolo 73, comma 1, lettera a) del TUIR (società per azioni, in accomandita per azioni, a responsabilità limitata, società cooperative, società di mutua assicurazione, società europee);

b)      la società partecipata deve essere stata costituita da non più di sette anni;

c)      il periodo di possesso delle partecipazioni non deve essere inferiore a tre anni. Nel caso di cessione di contratti di associazione in partecipazione e contratti di partecipazione agli utili il requisito minimo dei tre anni si applica alla data di stipula dei contratti medesimi;

d)      le plusvalenze devono essere reinvestite entro due anni mediante l’acquisto di quote o partecipazioni al capitale di società che svolgono la medesima attività. Le nuove società partecipate devono essere costituite in una delle forme giuridiche previste nel punto sub a) e devono essere state costituite da non più di tre anni.

 

Tenuto conto che il contribuente ha due anni di tempo per effettuare il reinvestimento delle plusvalenze, andrebbe chiarito se nell’arco del biennio il reddito debba presumersi esente e, solo in caso di mancato reinvestimento, sia da includere nel corrispondente regime di tassazione.

 

Il nuovo comma 6-ter introduce, con riferimento al regime agevolato del comma 6-bis, un limite massimo di importo esente.

Tale limite è pari a cinque volte l’ammontare degli investimenti effettuati nel quinquennio precedente la cessione delle partecipazioni, concernenti l’acquisto o la realizzazione di beni materiali e immateriali ammortizzabili (diversi dagli immobili) nonché le spese per ricerca e sviluppo.

 

La seguente tabella riporta le stime degli effetti finanziari della norma in esame, in termini di minore gettito, indicate nella relazione tecnica allegata al provvedimento.

(importi in milioni di euro)

Anni

2008

2009

2010

2011

IRPEF

--

- 43,1

- 73,3

- 60,7

 


 

Articolo 4
(Strumenti innovativi di investimento)


1. Per lo sviluppo di programmi di investimento destinati alla realizzazione di iniziative produttive con elevato contenuto di innovazione, anche consentendo il coinvolgimento degli apporti dei soggetti pubblici e privati operanti nel territorio di riferimento, e la valorizzazione delle risorse finanziarie destinate allo scopo, anche derivanti da cofinanziamenti europei ed internazionali, possono essere costituiti appositi fondi di investimento con la partecipazione di investitori pubblici e privati, articolati in un sistema integrato tra fondi di livello nazionale e rete di fondi locali. Con decreto Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sono disciplinate le modalità di costituzione e funzionamento dei fondi, di apporto agli stessi e le ulteriori disposizioni di attuazione.

2. Dalle disposizioni del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, sono escluse garanzie a carico delle Amministrazioni Pubbliche sulle operazioni attivabili ai sensi del comma 1.


 

 

L’articolo 4 autorizza la costituzione di appositi fondi di investimento con la partecipazione di investitori pubblici e privati, all’interno di un sistema integrato tra fondi di livello nazionale e rete di fondi locali, per la realizzazione di programmi di investimento destinati alla realizzazione di iniziative produttive ad elevato contenuto innovativo, con il coinvolgimento di soggetti pubblici e privati operanti nel territorio di riferimento e la valorizzazione delle risorse finanziarie dedicate (anche derivanti da cofinanziamenti europei ed internazionali).

 

In breve si ricorda che i fondi comuni sono dei patrimoni autonomi versati dai risparmiatori e investiti in titoli gestiti da società fiduciarie o di investimento mobiliare. I patrimoni conferiti dai risparmiatori non costituiscono il capitale di tali società, ma ne sono nettamente distinti dal punto di vista economico e giuridico.

I fondi comuni sono cosi regolamentati:

-        ogni fondo comune costituisce un patrimonio distinto a tutti gli effetti sia dal patrimonio della società che gestisce il fondo sia dal patrimonio dei singoli partecipanti, sia da ogni altro fondo amministrato dalla stessa società di gestione.

-        Il fondo non è regolato sola legge istitutiva, ma anche dal regolamento del fondo.

Oggetto dei fondi possono essere titoli azionari e obbligazionari, altri valori mobiliari, quotati e non quotati alle borse valori o altre attività finanziarie; è prevista inoltre la possibilità di investire in azioni o titoli esteri.

In Italia la materia è stata per la prima volta oggetto di un intervento legislativo con la L. 23 marzo 1983 n. 77 (disciplina dei fondi comuni) la quale si è preoccupata di dettare precise norme circa le modalità di gestione del fondo con l'evidente intenzione di impedire abusi speculativi. In seguito, con il Testo Unico della Finanza , di cui al decreto legislativo 24/02/1998 n. 58 e successive modificazioni, l’intera disciplina è stata rivisitata in modo organico in linea con la continua evoluzione dei mercati finanziari.

L’articolo in esame, allo scopo di consentire lo sviluppo di investimenti in iniziative con elevato contenuto innovativo, consente la costituzione di appositi fondi di investimento a partecipazione pubblica e privata articolati in un sistema integrato tra fondi di livello nazionale e rete di fondi locali.

 

La definizione delle modalità di costituzione e funzionamento dei fondi, di apporto agli stessi e le altre disposizioni di attuazione, viene rimessa ad un decreto del Ministro dello sviluppo economico, da adottare di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze.

 

Si evidenzia l’opportunità di indicare il termine entro il quale deve essere adottato il decreto attuativo.

 

Il comma 2 precisa che dalle disposizioni sopra esposte, da una parte non debbano derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, dall’altra sia esclusa la possibilità di attivare garanzie a carico delle Amministrazioni Pubbliche.

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)

Le istituzioni dell’Unione europea hanno in più occasioni sottolineato che l’aumento degli investimenti in innovazione è uno degli elementi essenziali per il conseguimento degli obiettivi di crescita, sviluppo e occupazione previsti dalla strategia di Lisbona.

Da ultimo, il Consiglio europeo del 13 e 14 marzo 2008, nel sottolineare la necessità di ulteriori sforzi per apportare miglioramenti decisivi alla competitività delle imprese dell’UE, in particolare delle piccole e medie imprese, ha posto l’accento, in particolare, sulle seguenti azioni:

§      rafforzamento del sostegno a favore delle PMI innovative che effettuano attività di ricerca ad alto potenziale di crescita;

§      ulteriore agevolazione dell’accesso ai finanziamenti anche attraverso gli strumenti finanziari dell’UE esistenti;

§      agevolazione di una maggiore partecipazione delle PMI innovative ai poli e negli appalti pubblici.

 

Il 21 dicembre 2007 la Commissione ha presentato la comunicazioneEliminare gli ostacoli agli investimenti transfrontalieri dei fondi di capitali di rischio” (COM(2007) 853), che pone l’accento sui problemi con cui si confrontano le piccole e medie imprese innovatrici per accedere al finanziamento necessario ad avviare l’attività, crescere e diventare competitive sui mercati mondiali. In questo contesto, la Commissione sottolinea che in un’economia globale altamente competitiva, un migliore accesso ai finanziamenti da parte delle piccole e medie imprese innovatrici è diventato un elemento essenziale per rafforzare la competitività.

La Commissione intende, pertanto, continuare ad adoperarsi per un mercato dei capitali di rischio unificato che favorisca l’accesso ai finanziamenti per le PMI innovatrici e nel corso del 2009 farà nuovamente il punto sulla situazione.

Il Consiglio ha adottato, nella sua riunione del 29-30 maggio 2008, conclusioni sulla competitività e l’innovazione dell’industria europea nelle quali, fra l’altro, insiste sul fatto che gli strumenti esistenti a livello dell’UE, a livello nazionale e regionale, in particolare i fondi strutturali, svolgono un ruolo importante nella promozione dell’innovazione; invita, pertanto, la Commissione e gli Stati membri a unire i loro sforzi al fine di superare gli ostacoli agli investimenti transfrontalieri dei fondi di capitale di rischio.

 


 

Articolo 5
(Sorveglianza dei prezzi)


1. I commi 198 e 199 dell'articolo 2 della legge 24 dicembre 2007, n. 244, sono sostituiti dai seguenti:

«198. È istituito presso il Ministero dello sviluppo economico il Garante per la sorveglianza dei prezzi che svolge la funzione di sovrintendere alla tenuta ed elaborazione dei dati e delle informazioni segnalate agli «uffici prezzi» delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura di cui al comma 196. Esso analizza le segnalazioni ritenute meritevoli di approfondimento e decide, se necessario, di avviare indagini conoscitive finalizzate a verificare l'andamento dei prezzi di determinati prodotti e servizi. I risultati dell'attività svolta sono messi a disposizione, su richiesta, dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato.».

«199. Per l'esercizio delle proprie attività il Garante di cui al comma precedente si avvale dei dati rilevati dall'ISTAT, della collaborazione dei Ministeri competenti per materia, dell'Ismea, dell'Unioncamere, delle Camere di commercio, nonché del supporto operativo della Guardia di finanza per lo svolgimento di indagini conoscitive. Il Garante può convocare le imprese e le associazioni di categoria interessate al fine di verificare i livelli di prezzo dei beni e dei servizi di largo consumo corrispondenti al corretto e normale andamento del mercato. L'attività del Garante viene resa nota al pubblico attraverso il sito dell'Osservatorio dei prezzi del Ministero dello sviluppo economico.».

2. Ai commi 200 e 201 dell'articolo 2 della legge 24 dicembre 2007, n. 244, le parole «di cui al comma 199», sono sostituite dalle seguenti «di cui al comma 198».


 

 

L’articolo 5 modifica la normativa in materia di sorveglianza dei prezzi introdotta dall’articolo 2, commi 196-203 della legge n. 244 del 2007 (legge finanziaria per il 2008).

 

I commi 196-203 dell’articolo 2 della legge 244 del 2007 (legge finanziaria per il 2008) hanno introdotto una nuova disciplina in materia di sorveglianza dei prezzi praticati ai consumatori finali.

La nuova normativa affida agli “uffici prezzi” delle camere di commercio il compito di verificare le dinamiche relative alle variazioni dei prezzi al consumo (comma 196).

Tale attività di verifica può essere svolta sulla base di convenzioni non onerose, stipulate tra le camere di commercio, i comuni, gli altri enti interessati e la prefettura; le convenzioni provvederanno anche all’individuazione delle modalità di rilevazione e di messa a disposizione dei consumatori delle tariffe e dei prezzi rilevati, anche in forma comparata. Ai fini dello svolgimento delle suindicate attività le camere di commercio si avvalgono delle risorse umane, finanziarie e strumentali, disponibili a legislazione vigente (comma 197).

Alla Conferenza Unificata è riconosciuta la possibilità di disciplinare la convenzione tipo e le procedure standard, d’intesa con l’Unioncamere, l’ANCI e i Ministeri dello sviluppo economico, delle politiche agricole, alimentari e forestali, dell’interno e dell’economia e delle finanze (comma 198).

Alla tenuta e all’elaborazione delle informazioni richieste agli “'uffici prezzi'” delle camere di commercio, all'Istat, ai competenti uffici del Ministero delle politiche agricole e anche alla Presidenza del Consiglio (dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica) per i servizi di pubblica utilità, sovrintende il Garante per la sorveglianza dei prezzi, istituito presso il Ministero dello sviluppo economico. Il Garante è incaricato, altresì, di provvedere alla circolazione delle informazioni, anche in forma comparata e telematica, avvalendosi del "Portale delle imprese”[6], gestito in rete dalle camere di commercio nell’ambito delle proprie risorse. Il Portale, che svolge attività unicamente di tipo informativo, assumerà il nome di “Portale delle imprese, dei consumatori e dei prezzi" (comma 199).

Per il suo operato il Garante, scelto tra i dirigenti di prima fascia del Ministero dello sviluppo economico e nominato con DPCM con un mandato triennale[7], svolto senza compenso e mantenendo le precedenti funzioni, si avvale delle strutture del Ministero stesso (comma 200)

Il Garante riferisce al Ministro dello sviluppo economico le dinamiche e le eventuali anomalie dei prezzi rilevate. Da parte sua il Ministro provvede – qualora si renda necessario - a formulare eventuali segnalazioni all'Antitrust e proposte normative (comma 201).

Alle informazioni riferite ai prezzi al consumo, anche se nominative, non si applica la disciplina concernente la riservatezza dei dati personali[8] (comma 202).

Ai fini dell’esercizio delle nuove funzioni le camere di commercio si avvalgono delle risorse umane, finanziarie e strumentali, disponibili a legislazione vigente (comma 203).

 

Il comma 1 sostituisce i commi 198 e 199 dell’articolo 2 della legge n. 244 del 2007. Le novità introdotte dalla disposizione in esame rispetto alla normativa vigente riguardano, in particolare:

§      la soppressione della norma contenuta al comma 198, in base alla quale alla Conferenza Unificata era riconosciuta la possibilità di disciplinare, d’intesa con l’Unioncamere, l’ANCI e i Ministeri dello sviluppo economico, delle politiche agricole, alimentari e forestali, dell’interno e dell’economia e delle finanze, la convenzione tipo tra camere di commercio, comuni, prefetture e altri enti interessati per lo svolgimento delle attività degli uffici prezzi delle camere di commercio, nonché le procedure standard di rilevazione e messa a disposizione dei consumatori, anche in forma comparata, delle tariffe e dei prezzi rilevati;

§      la ridefinizione delle funzioni del garante per la sorveglianza dei prezzi. In particolare si prevede:

-       la possibilità per il Garante di svolgere indagini conoscitive finalizzate a verificare l’andamento dei prezzi di determinati prodotti e servizi, anche avvalendosi del supporto operativo della Guardia di finanza;

-       la possibilità per il Garante di convocare le imprese e le associazioni di categoria al fine di verificare i livelli di prezzo di beni e servizi di largo consumo;

-       che i risultati dell’attività svolta dal Garante siano messi a disposizione, su richiesta, dell’Autorità garante delle concorrenza e del mercato;

Al riguardo merita evidenziare che tale norma pare sovrapporsi a quella recata dal comma 201 dell’art. 2 della legge finanziaria per il 2008 (non modificata dalla disposizione in esame), in base alla quale il Ministro dello sviluppo economico, sulla base delle informazioni riferite dal garante, provvede, se necessario, alla formulazione di segnalazioni all’Autorità garante della concorrenza e del mercato.

§      le modalità di comunicazione al pubblico dei risultati dell’attività del Garante. La formulazione originaria del comma 199 prevedeva che il Garante rendesse note le informazioni, anche in forma comparata e telematica, avvalendosi del “Portale delle imprese, dei consumatori e dei prezzi”, gestito in rete dalle camere di commercio. La nuova formulazione del comma 199 prevede invece che l’attività del Garante viene resa nota al pubblico attraverso il sito dell’Osservatorio dei prezzi del Ministero dello sviluppo economico[9].

 

Il comma 2 modifica i commi 200 e 201 al fine di assicurare il coordinamento formale con le modifiche disposte dal comma 1.

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)

 

Il 20 maggio 2008 la Commissione ha presentato la comunicazione “Far fronte alla sfida dell’aumento dei prezzi alimentari. Linee d’intervento dell’UE” (COM(2008)321), con la quale da un lato vengono analizzati i fattori congiunturali e strutturali all’origine dei rincari delle derrate alimentari, dall’altro vengono evidenziati gli effetti (aumento dei prezzi, aumento dell’inflazione) di tali rincari sia all’interno dell’UE sia a livello mondiale con la messa in luce della loro diversa incidenza a seconda delle diverse fasce sociali degli Stati membri e in relazione al tipo di import/export dei diversi paesi in via di sviluppo. La comunicazione evidenzia infine le tre possibili direttrici lungo le quali può muoversi l’iniziativa politica dell’UE: interventi volti ad affrontare e mitigare gli effetti dello shock dei prezzi agricoli nel breve e medio termine, interventi volti ad aumentare l’offerta e la sicurezza alimentari a lungo termine, interventi intesi a contribuire allo sforzo globale per ridurre gli effetti dei rincari sulle popolazioni povere.

 

Il Consiglio europeo del 21 e 21 giugno 2008 ha accolto con favore la comunicazione della Commissione sull’aumento dei prezzi alimentari (COM(2008)321), ricordando che la recente impennata dei prezzi dei prodotti di base incide su tutte le politiche dell’UE e desta preoccupazione. In particolare, il Consiglio europeo:

§      ha preso atto dell'intenzione della Commissione di monitorare l'andamento dei prezzi dei prodotti alimentari e del petrolio in Europa e a livello internazionale, sostenendo al riguardo di attendere con interesse la relazione della Commissione sull’evoluzione della situazione prima del Consiglio europeo di dicembre 2008;

§      ha accolto con favore l’iniziativa della Commissione volta ad esaminare la questione della normativa restrittiva nel settore del commercio al dettaglio nel contesto del riesame del mercato unico e della sua intenzione di seguire attentamente le attività dei mercati finanziari correlati ai prodotti di base e le loro ripercussioni sull’andamento dei prezzi, invitando la Commissione a riferire in merito prima del Consiglio europeo di dicembre 2008;

§      ha sottolineato la necessità che le misure a breve termine adottate dagli Stati membri per attenuare le conseguenze del rialzo dei prezzi dei prodotti alimentari sulle famiglie a basso reddito siano mirate e di breve durata per scongiurare effetti secondari di ampia portata sulle retribuzioni e sui prezzi;

§      ha sottolineato l’importanza di incoraggiare il coordinamento con i partner internazionali, in particolare per promuovere una produzione sostenibile di biocarburanti; l'UE promuoverà una risposta internazionale più coordinata e a più lungo termine all'attuale crisi alimentare, in particolare nel contesto delle Nazioni Unite e del G8, impegnandosi a svolgere pienamente il ruolo che le spetta nell’attuazione della dichiarazione adottata il 5 giugno 2008 a Roma in occasione della Conferenza ad alto livello della FAO sulla sicurezza alimentare; l'UE si avvarrà, inoltre, del dialogo politico con i paesi terzi in maniera trasparente per scoraggiare le restrizioni ed i divieti all'esportazione di prodotti alimentari e solleverà la questione in sede di OMC e negli altri consessi internazionali pertinenti;

§      ha ricordato l’impatto particolarmente rilevante del rialzo dei prezzi dei prodotti alimentari sui paesi in via di sviluppo, sottolineando al riguardo la necessità che l’UE intervenga dal punto di vista dell’aiuto allo sviluppo e dell’assistenza umanitaria e compiacendosi per l’intenzione della Commissione di presentare una proposta relativa ad un nuovo fondo di sostegno all’agricoltura nei paesi in via di sviluppo.

 


 

Articolo 6
(Sostegno all’internazionalizzazione alle imprese)


1. Le iniziative delle imprese italiane dirette alla loro promozione, sviluppo e consolidamento sui mercati diversi da quelli dell'Unione Europea possono fruire di agevolazioni finanziarie esclusivamente nei limiti ed alle condizioni previsti dal Regolamento (CE) n. 1998/2006 della Commissione Europea del 15 dicembre 2006, relativo agli aiuti di importanza minore (de minimis).

2. Le iniziative ammesse ai benefici sono:

a) la realizzazione di programmi aventi caratteristiche di investimento finalizzati al lancio ed alla diffusione di nuovi prodotti e servizi ovvero all'acquisizione di nuovi mercati per prodotti e servizi già esistenti, attraverso l'apertura di strutture volte ad assicurare in prospettiva la presenza stabile nei mercati di riferimento;

b) studi di prefattibilità e di fattibilità collegati ad investimenti italiani all'estero, nonché programmi di assistenza tecnica collegati ai suddetti investimenti;

c) altri interventi prioritari individuati e definiti dal Comitato interministeriale per la programmazione economica.

3. Con una o più delibere del Comitato interministeriale per la programmazione economica, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro degli affari esteri, da adottare entro 90 giorni dall'entrata in vigore del presente decreto, sono determinati i termini, le modalità e le condizioni degli interventi, le attività e gli obblighi del gestore, le funzioni di controllo, nonché la composizione e i compiti del Comitato per l'amministrazione del fondo di cui al comma 4. Sino all'operatività delle delibere restano in vigore i criteri e le procedure attualmente vigenti.

4. Per le finalità dei commi precedenti sono utilizzate le disponibilità del Fondo rotativo di cui all'articolo 2, comma 1, del decreto legge 28 maggio 1981, n. 251, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 luglio 1981, n. 394 con le stesse modalità di utilizzo delle risorse del Fondo rotativo. Entro il 30 giugno di ciascun anno, il Comitato interministeriale per la programmazione economica delibera il piano previsionale dei fabbisogni finanziari del fondo. Le ulteriori assegnazioni di risorse sono stabilite in via ordinaria dalla legge finanziaria ovvero in via straordinaria da apposite leggi di finanziamento.

5. È abrogato il decreto legge 28 maggio 1981, n. 251, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 luglio 1981, n. 394, ad eccezione dei commi 1 e 4 dell'articolo 2, ad eccezione altresì degli articoli 10, 11, 20, 22 e 24. È, per altro abrogata la legge 20 ottobre 1990, n. 304 ad eccezione degli articoli 4 e 6, e sono abrogati, altresì, i commi 5, 6, 6-bis, 7 e 8, dell'articolo 22 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 143.

6. I riferimenti alle norme abrogate ai sensi del presente articolo contenuti nel comma 1, dell'articolo 25 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 143, devono intendersi sostituiti dal riferimento al presente articolo.


 

 

L’articolo 6 interviene su alcune norme concernenti il sostegno all’internazionalizzazione delle imprese. Più specificamente, la disposizione opera un riassetto degli interventi a valere sul Fondo rotativo per la concessione di finanziamenti a tasso agevolato alle imprese esportatrici in Paesi non comunitari, di cui all’articolo 2 del decreto-legge n.251 del 1981, nell’ambito delle finalità e nei limiti delle risorse stabiliti dalla legislazione vigente, al fine di adeguare la politica di settore all’evoluzione recente del contesto economico e della normativa comunitaria.

 

Nella relazione illustrativa si afferma che la disposizione è motivata dalla necessità di adeguare l’ordinamento interno alla normativa comunitaria, anche al fine di evitare una possibile procedura di infrazione.

 

Il comma 1 dispone che le iniziative delle imprese italiane dirette alla loro promozione, sviluppo e consolidamento sui mercati al di fuori dell’Unione Europea possono fruire di agevolazioni finanziarie esclusivamente nei limiti ed alle condizioni previsti dal Regolamento (CE) n. 1998/2006 approvato dalla Commissione Europea il 15 dicembre 2006 e relativo ad aiuti di importanza minore (de minimis).

 

Il Regolamento (CE) n. 1998/2006 della Commissione, del 15 dicembre 2006, relativo all'applicazione degli articoli 87 e 88 del trattato agli aiuti d'importanza minore, ha modificato la norma de minimis, raddoppiandone la soglia ed estendendone il campo d'applicazione.

Giova ricordare in questa sede che l'articolo 88, paragrafo 3, del Trattato che istituisce la Comunità europea contempla l'obbligo di notificare gli aiuti di Stato alla Commissione europea al fine di stabilirne la compatibilità con il mercato comune sulla base dei criteri di cui all'articolo 87, paragrafo 1. Alcune categorie di aiuti possono tuttavia essere dispensate dall'obbligo di notifica in virtù del regolamento (CE) n. 994/98. La norma de minimis, così introdotta, prevede una deroga per le sovvenzioni di importo minimo stabilendo una soglia al di sotto della quale gli aiuti non rientrano più nel campo di applicazione dell'articolo 87, paragrafo 1, e sono pertanto dispensati dalla procedura di notifica di cui all'articolo 88, paragrafo 3[10].

 

Il comma 2 elenca le tipologie di iniziative che possono essere ammesse ai benefici de minimis:

§      le iniziative che, attraverso l’apertura di strutture volte ad assicurare una presenza stabile nei mercati di riferimento, mirano a realizzare investimenti finalizzati al lancio ed alla diffusione di nuovi prodotti e servizi ovvero all’acquisizione di nuovi mercati per prodotti e servizi già esistenti;

§      le iniziative aventi ad oggetto studi di prefattibilità e fattibilità collegati ad investimenti italiani all’estero, nonché programmi di assistenza tecnica collegati ai suddetti investimenti;

§      gli altri interventi prioritari individuati e definiti dal Comitato interministeriale per la programmazione economica.

 

Il comma 3 assegna al CIPE, su proposta del Ministro dello Sviluppo Economico, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze e con il Ministro degli affari esteri, il compito di definire con una o più delibere, i termini, le modalità e le condizioni degli interventi, le attività e gli obblighi del gestore, le funzioni di controllo, nonché la composizione e i compiti del Comitato per l’amministrazione del Fondo rotativo destinato alla concessione di finanziamenti a tasso agevolato alle imprese esportatrici di cui al successivo comma 4. Sino all’operatività delle delibere del CIPE restano in vigore i criteri e le procedure attualmente vigenti.

 

Il comma 4 autorizza l’impiego delle disponibilità del Fondo rotativo di cui all’articolo 2, comma 1, DL n. 251/1981, osservando le medesime modalità di utilizzo delle risorse del Fondo. Spetta poi al CIPE, entro il 30 giugno di ciascun anno, deliberare il piano previsionale dei fabbisogni finanziari del fondo.

Eventuali ulteriori assegnazioni di risorse saranno stabilite in via ordinaria dalla legge finanziaria o, in via straordinaria, da apposite leggi di finanziamento.

 

L’articolo 2 del decreto-legge n. 251 del 1981, convertito in legge con modificazioni, dalla legge 29 luglio 1981, n. 394, ha istituito presso il Mediocredito centrale un fondo a carattere rotativo destinato alla concessione di finanziamenti a tasso agevolato alle imprese esportatrici a fronte di programmi di penetrazione commerciale in Paesi diversi da quelli delle Comunità europee.

Il fondo era originariamente amministrato da un comitato di nomina ministeriale, successivamente soppresso dal comma 7 dell’art. 25 del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 143, il quale ha disposto, tra l’altro, che a decorrere dal 1° gennaio 1999, la gestione degli interventi di sostegno finanziario all'internazionalizzazione del sistema produttivo di cui al suddetto decreto-legge n. 251 fosse attribuita alla SIMEST S.p.a.

Per quanto concerne le tipologie e le modalità delle garanzie a copertura dei rimborsi del capitale, dei relativi interessi e di altri oneri accessori relativi ai finanziamenti, è successivamente intervenuto il comma 6 dell'art. 7, della legge 31 marzo 2005, n. 56, il quale, novellando l’articolo 2, terzo comma, del decreto-legge n. 251/81, ha stabilito che tali tipologie e modalità di garanzia siano determinate dal comitato di cui alla convenzione del 16 ottobre 1998 tra il Ministero del commercio con l'estero e la SIMEST Spa, stipulata ai sensi del citato articolo 25 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 143. Le condizioni per la concessione dei finanziamenti a valere sul Fondo sono state stabilite con DM 22 settembre 1999, n. 467. Ai sensi dell’articolo 11 di tale DM, per garantire il rimborso del capitale, dei relativi interessi e di altri oneri accessori, l'impresa beneficiaria del finanziamento, a copertura dei singoli importi da erogare, deve prestare al soggetto gestore una o più delle seguenti tipologie di garanzia, da sottoporre, unitamente alla richiesta di finanziamento, all'approvazione del comitato: fideiussione bancaria, assicurativa, pegno su titoli, o fideiussione dei consorzi di garanzia collettiva fidi convenzionati con il soggetto gestore.

Successivamente ilcomma 933, dell’articolo 1, della legge 296/06 (finanziaria 2007) ha novellato il decreto-legge n. 251/81 mediante l’inserimento del nuovo articolo 2-bis. La nuova disposizione prevede, in particolare, che il fondo rotativo di cui all’art. 2 possa essere garantito dall’ente gestore (Simest S.p.a.) contro i rischi di mancato rimborso presso una compagnia di assicurazioni o un istituto di credito. Lo stesso ente gestore provvederà ad addebitare icosti di garanzia o assicurazione ai soggetti beneficiari delle agevolazioni concesse a valere sul citato Fondo. La disposizione in commento prevede, inoltre, che le condizioni e le modalità del contratto di assicurazione o di garanzia – che, peraltro, non deve comportare oneri a carico del Fondo – sia sottoposto all’approvazione da parte del Comitato di gestione del Fondo stesso

 

Il comma 5 reca una serie di abrogazioni espresse delle norme non più compatibili con la nuova disciplina. Si tratta:

§      del citato decreto legge 28 maggio 1981, n. 251, ad eccezione dei commi 1 e 4 dell’articolo 2, e degli articoli 10, 11, 20, 22 e 24;

§      della legge 20 ottobre 1990, n. 304, recante provvedimenti per la promozione delle esportazioni (ad eccezione degli articoli 4 e 6);

§       dei commi 5, 6, 6-bis, 7 e 8, dell’articolo 22 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 143, recante disposizioni concernenticontributi e finanziamenti per lo sviluppo delle esportazioni.

 

Il comma 6, infine, precisa che tutti i riferimenti alle norme abrogate che sono contenuti nel comma 1 dell’articolo 25 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 143, devono intendersi sostituiti dal riferimento al presente articolo.

 

Il comma 1 dell’art. 25 del D.Lgs. n. 143/1998, recante norme di razionalizzazione degli interventi di sostegno finanziario, opera infatti una serie di richiami ad alcune delle leggi abrogate in forma espressa dal comma 5 dell’articolo in esame, stabilendo che a decorrere dal 1° gennaio 1999 la gestione degli interventi di sostegno finanziario all'internazionalizzazione del sistema produttivo di cui alla legge 24 maggio 1977, n. 227 , al decreto-legge 28 maggio 1981, n. 251 , convertito, con modificazioni, dalla legge 29 luglio 1981, n. 394, alla legge 20 ottobre 1990, n. 304 , alla legge 24 aprile 1990, n. 100 , e all'articolo 14 della legge 5 ottobre 1991, n. 317 , viene attribuita alla SIMEST S.p.a. A decorrere dalla medesima data la gestione degli interventi di cui alla legge 9 gennaio 1991, n. 19, viene attribuita alla FINEST S.p.a. Con apposita convenzione sono disciplinate le modalità di collaborazione fra SIMEST S.p.a. e FINEST S.p.a.

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)

Europa globale

Nell’ambito delle iniziative adottate per favorire la competitività esterna, si ricorda che il 18 aprile 2007 la Commissione ha presentato la comunicazione “Europa Globale: un partenariato rafforzato per assicurare l'accesso ai mercati per gli esportatori europei” (COM (2007) 183). Questa strategia, volta ad abbattere le barriere commerciali estere e ad assicurare nuove opportunità di esportazione, si inserisce nel nuovo quadro di politica commerciale inaugurato dalla Commissione con la comunicazione del 4 ottobre 2006 “Europa globale – competere nel mondo[11]. Il fulcro di questa nuova strategia[12] è costituito da un nuovo partenariato decentrato tra la Commissione, gli Stati membri e le aziende attive sul terreno nei paesi terzi in cui l'esperienza locale agevola l'identificazione e il superamento delle barriere commerciali.

Tra gli elementi chiave della nuova strategia vi sono:

-        una cooperazione più stretta e più attiva tra la Commissione europea, gli Stati membri e le imprese, compresa la costituzione sul terreno di gruppi[13] per l'accesso al mercato nei paesi terzi, sia per identificare le barriere commerciali prima che si manifestino, sia per affrontare gli ostacoli esistenti agli scambi;

-        una migliore definizione delle priorità in materia di risorse, con particolare attenzione per certi “mercati bersaglio”, settori chiave o tematiche quali i diritti di proprietà intellettuale;

-        un miglior uso delle opportunità offerte dai negoziati – in particolare nell'ambito del Doha Round e della nuova generazione di accordi di libero scambio dell'UE – per registrare progressi in materia di ostacoli non tariffari;

-        una maggiore attenzione per gli aspetti applicativi delle norme commerciali globali e bilaterali – mediante un sistema istituzionale di composizione delle controversie e di strumenti europei in materia di barriere commerciali;

-        un servizio più efficiente e trasparente rivolto alle imprese, compresi una registrazione e un follow-up più sistematici dei casi e una base di dati migliorata sull'accesso ai mercati (Market Access Database).

La comunicazione è stata trasmessa al Consiglio e al Parlamento europeo. Il 17 giugno 2007 il Consiglio ha adottato conclusioni in merito in cui, nell’accogliere positivamente l’iniziativa della Commissione, sottolinea che l’attuazione della nuova strategia dell’UE di accesso ai mercati e gli sforzi bilaterali degli Stati membri dovrebbero completarsi nel pieno rispetto delle competenze esistenti. Il Consiglio concorda inoltre sul fatto che non occorrano nuove istituzioni e che sia al contrario necessario far funzionare in maniera più efficace quelle esistenti. Il Consiglio infine esprime l’intenzione di valutare periodicamente i progressi compiuti nella attuazione della strategia.

Investimenti transfrontalieri

Con riguardo agli strumenti per la promozione degli investimenti, si rinvia alla scheda relativa all’articolo 4, paragrafo Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE.


 

Articolo 7
(Strategia energetica nazionale e stipula di accordi per ridurre le emissioni di CO
2)


1. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, definisce la «Strategia energetica nazionale», che indica le priorità per il breve ed il lungo periodo e reca la determinazione delle misure necessarie per conseguire, anche attraverso meccanismi di mercato, i seguenti obiettivi:

a) diversificazione delle fonti di energia e delle aree geografiche di approvvi­gionamento;

b) miglioramento della competitività del sistema energetico nazionale e sviluppo delle infrastrutture nella prospettiva del mercato interno europeo;

c) promozione delle fonti rinnovabili di energia e dell'efficienza energetica;

d) realizzazione nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia nucleare ;

e) incremento degli investimenti in ricerca e sviluppo nel settore energetico e partecipazione ad accordi internazionali di cooperazione tecnologica;

f) sostenibilità ambientale nella produ­zione e negli usi dell'energia, anche ai fini della riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra;

g) garanzia di adeguati livelli di protezione sanitaria della popolazione e dei lavoratori.

2. Ai fini della elaborazione della proposta di cui al comma 1, il Ministro dello Sviluppo economico convoca, d'intesa con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, una Conferenza nazionale dell'energia e dell'ambiente.

3. Anche al fine della realizzazione degli obiettivi di cui al comma 1 il Governo è autorizzato ad avviare la stipula, entro il 31 dicembre 2009, di uno o più accordi con Stati membri dell'Unione Europea o Paesi Terzi, per intraprendere il processo di sviluppo del settore dell'energia nucleare, al fine di contenere le emissioni di CO2 e garantire la sicurezza e l'efficienza economica dell'approvvigionamento e produzione di energia, in conformità al Regolamento (CE) n. 1504/2004 del 19 luglio 2004, alla Decisione 2004/491/Euratom del 29 aprile 2004, alla Decisione 2004/294/CE dell'8 marzo 2004 e alle direttive 2003/54/CE e 2003/55/CE del 26 giugno 2003.

2. Gli accordi potranno prevedere modelli contrattuali volti all'ottenimento di forniture di energia nucleare a lungo termine da rendere, con eventuali interessi, a conclusione del processo di costruzione e ristrutturazione delle centrali presenti sul territorio nazionale.

3. Gli accordi potranno definire, conseguentemente, tutti gli aspetti connessi della normativa, ivi compresi l'assetto e le competenze dei soggetti pubblici operanti nei sistemi dell'energia nucleare, provvedendo a realizzare il necessario coordinamento con le disposizioni vigenti, nel rispetto delle competenze delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano, secondo i rispettivi statuti e le relative norme di attuazione.

4. Dall'attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.


 

 

L’articolo 7 è volto ad introdurre uno strumento di indirizzo e programmazione a carattere generale della politica energetica nazionale, cui pervenire a seguito di una Conferenza nazionale dell’energia e dell’ambiente, contemplando anche la possibilità di realizzare sul territorio nazionale impianti di produzione di energia nucleare.

 

Il comma 1 stabilisce che, su proposta del Ministro dello Sviluppo economico, il Consiglio dei Ministri definisca la «Strategia energetica nazionale» entro sei mesi dall’entrata in vigore del presente decreto.

Il suddetto piano energetico, lungo le tre direttrici della diversificazione, nuove infrastrutture ed efficienza energetica, ha lo scopo di indicare lepriorità per il breve ed il lungo periodo, recando la determinazione delle misure necessarie per conseguire, anche attraverso meccanismi di mercato, gli obiettivi di seguito elencati:

§      diversificazione delle fonti di energia e delle aree geografiche di approvvigionamento;

§      miglioramento della competitività del sistema energetico nazionale e sviluppo delle infrastrutture nella prospettiva del mercato interno europeo;

§      promozione delle fonti rinnovabili di energia e dell’efficienza energetica;

§      realizzazione nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia nucleare;

§      incremento degli investimenti in ricerca e sviluppo nel settore energetico e partecipazione ad accordi internazionali di cooperazione tecnologica;

§      sostenibilità ambientale nella produzione e negli usi dell'energia, anche ai fini della riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra;

§      garanzia di adeguati livelli di protezione sanitaria della popolazione e dei lavoratori.

 

In merito agli obiettivi sopra esposti giova segnalare che le conclusioni del Consiglio europeo di marzo 2007 trattano diffusamente dell’esigenza di una politica climatica ed energetica integrata. A questo proposito, il Consiglio ha sottolineato che l'integrazione dovrebbe essere perseguita mediante una politica energetica per l'Europa che, rispettando pienamente il mix energetico scelto dagli Stati membri e la loro sovranità sulle fonti di energia primaria e sostenuta da uno spirito di solidarietà tra gli Stati membri, persegua i tre obiettivi seguenti:

-        aumentare la sicurezza dell'approvvigionamento;

-        garantire la competitività delle economie europee e la disponibilità di energia a prezzi accessibili;

-        promuovere la sostenibilità ambientale e lottare contro i cambiamenti climatici.

A riguardo il Consiglio ha fissato obiettivi al 2020 con il cosiddetto pacchetto 3x20 come di seguito specificato:

-        un obiettivo vincolante che prevede una quota del 20% di energie rinnovabili nel totale dei consumi energetici dell'UE entro il 2020; nell’ambito di questo 20% è incluso un obiettivo vincolante che prevede una quota minima del 10% per i biocarburanti nel totale dei consumi di benzina e gasolio per autotrazione 20, che dovrà essere conseguito da tutti gli Stati membri e che sarà introdotto in maniera efficiente in termini di costi: questo obiettivo viene però subordinato a una produzione sostenibile e alla reperibilità sul mercato di biocarburanti di seconda generazione;

-        una riduzione dei consumi energetici del 20% rispetto alle proiezioni per il 2020;

-        una riduzione delle emissioni di gas a effetto serra del 20% rispetto ai valori del 1990.

Sull’efficienza energetica, il Consiglio ha invitato a una rapida attuazione di iniziative nei settori dei trasporti, dei requisiti minimi di efficienza dei prodotti che consumano energia, dell’informazioni ai consumatori, dell’innovazione tecnologica e dell’edilizia: alcuni di questi temi sono già stati oggetti di direttive comunitarie, altri (in particolare i trasporti) sono oggetto di proposte in fase di elaborazione.

Per l’attuazione delle conclusioni del Consiglio, a gennaio 2008 la Commissione ha presentato un pacchetto di iniziative, che includono una proposta di direttiva sulle fonti rinnovabili (inclusi i biocarburanti), due proposte relative ai gas serra e uno schema di direttiva in materia di cattura e sequestro dell’anidride carbonica. Fa parte del pacchetto il nuovo regolamento sugli aiuti di stato in materia di ambiente, definitivamente emanato a marzo 2008. Sul versante relativo all’efficienza energetica non si registrano ancora ulteriori proposte.

Con particolare riferimento al gas serra si ricorda che gli ambiti specifici di riferimento per la tematica in oggetto sono costituiti da un lato dal Protocollo di Kyoto e dall’altro dalla direttiva “emissions trading. E’ opportuno specificare, in breve, che gli obblighi derivanti dai due provvedimenti sono diversi in quanto a destinatari di essi. Mentre infatti per il Protocollo di Kyoto gli obblighi, e le relative sanzioni, riguardano l’Italia, per la direttiva “emissions trading” gli obblighi, e le relative sanzioni, riguardano esclusivamente le installazioni industriali sul territorio nazionale che rientrano nel campo di applicazione della direttiva (centrali elettriche, raffinerie, acciaierie, ecc.).

Per il rispetto del Protocollo di Kyoto l’Italia, in base all’accordo europeo di “burden sharing” (decisione del Consiglio 2002/358/CE), è obbligata a ridurre le proprie emissioni di gas serra del 6,5% rispetto al 1990. Tale obbiettivo deve essere raggiunto come risultato medio del quinquennio 2008 – 2012 (periodo di “compliance”).

Relativamente alle emissioni di gas serra del nostro Paese, si ricorda che, le emissioni sono passate da 516,85 a 579,55 milioni di tonnellate di CO2eq nel periodo 1990-2005, con un incremento del 12,1%, mentre secondo il Protocollo di Kyoto l’Italia dovrebbe riportare le proprie emissioni nel periodo 2008-2012 a livelli del 6,5% inferiori rispetto alle emissioni del 1990, ossia a 483,26 Mt CO2eq; quindi nel 2005 le emissioni di gas serra risultano superiori a quelle previste dall’obiettivo di Kyoto di poco più di 96 milioni di tonnellate (circa 20%).

 

Ai sensi del comma 2, il Ministro dello Sviluppo economico è tenuto a convocare, d’intesa con il Ministro dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare, una Conferenza Energia - Ambiente al fine di elaborare il suddetto piano strategico.

 

Si ricorda che nel corso del 2006 avrebbe dovuto tenersi la 3a Conferenza Nazionale Energia e Ambiente[14], poi rinviata a data da definirsi.

Nel corso del 2007 si è invece tenuta a Roma la Conferenza nazionale sui cambiamenti climatici[15], che si ricorda per la stretta interrelazione intercorrente con il tema delle politiche energetiche.

 

Il comma 3 autorizza il Governo ad avviare la stipula, di uno o più Accordi con Stati membri dell’Unione Europea o Paesi Terzi entro il 31 dicembre 2009, onde poter dare avvio al processo di sviluppo del settore dell’energia nucleare al fine di ridurre le emissioni di CO2 garantendo la sicurezza e l’efficienza economica dell’approvvigionamento e produzione di energia, nel rispetto di quanto stabilito dal Regolamento (CE) n. 1504/2004 del 19 luglio 2004, dalla Decisione 2004/491/Euratom del 29 aprile 2004, dalla Decisione 2004/294/CE dell’8 marzo 2004 e dalle direttive 2003/54/CE e 2003/55/CE del 26 giugno 2003.

 

In breve si ricorda che il Regolamento del Consiglio (CE) n. 1504/2004 del 19 luglio 2004 reca norme tese a modificare ed aggiornare il Regolamento (CE) n. 1334/2000, che istituisce un regime comunitario di controllo delle esportazioni di prodotti e tecnologie a duplice uso.

La Decisione 2004/491/Euratomdella Commissionemodifica la decisione 1999/819/Euratom del 16 novembre 1999, riguardante l'adesione della Comunità europea dell'energia atomica alla Convenzione sulla sicurezza nucleare del 1994. Tale convenzione, conclusa a Vienna il 17 giugno 1994, ha tra i suoi obiettivi: conseguimento e mantenimento di un elevato livello di sicurezza nucleare nel mondo intero grazie al miglioramento delle misure nazionali e della cooperazione internazionale ed in particolare, se del caso, della cooperazione tecnica in materia di sicurezza; istituire e mantenere, negli impianti nucleari, difese efficaci contro i potenziali rischi radiologici in modo da proteggere gli individui, la società e l’ambiente dagli effetti nocivi degli irradiamenti ionizzanti emessi da questi impianti; prevenire gli incidenti aventi conseguenze radiologiche e mitigarne le conseguenze qualora tali incidenti dovessero avvenire. La Convenzione, ratificata dall’Italia il 15 aprile 1998, è entrata in vigore nel nostro Paese in data 14 luglio 1998.

Con proprie decisioni 2003/882/CE del 27 novembre2003 e 2004/294/CE dell’8 marzo 2004 il Consiglio ha autorizzato gli Stati membri che sono parti contraenti della Convenzione di Parigi del 29 luglio 1960 sulla responsabilità civile nel campo dell'energia nucleare ("convenzione di Parigi") rispettivamente a firmare il protocollo recante modifica della suddetta convenzione e a ratificare, nell'interesse della Comunità europea, il protocollo o ad aderirvi.

La direttiva 2003/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2003, che abroga la direttiva 96/92/CE concernente norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica, è volta a conseguire progressivamente l'apertura completa del mercato e livelli più elevati dei servizi nel settore elettrico. La direttiva in esame fa parte di un unico «pacchetto legislativo», che racchiude la direttiva 2003/55/CE, recante norme comuni per il mercato interno del gas naturale, che abroga la direttiva 1998/30/CE, ed il regolamento (CE) n. 1228/2003 relativo alle condizioni di accesso alla rete per gli scambi transfrontalieri di energia elettrica.

Le direttive 2003/54/CE e 2003/55/CE, recano norme relative all'apertura dei mercati per l'elettricità e il gas nella UE (in parte recepite nella legge n.239/2004 di riordino del settore), che hanno previsto, a partire dal 1º luglio 2004, la libera scelta dei fornitori per tutte le compagnie e, a partire dal 1º luglio 2007, l’estensione della disposizione ai consumatori privati. Obiettivo delle direttive è quello di aprire il mercato alla concorrenza continuando a mantenere però la qualità e l'universalità dei servizi, la tutela dei consumatori vulnerabili e la sicurezza nell'approvvigionamento[16].A norma delle direttive 2003/54/CE e 2003/55/CE, gli Stati membri designano uno o più organismi competenti con funzione di autorità di regolamentazione per svolgere i compiti di regolamentazione stabiliti dalle direttive stesse. Tali autorità devono essere pienamente indipendenti dagli interessi dell'industria del gas e dell'elettricità.

 

Il comma 2 (rectius 4) stabilisce che gli Accordi possano prevedere modelli contrattuali volti all’ottenimento di forniture di energia nucleare a lungo termine da rendere, con eventuali interessi, a conclusione del processo di costruzione e ristrutturazione delle centrali presenti sul territorio nazionale.

Il comma 3 (rectius 5) aggiunge che gli Accordi potranno definire tutti gli aspetti connessi della normativa, compresi l’assetto e le competenze dei soggetti pubblici operanti nei sistemi dell’energia nucleare, provvedendo al necessario coordinamento con le disposizioni vigenti e nel rispetto delle competenze delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano.

Il comma 4 (rectius 6) pone il divieto di nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)

Il Consiglio europeo dell’8-9 marzo 2007 ha approvato un piano d’azione globale in materia di energia per ilperiodo 2007-2009, sulla base di quanto prospettato dalla Commissione nella comunicazione “Una politica energetica per l’Europa” (COM(2007)1), presentata il 10 gennaio 2007.

Il piano comprende un insieme di azioni prioritarie finalizzate al raggiungimento dei tre obiettivi della politica energetica europea, già prospettati nel Libro verde sull’energia presentato dalla Commissione nel marzo 2006: aumentare la sicurezza dell'approvvigionamento; garantire la competitività delle economie europee e la disponibilità di energia a prezzi accessibili; promuovere la sostenibilità ambientale e lottare contro i cambiamenti climatici.

L’ obiettivo strategico per la politica energetica europeaè di ridurre almeno del 20%,entro il 2020,le emissioni di gas serra derivanti dal consumo di energia nell’UE rispetto ai livelli del 1990, all’interno di un’azione internazionale volta a raggiungere l’obiettivo di ridurre del 30 % le emissioni di gas serra a livello globale, di cui l’UE deve farsi promotrice.

Il piano d’azione, tra l’altro, stabilisce obiettivi quantificati altamente ambiziosi e, in particolare:

§      sottolinea la necessità di aumentare l'efficienza energetica nell'UE in modo da raggiungere l'obiettivo di risparmiodei consumi energetici dell'UE del 20% rispetto alle proiezioni per il 2020;

§      adotta un obiettivo vincolante che prevede una quota del 20% di energie rinnovabili nel totale dei consumi energetici dell'UE entro il 2020;

§      adotta un obiettivo vincolante che prevede una quota minima del 10% per i biocarburanti nel totale dei consumi di benzina e gasolio per autotrazione dell'UE entro il 2020.

Per ciò che concerne il rispetto delle scelte degli Stati membri riguardo al mix energetico, il Consiglio europeo, tra l’altro:

§      ha preso atto della valutazione effettuata dalla Commissione riguardo al contributo dell'energia nucleare nel far fronte alle crescenti preoccupazioni concernenti la sicurezza dell'approvvigionamento energetico e la necessità di ridurre le emissioni di CO2, mantenendo la sicurezza e la protezione nucleare al centro del processo decisionale;

§      ha confermato che spetta a ciascuno Stato membro decidere se fare affidamento o meno sull'energia nucleare;

§      ha sostenuto la proposta della Commissione di istituire un Gruppo ad alto livello sulla sicurezza nucleare e la gestione dei rifiuti[17];

§      ha proposto che la discussione sulle opportunità e sui rischi dell'energia nucleare si svolga in maniera ampia fra tutte le parti interessate.

 

Il 9 giugno 2008 i rappresentanti delle autorità nazionali di regolamentazione in materia di sicurezza nucleare degli Stati membri dell’UE hanno raggiunto un accordo, inteso a rendere ulteriormente sicuro, in tutti i paesi dell’UE, l’utilizzo dell’energia nucleare, la gestione dei rifiuti radioattivi e le modalità di dismissione degli impianti nucleari obsoleti, sulla base di alcuni principi definiti dal Gruppo ad alto livello sulla sicurezza nucleare e la gestione dei rifiuti il 30 maggio 2008.

Tra l’altro, si prospetta la necessità di una sempre maggiore collaborazione fra Stati membri e organismi internazionali quali, ad esempio, l’Agenzia internazionale per l’energia nucleare[18]; di aumentare la trasparenza delle discussioni di fronte al pubblico, ad esempio, creando un accesso europeo via web ai principali dati relativi alla sicurezza nucleare negli Stati membri; che il gruppo ad alto livello discuta della opportunità di stabilire ed attuare un piano per la gestione dei rifiuti radioattivi in ogni Stato membro dell’UE.

 

Il 22 maggio 2008la Commissione ha presentato la comunicazioneLa sicurezza nucleare: una sfida internazionale”(COM(2008)312), intesa ad analizzare i problemi di sicurezza connessi alla diffusione geografica del nucleare e a proporre raccomandazioni su questioni prioritarie, anche in considerazione del dibattito mondiale sulle questioni del cambiamento climatico e del possibile contributo che l’energia nucleare potrebbe dare nell’ottica della riduzione delle emissioni di gas a effetto serra.

La Commissione, tra l’altro, ribadisce che la Comunità intende proseguire i suoi sforzi volti a garantire che gli standard sempre più elevati applicati all'interno della Comunità per le misure di non proliferazione e di sicurezza vengano osservati anche a livello internazionale[19] e sottolinea la necessità che la Comunità stessa debba essere pronta ad esaminare le opportunità per una maggiore cooperazione con paesi terzi al fine di promuovere la non proliferazione e la sicurezza.

 


 

Articolo 8
(Legge obiettivo per lo sfruttamento di giacimenti di idrocarburi)


1. Il divieto di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi nelle acque del golfo di Venezia, di cui all'articolo 4 della legge 9 gennaio 1991, n. 9, come modificata dall'articolo 26 della legge 31 luglio 2002, n. 179, si applica fino a quando il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente, del territorio e del mare, non abbia definitivamente accertato la non sussistenza di rischi apprezzabili di subsidenza sulle coste, sulla base di nuovi e aggiornati studi, che dovranno essere presentati dai titolari di permessi di ricerca e delle concessioni di coltivazione, utilizzando i metodi di valutazione più conservativi e prevedendo l'uso delle migliori tecnologie disponibili per la coltivazione.

2. I titolari di concessioni di coltivazione di idrocarburi nel cui ambito ricadono giacimenti di idrocarburi definiti marginali ai sensi dell'articolo 5, comma 1, del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164, attualmente non produttivi e per i quali non sia stata presentata domanda per il riconoscimento della marginalità economica, comunicano al Ministero dello sviluppo economico entro il termine di tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge l'elenco degli stessi giacimenti, mettendo a disposizione dello stesso Ministero i dati tecnici ad essi relativi.

3. Il Ministero dello sviluppo economico, entro i sei mesi successivi al termine di cui al comma 2, pubblica l'elenco dei giacimenti di cui al medesimo comma 2, ai fini della attribuzione mediante procedure competitive ad altro titolare, anche ai fini della produzione di energia elettrica, in base a modalità stabilite con decreto dello stesso Ministero da emanare entro il medesimo termine.

4. È abrogata ogni incentivazione sancita dall'articolo 5 del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164, per i giacimenti marginali.


 

 

L’articolo 8 è volto a riaprire, a condizione che si accerti la non sussistenza di rischi apprezzabili di subsidenza sulle coste, la possibilità di sfruttamento dei giacimenti di gas naturale dell’Alto Adriatico, nonché ad agevolare lo sfruttamento dei giacimenti marginali.

 

Il comma 1 modifica la disciplina relativa al divieto di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi nelle acque del golfo di Venezia, di cui all’art. 4 della legge 9 gennaio 1991, n. 9, disponendo che esso si applica fino a quando il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’ambiente, non pervenga in modo definitivo all’accertamento della non sussistenza di rischi apprezzabili di subsidenza sulle coste.

Tale accertamento, secondo lo stesso comma, dovrà essere basato su nuovi e aggiornati studi, che dovranno essere presentati dai titolari di permessi di ricerca e delle concessioni di coltivazione, utilizzando i metodi di valutazione più conservativi e prevedendo l’uso delle migliori tecnologie disponibili per la coltivazione.

 

Si ricorda che ai sensi dell’art. 4 della legge n. 9/1991, le attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi sono vietate nelle acque indicate dal medesimo comma, vale a dire in quelle del Golfo di Napoli, del Golfo di Salerno e delle Isole Egadi (fatti salvi i permessi, le autorizzazioni e le concessioni in atto) nonché – in seguito alla novella operata dall’art. 26, comma 2, della legge n. 179/2002 - nelle acque del Golfo di Venezia, nel tratto di mare compreso tra il parallelo passante per la foce del fiume Tagliamento e il parallelo passante per la foce del ramo di Goro del fiume Po.

Per la ricostruzione delle vicende, anche normative, relative alle prospezioni e alla ricerca di idrocarburi nell’area dell’Alto Adriatico indicate dalla disposizione in esame, occorre richiamare i passaggi principali di una articolata vicenda, iniziata con il decreto legge 29 marzo 1995, n. 96, il cui art. 2-bis sospendeva “le attività di coltivazione di giacimenti di idrocarburi liquidi o gassosi nel sottosuolo del tratto di mare compreso tra il parallelo passante per la foce del fiume Tagliamento e il parallelo passante per la foce del ramo di Goro del fiume Po” fino all’esito positivo di una specifica valutazione di compatibilità ambientale prevista dal medesimo articolo volto ad escludere che esse possano contribuire a provocare fenomeni di subsidenza. Il 3 ottobre 1996 l'AGIP depositò presso il Ministero dell'ambiente e la regione Veneto lo studio di impatto ambientale del progetto "Alto Adriatico". Su tale studio si è pronunciato (in termini negativi), nel maggio 1997, il gruppo di lavoro istituito dal comune di Venezia in accordo con altre amministrazioni locali. A seguito di quella pronuncia, il D.M. Ambiente 3 dicembre 1999 ha disposto (art. 1) il divieto dell'attività di coltivazione di idrocarburi liquidi o gassosi entro le 12 miglia nautiche dalla linea di costa del tratto di mare compreso tra il parallelo passante per la foce del fiume Tagliamento e il parallelo passante per la foce del ramo di Goro del fiume Po.

Si ricorda, inoltre, che la delibera CIPE 21 dicembre 2001, n. 121 attuativa della legge 21 dicembre 2001, n. 443 (cd. legge obiettivo) prevedeva, alla tabella 4 dell’allegato 4, fra infrastrutture per la coltivazione di idrocarburi, il progetto dell’Alto Adriatico. Tale progetto vede coinvolte l’ENI-AGIP, l’Edison Gas e la British Gas, per lo sviluppo e la messa in coltivazione di circa 15 giacimenti gassiferi attraverso la perforazione di circa 83 pozzi e l'installazione di 19 piattaforme fisse per la produzione, l'iniezione e il monitoraggio della subsidenza. La realizzabilità del progetto – secondo quanto specificato nella stessa tabella 4 - è sottoposta ai vincoli a tutela della subsidenza imposti dal citato DM ambiente 3 dicembre 1999. Tale progetto, per cui si stima si possano recuperare circa 3 miliardi di metri cubi di gas all’anno, prevede un investimento di 671,394 milioni di euro.

 

Il comma 2 prevede che, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, i titolari di concessioni di coltivazione di idrocarburi nel cui ambito ricadono giacimenti di idrocarburi definiti marginali, attualmente non produttivi e per i quali non sia stata presentata domanda per il riconoscimento della marginalità economica, comunicano al Ministero dello Sviluppo Economico l’elenco degli stessi giacimenti, mettendo a disposizione del Ministero i dati tecnici ad essi relativi.

Il decreto legislativo n. 164 del 2000, adottato in attuazione della direttiva 98/30/CE, recante norme comuni per il mercato interno del gas naturale, disciplina, all’articolo 5, le misure di incentivazione alla coltivazione di giacimenti marginali.

Si ricorda che l’attività di coltivazione consistente nell’estrazione di gas naturale dai giacimenti è stata liberalizzata con il D.Lgs. 625/96. Inerenti all’attività di coltivazione sono le attività di prospezione (consistente in rilievi geografici, geologici e geofisici) e di ricerca (rivolta al rinvenimento di giacimenti).

Ai sensi dell’art. 4 del D.Lgs 164/2000 l’attività di prospezione è libera, mentre l’esecuzione di rilievi geofisici ai sensi del D.Lgs. 625/96 è soggetta ad autorizzazione da parte del MICA o delle autorità competenti alla tutela territoriale e ambientale. Il provvedimento prevede incentiviper l’attività di ricerca, volti ad incrementare le riserve nazionali di gas. A tale scopo viene destinato, a decorrere dal 1° gennaio 2000, il 5% delle entrate derivanti allo Stato dal versamento delle aliquote di prodotto della coltivazione (royalties) da parte dei titolari di concessione.

Ulteriori misure sono previste per incentivare la coltivazione di giacimenti c.d. marginali(art. 5). Si tratta in genere di giacimenti di modeste dimensioni o contenenti idrocarburi di scarsa qualità, individuati dal Ministero, la cui messa in produzione e coltivazione risultino “di economicità critica e fortemente dipendente dalle variabili tecnico-economiche e dal rischio minerario”.

La domanda per il riconoscimento della marginalità deve essere corredata da una relazione tecnico-economica sulle opere necessarie a rendere economicamente attuabile lo sviluppo del giacimento (comma 2).

 

Nella relazione illustrativa del provvedimento si evidenzia che il complesso meccanismo di incentivazione fiscale introdotto dall’articolo 5 del decreto legislativo n. 164 del 2000 non ha dato i risultati attesi, come dimostra il fatto che non sono state presentate domande per il riconoscimento delle agevolazioni. Ciò troverebbe spiegazione nello scarso interesse economico che verso i giacimenti marginali hanno la quasi totalità dei relativi titolari, ossia operatori di grandi dimensioni. La disposizione in esame è volta, pertanto, a trasferire le coltivazioni dei giacimenti marginali ad operatori di dimensioni proporzionate all’investimento che essi rappresentano.

 

Il comma 3 prescrive che, entro i sei mesi successivi al termine di cui al comma 2, il Ministero dello Sviluppo Economico pubblica l’elenco dei giacimenti di idrocarburi marginali allo scopo di conferirli, mediante procedura competitiva, ad altri titolari, anche per la destinazione degli stessi alla produzione di energia elettrica.

Entro il medesimo termine di sei mesi, il Ministero stabilisce, con proprio decreto, le modalità in base alle quali procedere all’attribuzione.

 

Il comma 4 mira ad abrogare qualunque forma di incentivazione riconosciuta dall’art. 5 del D.Lgs. 164/2000 in favore dei giacimenti marginali.

 

L’incentivo oggetto dell’intervento abrogativo consiste nella detrazione dal reddito imponibile dei titolari di concessione di una quota ulteriore degli investimenti necessari per lo sviluppo dei giacimenti, oltre a quella degli ordinari ammortamenti. L’incentivo è applicato direttamente dai concessionari ai propri bilanci, secondo il piano illustrato nella relazione tecnico-economica allo schema di decreto, e sempre che il prezzo di vendita effettivamente realizzato non sia superiore al 20% di quello previsto nel piano stesso (comma 4).

Il riconoscimento della marginalità, l’approvazione della percentuale di incremento degli ammortamenti e la data di inizio dei lavori necessari – il cui mancato rispetto fa decadere dal diritto all’incentivo – sono affidati al Ministro dell’industria (ora dello Sviluppo Economico), sentita la Commissione che ai sensi dell’art. 19, comma 7, del D.Lgs. 625/1996 esprime parere sui provvedimenti di variazione delle aliquote per le concessioni di coltivazione. Della Commissione fa parte anche un rappresentante del Ministero delle finanze (ora economia e finanze), ministero che è chiamato a vigilare sulla corretta applicazione delle norme in esame.

L’intervento si aggiunge alle agevolazioni fiscali già previste dalla legislazione vigente in favore delle coltivazioni marginali. In particolare, si ricorda che l’art. 19, commi 6 e 7, del D.Lgs. n. 625 del 1996 prevede che il Ministero dell’industria (ora dello Sviluppo Economico), di concerto con quello delle finanze, stabilisca annualmente una riduzione delle aliquote per le concessioni di coltivazione per le produzioni di idrocarburi con caratteristiche di marginalità economica causata da speciali trattamenti necessari per portare tali produzioni a “specifiche di commerciabilità”.

 


 

Articolo 9
(Sterilizzazione dell’IVA sugli aumenti petroliferi)


1. All'articolo 1, comma 291, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, sono apportate le seguenti modifiche:

a) le parole «può essere» sono modificate con le parole : «è adottato»;

b) al primo periodo, dopo le parole «a due punti percentuali rispetto» è aggiunta la seguente parola: «esclusivamente».

2. Per fronteggiare la grave crisi dei settori dell'agricoltura, della pesca professionale e dell'autotrasporto conseguente all'aumento dei prezzi dei prodotti petroliferi, a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente provve­dimento e fino al 31 dicembre 2008, l'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa Spa provvede con proprie risorse, nell'ambito dei compiti istituzionali, alle opportune misure di sostegno volte a consentire il mantenimento dei livelli di competitività, previa apposita convenzione tra il Ministero dello sviluppo economico e l'Agenzia.

3. Con decreto del Ministro dello sviluppo economico di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentiti i Ministri delle infrastrutture e dei trasporti e delle politiche agricole, alimentari e forestali è approvata, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, la convenzione di cui al comma 2, che definisce altresì le modalità e le risorse per l'attuazione delle misure di cui al presente articolo. Restano ferme le modalità di utilizzo già previste dalla normativa vigente per le disponibilità giacenti sui conti di tesoreria intestati all'Agenzia.

4. L'applicazione delle disposizioni del presente articolo è subordinata alla preventiva approvazione da parte della Commissione europea.


 

 

L’articolo 9, comma 1, modificando il comma 291 dell’articolo 1 della legge n. 244/2007 (finanziaria 2008), interviene sulla disciplina relativa alla “sterilizzazione” fiscale relativa agli aumenti del petrolio greggio.

Ai sensi dei commi da 290 a 295 del citato articolo 1, il maggiore gettito IVA derivante dall’aumento dei prezzi dei carburanti e degli altri prodotti petroliferi può essere compensato con una riduzione delle aliquote di accisa sui medesimi prodotti. In particolare, tenuto conto che le accise sui prodotti petroliferi sono rapportate alla quantità e che l’IVA è determinata sul valore, l’aumento dei costi petroliferi comporta un incremento della base imponibile e, quindi, dell’imposta sul valore aggiunto mentre l’aliquota di accisa rimane immutata per ciascuna quantità venduta.

In particolare, il citato comma 291, nel testo previgente le modifiche apportate dal provvedimento in esame, dispone la possibilità di variare con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, le misure delle aliquote di accisa sui prodotti energetici usati come carburanti ovvero come combustibili per riscaldamento per usi civili, al fine di compensare le maggiori entrate dell’imposta sul valore aggiunto derivanti dagli aumenti del prezzo internazionale del petrolio greggio. Tale DM può essere emanato se il prezzo medio del periodo aumenta in misura non inferiore al 2% rispetto al valore di riferimento indicato nel DPEF.

In attuazione della predetta norma, è stato emanato il decreto interministeriale 7 marzo 2008 il quale ha disposto, per il periodo compreso fra il 20 marzo e il 30 aprile 2008 le seguenti riduzioni di aliquote di accisa:

a) benzina: 547,17 euro per mille litri;

b) oli da gas o gasolio usato come carburante: 406,17 euro per mille litri;

c) gas di petrolio liquefatti (GPL) usati come carburante: 210,94 euro per mille Kg;

d) gas naturale per autotrazione: euro 0 per metro cubo.

 

Le modifiche introdotte dal comma 1 sono dirette, in primo luogo, a rendere automatico il processo di compensazione tra la maggiore IVA e le minori accise sui prodotti petroliferi in presenza di un aumento dei prezzi.

In secondo luogo, in riferimento alla condizione posta dal richiamato comma 291 in merito all’emanazione del decreto ministeriale, si precisa che l’incremento medio dei prezzi rilevati deve essere non inferiore al 2% esclusivamente rispetto al valore indicato nel DPEF.

In proposito, la relazione illustrativa allegata al provvedimento chiarisce che tale ultima modifica è diretta ad evitare che eventuali aggiornamenti in alto dei valori previsionali, effettuati in corso d’anno, vanifichino l’effetto politico della misura e ne rendano incerta l’attuazione.

 

Andrebbe chiarito se la norma intenda stabilire il principio per cui la variazione del prezzo debba essere valutata sulla base del valore indicato esclusivamente nel DPEF senza tenere conto di eventuali note di aggiornamento dello stesso DPEF.

 

La seguente tabella riporta le stime effettuate e pubblicate dall’Unione petrolifera[20] relative all’andamento del gettito IVA sui prodotti petroliferi.

(valori in miliardi di euro)

Anni

2003

2004

2005

2006

2007

 

10,050

11,650

11,630

12,300

12,100

 

I dati indicati evidenziano una inversione di tendenza del gettito IVA a decorrere dal 2007 nonostante il continuo aumento dei prezzi dei prodotti petroliferi. Tale andamento è dovuto alla contrazione dei consumi prodotta dall’aumento dei prezzi. Infatti, se da un lato l’incremento dei costi del petrolio si riflette in una maggiore base imponibile – e quindi maggiore imposta – ai fini IVA, dall’altro lato la domanda subisce, in presenza di aumento dei prezzi, una contrazione.

 

Pur considerando che la finalità della norma è quella di tutelare il consumatore evitando che su quest’ultimo ricadano, oltre all’effetto dell’aumento dei costi del petrolio, anche il conseguente aggravio dell’IVA, andrebbero considerati gli effetti finanziari in termini di gettito complessivo dell’IVA e delle accise. Ciò in quanto, il continuo incremento registrato negli ultimi tempi dei prezzi dei prodotti petroliferi ha fatto registrare una contrazione della domanda che potrebbe non garantire la compensazione del maggior gettito dovuto all’incremento della base imponibile con il minor gettito dovuto alla minore quantità di beni richiesta sul mercato.

 

I commi 2 e 3 recano disposizioni volte a fronteggiare la crisi nei settori dell’agricoltura, della pesca professionale e dell’autotrasporto conseguenti all’aumento dei prezzi dei prodotti petroliferi. In particolare il comma 2 assegna all’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa S.p.A. (ex Sviluppo Italia S.p.A.) il compito, dal 25 giugno 2008 (data di entrata in vigore del decreto-legge) sino al 31 dicembre 2008, di provvedere utilizzando le proprie risorse, nell’ambito dei compiti istituzionali, alle opportune misure al fine di mantenere i livelli di competitività dei suddetti settori. A tal fine, ai sensi del comma 3, con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con i ministri competenti (Economia e finanze, Infrastrutture e trasporti, Politiche agricole, alimentari e forestali), dovrà essere approvata entro il 24 agosto 2008 (60 giorni dall’entrata in vigore del decreto-legge) una convenzione tra il Ministero dello sviluppo economico e l’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa S.p.A., che dovrà definire le modalità attuative e indicare le risorse necessarie. Il comma 3 ribadisce l’applicazione delle modalità di utilizzo delle disponibilità giacenti sui conti correnti intestati all’Agenzia previste dalla normativa vigente.

L’Agenzia, ai sensi della direttiva del Ministro dell’economia e delle finanze del 27 marzo 2007, opera nei settori dell’attrazione di investimenti esteri, dell’innovazione e della competitività industriale e imprenditoriale nei sistemi produttivi e nei sistemi territoriali, e della promozione della competitività e delle potenzialità attrattive dei territori.

 

La disposizione in esame riveste natura meramente procedurale poiché l’individuazione degli strumenti da utilizzare a sostegno dei settori in crisi richiamati e delle risorse necessarie alla predetta correzione è integralmente demandata alla predetta convenzione.

 

Infine il comma 4 subordina l’applicazione delle disposizioni contenute nel presente articolo alla preventiva autorizzazione da parte della Commissione europea.


 

Articolo 10
(Promozione degli interventi infrastrutturali strategici e nei settori dell’energia e delle telecomunicazioni)

1. Al comma 355 dell'articolo 1 della legge 30 dicembre 2004, n. 311 è aggiunta la seguente lettera:

«c-ter) infrastrutture nel settore energetico ed in quello delle reti di telecomunicazione, sulla base di programmi predisposti dal Ministero dello sviluppo economico».

 

 

L’articolo 10 integra le disposizioni del comma 355, comma 1, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (finanziaria 2005) in cui sono indicati i progetti di investimento considerati prioritari ai fini dell'individuazione degli interventi ammessi al finanziamento a valere sul Fondo rotativo per il sostegno alle imprese e agli investimenti in ricerca, di cui alla citata legge, come modificata dal DL 35/05 (c.d. competitività).

Ai progetti attualmente previsti, si aggiungono, con l’inserimento della lettera c-ter , le infrastrutture relative al settore energetico e delle reti di telecomunicazione, sulla base di programmi predisposti dal Ministero dello sviluppo economico.

 

Si ricorda che la legge 311/04 (legge finanziaria per il 2005), comma 354 dell’art.1, ha istituito il “Fondo rotativo per il sostegno alle imprese”presso la gestione separata della Cassa depositi e prestiti S.p.a., con una dotazione iniziale di 6 miliardi di euro finanziata con le risorse del risparmio postale. Il Fondo, alla cui ripartizione provvede il CIPE con proprie delibere, è destinato ad interventi agevolativi a favore delle imprese individuati dalle stesse delibere sulla base degli interventi già disposti a legislazione vigente e per i quali sussiste apposito stanziamento di bilancio.

Al Ministro competente è attribuita la funzione di stabilire, con decreto di natura non regolamentare - da adottare di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze - quali siano, in relazione ai singoli interventi previsti dal comma 355, i requisiti e le condizioni per l'accesso ai finanziamenti agevolati (comma 357), mentre al Ministro dell'economia e delle finanze è attribuita la competenza a determinare il tasso di interesse da applicare alle somme erogate in anticipazione. La differenza risultante tra il tasso così fissato e quello di finanziamento agevolato è posta a carico del bilancio statale, a valere sull’autorizzazione di spesa di cui al comma 361, come pure a carico dello Stato risultano gli oneri riferiti alle spese gestionali del Fondo sostenuti dalla stessa Cassa depositi e prestiti (comma 358)[21].

Sull’attività del Fondo, finalizzato alla concessione di finanziamenti agevolati in forma dianticipazione di capitali, rimborsabile secondo un piano di rientro pluriennale, è successivamente intervenuto il decreto-legge n. 35/05[22] (art. 6, commi 1-4) che ne ha modificato la disciplina al fine di favorire la crescita del sistema produttivo nazionale e di rafforzare le azioni volte alla promozione di un'economia basata sulla conoscenza.

Il decreto-legge, oltre a estendere la sfera dei potenziali beneficiari del Fondo, (le imprese anche associate in appositi organismi, anche di natura cooperativa, costituiti o promossi dalle Associazioni imprenditoriali e dalle Camere di commercio) ha provveduto a ridenominarlo “Fondo rotativo per il sostegno alle imprese e agli investimenti in ricerca”, in quanto una quota - pari ad almeno il 30 per cento della dotazione finanziaria del fondo medesimo - è stata destinata al sostegno di attività, programmi e progetti strategici di ricerca e sviluppodelle imprese, da realizzare anche congiuntamente a soggetti della ricerca pubblica[23].

La ripartizione del Fondo è rimessa a delibere del CIPE sottoposte al controllo preventivo della Corte dei conti: il Fondo è ripartito per essere destinato ad interventi agevolativi alle imprese, individuati dalle stesse delibere sulla base degli interventi già disposti a legislazione vigente e per i quali sussiste apposito stanziamento di bilancio (comma 355, art. 1 della legge 311/04).

Ai fini dell'individuazione degli interventi ammessi al finanziamento sono considerati prioritariamente i seguenti progetti di investimento:

a)  interventi finalizzati ad innovazioni, attraverso le tecnologie digitali, di prodotti, servizi e processi aziendali, su proposta del Ministro per l'innovazione e le tecnologie, di concerto con il Ministro delle attività produttive;

b)  programmi di innovazione ecocompatibilefinalizzati al risparmio energetico secondo le specifiche previste dalla disciplina comunitaria degli aiuti di Stato per la tutela ambientale, di cui alla comunicazione della Commissione europea 2001/C 37/03 (GUCE n. C/37 del 3 febbraio 2001), su proposta del Ministro dell’ambiente, di concerto con il Ministro delle attività produttive(oggi Sviluppo Economico);

c)  realizzazione dei corridoi multimodali transeuropei n. 5, n. 8 e n. 10 e connesse bretelle di collegamento, nonché delle reti infrastrutturali marittime, logistiche ed energetiche comunque ad essi collegate.

c-bis)infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale, di cui alla legge 21 dicembre 2001, n. 443.


 

Articolo 11
(Piano casa)


1. Al fine di superare in maniera organica e strutturale il disagio sociale e il degrado urbano derivante dai fenomeni di alta tensione abitativa, il CIPE approva un piano nazionale di edilizia abitativa, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro per le politiche giovanili, previa intesa in sede di Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281. Il Ministero trasmette la proposta di piano alla Conferenza unificata entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto.

2. Il piano è rivolto all'incremento del patrimonio immobiliare ad uso abitativo attraverso l'offerta di alloggi di edilizia residenziale, da realizzare nel rispetto dei criteri di efficienza energetica e di riduzione delle emissioni inquinanti, con il coinvolgimento di capitali pubblici e privati, destinati prioritariamente a prima casa per le seguenti categorie sociali svantaggiate nell'accesso al libero mercato degli alloggi in locazione:

a) nuclei familiari a basso reddito, anche monoparentali o monoreddito;

b) giovani coppie a basso reddito;

c) anziani in condizioni sociali o economiche svantaggiate;

d) studenti fuori sede;

e) soggetti sottoposti a procedure esecutive di rilascio;

f) altri soggetti in possesso dei requisiti di cui all'articolo1 della legge n. 9 del 2007;

g) immigrati regolari.

3. Il Piano nazionale ha ad oggetto la realizzazione di misure di recupero del patrimonio abitativo esistente o di costruzione di nuovi alloggi ed è articolato, sulla base di criteri oggettivi che tengano conto dell'effettivo disagio abitativo presente nelle diverse realtà territoriali, attraverso i seguenti interventi:

a) costituzione di fondi immobiliari destinati alla valorizzazione e all'incre­mento dell'offerta abitativa, ovvero alla promozione di strumenti finanziari immobiliari innovativi e con la partecipazione di altri soggetti pubblici o privati, articolati anche in un sistema integrato nazionale e locale, per l'acquisizione e la realizzazione di immobili per l'edilizia residenziale;

b) incremento del patrimonio abitativo di edilizia sociale con le risorse derivanti dalla alienazione di alloggi di edilizia pubblica in favore degli occupanti muniti di titolo legittimo;

c) promozione da parte di privati di interventi ai sensi della parte II, titolo III, del Capo III del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163;

d) agevolazioni, anche amministrative, in favore di cooperative edilizie costituite tra i soggetti destinatari degli interventi in esame, potendosi anche prevedere termini di durata predeterminati per la partecipazione di ciascun socio, in considerazione del carattere solo transitorio dell'esigenza abitativa;

e) realizzazione di programmi integrati di promozione di edilizia sociale e nei sistemi metropolitani ai sensi del comma 5.

4. L'attuazione del Piano nazionale è realizzata con le modalità di cui alla parte II, titolo III , del Capo IV del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, ovvero, per gli interventi integrati di valorizzazione del contesto urbano e dei servizi metropolitani, ai sensi dei commi da 5 a 8.

5. Al fine di superare i fenomeni di disagio abitativo e di degrado urbano, concentrando gli interventi sulla effettiva consistenza dei fenomeni di disagio e di degrado nei singoli contesti, rapportati alla dimensione fisica e demografica del territorio di riferimento, attraverso la realizzazione di programmi integrati di promozione di edilizia sociale e nei sistemi metropolitani e di riqualificazione urbana, anche attraverso la risoluzione dei problemi di mobilità, promuovendo e valorizzando la partecipazione di soggetti pubblici e privati, con principale intervento finanziario privato, possono essere stipulati appositi accordi di programma, promossi dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, per l'attuazione di interventi destinati a garantire la messa a disposizione di una quota di alloggi, da destinare alla locazione a canone convenzionato, stabilito secondo criteri di sostenibilità economica, e all'edilizia sovvenzionata, complessivamente non inferiore al 60 % degli alloggi previsti da ciascun programma, congiuntamente alla realizzazione di interventi di rinnovo e rigenerazione urbana, caratterizzati da elevati livelli di qualità in termini di vivibilità, salubrità, sicurezza e sostenibilità ambientale ed energetica. Gli interventi sono attuati, attraverso interventi di cui alla parte II, titolo III, Capo III del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, mediante le seguenti modalità:

a) trasferimento di diritti edificatori in favore dei promotori degli interventi di incremento del patrimonio abitativo destinato alla locazione a canone agevolato, con la possibilità di prevedere come corrispettivo della cessione dei diritti edificatori in tutto o in parte la realizzazione di unità abitative di proprietà pubblica da destinare alla locazione a canone agevolato, ovvero da destinare alla alienazione in favore di categorie sociali svantaggiate, di cui al comma 2;

b) incrementi premiali di diritti edificatori finalizzati alla dotazione di servizi, spazi pubblici e di miglioramento della qualità urbana;

c) provvedimenti mirati alla riduzione del prelievo fiscale di pertinenza comunale o degli oneri di costruzione e strumenti di incentivazione del mercato della locazione;

d) costituzione di fondi immobiliari di cui al comma 3, lett. a), con la possibilità di prevedere altresì il conferimento al fondo dei canoni di locazione, al netto delle spese di gestione degli immobili.

6. Ai fini della realizzazione degli interventi di cui al presente articolo l'alloggio sociale, in quanto servizio economico generale, è identificato, ai fini dell'esenzione dell'obbligo della notifica degli aiuti di Stato, di cui agli articoli 87 e 88 del Trattato istitutivo della Comunità Europea, come parte essenziale e integrante della più complessiva offerta di edilizia residenziale sociale, che costituisce nel suo insieme servizio abitativo finalizzato al soddisfacimento di esigenze primarie.

7. In sede di attuazione dei programmi di cui al comma 5, sono appositamente disciplinate le modalità e i termini per la verifica periodica e ricorrente delle fasi di realizzazione del piano, in base al cronoprogramma approvato e alle esigenze finanziarie, potendosi conse­guentemente disporre, in caso di scostamenti, la diversa allocazione delle risorse finanziarie pubbliche verso modalità di attuazione più efficienti. Gli alloggi realizzati o alienati nell'ambito delle procedure di cui al presente articolo non possono essere oggetto di successiva alienazione prima di dieci anni dall'acquisto originario.

8. Per la migliore realizzazione dei programmi, i comuni e le province possono associarsi ai sensi di quanto previsto dal testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267. I programmi integrati di cui al comma 5 sono dichiarati di interesse strategico nazionale al momento della sottoscrizione dell'accordo di cui all'accordo di cui al comma 5. Alla loro attuazione si provvede con l'applicazione dell'articolo 81 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616 e successive modificazioni ed integrazioni.

9. Per l'attuazione degli interventi previsti dal presente articolo è istituito un Fondo nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, nel quale confluiscono le risorse finanziarie di cui all'articolo 1 comma 1154 della legge 27 dicembre 2006, n. 296 nonché di cui agli articoli 21, 21-bis e 41 del decreto-legge 1 ottobre 2007, n. 159, convertito con modificazioni dalla legge 29 novembre 2007, n 222. Gli eventuali provvedimenti adottati in attuazione delle disposizioni legislative citate al primo periodo del presente comma, incompatibili con il presente articolo, restano privi di effetti. A tale scopo le risorse di cui agli articoli 21, 21-bis e 41 del citato decreto-legge n. 159 del 2007, ivi comprese quelle già trasferite alla Cassa depositi e prestiti, sono versate all'entrata del bilancio dello Stato per essere iscritte sul Fondo di cui al presente comma, negli importi corrispondenti agli effetti in termini di indebitamento netto previsti per ciascun anno in sede di iscrizione in bilancio delle risorse finanziarie di cui alle indicate autorizzazioni di spesa.


 

 

Il comma 1 prevede, al fine di contrastare le diverse forme di disagio abitativo, l’avvio di un piano nazionale di edilizia abitativa, che dovrà essere approvato dal CIPE, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro per le politiche giovanili, previa intesa in sede di Conferenza unificata, cui dovrà essere trasmessa la proposta di piano entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto in esame.

Si rileva l’innovazione, rispetto ai provvedimenti adottati nel passato, dell’assegnazione al CIPE della responsabilità dell’approvazione del piano, sulla base delle proposte presentate dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. La norma dovrebbe permettere di superare, alla luce dell’autorevolezza dell’organo citato, i problemi attuativi che dovessero, eventualmente, presentarsi.

 

Giova rammentare il tema dell’emergenza abitativa, aggravatosi negli ultimi anni, è stato oggetto di un’apposita indagine sulla condizione abitativa in Italia condotta dal Ministero delle infrastrutture in relazione ai fattori di disagio e alle strategie di intervento[24], con l’obiettivo di quantificare la dimensione reale dei fenomeni di disagio abitativo delle famiglie.

Si ricorda anche che nel corso della XV legislatura è stata adottata una serie di provvedimenti con la finalità di dare nuovo impulso alle politiche a tutela del disagio abitativo. Tra essi le disposizioni della legge n. 9 del 2007 che hanno previsto la predisposizione, da parte delle regioni, di un piano straordinario pluriennale per l’edilizia sovvenzionata e agevolata da inviare ai Ministeri delle infrastrutture, della solidarietà sociale e delle politiche della famiglia. Accanto a tale piano straordinario, è stato previsto anche l’avvio di un programma nazionale di edilizia residenziale pubblica da parte del Ministero delle infrastrutture, di concerto con gli altri Ministeri indicati e d’intesa con la Conferenza unificata, sulla base delle indicazioni emerse nel tavolo di concertazione generale sulle politiche abitative.

Successivamente è stato previsto anche l’avvio di un programma straordinario di edilizia residenziale pubblica, introdotto con l’art. 21 del decreto-legge 1° ottobre 2007, n. 159, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2007, n. 222, cui destinare una spesa massima di 550 milioni di euro per l'anno 2007, e a cui si è data attuazione con il decreto del Ministero delle infrastrutture del 28 dicembre 2007.

Il comma 2 individua i destinatari del piano che dovrà essere rivolto all’incremento del patrimonio immobiliare ad uso abitativo attraverso l’offerta di alloggi di edilizia residenziale, da realizzare nel rispetto dei criteri di efficienza energetica e di riduzione delle emissioni inquinanti, con il coinvolgimento di capitali pubblici e privati.

Tali alloggi dovranno quindi essere destinati prioritariamente a prima casa per le seguenti categorie sociali svantaggiate nell’accesso al libero mercato degli alloggi in locazione:

a) nuclei familiari a basso reddito, anche monoparentali o monoreddito;

b) giovani coppie a basso reddito;

c) anziani in condizioni sociali o economiche svantaggiate;

d) studenti fuori sede;

e) soggetti sottoposti a procedure esecutive di rilascio;

f) altri soggetti in possesso dei requisiti di cui all’art. 1 della legge n. 9 del 2007;

g) immigrati regolari.

 

Si ricorda che i requisiti di cui all’art. 1 della legge n. 9 del 2007 sono: un reddito annuo lordo complessivo familiare inferiore a 27.000 euro, essere o avere nel proprio nucleo familiare persone ultrasessantacinquenni, malati terminali o portatori di handicap con invalidità superiore al 66 per cento, purché non in possesso di altra abitazione adeguata al nucleo familiare nella regione di residenza o avere, nel proprio nucleo familiare, figli fiscalmente a carico.

 

Per quanto riguarda la definizione dell’ambito soggettivo di applicazione del piano, si rileva l’ampliamento della platea dei beneficiari rispetto ai provvedimenti, sia d’urgenza che ordinari, adottati negli ultimi anni per contrastare il fenomeno del disagio abitativo.

Sono stati, infatti, inclusi, per la prima volta, gli immigrati regolari e gli studenti fuori sede, finora destinatari, questi ultimi, di agevolazioni di carattere fiscale sui canoni di locazione.

La platea risulterebbe ampliata anche dall’inclusione, con un riferimento generico, di tutti i soggetti “sottoposti a procedure esecutive di rilascio”, senza ulteriori distinzioni. Pertanto sembrerebbero inclusi non solo coloro che hanno beneficiato della sospensione delle procedure esecutive di sfratto per finita locazione (destinatari dei provvedimenti d’urgenza di sospensione degli sfratti emanati nel passato[25]), ma anche quelli per morosità (destinatari del numero maggiore di sentenze di sfratto[26]).

Si osserva, d’altro canto, che occorrerebbe, invece, specificare una serie di definizioni la cui formulazione appare generica, tra le quali l’entità del basso reddito e la specificazione del numero di anni per rientrare nella categoria degli “anziani”.

 

Si ricorda, al riguardo, che l’art. 1 della legge n. 9 del 2007, sospende le procedure esecutive di sfratto nei confronti di conduttori con un “reddito annuo lordo complessivo familiare inferiore a 27.000 euro”. Per quanto riguarda la categoria degli “anziani” l’art. 1 del decreto legge n. 261 del 2006, ha innalzato, rispetto a precedenti provvedimenti d’urgenza, il requisito dell'età di cinque anni (da 65 a 70 anni), mentre con la legge n. 9 del 2007 si è tornati al requisito dei 65 anni.

 

Inoltre occorrerebbe indicare le modalità con cui dovrebbe essere dimostrata la sussistenza dei requisiti richiesti per rientrare tra i beneficiari del piano.

Nel decreto legge n. 261 del 2006 e nella legge n. 9 del 2007, la dimostrazione della sussistenza dei requisiti avveniva attraverso l'autocertificazione degli inquilini interessati.

 

Il comma 3 definisce l’ambito oggettivo del piano che dovrà riguardare sia il recupero del patrimonio abitativo esistente che la costruzione di nuovi alloggi e dovrà essere articolato attraverso una serie di interventi che coinvolgono, oltre all’intervento pubblico, anche quello privato. Tra essi vengono indicati:

a) la creazione di fondi immobiliari o la promozione di strumenti finanziari immobiliari innovativi per l’acquisizione o la costruzione di immobili per l’edilizia residenziale;

b) l’incremento del patrimonio abitativo di edilizia sociale con le risorse derivanti dalla vendita degli IACP;

c) la promozione da parte di privati di interventi attraverso il ricorso al project financing, la cui disciplina è ora contenuta nella parte II, titolo III, del Capo III del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (cd. Codice appalti);

d) alcune agevolazioni in favore di cooperative edilizie costituite tra i soggetti destinatari degli interventi;

e) la realizzazione di programmi integrati di promozione di edilizia sociale nel contesto di interventi di riqualificazione urbana indicati al successivo comma 5.

Il comma in esame è volto, pertanto, ad introdurre alcuni degli strumenti più recenti di mercato posti in essere per dare soluzione al disagio abitativo, alla luce dell’inefficacia delle politiche di sostegno alla residenzialità fondate sul finanziamento pubblico. Tra essi rilevano la costituzione di riserve fondiarie da destinare all’edilizia pubblica e alla domanda sociale coinvolgendo tutti gli operatori proprietari di aree oggetto di futura trasformazione[27], oppure la promozione di strumenti finanziari immobiliari innovativi, quali l’istituzione di fondi immobiliari per la residenza sociale[28], c.d. social housing.

 

La necessità di dare risposte articolate e differenziate al disagio abitativo è emersa anche nel recente intervento del Presidente dell’ANCE del 20 maggio 2008 “Costruzioni: ancora un anno di ciclo positivo ma il futuro si gioca su casa e infrastrutture”, dal quale emerge la necessità di una nuova politica abitativa che rilanci, da un lato, il sistema dell’edilizia sociale e, dall’altro, programmi di housing sociale con interventi che prevedono l’integrazione tra intervento pubblico e iniziativa privata, al fine di “mettere a frutto il più possibile le risorse scarse da investire e raggiungere al meglio l'obiettivo di aumentare l'offerta di alloggi da destinare all'affitto a canone sostenibile”. La necessità di tali interventi è avvalorata dai dati preoccupanti relativi all’offerta di abitazioni sociali. In Italia, nel 2004, c'erano 4,5 abitazioni di edilizia sociale per 100 abitazioni occupate. Una quota nettamente inferiore a quella di molti Paesi europei, pari a 34,6% nei Paesi Bassi, a 21% in Svezia, a 14,3% in Austria, a circa 17% in Francia e Finlandia.

 

Il comma 4 prevede che l’attuazione del piano nazionale avvenga con le modalità previste dalla legislazione in materia di infrastrutture strategiche, contenuta nella parte II, titolo III, del Capo IV del D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, ovvero, per gli interventi integrati di promozione di edilizia sociale nel contesto di interventi di riqualificazione urbana, secondo le modalità indicate ai successivi commi 5 ed 8.

Si rammenta, in estrema sintesi, che la legislazione in materia di infrastrutture strategiche, introdotta con la legge n. 443 del 2001 e con i successivi decreti attuativi, poi confluita nel D.Lgs. n. 163 del 2006 (cd. Codice appalti), mira ad accelerare, snellire e razionalizzare le procedure per la programmazione, il finanziamento e la realizzazione delle infrastrutture pubbliche e private e degli insediamenti produttivi strategici e di preminente interesse nazionale. Tre sono, infatti, le principali finalità perseguite dal nuovo regime normativo: l’accelerazione delle procedure amministrative, l’incentivazione dell’afflusso di capitali privati (tramite l’introduzione della disciplina sul contraente generale) e la programmazione annuale degli interventi.

 

I commi 5, 7 ed 8 dispongono in merito ad uno degli interventi in cui può essere articolato il piano (comma 3, lett. e): l’attuazione di programmi integrati di edilizia sociale nel contesto di interventi di riqualificazione urbana.

 

Ai sensi del comma 5, tali programmi dovranno essere finalizzati al superamento dei fenomeni di disagio abitativo e di degrado urbano e realizzati promuovendo la partecipazione di soggetti pubblici e privati - cui spetterà apportare il principale intervento finanziario - anche attraverso la stipula di appositi accordi di programma, promossi dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, al fine di mettere a disposizione, per la locazione a canone convenzionato[29], almeno il 60% degli alloggi che verranno realizzati.

Viene anche prevista la realizzazione di interventi di rinnovo e rigenerazione urbana, caratterizzati da elevati livelli di qualità in termini di vivibilità, salubrità, sicurezza e sostenibilità ambientale ed energetica.

Lo stesso comma 5 prevede che gli interventi dovranno essere realizzati da promotori immobiliari - attraverso il ricorso al project finacing, disciplinato nella parte II, titolo III, capo III del D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163 - i quali acquisiranno, in cambio della costruzione di alloggi destinati alla locazione a canone agevolato, diritti edificatori, incrementi premiali di diritti edificatori finalizzati alla dotazione di servizi, spazi pubblici e di miglioramento della qualità urbana, agevolazioni fiscali o la costituzione di fondi immobiliari.

 

Il comma 7 prevede, in sede di attuazione dei programmi di cui al comma 5, una verifica periodica e ricorrente delle fasi di realizzazione del piano, in base al cronoprogramma approvato e alle esigenze finanziarie e la possibilità di disporre, in caso di scostamenti, una diversa allocazione delle risorse finanziarie pubbliche verso modalità di attuazione più efficienti.

E’ inoltre stabilito che gli alloggi realizzati o alienati nell’ambito delle procedure di cui al presente articolo non possono essere oggetto di successiva alienazione prima di dieci anni dall’acquisto originario.

 

Per la migliore attuazione dei programmi, il comma 8 dà la possibilità ai comuni e alle province di associarsi ai sensi di quanto previsto dal Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali di cui al d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267.

I programmi integrati di cui al comma 5 sono dichiarati di interesse strategico nazionale al momento della sottoscrizione dell’accordo di programma. Alla loro attuazione si provvede con l’applicazione dell’art. 81 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616 che prevede sostanzialmente poteri sostitutivi dello Stato in materia urbanistica[30].

 

Ai fini della formulazione del testo, al comma 8, dopo le parole “dell’accordo” occorrerebbe sopprimere le parole “di cui all’accordo”.

 

Il comma 6 reca la definizione di alloggio sociale”, ai fini dell’esenzione dell’obbligo della notifica degli aiuti di Stato, di cui agli artt. 87 e 88 del Trattato istitutivo della Comunità Europea, inteso “come parte essenziale e integrante della più complessiva offerta di edilizia residenziale sociale, che costituisce nel suo insieme servizio abitativo finalizzato al soddisfacimento di esigenze primarie”.

Al riguardo si rammenta che sarebbe opportuno, alla luce della genericità della definizione recata dal comma in esame, rinviare alla definizione di alloggio sociale come definito nel recente DM del 22 aprile 2008 (pubblicato sulla GU del 24 giugno 2008).

 

Si rammenta, infatti, che la legge n. 9 del 2007, all’art. 5, aveva demandato ad uno specifico decreto la definizione delle caratteristiche e dei requisiti dell’alloggio sociale”, ai fini dell'esenzione dall'obbligo di notifica degli aiuti di Stato, ai sensi degli articoli 87 e 88 del Trattato istitutivo della Comunità europea. Tale decreto è stato appunto emanato dal Ministro delle infrastrutture di concerto con i Ministri della solidarietà sociale, delle politiche per la famiglia, per le politiche giovanili e le attività sportive e con l’intesa della Conferenza unificata, in data 22 aprile 2008[31].

Il comma 9 dispone in merito alla copertura finanziaria del piano, che dovrà essere attuata attraverso la costituzione di un Fondo nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti alimentato con le risorse finanziarie derivanti da alcuni provvedimenti adottati nella precedente legislatura, in particolare:

§      dall’art. 1, comma 1154, della legge 27 dicembre 2006, n. 296;

§      dagli artt. 21, 21-bis e 41 del decreto-legge 1 ottobre 2007, n. 159, convertito con modificazioni dalla legge 29 novembre 2007, n 222.

 

I fondi saranno, pertanto, quelli previsti dall’art. 1, comma 1154, della legge n. 296 del 2006 (finanziaria 2007) con cui è stato disposto il finanziamento di un piano straordinario di edilizia residenziale pubblica sovvenzionata, con un’autorizzazione di spesa di 30 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009. La disposizione demandava ad un successivo decreto del Ministro delle infrastrutture, che tuttavia non è stato ancora emanato, la definizione delle modalità di applicazione e di erogazione dei finanziamenti.

 

Ulteriori risorse deriveranno dalle disposizioni citate del decreto legge n. 159 del 2007 che riguardano:

§      all’art. 21, l’avvio di un programma straordinario di edilizia residenziale pubblica[32], cui destinare una spesa massima di 550 milioni di euro per l'anno 2007, e a cui si è data attuazione con il decreto del Ministero delle infrastrutture del 28 dicembre 2007.Il decreto ripartisce tra le regioni e le province autonome una cifra complessiva di 543,9 milioni di euro[33] da destinare agli interventi prioritari e immediatamente realizzabili individuati sulla base degli elenchi trasmessi dalle regioni e province autonome. Gli interventi riguarderanno: 818 alloggi da acquistare (quasi 7% del totale), 2.229 alloggi (circa il 19% del totale) da destinare all’affitto, 7.282 (61,5% circa) alloggi da ristrutturare e 1.532 (12,5% circa) alloggi per nuove unità abitative;

§      all’art. 21-bis, il rifinanziamento dei programmi innovativi in ambito urbano “Contratti di quartiere II”, con le risorse originariamente destinate alla realizzazione di alcuni programmi straordinari di edilizia residenziale a favore dei dipendenti delle amministrazioni dello Stato impegnati nella lotta alla criminalità organizzata[34];

§      all’art. 41, la costituzione di una apposita società di scopo con il compito di promuovere la formazione di nuovi strumenti finanziari immobiliari finalizzati all'acquisizione, il recupero, la ristrutturazione o la realizzazione di immobili ad uso abitativo, cui destinare, per l'anno 2007, la spesa massima di 100 milioni di euro.

A tali risorse dovrebbero poi aggiungersi anche quelle derivanti dalle dismissioni degli immobili IACP (comma 3, lett. b).

 

Lo stesso comma 9 dispone, infine, che gli eventuali provvedimenti adottati in attuazione delle disposizioni legislative citate al primo periodo del presente comma, incompatibili con il presente articolo, restano privi di effetti e che, pertanto, le risorse di cui agli articoli 21, 21-bis e 41 del citato decreto-legge n. 159 del 2007, ivi comprese quelle già trasferite alla Cassa Depositi e Prestiti, dovranno essere versate all’entrata del bilancio dello Stato per essere iscritte sull’istituendo Fondo, negli importi corrispondenti agli effetti in termini di indebitamento netto previsti per ciascun anno in sede di iscrizione in bilancio delle risorse finanziarie di cui alle indicate autorizzazioni di spesa.

 

Sembrerebbe pertanto privo di effetti il citato decreto ministeriale del 28 dicembre 2007.


 

Articolo 12
(Abrogazione della revoca delle concessioni TAV)


All'articolo 13 del decreto-legge 31 gennaio 2007, n. 7, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 2 aprile 2007, n. 40, sono apportate le seguenti modifiche:

a) il comma 8-sexiesdecies è sostituito dal seguente: «per effetto delle revoche di cui al comma 8-quinquesdeces i rapporti convenzionali stipulati da TAV S.p.A. con i contraenti generali in data 15 ottobre 1991 ed in data 16 marzo 1992 continuano senza soluzione di continuità, con RFI S.p.A. Ed i relativi atti integrativi prevedono la quota di lavori che deve essere affidata dai contraenti generali ai terzi mediante procedura concorsuale conforme alle previsioni delle direttive comunitarie»;

b) i commi 8-septiesdeces, 8-duodevicies ed 8-undevices sono abrogati.


 

 

L’articolo 12 interviene in materia di alta velocità ferroviaria, modificando la normativa recentemente adottata con l’articolo 13 del D.L. 7/2007[35].

Va ricordato che tale articolo ha disposto – al comma 8-quinquiesdecies - la revoca di alcune concessioni rilasciate dall’Ente ferrovie dello Stato alla società TAV S.p.a.:

§      la concessione dell’Ente Ferrovie alla TAV S.p.a. del 7 agosto 1991 limitatamente alle tratte Milano-Verona e Verona-Padova, comprese le relative interconnessioni;

§      la concessione dell’Ente Ferrovie alla TAV S.p.a. del 16 marzo 1992 relativo alla linea Milano-Genova, comprese le relative interconnessioni.

Lo stesso articolo ha inoltre revocato l’autorizzazione rilasciata a Rete Ferroviaria Italiana S.p.a., nella parte in cui consente di proseguire il rapporto convenzionale con TAV S.p.a. relativamente alla progettazione e costruzione della linea Terzo Valico dei Giovi/Milano-Genova, della tratta Milano-Verona e della tratta Verona-Padova.

 

Il comma 8-sexiedecies del medesimo articolo prevede inoltre che gli effetti di tali revoche si estendono a tutti i rapporti convenzionali derivanti o collegati, stipulati dalla società TAV S.p.a. con i “contraenti generali” in data 15 ottobre 1991 e in data 16 marzo 1992.

 

L’articolo 12 in esame, lettera a), sostituisce il comma 8-sexiedecies, ora illustrato, prevedendo che, per effetto delle revoche delle concessioni stabilite dal comma 8-quinquiesdecies, i rapporti convenzionali stipulati da TAV S.p.a. in data 15 ottobre 1991 e in data 16 marzo 1992, continuano con RFI (Rete Ferroviaria Italiana) S.p.a. Gli atti integrativi di tali convenzioni individueranno la quota di lavori che i contraenti generali affideranno a terzi, mediante procedura concorsuale.

La norma non interviene pertanto sulle revoche disposte dal citato DL n. 7/2007, ma sui suoi effetti, stabilendo che le convenzioni stipulate da TAV con i general contractors proseguono con RFI S.p.a. (Sui rapporti giuridici fra i due soggetti - TAV e RFI - si veda infra).

 

La lettera b) dello stesso articolo 12 provvede ad abrogare i commi 8-seprtiesedecies, 8-duodevicies e 8-undevicies del medesimo articolo 13 del citato decreto legge n. 7/2007:

§      il comma 8-septiesdeciesdisciplina i criteri e la procedura per i rimborsi dovuti dalla Società Ferrovie dello Stato, prevedendo che questa, anche in deroga alla normativa vigente, provveda direttamente all’accertamento ed al rimborso degli oneri connessi alle attività progettuali e preliminari condotte per le opere oggetto della revoca; il rimborso è dovuto nei limiti dei costi effettivamente sostenuti e non ancora rimborsati alla data di entrata in vigore del decreto legge;

§      Il comma 8-duodevicies, novellando l’articolo 21-quinquies della legge n. 241/1990, prevede che l’indennizzo dovuto dalla pubblica amministrazione, nei casi di revoca di un atto amministrativo che incida su rapporti negoziali, venga parametrato al solo danno emergente e tenga conto sia della conoscenza - o conoscibilità – da parte dei contraenti della contrarietà all’interesse pubblico dell’atto stesso, sia dell’eventuale concorso dei contraenti alla erronea valutazione della compatibilità dell’atto con l’interesse pubblico;

§      Il comma 8-undevicies prevede che il Governo trasmetta al Parlamento, entro il 30 giugno di ogni anno, una relazione sugli effetti economici finanziari derivanti dall’attuazione delle norme contenute nei commi sopra descritti, con specifico riferimento alla realizzazione dei progetti del Sistema alta velocità.

 

La realizzazione di una rete europea di treni ad alta velocità – che rappresenta una delle linee guida della politica comunitaria dei trasporti - è stata individuata già dal primo Piano Generale dei Trasporti del 1986 come intervento in grado di rilanciare il ruolo della ferrovia, riequilibrare il sistema di trasporto e facilitare il processo di integrazione europea.

Il contratto di programma 1991-1992 tra Ministero dei trasporti e FS s.p.a. ha stabilito che il finanziamento della realizzazione del sistema Alta Velocità dovesse essere ripartito tra Stato e privati, nella misura rispettiva del 40% e 60%, lasciando allo Stato il pagamento dei costi, più gli oneri per gli interessi, relativi alle fasi di costruzione delle opere, di avviamento e di pre-esercizio.

In data 19 luglio 1991 è stata costituita la società TAV (Treno Alta velocità s.p.a.), avente per oggetto sociale la progettazione esecutiva e la costruzione delle linee e delle infrastrutture e di quant'altro occorra ai fini del Sistema Alta Velocità, nonché lo sfruttamento economico delle stesse, finalizzato al recupero ed alla remunerazione del capitale investito da parte della società stessa. L'esercizio dell'attività di trasporto ferroviario è stato escluso dall'oggetto sociale e riservato alla gestione unitaria di Ferrovie dello Stato. Al capitale sociale della società hanno partecipato per il 55,5% istituti di credito italiani ed esteri, e per il restante 45,5% FS.

Con atto di concessione del 7 agosto 1991 e successiva convenzione attuativa del 24 settembre 1991, Ferrovie dello Stato ha trasferito alla società TAV s.p.a. la progettazione, la costruzione e lo sfruttamento economico del sistema Alta Velocità Milano-Napoli e Torino-Venezia, prevedendo, inoltre, che all'adempimento delle prestazioni la società concessionaria provvedesse "avvalendosi di general contractors che dovranno essere - o dovranno essere interamente garantiti da - uno dei principali gruppi industriali italiani" e che i rapporti tra la TAV s.p.a. e i general contractors fossero regolati da apposite convenzioni.

Nel 1998 Ferrovie dello Stato - ormai trasformatasi da ente pubblico in società per azioni - ha acquisito il controllo del 100% della società TAV S.p.a., che è diventata così la società di scopo di FS S.p.a. - Rete Ferroviaria Italiana (RFI) per la progettazione e la costruzione delle linee ferroviarie veloci (Alta Velocità/Alta Capacità) da realizzare lungo le principali direttrici di trasporto del Paese, ossia la dorsale Milano-Napoli, la trasversale Torino-Milano-Padova ed il collegamento Milano-Genova.

L’ultimo atto di concessione del Ministero dei trasporti a FS S.p.a. ha previsto il proseguimento del rapporto convenzionale tra le due società FS S.p.a. (in veste di gestore dell’infrastruttura) e TAV S.p.a., estendendo a tale rapporto l’applicazione delle norme ivi previste in materia di vigilanza del Ministero dei trasporti e di decadenza e revoca della concessione.

 

La normativa sopravvenuta - articolo 131 della legge finanziaria 2001[36] - ha disposto l’applicazione della normativa comunitaria e nazionale in materia di appalti pubblici ai lavori di costruzione delle tratte ad alta velocità, specificamente per i lavori di costruzione non ancora iniziati alla data di entrata in vigore della legge, i cui corrispettivi ancorché determinabili non fossero stati ancora definiti, e per le connesse opere di competenza di Ferrovie dello Stato S.p.a..

Contestualmente, veniva disposta la revoca delle concessioni rilasciate dall’ente Ferrovie dello Stato a TAV S.p.a., per la parte concernente i lavori in questione, ad eccezione di quelli per i quali fosse stata applicata o fosse applicabile la disciplina generale relativa all’affidamento dei lavori pubblici.

Nel complesso, la disposizione comportava l’obbligo per TAV di effettuare gare di appalto europee per la realizzazione o il completamento dei lavori individuati dallo stesso articolo 131, facendo venire meno il rapporto tra la TAV e i general contractor. Per i lavori relativi alla tratta ferroviaria ad alta capacità Torino-Milano, approvati in conferenza di servizi il 14 luglio 2000, veniva prevista un’eccezione: pertanto i lavori avrebbero dovuto proseguire secondo il sistema concessione TAV - convenzione con il general contractor.

Successivamente - con l’articolo 11 della legge n. 166/2002 (c.d. collegato infrastrutture) – è stato abrogatoil comma 2 dell’articolo 131della legge finanziaria 2001: con tale abrogazione si è inteso riaffermare, per quanto concerne la costruzione delle tratte ad “alta velocità”, la validità del meccanismo della concessione alla società TAV - convenzione con il general contractor, facendo venir meno la prescrizione dell’affidamento dei lavori mediante gara europea introdotta dall’ articolo 131. L’articolo prevedeva quindi che proseguissero, senza soluzione di continuità, le concessioni rilasciate a TAV S.p.a. dall'ente Ferrovie dello Stato ed i sottostanti rapporti instaurati da TAV S.p.a., riguardanti le opere individuate dall’articolo 131 della legge finanziaria per il 2001.

 


 

Articolo 13
(Misure per valorizzare il patrimonio residenziale pubblico)


1. Al fine di valorizzare gli immobili residenziali costituenti il patrimonio degli Istituti autonomi per le case popolari, comunque denominati, e di favorire il soddisfacimento dei fabbisogni abitativi, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto il Ministro delle infrastrutture ed il Ministro per i rapporti con le regioni promuovono, in sede di Conferenza unificata, di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, la conclusione di accordi con regioni ed enti locali aventi ad oggetto la semplificazione delle procedure di alienazione degli immobili di proprietà dei predetti Istituti.

2. Ai fini della conclusione degli accordi di cui al comma 1, si tiene conto dei seguenti criteri:

a) determinazione del prezzo di vendita delle unità immobiliari in proporzione al canone di locazione;

b) riconoscimento del diritto di opzione all'acquisto in favore dell'assegnatario unitamente al proprio coniuge, qualora risulti in regime di comunione dei beni, ovvero, in caso di rinunzia da parte dell'assegnatario, in favore del coniuge in regime di separazione dei beni, o, gradatamente, del convivente more uxorio, purché la convivenza duri da almeno cinque anni, dei figli conviventi, dei figli non conviventi;

c) destinazione dei proventi delle alienazioni alla realizzazione di interventi volti ad alleviare il disagio abitativo.

3. Nei medesimi accordi, fermo quanto disposto dall'articolo 1, comma 6, del decreto-legge 25 settembre 2001, n. 351, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2001, n. 410, può essere prevista la facoltà per le amministrazioni regionali e locali di stipulare convenzioni con società di settore per lo svolgimento delle attività strumentali alla vendita dei singoli beni immobili.


 

 

Il comma 1 dell'articolo in esame è finalizzato:

§      alla valorizzazione degli immobili residenziali costituenti il patrimonio degli Istituti autonomi per le case popolari (IACP), comunque denominati;

§      a favorire il soddisfacimento dei fabbisogni abitativi.

Si ricorda che con l’art. 93, comma 2, del DPR n. 616/1977, sono state trasferite alle regioni “le funzioni statali relative agli IACP”, per cui tali istituti sono divenuti enti regionali.

Ai sensi del medesimo articolo 93 è stato altresì attribuito alle regioni anche il potere di organizzare il “servizio della casa” in conformità ai principi stabiliti dalla legge di riforma delle autonomie locali (riforma attuata successivamente, con l’approvazione della legge n. 142/1990, poi trasfusa nel D.Lgs. n. 267/2000). Ciò ha indotto alcune regioni ad adottare per gli IACP il modulo organizzativo dell’ente pubblico economico in sostanziale conformità con quello dell’azienda speciale previsto, per la gestione dei servizi pubblici locali, dalla citata legge n. 142/1990: in tali regioni[37] gli IACP sono stati quindi trasformati in Aziende Territoriali per l’Edilizia Residenziale (ATER). Altre regioni hanno, invece, preferito scegliere il modulo organizzativo dell’ente pubblico non economico o quello, del tutto opposto, della società di capitali. Vi sono, infine, anche delle regioni che non si sono avvalse della facoltà conferita dall’art. 93 del d.p.r. 616/1977 per cui in esse continuano ad operare gli IACP nella loro struttura originaria.

 

Per i fini indicati viene previsto che, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, il Ministro delle infrastrutture ed il Ministro per i rapporti con le regioni promuovono, in sede di Conferenza unificata, la conclusione di accordi con regioni ed enti locali inerenti la semplificazione delle procedure di alienazione degli immobili di proprietà dei predetti Istituti.

 

Il comma 2 elenca i seguenti criteri da considerare ai fini della conclusione degli accordi di cui al comma 1:

a) determinazione del prezzo di vendita delle unità immobiliari in proporzione al canone di locazione;

b) riconoscimento del diritto di opzione all’acquisto in favore dell'assegnatario unitamente al proprio coniuge, qualora risulti in regime di comunione dei beni, ovvero, in caso di rinunzia da parte dell'assegnatario, in favore del coniuge in regime di separazione dei beni, o, gradatamente, del convivente more uxorio, purché la convivenza duri da almeno cinque anni, dei figli conviventi, dei figli non conviventi;

c) destinazione dei proventi delle alienazioni alla realizzazione di interventi volti ad alleviare il disagio abitativo.

 

Si fa notare che i primi due commi dell'articolo in esame riproducono, nella sostanza, i commi 597-598 dell’art. 1 della legge finanziaria 2006 (n. 266/2005), dichiarati illegittimi dalla Corte costituzionale, con sentenza n. 94 del 2007[38], in seguito ai ricorsi presentati dalle regioni Toscana, Veneto, Valle d'Aosta, Piemonte, Liguria, Emilia-Romagna e Friuli-Venezia Giulia.

In particolare si ricorda che il comma 597 prevedeva che la valorizzazione degli immobili costituenti il patrimonio degli IACP avvenisse mediante una semplificazione delle procedure in materia di alienazione degli immobili di proprietà degli istituti medesimi sulla base di modalità definite con apposito DPCM.

Secondo la Corte, il fine del comma 597 non è quello di dettare una disciplina generale in tema di assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, di competenza dello Stato, bensì “quello di regolare le procedure amministrative e organizzative per arrivare ad una più rapida e conveniente cessione degli immobili. Si tratta quindi di un intervento normativo dello Stato nella gestione degli alloggi di proprietà degli IACP (o di altri enti o strutture sostitutivi di questi), che esplicitamente viene motivato dalla legge statale con finalità di valorizzazione di un patrimonio immobiliare non appartenente allo Stato, ma ad enti strumentali delle Regioni”. Secondo la Corte si profila, pertanto, una ingerenza nella potestà legislativa residuale delle Regioni, ai sensi del quarto comma dell'art. 117 Cost. Di conseguenza “la fonte regolamentare, destinata dalla disposizione impugnata a disciplinare le procedure di alienazione degli immobili, è stata prevista in una materia non di competenza esclusiva dello Stato, in violazione del sesto comma del medesimo art. 117”.

La disposizione recata dal comma 1 dell'articolo in esame si differenzia da quella, dichiarata illegittima, contenuta nel citato comma 597, per il fatto che l’individuazione delle modalità di semplificazione non è più demandata ad un DPCM, ma alla conclusione di accordi con regioni ed enti locali.

 

In base al comma 3, negli accordi stessi può essere prevista la facoltà per le amministrazioni regionali e locali di stipulare convenzioni con società di settore per lo svolgimento delle attività strumentali alla vendita dei singoli beni immobili, fermo quanto disposto dall’art. 1, comma 6, del DL n. 351/2001.

Si ricorda che il comma 6 dell’articolo 1 del DL n. 351/2001 dispone che le disposizioni del medesimo articolo “si applicano ai beni di regioni, province, comuni ed altri enti locali che ne facciano richiesta, nonché ai beni utilizzati per uso pubblico, ininterrottamente da oltre venti anni, con il consenso dei proprietari”.

Le restanti disposizioni dell’articolo 1 (ad eccezione dei commi da 6-bis a 6-quater, che riguardano i beni immobili di proprietà delle Ferrovie dello Stato S.p.A.) sono volte a consentire la ricognizione del patrimonio immobiliare pubblico, quale prerequisito per il suo riordino e la sua gestione e valorizzazione, da parte dell’Agenzia del demanio.

Si ricorda, altresì, che una disposizione analoga a quella recata dal comma in esame era contenuta nel comma 599 dell’articolo 1 della legge finanziaria 2006, anch’esso dichiarato costituzionalmente illegittimo con la citata sentenza n. 94/2007. Tuttavia nel citato comma 599 non vi era un rinvio a singole parti del decreto-legge n. 351 in materia di privatizzazione e valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico, ma a tutte le disposizioni da esso recate. Tale comma 599 prevedeva, infatti, che “agli immobili degli Istituti proprietari, che ne facciano richiesta attraverso le regioni, si applicano le disposizioni previste dal decreto-legge 25 settembre 2001, n. 351”.

 

Poiché le disposizioni in materia di privatizzazione e valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico sono contenute in tutto il Capo I del DL n. 351 del 2001 (articoli 1, 2, 3, 3-bis e 4), occorrerebbe valutare l’opportunità di estendere il riferimento ai predetti articoli.


 

Articolo 14
(Expo Milano 2015)


1. Per la realizzazione delle opere e delle attività connesse allo svolgimento del grande evento EXPO Milano 2015 in attuazione dell'adempimento degli obblighi internazionali assunti dal governo italiano nei confronti del Bureau International des Expositions (BIE) è autorizzata la spesa di 30 milioni di euro per l'anno 2009, 45 milioni di euro per l'anno 2010, 59 milioni di euro per l'anno 2011, 223 milioni di euro per l'anno 2012, 564 milioni di euro per l'anno 2013, 445 milioni di euro per l'anno 2014 e 120 milioni di euro per l'anno 2015.

2. Ai fini di cui al comma 1 il Sindaco di Milano pro tempore, senza oneri aggiuntivi a carico del bilancio dello Stato, è nominato Commissario straordinario del Governo per l'attività preparatoria urgente. Entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentito il Presidente della regione Lombardia e sentiti i rappresentanti degli enti locali interessati, sono istituiti gli organismi per la gestione delle attività, compresa la previsione di un tavolo istituzionale per il governo complessivo degli interventi regionali e sovra regionali presieduto dal presidente della regione Lombardia pro tempore e sono stabiliti i criteri di ripartizione e le modalità di erogazione dei finanziamenti.


 

 

Il comma 1 dell'articolo in esame reca le seguenti autorizzazioni di spesa per la realizzazione delle opere e delle attività connesse allo svolgimento del grande evento EXPO Milano 2015 in attuazione dell’adempimento degli obblighi internazionali assunti dal governo italiano nei confronti del Bureau International des Expositions (BIE):

Anno

Importo

(milioni di euro)

2009

30

2010

45

2011

59

2012

223

2013

564

2014

445

2015

120

Totale

1.486

Come è noto, il 31 marzo 2008 a Parigi, i Paesi membri del BIE hanno scelto Milano come sede dell'edizione 2015 dell'Expo[39], preferendola all’unica concorrente, la città turca di Smirne. L’Esposizione, che è intitolata Nutrire il pianeta:energia per la vita, si svolgerà a Milano dal 1° maggio al 31 ottobre 2015. Tra gli obiettivi quello di dare visibilità alla tradizione, alla creatività e all’innovazione nel settore dell’alimentazione, raccogliendo tematiche già sviluppate da precedenti edizioni e riproponendole alla luce dei nuovi scenari globali, al centro dei quali c’è il tema del diritto ad un’alimentazione sana, sicura e sufficiente per tutto il Pianeta.

Si ricorda che l’Expo 2015 di Milano è stata dichiarata “grande evento” con il DPCM 30 agosto 2007 (GU 11 settembre 2007, n. 211), ai sensi dell’art. 5-bis, comma 5, del DL n. 343/2001.

Nelle premesse di tale DPCM la citata dichiarazione viene motivata, tra l’altro, alla luce della “particolare complessità organizzativa dell'evento sotto il profilo della sicurezza, dell'ordine pubblico, della mobilità, della ricezione alberghiera, per la quale dovranno essere attuati interventi infrastrutturali e predisposte strutture ricettive adeguate o riconvertite le strutture esistenti, anche ai fini dell'accoglienza e dell'assistenza sanitaria”.

Successivamente è stata emanata l’OPCM 18 ottobre 2007, n. 3623, con la quale, tra l’altro, si è provveduto alla nomina del sindaco del comune di Milano a Commissario delegato per la predisposizione degli interventi necessari alla migliore presentazione della candidatura della Città di Milano quale sede del grande evento «Expo 2015» e ne sono stati definiti i compiti.

Quanto all’art. 5-bis, comma 5, del DL n. 343/2001, si ricorda che esso ha esteso il campo di applicazione previsto per la dichiarazione dello stato di emergenza, includendovi anche Ia dichiarazione dei grandi eventi rientranti nella competenza del Dipartimento della protezione civile, diversi da quelli per i quali si rende necessaria la delibera dello stato di emergenza (art. 2, comma 1, lett. c) della legge n. 225).

 

Ai sensi del comma 2, per i fini di cui al comma 1, il Sindaco di Milano pro-tempore, senza oneri aggiuntivi a carico del bilancio dello Stato, è nominato Commissario straordinario del Governo per l’attività preparatoria urgente.

Viene altresì prevista l’emanazione, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, di apposito DPCM, sentito il Presidente della Regione Lombardia e i rappresentanti degli enti locali interessati, volto alla:

§      istituzione degli organismi per la gestione delle attività, compresa la previsione di un tavolo istituzionale per il governo complessivo degli interventi regionali e sovra regionali presieduto dal Presidente della Regione Lombardia pro-tempore;

§       fissazione dei criteri di ripartizione e delle modalità di erogazione dei finanziamenti.

 


 

Articolo 15
(Costo dei libri scolastici)


1. A partire dall'anno scolastico 2008-2009, nel rispetto della normativa vigente e fatta salva l'autonomia didattica nell'adozione dei libri di testo nelle scuole di ogni ordine e grado, tenuto conto dell'organizzazione didattica esistente, i competenti organi individuano preferibil­mente i libri di testo disponibili, in tutto o in parte, nella rete internet. Gli studenti accedono ai testi disponibili tramite internet, gratuitamente o dietro pagamento a seconda dei casi previsti dalla normativa vigente.

2. Al fine di potenziare la disponibilità e la fruibilità, a costi contenuti di testi, documenti e strumenti didattici da parte delle scuole, degli alunni e delle loro famiglie, nel termine di un triennio, a decorrere dall'anno scolastico 2008-2009, i libri di testo per le scuole del primo ciclo dell'istruzione, di cui al decreto legislativo 19 febbraio 2004, n. 59, e per gli istituti di istruzione secondaria superiore sono prodotti nelle versioni a stampa, on line scaricabile da internet, e mista. A partire dall'anno scolastico 2011-2012, il collegio dei docenti adotta esclusivamente libri utilizzabili nelle versioni on line scaricabili da internet o mista. Sono fatte salve le disposizioni relative all'adozione di strumenti didattici per i soggetti diversamente abili.

3. I libri di testo sviluppano i contenuti essenziali delle Indicazioni nazionali dei piani di studio e possono essere realizzati in sezioni tematiche, corrispondenti ad unità di apprendimento, di costo contenuto e suscettibili di successivi aggiornamenti e integrazioni. Con decreto di natura non regolamentare del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, sono determinati:

a) le caratteristiche tecniche dei libri di testo nella versione a stampa, anche al fine di assicurarne il contenimento del peso;

b) le caratteristiche tecnologiche dei libri di testo nelle versioni on line e mista;

c) il prezzo dei libri di testo della scuola primaria e i tetti di spesa dell'intera dotazione libraria per ciascun anno della scuola secondaria di I e II grado, nel rispetto dei diritti patrimoniali dell'autore e dell'editore.

4. Le Università e le Istituzioni dell'alta formazione artistica, musicale e coreutica, nel rispetto della propria autonomia, adottano linee di indirizzo ispirate ai principi di cui ai commi 1, 2 e 3.


 

 

L’articolo 15 stabilisce nuove modalità di fruizione dei libri scolastici, prevedendo una disciplina finalizzata a ridurre progressivamente i costi per le famiglie, a partire dall’anno scolastico 2008-2009[40].

Pertanto, il comma 1, facendo salva l’autonomia didattica nell’adozione dei libri di testo delle scuole di ogni ordine e grado, prevede che, a partire dal primo anno scolastico successivo a quello in corso – ossia, dall’anno scolastico 2008-2009 -, sia data preferenza, nelle scelte degli organi competenti, a libri di testo disponibili, in tutto o in parte, nella rete internet. L’accesso a tali testi da parte degli studenti avviene gratuitamente o dietro pagamento a seconda dei casi previsti dalla normativa vigente.

Tale ultima condizione si riferisce, presumibilmente, alla disciplina sulla gratuità dei libri di testo (vedi infra).

 

Si ricorda che l’articolo 7 del D.Lgs. n. 297/2004[41], c.d. T.U. sulla scuola, affida l’adozione dei libri di testo alla competenza del collegio dei docenti, sentiti i consigli di interclasse (nelle scuole elementari: ora, scuole primarie) o di classe (negli istituti di istruzione secondaria).

L’articolo 156 del medesimo D.Lgs. prevede che agli alunni delle scuole elementari (ora, scuole primarie) i libri di testo sono forniti gratuitamente dai comuni, secondo modalità stabilite dalla legge regionale[42].

L’art. 27 della l. n. 448/1998[43] ha, poi, stabilito che nell’a.s. 1999-2000 i comuni provvedessero a garantire la gratuità, totale o parziale, dei libri di testo in favore degli alunni che adempivano l’obbligo scolastico, purché in possesso dei requisiti individuati da uno specifico DPCM[44]ed ha autorizzato, a tal fine, la spesa di 100 miliardi di lire.

Successivamente, l’articolo 53 della l. n. 488/1999[45] (finanziaria 2000) ha stabilito che le disposizioni sopra citate continuassero ad applicarsi anche nell'anno scolastico 2000-2001, confermando la spesa di lire 100 miliardi, finanziamento poi integrato con altri 100 miliardi dalla tabella D della stessa legge finanziaria. La fornitura gratuita dei libri di testo è stata quindi rifinanziata per gli anni seguenti, sempre per l’importo di 200 miliardi di lire - divenuti 103,3 milioni di euro con l’introduzione della nuova moneta - con la tabella D di successive leggi finanziarie[46].

L’ art. 27 della legge n. 448/1999 ha, inoltre, previsto che con decreto del Ministro della pubblica istruzione fossero individuati i criteri per la determinazione del prezzo massimo complessivo della dotazione libraria necessaria per ciascun anno della scuola dell’obbligo, da assumere quale limite all’interno del quale i docenti dovevano collocare le proprie scelte.

A tale previsione ha dato seguito il DM n. 547/1999, che ha fissato i criteri in questione, a decorrere dall’a.s. 2000-2001[47]. Il medesimo D.M., inoltre – essendo nel frattempo intervenuta la l. 9/1999[48] che elevava l’obbligo di istruzione a 10 anni prevedendo, però, che fino ad un riordino generale del sistema scolastico l’obbligo di istruzione avesse durata novennale - ha fissato i criteri per la determinazione del prezzo massimo complessivo della dotazione libraria necessaria per le discipline del primo anno di corso della scuola secondaria superiore.

Nel prosieguo, è intervenuto l’art. 1, c. 628, della l. 296/2006[49], che ha esteso agli studenti del primo e secondo anno dell’istruzione secondaria superiore la gratuità parziale dei testi prevista dall’art. 27 della l. 448/1998.

Il medesimo articolo ha, inoltre, previsto che con decreto del Ministro della pubblica istruzione fossero stabiliti i criteri per la determinazione del prezzo massimo complessivo della dotazione libraria per gli anni successivi al secondo dell’istruzione secondaria superiore.

È, quindi, intervenuto il Decreto del Ministro della pubblica istruzione 22 febbraio 2008, n. 28, che ha stabilito per l’a.s. 2008-2009 il prezzo massimo complessivo delle dotazione libraria necessaria per ciascun anno di ciascuna tipologia di scuola secondaria superiore (l’importo massimo, di 370 euro, è riferito al III anno del liceo classico), all’interno del quale i docenti sono tenuti ad effettuare le proprie scelte[50].

 

Il comma 2, primo periodo,stabilisce, quindi,che nel termine di un triennio a decorrere dall’a.s. 2008-2009 (quindi, entro l’a.s. 2010-2011), i libri di testo per le scuole del primo ciclo dell’istruzione e per gli istituti di istruzione secondaria superiore sono prodotti nelle versioni a stampa, on line scaricabile da internet e mista (ovvero, presumibilmente, cartacea e digitale).

Il secondo periodo del medesimo comma 2 stabilisce che, a decorrere dall’a.s. 2011-2012, il collegio dei docenti adotta esclusivamente libri utilizzabili nelle versioni on line scaricabile da internet o mista.

 

L’ultimo periodo fa salve le disposizioni relative all’adozione di strumenti didattici per i soggetti diversamente abili.

 

Si ricorda che la l. n. 4/2004[51]stabilisce che la Repubblica riconosce e tutela il diritto di ogni persona, in particolare della persona disabile, ad accedere a tutte le fonti di informazione e ai relativi servizi, ivi compresi quelli che si articolano attraverso gli strumenti informatici e telematici. L’art. 5 prevede, quindi, che le relative disposizioni si applichino anche al materiale formativo e didattico utilizzato nelle scuole di ogni ordine e grado.

Il regolamento attuativo della legge citata[52] ha, quindi, demandato ad un decreto interministeriale l’individuazione delle specifiche regole tecniche che disciplinano l’accessibilità, da parte degli utenti, agli strumenti didattici e formativi di cui all’articolo 5 sopra richiamato.

Il decreto in questione, intervenuto il 30 aprile 2008, stabilisce, tra l’altro, che:

-        per strumenti didattici e formativi si intendono programmi informatici e documenti in formato elettronico usati nei processi di istruzione e apprendimento. In tale definizione sono compresi i libri di testo;

-        per software didattico si intendono i programmi applicativi informatici finalizzati a supportare gli apprendimenti. Sono tali, ad esempio, i programmi basati sull’alternanza spiegazione – verifica (tutoriali), quelli basati sullo schema domanda-risposta-verifica (eserciziari), gli ambienti di simulazione, i giochi educativi, i corsi interattivi di lingua straniera;

-        che i servizi sopra indicati devono rispondere, fra l’altro, a criteri di facilità e semplicità d’uso, di efficienza, di rispondenza alle esigenze dell’utenza.

 

Il comma 3 interviene, anzitutto, sul contenuto e sulla struttura dei libri di testo. Quanto al primo aspetto, stabilisce che essi debbano sviluppare i contenuti essenziali delle Indicazioni nazionali dei piani di studio.

 

Si ricorda che l’art. 7, comma 1, lett. a), della legge n. 53/2003[53] prevede che alla definizione del nucleo essenziale dei piani di studio scolastici per la quota nazionale, relativamente, fra l’altro, agli obiettivi specifici di apprendimento, si provveda mediante regolamenti di delegificazione[54].

In attesa dell’emanazione del regolamento governativo, il D.Lgs. n. 59/2004[55], in via transitoria, ha previsto le indicazioni nazionali con riferimento alla scuola dell’infanzia e al primo ciclo di istruzione (artt. 12, 13 e 14). Con DM 3 luglio 2007 sono state emanate Indicazioni- da utilizzare sperimentalmente- per l’ elaborazione dei curricoli per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo di istruzione, ordini di scuole per i quali è entrata a regime la cosiddetta “riforma Moratti” (di cui alla legge 53/2003).

Con riferimento al secondo ciclo, il D.Lgs n. 226 del 2005[56] ha provveduto direttamente ad individuare, fra gli altri, le indicazioni nazionali per i piani di studio personalizzati dei percorsi liceali e dei rispettivi indirizzi; tuttavia, non essendo stata avviata la riforma citata[57], occorre fare riferimento ancora ad orari e piani di studio indicati da decreti ministeriali.

Si ricorda, peraltro che il DM 26 giugno 2000, n. 234 aveva disposto che gli ordinamenti (e le relative sperimentazioni) funzionanti nell'anno scolastico 1999/2000, sia con riferimento ai programmi di insegnamento che agli orari di funzionamento delle scuole di ogni ordine e grado, ivi compresa la scuola materna, costituissero, in prima applicazione dell'articolo 8 del decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275, i curricoli delle istituzioni scolastiche autonome.

 

Quanto al secondo aspetto, si prevede che i libri di testo possano essere realizzati in sezioni tematiche, corrispondenti ad unità di apprendimento.

Si affida, quindi, ad un decreto di natura non regolamentare del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca la determinazione:

§      delle caratteristiche tecniche dei libri di testo nella versione a stampa, anche al fine di assicurarne il contenimento del peso[58];

§      delle caratteristiche tecniche dei libri di testo nelle versioni on line e mista;

§       il prezzo dei libri di testo della scuola primaria e i tetti di spesa dell’intera dotazione libraria per ciascun anno della scuola secondaria di I e II grado, nel rispetto dei diritti patrimoniali dell’autore e dell’editore.

 

Con riferimento alla nuova modalità di fruizione dei libri di testo, sarebbe opportuno esplicitare il coordinamento con la normativa vigente in materia di comodato e di noleggio (art. 27, c. 1, l. 448/1998 e art. 1, c. 628 ed 629, l. 296/2006).

Il comma 4, infine, stabilisce che le Università e le Istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica, nel rispetto della loro autonomia, adottano linee di indirizzo ispirate ai principi recati dai commi precedenti.

 

Alla luce del disposto del comma 4, si segnala l’opportunità di integrare la rubrica dell’articolo con un riferimento ai testi universitari.


 

Articolo 16
(Facoltà di trasformazione in fondazioni delle università)


1. In attuazione dell'articolo 33 della Costituzione, nel rispetto delle leggi vigenti e dell'autonomia didattica, scientifica, organizzativa e finanziaria, le Università pubbliche possono deliberare la propria trasformazione in fondazioni di diritto privato. La delibera di trasformazione è adottata dal Senato accademico a maggioranza assoluta ed è approvata con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze. La trasformazione opera a decorrere dal 1o gennaio dell'anno successivo a quello di adozione della delibera.

2. Le fondazioni universitarie subentrano in tutti i rapporti attivi e passivi e nella titolarità del patrimonio dell'Università. Al fondo di dotazione delle fondazioni universitarie è trasferita, con decreto dell'Agenzia del demanio, la proprietà dei beni immobili già in uso alle Università trasformate.

3. Gli atti di trasformazione e di trasferimento degli immobili e tutte le operazioni ad essi connesse sono esenti da imposte e tasse.

4. Le fondazioni universitarie sono enti non commerciali e perseguono i propri scopi secondo le modalità consentite dalla loro natura giuridica e operano nel rispetto dei principi di economicità della gestione. Non è ammessa in ogni caso la distribuzione di utili, in qualsiasi forma. Eventuali proventi, rendite o altri utili derivanti dallo svolgimento delle attività previste dagli statuti delle fondazioni universitarie sono destinati interamente al perseguimento degli scopi delle medesime.

5. I trasferimenti a titolo di contributo o di liberalità a favore delle fondazioni universitarie sono esenti da tasse e imposte indirette e da diritti dovuti a qualunque altro titolo e sono interamente deducibili dal reddito del soggetto erogante. Gli onorari notarili relativi agli atti di donazione a favore delle fondazioni universitarie sono ridotti del 90 per cento.

6. Contestualmente alla delibera di trasformazione vengono adottati lo statuto e i regolamenti di amministrazione e di contabilità delle fondazioni universitarie, i quali devono essere approvati con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze. Lo statuto può prevedere l'ingresso nella fondazione universitaria di nuovi soggetti, pubblici o privati.

7. Le fondazioni universitarie adottano un regolamento di Ateneo per l'ammini­strazione, la finanza e la contabilità, anche in deroga alle norme dell'ordinamento contabile dello Stato e degli enti pubblici, fermo restando il rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario.

8. Le fondazioni universitarie hanno autonomia gestionale, organizzativa e contabile, nel rispetto dei princìpi stabiliti dal presente articolo.

9. La gestione economico-finanziaria delle fondazioni universitarie assicura l'equilibrio di bilancio. Il bilancio viene redatto con periodicità annuale. Resta fermo il sistema di finanziamento pubblico; a tal fine, costituisce elemento di valutazione, a fini perequativi, l'entità dei finanziamenti privati di ciascuna fondazione.

10. La vigilanza sulle fondazioni universitarie è esercitata dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze. Nei collegi dei sindaci delle fondazioni universitarie è assicurata la presenza dei rappresentanti delle Amministrazioni vigilanti.

11. La Corte dei conti esercita il controllo sulle fondazioni universitarie secondo le modalità previste dalla legge 21 marzo 1958, n. 259 e riferisce annualmente al Parlamento.

12. In caso di gravi violazioni di legge afferenti alla corretta gestione della fondazione universitaria da parte degli organi di amministrazione o di rappresentanza, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca nomina un Commissario straordinario senza oneri aggiuntivi a carico del Bilancio dello Stato, con il compito di salvaguardare la corretta gestione dell'ente ed entro sei mesi da tale nomina procede alla nomina dei nuovi amministratori dell'ente medesimo, secondo quanto previsto dallo statuto.

13. Fino alla stipulazione del primo contratto collettivo di lavoro, al personale amministrativo delle fondazioni univer­sitarie si applica il trattamento economico e giuridico vigente alla data di entrata in vigore della presente norma.

14. Alle fondazioni universitarie continuano ad applicarsi tutte le disposizioni vigenti per le Università statali in quanto compatibili con il presente articolo e con la natura privatistica delle fondazioni medesime.


 

 

L’articolo in commento prevede la facoltà per le università pubbliche di trasformarsi in fondazioni di diritto privato (comma 1).

 

A tal proposito, si ricorda che, nell’ordinamento giuridico italiano, la fondazione è una figura giuridica soggettiva di diritto privato. L’istituto viene classicamente definito come «stabile organizzazione predisposta per la destinazione di un patrimonio ad un determinato scopo di pubblica utilità»[59].

Al pari delle associazioni, la fondazione rientra, dunque, nel novero delle organizzazioni collettive mediante le quali i privati perseguono scopi che superano la sfera individuale. Secondo la tradizionale ricostruzione della dottrina, a differenza delle società, fondazioni e associazioni si caratterizzano per l’assenza di uno scopo di lucro (distribuzione di utili). Tuttavia, per quanto concerne la fondazione, l’opinione dominante nella dottrina ne individua la peculiarità non tanto in questo criterio negativo, quanto piuttosto nel perseguimento di fini di rilevante interesse collettivo.

Una disciplina di carattere generale delle fondazioni (insieme con quella delle associazioni riconosciute) è contenuta nel Libro I del Codice civile (artt. 14-35)[60]. Tale disciplina è completata dalle norme del D.P.R. 10 febbraio 2000, n. 361, con il quale è stato riordinato il procedimento per l’acquisto della personalità giuridica ed il sistema dei controlli sulle persone giuridiche private[61].

Accanto al modello codicistico, occorre però sottolineare che, negli ultimi anni, il legislatore ha più volte fatto ricorso alla forma organizzativa della fondazione, dettando singole discipline settoriali per specifiche categorie di enti. Con riferimento ai più recenti e significativi interventi, si ricorda, ad esempio, la normativa relativa alle fondazioni bancarie[62] e alle fondazioni lirico-sinfoniche[63].

Con specifico riferimento all’articolo in commento, si sottolinea, in particolare, che l’art. 59 della l. finanziaria per il 2001 (l. n. 388/2000) ha stabilito la possibilità per una o più università di costituire fondazioni di diritto privato, con la partecipazione di enti ed amministrazioni pubbliche e soggetti privati, per lo svolgimento delle attività strumentali e di supporto alla didattica e alla ricerca. Tali fondazioni sono state ampiamente disciplinate da un regolamento adottato con successivo D.P.R. n. 254/2001[64]. Con tale innovazione si è inteso consentire agli atenei di essere affiancati da una struttura di supporto, presso la quale fosse possibile trasferire tutta una serie di attività strumentali, da svolgere anche con l'apporto finanziario di privati, lasciando alle università le attività istituzionali relative alla didattica e alla ricerca[65].

La possibilità introdotta dalla l. finanziaria per il 2001 configura, pertanto, un’ipotesi diversa da quella considerata nell’articolo in esame, il quale, invece, prevede la possibilità di un cambiamento della natura giuridica delle università, da enti pubblici dotati di autonomia funzionale – secondo la qualificazione prevista dall’art. 1, co. 4, lett. d), della legge 15 marzo 1997, n. 59 – a enti di diritto privato organizzati in forma di fondazioni.

 

Quanto all’ambito soggettivo di applicazione, la norma fa riferimento alle “università pubbliche”. In tale categoria dovrebbero, dunque, ritenersi incluse anche le università non statali[66], che, secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza, sono qualificate come “enti pubblici non economici”[67].

 

Le disposizioni in commento disciplinano:

§      la procedura di trasformazione delle università in fondazioni;

§      alcuni principi relativi allo status delle fondazioni e al regime giuridico applicabile;

§      le forme di vigilanza e controllo statali sulle università costituite in fondazioni.

 

Per quanto riguarda la procedura di trasformazione, è richiesta una delibera del Senato accademico[68], adottata a maggioranza assoluta, successivamente approvata con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze. La trasformazione produce effetti a decorrere dal 1° gennaio dell’anno successivo a quello di adozione della delibera (comma 1).

Contestualmente alla delibera di trasformazione, sono adottati lo statuto e i regolamenti di amministrazione e di contabilità della fondazione, ugualmente sottoposti ad approvazione con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con del Ministro dell’economia (comma 6). Lo statuto può prevedere l’ingresso nella fondazione di nuovi soggetti, pubblici o privati.

 

In proposito, si ricorda che le università hanno autonomia statutaria e regolamentare. Infatti, l’art. 33 Cost., secondo comma, dispone che le università sono disciplinate, oltre che dai rispettivi statuti e regolamenti, esclusivamente da norme legislative che vi operino espresso riferimento. In attuazione del disposto costituzionale, l’art. 6, co. 1, della l. n. 168/1989[69] ha individuato gli strumenti per l’esercizio della riconosciuta autonomia normativa, stabilendo che, in attuazione dell’art. 33 Cost., le università si danno ordinamenti autonomi con propri statuti e regolamenti.

In riferimento allo statuto, si prevedono contenuti minimi e limiti negativi delle norme statutarie. In particolare, l’art. 16 della l. n. 168/1989 ha previsto che gli statuti debbano obbligatoriamente prevedere: l’elettività del rettore; una composizione del Senato accademico che assicuri la rappresentanza delle facoltà; una composizione del c.d.a. che assicuri la rappresentanza delle componenti presenti in base alla normativa precedente; criteri organizzativi che garantiscano l’efficienza nell’erogazione dei servizi e la responsabilità degli amministratori[70]. Un secondo aspetto di rilievo riguarda la procedura di approvazione. Lo statuto è deliberato, sentito il consiglio di amministrazione, da un organo appositamente previsto dall’art. 16, co. 2, della l. n. 168/1989, costituito dal Senato accademico integrato in una particolare composizione[71].

Accanto allo statuto, sono poi previsti i regolamenti di ateneo e quelli interni di ciascuna struttura, che sono emanati con decreto del rettore nel rispetto dei principi e delle procedure stabiliti dallo statuto (art. 6, co. 6). Solo per i regolamenti di ateneo è richiesta la deliberazione da parte degli organi competenti dell'università a maggioranza assoluta dei componenti.

Gli statuti e i regolamenti di ateneo sono trasmessi al Ministro che, entro il termine perentorio di sessanta giorni, esercita il controllo di legittimità e di merito nella forma della richiesta motivata di riesame. In assenza di rilievi essi sono emanati dal rettore (art. 6, co. 9)[72].

 

Per effetto della trasformazione, la fondazione subentra in tutti i rapporti giuridici attivi e passivi dell’università, ivi inclusa la titolarità del patrimonio. Inoltre, la fondazione acquista la proprietà dei beni immobili già in uso all’università mediante decreto di trasferimento dell’Agenzia del demanio al fondo di dotazione della medesima fondazione (comma 2). Gli atti di trasformazione e di trasferimento degli immobili sono esenti da imposte e tasse (comma 3).

 

Quanto agli elementi distintivi delle università costituite in fondazione, l’articolo 16 precisa che si tratta di enti non commerciali che operano nel rispetto dei principi di economicità della gestione. Inoltre – in analogia agli aspetti che, secondo l’opinione prevalente in dottrina, caratterizzano gli enti del libro I del codice civile – non viene ammessa in alcun modo la distribuzione degli utili (assenza di c.d. lucro soggettivo). Eventuali rendite, proventi o utili derivanti dallo svolgimento delle attività statutarie della fondazione (c.d. lucro oggettivo) devono essere interamente reimpiegati in funzione degli scopi istituzionali dell’ente (comma 4).

 

Il carattere distintivo degli enti non commerciali è costituito dal fatto di avere come oggetto esclusivo o principale lo svolgimento di un’attività di "natura non commerciale", intendendosi per tale l’attività che determina reddito d'impresa.

Per economicità delle gestione s’intende lo svolgimento della gestione in modo tale da garantire l’equilibrio tra i ricavi dei beni e servizi prodotti e i costi di produzione.

 

Nei confronti delle università costituite in fondazioni sono, inoltre, previste alcune esenzioni ed agevolazioni fiscali (comma 5). In particolare, sono esenti da tasse, imposte indirette ed eventuali ulteriori diritti, i trasferimenti, a titolo di contributo o di liberalità, in loro favore, mentre le spese notarili per gli atti di donazione sono ridotte del 90 per cento. I contributi e le liberalità sono interamente deducibili dal reddito del soggetto erogante.

 

Il comma 8 riconosce esplicitamente alle fondazioni universitarie:

1) autonomia contabile: è, infatti, specificato che le fondazioni adottano un regolamento di ateneo per l’amministrazione, la finanza e la contabilità, anche in deroga alle norme dell’ordinamento contabile dello Stato e degli enti pubblici, fermo restando il rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario (comma 7);

2) autonomia organizzativa;

3) autonomia gestionale, precisando che la gestione economica finanziaria deve assicurare l’equilibrio di bilancio e che il bilancio viene redatto con periodicità annuale (comma 9).

 

In relazione all’assetto ordinamentale delle università, si ricorda che l’art. 6, co. 1, l. n. 168/1989 ha individuato gli ambiti in cui si esplica l’autonomia, indicando a tal fine i settori dell’autonomia didattica, scientifica, organizzativa, finanziaria e contabile, sia gli strumenti per l’esercizio della riconosciuta autonomia normativa (statuti e regolamenti).

Disposizioni di legge successive hanno poi definito contenuto e limiti delle forme di autonomia riconosciute: cfr, in particolare l’art. 5, l. n. 537/1993 (autonomia finanziaria) e l’art. 17, co. 95, della L. n. 127/1997 e successivi regolamenti di attuazione (autonomia didattica).

Per quanto concerne l’autonomia gestionale e contabile, l’art. 7, l. n. 168/1989 prevede lo strumento del regolamento di amministrazione e finanza, che per ciascun ateneo disciplina le materie della contabilità, relative alla disciplina del bilancio e della sua gestione, del regime dei beni, dei contratti e dei controlli di legittimità, del procedimento amministrativo, dei criteri di gestione delle università, dei controlli interni sull’efficacia e dei risultati della gestione. I limiti dell’autonomia in questa materia, sono stabiliti dall’art. 7, co. 7, che dispone che i regolamenti di amministrazione possano derogare alle norme dell’ordinamento contabile dello Stato e degli enti pubblici, nel rispetto dei relativi principi della contabilità pubblica.

 

È altresì precisato che «resta fermo il sistema di finanziamento pubblico» e che, in tale ambito, l’entità dei finanziamenti privati di ciascuna fondazione costituisce elemento di valutazione «a fini perequativi» (comma 9).

Dalla lettura della norma, si evince dunque che le università costituite in fondazioni rimangono destinatarie dei finanziamenti statali e che si applica un modello di ripartizione dei contributi pubblici che tiene in considerazione l’ammontare dei contributi privati alle singole fondazioni per garantire criteri di equità (nella ripartizione delle medesime risorse).

Si ricorda, sul punto, che il sistema di finanziamento pubblico delle università, complessivamente riformato dall’art. 5 della legge 24 dicembre 1993, n. 537[73], si basa, a decorrere dal 1994, su tre distinti fondi:

a) Fondo per il finanziamento ordinario delle università, che attiene al funzionamento degli atenei e comprende anche le spese per il personale docente e non docente e per la ricerca scientifica universitaria, nonché quelle per la manutenzione ordinaria[74];

b) Fondo per l'edilizia universitaria e per le grandi attrezzature scientifiche, che comprende la quota a carico del bilancio statale per la realizzazione di investimenti;

c) Fondo per la programmazione dello sviluppo del sistema universitario, che include le risorse destinate al finanziamento di specifiche iniziative, attività e progetti, ivi comprese le nuove iniziative didattiche.

L’ammontare di tutti e tre i fondi è determinato annualmente dalla tabella C della legge finanziaria e le relative risorse sono ripartite con decreti ministeriali.

 

In relazione al personale amministrativo delle fondazioni si prevede, in via transitoria, l’applicazione del trattamento economico e giuridico vigente alla data di entrata del decreto, fino alla stipulazione del primo contratto collettivo di lavoro (comma 13).

 

In proposito, si ricorda che, a differenza del personale docente delle università (che rientra nell’area del pubblico impiego), la disciplina del personale tecnico amministrativo dipendente dagli atenei è stata contrattualizzata con la riforma di cui al D.Lgs. n. 29/1993 (ora confluito nel testo unico approvato con D.Lgs. n. 165/2001). Il personale in questione è quindi compreso in uno specifico comparto «università», istituito in base all’art. 10, D.P.C.M. 30 dicembre 1993, n. 593.

 

Quanto alla vigilanza sulle fondazioni, le relative funzioni sono attribuite al Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, che le esercita di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze. Oltre all’approvazione ministeriale della delibera di trasformazione, dello statuto e dei regolamenti (v., supra, co. 1 e 6), si prevede una rappresentanza obbligatoria delle due amministrazioni vigilanti all’interno del collegio sindacale di ciascuna fondazione (comma 10).

È, inoltre, disciplinata l’ipotesi di commissariamento della fondazione: qualora il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca riscontri gravi violazioni di legge relative alla corretta gestione della fondazione stessa da parte dei suoi organi di amministrazione o di rappresentanza, nomina un commissario straordinario (senza oneri a carico del bilancio dello Stato) ed entro sei mesi procede alla nomina dei nuovi amministratori della fondazione, nel rispetto delle norme previste nel relativo statuto (comma 12).

Il controllo sulla gestione finanziaria delle fondazioni è, invece, attribuito alla Corte dei Conti, che lo esercita nelle forme previste dalla l. n. 259/1958[75] e riferisce annualmente al Parlamento (comma 11).

 

Anche in questo caso, è opportuno un confronto con il regime applicabile alle università. In relazione alle attuali forme di vigilanza, si ricorda che il rango costituzionale dell’autonomia ad esse garantita (art. 33 Cost.) determina un particolare regime dei controlli sulle stesse. Le norme, infatti, privilegiano forme di controllo interno o a gestione interna – disciplinate da statuto e regolamenti - e circoscrivono a determinati oggetti e procedimenti le forme di controllo esterno.

In particolare, a seguito del riconoscimento dell’autonomia organizzativa, didattica e finanziaria delle università, in capo al Ministero competente residuano i seguenti poteri:

a) controllo di legittimità e di merito sugli statuti e sui regolamenti di Ateneo, che si esercita sia in sede di adozione, sia in sede di modifica dei medesimi, ai sensi dell’articolo 6 della l. n. 168/1989;

b) i Ministro nomina il rettore con proprio decreto, dopo l’elezione che avviene secondo le norme previste dai singoli statuti e può, per gravi motivi, sentito il Consiglio dei Ministri, revocare il rettore, invitando gli organi competenti a procedere ad una nuova elezione[76];

c) ai sensi della legge n. 400/1988, articolo 2, co. 3, lett. p), il Ministro può proporre al Consiglio dei ministri l’annullamento straordinario di atti assunti dalle università, per motivi di legittimità. L’annullamento è disposto con delibera del Consiglio dei ministri, previo parere del Consiglio di Stato.

Non vi sono, invece, norme esplicite per quanto riguarda il riconoscimento di un potere di sostituzione del Ministro nei confronti dei competenti organi accademici in caso di irregolarità amministrative.

Infine, ai sensi dell’articolo 7, comma 10, della l. n. 168/1989 e dell’articolo 5, comma 21, della l. n. 537/1993, è esplicitamente escluso il controllo da parte della Corte dei conti sui singoli atti di gestione (sia esso di legittimità o di regolarità contabile), mentre la Corte effettua il controllo sui risultati della gestione, di cui dà conto al Parlamento mediante relazione annuale, unica per tutte le università.

 

Da ultimo, in relazione alla disciplina applicabile alle fondazioni universitarie, si prevede, con un rinvio di carattere generale, che continuano ad applicarsi tutte le disposizioni vigenti per le università statali, in quanto compatibili con le disposizioni dell’articolo in esame e con la natura privatistica delle fondazioni medesime (comma 14).

 

Si segnala l’opportunità di indicare almeno l’ambito oggettivo delle disposizioni applicabili alle università statali che si applicherebbero anche alle fondazioni.


 

Articolo 17
(Progetti di ricerca di eccellenza)


1. Al fine di una più efficiente allocazione delle risorse pubbliche volte al sostegno e all'incentivazione di progetti di ricerca di eccellenza ed innovativi, ed in considerazione del sostanziale esau­rimento delle finalità originariamente perseguite, a fronte delle ingenti risorse pubbliche rese disponibili, a decorrere dal 1° luglio 2008 la Fondazione IRI è soppressa.

2. A decorrere dal 1° luglio 2008, le dotazioni patrimoniali e ogni altro rapporto giuridico della Fondazione IRI in essere a tale data, ad eccezione di quanto previsto al comma 3, sono devolute alla Fondazione Istituto Italiano di Tecnologia.

3. Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze è disposta l'attribuzione del patrimonio storico e documentale della Fondazione IRI ad una società totalitariamente controllata dallo Stato che ne curerà la conservazione. Con il medesimo decreto potrà essere altresì disposta la successione di detta società in eventuali rapporti di lavoro in essere con la Fondazione IRI alla data di decorrenza di cui al comma 1, ovvero altri rapporti giuridici attivi o passivi che dovessero risultare incompatibili con le finalità o l'organizzazione della Fondazione Istituto Italiano di Tecnologia.

4. Le risorse acquisite dalla Fondazione Istituto Italiano di Tecnologia ai sensi del precedente comma sono destinate al finanziamento di programmi per la ricerca applicata finalizzati alla realizzazione, sul territorio nazionale, di progetti in settori tecnologici altamente strategici e alla creazione di una rete di infrastrutture di ricerca di alta tecnologia localizzate presso primari centri di ricerca pubblici e privati.

5. La Fondazione Istituto Italiano di Tecnologia provvederà agli adempimenti di cui all'articolo 20 delle disposizioni di attuazione del codice civile.


 

 

L’articolo 17 prevede la soppressione della Fondazione IRI disponendo, da un lato, il trasferimento delle dotazioni patrimoniali e dei rapporti giuridici alla Fondazione Istituto Italiano di Tecnologia, dall’altro, l’attribuzione del patrimonio storico e documentale ad una società a totale controllo statale.

 

Il comma 1 dispone la soppressione della Fondazione IRI dal 1° luglio 2008 allo scopo di realizzare una redistribuzione di ingenti risorse pubbliche verso il sostegno e l’incentivazione di progetti di ricerca d’eccellenza ed innovativi considerato, altresì, l’esaurimento delle finalità originariamente perseguite dall’istituto.

 

La Fondazione IRI, nata al momento della liquidazione dell’IRI s.p.a. nel giugno 2000, è stata istituita con il compito, previsto dal suo statuto, di promuovere:

-        la ricerca storica sulle vicende dell’IRI, anche attraverso la gestione attiva del patrimonio documentario, archivistico, iconografico e culturale;

-        programmi ad elevato contenuto professionale nel campo della formazione manageriale;

-        progetti di ricerca in campo economico-finanziario ed istituzionale, con riferimento, in particolare, all’evoluzione del rapporto tra settore pubblico e mercato.

La Fondazione, dopo il compimento degli atti relativi alle procedure di autorizzazione amministrativa e di formazione del Consiglio di Amministrazione, ha di fatto iniziato la sua attività nella seconda parte del 2001. Nel giugno del 2003 il Consiglio ha istituito tre Comitati consultivi (ciascuno presieduto da un componente del Consiglio in carica nel periodo 2001-2005) per seguenti i programmi relativi alle attività istituzionali:

-        Valorizzazione Archivi e Ricerca storico-economica;

-        Alta Formazione Manageriale;

-        Ricerca economica.

Nel campo della valorizzazione archivi e ricerca storico-economicala Fondazione svolge una funzione di ricostruzione del complesso fenomeno di cui l’IRI è stato al centro della storia economica italiana. A questo fine sono stati definiti due ordini di intervento: fornire la documentazione di base per la ricerca ed avviare un processo di riflessione e di analisi sulle vicende storiche dell’IRI.

Nel campo dell’Alta formazione manageriale è stata sviluppata un’iniziativa che intende contribuire all’innalzamento qualitativo ed all’apertura internazionale del nostro sistema formativo. Il progetto si è articolato con un programma di due sezioni: quello di borse di studio e quello delle borse di ricerca.

Nel campo della ricerca economicail tema generale preso in considerazione - l’evoluzione del rapporto tra settore pubblico e mercato - è stato affrontato con iniziative relative: al processo di privatizzazione; alle problematiche connesse ai settori regolamentati; alle problematiche della corporate governance.

 

Il comma 2 stabilisce che le dotazioni patrimoniali e ogni altro rapporto giuridico della Fondazione IRI, in essere al 1° luglio 2008, sono devolute alla Fondazione Istituto Italiano di Tecnologia.

 

L’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT), istituito con l’articolo 4 del D.L. n. 269/2003 è una fondazione, con sede a Genova, finalizzata alla promozione della ricerca tecnologica, favorendo lo sviluppo del sistema produttivo nazionale, in collegamento con organismi similari operanti in Italia e all’estero. Essa è posta sotto la vigilanza congiunta del Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca e del Ministero dell'Economia e delle Finanze.

Lo statuto della fondazione, approvato con D.P.R. 31 luglio 2005[77], individua i compiti dell’IIT, gli organi e la loro composizione.

Sono obbiettivi primari dell’IIT sia la creazione e la disseminazione di conoscenza scientifica sia il rafforzamento della competitività tecnologica dell’Italia. Per raggiungere questi obbiettivi l’Istituto collabora con istituzioni accademiche e organizzazioni private, perseguendo, attraverso queste interazioni sviluppo scientifico, progresso tecnologico e formazione avanzata.

Merita ricordare che, per l’anno 2007, l’istituto non ha fruito di risorse statali in relazione al definanziamento operato dalla tabella E della legge finanziaria 2007 (legge 296/2006). Per l’esercizio 2008 all’Istituto sono stati attribuiti 80 milioni di euro sul cap. 7380 dello stato di previsione del Ministero dell’economia e finanze[78], nell’ambito del Programma Ricerca di base e applicata (12.5) e della Missione Ricerca e innovazione. Sul cap. 7381 sono inoltre allocati 10 milioni di euro destinati al rimborso della Cassa depositi e prestiti per finanziamenti all’istituto.

Si ricorda infine che l’art. 1, comma 2, della legge 27 settembre 2007, n. 165 (recante delega al Governo per riordino degli enti di ricerca posti sotto la vigilanza del Ministero dell’università e della ricerca[79]) ha autorizzato il Governo a procedere alla riorganizzazione dell’Istituto (il termine per l’esercizio della delega verrà a scadenza nell’aprile 2009).

 

Il comma 3 prevede che il patrimonio storico e documentale della Fondazione IRI sia devoluto, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, ad una società totalitariamente controllata dallo Stato al fine di curarne la conservazione. Con lo stesso decreto il Ministro è autorizzato a disporre la successione della predetta società in eventuali rapporti di lavoro che sono ancora in essere con la Fondazione IRI al 1° luglio 2008, ovvero altri rapporti giuridici attivi o passivi che dovessero risultare incompatibili con le finalità o l’organizzazione della Fondazione Istituto Italiano di Tecnologia.

 

Il comma 4 specifica che le risorse devolute alla Fondazione IIT devono essere destinate esclusivamente al finanziamento di programmi per la ricerca applicata finalizzati alla realizzazione di progetti in settori tecnologici altamente strategici e alla creazione di una rete di infrastrutture di ricerca di alta tecnologia localizzate presso primari centri di ricerca pubblici e privati.

 

Il comma 5, infine, stabilisce che la Fondazione Istituto Italiano di Tecnologia provvede agli adempimenti di cui all’articolo 20 delle disposizioni di attuazione del codice civile.

 

Si ricorda che, ai sensi dell’art. 20 delle disposizioni attuative del codice civile, una volta chiusa la liquidazione, spetta al presidente del tribunale ordinare la cancellazione dell'ente dal registro delle persone giuridiche.


 

Articolo 18
(Reclutamento del personale delle società pubbliche)


1. A decorrere dal sessantesimo giorno successivo all'entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge, le società che gestiscono servizi pubblici locali a totale partecipazione pubblica adottano, con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi di cui al comma 3 dell'articolo 35 del decreto legislativo n. 165 del 2001.

2. Le altre società a partecipazione pubblica totale o di controllo adottano, con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi, anche di derivazione comunitaria, di trasparenza, pubblicità e imparzialità.

3. Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano alle società quotate su mercati regolamentati.


 

 

L’articolo in esame reca disposizioni in materia di reclutamento del personale delle società pubbliche.

 

In particolare, il comma 1 dispone l’obbligo, per le società che gestiscono servizi pubblici locali a totale partecipazione pubblica, di adottare con propri provvedimenti, a decorrere dal sessantesimo giorno successivo all’entrata in vigore della legge di conversione del provvedimento in esame, i criteri e le modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi di cui all’articolo 35, comma 3, del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165.

 

Il richiamato articolo 35 reca disposizioni in materia di reclutamento del personale nelle amministrazioni pubbliche. In particolare, il comma 3 stabilisce che le procedure di reclutamento nelle pubbliche amministrazioni devono conformarsi ai seguenti principi:

a)       adeguata pubblicità della selezione e modalità di svolgimento che garantiscano l'imparzialità e assicurino economicità e celerità di espletamento, ricorrendo, ove è opportuno, all'ausilio di sistemi automatizzati, diretti anche a realizzare forme di preselezione;

b)       adozione di meccanismi oggettivi e trasparenti, idonei a verificare il possesso dei requisiti attitudinali e professionali richiesti in relazione alla posizione da ricoprire;

c)       rispetto delle pari opportunità tra lavoratrici e lavoratori;

d)       decentramento delle procedure di reclutamento;

e)       composizione delle commissioni esclusivamente con esperti di provata competenza nelle materie di concorso, scelti tra funzionari delle amministrazioni, docenti ed estranei alle medesime, che non siano componenti dell'organo di direzione politica dell'amministrazione, che non ricoprano cariche politiche e che non siano rappresentanti sindacali o designati dalle confederazioni ed organizzazioni sindacali o dalle associazioni professionali.

La disciplina generale dei servizi pubblici locali si rinviene principalmente nel testo unico delle disposizioni in materia di enti locali, adottato con il D.Lgs. 267/2000, come modificato dall’articolo 35 della L. 448/2001 (legge finanziaria per il 2002) e dall’articolo 14 del D.L. 269/2003[80].

La normativa prevede un diverso regime tra la gestione dei servizi di rilevanza economica (art. 113) e di quelli privi di rilevanza economica (art. 113-bis).

Tuttavia, occorre precisare fin d’ora che le disposizioni dell’art. 113-bis del testo unico (introdotto dalla citata L. 448/2001) sono state giudicate illegittime dalla Corte costituzionale[81]. Pertanto, solamente i servizi pubblici di rilevanza economica risultano disciplinati a livello statale.

In particolare, il richiamato articolo 113 ha disciplinato la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica[82].

Il comma 1 dell’articolo 113 definisce l’ambito di applicazione delle disposizioni successive, specificando che esse:

-        si applicano ai servizi pubblici locali di rilevanza industriale;

-        concernono la tutela della concorrenza;

-        sono inderogabili ed integrative delle discipline di settore afferenti ai servizi pubblici locali;

-        lasciano ferme le disposizioni prevista per i singoli settori;

-        lasciano ferme le disposizioni necessarie all’attuazione di specifiche normative comunitarie in materia;

-        non si applicano ai settori dell’energia elettrica e del gas (disciplinati, rispettivamente, dal D.Lgs. 79/1999 e dal D.Lgs. 164/2000 ).

Successivamente, anche il settore del trasporto pubblico locale è stato escluso espressamente dal regime generale dei servizi pubblici locali[83].

Pertanto, le maggiori attività di erogazione di servizi pubblici locali (elettricità, gas e trasporto pubblico locale) sono esclusi dall’ambito di applicazione delle norme del testo unico. La proprietà degli impianti, delle reti e delle altre dotazioni, destinati all’esercizio dei servizi pubblici di rilevanza economica deve comunque rimanere pubblica (articolo 113, co. 2).

Agli enti locali è rimessa la scelta tra il possesso diretto delle reti ovvero il loro conferimento a società di capitali delle quali, in ogni caso, debbono detenere la maggioranza. Inoltre, le normative di settore possono introdurre regole che assicurino la concorrenzialità nella gestione dei servizi, al fine di superare assetti monopolistici, prevedendo criteri di gradualità nella scelta della modalità di conferimento del servizio[84].

Si ricorda, infine, che la legge finanziaria per il 2008 (L. 244/2007, articolo 2, comma 461), in base alla quale gli enti locali sono tenuti, in sede di stipula dei contratti di servizio, ad emanare una "Carta della qualità dei servizi", che espliciti gli standard qualitativi e quantitativi delle prestazioni erogate, nonché le modalità di accesso ad informazioni rilevanti per la tutela dei diritti degli utenti.

 

Analoga previsione è contenuta nel successivo comma 2 per le altre società a partecipazione pubblica totale o di controllo, le quali hanno l’obbligo di adottare - in questo caso non viene fissato espressamente un termine - con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi, anche di derivazione comunitaria, di trasparenza, pubblicità e imparzialità.

 

Infine, le disposizioni dell’articolo in esame non trovano applicazione nei confronti delle società quotate su mercati regolamentati (comma 3).


 

Articolo 19
(Abolizione dei limiti al cumulo tra pensione e redditi di lavoro)


1. A decorrere dal 1o gennaio 2009 le pensioni dirette di anzianità a carico dell'assicurazione generale obbligatoria e delle forme sostitutive ed esclusive della medesima sono totalmente cumulabili con i redditi da lavoro autonomo e dipendente. A decorrere dalla medesima data di cui al primo periodo del presente comma sono totalmente cumulabili con i redditi da lavoro autonomo e dipendente le pensioni dirette conseguite nel regime contributivo in via anticipata rispetto ai 65 anni per gli uomini e ai 60 anni per le donne a carico dell'assicurazione generale obbligatoria e delle forme sostitutive ed esclusive della medesima nonché della gestione separata di cui all'articolo 1, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, a condizione che il soggetto abbia maturato i requisiti di cui all'articolo 1, commi 6 e 7 della legge 23 agosto 2004, n. 243 e successive modificazioni e integrazioni fermo restando il regime delle decorrenze dei trattamenti disciplinato dall'articolo 1, comma 6, della predetta legge n. 243 del 2004. Con effetto dalla medesima data di cui al primo periodo del presente comma relativamente alle pensioni liquidate interamente con il sistema contributivo:

a) sono interamente cumulabili con i redditi da lavoro autonomo e dipendente le pensioni di vecchiaia anticipate liquidate con anzianità contributiva pari o superiore a 40 anni;

b) sono interamente cumulabili con i redditi da lavoro autonomo e dipendente le pensioni di vecchiaia liquidate a soggetti con età pari o superiore a 65 anni per gli uomini e 60 anni per le donne.

2. I commi 21 e 22 dell'articolo 1 della legge 8 agosto 1995, n. 335, sono soppressi.

3. Restano ferme le disposizioni di cui all'articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica 5 giugno 1965, n. 758.


 

 

L’articolo in esame, come evidenziato dalla relazione illustrativa, è volto a prevedere dal 1° gennaio 2009 l’integrale cumulabilità delle pensioni di anzianità con i redditi da lavoro autonomo e dipendente nonché a riformare la disciplina relativa al cumulo tra pensione e reddito da lavoro nel caso di pensione calcolata con il sistema contributivo uniformandola a quella prevista nel regime retributivo e misto, in considerazione dell’uniformità dei requisiti per l’accesso al trattamento pensionistico anticipato in tutti e tre i regimi[85].

 

L'istituto del cumulo tra pensioni e redditi da lavoro costituisce il meccanismo che regola il concorso della retribuzione con il trattamento pensionistico ed è stato soggetto a numerosi interventi legislativi ispirati dapprima al principio dell'integrale cumulabilità del trattamento di pensione con la retribuzione e successivamente diretti a ridurre o eliminare del tutto tale cumulabilità, anche in funzione deterrente rispetto al ricorso al pensionamento di anzianità.

La disciplina in materia di cumulo presenta quindi una notevole articolazione, a causa delle successive modifiche normative che hanno fatto salvi, entro alcuni limiti temporali e a determinate condizioni, i regimi previgenti se più favorevoli.

Per quanto riguarda invece le differenze tra i diversi regimi previdenziali, l'art. 59, comma 4, della legge 27 dicembre 1997, n. 449 (provvedimento collegato alla manovra finanziaria per il 1998), ha stabilito che, con effetto sulle prestazioni liquidate a decorrere dal 1° gennaio 1998, in tutti gli ordinamenti pensionistici obbligatori relativi a lavoratori dipendenti (nonché ai lavoratori autonomi iscritti all'INPS) si applichino le normative (articolate per le ragioni appena ricordate) vigenti nell'assicurazione generale INPS.

La disciplina in vigore prima della legge n. 388 del 2000 (legge finanziaria 2001) prevedeva che per la pensione di vecchiaia e di invalidità e gli assegni di invalidità (art. 10, comma 1, del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 503, e successive modificazioni e integrazioni) il cumulo con i redditi da lavoro sia autonomo sia subordinato fosse ammesso in misura piena fino all’importo minimo del trattamento previdenziale e nella misura del 50% per quanto riguarda l’eventuale quota eccedente; la misura dell'importo così trattenuto non poteva superare, tuttavia, l'ammontare dei medesimi redditi[86].

Riguardo alla pensione di anzianità, occorre distinguere tra redditi da lavoro dipendente e redditi da lavoro autonomo. Per la prima fattispecie vigeva un divieto totale di cumulo, con talune eccezioni; alla seconda fattispecie si applicava invece una disciplina identica a quella posta per la pensione di vecchiaia, che cioè prevede una parziale cumulabilità, con una riduzione del trattamento pensionistico in misura pari al 50% della quota di pensione eccedente il trattamento minimo fermo restando che la misura dell'importo così trattenuto non poteva superare l'ammontare dei medesimi redditi (art. 10, comma 6 e 6-bis, del D.Lgs. n. 503/1992, e successive modificazioni e integrazioni; art. 59, comma 14, della legge 27 dicembre 1997, n. 449)[87].

Nel sistema contributivo integrale[88] - dove, ai sensi dell’art. 1, comma 19, della legge 8 agosto 1995, n. 335, scompare l’istituto della pensione di anzianità - il trattamento previdenziale è cumulabile, per i soggetti di età rispettivamente pari ad almeno 63 anni o inferiore a 63 anni, secondo una disciplina identica a quella prevista dal D.Lgs. 503/1992 per la pensione di vecchiaia ovvero per il trattamento di anzianità (art. 1, commi 21-22, della legge 335/1995).

La normativa sopra riassunta è stata modificata dall'art. 72 della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (legge finanziaria 2001), le cui disposizioni riguardano i trattamenti pensionistici a carico sia dell'assicurazione generale obbligatoria (ivi compresi i lavoratori autonomi iscritti all'INPS) sia delle altre forme obbligatorie relative a lavoratori dipendenti (pubblici e privati).

A decorrere dal 1° gennaio 2001 è stata consentita la totale cumulabilità tra il trattamento di vecchiaia - nonché quello liquidato con un'anzianità contributiva pari o superiore a 40 anni[89] - e i redditi di lavoro (sia dipendente che autonomo).

La norma si applica anche alle pensioni liquidate anteriormente alla data di entrata in vigore della legge finanziaria 2001.

Inoltre è stata ampliata, sempre con decorrenza 1° gennaio 2001, la possibilità di cumulare le pensioni di anzianità e di invalidità e gli assegni di invalidità con i redditi da lavoro autonomo. Il cumulo, per le quote delle pensioni eccedenti il trattamento minimo[90], è ammesso nella misura del 70% (anziché del 50%); inoltre, la trattenuta della pensione, conseguente all'applicazione della norma in esame, non può comunque superare il 30% (anziché il 100%) dei redditi da lavoro autonomo.

Anche in questo caso la disciplina viene estesa ai trattamenti già liquidati al 1° gennaio 2001, ferma restando l'applicazione della relativa disciplina previgente, se più favorevole.

Si ricorda che comunque, a decorrere dal compimento dell’età pensionabile, alle pensioni di anzianità si applica la stessa disciplina in materia di cumulo prevista per le pensioni di vecchiaia.

Da ultimo con l’articolo 44 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (legge finanziaria 2003) è stata disposta la totale cumulabilità tra il trattamento di anzianità e i redditi da lavoro sia autonomo sia dipendente, a condizione che all’atto del pensionamento il soggetto abbia maturato 58 anni di età anagrafica e 37 anni di contributi.

Tale norma si applica anche in favore delle persone già in quiescenza, in possesso - al momento del pensionamento - dei predetti requisiti anagrafici e contributivi, sempre con effetto sui ratei del trattamento decorrenti dal 1° gennaio 2003.

Inoltre il medesimo articolo 44, comma 2, della L. 289/2002 consente l'accesso al regime di totale cumulabilità, anche per l'ipotesi in cui manchino i requisiti di cui al comma 1, in favore dei soggetti già pensionati alla data del 1° dicembre 2002 o che abbiano maturato il diritto al trattamento di anzianità, interrotto il rapporto di lavoro e presentato domanda di pensionamento entro il 30 novembre 2002. Tale estensione – nel caso in cui alla data del pensionamento non fossero stati raggiunti i requisiti di età anagrafica e di anzianità contributiva di cui al comma 1 - è subordinata al versamento di un contributo una tantum, determinato secondo i criteri posti dallo stesso comma 2.

Infine il comma 3 del medesimo articolo 44 della Legge 289 prevede una forma di "sanatoria" per i soggetti che non abbiano in precedenza ottemperato alle disposizioni in materia di divieto totale o parziale di cumulo. Essi debbono a tal fine versare un importo pari al 70% della pensione relativa al mese di gennaio 2003, moltiplicato per ogni anno per cui si sia verificato l'inadempimento; la misura del versamento non potrà comunque essere superiore a 4 volte la pensione di gennaio 2003.

 

In particolare, il primo periodo del comma 1 prevede la totale cumulabilità, a decorrere dal 1° gennaio 2009, tra pensioni dirette di anzianità a carico dell'assicurazione generale obbligatoria (AGO) e delle forme sostitutive ed esclusive della medesima e redditi da lavoro autonomo e dipendente.

Si ricorda che i commi 6 e 7 dell’articolo 1 della L. 243/2004 avevano modificato i requisiti[91] per l’accesso al trattamento pensionistico di anzianità e al trattamento pensionistico di vecchiaia liquidato esclusivamente con il sistema contributivo, per coloro che avessero maturato tali requisiti a decorrere dal 1° gennaio 2008.

In particolare, a decorrere dal 1° gennaio 2008, la L. 243/2004 aveva mantenuto la possibilità di conseguire il diritto al pensionamento di anzianità in presenza di un’anzianità contributiva non inferiore a 40 anni indipendentemente dall’età anagrafica, innalzando però l’età anagrafica necessaria al pensionamento in presenza di 35 anni di anzianità contributiva. In particolare, in presenza, come ricordato, di 35 anni di contributi:

-        per gli anni 2008 e 2009 l’età anagrafica era elevata a 60 anni per i lavoratori dipendenti pubblici e privati e a 61 anni per i lavoratori autonomi iscritti all’INPS;

-        per gli anni dal 2010 al 2013 l’età anagrafica era elevata a 61 anni per i lavoratori dipendenti pubblici e privati e a 62 anni per i lavoratori autonomi iscritti all’INPS.

Peraltro, a decorrere dal 2014 l’età anagrafica richiesta risultava ulteriormente elevata a 62 anni per i lavoratori dipendenti e a 63 anni per i lavoratori autonomi iscritti all’INPS. Era stato previsto, comunque, che il Ministro del lavoro, di concerto con il Ministro dell’economia, potesse tuttavia differire tale ulteriore innalzamento, qualora, sulla base di una verifica da effettuare nel 2013, risultasse il conseguimento di risparmi di spesa superiori alle previsioni ed in grado di garantire il raggiungimento di effetti finanziari equivalenti a quelli originariamente previsti come conseguenti all’innalzamento dell’età previsto dal 2014.

La L. 247/2007, eliminando il cd. “scalone”, ha previsto una maggiore gradualità nell’innalzamento del requisito dell’età anagrafica per l’accesso al trattamento pensionistico di anzianità a decorrere dal 2008.

In particolare - ferma restando la possibilità di conseguire il diritto al pensionamento in presenza di un’anzianità contributiva non inferiore a 40 anni indipendentemente dall’età anagrafica - in presenza di almeno 35 anni di contribuzione si può accedere al pensionamento di anzianità, per il 2008 e dal 1° gennaio 2009 al 30 giugno 2009, con una età anagrafica di almeno 58 anni per i lavoratori dipendenti pubblici e privati e di 59 anni per i lavoratori autonomi iscritti all’INPS.

Invece, a decorrere dal 1° luglio 2009 viene introdotto il sistema delle “quote”, date dalla somma dell’età anagrafica e dell’anzianità contributiva.

Pertanto - ferma restando la possibilità di conseguire il diritto al pensionamento in presenza di un’anzianità contributiva non inferiore a 40 anni indipendentemente dall’età anagrafica – si può accedere al pensionamento di anzianità:

-        dal 1° luglio 2009 al 31 dicembre 2010, per i lavoratori dipendenti pubblici e privati con una “quota” (come detto, somma dell’età anagrafica e dell’anzianità contributiva) pari almeno a 95, purché si possieda un’età anagrafica non inferiore a 59 anni, e per i lavoratori autonomi iscritti all’INPS con una “quota” pari almeno a 96, purché si possieda un’età anagrafica non inferiore a 60 anni;

-        per gli anni 2011 e 2012, per i lavoratori dipendenti pubblici e privati con una “quota” pari almeno a 96, purché si possieda un’età anagrafica non inferiore a 60 anni, e per i lavoratori autonomi iscritti all’INPS con una “quota” pari almeno a 97, purché si possieda un’età anagrafica non inferiore a 61 anni;

-        dall’anno 2013, infine, a regime, per i lavoratori dipendenti pubblici e privati con una “quota” pari almeno a 97, purché si possieda un’età anagrafica non inferiore a 61 anni, e per i lavoratori autonomi iscritti all’INPS con una “quota” pari almeno a 98, purché si possieda un’età anagrafica non inferiore a 62 anni.

Riformulando il comma 7 dell’articolo 1 della L. 243/2004, si prevede tuttavia (comma 2, lettera b)) che con decreto del Ministro del lavoro, di concerto con il Ministro dell’economia, da emanarsi entro il 31 dicembre dell’anno 2012, possa essere differito l’innalzamento dei requisiti previsto a decorrere dal 2013, qualora, sulla base di una verifica da effettuare entro il 30 settembre 2012, risulti il conseguimento di risparmi di spesa superiori alle previsioni ed in grado di garantire il raggiungimento di effetti finanziari equivalenti a quelli originariamente previsti come conseguenti all’innalzamento dell’età previsto a regime dal 2013.

 

I periodi secondo e terzo del comma 1 disciplinano invece la cumulabilità tra pensione e reddito da lavoro nel caso di pensione calcolata con il sistema contributivo.

In particolare, al secondo periodo del comma in esame, sempre a decorrere dal 1° gennaio 2009, viene prevista l’integrale cumulabilità con i redditi da lavoro autonomo e dipendente per le pensioni dirette conseguite nel regime contributivo in via anticipata rispetto ai 65 anni per gli uomini e ai 60 anni per le donne a carico dell'AGO e delle forme sostitutive ed esclusive della medesima, nonché della gestione separata INPS di cui all’articolo 1, comma 26, della L. 335/1995, purché il soggetto sia in possesso dei requisiti di cui all’articolo 1, commi 6 e 7, della L. 243/2004[92], fermo restando il regime delle decorrenze dei trattamenti disciplinato dall’articolo 1, comma 6, della predetta L. 243/2004.

A decorrere dal 1° gennaio 2008, la L. 243/2004 (art. 1, commi 6 e 7) aveva innalzato i requisiti di età anagrafica per l’accesso alla pensione di vecchiaia liquidata esclusivamente con il sistema contributivo.

Da tale data, i lavoratori dipendenti potevano andare in pensione in presenza, alternativamente, di una delle seguenti situazioni:

ipotesi 1)      età anagrafica pari a 60 anni per le donne e 65 anni per gli uomini; versamento e accreditamento di almeno 5 anni di contribuzione effettiva; importo della pensione non inferiore a 1,2 volte l’assegno sociale;

ipotesi 2)      anzianità contributiva non inferiore a 40 anni (in questo caso si prescinde dal requisito anagrafico);

ipotesi 3)      anzianità contributiva non inferiore a 35 anni; età anagrafica pari a:

-       per gli anni 2008 e 2009, 60 anni per i lavoratori dipendenti pubblici e privati e 61 anni per i lavoratori autonomi iscritti all’INPS;

-       per gli anni dal 2010 al 2013, 61 anni per i lavoratori dipendenti pubblici e privati e a 62 anni per i lavoratori autonomi iscritti all’INPS;

-       a decorrere dal 2014, nella disciplina a regime, 62 anni per i lavoratori dipendenti pubblici e privati e 63 anni per i lavoratori autonomi (a meno che il Ministro non avesse emanato il decreto di cui al comma 7 al fine di mantenere l’età a 61 anni per i dipendenti e a 62 per gli autonomi).

La L. 247/2007, novellando la L. 243/2004, ha modificato i requisiti per l‘accesso alla pensione di vecchiaia di cui all’ipotesi 3), ferme restando le ipotesi 1) e 2).

Pertanto, a seguito di tale modifica, a decorrere dal 2008, per accedere alla pensione di vecchiaia con il sistema contributivo in base all’ipotesi 3), è necessario possedere i seguenti requisiti:

-        per il 2008 e dal 1° gennaio 2009 al 30 giugno 2009, almeno 35 anni di anzianità contributiva insieme ad una età anagrafica di almeno 58 anni per i lavoratori dipendenti pubblici e privati e di 59 anni per i lavoratori autonomi iscritti all’INPS;

-        dal 1° luglio 2009 al 31 dicembre 2010, per i lavoratori dipendenti pubblici e privati, una “quota” (data dalla somma dell’età anagrafica e dell’anzianità contributiva) pari almeno a 95 purché si possieda un’età anagrafica non inferiore a 59 anni, e per i lavoratori autonomi iscritti all’INPS, una “quota” pari almeno a 96 purché si possieda un’età anagrafica non inferiore a 60 anni;

-        per gli anni 2011 e 2012, per i lavoratori dipendenti pubblici e privati, una “quota” pari almeno a 96 purché si possieda un’età anagrafica non inferiore a 60 anni, e per i lavoratori autonomi iscritti all’INPS, una “quota” pari almeno a 97, purché si possieda un’età anagrafica non inferiore a 61 anni;

-        dall’anno 2013, infine, a regime, per i lavoratori dipendenti pubblici e privati, una “quota” pari almeno a 97 purché si possieda un’età anagrafica non inferiore a 61 anni, e per i lavoratori autonomi iscritti all’INPS, una “quota” pari almeno a 98, purché si possieda un’età anagrafica non inferiore a 62 anni (a meno che il Ministro del lavoro non emani il decreto di cui al comma 7 dell’articolo 1 della L. 243/2004 al fine di differire l’innalzamento dei requisiti pensionistici).

 

Infine, al terzo periodo del comma in esame si dispone, sempre a decorrere dal 1° gennaio 2009, con riferimento alle pensioni liquidate interamente con il sistema contributivo, la totale cumulabilità con i redditi da lavoro per le pensioni di vecchiaia anticipate liquidate con anzianità contributiva pari o superiore a 40 anni, nonché per le pensioni di vecchiaia liquidate a soggetti con età pari o superiore a 65 anni per gli uomini e 60 anni per le donne.

 

Al comma 2 vengono abrogati i commi 21 e 22 dell’articolo 1 della L. 335/1995[93], che, con riferimento alle pensioni di vecchiaia liquidate interamente con il sistema contributivo, disponevano:

§      per i pensionati di età inferiore ai 63 anni il divieto di cumulo della pensione con i redditi da lavoro dipendente nella loro interezza e con quelli da lavoro autonomo nella misura del 50% per la parte eccedente il trattamento minimo INPS e fino a concorrenza con i redditi stessi (comma 21);

§      per i pensionati di età pari o superiore ai 63 anni il divieto di cumulo della pensione con redditi da lavoro dipendente ed autonomo nella misura del 50% per la parte eccedente il trattamento minimo INPS e fino a concorrenza dei redditi stessi (comma 22).

 

Infine, nel comma 3 viene fatto salvo il disposto dell’articolo 4 del D.P.R. 758/1965[94].

 

Si ricorda che il D.P.R. 758/1965, all’articolo 1, ammette il cumulo di una pensione normale diretta o di un assegno equivalente con un trattamento di attività derivante da servizi resi ad Amministrazioni statali, comprese quelle con ordinamento autonomo, di Regioni, di Province, di Comuni o di Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, di Enti parastatali, di Enti o Istituzioni di diritto pubblico, nonché di aziende annesse o direttamente dipendenti dalle Regioni, dalle Province, dai Comuni o dagli altri Enti suindicati.

Tale cumulo, secondo l’articolo 4 del medesimo D.P.R., richiamato dalla disposizione in esame, è vietato se il nuovo servizio costituisce derivazione, continuazione o rinnovo del precedente rapporto che aveva dato luogo alla pensione. In particolare il divieto di cumulo in questione riguarda i seguenti casi:

a)  riammissione in servizio di personale civile;

b)  richiamo di ufficiale, sottufficiale o militare di truppa titolare di pensione per il precedente servizio militare;

c)  immissione nell'impiego civile di sottufficiale o graduato, in applicazione delle particolari disposizioni concernenti riserva di posti in favore di dette categorie di militari;

d)  nomina conseguita mediante concorso riservato esclusivamente a soggetti che hanno già prestato servizio ovvero a tali soggetti insieme con appartenenti a particolari categorie di professionisti;

e)  conferimento di incarichi di insegnamento in scuole o istituti dello stesso grado di quelli presso cui è stato prestato il servizio precedente da incaricato;

f)   nomina senza concorso nello Stato o negli Enti di cui al precedente art. 1, conseguita in derivazione o in continuazione o, comunque, in costanza di un precedente rapporto di impiego, rispettivamente, con lo Stato o con gli Enti stessi.

Inoltre, la norma prevede la sospensione del trattamento di pensione se originato dal precedente rapporto. Infine, si dispone che al termine del nuovo servizio viene liquidato il trattamento di quiescenza i base al disposto del terzo comma dell'art. 2, secondo cui, all'atto della cessazione del nuovo rapporto, il trattamento di quiescenza spetta sulla base della totalità dei servizi prestati e secondo le norme relative all'ultimo impiego.

Nella relazione tecnica allegata al decreto-legge in esame si stimano in circa 300-310 mln di euro l’ammontare delle trattenute per divieto di cumulo, comprendendo in tale cifra anche quelli derivanti dagli assegni di invalidità. Pertanto, ne conseguono maggiori oneri, per effetto di incremento di spesa pensionistica per il venir meno delle trattenute, al lordo degli effetti fiscali pari a circa 200-210 mln di euro annui, e rideterminati al netto degli effetti fiscali (con aliquota marginale media attorno al 27%) in circa 150 mln di euro annui.

Nella relazione si sottolinea la necessità di aggiungere a tale onere quello derivante dall’anticipo del pensionamento di quei soggetti (soprattutto lavoratori dipendenti, perché i lavoratori autonomi già manifestano la propensione ad accedere al pensionamento in corrispondenza dei requisiti minimi) che attualmente manifestano la propensione a proseguire l’attività lavorativa una volta maturato il requisito anagrafico congiunto con i 35 anni di anzianità contributiva. Pertanto, nella nota tecnica si fa presente che dal momento che trattasi di una quota dei soggetta attivi che maturano i 59 anni di età nel 2009 e i 36 anni di contributi nello stesso anno, si stima prudenzialmente in circa 8 mila l’insieme dei lavoratori interessati per un anticipo di circa un anno. Sulla base di questi dati si ottiene una maggiore spesa pensionistica lorda di circa 185 mln di euro (tenendo conto di un importo medio di pensione di 23 mila euro) il che, al netto degli effetti fiscali indotti, ad un onere di 140 mln di euro su base annua. Per gli anni successivi come elementi di prudenzialità si fa presente il progressivo ulteriore innalzamento dei requisiti minimi di accesso al pensionamento anticipato e del relativo regime delle decorrenze.

Pertanto, dalla disposizione in esame conseguono i seguenti maggiori oneri:

(in milioni di euro)

 

2009

2010

2011

al lordo effetti fiscali

-390

-390

-390

al netto effetti fiscali

-290

-290

-290

 


 

Articolo 20
(Disposizioni in materia contributiva)


1. Il secondo comma, dell'articolo 6, della legge 11 gennaio 1943, n. 138, si interpreta nel senso che i datori di lavoro che hanno corrisposto per legge o per contratto collettivo, anche di diritto comune, il trattamento economico di malattia, con conseguente esonero dell'Istituto nazionale della previdenza sociale dall'erogazione della predetta indennità, non sono tenuti al versamento della relativa contribuzione all'Istituto medesimo. Restano acquisite alla gestione e conservano la loro efficacia le contribuzioni comunque versate per i periodi anteriori alla data del 1° gennaio 2009.

2. A decorrere dal 1° gennaio 2009, le imprese dello Stato, degli enti pubblici e degli enti locali privatizzate e a capitale misto sono tenute a versare, secondo la normativa vigente:

a) la contribuzione per maternità;

b) la contribuzione per malattia per gli operai.

3. A decorrere dal 1o gennaio 2009 il comma 2, lettera a) dell'articolo 16 della legge 23 luglio 1991, n. 223 è così sostituito: « Al versamento di un contributo nella misura dello 0,30 per cento delle retribuzioni che costituiscono imponibile contributivo.

4. Sono abrogate le disposizioni di cui all'articolo 40, n. 2, del regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827.

5. All'articolo 36 del decreto del Presidente della Repubblica del 26 aprile 1957, n. 818, sono soppresse le parole: «dell'articolo 40, n. 2, del R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, e».

6. L'estensione dell'obbligo assicurativo di cui al comma 4 si applica con effetto dal primo periodo di paga decorrente dal 1° gennaio 2009.

7. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, nei procedimenti relativi a controversie in materia di previdenza e assistenza sociale, a fronte di una pluralità di domande che frazionino un credito relativo al medesimo rapporto, comprensivo delle somme eventualmente dovute per interessi, competenze e onorari e ogni altro accessorio, la riunificazione è disposta d'ufficio dal giudice ai sensi dell'articolo 151 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile.

8. In mancanza della riunificazione di cui al comma 7, l'improcedibilità della domanda può essere richiesta dal convenuto in ogni stato e grado del procedimento, ivi compresa la fase esecutiva.

9. Il giudice, ove abbia notizia che la riunificazione non è stata osservata, anche sulla base dell'eccezione del convenuto, sospende il giudizio o revoca la provvisoria esecutività dei decreti e fissa alle parti un termine perentorio per la riunificazione.

10. A decorrere dal 1° gennaio 2009, l'assegno sociale di cui all'articolo 3, comma 6, della legge 8 agosto 1995, n. 335, è corrisposto agli aventi diritto a condizione che abbiano soggiornato legalmente, in via continuativa, per almeno cinque anni nel territorio nazionale.

11. A decorrere dal 1° gennaio 2009, al primo comma dell'articolo 43 del decreto del Presidente della Repubblica 30 aprile 1970, n. 639, dopo la parola: «regionali» sono soppresse le seguenti parole: «e provinciali».

12. Entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge l'Istituto nazionale della previdenza sociale mette a disposizione dei Comuni modalità telematiche di trasmissione per le comunicazioni relative ai decessi e alle variazioni di stato civile da effettuarsi obbligatoriamente entro due giorni dalla data dell'evento.

13. In caso di ritardo nella trasmissione di cui al comma 12 il responsabile del procedimento, ove ne derivi pregiudizio, risponde a titolo di danno erariale.

14. Il primo periodo dell'articolo 31, comma 19, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 è soppresso.


Al comma 1 si interviene con una norma interpretativa sul secondo comma dell’articolo 6 della legge 138/1943.

L’articolo 6, comma 2 sopra richiamato, stabilisce che l’indennità di malattia non è dovuta quando il trattamento economico di malattia è corrisposto per legge o per contratto collettivo dal datore di lavoro o da altri enti in misura pari o superiore a quella fissata dai contratti collettivi ai sensi del medesimo articolo. Viene inoltre precisato che le prestazioni corrisposte da terzi in misura inferiore a quella della indennità di malattia sono integrate dall'ente sino a concorrenza dell’importo della medesima indennità.

In particolare il comma in esame dispone che la citata disposizione si interpreta nel senso che i datori di lavoro che hanno corrisposto per legge o per contratto collettivo, anche di diritto comune, il trattamento economico di malattia, con conseguente esonero dell’INPS dall’erogazione della predetta indennità, non sono tenuti al versamento della relativa contribuzione al medesimo Istituto. Si precisa inoltre che restano acquisite alla gestione previdenziale e conservano la loro efficacia le contribuzioni versate per i periodi anteriori alla data del 1° gennaio 2009.

 

Al comma 2 si prevede che a decorrere dal 1° gennaio 2009, le imprese dello Stato, degli enti pubblici e degli enti locali privatizzate e a capitale misto siano tenute a versare, secondo la normativa vigente:

a)      la contribuzione per maternità;

b)      la contribuzione per malattia per gli operai.

 

Tale disposizione è diretta ad estendere l’assicurazione per la maternità e la malattia (limitatamente ai soli lavoratori con qualifica di operai) ai dipendenti delle imprese dello Stato, degli enti pubblici e degli enti locali privatizzate e a capitale misto attualmente escluse dall’obbligo di assicurazione.

 

Nella relazione tecnica allegata al provvedimento con riferimento alla disposizione in esame si stimano i seguenti effetti finanziari:

 

Effetti in termini di Conto delle PA

(milioni di euro)

 

2009

2010

2011

Entrate contributive lorde

58

60

62

Entrate contributive nette

58

34

46

Maggiori prestazioni

-10

-10

-10

Effetto complessivo

48

24

36

 

 

 

Effetti in termini di Fabbisogno settore statale

(milioni di euro)

 

2009

2010

2011

Entrate contributive lorde

49

59

61

Entrate contributive nette

49

38

44

Maggiori prestazioni

-10

-10

-10

Effetto complessivo

39

28

34

 

Nel successivo comma 3 si interviene a modifica dell’articolo 16, comma 2, lett. a), della L. 223/1991[95], che, nel caso di corresponsione dell’indennità di mobilità ai lavoratori disoccupati in conseguenza di licenziamento per riduzione di personale, pone a carico del datore di lavoro il versamento di un contributo nella misura dello 0,30 % delle retribuzioni assoggettate al contributo integrativo per l'assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria.

La legislazione vigente (L. 223/1991) prevede una apposita procedura ai fini della collocazione in mobilità dei lavoratori. Si ricorda, al riguardo, che hanno diritto all’indennità di mobilità i lavoratori (con eccezione dei dirigenti) con rapporto a tempo indeterminato licenziati da imprese in CIGS che non siano in grado di garantire il reimpiego a tutti i lavoratori sospesi, ovvero licenziati da imprese rientranti nel campo di applicazione della CIGS qualora ricorrano i presupposti del licenziamento collettivo (cfr. infra).

Più in dettaglio, ai sensi dell’articolo 4 della citata L. 223/1991, le aziende in CIGS che nel corso o al termine del programma non possano garantire il reimpiego di tutti i lavoratori precedentemente sospesi, prima di effettuare il licenziamento anche di un solo dipendente devono seguire una particolare procedura di riduzione del personale, che si conclude con la messa in mobilità dei lavoratori licenziati.

Analoga procedura deve essere seguita, come accennato, qualora si verifichi la fattispecie del licenziamento collettivo, cioè, ai sensi dell’articolo 24 della L. 223/1991, nel caso in cui le imprese che occupano più di 15 dipendenti[96], in conseguenza di una riduzione o trasformazione di attività o di lavoro, intendono effettuare nell’arco temporale di 120 giorni almeno 5 licenziamenti in stabilimenti produttivi dislocati nella stessa provincia. Qualora sia assente il requisito quantitativo o quello temporale, si applica invece la disciplina sui licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo.

In entrambi i casi sopra indicati (riduzione di personale da parte di aziende in CIGS o licenziamento collettivo), ai sensi dell’articolo 4 della L. 223/1991, la procedura di riduzione del personale, preventiva rispetto al licenziamento e alla messa in mobilità, consta di una fase sindacale e di una fase amministrativa, nel corso delle quali il datore di lavoro e le organizzazioni sindacali tentano prima tra loro ed eventualmente presso la Direzione provinciale del lavoro di trovare sbocchi alternativi al licenziamento. Se le parti non dovessero raggiungere alcun accordo, allora la procedura si conclude con la messa in mobilità dei lavoratori.

Più in dettaglio, in primo luogo, è previsto che il datore di lavoro deve versare un contributo d’ingresso[97] e deve comunicare alle RSA la propria intenzione di effettuare una riduzione di personale e di collocare i lavoratori in esubero in mobilità. Dopo aver ricevuto al comunicazione le RSA, entro 7 giorni, possono chiedere un esame congiunto della situazione di esubero con il datore di lavoro, al fine di giungere a soluzioni alternative. Dopo tale fase, il datore di lavoro comunica alla DPL competente l’esito del confronto con i sindacati e i motivi dell’eventuale mancato accordo. La DPL può tentare una mediazione ma, se anche in tale sede non si giunga ad una soluzione condivisa, il datore di lavoro può procedere al licenziamento dei lavoratori in esubero, che usufruiscono del trattamento di mobilità.

Se non vengono osservati tutti i passaggi procedurali sinteticamente descritti, può derivarne l’inefficacia dei licenziamenti, per cui i lavoratori avrebbero diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro, da far valere entro 60 giorni dal ricevimento della comunicazione di licenziamento, con qualsiasi atto scritto anche stragiudiziale.

Per quanto riguarda il trattamento di mobilità, l’articolo 7 della richiamata L. 223/1991, al comma 1, prevede che i lavoratori collocati in mobilità, in possesso di determinati requisiti, anche di anzianità aziendale[98], hanno diritto ad una indennità per un periodo massimo di dodici mesi, elevato a ventiquattro per i lavoratori che hanno compiuto i quaranta anni e a trentasei per i lavoratori che hanno compiuto i cinquanta anni.

L'indennità spetta nella seguente misura percentuale del trattamento di CIGS che hanno percepito ovvero che sarebbe loro spettato nel periodo immediatamente precedente la risoluzione del rapporto di lavoro:

-        per i primi dodici mesi: 100 per cento;

-        dal tredicesimo al trentaseiesimo mese: 80 per cento.

Il comma 2 del medesimo articolo 7 dispone che nelle aree del Mezzogiorno, l’indennità di mobilità è corrisposta per un periodo massimo di ventiquattro mesi, elevato a trentasei per i lavoratori che hanno compiuto i quaranta anni e a quarantotto per i lavoratori che hanno compiuto i cinquanta anni. Essa spetta nella seguente misura:

-        per i primi dodici mesi: 100 per cento;

-        dal tredicesimo al quarantottesimo mese: 80 per cento.

Tutti i lavoratori collocati in mobilità, anche se non in possesso dei requisiti che danno diritto all’indennità di mobilità (cfr. supra), sono iscritti nelle liste di mobilità regionali, in modo da agevolarne la ricollocazione lavorativa.

Si ricorda, al riguardo, che gli incentivi per l’assunzione di lavoratori iscritti nelle liste di mobilità, previsti dalla L. 223/1991, sono i seguenti:

a)       ai sensi dell’articolo 25, comma 9, in caso di conclusione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con un lavoratore in mobilità, è concesso al datore di lavoro il beneficio della riduzione della relativa contribuzione a suo carico, che viene equiparata, per i primi 18 mesi, a quella dovuta per gli apprendisti dipendenti da aziende non artigiane;

b)       ai sensi dell’articolo 8, comma 2, in caso di stipulazione di un rapporto di lavoro a tempo determinato per una durata non superiore a 12 mesi, viene riconosciuto, per l’intero periodo, il medesimo beneficio di cui alla precedente lett. a). Il beneficio è concesso per ulteriori 12 mesi qualora, nel corso del suo svolgimento, tale contratto venga trasformato a tempo indeterminato[99].

A seguito della modifica disposta dal comma in esame, il versamento del contributo dello 0,30% non è più riferito alle retribuzioni assoggettate al contributo integrativo per l'assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria, ma alle retribuzioni che costituiscono imponibile contributivo.

 

Nei commi da 4 a 6 si interviene in materia di assicurazione contro la disoccupazione involontaria e mobilità per i dipendenti delle aziende esercenti pubblici servizi (settore industria - energia elettrica, gas e acqua).

In particolare, con l’abrogazione dell’articolo 40, n. 2, del R.D.L. 1827/1935[100] (comma 4) e, a fini di coordinamento, l’eliminazione del suo riferimento contenuto nell’articolo 36 D.P.R. 818/1957(comma 5), si estende l’assicurazione contro la disoccupazione involontaria e la mobilità ai dipendenti delle aziende esercenti pubblici servizi.

Infine, il comma 6 stabilisce che tale estensione dell’obbligo assicurativo si applica con effetto dal primo periodo di paga decorrente dal 1° gennaio 2009.

L’articolo 40, n. 2, qui citato stabilisce che non sono soggetti all'assicurazione obbligatoria per la disoccupazione involontaria, tra gli altri, gli impiegati, agenti e operai stabili di aziende pubbliche, nonché gli impiegati, agenti e operai delle aziende esercenti pubblici servizi e di quelle private, quando ad essi sia garantita la stabilità d'impiego.

L’articolo 36 del D.P.R. 818/1957 stabilisce che la sussistenza della stabilità d'impiego, quando non risulti da norme regolanti lo stato giuridico e il trattamento economico del personale dipendente dalle pubbliche amministrazioni, dalle aziende pubbliche e dalle aziende esercenti pubblici servizi, è accertata in sede amministrativa su domanda del datore di lavoro, con provvedimento del Ministro per il lavoro e la previdenza sociale decorrente a tutti gli effetti dalla data della domanda medesima.

 

Nella relazione tecnica allegata al provvedimento con riferimento alle disposizioni esaminate vengono stimati i seguenti effetti finanziari

 

Effetti in termini di Conto delle PA

(milioni di euro)

 

2009

2010

2011

Entrate contributive lorde

75

78

80

Entrate contributive nette

75

45

62

Maggiori prestazioni

-10

-15

-20

Effetto complessivo

65

30

42

 

 

Effetti in termini di Fabbisogno settore statale

(milioni di euro)

 

2009

2010

2011

Entrate contributive lorde

63

77

80

Entrate contributive nette

63

49

58

Maggiori prestazioni

-10

-15

-20

Effetto complessivo

53

34

38

 

I commi da 7 a 9 recano norme riguardanti la riunificazione dei procedimenti relativi a controversie in materia di previdenza e assistenza sociale.

 

Al comma 7 si prevede che, a decorrere dalla data di entrata in vigore “della presente legge”, nei procedimenti sopra richiamati, a fronte di una pluralità di domande che frazionino un credito relativo al medesimo rapporto, comprensivo delle somme eventualmente dovute per interessi, competenze e onorari e ogni altro accessorio, il giudice disponga d’ufficio la riunificazione ai sensi dell’art. 151 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile.

 

Si osserva che, al comma 7, il riferimento all’entrata in vigore “della presente legge” andrebbe sostituito con quello all’entrata in vigore “del presente decreto”.

 

Il successivo comma 8 stabilisce, in mancanza della suddetta riunificazione, l’improcedibilità della domanda su richiesta del convenuto in ogni stato e grado del procedimento, ivi compresa la fase esecutiva.

 

Infine, ai sensi del comma 9, laddove la riunificazione non sia stata osservata, il giudice può sospendere il giudizio o revocare la provvisoria esecutività dei decreti fissando alle parti un termine perentorio per la riunificazione.

Nell’articolo 151 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile si prevede che la riunione dei procedimenti relativi a controversie in materia di lavoro e di previdenza e di assistenza e a controversie dinanzi al giudice di pace, connesse anche soltanto per identità delle questioni dalla cui risoluzione dipende, totalmente o parzialmente, la loro decisione, debba essere sempre disposta dal giudice, tranne nelle ipotesi che essa renda troppo gravoso o comunque ritardi eccessivamente il processo. In tali ipotesi la riunione, salvo gravi e motivate ragioni, viene disposta tra le controversie che si trovano nella stessa fase processuale. Analogamente si provvede nel giudizio di appello.

Nella relazione tecnica allegata al presente provvedimento si evidenza di come l’INPS lamenti la pratica di molti legali nel presentare più cause relative allo stesso credito, frazionando le relative domande: una per ogni anno del credito principale, una per ogni anno di interessi, e avverso una stessa sentenza, un atto ingiuntivo per la sorte capitale, uno per gli interessi e uno per competenze e onorari professionali.

Inoltre, si ricorda che tale artificio è stato censurato dalle sezioni unite della Corte di Cassazione [101].

Nella relazione si ipotizzano risparmi sulla base del contenzioso INPS di circa 800 mila cause in corso e tenendo presente che il fenomeno sopra citato si riferisce al 30% della cause. Pertanto, tale riunificazione obbligatoria consentirebbe, sulla base dei dati INPS, di stimare le seguenti economie:

 

(milioni di euro)

2009

2010

2011

60

60

60

 

 

Il comma 10, prevede che l’assegno sociale, disciplinato dall’articolo 3, comma 6, della legge 335/1995[102], sia corrisposto agli aventi diritto a condizione che abbiano soggiornato legalmente, in via continuativa, per almeno cinque anni nel territorio nazionale.

Al riguardo la relazione illustrativa ricorda che attualmente l’assegno sociale può essere richiesto dai cittadini comunitari e dai loro familiari a carico residenti in Italia per più di tre mesi.

L’assegno sociale è una prestazione assistenziale, cioè prescinde da qualsiasi versamento contributivo. E’ stato introdotto dalla L. 335/1995 in sostituzione della precedente pensione sociale di cui comunque continuano a beneficiare le persone che l’abbiano ottenuta prima del 31 dicembre 1995.

Possono farne richiesta i residenti in Italia che siano, cittadini italiani, cittadini della Comunità Europea e cittadini extracomunitari in possesso della carta di soggiorno. L’assegno viene erogato solo al compimento dei 65 anni di età e non è reversibile.

Il limite reddituale preso a riferimento è pari allo stesso importo annuo dell’assegno sociale. Per il 2008 tale limite reddituale è di 5.142,67 euro, vale a dire 395,59 euro per 13 mensilità. Se il richiedente è invece coniugato il limite di reddito è raddoppiato: 10285,34 euro cioè 5.142,67 euro per due. L’importo dell’assegno sociale per il 2008 è pari a euro 395,59, mensili, cui vanno aggiunte, se ricorrono particolari condizioni, alcune maggiorazioni sociali.

Nella relazione tecnica allegata al decreto-legge in esame, si sottolinea come sulla base delle normative comunitarie vigenti i residenti in Italia per un periodo superiore a tre mesi, possono fare richiesta, in presenza degli altri requisiti legati al reddito, dell’assegno sociale, accludendo alla domanda il certificato di iscrizione anagrafica presso il Comune di residenza. In tal modo, si è prodotto il fenomeno di ricongiungimenti “surrettizi” di ascendenti sessantacinquenni che sulla base di tale iscrizione anagrafica sono legittimati, in presenza delle condizioni reddituali, ad ottenere la liquidazione di prestazioni puramente assistenziali. Con l’elevazione a cinque anni di permanenza in via continuativa, la norma in esame è volta a regolamentare tale fenomeno. In altre parole, la norma è diretta ad applicare i principi contenuti nel D.Lgs. 30/2007[103] laddove si sottolinea il principio per il quale il ricongiungimento familiare (in questo caso degli ascendenti) non deve gravare sull’assistenza sociale del Paese di accoglienza.

Conseguentemente, tenuto conto dell’importo dell’assegno sociale sopra riportato e stimando il seguente minor numero di assegni a fine anno per effetto della disposizione in esame:

 

Minor numero di assegni

2009

2010

2011

-2.000

-7.000

-12.000

 

secondo la relazione derivano le seguenti economie:

 

(milioni di euro)

2009

2010

2011

5

24

52

 

 

Il comma 11è volto a razionalizzare la spesa relativa ai compensi dei componenti degli organi collegiali dell’INPS, novellando il primo comma dell’art. 43 del D.P.R. 63/1970.

In particolare il comma in esame esclude i componenti degli organi provinciali[104] dalla platea dei soggetti a cui spettano emolumenti per l’esercizio delle funzioni inerenti alle rispettive cariche.

Si ricorda che il menzionato primo comma dell’art. 43 del D.P.R. 63/1970 prevede che al presidente dell'INPS, ai vice presidenti ed ai componenti il consiglio di amministrazione, i collegi dei sindaci e gli organi centrali, regionali e provinciali sono dovuti, per l'esercizio delle funzioni inerenti alle rispettive cariche, emolumenti stabiliti con apposito decreto ministeriale.

Nella relazione tecnica allegata si forniscono i dati dell’INPS relativi alle spese di funzionamento degli organi collegiali relativamente ai Comitati provinciali, riguardanti 853 organismi per un totale di circa 5.800 componenti il che produce spese di funzionamento pari a circa 3-3,5 mln di euro su base annua. Pertanto, tenuto conto degli effetti fiscali indotti, vengono previste le seguenti economie:

 

(milioni di euro)

2009

2010

2011

2

3

3

 

Infine, i commi da 12 a 14 recano norme in materia di trasmissione di dati anagrafici da parte dei comuni all’INPS.

 

In particolare, il comma 12 prevede che, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore “della presente legge”, l’INPS metta a disposizione dei comuni una piattaforma informatica per la trasmissione delle comunicazioni relative ai decessi e alle variazioni di stato civile da effettuarsi obbligatoriamente entro due giorni dalla data dell’evento.

 

Si osserva che, al comma 12, il riferimento all’entrata in vigore “della presente legge” andrebbe sostituito con quello all’entrata in vigore “del presente decreto”.

Tale obbligo viene rafforzato precisando al comma 13 che, in caso di ritardo nella trasmissione di tali dati anagrafici, il responsabile del procedimento, ove ne derivi pregiudizio, risponde a titolo di danno erariale.

Pertanto, come evidenziato dalla relazione tecnica, tale disposizione è volta a rafforzare il sistema per la trasmissione da parte dei comuni all’INPS delle variazioni anagrafiche relative ai decessi e alle altre variazioni dello stato civile (a seguito di matrimonio, divorzio ecc.), per evitare il pagamento di prestazioni indebite a soggetti che in realtà sono già deceduti o non più diritto alle prestazioni a seguito della variazione di stato civile.

 

Conseguentemente, con il comma 14 viene soppresso il primo periodo dell’articolo 31, comma 19, della legge 289/2002[105], il quale prevedeva l’effettuazione da parte dei Comuni delle comunicazioni relative ai matrimoni ed ai decessi entro 15 giorni dall’evento.

Nel menzionato comma 19, inoltre, si prevede che i Comuni effettuino le comunicazioni all’INPS secondo specifiche definite dall’INPS che, a sua volta, invia le comunicazioni agli enti erogatori di pensioni, sulla base dei dati del Casellario delle pensioni che viene messo, contestualmente, a disposizione dei Comuni.

Nella relazione tecnica allegata al decreto-legge viene evidenziato che la disposizione in esame è volta a rendere più efficiente il sistema per la trasmissione da parte dei comuni all’INPS delle variazioni anagrafiche relative a decessi ed altre variazioni dello stato civile, per evitare il fenomeno del pagamento di prestazioni indebite a soggetti che in realtà sono già deceduti o non più diritto alle prestazioni a seguito della variazione di stato civile.

Nella medesima relazione si sottolinea come la disposizione in esame sia diretta a ridurre il periodo nel quale vengono indebitamente erogate prestazioni per decesso, specie per i casi in cui l’attuale schema procedurale ancora consente la formazione di indebito di difficile recupero. Pertanto, sulla base dei dati forniti dall’INPS, si valuta che tale disposizione consenta per circa 50 mila partite con importo medio mensile di circa 700 euro un recupero di circa 3 mesi di erogazione, evitando la formazione di un indebito, per il quale in molti casi non è possibile effettuare concretamente il recupero.

In tal modo, vengono valutate le seguenti economie:

 

(milioni di euro)

2009

2010

2011

80

80

80

 


 

Articolo 21
(Modifiche alla disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato)


1. All'articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, dopo le parole «tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo» aggiungere le parole: «, anche se riferibili alla ordinaria attività del datore di lavoro».

2. All'articolo 5, comma 4-bis, del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, come modificato dall'articolo 1, comma 40, della legge 24 dicembre 2007, n. 247, dopo le parole «ferma restando la disciplina della successione di contratti di cui ai commi precedenti» aggiungere le parole: «e fatte salve diverse disposizioni di contratti collettivi stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale».

3. All'articolo 5, comma 4-quater, del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, come modificato dall'articolo 1, comma 40, della legge 24 dicembre 2007, n. 247, dopo le parole «ha diritto di precedenza» aggiungere le parole: «fatte salve diverse disposizioni di contratti collettivi stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale».

4. Decorsi 24 mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, il Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali procede ad una verifica, con le organizzazioni sindacali dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, degli effetti delle disposizioni contenute nei commi che precedono e ne riferisce al Parlamento entro tre mesi ai fini della valutazione della sua ulteriore vigenza.


 

 

L’articolo in esame reca modifiche alla disciplina del contratto di lavoro a termine di cui al D.Lgs. 368/2001, come da ultimo modificata dalla L. 247/2007.

Il D.Lgs. 368/2001 che, in attuazione della delega di cui alla L. 29 dicembre 2000, n. 422 (legge comunitaria per il 2000), ha recepito la direttiva 1999/70/CE sul contratto di lavoro a tempo determinato, ha introdotto una disciplina del lavoro a termine che ha innovato in maniera rilevante la disciplina previgente, contenuta principalmente nella L. 230/1962, di cui si è prevista contestualmente l’abrogazione.

Successivamente, incisivi interventi sulla disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato sono stati attuati dalla L. 247/2007, che ha modificato in vari punti la disciplina in materia recata dal D.Lgs. 368/2001. In primo luogo, è stato introdotto espressamente nell’ordinamento il principio secondo cui il rapporto di lavoro subordinato di norma debba essere instaurato a tempo indeterminato. Con un'altra rilevante modifica è stata introdotta una disciplina volta a limitare la possibilità di prevedere continui rinnovi dei contratti a tempo determinato con lo stesso lavoratore, in modo da evitare un uso improprio dello strumento del lavoro a termine: se per effetto della successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti il rapporto di lavoro fra il datore di lavoro e il lavoratore supera complessivamente una certa durata, il rapporto di lavoro viene considerato a tempo indeterminato a decorrere dal momento in cui viene superata la medesima durata.

 

In particolare, il comma 1 dell’articolo in esame è volto a novellare l’articolo 1, comma 1, del menzionato D.Lgs. 368/2001, ai sensi del quale l'apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato è consentita a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo. Con la modifica in esame viene precisato che l’apposizione del termine è consentita anche se tali ragioni giustificative sono riferibili alla ordinaria attività del datore di lavoro.

 

Il comma 2 è volto a novellare il comma 4-bis dell’articolo 5 del D.Lgs. 368/2001, introdotto dalla citata L. 247/2007.

Si ricorda che l’articolo 1, comma 40, della L. 247/2007, con una rilevante modifica, novellando l’articolo 5 del D.Lgs. 368/2001, ha introdotta una disciplina volta a limitare la possibilità di prevedere continui rinnovi dei contratti a tempo determinato con lo stesso lavoratore, in modo da evitare un uso improprio dello strumento del lavoro a termine.

Si consideri al riguardo che, ai sensi della normativa previgente, il datore di lavoro non incontrava limiti nella stipulazione di successivi contratti a termine con lo stesso lavoratore, purché stipulasse il successivo contratto dopo l’intervallo temporale (10 giorni o 20 giorni a seconda della durata del contratto precedente) previsto dall’articolo 5, comma 3, del D.Lgs. 368/2001.

Invece la L. 247/2007, inserendo il nuovo comma 4-bis all’articolo 5 del D.Lgs. 368/2001, ha stabilito che, ferma restando la disciplina della successione di contratti contenuta nei commi precedenti del medesimo articolo 5, se per effetto della successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti il rapporto di lavoro fra il datore di lavoro e il lavoratore superi complessivamente i 36 mesi, comprensivi di proroghe e rinnovi, indipendentemente dai periodi di interruzione che intercorrono tra un contratto e l'altro, il rapporto di lavoro viene considerato a tempo indeterminato, ai sensi del precedente comma 2, a decorrere dal superamento del predetto periodo (quindi non retroattivamente).

Peraltro, in deroga a tale disciplina, si prevedela possibilità di stipula di un ulteriore contratto a termine fra gli stessi soggetti. Tale contratto può stipularsi per una sola volta, a condizione che la stipula avvenga presso la Direzione provinciale del lavoro competente per territorio e con l’assistenza di un rappresentante di una delle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale cui il lavoratore sia iscritto o conferisca mandato. Spetta alle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, con appositi avvisi comuni, stabilire la durata dell’ulteriore contratto. Nel caso in cui la su indicata procedura relativa alla stipula non sia rispettata, nonché in caso di superamento del termine stabilito nello stesso contratto, il nuovo contratto si considera a tempo indeterminato.

Con il nuovo comma 4-ter si prevede tuttavia la non applicazione delle norme sopra illustrate per determinate categorie di attività, cioè per le attività stagionali definite dal D.P.R. 7 ottobre 1963, n. 1525 e per le quelle che saranno eventualmente individuate dagli avvisi comuni e dai contratti collettivi nazionali stipulati dalle organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative.

 

Con la modifica in esame si dispone che la disciplina di cui al menzionato comma 4-bis dell’articolo 5 del D.Lgs. 368/2001, introdotto dalla L. 247/2007, volta a limitare la possibilità di prevedere continui rinnovi dei contratti a termine con lo stesso lavoratore, non si applica nel caso in cui dispongano diversamente i contratti collettivi stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

 

Il comma 3 è invece volto a novellare il comma 4-quater dell’articolo 5 del D.Lgs. 368/2001, anch’esso introdotto dalla citata L. 247/2007.

Il già citato articolo 1, comma 40, della L. 247/2007, sempre novellando l’articolo 5 del D.Lgs. 368/2001, ha introdotto una disciplina relativa alla precedenza nelle assunzioni che sostituisce la più restrittiva disciplina previgente, contenuta nei commi 9 e 10 dell’articolo 10 del D.Lgs. 368/2001 (che vengono conseguentemente abrogati)[106]. In particolare, con il nuovo comma 4-quater viene garantito al lavoratore che, nell’esecuzione di uno o più contratti a termine presso lo stesso datore di lavoro, abbia prestato attività lavorativa per un periodo superiore a 6 mesi, il diritto di precedenza nelle assunzioni a tempo indeterminato effettuate dal datore di lavoro entro i successivi 12 mesi con riferimento alle mansioni già espletate in esecuzione dei rapporti a tempo determinato. In sostanza, il comma 4-quater introdotto dalla L. 247/2007, rispetto alla previgente disciplina, è volto ad estendere in maniera generalizzata, a prescindere da una specifica previsione della contrattazione collettiva e indipendentemente dalla natura dell’attività lavorativa e produttiva[107], il diritto di precedenza nelle assunzioni a tempo indeterminato presso la stessa impresa, prevedendo ope legis la possibilità di fruire di tale diritto di precedenza (per le assunzioni effettuate entro i successivi 12 mesi) per tutti i lavoratori che abbiano prestato attività lavorativa con contratto a tempo determinato, con riferimento alle medesime mansioni a cui si riferisce l’assunzione, per un periodo superiore a sei mesi. Ai sensi del successivo nuovo comma 4-sexies, il lavoratore può avvalersi del diritto di precedenza in questione purché manifesti in tal senso la propria volontà al datore di lavoro entro 6 mesi dalla data di cessazione del rapporto di lavoro a termine; il diritto di precedenza, peraltro, si estingue entro un anno dalla data di cessazione dello stesso rapporto di lavoro.

Inoltre, con il nuovo comma 4-quinquies si prevede, in favore del lavoratore assunto a termine per lo svolgimento di attività stagionali, il diritto di precedenza in relazione alle eventuali nuove assunzioni a termine poste in essere dallo stesso datore di lavoro per le stesse attività stagionali. Ai sensi del successivo nuovo comma 4-sexies, il lavoratore può avvalersi del diritto di precedenza in questione purché manifesti in tal senso la propria volontà al datore di lavoro entro tre mesi dalla data di cessazione del rapporto a termine; il diritto di precedenza, peraltro, si estingue entro un anno dalla data di cessazione dello stesso rapporto di lavoro.

 

Con la modifica in esame si dispone che la disciplina relativa alla precedenza nelle assunzioni, di cui al menzionato comma 4-quater dell’articolo 5 del D.Lgs. 368/2001, introdotto dalla L. 247/2007, può essere derogata dalle eventuali diverse previsioni dei contratti collettivi stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

 

Infine il comma 4 prevede che, dopo 24 mesi dalla data di entrata in vigore del decreto-legge in esame, il Ministro del lavoro procede ad una verifica degli effetti delle norme di cui ai commi precedenti dell’articolo in esame con le organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)

Lavoro temporaneo

Il 20 marzo 2002la Commissione ha presentato una proposta di direttiva relativa alle condizioni di lavoro dei lavoratori temporanei (COM(2002) 149), volta ad assicurare la protezione di tale categoria di lavoratori e a migliorare la qualità del lavoro temporaneo garantendo, in particolare, il rispetto del principio dell’uguaglianza di trattamento in relazione ai dipendenti reclutati dall’impresa utilizzatrice per svolgere lo stesso lavoro.

Dopo la prima lettura del Parlamento europeo, avvenuta il 21 novembre 2002 - secondo la procedura di codecisione - la Commissione ha presentato, il 28 novembre 2002, una proposta modificata (COM(2002)201). Il Consiglio ha raggiunto l’accordo politico in vista della posizione comune nella riunione del 9 e 10 giugno 2008. Il testo, dopo l’adozione della posizione comune, verrà trasmesso al Parlamento europeo per la seconda lettura.

Il nucleo fondamentale del compromesso definito dal Consiglio è costituito dall’equilibrio tra la necessità di assicurare la protezione dei lavoratori temporanei e l’esigenza di consentire sufficiente flessibilità nei mercati del lavoro che hanno consuetudini diverse nel concludere accordi tra le parti sociali.

Il Consiglio europeo del 19 e 20 giugno 2008 ha invitato il Consiglio e il Parlamento europeo a raggiungere un accordo definitivo equilibrato prima della fine dell’attuale legislatura europea.

Modernizzazione del diritto del lavoro e flessicurezza

Nel 2006 la Commissione ha avviato un dibattito pubblico sull’evoluzione del diritto del lavoro in modo tale da sostenere gli obiettivi della strategia di Lisbona ed ottenere una crescita sostenibile con più posti di lavoro di migliore qualità. A conclusione del processo di consultazione (avviato sulla base di un apposito Libro verde), la Commissione ha presentato, il 27 giugno 2007, una comunicazione intesa a definire principi comuni in materia di flessicurezza per consentire agli Stati membri di sviluppare strategie di flessicurezza adattate al proprio contesto nazionale.

I principi comuni sono stati accolti con favore dal Parlamento europeo e dal Consiglio occupazione che ha invitato la Commissione ad assumere le iniziative necessarie per consentire l’attuazione dell’approccio proposto per gli Stati membri.

Il Consiglio europeo del 13 e 14 marzo 2008, ha invitato gli Stati membri ad attuare i principi comuni concordati di flessicurezza delineando nei loro programmi nazionali di riforma per il 2008 le modalità nazionali di attuazione di tali principi.

Il 19 maggio 2008 la Commissione ha lanciato, in cooperazione con le parti sociali europee, la “missione per la flessicurezza”, un’iniziativa per contribuire alla messa in pratica, a livello nazionale, della flessicurezza.


 

Articolo 22
(Modifiche alla disciplina dei contratti occasionali di tipo accessorio)


1. L'articolo 70, comma 1, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, è sostituito dal seguente: «1. Per prestazioni di lavoro accessorio si intendono attività lavorative di natura occasionale rese nell'ambito: a) di lavori domestici; b) di lavori di giardinaggio, pulizia e manutenzione di edifici, strade, parchi e monumenti; c) dell'insegnamento privato supplementare; d) di manifestazioni sportive, culturali o caritatevoli o di lavori di emergenza o di solidarietà; e) dei periodi di vacanza da parte di giovani con meno di 25 anni di età, regolarmente iscritti a un ciclo di studi presso l'università o un istituto scolastico di ogni ordine e grado; f) di attività agricole di carattere stagionale; g) dell'impresa familiare di cui all'articolo 230-bis del codice civile, limitatamente al commercio, al turismo e ai servizi; h) della consegna porta a porta e della vendita ambulante di stampa quotidiana e periodica».

2. All'articolo 72 comma 4-bis le parole «lettera e-bis)» sono sostituite dalle seguenti: «lettera g)».

3. L'articolo 72, comma 5, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, è sostituito dal seguente: «5. Il Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali individua con proprio decreto il concessionario del servizio e regolamenta i criteri e le modalità per il versamento dei contributi di cui al comma 4 e delle relative coperture assicurative e previdenziali. In attesa del decreto ministeriale i concessionari del servizio sono individuati nell'I.N.P.S. e nelle agenzie per il lavoro di cui agli articoli 4, comma 1, lettera a) e c) e 6, commi 1, 2 e 3 del presente decreto».

4. Dalla data di entrata in vigore del presente decreto è abrogato l'articolo 71 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276.


 

 

L’articolo in esame modifica la disciplina delle prestazioni occasionali di tipo accessorio, al fine di semplificarne il regime giuridico e di ampliarne l’ambito oggettivo e soggettivo di applicazione.

 

Al comma 1, si interviene per modificare l’articolo 70, comma 1 del D.Lgs. 276/2003[108], il quale definisce le prestazioni di lavoro accessorio.

In primo luogo, viene semplificata la tipologia di prestazioni di lavoro accessorio sostanzialmente confermandone l’utilizzo per attività di natura occasionale rese a favore dell’impresa familiare di cui all’articolo 230-bis c.c., limitatamente al commercio, al turismo e ai servizi, ovvero nell’ambito di lavori domestici, di lavori di giardinaggio, pulizia e manutenzione di edifici, strade, parchi e monumenti, dell’insegnamento privato supplementare, di manifestazioni sportive, culturali o caritatevoli o di lavori di emergenza o di solidarietà, di attività agricole a carattere stagionale.

Peraltro, la norma è volta anche ad ampliare le tipologie di lavoro accessorio, includendovi anche:

§      le attività lavorative rese nei periodi di vacanza da parte di giovani con meno di 25 anni di età, regolarmente iscritti a un ciclo di studi presso l’università o un istituto scolastico di ogni ordine e grado (in tal modo, viene ripresa l’idea dei tirocini estivi);

§      le attività lavorative rese nell’ambito della consegna porta a porta e della vendita ambulante di stampa quotidiana e periodica.

 

Un’altra rilevante modifica introdotta dal combinato disposto dei commi 1 e 4 consiste nella eliminazione dei requisiti soggettivi per poter svolgere prestazioni di lavoro accessorio.

A tal fine, nella nuova formulazione dell’articolo 70, comma 1, del D.Lgs. 276/2004 viene espunta la precisazione secondo cui erano considerate prestazioni di lavoro accessorio esclusivamente le prestazioni occasionali rese dasoggetti a rischio di esclusione sociale o comunque non ancora entrati nel mercato del lavoro, ovvero in procinto di uscirne.

Inoltre, il comma 4 dell’articolo in esame dispone l’abrogazione dell’articolo 71 del D.Lgs. 276/ 2003, che conteneva una tassativa elencazione delle categorie di soggetti che potevano rendere prestazioni di lavoro accessorio.

Il menzionato articolo 71 individuava i seguenti soggetti che potevano svolgere attività di lavoro accessorio: disoccupati da oltre un anno; casalinghe, studenti e pensionati; disabili e soggetti in comunità di recupero; lavoratori extracomunitari, regolarmente soggiornanti in Italia, nei sei mesi successivi alla perdita del lavoro. Per tali soggetti, interessati a svolgere prestazioni di lavoro accessorio, la norma prevedeva l’onere di comunicare la loro disponibilità ai servizi per l'impiego delle province, nell'ambito territoriale di riferimento, o ai soggetti accreditati ad operare nel mercato del lavoro . A seguito di tale comunicazione la norma prevedeva la consegna di una tessera magnetica che attestava la loro condizione.

 

Nel comma 2 si introduce una modifica di mero coordinamento formale all’articolo 72, comma 4-bis, del D.Lgs. 276/2003, sostituendo il riferimento alla lettera e-bis) dell’articolo 70 con quello alla lettera g) del medesimo articolo, poiché nell’articolo 70, così come modificato dal provvedimento in esame, l’impresa familiare di cui all’articolo 230-bis c.c figura appunta alla lettera g).

Si ricorda che il menzionato comma 4-bis dell’articolo 72 prevede che per l’impresa familiare trova applicazione la normale disciplina contributiva e assicurativa del lavoro subordinato.

 

Nel comma 3 si interviene sull’articolo 72, comma 5, del D.Lgs. 276/2003 al fine di poter rendere immediatamente operativa la disciplina sulle prestazioni di lavoro accessorio.

In particolare, si prevede che il Ministro del lavoro individua con apposito decreto il concessionario del servizio e stabilisce i criteri e le modalità per il versamento dei contributi e delle relative coperture previdenziali e assicurative. Peraltro, nelle more dell’emanazione del decreto, i concessionari del servizio sono individuati nell’INPS e nelle agenzie per il lavoro di cui agli articoli 4, comma 1 lett. a) e c) e 6, commi 1, 2 e 3, del D.Lgs. 276/2003.

Il menzionato D.Lgs. 276/2003 ha attuato la revisione della disciplina relativa agli intermediari nel mercato del lavoro, con l’identificazione di un unico regime autorizzatorio o di accreditamento differenziato solo in funzione del tipo di attività svolta.

In particolare, l’articolo 4 prevede l’istituzione, presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di un albo delle agenzie per il lavoro ai fini dello svolgimento delle attività di somministrazione, intermediazione, ricerca e selezione del personale, nonché supporto alla ricollocazione professionale. Nella norma si prevede l’articolazione di tale albo in cinque sezioni. Di esse, nell’articolo 22 del provvedimento in esame si fa riferimento alle agenzie di somministrazione di lavoro abilitate (lettera a)) e alle agenzie di intermediazione (lettera c)).

L’articolo 6 del D.Lgs. 276/2003 estende la platea dei soggetti abilitati a svolgere attività di intermediazione, includendovi anche soggetti istituzionalmente chiamati a svolgere altre attività:

-        le università pubbliche e private, comprese le fondazioni universitarie, che svolgano tale attività finalità di lucro e con l'obbligo della interconnessione alla borsa continua nazionale del lavoro,

-        i comuni singoli o associati nelle forme delle unioni di comuni e delle comunità montane, le camere di commercio e gli istituti di scuola secondaria di secondo grado, statali e paritari a condizione che svolgano la predetta attività senza finalità di lucro,

-        le associazioni dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative che siano firmatarie di contratti collettivi nazionali di lavoro, le associazioni in possesso di riconoscimento istituzionale di rilevanza nazionale e aventi come oggetto sociale la tutela e l'assistenza delle attività imprenditoriali, del lavoro o delle disabilità, e gli enti bilaterali.

Nella relazione tecnica si evidenzia che, pur non discendendo sul piano previdenziale un maggior onere per prestazioni, perché correlate ai contributi versati nel sistema contributivo, nel breve periodo si registrano minori incassi contributivi per effetto delle ridotte aliquote (rispetto a quelle ordinarie) per i soggetti che svolgono lavoro accessorio. Tali minori incassi contributivi afferiscono primariamente al settore agricolo, dal momento che per il lavoro domestico il carico contributivo si attesta sui 20 punti percentuali.

Pertanto, dalla disposizione esaminata conseguono minori entrate contributive, valutate decuplicando l’onere stimato riguardo l’attività agricola con riferimento esclusivo alle vendemmie di breve durata e a carattere saltuario. Pertanto, tenuto conto dei tempi per l’entrata a regime della norma, si ipotizzano le seguenti minori entrate contributive:

(milioni di euro)

2008

2009

2010

2011

-0.5

-2

-2

-2


 

Articolo 23
(Modifiche alla disciplina del contratto di apprendistato)


1. All'articolo 49, comma 3, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 le parole da «inferiore a due anni e superiore a sei» sono sostituite con «superiore a sei anni».

2. All'articolo 49 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 è aggiunto il seguente comma: «5-ter. In caso di formazione esclusivamente aziendale non opera quanto previsto dal comma 5. In questa ipotesi i profili formativi dell'ap­prendistato professionalizzante sono rimessi integralmente ai contratti collettivi di lavoro stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparati­vamente più rappresentative sul piano nazionale ovvero agli enti bilaterali. I contratti collettivi e gli enti bilaterali definiscono la nozione di formazione aziendale e determinano, per ciascun profilo formativo, la durata e le modalità di erogazione della formazione, le modalità di riconoscimento della qualifica professionale ai fini contrattuali e la registrazione nel libretto formativo».

3. Al comma 1 dell'articolo 50 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 dopo le parole «alta formazione» aggiungere le parole: «, compresi i dottorati di ricerca».

4. Al comma 3 dell'articolo 50 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 dopo le parole «e le altre istituzioni formative» aggiungere le seguenti parole: «In assenza di regolamentazioni regionali l'attivazione dell'apprendistato di alta formazione è rimessa ad apposite convenzioni stipulate dai datori di lavoro con le Università e le altre istituzioni formative. Trovano applicazione, per quanto compatibili, i principi stabiliti all'articolo 49, comma 4, nonché le disposizioni di cui all'articolo 53».

5. Dalla data di entrata in vigore del presente decreto sono abrogati:

a) l'articolo 1 del decreto ministeriale 7 ottobre 1999;

b) l'articolo 21 e l'articolo 24, commi 3 e 4, del decreto del Presidente della Repubblica 30 dicembre 1956, n. 1668;

c) l'articolo 4 della legge 19 gennaio 1955, n. 25.


 

 

L’articolo in esame interviene sulla disciplina del contratto di apprendistato e in particolare sulle disposizioni in materia contenute nel Titolo VI, Capo I, del D.Lgs. 276/2003[109] (artt. 47-53).

La relazione illustrativa evidenzia che tali modifiche mirano alla piena valorizzazione dell’autonomia collettiva nella regolamentazione del rapporto di apprendistato.

L'apprendistato è uno speciale rapporto di lavoro riguardante ogni settore di attività, in forza del quale l'imprenditore è obbligato ad impartire all'apprendista assunto alle sue dipendenze la capacità tecnica per diventare lavoratore qualificato.

Si ricorda che modifiche rilevanti alla disciplina dell’apprendistato sono stati introdotti dal già menzionato D.Lgs. 276/2003, adottato in attuazione della delega di cui alla L. 30/2003.

Prima dell’intervento di riforma, la disciplina in materia di apprendistato era dettata dalla legge 19 gennaio 1955, n. 25[110], e dal regolamento di esecuzione approvato con DPR 30 dicembre 1956, n. 1668, come modificata dall’articolo 16 della legge n. 196/1997 (c.d. “legge Treu”).

In base a tale previgente disciplina, per instaurare un rapporto di apprendistato il datore di lavoro doveva ottenere l'autorizzazione dell'ispettorato del lavoro territorialmente competente, precisando le condizioni della prestazione richiesta agli apprendisti, il genere di addestramento al quale saranno adibiti e la qualifica che essi potranno conseguire al termine del rapporto. Il numero degli apprendisti in un'azienda non poteva superare il 100% delle maestranze specializzate e qualificate in servizio presso l'azienda stessa. Rilevanti agevolazioni contributive erano concesse al datore di lavoro, subordinatamente alla partecipazione degli apprendisti alle iniziative di formazione esterna all’azienda.

Riguardo ai limiti di età, in base alla disciplina previgente al D.Lgs. 276/2003, potevano essere assunti come apprendisti i giovani che avevano compiuto i 16 anni (ovvero 14 anni con adempimento dell’obbligo scolastico, fino alla modifica della disciplina sui limiti di età per l'adempimento di quest’ultimo) e non superato i 24 anni, ovvero a 26 nelle aree svantaggiate (articolo 16 della L. 196/1997). Per i portatori di handicap i suddetti limiti di età erano elevati di due anni. Si prevedeva che la durata dell’apprendistato venisse stabilita dai contratti collettivi di lavoro e comunque non potesse essere inferiore a 18 mesi, né superiore a 4 anni.

Una delle novità già introdotte dall'articolo 16 della L. 196/1997 è rappresentata dalla figura del tutore che, ai sensi del successivo DM 28 febbraio 2000, ha il compito di affiancare l'apprendista per trasmettergli le competenze necessarie all'esercizio dell'attività lavorativa e per favorire l'integrazione tra le attività formative esterne all'azienda e la formazione sul luogo di lavoro. Il tutore collabora con la struttura di formazione esterna ed è chiamato ad esprimere le proprie valutazioni sulle competenze acquisite dall'apprendista ai fini delle attestazioni di competenza del datore di lavoro.

 

In seguito il D.Lgs. 276/2003, riformando la disciplina dell’apprendistato, ha previsto (articolo 47) l’introduzione di tre differenti tipologie di contratto di apprendistato, a seconda della qualità e del livello della formazione insita nel rispettivo rapporto:

-        il contratto di apprendistato per l’espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione;

-        il contratto di apprendistato professionalizzante per il conseguimento di una qualificazione attraverso una formazione sul lavoro e un apprendimento tecnico-professionale;

-        il contratto di apprendistato per percorsi di alta formazione[111].

Viene precisato che, nelle more della regolamentazione del contratto di apprendistato ai sensi del D.Lgs. 276/2003, continua ad applicarsi la già vigente normativa in materia.

 

Con riferimento al rapporto di apprendistato per l’espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione, si prevede (articolo 48) che possono essere assunti con contratto di apprendistato di questo tipo i giovani e gli adolescenti che abbiano compiuto quindici anni di età. La normativa previgente (articolo 16, comma 1, della legge n. 196/1997) prevedeva come età minima sedici anni.

Tale tipologia di contratto di apprendistato potrà concorrere a garantire il diritto-dovere all’istruzione e alla formazione ai sensi della normativa vigente.

La durata massima del contratto in esame è fissata in tre anni ed è finalizzata al conseguimento di una qualifica professionale. La durata del contratto è determinata in considerazione della qualifica da conseguire, del titolo di studio, dei crediti professionali e formativi acquisiti, nonché del bilancio delle competenze realizzato dai servizi pubblici per l’impiego e dai soggetti privati accreditati. Invece la normativa previgente prevedeva che la durata dell’apprendistato fosse fissata dai contratti collettivi nazionali e, comunque, sempre in coerenza con le finalità formative, non potesse essere inferiore a 18 mesi e superiore a 4 anni.

La regolamentazione del contratto di apprendistato in questione è rimessa ad una intesa da raggiungere tra Regioni, Ministero del lavoro e delle politiche sociali e Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, sentite le associazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative. Tale intesa deve comunque rispettare una serie di criteri direttivi fissati dalla legge (articolo 48, comma 3).

 

Il D.Lgs. 276/2003 prevede (articolo 49) che possono essere assunti con contratto di apprendistato professionalizzante, per il conseguimento di una qualificazione attraverso una formazione sul lavoro e l’acquisizione di competenze di base, trasversali e tecnico-professionali, i soggetti di età compresa tra diciotto e ventinove anni.

Tuttavia per i soggetti in possesso di una qualifica conseguita ai sensi della legge n. 53/2003[112] il limite minimo di età è ridotto a diciassette anni.

E’ rimesso ai contratti collettivi stabilire la durata del contratto di apprendistato professionalizzante, che in ogni caso non può essere inferiore a due anni e superiore a sei anni.

La regolamentazione dell’apprendistato professionalizzante è rimessa alle Regioni, d’intesa con le organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative sul piano regionale, nel rispetto di principi e criteri direttivi per la maggior parte coincidenti con quelli previsti per l’apprendistato per l’espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione. Se ne differenzia per il fatto di non fare riferimento alla qualifica professionale e per il fatto di prevedere un monte ore di formazione di almeno 120 ore per anno.

Si ribadisce che il numero degli apprendisti presso ciascuna azienda non può superare il numero dei lavoratori specializzati e qualificati ma, se tali lavoratori mancano o sono meno di tre, è consentita comunque l’assunzione di tre apprendisti.

 

Per quanto riguarda invece l’apprendistato per l’acquisizione di un diploma universitario, per percorsi di alta formazione, nonché per la specializzazione tecnica superiore di cui all’articolo 69 della legge n. 144/1999, si prevede (articolo 50) che possono essere assunti come apprendisti soggetti tra 18 e 29 anni; il limite di età minimo si abbassa a 17 anni per i soggetti in possesso di una qualifica professionale.

La disciplina e la durata del rapporto di apprendistato in esame è rimessa alle Regioni, in accordo con le associazioni territoriali dei datori di lavoro, le università e le altre istituzioni formative.

 

Più in generale, il D.Lgs. 276/2003 dispone (articolo 51) che la qualifica professionale conseguita attraverso il contratto di apprendistato costituisce credito formativo per il proseguimento nei percorsi di istruzione, e istruzione e formazione professionale.

Inoltre, si prevede (articolo 53) che la categoria di inquadramento dell’apprendista non potrà essere inferiore, per più di due livelli, alla categoria spettante ai lavoratori addetti a mansioni che richiedono qualificazioni corrispondenti a quelle al cui conseguimento è finalizzato il contratto.

Altre misure, che confermano quanto già previsto dalla disciplina previgente, sono indirizzate ad incentivare l’occupazione giovanile escludendo gli apprendisti dal computo dei limiti numerici previsti da leggi e contratti collettivi di lavoro per l'applicazione di particolari normative ed istituti.

Inoltre, in attesa della riforma del sistema degli incentivi all’occupazione, si confermano gli attuali incentivi contributivi per l’utilizzazione del rapporto di apprendistato (cfr. infra). Tuttavia l’effettiva spettanza degli stessi sarà soggetta alla verifica che la formazione sia effettivamente e regolarmente svolta. In caso di inadempimento nella erogazione della formazione da parte del datore di lavoro, sono previste specifiche sanzioni pecuniarie a carico del medesimo.

Si dispone altresì che resta ferma la disciplina previdenziale e assistenziale prevista dalla L. 25/1955, e successive modificazioni e integrazioni[113].

L’articolo 21 della richiamata L. 25/1955 stabilisce, al riguardo, che per gli apprendisti l'applicazione delle norme sulla previdenza e assistenza sociale obbligatoria si estende alle seguenti forme:

-        assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, per gli appartenenti alle categorie per le quali è previsto l'obbligo di tale assicurazione;

-        assicurazione contro le malattie, prevista dalla L. 11 gennaio 1943, n. 138, per determinate prestazioni;

-        assicurazione contro l'invalidità e vecchiaia;

-        assicurazione contro la tubercolosi, prevista dal R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827.

 

Per quanto riguarda la contribuzione previdenziale ed assicurativa relativa al rapporto di apprendistato, si consideri che la normativa è stata sempre improntata ad un atteggiamento di agevolazione, prevedendo obblighi contributivi in misura inferiore rispetto alla generalità dei rapporti di lavoro dipendente.

Bisogna al riguardo distinguere tra la quota di contribuzione a carico dei datori di lavoro rispetto a quella a carico degli apprendisti. Mentre la disciplina relativa a quest’ultima è rimasta sostanzialmente immutata sino ad oggi[114], la disciplina relativa alla quota di contribuzione a carico del datore di lavoro ha subito una rilevante modifica a seguito della legge finanziaria per il 2007.

Difatti, nella normativa previgente alla legge finanziaria 2007 (valida per i periodi contributivi sino al 31 dicembre 2006) i contributi previdenziali ed assicurativi per gli apprendisti a carico dei datori di lavoro erano previsti in misura estremamente ridotta. In particolare, i contributi settimanali a carico del datore di lavoro erano stabiliti in misura fissa e ammontavano, per il 2006, a 2,98 euro (2,89 euro nei casi in cui non era previsto l’obbligo dell'assicurazione INAIL)[115].

Successivamente, l’articolo 1, comma 773, della legge finanziaria per il 2007 (L. 296 del 2006), ha rideterminato, con effetto sui periodi contributivi maturati a decorrere dal 1° gennaio 2007, le aliquote contributive dovute dai datori di lavoro per gli apprendisti artigiani e non artigiani, nella misura complessiva del 10% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali.

Al fine di rendere più graduale l’impatto dell’incremento della contribuzione per le aziende di minori dimensioni, inoltre, si prevede che, per i datori di lavoro che occupano complessivamente meno di 10 dipendenti, la suddetta aliquota complessiva del 10% a loro carico relativa agli apprendisti è ridotta di 8,5 punti percentuali per i contributi maturati nel primo anno di contratto e di 7 punti percentuali per i contributi maturati nel secondo anno di contratto. Resta fermo il livello di aliquota del 10% per i contributi maturati negli anni successivi al secondo.

Lo stesso comma ha inoltre disposto che la ripartizione del predetto contributo tra le gestioni previdenziali sia stabilita con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da emanarsi entro due mesi dalla data di entrata in vigore della legge finanziaria per il 2007 (cioè entro il 28 febbraio 2007)[116].

Ancora, viene prevista l’applicazione della rideterminazione contributiva stabilita dal comma in esame anche alle contribuzioni erogate in misura pari a quelle degli apprendisti (come, per esempio, nel caso di assunzione di lavoratori iscritti nelle liste di mobilità).

Contestualmente, con riferimento ai periodi contributivi maturati a decorrere dal 1° gennaio 2007, si dispone la cessazione, per le regioni, dell’obbligo del pagamento delle somme occorrenti per le assicurazioni in favore degli apprendisti artigiani di cui all’articolo 16 della L. 21 dicembre 1978, n. 845[117] .

Infine, è stato disposta, a decorrere dal 1° gennaio 2007, l’estensione delle disposizioni in materia di indennità giornaliera di malattia secondo la disciplina generale prevista per i lavoratori subordinati, ai lavoratori assunti con contratto di apprendistato ai sensi del D.Lgs. 276 del 2003. Si prevede che la relativa contribuzione sia stabilita con lo stesso decreto che provvede alla ripartizione del contributo, in precedenza richiamato[118].

 

Anzitutto, con il comma 1 si stabilisce che la durata del contratto di apprendistato professionalizzante, stabilita nei contratti collettivi stipulati dalle associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o regionale, non possa essere superiore a sei anni.

Viene pertanto eliminato il limite minimo di durata, pari a due anni, previsto dalla disciplina previgente. Pertanto, le parti sociali sono ora libere di determinare una durata anche inferiore, se funzionale alle esigenze del settore o alle caratteristiche del percorso formativo.

Con il successivo comma 2, viene introdotto nell’articolo 49 il comma 5-ter il quale prevede che in caso di formazione esclusivamente aziendale non si applica il precedente comma 5.

 

Si ricorda che il menzionato comma 5 attribuisce alle regioni la regolamentazione dei profili formativi dell'apprendistato professionalizzante, d'intesa con le associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano regionale.

 

Pertanto, nel caso di formazione esclusivamente aziendale, i profili formativi dell’apprendistato professionalizzante vengono rimessi integralmente ai contratti collettivi di lavoro stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale ovvero agli enti bilaterali. I contratti collettivi e gli enti bilaterali definiscono la nozione di formazione aziendale e determinano, per ciascun profilo formativo, la durata e le modalità di erogazione della formazione, le modalità di riconoscimento della qualifica professionale ai fini contrattuali e la registrazione nel libretto formativo.

La relazione illustrativa evidenzia che la norma si pone in linea con le indicazioni provenienti dalla Corte costituzionale, che ha affermato come rientri nella competenza delle regioni unicamente l’offerta formativa pubblica[119].

 

Il comma 3 dell’articolo in esame è volto a novellare l’articolo 50, comma 1, del D.Lgs. 276/2003, riguardante l’apprendistato per l'acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione. In particolare, a seguito di tale modificai, si dispone che possono essere assunti con contratto di apprendistato per conseguimento di un titolo di studio di livello secondario, per il conseguimento di titoli di studio universitari e della alta formazione, compresi i dottorati di ricerca, nonché per la specializzazione tecnica superiore, i soggetti di età compresa tra i diciotto anni e i ventinove anni.

 

Invece il comma 4 dell’articolo in esame novella il comma 3 del medesimo articolo 50, il quale prevede che la regolamentazione e la durata dell'apprendistato per l'acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione è rimessa alle regioni, per i soli profili che attengono alla formazione, in accordo con le associazioni territoriali dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro, le università e le altre istituzioni formative.

Con la modifica introdotta, al fine di evitare che l’applicazione dell’istituto sia impedita nelle more della disciplina regionale, si prevede che, in assenza di regolamentazioni regionali, l'attivazione dell’apprendistato di alta formazione è rimessa ad apposite convenzioni stipulate dai datori di lavoro con le università e le altre istituzioni formative. Si dispone inoltre che trovano applicazione, in quanto compatibili, l’articolo 49, comma 4 del D.Lgs. 276/2003 (contenente i principi per la disciplina dell’apprendistato professionalizzante), nonché le disposizioni dell’articolo 53 dello stesso decreto (riguardanti gli incentivi economici e normativi e i profili previdenziali del contratto di apprendistato).

 

Infine, il comma 5 dispone che, dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame, vengono abrogate le seguenti disposizioni:

§         l’articolo 1 del decreto ministeriale 7 ottobre 1999[120], nel quale si prevedeva che la comunicazione all'amministrazione competente da parte delle imprese dei dati dell'apprendista e di quelli del tutore aziendale avvenisse entro giorni trenta dalla data di assunzione. Tali comunicazioni potevano essere svolte anche dai soggetti iscritti all’albo dei consulenti del lavoro, nonché degli avvocati e procuratori legali, dei dottori commercialisti, dei ragionieri e dei periti commerciali;

§         l’articolo 21 del D.P.R. 1668/1956[121], il quale stabiliva che determinate informazioni alla famiglia dell’apprendista o a chi esercita legalmente su di lui la patria potestà, dovessero essere date a intervalli non superiori a sei mesi;

§         l’articolo 24, commi 3 e 4, del D.P.R. 1668/1956. In tale disposizione si prevede che l’attribuzione della qualifica professionale agli apprendisti da parte del datore di lavoro avvenisse entro il termine previsto dai contratti collettivi e, comunque, non oltre il quinquennio. Nei commi abrogati era stabilito che l’attribuzione della qualifica dovesse essere comunicata all’Ufficio di collocamento competente per territorio, il quale ne dava comunicazione agli Istituti previdenziali ed assistenziali interessati, entro 10 giorni (comma 3). Inoltre, nello stesso termine i datori di lavoro comunicavano all’Ufficio di collocamento competente i nominativi degli apprendisti, che avessero compiuto 18 anni di età ed effettuato un biennio di addestramento pratico, ai quali non fosse stata attribuita la qualifica (comma 4);

§         l’articolo 4 della legge 25/1955[122], il quale prevedeva che l'assunzione dell'apprendista dovesse essere preceduta da visita sanitaria per accertare che le sue condizioni fisiche ne consentano la occupazione nel lavoro per il quale deve essere assunto.


 

Articolo 24
(“Taglia-leggi”)

1. A far data dal sessantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto sono o restano abrogate le disposizioni elencate nell'Allegato A.

 

 

La disposizione abrogativa

L’articolo 24 dispone l’abrogazione di 3.574 atti normativi di rango primario (da cui vanno scontate un certo numero di duplicazioni) riportati nell’allegato A al decreto-legge.

La disposizione – per la quantità delle abrogazioni previste – costituisce una novità a livello statale, mentre a livello regionale sono diverse le leggi di abrogazione generale che sono state approvate, utilizzando formula analoga a quella qui utilizzata: “sono o restano abrogate”. Si tratta di una formula cautelativa, invero giustificata, considerando che non mancano, tra quelli elencati, i provvedimenti già formalmente abrogati anche nel recente passato (cfr. infra, il paragrafo relativo all’allegato).

Le abrogazioni decorrono dal sessantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore del decreto; tale decorrenza andrebbe valutata alla luce del requisito dell’immediata applicabilità delle disposizioni dei decreti-legge, di cui all’articolo 15, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400.

Oggetto di abrogazione – come chiarisce la relazione illustrativa – sono “un gran numero di atti di forza di legge che hanno esaurito i propri effetti:

§      leggi provvedimento ad efficacia temporanea;

§      leggi implicitamente abrogate che appesantiscono l’ordinamento vigente;

§      leggi tuttora vigenti considerate, tuttavia, dalle amministrazioni di riferimento palesemente obsolete”.

 

Anche alla luce della tipologia degli atti che vengono espressamente abrogati, che hanno comunque già esaurito i propri effetti, andrebbe valutata l’opportunità del ricorso alla decretazione d’urgenza, in relazione sia ai requisiti costituzionali di straordinaria necessità ed urgenza, sia alla presenza nell’ordinamento di una disposizione di delega, nota come taglia-leggi (analogamente alla rubrica dell’articolo in esame), che scadrà il 16 dicembre 2009 e nell’attuazione della quale è stata già compiuta una ricognizione a tappeto delle norme vigenti, che ha costituito la base per la disposizione in commento, come chiarito nella relazione illustrativa.

 

La delega taglia-leggi

L'articolo 14, commi 12-24, della legge 28 novembre 2005, n. 246, Semplificazione e riassetto normativo per l’anno 2005, reca una duplice, concorrente delega legislativa, avente ad oggetto:

§      l'individuazione delle disposizioni legislative statali (anteriori al 1970) delle quali si ritenga indispensabile la permanenza in vigore, così sottraendole all'abrogazione automatica e generalizzata, disposta dal medesimo articolo;

§      la semplificazione e il riassetto delle materie di volta in volta considerate.

 

Quanto al procedimento disegnato dalla citata legge n. 246, esso si articola in tre 'tempi':

§      la individuazione (entro il 16 dicembre 2007) delle disposizioni statali vigenti per settori legislativi e delle loro incongruenze o antinomie, da parte del Governo che ne trasmette relazione al Parlamento;

§      la individuazione con decreti legislativi (entro il 16 dicembre 2009) delle disposizioni legislative statali (anteriori al 1° gennaio 1970, anche se modificate con provvedimenti successivi) ritenute indispensabili, da sottrarre pertanto all'effetto di abrogazione generalizzata statuito dal medesimo articolo 14 (effetto al quale sono sottratte, inoltre, alcune disposizioni direttamente indicate dalla medesima legge n. 246). Con i predetti decreti legislativi (emanati previo parere della Commissione bicamerale per la semplificazione della legislazione) si provvede altresì "alla semplificazione o al riassetto della materia che ne è oggetto";

§      l'adozione di disposizioni integrative o correttive dei decreti legislativi sopra rammentati, entro due anni successivi alla data di loro entrata in vigore.

 

Al meccanismo di abrogazione automatica sono sottratti due insiemi di disposizioni:

§      disposizioni codicistiche o di testi unici; di disciplina degli organi costituzionali o aventi rilevanza costituzionale o dell'ordinamento delle magistrature; di esplicitazione dei principi fondamentali della legislazione dello Stato nelle materie di legislazione concorrente; di adempimento di accordi internazionali o di obblighi comunitari; in materia previdenziale e assistenziale; tributarie e di bilancio (questa la previsione dell'articolo 14, comma 17 della legge n. 246);

§      le disposizioni individuate nei decreti legislativi delegati, che le 'salvano' in quanto indispensabili, riconoscendo così per esse la non fondatezza di una, per così dire, 'presunzione di obsolescenza’ basata su criterio temporale.

 

In ottemperanza alla prima delle fasi sopra ricordate - quella ricognitiva per settori normativi - il Governo (come già preannunziato nel suo Piano di azione per la semplificazione e la qualità della regolazione) ha trasmesso al Parlamento apposita relazione (Documento XXVII, n. 7 della XV legislatura), che contiene il censimento delle norme formalmente vigenti effettuato – con la direzione del Comitato interministeriale per l’indirizzo e la guida strategica delle politiche di semplificazione e di qualità della regolazione – attraverso due principali canali informativi: un lavoro di ricognizione effettuato da ciascuna amministrazione ministeriale; un’attività ricognitiva svolta da un gruppo di esperti, sulla scorta delle banche dati giuridiche esistenti (pubbliche o private).

Complessivamente, sono stati censiti circa 21.000 atti normativi (quasi esclusivamente) di rango primario, di cui circa 7.000 emanati nel periodo antecedente al 1° gennaio 1970.

"Una prima proiezione consente di prevedere che almeno un quarto dei circa 21.000 atti censiti potranno essere eliminati", si legge nella relazione. Ora, il decreto-legge in esame, utilizzando un meccanismo speculare a quello previsto dalla delega, e cioè ricorrendo alla elencazione delle disposizioni abrogate (piuttosto che delle disposizioni considerate vigenti), dispone l’abrogazione di 3.574 atti normativi (da cui vanno scontate un certo numero di duplicazioni), cioè di poco meno di un quinto dei 21.000 provvedimenti censiti.

Il provvedimento in esame si muove in un ambito più vasto rispetto al dispositivo previsto dalla delega, sia dal punto di vista temporale (le abrogazioni riguardano atti normativi non soltanto antecedenti al 1970 ma anche successivi, fino al 1996), sia dal punto di vista materiale (include infatti tra le abrogazioni anche disposizioni escluse dall’applicazione della delega, quali i testi unici, le leggi di bilancio, di ratifica, etc.) .

La relazione illustrativa del provvedimento in esame non chiarisce quale sia l’intendimento del Governo in ordine all’attuazione della delega prevista dalla legge n. 246 del 2005, che, come già accennato, oltre all’obiettivo della semplificazione (cui il decreto in esame contribuisce in larga misura) persegue anche l’obiettivo del riassetto normativo.

L’allegato

Per quanto riguarda l’allegato, esso presenta gli atti normativi abrogati in ordine cronologico. Si segnala in proposito che alcune delle leggi regionali di abrogazione generale sopra richiamate hanno utilizzato il criterio cronologico in seconda istanza, procedendo dapprima ad una opportuna classificazione delle leggi per settori. Si rammentano, tra le altre, le leggi regionali della Campania 5 dicembre 2005, n. 21 (“Riordino normativo ed abrogazione espressa di leggi tacitamente abrogate o prive di efficacia”) e della Toscana 2 aprile 2002, n. 11 (“Semplificazione del sistema normativo regionale – anno 2002. Abrogazione di disposizioni normative”).

 

 

Dal punto di vista cronologico, si può rilevare quanto segue:

§      52 atti normativi risalgono all’Ottocento;

§      971 sono antecedenti alla entrata in vigore della Costituzione;

§      2.705 sono antecedenti al 1° gennaio 1970 (la data indicata come discrimine dalla delega taglia-leggi);

§      gli ultimi atti normativi abrogati risalgono al 1996.

Duplicazioni

In 119 casi, lo stesso atto normativo viene ripetuto due volte: a titolo esemplificativo si segnalano:

§      15 regi decreti: n. 6034/1870, indicato ai nn. 8 e 9 dell’elenco; n. 375/1901, indicato ai nn. 58 e 59; n. 97/1902, indicato ai nn. 62 e 63; n. 523/1902, indicato ai nn. 68 e 69; n. 185/1923, indicato ai nn. 171 e 172; n. 253/1923, indicato ai nn. 176 e 177; n. 976/1923, indicato ai nn. 186 e 187; n. 2903/1923, indicato ai nn. 221 e 227 ; n. 2841/1923, indicato ai nn. 222 e 225; n. 3/1924, indicato ai nn. 245 e 246; n. 164/1931, indicato ai nn. 465 e 467; n. 1413/1936, indicato ai nn. 633 e 634; n. 862/1937, indicato ai nn. 661 e 662; n. 1746/1939, indicato ai nn. 791 e 792; n. 639/1941, indicato ai nn. 869 e 870;

§      99 leggi: n. 7321/1890, indicata ai nn. 37 e 38 dell’elenco; n. 334/1897, indicata ai nn. 49 e 50; n. 23/1901, indicata ai nn. 55 e 56; n. 390/1904, indicata ai nn. 80 e 81; n. 1187/1926, indicata ai nn. 285 e 287; n. 995/1934, indicata ai nn. 553 e 554; n. 118/1936, indicata ai nn. 600 e 601; n. 472/1938, indicata ai nn. 706 e 707; n. 809/1939, indicata ai nn. 759 e 760; n. 961/1939, indicata ai nn. 763 e 768; n. 1123/1939, indicata ai nn. 779 e 781; n. 1450/1936, indicata ai nn. 625 e 628; n. 233/1940, indicata ai nn. 802 e 803; n. 1289/1940, indicata ai nn. 842 e 843; n. 1458/1940, indicata ai nn. 846 e 847; n. 319/1941, indicata ai nn. 865 e 866; n. 786/1941, indicata ai nn. 871 e 874; n. 102/1943, indicata ai nn. 945 e 946; n. 290/1943, indicata ai nn. 949 e 951; n. 530/1947, indicata ai nn. 964 e 965; n. 1379/1947, indicata ai nn. 968 e 969; n. 25/1948, indicata ai nn. 979 e 980; n. 43/1949, indicata ai nn. 1081 e 1082; n. 329/1949, indicata ai nn. 1099 e 1100; n. 103/1950, indicata ai nn. 1134 e 1135 ; n. 674/1950, indicata ai nn. 1156 e 1159; n. 575/1950, indicata ai nn. 1163 e 1164; n. 647/1950, indicata ai nn. 1166 e 1167; n. 927/1950, indicata ai nn. 1180 e 1181; n. 987/1950, indicata ai nn. 1185 e 1186; n. 328/1951, indicata ai nn. 1211 e 1212; n. 1224/1951, indicata ai nn. 1224 e 1225; n. 1186/1951, indicata ai nn. 1231 e 1234; n. 1585/1951, indicata ai nn. 1246 e 1247; n. 113/1952, indicata ai nn. 1266 e 1267; n. 347/1952, indicata ai nn. 1276 e 1277; n. 200/1952, indicata ai nn. 1278 e 1279; n. 703/1952, indicata ai nn. 1305 e 1306; n. 1008/1952, indicata ai nn. 1311 e 1313; n. 2520/1952, indicata ai nn. 1331 e 1335; n. 86/1953, indicata ai nn. 1369 e 1370; n. 150/1953, indicata ai nn. 1372 e 1374; n. 901/1953, indicata ai nn. 1407 e 1409; n. 937/1953, indicata ai nn. 1411 e 1413; n. 980/1953, indicata ai nn. 1414 e 1418; n. 79/1954, indicata ai nn. 1421 e 1422; n. 117/1954, indicata ai nn. 1424 e 1425; n. 343/1954, indicata ai nn. 1449 e 1450; n. 705/1954, indicata ai nn. 1470 e 1479; n. 1142/1954, indicata ai nn. 1492 e 1494; n. 698/1955, indicata ai nn. 1558 e 1559; n. 1111/1955, indicata ai nn. 1576 e 1577; n. 137/1956, indicata ai nn. 1605 e 1606; n. 503/1956, indicata ai nn.. 1615 e 1616; n. 1126/1957, indicata ai nn. 1698 e 1699; n. 1231/1957, indicata ai nn. 1709 e 1710; n. 19/1958, indicata ai nn. 1715 e 1716; n. 43/1958, indicata ai nn. 1721 e 1722; n. 30/1958, indicata ai nn. 1725 e 1726; n. 177/1958, indicata ai nn. 1737 e 1738; n. 258/1958, indicata ai nn. 1749 e 1751; n. 315/1958, indicata ai nn. 1760 e 1761; n. 14/1959, indicata ai nn. 1777 e 1778; n. 134/1959, indicata ai nn. 1783 e 1785; n. 558/1959, indicata ai nn. 1816 e 1817; n. 1079/1959, indicata ai nn. 1831 e 1832; n. 190/1960, indicata ai nn. 1860 e 1861; n. 1327/1960, indicata ai nn. 1912 e 1913; n. 171/1961, indicata ai nn. 1938 e 1941; n. 174/1961, indicata ai nn. 1943 e 1944; n. 195/1962, indicata ai nn. 2016 e 2017; n. 1543/1962, indicata ai nn. 2044 e 2045; n. 1651/1962, indicata ai nn. 2054 e 2055; n. 46/1963, indicata ai nn. 2095 e 2096; n. 145/1963, indicata ai nn. 2103 e 2106 (peraltro la seconda volta è indicata erroneamente come decreto del Presidente della Repubblica); n. 133/1963, indicata ai nn. 2108 e 2111; n. 1460/1963, indicata ai nn. 2151 e 2152; n. 403/1964, indicata ai nn. 2175 e 2177; n. 117/1965, indicata ai nn. 2241 e 2242; n. 223/1965, indicata ai nn. 2248 e 2253; n. 218/1965, indicata ai n. 2249 e 2251 (peraltro la seconda volta è indicata erroneamente come decreto del Presidente della Repubblica); n. 582/1965, indicata ai nn. 2267 e 2268; n. 904/1965, indicata ai nn. 2283 e 2284; n. 970/1965, indicata ai nn. 2285 e 2287; n. 1169/1965, indicata ai nn. 2292 e 2293; n. 1423/1965, indicata ai nn. 2312 e 2313; n. 1081/1966, indicata ai nn. 2371 e 2372; n. 120/1967, indicata ai nn. 2392 e 2393; n. 314/1967, indicata ai nn. 2401 e 2403; n. 283/1967, indicata ai nn. 2407 e 2408; n. 571/1967, indicata ai nn. 2421 e 2422; n. 661/1967, indicata ai nn. 2427 e 2431; n. 1177/1967, indicata ai nn. 2460 e 2461; n. 1220/1967, indicata ai nn. 2468 e 2469; n. 20/1968, indicata ai nn. 2485 e 2487; n. 22/1968, indicata ai nn. 2486 e 2489; n. 389/1968, indicata ai nn. 2544 e 2546; n. 319/1968, indicata ai nn. 2561 e 2562; n. 279/1969, indicata ai nn. 2629 e 2632;

§      3 decreti legislativi: n. 100/1948, indicato ai nn. 981 e 984 dell’elenco; n. 61/1948, indicato ai nn. 982 e 983 ; n. 524/1948, indicato ai nn. 1005 e 1008;

§      2 decreti del Presidente della Repubblica: n. 988/1953, indicato ai nn. 1401 e 1402 dell’elenco; n. 1255/1954, indicato ai nn. 1500 e 1501.

Atti normativi già espressamente abrogati

Come già accennato, alcuni degli atti normativi elencati risultano già abrogati.

A titolo meramente esemplificativo:

§      la legge 25 giugno 1865, n. 2359, Espropriazioni per causa di pubblica utilità, indicata al n. 2 dell’elenco, risulta già abrogata ad opera dell’articolo 58 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 325 (testo unico delle disposizioni legislative in materia di espropriazione per pubblica utilità) e dell’articolo 58 del DPR 8 giugno 2001, n. 327 (testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità);

§      la legge 29 maggio 1873, n. 1387, Legge sui consorzi di irrigazione, indicata al n. 10 dell’elenco, è confluita nel testo unico approvato con regio decreto 2 ottobre 1922, n. 1747, che è stato abrogato dall’articolo 119 del regio decreto 13 febbraio 1933, n. 215;

§      la legge 30 agosto 1868, n. 4577, Legge concernente i marchi ed i segni distintivi di fabbrica, indicata al n. 6, è stata abrogata dall'articolo 85 del regio decreto 21 giugno 1942, n. 929 (che abroga anche il regio decreto n. 1970 del 29 luglio 1923, riportato al n. 198, ma limitatamente agli articoli da 5 in poi, ed è stato a sua volta abrogato dal codice della proprietà industriale, di cui al decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30);

§      il regio decreto 10 luglio 1924, n. 1256, Impiego della radiotelegrafia e radiotelefonia nei porti del Regno e delle Colonie da parte di navi da guerra estere, indicato al n. 250, risulta già abrogato dall'articolo 19 del regio decreto 24 agosto 1933, n. 2423.

 

In altri casi, andrebbe effettuata una ulteriore verifica. Per esempio, nell’elenco viene riportata, al n. 83, la legge n. 137/1905 ma non la legge 12 luglio 1906, n. 332, eppure entrambe erano state abrogate (“in quanto siano contrarie alla presente legge”) dalla legge n. 429/1907.

Provvedimenti modificativi di atti normativi previgenti

In qualche caso, l’elenco include atti normativi volti essenzialmente o esclusivamente alla modifica di atti previgenti, che invece non risultano abrogati. A titolo esemplificativo si segnalano i seguenti:

§      il regio decreto 24 dicembre 1922, n. 1677, Disposizioni per la prescrizione depositi e modificazioni alla legge sulle casse postali, indicato al n. 170, reca ai primi tre articoli modifiche alla legge n. 2 gennaio 1913, n. 453, non inclusa nell’elenco e che non risulta già espressamente abrogata e, all’articolo 4, dispone l’abrogazione del decreto-legge 17 gennaio 1918, n. 190;

§      il regio decreto 5 maggio 1927, n. 740, indicato al n. 310, reca Modificazioni alle norme contenute nel R.D. 6 maggio 1923, n. 1054, relative agli esami negli Istituti medi d'istruzione e il regio decreto 26 giugno 1923, n. 1413, indicato al n. 193, reca Norme per l'applicazione del R.D. 6 maggio 1923, n. 1054, sull'ordinamento dell'istruzione media e dei convitti nazionali. Il regio decreto n. 1054/1923 non è incluso nell’elenco e non risulta già espressamente abrogato;

§      la legge 2 ottobre 1940, n. 1406, indicata al n. 848, reca Modificazioni alla legge 24 dicembre 1908, n. 783, ed al decreto-legge luogotenenziale 26 gennaio 1919, n. 123, convertito nella legge 17 aprile 1925, n. 473, riguardanti la unificazione dei sistemi di alienazione e di amministrazione dei beni immobili patrimoniali dello Stato; entrambi i provvedimenti oggetto di modificazioni non sono inclusi nell’elenco e non risultano già espressamente abrogati;

§      la legge 25 marzo 1943, n. 290, indicata ai nn. 949 e 951, reca Modificazione degli art. 48, 81 e 82 del testo unico sull'edilizia popolare ed economica approvato con R.D. 28 aprile 1938-XVI, n. 1165: il testo unico non è incluso nell’elenco e non risulta già espressamente abrogato;

§      la legge 21 marzo 1967, n. 153, indicata al n. 2395, reca Modifica dell'articolo 5 della L. 16 aprile 1954, n. 156, sulla costruzione dell'aeroporto di Genova-Sestri, la quale non è inclusa nell’elenco e non risulta già espressamente abrogata.

Disposizioni dichiarate costituzionalmente illegittime dalla Corte costituzionale

Il Testo unico delle disposizioni concernente la disciplina fiscale della lavorazione dei semi oleosi e degli oli da essi ottenuti, di cui aldecreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1954, n. 1217, indicato al n. 1511, è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla Corte Costituzionale, con sentenza 4-10 aprile 1962, n. 32.

Leggi che concorrono al ciclo annuale di bilancio

Nell’elenco sono comprese due delle tipologie di leggi che annualmente concorrono al ciclo annuale di bilancio: assestamento e bilancio di previsione.

Tra le leggi di assestamento, non figurano nell’elenco quelle relative agli anni: dal 1983 al 1986; 1995 e 1996 (data ultima dei provvedimenti abrogati).

Tra le leggi di bilancio, figurano soltanto quelle relative agli anni finanziari 1977, 1982, 1983, 1987, 1988, 1991, 1994 e 1996.


 

Articolo 25
(“Taglia-oneri” amministrativi)


1. Entro sessanta giorni dall'entrata in vigore del presente decreto, su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione e del Ministro per la semplificazione normativa, è approvato un programma per la misurazione degli oneri amministrativi derivanti da obblighi informativi nelle materie affidate alla competenza dello Stato, con l'obiettivo di giungere, entro il 31 dicembre 2012, alla riduzione di tali oneri per una quota complessiva del 25 per cento, come stabilito in sede europea. Per la riduzione relativa alle materie di competenza regionale, si provvede ai sensi dell'articolo 20-ter della legge 15 marzo 1997, n. 59, e dei successivi accordi attuativi.

2. In attuazione del programma di cui al comma 1, il Dipartimento della funzione pubblica coordina le attività di misurazione in raccordo con l'Unità per la semplificazione e la qualità della regolazione e le amministrazioni interessate per materia.

3. Ciascun Ministro, di concerto con il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione e con il Ministro per la semplificazione normativa, adotta il piano di riduzione degli oneri amministrativi, che definisce le misure normative, organizzative e tecnologiche finalizzate al raggiungimento dell'obiettivo di cui al comma 1, assegnando i relativi programmi ed obiettivi ai dirigenti titolari dei centri di responsabilità amministrativa. I piani confluiscono nel piano d'azione per la semplificazione e la qualità della regolazione di cui al comma 2 dell'articolo 1 del decreto legge 10 gennaio 2006, n. 4, che assicura la coerenza generale del processo nonché il raggiungimento dell'obiettivo finale di cui al comma 1.

4. Con decreto del Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione e del Ministro per la semplificazione normativa, si provvede a definire le linee guida per la predisposizione dei piani di cui al comma 3 e delle forme di verifica dell'effettivo raggiungimento dei risultati, anche utilizzando strumenti di consultazione pubblica delle categorie e dei soggetti interessati.

5. Sulla base degli esiti della misurazione di ogni materia, congiuntamente ai piani di cui al comma 3, e comunque entro il 30 settembre 2012, il Governo è delegato ad adottare uno o più regolamenti ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione e del Ministro per la semplificazione normativa, di concerto con il Ministro o i Ministri competenti, contenenti gli interventi normativi volti a ridurre gli oneri amministrativi gravanti sulle imprese nei settori misurati e a semplificare e riordinare la relativa disciplina. Tali interventi confluiscono nel processo di riassetto di cui all'articolo 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59.

6. Degli stati di avanzamento e dei risultati raggiunti con le attività di misurazione e riduzione degli oneri amministrativi gravanti sulle imprese è data tempestiva notizia sul sito web del Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, del Ministro per la semplificazione normativa e dei Ministeri e degli enti pubblici statali interessati.

7. Del raggiungimento dei risultati indicati nei singoli piani ministeriali di semplificazione si tiene conto nella valutazione dei dirigenti responsabili.


La disposizione taglia-oneri amministrativi

L’articolo 25 è finalizzato alla misurazione degli oneri amministrativi derivanti da obblighi informativi nelle materie affidate alla competenza dello Stato ed alla loro riduzione, entro il 31 dicembre 2012, per una quota complessiva del 25 per cento, ottemperando all’impegno assunto in sede di Unione europea dallo Stato italiano.

Tale finalità è perseguita attraverso tre passaggi:

§      l’approvazione – evidentemente da parte del Consiglio dei ministri, anche se non viene esplicitato – di un programma di misurazione degli oneri amministrativi, predisposto dal Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione e dal Ministro per la semplificazione normativa (comma 1). Il coordinamento delle attività di misurazione è affidato, dal comma 2, al Dipartimento della funzione pubblica, in raccordo con l’Unità per la semplificazione e la qualità della regolazione[123] e le amministrazioni interessate a ciascun settore ove viene effettuata la misurazione stessa;

§      l’adozione da parte di ciascun Ministro, di concerto con il Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione ed il Ministro per la semplificazione normativa, di un piano di riduzione degli oneri amministrativi, che definisce le misure normative, organizzative e tecnologiche finalizzate al raggiungimento dell’obiettivo della riduzione stessa. I piani elaborati dai singoli Ministri confluiscono nel piano d’azione per la semplificazione e la qualità della regolazione, che assicura la coerenza generale del processo (comma 3);

§      sulla base della misurazione degli oneri amministrativi gravanti su ciascun settore (piuttosto che della “misurazione di ogni materia”, come recita il comma 5), congiuntamente ai piani di cui al comma 3, e comunque entro il 30 settembre 2012, il Governo è delegato rectius, autorizzato – ad adottare uno o più regolamenti di delegificazione su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione e del Ministro per la semplificazione normativa, di concerto con il Ministro o i Ministri competenti, contenenti gli interventi normativi volti a ridurre gli oneri amministrativi gravanti sulle imprese nei diversi settori ed a semplificare e riordinare la relativa disciplina. L’esclusivo riferimento agli oneri gravanti sulle imprese potrebbe far pensare ad una restrizione dell’ambito di intervento, rispetto alla previsione del comma 1, che si riferisce in generale agli oneri amministrativi, inclusi – dunque – quelli gravanti sui cittadini. Peraltro, già la Commissione europea, nel programma d’azione per la riduzione degli oneri amministrativi dell’Unione europea, presentato a tutte le istituzioni europee nel gennaio 2007, ha ristretto il campo d’intervento comunitario ai soli oneri amministrativi gravanti sulle imprese, pur riconoscendo che il programma possa portare benefici anche ai consumatori (attraverso una riduzione dei prezzi).

Gli interventi di riduzione – con formula invero di difficile comprensione – confluiscono nel processo di riassetto normativo di cui all’articolo 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59[124]. Obiettivo della norma – che meriterebbe eventualmente di essere esplicitato – sembrerebbe quello di definire per relationem – conformemente al modello di cui all’articolo 17, comma 2, della legge n. 400 del 1988, il quale impone al legislatore di definire le norme generali regolatrici della materia devoluta a regolamenti di delegificazione – i principi e criteri cui devono conformarsi i regolamenti stessi, che nel comma 8 del citato articolo 20 vengono così esposti:

1)        trasferimento ad organi monocratici o ai dirigenti amministrativi di funzioni anche decisionali, che non richiedono, in ragione della loro specificità, l'esercizio in forma collegiale, e sostituzione degli organi collegiali con conferenze di servizi o con interventi, nei relativi procedimenti, dei soggetti portatori di interessi diffusi;

2)        individuazione delle responsabilità e delle procedure di verifica e controllo;

3)        soppressione dei procedimenti che risultino non più rispondenti alle finalità e agli obiettivi fondamentali definiti dalla legislazione di settore o che risultino in contrasto con i princìpi generali dell'ordinamento giuridico nazionale o comunitario;

4)        soppressione dei procedimenti che comportino, per l'amministrazione e per i cittadini, costi più elevati dei benefìci conseguibili, anche attraverso la sostituzione dell'attività amministrativa diretta con forme di autoregolamentazione da parte degli interessati, prevedendone comunque forme di controllo;

5)        adeguamento della disciplina sostanziale e procedimentale dell'attività e degli atti amministrativi ai princìpi della normativa comunitaria, anche sostituendo al regime concessorio quello autorizzatorio;

6)        soppressione dei procedimenti che derogano alla normativa procedimentale di carattere generale, qualora non sussistano più le ragioni che giustifichino una difforme disciplina settoriale;

7)        regolazione, ove possibile, di tutti gli aspetti organizzativi e di tutte le fasi del procedimento.

 

In particolare, il principio di cui al punto 2) circa l’individuazione delle responsabilità sembrerebbe speculare alla previsione del comma 7 dell’articolo in esame, in base alla quale il raggiungimento dei risultati costituisce parametro di valutazione dei dirigenti responsabili.

Il comma 6, infine, prevede un costante aggiornamento degli stati di avanzamento e dei risultati raggiunti con le attività di misurazione e riduzione degli oneri amministrativi gravanti sulle imprese (si conferma anche qui la delimitazione del campo alle sole imprese, come già al comma 5).

La cornice comunitaria e la dimensione regionale

La disposizione in esame, come già accennato, fa seguito all’impegno assunto dagli Stati membri dell’Unione europea, inclusa l’Italia, in occasione del Consiglio europeo riunitosi l'8-9 marzo 2007.

Le conclusioni della Presidenza, rese al suo termine, così recitano:

Il Consiglio europeo sottolinea che la riduzione degli oneri amministrativi costituisce una misura importante per stimolare l'economia europea, specialmente attraverso il suo impatto sulle piccole e medie imprese. È necessario un forte sforzo congiunto per ridurre in maniera significativa gli oneri amministrativi all'interno dell'Unione europea. Il Consiglio europeo concorda pertanto sulla necessità di ridurre del 25 per cento entro il 2012 gli oneri amministrativi derivanti dalla legislazione dell'Unione europea.

Tenendo conto delle diverse posizioni iniziali e tradizioni, il Consiglio europeo invita gli Stati membri a fissare i loro obiettivi nazionali con livello di ambizione comparabile nei rispettivi ambiti di competenza entro il 2008.

 

Fedelmente all’impegno assunto, l’articolo in esame definisce l’obiettivo perseguito a livello nazionale, dettando i diversi passaggi da seguire a livello statale e rimandando, per il livello regionale, a quanto previsto dall’articolo 20-ter della citata legge n. 59/1997 e dai successivi accordi attuativi. Il riferimento, in particolare, è all’Accordo tra Governo, Regioni e Autonomie locali in materia di semplificazione e miglioramento della qualità della regolamentazione, siglato in sede di Conferenza unificata il 29 marzo 2007.

 

L’accordo ha dato attuazione al disposto dell’articolo 2 della legge 28 novembre 2005, n. 246, recante semplificazione e riassetto normativo per l’anno 2005, che ha introdotto, nell’ambito della legge 15 marzo 1997, n. 59, l’articolo 20-ter, prevedendo, per l’appunto, “in attuazione del principio di leale collaborazione”, la conclusione, in sede di Conferenza Stato-Regioni o di Conferenza unificata, di accordi volti al “perseguimento delle comuni finalità di miglioramento della qualità normativa nell'ambito dei rispettivi ordinamenti”.

L'articolo 9 dell'accordo ha per oggetto la misurazione e riduzione degli oneri amministrativi.

Vi si formula l'impegno per lo Stato e le regioni di ridurre gli oneri amministrativi del 25 per cento entro il 2012, recependo per la prima volta nell'ordinamento italiano tale impegno, già concordato, in sede di Unione europea, nella riunione del Consiglio dei ministri svoltasi venti giorni prima.

 

Nella cornice dell’articolo 9 dell’accordo si inscrivono:

-       l’indagine condotta dal Formez e presentata nell’ambito del Forum della pubblica amministrazione nel maggio 2008;

L’indagine, condotta su dodici Regioni, ha evidenziato “un ritardo, seppur con dei distinguo da regione a regione, nell’acquisizione e applicazione di strumenti di semplificazione, sia dal punto di vista organizzativo che procedimentale”[125].

-       le attività sperimentali in materia di riduzione degli oneri amministrativi avviate in quattro Regioni campione, sempre in collaborazione con il Formez (Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Toscana).

La riduzione degli oneri amministrativi nel Piano d’azione per la semplificazione 2007 e le previsioni per il prossimo Piano

A distanza di due mesi e mezzo dalla sigla dell’accordo, il Consiglio dei ministri ha approvato, il 15 giugno 2007, il "Piano di azione per la semplificazione e la qualità della regolazione", predisposto dal Comitato interministeriale per l'indirizzo e la guida strategica delle politiche di semplificazione e di qualità della regolazione (istituito con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in data 12 settembre 2006).

La elaborazione del Piano è stata prevista dal decreto-legge 10 gennaio 2006, n. 4, recante "Misure urgenti in materia di organizzazione e funzionamento della pubblica amministrazione" (convertito, con modificazioni, dalla legge 9 marzo 2006, n. 80), che all'articolo 1, comma 2, statuisce che il Piano di azione ogni anno sia, sentito il Consiglio di Stato, approvato dal Consiglio dei ministri e trasmesso al Parlamento.

Ampia parte delle linee d'azione del Piano 2007 concerne la riduzione degli oneri amministrativi.

Quale atto programmatico il Piano non reca, salvo alcune eccezioni, "una indicazione dettagliata degli strumenti per conseguire i risultati. La scelta di tali strumenti è pertanto in gran parte lasciata ai singoli Ministeri in fase di direttiva ai propri uffici di gabinetto, legislativi e amministrativi, per l'attuazione del piano" (evidenzia il Consiglio di Stato nel suo parere). A differenza del Piano. la disposizione in esame definisce invece i passaggi e la cornice cui si devono attenere tutte le amministrazioni.

La politica di semplificazione si intreccia, nel disegno del Piano, con quelle di liberalizzazione delle attività economiche e di modernizzazione delle pubbliche amministrazioni. Si tratta di un tema di particolare rilevanza, in connessione con l’obbligo che grava sullo Stato italiano di dare attuazione alla direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno (cosiddetta “direttiva servizi” o “Bolkestein”)

In quella politica si iscrive la riduzione degli oneri amministrativi, definibili quali i costi sostenuti dalle imprese, dal terzo settore, dalle pubbliche amministrazioni e dai cittadini per soddisfare l’obbligo giuridico di fornire informazioni sulle proprie attività, alle autorità pubbliche o ai privati.

Il Piano individua le aree prioritarie di misurazione per il 2007 (privacy; ambiente; paesaggio e beni culturali; fisco e dogane; sicurezza civile; codice della navigazione; previdenza e contributi) e pone l’obiettivo di riduzione degli oneri amministrativi entro il 2008.

Le sette materie indicate nel Piano, innanzi rammentate, sono parzialmente diverse rispetto a quelle individuate dalla Commissione europea nell’ambito del suo piano di riduzione degli oneri amministrativi (diritto societario; legislazione farmaceutica; ambiente di lavoro e rapporti di lavoro; legislazione fiscale; statistiche; agricoltura e sovvenzioni agricole; sicurezza alimentare; trasporti; pesca; servizi finanziari; ambiente; politica di coesione; appalti pubblici).

La sperimentazione ha riguardato effettivamente la misurazione degli obblighi informativi sia delle imprese sia dei cittadini nei seguenti ambiti:

§      area privacy: obblighi informativi previsti dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, Codice in materia di protezione dei dati personali;

§      area ambiente: obblighi informativi previsti dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, Norme in materia ambientale;

§      area prevenzione incendi: obblighi informativi derivanti dal rilascio degli attestati di conformità alla normativa in materia di sicurezza (decreto legislativo n. 139/2006; DPR n. 12/1998; decreti del Ministro dell’interno in data 12 febbraio 1982, e successive modificazioni, e 9 maggio 1997);

§      area paesaggio e beni culturali: obblighi informativi previsti dal decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio”;

§      area lavoro e previdenza: la misurazione è stata effettuata distintamente per il settore lavoristico e per quello previdenziale ed assistenziale.

Sul sito Internet del Dipartimento per l’innovazione nella pubblica amministrazione sono disponibili i risultati della misurazione effettuata in ciascuna delle cinque aree.

Come già accennato, il comma 3 della disposizione in esame stabilisce la confluenza dei piani predisposti dai singoli Ministri nel Piano d’azione per la semplificazione e la qualità della regolazione (senza precisare se ci si intenda riferire al Piano per il 2008, come tuttavia sembrerebbe) confermandone la valenza strategica.

Il metodo di misurazione degli oneri amministrativi: lo Standard Cost Model[126]

Lo Stato e le Regioni italiane hanno adottato il metodo di misurazione degli oneri amministrativi messo a punto, con alcune varianti ed adattamenti, dalla Commissione europea sulla base dell’esperienza dei Paesi Bassi.

Gli oneri amministrativi sono definiti come i costi sostenuti dalle imprese, dal terzo settore, dalle pubbliche amministrazioni e dai cittadini per soddisfare l’obbligo giuridico di fornire alle autorità pubbliche o ai privati informazioni sulle proprie attività.

Secondo tale accezione, la riduzione degli oneri amministrativi riguarda la semplificazione delle procedure di fornitura delle informazioni da parte dei soggetti obbligati.

Nel lessico di cui si avvale la Commissione europea, vi è distinzione tra costiamministrativi e oneriamministrativi. I primi si riferiscono alle informazioni che i soggetti raccolgono anche in assenza di un preciso obbligo giuridico; i secondi alle informazioni che non verrebbero rilevate in assenza di apposite prescrizioni in materia.

L’obiettivo formulato dalla Commissione è di misurare i costi e ridurre gli oneri.

La complessità normativa comporta la necessità di un meccanismo di misurazione che riguardi i singoli obblighi di informazione.

La Commissione europea ritiene che siffatto strumento di misurazione possa essere dato dallo Standard Cost Model, in una versione comunitaria.

Si tratta di un modello analitico-matematico per effettuare una quantificazione dei cosiddetti administrative burdens secondo regole per quanto possibile oggettive.

 

La stima degli oneri amministrativi è realizzata partendo dal presupposto che la legislazione sia rispettata da tutte le imprese ed i soggetti interessati.

Stabilito quel che si intenda per onere amministrativo ed individuati gli oneri normativamente previsti, si può procedere alla quantificazione.

In sintesi, l'equazione dello Standard Cost Model consiste nel moltiplicare il Prezzo (Tariffa moltiplicato Tempo) per la Quantità (Numero dei soggetti tenuti a trasmettere l'informazione moltiplicato la Frequenza della trasmissione di informazione).

 

L’attività di ricerca e di misurazione si conclude con una relazione “a struttura aperta”, che consente una valutazione ed una verifica: dell’obbligo di informazione che si sta esaminando; dell'attività amministrativa che deve essere svolta per ottemperare all’obbligo di informazione; delle modalità di calcolo dei costi.

La struttura aperta consente il calcolo in situazioni differenti, relative alla variazione della normativa.

Scopo dello Standard Cost Model propugnato dalla Commissione europea è quello di fornire un modello di misurazione degli oneri amministrativi il più uniforme possibile, al fine di garantire una valutazione cross country delle normative dei singoli ordinamenti.

Per quanto riguarda l’individuazione degli obblighi di informazione, la Commissione prospetta una mappatura di tutti gli obblighi di informazione, per armonizzare la misurazione del relativo onere.

Relativamente al confronto tra i diversi risultati, soprattutto per i dati già raccolti, è sollecitato un livello minimo di armonizzazione tra i diversi Stati membri, in base ai parametri indicati dalla Commissione stessa, in particolare circa: classificazione degli obblighi di informazione secondo la fonte normativa; quozienti dei costi standardizzati; tipo di attività amministrativa e soggetti interessati; definizione di impresa efficiente e di soggetti interessati.

Forte rilievo assume in tale prospettiva - rileva la Commissione europea - la sinergia tra Unione europea e Stati membri (così come è prevista la costituzione di un gruppo internazionale di esperti, col compito di assistere la Commissione e le amministrazioni pubbliche nazionali sia nella misurazione sia nella riduzione degli oneri amministrativi).

L'obiettivo indicato dalla Commissione è una generale riduzione del 25 per cento degli oneri amministrativi.

Si tratta dunque (in via esemplificativa) di perseguire: la riduzione della frequenza di trasmissione delle informazioni; la verifica che la stessa informazione non venga richiesta più volte; la richiesta di informazioni in formato elettronico; l’introduzione di soglie di esclusione per le prescrizioni in materia di informazione; la valutazione della possibilità di sostituire gli obblighi generalizzati con un’impostazione in funzione del rischio, limitando l'obbligo di fornire informazioni agli operatori che sopportano i rischi maggiori; la riduzione o soppressione di prescrizioni di trasmissione di informazioni, qualora queste si riferiscono a disposizioni legislative non più in vigore o successivamente modificate.

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)

L’attività di semplificazione della regolamentazione europea è da alcuni anni una delle priorità dell’attività delle Istituzioni europee, anche in relazione al rispetto dei principi di sussidiarietà e proporzionalità di cui all’articolo 5 del Trattato istitutivo della Comunità europea e all’apposito protocollo allegato al medesimo Trattato.

Semplificazione legislativa

La Commissione europea, in quanto titolare del diritto di iniziativa legislativa, ha varato in proposito numerose iniziative e programmi in materia di semplificazione. Il 25 ottobre 2005 al fine di definire un approccio generale ed organico, la Commissione ha adottato la comunicazioneAttuazione del programma comunitario di Lisbona: Una strategia per la semplificazione del contesto normativo” (COM2005)535), con la quale istituisce un programma di semplificazione volto a ridurre gli oneri gravanti sugli operatori economici e sui cittadini.

Al fine di verificare l’attuazione della strategia e del programma, la Commissione ha presentato il 30 gennaio 2008 la relazione sullo stato di avanzamento della strategia in questione (COM (2008) 33) e la relazione recante l’esame strategico del programma (COM (2008) 32).

Il programma, che utilizza strumenti giuridici quali l’abrogazione, la codificazione[127] e la rifusione[128], copre il periodo 2005-2009 e comprende 159 misure di semplificazione legislativa. La Commissione europea ne ha fino ad ora presentate 91 e nel corso del 2008 ne presenterà altre 44 (i rimanenti nel 2009). Gli atti giuridici fino ad ora coinvolti nelle misure di semplificazione, attraverso abrogazione, modifica e sostituzione sono circa 400. di questi circa 300 atti, corrispondenti a 5.000 pagine della Gazzetta ufficiale saranno cancellati dal corpus legislativo comunitario.

Riduzione degli oneri amministrativi

La Commissione europea ha adottato il 24 gennaio 2007 una comunicazione relativa al programma d’azione per la riduzione degli oneri amministrativi nell’Unione europea (COM(2007)23). Nella comunicazione la Commissione propone, da una parte, di operare, con l'aiuto degli Stati membri, una misurazione degli oneri amministrativi legati alla legislazione comunitaria, e di elaborare iniziative per la riduzione dei medesimi; dall'altra, invita gli Stati membri a misurare e ridurre gli oneri amministrativi imposti dalle legislazioni nazionali e regionali.

Entro la fine del 2008la Commissione europea presenterà delle raccomandazioni per la riduzione degli oneri amministrativi.

 

Il Consiglio europeo dell’8 e 9 marzo 2007 ha ribadito che il miglioramento della regolamentazione è un importante strumento per rafforzare la competitività, la crescita sostenibile e l’occupazione, ed in particolare ha sottolineato l’importanza di ridurre gli oneri amministrativi al fine di stimolare l'economia europea, fissando l’obiettivo della riduzione del 25% gli oneri amministrativi derivanti dalla legislazione UE entro il 2012 e invitando gli Stati membri a fissare i loro obiettivi nazionali entro il 2008. Il Consiglio europeo ha, altresì, sottolineato la necessità che il Consiglio e il Parlamento europeo si avvalgano maggiormente delle valutazioni d'impatto economico e della competitività delle nuove proposte legislative.

Su impulso del Consiglio europeo è stato inoltre istituito un gruppo di esperti ad alto livello con il compito di assistere la Commissione e gli Stati membri nell'attuazione del programma d'azione per la riduzione degli oneri amministrativi. Il gruppo presieduto da Edmun Stoiber (ex Governatore della Baviera) ha iniziato i suoi lavori nel gennaio 2008, l’unico italiano che fa parte del gruppo è Riccardo Illy.

La Commissione europea ha adottato il 10 marzo 2008 una comunicazione relativa ad interventi rapidi per il 2008 destinati a ridurre gli oneri amministrativi dell’UE (COM (2008)141), nella quale ha proposto 12 misure immediate che potrebbero generare effetti positivi immediati attraverso modifiche tecniche delle relative, nei seguenti settori: Agricoltura, politica industriale, ambiente, statistiche, diritto societario e contabilità.

Il Consiglio europeo del 13 e 14 marzo 2008 ha sottolineato la necessità di ulteriori sforzi per migliorare la competitività, in particolare, delle piccole e medie imprese, invitando tutte le formazioni del Consiglio dell’UE a prendere prioritariamente in considerazione il miglioramento della regolamentazione nelle proprie attività normative.

Il Consiglio europeo ha inoltre chiesto di:

-        intensificare gli sforzi volti a ridurre del 25%, entro il 2012, gli oneri amministrativi derivanti dalla normativa UE;

-        adottare celermente le proposte legislative di semplificazione ancora in sospeso e individuarne di nuove; la Commissione europea dovrebbe presentare proposte di riduzione degli oneri amministrativi su base permanente;

-        sviluppare ulteriormente la capacità delle istituzioni dell'UE in materia di valutazione di impatto delle nuove iniziative legislative dell’UE.

Qualità della regolamentazione

Il Consiglio competitività ha adottato, nella riunione del 29 e 30 maggio 2008, conclusioni sul miglioramento della regolamentazione, nelle quali, in particolare:

-        sottolinea l'importanza di incorporare l'uso efficace da parte della Commissione europea delle valutazioni d'impatto nel processo legislativo dell'UE, che potrà essere migliorata grazie ad un maggiore ricorso alla quantificazione e misurazione degli impatti economici, sociali e ambientali.

-        invita la Commissione a utilizzare metodi di consultazione più ampi che consentano di verificare le ipotesi sui costi e benefici delle scelte politiche considerate, raccogliere dati sulle ripercussioni a livello nazionale e regionale;

-        riconosce il ruolo significativo che l’eliminazione degli oneri amministrativi eccessivi può svolgere per migliorare la competitività in particolare delle PMI e sottolinea che gli oneri amministrativi che gravano sulle amministrazioni degli Stati membri non dovrebbero aumentare;

-        si compiace del fatto che sedici Stati membri abbiano fissato obiettivi nazionali ed invita gli altri Stati membri a procedere in tal senso;

-        sottolinea l’importanza che i prossimi programmi di riforma nazionali per la crescita e l’occupazione contengano informazioni sulle misure volte a ridurre gli oneri amministrativi.


 

Articolo 26
(“Taglia-enti”)


1. Gli enti pubblici non economici con una dotazione organica inferiore alle 50 unità, nonché quelli di cui al comma 636 dell'articolo 2 della legge 24 dicembre 2007, n. 244, con esclusione degli ordini professionali e le loro federazioni, delle federazioni sportive e degli enti non inclusi nell'elenco ISTAT pubblicato in attuazione del comma 5 dell'articolo 1 della legge 30 dicembre 2004, n. 311, nonché degli enti parco e degli enti di ricerca sono soppressi al sessantesimo giorno dalla data di entrata in vigore del presente decreto-legge, ad eccezione di quelli confermati con decreto dei Ministri per la pubblica amministrazione e l'innovazione e per la semplificazione normativa, da emanarsi entro quaranta giorni dall'entrata in vigore del presente decreto, e di quelli le cui funzioni sono attribuite, con lo stesso decreto, ad organi diversi dal Ministero che riveste competenza primaria nella materia. Le funzioni da questi esercitate sono attribuite all'amministrazione vigilante e le risorse finanziarie ed umane sono trasferite a quest'ultima, che vi succede a titolo universale in ogni rapporto, anche controverso. Nel caso in cui gli enti da sopprimere sono sottoposti alla vigilanza di più Ministeri, le funzioni vengono attribuite al Ministero che riveste competenza primaria nella materia. Nei successivi novanta giorni i Ministri vigilanti comunicano ai Ministri per la pubblica amministrazione e l'innovazione e per la semplificazione normativa gli enti che risultano soppressi ai sensi del presente articolo.

2. Sono, altresì, soppressi tutti gli altri enti pubblici non economici di dotazione organica superiore a quella di cui al comma 1 che, alla scadenza del 31 dicembre 2008 non sono stati individuati dalle rispettive amministrazioni al fine della loro conferma, riordino o trasformazione ai sensi del comma 634 dell'articolo 2 della legge 24 dicembre 2007, n. 244. A decorrere dalla stessa data, le relative funzioni sono trasferite al Ministero vigilante. Con decreto di natura non regolamentare del Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, d'intesa con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro per la semplificazione normativa e sentiti i Ministri interessati, corredato da una situazione contabile, è disposta la destinazione delle risorse finanziarie, strumentali e di personale degli enti soppressi. In caso di incapienza della dotazione organica del Ministero di cui al secondo periodo, si applica l'articolo 3, comma 128, della presente legge. Al personale che rifiuta il trasferimento si applicano le disposizioni in materia di eccedenza e mobilità collettiva di cui agli articoli 33 e seguenti del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.

3. All'allegato A della legge 24 dicembre 2007, n. 244 sono aggiunti, in fine, i seguenti enti:

«Ente italiano montagna;

Istituto italiano per l'Africa e l'Oriente;

Istituto agronomico per l'oltremare».

4. All'alinea del comma 634 dell'articolo 2 della legge 24 dicembre 2007, n. 244, le parole: «Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione» sono sostituite dalle seguenti: «Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, del Ministro per la semplificazione normativa».

5. All'articolo 1, comma 4, della legge 27 settembre 2007, n. 165, le parole «e il Ministro per dell'Economia e delle Finanze» sono sostituite dalle seguenti «, il Ministro dell'Economia e delle Finanze e il Ministro per la semplificazione normativa».


 

 

L’articolo 26 delinea una nuova procedura per addivenire alla soppressione di enti pubblici, destinata ad aggiungersi e ad integrare i precedenti interventi in materia, ed in particolare il più recente, quello introdotto dai co. 634 e seguenti dell’art. 2 della legge finanziaria 2008 (L. 24 dicembre 2007, n. 244).

 

Le più recenti misure di ordine generale in materia di riordino degli enti pubblici hanno trovato collocazione nelle due ultime leggi finanziarie.

I co. 482-484 dell’art. 1 della legge finanziaria 2007 (L. 27 dicembre 2006, n. 296), novellando il previgente art. 28 della L. 448/2001 (legge finanziaria 2002), già intervenuto in materia, affidavano a uno o più regolamenti di delegificazione il compito di procedere al riordino, alla trasformazione o alla soppressione e messa in liquidazione degli enti ed organismi pubblici, nonché di strutture amministrative pubbliche, entro il 30 giugno 2007, e definiva i princìpi e criteri direttivi per l’adozione dei regolamenti[129].

La legge finanziaria 2008 (art. 2, co. 634-640), al fine di conseguire obiettivi di stabilità e crescita, ridurre il complesso della spesa di funzionamento delle amministrazioni pubbliche, incrementare l’efficienza e migliorare la qualità dei servizi, ha previsto l’adozione, entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore della legge medesima (cioè entro il 29 giugno 2008), di regolamenti di delegificazione per il riordino, la trasformazione o la soppressione e messa in liquidazione di enti ed organismi pubblici statali e la conseguente soppressione di taluni enti, organismi e strutture, previsti nell’allegato A della legge, che non siano stati riordinati entro il citato termine.

I regolamenti sono adottati – secondo un procedimento analogo a quello già dettato dall’art. 28 (e successive modificazioni) della legge finanziaria 2002 – su proposta del ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione e del ministro per l’attuazione del programma di Governo, di concerto con il ministro dell’economia e delle finanze e con il ministro interessato, sentite le organizzazioni sindacali per quanto riguarda i riflessi sulla destinazione del personale; i relativi schemi sono soggetti al parere della Commissione bicamerale per la semplificazione della legislazione, istituita dalla legge di semplificazione 2005[130] (L. 246/2005), da rendersi entro trenta giorni (con possibilità di una proroga di venti giorni) decorsi i quali il parere si intende espresso favorevolmente.

I regolamenti devono attenersi ai seguenti “princìpi e criteri direttivi”:

-        fusione degli enti, organismi e strutture pubbliche comunque denominate che svolgono attività analoghe o complementari, con conseguente riduzione della spesa complessiva e corrispondente riduzione del contributo statale di funzionamento;

-        trasformazione degli enti ed organismi pubblici che non svolgono funzioni e servizi di rilevante interesse pubblico in soggetti di diritto privato ovvero soppressione e messa in liquidazione degli stessi. Per la soppressione e messa in liquidazione si rinvia alle modalità previste dalla L. 1404/1956[131]. Resta fermo quanto previsto dalla successiva lett. e) (v. infra) in ordine alla responsabilità finanziaria dello Stato per gli enti soppressi o liquidati, nonché dall’art. 9, co. 1-bis, lett. c), del D.L. 63/2002[132], a seguito del quale è stata approvata la convenzione tra il Ministero dell’economia e delle finanze e la Fintecna Spa per l’affidamento della gestione della liquidazione e del contenzioso degli enti soppressi[133];

-        fusione, trasformazione o soppressione degli enti che svolgono attività in materie devolute alla competenza legislativa regionale ovvero attività relative a funzioni amministrative conferite alle regioni o agli enti locali;

-        razionalizzazione degli organi di indirizzo amministrativo, di gestione e consultivi, nonché riduzione del numero dei componenti degli organi collegiali in misura non inferiore al 30 per cento ma compatibile con la funzionalità degli stessi;

-        limitazione dellaresponsabilità finanziaria dello Stato per gli enti soppressi o liquidati all’attivo della singola liquidazione;

-        abrogazione delle disposizioni legislative che prescrivono il finanziamento, diretto o indiretto, a carico del bilancio dello Stato o di altre amministrazioni pubbliche, degli enti ed organismi pubblici soppressi e posti in liquidazione o trasformati in soggetti di diritto privato;

-        trasferimento delle funzioni degli enti soppressi all’amministrazione con “preminente competenza” nella materia.

Una norma “di chiusura” prevede che una serie di enti e organismi, elencati nell’allegato A alla legge finanziaria, siano soppressi ex legeove, alla scadenza del termine di 180 giorni per l’adozione dei regolamenti, non risultino oggetto di alcun intervento di razionalizzazione. Le funzioni degli enti soppressi ex lege dovranno essere attribuite – con regolamenti di delegificazione adottati con le procedure sopra descritte – all’amministrazione con competenza “primaria” nella materia. Sempre con regolamento di delegificazione è previsto si disponga in ordine alla destinazione delle risorse finanziarie, strumentali e di personale degli enti soppressi. L’elenco di cui all’allegato A reca gli 11 enti che seguono:

-        Unione italiana di tiro a segno (UITS), istituita con regio decreto-legge 16 dicembre 1935, n. 2430, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 giugno 1936, n. 1143;

-        Unione nazionale ufficiali in congedo d'Italia (UNUCI), istituita con regio decreto-legge 9 dicembre 1926, n. 2352, convertito dalla legge 12 febbraio 1928, n. 261;

-        Ente per lo sviluppo dell'irrigazione e la trasformazione fondiaria in Puglia, Lucania e Irpinia (EIPLI), istituito con decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 18 marzo 1947, n. 281, ratificato, con modificazioni, dalla legge 11 luglio 1952, n. 1005;

-        Ente irriguo umbro toscano, istituito con legge 18 ottobre 1961, n. 1048;

-        Unione accademica nazionale (UAN)[134], istituita con regio decreto 18 novembre 1923, n. 2895;

-        Fondazione “Il Vittoriale degli Italiani”[135], istituita con regio decreto-legge 17 luglio 1937, n. 1447, convertito dalla legge 27 dicembre 1937, n. 2254;

-        Opera nazionale per i figli degli aviatori (ONFA), istituita con regio decreto 21 agosto 1937, n. 1585;

-        Ente opere laiche palatine pugliesi, istituito con regio decreto-legge 23 gennaio 1936, n. 359, convertito dalla legge 14 maggio 1936, n. 1000;

-        Istituto nazionale di beneficenza “Vittorio Emanuele III”;

-        Pio istituto elemosiniere;

-        Comitato per la partecipazione italiana alla stabilizzazione, ricostruzione e sviluppo dei BalcaniUnità tecnico-operativa, istituiti con legge 21 marzo 2001, n. 84 (artt. 1 e 2).

Entro i successivi sei mesi, con D.P.C.M. soggetto a previo parere delle Commissioni parlamentari, si provvede in ordine alla destinazione delle risorse finanziarie, strumentali e di personale degli enti soppressi. Sono irrilevanti a fini fiscali tutti gli atti connessi alle “operazioni di trasformazione”[136].

Allo stato, non risultano adottati regolamenti di delegificazione in attuazione della disciplina sin qui descritta.

 

Il comma 1 dell’articolo in commento dispone la soppressione ipso iure, senza necessità di ulteriori adempimenti, delle seguenti categorie di enti pubblici:

§      enti pubblici non economici aventi una dotazione organica inferiore alle 50 unità;

§      enti di cui all’art. 2, co. 636, della legge finanziaria 2008: si tratta – più propriamente – degli enti menzionati nell’allegato A alla legge finanziaria stessa, che il citato co. 636 richiama.

 

L’elenco degli 11 enti compresi nell’elenco è stato poc’anzi riportato. Il comma 3 del testo in esame, peraltro, novellando l’allegato A, integra l’elenco con l’aggiunta dei seguenti tre enti:

§         Ente italiano montagna;

§         Istituto italiano per l’Africa e l’Oriente;

§         Istituto agronomico per l’oltremare.

 

L’Ente italiano montagna (EIM), istituito dalla legge finanziaria 2007 (L. 296/2006, art. 1, co. 1279), ha preso il posto del preesistente Istituto nazionale della montagna (IMONT). La legge istitutiva lo qualifica come organismo di supporto delle politiche di sviluppo, sia socio-economico che culturali, dei terreni montani, e individua l’organo vigilante nella Presidenza del Consiglio dei ministri.

L’Istituto italiano per l’Africa e l’Oriente (Is.I.A.O.) è stato istituito con legge 25 novembre 1995, n. 505, quale ente pubblico non economico, soggetto alla vigilanza del Ministero degli affari esteri, con le medesime finalità di studio e promozione culturale già assegnate all’Istituto italiano per il Medio ed Estremo Oriente e all’Istituto italo-africano, contestualmente soppressi.

L’Istituto agronomico per l'Oltremare (IAO), istituito con R.D.L. 27 luglio 1938, n. 2205, convertito, con modificazioni, dalla L. 19 maggio 1939, n. 737 e riordinato con L. 26 ottobre 1962, n. 1612, è organo di consulenza ed assistenza del Ministero degli affari esteri nel campo tecnico, scientifico agrario. Svolge “attività di studio, di insegnamento, di consulenza e di assistenza, nell'interesse della diffusione e dell'incremento della tecnica agraria e del lavoro agricolo italiano all'estero, della collaborazione tecnica internazionale nel campo dell'agricoltura, della partecipazione italiana al progresso della scienza e della tecnica” (L. 1612/1962, art. 3). Svolge un ruolo di supporto al Ministero anche nell’ambito della cooperazione allo sviluppo, nei settori agro-zootecnico, forestale e agro-industriale (art. 10. L. 49/1087).

 

Tornando al comma 1, si rileva che la soppressione è destinata ad acquistare efficacia il sessantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore del decreto-legge in esame (25 giugno 2008) cioè alla data del 24 agosto 2008, a meno che, entro il quarantesimo giorno successivo alla stessa data (4 agosto 2008) un decreto dei Ministri per la pubblica amministrazione e l'innovazione e per la semplificazione normativa provveda a confermare la sussistenza di taluni tra questi enti, ovvero ad attribuirne le funzioni ad organi diversi dal Ministero che riveste competenza primaria nella materia.

Non appare chiaro se, in quest’ultimo caso, il decreto che dispone il trasferimento di funzioni possa o debba disporre anche in ordine alla soppressione dell’ente.

Restano comunque esclusi dalla soppressione di diritto:

§         gli ordini professionali e le loro federazioni;

§         le federazioni sportive;

§         gli enti parco;

§         gli enti di ricerca.

§         gli enti non inclusi nell’elenco ISTAT pubblicato in attuazione dell’art. 1, co. 5, della legge finanziaria 2005 (L. 30 dicembre 2004, n. 311). Il menzionato elenco individua le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato.

 

Sulla base del Sec95, il sistema europeo dei conti, l’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) predispone l'elenco delle unità istituzionali che fanno parte del settore delle amministrazioni pubbliche (settore s13), i cui conti concorrono alla costruzione del conto economico consolidato delle amministrazioni pubbliche. Ai sensi del citato art. 1, co. 5, della legge finanziaria 2005, l’ISTAT è tenuto, con proprio provvedimento, a pubblicare tale elenco nella Gazzetta Ufficiale non oltre il 31 luglio di ogni anno.

Il più recente elenco è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 176 del 31 luglio 2007 e integrato sulla Gazzetta ufficiale n. 252 del 29 ottobre 2007[137].

 

Le funzioni esercitate dagli enti soppressi, con le relative risorse finanziarie ed umane, sono attribuite all’amministrazione vigilante; quest’ultima succede all’ente “a titolo universale” in ogni rapporto, “anche controverso”. Diversamente da quanto previsto dalla disciplina recata nella legge finanziaria 2008, il trasferimento di funzioni e risorse e la successione nei rapporti giuridici non è rimessa a successivi atti di natura regolamentare o amministrativa, ma discende direttamente dalla disposizione legislativa.

La concreta individuazione dell’amministrazione subentrante – da individuare in quella che per legge, esercita la vigilanza sull’ente – nonché delle risorse e dei rapporti in essere, è dunque rimessa all’amministrazione medesima, con la sola precisazione che, qualora gli enti da sopprimere siano sottoposti alla vigilanza di più Ministeri, le funzioni sono attribuite al Ministero che riveste “competenza primaria” nella materia.

La stessa individuazione degli enti soppressi è effettuata ex post dai ministri vigilanti che, entro i novanta giorni successivi (alla scadenza, è da ritenere, del precedente termine di sessanta giorni) ne danno comunicazione ai ministri per la pubblica amministrazione e l’innovazione e per la semplificazione normativa.

 

Il comma 2 reca un’altra fattispecie di soppressione ipso iure, avente ad oggetto “tutti gli altri enti pubblici non economici di dotazione organica superiore a quella di cui al comma 1”. Questi ultimi sono soppressi, con decorrenza 31 dicembre 2008, e le relative funzioni trasferite al ministero vigilante, qualora entro il medesimo termine non siano stati “individuati dalle rispettive amministrazioni” (cioè, è da intendersi, dai ministeri vigilanti medesimi) ai fini della loro conferma, riordino o trasformazione ai sensi del (sopra illustrato) co. 634 dell’art. 2 della legge finanziaria 2008.

Non appare del tutto chiaro se le categorie di enti che il comma 1 esclude dalla soppressione siano sottratte o meno anche alla procedura di riordino/soppressione prevista dal successivo comma 2.

Dal tenore della norma sembra desumersi che entro il 31 dicembre 2008 deve sopravvenire (non è precisato con quale atto) la mera “individuazione” degli enti sottratti alla soppressione; il comma non fissa invece un termine per l’effettiva adozione dei regolamenti di delegificazione destinati a riordinare o trasformare gli enti medesimi.

La destinazione delle risorse finanziarie, strumentali e di personale degli enti soppressi è rimessa a un decreto, di natura non regolamentare, adottato dal ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, d'intesa (rectius: di concerto) con i ministri dell’economia e delle finanze e per la semplificazione normativa e sentiti i ministri interessati. Il decreto è corredato da una “situazione contabile”.

In caso di incapienza della dotazione organica del Ministero di cui al secondo periodo, si applica l’art. 3, comma 128, della presente legge. Al personale che rifiuta il trasferimento si applicano le disposizioni in materia di eccedenza e mobilità collettiva disciplinate dagli artt. 33 e seguenti del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, che regola il rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni.

 

Il comma 4 dell’articolo in commento novella il più volte citato art. 2, co. 634, della legge finanziaria 2008 modificando, in conformità all’attuale composizione del Governo, l’indicazione dei ministri competenti a proporre i regolamenti di riordino o trasformazione degli enti pubblici: al ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione subentrano i ministri per la pubblica amministrazione e l’innovazione e per la semplificazione normativa.

Il comma 5 apporta una modifica all’art. 1, co. 4, della L. 165/2007[138], recante una delega legislativa al Governo per il riordino degli enti di ricerca. Ai sensi del citato co. 4, i decreti legislativi attuativi della delega sono emanati su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Ministro dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione e con il Ministro dell'economia e delle finanze; il comma in esame prevede, in aggiunta, anche il concerto del ministro per la semplificazione normativa.

Con riguardo alla disposizione di cui al comma 5, che modifica le modalità di esercizio di una delega legislativa al Governo, si ricorda che, ai sensi dell’art. 15, co. 2, lett. a), della L. 400/1988[139], il Governo non può, mediante decreto-legge, “conferire deleghe legislative ai sensi dell'articolo 76 della Costituzione”.

 


 

Articolo 27
(“Taglia-carta”)


1. Al fine di ridurre l'utilizzo della carta, dal 1o gennaio 2009, le amministrazioni pubbliche riducono del 50 per cento rispetto a quella dell'anno 2007, la spesa per la stampa delle relazioni e di ogni altra pubblicazione prevista da leggi e regolamenti e distribuita gratuitamente od inviata ad altre amministrazioni.

2. Al fine di ridurre i costi di produzione e distribuzione, a decorrere dal 1o gennaio 2009, la diffusione della Gazzetta Ufficiale a tutti i soggetti in possesso di un abbonamento a carico di amministrazioni o enti pubblici o locali è sostituita dall'abbonamento telematico. Il costo degli abbonamenti è conseguentemente rideterminato entro 60 giorni dalla data di conversione del presente decreto-legge.


 

 

L’articolo 27 intende ridurre, dal 1° gennaio 2009, la produzione e la circolazione di documentazione cartacea da parte e all’interno delle amministrazioni pubbliche, sostituendo altresì la documentazione cartacea in favore del documento informatico.

In particolare, l’abbonamento in formato cartaceo della Gazzetta Ufficiale, a carico di una pluralità di soggetti appartenenti agli organi costituzionali, alle amministrazioni o enti pubblici o locali, sarà sostituito da un abbonamento telematico.

 

Gli interventi destinati a snellire e modernizzare la produzione, circolazione e gestione della documentazione nella pubblica amministrazione, sostituendo quella cartacea in favore di quella informatica, sono contenuti principalmente nel Codice dell’Amministrazione digitale[140]. L’intento innovativo del Codice in questo settore traspare con chiarezza da alcune disposizioni del capo III, prima fra tutte quella che pone il principio secondo cui “le pubbliche amministrazioni gestiscono i procedimenti amministrativi utilizzando le tecnologie dell’informazione e della comunicazione”. L’uso di tali tecnologie costituisce dunque, o dovrebbe giungere a costituire, la modalità ordinaria di gestione dei procedimenti amministrativi; il che equivale a dire che i procedimenti medesimi dovrebbero essere ripensati alla luce del più efficiente utilizzo delle nuove tecnologie. Il Codice elenca i requisiti che deve soddisfare ogni sistema di gestione informatica dei documenti, e prevede l’articolazione di questo nell’ambito di aree organizzative omogenee (non necessariamente coincidenti con le esistenti strutture amministrative). Alcune disposizioni pongono le premesse per la progressiva sostituzione dell’attuale archiviazione su carta con modalità di conservazione informatizzate.

Tali processi, indicati nel loro complesso con il termine dematerializzazione, hanno come obiettivo “il progressivo incremento della gestione documentale informatizzata all’interno delle strutture amministrative pubbliche e private e la sostituzione dei supporti tradizionali della documentazione amministrativa in favore del documento informatico”[141]. Come evidenziato nel Libro Bianco per la dematerializzazione della documentazione tramite supporto digitale[142], le finalità della dematerializzazione sono due: “da una parte si punta ad eliminare i documenti cartacei attualmente esistenti negli archivi, sostituendoli con opportune registrazioni informatiche e scartando la documentazione non soggetta a tutela per il suo interesse storico-culturale; dall’altra si adottano criteri per evitare o ridurre grandemente la creazione di nuovi documenti cartacei”.

La parte dedicata alla conservazione e archiviazione dei documenti di interesse storico-culturale è stata altresì normata dal Codice dei Beni culturali e del paesaggio[143].

In materie particolari, ove esiste una produzione considerevole di documenti cartacei (quali i settori di interesse sanitario e fiscale), disposizioni specifiche regolano le procedure di gestione dei documenti.

 

Il comma 1 dell’articolo in esame stabilisce che, dal 1° gennaio 2009, le amministrazioni pubbliche riducano del 50% rispetto al 2007 la spesa per la stampa delle relazioni e di ogni altra pubblicazione prevista da leggi e regolamenti e distribuita gratuitamente o inviata ad altra amministrazione.

 

Come evidenziato nel Libro Bianco per la dematerializzazione “la gestione documentale vale oltre il 2% del PIL: un obiettivo di dematerializzazione di appena il 10% genererebbe un risparmio di 3 miliardi di euro, ripetibile ogni anno”. Una rilevazione effettuata dal Centro Nazionale per l’Informatica nella Pubblica Amministrazione (CNIPA) nel 2004 su 61 amministrazioni centrali, ha evidenziato la produzione di 110 milioni di documenti, dalla quale discendono 160 milioni di registrazioni di protocollo e 147 milioni di documenti archiviati.

 

Sempre a partire dal 1° gennaio 2009, al fine di ridurre i costi di produzione e distribuzione della Gazzetta Ufficiale, il comma 2 nedetermina una diversa modalità di abbonamento a carico delle amministrazioni pubbliche, stabilendo la sostituzione degli abbonamenti in formato cartaceo con abbonamenti telematici. Conseguentemente, il costo degli abbonamenti deve essere rideterminato entro 60 giorni dalla data di conversione del decreto in esame.


 

Articolo 28
(Misure per garantire la razionalizzazione di strutture tecniche statali)


1. È istituito, sotto la vigilanza del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, l'Istituto di ricerca per la protezione ambientale (IRPA).

2. L'IRPA svolge le funzioni, con le inerenti risorse finanziarie strumentali e di personale, dell'Agenzia per la protezione dell'Ambiente e per i servizi tecnici di cui all'articolo 38 del Decreto legislativo n. 300 del 30 luglio 1999 e successive modificazioni, dell'Istituto Nazionale per la fauna selvatica di cui alla legge 11 febbraio 1992, n.157 e successive modificazioni, e dell'Istituto Centrale per la Ricerca scientifica e tecnologica applicata al mare di cui all'articolo 1-bis del decreto-legge 4 dicembre 1993, n. 496, convertito in legge, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della legge 21 gennaio 1994, n. 61, i quali, a decorrere dalla data di insediamento dei commissari di cui al comma 5 del presente articolo, sono soppressi.

3. Con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, da adottare di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentite le Commissioni parlamentari competenti in materia di ambiente, che si esprimono entro venti giorni dalla data di assegnazione, sono determinati, in coerenza con obiettivi di funzionalità, efficienza ed economicità, gli organi di amministrazione e controllo, la sede, le modalità di costituzione e di funzionamento, le procedure per la definizione e l'attuazione dei programmi per l'assunzione e l'utilizzo del personale, nel rispetto del contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto degli enti di ricerca e della normativa vigente, nonché per l'erogazione delle risorse dell'IRPA. In sede di definizione di tale decreto si tiene conto dei risparmi da realizzare a regime per effetto della riduzione degli organi di amministrazione e controllo degli enti soppressi, nonché conseguenti alla razionalizzazione delle funzioni amministrative, anche attraverso l'eliminazione delle duplicazioni organizzative e funzionali, e al minor fabbisogno di risorse strumentali e logistiche.

4. La denominazione «Istituto di ricerca per la protezione ambientale (IRPA)» sostituisce, ad ogni effetto e ovunque presente, le denominazioni: «Agenzia per la protezione dell'Ambiente e per i servizi tecnici (APAT)», «Istituto Nazionale per la fauna selvatica (INFS)» e «Istituto Centrale per la Ricerca scientifica e tecnologica applicata al mare (ICRAM)».

5. Per garantire l'ordinaria amministrazione e lo svolgimento delle attività istituzionali fino all'avvio dell'IRPA, il Ministro dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare, con proprio decreto, da emanarsi entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, nomina un commissario e due subcommissari.

6. Dall'attuazione del presente articolo, compresa l'attività dei commissari di cui al comma precedente, non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

7. La Commissione istruttoria per l'IPPC, di cui all'articolo 10 del decreto del Presidente della Repubblica 14 maggio 2007, n. 90, è composta da ventitre esperti, provenienti dal settore pubblico e privato, con elevata qualificazione giuridico-amministrativa, di cui almeno tre scelti fra magistrati ordinari, amministrativi e contabili, oppure tecnico-scientifica.

8. Il presidente viene scelto nell'ambito degli esperti con elevata qualificazione tecnico-scientifica.

9. Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare procede, con proprio decreto, alla nomina dei ventitre esperti, in modo da adeguare la composizione dell'organo alle prescrizioni di cui al periodo precedente. Sino all'adozione del decreto di nomina dei nuovi esperti, lo svolgimento delle attività istituzionali è garantita dagli esperti in carica alla data di entrata in vigore del presente decreto.

10. La Commissione di valutazione degli investimenti e di supporto alla programmazione e gestione degli interventi ambientali di cui all'articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica 14 maggio 2007, n. 90, è composta da ventitre membri di cui dieci tecnici, scelti fra ingegneri, architetti, biologi, chimici e geologi, e tredici scelti fra giuristi ed economisti, tutti di comprovata esperienza, di cui almeno tre scelti fra magistrati ordinari, amministrativi e contabili.

11. I componenti sono nominati ai sensi dell'articolo 2, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 14 maggio 2007, n. 90, entro quarantacinque giorni dall'entrata in vigore del presente decreto legge.

12. La Commissione continua ad esercitare tutte le funzioni di cui all'articolo 2, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 14 maggio 2007, n. 90.

13. Dall'attuazione del presente articolo, compresa l'attività dei commissari di cui al comma 11, non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.


 

 

L’articolo 28 prevede, ai commi 1 e 2, l’istituzione, sotto la vigilanza del Ministro dell'ambiente, dell'Istituto di ricerca per la protezione ambientale (IRPA), cui sono trasferite le funzioni e le inerenti risorse finanziarie, strumentali e di personale, dei seguenti enti, i quali sono soppressi a decorrere dall’insediamento dei commissari di cui al successivo comma 5:

§      Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici (APAT);

Si ricorda che l’APAT è stata istituita con l’art. 38 del d.lgs. n. 300/1999 e svolge i compiti e le attività tecnico-scientifiche di interesse nazionale per la protezione dell'ambiente, per la tutela delle risorse idriche e della difesa del suolo, nonché le funzioni relative al coordinamento tecnico nei confronti delle Agenzie regionali e delle province autonome di Trento e di Bolzano, nonché degli altri organismi eventualmente costituiti per lo svolgimento di analoghe funzioni. Inoltre, nei settori di propria competenza, essa svolge attività di collaborazione, consulenza e supporto alle altre P.A., definite con apposite convenzioni.

Nel corso della XV legislatura l’VIII Commissione ha esaminato la proposta di legge C. 1561[144] - che non ha terminato il proprio iter – finalizzata ad assicurare omogeneità ed efficacia all'esercizio dell'azione conoscitiva e di controllo pubblico della qualità dell'ambiente a supporto delle politiche di sostenibilità, dando rilievo normativo alla connotazione sistemica delle agenzie ambientali, attraverso l’istituzione del Sistema nazionale delle agenzie ambientali.

§      Istituto nazionale per la fauna selvatica (INFS);

L'INFS è un organismo nazionale di ricerca e consulenza istituito ai sensi della legge n. 157/1992 (“Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio”) che ha competenza nel settore della conservazione e gestione della fauna selvatica omeoterma, assolve i compiti previsti dalla legge 11 febbraio 1992, n. 157, dal DPR 8 settembre 1997, n. 357 di attuazione della direttiva 92/43/CEE (cd. direttiva Habitat), nonché da specifiche leggi regionali in materia, ed opera quale organo scientifico e tecnico di ricerca e consulenza per lo Stato, le Regioni, le Province e gli Enti gestori delle aree protette.

§      Istituto centrale per la ricerca scientifica e tecnologica applicata al mare (ICRAM).

L'ICRAM è un ente pubblico di ricerca e sperimentazione che fornisce istituzionalmente supporto alle politiche delle amministrazioni centrali competenti e agli enti territoriali nella risoluzione delle problematiche ambientali marine anche attraverso la predisposizione di linee di indirizzo per lo sviluppo sostenibile, la salvaguardia della biodiversità in ambiente marino e costiero e nelle politiche per la pesca e la maricoltura sostenibili. Attualmente, l'attività dell'ICRAM spazia su una vasta serie di temi di attualità e di rilevanza nazionale; in particolare l'Istituto supporta, in sinergia con l'APAT (art. 1-bis, comma 6, del DL n. 496/1993), assumendo un ruolo di primo piano, il Ministero dell'ambiente nei controlli sulla qualità dell'ambiente marino nell'ambito dell'unità di crisi per le emergenze in mare istituita in seno allo stesso Ministero.

Si fa notare che tutti gli enti indicati sono sottoposti alla vigilanza del Ministero dell’ambiente.

Si ricorda che le disposizioni recate dai primi 9 commi dell’articolo in esame ripropongono quelle dell’AC 1326[145], a loro volta riprese dal testo di un emendamento del Governo approvato dalla Commissione ambiente della Camera durante l’iter della conversione in legge del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 90.

 

Il comma 3 del medesimo articolo demanda ad un successivo decreto interministeriale (adottato di concerto dai ministri dell’ambiente e dell’economia) l’individuazione delle modalità organizzative e di funzionamento dell’IRPA.

In particolare viene stabilito che tale decreto (per il quale viene anche previsto il parere delle Commissioni parlamentari competenti in materia di ambiente, che si esprimono entro venti giorni dalla data di assegnazione) provveda alla determinazione:

§      degli organi di amministrazione e controllo;

§      della sede;

§      delle modalità di costituzione e di funzionamento dell’IRPA;

§      delle procedure per la definizione e l'attuazione dei programmi per l'assunzione e l'utilizzo del personale, nel rispetto del contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto degli enti di ricerca e della normativa vigente;

§      delle procedure per l'erogazione delle risorse dell’istituto.

 

Lo stesso comma dispone, altresì, che in sede di definizione di tale decreto si tiene conto dei risparmi da realizzare a regime per effetto della riduzione degli organi di amministrazione e controllo degli enti soppressi, nonché conseguenti alla razionalizzazione delle funzioni amministrative, anche attraverso l’eliminazione delle duplicazioni organizzative e funzionali, e al minor fabbisogno di risorse strumentali e logistiche.

 

Il comma 4 dispone in ordine alla sostituzione, ad ogni effetto e ovunque presenti, delle denominazioni degli enti di cui si prevede la soppressione (APAT, INFS, ICRAM) con la denominazione “Istituto di ricerca per la protezione ambientale (IRPA)”.

 

Il comma 5, invece, per garantire l'ordinaria amministrazione e lo svolgimento delle attività istituzionali fino all'avvio dell'IRPA, prevede la nomina di un commissario e di due subcommissari, mediante decreto del Ministro dell'ambiente, da emanare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge.

 

Il comma 6 reca l’usuale clausola di invarianza finanziaria, disponendo che dall’attuazione del presente articolo, compresa l’attività dei commissari di cui al comma precedente, non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

 

Si osserva che tale comma è identico al comma 13, salvo la diversa specificazione dei comma relativo all’attività dei commissari. Occorrerebbe pertanto sopprimere tale comma e modificare conseguentemente il comma 13, nel senso di includervi, ai fini dell’invarianza finanziaria, anche l’attività dei commissari di cui al comma 5.

 

I commi 7 e 8 riducono di 2 unità (da 25 a 23) il numero dei componenti della Commissione istruttoria per l'autorizzazione ambientale integrata - IPPC, prevista dall'art. 10 del DPR n. 90/2007, e introducono alcuni criteri per la nomina dei componenti stessi, prevedendo che:

§      almeno tre degli esperti con elevata qualificazione giuridico-amministrativa siano scelti fra magistrati ordinari, amministrativi e contabili (comma 7);

§      il presidente venga scelto nell'ambito degli esperti con elevata qualificazione tecnico-scientifica (comma 8).

Si ricorda, in proposito, che l’art. 10 del citato DPR n. 90/2007 prevede, al comma 1, che la Commissione istruttoria per l'autorizzazione ambientale integrata - IPPC è composta da venticinque esperti di elevata qualificazione giuridico-amministrativa e tecnico-scientifica scelti nel settore pubblico e privato, di cui uno con funzioni di presidente, e che per le attività relative a ciascuna domanda di autorizzazione, la Commissione è integrata da un esperto designato da ciascuna regione, da un esperto designato da ciascuna provincia e da un esperto designato da ciascun comune territorialmente competenti.

 

Ai fini di un coordinamento tra le disposizioni in esame e le norme previste dal citato articolo 10 del D.P.R. n. 90/2007, occorrerebbe valutare l’opportunità di procedere alla novella del comma 1 dell’articolo 1 del predetto D.P.R.

 

Il comma 9 prevede l’emanazione, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, di un decreto del Ministro dell'ambiente volto alla nomina dei ventitre esperti, in modo da adeguare la composizione dell'organo alle prescrizioni dei commi 1 e 2.

Lo stesso comma reca, inoltre, una disposizione transitoria secondo cui, sino all'adozione del decreto di nomina dei nuovi esperti, lo svolgimento delle attività istituzionali è garantito dagli esperti in carica alla data di entrata in vigore della presente legge.

Si ricorda che gli esperti in carica sono stati nominati con il decreto del Ministro dell’ambiente 25 settembre 2007, n. 153.

 

Il comma 10, modifica la composizione della Commissione di valutazione degli investimenti e di supporto alla programmazione e gestione degli interventi ambientali di cui all’art. 2 del D.P.R. 14 maggio 2007, n. 90.

 

Tale Commissione - istituita ai sensi dell'articolo 14, comma 7, della legge 28 febbraio 1986, n. 41, e del DPR 23 novembre 1991, n. 438, e composta da 33 membri di comprovata esperienza e competenza - esprime pareri in merito alla valutazione di fattibilità tecnico-economica con particolare riferimento all'analisi costi benefici in relazione alle iniziative, piani e progetti di prevenzione, protezione e risanamento ambientale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.

 

Il numero dei componenti viene ridotto di dieci unità (da 33 a 23) e vengono indicate le professionalità cui attingere nella scelta dei membri.

Viene infatti previsto che dei ventitre membri, dieci siano tecnici, scelti fra ingegneri, architetti, biologi, chimici e geologi, e tredici scelti fra giuristi ed economisti, tutti di comprovata esperienza, di cui almeno tre scelti fra magistrati ordinari, amministrativi e contabili.

Occorrerebbe valutare l’opportunità di procedere alla novella del comma 3 dell’art. 2 del citato D.P.R. n. 90/2007. Una tale soluzione renderebbe, tra l’altro, inutile la disposizione recata dal comma 12 dell’articolo in esame.

 

Il comma 11 dispone che i componenti sono nominati ai sensi dell’art. 2, comma 3, del citato D.P.R., entro quarantacinque giorni dall’entrata in vigore del presente decreto legge.

Si rammenta che l’art. 2, comma 3, del D.P.R. n. 90/2007 dispone, tra l’altro, che i membri della Commissione sono nominati, con decreto del Ministro dell'ambiente, “con incarico di esperto anche tra il personale delle pubbliche amministrazioni”.

 

Il comma 12 prevede, infine, che la Commissione continua ad esercitare tutte le funzioni attribuitegli dall’art. 2 del D.P.R. n. 90/2007.

Si osserva che le funzioni della Commissione sono previste dal comma 2 dell’art. 2 del D.P.R. n. 90 e non, come erroneamente indicato dal comma in esame, dal comma 3. Occorrerebbe pertanto correggere l’erroneo rinvio. Occorrerebbe inoltre chiarire la portata normativa della disposizione in esame, posto che le funzioni della Commissione non sono modificate.


 

Articolo 29
(Trattamento dei dati personali)


1. All'articolo 34 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, dopo il comma 1 è aggiunto il seguente:

«1-bis. Per i soggetti che trattano soltanto dati personali non sensibili e l'unico dato sensibile è costituito dallo stato di salute o malattia dei propri dipendenti senza indicazione della relativa diagnosi, l'obbligo di cui alla lettera g) del comma 1 e di cui al punto 19 dell'Allegato B è sostituito dall'autocertificazione, resa dal titolare del trattamento ai sensi dell'articolo 47 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, di trattare soltanto dati personali non sensibili, che l'unico dato sensibile è costituito dallo stato di salute o malattia dei propri dipendenti senza indicazione della relativa diagnosi, e che il trattamento di tale ultimo dato è stato eseguito in osservanza delle misure di sicurezza richieste dal presente codice nonché dall'Allegato B)».

2. Entro due mesi dall'entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge, con un aggiornamento del disciplinare tecnico adottato nelle forme del decreto del Ministro della giustizia di concerto con il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione e con il Ministro per la semplificazione normativa, ai sensi dell'articolo 36 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, sono previste modalità semplificate di redazione del documento programmatico per la sicurezza di cui alla lettera g) del comma 1 dell'articolo 34 e di cui al punto 19 dell'Allegato B al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 per le correnti finalità amministrative e contabili.

3. Qualora il decreto di cui al comma 2 non venga adottato entro il termine ivi indicato, la disciplina di cui al comma 1 si applica a tutti i soggetti di cui al comma 2.

4. All'articolo 38 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, il comma 2 è sostituito dal seguente:

«La notificazione è validamente effettuata solo se è trasmessa attraverso il sito del Garante, utilizzando l'apposito modello, che contiene la richiesta di fornire tutte e soltanto le seguenti informazioni:

1) le coordinate identificative del titolare del trattamento e, eventualmente, del suo rappresentante, nonché di un responsabile del trattamento se designato;

2) la o le finalità del trattamento;

3) una descrizione della o delle categorie di persone interessate e dei dati o delle categorie di dati relativi alle medesime;

4) i destinatari o le categorie di destinatari a cui i dati possono essere comunicati;

5) i trasferimenti di dati previsti verso Paesi terzi;

6) una descrizione generale che permetta di valutare in via preliminare l'adeguatezza delle misure adottate per garantire la sicurezza del trattamento.».

5. Entro due mesi dall'entrata in vigore della presente legge il Garante di cui all'articolo 153 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 adegua il modello di cui al comma 2 dell'articolo 38 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 alle prescrizioni di cui al comma 4.


 

 

L’articolo 29, comma 1, aggiunge un comma 1-bis all’art. 34 del Codice in materia di protezione dei dati personali (D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196), prevedendo un’ipotesi di sostanziale semplificazione degli adempimenti a carico di soggetti che non trattano dati sensibili ovvero trattano i soli dati sensibili costituiti da informazioni sullo stato di salute o malattia dei propri dipendenti, senza indicazione della diagnosi.

Il nuovo comma 1-bis prevede che la tenuta del documento programmatico sulla sicurezza (art. 34, comma 1, lett. g) e all. B, punto 19, del TU) sia sostituita, nelle ipotesi descritte, da un’autocertificazione che attesti il trattamento di soli dati sensibili costituiti da informazioni sullo stato di salute o malattia dei propri dipendenti, senza indicazione della diagnosi.

 

L’art. 34 del D.Lgs n. 196/2003 consente il trattamento di dati personali effettuato con strumenti elettronici solo se sono adottate, nei modi previsti dal disciplinare tecnico contenuto nell'allegato B, le seguenti misure minime:

a) autenticazione informatica;

b) adozione di procedure di gestione delle credenziali di autenticazione;

c) utilizzazione di un sistema di autorizzazione;

d) aggiornamento periodico dell'individuazione dell'àmbito del trattamento consentito ai singoli incaricati e addetti alla gestione o alla manutenzione degli strumenti elettronici;

e) protezione degli strumenti elettronici e dei dati rispetto a trattamenti illeciti di dati, ad accessi non consentiti e a determinati programmi informatici;

f) adozione di procedure per la custodia di copie di sicurezza, il ripristino della disponibilità dei dati e dei sistemi;

g) tenuta di un aggiornato documento programmatico sulla sicurezza;

h) adozione di tecniche di cifratura o di codici identificativi per determinati trattamenti di dati idonei a rivelare lo stato di salute o la vita sessuale effettuati da organismi sanitari.

 

Con le stesse finalità di semplificazione, il comma 2 dell’art. 29 stabilisce che, entro due mesi dalla vigenza della legge di conversione del decreto-legge in esame - con un decreto del Ministro della giustizia (da adottare di concerto con il Ministro della pubblica amministrazione e dell’innovazione e con quello della semplificazione normativa)[146] - sono stabilite modalità semplificate di redazione del citato documento programmatico sulla sicurezza per le correnti finalità amministrativo-contabili.

Alla mancata adozione del decreto ministeriale nel termine indicato consegue, per i tutti i soggetti obbligati alla tenuta del documento programmatico per la sicurezza, l’applicazione delle norme sull’autocertificazione (comma 3).

Una ulteriore modifica concerne la notificazione obbligatoria al Garante della privacy, del trattamento dei dati personali cui il titolare intende procedere. Attualmente, ai sensi dell’art. 38, comma 2, del citato Codice, la notificazione – da presentare una sola volta, all’inizio del trattamento – è possibile solo per via telematica e con sottoscrizione con firma digitale, seguendo la procedura indicata nel sito Internet del Garante.

Sempre con finalità di semplificazione, il comma 4, riformulando il citato comma 2 dell’art. 38, limita il numero delle informazioni da fornire sull’apposito modello informatico presente sul sito (che, ai sensi del comma 5 dello stesso art. 29, deve essere tecnicamente adeguato dal Garante entro 2 mesi dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto in esame).

Tali informazioni riguardano:

§      i dati identificativi del titolare del trattamento e, eventualmente, del suo rappresentante e del responsabile del trattamento;

§      le finalità del trattamento;

§      una descrizione delle categorie di interessati cui si riferiscono i dati nonché dei dati (o delle categorie di dati) medesimi;

§      i destinatari (o le categorie di destinatari) a cui i dati possono essere comunicati;

§      i trasferimenti di dati personali previsti verso Paesi terzi;

§      una descrizione generale che permetta di valutare in via preliminare l’adeguatezza delle misure di sicurezza predisposte.

 

L’art. 37 del D.Lgs 196 del 2003 limita gli obblighi di notifica al Garante al trattamento di determinate categorie di dati:

a) dati genetici, biometrici o dati che indicano la posizione geografica di persone od oggetti mediante una rete di comunicazione elettronica;

b) dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale, trattati a fini di procreazione assistita, prestazione di servizi sanitari per via telematica relativi a banche di dati o alla fornitura di beni, indagini epidemiologiche, rilevazione di malattie mentali, infettive e diffusive, sieropositività, trapianto di organi e tessuti e monitoraggio della spesa sanitaria;

c) dati idonei a rivelare la vita sessuale o la sfera psichica trattati da associazioni, enti od organismi senza scopo di lucro, anche non riconosciuti, a carattere politico, filosofico, religioso o sindacale;

d) dati trattati con l'ausilio di strumenti elettronici volti a definire il profilo o la personalità dell'interessato, o ad analizzare abitudini o scelte di consumo, ovvero a monitorare l'utilizzo di servizi di comunicazione elettronica con esclusione dei trattamenti tecnicamente indispensabili per fornire i servizi medesimi agli utenti;

e) dati sensibili registrati in banche di dati a fini di selezione del personale per conto terzi, nonché dati sensibili utilizzati per sondaggi di opinione, ricerche di mercato e altre ricerche campionarie;

f) dati registrati in apposite banche di dati gestite con strumenti elettronici e relative al rischio sulla solvibilità economica, alla situazione patrimoniale, al corretto adempimento di obbligazioni, a comportamenti illeciti o fraudolenti.

La notificazione relativa al trattamento dei dati sopraelencati non è dovuta se relativa all'attività dei medici di famiglia e dei pediatri di libera scelta, in quanto tale funzione è tipica del loro rapporto professionale con il Servizio sanitario nazionale.

Con Deliberazione del Garante protezione dei dati personali 31 marzo 2004 n. 1, specifiche categorie di dati tra quelli indicati dal citato art. 37 – in quanto ritenuti non suscettibili di recare pregiudizio ai diritti e alle libertà dell'interessato in ragione delle modalità di trattamento o della natura dei dati - sono stati sottratti agli obblighi di notificazione al Garante.

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)

Il 13 novembre 2007 la Commissione europea ha presentato una proposta di direttiva (COM(2007)698) nel settore dei servizi di comunicazioni elettroniche che modifica alcune direttive, tra cui la direttiva 2002/58/CE relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche

La proposta è volta a rafforzare alcuni diritti dei consumatori e degli utenti (in particolare al fine di migliorare l'accessibilità e promuovere una società dell'informazione aperta a tutti), facendo in modo che le comunicazioni elettroniche siano affidabili, sicure ed attendibili e garantiscano un livello elevato di tutela della vita privata e dei dati a carattere personale.

La proposta prevede, tra le altre cose, l’introduzione della notifica obbligatoria delle violazioni alla sicurezza che comportano la perdita dei dati personali degli utenti o che compromettono i dati stessi.

In particolare, qualora si produca una violazione di sicurezza che comporta accidentalmente o in modo illecito la distruzione, la perdita, la modifica, la rivelazione non autorizzata o l'accesso ai dati personali trasmessi, memorizzati o comunque elaborati nel contesto della fornitura di servizi di comunicazione accessibili al pubblico nella Comunità, il fornitore dei servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico è tenuto a comunicare senza indugio l'avvenuta violazione all'abbonato e all'autorità nazionale di regolamentazione. La comunicazione all'abbonato deve contenere almeno una descrizione della natura della violazione ed elencare le misure raccomandate per attenuarne i possibili effetti negativi. Gli Stati membri saranno tenuti a determinare le sanzioni da irrogare in caso di violazione delle norme nazionali di attuazione della direttiva e a prendere tutti i provvedimenti necessari per la loro applicazione.

La proposta di direttiva, che segue la procedura di codecisione, dovrebbe essere esaminata dal Parlamento europeo in prima lettura nella seduta plenaria del 2 settembre 2008.

Si ricorda inoltre che il 4 ottobre 2005 la Commissione europea ha presentato una proposta di decisione quadro (COM(2005)475), relativa alla protezione dei dati personali nel quadro della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale.

La proposta di decisione quadro comprende norme generali sulla legittimità del trattamento dei dati personali e disposizioni concernenti: le forme specifiche di trattamento (trasmissione e messa a disposizione di dati personali alle autorità competenti degli altri Stati membri, ulteriore trattamento e trasmissione dei dati ricevuti o resi disponibili dalle autorità competenti degli altri Stati membri); i diritti delle persone cui i dati si riferiscono; la riservatezza e la sicurezza del trattamento; i ricorsi giurisdizionali; le sanzioni; le autorità di controllo e un gruppo di lavoro sulla protezione delle persone con riguardo al trattamento dei dati personali ai fini della prevenzione, della ricerca, dell'accertamento e del perseguimento dei reati penali. La proposta definisce, tra le altre cose, gli obblighi di informazione del responsabile del trattamento nei confronti dell’interessato, anche nei casi in cui i dati non siano stati ottenuti direttamente dall’interessato o siano stati ottenuti senza che egli ne fosse a conoscenza

La proposta di decisione, che segue la procedura di consultazione, dovrebbe essere esaminata dal Parlamento europeo, in prima lettura, nella seduta plenaria del 23 settembre 2008. Il Consiglio Giustizia e Affari interni del 9 novembre 2007 ha raggiunto un approccio comune sulla proposta, confermando l’orientamento, già emerso nella riunione del 18 settembre 2007, secondo cui il testo si applicherà esclusivamente allo scambio di dati a livello transfrontaliero[147], e la trasmissione di dati a paesi terzi sarà possibile solo a determinate condizioni e previo accordo dello Stato membro di origine dell’informazione.


 

Articolo 30
(Semplificazione dei controlli amministrativi a carico delle imprese soggette a certificazione)


1. Per le imprese soggette a certificazione ambientale o di qualità rilasciata da un soggetto certificatore accreditato in conformità a norme tecniche europee ed internazionali, i controlli periodici svolti dagli enti certificatori sostituiscono i controlli amministrativi o le ulteriori attività amministrative di verifica, anche ai fini dell'eventuale rinnovo o aggiornamento delle autorizzazioni per l'esercizio dell'attività. Le verifiche dei competenti organi amministrativi hanno ad oggetto, in questo caso, esclusivamente l'attualità e la completezza della certificazione.

2. La disposizione di cui al comma 1 è espressione di un principio generale di sussidiarietà orizzontale ed attiene ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione. Resta ferma la potestà delle Regioni e degli Enti locali, nell'ambito delle rispettive competenze, di garantire livelli ulteriori di tutela.

3. Con regolamento, da emanarsi ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, entro sessanta giorni dall'entrata in vigore della presente legge, sono individuati le tipologie dei controlli e gli ambiti nei quali trova applicazione la disposizione di cui al comma 1, con l'obiettivo di evitare duplicazioni e sovrapposizioni di controlli, nonché le modalità necessarie per la compiuta attuazione della disposizione medesima.

4. Le prescrizioni di cui ai commi 1 e 2 entrano in vigore all'atto di emanazione del regolamento di cui al comma 3.


 

 

L’articolo 30 dispone, al comma 1, che per le imprese soggette a certificazione ambientale o di qualità rilasciata da un soggetto certificatore accreditato in conformità a norme tecniche europee ed internazionali, i controlli periodici svolti dagli enti certificatori sostituiscono i controlli amministrativi o le ulteriori attività amministrative di verifica, anche ai fini dell’eventuale rinnovo o aggiornamento delle autorizzazioni per l’esercizio dell’attività.

Viene altresì disposto che le verifiche dei competenti organi amministrativi hanno ad oggetto, in questo caso, esclusivamente l’attualità e la completezza della certificazione.

Si ricorda che le certificazioni ambientali volontarie più diffuse sono quelle relative alla normativa internazionale ISO 14001 e al Regolamento comunitario EMAS n. 761/2001, che sono finalizzati al miglioramento del sistema di gestione ambientale di un’organizzazione al fine di prevederne e migliorarne continuamente gli impatti ambientali.

Il Regolamento n. 761/2001/CE disciplina il sistema comunitario di ecogestione ed audit (EMAS)[148], che si propone l'obiettivo di promuovere il costante miglioramento dei risultati ambientali di tutte le organizzazioni europee definite dall’art. 2 del regolamento - attraverso l'introduzione e l'attuazione di sistemi di gestione ambientale (SGA) ed una valutazione sistematica, obiettiva e periodica della loro efficacia - nonché l'informazione del pubblico e delle parti interessate. La procedura prevista dal regolamento EMAS si conclude con la registrazione presso l'organismo competente dello Stato membro in seguito all’ottenimento della verifica indipendente da parte di un verificatore EMAS accreditato.

La ISO 14001 è una norma internazionale di carattere volontario, applicabile a tutte le tipologie di imprese, che definisce come deve essere sviluppato un efficace sistema di gestione ambientale. Tale norma richiede che l'azienda definisca i propri obiettivi e target ambientali e implementi un sistema di gestione ambientale che permetta di raggiungerli. La logica volontaristica della ISO 14001 lascia la libertà all'azienda di scegliere quali e quanti obiettivi di miglioramento perseguire, anche in funzione delle possibilità economiche e del livello tecnologico già esistente in azienda.

La norma ISO 14001 è stata recepita dal Regolamento n. 761/2001/CE. L’Allegato I del regolamento EMAS prevede, infatti, che il sistema di gestione ambientale di una organizzazione che voglia registrarsi, sia attuato in conformità con i requisiti della norma ISO 14001, sezione 4[149].

Esistono altre tipologie di certificazioni ambientali, tuttavia le recenti norme approvate in materia ambientale (si pensi ad esempio al cd. codice ambientale recato dal d.lgs. n. 152/2006 o al d.lgs. n. 59/2005 di recepimento integrale della direttiva 96/61/CE in materia di IPPC[150]) hanno sempre fatto riferimento alle certificazioni EMAS e ISO 14001.

In particolare, per le imprese dotate di tali certificazioni le norme citate già prevedono agevolazioni e semplificazioni.

Si ricordano, ad esempio, gli articoli 194, comma 3, e 212, comma 7 del codice ambientale, che riconoscono una decurtazione del 40-50% sulle garanzie finanziarie da prestare per lo svolgimento di alcune attività in materia di rifiuti, o ancora l’art. 209 del medesimo decreto, ai sensi del quale le imprese che risultino registrate EMAS o certificate UNI-EN ISO 14001 possono sostituire l’autorizzazione alla gestione di impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti o il certificato di iscrizione al suddetto Albo con una semplice autocertificazione.

L’art. 9 del d.lgs. n. 59/2005 prevede, inoltre, che il rinnovo dell’autorizzazione integrata ambientale (AIA) per l’esercizio dell’impianto avvenga non dopo 5 anni, bensì dopo 6 o 8 anni qualora l’impresa sia certificata ISO 14001 o registrata EMAS.

 

Il comma 2 chiarisce che la disposizione di cui al comma 1 è espressione di un principio generale di sussidiarietà orizzontale ed attiene ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione. Ciononostante, lo stesso comma lascia ferma la potestà delle Regioni e degli Enti locali, nell’ambito delle rispettive competenze, di garantire livelli ulteriori di tutela.

 

Il comma 3 demanda ad un successivo regolamento - da emanarsi ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro sessanta giorni dall’entrata in vigore della presente legge - l’individuazione:

§      delle tipologie dei controlli e degli ambiti interessati dall’applicazione del comma 1, con l’obiettivo di evitare duplicazioni e sovrapposizioni di controlli;

§      delle modalità necessarie per la compiuta attuazione del medesimo comma 1.

 

Il comma 4 dispone che le prescrizioni di cui ai commi 1 e 2 entrano in vigore all’atto di emanazione del regolamento di cui al comma 3.


 

Articolo 31
(Durata e rinnovo della carta d’identità)


1. L'articolo 3, secondo comma, del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, e successive modificazioni, le parole: «cinque anni» sono sostituite dalle seguenti: «dieci anni».

2. La disposizione di cui all'articolo 3, secondo comma, del citato testo unico di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, come modificato dal comma 1 del presente articolo, si applica anche alle carte d'identità in corso di validità alla data di entrata in vigore della presente legge.

3. Ai fini del rinnovo, i Comuni informano i titolari della carta d'identità della data di scadenza del documento stesso tra il centoottantesimo e il novantesimo giorno antecedente la medesima data.


 

 

L’articolo 31 prolunga da 5 a 10 anni il periodo di validità della carta d’identità (comma 1), precisando che l’estensione della durata riguarda anche le carte di identità in corso di validità alla data di entrata in vigore del decreto in esame (comma 2), e pone in capo ai comuni l’obbligo di informare i titolari della carta di identità della data di scadenza della stessa ai fini del rinnovo(comma 3).

Per effetto dell’articolo in esame verrà ridotta la frequenza e il numero delle procedure di rinnovo delle carte di identità con l’effetti di semplificare in questo settore i rapporti tra cittadini e amministrazione.

Da rilevare anche l’impatto sulla definitiva sostituzione della carta di identità cartacea con quella elettronica. Infatti, la carta d’identità in formato cartaceo è destinata a scomparire: a decorrere del 1° gennaio 2006 tutte le carte d’identità di cui viene fatta richiesta (come primo rilascio o per smarrimento o furto) sono in formato elettronico e quelle in scadenza, e di cui è chiesto il rinnovo, dovranno progressivamente essere sostituite con quelle elettroniche (vedi oltre). La disposizione in esame, pertanto, incide anche sulla piena diffusione della carta d’identità elettronica diluendo nel tempo la sostituzione delle carte d’identità in formato cartaceo con quelle elettroniche.

È, invece, da valutare la portata della norma sul piano finanziario: essa porterà ad una diminuzione degli introiti derivanti dal costo del rinnovo della carta sostenuto dal richiedente e, per altro verso, ad una riduzione dei costi amministrativi connessi.

 

I primi due commi dell’articolo in commento riproducono testualmente i commi 1 e 2 dell’art. 17 di un disegno di legge approvato dalla Camera nella passata legislatura: si tratta del disegno di legge di iniziativa governativa recante Disposizioni volte alla modernizzazione e all’incremento dell’efficienza delle amministrazioni pubbliche nonché alla riduzione degli oneri burocratici per i cittadini e per le imprese, il cosiddetto progetto Nicolais dal nome del Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione pro-tempore (A.S. 1859). Il disegno di legge venne approvato dalla Camera il 14 giugno 2007 e trasmesso al Senato, dove l’esame in sede referente non è andato oltre la fase della discussione generale.

 

In particolare, il comma 1 reca la disposizione che prevede il prolungamento a 10 anni della validità della carta di identità. La modifica è opportunamente operata attraverso una novella dell’art. 3 comma 2 del testo unico di pubblica sicurezza del 1931 (TULPS)[151] che costituisce ancora oggi la base normativa della materia e che fissa, appunto in 5 anni, la durata di validità della carta di identità.

La disposizione in commento sembrerebbe riguardare esclusivamente la carta di identità in formato cartaceo e non anche la carta di identità elettronica che dovrà progressivamente sostituire la prima. Ciò in quanto il TULPS, come si è detto novellato dalla norma in esame, riguarda la carta di identità cartacea, mentre la disciplina della carta di identità elettronica e recata da fonti diverse (vedi oltre). In particolare, la durata è stabilita - in 5 anni anch’essa - dal decreto del Presidente della Repubblica 437/1999 (art. 5)[152].

Un chiarimento in proposito viene fornito dalla relazione illustrativa che comprende nell’ambito di applicazione della norma anche la carta di identità elettronica (CIE).

Tuttavia sembrerebbe opportuno esplicitare anche nell’articolato che il prolungamento a 10 anni della durata di validità riguarda anche la carta di identità elettronica.

 

Può essere utile al riguardo ricordare la formula utilizzata dal citato disegno di legge n. 1859, art. 17, co. 3: “Il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previsto dall’articolo 66, comma 1, del codice dell’amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, è adottato in conformità alla disposizione di cui all’articolo 3, secondo comma, del citato testo unico di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, come modificato dal comma 1 del presente articolo”. Come si è già segnalato l’articolo in esame riprende testualmente i primi due commi dell’art. 17, ma non anche il comma 3.

Si segnala, inoltre, che l’eventuale estensione della durata della validità della CIE comporta l'aggiornamento delle relative regole tecniche.[153]

 

Il comma 2 precisa l’ambito di applicazione della disposizione del comma 1: l’ampliamento della durata riguarda anche la carte di identità in corso di validità alla data di entrata in vigore del decreto, e quindi non soltanto le carte rilasciate la prima volta o rinnovate dopo l’emanazione del decreto.

Anche tale disposizione riproduce testualmente il contenuto del comma 2 dell’art. 17 del citato ddl Nicolais della scorsa legislatura. La disposizione venne introdotta nel corso dell’esame in sede referente accogliendo una osservazione puntuale del Comitato per legislazione. Nella formulazione precedente il comma 1 si limitava a disporre che «a decorrere dal 1° gennaio 2007, la carta d'identità ha validità di dieci anni». Il Comitato, nel parere reso alla I Commissione, riteneva che andasse chiarito se le scadenza operasse in relazione anche alle carte già rilasciate prima di tale data[154].

 

La carta di identità elettronica riporta, oltre alla data di rilascio, anche la data di scadenza (D.P.R. 437/1999, art. 3, co. 1, lett. g), così come, a decorrere dal 1° gennaio 1999, sulla carta di identità cartacea deve essere indicata la data di scadenza (art, 3, 4° co. TULPS[155]). Un analogo obbligo vige per la carta di identità cartacea rilasciata ai cittadini all'estero, iscritti all'Anagrafe degli italiani residenti all'estero - AIRE (D.M. 15 maggio 2007[156]).

 

Si osserva in proposito, che per effetto dell’approvazione del comma in esame risultano in circolazione documenti di riconoscimento che pur recando una data di scadenza già trascorsa, sono tuttavia validi a tutti gli effetti. Ciò potrebbe comportare la necessità di prevedere una qualche forma di trascrizione della nuova data di scadenza, soprattutto per le carte valide per l’espatrio, al fine di prevenire eventuali contestazioni da parte di autorità straniere.

 

Infine, il comma 3 prevede l’obbligo da parte dei comuni di informare i titolari della carta di identità della data di scadenza del documento in un periodo compreso tra il 180° e il 90° giorno prima della scadenza.

Si ricorda che la carta di identità, sia su supporto cartaceo, sia elettronico, può essere rinnovata a decorrere dal 180° giorno precedente la scadenza[157] e che diversi comuni hanno attivato già da anni una procedura di avviso con lettera dell’imminente scadenza della carta di identità.

 

La carta d’identità è stata introdotta in Italia negli anni ’30 del secolo scorso e ha la sua regolamentazione giuridica nel citato testo unico di pubblica sicurezza del 1931 e nel relativo regolamento di attuazione[158].

La carta d’identità ha durata di 5 anni (art. 3, co. 2, R.D. 773/1931).

La carta d’identità costituisce un mezzo di identificazione ai fini di polizia. Essa ha carattere facoltativo e il suo ottenimento costituisce un diritto del cittadino. Tuttavia l’autorità di polizia può obbligare le persone pericolose o sospette di dotarsi della carta d’identità.

Quantunque regolata da norme statali, la materia è di competenza comunale. Il documento, infatti, è rilasciato dagli uffici comunali, cui compete eseguire i necessari accertamenti relativi alla identità della persona che richiede il documento. Il modello della carta è stabilito dalla legge e le eventuali modifiche sono apportate del Ministro dell’interno.

La legge prevede come facoltativa l’apposizione delle impronte digitali (R.D. 635/1940, art. 289, per la carta di identità cartacea e D.Lgs. 82/2005, art. 66 per la carta di identità elettronica.

I dati contenuti nelle carte d’identità sono conservati dalla segreteria del comune che ne invia copia all’autorità provinciale di pubblica sicurezza (questura). Un terzo data base è conservato dal Ministero dell’interno, limitatamente ai dati delle persone pericolose e sospette.

L’integrazione e la centralizzazione di tutti i dati anagrafici dei comuni è alla base del progetto Sistema di accesso e di interscambio anagrafico (SAIA), strettamente collegato alla diffusione della carta d’identità elettronica.

 

La carta d’identità elettronica (CIE) costituisce uno dei principali progetti del disegno di informatizzazione della pubblica amministrazione.

Essa, oltre a mantenere la funzione del documento cartaceo attestante l’identità della persona, ha la funzione di strumento di accesso ai servizi innovativi che le pubbliche amministrazioni locali e nazionali metteranno a disposizione per via telematica (pagamenti di tasse e tributi, accesso al servizio sanitario, richiesta di documenti ecc.). Inoltre, la carta dovrà poter essere utilizzata e dovrà funzionare nello stesso modo in qualsiasi punto del territorio nazionale.

L’art. 2, co. 10, della L. 127/1997[159] ha previsto, per la prima volta, la sostituzione della carta di identità cartacea con un documento realizzato su supporto informatico, contenente, oltre ai dati personali, il codice fiscale e, con l’accordo dell’interessato, l’indicazione del gruppo sanguigno.

Il passaggio decisivo verso la definizione della carta d’identità quale carta di servizi si ha con la modifica alla legge n. 127 operata dalla L. 191/1998[160], con cui viene previsto che la carta possa contenere, oltre ai dati personali, codice fiscale e gruppo sanguigno, anche altri dati che consentano l’erogazione al cittadino di quei servizi che ne richiedano l’identificazione, nonché tutte le informazioni, tra cui la chiave biometrica, necessarie per il suo utilizzo assieme alla firma digitale. Tra gli obiettivi dell’informatizzazione del documento di identità, la legge individua la possibilità del trasferimento elettronico dei pagamenti tra soggetti privati e pubbliche amministrazioni.

Le disposizioni sulla carta di identità e sui documenti elettronici sono in seguito confluite nell’art. 36 del testo unico sulla documentazione amministrativa (D.P.R. 445/2000[161]) e, successivamente, nell’art. 66 del codice dell’amministrazione digitale[162] che costituisce la norma di riferimento per la materia.

Il quadro normativo è stato completato con due provvedimenti attuativi: l’uno finalizzato ad individuare le caratteristiche e le modalità di rilascio da parte dei comuni della carta d’identità elettronica (D.P.R. 437/1999[163]), l’altro diretto a dettare le regole tecniche e di sicurezza relative alle tecnologie ed ai materiali utilizzati per la produzione delle carte medesime (D.M. 8 novembre 2008[164]).

La validità della carta d’identità elettronica è fissata, come per la carta d’identità, in 5 anni (art. 5 del citato D.P.R. 437/1999).

La fase di sperimentazione, avviata nel 2001, può considerarsi ormai conclusa.

Infatti, il D.L. 7/2005[165] ha previsto, a decorrere dal 1° gennaio 2006, la sostituzione della carta d’identità, all'atto della richiesta del primo rilascio o del rinnovo del documento, dalla carta d'identità elettronica, classificata carta valori (art. 7-vicies ter).

A tal fine tutti i comuni avrebbero dovuto provvedere entro il 31 ottobre 2005 alla predisposizione dei necessari collegamenti all'Indice nazionale delle anagrafi presso il Centro nazionale per i servizi demografici (CNSD) ed alla redazione del piano di sicurezza per la gestione delle postazioni di emissione secondo le regole tecniche fornite dal Ministero dell'interno.

 

Si ricorda, inoltre, che in via transitoria è stata istituita, con una novella all’art. 36 del D.P.R. 445/2000 introdotta dall’art. 8 del D.Lgs. n. 10 del 2002[166], la carta nazionale dei servizi (CNS). Si tratta di uno strumento provvisorio, affine alla carta d’identità elettronica, che permette l’accesso ai servizi della pubblica amministrazione e di altri enti senza svolgere anche la funzione di documento di identità. La CNS, che ha validità fino a sei anni, costituisce per il cittadino lo strumento principale per accedere ai dati in possesso delle pubbliche amministrazioni (dati fiscali, previdenziali, sanitari).

L’art. 27, comma 8, della L. 3/2003[167], ha demandato ad un regolamento di delegificazione l’introduzione delle norme necessarie per la diffusione e l’uso della carta nazionale dei servizi. In attuazione di tale previsione è stato emanato il D.P.R. 117/2004[168].

Successivamente è stato adottato il decreto del ministro dell’Interno 9 dicembre 2004[169] che detta le regole tecniche e di sicurezza relative alle tecnologie e ai materiali utilizzati per la produzione della CNS. Da ultimo, le Linee guida in materia di digitalizzazione dell’amministrazione per il 2005[170] individuano la CNS tra i settori di intervento prioritario per le amministrazioni.

 


 

Articolo 32, commi 1-2
(Limitazioni all’uso del contante)


1. All'articolo 49 del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) ai commi 1, 5, 8, 12 e 13, le parole «euro 5.000» sono sostituite dalle seguenti: «euro 12.500»;

b) l'ultimo periodo del comma 10 è abrogato.

2. Resta fermo quanto previsto dall'articolo 66, comma 7 del citato decreto legislativo n. 231 del 2007.


 

 

I commi 1 e 2 dell’articolo 32 apportano modifiche all’articolo 49 del D.lgs. n. 231/2007[171] elevando da 5.000 a 12.500 euro la soglia massima per l’utilizzo del contante e dei titoli al portatore. La predetta modifica interessa, in particolare, i commi 1, 5, 8, 12 e 13 del citato articolo 49.

Viene, inoltre, abrogato l’ultimo periodo del comma 10 del medesimo articolo 49 che disponeva l’obbligo di indicare il codice fiscale nelle girate degli assegni.

 

Il citato articolo 49, recante “limitazioni all'uso del contante e dei titoli al portatore”, nella versione previgente le modifiche apportate dalla norma in commento, dispone fra l’altro:

-        il divieto di trasferimento di denaro contante, libretti o titoli al portatore di importo pari o superiore a 5.000 euro (comma 1);

-        l’obbligo di indicare i dati anagrafici del beneficiario (nominativo o ragione sociale) nonché la clausola “non trasferibile” sugli assegni bancari e postali di importo superiore a 5.000 euro (comma 5);

-        la possibilità per gli istituti bancari e postali, su richiesta del cliente, di rilasciare assegni circolari e vaglia di importo inferiore a 5.000 euro senza la clausola “non trasferibile” (comma 8);

-        il divieto di detenere libretti di deposito bancari o postali al portatore con saldo superiore a 5.000 euro. In via transitoria, relativamente ai libretti che alla data del 29 dicembre 2007[172] presentavano un saldo superiore al predetto limite, i clienti hanno tempo fino al 30 giugno 2009 per estinguere o ridurre il saldo al di sotto della soglia fissata (commi 12 e 13).

Il comma 10 aveva introdotto l’applicazione di un’imposta di bollo in misura pari a 1,50 euro per ciascun assegno bancario o postale non contenente la clausola “non trasferibile”; inoltre, in caso di girata dell’assegno era necessario, a pena di nullità della girata, indicare anche il codice fiscale del girante.

Si segnala, infine, che il comma 20 fissa al 30 aprile 2008 la data di entrata in vigore delle disposizioni contenute nell’articolo 49.

 

La modifica introdotta dal comma 1 reintroduce i limiti di importo all’uso del contante - finalizzati al contrasto del riciclaggio e del terrorismo – vigenti prima del 30 aprile 2008 (data di entrata in vigore del richiamato articolo 49).

 

Il comma 2 conferma l’applicazione dell’articolo 66, comma 7, del D.Lgs. n. 231/2007, ai sensi del quale i limiti di importo fissati dall’articolo 49 possono essere modificati con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze.


 

Articolo 32, comma 3
(Soppressione dell’obbligo di tenuta di conti correnti da parte dei lavoratori autonomi)

3. Le disposizioni di cui ai commi 12 e 12-bis dell'articolo 35 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito con modificazioni dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, sono abrogate.

 

 

Il comma 3 dell’articolo 32, abrogando i commi 12 e 12-bis dell’articolo 35 del DL n. 223/2006[173], sopprime l’obbligo a carico dei lavoratori autonomi consistente nella tenuta di un apposito conto corrente bancario o postale da utilizzare per la gestione dell’attività professionale (c.d. tracciabilità dei professionisti).

 

I citati commi 12 e 12-bis avevano introdotto, con finalità antielusive, disposizioni in materia di obblighi contabili per i lavoratori autonomi.

In particolare, il comma 12, introducendo due commi all’articolo 19 del DPR n. 600/1973[174], ha posto l’obbligo, a carico dei contribuenti esercenti arti e professioni, di tenere un conto corrente bancario o postale da utilizzare per la gestione dell’attività professionale, ossia per il pagamento delle spese sostenute e il versamento dei compensi riscossi nell’esercizio della funzione professionale. I movimenti finanziari, pertanto, dovevano essere effettuati esclusivamente attraverso strumenti finanziari tracciabili e non in contanti, fatta eccezione per le somme unitarie inferiori a 100 euro (comma 12).

Tuttavia, in via transitoria, il comma 12-bis ha elevato il limite di importo per la tracciabilità a 1.000 euro per il periodo compreso tra il 4 luglio 2006 e il 30 giugno 2008, e a 500 euro per il periodo compreso tra il 1° luglio 2008 e il 30 giugno 2009.

 

Si segnala che il comma 12 dell’articolo 35 del DL n. 223/2006, abrogato dalla norma in esame, introduce una novella all’articolo 19 del DPR n. 600/1973 la quale non risulta espressamente abrogata.

 

 


 

Articolo 33, commi 1-2
(Applicabilità degli studi di settore)


1. Il comma 1 dell'articolo 1, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 maggio 1999, n. 195, è sostituito dal seguente: «1. Le disposizioni previste dall'articolo 10, commi da 1 a 6, della legge 8 maggio 1998, n. 146, si applicano a partire dagli accertamenti relativi al periodo d'imposta nel quale entrano in vigore gli studi di settore. A partire dall'anno 2009 gli studi di settore devono essere pubblicati nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana entro il 30 settembre del periodo d'imposta nel quale entrano in vigore. Per l'anno 2008 il termine di cui al periodo precedente è fissato al 31 dicembre».

2. Resta ferma la disposizione di cui all'articolo 10, comma 9, della legge 8 maggio 1998, n. 146, concernente la emanazione di regolamenti governativi nella materia ivi indicata. I regolamenti previsti dal citato articolo 10 della legge n. 146, del 1998, possono comunque essere adottati qualora disposizioni legislative successive a quelle contenute nella presente legge regolino la materia, a meno che la legge successiva non lo escluda espressamente.


 

 

I commi 1 e 2 dell’articolo 33, modificando l’articolo 1 del D.P.R. n. 195/1999[175], anticipano il termine entro il quale gli studi di settore devono essere pubblicati in Gazzetta Ufficiale per consentire il loro utilizzo ai fini dell’accertamento fiscale.

 

L’articolo 1, comma 1, del D.P.R. n. 195 del 1999, nel testo previgente le modifiche introdotte dalla norma in commento, individua il collegamento fra l’entrata in vigore degli studi di settore e la loro utilizzazione in sede di accertamento. In particolare, si stabilisce la regola generale in base alla quale gli studi di settore si applicano a partire dagli accertamenti relativi al periodo d'imposta nel quale entrano in vigore purché i relativi decreti ministeriali di approvazione siano pubblicati nella Gazzetta ufficiale entro il 31 marzo del periodo di imposta successivo a quello della loro entrata in vigore.

 

Il comma 1 della norma in esame, sostituendo il comma 1 dell’articolo 1 del D.P.R. n. 195/1999, dispone che, a decorrere dal 2009, è anticipato dal 31 marzo dell’anno successivo al 30 settembre del medesimo anno il termine entro il quale gli studi di settore devono essere pubblicati nella Gazzetta Ufficiale per poter trovare applicazione.

Inoltre, limitatamente all’anno 2008, il termine viene anticipato dal 31 marzo 2009 al 31 dicembre 2008.

 

Al fine di evitare dubbi interpretative, sarebbe opportuna una conferma in merito all’utilizzo degli studi di settore ai fini dell’accertamento per il periodo d’imposta 2007. Ciò in quanto il termine per la presentazione della dichiarazione dei redditi 2007 (nella quale il contribuente dichiara di adeguarsi o non adeguarsi agli studi di settore) scade successivamente alla data di entrata in vigore della norma in esame la quale reca disposizioni a decorrere dal periodo d’imposta 2008[176].

 

Il comma 2 conferma, in primo luogo, l’applicazione dell’articolo 10, comma 9, della legge n. 146/1998 che prevede, in materia di studi di settore, l’emanazione di regolamenti di attuazione di cui all’articolo 3, comma 136, della legge n. 662/1996.

Ai sensi del citato comma 136, le procedure di attuazione delle norme tributarie, gli adempimenti contabili e formali dei contribuenti sono disciplinati con regolamenti da emanare ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge n. 400/88 (c.d. regolamenti di delegificazione).

Il comma in esame rinvia, quindi, alla emanazione di “regolamenti governativi” in materia di studi di settore i quali “possono comunque essere adottati qualora disposizioni legislative successive a quelle contenute nella presente legge regolino la materia, a meno che la legge successiva non lo escluda espressamente”.

Tale ultima disposizione appare volta a chiarire la possibilità di ricorrere ai regolamenti in questione al fine di dare attuazione a future disposizioni di legge in materia di studi di settore.

 

A riguardo si evidenzia come sarebbe più rispettoso dei rapporti tra le fonti del diritto rimettere interamente al legislatore futuro la scelta di prevedere o meno l’esercizio di un potere regolamentare.


 

Articolo 33, comma 3
(Elenco clienti fornitori)

3. All'articolo 8-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 322 del 1998, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) il comma 4-bis è abrogato;

b) il comma 6 è abrogato.

 

 

Il comma 3 abroga le disposizioni contenute nei commi 4-bis e 6 dell’articolo 8-bis del regolamento che disciplina la presentazione delle dichiarazioni relative alle imposte sui redditi, all'IRAP e all’IVA (DPR n. 322 del 1998), in materia di comunicazione dei dati ai fini dell’Imposta sul valore aggiunto mediante gli elenchi dei clienti e dei fornitori.

 

Il comma 4-bis, precedentemente introdotto con un decreto-legge del 2006 in materia di entrate e contrasto all’evasione fiscale (D.L. n. 223 del 2006)[177], ha stabilito che, entro sessanta giorni dal termine previsto per la comunicazione dei dati IVA[178], i contribuenti sono tenuti a presentare un elenco dei soggetti nei cui confronti sono state emesse fatture nell’anno cui si riferisce la comunicazione (c.d. elenco clienti), nonché, in relazione al medesimo periodo, un elenco dei soggetti titolari di partita IVA da cui sono stati effettuati acquisti rilevanti ai fini dell’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto (c.d. elenco fornitori). Per ciascun soggetto, gli elenchi devono essere indicati il codice fiscale e l’importo complessivo delle operazioni effettuate, al netto delle relative note di variazione, con l’evidenziazione dell’imponibile, dell’imposta, nonché dell’importo delle operazioni non imponibili e di quelle esenti[179].

Il comma 6, anch’esso introdotto con il sopra citato decreto-legge del 2006, ha esteso l’applicazione della sanzione di cui all’articolo 11 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471[180], alla fattispecie di mancata presentazione degli elenchi dei clienti e dei fornitori e di invio dei suddetti elenchi con dati incompleti o non veritieri. Pertanto, ai fini sanzionatori, l'omessa presentazione degli elenchi, nonché l'invio degli stessi con dati falsi o incompleti, comportava l'applicazione della sanzione amministrativa in misura fissa (da un minimo di 258 ad un massimo di 2.065 euro).

 

Infine, si ricorda che la presentazione degli elenchi oggetto dell’abrogazione in esame aveva peraltro beneficiato di due sanatorie:

-        la sanatoria della legge finanziaria per il 2007[181], per la quale si consideravano validamente effettuate, qualora presentate entro l’anno 2006, le comunicazioni dell’elenco dei fornitori nelle quali il contribuente avesse indicato il numero di partita IVA dei soggetti dai quali sono stati effettuati acquisti rilevanti, anziché il numero di codice fiscale;

-        la sanatoria della legge finanziaria per il 2008[182] in relazione alle presentazioni degli elenchi dei clienti e fornitori relative all’anno 2006 da parte dei soggetti obbligati alla dichiarazione IVA mensile, per i quali sono state rese valide le trasmissioni degli elenchi effettuate entro il 15 novembre 2007, in luogo della scadenza fissata al 15 ottobre 2007. La predetta legge finanziaria[183] aveva altresì previsto che i contribuenti minimi fossero esonerati dall’obbligo di presentazione degli elenchi di cui si prevede la soppressione[184].

 

 


 

Articolo 34
(Tutela dei consumatori e apparecchi di misurazione)


1. L'articolo 20 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, è abrogato. Sono attribuite ai comuni le funzioni esercitate dalle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, in materia di verificazione prima e verificazione periodica degli strumenti metrici.

2. Presso ciascun comune è individuato un responsabile delle attività finalizzate alla tutela del consumatore e della fede pubblica, con particolare riferimento ai compiti in materia di controllo di conformità dei prodotti e strumenti di misura già svolti dagli uffici di cui al precedente periodo.

3. Dall'attuazione delle disposizioni del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Le attività delle Amministrazioni pubbliche interessate sono svolte nell'ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente.


 

 

L’articolo 34 attribuisce ai comuni le competenze, ad oggi esercitate dalle camere di commercio, in materia di verifica degli strumenti metrici. Stabilisce, a tale scopo, che ciascun comune individui un responsabile delle attività finalizzate alla tutela del consumatore e della fede pubblica, con particolare riferimento alla verifica dei suddetti strumenti.

 

Il comma 1 dispone l’abrogazione dell’art. 20 del D.Lgs. n. 112/1998, trasferendo ai Comuni le funzioni attualmente esercitate dalle camere di commercio in materia verificazione prima e periodica degli strumenti metrici.

 

Si ricorda che con la legge delega 59/1997 (cd. Legge Bassanini) e con il successivo decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 112 (recante conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato a regioni ed enti locali ex L. n. 59/1997), si è dato avvio ad un ampio programma di cessione di funzioni amministrative statali a Regioni ed enti locali, con l’eccezione di quelle espressamente riservate allo Stato e tassativamente elencate nella stesse legge delega. L’esatta individuazione delle funzioni conferite è contenuta nel D.Lgs. 112/1998 operando non per competenze ma per settori omogenei avuto riguardo alla comunità ed al territorio.

L’articolo 20 del decreto legislativo n. 112 del 1998, in tema di funzioni delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, attribuisce a quest’ultime le funzioni esercitate dagli uffici metrici provinciali e dagli uffici provinciali per l'industria, il commercio e l'artigianato, ivi comprese quelle relative ai brevetti e alla tutela della proprietà industriale. Il comma 2 stabilisce che presso le camere di commercio è individuato un responsabile delle attività finalizzate alla tutela del consumatore e della fede pubblica, con particolare riferimento ai compiti in materia di controllo di conformità dei prodotti e strumenti di misura già svolti dagli uffici di cui al comma 1.

 

Il comma 2 prescrive che ciascun comune è tenuto ad individuare un responsabile delle attività finalizzate alla tutela del consumatore e della fede pubblica, tra cui quelle di verifica degli strumenti metrici già svolte dagli uffici di cui al precedente periodo.

 

Il D.Lgs n. 112/98, all’articolo 20, individua un responsabile delle attività finalizzate alla tutela del consumatore e della fede pubblica presso le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura per lo svolgimento delle attività e dei servizi - alcuni dei quali precedentemente attribuiti agli ex U.P.I.C.A. (Uffici Provinciali Industria Commercio e Artigianato) e agli ex Uffici Provinciali Metrici del Ministero dell'Industria - che assicurano il corretto svolgimento di specifici aspetti dell'attività di impresa tra i quali, per quanto qui rileva, la metrologia legale[185].

 

Il comma 3, imponendo alle pubbliche amministrazioni interessate di svolgere le attività di cui sopra con l’impiego delle risorse disponibili a legislazione vigente, stabilisce che dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico dello Stato.

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)

Il 25 gennaio 2008 la Commissione ha presentato una proposta di direttiva sulla sicurezza dei giocattoli (COM(2008)9),volta a revisionare la normativa di settore che ha visto la proliferazione di discipline nazionali diverse in materia di sicurezza dei bambini rispetto ai pericoli posti dai giocattoli.

La proposta, che segue la procedura di codecisione, verrà esaminata in prima lettura dal Parlamento europeo presumibilmente nella sessione del 16 dicembre 2008.

Il 5 febbraio 2008 la Commissione ha presentato una proposta di regolamento sui prodotti cosmetici (COM(2008)49), volta a garantire che quelli immessi sul mercato dell’UE siano sicuri alla luce delle innovazioni del settore. Elemento cruciale della proposta è il chiarimento delle informazioni che devono essere contenute nella valutazione della sicurezza del prodotto cosmetico da commercializzare.

La proposta, che segue la procedura di codecisione, verrà esaminata in prima lettura dal Parlamento europeo presumibilmente nella sessione del 15 dicembre 2008.

L’8 marzo 2008 la Commissione ha presentato una comunicazione con la quale vengono individuati gli enti legittimati dai singoli Stati membri a presentare ricorsi o azioni a norma dell’art. 2 della direttiva 98/27/CE relativa ai provvedimenti inibitori a tutela degli interessi dei consumatori.

Procedure di contenzioso
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)

La Commissione ha inviato all’Italia una lettera di messa in mora[186] per il mancato recepimento della direttiva 2007/13/CE relativa al riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri quanto alle disposizioni comuni sugli strumenti di misura e sui metodi di controllo metrologico.


 

Articolo 35
(Semplificazione della disciplina per l’installazione degli impianti all’interno degli edifici)


1. Entro il 31 marzo 2009 il Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro per la semplificazione normativa, emana uno o più decreti, ai sensi dell'articolo 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, volti a disciplinare:

a) il complesso delle disposizioni in materia di attività di installazione degli impianti all'interno degli edifici prevedendo semplificazioni di adempimenti per i proprietari di abitazioni ad uso privato e per le imprese;

b) la definizione di un reale sistema di verifiche di impianti di cui alla lettera a) con l'obiettivo primario di tutelare gli utilizzatori degli impianti garantendo una effettiva sicurezza;

c) la revisione della disciplina sanzio­natoria in caso di violazioni di obblighi stabiliti dai provvedimenti previsti alle lettere a) e b).

2. L'articolo 13 del decreto ministeriale 22 gennaio 2008, n. 37 è soppresso.


 

 

L’articolo 35 è volto a semplificare la disciplina per l’installazione degli impianti all’interno degli edifici.

Il comma 1 rimette a uno o più decreti del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro per la semplificazione, da adottare entro il 31 marzo 2009, la semplificazione della disciplina concernente l’installazione di impianti all’interno degli edifici.

 

Appare opportuno specificare a quale tipologia di decreti previsti dall’articolo 17 della legge n. 400 del 1988 si intende fare riferimento [187].

 

I decreti sono volti, in particolare, a disciplinare:

a) il complesso delle disposizioni in materia di attività di installazione degli impianti all’interno degli edifici prevedendo semplificazioni di adempimenti per i proprietari di abitazioni ad uso privato e per le imprese;

b) la definizione di un reale sistema di verifiche di impianti con l’obiettivo primario di tutelare gli utilizzatori garantendo una effettiva sicurezza;

c) la revisione della disciplina sanzionatoria in caso di violazione di obblighi.

 

Si fa presente che l’articolo 11-quaterdecies, comma 13, del decreto-legge n.203 del 2005[188] aveva attribuito al Governo una autorizzazione analoga. La norma prevedeva, in particolare, che con uno o più decreti del Ministro delle attività produttive, di concerto con il Ministro dell’ambiente, si provvedesse a disciplinare:

a) il riordino delle disposizioni in materia di attività di installazione degli impianti all'interno degli edifici

b) la definizione di un reale sistema di verifiche degli impianti di cui alla lettera a) con l'obiettivo primario di tutelare gli utilizzatori degli impianti garantendo una effettiva sicurezza;

c) la determinazione delle competenze dello Stato, delle regioni e degli enti locali secondo i princípi di sussidiarietà e di leale collaborazione, anche tramite lo strumento degli accordi in sede di Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281;

d) la previsione di sanzioni in caso di violazione degli obblighi stabiliti dai provvedimenti previsti dalle lettere a) e b).

La disposizione fissava a 24 mesi dalla sua entrata in vigore il termine per l’adozione dei decreti attuativi. Tale termine è stato successivamente prorogato al 1° gennaio 2007 dall’articolo 1-quater del decreto-legge n. 173 del 2006 e, da ultimo, al 31 marzo 2008 dall’articolo 3 del decreto-legge n. 300 del 2006.

Entro tale termine è stato adottato il decreto interministeriale 22 gennaio 2008, n.37, che ha dato attuazione al solo punto a)[189]. Per i rimanenti profili (di cui alle lettere b), c) e d)) la disposizione è rimasta pertanto inattuata.

 

Merita altresì ricordare che tra i provvedimenti di rango legislativo di maggior rilevanza in tema di disciplina dell’attività di impiantistica si segnala la legge 5 marzo 1990, n. 46 ("Norme per la sicurezza degli impianti"), che impone l'osservanza di particolari obblighi e il rispetto di prescrizioni tecniche, al fine di evitare incidenti dovuti alla non corretta installazione o manutenzione degli impianti in funzione negli edifici. La legge è stata successivamente modificata dal DPR 18 aprile 1994, n. 392 relativamente alle disposizioni che disciplinano il procedimento previsto per l'accertamento, riconoscimento e certificazione dei requisiti tecnico-professionali delle imprese abilitate alla trasformazione, all'ampliamento e alla manutenzione degli impianti soggetti alla disciplina della L. n. 46/90

Il contenuto delle disposizioni della legge 46/90 è stato ripreso negli articoli da 107 a 121 del DPR n. 380 del 2001 (Testo unico in materia di edilizia- Capo V).

Una delle novità più rilevanti introdotte dal T.U. è contenuta nell’art. 107 che estende il campo d’applicazione della legge n. 46 agli impianti relativi agli edifici “quale che ne sia la destinazione d’uso”, annullando la distinzione prevista dalla normativa vigente prima dell’entrata in vigore del TU - tra “edifici ad uso civile” ed edifici destinati ad altri usi (industriale, commerciale, terziario, ecc.).

Gli impianti interessati dalle disposizioni recate dal Capo V in esame sarebbero pertanto:

-        gli impianti di produzione, di trasporto, di distribuzione e di utilizzazione dell’energia elettrica all’interno degli edifici a partire dal punto di consegna dell’energia fornita dall’ente distributore;

-        gli impianti radiotelevisivi ed elettronici in genere, le antenne e gli impianti di protezione da scariche atmosferiche;

-        gli impianti di riscaldamento e di climatizzazione azionati da fluido liquido, aeriforme, gassoso e di qualsiasi natura o specie;

-        gli impianti idrosanitari nonché quelli di trasporto, di trattamento, di uso, di accumulo e di consumo di acqua all’interno degli edifici a partire dal punto di consegna dell’acqua fornita dall’ente distributore;

-        gli impianti per il trasporto e l’utilizzazione di gas allo stato liquido o aeriforme all’interno degli edifici a partire dal punto di consegna del combustibile gassoso fornito dall’ente distributore;

-        gli impianti di sollevamento di persone o di cose per mezzo di ascensori, di montacarichi, di scale mobili e simili;

-        gli impianti di protezione antincendio.

Sono altresì previste norme in materia di progettazione e di collaudo (artt. 110 e 111), che tuttavia non si applicano ai lavori concernenti l’ordinaria manutenzione, nonché per le installazioni di apparecchi per usi domestici e la fornitura provvisoria di energia elettrica per gli impianti di cantiere e similari, fermo restando l’obbligo del rilascio della dichiarazione di conformità (art. 116).

Sono infine previste norme in tema di verifiche degli impianti (art. 118) da parte dei comuni, delle unità sanitarie locali, dei comandi provinciali dei vigili del fuoco e dell’Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro (ISPESL), nonché disposizioni sanzionatorie a carico del committente o del proprietario (art. 120).

Il comma 2 sopprime l’articolo 13 del decreto interministeriale n. 37 del 2008.

 

L’articolo 13 prevede l’obbligo di conservazione della documentazione amministrativa e tecnica, nonché del libretto di uso e manutenzione (nonché, in caso di trasferimento dell'immobile, a qualsiasi titolo, di consegna all'avente causa). L'atto di trasferimento deve riportare la garanzia del venditore in ordine alla conformità degli impianti alla vigente normativa in materia di sicurezza e contiene in allegato, salvo espressi patti contrari, la dichiarazione di conformità. Copia della documentazione è consegnata anche al soggetto che utilizza, a qualsiasi titolo, l'immobile.


 

Articolo 36
(Class action)

1. Anche al fine di individuare e coordinare specifici strumenti di tutela risarcitoria collettiva, anche in forma specifica nei confronti delle pubbliche amministrazioni, all'articolo 2, comma 447 della legge 4 dicembre 2007, n. 244, le parole «decorsi centottanta giorni» sono sostituiti dalle seguenti: «decorso un anno».

 

 

L’articolo in esame proroga di sei mesi (ovvero fino al 1° gennaio 2009) l’entrata in vigore della disciplina dell’azione collettiva risarcitoria a tutela degli interessi dei consumatori.

La finalità della proroga è motivata dall’art. 36 in esame con la necessità dell’individuazione e messa a punto di strumenti normativi adatti ad estendere la tutela risarcitoria (anche in forma specifica) offerta dall’azione collettiva anche nei confronti della pubblica amministrazione.

 

L’azione collettiva risarcitoria è stata introdotta nel Codice del consumo (D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206) dall’art. 2, commi 445-449, della legge finanziaria 2008 (L: n. 244/2007). Si tratta di un’azione giudiziale di gruppo, attivabile da associazioni rappresentative di consumatori ed utenti nei confronti delle imprese per specifici illeciti contrattuali ed extracontrattuali. Il nuovo art. 140-bis del Codice del consumo disciplina e scandisce le diverse fasi dell’azione collettiva, che mira ad ottenere dal giudice una pronuncia di accertamento della lesione degli interessi di una determinata categoria di persone ed il loro diritto ad un risarcimento.

Il procedimento prevede una doppia fase:

-        la prima, volta alla sentenza di accertamento;

-        la seconda, conciliativa, finalizzata alla quantificazione del risarcimento individuale.

Per quanto concerne l’oggetto della tutela, il nuovo articolo 140-bis fa riferimento:

1)  in ambito contrattuale, ad illeciti relativi ai rapporti giuridici originati dai contratti cd. di massa o per adesione, conclusi secondo le modalità previste dall’articolo 1342 del codice civile (con moduli o formulari);

2)  in ambito extracontrattuale, a pratiche commerciali scorrette o a comportamenti anticoncorrenziali, quando ledano i diritti di una pluralità di consumatori o utenti.

Il medesimo art. 140-bis prevede – come eventuali – sia la semplice adesione dei singoli consumatori all’azione collettiva sia l’intervento in causa con proprie domande sul medesimo oggetto: se aderiscono, è ad essi estesa la tutela eventualmente ottenuta all’esito del processo; se intervengono, acquistano la qualità di parte con relativi vantaggi ed oneri. La norma, oltre ad individuare le modalità per l’adesione (scritta) al proponente l’azione collettiva da parte dei singoli consumatori stabilisce che il suo esercizio ha effetti interruttivi della prescrizione ai sensi dell'articolo 2945 del codice civile. Il termine ultimo per l’adesione è fissato, anche in appello, “fino all’udienza di precisazione delle conclusioni”.

A seguito della presentazione della domanda da parte dei citati organismi associativi, il Tribunale competente - che la nuova disciplina precisa essere il tribunale in composizione collegiale - nel corso della prima udienza, dopo aver sentito le parti e, ove necessario, dopo l’assunzione di sommarie informazioni, è chiamato a pronunciarsi sulla ammissibilità della domanda; la decisione può essere differita in pendenza, sul medesimo oggetto, di istruttoria da parte di una Autorità indipendente.

Non sussistendo tale ipotesi di differimento, il Tribunale si pronuncia sulla ammissibilità della domanda con ordinanza reclamabile davanti alla Corte d'appello che decide in camera di consiglio.

La domanda deve essere dichiarata inammissibile quando sia manifestamente infondata, sussista un conflitto di interessi o quando il giudice non ravvisi l'esistenza di un interesse collettivo suscettibile di adeguata tutela.

Il tribunale svolge, in definitiva, una doppia azione di filtro sull’ammissibilità della domanda dal punto di vista sia soggettivo che oggettivo, sia in relazione alla legittimazione ad agire del soggetto associativo che propone l’azione risarcitoria, sia rispetto all’ammissibilità della domanda nel merito;

Superata indenne tale fase e ammessa la domanda, il tribunale dispone che i proponenti l'azione collettiva diano «idonea pubblicità» dei contenuti dell’azione proposta assumendo nel contempo disposizioni per la prosecuzione del giudizio. Tale pubblicità appare, ovviamente, propedeutica alla conoscibilità del procedimento in atto ai fini dell’adesione-intervento degli interessati.

Per quanto riguarda i successivi passaggi, il giudice se accoglie l’azione collettiva con la sentenza di condanna, determina i criteri in base ai quali liquidare la somma da corrispondere o da restituire ai singoli consumatori ed utenti che hanno aderito all'azione collettiva o che sono intervenuti in giudizio, individuando, ove possibile, la somma minima da corrispondere a ciascun consumatore o utente. L’impresa soccombente, nei 60 giorni successivi alla notifica della sentenza, può proporre il pagamento della somma, e l’accettazione da parte del consumatore o dall'utente costituisce titolo esecutivo (comma 4).

L’art. 140-bis precisa che la sentenza che definisce il giudizio fa stato anche nei confronti di tutti i consumatori e utenti che hanno aderito all'azione collettiva.

Tutti coloro che non hanno aderito all’azione e che non sono intervenuti nel giudizio, potranno comunque agire individualmente.

Il legislatore italiano ha, quindi, adottato come la gran parte di quelli europei, il sistema dell’opt-in ovvero la soggezione del membro della classe al giudicato soltanto nel caso in cui manifesti esplicitamente una volontà in tal senso (aderendo all’azione collettiva o intervenendo in causa).

Se l'impresa non formula alcuna proposta entro i citati 60 giorni, ovvero nel caso in cui tale proposta non sia stata accettata, si apre una ulteriore fase conciliativa; in tali ipotesi, infatti, il giudice costituisce presso lo stesso tribunale apposita Camera di conciliazione[190] per la determinazione del quantum dei singoli risarcimenti in favore dei consumatori. Spetta alla Camera di conciliazione definire, con verbale, i modi, i termini e l’entità del risarcimento. Tale verbale di conciliazione, costituisce titolo esecutivo.

Da ciò consegue il diritto del singolo consumatore e utente di chiedere al giudice l’emissione di un decreto ingiuntivo di pagamento nei confronti del debitore.

In alternativa alla Camera di conciliazione, su concorde richiesta del promotore dell'azione collettiva e dell'impresa convenuta, il presidente del tribunale dispone che la composizione non contenziosa abbia luogo presso uno degli organismi di conciliazione di cui all'art. 38 del decreto legislativo n. 5 del 2003[191], operante presso il comune in cui ha sede il tribunale.

L’entrata in vigore della nuova disciplina sulla class action italiana era stata fissata decorsi 180 dalla data di entrata in vigore della legge finanziaria e dunque a partire dal 30 giugno 2008.

Trattandosi di norme processuali e non sostanziali, l’azione collettiva sarà esperibile dagli enti rappresentativi per tutti gli illeciti plurioffensivi commessi da un’impresa, sia prima che dopo la data di entrata in vigore della nuova disciplina.


 

Articolo 37, comma 1
(Certificazioni e prestazioni sanitarie)

1. Al fine di garantire la riduzione degli adempimenti meramente formali e non necessari alla tutela della salute a carico di cittadini ed imprese e consentire la eliminazione di adempimenti formali connessi a pratiche sanitarie obsolete, ferme restando comunque le disposizioni vigenti in tema di sicurezza sul lavoro, con decreto del Ministro del lavoro, della salute e della solidarietà sociale, di concerto con il Ministro per la semplificazione normativa, previa intesa in sede di Conferenza Unificata, sono individuate le disposizioni da abrogare.

 

 

Al fine di eliminare e ridurre gli adempimenti formali connessi a pratiche sanitarie obsolete, l’articolo 37, al comma 1, prevede l’emanazione di un decreto del Ministro del Lavoro, della Salute e della solidarietà sociale, di concerto con il Ministro per la semplificazione normativa, previa intesa in sede di conferenza Unificata, che individua le disposizioni da abrogare.

 


 

Articolo 37, comma 2
(Ambito di applicazione del testo unico in materia di immigrazione di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998)

2. Il comma 2 dell'articolo 1 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente: «2. Il presente testo unico non si applica ai cittadini degli Stati membri dell'Unione europea, salvo quanto previsto dalle norme di attuazione dell'ordinamento comunitario».

 

 

Il comma 2 interviene sul testo unico in materia di immigrazione, estendendone l’applicazione anche ai cittadini degli Stati membri dell’Unione europea nel solo caso in cui questo sia previsto da norme di attuazione del diritto comunitario, mentre in precedenza l’applicazione ai cittadini comunitari era prevista in presenza di norme a loro più favorevoli.

 

Preliminarmente si osserva che appare incongrua la collocazione del comma in esame all’interno dell’art. 37 riguardante una materia diversa e la cui rubrica, recante Certificazioni e prestazioni sanitarie, non ne richiama neanche parzialmente il contenuto. Andrebbe, pertanto, valutata l’opportunità di riservare una collocazione autonoma alla disposizione in esame.

 

Il testo unico emanato con il D.Lgs. 286/1998[192] si applica, come esplicitamente previsto dall’art. 1, co. 1, esclusivamente ai cittadini di Paesi non appartenenti all’Unione europea e agli apolidi.

La condizione giuridica dei cittadini dell’Unione europea è invece regolata da disposizioni diverse, di derivazione comunitaria; la disciplina relativa alla libera circolazione e al soggiorno è contenuta nel D.Lgs. 30/2007[193], emanato in attuazione della direttiva 2004/38/CE.

L’esclusione dei cittadini comunitari dall’ambito di applicazione del testo unico è esplicitata dall’art. 1, co. 2, del testo unico, oggetto di novella da parte del comma in esame, ove si prevede espressamente che il testo unico non si applica ai cittadini comunitari, salvo in presenza di norme a loro più favorevoli. La disposizione in esame ha abrogato tale eccezione, sostituendola, come si è detto, con la previsione di applicazione in presenza di norme di attuazione del diritto comunitario che espressamente lo prevedano.

 

La sopra citata clausola di maggior favore, eliminata dalla disposizione in esame, riflette una condizione sovente contenuta nelle direttive comunitarie: anche la citata direttiva 2004/38/CE, all’art. 37, prevede che le disposizioni in essa contenute non pregiudicano la disposizioni legislative, regolamentari e amministrative di diritto interno eventualmente più favorevoli nei confronti dei cittadini comunitari.

 

La ratio della norma in commento risiede, come esplicitato nella relazione tecnica che accompagna il disegno di legge di conversione, nell’intenzione di escludere i cittadini comunitari dal miglior trattamento previsto – in particolari situazioni – per i cittadini extracomunitari dal testo unico del 1998, con specifico riguardo al settore sanitario.

 

Si vuole infatti impedire – sempre secondo la relazione tecnica – che i cittadini dell’Unione “non titolari presso il Paese di origine di diritti a fruire di prestazioni sociali (in particolare sanitarie), né titolari di assicurazione sanitaria privata o di iscrizione al Servizio sanitario nazionale italiano” possano beneficiare di tali prestazioni, determinando così oneri a carico del Servizio sanitario nazionale.

Si ricorda che le norme generali in materia di assistenza sanitaria relative ai cittadini comunitari e ai non comunitari sono simili: il cittadino dell’Unione ha diritto di soggiorno in Italia per un periodo superiore a tre mesi se assolve ad una serie di condizioni, tra cui il disporre di una assicurazione sanitaria per sé e per i propri familiari (art. 7, D.Lgs. 30/2007). Tale condizione non è richiesta per i soggiorni inferiori a tre mesi.

Analogamente, i cittadini non comunitari hanno l’obbligo di iscrizione al servizio sanitario nazionale se regolarmente soggiornanti per motivi di lavoro, asilo politico, motivi familiari, attesa adozione, affidamento e per acquisto della cittadinanza. Gli altri sono tenuti a stipulare una assicurazione contro infortuni e malattie (art. 34 T.U.). Gli stranieri non comunitari che non sono iscritti al servizio sanitario nazionale sono tenuti al pagamento delle prestazioni. Sono, comunque, assicurate le cure urgenti o essenziali (tra cui l’assistenza al parto), anche agli irregolari e ai clandestini. Anche tali prestazioni devono essere pagate a meno che il richiedente non disponga di risorse economiche sufficienti e in tal caso viene richiesto unicamente il ticket (art. 35, T.U. ).

Da quanto sopra esposto sembrerebbe, dunque, che l’abolizione della clausola di maggior favore comporterebbe l’obbligo del cittadino comunitario, ancorché privo di risorse sufficienti, di corrispondere interamente il pagamento dovuto per le prestazioni urgenti ed essenziali, fermo restando che non sembra da porsi in dubbio – in base ai princìpi dell’ordinamento italiano che sanciscono la tutela della salute e garantiscono cure gratuite agli indigenti (art. 32 Cost.) – il diritto dei cittadini comunitari alle prestazioni indifferibili e urgenti, anche per quelli privi di assicurazione, fatta salva l’attivazione della procedura di recupero dei costi nei confronti degli Stati competenti[194].

 

Si osserva peraltro che l’abolizione della clausola suddetta – essendo riferita all’intero campo di applicazione del testo unico, potrebbe avere conseguenze anche al di fuori del campo sanitario, incidendo (ad esempio) nei settori della protezione sociale, dell’accesso all’abitazione o del diritto allo studio.

Va in ogni caso segnalato che l’ambito di efficacia della disposizione appare non facilmente determinabile a priori, in considerazione del fatto che l’art. 19 del citato D.Lgs. 30/2007 dispone (co. 2) che ogni cittadino dell'Unione residente, in base al decreto, nel territorio nazionale “gode di pari trattamento rispetto ai cittadini italiani nel campo di applicazione del Trattato”, derogando a tale principio (co. 3) solo con riguardo al diritto a prestazioni di assistenza sociale nei primi tre mesi di soggiorno o comunque in caso di ingresso finalizzato alla ricerca di un posto di lavoro.

Sembra in ogni caso opportuna una valutazione, alla luce del principio costituzionale di ragionevolezza, della disparità di trattamento tra cittadini dell’Unione e cittadini di altri Stati che, quanto meno in ipotesi, la disposizione appare suscettibile di determinare.

 

Riguardo alla nuova formulazione introdotta dal provvedimento in esame, ossia l’esclusione dei cittadini comunitari dall’applicazione del testo unico salvo quanto previsto dalla norme di attuazione del diritto comunitario si rileva che il D.Lgs. 30/2007 contiene diverse disposizioni concernenti i cittadini comunitari che fanno rinvio al testo unico dell’immigrazione; tra queste si segnalano le seguenti[195]:

-        il cittadino dell'Unione che richiede l’iscrizione anagrafica in Italia deve dimostrare la disponibilità di risorse economiche sufficienti per sé e per i propri familiari, secondo i criteri fissati dal testo unico (art. 9, co. 3, D.Lgs. 30/2007);

-        le richieste di iscrizioni anagrafiche dei familiari del cittadino dell'Unione che non abbiano la cittadinanza di uno Stato membro sono trasmesse, ai sensi dell'articolo 6, comma 7, del testo unico a cura delle amministrazioni comunali alla Questura competente per territorio (art. 9, co. , D.Lgs. 30/2007);

-        in caso di decesso del cittadino dell'Unione viene esclusa la perdita del diritto di soggiorno dei familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro e, si applica l'articolo 30, comma 5, del testo unico (art. 11, co. 3, D.Lgs. 30/2007);

-        anche in caso di divorzio, in situazioni particolari si applicano le disposizioni del testo unico (art. 12, co. 4, D.Lgs. 30/2007);

-        in presenza di un provvedimento di allontanamento per motivi di sicurezza dello Stato e per motivi imperativi di pubblica sicurezza, che è immediatamente eseguito dal questore, si applicano le disposizioni di cui all'articolo 13, comma 5-bis, del testo unico (art. 20, co. 11, D.Lgs. 30/2007)[196];

-        se il destinatario del provvedimento di allontanamento sia sottoposto a procedimento penale, si applicano le disposizioni di cui all'articolo 13, commi 3, 3-bis, 3-ter, 3-quater e 3-quinquies del testo unico (art. 20-bis, co. 1, D.Lgs. 30/2007).

 


 

Articolo 38
(Impresa in un giorno)


1. Al fine di garantire il diritto di iniziativa economica privata di cui all'articolo 41 della Costituzione, l'avvio di attività imprenditoriale, per il soggetto in possesso dei requisiti di legge, è tutelato sin dalla presentazione della dichiarazione di inizio attività o dalla richiesta del titolo autorizzatorio.

2. Le disposizioni del presente articolo attengono ai livelli essenziali delle prestazioni per garantire uniformemente i diritti civili e sociali ed omogenee condizioni per l'efficienza del mercato e la concorrenzialità delle imprese su tutto il territorio nazionale, ai sensi dell'articolo 117, seconda comma, lettera m) della Costituzione.

3. Con regolamento, adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro dello sviluppo economico e del Ministro per la semplificazione normativa, si procede alla semplificazione e al riordino della disciplina dello sportello unico per le attività produttive di cui al decreto del Presidente della Repubblica 20 ottobre 1998, n. 447, e successive modificazioni, in base ai seguenti principi e criteri, nel rispetto di quanto previsto dagli articoli 19, comma 1 e 20, comma 4, della legge 7 agosto 1990, n. 241:

a) attuazione del principio secondo cui, salvo quanto previsto per i soggetti privati di cui alla lettera c), lo sportello unico costituisce l'unico punto di accesso per il richiedente in relazione a tutte le vicende amministrative riguardanti la sua attività produttiva e fornisce, altresì, una risposta unica e tempestiva per conto di tutte le pubbliche amministrazioni comunque coinvolte nel procedimento, ivi comprese quelle di cui all'articolo 14-quater, comma 3, della legge 7 agosto 1990, n. 241;

b) le disposizioni si applicano sia per l'espletamento delle procedure e delle formalità per i prestatori di servizi di cui alla direttiva del Consiglio e del Parlamento europeo del 12 dicembre 2006, n. 123, sia per la realizzazione e la modifica di impianti produttivi di beni e servizi;

c) l'attestazione della sussistenza dei requisiti previsti dalla normativa per la realizzazione, la trasformazione, il trasferimento e la cessazione dell'esercizio dell'attività di impresa può essere affidata a soggetti privati accreditati («Agenzie per le imprese»). In caso di istruttoria con esito positivo, tali soggetti privati rilasciano una dichiarazione di conformità che costituisce titolo autorizzatorio per l'esercizio dell'attività. Qualora si tratti di procedimenti che comportino attività discrezionale da parte dell'Amministrazione, i soggetti privati accreditati svolgono unicamente attività istruttorie in luogo e a supporto dello sportello unico;

d) i comuni possono esercitare le funzioni inerenti allo sportello unico anche avvalendosi del sistema camerale;

e) l'attività di impresa può essere avviata immediatamente nei casi in cui sia sufficiente la presentazione della dichiarazione di inizio attività allo sportello unico;

f) lo sportello unico, al momento della presentazione della dichiarazione atte­stante la sussistenza dei requisiti previsti per la realizzazione dell'intervento, rilascia una ricevuta che, in caso di d.i.a., costituisce titolo autorizzatorio. In caso di diniego, il privato può richiedere il ricorso alla conferenza di servizi di cui agli articoli da 14 a 14-quinquies della legge 7 agosto 1990, n. 241;

g) per i progetti di impianto produttivo eventualmente contrastanti con le previsioni degli strumenti urbanistici, è previsto un termine di trenta giorni per il rigetto o la formulazione di osservazioni ostative, ovvero per l'attivazione della conferenza di servizi per la conclusione certa del procedimento;

h) in caso di mancato ricorso alla conferenza di servizi, scaduto il termine previsto per le altre amministrazioni per pronunciarsi sulle questioni di loro competenza, l'amministrazione procedente conclude in ogni caso il procedimento prescindendo dal loro avviso; in tal caso, salvo il caso di omessa richiesta dell'avviso, il responsabile del procedimento non può essere chiamato a rispondere degli eventuali danni derivanti dalla mancata emissione degli avvisi medesimi.

4. Con uno o più regolamenti, adottati ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro dello sviluppo economico e del Ministro per la semplificazione normativa, sono stabiliti i requisiti e le modalità di accreditamento dei soggetti privati di cui al comma 3, lettera b), e le forme di vigilanza sui soggetti stessi, eventualmente anche demandando tali funzioni al sistema camerale, nonché le modalità per la divulgazione, anche informatica, delle tipologie di autorizzazione per le quali è sufficiente l'attestazione dei soggetti privati accreditati, secondo criteri omogenei sul territorio nazionale e tenendo conto delle diverse discipline regionali.

5. Il Comitato per la semplificazione di cui all'articolo 1 del decreto-legge n. 4 del 2006 predispone un piano di formazione dei dipendenti pubblici, con la eventuale partecipazione anche di esponenti del sistema produttivo, che miri a diffondere sul territorio nazionale la capacità delle amministrazioni pubbliche di assicurare sempre e tempestivamente l'esercizio del diritto di cui al comma 1 attraverso gli strumenti di semplificazione di cui al presente articolo.

6. Dall'attuazione delle disposizioni del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.


 

 

L’articolo 38 detta norme volte a semplificare le procedure per l’avvio e lo svolgimento delle attività imprenditoriali, mediante autorizzazione al Governo a modificare, nel rispetto di specifici principi e criteri, la disciplina dello sportello unico per le attività produttive di cui al DPR n. 447 del 1998.

 

Il comma 1 reca una disposizione di principio, sancendo che anche l’attività inerente l’avvio d’impresa gode della copertura costituzionale relativa alla libertà di iniziativa economica sancita dall’articolo 41 della Costituzione[197].

 

Il comma 2 riconduce alla garanzia su tutto il territorio nazionale dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, che l’articolo 117, comma 2, lettera m), della Costituzione, rimette alla competenza legislativa esclusiva statale, la materia oggetto della disposizione in esame.

 

Il comma 3 demanda a un regolamento di delegificazione, da adottare ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge n. 400 del 1988[198], su proposta del Ministro dello sviluppo economico e del Ministro della semplificazione amministrativa, la semplificazione e il riordino della disciplina dello sportello unico delle attività produttive di cui al DPR n. 447 del 1998.

 

Si evidenzia l’opportunità di prevedere un termine per l’adozione del regolamento di delegificazione.

 

L’istituzione di uno sportello unico per le attività produttive presso ogni comune è stata prevista dagli articoli 23-25 del decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 112, recante “Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali”, adottato in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59 (c.d. legge Bassanini).

L’articolo 23 attribuisce ai comuni le competenze in materia di localizzazione degli impianti produttivi. Le regioni provvedono al coordinamento e al miglioramento dei servizi e dell'assistenza alle imprese, con particolare riferimento alla localizzazione e autorizzazione degli impianti produttivi e alla creazione di aree industriali. Le funzioni di assistenza sono esercitate prioritariamente attraverso gli sportelli unici per le attività produttive.

L'articolo 24 impone ai comuni di organizzarsi in modo da assicurare che un'unica struttura sia responsabile dell'intero procedimento per la localizzazione dell'impresa. Questa struttura - presso la quale è istituito uno sportello unico - garantisce informazioni e svolge gli adempimenti necessari per le procedure autorizzatorie. Per la realizzazione di questi sportelli unici i comuni possono stipulare convenzioni con le camere di commercio. Gli enti locali possono inoltre avvalersi, nelle forme concordate, di altre amministrazioni ed enti pubblici, cui possono anche essere affidati singoli atti istruttori del procedimento. Infine, laddove siano stipulati patti territoriali o contratti d'area, l'accordo tra gli enti locali coinvolti può prevedere che la gestione dello sportello unico sia attribuita al soggetto pubblico responsabile del patto o del contratto.

L'articolo 25 dispone che il procedimento amministrativo in materia di autorizzazione all'insediamento di attività produttive sia unico. La relativa istruttoria deve avere per oggetto soprattutto i profili urbanistici, sanitari, della tutela ambientale e della sicurezza.

I principi ispiratori della normativa sul provvedimento amministrativo di autorizzazione all'insediamento di attività produttive - che costituiscono principi generali dell'ordinamento dello Stato - sono espressamente elencati dallo stesso art. 25 (comma 2). I principi riportati riprendono le innovazioni sul procedimento amministrativo tipiche della legislazione più recente, quali lo snellimento delle procedure, soprattutto con l'individuazione di un responsabile del procedimento e la creazione del già accennato "sportello unico", nonché con il ricorso all'autocertificazione, a meccanismi di silenzio-assenso e alla convocazione di conferenze di servizi per accelerare i momenti decisionali; l'inserimento di regole di trasparenza, tra le quali la partecipazione alla fase istruttoria dei provvedimenti di tutti i portatori di interessi coinvolti e l'effettuazione del collaudo da parte di soggetti abilitati in posizione di terzietà rispetto all'impresa richiedente l'autorizzazione.

Le funzioni dello sportello unico sono state definite nel dettaglio dall'articolo 3 del DPR 20 ottobre 1998, n. 447, recante disposizioni di semplificazione dei procedimenti autorizzatori concernenti gli impianti produttivi di beni e servizi tra i quali, a seguito delle modifiche introdotte dal DPR 7 dicembre 2000, n. 440[199] (art. 1 comma 1-bis), sono stati inclusi anche quelli relativi alle attività agricole, commerciali e artigiane, alle attività turistiche ed alberghiere, ai servizi resi dalle banche e dagli intermediari finanziari, ai servizi di telecomunicazioni.

Ai fini del rilascio dell’'autorizzazione, l'articolo 3, comma 1, prevede che i comuni predispongano una apposita struttura unica alla quale viene affidato l'intero procedimento. La struttura, che può essere articolata in appositi uffici, deve essere dotata di uno sportello unico, ai fini della cui realizzazione i comuni possono stipulare convenzioni con le camere di commercio ai sensi dell'articolo 24, comma 3, del D.Lgs. 112/98.

Il comma 2 dell'art. 3 dispone che la struttura comunale si doti di uno sportello unico per le attività produttive, previa predisposizione di un archivio informatico contenente le informazioni sugli adempimenti necessari per le procedure previste dal regolamento, l'elenco delle domande di autorizzazione presentate, lo stato del loro iter procedurale, nonché tutte le informazioni utili - comprese quelle concernenti le attività promozionali - disponibili presso le strutture di coordinamento regionale (contemplate dall'articolo 23, comma 2, del citato decreto legislativo 112/98). E' garantito l'accesso gratuito all'archivio informatizzato a chiunque vi abbia interesse, anche in via telematica. Tutti gli interessati si possono rivolgere allo sportello unico per gli adempimenti connessi ai procedimenti di cui al presente regolamento.

E' prevista anche una verifica intermedia dei progetti per l'insediamento di attività produttive rispetto agli strumenti urbanistici. Più esattamente, gli interessati possono richiedere alla citata struttura comunale di pronunciarsi sulla conformità (allo stato degli atti in suo possesso), dei progetti preliminari sottoposti al suo parere, con gli strumenti di pianificazione paesistica, territoriale e urbanistica vigenti, senza che ciò pregiudichi la definizione del successivo procedimento autorizzatorio. La struttura deve pronunciarsi in tal senso entro 90 giorni.

Il termine concesso ai comuni per dotarsi della struttura e nominare il responsabile del procedimento è fissato dal comma 4 dell'articolo 2 del D.P.R. in 90 giorni dalla entrata in vigore del provvedimento stesso[200].

Sempre in tema di semplificazioni burocratiche per l’avvio dell’attività d’impresa, occorre ricordare l’articolo 9 del decreto-legge n.7 del 2007[201], il quale ha stabilito che gli adempimenti amministrativi a carico delle imprese per l’iscrizione nel registro delle imprese, a fini previdenziali (iscrizione all’Inps), assistenziali (iscrizione all’Inail) e per l’ottenimento del codice fiscale e della partita IVA, siano sostituiti da una comunicazione unica all’Ufficio del registro delle imprese delle camere di commercio.

Il suddetto Ufficio rilascia contestualmente una ricevuta che costituisce titolo per l’immediato avvio dell’attività imprenditoriale e informa le amministrazioni competenti dell’avvenuta presentazione della comunicazione unica. Queste, da parte loro, comunicano immediatamente all'interessato e all'ufficio del registro delle imprese, per via telematica, il codice fiscale e la partita IVA ed entro i successivi sette giorni gli ulteriori dati definitivi relativi alle posizioni registrate.

La disposizione prevede, inoltre, che la procedura si applichi anche in caso di modifiche o di cessazioni dell’attività d’impresa e che la comunicazione, la ricevuta e gli atti amministrativi, siano di norma adottati in formato elettronico e trasmessi per via telematica. A tal fine le camere di commercio, previa intesa con le associazioni imprenditoriali, assicurano gratuitamente ai privati l’assistenza e il supporto tecnico di cui necessitano.

L’individuazione del modello di comunicazione unica è stata demandata ad un decreto del Ministro dello sviluppo economico[202].

L’individuazione delle regole tecniche per l’attuazione delle disposizioni recate dall’articolo 9 del DL. 7/07 e delle modalità di presentazione e di trasferimento telematico dei dati tra le amministrazioni interessate (anche ai fini dei necessari controlli) è stata demandata a un DPCM o a un decreto del Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione, di concerto con i Ministri dello sviluppo economico, dell’economia e delle finanze e del lavoro e della previdenza sociale. Al momento il DPCM non risulta ancora pubblicato.

Le nuove procedure trovano applicazione a partire da 60 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto di individuazione del modello di comunicazione unica. A partire dalla stessa data viene abrogata la previgente normativa in materia di comunicazioni a carattere previdenziale e assistenziale, nonché per il rilascio del codice fiscale e della partita IVA.

 

Il regolamento deve essere adottato, in primo luogo, nel rispetto di quanto previsto dagli articoli 19, comma 1 e 20, comma 4, della legge n. 241 del 1990.

 

L’articolo 19, comma 1, della legge n. 241 del 1990, nella sua originaria formulazione, aveva introdotto nell’ordinamento la denuncia di inizio attività (DIA), quale istituto inteso a semplificare il complesso regime delle autorizzazioni (intese in senso lato) concernenti l’esercizio di attività economiche private, attraverso la sostituzione degli atti amministrativi ampliativi – nei soli settori tassativamente indicati a livello regolamentare – con dichiarazioni sostitutive da parte dei privati interessati (alle condizioni e con i limiti indicati dal medesimo articolo 19).

Successivamente l’articolo 3, comma 1, della legge n. 537/1993 (di conversione in legge del DL n. 80 del 2005), ha sostituito l’articolo 19, comma 1, della legge n.241 del 1990, trasformando la DIA da istituto eccezionale a istituto generale, ammesso in tutti i casi in cui il provvedimento ampliativo è configurabile come atto vincolato, con le sole eccezioni stabilite a livello regolamentare.

A seguito della presentazione della dichiarazione del privato la P.A. competente aveva, entro e non oltre 60 giorni, il potere-dovere di verificare la sussistenza dei presupposti e dei requisiti di legge e disporre, se del caso, con provvedimento motivato, il divieto di prosecuzione dell’attività e la rimozione dei suoi effetti (salva l’eventuale possibilità per l’interessato di conformare alla normativa vigente l’attività ed i suoi effetti).

Con la novella introdotta dal citato DL 35/05, la “Dichiarazione di inizio di attività” (DIA) può surrogare una serie di atti amministrativi ampliativi (autorizzazioni, licenze, concessioni “non costitutive”, permessi o nulla-osta comunque denominati), fra i quali le “domande” per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l’esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale .

Presupposti della dichiarazione di inizio attività sono:

-        la natura vincolata dell’atto amministrativo surrogato (il rilascio del provvedimento deve dipendere solo dalla verifica della esistenza dei presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi generali);

-        l’assenza di alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio dell’atto.

Non possono essere surrogati dalla dichiarazione di inizio attività, in quanto” atti rilasciati dalle amministrazioni preposte ad interessi particolarmente sensibili”, i solo atti autorizzativi rilasciati dalle amministrazioni preposte:

-        alla difesa nazionale;

-        alla pubblica sicurezza;

-        all’immigrazione;

-        all’amministrazione della giustizia;

-        alla amministrazione delle finanze (ivi compresi gli atti concernenti le reti di acquisizione del gettito, anche derivante dal gioco);

-        alla tutela della salute e della pubblica incolumità;

-        alla tutela del patrimonio culturale e paesaggistico e dell’ambiente.

Sono inoltre non surrogabili dalla DIA gli atti amministrativi imposti dalla normativa comunitaria.

L’articolo 20, comma 4, della legge n. 241 del 1990, esclude l’applicazione dei principi in materia di silenzio assenso in una serie di ipotesi tassativamente elencate. Si tratta degli atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, l'ambiente, la difesa nazionale, la pubblica sicurezza e l'immigrazione, la salute e la pubblica incolumità, dei casi in cui la normativa comunitaria impone l'adozione di provvedimenti amministrativi formali, dei casi in cui la legge qualifica il silenzio dell'amministrazione come rigetto dell'istanza, nonché degli atti e procedimenti individuati con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per la funzione pubblica, di concerto con i Ministri competenti.

 

Il regolamento, inoltre, deve essere adottato in base a specifici principi e criteri, espressamente indicati.

§      configurazione dello sportello unico quale unico punto di accesso in relazione a tutte le vicende amministrative riguardanti l’attività produttiva del richiedente, con il compito di fornire una risposta unica e tempestiva per conto di tutte le amministrazioni coinvolte nel procedimento[203] (lettera a));

§      applicazione sia alla realizzazione di impianti produttivi di beni e servizi, sia alle procedure per i prestatori di servizi[204] (lettera b));

§      possibilità di affidare l’istruttoria (nel caso di attività discrezionale della P.A.) e l’attestazione della sussistenza dei requisiti normativi previsti (nel caso di attività non discrezionale della P.A.) a soggetti privati accreditati (Agenzie per le imprese) (lettera c));

§      possibilità per i Comuni di esercitare le funzioni inerenti lo sportello unico anche avvalendosi del sistema camerale (lettera d));

§      possibilità di avviare immediatamente l’attività d’impresa nei casi in cui sia sufficiente la presentazione della dichiarazione di inizio attività (DIA), con rilascio da parte dello sportello unico di una ricevuta che vale come titolo autorizzatorio (e possibilità per il privato, in caso di diniego, di ricorrere alla conferenza di servizi) (lettere e) e f));

§      previsione di un termine di 30 giorni per il rigetto dell’istanza, per la formulazione di osservazioni ostative o per l’attivazione della conferenza di servizi, nei casi in cui il progetto di impianto produttivo contrasti con gli strumenti urbanistici (lettera g));

§      facoltà per l’amministrazione procedente di concludere il procedimento anche in mancanza dei pareri delle altre amministrazioni una volta scaduto il termine ad esse assegnato per esprimersi, con esclusione di ogni responsabilità a carico del responsabile del procedimento in ordine ai danni eventualmente connessi alla mancata espressione dei pareri (lettera h)).

 

Il comma 4 demanda a uno o più regolamenti di delegificazione, da adottare ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge n.400 del 1988[205], su proposta del Ministro dello sviluppo economico e del Ministro della semplificazione amministrativa:

§      l’individuazione dei requisiti, delle modalità di accreditamento e della verifica dell’attività dei soggetti privati (Agenzie per le imprese) ai quali può essere affidata l’istruttoria (nel caso di attività discrezionale della P.A.) e l’attestazione della sussistenza dei requisiti normativi previsti (nel caso di attività non discrezionale della P.A.) in ordine all’istanze dei privati (in attuazione del comma 3, lettera c)), con possibilità di demandare tali funzioni anche al sistema camerale;

§      la definizione delle modalità di divulgazione, anche informatica, delle tipologie di autorizzazione per le quali è sufficiente l’attestazione dei soggetti privati accreditati, secondo criteri omogenei sul territorio nazionale e tenendo conto delle diverse discipline regionali.

 

Si evidenzia l’opportunità di prevedere un termine per l’adozione dei regolamenti di delegificazione, nonché di individuare forme di partecipazione delle autonomie regionali alla formazione dei provvedimenti in considerazione della necessità di tenere conto delle diverse discipline regionali.

 

Il comma 5 rimette al Comitato per la semplificazione di cui all’articolo 1 del decreto-legge n.4 del 2006 il compito di predisporre un piano di formazione dei dipendenti pubblici, con la eventuale partecipazione di esponenti del sistema produttivo, al fine di assicurare la piena applicazione delle nuove norme relative all’attività degli sportelli unici.

 

L’articolo 1 del decreto-legge n.4 del 2006 ha istituito il Comitato interministeriale per l'indirizzo e la guida strategica delle politiche di semplificazione e di qualità della regolazione, presieduto dal Presidente del Consiglio dei Ministri o dal Ministro da lui delegato, con il compito di svolgere l’attività di indirizzo e la guida strategica delle politiche di semplificazione e di qualità della regolazione. I componenti del Comitato sono individuati con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro[206]. Possono essere invitati a partecipare a riunioni del Comitato, secondo l'oggetto della discussione, altri componenti del Governo, esponenti di autorità regionali e locali e delle associazioni di categoria. Il Comitato predispone, entro il 31 marzo di ogni anno, un piano di azione per il perseguimento degli obiettivi del Governo in tema di semplificazione, di riassetto e di qualità della regolazione per l'anno successivo. Il piano, sentito il Consiglio di Stato, è approvato dal Consiglio dei Ministri e trasmesso alle Camere[207]. Il Comitato verifica, durante l'anno, lo stato di realizzazione degli obiettivi, che viene reso pubblico ogni sei mesi.

 

Il comma 6 dispone che le nuove disposizioni non devono comportare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica (invarianza della spesa).

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)

Valutazione intermedia della politica moderna a favore delle PMI

Il 4 ottobre 2007la Commissione ha presentato la comunicazione “Piccole e medie imprese, essenziali per conseguire una maggiore crescita e rafforzare l’occupazione - Valutazione intermedia della politica moderna a favore delle PMI” (COM(2007) 592).

La comunicazione ribadisce che l’azione della Commissione europea si è ispirata agli impegni strategici relativi ai cinque settori chiave: riduzione degli ostacoli burocratici, migliore accesso delle PMI ai mercati; promozione dello spirito imprenditoriale e delle competenze; miglioramento delle capacità di crescita delle PMI; consolidamento del dialogo e della consultazione delle PMI.

Atto sulle piccole imprese per l’Europa

Come annunciato nel suo programma legislativo e di lavoro per il 2008, la Commissione ha presentato, il 19 giugno 2008, una comunicazione relativa all’Atto sulle piccole imprese per l’Europa (API) , “Small business Act” for Europe (COM(2008)394), basato su dieci orientamenti e proposte di azioni politiche da attuarsi sia a livello della Commissione che a quello degli Stati membri.

La Commissione propone, oltre all’impegno permanente a ridurre gli oneri amministrativi del 25% entro il 2012, che il tempo necessario per avviare una nuova impresa non sia più lungo di una settimana, il tempo massimo necessario per ottenere licenze d’esercizio e permessi non superi il mese e un sistema di sportelli unici contribuisca ad agevolare gli avvii di imprese e le procedure di assunzione.

 

Per quanto riguarda le iniziative specificamente relative alla semplificazione degli oneri amministrativi, si rinvia alla scheda relativa all’articolo 25, paragrafo Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE.


 

Articolo 39
(Adempimenti di natura formale nella gestione dei rapporti di lavoro)


1. Il datore di lavoro privato, con la sola esclusione del datore di lavoro domestico, deve istituire e tenere il libro unico del lavoro nel quale sono iscritti tutti i lavoratori subordinati, i collaboratori coordinati e continuativi e gli associati in partecipazione con apporto lavorativo. Per ciascun lavoratore devono essere indicati il nome e cognome, il codice fiscale e, ove ricorrano, la qualifica e il livello, la retribuzione base, l'anzianità di servizio, nonché le relative posizioni assicurative.

2. Nel libro unico del lavoro deve essere effettuata ogni annotazione relativa a dazioni in danaro o in natura corrisposte o gestite dal datore di lavoro, comprese le somme a titolo di rimborso spese, le trattenute a qualsiasi titolo effettuate, le detrazioni fiscali, i dati relativi agli assegni per il nucleo familiare, le prestazioni ricevute da enti e istituti previdenziali. Le somme erogate a titolo di premio o per prestazioni di lavoro straordinario devono essere indicate specificatamente. Il libro unico del lavoro deve altresì contenere un calendario delle presenze, da cui risulti, per ogni giorno, il numero di ore di lavoro effettuate da ciascun lavoratore subordinato, nonché l'indicazione delle ore di straordinario, delle eventuali assenze dal lavoro, anche non retribuite, delle ferie e dei riposi. Nella ipotesi in cui al lavoratore venga corrisposta una retribuzione fissa o a giornata intera o a periodi superiori è annotata solo la giornata di presenza al lavoro.

3. Il libro unico del lavoro deve essere compilato coi dati di cui ai commi 1 e 2, per ciascun mese di riferimento, entro il giorno 16 del mese successivo.

4. Il Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali stabilisce, con decreto da emanarsi entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, le modalità e tempi di tenuta e conservazione del libro unico del lavoro e disciplina il relativo regime transitorio.

5. Con la consegna al lavoratore di copia delle scritturazioni effettuate nel libro unico del lavoro il datore di lavoro adempie agli obblighi di cui alla legge 5 gennaio 1953, n. 4.

6. La violazione dell'obbligo di istituzione e tenuta del libro unico del lavoro di cui al comma 1 è punita con la sanzione pecuniaria amministrativa da 500 a 2.500 euro. L'omessa esibizione agli organi di vigilanza del libro unico del lavoro è punita con la sanzione pecuniaria amministrativa da 200 a 2.000 euro. I soggetti di cui all'articolo 1, comma 4, della legge 11 gennaio 1979, n. 12, che, senza giustificato motivo, non ottemperino entro quindici giorni alla richiesta degli organi di vigilanza di esibire la documentazione in loro possesso sono puniti con la sanzione amministrativa da 250 a 2000 euro. In caso di recidiva della violazione la sanzione varia da 500 a 3000.

7. Salvo i casi di errore meramente materiale, l'omessa o infedele registrazione dei dati di cui ai commi 1 e 2 che determina differenti trattamenti retributivi, previdenziali o fiscali è punita con la sanzione pecuniaria amministrativa da 150 a 1500 euro e se la violazione si riferisce a più di dieci lavoratori la sanzione va da 500 a 3000 euro. La violazione dell'obbligo di cui al comma 3 è punita con la sanzione pecuniaria amministrativa da 100 a 600 euro, se la violazione si riferisce a più di dieci lavoratori la sanzione va da 150 a 1500 euro. La mancata conservazione per il termine previsto dal decreto di cui al comma 4 è punita con la sanzione pecuniaria amministrativa da 100 a 600 euro. Alla contestazione delle sanzioni amministrative di cui al presente comma provvedono gli organi di vigilanza che effettuano accertamenti in materia di lavoro e previdenza. Autorità competente a ricevere il rapporto ai sensi dell'articolo 17 della legge 24 novembre 1981, n. 689 è la Direzione provinciale del lavoro territorialmente competente.

8. Il primo periodo dell'articolo 23 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124 è sostituito dal seguente: «Se ai lavori sono addette le persone indicate dall'articolo 4, numeri 6 e 7, il datore di lavoro, anche artigiano, qualora non siano oggetto di comunicazione preventiva di instaurazione del rapporto di lavoro di cui all'articolo 9-bis, comma 2, del decreto-legge 1o ottobre 1996, n. 510, convertito, con modificazioni, nella legge 28 novembre 1996, n. 608, e successive modificazioni, deve denunciarle, in via telematica o a mezzo fax, all'Istituto assicuratore nomina­tivamente, prima dell'inizio dell'attività lavorativa, indicando altresì il trattamento retributivo ove previsto».

9. Alla legge 18 dicembre 1973, n. 877 sono apportate le seguenti modifiche: a) nell'articolo 2, è abrogato il comma 3; b) nell'articolo 3, i commi da 1 a 4 e 6 sono abrogati, il comma 5 è sostituito dal seguente: «Il datore di lavoro che faccia eseguire lavoro al di fuori della propria azienda è obbligato a trascrivere il nominativo ed il relativo domicilio dei lavoratori esterni alla unità produttiva, nonché la misura della retribuzione nel libro unico del lavoro»; c) nell'articolo 10, i commi da 2 a 4 sono abrogati, il comma 1 è sostituito dal seguente: «Per ciascun lavoratore a domicilio, il libro unico del lavoro deve contenere anche le date e le ore di consegna e riconsegna del lavoro, la descrizione del lavoro eseguito, la specificazione della quantità e della qualità di esso»; d) nell'articolo 13, i commi 2 e 6 sono abrogati, al comma 3 sono abrogate le parole «e 10, primo comma», al comma 4 sono abrogate le parole «3, quinto e sesto comma, e 10, secondo e quarto comma».

10. Dalla data di entrata in vigore del presente decreto sono soppressi, e fermo restando quanto previsto dal decreto di cui al comma 4:

a) l'articolo 134 del regio decreto 28 agosto 1924, n. 1422;

b) l'articolo 7 della legge 9 novembre 1955, n. 1122;

c) gli articoli 39 e 41 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1955, n. 797;

d) il decreto del Presidente della Repubblica 24 settembre 1963, n. 2053;

e) gli articoli 20, 21, 25 e 26 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124;

f) l'articolo 42 della legge 30 aprile 1969, n. 153;

g) la legge 8 gennaio 1979, n. 8;

h) il decreto del Presidente della Repubblica 21 gennaio 1981, n. 179;

i) l'articolo 9-quater del decreto-legge 1° ottobre 1996, n. 510, convertito con modificazioni nella legge 28 novembre 1996, n. 608;

j) il comma 1178 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296;

k) il decreto ministeriale 30 ottobre 2002;

l) la legge 17 ottobre 2007, n. 188;

m) i commi 32, lettera d), 38, 45, 47, 48, 49, 50, dell'articolo 1 della legge 24 dicembre 2007, n. 247;

n) i commi 1173 e 1174 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296.

11. Dalla data di entrata in vigore del presente decreto trovano applicazione gli articoli 14, 33, 34, 35, 36, 37, 38, 39, 40 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 e successive modifiche e integrazioni

12. Alla lettera h) dell'articolo 55, comma 4, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, le parole «degli articoli 18, comma 1, lettera u» sono soppresse.


 

 

L’articolo in esame, come evidenziato dalla relazione illustrativa, è volto ad introdurre alcune misure di semplificazione per quanto riguarda gli adempimenti obbligatori di natura formale nella gestione dei rapporti di lavoro.

A tal fine si prevede l’istituzione del libro unico del lavoro, il quale sostituisce i libri che il datore di lavoro doveva obbligatoriamente istituire ai sensi della normativa precedente e cioè, in particolare, il libro matricola e il libro paga.

Si ricorda che il datore di lavoro deve tenere e conservare una serie di libri e documenti connessi allo svolgimento del rapporto di lavoro, cioè il libro matricola, il libro paga, il registro infortuni e il registro delle visite mediche.

Il libro matricola deve riportare, nell’ordine cronologico di assunzione, il numero di dipendenti, i loro dati anagrafici e la loro posizione professionale, al fine di documentare l’esistenza del rapporto di lavoro agli enti previdenziali e assicurativi.

Nel libro paga devono essere annotati tutti gli elementi che compongono al retribuzione dei lavoratori, le trattenute operate e l’importo dell’assegno per il nucleo familiare corrisposto.

Nel registro infortuni il datore di lavoro deve annotare cronologicamente tutti gli infortuni accaduti ai lavoratori che comportino l’assenza dal lavoro almeno di un giorno (senza considerare quello dell’infortunio), indipendentemente dal fatto che l’infortunio sia o meno coperto dall’assicurazione INAIL:

La tenuta del registro delle visite mediche è obbligatoria in determinati casi previsti dalla legge, al fine di segnalare l’effettuazione e l’esito delle visite mediche prescritte prima dell’assunzione o delle visite periodiche.

 

In particolare, con il comma 1 viene introdotto il libro unico del lavoro, che deve essere istituito e tenuto da ogni datore di lavoro privato, con la sola esclusione del datore di lavoro domestico. In questo documento sono iscritti tutti i lavoratori subordinati, i collaboratori coordinati e continuativi e gli associati in partecipazione con apporto lavorativo. Inoltre, per ciascun lavoratore devono essere indicati il nominativo, il codice fiscale e, ove ricorrano, la qualifica e il livello, la retribuzione base, l’anzianità di servizio, nonché le relative posizioni assicurative.

Per quanto riguarda gli obblighi relativi alla tenuta del libro unico del lavoro, il successivo comma 2 stabilisce che nel medesimo debba essere annotata ogni dazione in danaro o in natura corrisposta o gestita dal datore di lavoro, indicando distintamente le somme erogate a titolo di premio o per lavoro straordinario. Il libro unico del lavoro deve altresì contenere un calendario delle presenze del lavoratore, da cui deve risultare, per ogni giornata, il numero di ore di lavoro effettuate da ciascun lavoratore dipendente, nonché l’indicazione delle ore di lavoro straordinario, delle assenze dal lavoro, delle ferie e dei riposi.

I dati sopra indicati, secondo il comma 3, devono essere riportati per ciascun mese di riferimento ed entro il 16 del mese successivo.

Il comma 4 rinvia a un decreto del Ministro del lavoro, da adottarsi entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame, la disciplina delle modalità e dei tempi di tenuta e conservazione del libro unico del lavoro nonché del relativo regime transitorio.

Il comma 5 stabilisce che la consegna in copia al lavoratore delle scritturazioni effettuate sul libro unico del lavoro comporta per il datore di lavoro l’adempimento degli obblighi di cui alla L. 4/1953[208], relativi alla consegna dei prospetti di paga.

La legge richiamata impone l’obbligo ai datori di lavoro di consegnare ai lavoratori dipendenti, all'atto della corresponsione della retribuzione, un prospetto di paga dove risulta il nominativo, la qualifica professionale e tutte le componenti della retribuzione nonché il suo periodo di riferimento. Le annotazioni sul prospetto di paga devono corrispondere alle registrazioni effettuate sui libri di paga o registri equipollenti.

Vengono escluse da tale obbligo le Amministrazioni dello Stato e le relative Aziende autonome, le regioni, le province e i comuni, le aziende agricole che impiegano mano d’opera per un numero di giornate lavorative inferiori a 3000, nonché i privati datori di lavoro per il personale addetto esclusivamente ai servizi familiari. Sono previste sanzioni per il datore di lavoro in caso di irregolarità nella consegna del prospetto, mentre la vigilanza di tali adempimenti è esercitata dall'Ispettorato del lavoro.

 

Nel comma 6 sono stabilite le sanzioni da applicare in caso di omissioni nella istituzione, tenuta ed esibizione del libro unico del lavoro:

§      una sanzione pecuniaria amministrativa da 500 a 2.500 euro in caso di mancata istituzione e tenuta;

§      una sanzione pecuniaria amministrativa da 200 a 2.000 euro nei casi di omessa esibizione agli organi di vigilanza.

§      una sanzione pecuniaria amministrativa da 250 a 2.000 euro per i soggetti di cui all’articolo 1, comma 4, della L. 12/1979[209] che, senza giustificato motivo, non ottemperino entro quindici giorni alla richiesta degli organi di vigilanza di esibire la documentazione in loro possesso; in caso di recidiva di tale violazione, la stessa sanzione varia da 500 a 3000. I soggetti cui si riferisce la norma sono i servizi o i centri di assistenza fiscale istituiti dalle rispettiva associazioni di categoria cui le imprese artigiane, nonché le altre piccole imprese, anche in forma cooperativa, possono affidare l’esecuzione degli adempimenti in materia di lavoro, previdenza ed assistenza sociale dei lavoratori dipendenti.

 

Il successivo comma 7 prevede specifiche sanzioni per irregolarità nella tenuta del libro unico del lavoro:

§      una sanzione pecuniaria amministrativa da 150 a 1.500 euro nei casi di omessa o infedele registrazione dei dati relativi ai nominativi dei lavoratori impiegati, alle retribuzioni e alle dazioni in danaro o in natura, nonché quelle relative alle presenze (di cui ai commi 1 e 2 dell’articolo in esame), qualora tali violazioni determinano differenti trattamenti retributivi, previdenziali o fiscali. Tale sanzione va da 500 a 3000 euro se tale violazione si riferiscea più di dieci lavoratori.

§      una sanzione pecuniaria amministrativa da 100 a 600 euro se la violazione si riferisce all’obbligo di riportare i dati per ciascun mese di riferimento (di cui al comma 3 dell’articolo in esame). Tale sanzione va da 150 a 1.500 euro se tale violazione si riferiscea più di dieci lavoratori.

§      una sanzione pecuniaria amministrativa da 100 a 600 euro nel caso di mancata conservazione del libro unico del lavoro per il periodo temporale stabilito nel previsto decreto del Ministero del lavoro (di cui al comma 4 dell’articolo in esame).

 

Infine, nel comma in esame si precisa che alla contestazione delle sanzioni amministrative esaminate provvedono gli organi di vigilanza che effettuano accertamenti in materia di lavoro e previdenza e che l’autorità competente a ricevere il rapporto ai sensi dell’articolo 17 della legge 689/1981[210] è la Direzione provinciale del lavoro territorialmente competente.

 

Il comma 8 reca disposizioni in materia di comunicazioni del datore di lavoro all’Istituto assicuratore (si tratta, per la quasi generalità dei lavoratori, dell’INAIL), per quanto riguarda l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. In particolare, con la novella introdotta dal comma in esame all’articolo 23 del D.P.R. 1124/1965[211] si stabilisce che il datore di lavoro, anche artigiano, qualora non soggetto a comunicazione preventiva di instaurazione del rapporto di lavoro di cui all’articolo 9-bis, comma 2, del D.L. 510/1996[212] deve denunciare l’impiego delle persone indicate dall’articolo 4, numeri 6 e 7 del D.P.R. 1124/1965 (cfr. infra), in via telematica o a mezzo fax, all’Istituto assicuratore nominativamente, prima dell’inizio dell’attività lavorativa, indicando altresì il trattamento retributivo ove previsto.

 

Nell’articolo 4 del D.P.R. 1124/1965 si fa riferimento, tra le persone comprese nell’assicurazione obbligatoria:

-        al n. 6, al coniuge, ai figli, anche naturali o adottivi, agli altri parenti, agli affini, agli affiliati e agli affidati del datore di lavoro che prestino con o senza retribuzione alle sue dipendenze opera manuale, ed anche non manuale nel sovraintendere al lavoro di altri;

-        al successivo n. 7), ai soci delle cooperative e di ogni altro tipo di società, anche di fatto, comunque denominata, costituita od esercitata, i quali prestino opera manuale, oppure non manuale nel sovraintendere al lavoro di altri.

 

Si ricorda che il comma 1180 della L. 296/2006 (legge finanziaria 2007), sostituendo il comma 2 dell’articolo 9-bis del D.L. 510 del 1996 con i nuovi commi 2 e 2-bis, ha esteso a tutti i datori di lavoro pubblici e privati, ivi compresi i datori di lavoro agricoli, l’obbligo della comunicazione preventiva dell’assunzione dei lavoratori (entro il giorno antecedente a quello di instaurazione del relativo rapporto), introdotta precedentemente dall’articolo 36-bis, comma 6, del D.L. 223 del 2006 per il solo settore dell’edilizia. In caso di urgenze connesse ad esigenze produttive, la comunicazione relativa all’instaurazione del rapporto di lavoro può essere effettuata entro cinque giorni dall’assunzione, fermo restando l’obbligo di comunicare entro il giorno antecedente all’assunzione, anche in via telematica mediante documentazione avente data certa, la data di inizio della prestazione e le generalità del lavoratore e del datore di lavoro.

 

Il comma 9 interviene con una serie di modifiche alla L. 877/1973[213], in materia di lavoro a domicilio:

§      viene abrogato il comma 3 dell’articolo 2, il quale prevedeva che le domande di iscrizione al registro dei committenti istituito presso l'ufficio provinciale del lavoro dovevano essere respinte se fosse risultato che la richiesta di lavoro da eseguirsi a domicilio era stata fatta a seguito della cessione - a qualsiasi titolo - di macchinari e attrezzature trasferite fuori dell'azienda richiedente e che questa intendesse in tal modo proseguire lavorazioni per le quali aveva organizzato propri reparti con lavoratori da essa dipendenti;

§      all’articolo 3 vengono abrogati i commi da 1 a 4, nonché il comma 6, mentre il comma 5 viene modificato.

§      Nei commi abrogati si prevedeva, per i datori di lavoro che intendessero affidare lavoro a domicilio, l’iscrizione obbligatoria al registro dei committenti istituito presso l'ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione. Quest’ultimo organo aveva il compito di classificare in apposito schedario i datori di lavoro, suddivisi per tipi di lavoro a domicilio, nonché di trasmettere alle dipendenti sezioni comunali l’elenco dei datori di lavoro committenti. Se il datore di lavoro doveva distribuire o far eseguire lavoro a domicilio in più province avrebbe dovuto iscriversi nei registri di ciascuna provincia. Inoltre, era prevista l’obbligatoria vidimazione presso l’Ispettorato provinciale del lavoro (attualmente: Direzione provinciale del lavoro) di un apposito registro dove erano trascritti il nominato e il domicilio dei lavoratori esterni all'unità produttiva impiegati dal datore di lavoro per l’esecuzione di lavoro al di fuori della propria azienda.

Con il comma 5 dell’articolo 3, come riscritto dalla norma in commento, per il datore di lavoro che faccia eseguire lavoro al di fuori della propria azienda si dispone l’obbligo di trascrivere nel libro unico del lavoro il nominativo ed il relativo domicilio dei lavoratori esterni alla unità produttiva, nonché la misura della retribuzione;

§      nell’articolo 10 sono abrogati i commi da 2 a 4, mentre il comma 1 viene riscritto.

§      Nel comma 1, come riscritto, per il lavoratore a domicilio si prevede che il libro unico del lavoro contenga anche le date e le ore di consegna e riconsegna del lavoro, la descrizione del lavoro eseguito e la specificazione della quantità e della qualità di esso. In precedenza, tali informazioni dovevano essere riportate in uno speciale libretto di controllo di cui doveva essere munito il lavoratore a domicilio, a cura dell'imprenditore, indicato nella norma previgente. Tale norma, prevedeva a carico del lavoratore a domicilio anche la tenuta del libretto di lavoro di cui alla legge 112/1935.

§      Nei commi da 2 a 4 abrogati si prevedeva che il libretto personale di controllo, sia all'atto della consegna del lavoro affidato sia all'atto della riconsegna del lavoro eseguito, dovesse essere firmato dall'imprenditore e dal lavoratore a domicilio e che tale libretto sostituiva a tutti gli effetti il prospetto di paga;

§      infine, si interviene sull’articolo 13 che detta sanzioni per il committente lavoro a domicilio.

§      In primo luogo, viene abrogato il comma 2 il quale prevedeva una sanzione amministrativa di lire cinque milioni per il committente lavoro a domicilio che contravveniva alle disposizioni di cui al precedente articolo 3, primo e terzo comma, in materia di registro dei committenti e di lavoro a domicilio eseguito in più province.

§      Viene abrogato anche il comma 6 il quale, nei casi di cui all’articolo 3, prevede la comunicazione dell’ordinanza di ingiunzione alla commissione per il controllo del lavoro a domicilio affinché provveda senza ritardo all'iscrizione d'ufficio degli imprenditori inadempienti nel registro dei committenti lavoro a domicilio, prevista all’articolo 5, comma 2.

§      Inoltre, viene modificato il comma 3, eliminandosi dalla previsione della fattispecie sanzionatoria il riferimento alla violazione dell’articolo 10, primo comma, relativo alla tenuta dello speciale libretto di controllo ora soppresso.

§      Infine, viene modificato il comma 4, nel senso di eliminare dalla previsione sanzionatoria il riferimento alla violazioni degli articoli 3, commi quinto e sesto (riguardanti il registro a cura del datore di lavoro che facesse eseguire lavoro al di fuori della propria azienda dove riportare i dati relativi ai lavoratori esterni) e dell’articolo 10, secondo e quarto comma (che recavano prescrizioni relative allo sullo speciale libretto di controllo ora soppresso).

 

Con il comma 10 vengono abrogate una serie di norme.

Alcune di tali abrogazioni sono connesse all’istituzione del libro unico del lavoro: si tratta delle norme relative all’obbligo e alle modalità di tenuta del libro matricola e del libro paga (articolo 134 del R.D. 1422/1924; articolo 7 della L. 1122/1955; articoli 39 e 41 del D.P.R: 797/1955; artt. 20, 21, 25 e 26 del D.P.R. 1124/1965; art. 42 della L. 153/1969; art. 1, comma 1178, della L. 296/2006; D.M. 30 ottobre 2002), nonché del registro d’impresa nel settore agricolo (art. 9-quater del D.L. 510/1996).

 

Altre abrogazioni invece intervengono in ambiti differenti dalla materia principale trattata dall’articolo in esame.

Vengono abrogati il D.P.R. 2053/1963, la L. 8/1979, il D.P.R. 179/1981, in materia di collocamento ed impiego del personale artistico e tecnico.

Si provvede inoltre ad abrogare la L. 188/2007, in materia di modalità per le dimissioni volontarie della lavoratrice e del lavoratore;

Si ricorda che con la L. 188/2007 sono state introdotte disposizioni in materia di dimissioni volontarie dei lavoratori subordinati nonché dei soggetti le cui prestazioni sono riconducibili al lavoro “parasubordinato”, con lo scopo di eliminare, o almeno contrastare, la pratica di far firmare al lavoratore le dimissioni “in bianco” al momento dell’assunzione e quindi nel momento in cui la posizione dello stesso lavoratore è più debole, pratica riguardante prevalentemente le donne lavoratrici. A tal fine la L. 188/2007 prevede che la validità della lettera di dimissioni volontarie, presentata dal lavoratore e volta a dichiarare l'intenzione del medesimo soggetto di recedere dal contratto di lavoro, sia subordinata all’utilizzo di appositi moduli - predisposti e realizzati secondo specifiche direttive definite con apposito decreto – che hanno una validità massima di quindici giorni dalla data di emissione.

 

Altre abrogazioni riguardano i commi 32, lett. d), 38, 45, da 47 a 50, dell’art. 1 della L. 247/2007, recante norme di attuazione del Protocollo sul welfare del 23 luglio 2007.

Si ricorda che i commi da 30 a 33 dell’articolo 1 della L. 247/2007 recano deleghe legislative finalizzate al riordino della normativa in materia di servizi per l’impiego, di incentivi all’occupazione, di apprendistato. Il comma 32 reca i criteri e principi direttivi per la delega relativa agli incentivi all’occupazione,e la relativa lettera d) è volta a prevede aumenti contributivi per i contratti di lavoro a tempo parziale con orario inferiore alle dodici ore settimanali al fine di promuovere, soprattutto nei settori dei servizi, la diffusione di contratti di lavoro con orario giornaliero più elevato.

 

Si osserva che il decreto-legge, abrogando il comma 32, lett. d), dell’art. 1 della L. 247/2007, interviene con modifiche sui principi e criteri direttivi relativi ad una disposizione di delega.

 

Il comma 38 dell’art. 1 della L. 247/2007 abroga l’articolo 14 del D.Lgs. 276 del 2003, concernente la stipula di apposite convenzioni quadro da parte dei competenti uffici regionali con le associazioni sindacali dei datori e dei prestatori di lavoro e le cooperative sociali ed i relativi consorzi, aventi ad oggetto il conferimento di commesse di lavoro alle cooperative sociali da parte delle imprese associate o aderenti, al fine di favorire l'inserimento lavorativo dei lavoratori svantaggiati e dei lavoratori disabili.

Il comma 45 dell’art. 1 della L. 247/2007 abroga gli articoli da 33 a 40 del D.Lgs. 276 del 2003, che disciplinavano il lavoro intermittente (o a chiamata).

Si ricorda che il D.Lgs. 276/2003, in attuazione del principio di delega di cui all’articolo 4, comma 1, lettera a) della L. 30/2003, aveva introdotto il nuovo istituto del lavoro intermittente (o a chiamata), definito (dall’articolo 33) come il contratto di lavoro (anche a tempo determinato) mediante il quale un lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro che ne può utilizzare la prestazione lavorativa secondo determinate modalità e in determinate limiti (stabiliti dal successivo articolo 34).

I commi da 47 a 50 dell’art. 1 della L. 247/2007 invece recano una disciplina relativa alle prestazioni di carattere discontinuo nel settore del turismo e dello spettacolo, rimettendone l’attuazione ai contratti collettivi.

 

Infine, si provvede ad abrogare i commi 1173 e 1174 dell’art. 1 della L. 296/2006 (legge finanziaria 2007).

I commi 1173-1174 prevedono che in via sperimentale, con uno o più decreti ministeriali, si provveda all’introduzione di indici di congruità intesi a valutare la congruità del rapporto tra qualità dei beni e servizi offerti e quantità di ore di lavoro impiegate, al fine di promuovere la regolarità contributiva quale requisito per la concessione dei benefici e degli incentivi previsti dall’ordinamento.

Gli indici devono essere articolati per settore, per categorie di imprese e per territorio e si deve provvedere a specificare le relative modalità applicative.

Il decreto ministeriale che istituisce gli indici deve in primo luogo individuare i settori più critici, nei quali risultano maggiormente estese le violazioni delle norme in materia di incentivi e agevolazioni contributive ed in materia di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori. Per tali settori più critici sono stabiliti gli indici volti a fissare la congruità del rapporto tra la qualità dei beni prodotti e dei servizi offerti e la quantità delle ore di lavoro necessarie nonché il margine di scostamento tollerabile.

 

Il comma 11 prevede la “reviviscenza” di una serie di disposizioni del D.Lgs. 276/2003, abrogate da provvedimenti precedenti al decreto in esame. Ciò si pone in connessione all’abrogazione, disposta dal precedente comma 10, proprio della normativa previgente che a sua volta aveva abrogato le disposizioni che si fanno “rivivere”.

Si tratta in particolare dell’art. 14, relativo alla stipula di convenzioni quadro al fine di favorire l'inserimento lavorativo dei lavoratori svantaggiati e dei lavoratori disabili, e degli artt. da 33 a40 in materia di lavoro intermittente (o a chiamata).

Con il comma 12 dell’articolo in esame, infine, viene modificato l’articolo 55, comma 4, lettera h), del D.Lgs. 81/2008[214], in materia di sanzioni per il datore di lavoro e il dirigente conseguenti alla violazione delle norme sulla salute e sicurezza dei lavoratori. In particolare, dalla previsione sanzionatoria di cui al menzionata lettera h), che contempla la sanzione amministrativa pecuniaria da 2.500 a 10.000 euro per determinate violazioni, viene espunto il riferimento alla fattispecie di cui all’articolo 18, comma 1, lett. u), che impone ai datori di lavoro e ai dirigenti, nell'ambito dello svolgimento di attività in regime di appalto e di subappalto, di munire i lavoratori di apposita tessera di riconoscimento, corredata di fotografia, contenente le generalità del lavoratore e l'indicazione del datore di lavoro.

Si ricorda che il menzionato D.Lgs. 81/2008, in attuazione della delega di cui all’articolo 1 della L. 123/2007, ha provveduto al riassetto e alla riforma delle norme vigenti in materia di salute e sicurezza delle lavoratrici e dei lavoratori nei luoghi di lavoro.

Il provvedimento, pur non assumendo formalmente la natura di “testo unico”, in realtà nella sostanza opera il riassetto e la riforma della disciplina in materia di salute e sicurezza sul lavoro attraverso il riordino e il coordinamento della medesima disciplina in un unico testo normativo.


 

Articolo 40
(Tenuta dei documenti di lavoro e altri adempimenti formali)


1. L'articolo 5 della legge 11 gennaio 1979, n. 12 è sostituito dal seguente: «1. Per lo svolgimento della attività di cui all'articolo 2 i documenti dei datori di lavoro possono essere tenuti presso lo studio dei consulenti del lavoro o degli altri professionisti di cui all'articolo 1, comma 1. I datori di lavoro che intendono avvalersi di questa facoltà devono comunicare preventivamente alla Direzione provinciale del lavoro competente per territorio le generalità del soggetto al quale è stato affidato l'incarico, nonché il luogo ove sono reperibili i documenti. 2. Il consulente del lavoro e gli altri professionisti di cui all'articolo 1, comma 1, che, senza giustificato motivo, non ottemperino entro 15 giorni alla richiesta degli organi di vigilanza di esibire la documentazione in loro possesso, sono puniti con la sanzione pecuniaria amministrativa da 100 a 1000 euro. In caso di recidiva della violazione è data informazione tempestiva al Consiglio provinciale dell'Ordine professionale di appartenenza del trasgressore per eventuali provvedimenti disciplinari».

2. All'articolo 4-bis del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 181, come inserito dall'articolo 6 del decreto legislativo 19 dicembre 2002, n. 297, il comma 2 è sostituito dal seguente: «2. All'atto della assunzione, prima dell'inizio della attività di lavoro, i datori di lavoro pubblici e privati, sono tenuti a consegnare ai lavoratori una copia della comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro di cui all'articolo 9-bis, comma 2, del decreto-legge 1o ottobre 1996, n. 510, convertito, con modificazioni, nella legge 28 novembre 1996, n. 608, e successive modificazioni, adempiendo in tal modo anche alla comunicazione di cui al decreto legislativo 26 maggio 1997, n. 152. L'obbligo si intende assolto nel caso in cui il datore di lavoro consegni al lavoratore, prima dell'inizio della attività lavorativa, copia del contratto individuale di lavoro che contenga anche tutte le informazioni previste dal decreto legislativo 26 maggio 1997, n. 152. La presente disposizione non si applica per il personale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165».

3. All'articolo 8 del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 234 sono apportate le seguenti modifiche: a) al comma 2 sono abrogate le parole «I registri sono conservati per almeno due anni dopo la fine del relativo periodo»; b) il comma 3 è sostituito dal seguente: «Gli obblighi di registrazione di cui al comma 2 si assolvono mediante le relative scritturazioni nel libro unico del lavoro».

4. Il comma 6 dell'articolo 9 della legge 12 marzo 1999, n. 68, è sostituito dal seguente: «6. I datori di lavoro pubblici e privati, soggetti alle disposizioni della presente legge sono tenuti ad inviare in via telematica agli uffici competenti un prospetto informativo dal quale risultino il numero complessivo dei lavoratori dipendenti, il numero e i nominativi dei lavoratori computabili nella quota di riserva di cui all'articolo 3, nonché i posti di lavoro e le mansioni disponibili per i lavoratori di cui all'articolo 1. Se, rispetto all'ultimo prospetto inviato, non avvengono cambiamenti nella situazione occupazionale tali da modificare l'obbligo o da incidere sul computo della quota di riserva, il datore di lavoro non è tenuto ad inviare il prospetto. Al fine di assicurare l'unitarietà e l'omogeneità del sistema informativo lavoro, il modulo per l'invio del prospetto informativo, nonché la periodicità e le modalità di trasferimento dei dati sono definiti con decreto del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro per l'innovazione e le tecnologie e previa intesa con la Conferenza Unificata. I prospetti sono pubblici. Gli uffici competenti, al fine di rendere effettivo il diritto di accesso ai predetti documenti amministrativi, ai sensi della legge 7 agosto 1990, n. 241, dispongono la loro consultazione nelle proprie sedi, negli spazi disponibili aperti al pubblico».

5. Al comma 1 dell'articolo 17 della legge 12 marzo 1999, n. 68 sono soppresse le parole «nonché apposita certificazione rilasciata dagli uffici competenti dalla quale risulti l'ottemperanza alle norme della presente legge».

6. Gli armatori e le società di armamento sono tenute a comunicare, entro il ventesimo giorno del mese successivo alla data di imbarco o sbarco, agli Uffici di collocamento della gente di mare nel cui ambito territoriale si verifica l'imbarco o lo sbarco, l'assunzione e la cessazione dei rapporti di lavoro relativi al personale marittimo iscritto nelle matricole della gente di mare di cui all'articolo 115 del Codice della Navigazione, al personale marittimo non iscritto nelle matricole della gente di mare nonché a tutto il personale che a vario titolo presta servizio, come definito all'articolo 2, comma 1, lettera a) del decreto del Presidente della Repubblica n. 324 del 2001.


 

 

L’articolo in esame reca disposizioni in materia di tenuta dei libri ed altri documenti relativi al personale nonché di altri adempimenti formali.

 

In particolare, il comma 1 è volto a modificare la disciplina di cui all’articolo 5 della L. 12/1979, relativa alla tenuta dei libri e dei documenti relativi al personale dipendente.

In particolare, si prevede che per lo svolgimento, da parte dei professionisti a ciò abilitati, dell’attività relativa all'amministrazione del personale dipendente per conto dei datori di lavoro, i relativi libri e documenti dei datori di lavoro possono essere tenuti presso lo studio dei consulenti del lavoro o degli altri professionisti di cui all’art. 1, comma 1, della menzionata L. 12/1979 (avvocati, dottori commercialisti, ragionieri e periti commerciali). Si evidenzia che invece la previgente disciplina fa espresso riferimento solamente ai consulenti del lavoro.

Si consideri inoltre che, rispetto alla normativa previgente, viene eliminato, a fini di semplificazione, nel caso in questione, l’obbligo di tenere sul luogo di lavoro, a disposizione degli incaricati alla vigilanza, una copia del libro di matricola ed un registro sul quale effettuare le scritturazioni relative al libro paga.

I datori di lavoro che intendono avvalersi della facoltà di tenuta dei libri e documenti presso lo studio del consulente del lavoro o dell’altro professionista a ciò abilitato devono comunicare in maniera preventiva alla Direzione provinciale del lavoro le generalità del professionista al quale è stato attribuito l’incarico, nonché il luogo ove è reperibile la documentazione in questione.

Si evidenzia infine che, rispetto alla disciplina previgente, vengono inasprite le sanzioni che si applicano al consulente del lavoro o all’altro professionista abilitato che, senza giustificato motivo, non ottemperi entro 15 giorni alla richiesta degli organi di vigilanza di esibire la documentazione in loro possesso. In particolare, si prevede l’applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria da 100 a 1.000 euro, disponendosi altresì che, in caso di recidiva, ne è data tempestiva informazione all’Ordine professionale di appartenenza del trasgressore per l’adozione di eventuali provvedimenti disciplinari.

 

Il comma 2 modifica la disciplina relativa alle informazioni e comunicazioni che i datori di lavoro sono tenuti a fornire ai lavoratori all’atto dell’assunzione, al fine di semplificare e razionalizzare tali adempimenti. A tale scopo viene novellato il comma 2 dell’art. 4-bis del D.Lgs. 181/2000.

Si ricorda che il vigente comma 2 dell’art. 4-bis del D.Lgs. 181/2000 prevede che all'atto dell'assunzione i datori di lavoro privati e gli enti pubblici economici sono tenuti a consegnare ai lavoratori una dichiarazione sottoscritta contenente i dati di registrazione effettuata nel libro matricola, nonché la comunicazione di cui al D.Lgs. 152/1997 contenente le informazioni relative alle condizioni applicabili al rapporto di lavoro.

 

In particolare, si prevede che al momento dell’assunzione, prima di iniziare ad impiegare i lavoratori, i datori di lavoro pubblici e privati sono obbligati a consegnare ai lavoratori una copia della comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro di cui all’art. 9-bis, comma 2, del D.L. 510/1996. Viene precisato che in tal modo gli stessi datori di lavoro adempiono anche alla comunicazione di cui al D.Lgs. 152/1997relativa alle condizioni applicabili al rapporto di lavoro.

Si dispone altresì che l’obbligo in questione si intende assolto anche nel caso in cui il datore di lavoro consegni al lavoratore, prima dell’inizio dell’impiego lavorativo, una copia del contratto individuale di lavoro che contenga anche tutte le informazioni stabilite dal D.Lgs. 152/1997.

Si ricorda che i commi 1180-1185 della L. 296/2006 (legge finanziaria 2007) hanno recato modifiche ad alcuni aspetti della disciplina relativa alle comunicazioni agli uffici competenti relative al rapporto di lavoro.

In particolare il comma 1180, sostituendo il comma 2 dell’articolo 9-bis del D.L. 510 del 1996 con i nuovi commi 2 e 2-bis, ha esteso a tutti i datori di lavoro pubblici e privati, ivi compresi i datori di lavoro agricoli, l’obbligo della comunicazione preventiva dell’assunzione dei lavoratori (entro il giorno antecedente a quello di instaurazione del relativo rapporto), introdotta precedentemente dall’articolo 36-bis, comma 6, del D.L. 223 del 2006 per il solo settore dell’edilizia. In caso di urgenze connesse ad esigenze produttive, la comunicazione relativa all’instaurazione del rapporto di lavoro può essere effettuata entro cinque giorni dall’assunzione, fermo restando l’obbligo di comunicare entro il giorno antecedente all’assunzione, anche in via telematica mediante documentazione avente data certa, la data di inizio della prestazione e le generalità del lavoratore e del datore di lavoro.

Si ricorda altresì che il D.Lgs. 152/1997, dando attuazione alla direttiva 91/533/CEE, ha introdotto una disciplina concernente l'obbligo del datore di lavoro di informare il lavoratore delle condizioni applicabili al rapporto di lavoro.

 

Viene precisato infine che la norma in esame non si applica al personale delle pubbliche amministrazioni in regime di diritto pubblico, di cui all’art. 3 del D.Lgs. 165/2001.

 

Si ricorda che, ai sensi dell’articolo 3 del D.Lgs. 165 del 2001, sono tuttora in regime di diritto pubblico:

-       i magistrati ordinari, amministrativi e contabili, gli avvocati e procuratori dello Stato, il personale militare e le Forze di polizia di Stato, il personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia nonché i dipendenti degli enti che svolgono la loro attività nelle materie contemplate dall'articolo 1 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 17 luglio 1947, n. 691, e dalle leggi 4 giugno 1985, n. 281, e successive modificazioni ed integrazioni, e 10 ottobre 1990, n. 287;

-       il personale, anche di livello dirigenziale, del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, esclusi il personale volontario;

-       il personale della carriera dirigenziale penitenziaria;

-       i professori e i ricercatori universitari.

 

Il comma 3 provvede a novellare l’articolo 8 del D.Lgs. 234/2007, in materia di organizzazione dell'orario di lavoro delle persone che effettuano operazioni mobili di autotrasporto.

Il D.Lgs. 234/2007, emanato in base alla delega contenuta nell’articolo 1, della legge n. 77 del 2007, ha dato attuazione alla direttiva 2002/15/CE, concernente l’organizzazione dell’orario di lavoro delle persone che effettuano operazioni mobili di autotrasporto. Il provvedimento, come evidenziato dall’articolo 1, è volto a disciplinare in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale l’organizzazione dell’orario di lavoro delle persone che effettuano operazioni mobili di autotrasporto, al fine di proteggere la salute e garantire la sicurezza di tali lavoratori e di migliorare la sicurezza stradale.

L’articolo 8 reca disposizioni concernenti l’informazione dei lavoratori mobili e l’istituzione di registri su cui viene annotato l’orario di lavoro dei medesimi soggetti.

In particolare il comma 1 prevede il diritto dei lavoratori mobili all’informazione circa la disciplina del proprio orario di lavoro contenuta in fonti normative nazionali, nel regolamento interno dell’impresa e nei contratti collettivi (anche aziendali) stipulati sulla base del provvedimento in esame. Le modalità di informazione, ai sensi del successivo comma 4, sono definite dalla contrattazione collettiva.

Il successivo comma 2, fermo restando quanto previsto dall’articolo 14, comma 2, del Regolamento (CEE) 3821/85[215], prevede l’istituzione da parte dei datori di lavoro di appositi registri in cui deve essere riportato l'orario di lavoro delle persone che effettuano operazioni mobili di autotrasporto. Si dispone l’obbligo di conservazione dei registri per almeno 2 anni dopo la fine del relativo periodo lavorativo. I datori di lavoro sono responsabili della registrazione e sono altresì obbligati, fermo restando quanto disposto dall’articolo 14, comma 2, del richiamato Regolamento (CEE) n. 3821/85, a rilasciare copia della registrazione su richiesta del lavoratore.

Ai sensi del comma 3, a tali registri, da tenersi presso la sede legale dell’impresa e sottoposti alla vidimazione da parte della Direzione provinciale del lavoro territorialmente competente, si applicano gli obblighi di tenuta e registrazione di cui agli articoli 20, 21, 25 e 26 del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124[216].

 

In particolare, con la modifica di cui alla lettera a), viene soppressa, al comma 2 del menzionato articolo 8, la disposizione secondo cui i registri su cui viene annotato l’orario di lavoro devono essere conservati per almeno due anni dopo la fine del relativo periodo.

Invece la lettera b), sostituendo il comma 3 del menzionato articolo 8, è volta a semplificare gli obblighi di registrazione, prevedendo che tali obblighi si assolvono mediante le relative scritturazioni nel libro unico del lavoro istituito dall’articolo 39 del decreto-legge in esame (si rinvia alla relativa scheda di lettura).

 

Il comma 4 è volto a razionalizzare la disciplina delle comunicazioni che i datori di lavoro sono tenuti ad inviare nell’ambito degli obblighi relativi all’assunzione dei lavoratori disabili. A tal fine si provvede a sostituire il comma 6 dell’art. 9 della L. 68/1999.

Si ricorda che l’art. 9 della L. 68/1999 reca disposizioni relative alle richieste di avviamento al lavoro dei datori di lavoro obbligati all’assunzione dei lavoratori disabili.

In particolare, il comma 6 prevede che i datori di lavoro, pubblici e privati, soggetti alla disciplina della L. 68/1999 sono tenuti ad inviare agli uffici competenti un prospetto dal quale risultino il numero complessivo dei lavoratori dipendenti, il numero ed i nominativi dei lavoratori computabili nella quota di riserva relative alle assunzioni obbligatorie, nonché i posti di lavoro e le mansioni disponibili per i lavoratori disabili. Si prevede inoltre che con apposito decreto ministeriale sia stabilita la periodicità dell'invio dei prospetti e possa altresì essere disposto che i prospetti contengano altre informazioni utili per l'applicazione della disciplina delle assunzioni obbligatorie. I prospetti sono pubblici e gli uffici competenti, al fine di rendere effettivo il diritto di accesso ai predetti documenti amministrativi, dispongono la loro consultazione nelle proprie sedi, negli spazi disponibili aperti al pubblico.

A seguito delle modifiche introdotte dal comma in esame, rispetto alla normativa previgente, in primo luogo si dispone che il menzionato prospetto informativo deve essere inviato agli uffici competenti in via telematica. Inoltre, si prevede che il datore di lavoro non è tenuto ad inviare il prospetto informativo se, rispetto all’ultimo prospetto inviato, non si sono verificati cambiamenti nella situazione del personale occupato tali da modificare l’obbligo di assunzione o da incidere sul calcolo della quota di riserva.

Viene altresì stabilito che, al fine di garantire l’unitarietà e l’omogeneità del sistema informativo lavoro (S.I.L.), con apposito decreto siano definiti il modulo per l’invio del prospetto informativo, nonché la periodicità e le modalità di trasferimento dei dati.

Infine viene confermato quanto già previsto dalla disciplina previgente relativamente alla pubblicità dei prospetti e all’obbligo degli uffici competenti di rendere possibile la loro consultazione nelle proprie sedi.

 

Il comma 5 reca un'altra disposizione volta a semplificare e razionalizzare gli adempimenti dei datori di lavoro nell’ambito della disciplina relativa al collocamento obbligatorio dei lavoratori disabili. A tal fine si provvede a novellare l’art. 17, comma 1, della L. 68/1999.

L’art. 17, comma 1, della L. 68/1999 prevede che le imprese, sia pubbliche sia private, qualora partecipino a bandi per appalti pubblici o intrattengano rapporti convenzionali o di concessione con pubbliche amministrazioni, sono tenute a presentare preventivamente alle stesse, a pena di esclusione, la dichiarazione del rappresentante legale che attesti di essere in regola con la normativa sul diritto al lavoro dei disabili, nonché apposita certificazione rilasciata dagli uffici competenti che attesti l'ottemperanza alle norme della L. 68/1999.

 

Con la modifica in esame si provvede quindi ad eliminare l’obbligo per le imprese, nei casi menzionati, di presentare preventivamente apposita certificazione rilasciata dagli uffici competenti relativa all’ottemperanza alle norme della L. 68/1999.

 

Infine, il comma 6 interviene in materia di comunicazioni relative all’instaurazione e alla cessazione dei rapporti di lavoro della gente di mare.

In particolare, si stabilisce che gli armatori e le società di armamento sono obbligati a comunicare, entro il ventesimo giorno del mese successivo alla data di imbarco o sbarco, agli uffici di collocamento della gente di mare l’assunzione e la cessazione dei rapporti di lavoro relativi al personale marittimo iscritto nelle matricole della gente di mare di cui all’art. 115 c.n. al personale marittimo non iscritto nelle matricole della gente di mare, nonché comunque a tutto il personale che a qualsiasi titolo presta servizio a bordo di una nave.


 

Articolo 41
(Modifiche alla disciplina in materia di orario di lavoro)


1. All'articolo 1, comma 2, lettera e), n. 2, del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66 dopo le parole «è considerato lavoratore notturno qualsiasi lavoratore che svolga», inserire le parole: «per almeno tre ore».

2. All'articolo 1, comma 2, lettera h), del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66 dopo le parole «passeggeri o merci», inserire le parole: «sia per conto proprio che per conto di terzi».

3. All'articolo 2, comma 3, del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66 dopo le parole «attività operative specificamente istituzionali», inserire le parole: «e agli addetti ai servizi di vigilanza privata».

4. All'articolo 7 del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66 dopo le parole «frazionati durante la giornata», inserire le parole: «o da regimi di reperibilità».

5. All'articolo 9, comma 1, del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, dopo le parole «di cui all'articolo 7.», sono aggiunte le parole «Il suddetto periodo di riposo consecutivo è calcolato come media in un periodo non superiore a 14 giorni».

6. La lettera a) dell'articolo 9, comma 2, del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66 è sostituita dalla seguente: «a) attività di lavoro a turni ogni volta che il lavoratore cambi turno o squadra e non possa usufruire, tra la fine del servizio di un turno o di una squadra e l'inizio del successivo, di periodi di riposo giornaliero o settimanale».

7. Il comma 1 dell'articolo 17 del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66 è sostituito dal seguente: «Le disposizioni di cui agli articoli 7, 8, 12 e 13 possono essere derogate mediante contratti collettivi stipulati a livello nazionale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative. In assenza di specifiche disposizioni nei contratti collettivi nazionali le deroghe possono essere stabilite nei contratti collettivi territoriali o aziendali stipulati con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale».

8. Il comma 3, dell'articolo 18-bis del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66 è sostituito dal seguente: «3. La violazione delle disposizioni previste dall'articolo 4, commi 2, 3, 4, dall'articolo 9, comma 3, e dall'articolo 10, comma 1, è punita con la sanzione amministrativa da 130 a 780 euro per ogni lavoratore, per ciascun periodo di riferimento di cui all'articolo 4, commi 3 o 4, a cui si riferisca la violazione».

9. Il comma 4 dell'articolo 18-bis del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66 è sostituito dal seguente: «4. La violazione delle disposizioni previste dall'articolo 7, comma 1, è punita con la sanzione amministrativa da 25 euro a 100 euro in relazione ad ogni singolo lavoratore e ad ogni singolo periodo di 24 ore».

10. Il comma 6 dell'articolo 18-bis del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66 è sostituito dal seguente: «6. La violazione delle disposizioni previste dall'articolo 5, commi 3 e 5, è soggetta alla sanzione amministrativa da 25 a 154 euro. Se la violazione si riferisce a più di cinque lavoratori ovvero si è verificata nel corso dell'anno solare per più di cinquanta giornate lavorative, la sanzione amministrativa va da 154 a 1.032 euro e non è ammesso il pagamento della sanzione in misura ridotta».

11. All'articolo 14, comma 1, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 eliminare le parole: «ovvero in caso di reiterate violazioni della disciplina in materia di superamento dei tempi di lavoro, di riposo giornaliero e settimanale di cui agli articoli 4, 7 e 9 del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, e successive modificazioni, considerando le specifiche gravità di esposizione al rischio di infortunio,».

12. All'articolo 14, comma 4, lettera b), del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 eliminare le parole: «di reiterate violazioni della disciplina in materia di superamento dei tempi di lavoro, di riposo giornaliero e settimanale, di cui al decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, o».

13. Al personale delle aree dirigenziali degli Enti e delle Aziende del Servizio Sanitario Nazionale, in ragione della qualifica posseduta e delle necessità di conformare l'impegno di servizio al pieno esercizio della responsabilità propria dell'incarico dirigenziale affidato, non si applicano le disposizioni di cui agli articoli 4 e 7 del decreto legislativo 2003, n. 66. La contrattazione collettiva definisce le modalità atte a garantire ai dirigenti condizioni di lavoro che consentano una protezione appropriata ed il pieno recupero delle energie psico-fisiche.

14. Dalla data di entrata in vigore del presente decreto sono abrogati gli articoli 4, comma 5, 12, comma 2, e l'articolo 18-bis, comma 5, del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66.


 

 

L’articolo in esame reca varie modifiche alla disciplina in materia di orario di lavoro.

In primo luogo si provvede a novellare varie disposizioni del D.Lgs. 66/2003, recante una disciplina generale in materia di orario di lavoro.

Si ricorda che il D.Lgs. 66/2003, dando attuazione alla direttiva n. 93/104/CE come modificata dalla direttiva n. 2000/34/CE, ha provveduto ad attuare un generale riordino della normativa sull’orario di lavoro.

Il D.Lgs. n. 66/2003 (art. 3) ha fissato l’orario normale di lavoro in 40 ore settimanali, recuperando, quasi letteralmente, il disposto di cui all’articolo 13, comma 1, primo e secondo periodo, della legge 24 giugno 1997, n. 196, cui si dà una valenza generale, volta a superare le discipline particolari per vari settori.

Viene quindi confermata:

-        la durata normale dell'orario di lavoro, pari a 40 ore settimanali;

-        l'attribuzione di ampi poteri alla contrattazione collettiva nazionale, che potrà:

a)       ridurre l'orario normale (a tutti gli effetti legali);

b)       riferire l'orario normale alla durata media delle prestazioni in periodi plurisettimanali fino al massimo di un anno.

E’ da ritenere che rimanga in vigore la previsione di incentivi per la riduzione o rimodulazione contrattata dell'orario di lavoro, con particolare riguardo ai casi in cui il ricorso all'orario ridotto sia finalizzato a permettere nuove assunzioni oppure per affrontare situazioni di eccedenza di personale (articolo 13, commi 2 e 3, della legge n. 197/1996). Si tratta di interventi volti ad agevolare una gestione più flessibile del tempo di lavoro, per adattarsi alle esigenze dell'azienda nell'arco dell'anno, nell'ottica di una miglior produttività e di un abbassamento dei costi. Ciò tuttavia potrà avvenire solo sulla base di un accordo sindacale di livello nazionale[217].

Inoltre vengono introdotti i nuovi concetti, rispetto alla disciplina previgente, di durata massima e di durata media. In particolare:

-        si demanda alla contrattazione collettiva la fissazione della durata massima settimanale dell’orario di lavoro, che si ottiene sommando la durata normale del lavoro con l’aggiunta delle ore di straordinario ammissibili;

-        si prevede che la durata media dell’orario di lavoro non può superare le 48 ore per ogni periodo di sette giorni. La durata media è data dalla somma di ore lavorative effettivamente svolte (compresi gli straordinari) dal lavoratore in un dato periodo di tempo, divisa per il numero di settimane presenti in quel periodo. In ogni caso la durata media non potrà essere superiore alla durata massima.

Poiché la durata massima dell’orario di lavoro viene stabilita dalla contrattazione collettiva, essa terrà conto delle caratteristiche dell’attività lavorativa svolta nei vari settori. La durata media invece è fissata dalla legge per tutti i settori economici. Per evitare che, in relazione alle particolari modalità di svolgimento di alcune attività lavorative, si superino le 48 ore settimanali, è previsto che la durata media dell’orario di lavoro debba essere calcolata con riferimento a un periodo non superiore a quattro mesi. Il riferimento all’arco temporale dei quattro mesi per il rispetto della durata media settimanale comporta il superamento o meglio l’”assorbimento” del limite trimestrale delle 80 ore di straordinario previsto dall’accordo interconfederale del 12 novembre 1997. Inoltre i contratti collettivi nazionali di lavoro possono elevare il periodo di riferimento per il calcolo della media fino a sei mesi o anche fino a dodici mesi a fronte di ragioni obiettive, tecniche o inerenti all’organizzazione del lavoro, specificate nei contratti stessi.

Un’altra novità è costituita dall’estensione a tutti i settori produttivi del diritto del lavoratore a undici ore di riposo consecutivo ogni ventiquattro ore (salve le deroghe previste dalla contrattazione collettiva), precedentemente previsto per il solo settore industriale. Per alcuni settori tale previsione potrebbe dimostrarsi eccessivamente rigida (si pensi alle imprese del settore turistico); tuttavia a tale esigenza potrebbe sopperire la contrattazione collettiva o, in mancanza di quest’ultima, il provvedimento ministeriale di cui all’articolo 17, comma 2, del D.Lgs. n. 66/2003.

La nuova disciplina sull’orario di lavoro estende in via generale il periodo di ferie retribuite, che non può essere inferiore a 4 settimane. Precedentemente, in base alla legge 10 aprile 1981, n. 157, i contratti collettivi non potevano di regola prevedere periodi di ferie inferiori alle tre settimane lavorative.

 

In particolare, il comma 1 reca una novella all’art. 1, comma 2, lett. e), n. 2, del D.Lgs. 66/2003, con riferimento alla definizione di lavoratore notturno.

Si ricorda che l’articolo 1, comma 2, lettera e), del richiamato D.Lgs. 66/2003 definisce come “lavoratore notturno”:

1) qualsiasi lavoratore che durante il periodo notturno svolga almeno tre ore del suo tempo di lavoro giornaliero impiegato in modo normale;

2) qualsiasi lavoratore che svolga durante il periodo notturno almeno una parte del suo orario di lavoro secondo le norme definite dalla contrattazione collettiva. In difetto di disciplina da parte della contrattazione collettiva è considerato lavoratore notturno qualsiasi lavoratore che svolga lavoro notturno per un minimo di ottanta giorni lavorativi all'anno; il suddetto limite minimo è riproporzionato in caso di lavoro part-time.

 

La modifica in esame (per la verità formulata in maniera poco perspicua) sembrerebbe volta a precisare che, nel caso di cui al menzionato n. 2, è da considerare lavoratore notturno qualsiasi lavoratore che svolga durante il periodo notturno almeno una parte del suo orario di lavoro secondo le norme definite dalla contrattazione collettiva, purché comunque per almeno tre ore del suo tempo di lavoro giornaliero.

 

Il comma 2 è invece diretto a novellare l’art. 1, comma 2, lett. h), che reca la definizione di lavoratore mobile.

Si ricorda che il menzionato l’art. 1, comma 2, lett. h), prevede che si considera lavoratore mobile qualsiasi lavoratore impiegato quale membro del personale viaggiante o di volo presso una impresa che effettua servizi di trasporto passeggeri o merci su strada, per via aerea o per via navigabile, o a impianto fisso non ferroviario.

 

In particolare, la modifica precisa che si considera lavoratore mobile qualsiasi lavoratore impiegato quale membro del personale viaggiante o di volo presso una impresa che effettua servizi di trasporto passeggeri o merci sia per conto proprio che per conto di terzi.

 

Il comma 3 intende novellare l’art. 2, comma 3, che esclude alcune categorie di personale dal campo di applicazione del D.Lgs. 66/2003.

Il citato art. 2, comma 3, in particolare, esclude dal campo di applicazione del D.Lgs. 66/2003 il personale della scuola, nonché il personale delle Forze di polizia e delle Forze armate e gli addetti al servizio di polizia municipale e provinciale, in relazione alle attività operative specificamente istituzionali.

 

Con la modifica in esame si escludono dal campo di applicazione del D.Lgs. 66/2003 anche gli addetti ai servizi di vigilanza privata.

 

Il comma 4 è diretto a novellare l’art. 7, con riferimento al riposo giornaliero dei lavoratori.

Il menzionato art. 7 stabilisce che, ferma restando la durata normale dell'orario settimanale, il lavoratore ha diritto a undici ore di riposo consecutivo ogni ventiquattro ore, precisando che il riposo giornaliero deve essere fruito in modo consecutivo fatte salve le attività caratterizzate da periodi di lavoro frazionati durante la giornata.

 

Con la modifica in esame si prevede che il riposo giornaliero non debba necessariamente essere fruito in modo consecutivo nel caso di attività caratterizzate da regimi di reperibilità.

Il comma 5 mira a novellare invece l’art. 9 relativo ai riposi settimanali.

Il citato art. 9 stabilisce che il lavoratore ha diritto ogni sette giorni a un periodo di riposo di almeno ventiquattro ore consecutive, di regola in coincidenza con la domenica, da cumulare con le ore di riposo giornaliero di cui all'articolo 7 (undici ore di riposo consecutivo ogni ventiquattro ore). Vengono tuttavia previste una serie di eccezioni a tale norma.

 

In particolare, con la modifica in esame si dispone che il previsto periodo di riposo consecutivo è calcolato come media in un periodo non superiore a 14 giorni.

 

Anche il comma 6 è volto a novellare il menzionato art. 9 relativo ai riposi settimanali, sostituendo la lett. a) del comma 2 relativa ad un caso di non applicazione della norma sui riposi settimanali, con particolare riferimento alle attività di lavoro a turni.

A seguito di tale modifica, si dispone che la norma sui riposi settimanali di cui all’art. 9, comma 1, non si applica alle attività di lavoro a turni ogni qualvolta il lavoratore cambi turno o squadra e non possa beneficiare, tra la fine del servizio di un turno o di una squadra e l’inizio del successivo, di periodi di riposo giornaliero o settimanale. In sostanza, rispetto alla formulazione precedente, si è aggiunto il riferimento al cambio di turno.

 

Il comma 7 provvede invece a sostituire il comma 1 dell’art. 17, recante deroghe alla disciplina in materia di riposo giornaliero, pause, lavoro notturno, durata massima settimanale.

Si ricorda che il citato comma 1 dell’art. 17 stabilisce che le disposizioni di cui agli artt. 7 (risposo giornaliero), 8 (pause), 12 (modalità di organizzazione del lavoro notturno) e 13 (durata del lavoro notturno) possono essere derogate mediante contratti collettivi o accordi stipulati a livello nazionale tra le organizzazioni sindacali nazionali comparativamente più rappresentative e le associazioni nazionali dei datori di lavoro firmatarie di contratti collettivi nazionali di lavoro o, conformemente alle regole fissate nelle medesime intese, mediante contratti collettivi o accordi conclusi al secondo livello di contrattazione.

 

In sostanza con la modifica in questione si intende prevedere che, in assenza di specifiche previsioni nella contrattazione collettiva, le menzionate disposizioni del D.Lgs. 66/2003 possono essere derogate ad opera dei contratti collettivi di secondo livello (territoriali o aziendali) stipulati con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

 

I commi 8, 9 e 10 sono volti a novellare l’art. 18-bis, che reca le disposizioni sanzionatorie per la violazione delle norme del D.Lgs. 66/2003.

In particolare, il comma 8, intervenendo sul comma 3 del citato art. 18-bis, prevede la sanzione amministrativa da 130 euro a 780 euro (per ogni lavoratore e per ciascun periodo cui si riferisca la violazione) anche nel caso di violazione dell’art. 9, comma 3, che a sua volta stabilisce che il riposo di ventiquattro ore consecutive può essere fissato in un giorno diverso dalla domenica e può essere attuato mediante turni per il personale interessato a modelli tecnico-organizzativi di turnazione particolare ovvero addetto alle attività aventi determinate caratteristiche.

Il comma 9 invece, sostituendo il comma 4 dell’art. 18-bis, prevede che la violazione delle disposizioni di cui all’art. 7, comma 1 (riposo giornaliero) comporta la sanzione amministrativa da 25 a 100 euro in relazione ad ogni lavoratore e ad ogni periodo di 24 ore.

Si ricorda che invece la previgente formulazione del comma 4 dell’art. 18-bis prevedeva la sanzione amministrativa da 105 euro a 630 euro non solamente per la violazione dell’art. 7, comma 1, ma anche per la violazione dell’art. 9, comma 1 (riposi settimanali).

Il comma 10 inoltre, sostituendo il comma 6 dell’art. 18-bis, provvede ad escludere l’applicazione della sanzione di cui al medesimo comma nel caso di violazione dell’art. 3, comma 1 (orario normale di lavoro).

Pertanto, a seguito di tale modifica, si prevede che la violazione delle disposizioni di cui all’art. 5. commi 3 e 5, relative al lavoro straordinario, è soggetta alla sanzione amministrativa da 25 a 154 euro, e che, qualora la violazione riguarda più di cinque lavoratori ovvero si è verificata durante l’anno solare per più di cinquanta giornate di lavoro, si applica la sanzione amministrativa da 154 a 1.032 euro e non è possibile effettuare il pagamento della sanzione in misura ridotta.

 

I commi 11 e 12 invece provvedono a novellare l’art. 14 del D.Lgs. 81/2008, recante disposizioni per il contrasto del lavoro irregolare e per la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori.

Si ricorda che il menzionato D.Lgs. 81/2008, in attuazione della delega di cui all’articolo 1 della L. 123/2007, ha provveduto al riassetto e alla riforma delle norme vigenti in materia di salute e sicurezza delle lavoratrici e dei lavoratori nei luoghi di lavoro.

Il provvedimento, pur non assumendo formalmente la natura di “testo unico”, in realtà nella sostanza opera il riassetto e la riforma della disciplina in materia di salute e sicurezza sul lavoro attraverso il riordino e il coordinamento della medesima disciplina in un unico testo normativo.

In particolare, l’art. 14 prevede una serie di misure per contrastare il lavoro sommerso e per promuovere la tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro prevedendo, tra l’altro, che le violazioni di una certa gravità della disciplina relativa alla regolarità delle assunzioni, all’orario di lavoro e alla tutela della salute e della sicurezza sul lavoro possano condurre all’emanazione di provvedimenti di sospensione dei lavori e di interdizione alla contrattazione con le pubbliche amministrazioni (compresa la partecipazione a gare pubbliche).

In particolare, si prevede (comma 1) che, ferme restando le attribuzioni del coordinatore per l’esecuzione dei lavori, il personale ispettivo del Ministero del lavoro, anche su segnalazione delle amministrazioni pubbliche competenti, può disporre la sospensione di un’attività imprenditoriale allorché venga riscontrato l’impiego di personale non assunto regolarmente, poiché non risultante dalla documentazione obbligatoria relativa i lavoratori, in una misura almeno pari al 20 per cento dei lavoratori regolarmente assunti occupati nel cantiere, ovvero nel caso di reiterate violazioni della disciplina in materia di durata massima dell’orario di lavoro, di riposo giornaliero e di riposo settimanale, di cui agli art. 4, 7 e 9 del D.Lgs. 66/2003[218], e successive modificazioni, considerando le specifiche gravità di esposizione al rischio di infortunio, nonché nel caso di gravi e reiterate violazioni della disciplina in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro. Inoltre, si dispone che gli uffici del Ministero del lavoro informano con tempestività l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture e il Ministero delle infrastrutture dell’adozione del provvedimento di sospensione dei lavori, per gli aspetti di rispettiva competenza, al fine dell’emanazione di un provvedimento di interdizione alla contrattazione con le PP.AA. e alla partecipazione a gare pubbliche.

I poteri di sospensione dell’attività ora illustrati spettano anche agli organi ispettivi delle ASL, per quanto riguarda le violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori (comma 2).

Per la revoca della sospensione dei lavori la norma (comma 3) richiede il ripristino della situazione di rispetto sostanziale della disciplina da parte del datore di lavoro[219], oltre al pagamento di una sanzione amministrativa aggiuntiva rispetto alle sanzioni già previste dalla normativa vigente.

 

In particolare, con le modifiche in esame, si provvede ad escludere il caso delle reiterate violazioni della disciplina in materia di durata massima dell’orario di lavoro, di riposo giornaliero e di riposo settimanale, di cui agli art. 4, 7 e 9 del D.Lgs. 66/2003, e successive modificazioni, dalle fattispecie che legittimano l’adozione dei provvedimenti di sospensione dell’attività imprenditoriale.

 

Il comma 13 dispone invece che al personale delle qualifiche dirigenziali degli enti e delle aziende del SSN, in ragione della qualifica posseduta e della necessità di conformare l’impegno di servizio al pieno esercizio della responsabilità connessa all’incarico dirigenziale affidato, non si applicano le disposizioni di cui agli artt. 4 e 7 del D.Lgs. 66/2003, relativi rispettivamente alla durata massima dell’orario di lavoro e al riposo giornaliero. Si rimette comunque ai contratti collettivi la definizione di modalità volte a garantire ai dirigenti condizioni di lavoro che consentano una protezione appropriata sul piano della tutela della salute e sicurezza ed il pieno recupero delle energie psico-fisiche.

 

Infine il comma 14 dispone l’abrogazione di alcune disposizioni del D.Lgs. 66/2003 e in particolare:

§      del comma 5 dell’art. 4, che poneva in capo al datore di lavoro, per le unità produttive con più di dieci dipendenti, in caso di superamento delle 48 ore di lavoro settimanale attraverso prestazioni di lavoro straordinario, l’obbligo di informare i servizi ispettivi della Direzione provinciale del lavoro competente per territorio;

§      del comma 2 dell’art. 12, secondo cui il datore di lavoro era tenuto ad informare per iscritto i servizi ispettivi della Direzione provinciale del lavoro competente per territorio, con periodicità annuale, della esecuzione di lavoro notturno svolto in modo continuativo o compreso in regolari turni periodici, salvo che esso fosse disposto dal contratto collettivo;

§      del comma 5 dell’art. 18-bis, che puniva con la sanzione amministrativa da 103 euro a 200 euro la violazione del comma 5 dell’art. 4 (tale abrogazione è consequenziale all’abrogazione appunto del comma 5 dell’art. 4).

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)

Orario di lavoro

La Commissione ha presentato, il 22 settembre 2004, una proposta di direttiva che modifica la direttiva 2003/88/CE concernente taluni aspetti dell’orario di lavoro (COM(2004)607).

La proposta mira essenzialmente:

§      ad assicurare certezza giuridica, dopo alcune recenti sentenze della Corte di giustizia europea sulla definizione dell’”orario di lavoro”;

§      a riesaminare le disposizioni della direttiva 2003/88/CE concernenti la possibilità e le condizioni di deroga al periodo di riferimento per applicare la durata massima settimanale dell’orario di lavoro, nonché alla durata massima settimanale del lavoro se il lavoratore lo desidera (disposizione di “opt-out”).

Dopo la prima lettura del Parlamento europeo conclusa l’11 maggio 2005, nell’ambito della procedura di codecisione, la Commissione ha presentato, il 31 maggio 2005, una proposta modificata (COM(2005)246). Il Consiglio ha raggiunto l’accordo politico in vista della posizione comune nella sessione del 9-10 giugno 2008.

Il compromesso raggiunto dal Consiglio si fonda sui seguenti punti:

-        viene ribadito il principio di una durata massima settimanale del lavoro pari a 48 ore, calcolata come media su un periodo di riferimento. Si prevede tuttavia la facoltà degli Stati membri di derogare a tale soglia a condizione di assicurare la protezione efficace della salute e della sicurezza dei lavoratori e di acquisire il consenso esplicito, libero e informato del lavoratore in questione. Il ricorso a tale facoltà deve essere inoltre oggetto di un controllo rigoroso;

-        si stabilisce che in caso di deroghe alle regole fissate dalla direttiva per il riposo giornaliero, le pause, i periodi di riposo settimanali, la durata del lavoro notturno e i relativi periodi di riposo, i periodi di riposo compensativo dovranno essere garantiti entro un tempo ragionevole, determinato dalla legislazione nazionale o da un accordo collettivo, o un accordo concluso tra le parti sociali;

-        si prevedono misure per rafforzare la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori e per introdurre una maggiore flessibilità nell’organizzazione dell’orario di lavoro, in particolare per quanto riguarda il servizio di guardia e, più specificamente, i periodi inattivi durante il servizio di guardia, come anche di trovare un nuovo equilibrio tra la conciliazione della vita professionale con la vita familiare, da un lato, e un’organizzazione più flessibile dell’orario di lavoro, dall’altro;

-        si introducono modifiche nella direttiva 2003/88/CE volte a permettere una migliore compatibilità tra vita professionale e vita familiare.

Il Consiglio europeo del 19 e 20 giugno 2008 ha invitato il Consiglio e il Parlamento europeo a raggiungere un accordo definitivo equilibrato prima della fine dell’attuale legislatura

Modernizzazione del diritto del lavoro e flessicurezza

Per i profili relativi alla flessicurezza si rinvia alla scheda relativa all’articolo 21, paragrafo ‘Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE’.

Procedure di contenzioso
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)

Con parere motivato[220] notificato all’Italia il 24 gennaio 2007, la Commissione ha contestato l’incompatibilità dell’articolo 53 comma 1 del decreto n. 151/2001 con l’articolo 2, paragrafo 7, della direttiva 76/207/CEE, tesa a garantire l’attuazione del principio della parità di trattamento tra uomini e donne relativamente all’accesso al lavoro ed alle condizioni di lavoro.

Ad avviso della Commissione, la disciplina italiana, riservando un trattamento meno favorevole ad una donna in ragione della sua maternità, costituirebbe una violazione della direttiva, in quanto l’articolo 2, paragrafo 7, della direttiva prevede l’obbligo, per gli Stati membri, di adottare tutte le misure necessarie ad evitare che le lavoratrici gestanti (o puerpere o in fase di allattamento) siano obbligate a svolgere del lavoro notturno.

La Commissione osserva infatti che l’articolo 53 comma 1 del decreto n. 151/2001 andrebbe ben oltre quanto previsto dalla norma comunitaria, in quanto non si limita a non prevedere un obbligo (per le donne incinte o puerpere) a svolgere del lavoro notturno ma introduce un vero e proprio divieto per le donne incinte o puerpere, di svolgere del lavoro notturno. L’articolo 53, infatti, vieta che si adibiscano donne incinte o puerpere ad attività lavorative tra le ore 24 e le 6 dal momento in cui si è accertata la gravidanza fino a quando il bambino raggiunge un anno di età. La Commissione, inoltre, evidenzia come le lavoratrici che, proprio in ragione di tale divieto, non hanno la possibilità di lavorare percepiscono, in luogo della retribuzione, una forma di indennità pari all’80% della retribuzione per l’intero periodo. Pertanto, la Commissione osserva come sebbene la norma nazionale, in astratto, persegua l’obiettivo di tutelare le lavoratrici puerpere o incinte, in concreto, tale norma, si traduce in un pregiudizio a danno delle medesime lavoratrici.


 

Articolo 42
(Accesso agli elenchi dei contribuenti)


1. Nel rispetto del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, al fine di attuare il principio di trasparenza nell'ambito dei rapporti fiscali in coerenza con la disciplina prevalente negli altri Stati comunitari:

a) all'articolo 69 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, sono apportate le seguenti modificazioni:

1) il comma 6 è sostituito dal seguente: «Gli elenchi sono depositati per la durata di un anno sia presso lo stesso ufficio delle imposte, sia presso i Comuni interessati. Nel predetto periodo è ammessa la visione e l'estrazione di copia degli elenchi nei modi e con i limiti stabiliti dalla disciplina in materia di accesso ai documenti amministrativi di cui agli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, dalla relativa normativa di attuazione, nonché da specifiche disposizioni di legge. Per l'accesso non sono dovuti i tributi speciali di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 648»;

2) dopo il comma 6 è aggiunto il seguente: «6-bis. Fuori dai casi sopra previsti, la comunicazione o diffusione, totale o parziale, con qualsiasi mezzo, degli elenchi o di dati personali ivi contenuti, ove il fatto non costituisca reato, è punita con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da cinquemila euro a trentamila euro. La somma può essere aumentata sino al triplo quando risulta inefficace in ragione delle condizioni economiche del contravventore»;

b) all'articolo 66-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, sono apportate le seguenti modificazioni:

1) nel primo periodo del secondo comma le parole «e pubblicano» sono soppresse;

2) il secondo periodo del secondo comma è sostituito dal seguente: «Gli elenchi sono depositati per la durata di un anno sia presso lo stesso ufficio delle imposte, sia presso i Comuni interessati. Nel predetto periodo, è ammessa la visione e l'estrazione di copia degli elenchi nei modi e con i limiti stabiliti dalla disciplina in materia di accesso ai documenti amministrativi di cui agli articoli 22 e seguenti nella legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, dalla relativa normativa di attuazione, nonché da specifiche disposizioni di legge. Per l'accesso non sono dovuti i tributi speciali di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 648»;

3) al quarto comma la parola «pubblicano» è sostituita dalle seguenti: «formano, per le finalità di cui al secondo comma»;

4) dopo il quarto comma è aggiunto il seguente: «Fuori dai casi sopra previsti, la comunicazione o diffusione, totale o parziale, con qualsiasi mezzo, degli elenchi o di dati personali ivi contenuti, ove il fatto non costituisca reato, è punita con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da cinquemila euro a trentamila euro. La somma può essere aumentata sino al triplo quando risulta inefficace in ragione delle condizioni economiche del contravventore.».


 

 

L’articolo 42 interviene in tema di accesso agli elenchi dei contribuenti, novellando ed integrando l’articolo 69 del D.P.R. n. 600 del 1973 (Imposte sui redditi) e l’articolo 66-bis del D.P.R. n. 633 del 1972 (IVA), recanti, entrambi, la disciplina della pubblicazione degli elenchi dei contribuenti.

 

L’articolo 69 del D.P.R. n. 600 del 1973 stabilisce che il Ministro delle finanze dispone annualmente la pubblicazione degli elenchi dei contribuenti il cui reddito imponibile è stato accertato dagli uffici delle imposte dirette e di quelli sottoposti a controlli globali a sorteggio a norma delle vigenti disposizioni nell'ambito dell'attività di programmazione svolta dagli uffici nell'anno precedente. Negli elenchi deve essere specificato se gli accertamenti sono definitivi o in contestazione e devono essere indicati, in caso di rettifica, anche gli imponibili dichiarati dai contribuenti. Negli elenchi sono compresi tutti i contribuenti che non hanno presentato la dichiarazione dei redditi, nonché i contribuenti nei cui confronti sia stato accertato un maggior reddito imponibile superiore a 10 milioni di lire e al 20 per cento del reddito dichiarato, o in ogni caso un maggior reddito imponibile superiore a 50 milioni di lire.

Il centro informativo delle imposte dirette (ora Agenzia delle entrate), entro il 31 dicembre dell'anno successivo a quello di presentazione delle dichiarazioni dei redditi, forma, per ciascun comune, gli elenchi nominativi da distribuire agli uffici delle imposte territorialmente competenti: elenco nominativo dei contribuenti che hanno presentato la dichiarazione dei redditi; elenco nominativo dei soggetti che esercitano imprese commerciali, arti e professioni. Con apposito decreto del Ministro delle finanze sono annualmente stabiliti i termini e le modalità per la formazione degli elenchi.

Il sesto comma stabilisce che gli elenchi sono depositati per la durata di un anno, ai fini della consultazione da parte di chiunque, sia presso lo stesso ufficio delle imposte sia presso i comuni interessati. Per la consultazione non sono dovuti i tributi speciali di cui al D.P.R. n. 648/1972. Si prevede, infine la possibilità di trasmissione su supporto magnetico ovvero mediante sistemi telematici.

 

Analogamente l’articolo 66-bis del D.P.R. n. 633 del 1972 stabilisce che il Ministro delle finanze dispone annualmente la pubblicazione di elenchi di contribuenti nei cui confronti l'ufficio dell'IVA ha proceduto a rettifica o ad accertamento. Sono ricompresi nell'elenco solo quei contribuenti che non hanno presentato la dichiarazione annuale e quelli dalla cui dichiarazione risulta un'imposta inferiore di oltre un decimo a quella dovuta ovvero un'eccedenza detraibile o rimborsabile superiore di oltre un decimo a quella spettante. Negli elenchi deve essere specificato se gli accertamenti sono definitivi o in contestazione e deve essere indicato, in caso di rettifica, anche il volume di affari dichiarato dai contribuenti. Gli uffici formano e pubblicano annualmente per ciascuna provincia compresa nella propria circoscrizione un elenco nominativo dei contribuenti che hanno presentato la dichiarazione annuale ai fini dell'imposta sul valore aggiunto, con la specificazione, per ognuno, del volume di affari. Gli elenchi sono in ogni caso depositati per la durata di un anno, ai fini della consultazione da parte di chiunque, sia presso l'ufficio che ha proceduto alla loro formazione, sia presso i comuni interessati. Per la consultazione non sono dovuti i tributi speciali di cui al D.P.R. n. 648/1972. Gli stessi uffici pubblicano, inoltre, un elenco cronologico contenente i nominativi dei contribuenti che hanno richiesto i rimborsi dell'imposta sul valore aggiunto e di quelli che li hanno ottenuti.

L’articolo 42 in esame sostituisce con il medesimo testo sia il comma 6 dell’articolo 69 del D.P.R. n. 600/1973 (Imposte sui redditi) sia il secondo periodo del secondo comma dell’articolo 66-bis del D.P.R. n. 633/1972 (IVA), confermando il deposito degli elenchi per la durata di un anno sia presso lo stesso ufficio dell’Agenzia delle entrate, sia presso i comuni interessati, già attualmente previsto.

La novella dispone che nel predetto periodo é ammessa la visione e l'estrazione di copia degli elenchi nei modi e con i limiti stabiliti dalla disciplina in materia di accesso ai documenti amministrativi di cui agli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241, dalla relativa normativa di attuazione, nonché da specifiche disposizioni di legge. Viene ribadita l’esenzione dai tributi speciali di cui al D.P.R. n. 648/1972 per l’accesso agli elenchi.

 

Il richiamo per la visione e l’estrazione della copia degli elenchi dei contribuenti ai modi e ai limiti previsti dalla normativa in materia di accesso sembrerebbe determinare una restrizione della pubblicità degli elenchi stessi rispetto alla disciplina previgente, quando la consultazione era consentita a “chiunque”. In base alla disciplina contenuta nella legge n. 241/1990, infatti, il diritto di accesso è riconosciuto solo ai soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l'accesso (art. 22, co. 1, lett. b) della legge n. 241/1990).

 

Analogamente le disposizioni novellate sono integrate da un ulteriore identico comma, in base al quale, fuori dai casi sopra descritti, la comunicazione o diffusione, totale o parziale, con qualsiasi mezzo, degli elenchi o di dati personali ivi contenuti, ove il fatto non costituisca reato, è punita con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 5.000 euro a 30.000 euro. La somma può essere aumentata sino al triplo quando risulta inefficace in ragione delle condizioni economiche del contravventore.

 

Vengono infine disposte due modifiche al primo periodo del secondo comma e al quarto comma dell’articolo 66-bis del D.P.R. n. 633/1972, limitando l’attività degli uffici alla “formazione” degli elenchi ed eliminando il riferimento alla “pubblicazione” dei medesimi.

 

L’articolo 42, in una sorta di preambolo alle novelle introdotte, fa riferimento al decreto legislativo n. 196 del 2003 (Codice in materia di protezione dei dati personali), nonché al principio di trasparenza nell'ambito dei rapporti fiscali in coerenza con la disciplina prevalente negli altri Stati comunitari.

 

Si ricorda che, a seguito della pubblicazione nel sito Internet dell’Agenzia delle entrate degli elenchi nominativi dei contribuenti che hanno presentato le dichiarazioni dei redditi e le dichiarazioni IVA relativamente all’anno 2005, il Garante per la protezione dei dati personali, con provvedimento del 6 maggio 2008 (pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 107 dell’8 maggio 2008), oltre a confermare la sospensione della pubblicazione degli elenchi disposta con proprio provvedimento del 30 aprile 2008, ha affermato che “il provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate poteva stabilire solo «i termini e le modalita» per la formazione degli elenchi. La conoscibilità di questi ultimi è infatti regolata direttamente da disposizione di legge che prevede, quale unica modalità, la distribuzione di tali elenchi ai soli uffici territorialmente competenti dell'Agenzia e la loro trasmissione, anche mediante supporti magnetici ovvero sistemi telematici, ai soli comuni interessati, in entrambi i casi in relazione ai soli contribuenti dell'ambito territoriale interessato. Ciò, come sopra osservato, ai fini del loro deposito per la durata di un anno e della loro consultazione - senza che sia prevista la facoltà di estrarne copia - da parte di chiunque. Il Codice dell'amministrazione digitale, incentiva l'uso delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione nell'utilizzo dei dati delle pubbliche amministrazioni. Tuttavia, il Codice stesso fa espressamente salvi i limiti alla conoscibilità dei dati previsti da leggi e regolamenti, nonché le norme e le garanzie in tema di protezione dei dati personali (articoli 2, comma 5 e 50 decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82). La predetta messa in circolazione in Internet dei dati, oltre a essere di per sé illegittima perché carente di una base giuridica e disposta senza metterne a conoscenza il Garante, ha comportato anche una modalità di diffusione sproporzionata in rapporto alle finalità per le quali l'attuale disciplina prevede una relativa trasparenza. I dati sono stati resi consultabili non presso ciascun ambito territoriale interessato, ma liberamente su tutto il territorio nazionale e all'estero. L'innovatività di tale modalità, emergente dalle stesse deduzioni dell'Agenzia, non traspariva dalla generica informativa resa ai contribuenti nei modelli di dichiarazione per l'anno 2005. L'Agenzia non ha previsto «filtri» nella consultazione on-line e ha reso possibile ai numerosissimi utenti del sito salvare una copia degli elenchi con funzioni di trasferimento file. La centralizzazione della consultazione a livello nazionale ha consentito ai medesimi utenti, già nel ristretto numero di ore in cui la predetta sezione del sito web é risultata consultabile, di accedere a innumerevoli dati di tutti i contribuenti, di estrarne copia, di formare archivi, modificare ed elaborare i dati stessi, di creare liste di profilazione e immettere tali informazioni in ulteriore circolazione in rete, nonché, in alcuni casi, in vendita. Con ciò ponendo anche a rischio l'esattezza dei dati e precludendo ogni possibilità di garantire che essi non siano consultabili trascorso l'anno previsto dalla menzionata norma. Infine, va rilevato che questa Autorità non é stata consultata preventivamente dall'Agenzia stessa, come prescritto rispetto ai regolamenti e agli atti amministrativi attinenti alla protezione dei dati personali (art. 154, comma 4, del Codice)”.


 

Articolo 43
(Semplificazione degli strumenti di attrazione degli investimenti e di sviluppo d’impresa)


1. Per favorire l'attrazione degli investimenti e la realizzazione di progetti di sviluppo di impresa rilevanti per il rafforzamento della struttura produttiva del Paese, con particolare riferimento alle aree del Mezzogiorno, con decreto di natura non regolamentare del Ministro dello sviluppo economico, sono stabiliti i criteri, le condizioni e le modalità per la concessione di agevolazioni finanziarie a sostegno degli investimenti privati e per la realizzazione di interventi ad essi complementari e funzionali. Con tale decreto, da adottare di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro per la semplificazione normativa, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, si provvede, in particolare a:

a) individuare le attività, le iniziative, le categorie di imprese, il valore minimo degli investimenti e le spese ammissibili all'agevolazione, la misura e la natura finanziaria delle agevolazioni concedibili nei limiti consentiti dalla vigente normativa comunitaria, i criteri di valutazione dell'istanza di ammissione all'agevolazione;

b) affidare, con le modalità stabilite da apposita convenzione, all'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo di impresa S.p.A. le funzioni relative alla gestione dell'intervento di cui al presente articolo, ivi comprese quelle relative alla ricezione, alla valutazione ed alla approvazione della domanda di agevolazione, alla stipula del relativo contratto di ammissione, all'erogazione, al controllo ed al monitoraggio dell'agevolazione, alla partecipazione al finanziamento dell'eventuali opere infrastrutturali complementari e funzionali all'investimento privato;

c) stabilire le modalità di cooperazione con le Regioni e gli enti locali interessati, ai fini della gestione dell'intervento di cui al presente articolo, con particolare riferimento alla programmazione e realizzazione dell'eventuali opere infrastrutturali complementari e funzionali all'investimento privato;

d) disciplinare una procedura accelerata che preveda la possibilità per l'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo di impresa S.p.A. di chiedere al Ministero dello sviluppo economico l'indizione di conferenze di servizi ai sensi dell'articolo 14 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241. Alla conferenza partecipano tutti i soggetti competenti all'adozione dei provvedimenti necessari per l'avvio dell'investimento privato ed alla programmazione delle opere infrastrutturali complementari e funzionali all'investimento stesso, la predetta Agenzia nonché, senza diritto di voto, il soggetto che ha presentato l'istanza per la concessione dell'agevolazione. All'esito dei lavori della conferenza, e in ogni caso scaduto il termine di cui all'articolo 14-ter, comma 3, della citata legge n. 241 del 1990, il Ministero dello sviluppo economico adotta, in conformità alla determinazione conclusiva della conferenza di servizi, un provvedimento di approvazione del progetto esecutivo che sostituisce, a tutti gli effetti, salvo che la normativa comunitaria non disponga diversamente, ogni autorizzazione, concessione, nulla osta o atto di assenso comunque denominato necessario all'avvio dell'investimento agevolato e di competenza delle amministrazioni partecipanti, o comunque invitate a partecipare ma risultate assenti, alla predetta conferenza;

e) le agevolazioni di cui al presente comma sono cumulabili, nei limiti dei massimali previsti dalla normativa comunitaria, con benefici fiscali.

2. Il Ministero dello sviluppo economico definisce, con apposite direttive, gli indirizzi operativi per la gestione dell'intervento di cui al presente articolo, vigila sull'esercizio delle funzioni affidate all'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo di impresa S.p.A. ai sensi del decreto di cui al comma 1, effettua verifiche, anche a campione, sull'attuazione degli interventi finanziati e sui risultati conseguiti per effetto degli investimenti realizzati.

3. Le agevolazioni finanziarie e gli interventi complementari e funzionali di cui al comma 1 possono essere finanziati con le disponibilità assegnate ad apposito Fondo istituito nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico, dove affluiscono le risorse ordinarie disponibili a legislazione vigente già assegnate al Ministero dello sviluppo economico in forza di Piani pluriennali di intervento e del Fondo per le aree sottoutilizzate di cui all'articolo 61 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, nell'ambito dei programmi previsti dal Quadro strategico nazionale 2007-2013 ed in coerenza con le priorità ivi individuate. Con apposito decreto del Ministero per lo sviluppo economico di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, da emanarsi entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, viene effettuata una ricognizione delle risorse di cui al presente comma per individuare la dotazione del Fondo.

4. Per l'utilizzo del Fondo di cui al precedente comma, il Ministero per lo sviluppo economico si avvale dell'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti.

5. Dalla data di entrata in vigore del decreto di cui al comma 1, non possono essere più presentate domande per l'accesso alle agevolazioni e agli incentivi concessi sulla base delle previsioni in materia di contratti di programma, di cui all'articolo 2, comma 203, lettera e), della legge 23 dicembre 1996, n. 662, ivi compresi i contratti di localizzazione, di cui alle delibere CIPE 19 dicembre 2002, n. 130, e del 9 maggio 2003, n. 16. Alle domande presentate entro la data di cui al periodo precedente si applica la disciplina vigente prima dell'entrata in vigore della presente legge, fatta salva la possibilità per l'interessato di chiedere che la domanda sia valutata ai fini dell'ammissione ai benefici di cui al presente articolo.

6. Sono abrogate le disposizioni dell'articolo 1, commi 215, 216, 217, 218 e 221, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, e dell'articolo 6, commi 12, 13, 14 e 14-bis, del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80. Dalla data di entrata in vigore del decreto di cui al comma 1, è abrogato l'articolo 1, comma 13, del citato decreto-legge n. 35 del 2005.

7. Per gli interventi di cui al presente articolo effettuati direttamente dall'Agenzia per l'attrazione degli investimenti, si può provvedere, previa definizione nella convenzione di cui al comma 1, lettera b), a valere sulle risorse finanziarie, disponibili presso l'Agenzia medesima, ferme restando le modalità di utilizzo già previste dalla normativa vigente per le disponibilità giacenti sui conti di tesoreria intestati all'Agenzia.


 

 

L’articolo 43 interviene in materia di attrazione degli investimenti e di sviluppo di impresa, con particolare riferimento alle aree del Mezzogiorno.

 

In particolare il comma 1 prevede l’emanazione di un decreto di natura non regolamentare del Ministro dello sviluppo economico, al fine di stabilire i criteri, le condizioni e le modalità per la concessione di agevolazioni finanziarie a sostegno degli investimenti privati e per la realizzazione di interventi ad essi complementari e funzionali. Il decreto sarà adottato di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro per la semplificazione normativa, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.

Il Documento di programmazione economico-finanziaria 2003-2006 indicava in Sviluppo Italia S.p.a. il soggetto destinatario della missione di attrazione degli investimenti nel Mezzogiorno, da effettuarsi anche attraverso la stipula di contratti di localizzazione a natura privatistica fra i soggetti investitori e i soggetti pubblici.

Il principale strumento di attrazione degli investimenti veniva identificato nel “contratto di localizzazione”. Si tratta di uno strumento previsto nel “Programma operativo pluriennale di marketing territoriale per l’attrazione degli investimenti esteri”, finanziato dal CIPE con la delibera n. 130/2002 e richiamato dall’articolo 6, comma 13, del D.L. n. 35 del 2005, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 80 del 2005.

La disciplina normativa dell’attrazione di investimenti nelle aree sottoutilizzate è stata prevista dall’articolo 1, commi 215-218, della legge finanziaria 2005 (legge n. 311/2004), che autorizzava Sviluppo Italia S.p.A. a concedere agevolazioni alle imprese capaci di produrre effetti economici addizionali e durevoli e tali da generare esternalità positive sul territorio, indicando le diverse tipologie di agevolazione concedibile. Tale regime agevolativo non è mai divenuto operativo.

Successivamente il citato D.L. n. 35 del 2005 prevedeva la costituzione del CIPE in Comitato per l'attrazione delle risorse in Italia, rinviando ad un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri di stabilire le modalità semplificate di funzionamento del Comitato. Il Comitato avrebbe dovuto definire la strategia e fissare gli obiettivi generali che sarebbero stati attuati da Sviluppo Italia S.p.a. Anche tali disposizioni non sono divenute operative.

Da ultimo la legge finanziaria 2007 (legge n. 296/2006) all’articolo 1, comma 460, oltre a mutare la denominazione di Sviluppo Italia S.p.A. in “Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa S.p.A.“, ha attribuito al Ministro dello sviluppo economico una serie di poteri, tra cui quello di definire con apposite direttive le priorità e gli obiettivi dell’Agenzia. In particolare la direttiva del Ministro dell’economia e delle finanze del 27 marzo 2007 ha stabilito che l’azione dell’Agenzia dovrà essere diretta, con particolare riferimento al Mezzogiorno, a conseguire le seguenti priorità:

1.  favorire l’attrazione degli investimenti esteri di elevata qualità, in grado di dare un contributo allo sviluppo del sistema economico e produttivo nazionale;

2.  sviluppare l’innovazione e la competitività industriale e imprenditoriale nei sistemi produttivi e nei sistemi territoriali;

3.  promuovere la competitività e le potenzialità attrattive dei territori.

 

Il comma 1 in esame stabilisce che il decreto del Ministro dello sviluppo economico dovrà, in particolare:

a)      individuare le attività, le iniziative, le categorie di imprese, il valore minimo degli investimenti e le spese ammissibili all’agevolazione, la misura e la natura finanziaria delle agevolazioni concedibili nei limiti consentiti dalla normativa comunitaria, i criteri di valutazione dell’istanza di ammissione all’agevolazione;

b)      affidare, con le modalità stabilite da apposita convenzione, all’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo di impresa S.p.A. (ex Sviluppo Italia, vedi sopra) le funzioni relative alla gestione degli interventi, ivi comprese quelle relative alla ricezione, alla valutazione ed alla approvazione della domanda di agevolazione, alla stipula del relativo contratto di ammissione, all’erogazione, al controllo ed al monitoraggio dell’agevolazione, alla partecipazione al finanziamento dell’eventuali opere infrastrutturali complementari e funzionali all’investimento;

c)      stabilire le modalità di cooperazione con le Regioni e gli enti locali interessati, con particolare riferimento alla programmazione e realizzazione di eventuali opere infrastrutturali complementari e funzionali all’investimento;

d)      disciplinare una procedura accelerata che preveda la possibilità per l’Agenzia di chiedere al Ministero dello sviluppo economico l’indizione di conferenze di servizi, con la partecipazione di tutti i soggetti competenti all’adozione dei provvedimenti necessari per l’avvio dell’investimento privato ed alla programmazione delle opere infrastrutturali complementari e funzionali all’investimento. Completati i lavori della conferenza, e in ogni caso scaduto il termine massimo di 90 giorni (previsto dall’articolo 14-ter, comma 3, della legge n. 241 del 1990) il Ministero dello sviluppo economico adotterà, in conformità alla determinazione conclusiva della conferenza di servizi, un provvedimento di approvazione del progetto esecutivo che sostituirà, a tutti gli effetti, salvo che la normativa comunitaria non disponga diversamente, ogni autorizzazione, concessione, nulla osta o atto di assenso comunque denominato, necessario all’avvio dell’investimento agevolato e di competenza delle amministrazioni partecipanti, o comunque invitate a partecipare ma risultate assenti, alla conferenza di servizi;

e)      le agevolazioni sono cumulabili, nei limiti dei massimali previsti dalla normativa comunitaria, con benefici fiscali.

Il riferimento riguarda l’utilizzo da parte delle imprese di agevolazioni fiscali, quali, ad esempio, il credito di imposta per gli investimenti (articolo 1, commi da 271-279, della legge finanziaria 2007), il credito di imposta per nuovi occupati (articolo 2, commi da 539-548, della legge finanziaria 2008), il credito di imposta per la ricerca e lo sviluppo (articolo 1, commi da 280-284, della legge finanziaria 2007). I massimali di aiuto, espressi in equivalente sovvenzione lordo (ESL), sono distintamente indicati per i singoli territoribeneficiari (aree in deroga annesse agli aiuti di stato ai finalità regionale) in base alla Carta degli aiuti a finalità regionale, come indicati nel decreto del Ministro dello sviluppo economico del 27 marzo 2008, correttivo del precedente decreto del 7 dicembre 2007.

 

Ai sensi del comma 2 il Ministero dello sviluppo economico definisce, con apposite direttive, gli indirizzi operativi per la gestione dell’interventi di attrazione degli investimenti, vigila sull’esercizio delle funzioni affidate all’Agenzia, effettua verifiche, anche a campione, sull’attuazione degli interventi finanziati e sui risultati conseguiti per effetto degli investimenti realizzati.

Il comma 3 istituisce nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico un apposito Fondo per il finanziamento delle agevolazioni e degli interventi complementari e funzionali, nel quale affluiscono le risorse ordinarie disponibili già assegnate al Ministero dello sviluppo economico in forza di Piani pluriennali di intervento e delle risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate nell’ambito dei programmi previsti dal Quadro strategico nazionale 2007-2013 ed in coerenza con le priorità ivi individuate.

L’individuazione delle risorse di dotazione del Fondo è demandata ad un decreto del Ministero per lo sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, da emanarsi entro 60 giorni.

Il testo fa riferimento alla “data di entrata in vigore della presente legge” e dovrebbe essere corretto con il riferimento alla “data di entrata in vigore del presente decreto legge” ovvero alla legge di conversione.

 

Sul Fondo potranno confluire soltanto le risorse nazionali relative al finanziamento delle agevolazioni relative all’attrazione degli investimenti e allo sviluppo di impresa di competenza del Ministero dello sviluppo economico, mentre le quote di cofinaziamento comunitario continueranno a transitare sull’apposito conto corrente di tesoreria.

Si ricorda che le risorse aggiuntive del Fondo per le aree sottoutilizzate relative al periodo 2007-2013 (che sono peraltro contabilizzate anche nel QSN) sono state ripartite con la deliberazione CIPE n. 166 del 21 dicembre 2007.

 

Il Ministero per lo sviluppo economico si avvale dell’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti per l’utilizzo del Fondo (comma 4).

Dalla formulazione del testo, sembrerebbe che le risorse del Fondo sono gestite direttamente dall’Agenzia.

 

Il comma 5 dispone che dalla data di entrata in vigore del decreto ministeriale attuativo, non possono essere più presentate domande per l’accesso alle agevolazioni e agli incentivi concessi sulla base delle previsioni in materia di contratti di programma, ivi compresi i contratti di localizzazione. Alle domande presentate entro tale data si applica la disciplina vigente prima dell’entrata in vigore della presente legge, fatta salva la possibilità per l’interessato di chiedere che la domanda sia valutata ai fini dell’ammissione ai benefici disciplinati dal presente articolo.

In sostanza, con l’emanazione del nuovo regime di agevolazioni, vengono “superati” gli strumenti del contratto di programma e del contratto di localizzazione. Si tratta di due strumenti dedicati allo sviluppo territoriale, il primo rivolto sia ad investitori nazionali che esteri, il secondo esclusivamente ad investitori stranieri.

 

Il contratto di programma è un contratto stipulato tra l’Amministrazione statale e una o più imprese, di piccola, media o grande dimensione, per la realizzazione di un progetto industriale. Si tratta di uno strumento di intervento operativo dal 1986, che è stato più volte oggetto di riforma circa le modalità di concessione delle agevolazioni. Da ultimo, Con decreto del Ministro dello sviluppo economico del 24 gennaio 2008 sono stati emanati i “nuovi criteri, condizioni e modalità per la concessione delle agevolazioni finanziarie attraverso la sottoscrizione dei contratti di programma”, prevedendo l’attribuzione all’Agenzia Nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo di impresa delle funzioni inerenti la presentazione e la valutazione della domanda di accesso.

Il contratto di localizzazione si realizza attraverso l’inserimento di un tradizionale contratto di programma all’interno di un “Accordo di programma quadro” sottoscritto dai Ministeri dell’economia e finanze e delle attività produttive, dalla regione ospitante l’investimento e dalla Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti. L’accordo consente di affiancare ai tradizionali incentivi all’investimento, previsti nel contratto di programma, accordi operativi per la realizzazione mirata di infrastrutture materiali ed immateriali, per la garanzia di servizi amministrativi e di semplificazioni procedurali da parte degli enti locali.

 

Il comma 6 dispone l’abrogazione “immediata” delle disposizioni contenute all’articolo 1, commi 215, 216, 217, 218 e 221, della legge finanziaria 2005 (legge n. 311/2004), e all’articolo 6, commi 12, 13, 14 e 14-bis, del D.L. n. 35/2005, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 80/2005.

Si tratta di quelle norme che hanno precedentemente disciplinato l’attrazione di investimenti e che, tuttavia, non sono divenute operative (cfr. comma 1).

Alla data di entrata in vigore del decreto ministeriale previsto dal comma 1, viene disposta l’abrogazione dell’articolo 1, comma 13, del richiamato decreto legge n. 35 del 2005, concernente l’estensione del regime di agevolazioni e incentivi previsti dai contratti di localizzazione in favore delle imprese italiane che, pur avendo trasferito la propria attività all'estero in data antecedente al 17 marzo 2005, intendono reinvestire sul territorio nazionale.

 

Infine, il comma 7 prevede che per gli interventi di attrazione degli investimenti effettuati direttamente dall’Agenzia per l’attrazione degli investimenti, si possa provvedere, previa definizione nella convenzione, a valere sulle risorse finanziarie, disponibili presso l’Agenzia stessa, ferme restando le modalità di utilizzo già previste dalla normativa vigente per le disponibilità giacenti sui conti di tesoreria intestati all’Agenzia.


 

Articolo 44
(Semplificazione e riordino delle procedure di erogazione dei contributi all’editoria)


1. Con regolamento di delegificazione ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrare in vigore del presente decreto, sentito anche il Ministro per la semplificazione normativa, sono emanate senza oneri aggiuntivi per la finanza pubblica e tenuto conto delle somme complessivamente stanziate nel bilancio dello Stato per il settore dell'editoria, che costituiscono limite massimo di spesa, misure di semplificazione e riordino della disciplina di erogazione dei contributi all'editoria di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 250, e successive modificazioni, e alla legge 7 marzo 2001, n. 62, nonché di ogni altra disposizione legislativa o regolamentare ad esse connessa, secondo i seguenti principi e criteri direttivi:

a) semplificazione della documenta­zione necessaria per accedere al contributo e dei criteri di calcolo dello stesso, assicurando comunque la prova dell'effettiva distribuzione e messa in vendita della testata, nonché l'adeguata valorizzazione dell'occupazione profes­sionale;

b) semplificazione delle fasi del proce­dimento di erogazione, che garantisca, anche attraverso il ricorso a procedure informatizzate, che il contributo sia effettivamente erogato entro e non oltre l'anno successivo a quello di riferimento.


 

 

L’articolo in commento prevede il riordino, mediante un regolamento di delegificazione, della disciplina di erogazione dei contributi all’editoria. La materia[221] è attualmente regolata, in via principale, dalle disposizioni contenute nelle leggi n. 250/1990[222] e n. 62/2001[223] (più volte modificate), nonché da ulteriori norme legislative e regolamentari successivamente intervenute.

 

Si ricorda che nel corso della XIV legislatura sono stati adottati interventi specifici che hanno riguardato principalmente le misure di sostegno in favore delle imprese editrici. In particolare, si segnalano le misure di agevolazione fiscale, contenute nella legge finanziaria per il 2002[224] (art. 52, co. 75) e nella legge finanziaria per il 2004[225] (art. 4, co. 181-186), nonché quelle previste dal d.l. n. 353/2003[226] in materia di agevolazioni postali.

Anche nel corso della XV legislatura sono stati approvati singoli e specifici interventi, volti soprattutto a razionalizzare la spesa nel settore, rivedendo, di conseguenza, i parametri ed i criteri di erogazione di alcune provvidenze pubbliche a favore del settore (cfr. art. 20, co 1, d.l. 4 luglio 2006, n. 223; art. 2, co. 119-135, d.l. 3 ottobre 2006, n. 262; art. 10, d.l. 1° ottobre 2007, n. 159[227]; art. 2, co. 293-298, l. 24 dicembre 2007, n. 244).

Peraltro, si ricorda che non sono mancati negli anni più recenti tentativi di un riordino complessivo della materia. In particolare, nel corso della XIV legislatura, è stato approvato da un ramo del Parlamento un disegno di legge di iniziativa governativa di riforma del settore[228]. Tale provvedimento non ha poi concluso l’iter parlamentare, anche se alcune disposizioni sono confluite in successivi provvedimenti legislativi.

Da ultimo, il collegato alla manovra finanziaria 2007 (art 2, co. 117 e 118, d.l. n. 262/2006[229]) aveva delegato il Governo a procedere, con regolamenti di delegificazione, al riordino e alla semplificazione della disciplina delle provvidenze per le imprese editrici di quotidiani e periodici, nonché di quelle radiofoniche e televisive e, successivamente, la stessa legge finanziaria per il 2007[230] aveva previsto (art. 1, co. 1245) che il Governo elaborasse, entro sei mesi, una proposta di riforma del settore dell’editoria e dei prodotti editoriali. In attuazione di ciò, il Governo ha istituito una commissione di giuristi, professori universitari ed esperti nel settore editoriale; tale commissione ha promosso numerose audizioni ed ha delineato un progetto di riforma, approvato, come disegno di legge, nella seduta del Consiglio dei Ministri del 12 ottobre 2007. Tali riforme non hanno poi visto la luce per lo scioglimento anticipato delle Camere.

 

Il regolamento deve essere emanato entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge, previo parere del Ministro per la semplificazione normativa.

 

Si ricorda in proposito, che, ai sensi dell’art. 17, co. 2, della l. n. 400/1988[231], i regolamenti di delegificazione sono adottati con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il Consiglio di Stato, per la disciplina delle materie, non coperte da riserva assoluta di legge prevista dalla Costituzione, per le quali le leggi della Repubblica, autorizzando l'esercizio della potestà regolamentare del Governo, determinano le norme generali regolatrici della materia e dispongono l'abrogazione delle norme vigenti, con effetto dall'entrata in vigore delle norme regolamentari.

 

Sono previsti due principi direttivi ai quali il regolamento di riordino della materia deve uniformarsi.

Il primo riguarda la semplificazione della documentazione necessaria per accedere ai contributi e dei criteri di calcolo dei contributi stessi. In ogni caso, per accedere ai contributi si richiede:

a)      la prova dell’effettiva distribuzione e messa in vendita della testata (al posto della attuale dichiarazione relativa alla tiratura);

b)      l’adeguata valorizzazione dell’occupazione professionale.

 

Il secondo principio attiene alla semplificazione delle fasi del procedimento di erogazione. In particolare, la nuova disciplina dovrà garantire, anche mediante l’ausilio delle procedure informatizzate, che il contributo sia effettivamente erogato entro e non oltre l’anno successivo a quello di riferimento.

 

La disciplina procedurale per la concessione dei contributi è contenuta nel D.P.R. 2 dicembre 1997, n. 525[232], ed è stata oggetto di numerose modifiche ed integrazioni intervenute successivamente alla sua approvazione nonché, in alcuni casi, contenute in disposizioni di legge.

Per quanto riguarda i tempi di erogazione, si ricorda che l’articolo 1, co. 454, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria 2006) ha soppresso – con decorrenza a partire dai contributi per l’anno 2005 - l’anticipazione sui contributi all’editoria (di cui all’art. 3, co. 15-bis della l. n. 250/1990), prevedendo al contempo che questi ultimi siano erogati in un'unica soluzione entro l'anno successivo a quello di riferimento. Solo nel caso in cui le erogazioni delle provvidenze siano state effettuate mediante il riparto percentuale dei contributi tra gli aventi diritto, le quota restanti possono essere erogate anche oltre il termine dell’anno successivo a quello di riferimento (art. 1, co. 1246, l. finanziaria per il 2007).

 

Infine, la norma in esame stabilisce che il riordino non deve comportare oneri aggiuntivi per la finanza pubblica e che le somme stanziate nel bilancio dello Stato per il settore dell’editoria costituiscono limite massimo di spesa per il settore.

 

In proposito, si ricorda che le spese per interventi di sostegno concernenti i settori dell’informazione e dell’editoria, di competenza del Dipartimento per l’informazione e l’editoria della Presidenza del Consiglio dei ministri, trovano ora collocazione nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze (tabella 2), all’interno della missione 11 ‘Comunicazioni’ e del programma ‘Sostegno all’editoria’[233].

Nel bilancio di previsione dello Stato per l’anno 2008 sono complessivamente stanziate per tale programma risorse pari a 450,3 milioni di euro[234].


 

Articolo 45
(Soppressione del Servizio consultivo ed ispettivo tributario e
della Commissione spesa pubblica)


1. A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto, il Servizio consultivo ed ispettivo tributario è soppresso e, dalla medesima data, le relative funzioni sono attribuite al Dipartimento delle finanze del Ministero dell'economia e delle finanze ed il relativo personale amministrativo è restituito alle amministrazioni di appartenenza ovvero, se del ruolo del Ministero dell'economia e delle finanze, assegnato al Dipartimento delle finanze di tale Ministero.

2. A decorrere dalla data di cui al comma 1, sono o restano abrogate tutte le disposizioni incompatibili con quelle di cui al medesimo comma 1 e, in particolare:

a)a) gli articoli 9, 10, 11, 12 della legge 24 aprile 1980, n. 146, e successive modificazioni;

b)b) l'articolo 22 del regolamento emanato con decreto del Presidente della Repubblica 26 marzo 2001, n. 107;

c)c) gli articoli 2, comma 1, lettera d), e 3, comma 1, lettere d) ed e), limitatamente al primo periodo, del decreto legislativo 3 luglio 2003, n. 173;

d)d) gli articoli 4, comma 1, lettera c), e 18 del regolamento emanato con decreto del Presidente della Repubblica 30 gennaio 2008, n. 43;

e)e) gli articoli da 14 a 29 del regolamento emanato con decreto del Presidente della Repubblica 27 marzo 1992, n. 287, e successive modificazioni.

3. A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto, l'organismo previsto dall'articolo 1, comma 474, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, è soppresso. Conseguentemente, sono abrogati i commi 477, 478 e 479 del medesimo articolo. Le risorse rinvenienti dall'abrogazione del comma 477 sono iscritti in un apposito fondo dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze. Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze sono adottate le variazioni degli assetti organizzativi e funzionali conseguenti alla soppressione del predetto organismo e si provvede anche con riferimento al relativo personale, tenuto conto delle attività di cui al comma 480 del medesimo articolo 1.


 

 

L’articolo 45 dispone la soppressione del Servizio consultivo ed ispettivo tributario - SECIT (commi 1 e 2)nonché della Commissione tecnica per la finanza pubblica (comma 3).

 

Il comma 1 dell’articolo in esame dispone la soppressione del SECIT a decorrere dall’entrata in vigore del decreto-legge in esame ed il trasferimento delle relative funzioni al Dipartimento delle finanze del Ministero dell’economia e delle finanze, nonché la restituzione del personale amministrativo alle amministrazioni di appartenenza ovvero, se del ruolo del Ministero dell’economia e delle finanze, l’assegnazione al Dipartimento delle finanze.

Il Servizio consultivo e ispettivo tributario è un ufficio che opera alle dirette dipendenze del Ministro dell’ Economia e delle Finanze (articolo 25, comma 1, D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300[235]), istituito dall'articolo 9 della legge 24 aprile 1980, n. 146[236] con funzioni in parte ispettive ed in parte di controllo contribuenti, di programmazione e di studio.

Le prerogative del servizio sono stabilite dall' articolo 22 del D.P.R. 26 marzo 2001, n. 107[237]. Esso è costituito da cinquanta esperti e si occupa di elaborare studi di politica economica e tributaria e di analisi fiscale in conformità agli indirizzi stabiliti dal Ministro per la definizione degli obiettivi e dei programmi, anche nell’esercizio delle funzioni di indirizzo politico ed amministrativo, acquisendo informazioni e utilizzando dati in possesso dell'amministrazione finanziaria, ivi comprese le agenzie. Il SECIT, a richiesta del Ministro e sulla base di specifiche direttive, effettua valutazioni sulle modalità complessive dell'esercizio delle funzioni fiscali da parte del corpo della Guardia di finanza e delle agenzie, ai fini della vigilanza generale da parte del Ministro stesso.

Al servizio sono addetti non più di cento impiegati (articolo 3, comma 1, lettera d) del D.Lgs. 3 luglio 2003 n. 173[238]), designati con decreto del Ministro delle finanze, per una metà tra il personale appartenente alla carriera direttiva dell'amministrazione finanziaria e per l'altra metà alla carriera di concetto della stessa amministrazione (articolo 12 della citata legge n. 146 del 1980).

 

Si ricorda al riguardo che con D.P.R. 30 gennaio 2008 n. 43 è stato emanato il Regolamento di riorganizzazione del Ministero dell'economia e delle finanze[239]. La sezione III del Capo II (articoli 14 e 15) del regolamento disciplina le funzioni del Dipartimento delle finanze (ex Dipartimento delle politiche fiscali) al quale, tra l’altro, sono affidati compiti di analisi, elaborazione e valutazione delle politiche economico-fiscali (articolo 14, comma 1, lett. a) nonché di vigilanza, in relazione alla quale valuta - ferma restando l'attività del Ministro di alta vigilanza - le modalità complessive dell'esercizio delle funzioni fiscali da parte delle agenzie e degli altri soggetti operanti nel settore della fiscalità di competenza dello Stato, sotto il profilo della trasparenza, imparzialità e correttezza nell'applicazione delle norme (articolo 14, comma 1, lettera l) del D.P.R. n. 43 del 2008).

 

Il comma 2 dell’articolo in esame, con funzioni di coordinamento, prevede l’abrogazione delle disposizioni incompatibili con la disciplina contestualmente introdotta e, in particolare, di una serie di norme legislative e regolamentari espressamente indicate.

Il comma 3 dispone altresì la soppressione della Commissione tecnica per la finanza pubblica[240], istituita presso il Ministero dell'economia e delle finanze dal comma 474 della legge n. 296 del 2006 (legge finanziaria per il 2007), con compiti di studio e analisi riferiti al processo di armonizzazione e di coordinamento della finanza pubblica e di riforma dei bilanci delle amministrazioni pubbliche. Con specifico riferimento al bilancio dello Stato, alla Commissione è stato assegnato il compito di disegnare una diversa classificazione della spesa, anche mediante ridefinizione delle unità elementari ai fini dell'approvazione parlamentare, finalizzata al miglioramento della scelta allocativa e ad una efficiente gestione delle risorse, rafforzando i processi di misurazione delle attività pubbliche e la responsabilizzazione delle competenti amministrazioni[241].

Conseguentemente, la norma in esame dispone l’abrogazione dei commi 477, 478 e 479 dell’articolo 1 della citata legge finanziaria per il 2007.

In particolare, il comma 477 prevedeva che, per l'espletamento della sua attività, la Commissione tecnica per la finanza pubblica si avvalesse della struttura di supporto dell'Alta Commissione di studio[242] per la definizione dei meccanismi strutturali del federalismo fiscale, istituita dalla legge finanziaria per il 2003, la quale veniva contestualmente soppressa.

Era altresì stabilito che, ai fini dello svolgimento delle proprie funzioni, la Commissione potesse avvalersi degli strumenti di supporto previsti per la soppressa Commissione tecnica per la spesa pubblica[243] (soppressa a suo tempo contestualmente alla istituzione dell’Alta Commissione di studio per la definizione dei meccanismi strutturali del federalismo fiscale), ivi incluso l'accesso ai sistemi informativi della Ragioneria generale dello Stato[244], e l’istituzione di una segreteria tecnica, ai sensi dell'articolo 8, commi 4 e 5, della legge 17 dicembre 1986, n. 878[245], nonché disporre la stipula di contratti di consulenza con esperti, enti o società specializzate. Per la costituzione della Commissione in esame il comma 477 aveva autorizzato la spesa di 1.200.000 euro annui a decorrere dal 2007.

Il comma 478, richiamando la disposizione del comma 474 che definiva nel numero di 10 membri la composizione della predetta Commissione, prevedeva che essi fossero scelti tra esperti di alto profilo tecnico-scientifico e di riconosciuta competenza in materia di finanza pubblica, tre dei quali in rappresentanza delle regioni e degli enti locali e scelti tra una rosa di nomi indicati dalla Conferenza unificata[246].

Il comma 479, infine, disponeva che i membri della Commissione fossero nominati per tre anni, con possibilità di rinnovo, alla scadenza, per una sola volta.

 

La norma prevede inoltre che le risorse finanziarie derivanti dall’abrogazione del comma 477, pari a 1,2 milioni di euro a partire dall’anno in corso (2008), siano iscritte in un apposito fondo dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze.

 

Si dispone, infine, che con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze siano adottate le variazioni degli assetti organizzativi e funzionali conseguenti alla soppressione della Commissione. Anche con riferimento al personale, si dispone che tali variazioni siano effettuate tenuto conto delle attività di cui al comma 480, articolo 1, della citata legge finanziaria per il 2007.

Si ricorda che il comma 480 ha previsto che, per l’anno 2007, il Ministro dell'economia, avvalendosi anche della Commissione tecnica per la finanza pubblica istituita dal comma 474, promuove la realizzazione di un programma straordinario di analisi e valutazione della spesa delle amministrazioni centrali, anche in relazione alla applicazione delle disposizioni del comma 507 della citata legge finanziaria per il 2007[247], individuando le criticità, le opzioni di riallocazione delle risorse, le possibili strategie di miglioramento dei risultati ottenibili con le risorse stanziate, sul piano della qualità e dell'economicità[248].

 

Si rileva che, dalla data della sua istituzione (16 marzo 2007), la Commissione tecnica per la finanza pubblica ha elaborato documenti tecnici[249], tra i quali il Libro verde sulla spesa pubblica (settembre 2007) ed il Rapporto intermedio sulla revisione della spesa (dicembre 2007), che si inseriscono nell’ambito del generale processo di riforma del bilancio dello Stato e della finanza pubblica, con particolare riferimento allo strumento della revisione della spesa (spending review) e alla nuova classificazione del bilancio dello Stato per missioni e per programmi.

Si rammenta, infatti, che in data 6 febbraio 2007, il Ministro per i rapporti con il Parlamento ha trasmesso alle Camere copia della relazione sugli orientamenti del Ministero dell’economia e delle finanze in materia di struttura del bilancio e di valutazione della spesa, illustrate nel corso del Consiglio dei ministri del 2 febbraio 2007, sulla base del mandato affidato al Ministro dell’economia dai commi 474, 476, 480 e 507 della legge finanziaria 2007.

In particolare, il Ministro ha inteso avviare due azioni parallele, tra loro coordinate, avvalendosi anche della Commissione tecnica per la finanza Pubblica:

1)  attivare un programma di analisi e valutazione della spesa pubblica (cd. spending review), a sua volta articolato in due processi simultanei: a) riesamina delle priorità e dell’efficacia dei principali programmi di spesa dello Stato; b) esame degli aspetti organizzativi comuni per il complesso delle amministrazioni, includendo il piano di attuazione delle misure previste dal comma 507 della legge finanziaria per il 2007.

2)  proporre linee generali per la revisione del sistema di classificazione del bilancio.

 

Con particolare riferimento a quest’ultimo punto, il Ministro dell’Economia e delle Finanze ha dettato alcuni indirizzi di massima, tra i quali:

a)       semplificazione del bilancio, in modo che la struttura del bilancio riconduca ad una classificazione per funzioni dello Stato, utilizzando in maniera flessibile l’approccio funzionale definito negli standard internazionali (COFOG), in particolare avvicinandosi all’articolazione dei Ministeri e delle Commissioni parlamentari “di merito”;

b)       piena attuazione dell’informatizzazione del sistema della contabilità di finanza pubblica (SIOPE, codice unico);

c)       ristrutturazione della legge finanziaria, in modo da ricalcare la classificazione del bilancio, richiamando le dotazioni di risorse per funzioni già assegnate con la legge di bilancio e individuando le relative variazioni;

d)       diminuzione della mole complessiva degli interventi connessi alla manovra di bilancio, definendo in tale sede le misure per il raggiungimento degli obiettivi;

e)       migliore controllo del contenuto della legge finanziaria, proponendo la tecnica delle “risorse di settore” per funzioni e del controllo interno per aggregati di norme omogenee.

f)         disponibilità a collaborare per un disegno di revisione della procedura di esame parlamentare dei disegni di legge di bilancio e finanziaria.


 

Articolo 46
(Riduzione delle collaborazioni e consulenze nella pubblica amministrazione)


1. Il comma 6 dell'articolo 7 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, come modificato dal decreto legge 4 luglio 2006, n. 233, convertito dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, e da ultimo dall'articolo 3, comma 76, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, è così sostituito: «6. Per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa, ad esperti di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria, in presenza dei seguenti presupposti di legittimità:

a) l'oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite dall'ordinamento all'amministrazione conferente, ad obiettivi e progetti specifici e determinati e deve risultare coerente con le esigenze di funzionalità dell'ammini­strazione conferente;

b) l'amministrazione deve avere preliminarmente accertato l'impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno;

c) la prestazione deve essere di natura temporanea e altamente qualificata;

d) devono essere preventivamente determinati durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione.

Si prescinde dal requisito della comprovata specializzazione universitaria in caso di stipulazione di contratti d'opera per attività che debbano essere svolte da professionisti iscritti in ordini o albi o con soggetti che operino nel campo dell'arte, dello spettacolo o dei mestieri artigianali, ferma restando la necessità di accertare la maturata esperienza nel settore.

Il ricorso a contratti di collaborazione coordinata e continuativa per lo svolgimento di funzioni ordinarie o l'utilizzo dei collaboratori come lavoratori subordinati è causa di responsabilità amministrativa per il dirigente che ha stipulato i contratti. Il secondo periodo dell'articolo 1, comma 9, del decreto-legge 12 luglio 2004, n. 168 è abrogato.».

2. L'articolo 3, comma 55, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 è così sostituito: «Gli enti locali possono stipulare contratti di collaborazione autonoma, indipendentemente dall'oggetto della prestazione, solo con riferimento alle attività istituzionali stabilite dalla legge o previste nel programma approvato dal Consiglio ai sensi dell'articolo 42, comma 2, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267».

3. L'articolo 3, comma 56, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 è così sostituito: «Con il regolamento di cui all'articolo 89 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, sono fissati, in conformità a quanto stabilito dalle disposizioni vigenti, i limiti, i criteri e le modalità per l'affidamento di incarichi di collaborazione autonoma, che si applicano a tutte le tipologie di prestazioni. La violazione delle disposizioni regolamentari richiamate costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale. Il limite massimo della spesa annua per incarichi di collaborazione è fissato nel bilancio preventivo».


 

 

L’articolo 46 reca misure in tema di collaborazioni e consulenze nelle pubbliche amministrazioni e negli enti locali, apportando in particolare modifiche alla disciplina introdotta in materia dalla legge finanziaria 2008[250], anche allo scopo di superare alcune incertezze interpretative che si erano determinate in sede di prima applicazione della nuova disciplina.

Più specificamente, il comma 1 interviene sulla disciplina generale degli incarichi di collaborazione occasionale e coordinata e continuativa nelle pubbliche amministrazioni[251], sostituendo integralmente il comma 6 dell’articolo 7 del D.Lgs. 165/2001[252], attraverso un intervento su una disposizione che era stata già oggetto di una prima riscrittura ad opera dell’art. 32 del D.L. 223/2006[253] (c.d. “decreto Bersani 1”), e successivamente modificata dal co. 76 dell’art. 3 dell’ultima legge finanziaria.

 

D.Lgs. 165/2001
testo risultante dalle modifiche apportate, da ultimo, dalla L. 244/2007

D.Lgs. 165/2001
testo modificato dal D.L. 112/2008

[…]

[…]

Art. 7

Art. 7

Gestione delle risorse umane

Gestione delle risorse umane

[…]

[…]

6. Per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, le ammini­strazioni pubbliche possono conferire incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa, ad esperti di particolare e comprovata specializzazione universitaria, in presenza dei seguenti presupposti:

6. Per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, le ammini­strazioni pubbliche possono conferire incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa, ad esperti di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria, in presenza dei seguenti presupposti di legittimità:

a) l'oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite dall'ordinamento all'amministrazione conferente e ad obiettivi e progetti specifici e determinati;

a) l'oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite dall'ordinamento all'amministrazione conferente e ad obiettivi e progetti specifici e determinati e deve risultare coerente con le esigenze di funzionalità dell’amministrazione conferente;

b) l'amministrazione deve avere prelimi­narmente accertato l'impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno;

Identica.

c) la prestazione deve essere di natura temporanea e altamente qualificata;

Identica.

d) devono essere preventivamente determinati durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione.

Identica.

 

Si prescinde dal requisito della comprovata specializzazione universi­taria in caso di stipulazione di contratti d’opera per attività che debbano essere svolte da professionisti iscritti in ordini o albi o con soggetti che operino nel campo dell’arte, dello spettacolo o dei mestieri artigianali, ferma restando la necessità di accertare la maturata esperienza nel settore. Il ricorso a contratti di collaborazione coordinata e continuativa per lo svolgimento di funzioni ordinarie o l’utilizzo dei collaboratori come lavoratori subordinati è causa di responsabilità amministrativa per il dirigente che ha stipulato i contratti. Il secondo periodo dell’articolo 1, comma 9, del decreto legge 12 luglio 2004, n. 168 è abrogato.

6-bis. Le amministrazioni pubbliche disci­plinano e rendono pubbliche, secondo i propri ordinamenti, procedure comparative per il conferimento degli incarichi di collaborazione

6-bis. Identico.

6-ter. I regolamenti di cui all'articolo 110, comma 6, del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, si adeguano ai principi di cui al comma 6

6-ter. Identico.

6-quater. Le disposizioni di cui ai commi 6, 6-bis e 6-ter non si applicano ai componenti degli organismi di controllo interno e dei nuclei di valutazione, nonché degli organismi operanti per le finalità di cui all’articolo 1, comma 5, della legge 17 maggio 1999, n. 144.

6-quater. Identico.

 

Nel suo testo originario il comma 6 dell’art. 7 si limitava a prevedere che le amministrazioni pubbliche, per far fronte ad esigenze non fronteggiabili con il personale in servizio, potessero conferire incarichi individuali ad esperti di provata competenza, determinando preventivamente durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione.

A seguito delle modifiche introdotte dal “decreto Bersani 1” il comma 6 nello specificare che il conferimento degli incarichi individuali dovesse avvenire con contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa[254], prevede che l’attribuzione dovesse essere effettuata nel rispetto dei seguenti presupposti:

-        corrispondenza dell’oggetto della prestazione alle competenze proprie dell’amministrazione interessata, nonché ad obiettivi e progetti specifici e determinati;

-        preliminare accertamento da parte dell’amministrazione conferente dell’impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane a disposizione;

-        natura temporanea e altamente qualificata della prestazione;

-        preventiva determinazione della durata, del luogo, dell’oggetto e del compenso della collaborazione.

Il successivo comma 6-bis prevede, inoltre, che tutte le amministrazioni pubbliche debbano disciplinare e rendere pubbliche procedure comparative per il conferimento degli incarichi di collaborazione.

La legge finanziaria 2008 ha infine precisato che gli incarichi individuali esterni possono esser conferiti solamente a soggetti di particolare e comprovata professionalità a livello di specializzazione universitaria[255].

 

La riscrittura operata dalla disposizione in esame, nel precisare che i requisiti indicati dall’art. 7, co. 6, del D.Lgs. 165/2001 costituiscono presupposti di legittimità per l’affidamento dell’incarico[256], prevede in primo luogo che la particolare e comprovata specializzazione non debba necessariamente essere di natura universitaria.

In quest’ottica si dispone, infatti, che il carattere universitario della specializzazione richiesto non abbia natura esclusiva (la disposizione fa ora riferimento a una specializzazione “anche” universitaria) e si introducono, in un nuovo periodo del comma 6, deroghe al requisito della formazione universitaria per le fattispecie di contratti d’opera stipulati con:

§      professionisti iscritti in ordini o albi;

§      soggetti che operino nel campo dell’arte, dello spettacolo o dei mestieri artigianali.

Per entrambe le fattispecie, la disposizione richiede comunque che sia accertato che l’esperto abbia maturato un’esperienza nel settore.

 

Con riferimento alle fattispecie oggetto della deroga, si segnala che la disposizione in esame fa espressamente riferimento ai soli “contratti d’opera”, che in base all’articolo 2222 c.c. sussistono ogniqualvolta una persona si obbliga, dietro la corresponsione di un corrispettivo, a compiere un'opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente. Nell’ambito applicativo della disposizione dovrebbero peraltro rientrare anche i contratti di prestazione d’opera intellettuale di cui all’articolo 2230 c.c., tenuto conto dell’esplicito riferimento a contratti stipulati con professionisti iscritti in ordini o albi.

Per quanto attiene all’esperienza richiesta, la disposizione sembra richiamare, in particolare, quanto previsto nell’alinea del comma 6 in ordine alla “particolare e comprovata specializzazione”.

 

Con riferimento alle deroghe in esame, potrebbe essere opportuno chiarire se esse abbiano natura tassativa ovvero se – anche in relazione alla formulazione dell’alinea del comma 6 - possano darsi ulteriori casi nei quali non sia richiesta una specializzazione di carattere universitario.

 

Al riguardo si segnala che a seguito dell’entrata in vigore della legge finanziaria 2008 si sono poste numerose questioni interpretative e applicative con riferimento al requisito della “comprovata specializzazione universitaria” introdotto per le collaborazioni e le consulenze.

In materia è intervenuta, in particolare, la circolare della Presidenza del Consiglio n. 2/2008[257], che ha evidenziato in via generale come l’innovazione introdotta rende in primo luogo impossibile il ricorso a qualsiasi rapporto di collaborazione esterna per attività non altamente qualificate, con la conseguente illegittimità di qualsiasi tipologia di contratto stipulato in violazione di tali presupposti, rafforzando, pertanto, quanto già indicato alla lettera c) del comma 6 dell’articolo 7.

Con più specifico riferimento alla specializzazione universitaria, la circolare evidenzia come l’espressione utilizzata debba far ritenere quale requisito minimo necessario il possesso della laurea magistrale o del titolo equivalente, attinente l’oggetto dell’incarico. Non sono tuttavia da escludere percorsi didattici universitari completi e definiti formalmente dai rispettivi ordinamenti, finalizzati alla specializzazione richiesta, in aggiunta alla laurea triennale.

In via generale, quindi, alle amministrazioni pubbliche non è consentito stipulare contratti di lavoro autonomo con persone con una qualificazione professionale inferiore. L’articolo 7, tuttavia, costituisce la disciplina generale in tema di ricorso alle collaborazioni esterne, e, pertanto, rimangono vigenti tutte quelle previsioni normative che, per specifiche attività, determinano i requisiti dei collaboratori o anche le procedure per l’affidamento dell’incarico[258].

 

La disposizione in esame modifica altresì il contenuto della lettera a) del comma 6 dell’articolo 7 del D.Lgs. 165/2001, al fine di circoscrivere ulteriormente le prestazioni che possono essere oggetto del contratto di lavoro autonomo.

A seguito delle innovazioni introdotte dall’articolo in esame, per la legittimità del conferimento dell’incarico ad un esperto esterno si richiede che la prestazione, oltre a corrispondere ad un ambito di competenze attribuito all’amministrazione conferente e a precisi obiettivi e progetti, deve anche essere coerente con le esigenze di funzionalità dell’amministrazione che attribuisce l’incarico.

Da ultimo, al comma 6 viene inserito un terzo periodo, volto a prevedere una disciplina sanzionatoria per l’illegittima stipulazione di contratti di collaborazione coordinata e continuativa. Non sono previste invece espresse innovazioni con riferimento alle sanzioni per la violazione delle disposizioni in materia di stipulazione di contratti di lavoro autonomo di natura occasionale.

In particolare, la novella introduce una nuova fattispecie tipizzata di responsabilità amministrativa per il dirigente che ha fatto ricorso a contratti di collaborazione coordinata e continuativa:

§      per svolgere funzioni ordinarie dell’amministrazione;

§      utilizzando i collaboratori come lavoratori subordinati.

 

In linea generale si evidenzia come l’esame dei più recenti interventi normativi in materia di responsabilità amministrativa pare evidenziare come negli ultimi anni si sia realizzato un processo di tipizzazione delle fattispecie di responsabilità erariale, che si è andato consolidando nel corso della XV legislatura, ed in particolare con le previsioni della legge finanziaria 2008.

In diverse disposizioni recentemente approvate, in particolare nell’ambito delle leggi finanziarie, infatti, il legislatore ha stabilito a priori la condotta illecita da cui scaturisce la responsabilità erariale, affidando in sostanza al giudice contabile esclusivamente il compito di verificare l’integrazione della fattispecie nel caso concreto e l’individuazione dell’effettivo responsabile della violazione. In molti casi, inoltre, oltre alla tipizzazione della fattispecie, la norma speciale provvede anche ad individuare misure di carattere demolitorio per gli atti dannosi (prevedendone la nullità), nonché sanzioni pecuniarie che superano la tradizionale ottica risarcitoria della responsabilità amministrativa, prevedendo la predeterminazione della sanzione in un multiplo del danno arrecato o di un parametro altrimenti rilevante.

Di recente, le sezioni riunite della Corte dei conti[259] hanno ricostruito il descritto fenomeno, evidenziando appunto come negli ultimi anni si sia venuto delineando un sistema tipizzato di fattispecie di responsabilità sanzionatoria. Tale sistema è il risultato della previsione, sul piano legislativo, di fattispecie tipizzate di illeciti amministrativo-contabili, che si aggiungono alle tradizionali fattispecie di responsabilità sanzionatoria già conosciute dall'ordinamento e rientranti nella giurisdizione della Corte dei conti. Secondo la Corte, le nuove fattispecie di responsabilità previste dalla legge stanno dando luogo ad un vero e proprio sistema sanzionatorio contabile che si affianca, nella tutela delle risorse pubbliche, al sistema tradizionale della responsabilità amministrativa di tipo risarcitorio basato sulla clausola generale del risarcimento dei danni cagionati.

In sostanza, per la Corte sussistono, quindi, due species di responsabilità amministrativa:

-        una responsabilità amministrativa per danno, di tipo risarcitorio, che configura una responsabilità generica, nel senso che non è tipizzata né nei comportamenti, né nella quantificazione del debito. Tale responsabilità sorge ogniqualvolta vi sia un danno patrimoniale risarcibile, economicamente valutabile, attuale e concreto, sofferto dall'amministrazione pubblica, purché il comportamento omissivo o commissivo del soggetto cui il danno è ricollegabile sia connotato dall'elemento psicologico del dolo o della colpa grave;

-        una responsabilità amministrativa a carattere sanzionatorio, che invece è tipizzata, in quanto, essendo di tipo sanzionatorio, le relative fattispecie devono necessariamente corrispondere al principio di stretta legalità di cui all’art. 25 Cost. Tali fattispecie sono tassative (non sono pertanto suscettibili di interpretazione analogica), e devono essere determinate e specifiche (nel senso che la legge deve molto puntualmente indicare ogni elemento dell'intera fattispecie sanzionatoria).

 

Con specifico riferimento alle ipotesi di responsabilità per il conferimento degli incarichi di collaborazione in assenza dei requisiti stabiliti dall'art. 7, co. 6, del D.Lgs. 165/2001, la ricordata circolare n. 2/2008 evidenziava come – già prima della modifica introdotta dalla disposizione in esame - ci si trovasse dinanzi ad una responsabilità amministrativa del dirigente che avesse conferito l'incarico in violazione delle norme vigenti, con possibili risvolti anche sul piano della responsabilità disciplinare.

Più in particolare, la circolare evidenziava che qualora l'incarico di collaborazione si traducesse nella sostanza in un rapporto di lavoro subordinato si profilasse una responsabilità civile nei confronti del prestatore d'opera ex art. 2126 c.c., in relazione alla stipulazione di un contratto di lavoro nullo, che comunque dà titolo al prestatore di lavoro di richiedere la retribuzione da parte dell'amministrazione pubblica. Tale responsabilità dell’amministrazione rileverebbe peraltro sotto il profilo del danno erariale cagionato dal dirigente in quanto, sebbene l'amministrazione si sia giovata della prestazione lavorativa, e quindi non possa considerarsi danneggiata in senso lato, la pubblica amministrazione sarebbe comunque danneggiata poiché essa è in ogni caso tenuta a porre in essere comportamenti legittimi.

Quanto ai presupposti soggettivi per l’integrazione di tali fattispecie di responsabilità, la circolare evidenziava che la prevalente giurisprudenza della Corte dei conti avesse spesso escluso la possibilità di riscontrare una colpa lieve quando ha valutato l'attribuzione di incarichi in assenza dei presupposti di legge e avesse spesso operato un contemperamento fra potere di riduzione e necessità di rispetto dei canoni di legittimità e, quindi, fra il parametro della cosiddetta «utilità gestoria», ove presente, e il parametro pubblicistico di buon andamento e tutela degli interessi pubblici.

In questa ottica, la circolare riteneva che fosse applicabile anche all’utilizzo illegittimo dei contratti di collaborazione il comma 6 dell'art. 36 del D.Lgs. 165/2001[260] qualora detti contratti fossero stati stipulati in luogo dei contratti di lavoro subordinato a tempo determinato con l'intento di eludere i limiti imposti dal medesimo articolo. La disposizione richiamata, nel prevedere che la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori da parte delle pubbliche amministrazioni non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato, riconosce al lavoratore il diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro svolta, imponendo alle amministrazioni interessate l’obbligo di recuperare le somme pagate, a danno dei dirigenti responsabili, qualora la violazione sia dovuta a dolo o colpa grave. Per le amministrazioni pubbliche che abbiano operato in violazione della disciplina in materia di contratti di lavoro flessibile è previsto il divieto di effettuare assunzioni per il triennio successivo alla violazione commessa[261].

 

In relazione alle modifiche introdotte, la novella prevede infine, in un ulteriore periodo, l’abrogazione del secondo periodo dell’articolo 1, comma 9, del D.L. 168/2004[262], che prevedeva per l’affidamento degli incarichi di studio, di ricerca o delle consulenze una disciplina sostanzialmente analoga a quella dell’art. 7, co. 6, del D.Lgs. 165/2001.

 

La norma abrogata richiedeva che l'affidamento degli incarichi e delle consulenze a soggetti estranei all'amministrazione dovesse riferirsi a materie ed oggetti rientranti nelle competenze della struttura burocratica dell'amministrazione pubblica, essere adeguatamente motivato e potesse avvenire solo nei casi previsti dalla legge ovvero nell'ipotesi di eventi straordinari.

 

Con riferimento alla formulazione della norma, potrebbe valutarsi l’opportunità di prevedere che l’abrogazione non sia inserita nella novella all’articolo 7, co. 6, del D.Lgs. 165/2001, ma sia disposta in una autonoma disposizione. In ogni caso, si ricorda che, in base alle Regole e raccomandazioni sulla formulazione tecnica dei testi legislativi[263], il verbo “abrogare” è utilizzato con riferimento a disposizioni di livello non inferiore al comma, mentre per fare riferimento a periodi è usato il verbo “sopprimere”. Sempre in relazione a quanto previsto dalle Regole e raccomandazioni sulla formulazione tecnica dei testi legislativi, sembrerebbe altresì opportuno fare riferimento al decreto-legge come risultante dalla legge di conversione. Ai fini di una migliore comprensibilità del dettato normativo si segnala, infine, l’opportunità di una riformulazione del testo dell’articolo 1, comma 9, del D.L. 168/2004 in relazione alla soppressione del secondo periodo (in particolare, in assenza del secondo periodo, appare di difficile comprensione la disposizione contenuta nel periodo successivo).

 

I commi 2 e 3 dell’articolo in esame sostituiscono integralmente i commi 55 e 56 dell’articolo 3 della legge finanziaria 2008, che recano una disciplina volta a rafforzare i controlli sulle spese degli enti locali per incarichi di collaborazione.

 

L. 244/2007
testo originario

L. 244/2007
testo modificato dal D.L. 112/2008

[…]

[…]

Art. 3

Art. 3

Disposizioni in materia di: Fondi da ripartire; Contenimento e razionalizzazione delle spese valide per tutte le missioni; Pubblico impiego; Norme finali.

Disposizioni in materia di: Fondi da ripartire; Contenimento e razionalizzazione delle spese valide per tutte le missioni; Pubblico impiego; Norme finali.

[…]

[…]

55. L’affidamento da parte degli enti locali di incarichi di studio o di ricerca, ovvero di consulenze, a soggetti estranei all’amministrazione può avvenire solo nell’ambito di un programma approvato dal consiglio ai sensi dell’articolo 42, comma 2, lettera b), del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.

55. Gli enti locali possono stipulare contratti di collaborazione autonoma, indipendentemente dall’oggetto della prestazione, solo con riferimento alle attività istituzionali stabilite dalla legge o previste nel programma approvato dal Consiglio ai sensi dell’articolo 42, comma 2, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.

56. Con il regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi emanato ai sensi dell’articolo 89 del citato decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, sono fissati, in conformità a quanto stabilito dalle disposizioni vigenti, i limiti, i criteri e le modalità per l’affidamento di incarichi di collaborazione, di studio o di ricerca, ovvero di consulenze, a soggetti estranei all’amministrazione. Con il medesimo regolamento è fissato il limite massimo della spesa annua per gli incarichi e consulenze. L’affidamento di incarichi o consulenze effettuato in violazione delle disposizioni regolamentari emanate ai sensi del presente comma costituisce illecito disciplinare e determina respon­sabilità erariale.

56. Con il regolamento di cui all’articolo 89 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, sono fissati, in conformità a quanto stabilito dalle disposizioni vigenti, i limiti, i criteri e le modalità per l’affidamento di incarichi di collaborazione autonoma, che si applicano a tutte le tipologie di prestazioni. La violazione delle dispo­sizioni regolamentari richiamate costi­tuisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale. Il limite massimo della spesa annua per incarichi di collaborazione è fissato nel bilancio preventivo.

 

In particolare, il comma 55 nel testo previgente stabiliva che gli incarichi di studio, di ricerca e le consulenze potessero essere conferiti dall’ente locale solo nell’ambito di un programma approvato dal Consiglio dell’ente stesso.

La norma richiama espressamente i programmi approvati ai sensi dell’art. 42, co. 2, lett. b) del testo unico sugli enti locali (T.U.E.L.[264]). Tale disposizione riporta un elenco delle attribuzioni dei Consigli comunali e provinciali, nella quale la competenza dell’organo consiliare ècircoscritta agli atti fondamentali di natura programmatoria o aventi un elevato contenuto di indirizzo politico, mentre sono affidati alle Giunte comunali tutti gli atti rientranti nelle funzioni degli organi di governo. In particolare, la lettera b) richiamata dalla disposizione in esame prevede che spetti ai Consigli la competenza su atti di programmazione e su documenti di bilancio (“programmi, relazioni previsionali e programmatiche, piani finanziari, programmi triennali e elenco annuale dei lavori pubblici, bilanci annuali e pluriennali e relative variazioni, rendiconto, piani territoriali ed urbanistici, programmi annuali e pluriennali per la loro attuazione, eventuali deroghe ad essi, pareri da rendere per dette materie”). Il comma 4 del medesimo art. 42 esclude che deliberazioni in ordine alle materia affidate alla competenza dei Consigli possano essere adottate in via d’urgenza da altri organi del comune o della provincia, salvo per quanto attinente alle variazioni di bilancio adottate dalla Giunta, che devono essere sottoposte a ratifica del Consiglio nei sessanta giorni successivi, a pena di decadenza.

In altri termini, come evidenziato nella più volte ricordata circolare n. 2/2008, i dirigenti possono valutare il ricorso ad una collaborazione solo nell'ambito della programmazione delle attività dell'amministrazione, con riferimento ad aspetti o fasi della medesima programmazione, così come determinata dall'art. 42 del T.U.E.L.

Il comma 56 demanda al regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi degli enti locali[265] la definizione, in conformità alla legislazione vigente in materia, dei limiti, dei criteri e delle modalità per il conferimento di incarichi esterni, nonché del limite massimo della relativa spesa annua.

La disposizione reca inoltre una specifica norma sanzionatoria, prevedendo che il conferimento di incarichi esterni in violazione delle norme del regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità amministrativa.

Il successivo comma 57, non modificato dal decreto in esame, prevede le disposizioni del regolamento dei servizi e del personale adottate in materia di incarichi esterni in attuazione del comma 56 devono essere trasmesse per estratto alla sezione regionale della Corte dei conti entro 30 giorni dalla loro adozione.

 

Con le disposizioni in esame, si provvede in primo luogo a ridefinire e ad uniformare il campo di applicabilità della disciplina introdotta dai co. 55 e 56, che facevano riferimento a fattispecie non del tutto coincidenti: mentre, infatti, il co. 55 menzionava incarichi di studio o di ricerca e consulenze, il successivo comma 56 indicava anche, più genericamente, gli “incarichi di collaborazione”.

 

Le differenze tra le tre fattispecie individuate da entrambe le disposizioni (incarichi di studio, ricerca e consulenze) sono state oggetto di ricostruzione, in particolare da parte della giurisprudenza contabile.

In particolare si è evidenziato[266] come gli incarichi di studio possono essere individuati con riferimento ai parametri indicati dal D. P. R. n. 338/1994[267] che, all’articolo 5, determina il contenuto dell’incarico nello svolgimento di un’attività di studio, nell’interesse dell’amministrazione. In particolare, si individua come requisito essenziale, per il corretto svolgimento di un incarico di studio la consegna di una relazione scritta finale, nella quale saranno illustrati i risultati dello studio e le soluzioni proposte.

Per gli incarichi di ricerca, invece, la Coorte dei Conti riteneva invece necessaria la preventiva definizione del programma da parte dell’amministrazione, in modo analogo a quanto ora disposto dal comma 55 della disposizione in esame.

Le consulenze vengono, infine, identificate più genericamente nelle richieste di pareri ad esperti.

 

A seguito delle modifiche introdotte dalle disposizioni in esame, i commi 55 e 56 sono ora applicabili a tutti i contratti di collaborazione autonoma indipendentemente dalla natura delle prestazioni oggetto del contratto, con una estensione analoga a quella prevista in via generale dal comma 6 dell’articolo 7 del D.Lgs. 165/2001, che si applica a tutti gli incarichi individuali attributi con contratti di lavoro autonomo.

 

Il comma 2, nel procedere ad una riscrittura di carattere formale dell’art. 3, co. 55 della finanziaria 2008[268], prevede inoltre che i contratti di collaborazione possano essere stipulati non solo nell’ambito di un programma approvato dal Consiglio dell’ente, ma anche con riferimento alle attività istituzionali dell’ente previste dalla legge.

 

Al riguardo, sembrerebbe che la novella intenda fornire una soluzione di carattere legislativo a questioni interpretative emerse in sede di applicazione delle disposizioni della legge finanziaria 2008. Già la circolare n. 2/2008 precisava, infatti, che anche sulla base della previgente formulazione del comma 55 restava comunque ferma la possibilità per le pubbliche amministrazioni di conferire incarichi di collaborazione per le competenze e le attività specificamente previste da norme di legge, nel rispetto di tutte le altre disposizioni in materia, compresa la necessità della verifica tecnica sulla mancanza della professionalità interna necessaria[269]. Tale interpretazione deriva - secondo la circolare - da una lettura sistematica della disposizione della passata legge finanziaria e delle previsioni generali contenuta nell'art. 7, co. 6, del D.Lgs. n. 165/2001, le quali richiedono che l'oggetto dell'incarico deve corrispondere alle competenze attribuite dall'ordinamento all'amministrazione conferente e ad obiettivi e progetti specifici e determinati.

 

Il comma 3 dell’articolo in esame, oltre ad alcune modifiche di carattere formale rispetto al precedente testo del comma 56 dell’articolo 3 della legge finanziaria 2008, rimette al bilancio preventivo dell’ente locale, anziché ai regolamenti sull’ordinamento degli uffici e dei servizi, la definizione della spesa massima annua per gli incarichi di collaborazione.

 

La ratio dell’innovazione sembra essere quella di affidare l’individuazione del limite massimo di spesa per le attività di collaborazione ad uno strumento di carattere annuale, e quindi maggiormente flessibile rispetto ad atti di organizzazione tendenzialmente stabili, quali i regolamenti previsti dall’art. 89 del T.U.E.L.

In questa ottica la circolare n. 2/2008 precisava che per l'individuazione del limite di spesa vi era l’esigenza di assumere a riferimento la spesa registrata in un anno base, ad esempio stabilendo un tetto ricavabile dall'attuazione dei principi in materia di riduzione della spesa per il personale, oppure stabilendo una percentuale in riferimento alla spesa per servizi e per collaborazioni sostenuta in un dato periodo annuale, in modo da porre limiti certi a regime alla discrezionalità dell'ente di ricorrere alle collaborazioni ed evitare futuri incrementi delle relative spese.


 

Articolo 47
(Controlli su incompatibilità, cumulo di impieghi e incarichi)

1. Dopo il comma 16 dell'articolo 53 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 è aggiunto il seguente: «16-bis. La Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica, può disporre verifiche del rispetto della disciplina delle incompatibilità di cui al presente articolo e di cui all'articolo 1, comma 56 e seguenti, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, per il tramite dell'Ispettorato per la funzione pubblica. A tale scopo quest'ultimo stipula apposite convenzioni coi servizi ispettivi delle diverse amministrazioni, avvalendosi, altresì, della Guardia di Finanza e collabora con il Ministero dell'economia e delle finanze al fine dell'accertamento della violazione di cui al comma 9.».

 

 

L’articolo 47 reca una novella all’articolo 53 del D.Lgs. 165/2001[270], introducendo misure volte a rafforzare i controlli sul rispetto della disciplina in materia di incompatibilità e di limiti al cumulo degli incarichi per i pubblici dipendenti.

In particolare, si attribuisce al Dipartimento della funzione pubblica il compito di disporre – per il tramite dell’Ispettorato della funzione pubblica – verifiche in ordine al rispetto alla disciplina delle incompatibilità prevista in via generale dal medesimo art. 53 e, con riferimento ai rapporti di lavoro a tempo parziale con prestazione lavorativa non superiore al 50 per cento, dall’art. 1, co. 56 e segg., della L. 662/1996 (c.d. “collegato alla finanziaria 1997”)[271].

Ai fini di una maggiore chiarezza del dettato normativo, potrebbe valutarsi l’opportunità di individuare puntualmente i commi dell’art. 1 della L. 662/1996 che vengono richiamati.

 

L’articolo 53 del D.Lgs. 165/2001, che riprende con talune modifiche il contenuto dell’art. 58 del D.Lgs. 29/1993[272], contiene la disciplina di carattere generale in materia di incompatibilità e di cumulo di impieghi per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni. Regimi speciali sono peraltro previsti per determinate categorie di dipendenti pubblici richiamate dalla disposizione (personale docente, direttivo e ispettivo della scuola, personale docente dei conservatori, personale degli enti lirici e personale del servizio sanitario nazionale) .

Il principio fondamentale che regola la materia è quello dell’esclusività del rapporto di impiego del pubblico dipendente, che trova una sua traduzione normativa nell’articolo 60 del T.U. in materia di impiegati civili dello Stato[273], richiamato espressamente dal comma 1 dell’articolo 53.

In base a tale disposizione i dipendenti pubblici non può esercitare il commercio, l'industria, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro, tranne che si tratti di cariche in società o enti per le quali la nomina è riservata allo Stato e sia all'uopo intervenuta l'autorizzazione del Ministro competente. In base al successivo articolo 61 il divieto di non si applica nei casi di società cooperative e agli impieghi come perito o arbitro, purché vi sia una previa autorizzazione del Ministro o del capo ufficio da lui delegato.

Il divieto è sostanzialmente ribadito dall’art. 1, co. 60, della L. 662/1996, il quale prevede, al di fuori dei casi di rapporto di lavoro part-time con prestazione lavorativa non superiore al 50%, un divieto di svolgere attività di lavoro subordinato o autonomo tranne che la legge o altra fonte normativa ne prevedano l'autorizzazione rilasciata dall'amministrazione di appartenenza e l'autorizzazione sia stata concessa.

Una deroga di carattere generale al principio è peraltro contenuta nell’art. 23-bis dello stesso D.Lgs. 165[274], che consente ai dirigenti delle pubbliche amministrazioni, agli appartenenti alla carriera diplomatica e prefettizia e, limitatamente agli incarichi pubblici, ai magistrati ordinari, amministrativi e contabili nonché agli avvocati e procuratori dello Stato di essere collocati, a domanda, in aspettativa senza assegni per lo svolgimento di attività presso soggetti e organismi, pubblici o privati, anche operanti in sede internazionale.

La violazione delle norme in materia di incompatibilità è sanzionata dall’articolo 1, co. 61, della L. 662/1996 costituisce giusta causa di recesso per i rapporti di lavoro disciplinati dai contratti collettivi nazionali di lavoro e costituisce causa di decadenza dall'impiego per il restante personale, purché le prestazioni per le attività di lavoro subordinato o autonomo svolte al di fuori del rapporto di impiego con l'amministrazione di appartenenza non siano rese a titolo gratuito, presso associazioni di volontariato o cooperative a carattere socio-assistenziale senza scopo di lucro.

Si ritiene pertanto superato il sistema previsto dall’art. 63 del T.U. del 1957 che prevedeva una diffida a cessare dalla situazione di incompatibilità.

L’articolo 53, commi 2-16, del D.Lgs. 165/2001 reca poi una articolata disciplina del cumulo di impieghi ed incarichi dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, incentrata sul principio dell’autorizzazione allo svolgimento dell’incarico[275] da parte dell’amministrazione di competenza, che deve decidere sulla base di criteri oggettivi e predeterminati che garantiscano in particolare l’assenza di casi di incompatibilità.

Si prevedono inoltre (art. 53, co. 7-9) specifiche sanzioni per l’inosservanza della richiesta di autorizzazione all’incarico. In particolare:

-        il conferimento da parte di un’altra pubblica amministrazione costituisce una infrazione disciplinare per il funzionario responsabile del procedimento e causa di nullità del provvedimento. L'importo previsto come corrispettivo dell'incarico, ove gravi su fondi in disponibilità dell'amministrazione conferente, è trasferito all'amministrazione di appartenenza del dipendente ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti;

-        per gli enti pubblici economici e i soggetti privati il conferimento, oltre alle sanzioni per le eventuali violazioni tributarie o contributive, determina l’applicazione di una sanzione pecuniaria pari al doppio degli emolumenti corrisposti sotto qualsiasi forma al dipendente pubblico. All'accertamento delle violazioni e all'irrogazione delle sanzioni provvede il Ministero delle finanze, avvalendosi della Guardia di finanza;

-        per quanto riguarda il dipendente, l’inosservanza del divieto, salve le più gravi sanzioni e ferma restando la responsabilità disciplinare, comporta che il compenso dovuto per le prestazioni eventualmente svolte deve essere versato, a cura dell'erogante o, in difetto, del percettore, nel conto dell'entrata del bilancio dell'amministrazione di appartenenza del dipendente per essere destinato ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti.

 

Sono inoltre previsti (art. 53, co. 11-16) meccanismi volti a garantire la visibilità e la trasparenza degli incarichi conferiti ai dipendenti pubblici attraverso la costituzione presso il Dipartimento della funzione pubblica della c.d. anagrafe degli incarichi, già istituita dall'art. 24 della legge n. 412/1991[276].

 

Il comma 56 dell'articolo 1 della L. 662/1996, ha stabilito, allo scopo di incoraggiare il part-time nelle pubbliche amministrazioni, che le disposizioni di cui all'articolo 58, comma 1, del D.Lgs 2 9/1993 (ora art. 53 del D.Lgs 30 marzo 2001, n. 165) non si applichino ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni con rapporto di lavoro part-time con prestazione lavorativa non superiore al 50% di quella a tempo pieno. Il comma 57 della stessa L. 662 ha inoltre previsto che il rapporto di lavoro part-time può essere costituito relativamente a tutti i profili professionali appartenenti alle varie qualifiche o livelli dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, ad esclusione del personale militare, di quello delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco.

Su tale disciplina è intervenuto, a conferma, il D.L. 79/97[277] che, aggiungendo il comma 56-bis all'articolo 1 della citata legge 662/1996, ha previsto l’abrogazione delle disposizioni che vietano l'iscrizione ad albi e l'esercizio di attività professionali per i soggetti di cui al comma 56, lasciando ferme le altre disposizioni in materia di requisiti per l'iscrizione ad albi professionali e per l'esercizio delle relative attività. Come norma di garanzia, si è previsto il divieto per le amministrazioni pubbliche di conferire incarichi professionali ai dipendenti pubblici iscritti ad albi professionali e che esercitino attività professionale. E’ altresì previsto per i dipendenti, il divieto di assunzione del patrocinio in controversie nelle quali sia parte una pubblica amministrazione. Successivamente, peraltro, la L. 339/2003[278] ha previsto l’inapplicabilità della disciplina in esame all’iscrizione all’albo degli avvocati.

 

Per quanto riguarda l’Ispettorato per la funzione pubblica, si ricorda che l’articolo 60, comma 6, del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, attribuisce a questa struttura funzioni ispettive di vigilanza sulla organizzazione delle pubbliche amministrazioni, sull’utilizzazione delle risorse umane, sulla conformità dell’azione amministrativa ai principi di imparzialità e buon andamento, sull’efficacia dell’attività amministrativa, con particolare riferimento alle riforme volte alla semplificazione delle procedure, nonché sull’osservanza delle disposizioni in materia di controllo dei costi, dei rendimenti e dei risultati e sulla verifica dei carichi di lavoro.

Nelle sue attività di verifica l’Ispettorato può avvalersi della collaborazione del Ispettorato generale di finanza della Ragioneria generale dello Stato, nonché degli uffici territoriali di Governo e della Guardia di finanza.

L'Ispettorato si articola in due servizi, competenti rispettivamente per la programmazione e l'analisi dell'attività ispettiva e per l'attività di vigilanza sulle pubbliche amministrazioni[279].

Con specifico riferimento alle verifiche sulle incompatibilità e sul cumulo di impieghi, che sono svolte anche d'intesa con il Ministero dell'economia e delle finanze, il comma 6 dell’art. 60 prevede che l'ispettorato possa avvalersi dei dati comunicati dalle amministrazioni al Dipartimento della funzione pubblica ai sensi dell'articolo 53.

In via generale la legge prevede, inoltre, che l'ispettorato possa richiedere chiarimenti e riscontri alle pubbliche amministrazioni a fronte a segnalazioni da parte di cittadini o pubblici dipendenti circa presunte irregolarità, ritardi o inadempienze delle amministrazioni stesse. L'amministrazione interessata ha l'obbligo di rispondere, anche per via telematica, entro 15 giorni. A conclusione degli accertamenti, gli esiti delle verifiche svolte dall'ispettorato costituiscono obbligo di valutazione, ai fini dell'individuazione delle responsabilità e delle eventuali sanzioni disciplinari di cui all'articolo 55, per l'amministrazione medesima.

Gli ispettori, che nell'esercizio delle loro funzioni hanno piena autonomia funzionale, hanno inoltre l'obbligo di denunciare alla procura generale della Corte dei conti le irregolarità eventualmente riscontrate nella loro attività di verifica.

 

Con riferimento ai profili operativi della attività di controllo sul rispetto della disciplina in materia di incompatibilità[280], l’articolo in esame prevede che l’Ispettorato per la funzione pubblica possa stipulare convenzioni con i servizi ispettivi delle amministrazioni interessate e possa avvalersi altresì della Guardia di finanza. L’Ispettorato collabora inoltre con il Ministero dell’economia e delle finanze ai fini dell’accertamento della violazione da parte di enti pubblici economici e soggetti privati del divieto di conferimento di incarichi retribuiti ad un dipendente pubblico in assenza dell’autorizzazione dell’amministrazione di appartenenza (per la ricostruzione di tale fattispecie v. supra).

 

Al riguardo si segnala che, con riferimento ai controlli sull’attuazione dell’art. 1, co. 56 e segg., della L. 662/1996, sono già in vigore disposizioni analoghe a quella introdotta dalla novella in esame. In particolare, il co. 62 dell’art. 1 della L. 662/1996 prevede che il Dipartimento della funzione pubblica può effettuare verifiche a campione dell'osservanza delle disposizioni di cui all’art. 1, co. 56-65 della L. 662/1996, avvalendosi, d'intesa con le amministrazioni interessate, dei servizi ispettivi di tali amministrazioni, nonché, d'intesa con il Ministero delle finanze ed anche ai fini dell'accertamento delle violazioni tributarie, della Guardia di finanza.

Per quanto riguarda i controlli su quanto previsto dalla L. 662/1996, l’innovazione rispetto a tale disposizione, che non è oggetto di abrogazione espressa, sembra essere costituito dalla previsione della stipula di convenzioni con i servizi ispettivi, in luogo della facoltà di avvalersi di detti servizi, di intesa con le amministrazioni interessate.

Con riferimento ai servizi ispettivi delle pubbliche amministrazioni, si ricorda che per lungo tempo è mancata una disciplina di carattere generale in materia e che servizi ispettivi (o ispettorati) erano costituiti all’interno delle amministrazioni statali, in particolare nei Ministeri, sulla base di disposizioni di carattere speciale[281]. E’ successivamente intervenuto l’art. 1, co. 62, della L. 662/1996, il quale – nell’affidare ai servizi ispettivi il compito di effettuare verifiche a campione sui dipendenti delle pubbliche amministrazioni, finalizzate all'accertamento dell'osservanza delle disposizioni in materia di incompatibilità – imponeva alle pubbliche amministrazioni l’obbligo di costituire tali servizi entro un termine perentorio di trenta giorni dalla data di entrata in vigore della medesima legge.

L’art. 2 della L. 286/1999[282], ridisegnando i confini del sistema dei controlli interni delle pubbliche amministrazioni, ha poi previsto che i servizi ispettivi concorrano ai controlli di regolarità amministrativa e contabile unitamente agli organi di revisione, agli uffici di ragioneria e, nell'ambito delle competenze stabilite dalla legislazione vigente, ai servizi ispettivi di finanza della Ragioneria generale dello Stato e a quelli con competenze di carattere generale.


 

Articolo 48
(Risparmio energetico)

1. Le pubbliche amministrazioni statali di cui all'articolo 1, comma 1, lettera z), del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 sono tenute ad approvvigionarsi di combustibile da riscaldamento e dei relativi servizi nonché di energia elettrica mediante le convenzioni Consip o comunque a prezzi inferiori o uguali a quelli praticati dalla Consip.

2. Le altre pubbliche amministrazioni adottano misure di contenimento delle spese di cui al comma 1 in modo da ottenere risparmi equivalenti.

 

 

L’articolo obbliga le pubbliche amministrazioni statali – indicate dall’articolo 1, comma 1, del Codice dell’amministrazione digitale (D.Lgs. n. 82/2005) quali destinatarie delle disciplina in esso recata – ad approvvigionarsi di combustibile da riscaldamento e dei relativi servizi, nonché di energia elettrica, mediante le convenzioni Consip o comunque a prezzi inferiori o uguali a quelli praticati da Consip.

 

L’articolo 1, comma 1, lettera z) del Codice dell’amministrazione digitale indica le seguenti pubbliche amministrazioni centrali: le amministrazioni dello Stato compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le istituzioni universitarie, gli enti pubblici non economici nazionali, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN), le Agenzie di cui al Decreto legislativo di riforma dell’organizzazione del Governo, D.Lgs. n. 300/1999.

 

La disposizione in commento, relativamente all’approvvigionamento di combustibile da riscaldamento e di energia elettrica, dispone per le amministrazioni statali, con norma di rango primario, l’obbligo di aderire alle convenzioni Consip, stabilendo, in alternativa, l’obbligo di seguirne i parametri prezzo-qualità.

 

In proposito si ricorda che la legge finanziaria per il 2007 (l. n. 296/2006, articolo 1, comma 449) interviene sulla disciplina degli acquisti di beni e servizi tramite convenzioni Consip, nel modo così sintetizzabile:

per le amministrazioni statali centrali e periferiche, ad esclusione degli istituti e scuole di ogni ordine e grado, delle istituzioni educative e delle istituzioni universitarie, demanda ad un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze l’individuazione, entro il mese di gennaio di ogni anno, delle tipologie di beni e servizi per le quali le suddette amministrazioni sono obbligate ad approvvigionarsiutilizzando le convenzioni – quadro stipulate dalla Consip s.p.a.

Le tipologie di beni e servizi per le quali vi è l’obbligo di aderire alle convenzioni Consip sono state individuate dal D.M. 23 gennaio 2008.

Tale D.M. indica l’energia elettrica e il combustibile da riscaldamento tra i beni e i servizi per cui per le amministrazioni statali vige l’obbligo di utilizzare le convenzioni Consip[283].

Per completezza espositiva, si rammenta come, sempre secondo l’articolo 1, comma 449 citato, le restanti amministrazioni pubbliche, tra cui rientrano gli enti territoriali, possono ricorrere alle convenzioni Consip e a quelle stipulate dalle centrali regionali di acquisto, ovvero hanno l’obbligo di utilizzarne i parametri di prezzo-qualità come limiti massimi per la stipula dei contratti[284].


 

Articolo 49
(Lavoro flessibile nelle Pubbliche amministrazioni)


1. L'articolo 36 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 è sostituito dal seguente:

«36. (Utilizzo di contratti di lavoro flessibile). - 1. Per le esigenze connesse con il proprio fabbisogno ordinario le pubbliche amministrazioni assumono esclusivamente con contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato seguendo le procedure di reclutamento previste dall'articolo 35.

2. Per rispondere ad esigenze temporanee ed eccezionali le amministrazioni pubbliche possono avvalersi delle forme contrattuali flessibili di assunzione e di impiego del personale previste dal codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa, nel rispetto delle procedure di reclutamento vigenti. Ferma restando la competenza delle amministrazioni in ordine alla individuazione delle necessità organizzative in coerenza con quanto stabilito dalle vigenti disposizioni di legge, i contratti collettivi nazionali provvedono a disciplinare la materia dei contratti di lavoro a tempo determinato, dei contratti di formazione e lavoro, degli altri rapporti formativi e della somministrazione di lavoro, in applicazione di quanto previsto dal decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, dall'articolo 3 del decreto-legge 30 ottobre 1984, n. 726, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 dicembre 1984, n. 863, dall'articolo 16 del decreto-legge 16 maggio 1994, n. 299, convertito con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1994, n. 451, dal decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 per quanto riguarda la somministrazione di lavoro, nonché da ogni successiva modificazione o integrazione della relativa disciplina con riferimento alla individuazione dei contingenti di personale utilizzabile. Non è possibile ricorrere alla somministrazione di lavoro per l'esercizio di funzioni direttive e dirigenziali.

3. Al fine di evitare abusi nell'utilizzo del lavoro flessibile, le amministrazioni, nell'ambito delle rispettive procedure, rispettano principi di imparzialità e trasparenza e non possono ricorrere all'utilizzo del medesimo lavoratore con più tipologie contrattuali per periodi di servizio superiori al triennio nell'arco dell'ultimo quinquennio.

4. Le amministrazioni pubbliche trasmettono alla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica e al Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato le convenzioni concernenti l'utilizzo dei lavoratori socialmente utili.

5. In ogni caso, la violazione di disposizioni imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità e sanzione. Il lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative. Le amministrazioni hanno l'obbligo di recuperare le somme pagate a tale titolo nei confronti dei dirigenti responsabili, qualora la violazione sia dovuta a dolo o colpa grave. I dirigenti che operano in violazione delle disposizioni del presente articolo sono responsabili anche ai sensi dell'articolo 21 del presente decreto. Di tali violazioni si terrà conto in sede di valutazione dell'operato del dirigente ai sensi dell'articolo 5 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 286.».


 

 

L’articolo in esame reca significative e incisive modifiche alle disposizioni di cui all’articolo 36 del D.Lgs. 165/2001, concernente l’utilizzo di contratti di lavoro flessibile nelle pubbliche amministrazioni.

 

Il richiamato articolo 36, come di recente significativamente modificato dall’articolo 3, comma 79, della L. 244/2007 (legge finanziaria per il 2008), ha disposto (comma 1) che le pubbliche amministrazioni effettuano assunzioni di personale utilizzando esclusivamente il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e possono avvalersi delle forme contrattuali di lavoro flessibile previste dalla disciplina privatistica al solo scopo di fronteggiare esigenze stagionali o per periodi non superiori a 3 mesi, fatte salve le sostituzioni per maternità attuate dalle autonomie territoriali.

Inoltre, non si ammette in nessun caso il rinnovo del contratto o l’utilizzo dello stesso lavoratore con altra tipologia contrattuale (comma 2) e si prevede che per fronteggiare esigenze temporanee ed eccezionali le amministrazioni ricorrono all’assegnazione temporanea di personale di altre amministrazioni per un periodo massimo di 6 mesi, non rinnovabili (comma 3).

Viene precisato che le disposizioni in precedenza richiamate non sono derogabili dalla contrattazione collettiva (comma 4).

Il comma 5 ha previsto per le amministrazioni pubbliche un obbligo di comunicazione, alla Presidenza del Consiglio (Dipartimento della funzione pubblica) e al Ministero dell’economia (Ragioneria Generale dello Stato), delle convenzioni concernenti l’utilizzazione di lavoratori socialmente utili.

Al comma 6, confermandosi la disposizione secondo cui eventuali violazioni di disposizioni imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego di lavoratori da parte delle pubbliche amministrazioni non possono comunque comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato (mentre il lavoratore avrà diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro eseguita in violazione di disposizioni imperative e le amministrazioni avranno l’obbligo di rivalersi sui dirigenti responsabili in caso di dolo o colpa grave), è stata introdotta ex novo la previsione del divieto di assunzione per le amministrazioni che violano la disciplina relativa all’utilizzo delle forme di lavoro flessibile di cui all’articolo 36 per il triennio successivo alla violazione stessa.

Al comma 7 viene precisato che la disciplina di cui all’articolo in esame non si applica agli uffici di diretta collaborazione del Ministro, agli uffici di supporto agli organi di direzione politica degli enti locali, nonché ai contratti relativi agli incarichi dirigenziali ad alla preposizione ad organi di direzione, consultivi e di controllo delle pubbliche amministrazioni, ivi inclusi gli organismi operanti per le finalità di cui all’articolo 1 della legge 17 maggio 1999, n. 144.

Il comma 8, ai fini dell’attuazione di programmi di tutela e valorizzazione delle aree marine protette di cui alla L. 979/1982 e alla L. 394/1991, ha autorizzato il parco nazionale dell’arcipelago de La Maddalena ad assumere, in deroga alla normativa vigente, personale con contratto di lavoro a termine, della durata massima di 2 anni eventualmente rinnovabili, per un contingente complessivo che sarà stabilito con successiva disposizione legislativa e la cui ripartizione tra gli enti interessati sarà definita con apposito decreto.

I commi da 9 a 11 hanno disposto, per gli enti locali non sottoposti al patto di stabilità interno con organico inferiore a 15 unità, per gli enti del Servizio sanitario nazionale e per gli enti di ricerca e le università, la possibilità di utilizzare forme contrattuali flessibili, oltre che per le finalità su indicate, anche in relazione ad ulteriori esigenze specificamente e tassativamente indicate e diverse a seconda degli enti interessati.

In particolare, il comma 9 ha previsto che gli locali non sottoposti al patto di stabilità interno e con una dotazione organica inferiore o pari alle quindici unità possano avvalersi di contratti flessibili, oltre che per le finalità di cui al comma 1, anche per la sostituzione di lavoratori assenti con diritto alla conservazione del posto, a condizione che nel contratto di lavoro a termine sia indicato il lavoratore sostituito e la causa della sostituzione.

Il comma 10 ha stabilito che gli enti del Servizio sanitario nazionale, con riferimento alle figure infungibili del personale medico, al personale infermieristico e al personale di supporto alle attività infermieristiche, possono ricorrere a forme di lavoro flessibile anche per la sostituzione di lavoratori assenti o cessati dal servizio, nei limiti dei casi in cui ricorrano urgenti e indifferibili esigenze legate alla erogazione dei livelli essenziali di assistenza. Viene peraltro precisato che tali assunzioni devono essere compatibili con i vincoli previsti dall’art. 1, comma 565, della L. 296/2006 (legge finanziaria 2007), in materia di contenimento della spesa per il personale del Servizio sanitario nazionale.

Il comma 11, in primo luogo, ha disposto la possibilità, per le pubbliche amministrazioni, di avvalersi di contratti di lavoro flessibile ai fini dello svolgimento di programmi o attività i cui oneri sono finanziati con fondi dell’Unione europea e del Fondo per le aree sottoutilizzate (primo periodo).

E’ stato previsto, inoltre, che le università e gli enti di ricerca possano ricorrere a forme contrattuali flessibili per svolgere progetti di ricerca e di innovazione tecnologica i cui oneri non risultino a carico dei bilanci di funzionamento degli enti o del Fondo di finanziamento degli enti o del Fondo ordinario di finanziamento delle università (secondo periodo).

Il medesimo comma ha altresì disposto che gli enti del Servizio sanitario nazionale possono ricorrere a forme contrattuali flessibili per lo svolgimento di progetti di ricerca finanziati in base alle modalità di cui all’art. 1, comma 565, lettera b), secondo periodo della legge finanziaria 2007, cioè con fondi comunitari o privati (terzo periodo).

Viene infine precisato che la stipula di contratti di lavoro flessibile per finalità diverse da quelle indicate dal comma in esame comporta la responsabilità amministrativa del dirigente e del responsabile del progetto (quarto periodo), nonché la nullità del provvedimento cioè, sembrerebbe, dell’atto amministrativo con cui si è stabilito di stipulare il contratto flessibile (quinto periodo) .

 

Rispetto al testo previgente, il nuovo testo dell’articolo 36, nel ribadire che le assunzioni presso le pubbliche amministrazioni avvengono esclusivamente con contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato, seguendo le procedure di reclutamento previste dall’articolo 35 dello stesso D.Lgs. 165/2001 (comma 1), prevede:

§      la possibilità, per le amministrazioni pubbliche, in caso di esigenze temporanee ed eccezionali, di avvalersi delle forme contrattuali flessibili di assunzione e di impiego del personale previste dal codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa, nel rispetto delle procedure di reclutamento vigenti (comma 2). Lo stesso comma demanda altresì, ferma restando la competenza delle amministrazioni in ordine alla individuazione delle necessità organizzative in coerenza con quanto stabilito dalla vigenti disposizioni di legge, ai contratti collettivi nazionali la disciplina in materia di contratti di lavoro a tempo determinato, dei contratti di formazione e lavoro, degli altri rapporti formativi e della somministrazione di lavoro (alla quale comunque non è possibile ricorrere per l’esercizio di funzioni direttive e dirigenziali), in applicazione di quanto previsto dai rispettivi provvedimenti legislativi di settore, nonché da ogni successiva modificazione o integrazione della relativa disciplina con riferimento alla individuazione dei contingenti di personale utilizzabile;

§      l’obbligo, da parte delle amministrazioni pubbliche, di rispettare, nell’ambito delle rispettive procedure selettive, i principi di imparzialità e trasparenza, al fine di evitare abusi nell’utilizzo del lavoro flessibile. Inoltre - rendendo meno stringenti i precedenti limiti temporali relativi alla possibilità di utilizzazione del lavoro flessibile - si prevede che le richiamate amministrazioni non possano ricorrere all’utilizzo del medesimo lavoratore con più tipologie contrattuali per periodi di servizio superiori ai tre anni nell’arco dell’ultimo quinquennio (comma 3);

§      infine, confermando la disposizione secondo cui eventuali violazioni di disposizioni imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego di lavoratori da parte delle pubbliche amministrazioni non possono comunque comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato (mentre il lavoratore avrà diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro eseguita in violazione di disposizioni imperative e le amministrazioni avranno l’obbligo di rivalersi sui dirigenti responsabili in caso di dolo o colpa grave), il nuovo testo dell’articolo 36 (comma 5) sopprime la previsione del divieto di assunzione, per le amministrazioni che violano la disciplina relativa all’utilizzo delle forme di lavoro flessibile di cui all’articolo 36, per il triennio successivo alla violazione stessa. Viene invece introdotta una ulteriore previsione – per lo più di natura ricognitoria rispetto alla normativa vigente - relativa alla responsabilità dei dirigenti che operino in violazione delle disposizioni dell’articolo in esame, da considerare responsabili anche ai sensi dell’art. 21 del D.Lgs. 165/2001 (relativo alla responsabilità dirigenziale per mancato raggiungimento degli obiettivi o per inosservanza delle direttive). Di tali violazioni si terrà conto in sede di valutazione dell’operato del dirigente ai sensi dell’art. 5 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 286, concernente la valutazione del personale con incarico dirigenziale.

Tale articolo dispone che le pubbliche amministrazioni, sulla base anche dei risultati del controllo di gestione, hanno l’obbligo di valutare, in coerenza a quanto stabilito al riguardo dai contratti collettivi nazionali di lavoro, le prestazioni dei propri dirigenti, nonché i comportamenti relativi allo sviluppo delle risorse professionali, umane e organizzative ad essi assegnate (competenze organizzative). In particolare, nella valutazione delle prestazioni e delle competenze organizzative dei dirigenti, che ha cadenza annuale, si deve tenere conto dei risultati dell'attività amministrativa e della gestione.

 

Restano invece confermate le disposizioni inerenti alla trasmissione delle convenzioni concernenti l’utilizzo dei lavoratori socialmente utili (comma 4).

 

Rispetto al testo previgente, in conseguenza della sostanziale e significativa modifica della disciplina per quanto riguarda la possibilità di avvalersi di forme di lavoro flessibile, sono state soppresse alcune disposizioni che prevedevano l’utilizzo del lavoro flessibile in deroga alla disciplina generale, concernenti, rispettivamente:

§      la non applicazione delle disposizioni sull’impiego di forme contrattuali flessibili agli uffici di diretta collaborazione del Ministro, agli uffici di supporto agli organi di direzione politica degli enti locali, nonché ai contratti relativi agli incarichi dirigenziali ad alla preposizione ad organi di direzione, consultivi e di controllo delle pubbliche amministrazioni(comma 7 del testo previgente);

§      l’autorizzazione ad assumere personale con contratto di lavoro a termine, in deroga alla normativa vigente, per l’ente parco nazionale dell’arcipelago de La Maddalena (comma 8 del testo previgente);

§      deroghe alla possibilità di utilizzare forme contrattuali flessibili per specifici enti anche in relazione ad ulteriori esigenze specificamente e tassativamente indicate e diverse a seconda degli enti interessati (articoli 9-11 del testo previgente).

 

Secondo la relazione tecnica allegata, le disposizioni dell’articolo in esame, intese sostanzialmente a garantire una maggiore funzionalità delle amministrazioni, comportano un maggiore onere di 10 milioni di euro lordi annui.

“Ciò in quanto”, prosegue la relazione tecnica, “alla precedente formulazione introdotta con l’articolo 92 del d.d.l. finanziaria per l’anno 2008 (AS n. 1817) era stato stimato un risparmio aggiuntivo di 10 milioni di euro l’anno”. La stessa relazione, infine, afferma che tenendo conto dei tempi di entrata in vigore del provvedimento, l’onere per il 2008 possa stimarsi in e milioni di euro.

 

 

Più in generale, si stimano i seguenti oneri lordi annui:

(milioni di euro)

2008

2009

2010

5

10

10

 

 

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)

Nel 2006 la Commissione ha avviato un dibattito pubblico sull’evoluzione del diritto del lavoro in modo tale da sostenere gli obiettivi della strategia di Lisbona ed ottenere una crescita sostenibile con più posti di lavoro di migliore qualità. A conclusione del processo di consultazione (avviato sulla base di un apposito Libro verde), la Commissione ha presentato, il 27 giugno 2007, una comunicazione intesa a definire principi comuni in materia di flessicurezza per consentire agli Stati membri di sviluppare strategie di flessicurezza adattate al proprio contesto nazionale.

La comunicazione delinea proposte in merito a otto principi comuni di flessicurezza che costituiscono dei riferimenti su cui gli Stati membri dovrebbero concordare.

I principi comuni, quali concordati al Consiglio occupazione, sono i seguenti:

-        la flessicurezza è un mezzo per rafforzare l’attuazione della strategia di Lisbona per la crescita e l’occupazione e promuovere un lavoro di qualità attraverso nuove forme di flessibilità e sicurezza volte ad aumentare l’adattabilità, l’occupazione e la coesione sociale;

-        la flessicurezza comporta la deliberata combinazione di forme contrattuali flessibili e affidabili, strategie integrate di apprendimento permanente, efficaci politiche attive del mercato del lavoro e sistemi di protezione sociale moderni, adeguati e sostenibili;

-        la flessicurezza implica un equilibrio tra diritti e responsabilità di tutti gli interessati. Sulla base dei principi comuni, ciascuno Stato membro dovrebbe elaborare proprie modalità di flessicurezza ed i progressi dovrebbero essere soggetti ad un’efficace sorveglianza;

-        la flessicurezza dovrebbe promuovere mercati del lavoro aperti, reattivi e inclusivi, superando la segmentazione. Riguarda sia gli occupati sia i non occupati. Le persone inattive, i disoccupati, i lavoratori irregolari, i precari o quanti si trovano ai margini del mercato del lavoro hanno bisogno di vedersi offrire migliori opportunità, incentivi economici e misure di sostegno per un più facile accesso al lavoro o di supporti per essere aiutati a progredire verso un’occupazione stabile e giuridicamente sicura. Il sostegno dovrebbe essere disponibile per tutti gli occupati al fine di rimanere occupabili, progredire e gestire le transizioni verso il mondo del lavoro e da un posto di lavoro all’altro;

-        occorre promuovere la flessicurezza all’interno dell’impresa come anche quella esterna; si deve incoraggiare la mobilità ascendente come anche quella tra disoccupazione o inattività e lavoro. Sono parimenti essenziali posti di lavoro di qualità elevata e produttivi, una buona organizzazione del lavoro e un continuo aggiornamento delle competenze;

-        la flessicurezza dovrebbe supportare la parità di genere;

-        la flessicurezza richiede un clima di fiducia e un ampio dialogo tra tutte le parti interessate, in cui tutti siano pronti ad assumersi la responsabilità del cambiamento in vista di politiche socialmente equilibrate; importanza decisiva riveste il coinvolgimento delle parti sociali nell’elaborazione ed attuazione delle politiche di flessicurezza attraverso il dialogo sociale e la contrattazione collettiva;

-        la flessicurezza dovrebbe restare pienamente compatibile con bilanci pubblici sani e finanziariamente sostenibili; dovrebbe inoltre prefiggersi un’equa distribuzione dei costi e benefici, specie tra imprese, autorità pubbliche e singoli individui, con un’attenzione particolare perla situazione specifica delle piccole e medie imprese.

I principi comuni sono stati accolti con favore dal Parlamento europeo e dal Consiglio occupazione che ha invitato la Commissione ad assumere le iniziative necessarie per consentire l’attuazione dell’approccio proposto per gli Stati membri.

Il Consiglio europeo del 13 e 14 marzo 2008, ha invitato gli Stati membri ad attuare i principi comuni concordati di flessicurezza delineando nei loro programmi nazionali di riforma per il 2008 le modalità nazionali di attuazione di tali principi.

 

Il 19 maggio 2008 la Commissione ha lanciato, in cooperazione con le parti sociali europee, la “missione per la flessicurezza”, un’iniziativa per contribuire alla messa in pratica, a livello nazionale, della flessicurezza.

 


 

Articolo 50
(Cancellazione della causa dal ruolo)

1. Il primo comma dell'articolo 181 del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:

«Se nessuna delle parti compare alla prima udienza, il giudice fissa un'udienza successiva, di cui il cancelliere dà comunicazione alle parti costituite. Se nessuna delle parti compare alla nuova udienza, il giudice ordina che la causa sia cancellata dal ruolo e dichiara l'estinzione del processo.».

 

 

L’articolo 50 novella l’art. 181, primo comma, del codice processuale civile relativo agli affetti della mancata comparizione delle parti all’udienza dibattimentale.

L’art. 181 c.p.c prevedeva, prima dell’entrata in vigore del decreto-legge in esame, che alla mancata comparizione delle parti ad una seconda udienza, dopo che la prima fosse andata deserta, conseguisse la sola cancellazione della causa dal ruolo, disposta dal giudice con ordinanza non impugnabile.

In particolare, sono introdotte due novità:

§      con la prima è eliminato il riferimento all’ordinanza del giudice sulla cancellazione della causa dal ruolo;

§      con la seconda, viene precisato che alla mancata comparizione alla nuova udienza consegue l’obbligo del giudice - oltre che di ordinare la cancellazione della causa dal ruolo - di dichiarare anche l’estinzione del processo.

Quindi,la mancata comparizione, sia dell’attore che del convenuto, alla seconda udienza costituisce già autonoma causa di estinzione del processo. In tale ipotesi, risulta ora esclusa la sua riassunzione.

 

Va infatti, ricordato che il vigente art. 307 c.p.c. (Estinzione del processo per inattività delle parti) stabilisce, nelle ipotesi previste dalla legge (tra cui quella di cui all’art. 181), che una volta che il giudice abbia cancellato la causa dal ruolo, il processo debba essere riassunto davanti allo stesso giudice nel termine perentorio di un anno dalla data del provvedimento di cancellazione (o dalla scadenza del termine per la costituzione del convenuto) altrimenti il processo si estingue.

 

Le nuove disposizioni si applicano ai giudizi istaurati dopo l’entrata in vigore del decreto legge (in virtù dell’articolo 56 dello stesso decreto).


 

Articolo 51
(Comunicazioni e notificazioni per via telematica)


1. A decorrere dalla data fissata con uno o più decreti del Ministro della giustizia, le notificazioni e comunicazioni di cui al primo comma dell'articolo 170 del codice di procedura civile, la notificazione di cui al primo comma dell'articolo 192 del codice di procedura civile e ogni altra comunicazione al consulente sono effettuate per via telematica all'indirizzo elettronico comunicato ai sensi dell'articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica 13 febbraio 2001, n. 123, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, relativa al processo telematico, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici.

2. Il Ministro della giustizia adotta il decreto di cui al comma 1 sentiti l'Avvocatura Generale dello Stato, il Consiglio Nazionale Forense e i Consigli dell'Ordine degli Avvocati interessati, previa verifica della funzionalità dei servizi di comunicazione dei documenti informatici degli uffici giudiziari, individuando i circondari di tribunale nei quali trovano applicazione le disposizioni di cui al comma 1.

3. A decorrere dalla data fissata ai sensi del comma 1, le notificazioni e comunicazioni nel corso del procedimento alla parte costituita e al consulente che non hanno comunicato l'indirizzo elettronico di cui al medesimo comma, sono fatte presso la cancelleria.

4. A decorrere dalla data fissata ai sensi del comma 1, le notificazioni e le comunicazioni di cui ai commi 1 e 2 dell'articolo 17 del decreto legislativo 17 gennaio 2003 n. 5, si effettuano ai sensi dell'articolo 170 del codice di procedura civile.

5. All'articolo 16 del regio decreto legge 27 novembre 1933, n. 1578, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) dopo il primo comma è aggiunto il seguente:

«Nell'albo è indicato l'indirizzo elettronico attribuito a ciascun professionista dal punto di accesso ai sensi dell'articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica 13 febbraio 2001, n. 123»;

b) il quarto comma è sostituito dal seguente: «A decorrere dalla data fissata dal Ministro della giustizia con decreto emesso sentiti i Consigli dell'Ordine, gli albi riveduti debbono essere comunicati per via telematica, a cura del Consiglio, al Ministero della giustizia nelle forme previste dalle regole tecnico-operative per l'uso di strumenti informatici e telematici nel processo civile».


 

 

L’articolo 51 dispone che, nell’ambito del processo civile, le notificazioni e le comunicazioni debbano essere effettuate esclusivamente per via telematica all’indirizzo e-mail fornito dal procuratore della parte processuale.

In particolare, il comma 1 prevede che il Ministro della giustizia adotti uno o più decreti ministeriali con i quali determinare la data a decorrere dalla quale le seguenti notificazioni e comunicazioni dovranno essere effettuate per via telematica, ad un indirizzo elettronico (e-mail):

§      notificazioni e comunicazioni, dopo la costituzione in giudizio, al procuratore costituito (art. 170, comma 1, c.p.c.);

§      notificazione dell’ordinanza di nomina, con invito a comparire all’udienza fissata, e ogni ulteriore comunicazione, al consulente tecnico (art. 192, comma 1, c.p.c.).

L’indirizzo elettronico cui si fa riferimento è quello comunicato dal procuratore al Consiglio dell'ordine e dal consulente al proprio ordine professionale o all'albo dei consulenti presso il tribunale.

 

Il comma 1 richiama infatti l’articolo 7 del D.P.R. 13 febbraio 2001, n. 123 (Regolamento recante disciplina sull'uso di strumenti informatici e telematici nel processo civile, nel processo amministrativo e nel processo dinanzi alle sezioni giurisdizionali della Corte dei conti) che precisa inoltre come tali indirizzi elettronici debbano essere «comunicati tempestivamente dagli ordini professionali al Ministero della giustizia».

 

La disposizione precisa che le notificazioni e comunicazioni dovranno essere effettuate per via telematica nel rispetto della normativa, anche regolamentare, relativa al processo telematico, soprattutto per quanto riguarda la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti.

 

Come affermato nel Piano triennale per l'informatica 2004/2006 della giustizia, per processo civile telematico si intende la gestione “integrale” ed “integrata” della documentazione e delle comunicazioni prodotte nell'ambito di un qualsiasi procedimento di contenzioso civile in forma digitale e telematica. Concretamente questo significa, una volta che il sistema sarà a regime:

-        gestire tutte le informazioni connesse ad un procedimento civile prioritariamente in forma digitale (dall'atto di citazione alla sentenza);

-        gestire tutte le comunicazioni e gli scambi informativi tra i diversi “attori” coinvolti in un procedimento civile (giudici, avvocati, cancellieri, ufficiali giudiziari, commercialisti, notai, ecc.) in forma telematica;

-        semplificare le attività di ogni attore coinvolto nei procedimenti civili favorendo la diffusione delle informazioni e la loro fruizione, eliminando la ridondanza delle operazioni, riducendo le attività a basso valore aggiunto connesse alla continua manipolazione delle carte;

-        dare trasparenza e dimensione temporale certa agli atti e al procedimento.

Il progetto per la realizzazione del processo civile telematico consiste nella realizzazione di un insieme di applicazioni informatiche e infrastrutture tecnologiche che renda accessibile via web il sistema informatico civile, sia per il deposito di atti che per attività di consultazione dello stato delle cause e del fascicolo elettronico; inoltre è prevista anche la trasmissione per via telematica di comunicazioni, notifiche e copie di atti dagli uffici giudiziari ai soggetti coinvolti.

Il progetto prevede una prima fase di sperimentazione che coinvolge attualmente le seguenti sedi pilota: Tribunale di Bari; Tribunale di Bergamo; Tribunale di Bologna; Tribunale di Catania; Tribunale di Genova; Tribunale di Lamezia Terme; Tribunale di Padova. Presso ciascuna sede pilota è costituito un laboratorio di sperimentazione composto da avvocati, magistrati, cancellieri ed esperti informatici.

Per quanto riguarda i riferimenti normativi, occorre segnalare, oltre al già citato D.P.R. n. 123 del 2001, il D.M. 14 ottobre 2004, recante Regole tecnico-operative per l'uso di strumenti informatici e telematici nel processo civile che individua, in particolare, le modalità per la gestione della posta elettronica.

 

Per ragioni di sistematicità, si potrebbe valutare l’opportunità di inserire questa previsione nelle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile.

 

Il comma 2 prevede che il Ministro adotti i suddetti decreti dopo aver sentito l’Avvocatura generale dello Stato, il CNF (Consiglio nazionale forense) e i Consigli dell’ordine degli avvocati interessati, individuando i circondari di tribunale ai quali si applica quanto disposto dal comma 1. L’individuazione di tali circondari dovrà essere effettuata tenuto conto della funzionalità dei servizi di comunicazione dei documenti informatici degli uffici giudiziari.

 

Il comma 3 precisa che le notificazioni e le comunicazioni nel corso del procedimento, ai difensori e consulenti che non abbiano comunicato l’indirizzo elettronico, sono effettuate in cancelleria.

 

Il comma 4 estende l’applicazione delle disposizioni di cui al comma 1 al rito societario. A decorrere dalla data fissata con il citato decreto del Ministro della giustizia, infatti, si prevede che le notificazioni e le comunicazioni previste dall’art. 17 del D.Lgs. n. 5 del 2003[285] - notificazioni e comunicazioni nel corso del procedimento alle parti costituite – siano effettuate ai sensi dell’art. 170 del codice di procedura civile.

 

Attualmente, ai sensi del suddetto art. 17, tutte le notificazioni e comunicazioni alle parti costituite possono essere fatte, oltre che a norma degli articoli 136 e seguenti del codice di procedura civile, via fax, via posta elettronica o con scambio diretto tra difensori, attestato da sottoscrizione per ricevuta sull'originale, apposta anche da parte di collaboratore o addetto allo studio del difensore.

 

Si sottolinea, per ragioni di sistematicità, l’opportunità di inserire questa previsione, direttamente, come novella, nel D.Lgs n. 5 del 2003.

 

Il comma 5 novella il R.D.L. n. 1578 del 1933, che disciplina la professione di avvocato[286]. In particolare, inserendo un comma nell’articolo 16, il decreto legge prevede che all’interno dell’albo degli avvocati debba essere indicato, per ogni professionista, il relativo indirizzo di posta elettronica.

Inoltre, sostituendo il quarto comma, il decreto dispone che, a decorrere dalla data fissata da un apposito decreto del Ministro della giustizia, gli albi – rivisti e integrati dell’informazione di cui sopra – debbano essere comunicati per via telematica al Ministero della giustizia (nuovo quarto comma).

 


 

Articolo 52
(Misure urgenti per il contenimento delle spese di giustizia)


1. Dopo l'articolo 227 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, sono aggiunti i seguenti articoli:

«Capo I - Riscossione mediante ruolo

articolo 227-bis (L) (Quantificazione dell'importo dovuto). - 1. Per la quantificazione dell'importo si applica la disposizione di cui all'articolo 211.

articolo 227-ter (L) (Riscossione a mezzo ruolo). - 1. Entro un mese dal passaggio in giudicato o dalla definitività del provvedimento da cui sorge l'obbligo, l'ufficio procede all'iscrizione a ruolo.

2. L'agente della riscossione notifica al debitore una comunicazione con l'intimazione a pagare l'importo dovuto nel termine di un mese e contestuale cartella di pagamento contenente l'intimazione ad adempiere entro il termine di giorni venti successivi alla scadenza del termine di cui alla comunicazione con l'avvertenza che in mancanza si procederà ad esecuzione forzata.

3. Se il ruolo è ripartito in più rate, l'intimazione ad adempiere contenuta nella cartella di pagamento produce effetti relativamente a tutte le rate.».


 

 

L’articolo 52 del decreto legge novella il D.P.R. n. 115 del 2002, recante il testo unico in materia di spese di giustizia[287], per introdurvi due nuove disposizioni volte a disciplinare, nell’ambito della riscossione delle spese di giustizia, le fasi della quantificazione dell’importo dovuto (art. 227-bis) e della riscossione a mezzo ruolo (art. 227-ter).

 

Si ricorda che il T.U. delle spese di giustizia disciplina la riscossione delle spese maturate nel processo penale (art. 200)[288], nel processo civile, amministrativo, contabile e tributario (art. 201)[289] nonché (art. 202) le modalità di recupero delle somme dovute, in base alle norme del codice di procedura civile e del codice di procedura penale, per sanzioni pecuniarie, condanna alla perdita della cauzione e dichiarazione di inammissibilità o di rigetto di una richiesta sulla base di provvedimenti non più revocabili.

Per quanto riguarda la procedura per la riscossione, attualmente l’art. 212 del T.U. prevede che entro un mese dal passaggio in giudicato o dalla definitività del provvedimento da cui sorge l’obbligo o - per le spese di mantenimento - dalla cessazione dell’espiazione della pena in istituto, inizia la procedura di recupero del credito vantato dall'erario. Quantificato il credito (art. 211), l'ufficio riscossione competente notifica l'avviso bonario di pagamento. Entro un mese dalla notifica l'interessato deve pagare al Concessionario o all’ufficio postale o allo sportello bancario e, entro 10 giorni dal pagamento, portare copia della ricevuta all'ufficio riscossione.

Se, trascorsi un mese e 10 giorni dalla notifica, il pagamento non è avvenuto, l'ufficio riscossione iscrive a ruolo (art. 213, T.U.) il credito e consegna il ruolo al concessionario, aprendo così la riscossione esattoriale. Il concessionario notifica la cartella esattoriale, che contiene l'intimazione ad adempiere entro 60 giorni dalla notifica e l'avvertimento che, in mancanza, si procederà ad esecuzione forzata. In caso di inadempimento, il concessionario provvede direttamente al pignoramento mobiliare o immobiliare, a mezzo degli ufficiali della riscossione[290].

 

Su questa disciplina, tuttora vigente, è intervenuta la legge finanziaria per il 2008 (legge 24 dicembre 2007, n. 244) che, all’articolo 1, commi 367-373, ha previsto che entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore della legge (e dunque entro il 30 aprile 2008) il Ministero della giustizia provvedesse alla stipula di una o più convenzioni con una società interamente posseduta da Equitalia spa (ex Riscossione s.p.a.) per la gestione e la riscossione del crediti derivanti da spese di giustizia previste dal DPR n. 115/2002[291].

Con riferimento alle spese ed alle pene pecuniarie previste dal Testo unico, risultanti dai provvedimenti passati in giudicato o divenuti definitivi a decorrere dal 1° gennaio2008, la citata Società stipulante dovrà provvedere alla gestione dei relativi crediti attraverso:

-        l'acquisizione dei dati anagrafici del debitore e supporto all'attività di quantificazione del credito effettuata dall'ufficio competente;

-        la notifica al debitore di un invito al pagamento entro un mese dal passaggio in giudicato o dalla definitività del provvedimento da cui sorge l'obbligo o dalla cessazione dell'espiazione della pena;

-        l'iscrizione a ruolo del credito, scaduto inutilmente il termine per l’adempimento spontaneo.

Il comma 372, dispone, dalla data di stipula della convenzione di cui al comma 367, l'abrogazione degli articoli 211, 212 e 213 del citato Testo unico in materia di spese di giustizia relativi alla iscrizione a ruolo del credito. Tale abrogazione è connessa alle nuove competenze previste in capo alla Società stipulante la convenzione con il Ministero della Giustizia.

Si evidenzia che, ad oggi, le convenzioni non sono state stipulate e che pertanto gli articoli 211, 212 e 213 sono in vigore.

 

In questo contesto normativo, il decreto legge inserisce nel testo unico un capo recante due nuovi articoli (Capo I – Riscossione mediante ruolo).

L’articolo 227-bis stabilisce che per la quantificazione dell’importo dovuto si applica la disposizione dell’articolo 211. Tale disposizione (v. sopra) prevede che il funzionario quantifichi l’importo dovuto per spese sulla base degli atti, dei registri e delle norme che individuano la somma da recuperare e prenda atto degli importi stabiliti nei provvedimenti giurisdizionali per le pene pecuniarie, per le sanzioni amministrative pecuniarie e per le sanzioni pecuniarie processuali, specificando le varie voci dell’importo complessivo.

L’articolo 227-ter disciplina la riscossione a mezzo ruolo, attualmente già disciplinata dagli articoli 213-216 del testo unico.

Il decreto legge elimina la fase del c.d. adempimento spontaneo per prevedere che, dopo la quantificazione dell’importo dovuto (art. 227-bis) si proceda - entro un mese dal passaggio in giudicato o dalla definitività del provvedimento da cui sorge l’obbligo - con l’adempimento coattivo mediante iscrizione a ruolo (comma 1).

L’agente della riscossione dovrà notificare al debitore una comunicazione con l’intimazione a pagare l’importo dovuto nel termine di un mese e contestuale cartella di pagamento contenente l’intimazione ad adempiere entro 20 giorni, con l’avvertenza che in mancanza si procederà ad esecuzione forzata (comma 2). La disposizione precisa che se il ruolo è ripartito in più rate, l’intimazione ad adempiere contenuta nella cartella di pagamento produce effetti relativamente a tutte le rate (comma 3).

 

In via preliminare, si osserva che non è chiara la collocazione delle nuove disposizioni, ossia se il legislatore intenda inserirle nel Titolo II (Disposizioni generali per spese processuali, spese di mantenimento, pene pecuniarie, sanzioni amministrative pecuniarie e sanzioni pecuniarie processuali) o nel Titolo III (Disposizioni particolari per spese processuali, spese di mantenimento e sanzioni pecuniarie processuali), che però già prevede un Capo I, ovvero se intenda costituire un titolo autonomo.

Occorre inoltre valutare l’opportunità di coordinare le nuove disposizioni con quelle da esse richiamate. Si ricorda, infatti, che, dal momento della stipula delle convenzioni previste dalla legge finanziaria 2008 (v. sopra) e per effetto della stessa legge, gli articoli 211, 212 e 213 del testo unico saranno abrogati.


 

Articolo 53
(Razionalizzazione del processo del lavoro)

1. Nel secondo comma dell'articolo 421 del Codice di Procedura Civile le parole «dell'articolo precedente» sono sostituite dalle parole «dell'articolo 420».

2. Il primo comma dell'articolo 429 del Codice di Procedura Civile è sostituito dal seguente: «Nell'udienza il giudice, esaurita la discussione orale e udite le conclusioni delle parti, pronuncia sentenza con cui definisce il giudizio dando lettura del dispositivo e della esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione. In caso di particolare complessità della controversia, il giudice fissa nel dispositivo un termine, non superiore a sessanta giorni, per il deposito della sentenza».

 

 

L’articolo 53 novella gli artt. 421, secondo comma, e 429 del codice di procedura civile, relativi, rispettivamente, ai poteri istruttori del giudice ed alla pronuncia della sentenza nell’ambito della disciplina del processo del lavoro.

 

La modifica del secondo comma dell’art. 421 c.p.c. ha finalità di coordinamento normativo. La novella si è resa necessaria[292], al fine di chiarire che il rinvio al sesto comma “dell’articolo precedente” di cui al citato secondo comma dell’art. 421 si intende all’art. 420.

 

L’art. 421 c.p.c. prevede che il giudice indichi alle parti in ogni momento le irregolarità degli atti e dei documenti che possono essere sanate assegnando un termine per provvedervi, salvo gli eventuali diritti quesiti (primo comma).

Può altresì disporre d'ufficio in qualsiasi momento l'ammissione di ogni mezzo di prova anche fuori dei limiti stabiliti dal codice civile, ad eccezione del giuramento decisorio, nonché la richiesta di informazioni e osservazioni, sia scritte che orali, alle associazioni sindacali indicate dalle parti. Si osserva la disposizione del comma sesto dell'articolo precedente (secondo comma previgente).

 

Con la modifica dell’art. 429 c.p.c., primo comma, il legislatore interviene sul contenuto della sentenza del processo del lavoro.

Il previgente art. 429, primo comma, c.p.c., stabilisce che il giudice, esaurita la discussione orale e udite le conclusioni delle parti, pronuncia sentenza con cui definisce il giudizio dando lettura del dispositivo.

Per finalità di “maggiore trasparenza” e per garantire “tempi certi per la decisione”- secondo quanto riportato dalla relazione governativa – si prevede che, in sede di pronuncia della sentenza, il giudice debba dare lettura anche della esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione.

 

Viene, inoltre, aggiunto un periodo che stabilisce un termine massimo di 60 giorni per il deposito della sentenza nei casi di particolare complessità della controversia.

Le nuove disposizioni si applicano ai giudizi istaurati dopo l’entrata in vigore del decreto legge (in virtù dell’articolo 56 dello stesso decreto)

 

Si segnala l’opportunità di valutare il coordinamento della disposizione introdotta dal comma 2 dell’articolo 53 del decreto-legge in esame con l’art. 430 c.p.c., che stabilisce i termini per il deposito della sentenza.

 


 

Articolo 54
(Accelerazione del processo amministrativo)


1. All'articolo 9, comma 2, della legge 21 luglio 2000, n. 205, le parole «dieci anni» sono sostituite con le seguenti: «cinque anni».

2. La domanda di equa riparazione non è proponibile se nel giudizio dinanzi al giudice amministrativo in cui si assume essersi verificata la violazione di cui all'articolo 2, comma 1, non è stata presentata un'istanza ai sensi del secondo comma dell'articolo 51 del regio decreto 17 agosto 1907, n. 642, nei sei mesi antecedenti alla scadenza dei termini di durata di cui all'articolo 4, comma 1-ter, lettera b).».

3. Alla legge 27 aprile 1982, n. 186, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all'articolo 1, primo comma, le parole: «le prime tre con funzioni consultive e le altre con funzioni giurisdizionali» sono sostituite dalle parole: «con funzioni consultive o giurisdizionali, oltre alla sezione normativa istituita dall'articolo 17, comma 28, della legge 15 maggio 1997, n. 127»;

b) all'articolo 1, dopo il quarto comma è aggiunto il seguente: «Il Presidente del Consiglio di Stato, con proprio provvedimento, all'inizio di ogni anno, sentito il Consiglio di Presidenza, individua le sezioni che svolgono funzioni giurisdizionali e consultive, determina le rispettive materie di competenza e la composizione, nonché la composizione della Adunanza Plenaria ai sensi dell'articolo 5, primo comma.»;

c) all'articolo 5, primo comma, le parole da «dal consiglio» sino alla parola: «giurisdizionali.» sono sostituite dalle seguenti parole: «dal Presidente del Consiglio di Stato, sentito il Consiglio di Presidenza.»;

d) all'articolo 5, comma secondo, le parole «in modo da assicurare in ogni caso la presenza di quattro consiglieri per ciascuna sezione giurisdizionale» sono soppresse.


 

 

L’articolo 54 contiene disposizioni volte ad incidere sul processo amministrativo con le seguenti finalità:

§      prevedere la perenzione dei ricorsi amministrativi ultraquinquennali (comma 1);

§      subordinare alla presentazione di un’istanza di urgenza la proponibilità della domanda di equa riparazione per irragionevole durata del processo amministrativo (comma 2);

§      modificare la struttura del Consiglio di Stato, eliminando la previsione che voleva le 6 sezioni del Consiglio ripartite rigidamente in 3 sezioni con funzioni consultive e 3 con funzioni giurisdizionali. Spetterà al Presidente del Consiglio di Stato indicare all’inizio di ogni anno quante e quali sezioni svolgeranno funzioni consultive e quante e quali funzioni giurisdizionali oltre a designare i componenti dell’Adunanza plenaria (comma 3).

 

In particolare, il comma 1 interviene sull’articolo 9 della legge 21 luglio 2000, n. 205, (Disposizioni in materia di giustizia amministrativa), relativo alla perenzione dei ricorsi ultradecennali.

 

L’articolo 9 della l. n. 205/2000 (nel testo vigente prima del decreto legge in commento) prevede che, se dopo 10 anni dal deposito, il ricorso amministrativo è ancora pendente, la segreteria del giudice amministrativo deve notificare alla parte ricorrente un avviso con il quale la invita a presentare entro i successivi 6 mesi una nuova istanza di fissazione dell’udienza, con la firma delle parti. In assenza di tale nuova istanza dovrà essere dichiarata la perenzione del ricorso[293].

 

Il decreto legge è intervenuto per ridurre da 10 a 5 gli anni che devono trascorrere prima che si possa attivare la procedura volta a verificare il persistente interesse delle parti alla pronuncia del giudice, ed eventualmente a dichiarare la perenzione del ricorso.

 

Il comma 2 subordina la domanda di equa riparazione per il danno derivante dall’eccessiva durata del processo amministrativo (art. 2, comma 1, legge n. 89 del 2001) alla presentazione al giudice amministrativo, un’istanza volta a far dichiarare il ricorso urgente (in base all’art. 51 del R.D. n. 642 del 1907[294]).

 

In relazione alla formulazione del testo si evidenzia che non è specificato che l’articolo 2, comma 1 si riferisce presumibilmente alla c.d. Legge Pinto (L. n. 89/2001). Inoltre non è specificato a quale legge debba ricondursi il riferimento all’art. 4, comma 1-ter, lettera b).

 

Il comma 3 dell’articolo 54 interviene sulla legge n. 186 del 1982, in tema di ordinamento della giurisdizione amministrativa e del relativo personale addetto[295], per apportarvi le seguenti modifiche:

§      [lett. a)] stabilisce che il Consiglio di Stato si divide in sei sezioni, con funzioni consultive o giurisdizionali, oltre alla sezione normativa prevista dalla legge n. 127 del 1997. Il decreto elimina la previsione dell’obbligatoria presenza di 3 sezioni con funzioni consultive – modifica che va letta alla luce dell’intervento disposto dalla lettera b) - e aggiunge il richiamo alla sezione normativa[296].

§      [lett. b)] stabilisce che all’inizio di ogni anno il presidente del Consiglio di Stato debba individuare le sezioni che svolgeranno funzioni consultive e quelle che, invece, svolgeranno funzioni giurisdizionali, determinando le rispettive materia di competenza e definendo altresì la composizione dell’Adunanza Plenaria (ai sensi dell’art. 5 della legge, come novellato dalla lettera c).

§      [lett. c)] stabilisce che spetta al Presidente del Consiglio di Stato, sentito il Consiglio di presidenza, individuare i 12 magistrati che comporranno l’Adunanza plenaria (poi presieduta dallo stesso Presidente del Consiglio di Stato). Prima dell’entrata in vigore del decreto legge la scelta era sempre di competenza del Presidente, che però doveva individuare i 12 consiglieri traendone 4 da ciascuna delle 3 sezioni giurisdizionali.

§      [lett. d)] stabilisce che con le medesime modalità, il Presidente debba designare i membri supplenti dell’Adunanza plenaria.

 

Si rileva che la disposizione di cui al comma 3, lettera a), fa erroneamente riferimento all’articolo 1, primo comma della legge n. 186/1982, mentre la novella andrebbe più correttamente riferita al secondo comma del medesimo articolo[297].

 


 

Articolo 55
(Accelerazione del contenzioso tributario)


1. Relativamente ai soli processi pendenti, su ricorso degli uffici dell'Amministrazione finanziaria, innanzi alla Commissione tributaria centrale alla data di entrata in vigore dell'articolo 1, comma 351, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, per i quali non è stata ancora fissata l'udienza di trattazione alla data di entrata in vigore del presente articolo, i predetti uffici depositano presso la competente segreteria, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente articolo, apposita dichiarazione di persistenza del loro interesse alla definizione del giudizio. In assenza di tale dichiarazione i relativi processi si estinguono di diritto e le spese del giudizio restano a carico della parte che le ha sopportate.

2. A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente articolo non si fa luogo alla nomina di nuovi giudici della Commissione tributaria centrale e le sezioni della stessa, ove occorrente, sono integrate esclusivamente con i componenti delle commissioni tributarie regionali presso le quali le predette sezioni hanno sede.


 

 

L’articolo 55 reca disposizioni in materia di accelerazione del processo tributario ed organizzazione della Commissione tributaria centrale.

 

In particolare, il comma 1 disciplina uno specifico meccanismo di estinzione automatica dei processi pendenti innanzi alla Commissione tributaria centrale.

L’estinzione opera con riguardo ai processi pendenti innanzi alla suddetta Commissione centrale alla data del 1° gennaio 2008 (ovvero la data di entrata in vigore dell’articolo 1, comma 351, della legge 24 dicembre 2007, n. 244) promossi dagli uffici dell’Amministrazione finanziaria, per i quali non sia stata ancora fissata l’udienza di trattazione al momento dell’entrata in vigore della norma in commento.

 

Si ricorda che la riforma del 1992[298] ha soppresso la Commissione Tributaria Centrale e ne ha disposto la cessazione del funzionamento, tenuto conto dei ricorsi pendenti e, dunque, con prosecuzione della sua attività fino all’esaurimento del contenzioso in corso di definizione.

Da ultimo, nell’ottica di razionalizzazione e riordino degli organi di giustizia tributaria, la legge finanziaria per il 2008 (articolo 1, commi 351-354 legge 24 dicembre 2007 n. 244) ha introdotto disposizioni organizzative della suddetta Commissione centrale.

In particolare, il comma 351 ha – tra l’altro - ridotto a 21 le sezioni della Commissione tributaria centrale a decorrere dal 1° maggio 2008, disponendone l’incardinazione presso ciascuna commissione tributaria regionale avente sede nei capoluoghi regionali, nonché presso le commissioni tributarie di secondo grado di Trento e Bolzano.

 

Al fine di evitare l’estinzione del processo, gli uffici sono tenuti a depositare presso la competente segreteria, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore dell’articolo 55 in commento, apposita dichiarazione di persistenza del loro interesse alla definizione del giudizio.

La mancata presentazione della dichiarazione comporta infatti l’estinzione di diritto del processo e la permanenza delle spese di giudizio a carico della parte che le ha sopportate sino al momento dell’estinzione medesima.

 

Il comma 2 dell’articolo in esame dispone il blocco della nomina di nuovi giudici della Commissione tributaria centrale, con eventuale integrazione delle sezioni tramite i componenti delle commissioni tributarie regionali presso le quali le predette sezioni hanno sede.

 

Si ricorda a tal proposito che tra le disposizioni introdotte dal citato articolo 1, comma 351 della legge finanziaria per il 2008 rientra l’applicazione alle sezioni della Commissione tributaria centrale incardinate presso i capoluoghi regionali e le province autonome, in qualità di componenti, dei presidenti di sezione, dei vice presidenti di sezione e dei componenti delle commissioni tributarie regionali istituite nelle stesse sedi[299].

 

Il Sole 24 Ore[300] ha rilevato che, alla data del 1° febbraio 2008 i ricorsi pendenti presso la Commissione tributaria centrale erano 301.677, a fronte di 20.653 ricorsi definiti dalla Commissione medesima tra il 1° gennaio 2007 ed il 1° febbraio 2008.


 

Articolo 56
(Disposizioni transitorie)

1. Gli articoli 181 e 429 del codice di procedura civile, come modificati dal presente decreto-legge, si applicano ai giudizi instaurati dopo la sua entrata in vigore.

 

 

L’articolo 56 chiarisce che le disposizioni di cui agli articoli 181 (relative alla cancellazione della causa dal ruolo) e 429 del codice di procedura civile (relative alla pronuncia della sentenza), come novellate rispettivamente dagli articoli 50 e 53 del decreto legge (v. sopra), si applicano esclusivamente ai giudizi instaurati dopo l’entrata in vigore del decreto stesso (27 giugno 2008).


 

Articolo 57
(Servizi di Cabotaggio)


1. Le funzioni e i compiti di programmazione e di amministrazione relative ai servizi di cabotaggio marittimo di servizio pubblico che si svolgono all'interno di una Regione sono esercitati dalla Regione interessata. Per le Regioni a statuto speciale il conferimento delle funzioni e dei compiti avviene nel rispetto degli statuti speciali. La gestione dei servizi di cabotaggio è regolata da contratti di servizio secondo quanto previsto dagli articoli 17 e 19 del decreto legislativo n. 422 del 1997 in quanto applicabili al settore.

2. Le risorse attualmente previste nello bilancio dello Stato per il finanziamento dei contratti di servizio pubblico di cabotaggio marittimo sono altresì destinate alla compartecipazione dello Stato alla spesa sostenuta dalle Regioni per l'erogazione di tali servizi. Con decreti del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato-Regioni, è disposta, nei limiti delle risorse disponibili a legislazione vigente pro tempore, la ripartizione di tali risorse. Al fine di assicurare la congruità e l'efficienza della spesa statale, le Regioni, per accedere al contributo, stipulano i contratti e determinano oneri di servizio pubblico e dinamiche tariffarie sulla base di criteri comuni stabiliti dal CIPE, sentita la Conferenza Stato-Regioni.

3. Su richiesta delle Regioni interes­sate, da effettuarsi entro 120 giorni dall'entrata in vigore del presente provvedimento, l'intera partecipazione detenuta dalla Società Tirrenia di Navigazione S.p.a. nelle società Caremar - Campania Regionale Marittima S.p.a., Saremar - Sardegna Regionale Marittima S.p.a., Toremar - Toscana Regionale Marittima S.p.a., Siremar - Sicilia Regionale Marittima S.p.a. è trasferita, a titolo gratuito, rispettivamente alle Regioni Campania, Sardegna, Toscana, Sicilia. Entro il medesimo termine, la Regione Puglia e la Regione Lazio possono richiedere il trasferimento gratuito, a società da loro interamente partecipate, del complesso dei beni, delle attività e delle risorse umane utilizzate rispetti­vamente dalla Tirrenia di Navigazione S.p.a. e dalla Caremar S.p.a. per l'esercizio dei collegamenti con le Isole Tremiti e con l'arcipelago Pontino.

4. In deroga agli articoli 10, 17 e 18 del decreto legislativo n. 422 del 1997 e sussistendo comprovate esigenze economiche sociali, ambientali, anche al fine di assicurare il rispetto del principio della continuità territoriale e la domanda di mobilità dei cittadini, le Regioni possono affidare, l'esercizio di servizi di cabotaggio a società di capitale da esse interamente partecipate secondo le modalità stabilite dal diritto comunitario.

5. All'articolo 2, comma 192, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, il secondo periodo è soppresso.


 

 

Il comma 1 dell’articolo 57 dispone che le funzioni e i compiti di programmazione e di amministrazione relative ai servizi di cabotaggio marittimo di servizio pubblico che si svolgono all’interno di una Regione siano esercitati dalla Regione interessata. Per le Regioni a statuto speciale il conferimento delle funzioni e dei compiti avviene nel rispetto degli statuti speciali. La gestione dei servizi di cabotaggio è regolata da contratti di servizio secondo quanto previsto dagli articoli 17 e 19 del D.Lgs. 422/1997 in quanto applicabili al settore.

 

La legge 59/1997 esclude dal conferimento a Regioni ed enti locali le funzioni ed i compiti amministrativi concernenti i trasporti aerei e marittimi e ferroviari di interesse nazionale (articolo 1, comma 3, lett. r-bis).

Il D.Lgs. 422/1997[301] - in attuazione della delega di cui alla legge 59/1997:

§      individua i servizi pubblici di trasporto regionale e locale (articolo 1) e quelli di interesse nazionale (articolo 3)[302]: sono di interesse nazionale tutti i trasporti marittimi con la eccezione dei servizi di cabotaggio che si svolgono prevalentemente nell’ambito di una regione;

§      conferisce alle Regioni e agli enti locali tutti i relativi compiti, compresi quelli concernenti la definizione degli oneri di servizio pubblico e la relativa imposizione nonché la conclusione dei contratti di servizio pubblico;

§      stabilisce i criteri di organizzazione dei servizi di trasporto pubblico locale;

§      dispone che per le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano il conferimento delle funzioni, nonché il trasferimento dei relativi beni e risorse, sono disposti nel rispetto degli statuti e attraverso apposite norme di attuazione.

Il regolamento comunitario 3577/92 ha fissato il principio della libera prestazione di servizi di cabotaggio marittimo negli Stati comunitari per tutti gli armatori comunitari che impiegano navi comunitarie. La sola deroga prevista riguarda l’imposizione di obblighi di servizio pubblico e/o il contratto di servizio pubblico, nell’ipotesi in cui manchi, su una o più rotte e/o linee, un servizio sufficiente a garantire la continuità territoriale.

 

Il comma 2 dispone che le risorse statali destinate al finanziamento del servizio pubblico di cabotaggio marittimo siano altresì destinate ad integrare la compartecipazione dello Stato alla spesa sostenuta dalle Regioni per l’erogazione del servizio. Le risorse sono ripartite con decreti del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato-Regioni, nei limiti delle risorse disponibili a legislazione vigente pro-tempore. Per accedere al contributo le Regioni stipulano contratti e determinano oneri di servizio pubblico e dinamiche tariffarie sulla base di criteri comuni stabiliti dal CIPE, sentita la conferenza Stato-Regioni.

 

Si ricorda che l’articolo 1, comma 998, della legge finanziaria per il 2007[303] - allo scopo di completare il processo di liberalizzazione del settore del cabotaggio marittimo,nonché la privatizzazione delle società esercenti i predetti servizi – ha autorizzato la spesa di 50 milioni di euro a decorrere dal 2009 per la stipula di nuove convenzioni con le società marittime esercenti:

§      i servizi di collegamento con le isole maggiori e minori nonché eventuali prolungamenti ritenuti necessari allo sviluppo delle aree interessate ed in particolare del Mezzogiorno;

§      i servizi postali e commerciali con le isole dell'Arcipelago toscano, Partenopee, Pontine, Eolie, Egadi, Pelagie, di Ustica e di Pantelleria;

§      i servizi marittimi sovvenzionati di carattere locale nella costa adriatica orientale.

L’articolo 2, comma 223 della legge finanziaria per il 2008[304] ha autorizzato ulteriori spese (5 milioni di euro per il 2008 e di 15 milioni di euro per il 2009) per rifinanziare il comma 998.

 

Il comma 3 prevede che, su richiesta delle Regioni interessate, da effettuarsi entro 120 giorni dall’entrata in vigore del provvedimento in oggetto, l’intera partecipazione detenuta dalla Società Tirrenia di Navigazione S.p.a. nelle società Caremar – Campania Regionale Marittima S.p.a., Saremar – Sardegna Regionale Marittima S.p.a., Toremar – Toscana Regionale Marittima S.p.a., Siremar – Sicilia Regionale Marittima S.p.a. è trasferita, a titolo gratuito, rispettivamente alle Regioni Campania, Sardegna, Toscana, Sicilia. Entro il medesimo termine, la Regione Puglia e la Regione Lazio possono richiedere il trasferimento gratuito, a società da loro interamente partecipate, del complesso dei beni, delle attività e delle risorse umane utilizzate rispettivamente dalla Tirrenia di Navigazione S.p.a. e dalla Caremar S.p.a. per l’esercizio dei collegamenti con le Isole Tremiti e con l’arcipelago Pontino.

 

Tirrenia di Navigazione S.p.a. è una società soggetta alla attività di direzione e coordinamento di Fintecna S.p.a. Roma e per suo tramite del Ministero dell’economia e delle finanze, unico azionista.

Il gruppo Tirrenia effettua servizi marittimi di continuità territoriale tra l'Italia continentale e le sue principali isole, nonché cabotaggio merci sulle dorsali adriatica e tirrenica. La gestione dei suddetti servizi è disciplinata da Convenzioni (la cui scadenza è prevista al 31 dicembre 2008) stipulate tra le società del Gruppo e i Ministeri competenti che prevedono, tra l'altro, il riconoscimento a favore delle stesse società di un corrispettivo annuo d'equilibrio a fronte degli obblighi di servizio pubblico, da determinarsi sulla base di precisi criteri, tenuto conto di particolari parametri di spesa.

Il gruppo Tirrenia risulta attualmente così articolato:

§      la Tirrenia, capogruppo, esercita i collegamenti con Sardegna, Sicilia e, tramite flotta della Divisione Adriatica, con Albania e Tremiti;

§      la Caremar con le isole del Golfo di Napoli e le Ponziane;

§      la Saremar con isole minori sarde e Corsica;

§       la Siremar con Eolie, Egadi, Pelagie, Ustica e Pantelleria;

§      la Toremar infine con l’Elba e l’arcipelago toscano.

 

Come si legge nella relazione illustrativa al disegno di legge di conversione del decreto-legge in esame, il trasferimento delle azioni detenute dalla Tirrenia S.p.a. nelle società svolgenti i servizi di cabotaggio di interesse regionale è diretto ad agevolare la privatizzazione della Tirrenia stessa. L’intenzione del Governo di attivare tempestivamente tale privatizzazione è affermata anche nel Documento di programmazione economica e finanziaria per gli anni 2009-2013 (doc. LVII n. 1).

 

Il comma 4, prevede, in deroga agli articoli 10, 17 e 18 del D.Lgs. 422/1997 e sussistendo comprovate esigenze economiche sociali, ambientali, anche al fine di assicurare il rispetto del principio della continuità territoriale e la domanda di mobilità dei cittadini, la possibilità che le Regioni affidino l’esercizio di servizi di cabotaggio a società di capitale da esse interamente partecipate.

 

Il comma in oggetto pone una questione di compatibilità comunitaria. Gli articoli 10, 17 e 18 del D.Lgs. 422/1997, infatti, nel disciplinare le modalità di gestione dei servizi marittimi (ed aerei) di interesse regionale, prevedevano, allo scopo di incentivare il superamento degli assetti monopolistici e di introdurre regole di concorrenzialità coerenti con gli indirizzi comunitari, che Regioni ed enti locali, garantissero il ricorso a procedure concorsuali per la scelta del gestore del servizio, conformemente alla normativa comunitaria e nazionale sugli appalti pubblici di servizio, escludendo peraltro dalle gare le società esercenti, in Italia o all'estero, servizi in affidamento diretto o a seguito di procedure non ad evidenza pubblica, le società dalle stesse controllate o ad esse collegate, le loro controllanti nonché le società di gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali.

 

Il comma 5 dell’articolo in esame dispone infine la soppressione del secondo periodo del comma 192, dell’articolo 2, della legge 662/1996[305] (provvedimento collegato alla legge finanziaria per il 1997).

Tale disposizione prevedeva l’obbligo del Governo di trasmettere un piano industriale relativo agli effetti della cessione di quote azionarie checomportassero la perdita della maggioranza del capitale sociale in società di trasporto aereo ovvero di servizi marittimi nazionali e internazionali, nonché in società di supporto di queste ultime, partecipate da IRI Spa e FINMARE Spa.

La trasmissione al Parlamento del citato piano industriale, in via preventiva rispetto all’avvio delle procedure di alienazione delle partecipazioni, aveva la finalità di consentire alle competenti Commissioni parlamentari di esprimere un parere relativo alla cessione delle quote di capitale sociale.

 

La disposizione soppressa, ove figura l’espressione “predette società”, era collegata al primo periodo del richiamato comma 192, articolo 2, che ha abrogato le disposizioni legislative che obbligavano l’IRI S.p.a. (società per azioni all’epoca interamente posseduta dal Ministero del tesoro) a detenere direttamente o indirettamente partecipazioni di maggioranza in società di trasporto aereo, nonché in società esercenti servizi marittimi nazionali ed internazionali e relative società di supporto. Per queste ultime società esercenti servizi marittimi e di supporto a tali servizi, in particolare, l’obbligo di detenere direttamente o indirettamente partecipazioni di maggioranza era esteso altresì alla FINMARE S.p.a.

 

E’ da segnalare che sia per l’IRI S.p.a, sia per la FINMARE S.p.a sono state concluse le procedure di riorganizzazione e liquidazione del gruppo.

In particolare, l’IRI, dopo che il decreto-legge 333/1992[306] ne aveva disposto la trasformazione in società per azioni, attribuita al Ministero del tesoro(ora dell’economia e delle finanze) che ne esercitava i diritti dell’azionista, è stato sottoposto alla procedura di liquidazione dal 27 giugno 2000. Successivamente, a far data dal 30 novembre 2002, l’Istituto è stato cancellato dal Registro delle imprese per effetto della fusione per incorporazione nella FINTECNA S.p.a., società in precedenza posseduta al 100% dall’IRI stesso. Fintecna ha acquisito in tal modo il residuo portafoglio di attività in capo all’IRI S.p.a., costituito principalmente dalle partecipazioni in Fincantieri e Tirrenia.

La costituzione di quest’ultima società operante nel settore cabotiero, inoltre, derivava dal processo di riorganizzazione del Gruppo FINMARE, nell’ambito del quale si era già provveduto alla dismissione delle società operanti nel settore di linea (Lloyd Triestino e Italia di Navigazione)[307].

 

Si osserva che la norma in esame sopprime una disposizione che appare riferirsi a due gruppi societari che risultano attualmente incorporati in un altro soggetto giuridico pubblico. Pertanto, la finalità di tale soppressione sembra riguardare, più in generale, la cancellazione dell’obbligo del Governo di presentare al Parlamento i piani industriali di società del settore dei trasporti marittimi o aerei a partecipazione direttamente o indirettamente pubblica, le cui quote azionarie di maggioranza siano oggetto di cessione.

 


 

Articolo 58
(Ricognizione e valorizzazione del patrimonio immobiliare di regioni, comuni ed altri enti locali)


1. Per procedere al riordino, gestione e valorizzazione del patrimonio immobiliare di Regioni, Province, Comuni e altri Enti locali, ciascun ente con delibera dell'organo di Governo individua, sulla base e nei limiti della documentazione esistente presso i propri archivi e uffici, i singoli beni immobili ricadenti nel territorio di competenza, non strumentali all'eser­cizio delle proprie funzioni istituzionali, suscettibili di valorizzazione ovvero di dismissione. Viene così redatto il Piano delle Alienazioni immobiliari allegato al bilancio di previsione.

2. L'inserimento degli immobili nel piano ne determina la conseguente classifi­cazione come patrimonio disponibile e ne dispone espressamente la destinazione urbanistica; la deliberazione del consiglio comunale di approvazione del Piano delle Alienazioni costituisce variante allo strumento urbanistico generale. Tale variante, in quanto relativa a singoli immobili, non necessita di verifiche di conformità agli eventuali atti di pianifi­cazione sovraordinata di competenza delle Province e delle Regioni.

3. Gli elenchi di cui ai commi 1 e 2, da pubblicare mediante le forme previste per ciascuno di tali enti, hanno effetto dichiarativo della proprietà, in assenza di precedenti trascrizioni, e producono gli effetti previsti dall'articolo 2644 del codice civile, nonché effetti sostitutivi dell'iscrizione del bene in catasto.

4. Gli uffici competenti provvedono, se necessario, alle conseguenti attività di trascrizione, intavolazione e voltura.

5. Contro l'iscrizione del bene negli elenchi di cui ai commi 1 e 2, è ammesso ricorso amministrativo entro sessanta giorni dalla pubblicazione, fermi gli altri rimedi di legge.

6. La procedura prevista dall'articolo 3-bis del decreto-legge 25 settembre 2001 n. 351, convertito con modificazioni dalla legge 23 novembre 2001 n. 410, per la valorizzazione dei beni dello Stato si estende ai beni immobili inclusi negli elenchi di cui al presente articolo. In tal caso, la procedura prevista al comma 2 del suddetto articolo si applica solo per i soggetti diversi dai Comuni e l'iniziativa è rimessa all'Ente proprietario dei beni da valorizzare. I bandi previsti dal comma 5 sono predisposti dall'Ente proprietario dei beni da valorizzare.

7. I soggetti di cui all'articolo 1 possono in ogni caso individuare forme di valorizzazione alternative, nel rispetto dei principi di salvaguardia dell'interesse pubblico e mediante l'utilizzo di strumenti competitivi.

8. Gli enti proprietari degli immobili inseriti negli elenchi di cui al presente articolo possono conferire i propri beni immobili anche residenziali a fondi comuni di investimento immobiliare ovvero promuoverne la costituzione secondo le disposizioni degli articoli 4 e seguenti del decreto-legge 25 settembre 2001 n. 351, convertito con modificazioni dalla legge 23 novembre 2001, n. 410.

9. Ai conferimenti di cui al presente articolo, nonché alle dismissioni degli immobili inclusi negli elenchi di cui all'articolo 1, si applicano le disposizione dei commi 18 e 19 dell'articolo 3 del decreto-legge 25 settembre 2001, n. 351, convertito con modificazioni dalla legge 23 novembre 2001 n. 410.


 

 

Il comma 1 prevede che regioni, province, comuni e altri enti locali dispongano l’individuazione, con delibera del proprio organo di Governo e in base della documentazione dei propri archivi ed uffici (e limitatamente ad essi), dei singoli beni immobili che ricadono nel territorio di propria competenza. Tali beni devono essere non strumentali all’esercizio delle proprie funzioni istituzionali e suscettibili di essere valorizzati ovvero dismessi.

La finalità della norma è di procedere al riordino, gestione e valorizzazione del patrimonio immobiliare di regioni ed enti locali e di redigere un “Piano delle Alienazioni immobiliari” da allegare al bilancio di previsione dell’ente.

 

Si ricorda che disposizioni di analogo tenore sono contenute all’articolo 1 del decreto-legge n. 351 del 2001[308] che rimetteva ad appositi “decreti dirigenziali” dell'Agenzia del demanio l’individuazione dei beni immobili appartenenti allo Stato e agli enti pubblici non territoriali, dei beni ubicati all'estero e di quelli, non strumentali, attribuiti a società integralmente controllate dallo Stato, distinguendo tra beni demaniali e beni facenti parte del patrimonio indisponibile e disponibile. Tale ricognizione del patrimonio immobiliare era, tra l’altro, finalizzata alla redazione del conto patrimoniale dello Stato.

Anche tali decreti, così come i predetti elenchi approvati dagli organi esecutivi di regioni ed enti locali (cfr. esame comma 3 più avanti), hanno effetti dichiarativi della proprietà e, in caso di assenza di precedenti trascrizioni nei pubblici registri immobiliari, producono gli stessi effetti relativi alla trascrizione.

Rispetto alla previsione del comma 1 sopra esaminato, tuttavia, volto a disporre l’introduzione obbligatoria in capo a regioni ed enti locali del “Piano delle Alienazioni immobiliari”, il sopra esaminato articolo 1 del decreto-legge n. 351 prevede una semplice facoltà degli enti territoriali, qualora lo ritengano opportuno, di avvalersi delle disposizioni relative alla ricognizione del patrimonio immobiliare pubblico, al fine di dare maggiore certezza alla titolarità dei beni di loro proprietà.

 

Il comma 2 inoltre stabilisce che l’inserimento degli immobili nel Piano, come sopra disposto, ne determina la conseguente classificazione come patrimonio disponibile e ne dispone espressamente la destinazione urbanistica.

In particolare, la norma prevede che la deliberazione del predetto Piano delle Alienazioni da parte del consiglio comunale, costituisca una variante dello strumento urbanistico generale. Si specifica altresìche tale variante, poiché riferita ai singoli immobili, non necessita di verifiche di conformità agli eventuali atti di pianificazione sovraordinata di competenza delle Province e delle Regioni.

 

Pur non menzionandoli esplicitamente, la disposizione di cui al comma 3 fa riferimento ad “elenchi”, così come definiti dai precedenti commi 1 e 2, che devono essere pubblicati secondo le forme previste per ciascuno degli enti richiamati nei predetti commi. Inoltre, si stabilisce che tali elenchi abbiano effetto dichiarativo della proprietà, in assenza di precedenti trascrizioni e producano gli effetti previsti dall’articolo 2644 del codice civile relativi agli effetti della trascrizione, oltre che gli effetti sostitutivi dell’iscrizione del bene in catasto.

 

Al riguardo, il comma 4 dispone altresì che gli uffici competenti siano chiamati a provvedere, se necessario, alle conseguenti attività di trascrizione, intavolazione[309] e voltura.

 

Il comma 5 stabilisce la possibilità di ricorrere in via amministrativa avverso l’iscrizione del bene negli elenchi di cui ai precedenti commi 1 e 2, entro sessanta giorni dalla pubblicazione degli stessi, fatti salvi gli altri rimedi previsti dalla legge.

 

Il comma 6 estende ai beni immobili inclusi nei predetti elenchi la procedura prevista dall’articolo 3-bis del decreto-legge n. 351 del 2001, relativa alla valorizzazione dei beni dello Stato e utilizzazione a fini economici tramite concessione o locazione.

In particolare, la procedura prevista al comma 2 del citato articolo 3-bis, mediante la quale il Ministero dell’economia può convocare una o più conferenze di servizi o promuovere accordi di programma[310], è previsto si applichi esclusivamente ai soggetti diversi dai comuni e l’iniziativa di tali attività viene rimessa all’ente proprietario dei beni da valorizzare. Quest’ultimo ente predispone altresì i bandi previsti dal comma 5 del citato articolo 3-bis, con i quali vengono stabiliti i criteri di assegnazione e le condizioni delle concessioni o delle locazioni.

 

Nel penultimo e nell’ultimo periodo del comma 6 andrebbero perfezionati i riferimenti normativi.

 

Il comma 7 prevede che i soggetti di cui all’articolo 1 possano in ogni caso individuare forme di valorizzazione alternative, nel rispetto dei principi di salvaguardia dell’interesse pubblico e mediante l’utilizzo di strumenti competitivi.

 

Il riferimento ai “soggetti di cui all’articolo 1” di cui al comma 7 sembrerebbe dover essere effettuato “ai soggetti di cui al comma 1”.

 

Il comma 8 dispone che gli enti proprietari degli immobili inseriti negli elenchi di cui al presente articolo possano conferire i propri beni immobili, anche residenziali, a fondi comuni di investimento immobiliare ovvero promuoverne la costituzione secondo le disposizioni degli articolo 4 e seguenti del citato decreto-legge n. 351.

Si rammenta che l’articolo 4 del citato decreto-legge n. 351 interviene in materia di conferimento di beni immobili a fondi comuni di investimento immobiliare. A tal fine, si autorizza il Ministro dell'economia e delle finanze a promuovere la costituzione di uno o più fondi comuni di investimento immobiliare, cui possono essere conferiti beni immobili a uso diverso da quello residenziale dello Stato, dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato e degli enti pubblici non territoriali, individuati con uno o più decreti del Ministro dell'economia e delle finanze. I decreti disciplinano altresì le procedure per l'individuazione o l'eventuale costituzione della società di gestione, per il loro funzionamento e per il collocamento delle quote del fondo, nonché i criteri di attribuzione dei proventi derivanti dalla vendita delle quote.

 

Infine, il comma 9, estende la disciplina dell’articolo 3, commi 18 e 19, del citato decreto-legge n. 351 ai conferimenti e alle dismissioni degli immobili inclusi negli elenchi di cui all’articolo 1.

 

Si ricorda che i sopra richiamati comma 18 e 19 dispongono taluni esoneri a favore dello Stato e degli altri enti pubblici, nonché delle società c.d. “veicolo” con le quali essi operano nel campo immobiliare. In particolare, il comma 18 esonera dalla consegna dei documenti relativi alla proprietà dei beni e alla regolarità urbanistica-edilizia e fiscale; il comma 19esonera la società veicolo dal fornire per la rivendita dei beni immobili ad essa trasferiti, la garanzia per vizi e per evizione e dalla consegna dei documenti relativi alla proprietà dei beni e alla regolarità urbanistica-edilizia e fiscale.

 

La disposizione di cui al comma 9 fa riferimento agli “elenchi di cui all’articolo 1”, mentre sembrerebbe più corretto riferirsi al “Piano di cui al comma 1”.

 


 

Articolo 59
(Finmeccanica S.p.a.)

1. In caso di delibera di aumenti di capitale nel corso del corrente esercizio, da parte della società Finmeccanica S.p.a., finalizzati ad iniziative strategiche di sviluppo, il Ministero dell'economia e delle finanze è autorizzato a sottoscrivere azioni di nuova emissione della stessa società per un importo massimo di 250 milioni di euro, attraverso l'esercizio di una quota dei diritti di opzione spettanti allo Stato, mediante utilizzo delle risorse derivanti, almeno per pari importo, dalla distribuzione di riserve disponibili da parte di società controllate dallo Stato e che vengono versate su apposita contabilità speciale per le finalità del presente articolo.

 

 

L’articolo 59 autorizza il Ministero dell’economia e delle finanze alla sottoscrizione di azioni di nuova emissione di Finmeccanica S.p.a. nel caso in cui la società deliberi, nel corso del corrente esercizio, aumenti di capitale finalizzati ad iniziative strategiche di sviluppo.

La sottoscrizione è autorizzata per un importo massimo di 250 milioni di euro, attraverso l’esercizio di una quota dei diritti di opzione spettanti allo Stato, mediante utilizzo delle risorse derivanti, almeno per pari importo, dalla distribuzione di riserve disponibili da parte di società controllate dallo Stato e che vengono versate su apposita contabilità speciale[311].

 

Nella relazione illustrativa del provvedimento si afferma che la disposizione è diretta a consentire all’amministrazione la sottoscrizione di azioni di nuova emissione connesse all’esecuzione di possibili aumenti di capitale di Finmeccanica S.p.a. La Società è infatti impegnata a sviluppare importanti iniziative di rafforzamento della propria presenza, in Italia e all’estero, nei settori strategici presidiati che potrebbero richiedere, già nel corrente anno, un finanziamento parziale attraverso il ricorso al mercato dei capitali. In tale ambito, la partecipazione almeno parziale del socio pubblico di maggioranza relativa, oltre a preservare l’entità della quota di possesso, costituirebbe un importante segnale al mercato in sede di esecuzione dell’operazione di ricapitalizzazione[312].

 

La Società Finanziaria Meccanica Finmeccanica è stata costituita dall'Istituto per la Ricostruzione Industriale (IRI) nel 1948, con l’originario compito di gestire le partecipazioni nell'industria meccanica e cantieristica acquisite nei primi 15 anni di vita dell'IRI. Oggi il Gruppo Finmeccanica controlla l’80% delle capacità industriali italiane nel settore della difesa.

Nei primi anni di vita di Finmeccanica l'attenzione del gruppo si è concentrata su settori come l'automotoristico, la cantieristica, il ferroviario ed il macchinario industriale e l'emergente elettronica, con la gestione di aziende quali Ansaldo, Alfa Romeo, San Giorgio, Sant'Eustachio, Navalmeccanica, Cantieri Navali dell'Adriatico. Negli anni Sessanta erano scorporate da Finmeccanica le aziende ferroviarie e quelle elettroniche, mentre venivano invece acquisite quelle elettromeccaniche.

Negli anni Settanta Finmeccanica era presente in diversi settori industriali: automotoristico (con l'Alfa Romeo), termo-elettro-meccanico (con l'Ansaldo) ed aerospaziale (con l'Aeritalia, costituita al 50% con la FIAT nel 1969).

Negli anni Ottanta le attività del gruppo Finmeccanica si sono concentrate gradualmente nei settori elettromeccanico ed aerospaziale.

Nel 1989 l'IRI riportava in ambito Finmeccanica Selenia, Elsag e SGS, aziende a prevalente tecnologia elettronica precedentemente trasferite alla STET. Finmeccanica ha fatto così ingresso in mercati come i sistemi civili, la fabbrica automatica, i sistemi di comando e controllo, la missilistica, le apparecchiature biomedicali, la robotica complessa, la componentistica microelettronica.

Negli anni Novanta è avvenuta la fusione di Aeritalia e Selenia, che ha dato vita ad Alenia, società che oggi riunisce le attività delle due aziende nell'aeronautica, nell'elettronica per la difesa, nella missilistica e nel controllo del traffico aereo. Intanto Elsag ha acquisito Bailey, ampliando le già rilevanti presenze nell'automazione dei processi e dei servizi. Nel 1991 è stata costituita Ansaldo Energia, in cui sono confluite Ansaldo GIE e Ansaldo Componenti.

Nel 1992 è avvenuta la fusione di Finmeccanica con la società controllata Società Immobiliare e Finanziaria per Azioni - SIFA S.p.a.[313] ed il contestuale ingresso in borsa con denominazione di “Finmeccanica Società per Azioni”.

Al momento dell’avvio del processo di dismissione (fine degli anni Novanta), il Ministro del tesoro era titolare dell'intero capitale sociale dell'IRI S.p.A., che a sua volta deteneva direttamente il controllo maggioritario, pari al 59,7%, del capitale sociale di Finmeccanica S.p.A.

Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 28 settembre 1999 il Ministero del tesoro è stato autorizzato ad emanare le disposizioni per l’attribuzione dei poteri speciali, secondo quanto previsto dalla già citata l. 474/94, di conversione del D.L. n. 332/94)[314]. In detto decreto si dava atto dell’avvio del progetto di privatizzazione di Finmeccanica S.p.a. da parte dell’IRI; si dava atto altresì che per mezzo di esso, attraverso aumenti di capitale sociale di quest'ultima e/o collocamento di azioni e/o integrazioni della stessa con altre società pubbliche, la partecipazione del Tesoro avrebbe raggiunto una quota non maggioritaria del capitale stesso, sia pure non inferiore al 30%.

Nella medesima ottica del rafforzamento patrimoniale della società, in data 20 dicembre 1999 è stata perfezionata la fusione della MEI[315] nella Finmeccanica, con efficacia a decorrere dal 31 dicembre 1999 ed effetti contabili dal 1 gennaio 2000. Finmeccanica, previo annullamento delle vecchie azioni, ha emesso complessive n. 8.392.324.500 azioni ordinarie, assegnate in parte ai precedenti azionisti (IRI ed azionisti terzi) e, quanto alle residue, ai soci MEI (IRI e Ministero del tesoro, con quote, rispettivamente, del 50,06% e del 49,04%). Pertanto, a seguito dell’operazione la quota pubblica detenuta nel capitale Finmeccanica è cresciuta a circa l’83%, destinata però ad una successiva dismissione, salvo il mantenimento di una quota minima del 30% in capo al tesoro.

Il Consiglio di Amministrazione dell’IRI nel maggio del 2000 ha deliberato di fissare in 3.200 milioni di azioni il quantitativo di azioni oggetto di vendita tramite offerta globale; di tale ammontare, almeno 1.280 milioni di azioni sarebbero state destinate ad essere cedute mediante offerta pubblica di vendita (OPV). Il 22 maggio del medesimo anno è stato avviato il book-buiding[316], concluso il 2 giugno contestualmente all’offerta pubblica di vendita (avviata il 29 maggio 2000).L’Assemblea degli azionisti IRI del 3 giugno 2000, tenuto conto delle positive risultanze del book-building e delle raccomandazioni espresse dai consulenti, ha deliberato quindi di fissare il prezzo dell’OPV in 1,50 Euro per azione e di determinare in 3.300 milioni di azioni l’ammontare definitivo dell’offerta globale.Sono state dunque trasferite al Ministero del tesoro, in coerenza alla premessa del D.P.C.M. del 28 settembre 1999 sopra citato, circa 300 milioni di azioni Finmeccanica da parte dell’IRI.

A seguito dell’offerta il Ministero del tesoro deteneva 2.723,9 milioni di azioni, corrispondenti ad una partecipazione del 32,45% del capitale sociale di Finmeccanica. Ciò a seguito dell’eventuale integrale conversione del prestito obbligazionario convertibile; dell’aumento di capitale connesso all’assegnazione delle residue stock options al management di Finmeccanica, nonché dell’ulteriore aumento di capitale ipotizzato dalla Finmeccanica per sostenere iniziative di razionalizzazione societaria.

Il 18 luglio 2005 hanno avuto inizio le azioni di raggruppamento delle azioni ordinarie. Secondo dati recentila partecipazione del Ministero dell’economia e delle finanze in Finmeccanica S.p.A. è del 33,78%.

Le attività di Finmeccanica, prima organizzate come divisioni, sono state riaggregate negli ultimi anni in società operative omogenee e coerenti con la strategia di sviluppo internazionale, lasciando a Finmeccanica le funzioni di indirizzo e controllo strategico e industriale. Sono così nate Alenia Spazio e Agusta nel 2000, Galileo Avionica e Oto Melara nel 2001, Alenia Aeronautica nel 2002.

Nel settore trasporto, nel 2001 sono state costituite Ansaldo Breda e Ansaldo Trasporti Sistemi Ferroviari. Nel 2002 sono state acquisite Marconi Mobile (oggi SELEX Communications), OTE e Telespazio.

Nel settore aerospazio e difesa Finmeccanica ha rafforzato il proprio ruolo con le acquisizioni di Aermacchi e del 30% di Fiat Avio (oggi Avio Group, per la parte restante controllato da The Carlyle Group).

 

 


 

Articolo 60, commi 1-6, 8-10 e 13-15
(Missioni di spesa e monitoraggio della finanza pubblica)


1. Per il triennio 2009-2011 le dotazioni finanziarie, a legislazione vigente, delle missioni di spesa di ciascun Ministero, sono ridotte per gli importi indicati nell'elenco n. 1, con separata indicazione della componente relativa a competenze predeterminate per legge.

2. Dalle riduzioni di cui al comma 1 sono escluse le dotazioni di spesa di ciascuna missione connesse a stipendi, assegni, pensioni e altre spese fisse; alle spese per interessi; alle poste correttive e compensative delle entrate, comprese le regolazioni contabili con le Regioni; ai trasferimenti a favore degli enti territoriali aventi natura obbligatoria, del fondo ordinario delle università; delle risorse destinate alla ricerca; delle risorse destinate al finanziamento del 5 per mille delle imposte sui redditi delle persone fisiche; nonché quelle dipendenti da parametri stabiliti dalla legge o derivanti da accordi internazionali.

3. Fermo quanto previsto ai sensi del comma 6, per il triennio 2009-2011, in sede di predisposizione del progetto di bilancio annuale e pluriennale dello Stato, i Ministri competenti possono rimodulare le riduzioni delle missioni di spesa di cui al comma 1, tra i relativi programmi, nel rispetto delle finalità stabilite dalle disposizioni legislative relative ai medesimi programmi e dei saldi di finanza pubblica. È consentita la rimodulazione tra spese di funzionamento e spese per interventi previsti dalla legge nel limite massimo del 10 per cento delle risorse stanziate per gli interventi stessi. Resta precluso l'utilizzo degli stanziamenti di spesa in conto capitale per finanziare spese correnti.

4. Ai fini della predisposizione del progetto di bilancio annuale e pluriennale dello Stato, i Ministri interessati, entro la prima decade del mese di settembre 2008, inviano, per il tramite degli uffici centrali del bilancio, al Ministero dell'economia e delle finanze, Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, le proposte di rimodulazione delle risorse tra i vari programmi, per i quali potranno essere effettuate proposte di revisione, in considerazione di quelli ritenuti prioritari nel rispetto di quanto stabilito al comma 3.

5. In apposito allegato a ciascuno stato di previsione della spesa sono esposte le autorizzazioni legislative ed i relativi importi da utilizzare per ciascun programma.

6. Fermo restando quanto previsto in materia di flessibilità con la legge annuale di bilancio, in via sperimentale, fino alla riforma della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni e integrazioni, nel disegno di legge di bilancio o nei provvedimenti di cui all'articolo 17 della citata legge n. 468 del 1978, ovvero, quando si evidenzi l'esigenza di interventi più tempestivi, con decreti del Ministro dell'economia e delle finanze, su proposta del Ministro competente, da inviare alla Corte dei conti per la registrazione, nel rispetto dell'invarianza degli effetti sui saldi di finanza pubblica e nel rispetto dell'obiettivo di pervenire al consolidamento dell'articolazione per missioni e per programmi di ciascun stato di previsione, possono essere rimodulate tra i programmi le dotazioni finanziarie di ciascuna missione di spesa, fatta eccezione per le spese di natura obbligatoria, per le spese in annualità e a pagamento differito. Le variazioni tra spese di funzionamento e quelle per interventi sono consentite entro il limite massimo del 10 per cento delle risorse stanziate per gli interventi stessi. Resta precluso l'utilizzo degli stanziamenti di spesa in conto capitale per finanziare spese correnti. Gli schemi dei decreti di cui al primo periodo sono trasmessi al Parlamento per l'espressione del parere delle Commissioni competenti per materia e per i profili di carattere finanziario. I pareri devono essere espressi entro quindici giorni dalla data di trasmissione. Decorso inutilmente il termine senza che le Commissioni abbiano espresso i pareri di rispettiva competenza, i decreti possono essere adottati. Il Governo, ove non intenda conformarsi alle condizioni formulate con riferimento ai profili finanziari, ritrasmette alle Camere gli schemi di decreto corredati dei necessari elementi integrativi di informazione, per i pareri definitivi delle commissioni competenti per i profili finanziari, che devono essere espressi entro dieci giorni. Fatto salvo quanto previsto dagli articoli 2, comma 4-quinquies, della citata legge n. 468 del 1978, e 3, comma 5, del decreto legislativo 7 agosto 1997, n. 279, e successive modificazioni, nel caso si tratti di dotazioni finanziarie direttamente determinate da disposizioni di legge, i pareri espressi dalle Commissioni competenti per i profili di carattere finanziario sono vincolanti. Ciascun ministro prospetta le ragioni della riconfigurazione delle autorizzazioni di spesa di propria competenza nonché i criteri per il miglioramento della economicità ed efficienza e per la individuazione di indicatori di risultato relativamente alla gestione di ciascun programma nelle relazioni al Parlamento di cui al comma 68 dell'articolo 3 della legge 24 dicembre 2007, n. 244. Il termine di cui al citato comma 68 dell'articolo 3 della legge n. 244 del 2007 è differito, per l'anno 2008, al 30 settembre 2008.

(omissis)

8. Il fondo di cui all'articolo 5 comma 4, del decreto-legge 27 maggio 2008, n. 93, è integrato di 100 milioni di euro per l'anno 2009, 300 milioni di euro per ciascuno degli anni 2010 e 2011, da utilizzare a reintegro delle dotazioni finanziarie dei programmi di spesa.

9. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

10. Per l'anno 2009 non si applicano le disposizioni di cui all'articolo 1, commi 507 e 508, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 e la quota resa indisponibile per detto anno, ai sensi del citato comma 507, è portata in riduzione delle relative dotazioni di bilancio.

(omissis)

13. All'articolo 1, comma 21, primo periodo, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 le parole «a singoli capitoli,» sono sostituite dalle seguenti: «ai singoli programmi».

14. Fermo quanto previsto dall'articolo 1, comma 21 della legge 23 dicembre 2005, n. 266, ai fini del controllo e monitoraggio della spesa pubblica, la mancata segnalazione da parte del funzionario responsabile dell'andamento della stessa in maniera tale da rischiare di non garantire il rispetto delle originarie previsioni di spesa costituisce evento valutabile ai fini della responsabilità disciplinare. Ai fini della responsabilità contabile, il funzionario responsabile risponde del danno derivante dal mancato rispetto dei limiti della spesa originariamente previsti, anche a causa della mancata tempestiva adozione dei provvedimenti necessari ad evitare efficacemente tale esito, nonché dalle misure occorrenti per ricondurre la spesa entro i predetti limiti.

15. Al fine di agevolare il perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, a decorrere dall'esercizio finanziario 2009, le amministrazioni dello Stato, escluso il comparto della sicurezza e del soccorso, possono assumere mensilmente impegni per importi non superiori ad un dodicesimo della spesa prevista da ciascuna unità previsionale di base, con esclusione delle spese per stipendi, retribuzioni, pensioni e altre spese fisse o aventi natura obbligatoria ovvero non frazionabili in dodicesimi, nonché per interessi, poste correttive e compensative delle entrate, comprese le regolazioni contabili, accordi internazionali, obblighi derivanti dalla normativa comunitaria, annualità relative ai limiti di impegno e rate di ammortamento mutui. La violazione del divieto di cui al presente comma rileva agli effetti della responsabilità contabile.


 

 

Il comma 1 dispone la riduzione delle dotazioni finanziarie delle missioni di spesa a legislazione vigente per il triennio 2009–2011 per gli importi fissati nell’elenco 1, con separata indicazione della componente relativa alle spese predeterminate per legge.

 

Il comma 2 esclude dalle riduzioni le dotazioni di spesa di ciascuna missione relative alle seguenti voci:

§      stipendi, assegni, pensioni e altre spese fisse;

§      spese per interessi;

§      poste correttive e compensative delle entrate[317], comprese le regolazioni contabili con le Regioni;

§      trasferimenti a favore degli enti territoriali aventi natura obbligatoria.

§      fondo ordinario delle università,

§      le risorse destinate alla ricerca,

§      le risorse destinate al finanziamento del 5 per mille delle imposte sui redditi delle persone fisiche;

§      le risorse dipendenti da parametri stabiliti dalla legge o derivanti da accordi internazionali.

 

Si segnala che la Relazione tecnica elenca tra le voci escluse dalle riduzioni il Fondo per la riassegnazione dei residui passivi della spesa di parte corrente perenti in via amministrativa[318] il Fondo di riserva per le spese obbligatorie e d’ordine[319], il Fondo per la riassegnazione dei residui passivi della spesa di conto capitale perenti in via amministrativa[320] e il Fondo di riserva per le spese impreviste[321] – rispettivamente previsti negli articoli 7, 8 e 9 della legge generale di contabilità (legge n. 468/1978).

 

A tale riguardo si segnala che tali voci indicate nella relazione tecnica non compaiono nelle esclusioni indicate al comma 2. L’elenco 1, peraltro, nel riportare i tagli delle missioni all’interno del Ministero dell’economia e delle finanze indica che anche la MissioneFondi da ripartire”, in cui sono iscritte le dotazioni dei suddetti Fondi, risulta oggetto di riduzione.

 

La relazione tecnica indica, altresì, tra le voci escluse dalla riduzione le risorse destinate alla Camera dei deputati, al Senato della Repubblica e alla Presidenza della Repubblica, nonché le quote di spese di trasferimento ad enti ed organismi pubblici, relative ad oneri del personale.

 

Dall’esame dell’elenco 1 allegato al decreto – legge si evince che oggetto di riduzione sono prevalentemente le dotazioni relative a spese predeterminate per legge. In particolare, il totale delle riduzioni operate alle dotazioni del bilancio a legislazione vigente è pari a:

§      8.135 milioni di euro per il 2009, di cui 6.365 milioni sono riduzioni apportate a spese da fattore legislativo;

§      8.529 milioni di euro per il 2010, di cui 6.450 milioni sono riduzioni relative a spese predeterminate per legge;

§      15.211 milioni di euro per il 2011, di cui 11.508 milioni sono relativi a spese da fattore legislativo.

 

Poiché l’intervento riduttivo incide in modo preponderante sulle dotazioni da fattore legislativo, si osserva che il Parlamento dovrebbe disporre dell’elenco analitico dei tagli di cui sono oggetto le singole autorizzazioni di spesa per poterne valutare l’impatto sulla legislazione sostanziale.

 

La relazione tecnica precisa che per la definizione degli stanziamenti iniziali a legislazione vigente, su cui sono stati apportate le riduzioni di cui al comma 1, si è tenuto conto degli effetti derivanti per il 2009 dalla trasformazione in riduzioni di spesa degli accantonamenti sulle dotazioni di bilancio disposti dalla legge finanziaria per il 2007 (articolo 1, commi 507-508).

Tale trasformazione è prevista dal successivo comma 10 dell’articolo.

 

La relazione tecnica afferma inoltre che la massa di spesa passibile di riduzione – cioè nettizzata delle esclusioni di cui al comma 2 – risulta determinata in 37.142 milioni per il 2009, a 37.176 milioni per il 2010 e a 37.562 milioni per il 2011.

Secondo quanto riportato nella Relazione tecnica, le riduzioni di spesa delle dotazioni finanziarie a legislazione vigente delle missioni di spesa sono state effettuate secondo una percentuale lineare del 21,9 per cento nel 2009, al 22,9 percento nel 2010 e al 40,5 percento nel 2011 su determinate talune categorie di spesa, elencate nella relazione stessa (consumi intermedi, trasferimenti ad enti pubblici, famiglie e imprese, trasferimenti ad estero, e altre partite correnti, per quanto riguarda la parte corrente; investimenti fissi lordi, contributi ad enti pubblici, famiglie e imprese e estero e altre partite di conto capitale).

Tali riduzioni, in valori assoluti, risultano pertanto, ai sensi dell’elenco 1, così distribuite per ciascun Ministero:

milioni di euro

 

2009

2010

2011

Ministero

riduzioni

di cui:
predeterminate
 per legge

riduzioni

di cui:
predeterminate
 per legge

riduzioni

di cui:
predeterminate
 per legge

economia e finanze

2.889,3

2.478,9

3.158,8

2.671,5

5.744,1

4.858,3

sviluppo economico

2.167,8

2.156,0

2.348,6

2.334,9

4.200,4

4.176,1

lavoro

212,2

181,0

249,5

212,6

440,9

375,6

giustizia

210,8

1,6

250,4

3,0

442,6

5,4

esteri

195,3

147,9

215,3

159,5

378,0

279,2

istruzione

431,1

206,8

435,9

191,2

769,9

337,5

interno

399,0

75,7

441,5

52,8

778,4

93,2

ambiente

240,8

232,7

158,8

149,2

255,2

238,2

infrastrutture

501,1

390,9

442,3

317,9

750,7

530,7

difesa

485,8

152,4

456,7

56,4

813,1

99,1

politiche agricole

173,6

132,1

131,3

84,4

214,6

131,7

beni culturali

228,3

209,1

240,1

216,9

423,4

382,5

totale

8.135,1

6.365,1

8.529,2

6.450,5

15.211,3

11.507,6

 

Sarebbe utile conoscere l’entità delle riduzioni, in termini assoluti, delle categorie economiche di spesa con riferimento ai singoli Ministeri, nonché l’entità della spesa finale, a legislazione vigente prima dell’entrata in vigore del decreto legge, ripartita per missioni e per Ministeri.

 

I commi da 3 a 6 disciplinano la possibilità di introdurre variazioni quantitative alla legislazione di spesa.

 

In conseguenza delle riduzioni delle dotazioni finanziarie, a legislazione vigente, delle missioni di spesa di ciascun Ministero, il comma 3 prevede la possibilità per i Ministri competenti, in sede di predisposizione del progetto di bilancio annuale e pluriennale dello Stato per il triennio 2009-2011- e quindi in via transitoria - di rimodulare tra i relativi programmi le riduzioni delle missioni di spesa di cui al comma 1, nel rispetto delle finalità stabilite dalle disposizioni legislative relative ai medesimi programmi e dei saldi di finanza pubblica.

La rimodulazione tra spese di funzionamento e spese per interventi è consentita nel limite massimo del 10 per cento delle risorse stanziate per gli interventi stessi.

Rimane precluso – in quanto intervento dequalificativo della spesa - l’utilizzo degli stanziamenti in conto capitale per finanziare spese correnti.

 

Ai fini della predisposizione del progetto di bilancio per il 2009-2011, entro la prima decade del mese di settembre 2008, è previsto dal comma 4 l’invio delle proposte di rimodulazione delle risorse tra i vari programmi da parte dei Ministri interessati al Ministero dell’economia e delle finanze – Dipartimento della Ragioneria - per il tramite degli Uffici centrali del bilancio.

Le proposte di revisione potranno essere effettuate in considerazione dei programmi ritenuti prioritari in ossequio a quanto stabilito dal comma 3.

Il comma 5 demanda ad un apposito allegato a ciascuno stato di previsione della spesa l’esposizione delle autorizzazioni legislative ed i relativi importi da utilizzare per ciascun programma.

Il comma 6, reca una norma generale di flessibilità del bilancio, che in via sperimentale, fino alla riforma della legge di contabilità nazionale, e nel rispetto dell’obiettivo di consolidare l’articolazione di ciascuno stato di previsione per missioni e programmi, consente di rimodularetra i programmi le dotazioni finanziarie di ciascuna missione di spesa[322], con la sola eccezione delle spese di natura obbligatoria, in annualità e a pagamento differito[323]. Possono, pertanto, essere oggetto di rimodulazione, anche le spese predeterminate per legge.

 

Si segnala che il comma 6 sostanzialmente riproduce il testo dell’articolo 5, comma 3 del decreto – legge n. 93 del 2008, come modificato dal maxiemendamento presentato dal Governo all’articolo unico del disegno di legge di conversione e approvato dall’Assemblea della Camera in data 25 giugno 2008.

 

Nello specifico, le rimodulazioni tra i programmi ai sensi del comma 6 possono essere effettuate:

§      nel disegno di legge di bilancio;

§      nel provvedimento di assestamento del bilancio di previsione, e nelle ulteriori variazioni delle previsioni che possono essere presentate al Parlamento entro e non oltre il termine del 31 ottobre;

§      qualora vi sia l’esigenza di interventi più tempestivi, con decreto del Ministero dell’economia e finanze da inviare alla Corte dei Conti per la registrazione. In quest’ultimo caso, gli schemi dei decreti aventi ad oggetto rimodulazioni sono trasmessi al Parlamento per l’espressione del parere da parte delle Commissioni parlamentari competenti per materia, e per i profili di carattere finanziario. Decorso il termine di 15 giorni dalla data di trasmissione senza che le Commissioni abbiano espresso i pareri di rispettiva competenza, i decreti possono essere adottati. Il Governo, ove non intenda conformarsi alle condizioni formulate con riferimento ai profili finanziari, ritrasmette alle Camere gli schemi di decreto corredati dei necessari elementi integrativi, per l’espressione dei pareri definitivi da parte delle Commissioni che devono essere espressi entro dieci giorni. Nel caso in cui si operino rimodulazioni di dotazioni direttamente determinate da disposizioni di legge, il parere parlamentare, limitatamente ai profili finanziari, ha carattere vincolante.

E’ fatto comunque salvo quanto previsto dalle norme generali di contabilità (legge n. 468/1978, articolo 2, comma 4-quinquies e D.Lgs. n. 279/1997) relativamente alla possibilità di effettuare, a livello gestionale, con decreto ministeriale, variazioni compensative:

-        tra capitoli della stessa unità previsionale di base, fatta eccezione per le spese in annualità e a pagamento differito e per quelle direttamente regolate con legge;

-        tra capitoli di una stessa u.p.b di conto capitale, nel caso di spese per investimenti, anche tra stanziamenti disposti da diverse leggi purché di finanziamento o rifinanziamento dello stesso intervento (articolo 2, comma 4-quinquies, legge n. 468/1978)[324].

 

Le variazioni compensative tra spese di funzionamento e quelle per interventi sono consentite entro il limite massimo del 10 per cento delle risorse stanziate per gli interventi stessi.

Restano preclusi interventi dequalificativi della spesa, quali l'utilizzo degli stanziamenti di spesa in conto capitale per finanziare spese correnti.

 

Il comma mantiene fermo quanto previsto in materia di flessibilità con la legge annuale di bilancio.

In proposito si ricorda che nella legge di approvazione del bilancio per il 2008 (l. n. 245 del 2008), l’articolo 22, comma 22 proprio al fine di assicurare alle Amministrazioni la necessaria flessibilità nella gestione delle risorse a seguito della ristrutturazione del bilancio, autorizza il Ministro dell’economia e delle finanze, su proposta del Ministro competente, ad effettuare con propri decreti variazioni compensative tra capitoli delle unità previsionale di base[325] di parte corrente «funzionamento, interventi, oneri comuni, oneri del debito pubblico» e di conto capitale «investimenti e oneri comuni», che sono stati frazionati per la loro allocazione sui diversi programmi dello stesso stato di previsione.

Inoltre, l’articolo 22, comma 19, della citata legge n. 245/2007 autorizza, per l’esercizio 2008, variazioni compensative tra capitoli delle unità previsionali di base afferenti il medesimo stato di previsione, fatta comunque eccezione per le autorizzazioni di spesa di natura obbligatoria, per le spese in annualità e a pagamento differito e per quelle direttamente regolate con legge[326]

Sempre per una migliore flessibilità gestionale, si possono effettuare variazioni compensative in termini di cassa, nell’ambito di ciascun titolo di bilancio, tra capitoli delle u.p.b del medesimo stato di previsione.

Infine, l’articolo 22, comma 23 prevede che i Ministri competenti, nell’ambito dei programmi concernenti i propri stati di previsione, possano effettuare, all’interno della stessa categoria economica, variazioni compensative tra capitoli di spese discrezionali allocati nei diversi centri di responsabilità amministrativa che gestiscono il medesimo programma. Tali variazioni non devono comportare alterazione dei saldi.

 

Gli ultimi due periodi del comma 6 prevedono che ciascun Ministro, dia indicazione delle ragioni della “riconfigurazione delle autorizzazioni di spesa di propria competenza” nonché dei criteri per il miglioramento dell’economicità e dell’efficienza e per l’individuazione degli indicatori di risultato relativamente alla gestione di ciascun Programma nelle Relazioni relative all’utilizzo delle risorse e all’efficienza dell’azione amministrativa, che devono essere annualmente inviate al Parlamento ai sensi di quanto previsto dalla disciplina del Programma di analisi e valutazione della spesa delle amministrazioni centrali (c.d. spending review), contenuto nella legge finanziaria per il 2008.

Il termine per la presentazione di tali relazioni Ministeriali è contestualmente differito, per l’anno 2008, al 30 settembre.

 

Il comma 3 consente di rimodulare con il disegno di legge di bilancio le riduzioni delle missioni di spesa disposte dal comma 1 tra i relativi programmi, fermo restando il limite massimo delle singole autorizzazioni legislative di spesa. Tale disposizione appare in linea con precedenti previsioni normative volte a rendere più flessibile la gestione del bilancio.

Assai più ampia appare la portata della norma di flessibilità introdotta dal comma 6, che consente di rimodulare tra i programmi le dotazioni finanziarie di ciascuna missione di spesa, anche modificando, in aumento o in diminuzione, le singole autorizzazioni di spesa stabilite con legge sostanziale. Ciò può verificarsi sia con atto amministrativo sia con il disegno di legge di bilancio e con il disegno di legge di assestamento. Tra l’altro, in applicazione del comma 6, sembra possibile effettuare, attraverso il disegno di legge di bilancio, tutte le rimodulazioni specificamente indicate dal comma 3. Ai commi 4 e 5, peraltro, è tratteggiata una specifica procedura che si applica con riferimento al comma 3 ma non al comma 6. Il contenuto dei commi 3-6 appare quindi meritevole di un coordinamento.

In ogni caso, le rimodulazioni disposte con il disegno di legge di bilancio ai sensi dei commi 3 e 6 (e con il disegno di legge di assestamento ai sensi del comma 6) appaiono emendabili in sede di esame parlamentare. In tal modo, nonostante l’ampia e inedita flessibilità garantita alla gestione del bilancio, le decisioni parlamentari in materia di bilancio e di leggi di spesa rimangono pienamente nella disponibilità del Parlamento stesso. Non altrettanto può dirsi per le rimodulazioni disposte con decreto ministeriale che, nonostante i previsti pareri di natura vincolante, comportano la possibilità di modificare con atto amministrativo decisioni assunte con legge in conformità all’art. 81 della Costituzione e alla legislazione contabilistica di attuazione del dettato costituzionale.

 

Il comma 8 integra il “Fondo per le esigenze gestionali”,istituito dal citato decreto – legge n. 93/2008 (articolo 5, comma 4) nello stato di previsione del Ministero dell’Economia e delle finanze, di 100 milioni di euro per l’anno 2009, 300 milioni di euro per ciascuno degli anni 2010 e 2011, da utilizzare a reintegro delle dotazioni finanziarie dei programmi di spesa.

Il Fondo è stato dotato dall’articolo 5, comma 4 del decreto legge n. 93/2008 di 100 milioni di euro per l’anno 2008, 100 milioni di euro per l’anno 2009 e 60 milioni di euro per l’anno 2010.

L’utilizzo del Fondo è disposto con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro competente, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze.

 

Il comma 9 autorizza il Ministro dell’economia e delle finanze ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

 

Il comma 10 prevede che, per l’anno 2009, non si applichino le disposizioni di cui all’articolo 507 e 508 della legge finanziaria per il 2007 (legge n. 296 del 2006), in materia di accantonamenti lineari delle dotazioni delle U.P.B. (unità previsionali di base) iscritte negli stati di previsione del bilancio dello Stato. La disposizione prevede inoltre che la quota resa indisponibile per il predetto anno sia portata ad effettiva riduzione delle relative dotazioni di bilancio.

 

La disposizione in esame è correlata ai precedenti commi da 1 a 9. Infatti, come indicato nella relazione illustrativa al decreto-legge, ai fini della quantificazione dell’ammontare complessivo delle riduzioni di cui all’elenco 1 allegato al presente decreto-legge (cfr. comma 1 sopra esaminato), essa consente di scontare, ad effettiva riduzione delle dotazioni delle missioni di spesa di ciascun Ministero, gli effetti derivanti, per l’anno 2009, dall’applicazione del citato comma 507.

Per tale ragione, il bilancio a legislazione vigente verrà ridefinito, in sede di presentazione del disegno di legge di bilancio per il 2009, decurtando altresì le predette dotazioni di una percentuale corrispondente all’originario accantonamento previsto dal comma 507.

 

Si ricorda che il citato comma 507ha disposto l’accantonamento in maniera lineare di quote pari a 4.572 milioni di euro per il 2007, a 5.031 milioni di euro per il 2008 e a 4.922 milioni di euro per il 2009 sul totale degli stanziamenti di spesa iscritti nel bilancio dello Stato. Pertanto, a seguito del calcolo proporzionale delle quote rispetto ai predetti stanziamenti, sono state rese indisponibili per ciascuno stato di previsione (corrispondenti a 18 ministeri con portafoglio) somme corrispondenti alla percentuale fissa - ad eccezione dello stato di previsione relativo alla Pubblica istruzione[327]- di 12,57% nel 2007, 14,34% nel 2008 e 12,82% nel 2009.

Le voci di bilancio in corrispondenza delle quali la Ragioneria generale dello Stato ha, pertanto, registrato gli accantonamenti appartengono alle seguenti categorie, rientranti altresì tra le autorizzazioni di spesa predeterminate legislativamente[328]:

-        consumi intermedi (categoria 2);

-        trasferimenti correnti ad amministrazioni pubbliche (categoria 4), con esclusione degli enti territoriali, degli enti previdenziali e degli organi costituzionali, nonché dei trasferimenti a favore della protezione civile e del Fondo ordinario delle università statali;

-        trasferimenti correnti a famiglie e istituzioni sociali private (categoria 5), a imprese (categoria 6) e a estero (categoria 7), con esclusione dei trasferimenti all'estero aventi natura obbligatoria, delle pensioni di guerra e altri assegni vitalizi, delle erogazioni agli istituti di patronato e di assistenza sociale, nonché alle confessioni religiose di cui alla legge 20 maggio 1985, n. 222, e successive modificazioni[329];

-        altre uscite correnti (categoria 12);

-        tutte le categorie di spese in conto capitale, con esclusione dei limiti di impegno già attivati, delle rate di ammortamento mutui, dei trasferimenti agli enti territoriali e delle acquisizioni di attività finanziarie, nonché dei trasferimenti a favore della protezione civile e del 50 per cento dello stanziamento del Fondo per le aree sottoutilizzate.

Pertanto, a differenza di precedenti interventi legislativi di riduzione degli stanziamenti di bilancio (ad esempio la prassi dei tagli lineari), i quali si applicano alle sole spese di carattere discrezionale, la disposizione del citato comma 507 fa riferimento anche alle spese classificate come fattore legislativo.

In ogni caso deve essere assicurata l’invarianza degli effetti sul fabbisogno e sull'indebitamento netto della pubblica amministrazione ed è preclusa la possibilità di utilizzare risorse di conto capitale per ridurre accantonamenti di risorse di parte corrente.

 

La disposizione del citato comma 507 prevede inoltre che possono essere disposte variazioni dei predetti accantonamenti con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, da adottare, su proposta dei ministri competenti, entro il 31 marzo di ciascun anno del triennio 2007-2009, previa acquisizione del parere da parte delle Commissioni competenti per le conseguenze di carattere finanziario.

La finalità di quest’ultima disposizione è di assicurare una certa flessibilità, consentendo di rimodulare gli accantonamenti all’interno dei singoli stati di previsione, rispettando l’invarianza degli effetti sul fabbisogno e sull’indebitamento netto della pubblica amministrazione. In ogni caso, la norma ha previsto che non possano essere utilizzate risorse in conto capitale per “disaccantonare” risorse di parte corrente.

Si ricorda peraltro che con circolare del Ministero dell’economia e delle finanze n. 7 del 2 febbraio 2007, sono state impartite alle amministrazioni interessate le istruzioni per la formulazione delle proposte per definire la rimodulazione degli accantonamenti.

Con il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze del 10 luglio 2007 sono state disposte le variazioni degli accantonamenti originariamente operate sulle dotazioni delle unità previsionali di base iscritte nella legge di bilancio del 2007, rimodulando gli stessi all’interno degli stati di previsione dei singoli Ministeri. Rispetto alle risorse accantonate per l’anno 2007 che, come già ricordato, è risultato pari a 4.572 milioni, il volume complessivo di risorse interessate dalle variazioni è stato pari a circa l’8,2 per cento delle risorse accantonate (377 milioni di euro).

Il comma 508, inoltre, ha introdotto una procedura di comunicazione all’ufficio centrale del bilancio, di accantonamenti aggiuntivi sulle dotazioni delle UPB da parte del Ministro competente per stato di previsione, di concerto con il Ministro dell'economia, in relazione a voci di parte corrente del proprio dicastero (con esclusione delle spese obbligatorie e delle spese predeterminate legislativamente), al fine di incentivare iniziative del personale volte a conseguire ulteriori effetti di risparmio[330].

Dai citati commi 507 e 508 non sono derivati effetti in termini di saldo netto da finanziare, considerato che gli accantonamenti non costituivano effettive riduzioni degli stanziamenti a legislazione vigente[331].

 

Al riguardo appare opportuno che il Governo fornisca l’elenco degli accantonamenti operati ai sensi del comma 507 e trasformati in effettive riduzioni di spesa, con particolare riferimento alle dotazioni di bilancio autorizzate in base a disposizioni legislative.

 

Il comma 13 modifica l’articolo 1, comma 21, della legge n. 266 del 2005 (legge finanziaria per il 2006), che detta disposizioni volte a rafforzare il controllo sulla spesa pubblica in fase di gestione del bilancio, mediante il riconoscimento della facoltà del Ministro competente di disporre, con proprio decreto[332], anche in via temporanea, la sospensione dell'assunzione di impegni di spesa o dell'emissione di titoli di pagamento a carico di uno o più capitoli di bilancio.

La norma in esame novella il testo della citata disposizione del comma 21, facendo riferimento non più ai capitoli di bilancio, bensì ai singoli programmi di spesa.

 

Si ricorda che la sospensione dell'assunzione di impegni di spesa o dell'emissione di titoli di pagamento può essere effettuato:

a)qualora nel corso dell'esercizio l'Ufficio centrale di bilancio segnali che l'andamento della spesa, riferita al complesso dello stato di previsione del Ministero ovvero a singoli capitoli, sia tale da non assicurare il rispetto delle previsioni originarie;

oppure:

b)qualora, su segnalazione del servizio di controllo interno, la prosecuzione dell'attività non risponda a criteri di efficienza e di efficacia, tenendo conto del grado di raggiungimento degli obiettivi assegnati e del grado di realizzazione dei programmi da attuare.

Quest’ultima previsione riveste un particolare rilievo, in quanto attribuisce al Ministro il potere di sospendere gli impegni e i pagamenti in base ad una valutazione di carattere non meramente quantitativo, ma qualitativo.

In ogni caso, sono esclusi dalla sospensione i capitoli relativi a:

-        stipendi, assegni, pensioni ed altre spese fisse o aventi natura obbligatoria;

-        spese per interessi;

-        spese relative alle poste correttive e compensative delle entrate, comprese le regolazioni contabili;

-        spese relative ad accordi internazionali e ad obblighi derivanti dalla normativa comunitaria;

-        spese riferite alle annualità relative ai limiti di impegno e alle rate di ammortamento mutui.

 

A seguito della modifica in esame, la disposizione novellata prevede che eventuali disponibilità che si dovessero rinvenire dalla sospensione di programmi la cui esecuzione sia tale da non assicurare il rispetto delle originarie previsioni di spesa, possono essere oggetto di variazioni compensative a favore di altri programmi del medesimo stato di previsione della spesa.

 

Non sono stimati effetti finanziari derivanti dall’applicazione dei commi in esame.

 

Il comma 14, fermo restando il meccanismo di sospensione dell'assunzione di impegni di spesa o dell'emissione di titoli di pagamento a carico di uno o più programmi di bilancio, ai sensi del novellato comma 21, articolo 1, della legge finanziaria per il 2006 (legge n. 266 del 2005) esaminato al comma precedente, introduce disposizioni sanzionatorie nei confronti dei funzionari responsabili in relazione al controllo e al monitoraggio della spesa pubblica.

In particolare, la mancata segnalazione da parte del funzionario responsabile dell’andamento della spesa che sia tale da non garantire il rispetto delle originarie previsioni di spesa, costituisce un elemento valutabile ai fini della responsabilità disciplinare.

Inoltre, sotto il profilo della responsabilità contabile, il funzionario responsabile è chiamato a rispondere dell’eventuale danno che deriva:

§      dal mancato rispetto dei limiti di spesa originariamente previsti, anche per la non tempestiva adozione dei provvedimenti necessari a rispettare tali limiti;

§      dall’adozione delle misure idonee a ricondurre la spesa entro i limiti originariamente previsti, una volta che questi siano stati superati per responsabilità del funzionario.

 

Il comma 15 reintroduce la norma, originariamente prevista dalla legge finanziaria per il 2006[333] ed abrogata dal comma 626, articolo 2, della legge finanziaria per il 2008 (legge n. 244 del 2007), che prevedeva un limite per le amministrazioni dello Stato all’assunzione mensile di impegni di spesa.

La norma, che esplicitamente esclude il comparto della sicurezza e del soccorso, dispone pertanto che, a decorrere dall’esercizio finanziario 2009, le amministrazioni dello Stato possono assumere mensilmente impegni in misura non superiore ad un dodicesimo della spesa prevista da ciascuna U.P.B. (unità previsionale di base) degli stati di previsione del bilancio.

La disposizione in esame è sostanzialmente finalizzata ad agevolare il perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, proseguendo nell’azione di contenimento della spesa pubblica nell’ambito del processo di aggiustamento dei conti pubblici.

 

La norma prevede inoltre alcune esclusioni all’applicazione del predetto limite di 1/12° degli impegni di spesa. In particolare, si prevede che il divieto non si applichi alle seguenti spese:

§      stipendi, retribuzioni, pensioni e altre spese fisse o aventi natura obbligatoria ovvero non frazionabili in dodicesimi;

§      interessi;

§      poste correttive e compensative delle entrate, comprese le regolazioni contabili;

§      spese relative ad accordi internazionali e ad obblighi derivanti dalla normativa comunitaria;

§      annualità relative ai limiti di impegno e alle rate di ammortamento mutui.

 

Si ricorda, in proposito, che la Circolare del Ministero dell’economia e delle finanze – Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato n. 7 del 10 febbraio 2006, “Gestione del bilancio dello Stato - Implicazioni derivanti da talune disposizioni della legge finanziaria 2006 volte ad agevolare il perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica” ha fornito alcuni chiarimenti e precisazioni in ordine al limite all’assunzione mensile di impegni di spesa previsto dal comma in esame e ad altre disposizioni di contenimento della spesa contenute nella legge finanziaria.

In particolare, la circolare ha precisato che per comparto della sicurezza pubblica e del soccorso si intende quello costituito dalle Forze di polizia civili e militari, dai Vigili del fuoco e dalle Capitanerie di porto.

La circolare n. 7/2006 inoltre ha precisato che sono escluse dall’applicazione della norma, in quanto aventi natura obbligatoria, le spese relative ai trasferimenti agli enti territoriali e alle università. La limitazione alla assunzione degli impegni trova invece applicazione con riferimento alle spese per trasferimenti agli enti e organismi della pubblica amministrazione diversi dallo Stato. Tuttavia, nel caso in cui nelle somme oggetto di trasferimento rientrino altresì spese per le quali è prevista l'esclusione dal limite, i soggetti beneficiari dovranno formalmente rappresentare tale circostanza alla competente Amministrazione e all'Ufficio centrale del bilancio.

 

La disposizione del comma 15, infine, precisa che la violazione del limite rileva anche con riferimento ai profili di responsabilità contabile.

 


 

Articolo 60, comma 7
(Copertura delle leggi di spesa)

7. Ai fini di assicurare il rispetto effettivo dei parametri imposti in sede internazionale e di patto di crescita e stabilità, ogni disposizione normativa che comporti nuove o maggiori spese è coperta con riferimento al saldo netto da finanziare, al fabbisogno del settore statale e all'indebitamento netto del conto consolidato delle pubbliche amministrazioni.

 

 

Il comma 7 prevede - al fine di assicurare i parametri imposti in sede internazionale e comunitaria di Patto di stabilità e crescita – che ogni disposizione normativa che comporti nuove o maggiori spese sia coperta, non più solo con riferimento al saldo netto da finanziare (cioè con riguardo agli effetti negativi che essa determina sulle previsioni di competenza del bilancio dello Stato[334]), ma anche con riferimento ad altri due saldi: fabbisogno del settore statale e indebitamento netto del conto consolidato delle amministrazioni pubbliche.

 

Con particolare riferimento all’indebitamento netto, si ricorda che esso costituisce il parametro di riferimento principale ai fini del rispetto dei vincoli comunitari introdotti dal Trattato di Maastricht e specificati dal Patto di stabilità e crescita, che impone un limite del deficit pubblico al 3 percento del PIL, pena l’avvio della procedura per disavanzo eccessivo.

L’indebitamento netto è dato dalla differenza tra il totale delle entrate finali e il totale delle uscite finali del conto della P.A., al netto delle operazioni finanziarie attive, calcolate in termini di competenza economica.

Esso riguarda l’intero comparto della pubblica amministrazione e non già solo il comparto statale. Vi sono pertanto incluse le amministrazioni centrali, gli enti territoriali, gli enti di previdenza e assistenza.

Gli enti rientranti nel conto economico sono annualmente individuati per l’Italia dall’ISTAT[335] – secondo i criteri del Sistema europeo dei conti economici integrati (Sec 95)[336].

Organo competente a elaborare i dati di consuntivo sull’indebitamento netto è sempre l’Istat, il quale applica al riguardo integralmente i criteri definiti dalla norme del Sec95.

Una volta pubblicati, i dati di consuntivo sull’indebitamento netto sono comunicati alla Commissione europea, in applicazione del protocollo sulla procedura dei disavanzi eccessivi, annessa al Trattato di Maastricht [337].

 

Il criterio di contabilizzazione è la competenza economica: le operazioni vengono cioè registrate nel momento in cui se ne verificano gli effetti economici, piuttosto che il momento in cui la transazione avviene formalmente, o dà luogo a flussi di fondi.

 

Il fabbisogno del settore statale è il saldo congiunto del conto economico e della parte attiva (“attività finanziarie”) del conto finanziarie. Il saldo è riferito agli incassi e i pagamenti del settore statale nel momento in cui le risorse entrano ed escono dalla Tesoreria cioè nel momento in cui le transazioni hanno impatto sulla liquidità dello Stato. Esso non riguarda solo le risorse del bilancio statale ma anche ulteriori risorse di soggetti che hanno – in base ad obblighi normativi - conti aperti presso la Tesoreria.

Esso è dunque calcolato in termini di cassa [338]dal Dipartimento della Ragioneria generale del Ministero dell’economia e finanze.

L’indicazione del fabbisogno del settore statale pare anch’esso riconducibile al parametro di bilancio introdotto con il Trattato di Maastricht, secondo il quale il debito pubblico deve essere inferiore al 60 percento del prodotto interno lordo, ovvero diminuire in modo soddisfacente verso tale livello.

A riguardo si ricorda che già a partire dal 2004, era stata sottolineata la necessità di copertura sia con riferimento al saldo netto da finanziare, sia al fabbisogno che all’indebitamento netto. In particolare, il D.P.C.M. 6 giugno 2006 [339] ha previsto che le coperture finanziarie dei nuovi provvedimenti devono essere idonee a garantire il rispetto dell'art. 81 Cost, nonché degli obiettivi contenuti nel Patto di stabilità, e che nella relazione tecnica ne va dimostrato l'equilibrio con riguardo al saldo netto da finanziare del bilancio statale, al fabbisogno e all'indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni. Ha inoltre previsto che iniziative legislative non possono essere prese in considerazione se prive di relazioni tecniche o, comunque, se le stesse siano redatte in difformità dal modello prescritto.

 

Poiché il comma in esame introduce una disposizione volta a disciplinare le modalità di copertura finanziaria delle leggi, ulteriore rispetto a quanto previsto dalla normativa vigente, sarebbe opportuno introdurla in forma di novella all’articolo 11-ter della legge generale di contabilità (l. n. 468/1978), recante la disciplina della copertura finanziaria delle leggi. Peraltro, trattandosi di una modifica della disciplina generale contabilistica, andrebbe considerata la sua compatibilità con un provvedimento di decretazione d’urgenza.

 

L’articolo 11-ter della legge n. 468/1978, prevede al comma 1, che, in attuazione dell'articolo 81, quarto comma, Cost., ciascuna legge che comporti nuove o maggiori spese indica espressamente, per ciascun anno e per ogni intervento da essa previsto, la spesa autorizzata, che si intende come limite massimo di spesa, ovvero le relative previsioni di spesa, definendo una specifica clausola di salvaguardia per la compensazione degli effetti che eccedano le previsioni medesime[340].

Il comma 2 poi prevede che i disegni di legge, gli schemi di decreto legislativo e gli emendamenti di iniziativa governativa che comportino conseguenze finanziarie devono essere corredati da una relazione tecnica[341], sulla quantificazione delle entrate e degli oneri recati da ciascuna disposizione, nonché delle relative coperture[342].

Si rileva come la necessità di coprire ricorrendo ai tre saldi ogni “disposizione normativa” appaia riferibile anche agli emendamenti elaborati in ambito parlamentare. Si sottolinea pertanto la necessità che il Parlamento sia posto nelle condizioni di disporre, in relazione ad ogni disposizione normativa proposta, dei dati sugli effetti su ciascuno dei tre saldi per poter svolgere le necessarie verifiche.

 


 

Articolo 60, comma 11
(Riduzioni di spesa – Cooperazione allo sviluppo)

11. L'autorizzazione di spesa di cui alla legge 3 gennaio 1981, n. 7 e alla legge 26 febbraio 1987, n. 49 relative all'aiuto pubblico a favore dei Paesi in via di sviluppo è ridotta di 170 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2009.

 

 

Il comma 11 riduce di 170 milioni di euro l’autorizzazione di spesa, a decorrere dall’anno 2009, prevista dalla legge 3 gennaio 1981, n. 7 e dalla legge 26 febbraio 1987, n. 49.

 

La legge 3 gennaio 1981, n. 7, ha autorizzato una spesa per il 1980 (di 200 miliardi di lire), per far fronte ad oneri connessi con le attività di cooperazione con i Paesi in via di sviluppo, in particolare per la lotta contro la fame nel mondo. La medesima legge ha poi stabilito che, per gli anni successivi al 1980, gli importi da destinare ai medesimi fini sarebbero stati determinati annualmente con la legge di bilancio.

Fra i destinatari, indicati nell’art. 1:il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (UNDP); l'Organizzazione delle Nazioni Unite per lo sviluppo industriale (UNIDO); l'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNCHR); il Comitato internazionale della Croce Rossa (CICR); il fondo delle Nazioni Unite per l'infanzia (UNICEF); il Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite (PAM); il Fondo di rotazione delle Nazioni Unite per l'esplorazione delle risorse naturali (UNRFNRE); il Fondo delle Nazioni Unite per le attività relative alla popolazione (UNFPA); il Fondo delle Nazioni Unite per la scienza e la tecnologia (UNCSTD); il Gruppo consultivo per la ricerca agricola internazionale (CGLAR); l'Agenzia delle Nazioni Unite per gli aiuti ai rifugiati palestinesi (UNRWA); il Fondo comune per la stabilizzazione dei prezzi e dei mercati delle materie prime (in ambito UNCTAD).

 

La legge 26 febbraio 1987, n. 49, Nuova disciplina della cooperazione dell'Italia con i Paesi in via di sviluppo, disegna un complesso sistema di organi, procedure e strumenti caratterizzati da una forte autonomia e specialità rispetto alle norme generali. Essa traccia le linee portanti dell'intervento di cooperazione, rinviando la disciplina di dettaglio ad atti normativi secondari del Governo e alle delibere degli organi istituiti dalla legge stessa, ossia il Comitato interministeriale per la cooperazione allo sviluppo (CICS), organo ad hoc subentrato nelle funzioni già assegnate al CIPE prima e al CIPES poi, ed il Comitato direzionale.

I principali strumenti d'intervento per realizzare le iniziative di cooperazione bilaterale sono il dono e il credito d'aiuto: la scelta dello strumento da utilizzare nei singoli casi dipende essenzialmente dalle condizioni economiche del paese beneficiario e dal tipo e dimensione dell'intervento, secondo criteri stabiliti dal CICS con proprie delibere.

Da un punto di vista finanziario, i mezzi per provvedere sia ai doni che ai crediti d’aiuto vengono decisi su base annuale, con legge finanziaria: mentre gli stanziamenti per i crediti d’aiuto vengono destinati al Fondo rotativo presso il Mediocredito centrale, quelli per i doni (ed è il caso che interessa la norma in esame) sono distribuiti in 19 capitoli nell’ambito della rubrica Cooperazione allo sviluppo e gestione sfide globali.

La legge n. 49 del 1987 prevede inoltre attività di cooperazione multilaterale, che si sostanziano nella partecipazione alle iniziative comunitarie e nei contributi obbligatori e finanziamenti a banche e fondi di sviluppo. Per tali attività sono previsti appositi stanziamenti, attribuiti a vari capitoli in diversi stati di previsione.

 

La legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria 2008) fissa nella tabella C[343] gli stanziamenti aggiuntivi per l’aiuto pubblico a favore dei Paesi in via di sviluppo - previsti dalla legge n. 7 del 1981 e dalla legge n. 49 del 1987 - in 739,341 milioni di euro per il 2009. Con l’approvazione della norma in esame, viene dunque operata una riduzione su questo importo pari al 23 per cento circa.

 


 

Articolo 60, comma 12
(Riduzioni di spesa – Industrie difesa)

12. L'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 1, comma 896, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, è ridotta di 183 milioni di euro per l'anno 2009.

 

 

Il comma 12 riduce di 183 milioni di euro l’autorizzazione di spesa per l’anno 2009, prevista dall’articolo 1, comma 896, della legge 27 dicembre 2006, n. 296.

 

L’articolo 1, comma 896, della legge n. 296/2006 (legge finanziaria 2007), ha istituito, nell’ambito dello stato di previsione del Ministero della difesa, un apposito fondo destinato al finanziamento degli interventi a sostegno dell'economia nel settore dell'industria nazionale ad elevato contenuto tecnologico.

Il fondo è iscritto con una dotazione di 1.700 milioni di euro per l'anno 2007, di 1.550 milioni di euro per l'anno 2008 e di 1.200 milioni di euro per l'anno 2009, per la realizzazione di programmi di investimento pluriennale per esigenze di difesa nazionale, derivanti anche da accordi internazionali. Dall'anno 2010, per la dotazione del fondo si provvede ai sensi dell'articolo 11, comma 3, lettera f), della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni. I programmi in esecuzione, o da avviare con le disponibilità del fondo sono individuati, nell'ambito della predetta pianificazione, con uno o più decreti del Ministro della difesa, che dispongono le conseguenti variazioni di bilancio e sono comunicati, anche con evidenze informatiche, al Ministero dell'economia e delle finanze e alla Corte dei conti.

La norma prevede infine che con decreti del Ministro della difesa, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, siano individuate le modalità e le procedure di assunzione di spesa anche a carattere pluriennale per i programmi derivati da accordi internazionali.

 


 

Articolo 61
(Potenziamento degli strumenti di controllo e monitoraggio della spesa della Corte dei conti)


1. Le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, di cui all'articolo 7, comma 7, della legge 5 giugno 2003, n. 131, di concerto con il Presidente della Corte, anche a richiesta delle competenti commissioni dei Consigli regionali, possono effettuare controlli su gestioni pubbliche in corso di svolgimento presso le amministrazioni regionali.

2. Ove accerti gravi irregolarità o deviazioni da obiettivi, procedure o tempi di attuazione stabiliti da norme o da direttive dell'organo esecutivo regionale, la sezione regionale di controllo, con decreto motivato, può intimare agli organi amministrativi competenti per la gestione controllata l'immediata sospensione sia dell'impegno di somme già stanziate sui pertinenti capitoli di spesa, sia del pagamento di somme impegnate.

3. Il decreto presidenziale diviene efficace mediante comunicazione all'amm­inistrazione, anche con strumenti telematici idonei allo scopo, ed è contestualmente trasmesso in copia al Ministro dell'economia e delle finanze.

4. Qualora nel corso di un controllo concomitante emergano rilevanti ritardi rispetto a quanto previsto da norme, nazionali o comunitarie, o da direttive degli organi esecutivi competenti nella realizzazione di piani o programmi o nell'assunzione di impegni o erogazione di spese, contributi o trasferimenti di fondi, la Corte ne accerta, in contraddittorio con l'amministrazione, le cause d'ordine finanziario, procedurale o organizzativo e ne dà notifica all'amministrazione competente ed al Ministro dell'economia e delle finanze.

6. L'amministrazione competente ha obbligo di conformarsi all'accertamento della Corte, adottando i provvedimenti idonei a rimuovere gli impedimenti.


 

 

La norma estende le possibilità di controllo contabile esercitabile nei confronti delle amministrazioni regionali. Le sezioni regionali della Corte dei conti possono, secondo quanto disposto dal primo comma, effettuare controlli su gestioni pubbliche in corso di svolgimento presso le amministrazioni regionali; il controllo può essere attivato su iniziativa della Corte stessa o su richiesta delle competenti commissioni del Consiglio regionale.

Attualmente il controllo di gestione esercitato dalle sezioni regionali della Corte dei conti nei confronti delle amministrazioni regionali, secondo quanto disposto dall’art. 7, comma 7, della L. 131/2003 (c.d. La Loggia) e dall’articolo 3, comma 5, della L. 20/1994[344], avviene a posteriori e concerne il perseguimento degli obiettivi stabiliti dalle leggi di principio e di programma, nonché la verifica dell’equilibrio di bilancio. Questi stessi controlli potranno essere effettuati in corso di esercizio.

I commi da 2 a 6 disciplinano le tipologie di intervento delle sezioni regionali – e i conseguenti obblighi dell’amministrazione - nel caso di accertamento di gravi irregolarità, deviazioni da obiettivi o tempi di attuazione stabiliti dal Consiglio regionale, rilevanti ritardi rispetto a quanto previsto da norme comunitarie, nazionali e regionali.

La norma riguarda la disciplina della Corte dei conti, o meglio, le competenze delle sezioni regionali di controllo ed è quindi applicabile anche alle sezioni di controllo istituite presso le regioni a statuto speciale, ove non diversamente disposto dagli statuti di autonomia e dalle relative norme di attuazione.

 

Destinatarie della norma in esame, le sezioni regionali della Corte dei conti, sono state istituite nelle regioni a statuto ordinario con deliberazione 16 giugno 2000, n. 14 della stessa Corte, in ottemperanza alle disposizioni dell’art. 3, co. 2, del D.Lgs. 286/1999 che, con l’obiettivo di dare corpo ad una riforma organica del sistema dei controlli, aveva attribuito alla Corte dei conti il potere di determinare il numero, la composizione e la sede dei propri organi adibiti a compiti di controllo preventivo su atti o successivo su pubbliche gestioni e degli organi di supporto.

Le sezioni regionali, che hanno sostituito precedenti articolazioni territoriali della giustizia contabile, si sono insediate a decorrere dal 1° gennaio 2001 (D.M. 21 dicembre 2000). Il citato regolamento di auto-organizzazione della Corte n. 14/2000 (modificato da ultimo con deliberazione n. 229 del 19 giugno 2008) ne disciplina competenze, composizione e programmazione delle attività di controllo.

Nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano, in ottemperanza alle competenze attribuite alle regioni dai rispettivi statuti speciali, le sezioni di controllo della Corte dei conti sono state istituite e disciplinate con specifiche norme di attuazione:

-        le due sezioni di controllo della Corte dei conti delle province autonome di Trento e di Bolzano (DPR 305/1988 modificato e integrato con D.Lgs. 212/1999); la sezione di controllo di Trento esercita il controllo di legittimità sugli atti e il controllo sulla gestione del bilancio e del patrimonio oltre che della provincia autonoma di Trento, anche della regione Trentino-Alto Adige;

-        una sezione di controllo per il Friuli Venezia Giulia con sede in Trieste (DPR 902/1975, modificato e integrato con D.Lgs. 125/2003);

-        una sezione di controllo in Sicilia con sede a Palermo (DPR 655/1948 modificato e integrato con D.Lgs. 200/1999);

-        una sezione di controllo in Sardegna con sede a Cagliari (DPR 21/1978 modificato con D.Lgs. 74/1998).

Nella regione Valle d’Aosta, invece, la Corte dei conti ha la sola sezione giurisdizionale. Il controllo sulla gestione finanziaria della regione e degli enti locali è esercitato dalla “Autorità di vigilanza” istituita con legge regionale 19 maggio 2005, n. 10 in attuazione delle competenze attribuite alla regione dallo statuto di autonomia e della cosiddetta clausola di maggior favore prevista dall’articolo 10 della L.cost. 3/2001.

Le sezioni di controllo della Corte dei conti nelle regioni a statuto speciale provvedono altresì alla verifica del rendiconto generale della regione. Per la regione Trentino-Alto Adige, la provincia di Trento e la provincia di Bolzano, sulla verifica dei rispettivi rendiconti effettuate dalle sezioni di controllo, si pronunciano poi le sezioni riunite della Corte dei conti.

La disciplina delle competenze delle sezioni di controllo della Corte dei conti nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome, dettata dalle norme di attuazione, rispecchia la disciplina concernente le sezioni di controllo istituite nelle regioni a statuto ordinario e - generalmente - per quanto non disciplinato, rinvia alle leggi dello Stato che disciplinano le attribuzioni della Corte dei conti.

 

Le competenze attribuite alla giurisdizione contabile nei confronti delle amministrazioni regionali - e degli enti locali - sono disciplinate dalla L. 20/1994 e dall’articolo 7, commi 7 e 8. della L. 131/2003 (c.d. La Loggia), disposizioni queste modificate da ultimo dalla legge finanziaria per il 2008[345] (articolo 3, commi 60-65). Il regolamento di auto-organizzazione della Corte, modificato da ultimo con deliberazione n. 229 del 19 giugno 2008 in attuazione delle disposizioni recate dalla legge finanziaria per il 2008, specifica i compiti delle sezioni regionali in relazione al controllo di gestione, nonché i destinatari degli stessi.

Il controllo sulla gestione è esercitato dalla sezione delle Autonomie e dalle sezioni regionali di controllo, nei confronti di:

-        amministrazioni regionali e loro enti strumentali;

-        enti locali territoriali e loro enti strumentali;

-        università e altre istituzioni pubbliche di autonomia aventi sede nella regione;

-        enti del Servizio sanitario nazionale.

L’attività di controllo sulla gestione comporta la verifica di:

-        perseguimento degli obiettivi posti da leggi statali o regionali di principio e di programma;

-        rispetto degli equilibri di bilancio in relazione al patto di stabilità e ai vincoli derivanti dall’appartenenza all’Unione europea;

-        gestione dei cofinanziamenti regionali per interventi sostenuti con fondi comunitari;

-        sana gestione degli enti locali;

-        funzionamento dei controlli interni.

Ulteriori forme di collaborazione, nonché pareri in materia contabile possono essere richiesti alle sezioni regionali dalle regioni, dal Consiglio delle autonomie e dagli enti locali.

 

L’attività del controllo sulla gestione svolta dalle sezioni regionali della Corte dei conti trova un compendio nelle due relazioni annuali presentate al Parlamento dalla Sezione delle autonomie, con riferimento rispettivamente alla gestione finanziaria delle regioni[346] ed alla gestione finanziaria degli enti locali[347], nonché nelle relazioni delle sezioni regioni di controllo.

Ciascuna sezione regionale di controllo infatti sulla base della programmazione definita sia a livello centrale (da parte della Sezione delle autonomie) che a livello regionale, adotta deliberazioni su temi specifici concernenti la regione e/o gli enti locali presenti nel territorio della regione stessa (le più recenti: Indagine sui contributi pubblici al settore turismo nella Regione Calabria; Frodi ed irregolarità nell’utilizzazione dei finanziamenti del Fondo Sociale Europeo (FSE) nella Regione siciliana; Indagine sull’assistenza sanitaria nella Regione Veneto; relazioni dei collegi sindacali delle aziende sanitarie e ospedaliere della Regione Liguria; Relazione sul rendiconto della regione – 2006 – per Emilia Romagna, Marche, Piemonte, Toscana).

A seguito delle innovazioni introdotte dall’art. 3, comma 60, della legge finanziaria 2008, di questa attività, le cui deliberazioni sono presentate al Consiglio regionale (e pubblicate nel sito della Corte dei Corti), si deve dare conto nell’ambito delle due relazioni annuali della Sezione delle Autonomie.

 

Secondo quanto disposto dal comma 1 dell’articolo 61 in esame, le sezioni regionali di controllo potranno esercitare il controllo sulla gestione – così come disciplinato dal regolamento della Corte già visto - anche in corso di esercizio.

L’attivazione del controllo in corso di gestione è decisa dalle sezioni regionali, di concerto con il Presidente della Corte dei conti e può fare seguito ad una richiesta in tal senso delle commissioni competenti dei consigli regionali.

La possibilità del controllo sulla gestione in corso di esercizio è prevista dall’articolo 3, comma 4, della legge n. 20/1994, in via generale in relazione al controllo sulla gestione del bilancio e del patrimonio delle amministrazioni pubbliche, esercitato dalla Corte dei conti. Non dispongono invece in tal senso le norme legislative e regolamentari già viste, concernenti in modo specifico le sezioni regionali di controllo.

L’estensione dei poteri di controllo riguarda le gestioni pubbliche in corso presso le amministrazioni regionali, così come sono intese dalla vigente disciplina dei controlli: regioni e loro enti strumentali, compresi gli enti del Servizio sanitario nazionale.

 

I restanti commi della norma in esame disciplinano le tipologie di intervento delle sezioni regionali e i conseguenti obblighi dell’amministrazione regionale, individuando due procedure alternative in relazione alle violazioni riscontrate dalla Corte in sede di controllo concomitante sulla gestione:

§      nel caso in cui la sezione regionale accerti gravi irregolarità, deviazione da obiettivi, procedure e tempi di attuazione stabiliti da norme o direttive degli esecutivi regionali (comma 2), essa può con decreto motivato intimare all’organo amministrativo competente l’immediata sospensione sia dell’impegno di somme già stanziate, sia del pagamento di somme già impegnate. Il successivo comma 3 precisa che il “decreto presidenziale” (la formulazione adottata dovrebbe indicare che il decreto di cui al comma 2 è adottato dal Presidente della sezione regionale) è efficacie dal momento della comunicazione all’amministrazione competente ed è trasmesso in copia al Ministero dell’economia e delle finanze;

§      nel caso in cui la sezione regionale riscontri rilevanti ritardi (comma 4) in relazione alla realizzazione di piani e programmi, o nell’assunzione di impegni o erogazione di contributi o trasferimento di fondi - previsti da norme statali, regionali, comunitarie o da direttive degli organi esecutivi competenti - essa ne accerta le cause d’ordine finanziario, procedurale o organizzativo, in contraddittorio con l’amministrazione competente. I risultati dell’accertamento sono notificati al Ministero dell’economia e delle finanze all’amministrazione interessata che, ai sensi del comma 6 (rectius 5) ha l’obbligo di conformarsi adottando i provvedimenti idonei a rimuovere gli impedimenti.

 

Al riguardo, si segnala l’opportunità di una più precisa definizione dei poteri attributi alle sezioni regionali della Corte dei conti, delle procedure per il loro esercizio e dei rapporti tra i due gruppi di fattispecie individuati dalle disposizioni in esame.

In particolare, con riferimento ai poteri spettanti alle sezioni regionali, il comma 2 non sembra chiarire in modo univoco gli effetti della sospensione degli impegni e dei pagamenti disposta con decreto dal Presidente della sezione regionale. In particolare, non appare indicata la durata della sospensione (che in base alla formulazione utilizzata sembrerebbe operare sine die), né la sorte giuridica degli atti sospesi.

Sempre con riferimento al comma 2, non sono individuate le procedure che portano all’adozione del decreto di sospensione, e in particolare non si precisa se all’adozione del decreto si pervenga a seguito di un procedimento in contraddittorio.

Quanto ai rapporti tra i due gruppi di fattispecie individuati dalle disposizioni in esame, in relazione ai quali si applicano procedure e provvedimenti di diverso genere, potrebbero sorgere delle incertezze interpretative con riferimento in particolare alla distinzione tra la fattispecie della “deviazione da […] tempi di attuazione stabiliti da norme o da direttive dell’organo esecutivo regionale”, prevista dal comma 2, e l’ipotesi di “rilevanti ritardi”, prevista dal comma 4.

 

Su un piano generale, si rileva inoltre come l’articolo in esame conferisca alle sezioni regionali della Corte dei conti un generale potere di controllo concomitante sulla gestione delle amministrazioni regionali, che può essere attivato anche d’ufficio dalla Corte (attraverso un concerto tra la sezione regionale e il Presidente della Corte) e può determinare la sostanziale inefficacia di atti e provvedimenti amministrativi o, comunque, un obbligo di recepimento da parte dell’amministrazione regionale dei rilievi della Corte.

Sembra al riguardo opportuno, anche alla luce della giurisprudenza costituzionale in materia, un approfondimento in ordine all’incidenza delle forme di controllo contabile previste dall’articolo in esame nell’ambito della sfera di attribuzioni costituzionalmente garantita alle autonomie regionali.

 

Con riferimento alla compatibilità con il quadro costituzionale a seguito della modifica del titolo V della Costituzione di disposizioni statali che introducono forme di controllo contabile sugli enti territoriali, si segnala in particolare che con la sent. 179/2007, la Corte costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate con riferimento all’art. 1, commi 166-169, della legge finanziaria per il 2006. Al riguardo, la Consulta ha avuto modo di evidenziare come dette norme “introducono un nuovo tipo di controllo affidato alla Corte dei conti, dichiaratamente finalizzato ad assicurare, in vista della tutela dell’unità economica della Repubblica e del coordinamento della finanza pubblica, la sana gestione finanziaria degli enti locali, nonché il rispetto, da parte di questi ultimi, del patto di stabilità interno e del vincolo in materia di indebitamento posto dall’ultimo comma dell’art. 119 Cost.”.

In questo contesto, la Corte ha sottolineato la natura collaborativa del controllo disciplinato dalle norme della finanziaria per il 2006, che si limita alla segnalazione all’ente controllato delle rilevate disfunzioni e rimette all’ente stesso l’adozione delle misure necessarie. C’è, dunque – secondo la Corte – una netta separazione tra la funzione di controllo della Corte dei conti e l’attività amministrativa degli enti, che sono sottoposti al controllo stesso, né la Corte ritiene possa dirsi che la vigilanza sull’adozione delle misure necessarie da parte degli enti interessati implichi un’invasione delle competenze amministrative di questi ultimi, poiché l’attività di vigilanza, limitatamente ai fini suddetti, è indispensabile per l’effettività del controllo stesso.

Pertanto, la Consulta ritiene che, alla luce del fatto che il controllo sulla gestione finanziaria è complementare rispetto al controllo sulla gestione amministrativa, ed è utile per soddisfare l’esigenza degli equilibri di bilancio, la previsione da parte di una legge dello Stato del controllo in esame rientri nella competenza propria di quest’ultimo di dettare principi nella materia concorrente della “armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica” (art. 117, terzo comma, Cost.).

 


 

Articolo 62
(Contenimento dell’indebitamento delle regioni e degli enti locali)


1. Ai fini della tutela dell'unità economica della Repubblica e nel rispetto dei principi di coordinamento della finanza pubblica previsti agli articoli 119 e 120 della Costituzione, alle regioni, alle province autonome di Trento e Bolzano e agli enti locali è fatto divieto di stipulare fino alla data di entrata in vigore del regolamento di cui al comma 2, contratti relativi agli strumenti finanziari derivati previsti all'articolo 1, comma 3, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, nonché di ricorrere all'indebitamento attraverso contratti che non prevedano modalità di rimborso mediante rate di ammortamento comprensive di capitale e interessi. La durata dei piani di ammortamento non può essere superiore a trent'anni, ivi comprese eventuali operazioni di rifinanziamento o rinegoziazione ammesse dalla legge. E comunque per il periodo di un anno decorrente dalla data di entrata in vigore del presente decreto.

2. Il Ministro dell'economia e delle finanze, sentite la Banca d'Italia e la Commissione nazionale delle società e della borsa, con regolamento da emanarsi ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, individua la tipologia degli strumenti finanziari derivati che i soggetti di cui al comma 1 possono stipulare e stabilisce i criteri e le condizioni per la conclusione delle relative operazioni.

3. Restano salve tutte le disposizioni in materia di indebitamento delle regioni, delle province autonome di Trento e Bolzano e degli enti locali che non siano in contrasto con quelle le disposizioni del presente articolo.


 

 

L’articolo 62, comma 1, reca, ai fini del contenimento dell’indebitamento di regioni ed enti locali, il divieto per regioni, province autonome di Trento e Bolzano e per gli enti locali:

§      di stipulare contratti relativi agli strumenti finanziari derivati, previsti all’articolo 1, comma 3, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 il testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (TUF);

§      di ricorrere all’indebitamento attraverso contratti che non prevedano modalità di rimborso mediante rate di ammortamento comprensive di capitale e interessi.

Nel caso di contratti di mutuo che prevedano il sistema di ammortamento con rimborso di quote di capitale e interessi, la norma fissa la durata massima dei piani di ammortamento in trenta anni, ivi comprese eventuali operazioni di rifinanziamento o rinegoziazione ammesse dalla legge.

A tale riguardo si segnala che già legge finanziaria per il 2005 (legge n. 311/2004, comma 70), attraverso una novella all'articolo 41, comma 2, primo periodo, della legge n. 448/2001, ha eliminato la possibilità per gli enti territoriali di poter contrarre mutui con rimborso del capitale in unica soluzione alla scadenza. Pertanto, in base alla legislazione vigente, tali enti possono contrarre soltanto mutui che prevedano esclusivamente il tradizionale sistema di ammortamento con rimborso graduale di quote di capitale e interessi, ferma restando peraltro la facoltà di emettere titoli obbligazionari con rimborso in un'unica soluzione alla scadenza.

 

Si segnala che l’ultimo periodo del comma 1 appare frutto di un refuso.

 

Il divieto opera fino alla data di entrata in vigore del regolamento di delegificazione, previsto dal comma 2, da emanarsi, ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, da parte del Ministro dell’economia e delle finanze, sentite la Banca d’Italia e la Commissione nazionale delle società e della borsa, con il quale sarà individuata la tipologia degli strumenti finanziari derivati che possono essere stipulati dagli enti territoriali di cui al comma 1.

Con il medesimo decreto saranno altresì stabiliti i criteri e le condizioni per la conclusione delle relative operazioni.

 

Gli strumenti finanziari derivati sono strumenti finanziari il cui valore dipende (“deriva”) dall’andamento di un’attività sottostante (c.d. underlying asset). Le attività sottostanti possono avere natura finanziaria (come, ad esempio, i titoli azionari, i tassi di interesse e di cambio, gli indici) o reale (come, ad esempio, il caffè, il cacao, l’oro, il petrolio, ecc…).

Ai sensi del combinato disposto dei commi 2 e 3 dell’articolo 1 del decreto legislativo n. 58/1998, recante il testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, per «strumenti finanziari derivati» si intendono:

-        contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati (future), “swap”, accordi per scambi futuri di tassi di interesse e altri contratti derivati connessi a valori mobiliari, valute, tassi di interesse o rendimenti, o ad altri strumenti derivati, indici finanziari o misure finanziarie che possono essere regolati con consegna fisica del sottostante o attraverso il pagamento di differenziali in contanti (art. 1, co. 2, lett. d));

-        contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati (future), “swap”, accordi per scambi futuri di tassi di interesse e altri contratti derivati connessi a merci il cui regolamento avviene attraverso il pagamento di differenziali in contanti o può avvenire in tal modo a discrezione di una delle parti, con esclusione dei casi in cui tale facoltà consegue a inadempimento o ad altro evento che determina la risoluzione del contratto (art. 1, co. 2, lett. e));

-        contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati (future), “swap” e altri contratti derivati connessi a merci il cui regolamento può avvenire attraverso la consegna del sottostante e che sono negoziati su un mercato regolamentato e/o in un sistema multilaterale di negoziazione (art. 1, co. 2, lett. f));

-        contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati (future), “swap”, contratti a termine (forward) e altri contratti derivati connessi a merci il cui regolamento può avvenire attraverso la consegna fisica del sottostante, diversi da quelli indicati dalla precedente alinea che non hanno scopi commerciali, e aventi le caratteristiche di altri strumenti finanziari derivati, considerando, tra l'altro, se sono compensati ed eseguiti attraverso stanze di compensazione riconosciute o se sono soggetti a regolari richiami di margini (art. 1, co. 2, lett. g));

-        strumenti derivati per il trasferimento del rischio di credito (art. 1, co. 2, lett. h));

-        contratti finanziari differenziali (art. 1, co. 2, lett. i));

-        contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati (future), “swap”, contratti a termine sui tassi d'interesse e altri contratti derivati connessi a variabili climatiche, tariffe di trasporto, quote di emissione, tassi di inflazione o altre statistiche economiche ufficiali, il cui regolamento avviene attraverso il pagamento di differenziali in contanti o può avvenire in tal modo a discrezione di una delle parti, con esclusione dei casi in cui tale facoltà consegue a inadempimento o ad altro evento che determina la risoluzione del contratto, nonché altri contratti derivati connessi a beni, diritti, obblighi, indici e misure, diversi da quelli indicati alle lettere precedenti, aventi le caratteristiche di altri strumenti finanziari derivati, considerando, tra l'altro, se sono negoziati su un mercato regolamentato o in un sistema multilaterale di negoziazione, se sono compensati ed eseguiti attraverso stanze di compensazione riconosciute o se sono soggetti a regolari richiami di margini (art. 1, co. 2, lett. j));

-        qualsiasi altro titolo che comporta un regolamento in contanti determinato con riferimento ai valori mobiliari indicati alle precedenti lettere, a valute, a tassi di interesse, a rendimenti, a merci, a indici o a misure (art. 1, co. 1-bis, lett. d)).

 

Il comma 3 fa salve le disposizioni in materia di indebitamento delle regioni, delle province autonome di Trento e Bolzano e degli enti locali che non siano in contrasto con quelle le disposizioni del presente articolo.


 

Articolo 63, comma 1
(Partecipazioni missioni internazionali di pace)

1. L'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 1, comma 1240, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, è incrementata di euro 90 milioni per l'anno 2008, per il finanziamento della partecipazione italiana alle missioni internazionali di pace. A tal fine è integrato l'apposito fondo nell'ambito dello stato di previsione della spesa del Ministero dell'economia e delle finanze.

 

 

L’articolo 63, comma 1, incrementa di 90 milioni di euro, per l’anno 2008, la consistenza del Fondo per il finanziamento della partecipazione italiana alle missioni internazionali di pace, di cui all’articolo 1, comma 1240, della legge 27 dicembre 2006, n. 296.

 

L’articolo 1, comma 1240, della legge n. 296/2006 (legge finanziaria 2007), ha autorizzato, per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009, la spesa di un miliardo di euro per il finanziamento della partecipazione italiana alle missioni internazionali di pace ed ha istituito, a tale scopo, un apposito fondo nell'ambito dello stato di previsione della spesa del Ministero dell'economia e delle finanze[348].

Per l’anno 2008, la proroga della partecipazione italiana alle missioni militari in corso e l’autorizzazione alla partecipazione a nuove missioni è stata operata con il D.L. 31 gennaio 2008, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 marzo 2008, n. 45, recante disposizioni urgenti in materia di interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione, nonché relative alla partecipazione delle Forze armate e di polizia a missioni internazionali.

Il D.L. reca complessivamente, per il 2008, oneri pari a 1.020 milioni di euro[349] (escluso l’articolo 4, comma 9).

A tali oneri si provvede, per l'anno 2008, con l’utilizzo del miliardo di euro del Fondo per il finanziamento delle missioni internazionali di pace.

I restanti 20 milioni di euro, relativi all’anno 2008, vengono fatti valere sull'autorizzazione di spesa di cui alla legge n. 49/1987 (cooperazione allo sviluppo), come determinata nella tabella C - Ministero degli affari esteri - della legge finanziaria 2008;

 

Per l’esercizio finanziario 2008, dei 1.000 milioni di euro relativi al Fondo per il finanziamento delle missioni militari di pace, 890,4 milioni di euro sono destinati alla copertura finanziaria degli oneri propriamente derivanti dalla partecipazione alle missioni militari, mentre i restanti risultano utilizzati per interventi umanitari e di cooperazione relativi ad Afghanistan, Libano, Iraq, Sudan e Somalia.

Nell’esercizio finanziario 2007, la quota del Fondo destinata alla copertura degli oneri derivanti dalla partecipazione alle missioni militari di pace era stata di 911 milioni di euro.

 

In relazione alla disposizione in esame si osserva che nella relazione tecnica allegata al decreto legge in esame viene specificato che l’integrazione di 90 milioni di euro del fondo per il finanziamento delle missioni internazionali è destinato al “rifinanziamento fino al 31 dicembre 2008 della partecipazione italiana alle missioni internazionali di pace in scadenza nel mese di agosto”.

 

Considerato che non risultano missioni in scadenza nel corso del mese di agosto, andrebbe chiarito a quali missioni intenda riferirsi il finanziamento previsto dalla disposizione in esame.

La norma potrebbe far riferimento a talune delle missioni indicate dal decreto legge n. 8 del 2008[350], le cui spese sono state autorizzate, dal citato provvedimento legislativo, fino al 30 settembre 2008.

Nello specifico, si tratta della missione delle Nazioni Unite in Libano, denominata United Nations Interim Force in Lebanon UNIFIL, alla missione dell'Unione europea in Bosnia-Erzegovina, denominata ALTHEA, alla missione dell'Unione europea nella Repubblica del Chad e nella Repubblica Centrafricana, denominata EUFOR Tchad/RCA, alla missione delle Nazioni Unite in Haiti, denominata United Nations Stabilization Mission MINUSTAH, alla missione in Libia (non ancora iniziata), in esecuzione dell'accordo di cooperazione tra il Governo italiano e il Governo libico per fronteggiare il fenomeno dell'immigrazione clandestina e della tratta degli esseri umani.

 


 

Articolo 63, comma 2
(Minori economie derivanti da trasformazione e
soppressione di enti pubblici)

2. La disposizione di cui all'articolo 1, comma 621, lettera a), della legge 27 dicembre 2006, n. 296, non si applica limitatamente all'anno 2008.

 

 

Il comma 2 esclude per l’anno 2008 il ricorso alla riduzione delle dotazioni di bilancio relative a trasferimenti ad enti pubblici, previsto dalla legge finanziaria per il 2007 (articolo 1, comma 621, lettera a)), nel caso di accertamento di minori economie rispetto a quelle previste dal procedimento di riordino, trasformazione o soppressione degli enti ed organismi pubblici, disciplinato dalla citata legge finanziaria, all’art. 1, comma 482.

Le economie previste dal procedimento di riordino ammontano, per il 2008 a 310 milioni di euro e a 415 milioni di euro a decorrere dal 2009 (art. 1, comma 483).

Si segnala che il procedimento di riordino degli enti ed organismi pubblici è stato abrogato dalla legge finanziaria per il 2008, che ha delineato una nuova procedura per addivenire alla soppressione o razionalizzazione degli enti ed organismi statali (l. n. 244/2007, articolo 2, commi 634 - 642), disponendo, tra l’altro, che dalla nuova procedura debba derivare un miglioramento dell’indebitamento netto pari a quello previsto dalle misure contenute legge finanziaria 2007, cioè di 310 milioni di euro per l’anno 2008 e a 415 milioni di euro a decorrere dall’anno 2009 (art. 2, comma 641)[351].

Sinteticamente, l’articolo 1, comma 482 delle legge finanziaria per il 2007 ha novellato la disciplina contenuta nell'articolo 28 della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (legge finanziaria 2002), che aveva già disposto in materia, demandando ad uno o più regolamenti di delegificazione il compito di procedere al riordino o soppressione di enti ed organismi pubblici [352].

L’articolo 28 delle legge n. 448/2001, ad eccezione di commi 7, 9, 10 e 11, è stato abrogato dall’articolo 1, comma 640 della legge finanziaria per il 2008, il quale ha fatto comunque salvi i regolamenti già emanati ai sensi di quell’articolo.

 

La relazione tecnica ascrive alla misura in esame effetti in termini di incremento dell’indebitamento netto pari a 310 milioni di euro per l’anno 2008, e in termini di incremento del fabbisogno pari a 280 milioni per il 2008 e a 30 milioni per il 2009.


 

Articolo 63, comma 3
(Fondo per il funzionamento delle istituzioni scolastiche)

3. In relazione alle necessità connesse alle spese di funzionamento delle istituzioni scolastiche il «Fondo per il funzionamento delle istituzioni scolastiche» di cui all'articolo 1, comma 601, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007), iscritto nello stato di previsione del Ministero della pubblica istruzione è incrementato dell'importo di euro 200 milioni per l'anno 2008.

 

 

Il comma 3 incrementa di 200 milioni di euro, per l’esercizio 2008, il Fondo per il funzionamento delle istituzioni scolastiche”, istituito dall’articolo 1, comma 601, della legge finanziaria 2007[353], nello stato di previsione del Ministero della pubblica istruzione.

La relazione al disegno di legge di conversione specifica che la disposizione è necessaria per consentire alle istituzioni scolastiche di effettuare acquisti di beni e servizi indispensabili a garantirne l’efficienza, anche in relazione ai debiti pregressi accumulati dalle istituzioni stesse.

 

Si ricorda che l’art 1, co. 601, della legge finanziaria 2007 nell’ottica di migliorare le procedure di spesa ha disposto la riaggregazione degli stanziamenti di varie unità previsionali di base dello stato di previsione del Ministero della pubblica istruzione in due soli Fondi, destinati, rispettivamente, al funzionamento delle istituzioni scolastiche ed alle competenze dovute al personale della scuola (con esclusione degli stipendi del personale a tempo indeterminato e determinato). La disposizione avrebbe permesso la diretta assegnazione delle risorse alle istituzioni scolastiche, eliminando le fasi intermedie del transito di somme dagli Uffici scolastici regionali alle contabilità speciali degli Uffici scolastici provinciali e da queste alle scuole[354].

Va segnalato tuttavia che, nello stato di previsione del Ministero relativo al 2008, riarticolato secondo la riclassificazione del bilancio dello Stato in Missioni e Programmi, gli stanziamenti dei due Fondi sono stati nuovamente distribuiti, senza una specifica previsione normativa di rango primario, in diversi capitoli relativi al personale ed al funzionamento delle scuole facenti capo ai quattro Programmi, riferiti alla Missione Istruzione scolastica, intitolati ai diversi gradi dell’istruzione. Il Fondo per il funzionamento è così ripartito[355]:

-        Programma 1.2 “Istruzione prescolastica”, unità di voto.1.2.1 (cap. 1195): 59,9 milioni di euro;

-        Programma 1.3 “Istruzione elementare”- unità di voto. 1.3.1 (cap. 1204): 114,5 milioni di euro;

-        Programma 1.4 “Istruzione secondaria inferiore” - unità di voto. 1.4.1 (cap. 1196): 38,0 milioni di euro;

-        Programma 1.5 “Istruzione secondaria superiore”, unità di voto. 1.5.1 (cap. 1194): 107,5 milioni di euro.

 

Con riguardo a quanto sopra esposto, occorrerebbe chiarire con quali criteri si procederà al riparto dello stanziamento disposto dalla norma in commento tra le istituzioni appartenenti ai diversi ordini di scuole.

 


 

Articolo 63, comma 4
(Autorizzazione di spesa a favore di Ferrovie dello Stato)

4. Per far fronte alle esigenze del Gruppo Ferrovie dello Stato S.p.a. è autorizzata la spesa di 300 milioni di euro per l'anno 2008. Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, da emanarsi entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, è definita la destinazione del contributo.

 

 

Il comma 4 dell’articolo 63 autorizza la spesa di 300 milioni di euro per l’anno 2008 per far fronte alle esigenze del gruppo Ferrovie dello Stato Spa.

La destinazione del contributo sarà definita con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e trasporti, da emanarsi entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge in esame (ovvero entro il 25 luglio 2008).

 

La società Ferrovie dello Stato S.p.a., interamente controllata dallo Stato, costituisce la holding alla quale fanno capo le società del gruppo, operanti nel settore del trasporto ferroviario. Le due società più importanti del gruppo sono Trenitalia S.p.a., che svolge l’attività di trasporto dei passeggeri e delle merci, e RFI – Rete ferroviaria italiana S.p.a., che gestisce l’infrastruttura ferroviaria ed è responsabile delle linee, delle stazioni e degli impianti.

 


 

Articolo 63, comma 5
(Utilizzo da parte di ANAS delle disponibilità giacenti)

5. Per far fronte alle obbligazioni già assunte per la realizzazione di interventi previsti nel contratto di programma 2003-2005 e in Accordi pregressi, a valere su residui passivi degli anni 2002 e precedenti, la Società ANAS S.p.a. è autorizzata ad utilizzare, in via di anticipazione, le disponibilità giacenti sul conto di tesoreria n. 20060, con obbligo di reintegro entro il 31 dicembre 2008, previa presentazione di apposita ricognizione riguardante il fabbisogno correlato all'attuazione degli interventi per il corrente esercizio e per l'anno 2009.

 

 

Il comma 5 reca una disposizione volta a consentire all’Anas S.p.A. di far fronte alle obbligazioni già assunte per la realizzazione di interventi previsti nel contratto di programma 2003-2005 e in accordi pregressi.

A tal fine, a valere su residui passivi degli anni 2002 e precedenti, si autorizza l’ANAS S.p.A. ad utilizzare, in via di anticipazione, le disponibilità giacenti sul conto di tesoreria n. 20060, con obbligo di reintegro entro il 31 dicembre 2008, previa presentazione di apposita ricognizione riguardante il fabbisogno correlato all’attuazione degli interventi per il corrente esercizio e per l’anno 2009.

 

In proposito, la relazione illustrativa al disegno di legge di conversione del decreto-legge precisa che tale utilizzo si deve commisurare alle attuali disponibilità di bilancio per l’anno 2008 per gli investimenti di competenza dell’ANAS, ammontanti a 1.050 milioni di euro, cui si dovrebbero aggiungere ulteriori 450 milioni di euro derivanti dall’importo accantonato ai sensi della normativa vigente in materia di TFR.

 

In merito alla situazione finanziaria dell’Anas, si ricorda che nella relazione della Corte dei conti sul risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria di ANAS S.p.A. per l’esercizio finanziario 2006[356], allegata alla Delibera della Corte n. 22/2008, si legge che “con specifico riguardo alla gestione 2006, questa è stata caratterizzata da notevoli difficoltà di ordine finanziario, avendo risentito dei rigorosi quanto irrealistici limiti posti alla relativa spesa dalla legge finanziaria 2006 in termini sia di investimenti - 1,7 miliardi di euro, successivamente portati a 1,9 miliardi, rispetto ad un fabbisogno per cantieri aperti di oltre 3 miliardi di euro - sia di funzionamento. Ciò si è sommato a gravi carenze derivanti dalla mancata copertura ereditata dall’Ente economico ANAS prima della trasformazione in Spa. Ne è derivato lo stravolgimento del relativo contratto di programma, cui sono stati imputati oneri ad esso estranei, relativi a pagamenti a vario titolo a fronte di opere in atto e perfino a spese di funzionamento. Alla descritta negativa situazione finanziaria è stato posto riparo nella seconda parte dell’esercizio, da un lato con la previsione legislativa di stanziamenti aggiuntivi, che sono valsi a scongiurare la paventata chiusura dei cantieri, e dall’altro con un’attenta ricognizione delle opere in corso e da avviare, seguita dalla fissazione di un preciso ordine di priorità, munito di un’adeguata copertura finanziaria, nella realizzazione delle opere previste dalla Legge Obiettivo”[357].

 

Si segnala altresì che nel corso della XV legislatura il Governo è dapprima intervenuto con l’art. 17, comma 2, del DL n. 223/2006, che ha elevato il tetto di spesa posto dalla finanziaria 2006 da 1,9 a 2,9 miliardi di euro, vincolando l’utilizzo delle citate risorse integrative “esclusivamente per i cantieri aperti”.

Successivamente è stato approvato un insieme di disposizioni finalizzate, da un lato, ad articolare e meglio definire le funzioni e i poteri dell’ANAS quale soggetto concedente nei rapporti con le società concessionarie autostradali (art. 2, commi 82-90, del DL n. 262/2006) e, dall’altro, a disciplinare il relativo finanziamento (art. 1, commi 1018-1021, 1023-1026 e 1028 della legge finanziaria 2007). Relativamente a queste ultime si ricorda il comma 1025, che ha disposto la soppressione del Fondo centrale di garanzia per le autostrade e ferrovie metropolitane ed il subentro dell’ANAS nella gestione dell'intero patrimonio del Fondo, ed il comma 1026 che ha previsto, a decorrere dal 1° gennaio 2007, che “ai finanziamenti pubblici erogati ad ANAS S.p.a. a copertura degli investimenti funzionali ai compiti di cui essa è concessionaria ed all'ammortamento del costo complessivo di tali investimenti si applicano le disposizioni valide per il Gestore dell'infrastruttura ferroviaria nazionale di cui all'articolo 1, commi 86 e 87, della legge 23 dicembre 2005, n. 266. A tal fine è autorizzata la spesa di 1.560 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009 comprensiva, per gli anni medesimi, dell'importo di 60 milioni di euro, da destinare al rimborso delle rate di ammortamento dei mutui contratti da ANAS S.p.a. di cui al contratto di programma 2003-2005”.

Riguardano l’ANAS, infine, anche alcune disposizioni del decreto-legge 2 luglio 2007, n. 81, che hanno previsto, all’art. 6, comma 5, l’incremento del limite dei pagamenti per spese di investimento da parte dell’ANAS, che viene fissato in 4.200 milioni di euro, al fine di assicurare la prosecuzione e il completamento di interventi infrastrutturali in materia di viabilità; all’art. 8, comma 4, l’erogazione, per l’anno 2007, di un contributo pari a 426.592.642 euro a titolo di apporto al capitale sociale dell’ANAS, al fine di ripianare la perdita di esercizio relativa all’anno 2006.

 


 

Articolo 63, comma 6
(Incremento autorizzazione di spesa Fondo per l’occupazione)

6. L'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 1, comma 7, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236, relativa al Fondo per l'occupazione è incrementata di euro 700 milioni per l'anno 2009.

 

 

Il comma 6 prevede un incremento di 700 milioni di euro per l’anno 2009 riguardante l’autorizzazione di spesa relativa al Fondo per l’occupazione, di cui all’articolo 1, comma 7, del D.L. 148/1993[358].

 


 

Articolo 63, comma 7
(Integrazione autorizzazione di spesa Fondo per le politiche sociali)

7. L'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 20, comma 8, della legge 8 novembre 2000, n. 328, relativa al Fondo da ripartire per le politiche sociali, come determinata dalla tabella C della legge 24 dicembre 2007, n. 244, è integrata di 300 milioni di euro per l'anno 2009.

 

 

L’articolo 63, al comma 7, prevede l’integrazione di 300 milioni di euro per l'anno 2009 dell’autorizzazione di spesa[359] del Fondo per le politiche sociali, determinata dalla tabella C della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria per il 2008).

Per l’anno 2009 in tabella C della legge n. 244 del 2007 è stato previsto uno stanziamento pari a euro 1.291. 697.000[360].

Inoltre l’articolo 2, comma 437, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria per il 2008) ha ridotto, per ciascuno degli anni 2008, 2009 e 2010, lo stanziamento del citato Fondo di 1.250.000 euro, con destinazione al finanziamento del Fondo per la diffusione della cultura e delle politiche di responsabilità sociale delle imprese. Da ultimo, il suddetto comma 437 dell’articolo 2 è stato sostituito dal numero 11) della lettera b) del comma 9 dell'articolo 5 del decreto-legge 27 maggio 2008, n. 93[361], confermando unicamente la suddetta riduzione di spesa relativa al Fondo per le politiche sociali.

Si ricorda che per l’anno 2008, nello stato di previsione del Ministero della solidarietà sociale[362], l’importo previsto per il finanziamento del Fondo per le politiche sociali è stato pari a euro 1.581.565.000.

 


 

Articolo 63, comma 8
(Istituzione Fondo per il finanziamento misure di proroga di agevolazioni fiscali)

8. Nello stato di previsione della spesa del Ministero dell'economia e delle finanze è costituito un apposito fondo, con una dotazione finanziaria di 500 milioni di euro per l'anno 2009, per il finanziamento, con appositi provvedimenti normativi, delle misure di proroga di agevolazioni fiscali riconosciute a legislazione vigente.

 

 

Il comma 8 istituisce nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze un Fondo per il finanziamento delle misure di proroga delle agevolazioni fiscali riconosciute a legislazione vigente. A tal fine viene disposto uno stanziamento di 500 milioni per il 2009.

La proroga dell’agevolazione sarà disposta da specifici provvedimenti normativi adottati di volta in volta e la copertura dei relativi oneri (in termini di minori entrate) sarà posta a valere sulle disponibilità del Fondo.

 

 

 


 

Articolo 63, comma 9
(Stanziamenti a favore del CONI)

9. All'articolo 1, comma 282, secondo periodo, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, le parole «quadriennio 2005-2008» sono sostituite dalle seguenti: «periodo 2005-2011».

 

 

Il comma 9 dell’articolo in commento prevede un rifinanziamento delle risorse a favore del CONI, estendendo al triennio 2009-2011 il contributo statale stabilito in 450 milioni di euro annui per il quadriennio 2005-2008 dall’art. 1, co. 282, della l. finanziaria per il 2005[363].

Tale finanziamento era destinato al perseguimento delle finalità istituzionali dell’ente, al graduale riequilibrio finanziario della Coni Servizi S.p.a. e comprendeva il contributo straordinario finalizzato alla preparazione degli atleti per i Giochi olimpici invernali di Torino 2006 e per i Giochi olimpici di Pechino 2008.

 

Si ricorda, in proposito, che l’art. 1, comma 281, della medesima legge finanziaria 2005 destinava al CONI per il finanziamento dello sport, a partire dal 1° gennaio 2005, una quota delle entrate erariali ed extraerariali derivanti dai concorsi pronostici su base sportiva, da scommesse, lotto ed enalotto, bingo, apparecchi da divertimento e intrattenimento, lotterie ad estrazione istantanea e differita, e da giochi similari istituiti successivamente alla data suindicata. Il comma 282 demandava al Ministero dell'economia e delle finanze l'adozione, entro il 31 marzo 2005, del provvedimento relativo alle modalità operative di determinazione della base di calcolo delle entrate erariali ed extraerariali derivanti dai giochi di cui al comma precedente, nonché alle modalità di trasferimento dei fondi. Il decreto ministeriale in oggetto, emanato in data 11 marzo 2005, considerato che l’assegnazione per il quadriennio 2005-2008 era già stata determinata (dal medesimo art. 1, comma 282, della legge finanziaria 2005) in 450 milioni di euro, riteneva di non dover procedere alla determinazione della base di calcolo e stabiliva le modalità di trasferimento e di monitoraggio delle risorse stabilite in finanziaria.

Si ricorda, infine, che l’art. 28, co. 4-quinquies del d.l. n. 159/2007[364]ha elevato di 12 milioni di euro per l'anno 2007 l'autorizzazione di spesa di 450 milioni, di cui sopra.

 

 


 

Articolo 63, comma 10
(Integrazione del Fondo interventi strutturali di politica economica)

10. Al fine di garantire le necessarie risorse finanziarie a carico del bilancio dello Stato occorrenti per i rinnovi contrattuali e gli adeguamenti retributivi del personale delle amministrazioni statali nonché per l'attuazione delle misure di cui all'articolo 78, il Fondo per interventi strutturali di politica economica di cui all'articolo 10, comma 5, del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre 2004, n. 307, è integrato dell'importo di 500 milioni di euro per l'anno 2008 e di 2.740 milioni di euro a decorrere dall'anno 2009.

 

 

Il comma 10 prevede l’incremento delle disponibilità del “Fondo per gli interventi strutturali di politica economica”, istituito dall’articolo 10, comma 5, del D.L. n. 282 del 2004 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 307/2004), nell’importo di 500 milioni di euro per il 2008 e di 2.740 milioni di euro a decorrere dal 2009, al fine del loro utilizzo per finalità di copertura finanziaria.

 

In particolare, tali risorse sono destinate:

§      all’attuazione dell’articolo 78 del provvedimento in esame, che prevede la nomina del Sindaco del comune di Roma a Commissario straordinario del Governo, ai fini della ricognizione della situazione economico-finanziaria del comune e dell’attuazione diun piano di rientro dall’indebitamento pregresso del comune. In particolare, la norma prevede che la Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. conceda al Comune di Roma una anticipazione di 500 milioni di euro, al fine di superare la situazione di illiquidità che presenta il comune di Roma;

§      a garantire le necessarie risorse finanziarie, a carico del bilancio dello Stato, occorrenti per i rinnovi contrattuali e gli adeguamenti retributivi del personale delle Amministrazioni statali.

 

La norma non chiarisce come vengono ripartite le risorse tra le due finalità sopra richiamate.

La Relazione tecnica, peraltro, attribuisce l’importo di 500 milioni euro a decorrere dal 2008 per l’attuazione delle misure di cui all’articolo 78 (vale a dire per l’anticipazione al Comune di Roma da parte della Cassa depositi e prestiti di cui al comma 8) e 2.240 milioni di euro a decorrere dal 2009 per la copertura dei rinnovi contrattuali.


 

Articolo 63, comma 11
(Autorizzazione all’INAIL all’utilizzo dei fondi disponibili per investimenti infrastrutturali)

11. All'articolo 2, comma 488, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Nel rispetto del limite del 7 per cento dei fondi disponibili, l'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) è autorizzato a procedere, in forma diretta, alla realizzazione di investimenti per infrastrutture di interesse regionale nel limite di 75 milioni di euro per l'anno 2008.».

 

 

Il comma 11, con l’aggiunta di un periodo all’articolo 2, comma 488, della L. 244/2007 (legge finanziaria 2008), autorizza l’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) a procedere, in forma diretta, alla realizzazione di investimenti per infrastrutture di interesse regionale nel limite di 75 milioni di euro per l’anno 2008, comunque nel rispetto del limite del 7% dei fondi disponibili.

Si ricorda che i commi da 488 a 492 dell’articolo 2 della L. 244/2007 recano norme volte ad assicurare un utilizzo dei fondi disponibili cumulati dagli enti previdenziali in termini compatibili con l’obiettivo di debito assunto dall’Italia in sede europea.

In particolare, il comma 488, al primo periodo, dispone che, al fine di garantire gli obiettivi di finanza pubblica stabiliti a livello europeo indicati del DPEF, gli enti previdenziali, a decorrere dall’anno 2008, possono effettuare investimenti immobiliari esclusivamente in forma indiretta e nel limite complessivo del 7% dei fondi disponibili.

Il secondo periodo del comma in esame, aggiunto successivamente dall’articolo 47-quinquies del D.L. 248/2007[365], invece autorizza l’INAIL, nel rispetto del limite del 7% dei fondi disponibili analizzato in precedenza, ad effettuare investimenti in forma diretta per la realizzazione del Centro polifunzionale della Polizia di Stato di Napoli, secondo le modalità di cui all’articolo 1, comma 438, della L. 296/2006 (legge finanziaria per il 2007).

Il successivo comma 489, così come novellato dall’articolo 22-quater del menzionato D.L. 248/2007, dispone che sono fatti salvi comunque i procedimenti in corso relativi alle somme accantonate per piani di impiego già approvati dai Ministeri vigilanti, a fronte dei quali non sono state assunte obbligazioni giuridicamente perfezionate, precisando che tali somme possono essere investite entro il limite di cui al precedente comma 488 (cioè entro il 7% dei fondi disponibili).

Sono inoltre fatti salvi i procedimenti in corso per opere per le quali siano già stati consegnati i lavori ai sensi dell'articolo 130 del D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554[366] (riguardante il processo verbale di consegna), o per le quali si sia positivamente concluso il procedimento di valutazione di congruità tecnico-economica con riferimento all'investimento immobiliare da realizzarsi da parte degli organismi deputati.

Il comma 490 dispone che, al fine di consentire agli enti previdenziali pubblici di realizzare gli investimenti in forma indiretta, le quote di fondi immobiliari o le partecipazioni in società immobiliari da essi acquisite ai sensi dell’articolo 11 del D.Lgs. 16 febbraio 1996, n. 104[367] e di altre norme speciali in materia, nonché del comma 488 in esame, non concorrono a determinare il limite del 3% (rispetto all’ammontare delle entrate previste dal bilancio di competenza degli enti medesimi) relativo alle disponibilità depositate a qualunque titolo presso le aziende di credito, di cui al primo comma dell’articolo 40 della L. 30 marzo 1981, n. 119[368], né l’ulteriore limite eventualmente stabilito con decreto ministeriale ai sensi dell’ottavo comma dello stesso articolo 40.

Il comma 491 precisa che, con apposito decreto del Ministro dell’economia, su proposta del Ministro del lavoro, previa valutazione della compatibilità con gli obiettivi di finanza pubblica stabiliti a livello europeo, può essere autorizzato il superamento del limite di cui al precedente comma 488 (7% dei fondi disponibili).

Il comma 492, infine, dispone che, a decorrere dal 1° gennaio 2008, non si applicano più le percentuali stabilite da norme precedenti a quelle in esame con riferimento agli impieghi delle risorse disponibili degli enti previdenziali pubblici.

 

Nella relazione tecnica allegata al presente decreto-legge si evidenza come la disposizione in esame preveda una deroga al divieto per gli enti previdenziali di operare investimenti in forma diretta, quindi, con effetto sull’indebitamento netto del Conto delle Amministrazioni pubbliche disposto a decorrere dal 2008 dall’articolo 2, comma 488, della L. 244/2007. In particolare, si determina un peggioramento dell’indebitamento netto per un importo di 75 milioni di euro per il solo 2008, con invarianza del fabbisogno, considerato che l’INAIL era comunque autorizzato, nel limite previsto dalla legge, ad effettuare investimenti in forma indiretta.

 


 

Articolo 63, commi 12-13
(Fondo per la promozione e il sostegno dello sviluppo
del trasporto pubblico locale)


12. Per promuovere lo sviluppo economico e rimuovere gli squilibri economico-sociali è istituito, nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e trasporti, il Fondo per la promozione e il sostegno dello sviluppo del trasporto pubblico locale, con una dotazione di 113 milioni di euro per l'anno 2008, di 130 milioni di euro per l'anno 2009 e di 110 milioni di euro per ciascuno degli anni 2010 e 2011. Per gli anni successivi, al finanziamento del Fondo si provvede ai sensi dell'articolo 11, comma 3, lettera f), della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni. Le risorse del Fondo sono destinate alle finalità di cui all'articolo 1, comma 1031, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, come modificato dal comma 306, e di cui all'articolo 9 della legge 26 febbraio 1992, n. 211, con le procedure e le modalità previste da tali disposizioni. Gli interventi finanziati, ai sensi e con le modalità della legge 26 febbraio 1992, n. 211, con le risorse di cui al presente comma, individuati con decreto del Ministro delle infrastrutture e trasporti, sono destinati al completamento delle opere in corso di realizzazione in misura non superiore al 20 per cento. Il finanziamento di nuovi interventi è subordinato all'esistenza di parcheggi di interscambio, ovvero alla loro realizzazione, che può essere finanziata con le risorse di cui al presente comma.

13. La ripartizione delle risorse di cui al comma 12 tra le finalità ivi previste è definita con decreto del Ministro delle infrastrutture e trasporti, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. In fase di prima applicazione, per il triennio 2008-2010, le risorse sono ripartite in pari misura tra le finalità previste. A decorrere dall'anno 2011 la ripartizione delle risorse tra le finalità di cui al comma 13 è effettuata con il medesimo decreto, tenendo conto di principi di premialità che incentivino l'efficienza, l'efficacia e la qualità nell'erogazione dei servizi, la mobilità pubblica e la tutela ambientale. All'articolo 1, comma 1032, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, la lettera d) è abrogata.


 

 

Il comma 12 dell’articolo 63 ricostituisce la dotazione finanziaria del Fondo per la promozione e il sostegno dello sviluppo del trasporto pubblico locale, soppressa dall’articolo 5 del D.L. 93/2008[369], in corso di conversione.

Come già previsto dalla originaria norma istitutiva (articolo 1, commi 304-305, della legge 244/2007, abrogati dall’articolo 5, comma 12, del D.L. n. 93/2008), nello stato di previsione del Ministero dei trasporti (ora Ministero delle infrastrutture e trasporti[370]), è istituito il Fondo in questione per le finalità di cui alle seguenti disposizioni, nel rispetto delle relative procedure e modalità:

§      articolo 1, comma 1031, della legge 296/2006[371];

La citata norma autorizza stanziamenti per l’acquisto delle seguenti categorie di veicoli adibiti al trasporto pubblico locale: veicoli ferroviari da destinare ai servizi di competenza regionale; veicoli destinati a servizi su linee metropolitane, tranviarie e filoviarie; autobus a minor impatto ambientale o ad alimentazione non convenzionale; elicotteri e idrovolanti destinati ad un servizio minimo di trasporto pubblico locale per garantire collegamenti con isole minori, interessate da fenomeni di pendolarismo.

§      articolo 9 della legge 211/1992[372].

La citata norma prevede la corresponsione di contributi in relazione ai mutui contratti, da enti locali e soggetti attuatori, per la realizzazione degli interventi contemplati dalla medesima legge in vista dello sviluppo, nelle aree urbane, dei sistemi di trasporto pubblico ed in particolare dei sistemi di trasporto rapido di massa e di tranvie veloci.

 

Il quarto e quinto periodo del comma in esame prevedono che l’individuazione degli interventi da finanziare ai sensi della sopra citata legge 211/1992 sia effettuata con decreto del Ministro delle infrastrutture e trasporti e che le relative risorse siano destinate, in misura non superiore al 20 per cento, al completamento delle opere in corso di realizzazione. Il finanziamento di nuovi interventi è subordinato all’esistenza di parcheggi di interscambio, o alla loro realizzazione, che può essere finanziata con le risorse stanziate dal comma in esame.

 

La dotazione originaria del Fondo era di:

§      113 milioni di euro per l’anno 2008,

§      130 milioni di euro per l’anno 2009,

§      110 milioni di euro per l’anno 2010.

La norma in commento conferma i sopra indicati stanziamenti e prevede un ulteriore stanziamento di 110 milioni di euro per l’anno 2011.

Per gli anni successivi i relativi stanziamenti saranno indicati in tabella D della legge finanziaria, ai sensi dell’articolo 11, comma 3, lettera f), della legge 468/1978.[373]

 

Il comma 13 demanda la ripartizione delle risorse del Fondo tra le finalità previste dal precedente comma 12 a un decreto del Ministro delle infrastrutture e trasporti, d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano; nella ripartizione delle risorse si dovrà tenere conto dei princìpi di premialità che incentivino l’efficienza, l’efficacia e la qualità nell’erogazione dei servizi, la mobilità pubblica e la tutela ambientale. Per il triennio 2008-2010 le risorse sono attribuite in misura pari tra le due finalità previste dal comma 12.

 

Il quarto periodo del comma in esame abroga la lettera d) dell’articolo 1, comma 1032, della citata legge 296/2006.

Il citato comma 1032, demandando ad un decreto del Ministro dei trasporti, d’intesa con la Conferenza Stato-regioni, il riparto, tra le regioni e le province autonome, del Fondo, di cui al comma 1031 dello stesso articolo, per l’acquisto di veicoli adibiti al trasporto pubblico locale, indica i criteri secondo i quali deve essere effettuato il riparto. In particolare la lettera d), della quale si dispone l’abrogazione, stabilisce che sia data priorità alle regioni ed alle province autonome le cui imprese si siano attenute alle previsioni di cui ai commi da 3-ter a 3-septies dell'articolo 18 del D.Lgs. n. 422 del 1997, relative al periodo transitorio nel corso del quale vi è la facoltà di mantenere tutti gli affidamenti ai concessionari ed alle società derivanti dalle trasformazioni, ma con l'obbligo di affidamento di quote di servizio o di servizi speciali mediante procedure concorsuali, previa revisione dei contratti di servizio in essere, se necessaria[374].

 

Si osserva che sarebbe opportuno specificare che il “comma 306”, che, come indicato nel terzo periodo del comma 12 in esame, ha modificato l’articolo 1, comma 1031, della legge 296/2006, è il comma 306 dell’articolo 1 della legge 244/2007 (legge finanziaria 2008).

 

 


 

Articolo 64
(Disposizioni in materia di organizzazione scolastica)


1. Ai fini di una migliore qualificazione dei servizi scolastici e di una piena valorizzazione professionale del personale docente, a decorrere dall'anno scolastico 2009/2010, sono adottati interventi e misure volti ad incrementare, gradualmente, di un punto il rapporto alunni/docente, da realizzare comunque entro l'anno scolastico 2011/2012, per un accostamento di tale rapporto ai relativi standard europei.

2. Si procede, altresì, alla revisione dei criteri e dei parametri previsti per la definizione delle dotazioni organiche del personale amministrativo, tecnico ed ausiliario (ATA), in modo da conseguire, nel triennio 2009-2011 una riduzione complessiva del 17 per cento della consistenza numerica della dotazione organica determinata per l'anno scolastico 2007/2008. Per ciascuno degli anni considerati, detto decremento non deve essere inferiore ad un terzo della riduzione complessiva da conseguire, fermo restando quanto disposto dall'articolo 2, commi 411 e 412, della legge 24 dicembre 2007, n. 244.

3. Per la realizzazione delle finalità previste dal presente articolo, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza Unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 e previo parere delle Commissioni Parlamentari competenti per materia e per le conseguenze di carattere finanziario, predispone, entro quarantacinque giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, un piano programmatico di interventi volti ad una maggiore razionalizzazione dell'utilizzo delle risorse umane e strumentali disponibili, che conferiscano una maggiore efficacia ed efficienza al sistema scolastico.

4. Per l'attuazione del piano di cui al comma 3, con uno o più regolamenti da adottare entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto ed in modo da assicurare comunque la puntuale attuazione del piano di cui al comma 3, in relazione agli interventi annuali ivi previsti, ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza unificata di cui al citato decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, anche modificando le disposizioni legislative vigenti, si provvede ad una revisione dell'attuale assetto ordinamentale, organizzativo e didattico del sistema scolastico, attenendosi ai seguenti criteri:

a. razionalizzazione ed accorpamento delle classi di concorso, per una maggiore flessibilità nell'impiego dei docenti;

b. ridefinizione dei curricoli vigenti nei diversi ordini di scuola anche attraverso la razionalizzazione dei piani di studio e dei relativi quadri orari, con particolare riferimento agli istituti tecnici e professionali;

c. revisione dei criteri vigenti in materia di formazione delle classi;

d. rimodulazione dell'attuale organizzazione didattica della scuola primaria;

e. revisione dei criteri e dei parametri vigenti per la determinazione della consistenza complessiva degli organici del personale docente ed ATA, finalizzata ad una razionalizzazione degli stessi;

f. ridefinizione dell'assetto organizzativo-didattico dei centri di istruzione per gli adulti, ivi compresi i corsi serali, previsto dalla vigente normativa.

5. I dirigenti del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, compresi i dirigenti scolastici, coinvolti nel processo di razionalizzazione di cui al presente articolo, ne assicurano la compiuta e puntuale realizzazione. Il mancato raggiungimento degli obiettivi prefissati, verificato e valutato sulla base delle vigenti disposizioni anche contrattuali, comporta l'applicazione delle misure connesse alla responsabilità dirigenziale previste dalla predetta normativa.

6. Fermo restando il disposto di cui all'articolo 2, commi 411 e 412, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, dall'attuazione dei commi 1, 2, 3, e 4 del presente articolo, devono derivare per il bilancio dello Stato economie lorde di spesa, non inferiori a 456 milioni di euro per l'anno 2009, a 1.650 milioni di euro per l'anno 2010, a 2.538 milioni di euro per l'anno 2011 e a 3.188 milioni di euro a decorrere dall'anno 2012.

7. Ferme restando le competenze istituzionali di controllo e verifica in capo al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e al Ministero dell'economia e delle finanze, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri è costituito, contestualmente all'avvio dell'azione programmatica e senza maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato, un comitato di verifica tecnico-finanziaria composto da rappresentanti del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e del Ministero dell'economia e delle finanze, con lo scopo di monitorare il processo attuativo delle disposizioni di cui al presente articolo, al fine di assicurare la compiuta realizzazione degli obiettivi finanziari ivi previsti, segnalando eventuali scostamenti per le occorrenti misure correttive. Ai componenti del Comitato non spetta alcun compenso né rimborso spese a qualsiasi titolo dovuto.

8. Al fine di garantire l'effettivo conseguimento degli obiettivi di risparmio di cui al comma 6, si applica la procedura prevista dall'articolo 1, comma 621, lettera b), della legge 27 dicembre 2006, n. 296.

9. Una quota parte delle economie di spesa di cui al comma 6 è destinata, nella misura del 30 per cento, ad incrementare le risorse contrattuali stanziate per le iniziative dirette alla valorizzazione ed allo sviluppo professionale della carriera del personale della Scuola a decorrere dall'anno 2010, con riferimento ai risparmi conseguiti per ciascun anno scolastico. Gli importi corrispondenti alle indicate economie di spesa vengono iscritti in bilancio in un apposito Fondo istituito nello stato di previsione del Ministero dell'istruzione dell'università e della ricerca, a decorrere dall'anno successivo a quello dell'effettiva realizzazione dell'economia di spesa, e saranno resi disponibili in gestione con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze di concerto con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca subordinatamente alla verifica dell'effettivo ed integrale conseguimento delle stesse rispetto ai risparmi previsti.


 

 

L’articolo individua una serie di misure volte alla riorganizzazione del servizio scolastico, con riguardo all’organico dei docenti e del personale ATA (amministrativo, tecnico, ausiliario) nonché all’assetto ordinamentale, organizzativo e didattico. La concreta indicazione e la scansione degli interventi sono demandate ad un piano programmatico, predisposto dal Governo d’intesa con la Conferenza Unificata e previo parere parlamentare, ed a successivi regolamenti di delegificazione. La disposizione quantifica, infine, le economie di spesa da conseguire per i prossimi esercizi finanziari e riserva il 30 per cento dei risparmi all’incremento delle risorse contrattuali per la valorizzazione e la carriera del personale della scuola.

 

I commi 1 e 2 dell’articolo in commento dispongono:

§      il ridimensionamento delle dotazioni organiche dei docenti, attraverso l’incremento graduale, a partire dall’anno scolastico 2009-2010, del rapporto alunni/docente nel prossimo triennio scolastico (fino al raggiungimento di un punto entro l’a.s. 2011-2012);

§      il ridimensionamento del personale ATA, attraverso la riduzione del 17% della consistenza accertata nell’anno scolastico 2007/2008, da conseguire nel triennio 2009-2011. L’ultimo periodo del comma 2 specifica che il decremento annuo deve essere pari ad un terzo della riduzione complessiva e che restano ferme le disposizioni di cui all’art 2, commi 411 e 412, della legge finanziaria 2008[375].

 

Si segnala in proposito che l’art. 2, commi 411 e 412, della legge finanziaria citata reca misure di razionalizzazione della rete scolastica, con particolare riferimento alla formazione delle classi ed alla riconversione del personale docente (comma 411). Inoltre, procede (comma 412) alla quantificazione delle economie di spesa discendenti da tali interventi nonché dall’attuazione delle misure previste dall’art. 1, commi 605-619,della legge finanziaria 2007[376].

Non appare chiaro il riferimento a tali disposizioni nell’ambito di un comma concernente le dotazioni organiche del personale ATA; presumibilmente, il periodo si riferisce al complesso delle misure disposte dai commi 1 e 2 dell’articolo in commento ed intende specificare che restano ferme le misure di razionalizzazione della rete scolastica e le economie di spesa già indicate dall’art. 2, commi 411 e 412, della legge finanziaria 2008.

In tal caso, potrebbe trattarsi di precisazione ultronea, dal momento che il comma 6 reca già conferma delle disposizioni recate dall’art. 2, commi 411-412 della legge finanziaria 2008.

 

I commi 3 e 4 indicano gli strumenti normativi finalizzati a perseguire gli obiettivi di risparmio delineati nei commi precedenti.

Si tratta in particolare di:

§      un piano programmatico - da adottare entro 45 giorni dall’entrata in vigore del decreto-legge - risultante dal concerto del Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, sentita la Conferenza Unificata e previo parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per le conseguenze di carattere finanziario;

§      uno o più regolamenti di delegificazione, da adottare ai sensi dell’art. 17, comma 2, della legge 400/1988[377] entro 12 mesi dall’adozione del Piano. Questi ultimi, anche modificando le disposizioni legislative vigenti, procederanno ad una revisione dell’assetto ordinamentale, organizzativo e didattico del sistema scolastico con riguardo a:

a)        classi di concorso del personale docente[378];

b)       curricoli dei diversi ordini di scuola, anche attraverso la revisione dei piani di studio e degli orari, con particolare riferimento agli istituti tecnici e professionali[379];

c)        criteri di formazione delle classi[380];

d)       organizzazione didattica della scuola primaria[381];

e)        parametri per la determinazione della consistenza degli organici del personale docente ed ATA;[382]

f)         assetto organizzativo-didattico dei centri di istruzione per gli adulti, ivi compresi i corsi serali[383].

Merita segnalare che la disciplina affidata ai regolamenti sopra citati è attualmente recata per lo più da Decreti ministeriali.

 

I commi 5, 7 e 8 prevedono altre misure organizzative per l’attuazione della manovra.

il comma 5 attribuisce ai dirigenti del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca ed ai dirigenti scolastici la responsabilità per la realizzazione delle nuove disposizioni, prescrivendo in caso contrario l’applicazione delle sanzioni previste dalla legge a dai contratti collettivi.

 

Si ricorda, in proposito, che l’art. 21 del D. Lgs. 165/2001[384] disciplina la responsabilità dei dirigenti delle pubbliche amministrazioni e dei dirigenti scolastici escludendo il rinnovo dell’incarico in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi o inosservanza delle direttive e prevedendo, in casi di particolare gravità, la revoca del medesimo. Ulteriori precisazioni sono contenute nei contratti collettivi.

 

Il comma 7, pur ribadendo le competenze istituzionali di controllo e verifica del Ministro dell’istruzione dell’università e della ricerca e del Ministro dell’economia e delle finanze, dispone la costituzione -tramite D.P.C.M.- di un apposito un comitato di verifica tecnico-finanziaria, composto da rappresentanti dei due Ministeri, che opereranno a titolo gratuito. Ad esso è affidato il monitoraggio del processo attuativo della manovra, segnalando eventuali scostamenti.

Il comma 8 prevede che, qualora non si conseguano le prescritte economie di spesa (vedi infra, comma 6), si applichi la clausola di salvaguardia (introdotta dall’art. 1, comma 621, lettera b), della legge finanziaria 2007), consistente nella riduzione lineare delle dotazioni di bilancio del Ministero – ad eccezione di quelle destinate alle competenze per il personale - fino alla concorrenza dei risparmi da realizzare.

 

Si ricorda, tuttavia, che la clausola sopra descritta non ha trovato applicazione per l’anno 2007 in relazione alla deroga disposta dall’art.12, comma 2, del DL 159/2007[385].

 

Il comma 6 quantifica le economie di spesa discendenti dalle misure indicate. E’ prescritto che, ferme restando le misure di razionalizzazione e le economie disposte dall’art. 2, commi 411 e 412, della legge finanziaria 2008, l’adozione delle misure di riorganizzazione del servizio scolastico determini risparmi lordi non inferiori a quelli sotto indicati.

§      Anno 2009: 456 milioni di euro

§      anno 2010 : 1.650 milioni di euro;

§      anno 2011: 2.538 milioni di euro;

§      a decorrere dall’anno 2012: 3.188 milioni di euro.

 

Tal economie si sommano, pertanto, a quelle già indicate dalla legge finanziaria 2008 (art. 2 ,comma 412), e cioè:

 

§      535 milioni di euro per l’anno 2008;

§      897 milioni di euro per l’anno 2009;

§      1.218 milioni di euro per l’anno 2010;

§      1.432 milioni a decorrere dall’anno 2011.

 

Il comma 9 riserva - a decorrere dal 2010 - il 30 per cento delle economie conseguite (come determinate dal comma 6) all’incremento delle risorse finanziarie destinate dalla contrattazione alla valorizzazione del personale della scuola (denominazione comprendente personale docente e ATA), costituendo a tal fine un apposito Fondo nello stato di previsione del Ministero.

 Le somme in questione saranno iscritte in bilancio a decorrere dall’anno successivo alla realizzazione delle economie e rese disponibili con decreto del Ministrodell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca subordinatamente alla verifica dell’effettivo ed integrale conseguimento delle stesse.

 

 


 

Articolo 65
(Forze armate)


1. In coerenza al processo di revisione organizzativa del Ministero della difesa e della politica di riallocazione e ottimizzazione delle risorse, da perseguire anche mediante l'impiego in mansioni tipicamente operative del personale utilizzato per compiti strumentali, gli oneri previsti dalla tabella A allegata alla legge 14 novembre 2000, n. 331, nonché dalla tabella C allegata alla legge 23 agosto 2004, n. 226, così come rideterminati dall'articolo 1, comma 570, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 e dall'articolo 2, comma 71, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 sono ridotti del 7 per cento per l'anno 2009 e del 40 per cento a decorrere dall'anno 2010.

2. A decorrere dall'anno 2010, i risparmi di cui al comma 1 per la parte eccedente il 7 per cento, possono essere conseguiti in alternativa anche parziale alle modalità ivi previste, mediante specifici piani di razionalizzazione predisposti dal Ministero della difesa in altri settori di spesa.

3. Dall'attuazione del comma 1 devono conseguire economie di spesa per un importo non inferiore a 304 milioni di euro a decorrere dall'anno 2010. Al fine di garantire l'effettivo conseguimento degli obiettivi di risparmio di cui al presente comma, in caso di accertamento di minori economie, si provvede a ridurre le dotazioni complessive di parte corrente dello stato di previsione del Ministero della difesa ad eccezione di quelle relative alle competenze spettanti al personale del dicastero medesimo.


 

 

Il comma 1 dell’articolo in esame stabilisce che gli oneri relativi alla professionalizzazione delle forze armate, previsti dalla tabella A allegata alla legge n. 331/2000, nonché dalla tabella C allegata alla legge n. 226/2004, così come rideterminati dalle leggi finanziarie per il 2007 e per il 2008, siano ridotti del 7 per cento per il 2009 e del 40 per cento a decorrere dall’anno 2010. Il comma specifica che la riduzione avviene in coerenza con il processo di revisione organizzativa del Ministero della difesa e della politica di riallocazione e ottimizzazione delle risorse, da perseguire anche mediante l’impiego in mansioni tipicamente operative del personale utilizzato per compiti strumentali.

 

La legge 14 novembre 2000, n. 331, recante norme per l’istituzione del servizio militare professionale, ha conferito (articolo 3, comma 1) una delega al Governo per l’adozione di un decreto legislativo diretto a disciplinare la progressiva trasformazione dello strumento militare in professionale, attraverso la sostituzione, entro sette anni dall’entrata in vigore del decreto medesimo, dei militari di leva con volontari di truppa e con personale civile del Ministero della difesa.

La tabella A, allegata alla legge, determina la misura massima degli oneri relativi agli anni dal 2003 fino al 2020, mentre l’onere a regime a decorrere dal 2020 è quantificato in un importo massimo di 1.096 miliardi di lire. È previsto, tuttavia, che qualora il tasso d’incremento degli oneri indicati nella tabella A risulti superiore al tasso di incremento del PIL indicato dal documento di programmazione economico-finanziario, le quote annue dell’onere corrispondenti alla differenza tra i due tassi di variazione siano determinate dalla legge finanziaria.

La legge 23 agosto 2004, n. 226 dispone la sospensione anticipata del servizio obbligatorio di leva e disciplina dei volontari di truppa in ferma prefissata. Il comma 2 dell’articolo 23 prevede che, a decorrere dall'anno 2007 e fino al 31 dicembre 2020 le consistenze dei volontari in ferma prefissata e in rafferma di ciascuna Forza armata sia determinata annualmente con decreto del Ministro della difesa, di concerto con i Ministri dell'economia e delle finanze e per la funzione pubblica, secondo un andamento coerente con l'evoluzione degli oneri complessivamente previsti per l'anno di riferimento dalla tabella A allegata alla legge n. 331/2000 e dalla tabella C allegata della stessa legge n. 226/2004.

Il comma 570 della legge n. 296/2006 (legge finanziaria 2007) ha ridotto gli oneri previsti dalle sopracitate tabelle, nella misura del 15%, a decorrere dall’esercizio finanziario 2007.

Per effetto di tale rideterminazione, il finanziamento iniziale previsto per l’esercizio finanziario 2007, pari a 800, 9 milioni di euro, veniva pertanto rimodulato a 680,8 milioni.

Il comma 71 dell’articolo 2, della legge n. 244/2007 (legge finanziaria 2008), ha provveduto ad incrementare gli stanziamenti destinati alla professionalizzazione delle Forze armate di un importo pari a 30 milioni di euro a decorrere dall’esercizio finanziario 2008.

Il finanziamento iniziale previsto per l’esercizio finanziario 2008, di 821,5 milioni di euro, a seguito della riduzione 2007 e dell’incremento 2008, si attesta quindi a 728,3 milioni di euro.

 

Il comma 2 prevede che, a decorrere dall’anno 2010, i risparmi di cui al precedente comma possano essere conseguiti, per la parte eccedente il 7 per cento, in alternativa anche parziale alle modalità previste dal medesimo comma, mediante specifici piani di razionalizzazione predisposti dal Ministero della difesa in altri settori di spesa.

 

Da ultimo, il comma 3 dell’articolo in esame specifica che dalle riduzioni indicate dal precedente comma 1 devono conseguire economie di spesa per un importo non inferiore a 304 milioni di euro a decorrere dall’anno 2010.

In caso di accertamento di minori economie, il medesimo comma 3 precisa, altresì, che si dovrà provvedere alla riduzione delle dotazioni complessive di parte corrente dello stato di previsione del Ministero della difesaad eccezione di quelle relative alle competenze spettanti al personale del dicastero medesimo.

 

Gli effetti sugli stanziamenti per gli esercizi finanziari 2009 e 2010, prodotti dalle disposizioni sopracitate, nonché dall’articolo in esame, vengono di seguito ricostruiti nelle seguenti tabelle:

 

Esercizio finanziario 2009(in milioni di euro)

Tabella A
legge n. 331/2000

Tabella C
legge n. 226/2004

Totale

449,83

392,90

842,73

Riduzione 15% finanziaria 2007

- 126,4

Incremento finanziaria 2008

+ 30,00

Totale 2009 a legislazione vigente

746,33

Riduzione 7% art. 65 D.L. 112/2008

- 52,24

Totale 2009

694,09

 

Esercizio finanziario 2010(in milioni di euro)

Tabella A
legge n. 331/2000

Tabella C
legge n. 226/2004

Totale

472,55

389,10

861,65

Riduzione 15% finanziaria 2007

- 129,25

Incremento finanziaria 2008

+ 30,00

Totale 2010 a legislazione vigente

762,40

Riduzione 40% art. 65 D.L. 112/2008

- 304,00

Totale 2010

458,40

 

 

 


 

Articolo 66
(Turn over)


1. Le amministrazioni di cui al presente articolo provvedono, entro il 31 dicembre 2008 a rideterminare la programmazione triennale del fabbisogno di personale in relazione alle misure di razionalizzazione, di riduzione delle dotazioni organiche e di contenimento delle assunzioni previste dal presente decreto.

2. All'articolo 1, comma 523, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 le parole «per gli anni 2008 e 2009» sono sostituite dalle parole «per l'anno 2008» e le parole «per ciascun anno» sono sostituite dalle parole «per il medesimo anno».

3. Per l'anno 2009 le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 523, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 possono procedere, previo effettivo svolgimento delle procedure di mobilità, ad assunzioni di personale a tempo indeterminato nel limite di un contingente di personale complessivamente corrispondente ad una spesa pari al 10 per cento di quella relativa alle cessazioni avvenute nell'anno precedente. In ogni caso il numero delle unità di personale da assumere non può eccedere, per ciascuna amministrazione, il 10 per cento delle unità cessate nell'anno precedente.

4. All'articolo 1, comma 526, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 le parole «per gli anni 2008 e 2009» sono sostituite dalle seguenti: «per l'anno 2008».

5. Per l'anno 2009 le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 526, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 possono procedere alla stabilizzazione di personale in possesso dei requisiti ivi richiamati nel limite di un contingente di personale complessivamente corrispondente ad una spesa pari al 10 per cento di quella relativa alle cessazioni avvenute nell'anno precedente. In ogni caso il numero delle unità di personale da stabilizzare non può eccedere, per ciascuna amministrazione, il 10 per cento delle unità cessate nell'anno precedente.

6. L'articolo 1, comma 527, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 è sostituito dal seguente: «Per l'anno 2008 le amministrazioni di cui al comma 523 possono procedere ad ulteriori assunzioni di personale a tempo indeterminato, previo effettivo svolgimento delle procedure di mobilità, nel limite di un contingente complessivo di personale corrispondente ad una spesa annua lorda pari a 75 milioni di euro a regime. A tal fine è istituito un apposito fondo nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze pari a 25 milioni di euro per l'anno 2008 ed a 75 milioni di euro a decorrere dall'anno 2009. Le autorizzazioni ad assumere sono concesse secondo le modalità di cui all'articolo 39, comma 3-ter, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni.».

7. Il comma 102 dell'articolo 3 della legge 24 dicembre 2007, n. 244, è sostituito dal seguente: «Per gli anni 2010 e 2011, le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 523 della legge 27 dicembre 2006, n. 296, possono procedere, per ciascun anno, previo effettivo svolgimento delle procedure di mobilità, ad assunzioni di personale a tempo indeterminato nel limite di un contingente di personale complessivamente corrispondente ad una spesa pari al 20 per cento di quella relativa al personale cessato nell'anno precedente. In ogni caso il numero delle unità di personale da assumere non può eccedere, per ciascun anno, il 20 per cento delle unità cessate nell'anno precedente.

8. Sono abrogati i commi 103 e 104 dell'articolo 3, della legge 24 dicembre 2007, n. 244.

9. Per l'anno 2012, le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 523 della legge 27 dicembre 2006, n. 296, possono procedere, previo effettivo svolgimento delle procedure di mobilità, ad assunzioni di personale a tempo indeterminato nel limite di un contingente di personale complessivamente corrispondente ad una spesa pari al 50 per cento di quella relativa al personale cessato nell'anno precedente. In ogni caso il numero delle unità di personale da assumere non può eccedere il 50 per cento delle unità cessate nell'anno precedente.

10. Le assunzioni di cui ai commi 3, 5, 7 e 9 sono autorizzate secondo le modalità di cui all'articolo 35, comma 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni, previa richiesta delle amministrazioni interessate, corredata da analitica dimostrazione delle cessazioni avvenute nell'anno precedente e delle conseguenti economie e dall'individuazione delle unità da assumere e dei correlati oneri, asseverata dai relativi organi di controllo.

11. I limiti di cui ai commi 3, 7 e 9 si applicano anche alle assunzioni del personale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni. Le limitazioni di cui ai commi 3, 7 e 9 non si applicano alle assunzioni di personale appartenente alle categorie protette e a quelle connesse con la professionalizzazione delle forze armate cui si applica la specifica disciplina di settore.

12. All'articolo 1, comma 103 della legge 30 dicembre 2004, n. 311, come modificato da ultimo dall'articolo 3, comma 105 della legge 24 dicembre 2007, n. 244 le parole «A decorrere dall'anno 2011» sono sostituite dalle parole «A decorrere dall'anno 2013».

13. Le disposizioni di cui al comma 7 trovano applicazione, per il triennio 2009-2011 fermi restando i limiti di cui all'articolo 1, comma 105 della legge 30 dicembre 2004, n. 311, nei confronti del personale delle università. Nei limiti previsti dal presente comma è compreso, per l'anno 2009, anche il personale oggetto di procedure di stabilizzazione in possesso degli specifici requisiti previsti dalla normativa vigente. Nei confronti delle università per l'anno 2012 si applica quanto disposto dal comma 9. Le limitazioni di cui al presente comma non si applicano alle assunzioni di personale appartenente alle categorie protette. In relazione a quanto previsto dal presente comma, l'autorizzazione legislativa di cui all'articolo 5, comma 1, lettera a) della legge n. 537 del 1993, concernente il fondo per il finanziamento ordinario delle università, è ridotta di 63,5 milioni di euro per l'anno 2009, di 190 milioni di euro per l'anno 2010, di 316 milioni di euro per l'anno 2011, di 417 milioni di euro per l'anno 2012 e di 455 milioni di euro a decorrere dall'anno 2013.

14. Per il triennio 2010-2012 gli enti di ricerca possono procedere, previo effettivo svolgimento delle procedure di mobilità, ad assunzioni di personale a tempo indeterminato nei limiti di cui all'articolo 1, comma 643 di cui alla legge 27 dicembre 2006, n. 296. In ogni caso il numero delle unità di personale da assumere in ciascuno dei predetti anni non può eccedere le unità cessate nell'anno precedente.


 

 

L’articolo in esame reca disposizioni inerenti alle assunzioni di personale e alla stabilizzazione del personale precario di pubbliche amministrazioni, volte a contenere ulteriormente il turn over presso le pubbliche amministrazioni.

Si tratta, in sostanza, delle amministrazioni richiamate dall’articolo 1, commi 523 e 526, della legge finanziaria per il 2007 (L. 296/2006), e cioè delle amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, compresi i Corpi di polizia e il Corpo nazionale dei vigili del fuoco; delle agenzie, comprese le agenzie fiscali; degli enti pubblici non economici e degli enti indicati all’articolo 70, comma 4, del D.Lgs. 165/2001[386].

Ai sensi del citato articolo 1, comma 523, le richiamate amministrazioni possono procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato nei limiti di un contingente di personale corrispondente ad una spesa complessiva pari al 20/% di quella relativa alle cessazioni avvenute nell’anno precedente.

Si consideri che la disposizione in oggetto in sostanza ha inciso, dettando limiti più restrittivi, sulla possibilità per le suddette amministrazioni di procedere ad assunzioni a tempo indeterminato per gli anni su indicati, dal momento che l’articolo 1, comma 103, della L. 311 del 2004 prevedeva che, a partire dall’anno 2008, le amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del D.Lgs. 165 del 2001 e gli enti pubblici di cui all'articolo 70, comma 4, del medesimo provvedimento potessero assumere personale a tempo indeterminato - dopo aver esperito le procedure di mobilità - entro i limiti delle cessazioni dal servizio verificatesi nell'anno precedente.

Si consideri, peraltro, che il successivo articolo 1, comma 537, della L. 296/2006 ha provveduto a novellare il comma 103 dell’articolo 1 della L. 311/2004, facendo decorrere l’applicazione della relativa disposizione dal 2010 anziché dal 2008.

Pertanto, per il combinato disposto del testo previgente dell’articolo 1, comma 523, della L. 296/2006, e dell’articolo 1, comma 103, della L. 311/2004 (così come modificato dall’articolo 1, comma 537, della L. 296/2006), le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, ivi compresi i Corpi di polizia e il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, le agenzie, ivi comprese le agenzie fiscali, gli enti pubblici non economici egli enti indicati all’articolo 70, comma 4, del D.Lgs. 165/2001 possono procedere ad assunzioni a tempo indeterminato:

-        per gli anni 2008 e 2009, nei limiti di un contingente di personale corrispondente ad una spesa complessiva pari al 20% di quella relativa alle cessazioni avvenute nell’anno precedente;

-        a partire dall’anno 2010, entro i limiti delle cessazioni dal servizio verificatesi nell'anno precedente.

Il secondo periodo dell’articolo 1, comma 523, inoltre, ha esteso le limitazioni relative alle assunzioni prevista dallo stesso comma anche alle assunzioni del personale ancora in regime di diritto pubblico di cui all’articolo 3 del D.Lgs. 165/2001.

Invece le medesime limitazioni non si applicano alle assunzioni di personale appartenente alle categorie protette e a quelle connesse con la professionalizzazione delle Forze armate di cui alla L. 331/2000, al D.Lgs. 215/2001 e alla L. 226/2004, fatto salvo quanto previsto all’articolo 25 della medesima L. 266/2004 (cfr, al riguardo la scheda relativa al comma 11).

 

Per quanto attiene agli interventi sulle assunzioni di personale, che si sostanziano in un complessivo ridimensionamento delle possibilità di assumere per le amministrazioni richiamate, si stabilisce, tra l’altro:

§      l’obbligo, per le medesime amministrazioni, di rideterminare, entro il 31 dicembre 2008 la programmazione triennale del fabbisogno di personale, introdotta dall’articolo 39, comma 1, della L. 27 dicembre 1997, n. 449 (provvedimento collegato alla manovra finanziaria per il 1998) in relazione alle misure di razionalizzazione, di riduzione delle dotazioni organiche e di contenimento delle assunzioni previste dal provvedimento in esame (comma 1);

-        L’articolo 39, comma 1, della L. 449/1997, infatti, ha posto a carico degli “organi di vertice” delle amministrazioni pubbliche un obbligo di programmazione triennale del fabbisogno di personale, tenendo conto delle assunzioni obbligatorie che le amministrazioni stesse sono tenute a operare in base alla L. 482/1968 (si ricorda che tale norma è stata successivamente abrogata dall’articolo 22 della L. 68/1999); la finalità di tale obbligo è quella di “assicurare le esigenze di funzionalità e di ottimizzare le risorse per il migliore funzionamento dei servizi compatibilmente con le disponibilità finanziarie e di bilancio”. Con l’articolo 1, comma 100, della legge finanziaria per il 2005 (L. 311/2004), è stata disposta la proroga della validità delle graduatorie per le assunzioni nella P.A., prevedendo, in particolare, per le pubbliche amministrazioni soggette alle disposizioni limitative delle assunzioni di personale, il differimento di un triennio del termine relativo alla validità delle graduatorie concorsuali. Successivamente, l’articolo 1, comma 536, della legge finanziaria per il 2007 (L. 296/2006) ha prorogato il termine di validità delle graduatorie concorsuali al 31 dicembre 2008.

§      il contenimento delle assunzioni per l’anno 2009, con possibilità, per le amministrazioni interessate, di assumere personale a tempo indeterminato nel limite di un contingente complessivamente corrispondente ad una spesa pari al 10%, e non al 20% come previsto dal richiamato articolo 1, comma 523, della legge finanziaria per il 2007, di quella relativa alle cessazioni avvenute nel 2008, (commi 2 e 3);

§      il contenimento delle assunzioni per il biennio 2010-2011, con possibilità, per le amministrazioni interessate, di assumere personale a tempo indeterminato nel limite di un contingente complessivamente corrispondente ad una spesa pari al 20%, e non pari al 60% per il 2010 e al 100% per il 2011 secondo quanto disposto dall’articolo 3, comma 102, della legge finanziaria per il 2008 (L. 244/2007) (commi 7 e 8);

§      il contenimento delle assunzioni per l’anno 2012, con una riduzione del turn over dal 100% al 50% delle cessazioni verificatesi nell’anno precedente (comma 9);

§      la limitazione, al solo anno 2008, della possibilità di autorizzare le richiamate amministrazioni pubbliche, non interessate dai processi di stabilizzazione del personale previsti dai dall’articolo 1, commi da 513 a 543, della più volte richiamata L. 296, a procedere ad ulteriori assunzioni in deroga (comma 6);

§      particolari disposizioni in merito alle assunzioni nel settore universitario e della ricerca (commi 13 e 14).

 

Per quanto attiene alla stabilizzazione del personale precario delle amministrazioni interessate, invece, l’articolo in esame prevede (commi 4 e 5) la diminuzione della possibilità di procedere, per il 2009, alla stabilizzazione del rapporto di lavoro del personale a tempo determinato in possesso di specifici requisiti[387], disponendo la possibilità di stabilizzare quest’ultimo nel limite di un contingente di personale non dirigenziale corrispondente ad una spesa pari al 10% (anziché 40%) di quella relativa alle cessazioni avvenute nell’anno precedente.

Riduzione delle assunzioni di personale

Oltre all’obbligo di rideterminazione della programmazione triennale del fabbisogno di personale da effettuare entro il 31 dicembre 2008, previsto dal comma 1, i successivi commi 2 e 3 stabiliscono, come accennato in precedenza, il contenimento delle assunzioni di personale a tempo indeterminato presso le amministrazioni richiamate in precedenza.

In particolare, il comma 2 provvede a novellare il comma 523 dell’articolo 1 della L. 296/2006, eliminando il riferimento all’anno 2009 per quanto attiene al limite di assunzioni effettuabile e complessivamente corrispondente ad una spesa pari al 20% di quella relativa alle cessazioni avvenute nell'anno precedente, mentre il comma 3, anche in relazione ai processi di semplificazione amministrativa, di razionalizzazione organizzativa e di riduzione delle dotazioni organiche, dispone contestualmente che, per lo stesso 2009, le stesse amministrazioni possano effettuare le predette assunzioni però nel limite di un contingente di personale complessivamente corrispondente ad una spesa pari al 10% di quella relativa alle cessazioni avvenute nell’anno precedente. In ogni caso, il numero delle unità di personale da assumere non può eccedere, per ciascuna amministrazione, il 10% delle unità cessate nell’anno precedente.

 

Al riguardo, la relazione tecnica allegata al provvedimento stima le complessive economie lorde derivanti dagli interventi sul turn over e sulle stabilizzazioni (vedi infra) secondo gli importi risultanti nella seguente tabella.

 

Economie risultanti da interventi su turn over e stabilizzazioni
(migliaia di euro)

 

2009

2010

2011

2012

2013

Ministeri

8.211

48.564

139.012

232.822

268.504

Agenzie

1.986

11.764

33.606

56.282

64.909

Carriera diplomatica

102

595

1.700

2.860

3.307

Carriera prefettizia

157

927

2.661

4.463

5.143

Aziende autonome (Vdf)

1.158

6.871

21.750

38.396

44.720

Corpi di polizia

6.693

39.901

131.837

237.602

277.945

Magistratura

1.260

7.460

21.320

35.715

41.190

Enti pubblici non econ.

10.210

30.287

57.943

86.464

97.560

Totale economie lorde

29.777

146.459

409.829

649.786

803.278

 

Il successivo comma 6 sostituisce interamente il testo dell’articolo 1, comma 527, della L. 296/2006, concernente l’autorizzazione alle amministrazioni richiamate di effettuare ulteriori assunzioni in deroga per fronteggiare indifferibili esigenze di servizio di particolare rilevanza.

 

Il testo previgente del richiamato comma 527 aveva autorizzato le amministrazioni pubbliche di cui al precedente comma 523, non interessate dai processi di stabilizzazione del personale previsti dai commi da 513 a543, a procedere ad ulteriori assunzioni di personale a tempo indeterminato, per gli anni 2008 e 2009, al fine di fronteggiare indifferibili esigenze di servizio di particolare rilevanza.

Il comma 527 inoltre disponeva che tali assunzioni fossero effettuabili, previo esperimento delle procedure di mobilità, nel limite di un contingente complessivo di personale corrispondente ad una spesa annua lorda pari a 25 milioni di euro per ciascun anno iniziale e a 75 milioni di euro a regime. A tal fine si istituisce un apposito Fondo con uno stanziamento pari a 25 milioni di euro per il 2008, 100 milioni di euro per il 2009 e a 150 milioni di euro per il 2010. Infine, si disponeva che le assunzioni in questione fossero autorizzate secondo le modalità di cui all’articolo 39, comma 3-ter, della L. 449/1997[388].

Il nuovo testo del comma 527 dispone solamente per il 2008 (e quindi non più anche per il 2009), di assumere personale a tempo indeterminato, previo effettivo svolgimento delle procedure di mobilità, nel limite di un contingente complessivo di personale corrispondente ad una spesa annua lorda pari a 75 milioni di euro a regime. Viene eliminato il riferimento alla condizione, per poter effettuare tali assunzioni, dell’esistenza di indifferibili esigenze di servizio di particolare rilevanza.

A tal fine, l’apposito fondo istituito nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze è finanziato per un importo pari a 25 milioni di euro per l’anno 2008 ed a 75 milioni di euro a decorrere dall’anno 2009. Si conferma, infine, l’osservanza delle modalità procedurali per le autorizzazioni ad assumere di cui all’articolo 39, comma 3-ter, della L. 449/1997.

Rispetto alla previgente formulazione del comma 527, vengono inoltre soppresse due specifiche disposizioni, che prevedevano rispettivamente

§      l’autorizzazione al CNEL, a valere sulle risorse del Fondo di cui al medesimo comma 527, a procedere all’assunzione straordinaria di complessive 15 unità di personale, di cui 3 dirigenti di seconda fascia;

§      l’autorizzazione, per gli anni 2008 e 2009, per gli uffici periferici delle amministrazioni dello Stato e degli enti previdenziali situati sul territorio della provincia autonoma di Bolzano, ad assumere il personale risultato vincitore o idoneo nell’ambito di pubblici concorsi, nel limite di spesa pari a 2 milioni di euro a valere sulle risorse del Fondo di cui al medesimo comma 527.

 

Secondo la relazione tecnica allegata, le disposizioni dei commi 6 e 8 producono economie pari a 25 milioni di euro lordi per il 2009, 100 milioni di euro lordi per il 2010 e 150 milioni di euro lordi a decorrere dal 2011.

 

Il comma 7 provvede a sostituire l’articolo 3, comma 102, della legge finanziaria per il 2008 (L. 244/2007) che recava disposizioni concernenti limitazioni alla possibilità di assumere personale a tempo indeterminato per l’anno 2010.

Il testo previgente del richiamato articolo 3, comma 102, infatti, prevedeva, per le amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 523, della legge finanziaria per il 2007, la possibilità di procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato per l’anno 2010 nei limiti di un contingente di personale corrispondente ad una spesa complessiva pari al 60% di quella relativa alle cessazioni avvenute nell’anno precedente.

Tale disposizione, in sostanza, incideva, dettando limiti più restrittivi, sulla possibilità per le suddette amministrazioni di procedere ad assunzioni a tempo indeterminato per l’anno 2010, dal momento che l’articolo 1, comma 103, della L. 311/2004 (legge finanziaria 2005), così come novellato dall’articolo 1, comma 537, della L. 296 del 2006 (legge finanziaria 2007), aveva previsto che, a partire dall’anno 2010, le amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del D.Lgs. 165 del 2001 e gli enti pubblici di cui all'articolo 70, comma 4, del medesimo decreto (in sostanza, la generalità delle pubbliche amministrazioni) potessero assumere personale a tempo indeterminato - dopo aver esperito le procedure di mobilità - entro i limiti delle cessazioni dal servizio verificatesi nell'anno precedente.

Si consideri, peraltro, che il successivo comma 105 dell’articolo 1 della L. 296 ha provveduto a novellare il comma 103 della L. 311/2004, facendo decorrere l’applicazione della relativa disposizione dal 2011 anziché dal 2010.

 

Il nuovo testo del citato articolo 3, comma 102, prevede, per gli anni 2010 e 2011, una riduzione del limite del contingente di personale che le richiamate amministrazioni possono assumere, per ciascun anno e previo effettivo svolgimento delle procedure di mobilità, complessivamente corrispondente ad una spesa pari al 20% (in luogo del 60%) di quella relativa al personale cessato nell’anno precedente. In ogni caso il numero delle unità di personale da assumere non può eccedere, per ciascun anno, il 20% delle unità cessate nell’anno precedente.

 

Il comma 8 provvede contestualmente ad abrogare i commi 103 e 104 dell’articolo 3 della predetta L. 244/2007.

Il comma 103 stabiliva che le assunzioni disciplinate dall’articolo 3, comma 102, della L. 244/2007, in precedenza citato, dovevano essere autorizzate secondo un’apposita procedura, peraltro già contemplata dal comma 536 dell’articolo 1 della legge finanziaria per il 2007, cioè secondo le procedure stabilite dall’articolo 35, comma 4, del D.Lgs. 165/2001[389], sulla base di apposita richiesta delle amministrazioni corredata dalla illustrazione analitica delle cessazioni avvenute nell’anno precedente e dei corrispondenti oneri.

Il successivo comma 104 autorizzava le medesime amministrazioni pubbliche per far fronte a indifferibili esigenze di servizio di particolare rilevanza, per l’anno 2010, a procedere ad ulteriori assunzioni nel limite di un contingente complessivo di personale corrispondente ad una spesa annua lorda pari a 75 milioni di euro a regime, istituendo a tal fine un apposito Fondo con uno stanziamento pari a 25 milioni di euro per il 2010 e a 75 milioni di euro a decorrere dall’anno 2011.

 

Per le economie derivanti dall’applicazione delle disposizioni di cui al comma 8 si rimanda a quanto affermato dalla relazione tecnica riguardo al comma 6.

 

Allo stesso tempo, il comma 9, per l’anno 2012, dà facoltà alle più volte richiamate amministrazioni di procedere, previo effettivo svolgimento delle procedure di mobilità, ad assunzioni di personale a tempo indeterminato nel limite di un contingente di personale complessivamente corrispondente ad una spesa pari al 50% di quella relativa al personale cessato nell’anno precedente. In ogni caso il numero delle unità di personale da assumere non può eccedere il 50% delle unità cessate nell’anno precedente.

Limitazione delle stabilizzazioni di personale

I commi 4 e 5 dell’articolo in esame, come accennato in precedenza, stabiliscono la riduzione della possibilità, per le medesime amministrazioni citate in precedenza, di procedere, stabilizzazione del rapporto di lavoro del personale a tempo determinato in possesso di specifici requisiti..

Per quanto attiene alle stabilizzazione del personale delle amministrazioni pubbliche considerate, il testo previgente dell’articolo 1, comma 526, aveva attribuito alle medesime pubbliche amministrazioni di cui al comma 523 la possibilità di usufruire di limiti meno rigidi per le assunzioni da effettuare negli anni 2008 e 2009 rispetto a quelli fissati dal citato comma 523.

In particolare il comma 526 dispone che tali amministrazioni, per gli anni 2008 e 2009, possano procedere alla stabilizzazione del rapporto di lavoro del personale a tempo determinato in possesso dei requisiti di cui al precedente comma 519 nel limite di un contingente di personale non dirigenziale corrispondente ad una spesa pari al 40% di quella relativa alle cessazioni avvenute nell’anno precedente.

In sostanza tali amministrazioni, ai sensi del combinato disposto dei commi 523 e 526, hanno la possibilità di procedere complessivamente a nuove assunzioni a tempo indeterminato nei limiti di una spesa pari al 60% di quella relativa alle cessazioni avvenute nell’anno precedente.

 

In particolare, il comma 4, novellando il comma 526 dell’articolo 1 della L. 296/2006, elimina il riferimento all’anno 2009, per cui solamente per il 2008 rimane salva la possibilità di procedere alle previste stabilizzazioni nel limite di un contingente di personale complessivamente corrispondente ad una spesa pari al 40% di quella relativa alle cessazioni avvenute nell’anno precedente.

Conseguentemente il comma 5 dispone che, per l’anno 2009, le stesse amministrazioni possano effettuare le predette stabilizzazioni nel limite di un contingente di personale complessivamente corrispondente ad una spesa pari al 10% (in luogo del 40%) di quella relativa alle cessazioni avvenute nell’anno precedente.

Disposizioni comuni e campo di applicazione delle limitazioni alle assunzioni

Ai sensi del comma 10, le assunzioni effettuate ai sensi dei precedenti commi 3, 5, 7 e 9 sono autorizzate secondo le modalità di cui all’articolo 35, comma 4, del D.Lgs. 165/2001 (cfr. al riguardo la scheda relativa al comma 8), previa richiesta delle amministrazioni interessate, corredata da una dimostrazione analitica delle cessazioni avvenute nell’anno precedente e delle conseguenti economie e dall’individuazione delle unità da assumere e dei correlati oneri, asseverata dai relativi organi di controllo.

 

Il limiti previsti dalle disposizioni contenute nei commi 3, 7 e 9, inoltre, ai sensi del comma 11 si applicano anche alle assunzioni del personale in regime di diritto pubblico, di cui all’articolo 3 del citato D.Lgs. 165/2001. Lo stesso comma dispone altresì che le medesime limitazioni non trovano applicazione nei confronti delle assunzioni di personale appartenente alle categorie protette e a quelle connesse con la professionalizzazione delle forze armate, cui si applica la specifica disciplina di settore.

Per quanto concerne l’assunzione obbligatoria di specifiche categorie di lavoratori, oltre alla L. 12 marzo 1999, n. 68, disciplinante l’accesso al lavoro per i soggetti disabili, che prevede l’obbligo per i datori di lavoro pubblici e privati di avere alle loro dipendenze soggetti appartenenti a specifiche categorie di disabili in determinate misure, si ricordano ulteriori disposizioni in materia di assunzioni obbligatorie: ad esempio, l’articolo 3 della L. 29 marzo 1985, n. 113, che riguarda gli obblighi dei datori di lavoro nei confronti dei centralinisti non vedenti; l’articolo 5 del D.P.R. 9 maggio 1994, n. 487[390], che prevede una riserva di posti nei concorsi pubblici per determinati soggetti; l’articolo 1, comma 2, della L. 23 novembre 1998, n. 407[391] che prevede che i soggetti vittime del terrorismo e della criminalità organizzata, nonché il coniuge e i figli superstiti, ovvero i fratelli conviventi e a carico qualora siano gli unici superstiti, dei soggetti deceduti o resi permanentemente invalidi godono del diritto al collocamento obbligatorio di cui alle vigenti disposizioni legislative, con precedenza rispetto ad ogni altra categoria e con preferenza a parità di titoli. Infine, l’articolo 39 del D.Lgs. 165/2001stabilisce che le amministrazioni pubbliche promuovono o propongono programmi di assunzione per portatori di handicap ai sensi dell'articolo 11 della richiamata L. 68/1999.

Si ricorda, infine, che la professionalizzazione delle forze armate è stata introdotta dalla L. 14 novembre 2000, n. 331[392], con il successivo D.Lgs. 8 maggio 2001, n. 215 sono invece state recate le disposizioni per disciplinare la trasformazione progressiva dello strumento militare in professionale, a norma dell'articolo 3, comma 1, della citata L. 331/2000.

 

Il comma 12, conseguentemente all’introduzione da parte dei commi precedenti di limitazioni al turn over del personale anche per gli anni 2011 e 2012, modificando il dettato dell’articolo 1, comma 103, della legge finanziaria per il 2005 (L. 311/2004), come modificato da ultimo dall’articolo 3, comma 105 della L. 244/2007, prevede che solamente a decorrere dal 2013 (e non più dal 2011) le assunzioni possano avvenire nei limiti delle cessazioni avvenute nell’anno precedente.

Assunzioni nei comparti Università e Ricerca

Infine, i commi 13 e 14 recano disposizioni specifiche sulle assunzioni nei comparti universitario e della ricerca.

 

Ai sensi del comma 13, infatti, si conferma l’applicazione delle disposizioni di cui al precedente comma 7, per il triennio 2009-2011 e fermi restando i limiti di cui all’articolo 1, comma 105 della citata L. 311/2004, nei confronti del personale delle università. In sostanza, per il triennio di riferimento si dispone un limite al turn over per ciascun anno pari al 20% delle cessazioni verificatisi l’anno precedente.

Il predetto comma 105 ha previsto che, a decorrere dall’anno 2005, che le Università adottino programmi triennali – che ai sensi dell’articolo 1, comma 1, del D.L. 7/2005 debbono essere formulati dalle università ed inviati per la valutazione al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca entro il 31 marzo 2005 - del fabbisogno di personale (docente, ricercatore e tecnico; a tempo determinato e indeterminato) tenuto conto delle risorse a tal fine stanziate nei rispettivi bilanci; per tale profilo viene esteso alle università il sistema di programmazione già applicato nelle amministrazioni statali.

Lo stesso comma ha altresì stabilito che i programmi adottati dalle Università siano valutati dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, ai fini della coerenza con le risorse stanziate nel fondo di finanziamento ordinario delle università (FFO)[393]; viene inoltre espressamente ribadito che la spesa per il personale di ciascun ateneo non deve superare il limite del 90% della quota del Fondo, secondo quanto già disposto dalla normativa vigente[394].

 

Lo stesso comma dispone altresì che:

§      nei limiti previsti sia compreso, per l’anno 2009, anche il personale oggetto di procedure di stabilizzazione in possesso degli specifici requisiti previsti dalla normativa vigente;

§      nei confronti delle università per l’anno 2012 si applichino le disposizioni di cui al comma 9, prevedendo una riduzione del turn over dal 100% al 50% delle cessazioni avvenute nel 2011;

§      le limitazioni indicate non si applichino alle assunzioni di personale appartenente alle categorie protette;

§      il fondo per il finanziamento ordinario delle università, di cui all’art. 5, comma 1, lettera a), della L. 537/1993, venga ridotto di 63,5 milioni di euro per l’anno 2009, di 190 milioni di euro per l’anno 2010 di 316 milioni di euro per l’anno 2011 di 417 milioni di euro per l’anno 2012 e di 455 milioni di euro a decorrere dall’anno 2013.

 

Secondo quanto riportato nella relazione tecnica allegata, le economie lorde conseguenti alle disposizioni del comma 13 possono essere stimate secondo i seguenti importi:

(valori in migliaia di euro)

Economie per interventi comparto Università

 

2009

2010

2011

2012

2013

Totale economie

63.582

190.747

316.622

417.077

455.240

 

Infine, il comma 14 prevede la facoltà, relativamente al triennio 2010-2012, per gli enti di ricerca, di procedere, previo effettivo svolgimento delle procedure di mobilità, ad assunzioni di personale a tempo indeterminato entro i limiti individuati dall’articolo 1, comma 643, della L. 296/2006. In ogni caso il numero delle unità di personale da assumere in ciascuno dei predetti anni non può eccedere le unità cessate nell’anno precedente.

Si ricorda che il citato comma 643 ha autorizzato gli enti di ricerca pubblici, per gli anni 2008 e 2009, a procedere ad assunzioni di personale con rapporto a tempo indeterminato entro il limite dell’80% delle proprie entrate correnti complessive, purché nei limiti delle risorse relative alle cessazioni di rapporti a tempo indeterminato verificatesi nell’anno precedente.

Con riferimento al personale degli enti di ricerca, si ricorda che il reclutamento dei ricercatori degli enti pubblici di ricerca è regolato sulla base delle norme concernenti il pubblico impiego[395]. Nel rispetto delle norme generali e dei singoli decreti di organizzazione degli enti[396], ciascun ente definisce la programmazione pluriennale del fabbisogno del personale e le singole procedure di reclutamento sulla base dei propri regolamenti interni, generalmente nell’ambito di un piano triennale di attività, formulato e rivisto annualmente sulla base del programma nazionale per la ricerca di cui all'articolo 1, comma 2, del D.Lgs. 204/1998[397].

 

Secondo la relazione tecnica allegata, complessivamente l’articolo in esame comporta economie nei termini riportati nella seguente tabella:

 

(valori in migliaia di euro)

Disposizioni

Economie 2009

Economie 2010

Economie 2011

Economie 2012

Economie 2013

Interventi su turn over e stabilizzazioni

29.777

146.459

409.829

694.786

803.278

Interventi su Università

63.582

190.747

316.622

417.077

455.240

Interventi su fondo assunzioni in deroga

25.000

100.000

150.000

150.000

150.000

Totale economie lorde

118.359

437.206

876.451

1.261.863

1.408.518

 


 

Articolo 67
(Norme in materia di contrattazione integrativa e di controllo dei contratti nazionali ed integrativi)


1. Le risorse determinate, per l'anno 2007, ai sensi dell'articolo 12, del decreto-legge 28 marzo 1997, n. 79 e successive modificazioni, sono ridotte del 10% ed un importo pari a 20 milioni di euro è destinato al fondo di assistenza per i finanzieri di cui alla legge 20 ottobre 1960, n. 1265.

2. Per l'anno 2009, nelle more di un generale riordino della materia concer­nente la disciplina del trattamento economico accessorio, ai sensi dell'articolo 45 del decreto legislativo n. 165 del 2001, rivolta a definire una più stretta correlazione di tali trattamenti alle maggiori prestazioni lavorative e allo svolgimento di attività di rilevanza istituzionale che richiedono particolare impegno e responsabilità, tutte le disposizioni speciali, di cui all'allegato B, che prevedono risorse aggiuntive a favore dei fondi per il finanziamento della contrattazione integrativa delle Amministrazioni statali, sono disapplicate.

3. A decorrere dall'anno 2010 le risorse previste dalle disposizioni di cui all'allegato 1, che vanno a confluire nei fondi per il finanziamento della contrattazione integra­tiva delle Amministrazioni statali, sono ridotte del 20% e sono utilizzate sulla base di nuovi criteri e modalità di cui al comma 2 che tengano conto dell'apporto individuale degli uffici e dell'effettiva applicazione ai processi di realizzazione degli obiettivi istituzionali indicati dalle predette leggi.

4. I commi 2 e 3, trovano applicazione nei confronti di ulteriori disposizioni speciali che prevedono risorse aggiuntive a favore dei Fondi per il finanziamento della contrattazione integrativa delle ammini­strazioni di cui all'articolo 1, comma 189, della legge 23 dicembre 2005, n. 266.

5. Per le medesime finalità di cui al comma 1, va ridotta la consistenza dei Fondi per il finanziamento della contrat­tazione integrativa delle Amministrazioni di cui al comma 189 dell'articolo 1, della legge 266 del 2005. Conseguentemente il comma 189, dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 2005 n, 266 è così sostituito: «189. A decorrere dall'anno 2009, l'ammontare complessivo dei fondi per il finanziamento della contrattazione integrativa delle amministrazioni dello Stato, delle agenzie, incluse le Agenzie fiscali di cui agli articoli 62, 63 e 64 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, e successive modificazioni, degli enti pubblici non economici, inclusi gli enti di ricerca e quelli pubblici indicati all'articolo 70, comma 4, del medesimo decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e delle università, determinato ai sensi delle rispettive normative contrattuali, non può eccedere quello previsto per l'anno 2004 come certificato dagli organi di controllo di cui all'articolo 48, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e, ove previsto, all'articolo 39, comma 3-ter, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni ridotto del 10 per cento.».

6. Le somme provenienti dalle riduzioni di spesa di cui al presente articolo sono versate annualmente dagli Enti e dalle amministrazioni dotati di autonomia finanziaria entro il mese di ottobre all'entrata del bilancio dello Stato con imputazione al capo X, capitolo 2368.

7. All'articolo 47 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 sono apportate le seguenti modificazioni:

a) il comma 6 è sostituito dal seguente: «6. In caso di certificazione non positiva della Corte dei Conti le parti contraenti non possono procedere alla sottoscrizione definitiva dell'ipotesi di accordo. Il Presidente dell'Aran, sentito il Comitato di settore ed il Presidente del Consiglio dei Ministri, provvede alla riapertura delle trattative ed alla sottoscrizione di una nuova ipotesi di accordo adeguando i costi contrattuali ai fini della certificazione. In seguito alla sottoscrizione della nuova ipotesi si riapre la procedura di certificazione prevista dai commi precedenti. Nel caso in cui la certificazione non positiva sia limitata a singole clausole contrattuali l'ipotesi può essere sottoscritta definitivamente ferma restando l'inefficacia delle clausole contrattuali non positiva­mente certificate.»;

b) il comma 7 è sostituito dal seguente: «7. L'ipotesi di accordo è trasmessa dall'Aran, corredata dalla prescritta relazione tecnica, al comitato di settore ed al Presidente del Consiglio dei Ministri entro 7 giorni dalla data di sottoscrizione. Il parere del Comitato di settore e del Consiglio dei Ministri si intende reso favorevolmente trascorsi quindici giorni dalla data di trasmissione della relazione tecnica da parte dell'Aran. La procedura di certificazione dei contratti collettivi deve concludersi entro quaranta giorni dalla sottoscrizione dell'ipotesi di accordo decorsi i quali i contratti sono efficaci, fermo restando che, ai fini dell'esame dell'ipotesi di accordo da parte del Consiglio dei Ministri, il predetto termine può essere sospeso una sola volta e per non più di quindici giorni, per motivate esigenze istruttorie dei comitati di settore o del Presidente del Consiglio dei Ministri. L'ARAN provvede a fornire i chiarimenti richiesti entro i successivi sette giorni. La deliberazione del Consiglio dei Ministri deve essere comunque essere adottata entro otto giorni dalla ricezione dei chiarimenti richiesti, o dalla scadenza del termine assegnato all'Aran, fatta salva l'autonomia negoziale delle parti in ordine ad un'eventuale modifica delle clausole contrattuali. In ogni caso i contratti per i quali non si sia conclusa la procedura di certificazione divengono efficaci trascorso il cinquantacinquesimo giorno dalla sottoscrizione dell'ipotesi di accordo. Resta escluso comunque dall'applicazione del presente articolo ogni onere aggiuntivo a carico del bilancio dello Stato anche nell'ipotesi in cui i comitati di settore delle amministrazioni di cui all'articolo 41, comma 3, non si esprimano entro il termine di cui al comma 3 del presente articolo;

c) dopo il comma 7 è inserito il seguente comma: «7-bis. Tutti i termini indicati dal presente articolo si intendono riferiti a giornate lavorative».

8. In attuazione dei principi di responsabilizzazione e di efficienza della pubblica amministrazione, le ammini­strazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni, hanno l'obbligo di trasmettere alla Corte dei Conti, tramite il Ministero Economia e Finanze-Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, entro il 31 maggio di ogni anno, specifiche informazioni sulla contrattazione integrativa, certificate dagli organi di controllo interno.

9. A tal fine, d'intesa con la Corte dei conti e la Presidenza del Consiglio dei Ministri-Dipartimento della Funzione Pubblica, il Ministero Economia e Finanze-Dipartimento della ragioneria generale dello Stato integra le informazioni annualmente richieste con il modello di cui all'articolo 40-bis, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, predisponendo un'apposita scheda con le ulteriori informazioni di interesse della Corte dei Conti volte tra l'altro ad accertare, oltre il rispetto dei vincoli finanziari previsti dalla vigente normativa in ordine alla consistenza delle risorse assegnate ai fondi per la contrattazione integrativa ed all'evoluzione della consistenza dei fondi e della spesa derivante dai contratti integrativi applicati, anche la concreta definizione ed applicazione di criteri improntati alla premialità, al riconoscimento del merito ed alla valorizzazione dell'impegno e della qualità della prestazione individuale, con riguardo ai diversi istituti finanziati dalla contrattazione integrativa, nonché a parametri di selettività, con particolare riferimento alle progressioni economiche.

10. La Corte dei Conti utilizza tali informazioni, unitamente a quelle trasmesse ai sensi del titolo V del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai fini del referto sul costo del lavoro e propone, in caso di esorbitanza delle spese dai limiti imposti dai vincoli di finanza pubblica e dagli indirizzi generali assunti in materia in sede di contrattazione collettiva nazionale, interventi correttivi a livello di comparto o di singolo ente. Fatte salve le ipotesi di responsabilità previste dalla normativa vigente, in caso di accertato superamento di tali vincoli le corrispondenti clausole contrattuali sono immediatamente sospese ed è fatto obbligo di recupero nell'ambito della sessione negoziale successiva.

11. Le amministrazioni hanno l'obbligo di pubblicare in modo permanente sul proprio sito web, con modalità che garantiscano la piena visibilità e accessibilità delle informazioni ai cittadini, la documentazione trasmessa annual­mente all'organo di controllo in materia di contrattazione integrativa.

12. In caso di mancato adempimento delle prescrizioni del presente articolo, oltre alle sanzioni previste dall'articolo 60, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, è fatto divieto alle amministrazioni di procedere a qualsiasi adeguamento delle risorse destinate alla contrattazione integrativa. Il collegio dei revisori di ciascuna amministrazione, o in sua assenza, l'organo di controllo interno equivalente vigila sulla corretta applicazione delle disposizioni del presente articolo.


 

 

L’articolo in esame reca disposizioni in materia di contrattazione integrativa.

 

In particolare, il comma 1 dispone che le risorse determinate, per il 2007, ai sensi dell’art. 12 del D.L. 79/1997 sono ridotte del 10% ed un importo pari a 20 milioni di euro viene destinato al fondo di assistenza per i finanzieri di cui alla L. 1265/1960.

Si ricorda che l’art. 12 del D.L. 79/1997 reca disposizioni per il potenziamento dell’attività di contrasto dell'evasione fiscale e dell’attività di controllo dell’andamento della finanza pubblica tramite l’attribuzione di appositi incentivi economici al personale in servizio presso gli uffici adibiti alle medesime attività subordinatamente al conseguimento dei definiti obiettivi di produttività.

In particolare si prevede che con apposito decreto il Ministro dell’economia e delle finanze determina l’entità delle misure percentuali da applicare a specifiche entrate e risparmi di spesa e che le somme da ciò derivanti affluiscono ad appositi fondi volti all’incentivazione del personale dell’amministrazione economica e finanziaria addetti alle attività su indicate.

Viene inoltre precisato che il menzionato decreto determina per gli anni 2004 e 2005 le misure percentuali delle risorse che affluiscono ai predetti fondi in modo da assicurare la neutralità finanziaria rispetto al previgente sistema e che, a decorrere dall’anno 2006, le stesse misure percentuali sono determinate annualmente in modo da destinare alle medesime finalità un livello di risorse non superiore a quello assegnato per il 2004, ridotto del 10%.

La L. 1265/1960 ha istituito il Fondo di assistenza per i finanzieri, con lo scopo di provvedere: all'assistenza degli orfani dei militari della guardia di finanza di qualsiasi grado, in servizio e in congedo, nonché dei militari stessi e dei loro familiari superstiti in caso di bisogno; al conferimento, mediante concorso, di borse di studio ai figli dei militari anzidetti; all'assicurazione del personale della guardia di finanza destinato a servizi particolarmente rischiosi, quando tale onere non sia a carico dello Stato; alla concessione di sussidi straordinari ai militari del Corpo, alle loro vedove, ai loro orfani ed eccezionalmente ad altri loro parenti superstiti, in caso di infortunio, di malattia, di indigenza o di altro particolare stato di necessità; alla concessione di indennità di buonuscita ai militari che cessano definitivamente dal servizio nel Corpo; alla concessione di contributi ad enti morali che svolgano attività intesa a sviluppare la personalità dei militari del Corpo, nonché alle sale di convegno e ai circoli costituiti presso comandi e reparti del Corpo.

 

Il comma 2 dispone che per il 2009, in attesa di un generale riordino della disciplina relativa al trattamento economico accessorio del personale delle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 45 del D.Lgs. 165/2001, rivolta a definire una più stretta correlazione dei medesimi trattamenti alle prestazioni lavorative aggiuntive e allo svolgimento di attività di rilevanza istituzionale che richiedono particolare impegno e responsabilità, sono disapplicate tutte le disposizioni elencate nell’allegato B, che stanziano risorse aggiuntive a favore dei fondi per il finanziamento della contrattazione integrativa delle amministrazioni statali.

 

Si consideri che l’allegato B fa riferimento alle seguenti disposizioni:

§      art. 3, commi 143 e 165, della L. 350/2003.

Il comma 143 destina una somma pari a 5 milioni di euro annui all'incentivazione della produttività del personale delle aree professionali in servizio presso il Ministero dell’economia e delle finanze.

Il comma 165 invece ha introdotto modifiche ai commi 1 e 2 dell’art. 12 della L. 79/1997, recante disposizioni per il potenziamento dell'amministrazione finanziaria e delle attività di contrasto dell'evasione fiscale (cfr. supra).

§      art. 18 della L. 88/1989.

Tale articolo dispone che, in relazione ad impegni derivanti dall'attuazione di disposizioni legislative sull'erogazione delle prestazioni e sulla riscossione ed accreditamento dei contributi ovvero per particolari esigenze organizzative connesse a tali settori, l’INPS elabora progetti a termine finalizzati a tali scopi da realizzare anche attraverso la selezione ed assunzione di personale, su base regionale, mediante contratti di formazione e lavoro e contratti a tempo determinato. Inoltre si prevede che con la contrattazione articolata del medesimo ente sono stabiliti i criteri per la corresponsione, al personale e ai dirigenti che partecipano alla elaborazione e realizzazione dei progetti su indicati, di compensi incentivanti la produttività.

§      ultimo periodo dell’art. 79, comma 2, della L. 448/1998.

Tale disposizione prevede che, al fine di intensificare l'azione di controllo contro il fenomeno del lavoro non regolare, il 5% dell'importo proveniente dalla riscossione delle sanzioni penali e amministrative comminate dai servizi ispettivi delle Direzioni provinciali del lavoro per le violazioni delle leggi sul lavoro è destinato all'incremento del Fondo unico di amministrazione, di cui al contratto collettivo integrativo di lavoro relativo al personale del Ministero del lavoro, per l'incentivazione dell'attività ispettiva di controllo sulle condizioni di lavoro nelle aziende.

 

 

§       art. 2, comma 1-quater, del D.L. 272/2005.

Tale disposizione prevede che sono fatti salvi gli effetti derivanti dall’applicazione, a decorrere dall’anno 2006, dell’art. 1-quinquies, comma 3, del D.L. 45/2005, che incrementa di 4 milioni di euro il fondo unico di amministrazione per il miglioramento dell'efficacia e dell'efficienza dei servizi istituzionali relativo al personale dell'amministrazione civile dell'interno appartenente al comparto Ministeri, nonché dall’art. 13-ter del D.L. 115/2005, che incrementa di ulteriori 3 milioni di euro il medesimo fondo unico di amministrazione.

§      art. 8, comma 3, della L. 88/2001.

Tale disposizione, per garantire con carattere di stabilità il corretto espletamento delle ampliate funzioni di vigilanza, programmazione e controllo ministeriale (Ministero dei trasporti) in connessione alla riorganizzazione dei settori della navigazione marittima ed aerea, nonché lo svolgimento delle funzioni operative connesse a provvedimenti a favore del settore portuale e dell'armamento, provvede ad integrare di 4,8 miliardi di lire il fondo unico di amministrazione.

§      art. 1, commi 236 e 406, della L. 266/2005.

Il comma 236 ha posto a regime la previsione di cui all’art. 4-bis, comma 2, della L. 266/2005 (in origine limitata al solo anno 2005), che autorizza la spesa di 3 milioni di euro da destinare, attraverso la contrattazione collettiva nazionale integrativa, all'incentivazione della produttività del personale delle aree funzionali in servizio presso il Ministero degli affari esteri.

Il comma 406 provvede ad incrementare di 1,55 milioni di euro a partire dall'anno 2006 le risorse destinate al miglioramento dell'efficacia e dell'efficienza dei servizi istituzionali del Ministero delle politiche agricole e forestali, ivi compresi quelli inerenti l'attività dell'Ispettorato centrale repressione frodi.

§      art. 39 – vicies semel, comma 42, del D.L. 273/2005.

Tale disposizione ha posto a regime la previsione di cui all’art. 4-bis, comma 1, della L. 266/2005 (in origine limitata al solo anno 2005), che autorizzala spesa di 5 milioni di euro da destinare, attraverso la contrattazione collettiva nazionale integrativa, all'incentivazione della produttività del personaleappartenente alle aree professionali in servizio presso il Ministero della difesa.

§      art. 7, comma 1, della L. 362/1999.

Tale disposizione prevede che in relazione all'accresciuta complessità dei compiti assegnati al Ministero della sanità in materia di vigilanza, ispezione e controllo, di prevenzione, di sicurezza e di profilassi, e allo scopo anche di armonizzare i trattamenti economici di tutti i dipendenti non appartenenti al ruolo sanitario di livello dirigenziale, sono destinate alle sperimentazioni e relative contrattazioni collettive riguardanti il predetto personale, oltre alle economie di gestione, anche quote delle tariffe e dei diritti spettanti al Ministero della sanità, all'Istituto superiore di sanità e all'Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro, per prestazioni rese a richiesta e ad utilità di soggetti interessati, con conseguente riduzione degli interventi ivi previsti.

§      lettera b) dell’art. 263, comma 1, del D.P.R. 495/1992.

Tale disposizione stabilisce che i proventi della maggiorazione del costo di produzione delle targhe e dei contrassegni per ciclomotore vengono utilizzati in misura non eccedente il 5% per compensi al personale effettivamente addetto a ricerche sperimentali - ivi comprese le ricerche sui singoli dispositivi e componenti del veicolo, anche nei riflessi verso l'ambiente nonché in relazione al conducente ed alle persone trasportate - anche in relazione alla eventuale articolazione in turni delle relative sperimentazioni.

§      le parole da “e del 50 per cento” fino alla fine del comma 5 dell’art. 24 della L. 234/1989.

Il menzionato comma 5 prevede che l'ammontare complessivo delle somme di cui al precedente comma 4 (fondi da costituirsi mediante ritenute del 2 per mille sulle somme pagate per i contributi concessi alle imprese del settore navalmeccanico ed amatoriale) è assegnato in ragione del 35 per cento al Registro italiano navale, del 10 per cento all'Istituto nazionale per studi ed esperienze di architettura navale - Vasca navale - e del 50 per cento al fine di incentivare la produttività del personale civile, compreso quello con qualifica dirigenziale, del Ministero dei trasporti e della navigazione, settore navigazione.

§      art. 5, comma 2, della L. 93/2001.

Tale disposizione, in relazione all'incremento ed alla accresciuta complessità dei compiti assegnati al Ministero dell'ambiente e allo scopo di armonizzare i trattamenti economici di tutti i dipendenti non appartenenti al ruolo dirigenziale, provvede a destinare alle sperimentazioni e relative contrattazioni collettive risorse pari a 1 miliardo di lire a decorrere dal 2001.

§      art. 1 della L. 179/2002.

Tale disposizione incrementa di 630.000 euro annui a decorrere dall'anno 2002 l'autorizzazione di spesa di cui al menzionato articolo 5, comma 2, della L. 93/2001 (cfr. supra).

§      art. 6, comma 2, del D.Lgs. 366/2003.

Tale disposizione prevede che una somma non superiore al 30% delle entrate provenienti dalla riscossione dei compensi per prestazioni non rientranti tra i servizi pubblici essenziali o non espletate a garanzia di diritti fondamentali rese dal Ministero delle comunicazioni per conto terzi, certificate con decreto del Ministro delle comunicazioni, è destinata, d'intesa con le organizzazioni sindacali, all'incentivazione della produttività del personale in servizio presso il predetto Ministero, ai sensi della vigente normativa.

§      art. 1, commi 550, 551, 553 e 567 della L. 296/2006.

Il comma 550 provvede ad incrementare il Fondo unico di amministrazione per il miglioramento dell'efficacia e dell'efficienza dei servizi istituzionali del Ministero dell'interno, a decorrere dal 2007, di 6 milioni di euro.

Il comma 551, allo scopo del miglioramento dell'efficacia e dell'efficienza delle funzioni di competenza statale in campo infrastrutturale, autorizza, a decorrere dal 2007, la spesa di 6 milioni di euro da destinare, con criteri fissati in sede di contrattazione integrativa, al personale applicato alle attività di programmazione, indirizzo, vigilanza tecnica ed operativa e controllo su ANAS S.p.A. e sui concessionari autostradali.

Il comma 553 stanzia, a decorrere dall'anno 2007, la somma di 7 milioni di euro annui da destinare ai dipendenti del Ministero della pubblica istruzione.

Infine il comma 567 autorizza, a decorrere dal 2007, la spesa di 6 milioni di euro da destinare, attraverso la contrattazione collettiva nazionale integrativa, all'incentivazione della produttività del personale delle aree funzionali in servizio presso il Ministero degli affari esteri in relazione all'incremento dei compiti ad esso assegnati e connessi al supporto delle missioni umanitarie, di stabilizzazione e di ricostruzione in atto.

§      art. 4, comma 11, del D.L. 8/2008.

Tale disposizione, in relazione alle prioritarie e urgenti esigenze connesse all'intensificarsi delle attività di supporto alle Forze armate impiegate nelle missioni internazionali e ai conseguenti maggiori carichi di lavoro derivanti dall'accresciuta complessità delle funzioni assegnate al personale contrattualizzato appartenente alle aree funzionali in servizio presso il Ministero della difesa, provvede ad autorizzare, a decorrere dall'anno 2008, la spesa di 10 milioni di euro da destinare, attraverso la contrattazione collettiva nazionale integrativa, all'incentivazione della produttività del medesimo personale.

§      art. 3, comma 148, della L. 244/2007.

Tale disposizione, per fare fronte alla notevole complessità dei compiti del personale dell’Amministrazione civile dell’interno derivanti, in via prioritaria, dalle norme in materia di depenalizzazione e di immigrazione, incrementa di 5 milioni di euro a decorrere dal 2008 il Fondo unico di amministrazione per il miglioramento dell’efficacia e dell’efficienza dei servizi istituzionali.

 

Il comma 3 stabilisce che, a decorrere dal 2010, le risorse previste dalle disposizioni di cui all’ “allegato 1” (rectius: allegato B), che confluiscono nei fondi per il finanziamento della contrattazione integrativa delle amministrazioni statali, sono ridotte del 20% e devono essere utilizzate sulla base di nuovi criteri e modalità secondo quanto previsto dal comma 2, che tengano conto del contributo individuale degli uffici e dell’effettiva applicazione ai processi di realizzazione degli obiettivi istituzionali indicati dalle predette disposizioni.

 

Il comma 4 precisa che le disposizioni di cui ai commi 2 e 3 si applicano a ulteriori disposizioni speciali che stanziano risorse aggiuntive a favore dei Fondi per il finanziamento della contrattazione integrativa delle amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 189, della L. 266/2005 (legge finanziaria 2006).

L’art. 1, comma 189, della L. 266/2005 prevede, a decorrere dal 2006, un limite all’ammontare complessivo dei fondi per il finanziamento della contrattazione integrativa delle amministrazioni dello Stato, delle agenzie, incluse le agenzie fiscali, degli enti pubblici non economici, inclusi gli enti di ricerca e gli enti di cui all’articolo 70, comma 4, del D.Lgs. 165 del 2001, e delle università.

Tali fondi potranno avere un importo massimo pari a quello previsto per l’anno 2004, come certificato dagli organi di controllo di cui all’articolo 48, comma 6, del richiamato D.Lgs. 165 del 2001 e, se previsti, all’articolo 39, comma 3-ter, della L. 449 del 1997 (provvedimento collegato alla manovra finanziaria per il 1998).

 

Il comma 5 dispone inoltre che, per le stesse finalità di cui al comma 1, deve essere ridotta la dotazione dei Fondi per il finanziamento della contrattazione integrativa delle amministrazioni di cui al menzionato comma 189 dell’art. 1 della L. 266/2005.

Conseguentemente si provvede a sostituire il testo del medesimo comma 189, prevedendosi che, a decorrere dal 2009, l’ammontare complessivo dei fondi per il finanziamento della contrattazione integrativa delle amministrazioni dello Stato, delle agenzie, incluse le agenzie fiscali, degli enti pubblici non economici, inclusi gli enti di ricerca e gli enti di cui all’articolo 70, comma 4, del D.Lgs. 165 del 2001, e delle università, non può superare quello previsto per il 2004,come certificato dagli organi di controllo di cui all’articolo 48, comma 6, del richiamato D.Lgs. 165 del 2001 e, se previsti, all’articolo 39, comma 3-ter, della L. 449 del 1997 (provvedimento collegato alla manovra finanziaria per il 1998), ridotto del 10%.

 

Ai sensi del comma 6, le somme derivanti dalle riduzioni di spesa di cui all’articolo in esame sono versate, dagli enti e dalle amministrazioni dotati di autonomia finanziaria, entro il mese di ottobre di ogni anno, all’entrata del bilancio dello Stato con imputazione al capo X, capitolo 2368.

 

Il comma 7 apporta alcune modifiche all’articolo 47 del D.Lgs. 165/2001, recante il procedimento di contrattazione collettiva per le amministrazioni pubbliche.

 

In primo luogo, si sostituisce interamente il comma 6 (lettera a)), concernente la certificazione negativa da parte della Corte dei conti sulla verifica dei costi quantificati dall’ARAN e sulla loro compatibilità finanziaria con gli strumenti di programmazione e bilancio.

L’elemento più rilevante della privatizzazione del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici consiste nella previsione della fonte contrattuale, sia collettiva sia individuale, come strumento diretto per la regolamentazione del rapporto di lavoro (art. 2, comma 3 del D.Lgs. 165/2001).

La contrattazione collettiva, espressamente disciplinata dal titolo III del D.Lgs. 165/2001, si svolge su tutte le materie relative al rapporto di lavoro ed alle relazioni sindacali (art. 40, comma 1, del D.Lgs. 165/2001). Ad essa spetta la competenza di disciplinare, in coerenza con il settore privato, la durata dei contratti collettivi nazionali ed integrativi, la struttura contrattuale e i rapporti tra i diversi livelli .

Nella procedura per la stipulazione dei contratti collettivi di lavoro dei dipendenti pubblici, la pubblica amministrazione è rappresentata dall’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN), come controparte dei sindacati rappresentativi dei dipendenti pubblici.

Il procedimento di contrattazione collettiva è disciplinato dal citato articolo 47 del D.Lgs. 165/2001.

L’ARAN, in qualità di rappresentante della pubblica amministrazione, procede alla definizione dei contratti collettivi sulla base degli indirizzi deliberati dai comitati di settore prima di ogni rinnovo contrattuale e negli altri casi in cui è richiesta una attività negoziale dell’ARAN. Per le amministrazioni diverse dallo Stato, gli atti di indirizzo sono sottoposti al Governo che può esprimere le sue valutazioni per quanto attiene agli aspetti riguardanti la loro compatibilità finanziaria con le linee di politica economica nazionale. L’ARAN tiene informati costantemente i comitati di settore e il Governo sullo svolgimento delle trattative; una volta raggiunta l’ipotesi di accordo, l’ARAN acquisisce il parere favorevole del Comitato di settore (o, per le amministrazioni, le agenzie e le aziende autonome dello Stato, del Ministro per la funzione pubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri) sul testo dell’accordo e sugli oneri finanziari che ne conseguono a carico dei bilanci delle amministrazioni interessate.

Acquisito il parere favorevole, l’ipotesi di accordo (con la quantificazione dei relativi costi contrattuali) viene quindi trasmessa alla Corte dei conti per la valutazione dei costi contrattuali e la verifica dell’attendibilità della loro quantificazione e della compatibilità con gli strumenti di programmazione e di bilancio. Si ricorda, infatti, che l’articolo 47, comma 4, del richiamato D.Lgs. 165 ha riconosciuto alla Corte dei conti un “potere” di certificazione del contratto collettivo, che ha sostituito il controllo preventivo di legittimità. Qualora la verifica da parte della Corte dei Conti dia esito positivo, l’ARAN sottoscrive definitivamente il contratto.

Più specificamente, il successivo comma 6 ha stabilito che, nel caso in cui la Corte dei conti certifichi negativamente il contratto, l’ARAN, sentito il comitato di settore o il Presidente del Consiglio dei Ministri, possa assumere le iniziative necessarie per adeguare la quantificazione dei costi, nel caso in cui siano stati sottostimati gli oneri contrattuali ma comunque ci sia compatibilità con gli strumenti di programmazione economica e finanziaria. Nel caso in cui non sussista quest’ultima, invece, lo stesso Ente può procedere solamente ad una revisione del contratto collettivo, riconvocando le organizzazioni sindacali.

In ogni caso, in entrambe le ipotesi, la certificazione negativa impedisce all’ARAN di sottoscrivere il contratto

 

Rispetto al testo previgente, il nuovo testo del comma 6:

§      stabilisce la riapertura delle trattative in tutti i casi di certificazione non positiva, non distinguendo più le distinte azioni, in precedenza richiamate, esperite sulla base delle diverse cause della mancata certificazione. Inoltre, in seguito alla sottoscrizione della nuova ipotesi contrattuale si riapre la procedura di certificazione prevista dai commi precedenti;

§      dispone che spetti al presidente dell’ARAN, sentito sia il Comitato di settore sia il Presidente del Consiglio dei Ministri, di provvedere alla riapertura delle trattative ed alla sottoscrizione di una nuova ipotesi di accordo, adeguando contestualmente i costi contrattuali ai fini delle certificazione;

§      prevede, nel caso in cui la certificazione non positiva sia limitata a singole clausole contrattuali, la possibilità di sottoscrivere l’ipotesi contrattuale definitivamente, ferma restando l’inefficacia delle clausole contrattuali non positivamente certificate.

 

Inoltre, si sostituisce interamente il comma 7 del richiamato articolo 47, concernente i termini di effettuazione della richiamata certificazione (lettera b)).

Il richiamato comma 7, così come modificato dall’articolo 1, comma 548, della L. 296/2006 (legge finanziaria per il 2007) ha previsto un limite temporale massimo di 40 giorni, che iniziano a decorrere dal momento della formulazione dell’ipotesi a di accordo, per la procedura di certificazione. Trascorso inutilmente tale termine, i contratti divengono automaticamente efficaci. Il termine in questione può essere sospeso una sola volta, per non più di 15 giorni, per motivate esigenze istruttorie del comitato di settore e del Presidente del Consiglio dei Ministri e che l’ARAN è chiamata a fornire i chiarimenti richiesti entro i successivi 7 giorni. La deliberazione del Consiglio dei Ministri deve avvenire comunque entro il termine di 8 giorni dalla ricezione dei chiarimenti richiesti o dalla scadenza del termine assegnato all’ARAN facendosi salva l’autonomia delle parti per quanto riguarda un’eventuale modifica delle clausole contrattuali.

Pertanto, in ogni caso i contratti collettivi divengono automaticamente efficaci al massimo trascorso il cinquantacinquesimo giorno dalla sottoscrizione dell’ipotesi di accordo.

Viene comunque precisato, con una clausola di salvaguardia finanziaria, che la procedura di contrattazione collettiva di cui all’articolo 47 del D.Lgs 165/2001 non può in ogni caso determinare alcun onere aggiuntivo a carico del bilancio dello Stato.

 

Rispetto al testo previgente, il nuovo testo del comma 7:

§      prevede che l’ipotesi di accordo debba essere trasmessa non solamente al comitato di settore ma anche al Presidente del Consiglio dei Ministri, entro 7 giorni (e non 3 giorni) dalla data di sottoscrizione;

§      dispone che il parere del Comitato di settore e del Consiglio dei Ministri si intenda reso favorevolmente trascorsi quindici giorni dalla data di trasmissione della relazione tecnica da parte dell’ARAN.

 

Infine, aggiungendo il nuovo comma 7-bis all’articolato, si precisa (lettera c)), che tutti i termini indicati dal richiamato l’articolo 47 si intendono riferiti a giornate lavorative.

 

Il comma 8 stabilisce che, in attuazione dei principi di responsabilizzazione ed efficienza, le pubbliche amministrazioni sono tenute a trasmettere alla Corte dei Conti, tramite la Ragioneria generale dello Stato, entro il 31 maggio di ogni anno, specifiche informazioni sulla contrattazione integrativa, certificate dagli organi di controllo interno.

 

Il comma 9 dispone quindi che, per tale finalità, il Ministero dell’economia – Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, d’intesa con la Corte dei conti e la Presidenza del Consiglio – Dipartimento della Funzione pubblica, integra le informazioni annualmente richieste con il modello di cui all’art. 40-bis, comma 2, del D.Lgs. 165/2001, predisponendo un’apposita scheda con le ulteriori informazioni utili alla Corte dei conti dirette tra l’altro ad accertare , oltre il rispetto dei vincoli di carattere finanziario stabiliti dalla normativa vigente per quanto riguarda la consistenza delle risorse assegnate ai fondi per la contrattazione integrativa ed all’evoluzione dell’entità dei fondi e della spesa derivante dai contratti integrativi applicati, anche la concreta individuazione ed applicazione di criteri improntati alla premialità, al riconoscimento del merito ed alla valorizzazione dell’impegno e della qualità del servizio svolto dal singolo dipendente, con riguardo ai diversi istituti finanziari della contrattazione integrativa, nonché a parametri di selettività, con specifico riferimento agli scatti stipendiali.

Si ricorda che l’art. 40-bis del D.-Lgs. 165/2001 reca disposizioni relative alla compatibilità della spesa in materia di contrattazione integrativa, prevedendo che, per le amministrazioni pubbliche, i comitati di settore ed il Governo procedono a verifiche congiunte in merito alle implicazioni finanziarie complessive della contrattazione integrativa di comparto definendo metodologie e criteri di riscontro anche a campione sui contratti integrativi delle singole amministrazioni. Inoltre, gli organi di controllo interno inviano annualmente specifiche informazioni sui costi della contrattazione integrativa al Ministero dell'economia, che predispone, allo scopo, uno specifico modello di rilevazione, d'intesa con la Presidenza del Consiglio – Dipartimento della Funzione pubblica.

 

Inoltre, ai sensi del comma 10, la Corte dei conti utilizza tali informazioni, insieme a quelle trasmesse ai sensi del Titolo V del D.Lgs. 165/2001, ai fini del referto sul costo del lavoro e, in caso di esorbitanza delle spese dai limiti imposti dai vincoli di finanza pubblica e dagli indirizzi generali adottati in materia nell’ambito della contrattazione collettiva nazionale, propone interventi correttivi a livello di comparto o di singola amministrazione. Viene inoltre precisato che, fatti salvi i casi di responsabilità previsti dalla vigente normativa, in caso di accertato superamento di tali vincoli le corrispondenti clausole contrattuali sono immediatamente sospese ed è fatto obbligo di recupero nell’ambito della successiva sessione contrattuale.

 

Il comma 11 dispone quindi che le pubbliche amministrazioni sono tenute a pubblicare in modo permanente sul proprio sito internet, con modalità che assicurino la piena accessibilità delle informazioni ai cittadini, la documentazione annualmente trasmessa all’organo di controllo in materia di contrattazione integrativa.

 

Infine il comma 12 stabilisce che, qualora le prescrizioni dell’articolo in esame non siano adempiute, ferme restando le sanzioni stabilite dall’art. 60, comma 2, del D.Lgs. 165/2001, è fatto divieto alle amministrazioni di procedere a qualsiasi adeguamento delle risorse destinate alla contrattazione integrativa. Si affida al collegio dei revisori di ciascuna amministrazione o all’organo di controllo interno equivalente il compito di vigilare sulla corretta applicazione delle norme recate dall’articolo in esame.


 

Articolo 68
(Riduzione degli organismi collegiali e di duplicazioni di strutture)


1. Ai fini dell'attuazione del comma 2-bis dell'articolo 29 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, improntato a criteri di rigorosa selezione, per la valutazione della perdurante utilità degli organismi collegiali operanti presso la Pubblica Amministrazione e per realizzare, entro il triennio 2009-2011, la graduale riduzione di tali organismi fino al definitivo trasferimento delle attività ad essi demandati nell'ambito di quelle istituzionali delle Amministrazioni, vanno esclusi dalla proroga prevista dal comma 2-bis del citato decreto-legge n. 223 del 2006 gli organismi collegiali:

istituiti in data antecedente al 30 giugno 2004 da disposizioni legislative od atti amministrativi la cui operatività è finalizzata al raggiungimento di specifici obiettivi o alla definizione di particolari attività previste dai provvedimenti di istituzione e non abbiano ancora conseguito le predette finalità;

istituiti successivamente alla data del 30 giugno 2004 che non operano da almeno due anni antecedenti alla data di entrata in vigore del presente decreto;

svolgenti funzioni riconducibili alle competenze previste dai regolamenti di organizzazione per gli uffici di struttura dirigenziale di 1o e 2o livello dell'Amministrazione presso la quale gli stessi operano ricorrendo, ove vi siano competenze di più amministrazioni, alla conferenza di servizi.

2. Nei casi in cui, in attuazione del comma 2-bis dell'articolo 29 del citato decreto-legge n. 223 del 2006 venga riconosciuta l'utilità degli organismi collegiali di cui al comma 1, la proroga è concessa per un periodo non superiore a due anni. In sede di concessione della proroga prevista dal citato comma 2-bis dovranno inoltre prevedersi ulteriori obiettivi di contenimento dei trattamenti economici da corrispondere ai componenti privilegiando i compensi collegati alla presenza a quelli forfetari od onnicomprensivi stabilendo l'obbligo, a scadenza dei contratti, di nominare componenti la cui sede di servizio coincida con la località sede dell'organismo.

3. Con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, su proposta del Ministro competente, sono individuati gli organismi collegiali ritenuti utili sulla base dei criteri di cui ai precedenti commi, in modo tale da assicurare un ulteriore contenimento della spesa non inferiore a quello conseguito in attuazione del citato articolo 29 del decreto-legge n. 223 del 2006.

4. La riduzione di spesa prevista dal comma 1 dell'articolo 29 del citato decreto-legge n. 223 del 2006 riferita all'anno 2006 si applica agli organismi collegiali ivi presenti istituiti dopo l'entrata in vigore del citato decreto-legge.

5. Al fine di eliminare duplicazioni organizzative e funzionali nonché di favorire una maggiore efficienza dei servizi e la razionalizzazione delle procedure, le strutture amministrative che svolgono prevalentemente attività a contenuto tecnico e di elevata specializzazione riconducibili a funzioni istituzionali attribuite ad amministrazioni dello Stato centrali o periferiche, sono soppresse e le relative competenze sono trasferite alle Amministrazioni svolgenti funzioni omogenee.

6. In particolare sono soppresse le seguenti strutture:

a) Alto Commissario per la prevenzione ed il contrasto della corruzione e delle altre forme di illecito all'interno della pubblica amministrazione di cui all'articolo 1 della legge 16 gennaio 2003, n. 3 e successive modificazioni.

b) Alto Commissario per la lotta alla contraffazione di cui all'articolo 1-quater del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80 e all'articolo 4-bis del decreto-legge 10 gennaio 2006, n. 2, convertito dalla legge 11 marzo 2006, n. 81;

c) Commissione per l'inquadramento del personale già dipendente da organismi militari operanti nel territorio nazionale nell'ambito della Comunità Atlantica di cui all'articolo 2, comma 2, della legge 9 marzo 1971, n. 98.

7. Le amministrazioni interessate trasmettono al Dipartimento della Funzione Pubblica ed al Ministero dell'economia e delle finanze-Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato - i provvedimenti di attuazione del presente articolo.

8. Gli organi delle strutture soppresse ai sensi del presente articolo rimangono in carica per 60 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto al fine di gestire l'ordinato trasferimento delle funzioni. I risparmi derivanti dal presente articolo sono destinati al miglioramento dei saldi di finanza pubblica. Le amministrazioni interessate trasmettono al Ministero dell'economia e delle finanze-Dipartimento della ragioneria generale dello Stato i provvedimenti di attuazione del presente articolo.


 

 

I commi da 1 a 4 dell’articolo 68 recano disposizioni volte ad accelerare il processo di riordino degli organismi collegiali operanti presso le pubbliche amministrazioni, avviato con l’art. 29 del D.L. 223/2006 ed a realizzare, entro il triennio 2009-2011, la graduale riduzione di tali organismi fino al definitivo trasferimento delle attività ad essi demandate nell’ambito di quelle istituzionali delle Amministrazioni.

 

L’art. 29 del D.L. 223/2006[398] ha disposto, a fini di riduzione delle spese per le amministrazioni statali e per eliminare duplicazioni organizzative e funzionali, il riordino degli organi collegali ed altri organismi, comunque denominati, anche monocratici, delle amministrazioni pubbliche – fatta eccezione per le regioni, le province autonome, gli enti locali e gli enti del Servizio sanitario nazionale per cui la previsione costituisce principio di coordinamento della finanza pubblica[399] – anche mediante soppressione o accorpamento delle strutture, da realizzare attraverso due strumenti alternativi:

-        regolamenti di delegificazione (ex art. 17, co. 2, L. 400/1988[400]) se gli organismi sono previsti dalla legge o dal regolamento;

-        decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il ministro dell’economia e delle finanze, su proposta del ministro competente, per gli organismi previsti da fonte diversa.

-        I provvedimenti di riordino devono conformarsi ai seguenti criteri[401]:

-        eliminazione delle duplicazioni organizzative e funzionali;

-        razionalizzazione delle competenze delle strutture che svolgono funzioni omogenee;

-        limitazione del numero delle strutture di supporto a quelle strettamente indispensabili al funzionamento degli organismi;

-        diminuzione del numero dei componenti degli organismi;

-        riduzione dei compensi spettanti ai componenti degli organismi;

-        indicazione di un termine di durata, non superiore a tre anni, con la previsione dell’automatica soppressione dell’organismo alla scadenza;

-        previsione di una relazione di fine mandato sugli obiettivi realizzati da tali organismi, da presentare all’amministrazione competente e alla Presidenza del Consiglio.

Il comma 2-bisprevede che la Presidenza del Consiglio possa, prima della scadenza del termine di durata degli organismi individuati dai provvedimenti poc’anzi indicati, nonché dagli analoghi provvedimenti di cui al co. 3 (v. infra), proporre le iniziative per l’eventuale proroga della durata dell’organismo, in base alla valutazione della perdurante utilità di quest’ultimo. Si prevede il concerto dell’amministrazione competente.

Il co. 3 delinea le modalità attraverso le quali le amministrazioni non statali debbono realizzare il prescritto contenimento di spesa. Esse debbono provvedere al riordino con gli atti di natura regolamentare previsti dai rispettivi ordinamenti, da sottoporre alla verifica degli organi interni di controllo e all'approvazione dell'amministrazione vigilante (ove prevista). Detti regolamenti devono essere emanati nell’osservanza del medesimo termine e degli stessi criteri previsti per le amministrazioni statali (vedi supra). Fino all’adozione dei regolamenti di riordino, le amministrazioni non statali sono comunque chiamate ad assicurare il rispetto del limite di spesa introdotto dal co. 1, entro il termine ivi previsto (30 giorni dall’entrata in vigore del decreto-legge).

Il successivo co. 4 (più volte modificato) dispone la soppressione degli organismi non individuati dai provvedimenti già citati entro il 15 maggio 2007.

Il co. 5 prevede un’ulteriore conseguenza, qualora le amministrazioni non procedano al riordino o all’adozione delle prescritte misure di contenimento della spesa nei termini previsti: scaduti infatti i termini di cui ai co. 1, 2 e 3 senza che si sia provveduto agli adempimenti ivi previsti, è fatto divieto alle amministrazioni di corrispondere compensi ai componenti degli organismi in questione.

Tale disciplina trova un precedente nell’art. 18, co. 1 della L. 448/2001, che aveva disposto il divieto per le pubbliche amministrazioni – escluse regioni, province, comuni e comunità montane – di istituire nuovi organismi e l’obbligo di individuare quelli di carattere tecnico indispensabili per la realizzazione dei propri obiettivi istituzionali. Il divieto contenuto nella norma in questione è peraltro mantenuto fermo dall’articolo 29 del D.L. 223/2006.

 

Il comma 1 esclude dalla proroga (che il co. 2-bis del citato art. 29 del D.L. 223/2006 consente in base a una valutazione di perdurante utilità) le seguenti categorie di organismi collegiali:

§      quelli la cui istituzione – anteriore al 30 giugno 2004 – è finalizzata al raggiungimento di specifici obiettivi o alla definizione di particolari attività, qualora non abbiano ancora conseguito tali finalità;

§      quelli – di istituzione successiva al 30 giugno 2004 – che non abbiano operato negli ultimi due anni;

§      quelli le cui funzioni siano riconducibili alle competenze proprie degli uffici dirigenziali di 1o e 2o livello delle Amministrazioni di appartenenza (tenuto conto anche della possibilità di ricorso alla conferenza di servizi, ove concorrano competenze di più amministrazioni).

Ai sensi del comma 2, per gli organismi di cui sia riconosciuta la perdurante utilità, la proroga di cui al citato art. 29, co. 2-bis non può superare il termine di due anni.

Benché la formulazione non appaia di immediata evidenza, sembra doversi ritenere che il comma, pur richiamando il comma 1, intenda far riferimento agli organismi diversi da quelli che il medesimo comma 1 esclude dalla proroga.

Il medesimo comma collega inoltre la concessione della proroga alla fissazione di ulteriori obiettivi di contenimento dei trattamenti economici per i componenti, privilegiando i compensi “a gettone” (collegati all’effettiva presenza) e stabilendo, ai fini del rinnovo, l’obbligo di nominare componenti la cui sede di servizio coincida con la sede dell'organismo.

L’elenco degli organismi collegiali ritenuti utili – sulla base dei criteri indicati – è rimesso dal comma 3 a decreti del Presidente del Consiglio dei ministri da adottare, di concerto con il ministro dell'economia e delle finanze, su proposta del ministro competente, in modo tale da conseguire un ulteriore contenimento della spesa non inferiore a quello conseguito in virtù del menzionato art. 29 del D.L. 223/2006.

 

Secondo la relazione tecnica, l’art. 29 del D.L. 223/2006 determina un’economia stimata su base annua pari a 42 milioni di euro.

 

Ai sensi del comma 4, la riduzione di spesa nell’anno 2006 per organi collegiali e altri organismi, disposta dal co. 1 dal medesimo art. 29 e pari al 30 per cento rispetto al 2005, si applica anche agli organismi collegiali istituiti dopo l'entrata in vigore del D.L. 223/2006.

 

L’articolo in commento, ai successivi commi da 5 a 8, prevede inoltre la soppressione delle strutture amministrative che svolgono prevalentemente attività a contenuto tecnico e di elevata specializzazione riconducibili a funzioni istituzionali attribuite ad amministrazioni dello Stato centrali o periferiche.

Il comma 5 dispone direttamente la soppressione delle strutture così definite, precisando la finalità della disposizione: eliminare duplicazioni organizzative e funzionali e favorire una maggiore efficienza dei servizi e la razionalizzazione delle procedure.

Il medesimo comma prevede che le competenze delle strutture soppresse siano trasferite alle Amministrazioni svolgenti funzioni omogenee.

La formulazione del testo non consente di evincere con chiarezza se la soppressione disposta abbia efficacia ex lege o richieda l’adozione, da parte delle amministrazioni interessate, di provvedimenti attuativi.

Questi ultimi parrebbero necessari quanto meno ai fini della concreta individuazione delle strutture rispondenti alle caratteristiche riportate al comma 1 (diverse da quelle elencate dal comma 6: v. infra), e oltretutto il comma 7 dispone espressamente l’invio, da parte delle amministrazioni interessate, al Dipartimento della Funzione Pubblica ed al Ministero dell'economia e delle finanze-Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato dei provvedimenti di attuazione dell’articolo. Per altro verso, il successivo comma 8 dispone, al primo periodo, che gli organi delle strutture soppresse rimangano in carica per i 60 giorni successivi all’entrata in vigore del decreto-legge, al fine di gestire l'ordinato trasferimento delle funzioni: il che sembra far propendere per l’immediatezza dell’effetto soppressivo.

Si segnala inoltre che la previsione di cui al testé illustrato comma 7 è ripetuta, con formulazione in parte diversa, nell’ultimo periodo del comma 8.

Il secondo periodo del comma 8 destina i risparmi derivanti dall’articolo in esame al miglioramento dei saldi di finanza pubblica.

 

Il comma 6 dispone, in particolare, la soppressione:

§      dell’Alto Commissario per la prevenzione ed il contrasto della corruzione e delle altre forme di illecito all’interno della pubblica amministrazione;

§      dell’Alto Commissario per la lotta alla contraffazione;

§      della Commissione per l’inquadramento del personale già dipendente da organismi militari operanti nel territorio nazionale nell’ambito della Comunità Atlantica.

 

L’Alto Commissario per la prevenzione ed il contrasto della corruzione e delle altre forme di illecito nella pubblica amministrazione è stato istituito dall’art. 1 della L- 3/2003[402], che pone l’organo alla diretta dipendenza funzionale del Presidente del Consiglio dei ministri e ne rimette la composizione e le funzioni a un successivo regolamento governativo. Il regolamento, adottato con D.P.R. 258/2004 e modificato con D.P.R. 236/2006[403], attribuisce all’Alto commissario funzioni di indagine sull’esistenza, le cause e le concause di fenomeni di corruzione e di illecito o di pericoli di condizionamento da parte di organizzazioni criminali all'interno della pubblica amministrazione; funzioni di analisi e studio; funzioni di monitoraggio su procedure contrattuali e di spesa e su comportamenti ed atti da cui possa derivare danno erariale.

L’alto Commissario si avvale di un proprio ufficio. L’art. 1, co. 348, della legge finanziaria 2008 stanzia 1 milione di euro a decorrere dal 2008 per il potenziamento delle attività dell’Alto Commissario.

L’Alto Commissario per la lotta alla contraffazione è stato istituito dall'art. 1-quater del D.L. 35/2005[404] con compiti di coordinamento delle funzioni di sorveglianza in materia di violazione dei diritti di proprietà industriale ed intellettuale, nonché di monitoraggio sulle attività di prevenzione e di repressione dei fenomeni di contraffazione.

Ai sensi dell’art. 4-bis del D.L. 2/2006[405], assicura altresì il monitoraggio, anche nel settore agroalimentare, dei fenomeni in materia di violazione dei diritti di proprietà industriale e di proprietà intellettuale, di coordinamento e di studio delle misure volte a contrastarli, nonché di assistenza alle imprese per la tutela contro le pratiche commerciali sleali.

Il regolamento approvato con D.P.R. 78/2007[406] ha disposto (artt. 5 e 10) la permanente durata in carica dell’organo per un periodo di tre anni, allo scadere dei quali si prevede una valutazione della perdurante utilità dell’organo, finalizzata ad un’eventuale proroga triennale.

La Commissione per l’inquadramento del personale già dipendente da organismi militari operanti nel territorio nazionale nell’ambito della Comunità Atlantica è stata istituita dall’art. 2, co. 2, della L. 98/1971[407], con il compito di deliberare sulle domande di inquadramento nei ruoli delle amministrazioni dello Stato dei cittadini italiani che, alla data del 30 giugno 1969, prestavano da almeno un anno la loro opera nel territorio nazionale alle dipendenze di organismi militari della Comunità atlantica, o di quelli dei singoli Stati esteri che ne fanno parte, e che successivamente sono stati licenziati in conseguenza di provvedimenti di ristrutturazione degli organismi medesimi; inquadramento previsto dall’art. 1 della medesima L. 98/1971.

 

 


 

Articolo 69
(Progressione triennale)


1. A decorrere dal 1o gennaio 2009 la progressione economica degli stipendi prevista dagli ordinamenti di appartenenza per le categorie di personale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, si sviluppa in classi ed aumenti periodici triennali con effetto sugli automatismi biennali in corso di maturazione al 1o gennaio 2009 ferme restando le misure percentuali in vigore.

2. In relazione ai risparmi relativi al sistema universitario, valutati in 40 milioni di euro per l'anno 2009, in 80 milioni di euro per l'anno 2010, in 80 milioni di euro per l'anno 2011, in 120 milioni di euro per l'anno 2012 e in 160 milioni di euro a decorrere dall'anno 2013, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, tenuto conto dell'articolazione del sistema universitario e della distribuzione del personale interessato, definisce, d'intesa con il Ministero dell'economia e delle finanze le modalità di versamento, da parte delle singole università delle relative risorse con imputazione al capo X, capitolo 2368 dello stato di previsione delle entrate del Bilancio dello Stato, assicurando le necessarie attività di monitoraggio.


 

 

L’articolo in esame al comma 1 dispone che, a decorrere dal 1° gennaio 2009, la progressione economica automatica degli stipendi prevista dagli ordinamenti di appartenenza per le categorie di personale in regime di diritto pubblico, di cui all’articolo 3 del D.Lgs. 165/2001, si sviluppi in classi ed aumenti periodici triennali con effetto sugli automatismi di anzianità biennali in corso di maturazione al 1° gennaio 2009, ferme restando le misure percentuali in vigore.

Secondo quanto affermato nella relazione illustrativa che accompagna il provvedimento, l’intervento comporta ”la riduzione di un terzo del valore della progressione economica degli stipendi per classi ed aumenti periodici biennali delle categorie di personale” in regime di diritto pubblico, cioè delle “uniche categorie che mantengono, insieme alla scuola, un meccanismo retributivo con sviluppi automatici in ragione dell’anzianità di servizio”.

La stessa relazione sottolinea, inoltre, che “il meccanismo di crescita, ancorché ridotto, appare sufficiente a garantire lo sviluppo economico delle retribuzioni”.

Si ricorda che, ai sensi dell’articolo 3 del D.Lgs. 165 del 2001, sono tuttora in regime di diritto pubblico:

-        i magistrati ordinari, amministrativi e contabili, gli avvocati e procuratori dello Stato, il personale militare e le Forze di polizia di Stato, il personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia nonché i dipendenti degli enti che svolgono la loro attività nelle materie contemplate dall'articolo 1 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 17 luglio 1947, n. 691, e dalle leggi 4 giugno 1985, n. 281, e successive modificazioni ed integrazioni, e 10 ottobre 1990, n. 287;

-        il personale, anche di livello dirigenziale, del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, esclusi il personale volontario;

-        il personale della carriera dirigenziale penitenziaria;

-        i professori e i ricercatori universitari.

 

Secondo la relazione tecnica allegata, l’ipotesi di intervento, considerato strutturale, comporterebbe una minore spesa stimata sulla base dei trattamenti economici medi nonché dell’entità delle categorie di personale complessivamente interessata, quantificata negli importi di cui nella seguente tabella:

(dati in milioni di euro)

2009

2010

2011

2012

2013

2014

60

120

120

180

240

240

 

Il comma 2 dell’articolo in esame stima i risparmi per il sistema universitario, derivanti dall’applicazione del meccanismo di cui al comma 1, in:

§      40 milioni di euro per il 2009;

§      80 milioni di euro per il 2010 e il 2011;

§      120 milioni di euro per il 2012;

§      160 milioni di euro a partire dal 2013.

Il risparmio sarà realizzato mediante versamento allo Stato da parte delle singole università delle relative risorse secondo modalità che dovranno essere definite dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, d’intesa con il Ministero dell’economia e delle finanze, assicurando le necessarie attività di monitoraggio.

Le risorse trasferite sono imputate al Capo X, capitolo 2368 dello stato di previsione delle entrate del bilancio dello Stato (Entrate eventuali e diverse del Ministero dell’economia e delle finanze, già di pertinenza del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica).


 

Articolo 70
(Esclusione di trattamenti economici aggiuntivi per infermità dipendente da causa di servizio)

1. A decorrere dal 1o gennaio 2009 nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche ai quali sia stata riconosciuta un'infermità dipendente da causa di servizio ed ascritta ad una delle categorie della tabella A annessa al decreto del Presidente della Repubblica 30 dicembre 1981, n. 834, fermo restando il diritto all'equo indennizzo è esclusa l'attribuzione di qualsiasi trattamento economico aggiuntivo previsto da norme di legge o pattizie.

2. Con la decorrenza di cui al comma 1 sono conseguentemente abrogati gli articoli 43 e 44 del Regio decreto 30 settembre 1922, n. 1290 e gli articoli 117 e 120 del Regio decreto 31 dicembre 1928, n. 3458 e successive modificazioni ed integrazioni.

 

 

L’articolo 70 è volto a sopprimere l’erogazione dei trattamenti economici aggiuntivi concessi per infermità derivante da causa di servizio ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche.

 

In particolare, il comma 1 prevede l’esclusione, a decorrere dal 1° gennaio 2009, nei confronti dei dipendenti pubblici ai quali sia stata riconosciuta un’infermità dipendente da causa di servizio ed ascritta ad una delle categorie della tabella A annessa al D.P.R. 30 dicembre 1981, n. 834[408], fermo restando il diritto all’equo indennizzo, dell’attribuzione di qualsiasi trattamento economico aggiuntivo previsto da norme di legge o pattizie.

Si tratta delle lesioni ed infermità che danno diritto a pensione vitalizia o ad assegno temporaneo.

Si ricorda che affinché una malattia, lesione od infermità sia attribuibile ad una causa inerente al lavoro prestato, essa deve essere collegata alla svolgimento del rapporto di lavoro, oltre ad evidenziare un nesso di concausalità tra la patologia e il tipo di attività lavorativa svolto.

La corresponsione di un equo indennizzo per le infermità derivanti da causa di servizio è stata riconosciuta dall’articolo 68, ottavo comma, del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3[409]. L’entità originaria nonché le modalità di fruizione del beneficio sono invece disciplinate dal successivo D.P.R. 3 maggio 1957, n. 686[410] (articolo 48 e ss.).

In particolare, la corresponsione di un giusto compenso, definito appunto equo indennizzo, viene riconosciuta, nei limiti e nei modi stabiliti dalla legge, al dipendente statale che abbia subito un'invalidità permanente di cui sia accertata la connessione con il servizio, e ciò a titolo di giusto ristoro per il danno alla persona derivatane, indipendentemente da responsabilità della pubblica amministrazione e prescindendo dalla eventuale contemporanea o successiva concessione della pensione privilegiata per la stessa infermità menomante[411].

La causa di servizio è inerente alla materia di pensionistica privilegiata nata dall'esigenza etico-sociale dello Stato di riparare il danno economico alla persona derivato da infermità o lesioni riportate per aver dovuto anteporre l’interesse della collettività al proprio diritto individuale ed all'incolumità personale.

Originata infatti con la prima legge sulle pensioni civili e militari, approvata con il R.D. 21 febbraio 1895, n. 70, dopo numerose modifiche ed integrazioni, la normativa vigente ha trovato la definitiva sistemazione con il richiamato D.P.R. 915/1978, e con il successivo definitivo riordinamento delle pensioni di guerra approvato con il D.P.R. 834/1981, venendo nel contempo estesa a favore di numerose categorie di lavoratori dipendenti direttamente o indirettamente dallo Stato oppure da aziende che rivestissero una peculiare natura di pubblico servizio.

La base di calcolo per quantificare la misura dell’equo indennizzo, è stata stabilita, da ultimo, dall’articolo 22, comma 27, della L. 23 dicembre 1994, n. 724 (provvedimento collegato alla manovra finanziaria per il 1995), che ha disposto che, nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29 (attualmente articolo 1, comma 2, del D.Lgs. 165/2001), per la determinazione dell'equo indennizzo spettante per la perdita dell'integrità fisica ai sensi dell'articolo 68 del D.P.R. 3/1957, si considera l'importo dello stipendio tabellare in godimento alla data di presentazione della domanda o dell'avvio del procedimento d'ufficio.

Successivamente, il D.P.R. 20 ottobre 2001, n. 461[412], ha definito una nuova procedura per il riconoscimento dell’infermità dipendente da causa di servizio e della concessione dell’equo indennizzo, stabilendo il trincio (articolo 2, comma 3) che il riconoscimento della dipendenza dell’infermità o lesione da causa di servizio e’ propedeutico a quelli di concessione dell’equo indennizzo e della pensione privilegiata ordinaria. Più specificamente, la presentazione della richiesta di equo indennizzo può essere successiva o contestuale alla domanda di riconoscimento di causa di servizio ovvero può essere prodotta nel corso del procedimento di riconoscimento di causa di servizio, entro il termine di 10 giorni dalla ricezione della comunicazione inerente gli atti.

Si consideri che, come riportato nella relazione illustrativa, attualmente il personale delle amministrazioni pubbliche cui sia stata riconosciuta un’infermità dipendente da causa di servizio percepisce, oltre all’equo indennizzo, un beneficio economico aggiuntivo calcolato nella misura del 2,50% e dell’1,25% prendendo come base il trattamento economico fondamentale.

Può essere interessante segnalare, al riguardo, che la nota informativa INPDAP n. 53 del 5 novembre 2003, in risposta ad alcune richieste di chiarimento inoltrate da alcune Amministrazioni ed Enti in ordine all'applicazione dei benefici in esame, ed, in particolare, alle modalità di attribuzione degli stessi, ha affermato che lo stesso beneficio, consistente nelle due percentuali di incremento stipendiale in precedenza ricordate, esteso al personale riconosciuto invalido o mutilato per causa di servizio dalla L. 539/1950 (vedi infra), è attribuito dall'ente datore di lavoro, in quanto da computare come incremento economico sul trattamento retributivo dell'interessato, sulla base della normativa che, di volta in volta vigente (norma di legge o di contratto), attribuisce il predetto beneficio al personale destinatario. In sostanza, afferma l’INPDAP, in tutti i casi in cui è il contratto nazionale di lavoro che regola il beneficio indicato in oggetto, è lo stesso contratto che individua (o conferma) la base retributiva su cui l'ente datore di lavoro calcola il beneficio in questione nonché le eventuali diverse modalità di attribuzione del beneficio (decorrenza, decadenza o prescrizione ecc). Per le domande del beneficio in questione presentate prima della stipulazione del relativo CCNL di comparto ovvero per quelle presentate dal personale il cui contratto non ha ancora proceduto a contrattualizzare il beneficio in parola, sempre secondo l’INPDAP, “rimangono invece in vigore le disposizioni di cui agli artt. 43 e 44 del R.D.L. 30 settembre 1922 n. 1290, come integrate dalla legge n. 539/1950, e secondo le indicazioni fornite dalla Commissione speciale pubblico impiego - sez. III - del Consiglio di Stato con parere n. 452 del 13/12/1999” (vedi infra).

 

Conseguentemente all’esclusione dell’attribuzione di qualsiasi trattamento economico aggiuntivo disposto dal comma 1, il successivo comma 2 abroga, con la stessa decorrenza richiamata in precedenza, gli articoli 43 e 44 del R.D. 30 settembre 1922, n. 1290[413] e gli articoli 117 e 120 del R.D. 31 dicembre 1928, n. 3458[414].

 

La relazione illustrativa che accompagna il provvedimento evidenzia che le norme che si sopprimono risalgono agli anni ’20 del secolo scorso, “quindi riferite ad una situazione ambientale lavorativa del pubblico dipendente con una normativa non attenta, come oggi, a garantire l’idoneità dei luoghi di lavoro. Pertanto, il beneficio aggiuntivo che si vuole sopprimere non ha più ragione d’essere attesa l’attuale normativa di sicurezza sul lavoro”.

 

L’articolo 43 del richiamato R.D. 1290/1922 aveva disposto per determinate categorie di dipendenti pubblici in ruolo (impiegati dello Stato, compresi i magistrati, i capi e gli insegnanti degli istituti di istruzione superiore e media) che avevano prestato servizio in reparti combattenti durante la prima guerra mondiale, il riconoscimento del tempo trascorso nelle operazioni belliche a tutti gli effetti del collocamento nei quadri di classificazione degli stipendi, in aumento all’anzianità utile. Analoghe prestazioni erano riconosciute agli invalidi e mutilati di guerra per il periodo di allontanamento dai reparti combattenti in relazione all’invalidità o mutilazione stessa.

Il successivo articolo 44 riconosceva, per gli stessi soggetti che si trovassero nelle condizioni descritte all’articolo 43, e indipendentemente dai benefici in precedenza richiamati, l’abbreviazione di 2 anni o un anno agli effetti del collocamento nei quadri di classificazione in relazione a determinati eventi bellici.

Analoghe disposizioni sono contenute, per il personale militare, nei richiamati articoli 117 e 120 del R.D. 3458/1928.

Successivamente, l’articolo 1, comma 1, della L. 15 luglio 1950, n. 539[415], ha stabilito l’applicazione dei benefici spettanti ai mutilati ed agli invalidi di guerra, nonché ai congiunti dei caduti in guerra, anche ai mutilati ed invalidi per servizio ed ai congiunti dei caduti per servizio.

 

La stessa relazione illustrativa, inoltre, afferma che l’intervento in esame “risponde anche ad un principio di uniformità retributiva, atteso che per alcune categorie di personale del Pubblico Impiego la disciplina è stata rivista dagli Accordi di Comparto, mentre per le FF.AA. e i Corpi di Polizia è rimessa all’originaria formulazione”.

La relazione tecnica allegata ha evidenziato come nell’individuazione dei destinatari del beneficio economico siano stati presi a riferimento i dati considerati nella relazione tecnica relativa all’articolo 1, comma 210, della legge finanziaria per il 2006 (L. 266/2005) concernente le modalità di calcolo dell’equo indennizzo.

Tale relazione tecnica aveva previsto una riduzione di un terzo della spesa complessiva sostenuta nel 2004 per equo indennizzo ammontante a circa 164 milioni lordi, prendendo in considerazione circa 2.300 unità di beneficiari.

In particolare, la relazione tecnica quantifica in 22.300 unità il personale interessato per quanto riguarda i Ministeri e le altre Pubbliche Amministrazioni, mentre quantifica in 22.500 unità il personale interessato relativamente ai militari e alle forze di Polizia.

Pertanto per la relazione tecnica, tenendo presente in via prudenziale un trattamento economico medio pari a 22.000 euro annui, l’economia stimata risulta essere pari a circa 17 milioni di euro annui, come specificato nella seguente tabella:

 

Calcolo beneficio cause di servizio

numero beneficiari

Trattamento economico medio (€)

Percentuale applicata*

Beneficio (€)

Totale economia (€)

Oneri riflessi 38,38% (€)

Totale economia lorda (€)

44.800

22.000,00

1,25%

275,00

12.320.000,00

4.728.416,00

17.048.416,00

*     al riguardo la relazione tecnica afferma che in via prudenziale si è preso a riferimento la percentuale di maggiorazione più bassa.

 

Infine, la stessa relazione sottolinea che dal momento che il trattamento economico in esame risulta non riassorbibile e corrisposto a titolo di salario individuale di anzianità, si registreranno ulteriori economie derivanti dal minor trattamento pensionistico da corrispondere.

In relazione a ciò, si stima un’economia evidenziata dalle somme riportate nella seguente tabella:

(dati in milioni di euro)

Anni

2009

2010

2011

Lordo

17

17

17

Netto

8,5

8,5

8,5

 


 

Articolo 71
(Assenze per malattia e per permesso retribuito dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni)


1. Per i periodi di assenza per malattia, di qualunque durata, ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nei primi dieci giorni di assenza è corrisposto il trattamento economico fondamentale con esclusione di ogni indennità o emolumento, comunque denominati, aventi carattere fisso e continuativo, nonché di ogni altro trattamento accessorio. Resta fermo il trattamento più favorevole eventualmente previsto dai contratti collettivi o dalle specifiche normative di settore per le assenze per malattia dovute ad infortunio sul lavoro o a causa di servizio, oppure a ricovero ospedaliero o a day hospital, nonché per le assenze relative a patologie gravi che richiedano terapie salvavita. I risparmi derivanti dall'applicazione del presente comma costituiscono economie di bilancio per le amministrazioni dello Stato e concorrono per gli enti diversi dalle amministrazioni statali al miglioramento dei saldi di bilancio. Tali somme non possono essere utilizzate per incrementare i fondi per la contrattazione integrativa.

2. Nell'ipotesi di assenza per malattia protratta per un periodo superiore a dieci giorni, e, in ogni caso, dopo il secondo evento di malattia nell'anno solare l'assenza viene giustificata esclusivamente mediante presentazione di certificazione medica rilasciata da struttura sanitaria pubblica.

3. L'Amministrazione dispone il controllo in ordine alla sussistenza della malattia del dipendente anche nel caso di assenza di un solo giorno, tenuto conto delle esigenze funzionali e organizzative. Le fasce orarie di reperibilità del lavoratore, entro le quali devono essere effettuate le visite mediche di controllo, è dalle ore 8.00 alle ore 13.00 e dalle ore 14 alle ore 20.00 di tutti i giorni, compresi i non lavorativi e i festivi.

4. La contrattazione collettiva ovvero le specifiche normative di settore, fermi restando i limiti massimi delle assenze per permesso retribuito previsti dalla normativa vigente, definiscono i termini e le modalità di fruizione delle stesse, con l'obbligo di stabilire una quantificazione esclusivamente ad ore delle tipologie di permesso retribuito, per le quali la legge, i regolamenti, i contratti collettivi o gli accordi sindacali prevedano una fruizione alternativa in ore o in giorni. Nel caso di fruizione dell'intera giornata lavorativa, l'incidenza dell'assenza sul monte ore a disposizione del dipendente, per ciascuna tipologia, viene computata con riferimento all'orario di lavoro che il medesimo avrebbe dovuto osservare nella giornata di assenza.

5. Le assenze dal servizio dei dipendenti di cui al comma 1 non sono equiparate alla presenza in servizio ai fini della distribuzione delle somme dei fondi per la contrattazione integrativa. Fanno eccezione le assenze per congedo di maternità, compresa l'interdizione anticipata dal lavoro, e per congedo di paternità, le assenze dovute alla fruizione di permessi per lutto, per citazione a testimoniare e per l'espletamento delle funzioni di giudice popolare, nonché le assenze previste dall'articolo 4, comma 1, della legge 8 marzo 2000, n. 53, e per i soli dipendenti portatori di handicap grave, i permessi di cui all'articolo 33, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104.

6. Le disposizioni del presente articolo costituiscono norme non derogabili dai contratti o accordi collettivi.


 

 

L’articolo in esame introduce una nuova disciplina relativa ai periodi di assenza per malattia e di permesso retribuito per i dipendenti pubblici.

Assenze per malattia

Secondo la relazione illustrativa che accompagna il provvedimento, la norma, introducendo misure dirette alla riduzione dei giorni di assenza per malattia dei dipendenti pubblici, ha lo scopo di riportare il tasso di assenteismo del settore pubblico nei limiti di quello del settore privato.

 

Si segnala, in proposito, che la norma in esame, sia per quanto riguarda le assenze per malattia sia per quanto riguarda i permessi retribuiti, opera una rilegificazione di materie attualmente disciplinate dalla contrattazione collettiva, prevedendo altresì (comma 6) l’inderogabilità delle disposizioni in oggetto da parte dei contratti o accordi collettivi.

 

Ad esempio, al riguardo, l’articolo 21 del CCNL comparto Ministeri personale non dirigente - parte normativa 1994/1997 e parte economica 1994/1995, del 16 maggio 1995, ha riconosciuto il diritto, per il dipendente assente per malattia, alla conservazione del posto per un periodo di diciotto mesi (comma 1). Ai fini della maturazione del predetto periodo, si sommano tutte le assenze per malattia intervenute nei tre anni precedenti l'episodio morboso in corso. Superato tale periodo, al lavoratore che ne faccia richiesta può essere concesso di assentarsi per un ulteriore periodo di 18 mesi in casi particolarmente gravi (comma 2), dietro accertamento delle condizioni mediche da parte dell’amministrazione di appartenenza (comma 3).

Superati i periodi di conservazione del posto previsti, oppure nel caso che, a seguito dell'accertamento medico richiamato in precedenza, il dipendente sia dichiarato permanentemente inidoneo a svolgere qualsiasi proficuo lavoro, l'Amministrazione ha facoltà, salvo particolari esigenze, a risolvere il rapporto corrispondendo al dipendente l'indennità sostitutiva del preavviso (comma 4).

Il trattamento economico (comma 7) spettante al dipendente che si assenti per malattia è il seguente:

a)    intera retribuzione fissa mensile, con esclusione di ogni compenso accessorio, comunque denominato, per i primi 9 mesi di assenza. Nell'ambito di tale periodo per le malattie superiori a quindici giorni lavorativi o in caso di ricovero ospedaliero e per il successivo periodo di convalescenza post ricovero, al dipendente compete anche il trattamento economico accessorio come determinato ai sensi dell'articolo 34 del CCNL;

b)    90% della retribuzione di cui alla lettera a) per i successivi 3 mesi di assenza;

c)    50% della retribuzione di cui alla lettera a) per gli ulteriori 6 mesi del periodo di conservazione del posto previsto nel comma 1;

d)    gli ulteriori periodi di assenza di 18 mesi di cui al comma 2 non sono retribuiti.

Si ricorda, inoltre (comma 8), che l'assenza per malattia deve essere comunicata all'ufficio di appartenenza tempestivamente e comunque all'inizio dell'orario di lavoro del giorno in cui si verifica, anche nel caso di eventuale prosecuzione dell’assenza, salvo comprovato impedimento.

L'amministrazione dispone il controllo della malattia ai sensi delle vigenti disposizioni di legge fin dal primo giorno di assenza, attraverso la competente ASL (comma 10).

Inoltre, sono previsti ulteriori obblighi a carico del dipendente, quali la tempestiva comunicazione in caso di dimora in luogo diverso da quello di residenza (comma 11), nonché l’obbligo, pur in presenza di espressa autorizzazione del medico curante ad uscire, di farsi trovare nel domicilio comunicato all'amministrazione, in ciascun giorno, anche se domenicale o festivo, dalle ore 10 alle ore 12 e dalle ore 17 alle ore 19 (comma 12). E’ comunque prevista la possibilità, per il dipendente, di allontanarsi, durante le fasce di reperibilità, dall'indirizzo comunicato, per visite mediche, prestazioni o accertamenti specialistici o per altri giustificati motivi, che devono essere, a richiesta, documentati, nel qual caso lo stesso è tenuto a darne preventiva comunicazione all'amministrazione, eccezion fatta per i casi di obiettivo e giustificato impedimento.

 

In particolare, l’articolo in esame stabilisce:

 

§      in deroga a quanto previsto in generale dai contratti collettivi e dalla normativa di settore, la corresponsione ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2[416], del D.Lgs. 165/2001, per i periodi di assenza per malattia, di qualunque durata, nei primi dieci giorni di assenza, del solo trattamento economico fondamentale con esclusione di ogni indennità o emolumento, comunque denominati, aventi carattere fisso e continuativo, nonché di ogni altro trattamento accessorio. Resta comunque fermo il trattamento più favorevole eventualmente previsto dai contratti collettivi o dalle specifiche normative di settore per le assenze per malattia dovute ad infortunio sul lavoro o a causa di servizio, oppure a ricovero ospedaliero o a day hospital, nonché per le assenze relative a patologie gravi che richiedano terapie salvavita (comma 1). Lo stesso comma dispone altresì che i risparmi derivanti dall’applicazione delle disposizioni in oggetto, che comunque non sono utilizzabili per incrementare i fondi per la contrattazione integrativa, costituiscono economie di bilancio per le amministrazioni dello Stato e concorrono per gli enti diversi dalle amministrazioni statali al miglioramento dei saldi di bilancio;

 

§      introducendo modifiche volte a rendere più rigorosa l’attività di controllo dell’assenza, l’obbligo, nelle ipotesi di assenza per malattia protratta per un periodo superiore a dieci giorni, e, in ogni caso, dopo il secondo evento di malattia nell’anno solare, di ricorrere esclusivamente ad una struttura sanitaria pubblica per il rilascio della certificazione medica (comma 2);

 

§      l’effettuazione del controllo della sussistenza della malattia del dipendente da parte dell’Amministrazione di appartenenza anche in caso di assenza di un solo giorno, tenuto conto delle esigenze funzionali e organizzative, nonché la modifica delle fasce orarie di reperibilità del lavoratore entro le quali devono essere effettuate le visite mediche di controllo, stabilite in precedenza dall’articolo 4 del D.M. 15 luglio 1986[417], che vengono invece previste dal decreto in esame dalle ore 8 alle ore 13 e dalle ore 14 alle ore 20 di tutti i giorni, compresi i non lavorativi e i festivi(comma 3);

 

§      la non assimilazione delle assenze per malattia alla presenza in servizio ai fini della distribuzione delle somme dei fondi per la contrattazione integrativa (comma 5), ad eccezione delle assenze per congedo di maternità, compresa l’interdizione anticipata dal lavoro, e per congedo di paternità, le assenze dovute alla fruizione di permessi per lutto, per citazione a testimoniare e per l’espletamento delle funzioni di giudice popolare, nonché le assenze previste dall’articolo 4, comma 1, della L. 53/2000, e per i soli dipendenti portatori di handicap grave, i permessi di cui all’articolo 33, comma 3, della L. 104/1992.

Si osserva che il riferimento all’art. 33, comma 3, della L. 104/1992 sembrerebbe non corretto. Poiché la disposizione in esame fa riferimento ai soli dipendenti portatori di handicap grave, sembrerebbe che la norma di riferimento sia invece l’art. 33, comma 6, della L. 104/1992.

-       Si ricorda che l’art. 33, comma 3, della L. 104/1992 prevede tre giorni di permesso mensile coperti da contribuzione figurativa fruibili, in alternativa, dai genitori, anche adottivi, successivamente al compimento del terzo anno di vita del bambino, per l’assistenza di minore con handicap in situazione di gravità, nonché fruibili dai soggetti che assistono una persona con handicap in situazione di gravità, parente o affine entro il terzo grado e convivente.

-        Invece l’art. 33, comma 6, della L. 104/1992, prevede che la persona maggiorenne portatrice di handicap grave possa usufruire, alternativamente, di due ore di permesso giornaliero retribuito ovvero a tre giorni di permesso mensile coperti da contribuzione figurativa.

-       Infine, si ricorda che l’articolo 4, comma 1, della L. 53/2000, prevede un permesso retribuito di tre giorni lavorativi all'anno in caso di decesso o di documentata grave infermità del coniuge o di un parente entro il secondo grado o del convivente, purché la stabile convivenza con il lavoratore o la lavoratrice risulti da certificazione anagrafica.

Permessi retribuiti

Per quanto attiene ai permessi retribuiti, l’articolo in esame affida la definizione dei termini e le modalità di fruizione delle assenze per permesso retribuito, fermi restando i limiti massimi delle richiamate assenze, alla contrattazione collettiva ovvero alle specifiche normative di settore, disponendo altresì l’obbligo di stabilire una fruizione esclusivamente ad ore delle tipologie di permesso retribuito, in luogo dell’alternatività di fruizione degli stessi tra giorni ed ore precedentemente prevista dalla legge, dai regolamenti, dai contratti collettivi o dagli accordi sindacali. Lo stesso comma, inoltre, dispone che, in caso di fruizione dell’intera giornata lavorativa, l’incidenza dell’assenza sul monte ore a disposizione del dipendente, per ciascuna tipologia, viene computata con riferimento all’orario di lavoro che il medesimo avrebbe dovuto osservare nella giornata di assenza (comma 4).

Secondo quanto evidenziato nella relazione illustrativa, tali disposizioni “sono finalizzate ad un migliore contemperamento delle necessità del dipendente con le esigenze di servizio”. Inoltre, il computo dell’assenza sul monte ore introdotto tiene conto, sempre secondala relazione illustrativa, “anche dell’orientamento della Corte dei conti – Procura regionale presso la sede giurisdizionale per il Lazio – che ha evidenziato alcune criticità derivanti dall’attuale conteggio delle assenze per permessi retribuiti; rappresentando, altresì, l’urgenza di un intervento finalizzato a risolvere tali problematiche”.

In proposito, il CCNL comparto ministeri richiamato in precedenza, all’articolo 18 disciplina una serie di permessi fruibili dal dipendente oltre a quelli stabiliti per legge, quali, ad esempio, il permesso per partecipazione a concorsi od esami, limitatamente ai giorni di svolgimento delle prove, pari ad 8 giorni all'anno; il permesso in caso di lutti per coniuge, parenti entro il secondo grado ed affini di primo grado, pari a 3 giorni per evento; 3 giorni di permesso retribuito per particolari motivi personali o familiari, debitamente documentati; il permesso di 15 giorni consecutivi in occasione del matrimonio. Durante i predetti periodi al dipendente spetta l'intera retribuzione esclusi i compensi per il lavoro straordinario, le indennità connesse a particolari condizioni di lavoro e quelle che non siano corrisposte per dodici mensilità. Sono previsti inoltre specifici permessi per i casi di astensione facoltativa dal lavoro delle lavoratrici madri, o, in alternativa, dei lavoratori padri.

 

La relazione tecnica allegata al decreto-legge stima che dalle disposizioni in esame derivi un risparmio lordo di circa 38 milioni di euro l’anno, “tenendo anche conto degli adempimenti a carico delle strutture sanitarie previsti dai commi 2 e 3”.

I dipendenti pubblici titolari di rapporto di lavoro a tempo indeterminato sono, secondo la relazione, circa 2 milioni, esclusi quelli del comparto regioni, autonomie locali e sanità, per i quali i relativi effetti di contenimento della spesa concorrono al conseguimento degli obiettivi del patto di stabilità degli enti locali e del patto della salute per gli enti del servizio sanitario nazionale.

Ai fini dei dati stimati, la relazione tecnica ha considerato come base di calcolo in via prudenziale una quota media giornaliera di retribuzione accessoria fissa e continuativa stimata in 6,5 euro (al lordo degli oneri riflessi) e prendendo in esame circa 6 milioni di giornate di assenza per malattia (dei primi 10 giorni e da riferirsi ad assegni interi percepiti dal personale pubblico, escluso sempre quello di regioni, enti locali e sanità), per i quali non viene più corrispostoli trattamento economico accessorio.

Sulla base di tali considerazioni, e tenendo comunque conto del fatto che il risparmio preventivabile risentirà dell’effetto disincentivante dell’assenza prodotto dalla norma in esame, la relazione tecnica stima i seguenti risparmi:

 

(valori in milioni di euro)

Risparmi lordi

Risparmi netti

2009

2010

2011

2009

2010

2011

38

38

38

19

19

19

 


 

Articolo 72
(Personale dipendente prossimo al compimento dei limiti di età per il collocamento a riposo)


1. Per gli anni 2009, 2010 e 2011 il personale in servizio presso le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, le Agenzie fiscali, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, gli Enti pubblici non economici, le Università, le Istituzioni ed Enti di ricerca nonché gli enti di cui all'articolo 70, comma 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, può chiedere di essere esonerato dal servizio nel corso del quinquennio antecedente la data di maturazione della anzianità massima contributiva di 40 anni. La richiesta di esonero dal servizio deve essere presentata dai soggetti interessati, improrogabilmente, entro il 1o marzo di ciascun anno a condizione che entro l'anno solare raggiungano il requisito minimo di anzianità contributivo richiesto e non è revocabile. La disposizione non si applica al personale della Scuola.

2. È data facoltà all'amministrazione, in base alle proprie esigenze funzionali, di accogliere la richiesta dando priorità al personale interessato da processi di riorganizzazione della rete centrale e periferica o di razionalizzazione o appartenente a qualifiche di personale per le quali è prevista una riduzione di organico.

3. Durante il periodo di esonero dal servizio al dipendente spetta un trattamento temporaneo pari al cinquanta per cento di quello complessivamente goduto, per competenze fisse ed accessorie, al momento del collocamento nella nuova posizione. Ove durante tale periodo il dipendente svolga in modo continuativo ed esclusivo attività di volontariato, opportunamente documentata e certificata, presso organizzazioni non lucrative di utilità sociale, associazioni di promozione sociale, organizzazioni non governative che operano nel campo della cooperazione con i Paesi in via di sviluppo, ed altri soggetti da individuare con Decreto del Ministro dell'economia e delle finanze da emanarsi entro novanta giorni dall'entrata in vigore del presente decreto, la misura del predetto trattamento economico temporaneo è elevata dal cinquanta al settanta per cento. Fino al collocamento a riposo del personale in posizione di esonero gli importi del trattamento economico posti a carico dei fondi unici di amministrazione non possono essere utilizzati per nuove finalità.

4. All'atto del collocamento a riposo per raggiunti limiti di età il dipendente ha diritto al trattamento di quiescenza e previdenza che sarebbe spettato se fosse rimasto in servizio.

5. Il trattamento economico temporaneo spettante durante il periodo di esonero dal servizio è cumulabile con altri redditi derivanti da prestazioni lavorative rese dal dipendente come lavoratore autonomo o per collaborazioni e consulenze con soggetti diversi dalle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 o società e consorzi dalle stesse partecipati. In ogni caso non è consentito l'esercizio di prestazioni lavorative da cui possa derivare un pregiudizio all'amministrazione di appartenenza.

6. Le amministrazioni di appartenenza, in relazione alle economie effettivamente derivanti dal collocamento in posizione di esonero dal servizio, certificate dai competenti organi di controllo, possono procedere, previa autorizzazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica e del Ministero dell'economia e delle finanze ad assunzioni di personale in via anticipata rispetto a quelle consentite dalla normativa vigente per l'anno di cessazione dal servizio per limiti di età del dipendente collocato in posizione di esonero. Tali assunzioni vengono scomputate da quelle consentite in tale anno.

7. All'articolo 16 comma 1 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, e successive modificazioni, dopo il primo periodo sono aggiunti i seguenti: «In tal caso è data facoltà all'amministrazione, in base alle proprie esigenze organizzative e funzionali, di accogliere la richiesta in relazione alla particolare esperienza professionale acquisita dal richiedente in determinati o specifici ambiti ed in funzione dell'efficiente andamento dei servizi. La domanda di trattenimento va presentata all'amministrazione di appartenenza dai ventiquattro ai dodici mesi precedenti il compimento del limite di età per il collocamento a riposo previsto dal proprio ordinamento.».

8. Sono fatti salvi i trattenimenti in servizio in essere alla data di entrata in vigore della presente legge e quelli già disposti con decorrenza anteriore al 31 dicembre 2008.

9. Le amministrazioni di cui al comma 7 riconsiderano, con provvedimento moti­vato, tenuto conto di quanto ivi previsto, i provvedimenti di trattenimento in servizio già adottati con decorrenza dal 1o gennaio al 31 dicembre 2009.

10. I trattenimenti in servizio già autorizzati con effetto a decorrere dal 1° gennaio 2010 decadono ed i dipendenti interessati al trattenimento sono tenuti a presentare una nuova istanza nei termini di cui al comma 7.

11. Nel caso di compimento dell'anzia­nità massima contributiva di 40 anni del personale dipendente, le pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 possono risolvere, fermo restando quanto previsto dalla disciplina vigente in materia di decorrenze dei trattamenti pensionistici, il rapporto lavoro con un preavviso di sei mesi. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentiti i Ministri dell'interno e della difesa sono definiti gli specifici criteri e le modalità applicative dei princìpi della disposizione di cui al presente comma relativamente al personale dei comparti sicurezza e difesa, tenendo conto delle rispettive peculiarità ordinamentali. Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano a magistrati e professori universitari.


 

 

L’articolo in esame reca alcune disposizioni concernenti lo stato di servizio e il collocamento a riposo dei dipendenti pubblici.

 

In particolare, si prevede:

§      l’introduzione dell’istituto dell’esonero dal servizio[418], consistente nella possibilità, per i dipendenti pubblici prossimi al compimento dei limiti di età per il collocamento a riposo, di usufruire su richiesta, appunto dell’esonero dal servizio nel corso del quinquennio antecedente la data di maturazione dell’anzianità massima contributiva di 40 anni (commi 1-6);

§      la facoltà, per le pubbliche amministrazioni, di accogliere la richiesta da parte del dipendente pubblico di permanere in servizio oltre i limiti di età per il collocamento a riposo in relazione a determinati parametri soggettivi ed oggettivi (commi 7-10);

§      la possibilità per le amministrazioni di risolvere, con preavviso di un anno, il rapporto di lavoro del personale dipendente con almeno 40 anni di anzianità contributiva (comma 11).

Esonero dal servizio

Più specificamente, ai sensi del comma 1, per gli anni 2009, 2010 e 2011, il personale in servizio presso le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, le Agenzie fiscali, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, gli Enti pubblici non economici, le Università, le Istituzioni ed Enti di ricerca nonché gli enti di cui all’articolo 70, comma 4, del D.Lgs. 165/2001[419], può richiedere l’esonero dal servizio nel corso del quinquennio antecedente la data di maturazione dell’anzianità massima contributiva di 40 anni. La richiesta di esonero dal servizio, che è irrevocabile, deve essere presentata dai soggetti interessati, improrogabilmente, entro il 1° marzo di ciascun anno, a condizione che entro l’anno solare raggiungano il requisito minimo di età richiesto. Viene espressamente escluso dalla possibilità di fruire dell’esonero dal servizio il personale della Scuola.

 

Il successivo comma 2 dispone la facoltà delle amministrazioni pubbliche di accogliere la richiesta di esonero, sulla base delle proprie esigenze funzionali, con priorità al personale interessato da processi di riorganizzazione della rete centrale e periferica o di razionalizzazione o appartenente a qualifiche di personale per le quali è prevista una riduzione di organico.

 

I commi 3, 4 e 5 recano disposizioni inerenti, rispettivamente, al trattamento economico del personale interessato dall’esonero, al trattamento previdenziale e di quiescenza nonché al regime di incompatibilità con altre attività lavorative.

 

Più specificamente, durante il periodo di esonero dal servizio al dipendente spetta (comma 3) un trattamento economico temporaneo pari al 50% di quello complessivamente goduto, per competenze fisse ed accessorie, al momento del collocamento nella nuova posizione. Tale percentuale è elevata al 70% qualora il dipendente pubblico, durante tale periodo, svolga in modo continuativo ed esclusivo attività di volontariato, opportunamente documentata e certificata, presso ONLUS, associazioni di promozione sociale, organizzazioni non governative che operano nel campo della cooperazione con i Paesi in via di sviluppo, ed altri soggetti da individuare con un apposito decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, da emanarsi entro 90 giorni dall’entrata in vigore del provvedimento in esame. Lo stesso comma, inoltre, stabilisce che, fino al collocamento a riposo del personale in posizione di esonero, gli importi del trattamento economico posti a carico dei fondi unici di amministrazione non possono essere utilizzati per nuove finalità.

 

Il successivo comma 4 afferma il diritto, per il dipendente posto in esonero, a fruire di un identico trattamento di quiescenza e previdenza rispetto ai dipendenti rimasti in servizio all’atto del collocamento a riposo per raggiunti limiti di età.

 

Ai sensi del comma 5, il richiamato trattamento economico temporaneo spettante durante il periodo di esonero dal servizio è cumulabile con altri redditi derivanti da prestazioni lavorative rese dal dipendente come lavoratore autonomo o per collaborazioni e consulenze con soggetti diversi dalle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del D.Lgs. 165/2001[420] o società e consorzi dalle stesse partecipati.

In ogni caso, non è consentito l’esercizio di prestazioni lavorative da cui possa derivare un pregiudizio all’amministrazione di appartenenza.

In relazione alle economie effettivamente derivanti dal collocamento in posizione di esonero dal servizio, certificate dai competenti organi di controllo, si prevede inoltre la facoltà, per le amministrazioni di appartenenza, di procedere, previa autorizzazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica e del Ministero dell’economia e delle finanze, ad assumere personale in via anticipata rispetto a quelle consentite dalla normativa vigente per l’anno di cessazione dal servizio per limiti di età del dipendente collocato in posizione di esonero. Tali assunzioni vengono scomputate da quelle consentite in tale anno (comma 6).

Per quanto attiene le disposizioni di cui ai commi da 1 a 5, la relazione tecnica allegata afferma che l’intervento in esame dovrebbe comportare una minore spesa, per il periodo di interesse della disposizione, dal momento che al personale interessato viene riconosciuto un trattamento economico inferiore. Nella determinazione delle economie realizzabili, inoltre, si dovrebbe tener conto che gli oneri contributivi dovranno garantire al dipendente il trattamento di quiescenza e previdenza che sarebbe spettato se fosse rimasto in servizio. Oltre a ciò, la relazione tecnica afferma che non sono state scontate economie in quanto, secondo il dettato del comma 6, le amministrazioni, in relazione alle economie derivanti dall’esonero potranno procedere, anticipatamente rispetto ai termini consentiti dalla normativa vigente, ad assunzioni di personale per l’anno di cessazione dal servizio per limiti di età del dipendente collocato in esonero. Tali assunzioni, sempre secondo la relazione tecnica devono essere scomputate da quelle consentite in tale anno.

Permanenza in servizio

Il comma 7 rimette alla valutazione dell’amministrazione interessata la concessione della possibilità per i dipendenti pubblici di permanere in servizio per un biennio oltre i limiti di età per il collocamento a riposo, i sensi dell’articolo 16, comma 1, del D.Lgs. 30 dicembre 1992 n. 503[421] in precedenza totalmente demandata alla volontà dei dipendenti stessi (quindi configurata come un diritto soggettivo).

Aggiungendo due periodi al richiamato comma 1 dell’articolo 16, infatti, il comma in esame prevede, come accennato in precedenza, la facoltà dell’amministrazione, in base alle proprie esigenze organizzative e funzionali, di accogliere la richiesta in relazione a determinati parametri, quali la particolare esperienza professionale acquisita dal richiedente in determinati o specifici ambiti ed in funzione dell’andamento efficiente dei servizi. La domanda di trattenimento va presentata all’amministrazione di appartenenza dai 24 ai 12 mesi precedenti il compimento del limite di età per il collocamento a riposo previsto dal proprio ordinamento.

 

I commi da 8 a 10 recano disposizioni procedurali e transitorie.

In particolare:

§      il comma 8 fa salvi i trattenimenti in servizio in essere alla data di entrata in vigore del provvedimento in esame, nonché quelli già disposti con decorrenza anteriore al 31 dicembre 2008;

§      con il comma 9 si prevede altresì l’obbligo, per le amministrazioni di cui al comma 7, di riconsiderare, con provvedimento motivato, i provvedimenti di trattenimento in servizio già adottati con decorrenza dal 1° gennaio al 31 dicembre 2009;

§      con il comma 10 si dispone la decadenza dei trattenimenti in servizio già autorizzati con effetto a decorrere dal 1° gennaio 2010, stabilendo il contestuale obbligo, per i dipendenti interessati, alla presentazione di una nuova istanza, nei termini previsti dal richiamato comma.

 

Infine, il comma 11 prevede la facoltà per le amministrazioni pubbliche, in caso di compimento dell’anzianità massima contributiva di 40 anni del personale dipendente, di risolvere, fermo restando quanto previsto dalla disciplina vigente in materia di decorrenze dei trattamenti pensionistici, il rapporto di lavoro con un preavviso di un anno. Gli specifici criteri e le modalità applicative dei principi della disposizione in esame, relativamente al personale dei comparti sicurezza e difesa, tenendo conto delle rispettive peculiarità ordinamentali, sono definiti con un successivo decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, da emanare entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame, su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentiti i Ministri dell’interno e della difesa.

La relazione tecnica allegata valuta nel complesso le disposizioni dei commi da 7 a11, in quanto, come affermato, le stesse sono caratterizzate da schema analogo.

In particolare, si sottolinea che per una valutazione degli effetti recati sul sistema previdenziale debbano essere valutati due aspetti, cioè la regolazione del sistema transitorio ed il comportamento delle amministrazioni.

La relazione tecnica stima in circa 10.000 i soggetti all’anno per i quali può essere preso in considerazione un anticipo del pensionamento in media di 2 anni. In relazione a ciò, la relazione tecnica tenendo conto del carattere transitorio della norma e del fatto che i dipendenti interessati nella maggioranza dei casi abbia maturato specifiche esperienze funzionali al buon andamento dell’amministrazione, ipotizza un mancato accoglimento delle istanze di mantenimento in servizio ovvero della risoluzione del rapporto di lavoro del rapporto di lavoro al termine dei 40 potrà riguardare il 20% del personale interessato.

Considerando tale presupposto, nonché considerando un trattamento medio pensionistico annuo di 30.000 euro e un’indennità di buonuscita o premio di servizio pari a 70.000 euro, si possono stimare i seguenti oneri previdenziali:

(valori in milioni di euro)

 

2009

2010

2011

2012

2013

2014

2015

Spesa pensionistica (lordo fisco)

=

-70

-90

-120

-121,5

-123

-124

Indennità di buonuscita (lordo fisco*

=

-140

-140

=

=

=

=

Effetto fiscale indotto su buonuscita

=

20

20

=

=

=

=

Effetto fiscale indotto su maggiore spesa pensionistica

=

16,5

21

28,5

29,5

30

30,5

Effetto complessivo netto

=

-173,5

-189

-91,5

-92

-93

-93,5

L'importo al lordo del fisco non tiene conto dell'effetto indotto sulle entrate fiscali prodotto dall'incremento dell'aliquota contributiva. Infatti, i maggiori contributi versati costituiscono voci deducibili dal reddito imponibile sia dei committenti sia dei beneficiari e comportano, pertanto, un minor carico fiscale per gli interessati. Tale importo è dipendente dall'aliquota marginale di colui che sostiene l'onere, in caso di imponibile IRPEF, ovvero dall'aliquota IRES se il committente è una persona giuridica.

A fronte di tali oneri, la relazione tecnica evidenzia possibili effetti positivi per la finanza pubblica sul versante dei redditi da lavoro dipendente, effetti connessi alle politiche limitative del turn over per i settori interessati e alla circostanza che in caso di assunzione, il trattamento economico del neoassunto sarà ovviamente inferiore a quello del soggetto collocato in quiescenza a seguito del rigetto della domanda di trattenimento in servizio ovvero della permanenza in servizio oltre l’anzianità massima contributiva.

 

In relazione a ciò, la seguente tabella evidenzia le economie sui redditi da lavoro:

(valori in milioni di euro)

Stima delle economie sui redditi da lavoro

2009

2010

2011

2012

2013

2014

2015

Effetto turn over

=

30

44

40,5

40,5

40,5

40,5

Effetto differenziale retributivo

=

2

9

13

13

13

13

Effetto complessivo

=

32

53

53,5

53,5

53,5

53,5

Effetto complessivo netto

=

16

26,5

27

27

27

27

 

La seguente tabella evidenzia gli effetti netti generati complessivamente dalle disposizioni dei commi da 7 a 11:

(valori in milioni di euro)

Oneri complessivi recati

2009

2010

2011

2012

2013

2014

2015

Effetti netti

=

-157,5

-162,5

-64,5

-65

-66

-66,5

 


 

Articolo 73
(Part time)


1. All'articolo 1, comma 58, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al primo periodo le parole: «avviene automaticamente» sono sostituite dalle seguenti: «può essere concessa dall'am­ministrazione»;

b) al secondo periodo le parole «grave pregiudizio» sono sostituite da «pregiudizio»;

c) al secondo periodo le parole da: «può con provvedimento motivato» fino a «non superiore a sei mesi» sono soppresse;

d) all'ultimo periodo, dopo le parole: «il Ministro della funzione pubblica e con il Ministro del tesoro» sono sostituite dalle seguenti: «Il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione e il Ministro dell'economia e delle finanze».

2. All'articolo 1, comma 59, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 sono apportate le seguenti modificazioni:

a) le parole: «al 50» sono sostituite dalle seguenti: «al 70»;

b) dopo le parole predetti risparmi, le parole da «può essere utilizzata» fino a «dei commi da 45 a 55» sono sostituite dalle seguenti: «è destinata, secondo le modalità ed i criteri stabiliti dalla contrattazione integrativa, ad incentivare la mobilità del personale esclusivamente per le amministrazioni che dimostrino di aver provveduto ad attivare piani di mobilità e di riallocazione mediante trasferimento di personale da una sede all'altra dell'amministrazione stessa»;

c) le parole da «L'ulteriore quota» fino a «produttività individuale e collettiva» sono soppresse.


 

 

L’articolo in esame reca specifiche modifiche alla disciplina del lavoro a tempo parziale presso le pubbliche amministrazioni prevista dalla L. 662/1996, poiché, come evidenziato dalla relazione illustrativa, l’applicazione di tale disciplina ha determinato nel corso degli anni non trascurabili problemi di funzionalità e buon andamento agli uffici delle pubbliche amministrazioni e in particolare agli uffici periferici a causa del sottodimensionamento dell’organico.

 

In primo luogo, il comma 1 provvede a novellare il comma 58 dell’articolo 1 della menzionata L. 662/1996, in materia trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale.

Si ricorda che il comma 58 dell’articolo 1 della L. 662/1996 dispone che la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale avviene automaticamente entro 60 giorni dalla domanda, in cui è indicata l'eventuale attività di lavoro subordinato o autonomo che il dipendente intende svolgere. L'amministrazione, entro lo stesso termine, nega la trasformazione del rapporto nel caso in cui l'attività lavorativa di lavoro autonomo o subordinato comporti un conflitto di interessi con la specifica attività di servizio svolta dal dipendente ovvero, nel caso in cui la trasformazione comporti, in relazione alle mansioni e alla posizione organizzativa ricoperta dal dipendente, grave pregiudizio alla funzionalità della medesima amministrazione, può con provvedimento motivato differire la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo parziale per un periodo non superiore a 6 mesi. Viene precisato che la trasformazione non può essere comunque concessa qualora l'attività lavorativa di carattere subordinato debba intercorrere con un'altra pubblica amministrazione.

Fatte salve le esclusioni di cui al comma 57 (personale militare, di quello delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco), per il restante personale che esercita competenze istituzionali in materia di giustizia, di difesa e di sicurezza dello Stato, di ordine e di sicurezza pubblica, con esclusione del personale di polizia municipale e provinciale, si affida ad un decreto del Ministro competente, di concerto con il Ministro per la funzione pubblica e con il Ministro del tesoro, l’individuazione delle modalità di costituzione dei rapporti di lavoro a tempo parziale ed i contingenti massimi del personale che può accedervi.

 

Come evidenziato dalla relazione illustrativa, il comma in esame è volto a modificare la vigente disciplina relativa alla trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale, attualmente configurata come un vero e proprio diritto soggettivo per il dipendente, al fine di subordinare la trasformazione alla valutazione discrezionale dell’amministrazione effettuata in relazione alle esigenze del buon funzionamento della medesima amministrazione.

In particolare, a seguito delle modifiche introdotte dal comma in esame, si dispone che la trasformazione del rapporto di lavoro non avvenga automaticamente, bensì possa essere concessa discrezionalmente dall’amministrazione coerentemente alle esigenze di efficienza e funzionalità degli uffici. Pertanto l’amministrazione respinge la domanda del dipendente allorché la trasformazione del rapporto di lavoro comporti pregiudizio alla funzionalità dell'amministrazione stessa. Si evidenzia che invece la normativa previgente stabiliva che la possibilità di grave pregiudizio (era quindi richiesto anche in requisito della gravità del pregiudizio) poteva legittimare esclusivamente il differimento della trasformazione del rapporto di lavoro per un periodo non superiore a sei mesi.

Viene inoltre prevista una modifica di carattere formale all’ultimo periodo del menzionato comma 58, al fine di adeguare all’attuale organizzazione del Governo la denominazione dei Ministri competenti all’adozione del decreto volto a individuare le modalità di costituzione dei rapporti di lavoro a tempo parziale per determinate categorie di dipendenti.

 

Il comma 2 invece è volto a novellare il comma 59 dell’articolo 1 della L. 662/1996, relativo alla destinazione dei risparmi di spesa derivanti dalla trasformazione dei rapporti di lavoro dei pubblici dipendenti da tempo pieno a tempo parziale.

Si ricorda che il comma 59 dell’articolo 1 della L. 662/1996 dispone che i risparmi di spesa derivanti dalla trasformazione dei rapporti di lavoro dei pubblici dipendenti da tempo pieno a tempo parziale costituiscono per il 30% economie di bilancio. Una quota pari al 50% dei predetti risparmi può essere utilizzata per incentivare la mobilità del personale delle pubbliche amministrazioni, ovvero, esperite inutilmente le procedure per la mobilità, per nuove assunzioni. L'ulteriore quota del 20% è invece destinata, secondo le modalità ed i criteri stabiliti dalla contrattazione integrativa, al miglioramento della produttività individuale e collettiva. Viene infine precisato che i risparmi eventualmente non utilizzati per le predette finalità costituiscono ulteriori economie di bilancio.

 

Con le modifiche introdotte dal comma in esame, si prevede un incremento della quota dei risparmi di spesa che viene destinata all’incentivazione della mobilità del personale delle pubbliche amministrazioni, portandola dal 50% al 70%[422]. Tuttavia si dispone che tale destinazione di risorse (da effettuare secondo le modalità ed i criteri individuati dalla contrattazione integrativa) possa riguardare esclusivamente le amministrazioni che dimostrino di aver provveduto a predisporre piani di mobilità e di riallocazione tramite trasferimento di personale da una sede all’altra della medesima amministrazione.


 

Articolo 74
(Riduzione degli assetti organizzativi)


1. Le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, ivi inclusa la Presidenza del Consiglio dei Ministri, le agenzie, incluse le agenzie fiscali di cui agli articoli 62, 63 e 64 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 e successive modificazioni e integrazioni, gli enti pubblici non economici, gli enti di ricerca, nonché gli enti pubblici di cui all'articolo 70, comma 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni ed integrazioni, provvedono entro il 31 ottobre 2008, secondo i rispettivi ordinamenti:

a) a ridimensionare gli assetti organizzativi esistenti, secondo principi di efficienza, razionalità ed economicità, operando la riduzione degli uffici dirigenziali di livello generale e di quelli di livello non generale, in misura non inferiore, rispettivamente, al 20 e al 15 per cento di quelli esistenti. A tal fine le amministrazioni adottano misure volte:

- alla concentrazione dell'esercizio delle funzioni istituzionali, attraverso il riordino delle competenze degli uffici;

- all'unificazione delle strutture che svolgono funzioni logistiche e strumentali, salvo specifiche esigenze organizzative, derivanti anche dalle connessioni con la rete periferica, riducendo, in ogni caso, il numero degli uffici dirigenziali di livello generale e di quelli di livello non generale adibiti allo svolgimento di tali compiti.

Le dotazioni organiche del personale con qualifica dirigenziale sono corrispon­dentemente ridotte, ferma restando la possibilità dell'immissione di nuovi dirigenti, nei termini previsti dall'articolo 1, comma 404, lettera a), della legge 27 dicembre 2006, n. 296;

b) a ridurre il contingente di personale adibito allo svolgimento di compiti logistico-strumentali e di supporto in misura non inferiore al dieci per cento con contestuale riallocazione delle risorse umane eccedenti tale limite negli uffici che svolgono funzioni istituzionali;

c) alla rideterminazione delle dotazioni organiche del personale non dirigenziale, apportando una riduzione non inferiore al dieci per cento della spesa complessiva relativa al numero dei posti di organico di tale personale.

2. Ai fini dell'attuazione delle misure di cui al comma 1, le amministrazioni possono disciplinare, mediante appositi accordi, forme di esercizio unitario delle funzioni logistiche e strumentali, compresa la gestione del personale, nonché l'utilizzo congiunto delle risorse umane in servizio presso le strutture centrali e periferiche.

3. Con i medesimi provvedimenti di cui al comma 1, le amministrazioni dello Stato rideterminano la rete periferica su base regionale o interregionale, oppure, in alternativa, provvedono alla riorganizzazione delle esistenti strutture periferiche nell'ambito degli uffici territoriali di Governo nel rispetto delle procedure previste dall'articolo 1, comma 404, lettera c), della legge 27 dicembre 2006, n. 296.

4. Ai fini dell'attuazione delle misure previste dal comma 1, lettera a), della presente disposizione da parte dei Ministeri si tiene conto delle riduzioni apportate dai regolamenti emanati ai sensi dell'articolo 1, comma 404, lettera a), della legge 27 dicembre 2006, n. 296, avuto riguardo anche ai Ministeri esistenti anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto-legge 16 maggio 2008, n. 85. In considerazione delle esigenze di compatibilità generali nonché degli assetti istituzionali, la Presidenza del Consiglio dei Ministri assicura il conseguimento delle corrispondenti economie con l'adozione di provvedimenti specifici del Presidente del Consiglio dei Ministri adottati ai sensi del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303, e successive integrazioni e modificazioni, che tengono comunque conto dei criteri e dei princìpi di cui al precedente articolo.

5. Sino all'emanazione dei provve­dimenti di cui al comma 1 le dotazioni organiche sono provvisoriamente individuate in misura pari ai posti coperti alla data del 30 giugno 2008. Sono fatte salve le procedure concorsuali e di mobilità avviate alla data di entrata in vigore del presente decreto.

6. Alle amministrazioni che non abbiano adempiuto a quanto previsto dai commi 1 e 4 è fatto divieto di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo e con qualsiasi contratto.

 


 

 

L’articolo 74 dispone che tutte le amministrazioni statali e varie categorie di enti pubblici nazionali ridimensionino, entro il 31 ottobre 2008, gli assetti organizzativi esistenti secondo principi di efficienza, razionalità ed economicità, riducendo in corrispondenza le dotazioni organiche. L’articolo dispone altresì la riorganizzazione delle strutture periferiche delle amministrazioni statali. Alle amministrazioni inadempienti è fatto divieto di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo e con qualsiasi contratto.

Secondo la relazione illustrativa, lo scopo è quello di completare il processo di riorganizzazione e di accorpamento delle amministrazioni centrali contenuto nelle ultime leggi finanziarie, con l'adozione di misure strutturali finalizzate all'effettivo contenimento dei costi e alla razionalizzazione della spesa degli apparati pubblici centrali e periferici.

 

Tra i recenti interventi che hanno inciso in misura più ampia e generalizzata sugli assetti organizzativi delle amministrazioni (a parte quelli di soppressione e trasformazione di enti pubblici, cui si accenna nella scheda relativa all’art. 26), si ricordano:

-        l’art. 29 del D.L. 223/2006[423], che ha disposto, a fini di riduzione delle spese per le amministrazioni statali e al fine di eliminare duplicazioni organizzative e funzionali, il riordino degli organi collegali ed altri organismi, comunque denominati, anche monocratici, delle amministrazioni pubbliche – fatta eccezione per le regioni, le province autonome, gli enti locali e gli enti del Servizio sanitario nazionale per cui la previsione costituisce principio di coordinamento della finanza pubblica[424], anche mediante soppressione o accorpamento delle strutture, da realizzare con appositi regolamenti di delegificazione (ex art. 17, co. 2, della L. 400/1988[425]) per gli organismi previsti dalla legge o da regolamento e, per i restanti, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro competente. In attuazione di tali disposizioni sono stati adottati numerosi atti di riorganizzazione[426];

-        i commi da 404 a 416 della legge finanziaria 2007, che hanno delineato un vasto programma di riorganizzazione dei ministeri con finalità di contenimento della spesa, da attuare attraverso l’adozione di regolamenti di delegificazione ex art. 17, co. 4-bis, della L. 400/1988. La disciplina in oggetto ha trovato sin qui attuazione con l’emanazione delle previste linee guida, adottate con D.P.C.M. 13 aprile 2007, e di dieci regolamenti di riorganizzazione, riferiti ad altrettanti ministeri;

-        varie disposizioni, recate dalle leggi finanziarie per il 2007 e il 2008, volte alla riduzione del numero dei componenti dei consigli di amministrazione e degli altri organi delle società partecipate o controllate da pubbliche amministrazioni, e a limitare la stessa costituzione o partecipazione a società da parte di pubbliche amministrazioni, e l’art. 2, co. 632-633, della legge finanziaria 2008, che fa divieto alle amministrazioni i cui organi di vertice non siano direttamente o indirettamente espressione di rappresentanza politica di istituire di uffici di diretta collaborazione.

 

La disposizione ha quali destinatari (comma 1):

§      Le amministrazioni dello Stato anche ad ordinamento autonomo (ivi comprese – precisa la disposizione – la Presidenza del Consiglio e le agenzie, incluse le agenzie fiscali);

§      gli enti pubblici non economici, gli enti di ricerca e gli enti pubblici di cui all'art. 70, co. 4, del D.Lgs. 165/2001[427].

 

Il comma 4 dell’art. 70 citato fa riferimento ai seguenti enti e organismi:

-        Ente autonomo esposizione universale di Roma (trasformato in società per azioni con D.Lgs. 304/1999);

-        enti autonomi lirici ed istituzioni concertistiche assimilate (trasformati in fondazioni lirico-sinfoniche con D.Lgs. 367/1996);

-        Agenzia spaziale italiana (ASI);

-        Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato;

-        Unione italiana delle camere di commercio, industria, artigianato ed agricoltura;

-        Comitato nazionale per la ricerca e lo sviluppo dell'energia nucleare e delle energie alternative (ENEA);

-        Azienda autonoma di assistenza al volo per il traffico aereo generale;

-        Registro aeronautico italiano (RAI);

-        Comitato olimpico nazionale italiano (CONI);

-        Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro;

-        Ente nazionale per l'aviazione civile (E.N.A.C.);

-        Centro nazionale per l'informatica nella pubblica amministrazione (CNIPA);

-        Cassa depositi e prestiti.

Il ridimensionamento degli assetti organizzativi dovrà essere attuato da tali organismi “secondo i rispettivi ordinamenti” (per quanto riguarda i Ministeri – è da ritenersi – mediante i regolamenti di organizzazione di cui all’art. 17, co. 4-bis, della L: 400/1988[428]). Esso dovrà comportare la riduzione degli uffici dirigenziali di livello generale e di quelli di livello non generale, in misura non inferiore, rispettivamente, al 20 e al 15 per cento, sulla base di criteri puntualmente indicati dalla norma ed orientati verso la concentrazione delle funzioni e l’accorpamento delle strutture.

In quest’ottica, è prevista anche la possibilità di pervenire ad accordi tra le amministrazioni per l’esercizio unitario di funzioni logistiche e strumentali, incluse quelle di gestione del personale (comma 2).

Anche le dotazioni organiche del personale dirigenziale e non dirigenziale dovranno essere corrispondentemente ridotte. Obiettivi minimi di riduzione (10 per cento) sono imposti adibito allo svolgimento di compiti logistico-strumentali e di supporto.

Con riguardo al personale dirigenziale, peraltro, resta ferma la possibilità di nuove immissioni introdotta dell’art. 1, co. 404, lett. a), della L. 296/2006.

 

La lett. a) citata, pur nell’ambito di un processo di riorganizzazione volto alla riduzione degli uffici dirigenziali, prevedeva la possibilità di immissione, nel quinquennio 2007-2011, di nuovi dirigenti assunti tramite concorso per esami o mediante corso-concorso[429] nell’ambito di procedure autorizzative, in misura non inferiore al 10 per cento degli uffici dirigenziali.

 

per il personale non dirigenziale si prevede una riduzione delle dotazioni organiche non inferiore al 10 per cento della relativa spesa.

La riorganizzazione concerne anche le strutture periferiche: alle amministrazioni è lasciata la facoltà di scegliere se rideterminare la rete periferica secondo un’articolazione (non inferire a quella) regionale o interregionale, ovvero se farla confluire nell’ambito degli esistenti uffici territoriali di Governo, secondo le procedure di cui al già menzionato art. 1, co. 404, lett. c), della L. 296/2006.

 

La citata lettera c)) prevedeva una revisione e riduzione delle strutture periferiche indicando due possibili percorsi: o l’accorpamento di tutti gli uffici periferici facenti capo ad una amministrazione in un unico ufficio regionale, oppure il trasferimento delle funzioni svolte da tali uffici all’interno delle prefetture – uffici territoriali del Governo.

L’accorpamento delle strutture periferiche dovrà risultare sostenibile e maggiormente funzionale sulla base dei princìpi di efficienza ed economicità. La valutazione della sostenibilità e della funzionalità dell’accorpamento dovrà essere operata congiuntamente dal ministro competente e dai ministri per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione, dell’interno, dell’economia e delle finanze e per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali.

Si ricorda che gli uffici territoriali del Governo furono istituiti dall’art 11 del D.Lgs. 300/1999 in sostituzione delle prefetture, e avrebbero dovuto assumere la titolarità di tutte le attribuzioni dell’amministrazione periferica dello Stato, ad eccezione di alcune espressamente indicate (affari esteri, giustizia, difesa, tesoro, finanze, pubblica istruzione, beni culturali, agenzie e, successivamente, anche comunicazioni). In seguito, tali uffici (con la nuova denominazione di prefetture – uffici territoriali del Governo) hanno mutato le loro funzioni, assumendo un ruolo di coordinamento degli uffici periferici dello Stato (D.Lgs. 29/2004). Anche il D.P.R. 287/2001, che individuava quali amministrazioni avrebbero dovuto trasferire agli UTG i compiti svolti dalle proprie strutture locali, è stato abrogato (D.P.R. 180/2006).

 

Ai sensi del comma 4, il processo di riorganizzazione tiene conto delle riduzioni già apportate all’assetto dei ministeri dai regolamenti emanati in attuazione del (sopra ricordato) art. 1, co. 404 e seguenti, della legge finanziaria 2007.

 

I regolamenti di riorganizzazione emanati sinora sono i seguenti:

-        D.P.R. 14 novembre 2007, n. 225 (Ministero dello sviluppo economico);

-        D.P.R. 14 novembre 2007, n. 253 (Ministero del commercio internazionale);

-        D.P.R. 19 novembre 2007, n. 254 (Ministero delle infrastrutture);

-        D.P.R. 19 novembre 2007, n. 264 (Ministero dell’università e della ricerca);

-        D.P.R. 26 novembre 2007, n. 233 (Ministero per i beni e le attività culturali);

-        D.P.R. 8 dicembre 2007, n. 271 (Ministero dei trasporti);

-        D.P.R. 19 dicembre 2007, n. 258 (Ministero degli affari esteri);

-        D.P.R. 21 dicembre 2007, n. 260 (Ministero della pubblica istruzione);

-        D.P.R. 9 gennaio 2008, n. 18 (Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali);

-        D.P.R. 30 gennaio 2008, n. 43 (Ministero dell’economia e delle finanze).

 

La Presidenza del Consiglio dei ministri è chiamata ad assicurare il conseguimento dei risultati di contenimento previsti dalla norma attraverso specifici provvedimenti del Presidente del Consiglio.

 

Il comma 5 reca una disposizione transitoria, in attesa dell'emanazione dei provvedimenti di riorganizzazione, fissando provvisoriamente le dotazioni organiche in misura pari ai posti coperti alla data del 30 giugno 2008 (salve le procedure concorsuali e di mobilità in corso).

Il comma 6 introduce una misura sanzionatoria per le amministrazioni che non provvedano alla riduzione dei propri assetti organizzativi: il divieto di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo e con qualsiasi contratto.


 

Articolo 75
(Autorità indipendenti)


1. Le Autorità indipendenti, in attesa della emanazione della specifica disciplina di riforma di cui all'articolo 3, comma 45 della legge 24 dicembre 2007, n. 244, entro quarantacinque giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto ed, in coerenza con i rispettivi ordinamenti, riconsiderano le proprie politiche in materia di personale in base ai princìpi di contenimento della relativa spesa desumibili dalle corrispondenti norme di cui al presente decreto, predisponendo allo scopo, appositi piani di adeguamento da inoltrare alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e al Ministero dell'economia e delle finanze. Nelle more delle attività di verifica dei predetti piani, da completarsi entro i quarantacinque giorni successivi alla ricezione, fatte salve eventuali motivate esigenze istruttorie, è fatto divieto di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo.

2. Presso le stesse Autorità il trattamento economico del personale già interessato dalle procedure di cui all'articolo 1, comma 519 della legge 27 dicembre 2006, n. 296 è determinato al livello iniziale e senza riconoscimento dell'anzianità di servizio maturata nei contratti a termine o di specializzazione, senza maggiori spese e con l'attribuzione di un assegno «ad personam», riassorbibile e non rivalutabile pari all'eventuale differenza tra il trattamento economico conseguito e quello spettante all'atto del passaggio in ruolo.


 

 

L’articolo in esame reca disposizioni volte a contenere la spesa per il personale delle Autorità indipendenti.

In particolare, il comma 1 dispone che le Autorità indipendenti, in attesa dell’emanazione della disciplina di riforma di cui all’art. 3, comma 45, della L. 244/2007 (legge finanziaria 2008), entro 45 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge in esame, in coerenza con i rispettivi ordinamenti, sono tenute a riconsiderare le proprie politiche per il personale in base ai principi di riduzione della relativa spesa a cui sono improntate le corrispondenti disposizioni del decreto-legge in esame, a tal fine predisponendo appositi piani di adeguamento da trasmettere alla Presidenza del Consiglio e al Ministero dell’economia.

In attesa delle attività di verifica di tali piani, che devono essere completate entro 45 giorni dalla loro ricezione, fatte salve eventuali motivate esigenze istruttorie, non si può procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo.

I commi da 43 a 53 dell’articolo 3 della L. 244/2007 recano disposizioni che limitano le erogazioni a carico della finanza pubblica volte a remunerare funzioni o attività svolte da persone fisiche nell’ambito di rapporti con pubbliche amministrazioni o altri organismi pubblici.

In particolare, il comma 45 rinvia a una futura organica legge di riforma la disciplina dei modi di finanziamento, dei controlli sulla spesa e delle retribuzioni, in conformità agli obiettivi di contenimento desumibili dal precedente comma 44. Una modifica apportata al comma dall’art. 42, comma 2, del D.L. 248/2007[430], convertito con modificazioni in L. 31/2008, recante proroghe di termini legislativi e altre disposizioni urgenti, precisa che tale riordino dovrà aver luogo nel rispetto degli adempimenti previsti dalla normativa comunitaria.

 

Il comma 2 prevede che presso le Autorità indipendenti il trattamento economico del personale già interessato dalle procedure di stabilizzazione di cui all’art. 1, comma 519, della L. 296/2006 (legge finanziaria 2007), è determinato al livello iniziale e quindi senza il riconoscimento dell’anzianità di servizio maturata nei contratti a tempo determinato o di specializzazione, senza maggiori oneri finanziari e con l’attribuzione di un assegno ad personam riassorbibile e non rivalutabile di importo pari all’eventuale differenza tra il trattamento economico già conseguito a seguito dei pregressi rapporti lavorativi con l’Autorità che procede alla stabilizzazione e quello spettante all’atto dell’immissione in ruolo.

Il richiamato articolo 1, comma 519, della legge finanziaria 2007 reca disposizioni, per l’anno 2007, relative alla stabilizzazione presso le pubbliche amministrazioni del personale precario in possesso di determinati requisiti.

In particolare, il menzionato comma ha previsto, per le amministrazioni pubbliche sottoposte al divieto di procedere ad assunzioni a tempo indeterminato di cui all’articolo 1, comma 95, della legge finanziaria per il 2005 (L. 311/2004)[431], che, per il 2007, una quota pari al 20% di quanto stanziato nel Fondo di cui all’articolo 1, comma 96, ultimo periodo, della legge finanziaria per il 2005[432], potesse essere destinata alla stabilizzazione del personale pubblico non dirigenziale che ne facesse apposita istanza e che si trovasse almeno in una delle seguenti situazioni:

-        fosse già in servizio a tempo determinato da almeno tre anni, anche non continuativi;

-        conseguisse il requisito del servizio a tempo determinato di almeno tre anni (anche non continuativi) sulla base di contratti stipulati anteriormente alla data del 29 settembre 2006;

-        fosse stato in servizio per almeno tre anni, anche non continuativi, nel quinquennio anteriore alla data di entrata in vigore della legge finanziaria 2007.

Per beneficiare della stabilizzazione, inoltre, il personale in possesso dei requisiti sopra citati doveva essere stato assunto mediante procedure selettive di natura concorsuale o previste da norme di legge. Invece alla eventuale stabilizzazione di personale che, pur presentando gli altri requisiti richiesti, sia stato assunto a tempo determinato con procedure diverse, si provvede previo espletamento di prove selettive.

Il comma in questione ha previsto inoltre che le predette amministrazioni, nelle more delle procedure di stabilizzazione, erano autorizzate a continuare ad avvalersi del personale a tempo determinato (in possesso requisiti di cui sopra) in servizio al 31 dicembre 2006, e prioritariamente - per le Forze armate, l'Arma dei carabinieri e il Corpo della guardia di finanza -degli ufficiali in ferma prefissata.


 

Articolo 76, commi 1-2 e 4-7
(Spese di personale per gli enti locali e delle camere di commercio)


1. All'articolo 1, comma 557, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 e successive modificazioni è aggiunto alla fine il seguente periodo: «ai fini dell'applicazione della presente norma, costituiscono spese di personale anche quelle sostenute per i rapporti di collaborazione continuata e continuativa, per la somministrazione di lavoro, per il personale di cui all'articolo 110 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, nonché per tutti i soggetti a vario titolo utilizzati, senza estinzione del rapporto di pubblico impiego, in strutture e organismi variamente denominati parte­cipati o comunque facenti capo all'ente».

2. L' articolo 3, comma 121, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 è abrogato.

(omissis)

4. In caso di mancato rispetto del patto di stabilità interno nell'esercizio precedente è fatto divieto agli enti di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo, con qualsivoglia tipologia contrattuale, ivi compresi i rapporti di collaborazione continuata e continuativa e di sommini­strazione, anche con riferimento ai processi di stabilizzazione in atto. È fatto altresì divieto agli enti di stipulare contratti di servizio con soggetti privati che si configurino come elusivi della presente disposizione.

5. Ai fini del concorso delle autonomie regionali e locali al rispetto degli obiettivi di finanza pubblica, gli enti sottoposti al patto di stabilità interno assicurano la riduzione dell'incidenza percentuale delle spese di personale rispetto al complesso delle spese correnti, con particolare riferimento alle dinamiche di crescita della spesa per la contrattazione integrativa, tenuto anche conto delle corrispondenti disposizioni dettate per le amministrazioni statali.

6. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, da emanarsi entro novanta giorni dall'entrata in vigore del presente decreto, previo accordo tra Governo, regioni e autonomie locali da concludersi in sede di conferenza unificata, sono definiti parametri e criteri di virtuosità, con correlati obiettivi differenziati di risparmio, tenuto conto delle dimensioni demografiche degli enti, delle percentuali di incidenza delle spese di personale attualmente esistenti rispetto alla spesa corrente e dell'andamento di tale tipologia di spesa nel quinquennio precedente. In tale sede sono altresì definiti:

a) criteri e modalità per estendere la norma anche agli enti non sottoposti al patto di stabilità interno;

b) criteri e parametri - con riferimento agli articoli 90 e 110 del decreto legislativo n. 267 del 2000 e considerando in via prioritaria il rapporto tra la popolazione dell'ente ed il numero dei dipendenti in servizio - volti alla riduzione dell'affida­mento di incarichi a soggetti esterni all'ente, con particolare riferimento agli incarichi dirigenziali e alla fissazione di tetti retributivi non superabili in relazione ai singoli incarichi e di tetti di spesa complessivi per gli enti;

c) criteri e parametri - considerando quale base di riferimento il rapporto tra numero dei dirigenti e dipendenti in servizio negli enti - volti alla riduzione dell'incidenza percentuale delle posizioni dirigenziali in organico.

7. Fino all'emanazione del decreto di cui al comma 2 è fatto divieto agli enti nei quali l'incidenza delle spese di personale è pari o superiore al 50% delle spese correnti di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo e con qualsivoglia tipologia contrattuale.


 

 

L’articolo 76 reca una serie di misure dirette alla riduzione e alla razionalizzazione della spesa di personale degli enti locali.

Tali disposizioni di contenimento introdotte dall’articolo non producono peraltro effetti di risparmio, in quanto, a legislazione vigente, le norme che impongono agli enti locali il contenimento delle spese di personale si pongono come strumentali rispetto all’obiettivo del rispetto del Patto di stabilità interno, incentrato sul controllo dei saldi finanziari.

 

Il comma 1 novella il comma 557 della legge finanziaria per il 2007 (legge n. 296/2006), che reca disposizioni di contenimento della spesa per il personale da parte degli enti locali sottoposti al patto di stabilità interno.

La novella introduce una precisazione in merito alla definizione del concetto di spesa di personale negli enti locali.

Ai fini dell’applicazione delle disposizioni di contenimento della spesa di personale previste dal citato comma 557, la novella specifica che rientrano nelle spese di personale anche quelle sostenute per i rapporti di collaborazione continuata e continuativa, per la somministrazione di lavoro, per il personale a contratto per la copertura dei posti di responsabili dei servizi o degli uffici, di qualifiche dirigenziali o di alta specializzazione, di cui all’articolo 110 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, nonché per tutti i soggetti a vario titolo utilizzati, senza estinzione del rapporto di pubblico impiego, in strutture e organismi variamente denominati partecipati o comunque facenti capo all’ente.

 

Il comma 557 della legge n. 296/2006 interviene in merito al contenimento della spesa per il personale da parte degli enti territoriali, indicando ai medesimi enti, come principi orientativi, una serie di regole fissate per le amministrazioni dello Stato su cui possono far leva, nella loro autonomia, per ridurre la spesa di personale in funzione del rispetto dei saldi finanziari fissati dalle regole del patto di stabilità interno[433].

La norma - da ultimo integrata dall’art. 3, comma 120, della legge finanziaria per il 2008 - dispone peraltro che eventuali assunzioni in deroga al principio generale di riduzione complessiva della spesa di personale, disposte ai sensi dall’articolo 19, comma 8, della legge n. 448/2001[434] (legge finanziaria per il 2002), da parte degli enti locali sottoposti al patto di stabilità interno, devono comunque assicurare il rispetto delle seguenti condizioni:

a)   che l’ente abbia rispettato il patto di stabilità nell’ultimo triennio;

b)   che il volume complessivo della spesa per il personale in servizio non sia superiore al parametro obiettivo valido ai fini dell’accertamento della condizione di ente strutturalmente deficitario[435];

c)   che il rapporto medio tra dipendenti in servizio e popolazione residente non superi quello determinato per gli enti in condizioni di dissesto.

 

Il comma 2 abroga il comma 121 dell’articolo 3 della legge finanziaria per il 2008 (legge n. 244/2007), che, novellando l’art. 1, comma 562, della legge finanziaria per il 2007, introduceva alcune condizioni alle possibilità di assunzioni in deroga al principio generale di riduzione complessiva della spesa di personale, disposte ai sensi dall’articolo 19, comma 8, della legge n. 448/2001 (legge finanziaria per il 2002), da parte degli enti locali non sottoposti al patto di stabilità interno.

Come già sopra ricordato, la disposizione di cui all’articolo 19, comma 8, della legge n. 448/2001 prevede che, a decorrere dal 2002, gli organi di revisione contabile degli enti locali sono tenuti ad accertare che i documenti di programmazione del fabbisogno di personale siano improntati al rispetto del principio di riduzione programmata della spesa di personale, disposta ai sensi dell'art. 39 della legge n. 449/1997, e che eventuali deroghe a tale principio siano analiticamente motivate.

In particolare, la norma abrogata prescriveva, per le assunzioni in deroga, il rispetto delle seguenti ulteriori condizioni:

a)  che il volume complessivo della spesa per il personale in servizio non fosse superiore al parametro obiettivo valido ai fini dell’accertamento della condizione di ente strutturalmente deficitario, ridotto del 15%;

b)  che il rapporto medio tra dipendenti in servizio e popolazione residente non superasse quello determinato per gli enti in condizioni di dissesto, ridotto del 20%.

 

Si ricorda, a tale riguardo, che le disposizioni in tema di contenimento delle spese di personale degli enti locali non sottoposti alle regole del patto di stabilità interno sono recate dal comma 562 della legge finanziaria 2007, che impone agli enti un duplice limite in tema di spesa per il personale. Da un lato, tali enti non devono superare l’ammontare della spesa per il personale effettuata nel 2004. A tal fine le spese di personale si considerano al lordo degli oneri contributivi e dell’IRAP, mentre non comprendono gli oneri relativi ai rinnovi contrattuali. Dall’altro, i medesimi enti possono effettuare assunzioni di personale (è da intendersi: a tempo indeterminato)nel limite delle cessazioni di rapporti di lavoro a tempo indeterminato complessivamente avvenute nell'anno precedente, anche ai fini della stabilizzazione del personale precario.

 

Il comma 4 introduce una misura sanzionatoria nei confronti delle regioni e degli enti locali nel caso di mancato raggiungimento degli obiettivi posti dal patto di stabilità interno.

In particolare, la norma introduce, per gli enti che non abbiano rispettato il patto di stabilità interno nell’esercizio precedente, il divietodi procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo, con qualsivoglia tipologia contrattuale, ivi compresi i rapporti di collaborazione continuata e continuativa e di somministrazione, anche con riferimento ai processi di stabilizzazione in atto.

E’ fatto altresì divieto agli enti di stipulare contratti di servizio con soggetti privati che si configurino come elusivi della presente disposizione.

 

Va segnalato che ai sensi della vigente disciplina del patto di stabilità interno recata dalla legge finanziaria per il 2007 (legge n. 296/2006 e successive modificazioni, articolo 1, commi 655-672, per le regioni e commi 676-693, per gli enti locali), le misure sanzionatorie per le ipotesi di mancato raggiungimento degli obiettivi del patto di stabilità da parte degli enti territoriali consistono in un meccanismo di automatismo fiscale (incremento dell’imposta sulla benzina per autotrazione e della tassa automobilistica per le regioni, e delle aliquote dell’addizionale comunale all’IRPEF e dell’imposta provinciale di trascrizione, per gli enti locali), che si attiva qualora l’ente, a seguito della diffida del Presidente del Consiglio dei Ministri, non adotti autonomamente le necessarie misure per il riassorbimento dello scostamento.

La vigente disciplina ha peraltro notevolmente innovato rispetto alla precedente disciplina del Patto, in vigore fino al 2006, incentrata al controllo delle spese finali degli enti territoriali piuttosto che sul miglioramento dei saldi,in cui le sanzioni per il mancato rispetto del patto consistevano, invece, in misure correttive agli andamenti di spesa degli enti locali, ed in particolare: divieto di effettuare spese per l’acquisto di beni e servizi in misura superiore ad una percentuale stabilita, divieto di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo, divieto di ricorrere all’indebitamento per finanziare nuovi investimenti (cfr. da ultimo, l’articolo 1, comma 33, della legge n. 311/2004).

 

Ai fini del contenimento delle spese di personale, il comma 5 impone agli enti locali sottoposti al patto di stabilità interno di ridurre l’incidenza percentuale delle spese di personale rispetto al complesso delle loro spese correnti, con particolare riferimento alle dinamiche di crescita della spesa per la contrattazione integrativa, tenuto anche conto delle corrispondenti disposizioni dettate per le amministrazioni statali.

Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, da emanarsi entro novanta giorni dall’entrata in vigore del decreto-legge in esame, previo accordo tra Governo, regioni e autonomie locali in sede di conferenza unificata, saranno definiti parametri e criteri di virtuosità, con correlati obiettivi differenziati di risparmio.

Tali criteri e parametri saranno individuati tenendo conto delle dimensioni demografiche degli enti, delle percentuali di incidenza delle spese di personale attualmente esistenti rispetto alla spesa corrente e dell’andamento di tale tipologia di spesa nel quinquennio precedente (comma 6).

 

Con il medesimo decreto saranno altresì definiti:

a)  criteri e modalità per estendere la norma anche agli enti non sottoposti al patto di stabilità interno;

b)  criteri e parametri per la riduzione dell’affidamento di incarichi a soggetti esterni all’ente, con particolare riferimento agli incarichi dirigenziali e alla fissazione di tetti retributivi non superabili in relazione ai singoli incarichi e di tetti di spesa complessivi per gli enti, con riferimento agli articoli 90 e 110 del decreto legislativo n. 267/2000 e considerando in via prioritaria il rapporto tra la popolazione dell’ente ed il numero dei dipendenti in servizio;

c)  criteri e parametri per la riduzione dell’incidenza percentuale delle posizioni dirigenziali in organico, considerando quale base di riferimento il rapporto tra numero dei dirigenti e dipendenti in servizio negli enti.

 

Fino all’emanazione del suddetto decreto è fatto divieto agli enti nei quali l’incidenza delle spese di personale è pari o superiore al 50% delle spese correnti di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo e con qualsivoglia tipologia contrattuale (comma 7).


 

Articolo 76, comma 3
(Indennità degli amministratori locali)

3. L'articolo 82, comma 11, del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 e successive modificazioni è sostituito dal seguente: «La corresponsione dei gettoni di presenza è comunque subordinata alla effettiva partecipazione del consigliere a consigli e commissioni; il regolamento ne stabilisce termini e modalità».

 

 

Il comma 3, sostituendo il comma 11 dell’articolo 82 del testo unico sull’ordinamento degli enti locali (D.Lgs. 267/2000[436]), elimina la possibilità per gli organi degli enti locali di incrementare, con delibera del consiglio o della giunta, le indennità di funzione spettanti ai sindaci, ai presidenti di provincia, agli assessori comunali e provinciali e ai presidenti delle assemblee.

 

D.Lgs. 267/2000
Testo previgente

D.Lgs. 267/2000
Testo modificato dal DL 112/2008

Articolo 82
Indennità

Articolo 82
Indennità

Si omettono i commi da 1 a 10

 

11. Le indennità di funzione, determinate ai sensi del comma 8, possono essere incrementate con delibera di giunta, relativamente ai sindaci, ai presidenti di provincia e agli assessori comunali e provinciali, e con delibera di consiglio per i presidenti delle assemblee. Sono esclusi dalla possibilità di incremento gli enti locali in condizioni di dissesto finanziario fino alla conclusione dello stesso, nonché gli enti locali che non rispettano il patto di stabilità interno fino all’accertamento del rientro dei parametri. Le delibere adottate in violazione del precedente periodo sono nulle di diritto. La corresponsione dei gettoni di presenza è comunque subordinata alla effettiva partecipazione del consigliere a consigli e commissioni; il regolamento ne stabilisce termini e modalità. Nel caso di incremento la spesa complessiva risultante non deve superare una quota predeterminata dello stanziamento di bilancio per le spese correnti, fissata, in rapporto alla dimensione demografica degli enti, dal decreto di cui al comma 8.

11.















La corresponsione dei gettoni di presenza è comunque subordinata alla effettiva partecipazione del consigliere a consigli e commissioni; il regolamento ne stabilisce termini e modalità.

 

Si ricorda preliminarmente che le disposizioni del TUEL non trovano applicazione nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano[437] che, in forza dell’autonomia normativa in materia di ordinamento degli enti locali loro riconosciuta, hanno emanato specifiche disposizioni.

 

L’art. 82, comma 11, nel testo previgente, prevedeva che le indennità di carica dei sindaci, presidenti di provincia, assessori comunali e provinciali e presidenti delle assemblee potessero essere aumentate con delibera consiliare o della giunta, sulla base di valutazioni e scelte politiche e di gestione.

La possibilità di aumento delle indennità era preclusa agli enti locali che si trovassero in condizioni di dissesto finanziario, sussistendo l’esclusione fino al superamento di tale stato, e agli enti locali che non rispettassero il patto di stabilità interno, fino all’accertamento del rientro dei parametri. Per le delibere adottate in violazione di tali divieti era sancita la nullità di diritto.

Era previsto un limite agli incrementi: la spesa complessiva per le indennità risultante non doveva superare una quota dello stanziamento di bilancio per le spese correnti, fissata, in rapporto alla dimensione demografica degli enti, dalla tabella D del D.M. 119/2000[438].

Il comma 11 dell’art. 82 è stato di recente modificato, nella formulazione ora illustrata, dall’art. 2, comma 25, lettera d), della legge finanziaria 2008 (vedi infra).

L’indennità degli amministratori locali

La disciplina dell’indennità degli amministratori locali trova il suo fondamento nell’art. 82 del TUEL.

L’indennità che compete al sindaco e agli assessori ha natura diversa rispetto a quella spettante ai consiglieri. Mentre l’indennità di funzione è connessa alla carica, i gettoni di presenza sono corrisposti per l’effettiva partecipazione alle sedute del consiglio.

Il comma 1 dell’articolo 82 attribuisce un’indennità di funzione ai seguenti componenti degli organi esecutivi e consiliari:

-          sindaco;

-          presidente della provincia;

-          sindaco metropolitano;

-          presidente di comunità montana;

-          presidente del consiglio circoscrizionale nei soli comuni capoluogo di provincia;

-          presidente del consiglio comunale;

-          presidente del consiglio provinciale.

 

L’indennità di funzione spetta inoltre ai componenti degli organi esecutivi di:

-          comuni e loro articolazioni, ove previste;

-          province;

-          città metropolitane;

-          comunità montane;

-          unioni di comuni;

-          consorzi fra enti locali.

Tale indennità è dimezzata per gli amministratori locali che sono lavoratori dipendenti e che, non avendo richiesto l’aspettativa non retribuita, continuano a lavorare; questi soggetti percepiscono la retribuzione dal datore di lavoro e usufruiscono, per lo svolgimento delle funzioni connesse all’espletamento del mandato, dei permessi retribuiti previsti dall’art. 79 del TUEL.

Agli amministratori ai quali viene corrisposta l’indennità di funzione non è dovuto alcun gettone per la partecipazione a sedute degli organi collegiali del medesimo ente, né di commissioni che di quell’organo costituiscono articolazioni interne ed esterne (art. 82, comma 7).

I gettoni di presenza

Ai sensi del comma 2 dell’art. 82, hanno diritto a percepire un gettone di presenza per la partecipazione a consigli e commissioni i componenti degli organi elettivi di seguito indicati:

-        consiglieri comunali;

-        consiglieri provinciali;

-        consiglieri circoscrizionali, limitatamente ai comuni capoluogo di provincia;

-        consiglieri delle comunità montane.

La legge pone un tetto agli emolumenti dei componenti degli organi elettivi, stabilendo che l’ammontare percepito nell’àmbito di un mese da un consigliere non può comunque superare un quarto dell’indennità massima prevista per il rispettivo sindaco o presidente (comma 2, secondo periodo).

Determinazione della misura delle indennità e dei gettoni di presenza

La determinazione della misura base delle indennità di funzione e dei gettoni di presenza è demandata (comma 8) ad un regolamento ministeriale adottato con decreto del ministro dell’interno, di concerto con il ministro del tesoro (ora dell’economia e finanze), sentita la Conferenza Stato-città e autonomie locali, nel rispetto di specifici criteri.

Oltre all’assenza di maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato, i criteri sono i seguenti:

-        equiparazione del trattamento per categorie di amministratori;

-        articolazione delle indennitàin rapporto con la dimensione demografica degli enti, tenuto conto, tra l’altro della percentuale delle entrate proprie dell’ente rispetto al totale delle entrate e dell’ammontare del bilancio di parte corrente;

-        articolazione dell’indennità di funzione dei presidenti dei consigli, dei vice sindaci e dei vice presidenti delle province, degli assessori, in rapporto alla misura della stessa stabilita per il sindaco e per il presidente della provincia;

-        definizione di speciali indennità di funzione per gli amministratori delle città metropolitanein relazione alle particolari funzioni ad esse assegnate;

-        determinazione dell’indennità spettante al presidente della provincia e al sindaco in misura comunque, non inferiore al trattamento economico fondamentale del segretario generale dei rispettivi enti o, per i comuni con meno di 10.000 abitanti, del trattamento economico del segretario comunale;

-        previsione dell’indennità di fine mandato dei sindaci e dei presidenti di provincia.

Il vigente regolamento è stato approvato con D.M. 4 aprile 2000, n. 119[439].

Le maggiorazioni in presenza di determinate condizioni demografiche e finanziarie

L’importo dell’indennità base e dei gettoni di presenza è soggetto alle maggiorazioni previste dall’art. 2 del D.M. 119/2000, quando si verifichino per il comune o la provincia le seguenti condizioni demografiche o finanziarie:

-        fluttuazioni stagionali della popolazione del comune (dovute al turismo, alla presenza di sedi universitarie o ad altri fattori comunque documentabili) che incrementino almeno del 30 per cento la popolazione dimorante (maggiorazione del 5 per cento);

-        rapporto tra entrate proprie dell’ente e totale dell’entrate superiore alla media regionale per fasce demografiche (maggiorazione del 3 per cento);

-        spesa corrente pro capite superiore alla media regionale per fasce demografiche (maggiorazione del 2 per cento).

La facoltà degli organi degli enti locali di incrementare l’indennità

Prima dell’entrata in vigore della disposizione di cui all’art. 76, comma 3, in esame, come già ricordato (vedi supra), la misura dell’indennità di funzione dei sindaci, presidenti di provincia, assessori comunali e provinciali e presidenti delle assemblee poteva essere aumentata con delibera del consiglio o della giunta, entro determinati limiti e a condizione che l’ente rispettasse il patto di stabilità e non si trovasse in condizioni di dissesto finanziario (art. 82, comma 11).

I tagli alle spese per la rappresentanza negli enti locali

Nel quadro delle misure per il contenimento della spesa pubblica, il legislatore è già intervenuto nelle precedenti manovre finanziarie nella materia disciplinata dall’art. 82, comma 11, del TUEL: la L. 266/2005 (legge finanziaria 2006), all’art. 1, comma 201, ha disposto in via generale che gli enti locali possono concorrere al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica attraverso interventi diretti alla riduzione dei costi di funzionamento degli organi istituzionali, da adottare ai sensi dell’art. 82, comma 11, del TUEL (che nel testo allora vigente prevedeva la possibilità per gli enti locali non solo di aumentare, ma anche di ridurre, le indennità e i gettoni di presenza degli amministratori locali). L’art. 1, co. 54, della stessa L. 266/2005 ha ridotto del 10 per cento, rispetto all’ammontare risultante alla data del 30 settembre 2005, le indennità di funzione e i gettoni di presenza spettanti agli amministratori regionali e locali, e i compensi comunque dovuti, in ragione della carica rivestita, ai medesimi soggetti per la partecipazione ad organi collegiali.

Il disegno di legge finanziaria per il 2007 (A.C. 1746-bis), nel testo originario presentato dal Governo, prevedeva, all’art. 76, comma 1, lett. i), una disposizione analoga a quella introdotta dall’art. 76, comma 3, in esame, e cioè la soppressione della facoltà per gli organi degli enti locali di aumentare, ai sensi dell’art. 82, comma 11, del TUEL, le indennità e i gettoni di presenza, mantenendo ferma la possibilità di apportare riduzioni a tali emolumenti. La disposizione stabiliva inoltre che gli eventuali incrementi già disposti dovessero essere eliminati dalle amministrazioni locali entro un mese dall’entrata in vigore della legge finanziaria 2007. La previsione illustrata venne successivamente soppressa nel corso dell’esame al Senato in seguito all’approvazione del “maxiemendamento” del Governo.

L’art. 1, comma 718, della L. 296/2006 (legge finanziaria 2007) ha escluso che gli amministratori locali, componenti di organi di amministrazione di società di capitali partecipate dallo stesso ente, possano ricevere emolumenti a carico da tali società. Il comma 719 ha limitato la corresponsione dell’indennità di fine mandato agli amministratori locali ai soli casi in cui il mandato elettivo abbia avuto una durata superiore a 30 mesi; l’art.1, comma 731 ha eliminato l’indennità di funzione e il gettone di presenza prevista rispettivamente per i presidenti dei consigli circoscrizionali e i consiglieri circoscrizionali con l’eccezione di quelli delle circoscrizioni dei comuni capoluogo di provincia.

Il 12 luglio 2007 è stato siglato tra il Governo, le regioni e gli enti locali un patto per il contenimento dei costi delle istituzioni i cui principi sono confluiti, nelle parti di competenza statale, nello schema di disegno di legge sul contenimento dei costi politico-amministrativi approvato dal Consiglio dei ministri il 13 luglio 2007, che non è stato successivamente presentato alle Camere.

La L. 244/2007 (legge finanziaria 2008) reca numerose disposizioni in materia. In particolare essa prevede una riforma, da attuarsi mediante leggi delle singole regioni, della disciplina delle comunità montane, al fine della loro razionalizzazione e del contenimento dei costi (art. 2, commi da 16 a 22); la riduzione del tetto massimo degli assessori comunali e provinciali negli enti di maggiori dimensioni; la modifica del regime delle aspettative degli amministratori locali; la riduzione dell’ammontare del gettone di presenza; la riduzione del tetto massimo delle indennità del presidente e degli assessori di unioni di comuni, consorzi e comunità montane; l’eliminazione della facoltà di adeguare gli importi dei gettoni di presenza; la limitazione della possibilità di incremento dell’indennità unicamente per i sindaci, i presidenti di provincia, gli assessori e i presidenti delle assemblee; la sostituzione dell’indennità di missione percepita dagli amministratori locali in caso di viaggio con un rimborso forfetario onnicomprensivo (art. 2, commi da 23 a 32).


 

Articolo 76, comma 8
(Personale delle aziende speciali delle Camere di commercio)

8. Il personale delle aziende speciali create dalle camere di commercio non può transitare, in caso di cessazione dell'attività delle aziende medesime, alle camere di commercio di riferimento, se non previa procedura selettiva di natura concorsuale e, in ogni caso, a valere sui contingenti di assunzioni effettuabili in base alla vigente normativa. Sono disapplicate le eventuali disposizioni statutarie o regolamentari in contrasto con il presente articolo.

 

 

Al comma 8 si prevede che il personale delle aziende speciali create dalle camere di commercio, in caso di cessazione dell’attività delle aziende medesime, possa transitare alle camere di commercio di riferimento solo previa procedura selettiva di natura concorsuale e, in ogni caso, a valere sui contingenti di assunzioni effettuabili in base alla vigente normativa. Sono disapplicate le eventuali disposizioni statutarie o regolamentari in contrasto con la disposizione in esame.

Nella relazione tecnica allegata al decreto-legge in esame si avverte che la norma in commento non ha effetti diretti in termini di finanza pubblica. I risparmi di spesa che si dovessero determinare sarebbero acquisiti ai bilanci degli enti, contribuendo al rispetto degli equilibri di bilancio dei medesimi.

 


 

Articolo 77
(Patto di stabilità interno)


1. Ai fini della tutela dell'unità economica della Repubblica, le regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano, le province e i comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti concorrono alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica per il triennio 2009/2011 nelle misure seguenti in termini di fabbisogno e indebitamento netto:

a) il settore regionale per 1.500, 2.300 e 4.060 milioni, rispettivamente, per gli anni 2009, 2010 e 2011;

b) il settore locale per 1.650, 2.900 e 5.140 milioni, rispettivamente, per gli anni 2009, 2010 e 2011.

2. Nel caso in cui non fossero approvate entro il 31 luglio 2008 le disposizioni legislative per la disciplina del nuovo patto di stabilità interno, volta a conseguire gli effetti finanziari di cui al comma 1, gli stanziamenti relativi agli interventi individuati nell'elenco 2 annesso alla presente legge sono accantonati e possono essere utilizzati solo dopo l'approvazione delle predette disposizioni legislative.


 

 

L’articolo 77 definisce gli obiettivi finanziari del patto di stabilità interno per le regioni e gli enti locali per il triennio 2009-2011, fissando la misura del concorso delle autonomie territoriali alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica per il triennio 2009-2011.

 

Ai sensi del comma 1, il contributo della finanza regionale e locale al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica è indicato, in termini di fabbisogno e di indebitamento netto, nei seguenti importi:

a)   per il comparto regionale (regioni e province autonome di Trento e di Bolzano): 1.500 milioni di euro per l’anno 2009, 2.300 milioni di euro per l’anno 2010 e 4.060 milioni di euro per l’anno 2011;

b)   per il comparto locale (province e comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti): 1.650 milioni di euro per l’anno 2009, 2.900 milioni di euro per l’anno 2010 e 5.140 milioni di euro per l’anno 2011.

 

Nel complesso, dunque, dall’applicazione del Patto di stabilità interno per gli enti territoriali nel triennio dovrebbero derivare risparmi stimati, complessivamente, in 3.150 milioni di euro nel 2009, 5.200 milioni di euro nel 2010 e in 9.200 milioni di euro nel 2011.

 

La norma in esame si limita ad indicare gli obiettivi di risparmio che verrebbero conseguiti dal comparto delle autonomie territoriali dall’applicazione del nuovo Patto di stabilità per il triennio 2009-2011,ma non reca alcuna indicazione circa le regole del nuovo Patto.

Il comma 2 prevede infatti che le disposizioni legislative recanti la nuova disciplina del Patto di stabilità interno per il triennio 2009-2011, volta al conseguimento degli obiettivi finanziari fissati dal comma 1, sarà approvata entro il 31 luglio 2008.

 

Dalla formulazione della norma non risulta peraltro chiaro se le disposizioni legislative recanti la disciplina del Patto di stabilità, da approvarsi entro il 31 luglio, saranno introdotte nel provvedimento in esame, nel corso dell’esame parlamentare, ovvero se si prevede di utilizzare uno strumento normativo specifico.

 

In attesa della definizione delle nuove regole del Patto, al fine di scontare immediatamente gli effetti finanziari ad esso collegati, indicati dal comma 1, la disposizione in esame prevede l’accantonamento degli stanziamenti relativi agli interventi individuati nell’elenco 2 annesso al provvedimento, per importi complessivamente corrispondenti all’entità del contributo alla manovra degli enti territoriali.

Le risorse accantonate, di cui all’elenco 2, potranno essere disponibili soltanto successivamente all’approvazione delle disposizioni legislative recanti la nuova disciplina del Patto di stabilità interno.

L’elenco 2 in questione indica i capitoli di bilancio e i relativi importi che vengono accantonati:

 

Accantonamenti Bilancio 2009 (milioni di euro)

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE

Cap. 2856:  Fondo relativo alle risorse finanziarie occorrenti per l'attuazione del federalismo amministrativo

900

Accantonamento corrispondente ai risparmi derivanti dall’applicazione del Patto di stabilità alle regioni a statuto ordinario

Cap. 2797:  Fondo occorrente per l'attuazione dell'ordinamento regionale delle regioni a statuto speciale

310

Accantonamento corrispondente ai risparmi derivanti dall’applicazione del Patto di stabilità alle regioni a statuto speciale (escluse Sicilia e Friuli-Venezia Giulia)

Cap. 2700:  Fondo sanitario nazionale

210

Accantonamento corrispondente ai risparmi derivanti dall’applicazione del Patto di stabilità alla regione siciliana

Cap. 2856: Fondo relativo alle risorse finanziarie occorrenti per l'attuazione del federalismo amministrativo

Cap. 2702: contributo alla regione Friuli Venezia Giulia a titolo di anticipazione sulle maggiori compartecipazioni ai tributi statali, da devolvere in relazione al maggiore fabbisogno della spesa sanitaria

53


27

Accantonamento corrispondente ai risparmi derivanti dall’applicazione del Patto di stabilità alla regione Friuli-Venezia Giulia

MINISTERO DELL’INTERNO

Cap. 1316:  Fondo ordinario per il finanziamento dei bilanci degli enti locali

1.650

Accantonamento corrispondente ai risparmi derivanti dall’applicazione del Patto di stabilità agli enti locali

 


 

Articolo 78
(Disposizioni urgenti per Roma capitale)


1. Al fine di assicurare il raggiungimento degli obiettivi strutturali di risanamento della finanza pubblica e nel rispetto dei princìpi indicati dall'articolo 119 della Costituzione, nelle more dell'approvazione della legge di disciplina dell'ordinamento, anche contabile, di Roma Capitale ai sensi dell'articolo 114, terzo comma, della Costituzione, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, il Sindaco del comune di Roma, senza oneri aggiuntivi a carico dello Stato è nominato Commissario straordinario del Governo per la ricognizione della situazione economico-finanziaria del comune e delle società da esso partecipate, con esclusione di quelle quotate nei mercati regolamentati, e per la predisposizione ed attuazione di un piano di rientro dall'indebitamento pregresso.

2. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri:

a) sono individuati gli istituti e gli strumenti disciplinati dal Titolo VIII del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, di cui può avvalersi il Commissario straordinario, parificato a tal fine all'organo straordinario di liquidazione, fermo restando quanto previsto al comma 6;

b) su proposta del Commissario straordinario, sono nominati tre subcommissari, ai quali possono essere conferite specifiche deleghe dal Commissario, uno dei quali scelto tra i magistrati ordinari, amministrativi e contabili, uno tra i dirigenti della Ragioneria generale dello Stato e uno tra gli appartenenti alla carriera prefettizia o dirigenziale del Ministero dell'interno, collocati in posizione di fuori ruolo o di comando per l'intera durata dell'incarico. Per l'espletamento degli anzidetti incarichi gli organi commissariali non hanno diritto ad alcun compenso o indennità, oltre alla retribuzione, anche accessoria, in godimento all'atto della nomina, e si avvalgono delle strutture comunali. I relativi posti di organico sono indisponibili per la durata dell'incarico.

3. La gestione commissariale del comune assume, con bilancio separato rispetto a quello della gestione ordinaria, tutte le entrate di competenza e tutte le obbligazioni assunte alla data del 28 aprile 2008. Le disposizioni dei commi precedenti non incidono sulle competenze ordinarie degli organi comunali relativamente alla gestione del periodo successivo alla data del 28 aprile 2008.

4. Il piano di rientro, con la situazione economico-finanziaria del comune e delle società da esso partecipate di cui al comma 1, gestito con separato bilancio, entro il 30 settembre 2008, ovvero entro altro termine indicato nei decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri di cui ai commi 1 e 2, è presentato dal Commissario straordinario al Governo, che l'approva entro i successivi trenta giorni, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, individuando le coperture finanziarie necessarie per la relativa attuazione nei limiti delle risorse allo scopo destinate a legislazione vigente. È autorizzata l'apertura di una apposita contabilità speciale. Al fine di consentire il perseguimento delle finalità indicate al comma 1, il piano assorbe, anche in deroga a disposizioni di legge, tutte le somme derivanti da obbligazioni contratte, a qualsiasi titolo, alla data di entrata in vigore del presente decreto, anche non scadute, e contiene misure idonee a garantire il sollecito rientro dall'indebitamento pregresso. Il Commissario straordinario potrà recedere, entro lo stesso termine di presentazione del piano, dalle obbligazioni contratte dal Comune anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto.

5. Per l'intera durata del regime commissariale di cui al presente articolo non può procedersi alla deliberazione di dissesto di cui all'articolo 246, comma 1, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.

6. I decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri di cui ai commi 1 e 2 prevedono in ogni caso l'applicazione, per tutte le obbligazioni contratte anteriormente alla data di emanazione del medesimo decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, dei commi 2, 3 e 4 dell'articolo 248 e del comma 12 dell'articolo 255 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267. Tutte le entrate del comune di competenza dell'anno 2008 e dei successivi anni sono attribuite alla gestione corrente, di competenza degli organi istituzionali dell'Ente.

7. Ai fini dei commi precedenti, per il comune di Roma sono prorogati di sei mesi i termini previsti per l'approvazione del rendiconto relativo all'esercizio 2007, per l'adozione della delibera di cui all'articolo 193, comma 2, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 e per l'assestamento del bilancio relativo all'esercizio 2008.

8. Nelle more dell'approvazione del piano di rientro di cui al presente articolo, la Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. concede al comune di Roma una anticipazione di 500 milioni di euro a valere sui primi futuri trasferimenti statali ad esclusione di quelli compensativi per i mancati introiti di natura tributaria.


 

 

L’articolo 78 reca disposizioni volte a favorire il rientro dall’indebitamento pregresso del Comune di Roma.

 

A tal fine, il comma 1 prevede, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, la nomina del Sindaco del comune di Roma a Commissario straordinario del Governo, ai fini della ricognizione della situazione economico-finanziaria del comune e delle società da esso partecipate, con esclusione di quelle quotate nei mercati regolamentati, e della predisposizione ed attuazione di un piano di rientro dall’indebitamento pregresso del comune.

La disposizione non comporta oneri aggiuntivi a carico dello Stato.

 

La norma è posta in relazione all’esigenza di assicurare il raggiungimento degli obiettivi strutturali di risanamento della finanza pubblica, nel rispetto dei principi indicati dall’art. 119 della Costituzione, nelle more dell’approvazione della legge di disciplina dell’ordinamento, anche contabile, di Roma Capitale, ai sensi dell’articolo 114, terzo comma, della Costituzione.

 

Il comma 2 prevede che con decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri:

§      siano individuati gli istituti e gli strumenti di cui può avvalersi il Commissario straordinario, tra quelli disciplinati dal Titolo VIII del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), relativo alle procedure di risanamento finanziario degli enti locali deficitarii o in situazione di dissesto finanziario.

A tal fine, il Commissario straordinario del Governo è parificato all’organo straordinario di liquidazione, che è l’organo competente al ripiano dell'indebitamento pregresso degli enti in condizioni di dissesto finanziario[440]. Va sottolineato, in merito, che ai sensi del successivo comma 5 dell’articolo in esame, è esclusa la possibilità di procedere alla deliberazione di dissesto durante il regime commissariale;

§      siano nominati, su proposta del Commissario straordinario, tre subcommissari, ai quali possono essere conferite specifiche deleghe dal Commissario, uno dei quali scelto tra i magistrati ordinari, amministrativi e contabili, uno tra i dirigenti della Ragioneria generale dello Stato e uno tra gli appartenenti alla carriera prefettizia o dirigenziale del Ministero dell’interno, collocati in posizione di fuori ruolo o di comando per l’intera durata dell’incarico.

Per l’espletamento degli incarichi ad essi assegnati, gli organi commissariali non hanno diritto ad alcun compenso o indennità, oltre alla retribuzione, anche accessoria, in godimento all’atto della nomina, e si avvalgono delle strutture comunali. I relativi posti di organico sono indisponibili per la durata dell’incarico.

La gestione commissariale del Comune assume tutte le entrate di competenza e tutte le obbligazioni assunte alla data del 28 aprile 2008, con bilancio separato rispetto a quello della gestione ordinaria.

Resta pertanto nella competenza ordinaria degli organi comunali la gestione del periodo successivo alla data del 28 aprile 2008 (comma 3).

 

Ai fini dell’attuazione del piano di rientro dalla situazione debitoria, il comma 4 dispone che tale piano di rientro, contenente la ricognizione della situazione economico-finanziariadel comune e delle società da esso partecipate, sia presentato dal Commissario straordinario al Governo entro il 28 settembre 2008 (ovvero entro altro termine che potrebbe essere indicato nei decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri di cui ai commi 1 e 2).

Il Governo approva il piano, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, entro i successivi trenta giorni, individuando le coperture finanziarie necessarie alla sua attuazione nei limiti delle risorse allo scopo destinate a legislazione vigente.

Il comma prevede che anche il piano di rientro anch’esso sia gestito con separato bilancio. È a tal fine autorizzata l’apertura di una apposita contabilità speciale.

Il piano assorbe, anche in deroga a disposizioni di legge, tutte le somme derivanti da obbligazioni contratte, a qualsiasi titolo, alla data di entrata in vigore del provvedimento in esame, anche non scadute, e contiene le misure idonee a garantire il sollecito rientro dall’indebitamento pregresso.

Il medesimo comma 4 prevede peraltro che entro il termine di presentazione del piano, il Commissario straordinario possa recedere dalle obbligazioni contratte dal Comune anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto-legge in esame.

 

Il comma 5 dispone che per l'intera durata del regime commissariale non si può procedere alla deliberazione di dissesto di cui all’articolo 246, comma 1, del Testo unico enti locali, di cui al decreto legislativo n. 267/2000.

In base al richiamato articolo 246 del Testo unico enti locali, la deliberazione che reca la formale ed esplicita dichiarazione di dissesto finanziario deve essere adottata dal consiglio dell'ente locale. Alla deliberazione, che non è revocabile, è allegata una dettagliata relazione dell'organo di revisione economico finanziaria che analizza le cause che hanno provocato il dissesto.

Ai sensi dell’art. 244 del Testo unico, si ha stato di dissesto finanziario nel caso in l'ente non possa garantire l'assolvimento delle funzioni e dei servizi indispensabili ovvero esistono nei confronti dell'ente locale crediti liquidi ed esigibili di terzi cui non si possa fare validamente fronte con le modalità di cui all'articolo 193 del Testo Unico (provvedimenti di riequilibrio di bilancio, adottati dal Consiglio per il ripiano degli eventuali debiti fuori bilancio ovvero per il ripiano dell'eventuale disavanzo di amministrazione risultante dal rendiconto approvato), nonché con le modalità di cui all'articolo 194 per il ripiano dei debiti fuori bilancio[441] (piano di rateizzazione, della durata di tre anni finanziari compreso quello in corso, convenuto con i creditori).

 

Per tutte le obbligazioni contratte anteriormente alla data di emanazione dei decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri di cui ai commi 1 e 2 dell’articolo in esame, si applicano le disposizioni di cui agli articoli 248, commi 2-4, e 255, comma 12, del D.Lgs. n. 267/2000, che impediscono azioni esecutive nei confronti dell'ente per i debiti che rientrano nella competenza dell'organo straordinario di liquidazione ovvero sequestri o procedure esecutive nei confronti della massa attiva (comma 6).

In particolare, l’art. 248 del Testo unico stabilisce che dalla data della dichiarazione di dissesto e sino all'approvazione del rendiconto di gestione non possono essere intraprese o proseguite azioni esecutive nei confronti dell'ente per i debiti che rientrano nella competenza dell'organo straordinario di liquidazione. Le procedure esecutive pendenti alla data della dichiarazione di dissesto, sono dichiarate estinte d'ufficio dal giudice con inserimento nella massa passiva dell'importo dovuto a titolo di capitale, accessori e spese. I pignoramenti eventualmente eseguiti dopo la deliberazione dello stato di dissesto non vincolano l'ente ed il tesoriere, i quali possono disporre delle somme per i fini dell'ente e le finalità di legge.

Inoltre, dalla data della deliberazione di dissesto e sino all'approvazione del rendiconto i debiti insoluti e le somme dovute per anticipazioni di cassa già erogate non producono più interessi né sono soggetti a rivalutazione monetaria. Uguale disciplina si applica ai crediti nei confronti dell'ente che rientrano nella competenza dell'organo straordinario di liquidazione a decorrere dal momento della loro liquidità ed esigibilità.

Analogamente, l’articolo 255, comma 12, stabilisce che non sono ammessi sequestri o procedure esecutive nei confronti della massa attiva. Le procedure esecutive eventualmente intraprese non determinano vincoli sulle somme.

 

Il comma 6 dispone inoltre che tutte le entrate del comune di competenza dell’anno 2008 e degli anni successivi sono attribuite alla gestione corrente, di competenza degli organi istituzionali dell’ente.

 

Il comma in esame non sembra pienamente coordinato con il comma 3 che assegna alla gestione commissariale tutte le entrate di competenza del comune alla data del 28 aprile 2008.

Il comma 7 dispone, per il comune di Roma, la proroga di sei mesi dei termini previsti per:

§      l’approvazione del rendiconto relativo all’esercizio 2007.

Ai sensi dell’articolo 151, comma 7, del Testo unico enti locali (D.Lgs. n. 267/2000), il rendiconto dell’esercizio finanziario è deliberato dall'organo consiliare entro il 30 giugno dell'anno successivo. La proroga recata dalla norma in esame fissa pertanto il termine per l’approvazione del rendiconto 2007 al 30 dicembre 2008.

§      l’adozione della delibera per la salvaguardia degli equilibri di bilancio, di cui all’art. 193, comma 2, del D.Lgs. n. 267/2000.

Si tratta della delibera con cui l'organo consiliare, con periodicità stabilita dal regolamento di contabilità dell'ente locale, e comunque almeno una volta entro il 30 settembre di ciascun anno, provvede ad effettuare la ricognizione sullo stato di attuazione dei programmi. In tale sede l'organo consiliare dà atto del permanere degli equilibri generali di bilancio o, in caso di accertamento negativo, adotta contestualmente i provvedimenti necessari per il ripiano degli eventuali debiti fuori bilancio, per il ripiano dell'eventuale disavanzo di amministrazione risultante dal rendiconto approvato e, qualora i dati della gestione finanziaria facciano prevedere un disavanzo, di amministrazione o di gestione, per squilibrio della gestione di competenza ovvero della gestione dei residui, adotta le misure necessarie a ripristinare il pareggio. La deliberazione è allegata al rendiconto dell'esercizio relativo. La proroga recata dalla norma in esame fissa pertanto il termine per l’adozione della delibera per la salvaguardia degli equilibri di bilancio al 30 marzo 2009.

§      l’assestamento del bilancio relativo all’esercizio 2008.

Ai sensi dell’articolo 175 del Testo unico enti locali, le variazioni al bilancio di previsione, di competenza dell'organo consiliare, possono essere deliberate non oltre il 30 novembre di ciascun anno. Mediante la variazione di assestamento generale,  si attua la verifica generale di tutte le voci di entrata e di uscita al fine di assicurare il mantenimento del pareggio di bilancio. La proroga recata dalla norma in esame fissa pertanto il termine per l’approvazione dell’assestamento del bilancio relativo al 2008 al 30 maggio 2009.

 

 

Nelle more dell’approvazione del piano di rientro di cui al presente articolo, il comma 8 prevede che la Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. conceda al Comune di Roma una anticipazione di 500 milioni di euro a valere sui primi futuri trasferimenti statali, ad esclusione di quelli compensativi per i mancati introiti di natura tributaria, al fine di superare, secondo quanto riportato nella Relazione tecnica, la grave situazione di illiquidità che il comune di Roma presenta, in ragione di rilevanti importi anticipati per conto di altre amministrazioni pubbliche.

 

Sulla base delle informazioni contenute nella “Relazione sulla situazione finanziaria del Comune di Roma”, elaborata dagli Uffici del Ministero dell’economia e delle finanze – Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato – Ispettorato generale di finanza, in data 12 giugno 2008, le cause della mancanza di liquidità del comune risultano sostanzialmente connesse:

§      alla mancata riscossione di ingenti importi a titolo di trasferimenti correnti da parte della regione (267 milioni di euro);

§      alle anticipazioni di somme in favore delle Società controllate e partecipate, in particolare a quelle che gestiscono il trasporto pubblico locale, che le società medesime non sono in grado di restituire. Tale voce rappresenta la causa più rilevante del deficit di liquidità (869 milioni di euro);

§      alla mancata riscossione di trasferimenti da parte dello Stato (257 milioni di euro).

 

Per quanto concerne la copertura finanziaria degli oneri derivanti da tale anticipazione, si provvede mediante l’utilizzo delle risorse del Fondo per gli interventi strutturali di politica economica[442], che viene allo scopo appositamente integrato dal comma 10 dell’articolo 63 (vedi relativa scheda di lettura).

 

Al riguardo si segnala che la Relazione tecnica, in sede di illustrazione dell’art. 63, comma 10, recante la copertura dell’articolo 78 in esame, sembra attribuire, per l’attuazione delle misure di cui al medesimo articolo, l’importo di 500 milioni euro di cui al comma 8 “a decorrere dal 2008”, in modo apparentemente non coerente con le disposizioni dell’articolo in questione, che configura l’importo di cui sopra a guisa di un’anticipazione a valere sui primi futuri trasferimenti statali.

 


 

Articolo 79
(Programmazione delle risorse per la spesa sanitaria)


1. Al fine di garantire il rispetto degli obblighi comunitari e la realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica per il triennio 2009-2011:

a) il finanziamento del Servizio sanitario nazionale cui concorre ordinariamente lo Stato è confermato in 102.683 milioni di euro per l'anno 2009, ai sensi delle disposizioni di cui all'articolo 1, comma 796, lettera a) della legge 27 dicembre 2006, n. 296 e dell'articolo 3, comma 139 della legge 24 dicembre 207, n. 244, ed è determinato in 103.945 milioni di euro per l'anno 2010 e in 106.265 milioni di euro per l'anno 2011, comprensivi dell'importo di 50 milioni di euro, per ciascuno degli anni indicati, a titolo di ulteriore finanziamento a carico dello Stato per l'ospedale Bambino Gesù. Restano fermi gli adempimenti regionali previsti dalla legislazione vigente, nonché quelli derivanti dagli accordi e dalle intese intervenute fra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano;

b) per gli anni 2010 e 2011 l'accesso al finanziamento integrativo a carico dello Stato derivante da quanto disposto dalla lettera a), rispetto al livello di finanziamento previsto per l'anno 2009, è subordinato alla stipula di una specifica intesa fra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, ai sensi dell'articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, da sottoscriversi entro il 31 luglio 2008, che, ad integrazione e modifica dell'accordo Stato-Regioni dell'8 agosto 2001, dell'intesa Stato-regioni del 23 marzo 2005 e dell'intesa Stato-regioni relativa al Patto per la salute del 5 ottobre 2006, contempli norme di efficientamento del sistema e conseguente contenimento della dinamica dei costi, al fine di non determinare tensioni nei bilanci regionali extrasanitari e di non dover ricorrere necessariamente all'attivazione della leva fiscale regionale.

2. Al fine di procedere al rinnovo degli accordi collettivi nazionali con il personale convenzionato con il Servizio sanitario nazionale per il biennio economico 2006-2007, il livello del finanziamento cui concorre ordinariamente lo Stato, di cui al comma 1, lettera a), è incrementato di 184 milioni di euro per l'anno 2009 e di 69 milioni di euro a decorrere dall'anno 2010, anche per l'attuazione del Progetto Tessera Sanitaria e, in particolare, per il collegamento telematico in rete dei medici e la ricetta elettronica, di cui al comma 5-bis dell'articolo 50, della legge 24 novembre 2003, n. 326.

3. All'articolo 4, comma 2, del decreto-legge 1o ottobre 2007, n. 159, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2007, n. 222, il secondo periodo è soppresso.


 

 

L’articolo 79, ai commi 1 e 2, indica le risorse destinate alla programmazione della spesa sanitaria per il triennio 2009-2011, al fine di garantire il rispetto degli obblighi comunitari e la realizzazione degli obiettivi d finanza pubblica:

.

La lettera a) del comma 1 stabilisce che, per il triennio 2009-2011, al finanziamento del Servizio sanitario nazionale, cui concorre ordinariamente lo Stato, sono destinate le seguenti risorse:

§      per l’anno 2009 sono confermati 102.683 milioni di euro, per effetto dell’articolo 1, comma 796, lettera a) della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria per il 2007) e dell’articolo 3, comma 139 della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria per il 2008);

Si ricorda che l’articolo 1, comma 796, lettera a), della citata legge n. 296 del 2006, in linea con il cosiddetto Patto per la salute, aveva fissato il finanziamento del Servizio sanitario nazionale in 96.040 milioni di euro per l'anno 2007, in 99.082 milioni di euro per l'anno 2008 e in 102.285 milioni di euro per l'anno 2009. Successivamente, l’articolo 3, comma 139 della citata legge n. 244 del 2007 (legge finanziaria per il 2008) ha incrementato la quota del concorso dello Stato al finanziamento della spesa sanitaria corrente nella misura di 661 milioni per il 2008 e di 398 milioni annui dal 2009, in attuazione delle intese tra Governo e organizzazioni sindacali in materia di pubblico impiego;

§      per l’anno 2010 sono indicati 103.945 milioni di euro;

§      per l’anno 2011 sono indicati 106.265 milioni di euro.

 

La norma in esame specifica altresì che i suddetti importi risultano comprensivi della somma di 50 milioni di euro, per ciascuno degli anni indicati, a titolo di ulteriore finanziamento a carico dello Stato per l’ospedale Bambino Gesù.

Restano fermi gli adempimenti regionali previsti dalla legislazione vigente, nonché quelli derivanti dagli Accordi e dalle Intese intervenute fra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.

 

La lettera b) prevede, entro il 31 luglio 2008, la stipula, ai sensi dell’articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131[443] diuna specifica Intesa fra lo Stato, le Regioni e le Province, al fine di accedere per gli anni 2010 e 2011 al finanziamento integrativo, rispetto al livello previsto per l’anno 2009, a carico dello Stato, derivante da quanto disposto dalla suddetta lettera a).

La norma specifica che l’intesa viene adottata ad integrazione e modifica dell’Accordo Stato-Regioni dell’8 agosto 2001, dell’Intesa Stato-Regioni del 23 marzo 2005 e dell’Intesa Stato-Regioni relativa al Patto per la salute del 5 ottobre 2006[444], contemplando norme di efficientamento del sistema e conseguente contenimento della dinamica dei costi, al fine di non determinare tensioni nei bilanci regionali extrasanitari e di non dover ricorrere necessariamente all’attivazione della leva fiscale regionale.

Il comma 2 incrementa il livello del finanziamento cui concorre ordinariamente lo Stato, di cui alla lettera a) del suddetto comma 1, di 184 milioni di euro per l’anno 2009 e di 69 milioni di euro a decorrere dall’anno 2010, al fine di procedere al rinnovo degli accordi collettivi nazionali con il personale convenzionato[445] con il Servizio sanitario nazionale per il biennio economico 2006- 2007 ed anche per l’attuazione del Progetto Tessera Sanitaria e, in particolare, per il collegamento telematico in rete dei medici e la ricetta elettronica, di cui al comma 5-bis dell’articolo 50, della legge 24 novembre 2003, n. 326[446].

Il comma 5-bis dell’articolo 50 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269[447], aggiunto dal comma 810, lettera c) dell'articolo 1, della legge n. 296 del 2006 (legge finanziaria per il 2007), ha stabilito che a partire dal 1° luglio 2007 il Ministero dell’economia e delle finanze deve rendere disponibile il collegamento in rete dei medici del Servizio sanitario nazionale, abilitati dalla regione ad effettuare prescrizioni, per la trasmissione telematica dei dati delle ricette allo stesso Ministero e delle certificazioni di malattia all’INPS, al fine di potenziare il monitoraggio della spesa pubblica nel settore sanitario e garantire l’adeguatezza delle prescrizioni. Si ricorda che con il D.P.C.M. 26 marzo 2008[448], emanato ai sensi del codice dell’amministrazione digitale[449], sono state definite le regole tecniche concernenti i suddetti dati e le modalità di trasmissione.

 

L’articolo 50 del citato decreto-legge n. 269 del 2003, e successive modificazioni, reca disposizioni in materia di monitoraggio della spesa nel settore sanitario e di appropriatezza delle prescrizioni sanitarie. Di seguito sono riportate alcune tra le principali disposizioni riguardanti la Tessera sanitaria.

Il decreto ministeriale 11 marzo 2004[450] ha approvato le caratteristiche tecniche della Tessera sanitaria. La Tessera è stata consegnata, a partire dal 1° gennaio 2004, a tutti i soggetti dotati di codice fiscale, che rappresenta l’unico requisito necessario per l'accesso alle prestazioni a carico del Servizio sanitario nazionale (comma 1).

Veniva inoltre previsto che entro il 31 marzo 2006, il Ministero dell'economia e delle finanze curasse la generazione e la consegna della tessera sanitaria a tutti i soggetti destinatari. (comma 1 bis).

La norma stabiliva altresì che entro il 15 dicembre 2003, Il Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministero della salute, approvasse i modelli di ricettari medici standardizzati e di ricetta medica a lettura ottica, curandone la successiva stampa e distribuzione alle aziende sanitarie locali, alle aziende ospedaliere e, ove autorizzati dalle regioni, agli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico ed ai policlinici universitari, incaricati di effettuarne la consegna individuale a tutti i medici del SSN abilitati dalla regione ad effettuare prescrizioni, da tale momento responsabili della relativa custodia. In applicazione di quanto disposto dal presente comma è stato emanato il Decreto ministeriale 18 maggio 2004 (comma 2).

Per la trasmissione telematica dei dati delle ricette di cui al citato comma 5-bis, è definito un contributo da riconoscere ai medici convenzionati con il Servizio sanitario nazionale, per l'anno 2008, nei limiti di 10 milioni di euro. Al relativo onere si provvede utilizzando le risorse previste al comma 12, pari a 50 milioni di euro, a decorrere dal 2003, stanziate per l’attuazione delle disposizioni dell’articolo in esame (comma 5 ter).

Le citate strutture di erogazione di servizi sanitari devono effettuare la rilevazione ottica e la trasmissione dei dati riguardanti la tessera sanitaria. Il Ministro dell'economia e delle finanze stabilisce, di concerto con il Ministro della salute, con decreto[451], le regioni e le date a partire dalle quali le disposizioni previste hanno progressivamente applicazione (comma 6).

La mancata o tardiva trasmissione dei dati da parte delle citate strutture di erogazione di servizi sanitari nel termine previsto è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria di 2 euro per ogni ricetta per la quale la violazione si è verificata (comma 8-bis).

La mancanza di uno o più elementi della ricetta è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria di 2 euro per ogni ricetta per la quale la violazione si è verificata (comma 8-ter).

I dati trasmessi telematicamente, con modalità esclusivamente automatiche, sono inseriti dal Ministero dell’economia e delle finanze in archivi distinti e non interconnessi, uno per ogni regione, in modo che sia assolutamente separato, rispetto a tutti gli altri, quello relativo al codice fiscale dell'assistito. Con decreto ministeriale 28 giugno 2004, modificato dal decreto ministeriale 22 luglio 2005 sono stati definiti i dati che le regioni, nonché i Ministeri e gli enti pubblici di rilevanza nazionale che li detengono, trasmettono al Ministero dell'economia e delle finanze, con modalità telematica (comma 9).

Per quanto concerne il trattamento dei dati rilevati dalla Tessera sanitaria degli assistiti, al Ministero dell'economia e delle finanze è consentito trattare solo i dati riguardanti prescrizioni farmaceutiche o specialistiche, per fornire periodicamente alle regioni gli schemi di liquidazione provvisoria dei rimborsi dovuti alle strutture di erogazione di servizi sanitari. Alle aziende sanitarie locali di ciascuna regione sono resi disponibili all'accesso esclusivo gli archivi di cui al comma 9, per la verifica ed il riscontro dei dati occorrenti alla periodica liquidazione definitiva delle somme spettanti, ai sensi delle disposizioni vigenti, alle strutture di erogazione di servizi sanitari. Con il Provvedimento 9 marzo 2006 è stato approvato il protocollo relativo alle modalità di trasmissione dei dati di cui al presente comma e con decreto ministeriale 30 marzo 2007 sono state definite le modalità di trasmissione telematica dei dati relativi alla liquidazione periodica dei rimborsi erogati, da parte delle ASL, alle strutture di erogazione dei servizi sanitari (comma 10).

 

Il comma 3 sopprime il secondo periodo dell’articolo 4, comma 2, del decreto-legge 1° ottobre 2007, n. 159[452] (Interventi urgenti in materia economico-finanziaria, per lo sviluppo e l'equità sociale).

 

La disposizione del secondo periodo dell’articolo 4, comma 2, del decreto-legge n. 159 del 2007 prevede l’incompatibilità della nomina a commissario ad acta con l’affidamento o la prosecuzione di qualsiasi incarico istituzionale presso la regione soggetta a commissariamento.

 

La modifica in esame consente la compatibilità della nomina a commissario ad acta con l’affidamento o la prosecuzione di qualsiasi incarico istituzionale presso la regione soggetta a commissariamento.

 

Si ricorda che, al fine di assicurare il risanamento, il riequilibrio economico-finanziario e la riorganizzazione del sistema sanitario regionale anche sotto il profilo amministrativo e contabile, l’articolo 4 del decreto-legge 1° ottobre 2007, n. 159[453]ha previsto, tra l’altro, la nomina di commissari ad acta nelle regioni che non rispettano gli adempimenti previsti dai piani di rientro dai deficit sanitari.

In particolare, è stato attribuito al Presidente del Consiglio dei ministri il potere di diffidare la regione interessata ad adottare, entro 15 giorni, tutti gli atti normativi, amministrativi, organizzativi e gestionali idonei a garantire il conseguimento degli obiettivi previsti nel piano di rientro. La procedura prevista per l’adozione dell’atto di diffida è quella disciplinata dall’articolo 8, comma 1, della legge 5 giugno 2003, n. 131[454], che dà attuazione all'articolo 120 della Costituzione sul potere sostitutivo[455].

Lo stesso decreto-legge n. 159 del 2007 stabilisce altresì che la diffida sia adottata nel caso di mancato rispetto da parte della regione degli adempimenti previsti dai medesimi piani tale da mettere in pericolo la tutela dell’unità economica e dei livelli essenziali delle prestazioni. Restano ferme le disposizioni di cui al citato articolo 1, comma 796, lettera b), della legge n. 296 del 2006 (legge finanziaria per il 2007). L’accertamento della mancata osservanza degli adempimenti prescritti avviene nel procedimento di verifica e monitoraggio dei singoli piani di rientro effettuato dal Tavolo di verifica degli adempimenti[456] e dal Comitato permanente per la verifica dei livelli essenziali di assistenza, con le modalità previste dai citati accordi (comma 1).

Il decreto-legge 159/2007prevede la nomina di un commissario ad acta, per l’intero periodo di vigenza del singolo Piano di rientro, da parte del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della salute, sentito il Ministro per gli affari regionali e le autonomie locali, nell’ipotesi che la regione non adempia alla suddetta diffida, ovvero nel caso in cui gli atti posti in essere, valutati dal Tavolo tecnico e dal Comitato permanente per la verifica dei livelli essenziali di assistenza, risultino inidonei o insufficienti al raggiungimento degli obiettivi programmati. Gli eventuali oneri derivanti dalla nomina del commissario ad acta sono a carico della regione interessata. Il commissario ad acta ha la facoltà di proporre la sostituzione dei direttori generali delle aziende sanitarie locali ovvero delle aziende ospedaliere; la sua nomina è incompatibile con l’affidamento o la prosecuzione di qualsiasi incarico istituzionale presso la regione commissariata (comma 2).

 


 

Articolo 80
(Piano straordinario di verifica delle invalidità civili)


1. L'Istituto nazionale di previdenza sociale (INPS) attua, dal 1o gennaio 2009 al 31 dicembre 2009, un piano straordinario di 200.000 accertamenti di verifica nei confronti dei titolari di benefìci economici di invalidità civile.

2. Nel caso di accertata insussistenza dei prescritti requisiti sanitari, si applica l'articolo 5, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 21 settembre 1994, n. 698.

3. Nei procedimenti di verifica, compresi quelli in corso, finalizzati ad accertare, nei confronti di titolari di trattamenti economici di invalidità civile, la permanenza dei requisiti sanitari necessari per continuare a fruire dei benefìci stessi, l'I.N.P.S. dispone la sospensione dei relativi pagamenti qualora l'interessato, a cui sia stata notificata la convocazione, non si presenti a visita medica senza giustificato motivo. Se l'invalido, entro novanta giorni dalla data di notifica della sospensione ovvero della richiesta di giustificazione nel caso in cui tale sospensione sia stata già disposta, non fornisce idonee motivazioni circa la mancata presentazione a visita, l'I.N.P.S. provvede alla revoca della provvidenza a decorrere dalla data della sospensione medesima. Ove, invece, siano ritenute valide le giustificazioni addotte, verrà comunicata la nuova data di visita medica alla quale l'interessato non potrà sottrarsi, pena la revoca del beneficio economico dalla data di sospensione, salvo i casi di visite domiciliari richieste dagli interessati o disposte dall'amministrazione. Sono esclusi dalle disposizioni di cui al primo e al secondo periodo del presente comma i soggetti ultrasettantenni, i minori nati affetti da patologie e per i quali è stata determinata una invalidità pari al 100 per cento ed i soggetti affetti da patologie irreversibili per i quali, in luogo della automatica sospensione dei pagamenti, si procede obbligatoriamente alla visita domiciliare volta ad accertare la persistenza dei requisiti di invalidità necessari per il godimento dei benefìci economici.

4. Qualora l'invalido non si sottoponga agli ulteriori accertamenti specialistici, eventualmente richiesti nel corso della procedura di verifica, la sospensione dei pagamenti e la revoca del beneficio economico verranno disposte con le medesime modalità di cui al comma 2.

5. Ai titolari di patente di guida speciale chiamati a visita per il rinnovo della patente stessa, gli uffici della motorizzazione civile sono autorizzati a rilasciare un permesso di guida provvisorio, valido sino all'esito finale delle procedure di rinnovo.

6. Nei procedimenti giurisdizionali relativi ai verbali di visita emessi dalle commissioni mediche di verifica, finalizzati all'accertamento degli stati di invalidità civile, cecità civile e sordomutismo, nonché ai provvedimenti di revoca emessi dall'I.N.P.S. nella materia di cui al presente articolo la legittimazione passiva spetta all'I.N.P.S. medesimo.

7. Con decreto del ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da emanarsi entro trenta giorni dall'entrata in vigore del presente decreto, sono stabiliti termini e modalità di attuazione del piano straordinario di cui al presente articolo, avuto riguardo, in particolare, alla definizione di criteri selettivi in ragione dell'incidenza territoriale dei beneficiari di prestazioni rispetto alla popolazione residente nonché alle sinergie con le diverse banche dati presenti nell'ambito della amministrazioni pubbli­che, tra le quali quelle con l'ammi­nistrazione finanziaria e la motorizzazione civile.


 

 

La norma in esame disciplina l’attuazione di un Piano straordinario di verifica delle invalidità civili[457].

 

Il comma 1 prevede l’attuazione dal 1° gennaio 2009 al 31 dicembre 2009, da parte dell’Istituto nazionale di previdenza sociale (INPS), di un piano straordinario di 200.000 accertamenti di verifica nei confronti dei titolari di benefìci economici di invalidità civile.

 

Il comma 2 prevede la revoca del pagamento dei benefici economici ai sensi dell'articolo 5 (decorrenza dei benefici economici), comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 21 settembre 1994, n. 698[458], nel caso di accertata insussistenza dei prescritti requisiti sanitari.

Il comma 5 del citato articolo 5 prevede che, nel caso di accertata insussistenza dei requisiti prescritti per il godimento dei benefici, si dà luogo alla immediata sospensione cautelativa del pagamento degli stessi, da notificarsi entro trenta giorni dalla data del provvedimento di sospensione. Il successivo formale provvedimento di revoca produce effetti dalla data dell'accertata insussistenza dei requisiti prescritti. In caso di revoca per insussistenza dei requisiti, in cui vengono rilevati elementi di responsabilità per danno erariale, i prefetti sono tenuti ad inviare copia del provvedimento alla Corte dei conti per eventuali azioni di responsabilità.

 

Il comma 3 prevede i casi relativi alla sospensione e revoca del pagamento dei benefici economici concernenti l’invalidità civile.

In una prima fase, l’INPS sospende il pagamento dei suddetti benefici, se l'interessato, a cui sia stata notificata la convocazione, non si presenta a visita medica senza giustificato motivo, durante i procedimenti di verifica, compresi quelli in corso, finalizzati ad accertare, nei confronti di titolari di trattamenti economici di invalidità civile, la permanenza dei requisiti sanitari necessari per continuare a fruire dei benefìci stessi.

Successivamente, viene disposta da parte dell’INPS la revoca della suddetta provvidenza, a decorrere dalla data della sospensione di cui sopra, per l'invalido che non fornisce idonee motivazioni circa la mancata presentazione a visita, entro novanta giorni dalla data di notifica della sospensione ovvero dalla data di notifica della richiesta di giustificazione nel caso in cui tale sospensione sia stata già disposta.

Tuttavia, nel caso di valide giustificazioni addotte, verrà comunicata la nuova data di visita medica alla quale l'interessato non potrà sottrarsi, pena la revoca del beneficio economico dalla data di sospensione, salvo i casi di visite domiciliari richieste dagli interessati o disposte dall'amministrazione.

E’ disposta inoltre una deroga per le disposizioni di cui al primo e al secondo periodo del presente comma riguardante le seguenti categorie di persone:

§      i soggetti ultrasettantenni;

§      i minori nati affetti da patologie e per i quali è stata determinata una invalidità pari al 100 per cento;

§      i soggetti affetti da patologie irreversibili.

 

Per tali categorie di soggetti, in luogo della automatica sospensione dei pagamenti, si procede obbligatoriamente alla visita domiciliare volta ad accertare la persistenza dei requisiti di invalidità necessari per il godimento dei benefìci economici.

 

Il comma 4 prevede, per l'invalido che non si sottoponga agli ulteriori accertamenti specialistici, eventualmente richiesti nel corso della procedura di verifica, la sospensione dei pagamenti e la revoca del beneficio economico con le medesime modalità di cui al suddetto comma 2.

 

Il comma 5 autorizza gli uffici della motorizzazione civile a rilasciare un permesso di guida provvisorio, valido sino all’esito delle procedure di rinnovo, ai titolari di patente di guida speciale in fase di rinnovo della stessa.

Il permesso di guida provvisorio consente al conducente di continuare a guidare nei casi in cui la procedura di rinnovo della patente sia ancora in corso alla data di scadenza della patente stessa.

Le patenti speciali sono rilasciate, ai sensi dell’articolo 116, comma 5, del D.Lgs. 285/1992[459], ai mutilati ed ai minorati fisici, anche se affetti da più minorazioni, e possono essere limitate alla guida di veicoli di particolari tipi e caratteristiche, nonché con determinate prescrizioni. I termini per il rinnovo di tali patenti sono inferiori rispetto a quelli delle patenti ordinarie: cinque anni, anziché dieci, ridotti a tre a partire dal settantesimo anno di età. Il rinnovo è subordinato all'accertamento dei requisiti fisici e psichici del conducente, effettuato dalle commissioni mediche locali costituite in ogni provincia presso le unità sanitarie locali del capoluogo di provincia.

Si ricorda che, oltre alla fattispecie in esame, il rilascio del permesso provvisorio di guida è previsto, ai sensi dell’articolo 127 del citato Codice della strada, nei casi di smarrimento, sottrazione o distruzione della patente.

 

Si osserva che la norma in esame non sembrerebbe avere contenuto normativo, in quanto una disposizione ad essa esattamente corrispondente è già contenuta nell’articolo 37, comma 4, della legge 448/1998[460].

 

Il comma 6 assegna la legittimazione passiva all’INPS nei procedimenti giurisdizionali relativi ai verbali di visita emessi dalle commissioni mediche di verifica, finalizzati all'accertamento degli stati di invalidità civile, cecità civile e sordomutismo, nonché ai provvedimenti di revoca emessi dall’INPS nella materia di cui al presente articolo.

 

Il comma 7 stabilisce che i termini e le modalità di attuazione del suddetto piano straordinario sono determinati con decreto del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da emanarsi entro trenta giorni dall’entrata in vigore del presente provvedimento, avendo riguardo, in particolare, alla definizione di criteri selettivi in ragione dell’incidenza territoriale dei beneficiari di prestazioni rispetto alla popolazione residente nonché alle sinergie con le diverse banche dati presenti nell’ambito della Amministrazioni pubbliche, tra le quali quelle con l’Amministrazione finanziaria e la Motorizzazione civile.

Con riferimento alle categorie riguardate dall'articolo in esame, si ricorda che vari sono i benefici economici (previdenziali o assistenziali) previsti da diverse norme nazionali, sotto diverse condizioni, in favore degli invalidi civili (pensione di inabilità o assegno di invalidità, indennità di frequenza, indennità di accompagnamento), dei ciechi civili assoluti e parziali (pensione, indennità speciali e di accompagnamento) e dei sordomuti (assegno mensile, indennità di comunicazione) (per un approfondimento relativo alle categorie interessate e ai benefici previsti, vedi il sito www.inps.it).

Si ricorda inoltre che in merito alla competenza amministrativa l’articolo 130 del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112[461] ha trasferito all'INPS la funzione di erogazione di pensioni, assegni e indennità spettanti, ai sensi della vigente disciplina, agli invalidi civili.

Le funzioni di concessione dei nuovi trattamenti economici a favore degli invalidi civili sono trasferite alle regioni, che, secondo il criterio di integrale copertura, provvedono con risorse proprie alla eventuale concessione di benefìci aggiuntivi rispetto a quelli determinati con legge dello Stato, per tutto il territorio nazionale.

Fermo restando il principio della separazione tra la fase dell'accertamento sanitario e quella della concessione dei benefìci economici, di cui all'articolo 11 della legge 24 dicembre 1993, n. 537, nei procedimenti giurisdizionali ed esecutivi, relativi alla concessione delle prestazioni e dei servizi, la legittimazione passiva spetta alle regioni ove il procedimento abbia ad oggetto le provvidenze concesse dalle regioni stesse ed all'INPS negli altri casi.

Successivamente, con l’articolo 10 del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203[462] è stato completato il trasferimento all’INPS (Istituto nazionale della previdenza sociale)delle residue competenze in merito ai procedimenti giurisdizionali ed alla verifica dei requisiti medico-legali e di reddito, relativi alle prestazioni economiche in materia di invalidità civile, cecità, sordomutismo, handicap e disabilità, competenze precedentemente attribuite alla commissione medica periferica per le pensioni di guerra e d'invalidità civile[463] incardinata presso il Ministero dell'economia e delle finanze ed attualmente svolte dalle Commissioni di verifica[464] dell’INPS.

A seguito dell’emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 30 marzo 2007, a decorrere dal 1° aprile 2007, l’lNPS è subentrato definitivamente nell'esercizio delle suddette funzioni residuate allo Stato.

Da ultimo, l’articolo 6 (comma 1) del decreto-legge 10 gennaio 2006, n. 4[465] è ancora intervenuto sulla materia, consentendo che le regioni adottino disposizioni per semplificare ed unificare le procedure di accertamento delle minorazioni civili (invalidità civile, cecità, sordità) e dell'handicap (di cui agli articoli 3 e 4 della citata legge 5 febbraio 1992, n. 104, e successive modificazioni). Lo stesso articolo 6 (comma 3) del citato decreto-legge n. 4 del 2006 prevede per i portatori di “menomazioni o patologie stabilizzate o ingravescenti, ivi inclusi i soggetti affetti da sindrome da talidomide” l’esonero da ogni visita medica successiva volta a verificare la sussistenza della patologia, rinviando tuttavia ad un successivo provvedimento ministeriale l’individuazione delle menomazioni escluse dagli accertamenti di controllo nonché la documentazione sanitaria idonea a comprovare la minorazione. L'accertamento dell'invalidità civile ovvero dell'handicap, riguardante soggetti con patologie oncologiche, è effettuato dalle citate commissioni mediche (articolo 1 della legge n. 295 del 1990, ovvero all'articolo 4 della legge 5 febbraio 1992, n. 104[466]), entro quindici giorni dalla domanda dell'interessato. Gli esiti dell'accertamento hanno efficacia immediata per il godimento dei benefici da essi derivanti, fatta salva la facoltà della suddetta commissione medica periferica, di sospenderne gli effetti fino all'esito di ulteriori accertamenti. Con il D.M. 2 agosto 2007 sono stati individuate le patologie rispetto alle quali sono escluse visite di controllo sulla permanenza dello stato invalidante.


 

Articolo 81, commi 1-7
(Ulteriore aliquota di prodotto della coltivazione)


1. Per le produzioni ottenute a decorrere dal 1o gennaio 2008 dalle concessioni di coltivazione di cui all'articolo 19 del decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 625, al verificarsi delle condizioni previste nel comma 2, il titolare unico o contitolare di ciascuna concessione è tenuto a corrispondere esclusivamente allo Stato il valore di un'aliquota del prodotto della coltivazione ulteriore rispetto a quella già prevista dall'articolo 19 del decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 625, determinata secondo quanto previsto dal comma 4.

2. Il valore dell'ulteriore aliquota di prodotto è dovuto al verificarsi delle seguenti condizioni:

a) per l'olio, nel caso in cui la quotazione media annua del Brent dell'anno di riferimento espressa in euro sia superiore almeno del 10 per cento a 55 euro per barile. La quotazione media annua del Brent sarà determinata per ciascun anno come media delle quotazioni di fine mese pubblicate dal Platts in dollari al barile per il greggio Brent Dated e convertita in euro al barile sulla base del cambio medio annuo euro/dollaro rilevato dalla Banca d'Italia».

b) per il gas, nel caso in cui la media annua dell'indice QE, di cui all'articolo 19, comma 5-bis, lettera b), del decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 625, dell'anno di riferimento sia superiore almeno del 10 per cento a 0,5643 centesimi di euro/MJ.

3. Per gli anni successivi al 2008, le suddette quotazioni di riferimento per l'olio e il gas sono rideterminate tenendo conto delle variazioni annuali dei prezzi della produzione di prodotti industriali e del costo del lavoro per unità di prodotto nell'industria con decreto del Ministero dello sviluppo economico di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze.

4. Verificandosi le condizioni di cui al comma 3, il valore dell'ulteriore aliquota di prodotto per l'olio e per il gas da corrispondere allo Stato si determina:

a) per le quantità di idrocarburi liquidi e gassosi estratti in terraferma e per le quantità di idrocarburi gassosi estratti in mare:

1) con l'aliquota del 2,1 per cento nel caso di incremento degli indici di cui alle lettere a) e b) del comma 2 in misura pari al 10 per cento;

2) con l'aliquota dello 0,3 per cento per ogni punto percentuale di incremento degli stessi indici ulteriore rispetto al 10 per cento;

b) per le quantità di idrocarburi liquidi estratti in mare:

1) con l'aliquota dell'1,2 per cento nel caso di incremento dell'indice di cui alla lettera a) del comma 2 in misura pari al 10 per cento;

2) con l'aliquota dello 0,15 per cento per ogni punto percentuale di incremento dello stesso indice ulteriore rispetto al 10 per cento.

5. Le quantità esenti dal pagamento dell'aliquota di cui all'articolo 19 del decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 625, sono esenti anche dal pagamento dell'ulteriore aliquota di cui al comma 1.

6. Per la liquidazione, l'accertamento, la riscossione del prelievo dell'ulteriore aliquota di cui al comma 1, inclusa la disciplina sanzionatoria, si applica quanto previsto dall'articolo 19 del decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 625, purché compatibile con la natura esclusivamente erariale di tale prelievo.

7. All'ulteriore aliquota di prodotto della coltivazione dovuta ai sensi dei commi da 1 a 6 non si applicano le disposizioni di cui ai commi da 8 a 15.


 

 

L’articolo 81, commi da 1 a 7, introduce una ulteriore aliquota di produzione (royalty) a carico dei titolari di concessioni di coltivazione di idrocarburi.

 

Il comma 1 sancisce l’obbligo di corrispondere, esclusivamente allo Stato, una ulteriore aliquota di produzione per le produzioni ottenute a decorrere dal 1° gennaio 2008 dalle concessioni di coltivazione di idrocarburi di cui all’articolo 19 del decreto legislativo. n. 625 del 1996.

 

La relazione tecnica stima, ipotizzando la quotazione media del Brent del 2007, un maggior gettito di circa 300 milioni di euro dal 2009.

 

L’articolo 19 del decreto legislativo. n. 625 del 1996 definisce il valore delle aliquote del prodotto della coltivazione (royalties) che, ai sensi dell'art. 33 della legge n. 613/67 (istitutiva dell’ENI), il titolare della concessione ha l'obbligo di corrispondere allo Stato. Il valore dell’aliquota del prodotto di coltivazione è pari al 7% della quantità di idrocarburi liquidi e gassosi estratti in terraferma, e al 7% della quantità di idrocarburi gassosi e al 4% della quantità di idrocarburi liquidi estratti in mare (comma 1). L'aliquota non è dovuta per le produzioni disperse, bruciate, impiegate nelle operazioni di cantiere o nelle operazioni di campo oppure reimmesse in giacimento (comma 2). Per ciascuna concessione sono esenti dal pagamento dell'aliquota, al netto delle produzioni di cui al comma 2, i primi 20 milioni di Smc di gas e 20000 tonnellate di olio prodotti annualmente in terraferma, e i primi 50 milioni di Smc di gas e 50000 tonnellate di olio prodotti annualmente in mare (comma 3). Ciascun titolare di concessioni di coltivazione effettua il calcolo del valore delle aliquote dovute e redige un prospetto complessivo e, entro il 30 giugno dell'anno successivo a quello cui si riferiscono le aliquote, effettua i relativi versamenti da esso dovuti allo Stato (35%), alle regioni a statuto ordinario (55%) e ai comuni interessati (15%). I versamenti dovuti allo Stato sono effettuati, in forma cumulativa per tutte le concessioni delle quali è titolare, presso la Tesoreria centrale dello Stato. Analogo versamento è effettuato in forma cumulata, per le quote spettanti ad ogni regione a statuto ordinario. I versamenti dovuti ai comuni affluiscono direttamente ai bilanci dei comuni interessati. Ciascun titolare, entro il 15 luglio di ogni anno, trasmette al Ministero delle finanze (ora Ministero dell’economia e delle finanze), all'UNMIG e alle sue Sezioni, copia di tale prospetto, corredato di copia delle ricevute dei versamenti effettuati. L'UNMIG comunica alle regioni interessate il valore complessivo delle quote ad esse spettanti. Il Ministero delle finanze e l'UNMIG, sulla base del prospetto presentato, possono disporre accertamenti (commi 4 e seguenti).

 

Il comma 2 individua le condizioni al verificarsi delle quali è dovuto il valore dell’ulteriore aliquota di prodotto per il 2008. La norma, in particolare, individua le quotazioni di riferimento, per l’olio (prezzo dell’anno di riferimento del Brent superiore almeno del 10 per cento ai 55 dollari al barile) e il gas (media dell’indice QU dell’anno di riferimento superiore almeno del 10 per cento a 0,5643 centesimi euro/MJ) al di sopra delle quali scatta l’obbligo di versare il valore dell’ulteriore aliquota.

 

Il comma 3 prevede che le quotazioni di riferimento per gli anni successivi al 2008 siano rideterminate, tenendo conto delle variazioni annuali dei prezzi, con decreto del Ministro dello sviluppo economico di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze.

Si evidenzia l’opportunità di indicare entro quale mese deve essere adottato annualmente il decreto interministeriale in oggetto.

 

Il comma 4 definisce le regole per la determinazione del valore dell’ulteriore aliquota di prodotto dovuta. In particolare:

§      idrocarburi liquidi e gassosi estratti in terraferma e gassosi estratti in mare:

-       aliquota del 2,1 per cento in caso di incremento delle quotazioni di riferimento in misura pari al 10%;

-       aliquota dello 0,3 per cento per ogni punto ulteriore di incremento delle quotazioni di riferimento oltre il 10%;

§      idrocarburi liquidi estratti in mare:

-       aliquota del 1,2 per cento in caso di incremento delle quotazioni di riferimento in misura pari al 10%;

-       aliquota dello 0,15 per cento per ogni punto ulteriore di incremento delle quotazioni di riferimento oltre il 10%.

 

Il comma 5 precisa che sono esenti dall’ulteriore aliquota le quantità esenti ai sensi dell’articolo 19 del decreto legislativo n. 625 del 1996.

 

L’articolo 19, comma 3, del decreto legislativo. n. 625 del 1996, prevede che ciascuna concessione sono esenti dal pagamento dell'aliquota (al netto delle produzioni disperse, bruciate, impiegate in cantiere o reimmesse in giacimento) , i primi 20 milioni di Smc di gas e 20000 tonnellate di olio prodotti annualmente in terraferma, e i primi 50 milioni di Smc di gas e 50000 tonnellate di olio prodotti annualmente in mare.

 

Si evidenzia l’opportunità di richiamare espressamente il comma 3 dell’articolo 19 del decreto legislativo n. 625 del 1996.

 

Il comma 6 rimanda alle disposizioni contenute all’articolo 19 del decreto legislativo n. 625 del 1999 per quanto attiene alla liquidazione, all’accertamento e alla riscossione dell’ulteriore aliquota.

 

Il comma 7 dispone che all’ulteriore aliquota di prodotto non si applicano le disposizioni di cui ai commi da 8 a 15, i quali introducono per i titolari di concessioni di coltivazione di idrocarburi l’obbligo di versare, nel mese di novembre, a titolo di acconto del valore dell’aliquota dovuto per l’anno in corso, un importo pari al 100 per cento di quanto versato l’anno precedente.

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)

Il 13 giugno 2008la Commissione ha presentato la comunicazione “Il rincaro del petrolio: come affrontare la sfida” (COM (2008) 384) intesa a fornire un quadro di analisi sui riflessi complessivi del recente rincaro dei prezzi petroliferi, nonché una serie di raccomandazioni agli Stati membri per fronteggiare tale emergenza attraverso iniziative a medio‑lungo termine che consentano di adeguarsi ai nuovi condizionamenti in materia di risorse e di trasformarli in opportunità costruttive.

In particolare, la Commissione, ritiene che il rincaro del petrolio sia dovuto a un cambiamento strutturale dell'equilibrio fra l'offerta e la domanda di petrolio nell'economia globale e che, pertanto, una risposta politica dell’UE a tale situazione non possa che rafforzare gli orientamenti già prospettati nel piano d’azione globale in materia di energia per il periodo 2007-2009, approvato dal Consiglio europeo dell’8-9 marzo 2007[467], e definiti attraverso successive proposte della Commissione. Tali proposte, infatti, sono indirizzate all’adozione di misure giuridicamente vincolanti per il raggiungimento, entro il 2020, di obiettivi in termini di energie rinnovabili, biocombustibili e riduzione dei gas a effetto serra, ritenuti necessari per migliorare l'efficienza energetica e la diversificazione dell'approvvigionamento energetico nell'UE[468], al fine di permettere all'economia dell'UE di rimanere competitiva a livello globale.

La Commissione propone, tra l’altro, che tale processo sia accompagnato, nel breve termine, da misure intese ad attenuare l'impatto sulle fasce più vulnerabili della società tali, però, da non creare distorsioni sul mercato interno. La Commissione, inoltre, propone di esaminare quali misure fiscali possano sostenere e agevolare il passaggio a un'economia a basse emissioni di carbonio. La Commissione, ad esempio, potrebbe valutare le possibilità di una revisione della direttiva sulla tassazione dei prodotti energetici, affinché le imposte sull'energia vengano riscosse in modo ottimale e non distorsivo, così da internalizzare i costi esterni, quali ad esempio i costi ambientali, e sostenere gli obiettivi della strategia energetica globale dell'UE. Altra possibilità proposta è la tassazione dei cosiddetti “utili a cascata” delle industrie legate all’estrazione del petrolio che, secondo la Commissione, potrebbe essere utilizzata per incentivare gli investimenti nelle tecnologie energetiche fossili e nelle tecnologie senza emissioni di carbone nonché nell'esplorazione e nella distribuzione dei prodotti energetici.


 

Articolo 81, commi 8-15
(Acconto sul valore delle aliquote di prodotto della coltivazione di idrocarburi)


8. A decorrere dall'anno 2008, per le concessioni di coltivazioni di cui all'articolo 19 del decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 625, il titolare unico o contitolare versa nel mese di novembre di ciascun anno a titolo d'acconto del valore delle aliquote di prodotto dovuto per l'anno in corso un importo pari al 100 per cento di quanto versato per l'anno precedente.

9. Il versamento è effettuato allo Stato, alle Regioni a statuto ordinario ed ai Comuni interessati secondo le rispettive quote di competenza e con le stesse modalità previste per i versamenti di cui al predetto articolo 19, comma 8, del decreto legislativo n. 625 del 1996. Limitatamente all'acconto relativo al periodo d'imposta in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto, le somme dovute allo Stato affluiscono all'entrata del bilancio dello Stato per la successiva riassegnazione al fondo speciale istituito con il comma 29. Se per l'anno precedente è stata omessa la presentazione del prospetto di cui al predetto articolo 19, comma 11, del decreto legislativo n. 625 del 1996, l'acconto è commisurato al 100 per cento del valore delle aliquote di prodotto che avrebbe dovuto essere dichiarato con tale prospetto.

10. I versamenti in acconto relativi al valore delle aliquote di prodotto della coltivazione dei giacimenti di gas dovute allo Stato da cedere presso il mercato regolamentato ai sensi dell'articolo 11 del decreto-legge 31 gennaio 2007, n. 7, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 aprile 2007, n. 40, sono determinati valorizzando la produzione secondo il criterio di cui al predetto articolo 19, comma 5-bis, lettera b).

11. In caso di omesso o insufficiente versamento dell'acconto, si applica la disciplina sanzionatoria di cui all'articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, oltre agli interessi di cui all'articolo 9 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602. Si applicano altresì le disposizioni di cui all'articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472.

12. Le disposizioni del comma 11 non si applicano nel caso in cui:

a) il versamento dovuto nei confronti di ciascun ente impositore separatamente considerato è inferiore a 100.000 euro;

b) quando l'acconto versato nei confronti di ciascun ente impositore separatamente considerato è inferiore a quello dovuto, ma non inferiore al 75 per cento del valore dell'aliquota di prodotto dovuto per l'anno in corso. Ai fini del periodo precedente è effettuata secondo il criterio di cui al comma 3 la valorizzazione delle aliquote di prodotto della coltivazione dei giacimenti di gas dovute allo Stato da cedere presso il mercato regolamentato ai sensi dell'articolo 11 del decreto-legge 31 gennaio 2007, n. 7, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 aprile 2007, n. 40.

13. Il credito risultante dall'eccedenza dell'acconto versato rispetto a quanto dovuto nei confronti di ciascun ente impositore è rimborsata entro 90 giorni dalla presentazione del prospetto di cui al predetto articolo 19, comma 8, del decreto legislativo n. 625 del 1996. Nel caso in cui il rimborso avvenga oltre tale termine maturano gli stessi interessi di cui al comma 11.

14. La stessa eccedenza di cui al comma 13 può essere utilizzata in compensazione di quanto dovuto in acconto o a saldo nei confronti di altri enti impositori compensando prioritariamente:

a) le eccedenze nei confronti dei comuni con quanto dovuto alle rispettive regioni di appartenenza;

b) le eccedenze nei confronti delle regioni con quanto dovuto allo Stato anche a titolo di imposta sul reddito delle società.

15. Il credito di cui al comma 13 può essere ceduto ad altro titolare o contitolare di concessione di coltivazione per essere compensato secondo quanto previsto dal comma 14.


L’articolo 81, commi da 8 a 15, introduce per i titolari di concessioni di coltivazione di idrocarburi l’obbligo di versare, nel mese di novembre, a titolo di acconto del valore dell’aliquota (royalty) dovuto per l’anno in corso, un importo pari al 100 per cento di quanto versato l’anno precedente.

 

La relazione tecnica stima un maggior gettito di circa 200 milioni di euro annui a decorrere dal 2009.

 

Il comma 9 prevede (con esclusione delle aliquote relative al gas, per le quali si applica il comma 10) che il versamento è effettuato allo Stato, alle Regioni e ai Comuni, secondo le modalità e le quote di competenza previste dall’articolo 19, comma 8, del decreto legislativo n. 625 del 1996.

Limitatamente all’acconto relativo al 2008, le somme dovute allo Stato vanno ad alimentare il Fondo di solidarietà per cittadini meno abbienti istituito dal successivo comma 29 (v. l’apposita scheda).

 

L’articolo 19, comma 8, del decreto legislativo n. 625 del 1996 prevede che ciascun titolare di concessioni di coltivazione effettua il calcolo del valore delle aliquote dovute e redige un prospetto complessivo e, entro il 30 giugno dell'anno successivo a quello cui si riferiscono le aliquote, effettua i relativi versamenti da esso dovuti allo Stato (35%), alle regioni a statuto ordinario (55%) e ai comuni interessati (15%). I versamenti dovuti allo Stato sono effettuati, in forma cumulativa per tutte le concessioni delle quali è titolare, presso la Tesoreria centrale dello Stato. Analogo versamento è effettuato in forma cumulata, per le quote spettanti ad ogni regione a statuto ordinario. I versamenti dovuti ai comuni affluiscono direttamente ai bilanci dei comuni interessati. Ciascun titolare, entro il 15 luglio di ogni anno, trasmette al Ministero delle finanze (ora Ministero dell’economia e delle finanze), all'UNMIG e alle sue Sezioni, copia di tale prospetto, corredato di copia delle ricevute dei versamenti effettuati. L'UNMIG comunica alle regioni interessate il valore complessivo delle quote ad esse spettanti. Il Ministero delle finanze e l'UNMIG, sulla base del prospetto presentato, possono disporre accertamenti.

 

Il comma 10 indica i criteri per la determinazione dei versamenti in acconto per il valore delle aliquote, dovute allo Stato, da cedere presso il mercato regolamentato ai sensi dell’articolo 11 del decreto-legge n. 7 del 2007.

 

L’articolo 11 del decreto-legge n. 7 del 2007 prevede che al fine di conseguire una maggiore liquidità dell'offerta di gas nel mercato interno, le quote di produzione nazionale di gas che le imprese produttrici versano allo Stato in controvalore (royalties) e una quota fissa di tutte le importazioni future, debbano essere offerte sul mercato regolamentato delle capacità e del gas(c.d. borsa del gas). Il mercato regolamentato delle capacità e del gas (c.d. borsa del gas, già funzionante sul sito internet di Snam Rete Gas S.p.a.), di cui all'articolo 13 della deliberazione n. 137/2002 dell’AEEG, è inteso come l’insieme delle procedure per la gestione centralizzata delle cessioni e degli scambi di capacità di entrata o di uscita assegnate agli utenti, nonché delle cessioni e degli scambi del gas immesso nella rete nazionale di gasdotti. La norma rinvia a un ulteriore provvedimento dell’Autorità il compito di definire la disciplina di tale mercato. In attuazione di tale disposizione l’Autorità ha pertanto adottato la deliberazione n. 22 del 2004. L’articolo 1, in particolare, elenca gli interventi da parte dell’Autorità per la disciplina del mercato regolamentato delle capacità e del gas, i quali devono prevedere:

-        l’organizzazione di procedure per la cessione e lo scambio di capacità e di gas naturale attraverso una piattaforma informatica;

-        la definizione di uno o più contratti standard aventi ad oggetto tali scambi e cessioni;

-        la riforma dell’attuale regime di bilanciamento, mediante la previsione di un mercato giornaliero di bilanciamento, e la determinazione di corrispettivi di bilanciamento calcolati sulla base del prezzo con il quale il gas naturale viene scambiato sul mercato giornaliero di bilanciamento;

-        l’introduzione di un mercato centralizzato del gas naturale, gestito in modo indipendente, basato su un sistema automatico di incrocio fra domanda ed offerta, il quale consenta la determinazione di un prezzo ufficiale come prezzo di riferimento per la conclusione delle transazioni.

 

Il comma 11 opera una serie di rinvii normativi per l’individuazione della disciplina sanzionatoria nel caso di omessi o insufficienti versamenti dell’acconto, nonché per la determinazione dei relativi interessi.

 

L’articolo 13 del decreto legislativo n. 471 del 1997 sancisce che chi non esegue, in tutto o in parte, alle prescritte scadenze, i versamenti in acconto, i versamenti periodici, il versamento di conguaglio o a saldo dell'imposta risultante dalla dichiarazione, detratto in questi casi l'ammontare dei versamenti periodici e in acconto, ancorché non effettuati, è soggetto a sanzione amministrativa pari al trenta per cento di ogni importo non versato.

L’articolo 13 del decreto legislativo n. 472 del 1997 disciplina le ipotesi di c.d. ravvedimento, prevedendo delle riduzioni di sanzioni nel caso in cui il soggetto abbia provveduto tempestivamente al pagamento dovuto o alla rettifica di errori.

 

Si fa presente che il rinvio all’articolo 9 del DPR n. 602 del 1973, per quanto attiene alla determinazione della misura degli interessi, risulta errato, in quanto la disposizione è stata abrogata dall’articolo 37 del decreto legislativo n. 46 del 1999.

 

Il comma 12 prevede che la disciplina del comma precedente non si applichi quando il versamento dovuto è inferiore a 100.000 euro o quando l’acconto versato è comunque superiore al 75 per cento di quanto dovuto.

 

I commi 13, 14 e 15 disciplinano le eventuali eccedenze nei versamenti. In particolare, si prevede che il rimborso dell’acconto eventualmente versato in eccedenza deve avvenire entro 90 giorni dalla presentazione del prospetto, e che nel caso di ritardo sono dovuti i relativi interessi. Le eccedenze possono essere utilizzate in compensazione di quanto dovuto nei confronti di altri enti impositori e i crediti possono essere ceduti, ai medesimi fini compensativi, anche ad altri concessionari.

 

L’articolo 19, commi 8 e 9, del decreto legislativo n. 625 del 1999 prevedono che ciascun titolare di concessione, in tempo utile al fine dell'effettuazione dei versamenti, effettua il calcolo del valore delle aliquote dovute e redige un prospetto complessivo del valore delle aliquote dovute e delle relative ripartizioni tra Stato, regioni e comuni, sulla base del quale effettua i versamenti entro il 30 giugno di ogni anno.

 

 


 

Articolo 81, commi 16-18
(Regime fiscale nel settore energetico)


16. In dipendenza dell'andamento dell'economia e dell'impatto sociale dell'aumento dei prezzi e delle tariffe del settore energetico, l'aliquota dell'imposta sul reddito delle società di cui all'articolo 75 del Testo Unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, è applicata con una addizionale di 5,5 punti percentuali per i soggetti che abbiano conseguito nel periodo di imposta precedente un volume di ricavi superiore a 25 milioni di euro e che operano nei settori di seguito indicati:

a) ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi;

b) raffinazione petrolio, produzione o commercializzazione di benzine, petroli, gasoli per usi vari, oli lubrificanti e residuati, gas di petrolio liquefatto e gas naturale;

c) produzione o commercializzazione di energia elettrica.

17. In deroga all'articolo 3 della legge 27 luglio 2000, n. 212, la disposizione di cui al comma 16 si applica a decorrere dal periodo di imposta in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto.

18. È fatto divieto agli operatori economici dei settori richiamati al comma 16 di traslare l'onere della maggiorazione d'imposta sui prezzi al consumo. L'Autorità per l'energia elettrica e il gas vigila sulla puntuale osservanza della disposizione di cui al precedente periodo.


 

 

I commi da 16 a 18 dell’articolo 81 introducono, a carico di alcuni soggetti che operano nel settore petrolifero, ivi compreso il settore dell’energia elettrica, una addizionale allimposta sul reddito delle società (IRES) fissata in misura pari al 5,5%.

 

Si segnala che la disposizione rinvia all’aliquota IRES indicata nell’articolo 75 del D.P.R. n. 917/1986 in luogo dell’articolo 77.

 

Andrebbe chiarito se la norma intenda prevedere un incremento dell’aliquota ordinaria IRES applicabile ai soggetti destinatari della norma ovvero istituire una nuova imposta. Nella prima ipotesi sarebbe opportuno introdurre la modifica nel richiamato articolo 77 del TUIR mentre nella seconda ipotesi sarebbe necessario introdurre ulteriori disposizioni dirette a precisare, tra l’altro, l’eventuale indeducibilità della nuova imposta, i criteri per la determinazione della base imponibile, le modalità e i termini di versamento nonché la disciplina applicabile in materia accertamento. Si evidenzia, peraltro, che ai sensi dell’articolo 4 della legge n. 212 del 2000 (c.d. Statuto del contribuente) non è possibile disporre l’istituzione di nuovi tributi con decreto-legge.

 

Ai sensi del comma 16 sono soggetti passivi i contribuenti che operano nei settori della ricerca e coltivazione degli idrocarburi liquidi e gassosi, della raffinazione del petrolio nonché della produzione o commercializzazione di benzine, petroli, gasoli per vari usi, oli lubrificati e residuati, gas di petrolio liquefatto, gas naturale e energia elettrica e che, nel periodo d’imposta precedente, abbiano realizzato un volume di ricavi superiore a 25 milioni di euro.

 

Il comma 17 stabilisce che, in deroga a quanto stabilito dall’articolo 3 della legge n. 212/2000 (Statuto dei contribuenti)[469], l’addizionale si applica a decorrere dal periodo d’imposta in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto ossia, per i contribuenti con esercizio coincidente con l’anno solare, dal 2008.

 

Il comma 18, infine, reca disposizioni dirette a tutelare i consumatori in quanto pone il divieto agli operatori economici di aumentare i prezzi dei prodotti al fine di recuperare le maggiori imposte. A tal fine, viene affidato all’Autorità per l’energia elettrica e il gas (AAEG) il potere di vigilare sull’osservanza delle norme in esame.

 

Si evidenzia che l’Autorità per l’energia elettrica e il gas non dispone attualmente di poteri in ordine al controllo dei prezzi dei carburanti.

 

La seguente tabella riporta le stime degli effetti finanziari della norma in esame, in termini di maggiore gettito, indicate nella relazione tecnica allegata al provvedimento:

(importi in milioni di euro)

Anni

2008

2009

2010

2011

IRES

--

1.698

849

849

 


 

Articolo 81, commi 19-25
(Valutazione delle rimanenze delle imprese operanti nei settori petrolifero e del gas)


19. Al testo unico delle imposte sui redditi approvato con decreto del Presidente della Repubblica del 22 dicembre 1986, n. 917, dopo l'articolo 92 è aggiunto il seguente:

«Art. 92-bis. (Valutazione delle rimanenze di alcune categorie di imprese). - 1. La valutazione delle rimanenze finali dei beni indicati all'articolo 85, comma 1, lettere a) e b) è effettuata secondo il metodo della media ponderata o del «primo entrato primo uscito», anche se non adottati in bilancio, dalle imprese il cui volume di ricavi supera le soglie previste per l'applicazione degli studi di settore, esercenti le attività di:

a) ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi;

b) raffinazione petrolio, produzione o commercializzazione di benzine, petroli, gasoli per usi vari, oli lubrificanti e residuati, di gas di petrolio liquefatto e di gas naturale.

2. La disposizione di cui al comma 1 si applica anche ai soggetti che redigono il bilancio in base ai princìpi contabili internazionali di cui al regolamento (CE) n. 1602/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 luglio 2002, ed anche a quelli che abbiano esercitato, relativamente alla valutazione dei beni fungibili, l'opzione di cui all'articolo 13, comma 4, del decreto legislativo 28 febbraio 2005, n. 38.

3. Per quanto non diversamente disposto dal presente articolo si applicano le disposizioni dei commi 1, 5 e 7, dell'articolo 92.».

20. Le disposizioni di cui al comma 19 hanno effetto a decorrere dal periodo d'imposta in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto.

21. Il maggior valore delle rimanenze finali che si determina per effetto della prima applicazione dell'articolo 92-bis, del testo unico delle imposte sui redditi approvato con decreto del Presidente della Repubblica del 22 dicembre 1986, n. 917, anche per le imprese che si sono avvalse dell'opzione di cui all'articolo 13, commi 2 e 4, del decreto legislativo 28 febbraio 2005, n. 38, non concorre alla formazione del reddito in quanto escluso ed è soggetto ad un'imposta sostitutiva dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, dell'imposta sul reddito delle società e dell'imposta regionale sulle attività produttive con l'aliquota del 16 per cento.

22. L'imposta sostitutiva dovuta è versata in un'unica soluzione contestualmente al saldo dell'imposta personale dovuta per l'esercizio di prima applicazione dell'articolo 92-bis del Testo Unico delle imposte sui redditi approvato con decreto del Presidente della Repubblica n. 917, del 1986. Alternativamente, su opzione del contribuente può essere versata in tre rate di eguale importo contestualmente al saldo delle imposte sul reddito relative all'esercizio di prima applicazione dell'articolo 92-bis del Testo Unico delle imposte sui redditi approvato con decreto del Presidente della Repubblica n. 917, del 1986 e dei due esercizi successivi. Sulla seconda e terza rata maturano interessi al tasso annuo semplice del 3 per cento.

23. Il maggior valore assoggettato ad imposta sostitutiva si considera fiscalmente riconosciuto dall'esercizio successivo a quello di prima applicazione dell'articolo 92-bis del testo unico delle imposte sui redditi approvato con decreto del Presidente della Repubblica n. 917, del 1986; tuttavia fino al terzo esercizio successivo:

a) le svalutazioni determinate in base all'articolo 92, comma 5, del testo unico delle imposte sui redditi approvato con decreto del Presidente della Repubblica n. 917, del 1986, fino a concorrenza del maggior valore assoggettato ad imposta sostitutiva non concorrono alla formazione del reddito ai fini delle imposte personali e dell'imposta regionale sulle attività produttive, ma determinano la riliquidazione della stessa imposta sostitutiva. In tal caso l'importo corrispondente al 16 per cento di tali svalutazioni è computato in diminuzione delle rate di eguale importo ancora da versare; l'eccedenza è compensabile a valere sui versamenti a saldo ed in acconto dell'imposta personale sul reddito;

b) nel caso di conferimento dell'azienda comprensiva di tutte o parte delle rimanenze di cui all'articolo 92-bis del Testo Unico delle imposte sui redditi approvato con decreto del Presidente della Repubblica n. 917, del 1986, il diritto alla riliquidazione e l'obbligo di versamento dell'imposta sostitutiva si trasferiscono sul conferitario, solo nel caso in cui quest'ultimo non eserciti prima del conferimento le attività di cui al predetto articolo 92-bis e adotti lo stesso metodo di valutazione del conferente. In caso contrario, si rende definitiva l'imposta sostitutiva in misura corrispondente al maggior valore delle rimanenze conferite così come risultante dall'ultima riliquidazione effettuata dal conferente; fino a concorrenza di tale maggiore valore le svalutazioni determinate dal conferitario in base all'articolo 92, comma 5, del Testo Unico delle imposte sui redditi approvato con decreto del Presidente della Repubblica n. 917, del 1986, concorrono alla formazione del reddito per il 50 per cento del loro ammontare fino all'esercizio in corso al 31 dicembre 2011.

24. Fino al termine dell'esercizio in corso al 31 dicembre 2011, nel caso di cessione dell'azienda comprensiva di tutte o parte delle rimanenze di cui all'articolo 92-bis, del Testo Unico delle imposte sui redditi approvato con decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, l'imposta sostitutiva in misura corrispondente al maggior valore delle rimanenze cedute così come risultante dall'ultima riliquidazione effettuata dal cedente si ridetermina con l'aliquota del 27,5 per cento.

25. L'applicazione dell'articolo 92-bis del Testo Unico delle imposte sui redditi approvato con decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, come introdotto dal comma 19, costituisce deroga ai sensi dell'articolo 2423-bis del codice civile.


 

 

I commi da 19 a 25 dell’articolo 81 modificano, per le imprese che operano nei settori del petrolio e del gas, i criteri per la valutazione delle rimanenze ai fini fiscali (commi 19 e 20) e introducono un regime di tassazione sostitutiva sul maggior valore delle rimanenze medesime (commi da 21 a 25).

 

Andrebbe valutata l’opportunità di prevedere il rinvio ad uno o più decreti ministeriali per la definizione delle modalità attuative della disciplina introdotta.

Per quanto concerne l’aspetto formale, si ritiene che la formulazione ”imposta personale”, più volte contenuta nelle disposizioni in commento, sia da interpretarsi come riferimento all’imposta sul reddito delle persone fisiche e all’imposta sul reddito delle società.

 

Il valore delle rimanenze a fine esercizio concorre alla formazione del reddito ai fini fiscali. I criteri da applicare per la valutazione ai fini fiscali dei beni-merce acquistati e non venduti in un esercizio (rimanenze) sono contenuti nell’articolo 92 del TUIR[470] ai sensi del quale il valore delle rimanenze finali è determinato:

-        nel primo anno di attività, in base al costo medio di acquisto determinato dal rapporto tra costo complessivo dei beni e loro quantità;

-        dal secondo anno di attività è necessario distinguere le ipotesi di incremento dei beni in rimanenza da quello della riduzione. Nel primo caso, le ulteriori quantità sono valutate in base al costo medio di acquisto dell’anno; nel secondo caso, la diminuzione si imputa agli incrementi formati nei precedenti esercizi, a partire dal più recente (c.d. criterio L.I.F.O. last in first out).

Il citato articolo 92, tuttavia, ammette l’applicazione di altri criteri (costo medio ponderato e F.I.F.O. first in first out) se questi sono utilizzati dalle imprese per l’iscrizione del valore delle rimanenze in bilancio.

In sostanza, l’applicazione del criterio LIFO si basa sul presupposto che i beni in rimanenza sono stati i primi ad essere acquistati e, pertanto, in presenza di un andamento crescente dei prezzi, si verifica una sottovalutazione delle rimanenze finali di magazzino. Nell’aspetto fiscale, considerando che tali rimanenze costituiscono un elemento positivo del reddito, la valutazione in base al criterio LIFO comporta un vantaggio per il contribuente ai fini della determinazione del reddito imponibile.

 

Il comma 19, inserendo l’articolo 92-bis al TUIR, dispone l’obbligo, a carico di tutti i soggetti individuati dalla norma, di applicare il metodo F.I.F.O (“primo entrato, primo uscito”) nella valutazione delle rimanenze di fine esercizio.

In sostanza, con il metodo F.I.F.O i beni in rimanenza vengono valutati in base al costo sostenuto negli acquisti più recenti. Ciò comporta, in presenza di prezzi crescenti, un valore delle rimanenze complessivamente più elevato rispetto a quello determinato applicando il metodo L.I.F.O (ultimo entrato, primo uscito) e, pertanto, un elemento positivo di reddito che determina una maggiore base imponibile ai fini fiscali.

 

L’ambito soggettivo della disposizione interessa:

§      imprese operanti nei settori petrolifero, ed in particolare ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi, raffinazione del petrolio, produzione e commercializzazione di benzine, petroli, gasoli per usi vari, oli lubrificanti e residuati, di gas di petrolio liquefatto e di gas naturale con volume d’affari superiore a quello previsto per l’applicazione degli studi di settore (comma 1 del nuovo articolo 92-bis).

Ai sensi dell’articolo 10, comma 4, della legge n. 146/1998, come sostituito dalla legge finanziaria per il 2007, gli studi di settore non si applicano ai contribuenti che hanno dichiarato ricavi di cui all'articolo 85, comma 1, esclusi quelli di cui alle lettere c), d) ed e), o compensi di cui all'articolo 54, comma 1, del TUIR di ammontare superiore al limite stabilito per ciascuno studio di settore dal relativo decreto di approvazione del Ministro dell'economia e delle finanze, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale. Tale limite non può, comunque, essere superiore a 7,5 milioni di euro;

§      le società che, pur adottando i principi contabili internazionali, hanno optato – ai sensi dell’articolo 13 del D.Lgs. n. 38/2005[471] (c.d. decreto IAS) - per l’applicazione dei criteri di valutazione indicati nel TUIR(comma 2 del nuovo articolo 92-bis).

 

I principi contabili internazionali (c.d. IAS/IFRS) sono stati adottati dall’Unione europea dal 1º gennaio 2005 con il Regolamento (CE) n. 1606/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 luglio 2002, il quale ha stabilito l’obbligo per le società quotate di redigere il bilancio consolidato applicando i principi IAS/IFRS e la facoltà, per tutte le altre società con sede nell’Unione europea, di utilizzare i principi IAS/IFRS in luogo dei criteri fiscali.

In materia di valutazione delle rimanenze finali, la normativa comunitaria nonché gli IAS/IFRS prevedono l’applicazione del criterio F.I.F.O. o quello del costo medio ponderato mentre non ammettono l’utilizzo del metodo L.I.F.O.

Il D.Lgs. n. 38 del 2005 ha introdotto l’obbligo di adozione dei principi IAS/IFRS nei bilanci delle società quotate e degli enti creditizi e finanziari quali, ad esempio, le banche e le società di leasing. Inoltre, ha consentito l’adozione dei medesimi principi ad alcune categorie di impresa le quali, se optano per l’applicazione della contabilità internazionale, sono tenute a redigere un proprio “bilancio separato”.

In materia di valutazione delle rimanenze, l’articolo 13 del citato D.Lgs. n. 38 ammette la possibilità, per i soggetti che applicano gli IAS, di optare per la valutazione delle rimanenze applicando i criteri di cui all’articolo 92 del TUIR (criterio L.I.F.O.).

 

Ai sensi del comma 20, le disposizioni dell’articolo 92-bis del TUIR, come introdotto dal comma 19, entrano in vigore nel periodo d’imposta in corso alla data di entrata in vigore del provvedimento in esame, ossia per i soggetti con esercizio coincidente con l’anno solare, nel 2008.

 

Il comma 21 dispone che il maggior valore delle rimanenze determinato applicando i criteri fissati dal comma 19 non concorre alla formazione del reddito in quanto escluso ed è soggetto al pagamento diun’imposta sostitutiva dell’IRPEF, dell’IRES e dell’IRAP, fissata in misura pari al 16%. In sostanza, si introduce un regime di tassazione sostitutiva in luogo del regime ordinario.

 

A fronte degli iniziali effetti positivi, in termini di maggior gettito, conseguenti all’introduzione di un’imposta sostitutiva in luogo di quella ordinaria sono previsti effetti di minor gettito che interessano un arco temporale più ampio (cessione dei beni in rimanenza). In proposito, la relazione tecnica allegata al provvedimento afferma che la riduzione di gettito negli esercizi successivi risulta di difficile quantificazione.

 

Andrebbero forniti chiarimenti in merito agli effetti negativi prodotti dall’introduzione dell’imposta sostitutiva, tenuto conto che la norma comporta, come evidenziato anche dalla relazione tecnica allegata al provvedimento, una riduzione del gettito relativo alla tassazione ordinaria in termini di IRPEF, IRES ed IRAP.

 

Le modalità di versamento dell’imposta sostitutiva sono disciplinate dal comma 22 ai sensi del quale il versamento può essere effettuato in un’unica soluzione alla scadenza prevista per il saldo dell’imposta sui redditi dovuta per l’esercizio di prima applicazione del citato articolo 92-bis ovvero può essere versate in tre rate annuali di uguale importo, la prima delle quali con la medesima scadenza prevista nel caso di versamento unico e le altre nei due anni successivi con l’incremento degli interessi da calcolare al tasso semplice del 3% annuo.

 

Aisensi del comma 23, il maggior valore assoggettato ad imposta sostitutiva è riconosciuto ai fini fiscali (c.d. affrancamento) a decorrere dall’esercizio successivo a quello di prima applicazione del citato articolo 92-bis.

 

Viene, inoltre, prevista una disciplina transitoria, applicabile fino al terzo esercizio successivo dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame, che interessa le svalutazioni delle rimanenze dovute alla riduzione dei prezzi, come disciplinato dall’articolo 92, comma 5, del TUIR.

Ai sensi del citato articolo 92, comma 5, è possibile effettuare la svalutazione delle rimanenze – la quale comporta la riduzione della base imponibile fiscale – in presenza di un andamento decrescenti dei prezzi. In particolare, se il valore medio unitario dei beni è superiore al prezzo medio di mercato rilevato nell’ultimo mese, le rimanenze possono essere valutate moltiplicando la quantità per tale prezzo.

La lettera a) del comma 23 dispone che le svalutazioni delle rimanenze determinate ai sensi dell’articolo 92, comma 5, del TUIR non producono effetti fiscali nei primi tre anni fino a concorrenza del maggior valore assoggettato ad imposta sostitutiva.

In tal caso il contribuente dovrà procedere ad una riliquidazione dell’imposta sostitutiva da determinare su un imponibile inferiore a quello precedentemente considerato. La minore imposta potrà essere recuperata:

§      in caso di rateazione del versamento dell’imposta sostitutiva, attraverso la riduzione delle rate non ancora versate;

§      in caso di versamento unico già effettuato, ovvero in caso di impossibilità di recuperare il minore importo dalle rate non versate, attraverso l’utilizzo in compensazione dell’eccedenza sui versamenti delle imposte sui redditi (saldo e acconto). Pur non essendo espressamente richiamato dalla norma, sembrerebbe doversi interpretare come compensazione ai sensi dell’articolo 17 del D.Lgs. n. 241/1997 (modello F24).

 

La lettera b) del comma 23 disciplina il regime delle valutazioni di rimanenze nell’ipotesi di conferimento d’azienda comprendente le rimanenze rivalutate ai sensi dell’articolo 92-bis del TUIR.

Si dispone che fino al terzo esercizio successivo a quello di entrata in vigore del presente provvedimento, si trasferiscono al conferitario il diritto alla riliquidazione e l’obbligo di versamento dell’imposta sostitutiva solo se:

§      prima del conferimento d’azienda, l’attività svolta dal conferitario nonera inclusa tra quelle indicate nel comma 1 del citato articolo 92-bis;

§      il conferitario applichi lo stesso metodo di valutazioni utilizzate dal conferente.

In assenza dei predetti requisiti, si rende definitiva l’imposta sostitutiva versata dal conferente e il valore delle rimanenze rideterminato da quest’ultimo. Le successive svalutazioni effettuate dal conferitario ai sensi dell’articolo 92, comma 5, del TUIR, sono deducibili in misura pari al 50% del loro ammontare fino all’esercizio in corso al 31 dicembre 2011.

 

Ai sensi del comma 24, nel caso di cessione di azienda entro il termine dell’esercizio in corso al 31 dicembre 2011, sul maggior valore attribuito alle rimanenze rivalutate ai sensi dell’articolo 92-bis del TUIR l’aliquota di imposta sostitutiva è elevata al 27,5%.

In assenza di specifiche indicazioni, si presume che, in ipotesi di cessione, dovrà essere rideterminata l’imposta sostitutiva al fine di versare la differenza dovuta.

 

Il comma 25 precisa che le nuove disposizioni in materia di valutazione delle rimanenze si applicano in deroga all’articolo 2423-bis del codice civile.

Il citato articolo 2423-bis del codice civile dispone, tra gli altri, il principio in base al quale non possono essere modificati da un esercizio all'altro i criteri utilizzati per le valutazioni; sono tuttavia ammesse deroghe in casi eccezionali relativamente ai quali deve esserne data motivazione nella nota integrativa allegata al bilancio.

 

La seguente tabella riporta le stime degli effetti finanziari della norma in esame, in termini di maggiore gettito, indicate nella relazione tecnica allegata al provvedimento:

(importi in milioni di euro)

Anni

2008

2009

2010

2011

Imposta sostitutiva

237

44

252

0

 


 

Articolo 81, commi 26-28
(Concessione di coltivazione di idrocarburi – conferimenti allo Stato)


26. Il titolare unico ovvero il contitolare di concessione di coltivazione di cui all'articolo 19 del decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 625, conferisce allo Stato una quota, espressa in barili, pari all'uno per cento delle produzioni annue ottenute a decorrere dal 1o luglio 2008 dalle concessioni di coltivazione. Il conferimento è effettuato annualmente nelle forme del versamento all'Erario, a decorrere dal 2009, entro il 31 luglio, di una somma pari al valore del prodotto da conferire calcolato utilizzando la quotazione media annua del Brent per barile rilevata nel periodo dal 1o luglio dell'anno precedente al 30 giugno dell'anno in corso.

27. Con decreto del Ministro dell'eco­nomia e delle finanze, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, sono stabilite le modalità di applicazione delle disposizioni di cui al comma 26.

28. Per la disciplina sanzionatoria si applica quanto previsto dall'articolo 19 del decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 625.


 

 

L’articolo 81, commi da 26 a 28, prevede il conferimento allo Stato di una quota, espressa in barili, pari all’1 per cento delle produzioni annue ottenute a decorrere dal 1° luglio 2008 dalle concessioni di coltivazioni di idrocarburi. Il versamento all’Erario, pari al valore del prodotto calcolato utilizzando la quotazione media annua del Brent per barile rilevata dal 1° luglio dell’anno precedente al 30 giugno dell’anno in corso, deve essere effettuato a decorrere dal 2009.

La definizione delle modalità di applicazione delle norme è rimessa a un decreto interministeriale del Ministro dell’economia e delle finanze e del Ministro dello sviluppo economico.

Per la disciplina sanzionatoria la disposizione rinvia all’articolo 19 del decreto legislativo n. 625 del 1999.

 

La relazione tecnica stima un maggior gettito di circa 40 milioni di euro annui a decorrere dal 2009.

 

Per un quadro generale sulla disciplina delle aliquote di prodotto della coltivazione (royalties), dettata dall’articolo 19 del decreto legislativo n. 625 del 1999, si rinvia alla scheda relativa all’articolo 81, commi 1-7.

Per quanto concerne, specificamente, la disciplina sanzionatoria cui fa rinvio la disposizione in esame, il comma 13 stabilisce che ove per una concessione di coltivazione risultino produzioni spettanti o valorizzazioni maggiori rispetto a quelle dichiarate, il titolare, oltre al versamento di quanto maggiormente dovuto e ferme restando le sanzioni previste dalle norme vigenti, è soggetto ad una sanzione amministrativa pari al 40% della differenza in valore risultante, comunque non inferiore a lire trenta milioni e non superiore a lire centottanta milioni.


 

Articolo 81, commi 29-31
(Istituzione Fondo di solidarietà per i cittadini meno abbienti)


29. È istituito un Fondo speciale destinato al soddisfacimento delle esigenze prioritariamente di natura alimentare e successivamente anche energetiche dei cittadini meno abbienti.

30. Il Fondo è alimentato:

a) dalle somme riscosse in eccesso dagli agenti della riscossione ai sensi dell'articolo 27 del presente decreto;

b) dalle somme dovute allo Stato a titolo di acconto delle aliquote di prodotto della coltivazione di idrocarburi ai sensi del comma 9 secondo periodo, del presente decreto;

c) dalle somme versate dalle coo­perative a mutualità prevalente di cui all'articolo 2, commi 25 e 26;

d) con trasferimenti dal bilancio dello Stato;

e) con versamenti effettuati a titolo spontaneo e solidale da parte di società ed enti operanti in specie nel comparto energetico.

31. Con decreto del Ministro dell'eco­nomia e delle finanze di concerto con il Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali sono stabilite le modalità di utilizzo del Fondo per la erogazione di aiuti eccezionali in presenza di effettive situazioni di bisogno.


 

 

L’articolo 81, ai commi 29-31 istituisce e disciplina il Fondo di solidarietà per i cittadini meno abbienti.

Il comma 29 stabilisce che le finalità di tale Fondo speciale riguardano: il soddisfacimento delle esigenze prioritariamente di natura alimentare e successivamente anche energetiche dei cittadini meno abbienti.

Il comma 30 prevede che il finanziamento del citato Fondo avvenga attraverso:

a)  somme riscosse in eccesso dagli agenti della riscossione ai sensi dell’articolo 83, commi 21 e 22, del presente decreto.

In proposito si fa presente che la dizione testuale della lettera a) in esame fa riferimento all’articolo 27 invece che all’articolo 83;

b)  dalle somme dovute allo Stato a titolo di acconto delle aliquote di prodotto della coltivazione di idrocarburi ai sensi del comma 9, secondo periodo, del presente articolo.

In proposito si fa presente che la dizione testuale della lettera b) in esame fa riferimento al comma 9, secondo periodo del presente decreto invece che del presente articolo;

c)  dalle somme versate dalle cooperative a mutualità prevalente di cui all’articolo 82, commi 25 e 26.

Anche in tal caso si fa presente che la dizione testuale della lettera c) in esame fa riferimento all’articolo 2 invece che all’articolo 82;

d)  con trasferimenti dal bilancio dello Stato;

e)  con versamenti effettuati a titolo spontaneo e solidale da parte di società ed Enti operanti in specie nel comparto energetico.

Il comma 31 demanda ad un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze di concerto con il Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali la definizione delle modalità di utilizzo del Fondo per la erogazione di aiuti eccezionali in presenza di effettive situazioni di bisogno.

 


 

Articolo 81, commi 32-38
(Istituzione della carta acquisti)


32. In considerazione delle straordinarie tensioni cui sono sottoposti i prezzi dei generi alimentari e il costo delle bollette energetiche, al fine di soccorrere le fasce deboli di popolazione in stato di particolare bisogno e su domanda di queste, è concessa ai cittadini residenti che versano in condizione di maggior disagio economico, individuati ai sensi del successivo comma, una carta acquisti finalizzata all'acquisto di tali beni e servizi, con onere a carico dello Stato.

33. Entro trenta giorni dall'entrata in vigore del presente decreto, il Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, disciplina, nei limiti delle risorse disponibili a legislazione vigente:

a) i criteri e le modalità di individua­zione dei titolari del beneficio di cui al comma 32, tenendo conto dell'età dei cittadini, dei trattamenti pensionistici e di altre forme di sussidi e trasferimenti già ricevuti dallo Stato, della situazione economica del nucleo familiare;

b) l'ammontare del beneficio unitario;

c) le modalità e i limiti per la fruizione del beneficio.

34. Ai fini dell'attuazione dei commi 32 e 33, che in ogni caso deve essere conseguita entro il 30 settembre 2008, il Ministero dell'economia e delle finanze può avvalersi di altre amministrazioni, enti pubblici o di Sogei S.p.a.

35. Il Ministero dell'economia e delle finanze, ovvero uno dei soggetti di cui questo si avvale ai sensi del comma 34, individua:

a) i titolari del beneficio di cui al comma 32, in conformità alla disciplina di cui al comma 33;

b) il gestore del servizio integrato di gestione delle carte acquisti e dei relativi rapporti amministrativi, tenendo conto della disponibilità di una rete distributiva diffusa in maniera capillare sul territorio della Repubblica, che possa fornire funzioni di sportello relative all'attivazione della carta e alla gestione dei rapporti amministrativi, al fine di minimizzare gli oneri, anche di spostamento, dei titolari del beneficio, e tenendo conto altresì di precedenti esperienze in iniziative di erogazione di contributi pubblici.

36. Le pubbliche amministrazioni e gli enti pubblici che detengono informazioni funzionali all'individuazione dei titolari del beneficio di cui al comma 32 o all'accertamento delle dichiarazioni da questi effettuate per l'ottenimento dello stesso, forniscono, in conformità alle leggi che disciplinano i rispettivi ordinamenti, dati, notizie, documenti e ogni ulteriore collaborazione richiesta dal Ministero dell'economia e delle finanze o dalle amministrazioni o enti di cui questo si avvale, secondo gli indirizzi da questo impartiti.

37. Il Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, con apposite convenzioni, promuove il concorso del settore privato al supporto economico in favore dei titolari delle carte acquisti.

38. Agli oneri derivanti dall'attuazione dei commi da 32 a 37 si provvede mediante utilizzo del Fondo di cui ai commi da 29 a 31.


 

 

I commi 32-38 dell’articolo in esame istituiscono e disciplinano la carta acquisti.

 

Il comma 32 concede una carta acquisti, con onere a carico dello Stato, ai cittadini residenti richiedenti che versano in condizione di maggior disagio economico, individuati ai sensi del successivo comma, per l’acquisto di beni alimentari e di servizi di carattere energetico.

 

Il comma 33 stabilisce che, entro trenta giorni dall’entrata in vigore del presente decreto, il Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, disciplina, nei limiti delle risorse disponibili a legislazione vigente:

a) i criteri e le modalità di individuazione dei titolari del beneficio tenendo conto dell’età dei cittadini, dei trattamenti pensionistici e di altre forme di sussidi e trasferimenti già ricevuti dallo Stato, della situazione economica del nucleo familiare;

b) l’ammontare del beneficio unitario;

c) le modalità e i limiti per la fruizione del beneficio.

 

Il comma 34 prevede l’obbligo di attuazione del presente articolo entro il 30 settembre 2008 ed a tal fine consente al Ministero dell’economia e delle finanze di avvalersi di altre amministrazioni, enti pubblici o di Sogei S.p.a.

 

Il comma 35 stabilisce che è compito del Ministero dell’economia e delle finanze, ovvero di uno dei soggetti di cui al comma precedente, individuare:

a) i titolari del beneficio previsto, in conformità alla disciplina di cui al comma 33;

b) il gestore del servizio integrato di gestione delle carte acquisti e dei relativi rapporti amministrativi, tenendo conto della disponibilità di una rete distributiva diffusa in maniera capillare sul territorio della Repubblica, che possa fornire funzioni di sportello relative all’attivazione della carta e alla gestione dei rapporti amministrativi, al fine di minimizzare gli oneri, anche di spostamento, dei titolari del beneficio, e tenendo conto altresì di precedenti esperienze in iniziative di erogazione di contributi pubblici.

 

Il comma 36 obbliga le pubbliche amministrazioni e gli enti pubblici che detengono informazioni funzionali all’individuazione dei titolari del beneficio o all’accertamento delle dichiarazioni da questi effettuate per l’ottenimento dello stesso, a fornire, in conformità alle leggi che disciplinano i rispettivi ordinamenti, dati, notizie, documenti e ogni ulteriore collaborazione richiesta dal Ministero dell’economia e delle finanze o dalle amministrazioni o enti di cui questo si avvale, secondo gli indirizzi da questo impartiti.

 

Il comma 37 prevede apposite convenzioni tra il Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, ed il settore privato, per il supporto economico in favore dei titolari delle carte acquisti.

 

Il comma 38 stabilisce che la copertura del presente articolo è garantita mediante l’utilizzo del Fondo di solidarietà per i cittadini meno abbienti di cui ai commi 29-31 del presente articolo.

 


 

Articolo 82, commi 1-5
(Deducibilità degli interessi passivi per banche ed assicurazioni ai fini IRES ed IRAP)


1. All'articolo 96 del Testo Unico delle imposte sui redditi approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, dopo il comma 5 è inserito il seguente:

«5-bis. Gli interessi passivi sostenuti dai soggetti indicati nel primo periodo del comma 5, sono deducibili dalla base imponibile della predetta imposta nei limiti del 96 per cento del loro ammontare. Nell'ambito del consolidato nazionale di cui agli articoli da 117 a129, l'ammontare complessivo degli interessi passivi maturati in capo a soggetti partecipanti al consolidato a favore di altri soggetti partecipanti sono integralmente deducibili sino a concorrenza dell'ammontare complessivo degli interessi passivi maturati in capo ai soggetti partecipanti a favore di soggetti estranei al consolidato. La società o ente controllante opera la deduzione integrale degli interessi passivi di cui al periodo precedente in sede di dichiarazione di cui all'articolo 122, apportando la relativa variazione in diminuzione della somma algebrica dei redditi complessivi netti dei soggetti partecipanti».

2. In deroga all'articolo 3 della legge 27 luglio 2000, n. 212, le disposizioni di cui al comma 5-bis dell'articolo 96 del Testo Unico delle imposte sui redditi approvato con decreto del Presidente della Repubblica n. 917, del 1986, come introdotto dal comma 1, si applicano a decorrere dal periodo di imposta in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto. Limitatamente al medesimo periodo d'imposta gli interessi passivi di cui al citato comma 5-bis sono deducibili nei limiti del 97 per cento del loro ammontare.

3. Al decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, sono apportate le seguenti modifiche:

a) all'articolo 6, comma 8, dopo il primo periodo è aggiunto il seguente: «Gli interessi passivi concorrono alla formazione del valore della produzione nella misura del 96 per cento del loro ammontare.»;

b) all'articolo 6, comma 9, dopo il primo periodo è aggiunto il seguente: «Gli interessi passivi concorrono alla formazione del valore della produzione nella misura del 96 per cento del loro ammontare.»;

c) all'articolo 7, comma 2, è aggiunto in fine il seguente periodo: «Gli interessi passivi concorrono alla formazione del valore della produzione nella misura del 96 per cento del loro ammontare.».

4. In deroga all'articolo 3 della legge 27 luglio 2000, n. 212, le disposizioni di cui al comma 3 si applicano a decorrere dal periodo di imposta in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto. Limitatamente al medesimo periodo d'imposta gli interessi passivi di cui al comma precedente sono deducibili nei limiti del 97 per cento del loro ammontare.

5. Nella determinazione degli acconti dovuti ai fini dell'imposta sul reddito delle società e dell'imposta regionale sulle attività produttive per il medesimo periodo di imposta in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto, in sede di versamento della seconda o unica rata, si assume, quale imposta del periodo precedente, quella che si sarebbe determinata applicando le disposizioni dei commi precedenti.


 

 

I commi da 1 a 5 dellarticolo 81 introducono limiti alla deducibilità degli interessi passivi per i soggetti che operano nei settori bancario, finanziario e assicurativo[472].

In deroga alle disposizioni contenute nell’articolo 3 della legge n. 212/2000 (c.d. Statuto del contribuente), la disciplina entra in vigore nel periodo d’imposta in corso alla data di entrata in vigore del provvedimento in esame (commi 2 e 4).

 

L’ambito soggettivo della nuova disciplina, individuato dal comma 1, comprende:

§      le banche e gli altri soggetti finanziari indicati nell’articolo 1 del D.Lgs. n. 87/1992[473], ad esclusione delle holding da partecipazione diverse dalle società capogruppo di gruppi bancari e assicurativi;

§      le imprese di assicurazione;

§      le società capogruppo di gruppi bancari ed assicurativi.

 

La norma in esame stabilisce una quota massima di deducibilità fiscale degli interessi passivi sostenuti applicabile sia ai fini IRES (commi 1 e 2) sia ai fini IRAP (commi 3 e 4).

In dettaglio, si inserisce, ai fini IRES, il comma 5-bis all’articolo 96 del TUIR[474] e si modificano, ai fini IRAP, gli articoli 6 e 7 del D.Lgs. n. 446/1997[475].

 

Per le società che non hanno optato per il consolidato nazionale, la parziale indeducibilità degli interessi passivi è fissata in misura pari al 3% per il periodo d’imposta in corso alla data di entrata in vigore del provvedimento in esame (ossia, per i contribuenti con esercizio coincidente con l’anno solare, per il 2008) e in misura pari al 4% a decorrere dal periodo d’imposta successivo (ossia, per i contribuenti con esercizio coincidente con l’anno solare, a decorrere dal 2009).

 

Il comma 5-bis dell’articolo 96 del TUIR, inserito dal comma 1 dell’articolo in esame, reca una specifica disciplina ai fini IRES per le società che applicano il consolidato fiscale.

 

In particolare, per i gruppi societari che optano per l’applicazione del consolidato nazionale, gli interessi passivi maturati nei confronti di soggetti che appartengono allo stesso gruppo sono deducibili sino a concorrenza dell’ammontare complessivo degli interessi passivi maturati nei confronti di soggetti che non appartengono al medesimo gruppo societario.

L’articolo 96, comma 7 del TUIR disciplina i limiti di deducibilità degli interessi passivi per le società capogruppo diverse dalle c.d. holding finanziarie. In particolare, in caso di partecipazione al consolidato nazionale, l’eventuale eccedenza di interessi passivi ed oneri assimilati indeducibili generatasi in capo a un soggetto può essere portata in abbattimento del reddito complessivo di gruppo, se e nei limiti in cui altri soggetti partecipanti al consolidato presentino, per lo stesso periodo d’imposta, un risultato operativo lordo (ROL) capiente non integralmente sfruttato per la deduzione.

 

La seguente tabella riporta le stime degli effetti finanziari della norma in esame, in termini di maggiore gettito, indicate nella relazione tecnica allegata al provvedimento:

(importi in milioni di euro)

Anni

2008

2009

2010

2011

IRES

714

714

1.340

1.177

IRAP

157

157

294

259

Totale

871

871

1634

1436

 

 


 

Articolo 82, commi 6-8
(Deducibilità della variazione della riserva sinistri)


6. All'articolo 111, comma 3, del Testo Unico delle imposte sui redditi approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, sono apportate le seguenti modifiche:

a) le parole «pari al 60 per cento» sono sostituite dalle seguenti «pari al 30 per cento»;

b) le parole «nei nove esercizi successivi» sono sostituite dalle seguenti «nei diciotto esercizi successivi»;

c) le parole «il 50 per cento della medesima riserva sinistri» sono sostituite dalle seguenti «il 75 per cento della medesima riserva sinistri».

7. Le residue quote dell'ammontare complessivo delle variazioni della riserva sinistri di cui all'articolo 111, comma 3, del Testo Unico delle imposte sui redditi approvato con decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, che eccede il 60 per cento dell'importo iscritto in bilancio, formate negli esercizi precedenti a quello in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto e non ancora dedotte, sono deducibili per quote costanti fino al raggiungimento del diciottesimo esercizio successivo a quello di loro formazione.

8. In deroga all'articolo 3 della legge 27 luglio 2000, n. 212, le disposizioni di cui ai commi 6 e 7 si applicano a decorrere dal periodo d'imposta in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto; nella determinazione degli acconti dovuti per il medesimo periodo di imposta, in sede di versamento della seconda o unica rata, si assume, quale imposta del periodo precedente, quella che si sarebbe determinata applicando le disposizioni dei commi 6 e 7.


 

 

I commi 6-8 dell’articolo 82 recano disposizioni in materia di deducibilità, a fini IRES, della variazione della riserva sinistri per le imprese di assicurazione.

 

In particolare, il comma 6 apporta diverse modifiche al Testo unico delle imposte sui redditi, complessivamente finalizzate a ridurre la quota deducibile di suddetta riserva.

 

La disposizione incide sull’articolo 111 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (testo unico delle imposte sui redditi - TUIR) che regola la determinazione del reddito imponibile, ai fini dell’ imposta sui redditi, con riguardo alle imprese di assicurazione.

 

L'articolo 111, comma 1 del TUIRdispone che, nella determinazione del reddito delle società e degli enti che esercitano attività assicurative, la variazione delle riserve tecniche obbligatorie - fino alla misura massima stabilita a norma di legge - concorre a formare il reddito dell'esercizio.

Il comma 3 del citato articolo 111, oggetto di modifica dalla disposizione in commento, nella sua attuale formulazione stabilisce che la variazione della riserva sinistri relativa ai contratti di assicurazione dei rami danni, per la parte riferibile alla componente di lungo periodo, sia deducibile nell'esercizio in misura pari al 60 per cento dell'importo iscritto in bilancio; l'eccedenza è deducibile in quote costanti nei nove esercizi successivi. È considerato componente di lungo periodo il 50 per cento della medesima riserva sinistri.

 

Si ricorda che ai sensi dell’articolo 37, comma 1 del Decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 (Codice delle assicurazioni private), le imprese di assicurazione che esercitano i rami danni hanno l'obbligo di costituire, per i contratti del portafoglio italiano, riserve tecniche che siano sempre sufficienti a far fronte, per quanto ragionevolmente prevedibile, agli impegni derivanti dai contratti di assicurazione.

 

Per effetto della disposizione in esame, all’articolo 111 sono apportate le seguenti modifiche:

§      la lettera a) riduce dal 60 per cento al 30 per cento la quota deducibile, nell’esercizio interessato, della variazione della riserva sinistri relativa ai contratti di assicurazione dei rami danni, per la parte riferibile alla componente di lungo periodo;

 

§      la lettera b) allunga il periodo di riportabilità delle eccedenze – ovvero la possibilità di portare le eccedenze in deduzione, per quote costanti, negli esercizi successivi - ai diciotto esercizi successivi (in luogo dei nove previsti dalla formulazione originaria della norma);

 

§      la lettera c) stabilisce che venga considerato “di lungo periodo” il 75 per cento della riserva sinistri, in luogo dell’attuale 50 per cento.

 

Il comma 7 dell’articolo in esame interviene invece sulla disciplina dei cosiddetti “noni pregressi”.

La disposizione sancisce che anche le residue quote dell’ammontare complessivo delle variazioni della riserva sinistri - eccedenti il 30 per cento dell’importo iscritto in bilancio- formate negli esercizi precedenti a quello in corso alla data di entrata in vigore del decreto in esame e non ancora dedotte, siano deducibili per quote costanti fino al raggiungimento del diciottesimo esercizio successivo a quello di loro formazione.

 

Infine, il comma 8 prevede l’applicazione delle disposizioni contestual­mente introdotte in materia di deducibilità della variazione della riserva sinistri (commi 6 e 7) a decorrere dal periodo d’imposta in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto, ovvero dal periodo d’imposta 2008.

 

Ai sensi del comma in esame, l’entrata in vigore delle disposizioni avviene in deroga all’articolo 3 della legge 27 luglio 2000, 212 (recante lo statuto del contribuente) il quale, al comma 1, stabilisce il generale principio di irretroattività delle disposizioni tributarie.

La medesima norma stabilisce infine che, nella determinazione degli acconti dovuti per tale periodo d’imposta (2008), in sede di versamento della seconda o unica rata si assume, quale imposta del periodo precedente, quella che si sarebbe determinata applicando le nuove disposizioni in materia di deducibilità della riserva sinistri, introdotte ai commi 6 e 7.

 

La Relazione tecnica stima che, quale effetto delle norme in commento, un recupero di gettito ai fini IRES, in termini sia di competenza che di cassa (ferma un’aliquota media del 26 per cento), per 193 milioni di euro per il 2008, 186 milioni per il 2009, 179 milioni per il 2010 e 173 milioni per il 2011.

 


 

Articolo 82, commi 9-10
(Acconti imposta di bollo e imposta sulle assicurazioni)

9. La percentuale della somma da versare, nei termini e con le modalità previsti dall'articolo 15-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 642, è elevata al 75 per cento per l'anno 2008, all'85 per cento per il 2009 e al 95 per cento per gli anni successivi.

10. La percentuale della somma da versare nei termini e con le modalità previsti dall'articolo 9 comma 1-bis della legge 29 ottobre 1961, n. 1216, è elevata al 14 per cento per l'anno 2008, al 30 per cento per il 2009 e al 40 per cento per gli anni successivi.

 

 

I commi 9 e 10 dell’articolo 82 elevano la percentuale da versare a titolo di acconto sull’imposta di bollo, nonché sull’imposta sui premi e gli accessori assicurativi.

Nel dettaglio, il comma 9 eleva -dal 70 per cento della attuale formulazione al 75 per cento per l’anno 2008, all’85 per cento per il 2009 e al 95 per cento per gli anni successivi.la percentuale della somma da versare a titolo di acconto dell’imposta di bollo assolta in modo virtuale.

 

Ai sensi dell’articolo 15 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 642, l’imposta di bollo può essere pagata, oltre che in modo ordinario (mediante utilizzo di carta filigranata e bollata) e in modo straordinario (mediante marche da bollo, visto per bollo e bollo a punzone), anche in modo virtuale, ossia mediante versamento diretto, per alcuni atti e i documenti (indicati dal D.M. 7 giugno 1973 e dal D.M. 10 febbraio 1988). Per poter usufruire di questa modalità di pagamento, il soggetto interessato deve presentare apposita richiesta.

Per gli anni successivi a quello del primo versamento, l’imposta viene versata in via provvisoria mediante sei rate bimestrali di uguale importo, la somma delle quali corrisponde all’imposta liquidata in via definitiva nell’anno precedente. Entro il successivo mese di gennaio, il contribuente presenta all’ufficio del registro una dichiarazione contenente il numero e la tipologia degli atti e dei documenti emessi nell’anno precedente. Sulla base di tale dichiarazione l’ufficio del registro procede alla liquidazione definitiva dell’imposta dovuta per l’anno precedente (che costituirà la base per il versamento provvisorio dell’imposta per l’anno in corso) effettuando i relativi conguagli, a debito o a credito, sulla rata bimestrale scadente a febbraio o in quella successiva.

Alcuni soggetti[476] (ai sensi dell’articolo 15-bis del citato D.P.R. n. 642 del 1972, introdotto dall’articolo 4 del decreto-legge n. 282 del 2004) che versano l’imposta di bollo in modo virtuale sono altresì tenuti a versare, entro il 30 novembre di ogni anno, a titolo di acconto per l’anno successivo, una percentuale – nella formulazione attuale della norma pari al settanta per cento - dell’imposta liquidata in via provvisoria per l’anno in corso.

Per esigenze di liquidità, la norma consente la compensazione del versamento in acconto con i versamenti bimestrali effettuati nell’anno successivo, a partire da quello di febbraio.

 

Il comma 10 eleva al 14 per cento per l’anno 2008, al 30 per cento per il 2009 e al 40 per cento per gli anni successivi la percentuale della somma da versare annualmente a titolo acconto dell’imposta sui premi e accessori incassati, posta a carico delle imprese assicuratrici.

L’imposta sulle assicurazioni è disciplinata dalla legge 29 ottobre 1961, n. 1216. Essa (articolo 4) è dovuta proporzionalmente all’importo del premio, compresi tutti gli accessori, per ciascun pagamento di esso, e diviene applicabile a misura che sia pagato o altrimenti soddisfatto il premio. L’imposta è comunque dovuta ancorché questo, per qualsiasi causa, venga in tutto o in parte restituito dall'assicuratore.

Gli assicuratori (articolo 9 della legge n. 1216 del 1961) sono tenuti a versare all'ufficio del registro, entro il mese solare successivo, l'imposta dovuta sui premi e accessori incassati in ciascun mese solare, nonché eventuali conguagli dell'imposta dovuta sui premi e accessori incassati nel secondo mese precedente. Per i premi e accessori incassati nel mese di novembre, nonché per gli eventuali conguagli relativi al mese di ottobre, l'imposta deve essere versata entro il 20 dicembre successivo.

La liquidazione definitiva annuale è operata dall’ufficio del registro entro il 15 giugno dell’anno successivo sulla base della denunzia dell'ammontare complessivo dei premi e accessori incassati nell'esercizio annuale scaduto, su cui è dovuta l'imposta, distinti per categorie di assicurazioni, presentata dagli assicuratori entro il 31 maggio precedente.

Ai sensi dell’articolo 9, comma 1-bis della legge n. 1216 del 1961, gli assicuratori versano, a titolo di acconto, entro il 30 novembre di ogni anno, una percentuale – nella formulazione originale della norma, pari al 12,5 per cento - dell’imposta liquidata per l’anno precedente - al netto di quella relativa alle assicurazioni contro la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore. Per esigenze di liquidità l’acconto versato può essere detratto, a partire dal successivo mese di febbraio, dai citati versamenti mensili cui è tenuto l’assicuratore.

 

La Relazione tecnica che accompagna il decreto-legge stima che dalle disposizioni in commento discenda un maggior gettito in termini di cassa, per quanto attiene all’imposta di bollo, pari a 91 milioni nel 2008 e 183 milioni sia nel 2009 che nel 2010. Per l’imposta sulle assicurazioni tale importo è stimato in 42 milioni per il 2008, 452 milioni nel 2009 e 283 milioni nel 2010. Dall’anno 2011, con l’entrata a regime del provvedimento, l’effetto stimato è pari a zero.

 


 

Articolo 82, commi 11-13
(Svalutazione dei crediti e accantonamento per rischi sui crediti)


11. All'articolo 106, comma 3, del Testo Unico delle imposte dirette approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, sono apportate le seguenti modifiche:

a) le parole: «0,40 per cento», ovunque ricorrano, sono sostituite dalle seguenti: «0,30 per cento»;

b) le parole «nei nove esercizi successivi» sono sostituite dalle seguenti «nei diciotto esercizi successivi».

12. Le residue quote dell'ammontare complessivo delle svalutazioni eccedenti la misura deducibile in ciascun esercizio ai sensi del comma 3 dell'articolo 106 del testo unico delle imposte dirette approvato con decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, formate negli esercizi precedenti a quello in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto e non ancora dedotte, sono deducibili per quote costanti fino al raggiungimento del diciottesimo esercizio successivo a quello in cui esse si sono formate.

13. In deroga all'articolo 3 della legge 27 luglio 2000, n. 212, le disposizioni di cui ai commi 11 e 12 si applicano a decorrere dal periodo d'imposta in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto; nella determinazione degli acconti dovuti per il medesimo periodo di imposta, in sede di versamento della seconda o unica rata, si assume, quale imposta del periodo precedente, quella che si sarebbe determinata applicando le disposizioni dei commi 11 e 12.


 

 

I commi da 11 a 13 dell’articolo 82, modificando l’articolo 106 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR), intervengono sulla deducibilità delle svalutazioni dei crediti e degli accantonamenti per rischi su crediti relativamente agli enti creditizi e finanziari.

 

Il previgente comma 3 dell'articolo 106 del TUIR disponeva che per gli enti creditizi e finanziari di cui al decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 87, le svalutazioni dei crediti risultanti in bilancio, per l'importo non coperto da garanzia assicurativa, che derivano dalle operazioni di erogazione del credito alla clientela, compresi i crediti finanziari concessi a Stati, banche centrali o enti di Stato esteri destinati al finanziamento delle esportazioni italiane o delle attività ad esse collegate, sono deducibili in ciascun esercizio nel limite dello 0,40 per cento del valore dei crediti risultanti in bilancio, aumentato dell'ammontare delle svalutazioni dell'esercizio. L'eccedenza è deducibile in quote costanti nei nove esercizi successivi. Ai fini del presente comma le svalutazioni si assumono al netto delle rivalutazioni dei crediti risultanti in bilancio. Se in un esercizio l'ammontare complessivo delle svalutazioni è inferiore al limite dello 0,40 per cento, sono ammessi in deduzione, fino al predetto limite, accantonamenti per rischi su crediti. Gli accantonamenti non sono più deducibili quando il loro ammontare complessivo ha raggiunto il 5 per cento del valore dei crediti risultanti in bilancio alla fine dell'esercizio.

 

In particolare, il comma 11 dispone:

§      la riduzione dallo 0,4% allo 0,3% della quota annua massima deducibile;

§      l’aumento da nove a diciotto anni del periodo di tempo entro il quale è deducibile l’eccedenza non deducibile nell’anno.

 

Si segnala, tuttavia, che per effetto del richiamo compiuto dall'ultimo periodo del comma 9 dell’articolo 16 del decreto legislativo 26 maggio 1997, n. 173 (secondo cui alle svalutazioni dei crediti nei confronti di assicurati determinate in conformità al medesimo comma si applicano le disposizioni di cui ai commi 3 e 5 dell'articolo 71 - oggi articolo 106 - del TUIR), la disposizione in esame si applica anche alle imprese di assicurazione.

 

Ai sensi del comma 12 l’ampliamento a 18 anni del periodo di deducibilità delle svalutazioni eccedenti la quota annuale, si applica anche alle svalutazioni per le quali i contribuenti hanno in corso la procedura di deduzione. A tal fine, i contribuenti provvedono alla rideterminazione delle quote non ancora dedotte le quali sono deducibili per quote costanti fino al raggiungimento del diciottesimo esercizio successivo a quello di formazione.

 

Ai sensi del comma 13, in deroga a quanto stabilito dall’articolo 3 della legge n. 212/2000 (c.d. Statuto del contribuente), la nuova disciplina entra in vigore a decorrere dal periodo d’imposta in corso alla data di entrata in vigore del provvedimento in esame, ossia, per i contribuenti con esercizio coincidente con l’anno solare, dal 2008.

La nuova disciplina, inoltre, deve essere considerata anche ai fini della determinazione degli acconti IRES e IRAP dovuti per il medesimo periodo d’imposta. Poiché per i contribuenti che hanno l’esercizio coincidente con l’anno solare, il termine di scadenza per il versamento del primo acconto d’imposta è scaduto il 16 giugno 2008, tale ultima disposizione troverà applicazione in sede di versamento del secondo acconto (30 novembre 2008).

 

La seguente tabella riporta le stime degli effetti finanziari della norma in esame, in termini di maggiore gettito, indicate nella relazione tecnica allegata al provvedimento:

(importi in milioni di euro)

Anni

2008

2009

2010

2011

IRES

256

263

271

279

 


 

Articolo 82, commi 14-15
(Imposta di registro contratti di locazione immobiliare)


14. Al testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all'articolo 5, comma 2, dopo le parole: «ad eccezione delle operazioni esenti di cui all'articolo 10, numeri 8), 8-bis), 8-ter) e 27-quinquies), dello stesso decreto» sono aggiunte le seguenti: «nonché delle locazioni di immobili esenti ai sensi dell'articolo 6 della legge 13 maggio 1999, n. 133 e dell'articolo 10, secondo comma, del medesimo decreto n. 633 del 1972»;

b) all'articolo 40, comma 1 dopo le parole «27-quinquies) dello stesso decreto» sono inserite le seguenti: «nonché delle locazioni di immobili esenti ai sensi dell'articolo 6 della legge 13 maggio 1999 n. 133 e dell'articolo 10, secondo comma, del medesimo decreto n. 633 del 1972».

15. Con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate sono stabiliti le modalità e i termini degli adempimenti e del versamento dell'imposta commisurata ai canoni di locazione maturati a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto per i contratti di locazione in corso alla medesima data e per quelli stipulati successivamente.


 

 

Il comma 14 modifica alcune norme del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, recante il Testo Unico delle disposizioni sull’imposta di registro, estendendo l’applicazione dell’imposta di registro in termine fisso ed in misura proporzionale alle locazioni immobiliari poste in essere nell’ambito di gruppi bancari e assicurativi, nonché di società consortili e cooperative con funzioni consortili.

 

L’imposta di registro è un’imposta indiretta sui trasferimenti checolpisce gliatti elencati nella Tariffa allegata al D.P.R. n. 131 del 1986.

Ai fini dell’applicazione dell’imposta, si intende per registrazione in termine fisso la registrazione da richiedersi entro un determinato numero di giorni dalla data di formazione dell’atto. La registrazione in caso d’uso (articolo 6 del D.P.R. n. 131 del 1986) si verifica quando un atto si deposita, per essere acquisito agli atti, presso le cancellerie giudiziarie nell'esplicazione di attività amministrative o presso le amministrazioni dello Stato o degli enti pubblici territoriali e i rispettivi organi di controllo, salvo che il deposito avvenga ai fini dell'adempimento di un'obbligazione delle suddette amministrazioni, enti o organi ovvero sia obbligatorio per legge o regolamento.

L’imposta può essere applicata in misura fissa (per un ammontare legato al tipo di atto imponibile) ovvero proporzionalmente (applicando l’aliquota prevista nella tariffa al valore dell’atto).

La lettera a)della norma in esame interviene sull’articolo 5, comma 2, del citato D.P.R. n. 131 del 1986, che disciplina le ipotesi di applicazione dell’imposta alle scritture private non autenticate.

 

Nella sua formulazione originale, il comma 2 dispone che lescritture private non autenticatesiano soggette a registrazione solo in caso d'uso ove tutte le disposizioni in esse contemplate riguardino operazioni soggette ad IVA.

A tal fine,si considerano soggette all'imposta sul valore aggiunto, e sono assoggettate a registrazione in caso d’uso - le seguenti operazioni:

a)    cessioni e prestazioni per le quali l'imposta non è dovuta per ragioni di territorialità (a norma dell'articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633);

b)    operazioni per cui deve essere comunque emessa fattura, a norma del sesto comma dell'articolo 21 dello stesso D.P.R. n. 633 del 1972.

Tuttavia, entro le operazioni di cui alla citata lettera b),fanno eccezione le operazioni - esenti e imponibili - elencate dell'articolo 10, primo comma, numeri 8), 8-bis), 8-ter), e 27-quinquies) dello stesso D.P.R. n. 633 del 1972. Le ipotesi individuate dalle citate norme concernono, in sintesi, le locazioni di aree non edificabili e di fabbricati alle condizioni previste dal suddetto numero 8); le cessioni di fabbricati non strumentali per natura,nei limiti temporali stabiliti dalla norma (8-bis); le cessioni di fabbricati strumentali per natura, con le eccezioni elencate dal numero 8-ter; infine, le cessioni di beni acquistati o importati senza il diritto alla detrazione totale dell’IVA (27-quinquies).

Queste operazioni sono assoggettate infatti a registrazione in termine fisso.

 

La norma in commento, accanto alle citate disposizioni dell'articolo 10, primo comma, numeri 8), 8-bis), 8-ter) e 27-quinquies, assoggetta alla registrazione in termine fisso anche le locazioni di immobili esenti da IVA ai sensi dell’articolo 6 della legge 13 maggio 1999, n. 133 (per il cui termine di abrogazione cfr. scheda relativa all’articolo 82, comma 16 del decreto-legge in esame) e dell’articolo 10, secondo comma, del citato D.P.R. n. 633 del 1972.

 

L’obbligo di registrazione in termine fisso investe dunque le locazioni di immobili effettuate (articolo 6, comma 1 della legge n. 133 del 1999) - quali prestazioni di servizi rese nell'ambito delle attività di carattere ausiliario, da parte delle cd. “società strumentali” (cfr. relativa scheda di lettura al comma 16) - nell’ambito del gruppo bancario da:

a)   società facenti parte del gruppo bancario, ivi incluse le società strumentali, alle società del gruppo medesimo;

b)   consorzi - ivi comprese le società cooperative con funzioni consortili - costituiti tra banche, nei confronti dei consorziati o dei soci, a condizione che i corrispettivi in qualsiasi forma da questi dovuti ai consorzi per statuto non superassero i costi imputabili alle prestazioni stesse.

Allo stesso modo, la registrazione in termine fisso concerne le locazioni immobiliari poste in essere - quali prestazioni di servizi (articolo 6, comma 2) - in favore delle società del gruppo bancario da parte della capogruppo estera, ovvero da parte di società del gruppo estero, comprese le società strumentali il cui capitale sia interamente posseduto dalla controllante estera della banca italiana capogruppo, ovvero da tale controllante e da altre società da questa controllate. La condizione posta è che tutti i soggetti elencati abbiano la sede legale nell'Unione europea (articolo 6, comma 2).

Un analogo meccanismo riguarda gli atti di locazione immobiliare (articolo 6, comma 3) posti in essere:

a)   in favore di società del gruppo assicurativo, da altra società del gruppo medesimo controllata, controllante, o controllata dalla stessa controllante secondo i parametri dettati dal codice civile (nel dettaglio, dall'articolo 2359, commi primo e secondo);

b)   da consorzi costituiti tra le società di cui alla lettera a), nei confronti delle società stesse, a condizione che i corrispettivi da queste dovuti ai consorzi per statuto non superino i costi imputabili alle prestazioni stesse;

c)   da parte di società facente parte del gruppo assicurativo in favore di altra società del gruppo, in presenza di un certo ammontare di operazioni esenti rispetto alla totalità del volume d’affari. Anche in tal caso si prevede l’applicazione dei parametri del codice civile (e precisamente del primo comma, numero 1), e secondo comma dell'articolo 2359 del codice civile) per la nozione di gruppo societario (articolo 6, comma 3, lettera c);

d)   da parte di società controllata, controllante o controllata dalla stessa controllante, ai sensi delle norme del codice civile, in favore di altra società svolgente operazioni relative alla riscossione dei tributi (articolo 6, comma 3 lettera c-bis).

 

Per effetto del rinvio all’articolo 10, comma 2 del D.P.R. IVA, sono sottoposte a registrazione in termine fisso anche le locazioni di immobili poste in essere a titolo di prestazioni di servizi effettuate nei confronti dei consorziati o soci da consorzi, ivi comprese le società consortili e le società cooperative con funzioni consortili, per cui la percentuale di detrazione di cui all’articolo 19-bis (che appunto reca le modalità di calcolo della percentuale detraibile a fini IVA, in relazione ai beni ed ai servizi importati o acquistati nell'esercizio dell'impresa, arte o professione) sia stata non superiore al 10 per cento, a condizione che i corrispettivi dovuti dai consorziati o soci ai predetti consorzi e società non superino i costi imputabili alle prestazioni stesse.

 

La lettera b) del comma 14 correlativamente modifica l’articolo 40, comma 1 del citato D.P.R. n. 131 del 1986, che disciplina l’applicazione della misura dell’imposta (in misura fissa, ovvero proporzionalmente) agli atti relativi ad operazioni soggette ad IVA.

Nella sua originale formulazione, l’articolo 40, comma 1 del D.P.R. sull’imposta di registro prevede che per gli atti relativi a cessioni di beni e prestazioni di servizi soggetti all'imposta sul valore aggiunto, l'imposta si applica in misura fissa. Si considerano soggette all'imposta sul valore aggiunto anche le cessioni e le prestazioni per le quali l'imposta non è dovuta a norma dell'art. 7 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e quelle di cui al sesto comma del successivo art. 21.

Entro quest’ultima categoria, fanno eccezione le operazioni esenti ai sensi dell'articolo 10, numeri 8, 8-bis e 27-quinquies, dello stesso D.P.R. IVA (per l’elencazione di tali soggetti, vedi supra; si rileva tuttavia che non sono ricomprese le operazioni di cui al numero 8-ter, indi le locazioni di immobili strumentali per natura le quali, dunque, sono sottoposte ad imposta in misura proporzionale).

 

Coerentemente alla modifica apportata all’articolo 5 del D.P.R. 131 del 1986, la norma in commento tende ad ampliare il novero delle operazioni soggette ad imposta di registro in misura proporzionale. L’applicazione dell’imposta in misura proporzionale riguarderà le locazioni di immobili esenti da IVA, poste in essere dai medesimi soggetti indicati nella lettera a)del comma 14 (cfr. supra).

 

Infine, il comma 15 dispone che le modalità e i termini degli adempimenti, nonchédel versamento dell’imposta commisurata ai canoni di locazione maturati a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto-legge n. 112 in esame, siano stabiliti con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate per i contratti di locazione in corso alla medesima data e per quelli stipulati successivamente.

 

La Relazione tecnica stima che l’ammontare dell’imposta in parola sia valutabile, in termini annuali, in circa 10 milioni di euro. Considerando dunque un’entrata in vigore della norma a partire dal 1° luglio 2008, la Relazione effettua una stima precauzionale degli effetti per l’anno in corso (5/12), anche al fine di considerare possibili ritardi dell’operatività della norma.

Ove si presenti un effetto continuativo, il maggior gettito viene stimato il 4 milioni di euro per il 2008 e 10 milioni di euro per gli anni 2009 e 2010.

 


 

Articolo 82, comma 16
(Regime IVA delle prestazioni ausiliarie
nei gruppi bancari e assicurativi)

16. Le disposizioni di cui all'articolo 1, comma 262, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, si applicano a decorrere dal 1o gennaio 2009. Conseguentemente nel comma 264, dell'articolo 1, lettera a), della legge n. 244 del 2007, sono soppresse le parole «, e al comma 262».

 

Il comma 16 differisce al 1° gennaio 2009 - in luogo del 1° gennaio 2008, come originariamente previsto - la decorrenza delle norme - contenute nella legge finanziaria per il 2008 - che hanno assoggettato ad IVA alcune prestazioni di carattere ausiliario svolte nell’ambito di gruppi bancari, assicurativi e di imprese che compiono, in prevalenza, operazioni esenti, nonché nell’ambito di consorzi tra banche e tra imprese facenti parte di gruppi assicurativi.

Nel dettaglio, la disposizione in esame posticipa l’applicazione dell’articolo 1, comma 262 della legge 24 dicembre 2007 n. 244 (legge finanziaria 2008). Tale disposizione ha modificato la legge 13 maggio 1999 n. 133, sopprimendo i commi da 1 a 3-bis dell’articolo 6, in materia di IVA di gruppo.

I commi 1-3 del citato articolo prevedevano l’esenzione dall’Iva per le prestazioni di carattere ausiliario svolte nell’ambito dei gruppi bancari, assicurativi e di imprese che compiono prevalentemente operazioni esenti, nonché nell’ambito di consorzi tra banche e tra imprese facenti parte di gruppi assicurativi.

Si tratta di prestazioni di servizi ai sensi dell'articolo 59, comma 1, lettera c), del TU bancario (ovvero resi dalle “società strumentali”, esercenti cioè in via esclusiva o prevalente attività ausiliarie di quelle svolte dalle società del gruppo, comprese quelle consistenti nella proprietà e nell'amministrazione di immobili e nella gestione di servizi anche informatici) effettuate:

a)       da società facenti parte del gruppo bancario, ivi incluse le società strumentali alle società del gruppo medesimo;

b)       dai consorzi - ivi comprese le società cooperative con funzioni consortili - costituiti tra banche, nei confronti dei consorziati o dei soci, a condizione che i corrispettivi in qualsiasi forma da questi dovuti ai consorzi per statuto non superassero i costi imputabili alle prestazioni stesse. Qualora a detti consorzi, esistenti alla data di entrata in vigore della presente disposizione, fossero associati anche soggetti diversi dalle banche, l'esenzione si applicava limitatamente alle prestazioni rese nei confronti delle banche, a condizione che il relativo ammontare fosse superiore al 50 per cento del volume d'affari.

In base al comma 2, l'esenzione si applicava anche alle prestazioni di servizi rese in via esclusiva alle società del gruppo bancario da parte della capogruppo estera, ovvero da parte di società del gruppo estero - comprese le società strumentali il cui capitale fosse interamente posseduto dalla controllante estera della banca italiana capogruppo, ovvero da tale controllante e da altre società da questa controllate. L'esenzione si applicava a condizione che tutti i soggetti avessero la sede legale nell'Unione europea.

Il comma 3 prevedeva che l'esenzione prevista al comma 1 si applicasse altresì alle prestazioni di servizi rese:

a)       a società del gruppo assicurativo da altra società del gruppo medesimo controllata, controllante, o controllata dalla stessa controllante secondo la nozione codicistica;

b)      da consorzi costituiti tra le società di cui alla lettera a), nei confronti delle società stesse, a condizione che i corrispettivi da queste dovuti ai consorzi per statuto non superassero i costi imputabili alle prestazioni stesse;

c)       a società del gruppo il cui volume di affari dell'anno precedente fosse costituito per oltre il 90 per cento da operazioni esenti, da parte di altra società facente parte del gruppo medesimo. La disposizione si applicava a condizione che l'ammontare globale dei volumi di affari delle società del gruppo dell'anno precedente fosse costituito per oltre il 90 per cento da operazioni esenti. Ai fini dell’applicazione della norma, si disponeva che l’appartenenza a un gruppo della società controllante e delle società controllate seguisse, anche in questo caso, le disposizioni del codice civile (primo comma, numero 1), e secondo comma dell'articolo 2359 del codice civile) fin dall'inizio dell'anno solare precedente;

c-bis) a società che svolgessero operazioni relative alla riscossione dei tributi da parte di altra società controllata, controllante o controllata dalla stessa controllante, ai sensi delle norme del codice civile (articolo 2359, commi primo e secondo, c.c.).

 

Il comma 3-bis rimandava poi alle norme del codice civile e del D.Lgs. n. 385 del 1993 (testo unico bancario – TUB) per la definizione di “il controllo nella forma dell'influenza dominante” ai fini dell’applicazione dei commi 1-3 dell’articolo 6.

 

Con finalità di coordinamento, la norma in commento dispone altresì la parziale abrogazione delle disposizioni della legge finanziaria 2008(articolo 1, comma 264 della citata legge n. 244 del 2007)relative all’entrata in vigore della suddetta disciplina.

La Relazione quantifica gli effetti di tale misura in un minor gettito per gli anni 2008 e 2010 (rispettivamente, 117 milioni di euro per il 2008, e 23,9 milioni per il 2010) ed un maggior gettito per 55,1 milioni per il 2009.

 


 

Articolo 82, commi 17-22
(Disposizioni tributarie riguardanti fondi di investimento immobiliari “familiari”)


17. A partire dal periodo d'imposta in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto-legge, ai fondi d'investimento immobiliare chiusi di cui all'articolo 37 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, che presentano i requisiti indicati nelle lettere a) e b) del comma 2, si applica un'imposta patrimoniale sull'ammontare del valore netto dei fondi. La società di gestione preleva un ammontare pari all'1 per cento a titolo di imposta patrimoniale. Il valore netto del fondo deve essere calcolato come media annua dei valori risultanti dai prospetti redatti ai sensi dell'articolo 6, comma 1, lettera c), numero 3) del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58. Nel caso di fondi comuni avviati o cessati in corso d'anno, in luogo del patrimonio all'inizio dell'anno si assume il patrimonio alla data di avvio del fondo ovvero in luogo del patrimonio alla fine dell'anno si assume il patrimonio alla data di cessazione del fondo. Ai fini dell'applicazione della presente disposizione non concorre a formare il valore del patrimonio netto l'ammontare dell'imposta patrimoniale dovuta per il periodo d'imposta e accantonata nel passivo. L'imposta è corrisposta entro il 16 febbraio dell'anno successivo. Per l'accertamento, la riscossione e le sanzioni dell'imposta non dichiarata o non versata si applicano le disposizioni stabilite in materia di imposte sui redditi.

18. L'imposta di cui al comma 17 è dovuta qualora il fondo sia costituito con apporto di immobili, diritti reali immobiliari o partecipazioni in società immobiliari per la maggior parte del suo patrimonio e qualora:

a) le quote del fondo siano detenute, da meno di 10 partecipanti salvo che almeno il 50 per cento di tali quote siano detenute da uno o più dei soggetti di cui al comma 2 ultimo periodo dell'articolo 7 del decreto-legge 25 settembre 2001, n. 351, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2001, n. 410, dai soggetti indicati nell'articolo 6 del decreto legislativo 1° aprile 1996, n. 239, da imprenditori individuali, società ed enti se le partecipazioni sono relative all'impresa commerciale nonché da enti pubblici ed enti di previdenza obbligatoria;

b) e, in ogni caso, se il fondo è istituito ai sensi degli articoli 15 e 16 del regolamento del Ministro del tesoro del bilancio e della programmazione economica 24 maggio 1999, n. 228, e più dei due terzi delle quote siano detenute complessivamente, nel corso del periodo d'imposta, al di fuori dell'esercizio d'impresa, da persone fisiche legate fra loro da rapporti di parentela o affinità ai sensi dell'articolo 5, comma 5, del Testo Unico delle imposte sui redditi approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, nonché da società ed enti di cui le persone fisiche medesime detengano il controllo ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile, ovvero il diritto di partecipazione agli utili superiore al 50 per cento e da trust di cui siano disponenti o beneficiari.

19. La Società di gestione del risparmio verifica la condizione di cui alla lettera a) del comma 18 al momento dell'istituzione del fondo comune. La condizione di cui alla lettera b) del comma 18 è verificata costantemente dalla società di gestione del risparmio, considerando la media annua del valore delle quote detenute dai partecipanti. A tal fine in caso di cessione delle quote gli acquirenti sono tenuti a rendere apposita comunicazione scritta alla società di gestione del risparmio, entro 30 giorni dalla data dell'acquisto, contenente tutte le informazioni necessarie e aggiornate ai fini dell'applicazione delle disposizioni del comma 18, lettera b).

20. La sussistenza delle condizioni indicate nel comma 18 determina l'applicazione dell'imposta patrimoniale di cui al comma 17 a partire dal periodo d'imposta nel quale esse si verificano.

21. Nell'articolo 7, comma 1, del decreto-legge 25 settembre 2001, n. 351, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2001, n. 410, le parole: «una ritenuta del 12,50 per cento», sono sostituite dalle seguenti: «una ritenuta del 20 per cento».

22. All'articolo 73 del Testo Unico delle imposte sui redditi approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, dopo il comma 5-ter, è inserito il seguente:

«5-quater. Salvo prova contraria, si considerano residenti nel territorio dello Stato le società o enti che detengano più del 50 per cento delle quote dei fondi di investimento immobiliare chiusi di cui all'articolo 37 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e siano controllati direttamente o indirettamente, per il tramite di società fiduciarie o per interposta persona, da soggetti residenti in Italia. Il controllo è individuato ai sensi dell'articolo 2359, commi 1 e 2, del codice civile, anche per partecipazioni possedute da soggetti diversi dalle società.».


 

 

I commi da 17 a 22 modificano la disciplina fiscale dei fondi di investimento immobiliare disponendo:

§      l’istituzione di una imposta patrimoniale in misura pari all’1% sui c.d. fondi immobiliari familiari (commi da 17 a 20);

§      l’aumento dal 12,50% al 20% dell’aliquota della ritenuta fiscale sui proventi corrisposti da qualunque tipologia di fondo immobiliare (comma 21);

§      l’attribuzione della qualifica di residente in Italia, salvo prova contraria, alle società o enti che detengono più del 50% delle quote dei fondi di investimento immobiliari chiusi (comma 22).

Relativamente all’introduzione dell’imposta patrimoniale, la relazione tecnica allegata al provvedimento precisa che la disposizione ha carattere essenzialmente antielusivo. In particolare, intende evitare che le persone fisiche, individualmente o insieme a pochissimi soggetti della medesima natura, possano promuovere la costituzione di fondi immobiliari al solo fine di beneficiare del favorevole regime fiscale di tassazione degli immobili e dei proventi derivanti dagli stessi in luogo di quello più oneroso che si rende applicabile nel caso in cui gli immobili siano detenuti direttamente dai partecipanti.

 

Il comma 17 introduce, per i fondi di cui all’articolo 37 del D.Lgs. n. 58/1998[477] in presenza di specifiche condizioni tassativamente individuate, una imposta patrimoniale fissata in misura pari all’1% del valore netto dei determinato come media annua dei valori risultanti dai prospetti periodici redatti dalle Società gestione risparmio[478]. In merito alle modalità di attuazione si dispone che:

§      la SGR preleva l’imposta patrimoniale che deve essere versata entro il 16 febbraio dell’anno successivo;

§      per i fondi avviati in corso di anno, in luogo del patrimonio all’inizio dell’anno si assume il patrimonio alla data di avvio del fondo e, per quelli cessati in corso d’anno, si assume il patrimonio alla data di cessazione del fondo;

§      l’imposta patrimoniale dovuta in anno e accantonata nel passivo, non concorre alla formazione del patrimonio netto ai fini della determinazione dell’imposta dovuta nel medesimo anno;

§      in materia di accertamento, riscossione, e sanzione dell’imposta non dichiarata o non versata si applicano le disposizioni stabilite in materia di imposte sui redditi.

 

Il comma 17 contiene un rinvio ai “requisiti indicati nelle lettere a) e b) del comma 2”; tale rinvio sembrerebbe riferito alle lettere a) e b) del comma 18.

Si segnala, inoltre, che ai sensi dell’articolo 4 della legge n. 212/2000 (Statuto del contribuente), non è possibile disporre l’istituzione di nuovi tributi con decreto-legge.

 

Ai sensi dell’articolo 37 del D.Lgs. n. 58/1998, i fondi immobiliari sono dei fondi di investimento rivolti esclusivamente o prevalentemente a beni immobili, diritti reali immobiliari e in partecipazioni in società immobiliari.

In attuazione del citato articolo 37 è stato emanato il DM 24 maggio 1999 n. 228[479] il quale all’articolo 12-bis dispone che i fondi immobiliari sono istituiti in forma chiusa[480] e che affinché un fondo possa definirsi immobiliare, la percentuale degli investimenti in immobili non deve essere inferiore ai due terzi del valore complessivo del fondo ovvero può essere non inferiore al 51% qualora il patrimonio del fondo sia altresì investito, per almeno il 20% in strumenti finanziari rappresentativi di operazioni di cartolarizzazione aventi ad oggetto beni immobili, diritti reali immobiliari o crediti garantiti da ipoteca immobiliare.

Il medesimo DM n. 228 del 1999 disciplina, inoltre, l’istituzione da parte delle SGR di fondi riservati (articolo 15) ossia di fondi aperti o chiusi la cui partecipazione è riservata ad investitori qualificati specificando le categorie di investitori alle quali il fondo è riservato e di fondi garantiti (articolo 16) che garantiscono la restituzione del capitale investito ovvero il riconoscimento di un rendimento minimo.

 

Ai sensi del comma 18 l’imposta patrimoniale è dovuta dai c.d. fondi immobiliari familiari ossia dai fondi le cui quote sono detenute da meno di 10 partecipanti, salvo il caso in cui almeno il 50% delle quote sia detenuto da fondi di previdenza complementare, da organismi d'investimento collettivo del risparmio (OIVCR), da soggetti residenti in paesi inclusi nella white list, da imprenditori individuali, da soggetti che detengono partecipazioni in attività commerciale o da enti pubblici ed enti di previdenza obbligatoria e, in ogni caso, dai fondi riservati e dai fondi garantiti di cui, rispettivamente, ai sopra richiamati articoli 15 e 16 del DM n. 229 del 1999 per i quali più di 2/3 delle quote siano detenute da persone fisiche non esercenti attività d’impresa legate da rapporti di parentela o di affinità[481] ovvero da società sulle quali le medesime persone fisiche detengono controllo ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile (società controllate o collegate) ovvero da trust da cui siano disponenti o beneficiari.

La norma reintroduce l’imposta vigente fino al 31 dicembre 2003 e disciplinata dall’articolo 6, commi 2 e 3, del DL n. 351/2001. I predetti commi sono stati abrogati, con decorrenza 1° gennaio 2004, dall'articolo 41-bis, comma 8, del DL n. 269/2003 (collegato alla finanziaria 2004).

 

Il comma 19 affida alla SGR il compito di verificare l’esistenza dei requisiti indicati al comma 18 ai fini dell’applicazione del regime impositivo.

A tal fine, in caso di cessione delle quote, si pone l’obbligo ai soggetti acquirenti di comunicare in forma scritta, entro trenta giorni, alla SGR l’avvenuto acquisto indicando la data e le altre informazioni necessarie ai fini dell’applicazione della disciplina in commento.

 

Ai sensi del comma 20 l’imposta patrimoniale è dovuta a decorrere dal periodo d’imposta nel quale si verifica la sussistenza delle condizioni indicate nel comma 18.

 

Il comma 21, modificando l’articolo 7 del DL n. 351/2001, aumenta dal 12,50% al 20% l’aliquota della ritenuta operata sui proventi dei fondi immobiliari.

La disciplina fiscale relativa ai proventi[482] corrisposti dai fondi immobiliari è disciplinata dall’articolo 7 del DL n. 351/2001 ai sensi del quale, nel testo previgente le modifiche apportate dalla norma in esame, la società di gestione del risparmio (SGR) opera una ritenuta d’imposta nella misura del 12,50% considerata, per le imprese commerciali, a titolo di acconto mentre è a titolo definitivo per i soggetti non esercenti attività commerciale.

 

La disposizione contenuta nel comma 21 comporta, per i soggetti ai quali la ritenuta si applica a titolo definitivo (soprattutto persone fisiche) un incremento della pressione fiscale mentre, per i soggetti ai quali la ritenuta opera a titolo di acconto (soprattutto società di capitali e, più in generale, imprese commerciali) comporta un anticipo delle imposte da liquidare in dichiarazione dei redditi il cui ammontare complessivo rimane invariato in quanto da determinarsi applicando il regime ordinario delle imposte dirette.

 

Il comma 22, inserendo il comma 5-quater all’articolo 73 del D.P.R. n. 917/1986[483], stabilisce che, salvo prova contraria, si considerano residenti in Italia, e pertanto sono soggetti passivi IRES, le società o gli enti che detengono almeno il 50% delle quote di fondi di investimento immobiliare di cui all’articolo 37 del D.Lgs. n. 58/1998 e siano controllati, direttamente o indirettamente, da soggetti residenti in Italia.

In presenza delle predette condizioni, pertanto, non opera la esenzione dei proventi realizzati dai soggetti non residenti disciplinata dall’articolo 7, comma 3, del DL n. 351/2001.

Si considerano controllate, ai sensi dell’articolo 2359, commi 1 e 2 del codice civile:

1) le società in cui un'altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria;

2) le società in cui un'altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un'influenza dominante nell'assemblea ordinaria;

3) le società che sono sotto influenza dominante di un'altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa.

Ai fini della verifica dell’esistenza del controllo, si computano anche i voti spettanti a società controllate, a società fiduciarie e a persona interposta mentre non si computano i voti spettanti per conto di terzi.

 

La seguente tabella riporta le stime degli effetti finanziari della norma in esame, in termini di maggiore gettito, indicate nella relazione tecnica allegata al provvedimento:

(valori in milioni di euro)

Anni

2008

2009

2010

2011

Ritenute fiscali

32,8

55,2

18,4

38,9

 

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)

Il 13 marzo 2008 la Commissione europea ha pubblicato una relazione che analizza il mercato europeo dei fondi immobiliari aperti. La relazione è stata elaborata da un gruppo di esperti appositamente costituito dalla Commissione nell’aprile 2007, secondo quanto previsto dal libro bianco sui fondi di investimento (COM(2006)686). Il mandato del gruppo prevedeva, tra le altre cose, una valutazione della normativa esistente a livello nazionale sui fondi immobiliari aperti, anche dal punto di vistafiscale.

In particolare, lo studio osserva che nella maggior parte degli stati membri i fondi immobiliari vengono considerati non assoggettabili a tasse o esentasse, al fine di permettere che gli investitori vengano trattati come se avessero direttamente investito in proprietà. Tuttavia uno dei problemi principali a livello transfrontaliero è che le autorità fiscali (eccetto che in Spagna e Olanda), non considerano non assoggettabili a imposte i fondi immobiliari esteri. Per quanto riguarda il regime fiscale relativo agli investitori, i sistemi di tassazioni dei redditi da fondo di investimento immobiliare differisce notevolmente tra gli Stati membri. Alcuni stati garantiscono trattamenti favorevoli solo agli investitori in fondi domestici e non agli investitori in fondi esteri.

La relazione raccomanda l’adozione di disposizioni legislative comunitarie per facilitare la distribuzione transfrontaliera al dettaglio dei fondi immobiliari aperti.


 

Articolo 82, commi 23-24
(Abolizione di agevolazioni in materia di stock option)

23. Nel comma 2 dell'articolo 51 del Testo Unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1986, n. 917, la lettera g-bis) è abrogata.

24. La disposizione di cui al comma 23 si applica in relazione alle azioni assegnate ai dipendenti a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto.

 

 

I commi 23 e 24 dell’articolo 82, abrogando la lettera g-bis) del comma 2 dell’articolo 51 del TUIR[484], dispongono l’assoggettamento al regime di tassazione ordinaria delle plusvalenze relative alle stock option.

 

La disciplina relative alle stock option prevede la possibilità, per le società, di approvare dei piani per l’assegnazione ai propri dipendenti di opzioni su azioni o su altri strumenti finanziari a condizioni particolarmente vantaggiosi. Si tratta di una prassi diffusa su scala internazionale in quanto consente alla società di fidelizzare i propri dipendenti.

Nell’aspetto fiscale, l’articolo 51, comma 2, lettera g-bis) del TUIR dispone che, in presenza di specifici requisiti, il valore di tali plusvalenze non concorre alla formazione del reddito di lavoro dipendente. In particolare, l’ammontare escluso è determinato dalla differenza tra il valore delle azioni al momento dell’assegnazione del diritto di opzione e l’ammontare corrisposto dal dipendente per l’esercizio delle opzioni stesse, a condizione che il predetto ammontare sia almeno pari al valore delle azioni stesse alla data dell’offerta e che le azioni rappresentino una percentuale di diritto di voto esercitabile in assemblea ordinaria non superiore al 10%. Ulteriori condizioni richieste per l’applicazione dell’agevolazione fiscale sono contenute nel comma 2-bis del medesimo articolo 51. In particolare:

-        l’opzione deve essere esercitata non prima di tre anni dall’attribuzione dell’azione (c.d. vesting period);

-        al momento dell’opzione, la società deve risultare quotata nei mercati regolamentati;

-        il beneficiario mantenga per almeno i cinque anni successivi un investimento nei titoli oggetto di opzione non inferiore alla differenza tra il valore delle azioni al momento dell’assegnazione e l’ammontare corrisposto dal dipendente.

Le plusvalenze da stock option che, ai sensi della citata lettera g-bis) non concorrono alla formazione del reddito di lavoro dipendente, rientrano nella disciplina fiscale delle plusvalenze da partecipazioni non qualificate, di cui all’articolo 5, comma 2, del D.Lgs. n. 461/1997, e sono pertanto soggette all’imposta sostitutiva fissata in misura pari al 12,50%.

 

In particolare, il comma 23 dispone l’abrogazione della citata lettera g-bis), e il comma 24 stabilisce che il nuovo regime di tassazione delle stock option si applica alle assegnazioni di azioni ai dipendenti effettuati a decorrere dal 25 giugno 2008 (data di entrata in vigore del provvedimento in esame).

 

La seguente tabella riporta le stime degli effetti finanziari della norma in esame, in termini di maggiore gettito, indicate nella relazione tecnica allegata al provvedimento:

(importi in milioni di euro)

Anni

2008

2009

2010

2011

IRPEF (maggiori entrate)

+4,6

+11

+11

+11

Imposta sostitutiva (minori entrate)

-1,3

-3

-3

-3

Effetto netto (maggiori entrate)

+3,3

+8

+8

+8

 

 


 

Articolo 82, commi 25-26
(Cooperative a mutualità prevalente)


25. Le cooperative a mutualità prevalente di cui all'articolo 2512 del codice civile che presentano in bilancio un debito per finanziamento contratto con i soci superiore a 50 milioni di euro, sempre che tale debito sia superiore al patrimonio netto contabile, comprensivo dell'utile d'esercizio, così come risultanti alla data di approvazione del bilancio d'esercizio, destinano il 5 per cento dell'utile netto annuale al fondo di solidarietà per i cittadini meno abbienti di cui all'articolo 1, commi da 29 a 31 secondo le modalità e i termini stabiliti con decreto non regolamentare emanato dal Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con il Ministro della giustizia.

26. La disposizione di cui al comma 25 si applica in relazione agli utili evidenziati nei bilanci relativi all'esercizio in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto e a quello successivo.


 

 

Il comma 25 dell’articolo 82 obbliga, alle condizioni specificate dalla medesima norma, le società cooperative a mutualità prevalente a destinare il cinque per cento dell’utile annuale netto al Fondo di solidarietà per i cittadini meno abbienti, istituito all’articolo 81, commi da 29 a 31 (per il quale cfr. relativa scheda di lettura).

 

Ai sensi dell’articolo 2511 del codice civile, le società cooperative sono società a capitale variabile con scopo mutualistico. All’interno di tale categoria, la recente riforma del diritto societario (operata con il D.Lgs. 17gennaio 2003 n. 6, in attuazione della delega contenuta nella L. 3 ottobre 2001, n. 366) ha individuato le cooperative a mutualità prevalente, dotate del carattere della cooperazione costituzionalmente riconosciuta, in relazione alla prevalenza quantitativa dell’attività mutualistica con i soci, fermo restando il requisito della non lucratività.

Ai sensi dell’articolo 2512 c.c., le società cooperative a mutualità prevalente sono quelle che, in ragione del tipo di scambio mutualistico:

1) svolgono la loro attività prevalentemente in favore dei soci, consumatori o utenti di beni o servizi;

2) si avvalgono prevalentemente, nello svolgimento della loro attività, delle prestazioni lavorative dei soci;

3) si avvalgono prevalentemente, nello svolgimento della loro attività, degli apporti di beni o servizi da parte dei soci.

Esse sono tenute ad iscriversi in un apposito albo, presso il quale depositano annualmente i propri bilanci.

 

L’ambito applicativo della disposizione è circoscritto alle cooperative a mutualità prevalente - disciplinate dall’articolo 2512 del codice civile - che presentinoin bilancio un debito per finanziamento contratto con i soci superiore a 50 milioni di euro, sempre che tale debito sia superiore al patrimonio netto contabile, comprensivo dell’utile d’esercizio, così come risultanti alla data di approvazione del bilancio d’esercizio.

 

Le modalità e i termini del versamento della quota sono stabiliti con decreto non regolamentare emanato dal Ministro dell’economia e delle finanze, d’intesa con il Ministro della giustizia.

 

Ai sensi del comma 26, l’ambito applicativo della norma comprende gli utili evidenziati nei bilanci relativi all’esercizio in corso alla data di entrata in vigore del decreto-legge n. 112 del 2008 in esame, nonché agli utili evidenziati nei bilanci relativi all’esercizio successivo.

 

La Relazione tecnica non stima effetti di natura fiscale per le disposizioni in esame; esso è qualificato come “mero vincolo di destinazione di utili ad un fondo di solidarietà”. La percentuale di finanziamento al fondo è stimata per un importo di 17,4 milioni di euro nel biennio 2009-2010.

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)

Il 17 giugno 2008la Commissioneha chiesto all’Italia di fornire precisazioni in merito ai regimi fiscali preferenziali di cui attualmente usufruiscono le cooperative di consumo che operano nei settori della distribuzione e dei servizi bancari[485].

Secondo quanto previsto dall’articolo 88 TCE la Commissione, in collaborazione con gli Stati membri, procede all’esame permanente dei regimi di aiuti esistenti per verificarne la compatibilità col funzionamento del mercato interno o col suo graduale sviluppo. Sulla base della procedura definita dal regolamento n. 659/1999[486], la Commissione ottiene dallo Stato membro interessato tutte le informazioni necessarie alla loro eventuale revisione. Se la Commissione ritiene che un regime di aiuti non sia, o non sia più, compatibile con il mercato comune, informa lo Stato membro interessato della sua posizione preliminare, dandogli l'opportunità di presentare le proprie osservazioni, di norma, entro il termine di un mese che può essere prorogato dalla Commissione in casi debitamente giustificati.

Secondo quanto annunciato da comunicati stampa ufficiali della Commissione, tra le principali misure interessate dall'esame, in particolare, figurerebbero:

-        la deduzione dal reddito imponibile degli utili accantonati alle riserve indivisibili;

-        la deduzione dei ristorni dal reddito imponibile delle cooperative;

-        la riduzione fiscale degli interessi versati dalle cooperative ai membri per depositi a breve termine.

Sempre secondo quanto annunciato dai comunicati stampa, la Commissione, tenendo conto della rilevanza dei risultati per altre imprese operanti in diversi settori e Stati membri non interessati dalle denunce, dopo una valutazione preliminare delle misure in questione, è giunta alle seguenti conclusioni:

-        nelle grandi linee, la Commissione riconosce l'importanza e il contributo significativo delle cooperative all'economia e alla società in generale. La particolarità delle cooperative è di operare nell'interesse dei propri membri e di presentare un modello societario specifico. È quindi possibile distinguerle dalle imprese lucrative, specie quando si tratta di cooperative mutualistiche pure che realizzano redditi esclusivamente con i propri membri;

-        in questa fase preliminare, risulta inoltre che, malgrado la loro specificità, le cooperative realizzano utili anche tramite attività con non membri e hanno un comportamento sul mercato analogo a quello delle imprese lucrative. La Commissione ritiene che, in queste circostanze, un trattamento preferenziale a beneficio delle cooperative costituisca un aiuto di Stato. Occorre mantenere condizioni di equa concorrenza per tutti i tipi di imprese nella stessa situazione. Gli aiuti possono tuttavia ritenersi compatibili se i loro effetti negativi per la concorrenza e gli scambi sono controbilanciati dagli effetti positivi in termini di contributo delle cooperative alla realizzazione di obiettivi sociali. Questo si ritiene sia il caso delle piccole e medie imprese (PMI), che costituiscono la stragrande maggioranza delle cooperative.

In base alla valutazione preliminare, quindi, la Commissione ritiene che possano considerarsi aiuti di Stato:

a) la deduzione dal reddito imponibile delle cooperative a mutualità prevalente degli utili accantonati alle riserve divisibili e indivisibili corrispondenti ai redditi realizzati da attività con non membri della cooperativa. Per le grandi cooperative e per le cooperative non mutualistiche, la deduzione è ritenuta nella sua totalità aiuto di Stato, dal momento che la cooperativa assomiglia di più ad un'impresa lucrativa e che i suoi membri non vi partecipano realmente. Queste deduzioni sono comunque considerate aiuti compatibili quando riguardano le riserve indivisibili obbligatorie o le riserve indivisibili delle PMI;

b) la riduzione fiscale sugli interessi versati ai membri per depositi a breve termine, poiché essa non riguarda attività con i membri che partecipano alla cooperativa in quanto tale. Infatti, nel fornire prestiti ad interesse alla cooperativa, i membri agiscono in qualità di terzi prestatori e non condividono con questa i rischi economici. In questa fase preliminare, la misura non è ritenuta compatibile con il mercato comune.

Secondo l’avviso della Commissione non parrebbe, invece, costituire aiuto la deduzione dal reddito imponibile dei ristorni distribuiti dalla cooperativa ai membri, poiché i ristorni sono generati unicamente dagli scambi tra i membri.

La lettera indirizzata dalla Commissione alle autorità italiane è intesa ad acquisire, sulla base del principio di collaborazione previsto dall’art 88 TCE, ulteriori elementi per la valutazione della compatibilità con le norme comunitarie in materia di aiuti di Stato dei regimi fiscali in oggetto. In tale fase anche altre parti interessate - ad esempio, le associazioni di cooperative - possono inviare alla Commissione le loro osservazioni.


 

Articolo 82, comma 27
(Elevazione della ritenuta sugli interessi corrisposti
dalle cooperative ai soci)

27. Il comma 3 dell'articolo 6 del decreto-legge 15 aprile 2002, n. 63, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 giugno 2002, n. 112, è sostituito dal seguente:

«3. Sugli interessi corrisposti dalle società cooperative e loro consorzi ai propri soci persone fisiche residenti nel territorio dello Stato, relativamente ai prestiti erogati alle condizioni stabilite dall'articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601, si applica una ritenuta a titolo di imposta nella misura del 20 per cento.».

 

 

Il comma 27 dell’articolo 82 sostituisce il comma 3 dell’articolo 6 del decreto-legge 15 aprile 2002, n. 63[487] (convertito, con modificazioni, dalla legge 15 giugno 2002, n. 112), elevando dal 12,5 al 20 per cento la ritenuta a titolo d’imposta sugli interessi corrisposti dalle società cooperative e dai loro consorzi ai soci persone fisiche, residenti nel territorio dello Stato, in relazione ad alcune tipologie di prestiti (ovvero i prestitierogati alle condizioni stabilite dall'articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601).

 

Nella sua formulazione originale, la norma dispone l’applicazione della stessa ritenuta prevista ai sensi dell’articolo 26, comma 5 del D.P.R. n. 600 del 1973, ovvero del 12,50 per cento,a titolo d'imposta sugli interessi corrisposti dalle società cooperative e loro consorzi ai propri soci persone fisiche residenti nel territorio dello Stato, relativamente ai prestiti erogati alle condizioni stabilite dall'articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601, ovvero:

a) che i versamenti e trattenute siano effettuati esclusivamente per il conseguimento dell'oggetto sociale e non superiori ad una certa somma (20.658 euro, elevato a 41.317 euro per le cooperative di conservazione, lavorazione, trasformazione ed alienazione di prodotti agricoli e per le cooperative di produzione e lavoro);

b) che gli interessi corrisposti sulle predette somme non superino la misura massima degli interessi spettanti ai detentori dei buoni postali fruttiferi.

 

La Relazione tecnica evidenzia in proposito che, nel caso di aumento dell’aliquota al 20 per cento, si avrebbe un aumento di gettito corrispondente a circa 22,1 milioni di euro a partire dal 2008.

 


 

Articolo 82, commi 28-29
(Cooperative di consumo e consorzi)


28. Al comma 460 dell'articolo 1 della legge 30 dicembre 2004, n. 311, dopo la lettera b) è inserita la seguente lettera:

«b-bis) per la quota del 55 per cento degli utili netti annuali delle società cooperative di consumo e loro consorzi».

29. In deroga all'articolo 3 della legge 27 luglio 2000, n. 212, le disposizioni di cui al comma 28 si applicano a decorrere dal periodo d'imposta in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto; nella determinazione degli acconti dovuti per il medesimo periodo di imposta, in sede di versamento della seconda o unica rata, si assume, quale imposta del periodo precedente, quella che si sarebbe determinata applicando le disposizioni del comma 28.


 

 

Il comma 28 eleva dal 30 al 55 per cento la quota degli utili netti annuali destinati a riserve indivisibili che, per legge, concorre alla formazione del reddito imponibile delle cooperative di consumo e dei loro consorzi.

 

Nel dettaglio, la norma in esame inserisce la lettera b-bis) al comma 460 dell’articolo 1 della legge finanziaria per il 2005 (legge 30 dicembre 2004, n. 311).

 

Si ricorda che l’articolo 12 della legge n. 904 del 1977[488] stabilisce che le riserve indivisibili delle cooperative e dei loro consorzi non concorrano a formare il reddito imponibile di tali soggetti, a condizione che sia esclusa la possibilità di distribuirle tra i soci, sotto qualsiasi forma, sia durante la vita dell’ente che all’atto del suo scioglimento.

Ai sensi del citato comma 460 della legge finanziaria per il 2005, (fermo restando quanto disposto ai commi 1-3 dell’articolo 6 del D.L. n. 63 del 2002, che disciplina a fini impositivi altre tipologie di utili delle società cooperative) l’articolo 12 non si applica alle società cooperative a mutualità prevalente e loro consorzi, per una quota - specificamente individuata - degli utili netti annuali destinati a riserve indivisibili.

Tale quota concorre a formare il reddito imponibile, ed è dunque assoggettata a tassazione.

Essa è cosìdeterminata:

a)    nella misura del 20 per cento, per le cooperative agricole e loro consorzi, di cui al decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228, e per le cooperative della piccola pesca e loro consorzi;

b)    nella misura del 30 per cento per le altre cooperative e loro consorzi.

 

La lettera b-bis) specifica che concorre a formare il reddito imponibile delle cooperative di consumo e dei loro consorzi il 55 per cento degli utili netti annuali destinati a riserve indivisibili delle medesime società.

 

In mancanza di apposita normativa, infatti, gli utili delle suddette tipologie cooperative rientravano nella previsione di cui alla lettera b) del citato comma 460.

 

Il comma 29 dispone l’applicazione delle introdotte norme, in deroga al principio generale di irretroattività delle disposizioni tributarie, a partire dal periodo d’imposta in corso alla data del 25 giugno 2008.

Per determinare gli acconti dovuti per l’attuale periodo di imposta, in sede di versamento della seconda o unica rata si assume, quale imposta del periodo precedente, quella che si sarebbe determinata applicando le disposizioni introdotte con il comma 28.

 

La Relazione tecnica stima che, ove le cooperative di consumo a mutualità prevalente fossero tassate sul 55 per cento del reddito – come prevedono le norme introdotte – si configurerebbe, rispetto alla legislazione vigente, una tassazione maggiore pari a 23,3 milioni di euro a decorrere dal 2008, in termini di competenza.

In termini di cassa, ciò comporterebbe un maggior gettito di 17,5 milioni di euro per il 2008 e di 23,3 milioni di euro a decorrere dal 2009.

 


 

Articolo 83, commi 1-2
(Controllo obblighi fiscali e contributivi dei soggetti extracomunitari e dei non residenti)

1. Al fine di garantire maggiore efficacia ai controlli sul corretto adempimento degli obblighi di natura fiscale e contributiva a carico dei soggetti non residenti e di quelli residenti ai fini fiscali da meno di 5 anni, l'I.N.P.S. e l'Agenzia delle entrate predispongono di comune accordo appositi piani di controllo anche sulla base dello scambio reciproco dei dati e delle informazioni in loro possesso.

2. L'I.N.P.S. e l'Agenzia delle entrate determinano le modalità di attuazione della disposizione di cui al comma 1 con apposita convenzione.

 

 

I commi 1 e 2 prevedono la predisposizione di piani di controllo da parte dell’INPS e dell’Agenzia delle entrate, anche sulla base dello scambio reciproco dei dati e delle informazioni in loro possesso, volti a garantire una maggiore efficacia nei controlli sul corretto adempimento degli obblighi di natura fiscale e contributiva a carico dei soggetti non residenti e di quelli residenti ai fini fiscali da meno di 5 anni. Le menzionate amministrazioni determinano le modalità di attuazione della norma in esame tramite un’apposita convenzione.

Si ricorda che la definizione di residente ai fini fiscali è contenuta all’articolo 2 del D.P.R. 917/86[489] per il quale sono residenti, ai fini delle imposte sui redditi, le persone che per la maggior parte del periodo di imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile. Vengono considerati, altresì, residenti, salvo prova contraria, i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente e trasferiti in Stati o territori diversi da quelli individuati con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze[490].


 

Articolo 83, comma 3
(Sviluppo attività di controllo)

3. Nel triennio 2009-2011 l'Agenzia delle entrate realizza un piano di ottimizzazione dell'impiego delle risorse finalizzato ad incrementare la capacità operativa destinata alle attività di prevenzione e repressione della evasione fiscale, rispetto a quella media impiegata agli stessi fini nel biennio 2007-2008, in misura pari ad almeno il 10 per cento.

 

 

Il comma 3 dispone che l’Agenzia delle entrate, nel triennio 2009-2011, realizzi un piano di ottimizzazione dell’impiego delle risorse al fine di incrementare la capacità operativa destinata alle attività di prevenzione e repressione della evasione fiscale.

Tale incremento, ai sensi della disciplina introdotta, deve risultare pari ad almeno il 10 per cento rispetto alla capacità impiegata agli stessi fini nel biennio 2007-2008.

 

La Relazione tecnica rileva a tale proposito che il suddetto aumento della capacità operativa è espressa in termini di risorse umane e corrisponde alla destinazione di circa 1.400 unità, prima impiegate per altre attività, alle funzioni di prevenzione e repressione dell’evasione fiscale. In virtù di tali circostanze, si rileva che l’introito effettivo di maggiori imposte potrà essere prodotto solo a far corso dal terzo anno del triennio; per il 2011 sono stimate maggiori entrate per cassa per un ammontare pari a 610 milioni di euro.

 

 


 

Articolo 83, comma 4
(Partecipazione dei Comuni al contrasto all’evasione fiscale)

4. All'articolo 1 del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, dopo il comma 2-bis, è aggiunto il seguente:

«2-ter. Il Dipartimento delle finanze con cadenza semestrale fornisce ai comuni, anche per il tramite dell'Associazione nazionale dei comuni italiani, l'elenco delle iscrizioni a ruolo delle somme derivanti da accertamenti ai quali i comuni abbiano contribuito ai sensi dei commi precedenti.».

 

Il comma 4 novella l’articolo 1 del D.L. n. 203 del 2005, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 248 del 2005, in tema di partecipazione dei comuni al contrasto all'evasione fiscale.

 

In particolare viene aggiunto il comma 2-ter, in base al quale il Ministero dell’economia e delle finanze - Dipartimento delle finanze fornisce con cadenza semestrale ai comuni, anche tramite l’ANCI, l’elenco delle iscrizioni a ruolo delle somme derivanti da accertamenti ai quali i comuni abbiano contribuito.

 

La norma richiamata, al fine di potenziare l'azione di contrasto all'evasione fiscale anche attraverso una maggiore partecipazione dei comuni all'accertamento fiscale, riconosceva ai comuni una quota pari al 30% delle maggiori somme relative a tributi statali riscosse a titolo definitivo, a seguito dell'intervento del comune che abbia contribuito all'accertamento stesso.

Il comma 2 prevedeva l’emanazione di un provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate, entro 45 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge stesso, d'intesa con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, con il quale sarebbero state stabilite le modalità tecniche di accesso alle banche dati e di trasmissione ai comuni, anche in via telematica, di copia delle dichiarazioni relative ai contribuenti in essi residenti, nonché quelle della partecipazione dei comuni all'accertamento fiscale anche attraverso società ed enti partecipati dai comuni e comunque da essi incaricati per le attività di supporto ai controlli fiscali sui tributi comunali. Con il medesimo provvedimento sarebbero state altresì individuate le ulteriori materie per le quali i comuni partecipano all'accertamento fiscale; in tale ultimo caso, il provvedimento, adottato d'intesa con il direttore dell'Agenzia del territorio per i tributi di relativa competenza, potrà prevedere anche una applicazione graduale in relazione ai diversi tributi.

La norma risulta sostanzialmente inapplicata, in quanto soltanto con il recente provvedimento del 16 giugno 2008 del Direttore dell’Agenzia del territorio sono state disciplinate le modalità di fruizione da parte dei Comuni delle informazioni inerenti la banca dati ipotecaria.


 

Articolo 83, commi 5-7
(Contrasto alle frodi in materia di IVA)


5. Ai fini di una più efficace prevenzione e repressione dei fenomeni di frode in materia di IVA nazionale e comunitaria l'Agenzia delle entrate, l'Agenzia delle dogane e la Guardia di finanza incrementano la capacità operativa destinata a tali attività anche orientando appositamente loro funzioni o strutture al fine di assicurare:

a) l'analisi dei fenomeni e l'indivi­duazione di specifici ambiti di indagine;

b) la definizione di apposite meto­dologie di contrasto;

c) la realizzazione di specifici piani di prevenzione e contrasto dei fenomeni medesimi;

d) il monitoraggio dell'efficacia delle azioni poste in essere.

6. Il coordinamento operativo tra i soggetti istituzionali di cui al comma 5 è assicurato mediante un costante scambio informativo anche allo scopo di consentire la tempestiva emissione degli atti di accertamento e l'adozione di eventuali misure cautelari.

7. Gli esiti delle attività svolte formano oggetto di apposite relazioni annuali al Ministro dell'economia e delle finanze.


 

 

L’articolo in commento dispone, al comma 5, l’incremento della capacità operativa destinata al contrasto delle frodi dell’IVA, sia nazionali che comunitarie, da parte dell’Agenzia delle entrate, dell’Agenzia delle dogane e della Guardia di finanza.

Tale incremento dovrà realizzarsi anche tramite l’orientamento delle funzioni e delle strutture dei suddetti soggetti istituzionali, il quale dovrà essere finalizzato ad assicurare:

a) l’analisi dei fenomeni e l’individuazione di specifici ambiti di indagine;

b) la definizione di apposite metodologie di contrasto;

c) la realizzazione di specifici piani di prevenzione e contrasto dei fenomeni medesimi;

d) il monitoraggio dell’efficacia delle azioni poste in essere.

 

Si ricorda che le frodi fiscali costituiscono un ostacolo al funzionamento regolare del mercato interno dell’Unione europea in quanto comportano distorsioni della concorrenza tra i contribuenti.La lotta alle frodi fiscali è pertanto uno degli obiettivi prioritari della politica fiscale dell’UE. In materia si ricorda la Comunicazione della Commissione sulla necessità di sviluppare una strategia coordinata al fine di migliorare la lotta contro la frode fiscale [COM/2006/0254 def.], e la più recente comunicazione del 22 febbraio 2008 relativa alle misure di modifica del sistema IVA per combattere la frode [COM(2008)109].

Con specifico riguardo alla lotta contro la frode IVA relativa alle operazioni intracomunitarie, il 17 marzo 2008 la Commissione ha presentato una proposta di direttiva di modifica della direttiva 2006/112/CE e una proposta di regolamento recante modifica del Reg. CE 1798/2003 (COM(2008)147).

 

Il comma 6 dispone che il coordinamento operativo tra i suddetti soggetti istituzionali sia assicurato mediante un costante scambio informativo, anche allo scopo di consentire la tempestiva emissione degli atti di accertamento e l’adozione di eventuali misure cautelari.

 

Il comma 7 dispone infine che gli esiti delle attività svolte formino oggetto di apposite relazioni annuali al Ministro dell’economia e delle finanze.


 

Articolo 83, commi 8-15
(Piano straordinario di controlli finalizzati all’accertamento sintetico e efficientamento dell’Amministrazione fiscale)


8. Nell'ambito della programmazione dell'attività di accertamento relativa agli anni 2009, 2010 e 2011 è pianificata l'esecuzione di un piano straordinario di controlli finalizzati alla determinazione sintetica del reddito delle persone fisiche a norma dell'articolo 38 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, sulla base di elementi e circostanze di fatto certi desunti dalle informazioni presenti nel sistema informativo dell'anagrafe tributaria nonché acquisiti in base agli ordinari poteri istruttori e in particolare a quelli acquisiti ai sensi dell'articolo 32, primo comma, lettera f), del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973.

9. Nella selezione delle posizioni ai fini dei controlli di cui al comma 8 è data priorità ai contribuenti che non hanno evidenziato nella dichiarazione dei redditi alcun debito d'imposta e per i quali esistono elementi segnaletici di capacità contributiva.

10. Coerentemente con quanto previsto dall'articolo 33 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e dall'articolo 63 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, la Guardia di finanza contribuisce al piano straordinario di cui al comma 8 destinando una adeguata quota della propria capacità operativa alle attività di acquisizione degli elementi e circostanze di fatto certi necessari per la determinazione sintetica del reddito delle persone fisiche a norma dell'articolo 38 del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973. L'Agenzia delle entrate e la Guardia di finanza definiscono annualmente, d'intesa tra loro, le modalità della loro cooperazione al piano.

11. Ai fini della realizzazione del piano di cui al comma 8 ed in attuazione della previsione di cui all'articolo 1 del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, i comuni segnalano all'Agenzia delle entrate eventuali situazioni rilevanti per la determinazione sintetica del reddito di cui siano a conoscenza.

12. Al fine di favorire lo scambio di esperienze professionali e amministrative tra le Agenzie fiscali attraverso la mobilità dei loro dirigenti generali di prima fascia, nonché di contribuire al perseguimento della maggiore efficienza e funzionalità di tali Agenzie, su richiesta nominativa del direttore di una Agenzia fiscale, che indica altresì l'alternativa fra almeno due incarichi da conferire, il Ministro dell'economia e delle finanze assegna a tale Agenzia il dirigente generale di prima fascia in servizio presso altra Agenzia fiscale, sentito il direttore della Agenzia presso la quale è in servizio il dirigente generale richiesto. Qualora per il nuovo incarico sia prevista una retribuzione complessivamente inferiore a quella percepita dal dirigente generale in relazione all'incarico già ricoperto, per la differenza sono fatti salvi gli effetti economici del contratto individuale di lavoro in essere presso l'Agenzia fiscale di provenienza fino alla data di scadenza di tale contratto, in ogni caso senza maggiori oneri rispetto alle risorse assegnate a legislazione vigente alla Agenzia fiscale richiedente. In caso di rifiuto ad accettare gli incarichi alternativamente indicati nella richiesta, il dirigente generale è in esubero ai sensi e per gli effetti dell'articolo 33 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.

13. All'articolo 67 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300:

a) nel comma 1, lettera b), la parola «sei» è sostituita dalla seguente: «quattro»;

b) nel comma 3, il secondo periodo è sostituito dal seguente: «Metà dei componenti sono scelti tra i dipendenti di pubbliche amministrazioni ovvero tra soggetti ad esse esterni dotati di specifica competenza professionale attinente ai settori nei quali opera l'agenzia».

14. In sede di prima applicazione della disposizione di cui al comma 13 i comitati di gestione delle Agenzie fiscali in carica alla data di entrata in vigore del presente decreto cessano automaticamente il trentesimo giorno successivo.

15. Al fine di garantire la continuità delle funzioni di controllo e monitoraggio dei dati fiscali e finanziari, i diritti dell'azionista della società di gestione del sistema informativo dell'amministrazione finanziaria ai sensi dell'articolo 22, comma 4, della legge 30 dicembre 1991, n. 413, sono esercitati dal Ministero dell'economia e delle finanze ai sensi dell'articolo 6, comma 7, del decreto del Presidente della Repubblica 30 gennaio 2008, n. 43, che provvede agli atti conseguenti in base alla legislazione vigente. Sono abrogate tutte le disposizioni incompatibili con il presente comma. Il consiglio di amministrazione, composto di cinque componenti, è conseguentemente rinnovato entro il 30 giugno 2008 senza applicazione dell'articolo 2383, terzo comma, del codice civile.


 

 

I commi da 8 a 15 dell’articolo 83 recano un complesso di disposizioni eterogenee riguardanti l’attività di controllo e di accertamento, l’organizzazione delle Agenzie fiscali e la SOGEI.

 

Nel dettaglio, il comma 8 disponel’esecuzione di un piano straordinario di controlli, nell’ambito della programmazione dell’attività di accertamento per il triennio 2009-2011, finalizzati alla determinazione sintetica del reddito delle persone fisiche.

 

Si ricorda a tal proposito che l’accertamento sintetico (disciplinato dall’articolo 38, c. 4-7 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600[491]) è un metodo di accertamento applicabile alle sole persone fisiche con riferimento alle imposte sui redditi, fondato sulla capacità di spesa del contribuente.

Ai sensi del citato articolo 38 (comma 4) è facoltà dell'ufficio competente di determinare sinteticamente il reddito complessivo netto del contribuente (articolo 38, comma 4), ove si presentino le seguenti circostanze:

-        presenza di elementi e circostanze di fatto certi, in relazione al contenuto induttivo di tali elementi e circostanze;

-        scostamento di almeno un quarto del reddito complessivo netto accertabile rispetto a quanto dichiarato dal contribuente.

Con decreto del Ministro delle finanze, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale sono stabilite le modalità in base alle quali l'ufficio può determinare induttivamente il reddito o il maggior reddito, in relazione ad elementi indicativi di capacità contributiva - individuati con lo stesso decreto - quando il reddito dichiarato non risulta congruo, rispetto ai predetti elementi, per due o più periodi di imposta.

In attuazione di quanto disposto dall'art. 38, quarto comma, del D.P.R. n. 600 del 1973, il decreto del Ministro delle finanze 10 settembre 1992 ha determinato, ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, gli indici ed i coefficienti presuntivi di reddito o di maggior reddito in relazione agli elementi indicativi di capacità contributiva (c.d. “redditometro”), valutati con riferimento alla disponibilità dei beni e dei servizi descritti nella tabella allegata al decreto medesimo. In pratica, il “redditometro” è costituito da beni o servizi la cui disponibilità è valutata dall’Amministrazione finanziaria quale elemento che indicativo della capacità contributiva del soggetto passivo.

 Gli importi stabiliti nella suddetta tabella sono adeguati ogni due anni, sulla base delle variazioni percentuali dell'indice dei prezzi al consumo per l'intera collettività nazionale calcolato dall’ISTAT[492].

Ai sensi dell’articolo 38, comma 6 del D.P.R. n. 600 del 1973, il contribuente ha la facoltà di dimostrare, anche prima della notificazione dell'accertamento, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta. L'entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione.

 

La norma in esame prevede che ai fini della determinazione sintetica del reddito rilevino elementi e circostanze di fatto certi desunti dalle informazioni presenti nel sistema informativo dell’Anagrafe tributaria, ovvero acquisiti in base agli ordinari poteri istruttori dell’Amministrazione finanziaria.

 

A norma dell’articolo 32 del citato D.P.R. n. 600 del 1973, tra i poteri istruttori dell’Amministrazione accertatrice rientrano l’effettuazione di accessi, ispezioni e verifiche; l’invito a comparire di persona presso i competenti uffici; l’invito ad esibire o trasmettere atti e documenti rilevanti ai fini dell'accertamento; l’invio di questionari (con invito a restituirli compilati e firmati); la richiesta, a soggetti di diritto pubblico e privato, di dati e notizie, copie o estratti di atti e documenti; la richiesta di rilascio di dichiarazioni.

 

Il comma 9 della norma in esame dispone che, nella selezione delle posizioni rilevanti ai fini dei controlli straordinari, sia data priorità ai contribuenti che non hanno evidenziato nella dichiarazione dei redditi alcun debito d’imposta e per i quali esistono elementi segnaletici di capacità contributiva.

 

Si rileva al riguardo che occorrerebbe specificare cosa si intende per “elementi segnaletici di capacità contributiva” e, in particolare, se essi coincidono con gli elementi indicativi di capacità contributiva rilevanti ai fini dell’accertamento sintetico del reddito.

 

Il comma 10 dispone che il contributo della Guardia di finanza al piano straordinario di controlli si effettui mediante la destinazione di adeguata quota della capacità operativa del suddetto corpo alle attività di acquisizione degli elementi e delle circostanze di fatto certi necessari per la determinazione sintetica del reddito delle persone fisiche.

Le disposizioni prescrivono che tale contributo avvenga in coerenza con le funzioni di cooperazione attribuite alla Guardia di finanza in materia di accertamento (in particolare, ai sensi dell’articolo 33 del citato D.P.R. n. 600 del 1973 con riguardo al supporto dell’amministrazione finanziaria per l’effettuazione di accessi, ispezioni e verifiche), nonché col temporaneo divieto (due anni dalla data di cessazione del rapporto d'impiego), per coloro che hanno fatto parte dell'amministrazione finanziaria e della Guardia di finanza, ancorché iscritti in un albo professionale o nell'elenco dei soggetti autorizzati a prestare attività di assistenza e rappresentanza del contribuente, di esercitare tali funzioni di assistenza e di rappresentanza presso gli uffici finanziari e davanti le commissioni tributarie.

E’ previsto inoltre che l’Agenzia delle entrate e la Guardia di finanza definiscano annualmente, d’intesa tra loro, le modalità della loro cooperazione al piano.

 

Il comma 11 stabilisce che, ai fini della realizzazione del piano ed in attuazione delle disposizioni finalizzate alla partecipazione dei comuni al contrasto all'evasione fiscale (ai sensi dell’articolo 1 del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248), i Comuni segnalino all’Agenzia delle entrate eventuali situazioni rilevanti per la determinazione sintetica del reddito di cui siano a conoscenza.

 

Si ricorda che il comma 1 del citato articolo 1 del D.L. n. 203 del 2005 prevede che, per potenziare l'azione di contrasto all'evasione fiscale, in attuazione dei principi di economicità, efficienza e collaborazione amministrativa, la partecipazione dei comuni all'accertamento fiscale è incentivata mediante il riconoscimento di una quota pari al 30 per cento delle maggiori somme relative a tributi statali riscosse a titolo definitivo, a seguito dell'intervento del comune che abbia contribuito all'accertamento stesso .

 

Il comma 12 dell’articolo in esameprevede uno specifico meccanismo di mobilità dei dirigenti generali di prima fascia delle Agenzie fiscali, con finalità di scambio di esperienze professionali e amministrative tra le Agenzie fiscali attraverso la mobilità e di perseguimento della maggiore efficienza e funzionalità di tali Agenzie.

La mobilità si attivadietro richiesta nominativa del direttore di una Agenzia fiscale, il quale deve indicare l’alternativa fra almeno due incarichi da conferire.

In tale ipotesi, il Ministro dell’economia e delle finanze assegna al’Agenzia richiedente il dirigente generale di prima fascia in servizio presso altra Agenzia fiscale, sentito il direttore della Agenzia presso la quale è in servizio il dirigente richiesto.

Dal punto di vista del trattamento economico, qualora per il nuovo incarico sia prevista una retribuzione complessivamente inferiore a quella percepita dal dirigente generale in relazione all’incarico già ricoperto, per la differenza sono fatti salvi gli effetti economici del contratto individuale di lavoro in essere presso l’Agenzia fiscale di provenienza, fino alla data di scadenza di tale contratto, in ogni caso senza maggiori oneri rispetto alle risorse assegnate a legislazione vigente alla Agenzia fiscale richiedente.

In caso di rifiuto ad accettare gli incarichi alternativamente indicati nella richiesta, il dirigente generale è collocato in esubero ai sensi e per gli effetti dell’articolo 33 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.

 

L’articolo 33, comma 8 del citato D.Lgs. n. 165 del 2001 dispone la sospensione di tutte le obbligazioni inerenti al rapporto di lavoro dalla data di collocamento in disponibilità. Il lavoratore ha diritto ad un'indennità pari all'80 per cento dello stipendio e dell'indennità integrativa speciale, con esclusione di qualsiasi altro emolumento retributivo comunque denominato, per la durata massima di ventiquattro mesi. I periodi di godimento dell'indennità sono riconosciuti ai fini della determinazione dei requisiti di accesso alla pensione e della misura della stessa. È riconosciuto altresì il diritto all'assegno per il nucleo familiare.

 

I commi 13 e 14 dettano disposizioni relative ai comitati di gestione delle Agenzie fiscali.

 

Ai sensi dell’articolo 67 del D.Lgs. 30 luglio 1999 n. 300 (recante la riforma dell'organizzazione del Governo, a norma dell'articolo 11 della L. 15 marzo 1997, n. 59), gli organi di ciascuna Agenzia sono:

-        il direttore, scelto in base a criteri di alta professionalità, di capacità manageriale e di qualificata esperienza nell'esercizio di funzioni attinenti al settore operativo dell'agenzia;

-        il comitato di gestione;

-        il collegio dei revisori dei conti.

 

In particolare – mediante novella al citato articolo 67 del D.Lgs. n. 300 del 1999 – la norma in commento in esame riduce da sei a quattro il numero dei componenti dei suddetti comitati e prevede, altresì, che metà dei componenti sia scelta tra dipendenti di pubbliche amministrazioni ovvero tra soggetti esterni, dotati di specifica competenza professionale attinente ai settori nei quali opera l’agenzia.

La formulazione originaria della norma prevedeva che tali membri scelti tra i professori universitari e i dipendenti di pubbliche amministrazioni dotati di specifica competenza professionale attinente ai settori nei quali opera l'agenzia.

 

Il comma 14 dispone poi, in sede di prima applicazione delle norme, la cessazione automatica dei comitati di gestione delle Agenzie fiscali in carica alla data di entrata in vigore del decreto-legge in esame, il trentesimo giorno successivo alla medesima data.

 

Il comma 15, in coerenza con il nuovo assetto organizzativo del MEF disposto con il D.P.R. n. 43 del 2008, dispone chei diritti dell’azionista della società di gestione del sistema informativo dell’amministrazione finanziaria siano esercitati, da parte del Ministero dell’economia e delle finanze, tramite la Direzione VII - finanza e privatizzazioni del Dipartimento del Tesoro.

Il Ministero provvede agli atti organizzativi conseguenti, in base alla normativa vigente; si abrogano contestualmente tutte le disposizioni incompatibili con la norma in esame.

 

Si osserva al riguardo che la disposizione contiene una clausola di abrogazione del tutto indeterminata.

 

Si ricorda che il D.P.R. 30 gennaio 2008 n. 43 (recante il regolamento di riorganizzazione del Ministero dell'economia e delle finanze) ha ridefinito le competenze dei Dipartimenti in cui è articolato il MEF, nonché delle Direzioni generali facenti capo a ciascun Dipartimento.

In particolare, ai sensi dell’articolo 6, comma 7 del citato D.P.R., la Direzione VII - finanza e privatizzazioni - si articola in 5 uffici dirigenziali non generali e svolge le seguenti funzioni:

a)  monitoraggio e gestione delle partecipazioni azionarie dello Stato;

b)  esercizio dei diritti dell'azionista;

c)  gestione dei processi di societarizzazione, privatizzazione e dismissione, compresa la relativa attività istruttoria e preparatoria;

d)  regolamentazione dei settori in cui operano le società partecipate in relazione all'impatto su queste ultime.

 

La Società di gestione informatica (SO.GE.I.) è stata costituita nel 1976 per la realizzazione e la conduzione tecnica del sistema informativo per il funzionamento dell’anagrafe tributaria, ai sensi dell’articolo 3 del D.L. 30 gennaio 1976, n. 8 (recante norme per l'attuazione del sistema informativo del Ministero delle finanze e per il funzionamento dell'anagrafe tributaria, convertito con la legge 27 marzo 1976, n. 60).

 

L’articolo 3 del citato D.L. prevedeva infatti che con apposita convenzione, stipulata per il periodo di tempo occorrente alla completa funzionalità del sistema informativo di cui all'articolo 1 del presente decreto e comunque per una durata non superiore a cinque anni, la realizzazione del sistema informativo e la sua conduzione tecnica potessero essere affidate ad una società specializzata costituita con prevalente partecipazione statale, anche indiretta. L’autorizzazione alla stipula di apposita convenzione è stata poi prorogata, negli anni, con diverse disposizioni legislative[493].

L’articolo 22, comma 4 della legge 30 dicembre 1991 n. 413[494] ha previsto la possibilità di affidare le attività di manutenzione, conduzione e sviluppo del sistema informativo del Ministero delle finanze sotto forma di concessione a società specializzate, aventi comprovata esperienza pluriennale nella realizzazione e conduzione tecnica dei sistemi informativi complessi, con particolare riguardo al preminente interesse dello Stato alla sicurezza e segretezza.

Con la convenzione di cui al decreto del Ministro delle finanze n. 864 del 13 aprile 1992, la SO.GE.I. ha assunto l’incarico di provvedere allo sviluppo e all’integrazione delle strutture informatiche centrali e periferiche del Ministero delle finanze, per una durata di nove anni.

Nel luglio 2002 la SO.GE.I. è stata totalmente acquisita dal Ministero dell’economia e delle finanze.

 

Il medesimo comma 15 fissa in cinque il numero dei componenti del consiglio di amministrazione della società, e ne dispone il rinnovo entro il 30 giugno 2008, escludendo l’applicazione delle norme del codice civile relative alla rieleggibilità degli amministratori, nonché alla loro revocabilità da parte dell’assemblea dei soci (articolo 2383, comma 3 del codice civile).

 

Ai sensi del citato articolo 2383, comma 3, gli amministratori della società sono rieleggibili, salvo diversa disposizione dello statuto, e sono revocabili dall'assemblea in qualunque tempo, anche se nominati nell'atto costitutivo, salvo il diritto dell'amministratore al risarcimento dei danni, se la revoca avviene senza giusta causa.

 


 

Articolo 83, commi 16-17
(Contrasto all’evasione fiscale derivante dalle estero-residenze fittizie delle persone fisiche)


16. Al fine di assicurare maggiore effettività alla previsione di cui all'articolo 1 del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, i comuni, entro i sei mesi successivi alla richiesta di iscrizione nell'anagrafe degli italiani residenti all'estero, confermano all'Ufficio dell'Agenzia delle entrate competente per l'ultimo domicilio fiscale che il richiedente ha effettivamente cessato la residenza nel territorio nazionale. Per il triennio successivo alla predetta richiesta di iscrizione la effettività della cessazione della residenza nel territorio nazionale è sottoposta a vigilanza da parte dei comuni e dell'Agenzia delle entrate, la quale si avvale delle facoltà istruttorie di cui al Titolo IV del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600.

17. In fase di prima attuazione delle disposizioni introdotte dal comma 16, la specifica vigilanza ivi prevista da parte dei comuni e dell'Agenzia delle entrate viene esercitata anche nei confronti delle persone fisiche che hanno chiesto la iscrizione nell'anagrafe degli italiani residenti all'estero a far corso dal 1° gennaio 2006. L'attività dei comuni è anche in questo caso incentivata con il riconoscimento della quota pari al 30 per cento delle maggiori somme relative ai tributi statali riscosse a titolo definitivo previsto dall'articolo 1, comma 1, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248.


 

 

Il comma 16 dell’articolo in commento dispone che i Comuni, entro i sei mesi successivi alla richiesta di iscrizione nell’anagrafe degli italiani residenti all’estero (AIRE)[495], confermino, all’Ufficio dell’Agenzia delle entrate competente per l’ultimo domicilio fiscale, che il richiedente abbia effettivamente cessato la residenza nel territorio nazionale.

Inoltre, per il triennio successivo alla richiesta di iscrizione all’AIRE, l’effettività della cessazione della residenza nel territorio nazionale è sottoposta a vigilanza da parte dei Comuni e dell’Agenzia delle entrate.

E’ previsto che l’Agenzia delle entrate si avvalga delle facoltà istruttorie di cui al titolo IV (relativo ai poteri di accertamento e controllo) del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600[496].

La disposizione del comma 16 intende contrastare il fenomeno del trasferimento (che è talvolta fittizio) di residenza all’estero, da parte delle persone fisiche che, per evitare la tassazione in Italia, preferiscono essere assoggettati a tassazione nel paese estero in cui spostano la residenza. Si ricorda infatti che la soggettività passiva ai fini del pagamento delle imposte sui redditi in Italia è costituita proprio dalla residenza, in base all’articolo 2 del TUIR (D.P.R. n. 917 del 1986)[497].

Tale norma si affianca ad una recente modifica, introdotta dalla legge finanziaria 2008, in materia di trasferimento di residenza all’estero per le persone fisiche. La legge finanziaria 2008 ha infatti introdotto a sfavore del contribuente (quindi con inversione dell’onere della prova), la presunzione di residenza fiscale in Italia, con conseguente assoggettamento a tassazione nel nostro paese, nel caso di trasferimento di residenza in paesi che non siano ricompresi in un elenco (c.d. “white list”, da emanare con decreto ministeriale), di Stati che diano talune garanzie in termini di livello di tassazione applicato e di scambio di informazioni.

 

In dettaglio, la legge finanziaria 2008 con l’articolo 1, commi da 83 a90, haintrodotto una serie complessa di nuove norme riguardanti i rapporti con paesi considerati a fiscalità privilegiata ed ha inoltre modificato la norma (il comma 2-bis dell’articolo 2 del TUIR) che disciplina la presunzione di residenza fiscale in Italia, stabilendo che tale presunzione, salvo prova contraria, dei cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente e trasferiti in altri Stati o territori, sia operativa in tutti i casi in cui la residenza sia trasferita in Stati diversi da quelli individuati in una nuova White list: di paesi che rispettino una serie di caratteristiche: si tratta di una nuova lista contenuta in un apposito decreto del Ministro dell’economia e delle finanze. Tale innovazione troverà applicazione a partire dalperiodo di imposta successivo a quello di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell’apposito decreto, non ancora emanato e per il quale non è stato indicato un termine di emanazione.

 

La disposizione del comma 16 in commento prevede di dare maggiore effettività alla norma di cui articolo 1 del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203[498], che aveva disposto la partecipazione dei comuni al contrasto dell’evasione fiscale, con l’attribuzione agli stessi, se intervenuti nell’accertamento, del 30 per cento delle maggiori somme relative a tributi statali, riscosse a titolo definitivo a seguito degli accertamenti cui abbia contribuito l’intervento del comune interessato. La norma rinviava ad un apposito provvedimento, da emanare entro quarantacinque giorni, la definizione delle modalità di tale partecipazione.

Il provvedimento di attuazione è stato solo recentemente emanato: si tratta del provvedimento del 3 dicembre 2007 del Direttore dell’Agenzia delle entrate[499], che in attuazione proprio all’articolo 1 del D.L. n. 203 del 2005, ha disciplinato le modalità di partecipazione dei comuni all’accertamento.

 

Il comma 17 prevede che, in fase di prima attuazione, la vigilanza da parte dei Comuni e dell’Agenzia delle entrate venga esercitata anche nei confronti delle persone fisiche che hanno chiesto la iscrizione nell’anagrafe degli italiani residenti all’estero a far corso dal 1° gennaio 2006, pertanto con effetto retroattivo.

A tale proposito l’attività dei Comuni viene altresì incentivata prevedendo l’attribuzione a questi, anche nel caso della vigilanza effettuata sui trasferimenti di residenza all’estero, di una quota pari al 30 per cento delle maggiori somme relative ai tributi statali riscosse a titolo definitivo, come previsto in generale dall’articolo 1, comma 1, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203.

 


 

Articolo 83, comma 18
(Semplificazioni nella gestione dei rapporti tributari)


18. Allo scopo di semplificare la gestione dei rapporti con l'Amministrazione fiscale, ispirandoli a principi di reciproco affidamento ed agevolando il contribuente mediante la compressione dei tempi di definizione, nel decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218, dopo l'articolo 5 è inserito il seguente:

«Articolo 5-bis. (Adesione ai verbali di constatazione). 1. Il contribuente può prestare adesione anche ai verbali di constatazione in materia di imposte sui redditi e di imposta sul valore aggiunto redatti ai sensi dell'articolo 24 della legge 7 gennaio 1929, n. 4, che consentano l'emissione di accertamenti parziali previsti dall'articolo 41-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e dall'articolo 54, quarto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633.

2. L'adesione di cui al comma 1 può avere ad oggetto esclusivamente il contenuto integrale del verbale di constatazione e deve intervenire entro i 30 giorni successivi alla data della notifica del verbale medesimo mediante comunica­zione al competente Ufficio delle entrate ed al Reparto della Guardia di finanza che ha redatto il verbale. Entro i 60 giorni successivi alla comunicazione, l'Ufficio delle entrate notifica al contribuente l'atto di definizione dell'accertamento parziale recante le indicazioni previste dall'articolo. 7.

3. In presenza dell'adesione di cui al comma 1 la misura delle sanzioni applicabili indicata nell'articolo 2, comma 5, è ridotta alla metà e le somme dovute possono essere versate ratealmente ai sensi dell'articolo 8 comma 2, senza prestazione delle garanzie ivi previste».


 

 

Il comma 18 dell’articolo 83, introduce l’articolo 5-bis nel decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218[500], ampliando la possibilità per il contribuente di usufruire dell’istituto dell’accertamento concordato, permettendo al soggetto passivo dell’obbligazione tributaria di prestare adesione anche ai verbali di constatazione in materia di imposte sui redditi e di IVA che consentano l’emissione di accertamenti parziali.

 

Si ricorda che l’accertamento con adesione (o accertamento concordato) è una procedura di accertamento che si svolge in contraddittorio con il contribuente, applicabile sia alle imposte dirette che all’IVA, nonché alle principali imposte indirette (articolo 1, comma 2 del D.Lgs. n. 218 del 1997), che implica la definizione del procedimento mediante accordo tra il soggetto passivo e l’amministrazione finanziaria.

Inoltre, tramite l’accertamento concordato il contribuente usufruisce di una riduzione delle sanzioni amministrative irrogabili per le violazioni concernenti i tributi oggetto dell'adesione commesse nel periodo d'imposta, nonché per le violazioni concernenti il contenuto delle dichiarazioni relative allo stesso periodo, le quali si applicano di regola nella misura di un quarto del minimo previsto dalla legge (articolo 2, comma 5 del D.Lgs. n. 218 del 1997; similarmente, per le imposte diverse da quella sui redditi e IVA, si veda l’articolo 3, comma 3 del medesimo decreto). Le conseguenze favorevoli dell’accertamento concordato si esplicano anche in sede penale (articolo 2, comma 3 del D.Lgs. n. 218 del 1997).

L'accertamento con adesione, dirimendo le controversie tra amministrazione finanziaria e contribuente, assolve a finalità di riduzione del contenzioso e anticipazione dei tempi della riscossione del tributo.

 

Si ricorda al riguardo che l’accertamento con adesione può essere proposto dall’Ufficio competente (articolo 5) o dal contribuente (articolo 6 del D.Lgs. n. 218 del 1997) stesso[501].

L’accertamento si perfeziona (articoli 7- 9 del D.Lgs. n. 218 del 1997) con la redazione e la sottoscrizione dell’atto di accertamento con adesione in duplice esemplare e con il pagamento delle somme liquidate entro 20 giorni dalla redazione dell’ atto, ovvero della prima rata e prestazione di idonea garanzia.

 

Le disposizioni introdotte (articolo 5-bis, comma 1) permettono al contribuente di prestare adesione anche ai verbali di constatazione in materia di imposte sui redditi e di imposta sul valore aggiunto, che consentano l’emissione di accertamenti parziali.

 

L’accertamento parziale è una tipologia di accertamento limitato ad alcuni redditi del contribuente e all’IVA, al fine di agevolare il recupero di tributi senza preclusione di ulteriori accertamenti. L’istituto è disciplinato dall’articolo 41-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 per quanto attiene alle imposte sui redditi, e dall’articolo 54, quarto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 per quanto riguarda l’imposta sul valore aggiunto.

Tale istituto si applica ove dagli accessi, ispezioni, verifiche e dalle segnalazioni effettuati risultino elementi che consentono di stabilire l'esistenza, ai fini dell’imposta sui redditi (ai sensi del citato articolo 41-bis del D.P.R. n. 600 del 1973):

-        di un reddito non dichiarato;

-        del maggiore ammontare di un reddito parziale dichiarato che avrebbe dovuto concorrere a formare il reddito imponibile (compresi i redditi da partecipazioni in società, associazioni ed imprese);

-        deduzioni, esenzioni ed agevolazioni in tutto o in parte non spettanti e imposte o di maggiori imposte non versate, escluse le ipotesi di liquidazione delle imposte e di controllo formale delle dichiarazioni.

In tali ipotesi, gli uffici dell'Agenzia delle entrate possono limitarsi ad accertare, in base agli elementi predetti, il reddito o il maggior reddito imponibili, ovvero la maggiore imposta da versare, anche avvalendosi dell’accertamento con adesione o dell’istituto della conciliazione giudiziale.

 

Per quanto attiene all’IVA (ai sensi del citato articolo 54 del D.P.R. n. 633 del 1972), gli elementi che risultano possono attenere a:

-        corrispettivi o imposta non dichiarati;

-        detrazioni non spettanti.

In tal caso l’amministrazione può limitarsi ad accertare l'imposta o la maggiore imposta dovuta o il minor credito spettante, nonché l'imposta o la maggiore imposta non versata, escluse le ipotesi di liquidazione dell’imposta dovuta in base alle dichiarazioni (articolo 54-bis del D.P.R. n. 633 del 1972), anche avvalendosi dell’accertamento con adesione e della conciliazione giudiziale.

 

I commi 2 e 3 del nuovo articolo 5-bis recano poi disposizioni di natura procedurale.

 

Ai sensi delle norme introdotte, l’adesione del contribuente può avere ad oggetto solo il contenuto integrale del verbale di constatazione e deve intervenire entro i 30 giorni successivi alla data della notifica del verbale medesimo.

Il soggetto passivo è tenuto a comunicare la propria volontà mediante al competente Ufficio delle entrate ed al Reparto della Guardia di finanza che ha redatto il verbale.

Entro i 60 giorni successivi alla comunicazione, l’Ufficio delle entrate notifica al contribuente l’atto di definizione dell’accertamento parziale recante le indicazioni previste dalla legge (ovvero, ai sensi dell’articolo 7 del D.Lgs. n. 218 del 1997, l’indicazione del tributo, gli elementi e la motivazione su cui la definizione si fonda, nonché la liquidazione delle maggiori imposte, delle sanzioni e delle altre somme eventualmente dovute, anche in forma rateale).

 

Nel caso di adesione, le nuove disposizioni (articolo 5-bis, comma 3) prevedono un meccanismo premiale che riduce alla metà la misura delle sanzioni irrogabili per le violazioni concernenti i tributi oggetto dell'adesione commesse nel periodo d'imposta, nonché per le violazioni concernenti il contenuto delle dichiarazioni relative allo stesso periodo, secondo quanto disposto dal citato articolo 2, comma 5 del D.Lgs. n. 218 del 1997.

Le predette sanzioni sono dunque ridotte ad un ottavo del minimo previsto dalla legge.

 

Inoltre, la medesima normaconsente che le somme dovute siano versate in otto o dodici rate trimestrali, secondo l’ammontare dell’importo da versare (ai sensi dell’articolo 8, comma 2), senza prestazione delle garanzie altrimenti previste dalla legge.

 

La Relazione tecnica rileva che le norme introdotte avranno incidenza sulla possibilità dell’Agenzia delle Entrate di recuperare una capacità operativa idonea a produrre ulteriori accertamenti ordinari, il cui gettito è stimato in circa 83,3 milioni di euro.


 

Articolo 83, commi 19-20
(Adeguamento degli studi di settore alle realtà economiche locali)


19. In funzione dell'attuazione del federalismo fiscale, a far corso dal 1o gennaio 2009 gli studi di settore di cui all'articolo 62-bis del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, vengono elaborati anche su base regionale o comunale, ove ciò sia compatibile con la metodologia prevista dal primo comma, secondo periodo, dello stesso articolo 62-bis.

20. Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze sono stabilite le modalità di attuazione del comma 19, prevedendo che la elaborazione su base regionale o comunale avvenga con criteri di gradualità entro il 31 dicembre 2013 e garantendo che alla stessa possano partecipare anche i comuni, in attuazione della previsione di cui articolo 1 del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248.


 

 

I commi 19 e 20 dell’articolo 83 dispongono che, a decorrere dal 2009, gli studi di settore siano elaborati anche su base regionale o comunale.

 

Gli studi di settore, introdotti dall’articolo 62-bis del decreto-legge n. 331/1993[502], sono strumenti diretti a facilitare la ricostruzione induttiva dei redditi d’impresa e di lavoro autonomo, attraverso la determinazione di funzioni di ricavo e compenso per gruppi omogenei di contribuenti operanti nello stesso settore di attività.

Essi valutano la capacità di produrre ricavi o conseguire compensi dalle singole attività economiche e si avvalgono di un metodo informatizzato, elaborato su base statistica, che consente ai contribuenti il calcolo dei ricavi o dei compensi presunti dall’attività di ogni singola impresa o professionista (c.d. procedura di calcolo). Gli studi sono realizzati tramite la raccolta sistematica di dati: sia quelli di carattere fiscale, sia quelli di tipo “strutturale” che caratterizzano l’attività e il contesto economico in cui questa si svolge. In particolare essi sono realizzati rilevando, per ogni singola attività economica, le relazioni esistenti tra le variabili contabili e quelle strutturali, sia interne (processo produttivo, area di vendita, ecc.) che esterne all’azienda o all’attività professionale. Essi tengono infatti conto delle caratteristiche dell’area territoriale e del contesto economico in cui opera l’azienda.

La legge n. 146 del 1998[503] (articolo 10, comma 1) ha previsto espressamente che l’Amministrazione finanziaria possa effettuare accertamenti basati sugli studi di settore. Si tratta pertanto di una tipologia di accertamento ulteriore, che si aggiunge a quelle già previste dal D.P.R. n. 600 del 1973 e che con esse si raccorda (si segnala che il comma 1 dell’articolo 10 della citata legge n. 146 è stato sostituito dal comma 1 dell’articolo 33 del provvedimento in esame alla cui scheda si rinvia).

Ai sensi della normativa vigente, gli studi di settore sono approvati con decreti ministeriali e sono soggetti a revisione periodica.

 

Ai sensi del comma 19, la norma è finalizzata all’attuazione del federalismo fiscale e trova applicazione nei limiti di compatibilità con quanto stabilito dal primo comma, secondo periodo, dell’articolo 62-bis del DL n. 331/1993.

Tale periodo dispone che gli uffici del Dipartimento delle finanze provvedono ad identificare campioni significativi di contribuenti appartenenti ai medesimi settori, allo scopo di individuare elementi caratterizzanti l’attività esercitata per agevolare i controlli di natura fiscale.

 

Il comma 20 rinvia ad un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze la definizione delle modalità di attuazione. Tale decreto dovrà prevedere, tra l’altro, che l’elaborazione su base regionale o comunale avvenga con gradualità entro il 31 dicembre 2013.

La norma precisa, inoltre, che la partecipazione dei comuni è effettuata anche in attuazione dell’articolo 1 del DL n. 203/2005 recante “Partecipazione dei comuni al contrasto all’evasione fiscale”. Ai sensi del comma 1 del richiamato articolo 1, ai comuni è riconosciuta una quota pari al 30% delle maggiori somme relative a tributi statali riscosse a titolo definitivo a seguito della partecipazione del comune all’accertamento medesimo.

 

 


 

Articolo 83, commi 21-22
(Restituzione di pagamenti in eccesso effettuati
da soggetti iscritti a ruolo)


21. All'articolo 22 del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112, dopo il comma 1 sono inseriti i seguenti:

«1-bis. In caso di versamento di somme eccedenti almeno cinquanta euro rispetto a quelle complessivamente richieste dall'agente della riscossione, quest'ultimo ne offre la restituzione all'avente diritto notificandogli una comunicazione delle modalità di restituzione dell'eccedenza. Decorsi tre mesi dalla notificazione senza che l'avente diritto abbia accettato la restituzione, ovvero, per le eccedenze inferiori a cinquanta euro, decorsi tre mesi dalla data del pagamento, l'agente della riscossione riversa le somme eccedenti all'ente creditore ovvero, se tale ente non è identificato né facilmente identificabile, all'entrata del bilancio dello Stato, ad esclusione di una quota pari al 15 per cento, che affluisce ad apposita contabilità speciale. Il riversamento è effettuato il giorno 20 dei mesi di giugno e dicembre di ciascun anno.

1-ter. La restituzione ovvero il riversa­mento sono effettuati al netto dell'importo delle spese di notificazione, determinate ai sensi dell'articolo 17, comma 7-ter, trattenute dall'agente della riscossione a titolo di rimborso delle spese sostenute per la notificazione.

1-quater. Resta fermo il diritto di chiedere, entro l'ordinario termine di prescrizione, la restituzione delle somme eccedenti di cui al comma 1-bis all'ente creditore ovvero allo Stato. In caso di richiesta allo Stato, le somme occorrenti per la restituzione sono prelevate dalla contabilità speciale prevista dal comma 1-bis e riversate all'entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate ad apposito capitolo dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze».

22. Le somme eccedenti di cui all'articolo 22, comma 1-bis, del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112, incassate anteriormente al quinto anno precedente la data di entrata in vigore del presente decreto, sono versate entro il 20 dicembre 2008 ed affluiscono all'entrata del bilancio dello Stato per la successiva riassegnazione al fondo speciale istituito con l'articolo 1, comma 29.


 

 

I commi 21 e 22 recano disposizioni in materia di restituzione dei pagamenti effettuati in eccesso dai debitori dell’obbligazione tributaria iscritti a ruolo.

 

In particolare, il comma 21 inserisce i commi 1-bis, 1-ter e 1-quater all’articolo 22 del D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 112[504], che disciplina i termini di riversamento all’ente creditore delle somme riscosse da parte del concessionario della riscossione.

Il nuovo comma 1-bisspecifica che, ove il soggetto passivo abbia versato somme eccedenti almeno cinquanta euro rispetto a quelle complessivamente richieste dall’agente della riscossione, quest’ultimo ne offra la restituzione all’avente diritto.

Tale offerta avviene mediante una comunicazione relativa alle modalità di restituzione dell’eccedenza. Nel caso in cui trascorrano tre mesi dalla notifica senza che il soggetto passivo abbia accettato la restituzione, l’agente della riscossione è tenuto a riversare le somme eccedenti all’ente creditore ovvero, se tale ente non è identificato né facilmente identificabile, all’entrata del bilancio dello Stato.

Ove l’eccedenza del versamento sia inferiore a cinquanta euro, il termine per il riversamento all’ente creditore o all’entrata del bilancio dello Stato è di tre mesi dalla data del pagamento in eccesso; in tal caso non è prevista alcuna forma di comunicazione al debitore.

In ogni caso, una quota pari al 15 per cento dell’eccedenza affluisce ad una apposita contabilità speciale; il relativo riversamento è effettuato il giorno 20 dei mesi di giugno e dicembre di ciascun anno.

 

Il nuovo comma 1-ter prevede che la restituzione o il riversamento siano effettuati al netto dell’importo delle spese di notificazione (determinate ai sensi dell’articolo 17, comma 7-ter[505] del medesimo D.Lgs. n. 112 del 1999), trattenute dall’agente della riscossione a titolo di rimborso delle spese sostenute per la notifica.

 

La norma del nuovo comma 1-quater fa salvo in ogni caso il diritto del contribuente di chiedere, entro i termini ordinari di prescrizione la restituzione delle somme pagate in eccesso e versate direttamente all’ente creditore ovvero allo Stato.

Sembra dunque che, relativamente ai pagamenti in eccesso per un ammontare inferiore a cinquanta euro, la sola modalità di recupero delle somme per il contribuente sia la richiesta di restituzione all’ente creditore (ovvero allo Stato).

 

Infine, il comma 22 dispone che le somme in eccesso pagate dal contribuente - di cui all’introdotto comma 1-bis dell’articolo 22 -, ove incassate anteriormente al quinto anno precedente la data di entrata in vigore del decreto in esame siano versate entro il 20 dicembre 2008 ed affluiscano all’entrata del bilancio dello Stato, per la successiva riassegnazione al Fondo speciale istituito con l’articolo 81, comma 29, destinato al soddisfacimento delle esigenze di natura alimentari ed energetiche dei cittadini meno abbienti (cfr. relativa scheda di lettura).

 

La Relazione tecnica in proposito stima che l’importo detenuto dalle società di riscossione, che dovrebbe essere versato – comma 2 dell’articolo in esame – entro il 2008 allo Stato, è stimabile il circa 60 milioni di euro.

 


 

Articolo 83, comma 23
(Soppressione delle garanzie per rateazione di importi iscritti a ruolo)


23. All'articolo 19 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) nel comma 1, sono soppresse le parole da «Se» a «cancellazione dell'ipoteca»;

b) nel comma 4, le parole da «l'ultimo» a «mese» sono sostituite dalle seguenti: «nel giorno di ciascun mese indicato nell'atto di accoglimento dell'istanza di dilazione»;

c) il comma 4-bis è abrogato. In ogni caso le sue disposizioni continuano a trovare applicazione nei riguardi delle garanzie prestate ai sensi dell'articolo 19 del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973 nel testo vigente anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto.


 

 

Il comma 23 reca disposizioni in materia di rateazione del pagamento delle somme iscritte a ruolo inerenti le imposte sui redditi.

 

A tal fine, a norma in commento modifica in più parti l’articolo 19 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602[506] che nella sua formulazione attuale reca, accanto alla disciplina della rateazione delle somme iscritte a ruolo, disposizioni specifiche in materia di garanzie richieste per ottenere il beneficio della dilazione, ove le somme iscritte a ruolo superino un determinato importo (cinquantamila euro).

 

Si ricorda che, nella sua attuale formulazione, l’articolo 19 consente - su richiesta del contribuente, a determinate condizioni e previo consenso dell’agente della riscossione - la rateazione del pagamento delle somme iscritte a ruolo, fino ad un massimo di settantadue rate mensili (comma 1). Ove l'importo iscritto a ruolo sia superiore a cinquantamila euro, il riconoscimento di tali benefici è subordinato alla prestazione di idonea garanzia, a mezzo di polizza fidejussoria o fidejussione bancaria, ovvero garanzia rilasciata dai consorzi di garanzia collettiva dei fidi (Confidi[507]). In alternativa può essere prestata garanzia ipotecaria sugli immobili del debitore e dei coobbligati, per un importo pari al doppio dell'importo complessivo del credito per cui si procede (ai sensi dell’articolo 77 del D.P.R. n. 602 del 1973); l’ufficio può altresì autorizzare che sia concessa dal contribuente, ovvero da terzo datore, ipoteca volontaria di primo grado su beni immobili di esclusiva proprietà del concedente, per un importo pari al doppio delle somme iscritte a ruolo.

In caso di mancato pagamento della prima rata o, successivamente, di due rate (comma 3) il debitore decade automaticamente dal beneficio della rateazione; l'intero importo iscritto a ruolo ancora dovuto è immediatamente ed automaticamente riscuotibile in unica soluzione ed il carico non può più essere rateizzato.

 

La lettera a) del comma in esame elimina del tutto l’obbligo di prestazione di garanzia per l’ottenimento del beneficio della rateazione del debito iscritto a ruolo per somme superiori a 50.000 euro.

 

La lettera b) modifica il termine di scadenza per il pagamento di ciascuna rata, disponendo che esso corrisponda al giorno di ciascun mese indicato nell’atto di accoglimento dell’istanza di dilazione, in luogo dell’ultimo giorno di ciascun mese.

 

La lettera c) abroga il comma 4-bis dell’articolo 19, recante la disciplina delle conseguenze della decadenza del contribuente dal beneficio della dilazione, in relazione alla garanzia prestata da terzi.

 

Tuttavia, la medesima lettera c) sancisce che le disposizioni abrogate continuino a trovare applicazione nei riguardi delle garanzie prestate anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto-legge in esame (25 giugno 2008).

 

Secondo la Relazione tecnica, l’eliminazione dell’obbligo di prestare garanzia per ottenere la rateazione di importi iscritti a ruolo superiori a 50.000 euro “comporta la possibilità di incassare, seppure con gradualità, importi il cui recupero coattivo, altrimenti, condurrebbe spesso al fallimento dell’azienda e, quindi, alla sostanziale inesigibilità del credito”.

L’effetto di incremento degli incassi è dunque stimato in 50 milioni di euro per l’anno 2008 e 100 milioni di euro annui a decorrere dal 2009.

 

 


 

Articolo 83, comma 24
(Aumento valore catastale per immobili messi all’incanto)

24. All'articolo 79, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, dopo la parola «131», sono inserite le seguenti: «, moltiplicato per tre».

 

 

Il comma 24, novellando il comma 1 dell’articolo 79 del D.P.R. n. 602 del 1973 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), interviene in tema di vendita all’asta di immobili, triplicando il valore del prezzo base dell’incanto.

 

Gli articoli da 76 a 85 recano le disposizioni in materia di espropriazione immobiliare. In particolare l’articolo 79 stabilisce che il prezzo base dell'incanto sia pari all'importo stabilito ai sensi dell'articolo 52, comma 4, del D.P.R. n. 131 del 1986 (Testo unico imposta di registro).

Il richiamato comma 4 fissa il valore dei fabbricati a 80 volte il reddito catastale. Il comma 5 dispone che tale moltiplicatore può essere modificato, in caso di sensibili divergenze dai valori di mercato, con decreto del Ministro delle finanze pubblicato nella Gazzetta Ufficiale.

Il moltiplicatore è stato elevato a 100 volte per i fabbricati, con decorrenza dal 3 dicembre 1989, per effetto del decreto ministeriale 11 novembre 1989.

Il decreto 14 dicembre 1991 ha stabilito che il moltiplicatore di 100 volte si applica all'ammontare delle rendite catastali determinate sulla base delle nuove tariffe d'estimo recate dal decreto ministeriale 27 settembre 1991, nella stessa misura per le unità immobiliari classificate nei gruppi catastali A, B e C, con le esclusioni di quelle classificate nelle categorie A/10 e C/1, alle quali si applica, rispettivamente, nella misura pari a 50 ed a 34.

Successivamente l'articolo 2, comma 63, della legge finanziaria 2004 (legge n. 350/2003) ha rivalutato del 10% i moltiplicatori con effetto dal 1° gennaio 2004 ai soli fini delle imposte di registro, ipotecarie e catastali. Tale valore del 10% è stato elevato al 20% dall’articolo 1-bis, comma 7 del D.L. n. 168 del 2004 per i beni immobili diversi dalla prima casa di abitazione.

Da ultimo l’articolo 2, comma 45 del D.L. n. 262 del 2006 (convertito, dalla legge n. 286 del 2006) ha rivalutato il misuratore nella misura del 40% per le rendite catastali dei fabbricati classificati nel gruppo catastale B.

 

 


 

Articolo 83, commi 25-28
(Comitato strategico per lo sviluppo e la tutela all’estero degli interessi nazionali in economia)


25. È istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri il Comitato strategico per lo sviluppo e la tutela all'estero degli interessi nazionali in economia, con compiti di indirizzo, consulenza, nonché di coordinamento informativo, anche mediante scambi di dati, con le principali imprese nazionali, soprattutto a partecipazione pubblica, che operano nei settori dell'energia, dei trasporti, della difesa, delle telecomunicazioni, nonché nei settori di altri pubblici servizi.

26. Al Comitato competono, altresì, anche al fine di farne oggetto di pareri al Governo, l'analisi di fenomeni economici complessi propri della globalizzazione, quali l'influenza dei fondi sovrani e lo sviluppo sostenibile nei Paesi in via di sviluppo, nonché compiti di supporto alle funzioni di coordinamento degli sforzi per lo sviluppo delle attività all'estero di imprese italiane e delle iniziative di interesse nazionale all'estero.

27. Il Comitato è composto, in numero non superiore a dieci, da alte professionalità tecniche dotate di elevata specializzazione nei suoi settori di intervento, nonché da qualificati rappresentanti dei Ministeri degli affari esteri, dell'economia e delle finanze, della difesa, dello sviluppo economico, delle infrastrutture e dei trasporti.

28. Le funzioni di segreteria del Comitato sono assicurate, nei limiti degli ordinari stanziamenti di bilancio, dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Il Comitato e la sua segreteria sono costituiti con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, con il quale sono stabilite altresì le disposizioni generali sul loro funzionamento. Il Comitato riferisce ogni sei mesi sulla attività svolta e sui propri risultati. La partecipazione al Comitato è gratuita.


 

 

I commi 25-28 riguardano l’istituzione, le competenze e il funzionamento del Comitato strategico per lo sviluppo e la tutela all'estero degli interessi nazionali in economia.

 

In particolare, il comma 25 prevede l’istituzione del Comitato in oggetto presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri: al nuovo organismo sono attribuiti compiti di indirizzo, consulenza e coordinamento informativo nei confronti delle più rilevanti imprese italiane – in special modo quelle a partecipazione pubblica. La norma individua altresì i settori di attività di dette imprese prioritari ai fini dell’intervento legislativo in esame, ossia quelli dell’energia, dei trasporti, della difesa e delle telecomunicazioni, oltre ai settori interessati da altri pubblici servizi.

 

Il comma 26 amplia notevolmente le competenze del Comitato strategico, estendendole all’analisi di fenomeni economici complessi correlati alla globalizzazione – ad esempio l’affacciarsi sui mercati finanziari mondiali dei cosiddetti “fondi sovrani”, ovvero i connotati dello sviluppo sostenibile dei Paesi meno avanzati. In tali attività di analisi il Comitato potrà anche formulare pareri al Governo.

Ulteriori attribuzioni del Comitato strategico riguarderanno il sostegno agli sforzi rivolti a una sempre maggiore internazionalizzazione delle imprese italiane, nonché alle iniziative di interesse nazionale all'estero.

 

In base al comma 27 il Comitato strategico è composto da personalità di alta specializzazione nei settori di attività previsti per il Comitato stesso, e da rappresentanti qualificati dei Ministeri degli Affari esteri, dell'economia e delle finanze, della difesa, dello sviluppo economico, delle infrastrutture e dei trasporti. Il numero di membri del Comitato non può eccedere il numero di dieci.

 

Infine, il comma 28 prevede che la costituzione del Comitato strategico (e della relativa segreteria, le cui funzioni sono assicurate, nei limiti degli ordinari stanziamenti di bilancio, dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri) avvenga con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze: tale atto stabilisce altresì le regole generali di funzionamento.

Con cadenza semestrale il Comitato strategico – la partecipazione dei cui membri è a titolo gratuito – riferisce sulle proprie attività e sui risultati di esse.

 

La portata delle norme in commento, pur inserendosi nel solco delle iniziative volte a favorire l’internazionalizzazione del sistema produttivo italiano, sembra avere connotati più ampi, di valore appunto strategico, come richiamato nella denominazione del nuovo Comitato.

 

Lo sviluppo del tasso di internazionalizzazione del sistema produttivo e del volume delle esportazioni costituisce una priorità strategica in un Paese, quale il nostro, dove una forte propensione all’export si combina con una struttura produttiva di piccole e medie imprese spesso non sufficientemente attrezzate nell’approccio al mercato globale, e che ormai da diversi anni soffrono, soprattutto nei settori tradizionali del made in Italy, dell’aumentata pressione concorrenziale delle nuove economie emergenti.

Non vi è dubbio che il più rilevante, e relativamente recente, intervento normativo in materia sia costituito dalla legge 31 marzo 2005, n. 56, recante misure per l'internazionalizzazione delle imprese, nonché delega al Governo per il riordino degli enti operanti nel medesimo settore. Con riferimento alla legge n. 56/2005 si ricorda che all’articolo 1 ha previsto l’istituzione di sportelli unici all’estero (c.d. Sportelli Italia), quali strutture in grado di consentire una più efficace azione dei soggetti pubblici e privati operanti nel comparto e di garantire una maggior coerenza delle attività di promozione e di sostegno all’internazionalizzazione con gli obiettivi di politica internazionale del Governo. La promozione di investimenti per la costituzione di sportelli unici all'estero è stata attribuita al Ministro delle attività produttive (oggi Ministro dello sviluppo economico) e al Ministro degli affari esteri di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro per l'innovazione e le tecnologie (attualmente esiste solo il Dipartimento per la P.A. e l’innovazione). La costituzione degli sportelli unici doveva essere realizzata individuando prioritariamente i Paesi di maggiore interesse economico, commerciale e imprenditoriale per l'Italia. Agli sportelli la legge ha assegnato l’esercizio di funzioni di orientamento, assistenza e consulenza ad imprese ed operatori, italiani ed esteri, in riferimento anche all'attività di attrazione degli investimenti esteri in Italia, nonché di coordinamento di attività promozionali realizzate in loco da enti pubblici e privati, di assistenza legale alle imprese, di tutela dei diritti di proprietà industriale e intellettuale e di lotta alla contraffazione, in stretto collegamento con il comitato nazionale anticontraffazione istituito presso il Ministero delle attività produttive. La legge ha previsto la partecipazione all’attività degli sportelli degli uffici dell'ICE, dell'ENIT, di Sviluppo Italia e di enti e istituzioni nazionali. Possono altresì aderirvi istituti di credito, consorzi di garanzia fidi e rappresentanze dei sistemi fieristici. I responsabili degli sportelli unici all'estero sono inseriti nell'organico della rappresentanza diplomatica o dell'ufficio consolare in qualità di esperti.

 

Carattere di novità riveste l’attribuzione al Comitato di rilevanti compiti di analisi e consulenza a vantaggio del Governo, onde favorirne le decisioni da riferirsi a importanti questioni internazionali di carattere sia economico che finanziario: tra queste viene espressamente citata quella dell’emergere sul mercato finanziario mondiale dei “fondi sovrani”, ovvero dei fondi costituiti da Governi sovrani per l’impiego di eccedenze valutarie o fiscali nell’acquisto di azioni, obbligazioni, proprietà immobiliari e ogni altro strumento finanziario disponibile. Nati nei Paesi forti esportatori di prodotti petroliferi, i fondi sovrani hanno visto affiancarsi ad essi Stati come la Cina, capace di alimentare massicci acquisti di attività finanziarie e industriali grazie all’enorme avanzo economico della propria bilancia commerciale. La principale preoccupazione che l’apparire dei fondi sovrani ha destato risiede nella potenziale commistione, nelle loro strategie, di interessi economico-finanziari e interessi geopolitici - proprio in virtù della eterodirezione dei fondi in questione rispetto alle tradizionali sfere di comando industriali e finanziarie – con possibili pesanti ingerenze nell’autonoma conduzione di fondamentali settori delle economie nazionali occidentali.

Più generico appare invece il riferimento dell’attività del Comitato alle problematiche dello sviluppo sostenibile nei PVS. L’espressione (al comma 26) sembra presupporre l’esigenza di una riconsiderazione di fondo dell’intero approccio alle problematiche degli aiuti internazionali.

 


 

Articolo 84
(Copertura finanziaria)


1. Agli oneri derivanti dagli articoli 3, 14, 19, 22, 60, comma 7, 63, commi 1, 3, 4, 6, 7, 8, 9, 10 e 12, 72, commi da 7 a 11, 81, 82 del presente decreto-legge, pari a 1.520,5 milioni di euro per l'anno 2008, a 5.569,1 milioni di euro per l'anno 2009, a 4.203,2 milioni di euro per l'anno 2010 e a 4.486,3 milioni di euro per l'anno 2011, si provvede mediante utilizzo di parte delle maggiori entrate recate dal presente provvedimento.

2. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare con propri decreti le occorrenti variazioni di bilancio.


 

 

L’articolo 84 reca la disposizione sulla copertura degli oneri (maggiori spese e minori entrate) derivanti dal decreto legge in esame. Gli oneri vengono indicati in 1.520,5 milioni di euro per il 2008, in 5.569,1 milioni per il 2009, in 4.203,2 milioni per il 2010 e in 4.486,3 milioni per il 2011.

 

Nella tavola che segue sono riportati gli effetti finanziari delle disposizioni citate dall’articolo 84, con l’aggiunta dell’articolo 79, comma 2 (vedi infra) che viene altresì elencato tra le maggiori spese, in termini di saldo netto da finanziare, nel c.d. allegato 7 (Effetti finanziari sui saldi di finanza pubblica dell’articolato del decreto) della Relazione tecnica della Ragioneria generale dello Stato.

Al riguardo si osserva che:

-       l’articolo 79, comma 2, relativo al progetto tessera sanitaria e al rinnovo del contratto collettivo personale convenzionato, dovrebbe essere incluso tra gli articoli elencati dalla disposizione in esame, in quanto fonte di maggiori spese. Peraltro, gli oneri derivanti dalla predetta norma sono contabilizzati tra le maggiori spese dell’allegato 7 della Relazione tecnica;

-       gli effetti dell’articolo 60, richiamato dalla norma in esame, dovrebbero essere riferiti al comma 8, anziché al comma 7 (come riportato nel testo della disposizione), in quanto gli oneri riportati tra le maggiori spese dell’allegato 7 della Relazione tecnica sono quelli relativi all’incremento del Fondo per la flessibilità di cui al citato comma 8.

 


(dati in milioni di euro)

 

 

Saldo netto da finanziare

 

 

 

 

 

 

MAGGIORI SPESE

2008

2009

2010

2011

14

1 - 2

Expo Milano

0

30

45

59

19

1 - 3

Abolizione divieto di cumulo pensione-lavoro

0

390

390

390

22

1 - 4

Contratti occasionali di tipo accessorio - Antic. Bilancio INPS

1

2

2

2

60

8

Incremento Fondo flessibilità

0

100

300

300

63

1

Missioni internazionali di pace

90

0

0

0

63

3

Incremento Fondo funzionamento istituzioni scolastiche

200

0

0

0

63

4

Autorizzazione di spesa gruppo FS

300

0

0

0

63

6

Incremento Fondo per l'occupazione

0

700

0

0

63

7

Reintegro Fondo politiche sociali

0

300

0

0

63

8

Fondo proroga agevolazioni fiscali

0

500

0

0

63

9

Proroga finanziamento CONI

0

450

450

450

63

10

Integrazione Fondo interventi strutturali di politica economica

500

2.740

2.740

2.740

63

12

Istituzione Fondo per la promozione e il sostegno del trasporto pubblico locale

113

130

110

110

72

7-11

Personale dipendente prossimo al compimento dei limiti di età

0

0

0

0

79

2

Progetto tessera sanitaria e rinnovo contratto collettivo personale convenzionato

0

184

69

69

81

29

Istituzione fondo di solidarietà per i ceti meno abbienti

200

0

0

0

 

 

TOTALE MAGGIORI SPESE (A)

1.404

5.526

4.106

4.120

 

 

MINORI ENTRATE

 

 

 

 

3

1

Start up - Minore tassazione plusvalenze cessione partecipazioni

0

43

73

61

82

16

Regime IVA delle prestazioni ausiliarie nei gruppi bancari e assicurativi

117

0

0

0

 

 

TOTALE MINORI ENTRATE (B)

117

43

73

61

 

 

TOTALE ONERI (A+B)

1.521

5.569

4.179

4.181

72

7-11

Ulteriori oneri per effetti indotti personale

0

0

+24

+305

 

 

Importo indicato articolo 84

1.521

5.569

4.203

4.486

 


 



[1]    Le fibre ottiche sono costituite da filamenti sottili in vetro (o in plastica), idonee alla conduzione di comunicazioni digitali e utilizzate per trasmissioni su lunghe distanze e per l’accesso a reti in banda larga.

[2]    Sono comprese, ad esempio, le ONLUS.

[3]    Ai sensi dell’articolo 67, comma 1, lettera c) del TUIR sono qualificate le partecipazioni che rappresentano, complessivamente, una percentuale di diritti di voto esercitabili nell’assemblea ordinaria superiore al 2 o al 20 per cento ovvero una partecipazione al patrimonio superiore al 5 o al 25 per cento a seconda che si tratti, rispettivamente, di titoli quotati o non quotati,

[4]    Sono escluse le partecipazioni in associazioni di professionisti.

[5]    Sulle plusvalenze realizzate entro il 2008 la quota che concorre alla formazione del reddito è fissata al 40%. L’articolo 2 del DM 2 aprile 2008, emanato in attuazione dell’articolo 1, comma 38, della legge n. 244/2007 (finanziaria 2008) ha rideterminato la misura della quota imponibile fissandola al 49,72%.

[6]     Le camere di commercio gestiscono infoimprese.it, una iniziativa realizzata da InfoCamere, società consortile di proprietà di tutte le camere di commercio italiane, avente lo scopo di garantire il collegamento tra le stesse camere attraverso una rete telematica che consenta alle aziende, alle amministrazioni e ai cittadini di accedere in tempo reale ad atti, documenti e informazioni sulle imprese iscritte nei registri, albi, ruoli, elenchi e repertori detenuti dalle camere tesse.

Infoimprese.it offre gratuitamente l'accesso alle informazioni anagrafiche ufficiali di tutte le imprese italiane attive iscritte al registro delle imprese, nonché alle informazioni commerciali contenute nelle "vetrine promozionali" aperte dalle imprese che forniscono informazioni su prodotti, marchi, attività di export, canali di vendita, certificazioni di qualità, indirizzo del sito Internet, e-mail ecc

[7]     Si segnala che il Garante è stato nominato in data 15 gennaio 2008 nella persona del dott. Antonio Lirosi.

[8]    Si ricorda che la normativa in materia di privacy è stata riordinata con il D.Lgs 30 giugno 2003, n. 196, recante “Codice in materia di protezione di dati personali”, attuativo della delega legislativa conferita al Governo con la legge 127/01 ed entrato in vigore il 1° gennaio 2004.

[9]     L'Osservatorio dei prezzi e delle tariffe è un servizio di informazione, trasparenza e orientamento ai consumatori realizzato dal Ministero dello Sviluppo Economico (MSE), Direzione Generale per la Concorrenza e i Consumatori, in collaborazione con le Amministrazioni dello Stato, centrali e periferiche, con l'ISTAT, l'UNIONCAMERE, le Associazioni dei Consumatori, le parti sociali e con l'IPI (Istituto per la promozione industriale). L'iniziativa rappresenta un punto di riferimento, sia per i consumatori, sia per gli operatori economici, per documentarsi sull'andamento dei prezzi dei beni e dei servizi di largo consumo sulla loro variabilità e sulle dinamiche inflazionistiche. L’Osservatorio opera individuando un paniere composto da beni e servizi che rispecchia le voci di spesa più comuni delle famiglie italiane. Di questi vengono periodicamente rilevati i prezzi e le tariffe assicurando (quanto a numero di osservazioni, struttura merceologica del paniere, copertura territoriale) un sufficiente grado di rappresentatività. Per ciascun prodotto vengono rilevati i prezzi medi, minimi e massimi tenendo conto delle diverse fasce di consumo e delle diverse aree territoriali e ne vengono comunicati i livelli sull'intero territorio nazionale. Le fonti dell'Osservatorio sono ISTAT, EUROSTAT, INFOMERCATI e ISMEA.

[10]    Dal campo di applicazione del regolamento sono esclusi il settore della pesca e dell'acquacoltura, la produzione primaria dei prodotti agricoli, gli aiuti all'esportazione, gli aiuti che favoriscono i prodotti nazionali, il settore carboniero, gli aiuti destinati all'acquisto di veicoli per il trasporto e gli aiuti alle imprese in difficoltà. Il regolamento si applica, invece, agli aiuti concessi alle imprese di tutti gli altri settori coprendo quindi il settore dei trasporti e, a determinate condizioni, quello della trasformazione e della commercializzazione dei prodotti agricoli.

[11]   COM(2006)567. Obiettivo della comunicazione è quello di definire una strategia per aprire nuovi mercati esteri all’Unione europea, assicurando che gli esportatori europei siano in grado di sostenere una leale competitività, e per mantenere aperti i propri mercati.

[12]   La precedente strategia di accesso al mercato dell’Unione europea è stata definita nel 1996, sulla base della comunicazione della Commissione “Una strategia di accesso ai mercati per l'Unione europea” (COM (1996) 53) del 14 febbraio 1996.

[13]   Si tratterebbe di gruppi comunitari, impiantati localmente, composti da rappresentanti delle delegazioni della Commissione, delle ambasciate degli Stati membri e delle organizzazioni delle imprese.

[14]   Si veda il decreto dell’allora Ministero delle attività produttive, all’indirizzo internet http://www.sviluppoeconomico.gov.it/pdf_upload/documenti/phpnlmck2.pdf.

[15]    http://www.conferenzacambiamenticlimatici2007.it.

[16]    Al riguardo si ricorda il decreto-legge 18 giugno 2007, n. 73, recante Misure urgenti per l’attuazione delle disposizioni comunitarie in materia di liberalizzazione dei mercati dell’energia (legge di conversione 3 agosto 2007, n. 125), la cui adozione si è resa necessaria in quanto l’iter al Senato del disegno di legge recante la delega al Governo in materia di energia (AS 691) non ha consentito il recepimento in tempo utile delle disposizioni della direttiva 2003/54/CE (che ha tra l’altro previsto l’adozione da parte degli Stati membri di misure adeguate a consentire ai clienti domestici del mercato elettrico la libertà di scelta del proprio fornitore a partire dal 1° luglio 2007). Anche al fine di evitare sanzioni da parte della Commissione europea, il Governo ha ritenuto necessario, pertanto, adottare misure urgenti per tutelare l’utenza nella fase di passaggio al nuovo regime.

[17]   Il 17 luglio 2007 la Commissione ha approvato la decisione 2007/530/Euratom, relativa all'istituzione del gruppo europeo ad alto livello sulla sicurezza nucleare e la sicurezza della gestione dei residui. Il gruppo è composto da 27 rappresentanti nazionali competenti nei settori della sicurezza degli impianti nucleari e della sicurezza della gestione del combustibile esaurito e dei residui radioattivi e ha compiti consultivi nei confronti della Commissione. A tal fine il gruppo ad alto livello, tra l’altro, agevola le consultazioni, il coordinamento e la cooperazione delle autorità nazionali di regolamentazione e promuove ampie consultazioni con le parti e i cittadini interessati in modo aperto e trasparente.

[18]   International Atomic Energy Agency (IAEA) istituita presso le Nazioni Unite.

[19]    Come annunciato nella Comunicazione "Una politica energetica per l'Europa", COM(2007)1.

[20]   Relazione Annuale per il 2007 della Unione petrolifera.

[21]    Si segnala che con la delibera del CIPE del 15 luglio 2005, n. 76, ai sensi dell'art. 1, comma 355, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, tra gli interventi agevolativi alle imprese cui è destinato il predetto fondo rotativo sono stati individuati gli interventi previsti dalla legge 17 febbraio 1982, n. 46, mentre in sede di prima applicazione è stata disposta la ripartizione delle risorse assegnate ai predetti interventi fra le aree sottoutilizzate e le restanti aree. Con la stessa delibera si è , inoltre, provveduto a fissare la misura minima del tasso di interesse da applicare ai finanziamenti agevolati, la durata massima del piano di rientro, ed è stata, altresì, approvata la convenzione-tipo che regola i rapporti tra la CDP spa. e il sistema bancario, nella quale sono definiti i compiti e le responsabilita' dei soggetti firmatari della convenzione e del soggetto finanziatore. Con il recente DM 1° febbraio 2006 del Ministero delle attività produttive sono stati fissati i requisiti e le condizioni per la concessione di finanziamenti agevolati a programmi relativi ad attività di sviluppo precompetitivo e a connesse attività di ricerca industriale, ai sensi dell'articolo 14 della legge 17 febbraio 1982, n. 46 istitutivo del Fondo speciale rotativo per l'innovazione tecnologica (FIT),nel caso di ricorso alle risorse del Fondo rotativo per il sostegno alle imprese e gli investimenti in ricerca.

[22]   Il decreto legge 14 marzo 2005, n. 35, recante “Disposizioni urgenti nell'ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale” (pubblicato nella GU 16 marzo 2005, n. 62) è stato convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80.

[23]   Si segnala in proposito il DM 1° febbraio 2006, adottato dal Ministro delle attività produttive di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze che stabilisce requisiti e condizioni per la concessione di finanziamenti agevolati a favore di programmi relativi ad attività di sviluppo precompetitivo e a connesse attività di ricerca industriale, ai sensi dell'articolo 14 della legge 17 febbraio 1982, n. 46, istitutivo del Fondo speciale rotativo per l'innovazione tecnologica, nel caso di ricorso alle risorse del Fondo rotativo per il sostegno alle imprese e gli investimenti in ricerca, istituito presso la Cassa depositi e prestiti dall'articolo 1, comma 354, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (GU n. 67 del 21 marzo-2006).

[24]   Da tale indagine è risultato che la quota di affittuari che si trovano in condizioni di povertà economica è passata da poco più del 20% all’inizio del 1977 a quasi il 40% nel 2004 e che, mentre tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80 per circa il 60% degli affittuari il peso del canone di locazione non superava il 10% sul reddito disponibile, negli anni 2000 il peso dell’affitto sulle risorse famigliari è aumentato in modo significativo: il 45% dei nuclei in affitto destina al canone più di un quarto del reddito disponibile. I risultati dell’indagine, commissionata a Nomisma, sono stati pubblicati il 20 settembre 2007 e sono consultabili sul sito:

http://www.assoimmobiliare.it/doc/video/evidenza/Rapporto_Nomisma_condizione_abitativa_sintesi.pdf.

[25]   Può essere utile richiamare i due distinti filoni normativi ai quali è riconducibile la tematica del blocco degli sfratti:

-        il differimento delle esecuzioni di rilascio per immobili abitativi previsto dall'art. 6 della legge n. 431 del 1998, che si applica ai soli contratti regolati dalla legge sull’equo canone e da quella sui patti in deroga e ai soli comuni ad alta tensione abitativa;

-        la sospensione delle esecuzioni di rilascio per immobili abitativi prevista – solo per finita locazione e non per morosità - per determinate categorie di conduttori dall'art. 80, comma 22, della legge n. 388 del 2000. Anche in questo caso, la disposizione di sospensione è comunque limitata agli immobili ubicati in comuni ad alta tensione abitativa.

Tutti i decreti-legge adottati nella XIV e XV legislatura vanno collegati al secondo di tali filoni normativi.

[26]   Prendendo, infatti, a riferimento i dati dell'Osservatorio sfratti presso il Ministero dell'interno relativi all'anno 2006, su un totale di quasi 44.400 provvedimenti di sfratto emessi, 32.900 sono dovuti a morosità, mentre solo 9.800 circa sono dovuti a cessata locazione (c'è poi una quota minore di sfratti motivati da necessità del locatore).

[27]   E’ il caso del Comune di Roma che promuove la cessione di diritti edificatori funzionali alla residenzialità pubblica e sociale o del piano strutturale comunale di Bologna che reperisce riserve fondiarie da destinare all’edilizia sociale mediante la perequazione urbanistica.

[28]   Si cita, al riguardo, il progetto sviluppato a Venezia da La Immobiliare Veneziana – Ive. La società, controllata al 97% dal Comune, ha intrapreso un programma innovativo di edilizia residenziale con l’obiettivo di far fronte ad una fascia di domanda contraddistinta da un reddito medio e provenienza diversificata (le giovani coppie, i lavoratori in mobilità, gli studenti). Entro questo obiettivo di carattere generale, la società si configura come Housing association in grado di operare di concerto con l’amministrazione dotandosi di un proprio spazio di autonomia gestionale. Il progetto intrapreso da Ive intende sviluppare 1.150 nuovi alloggi su quattro aree di proprietà localizzate nella terraferma veneziana al fine di immettere sul mercato alloggi in locazione ed in vendita a valori significativamente inferiori rispetto a quelli di mercato; in particolare, il canone calmierato si attesterà a valori analoghi rispetto a quelli concertati ai sensi della legge n. 431/98 mentre la commercializzare degli alloggi prevede prezzi inferiori del 20-30% rispetto al mercato.

[29]   I contratti di locazione a canone cosiddetto “convenzionato” o “agevolato” (detti comunemente 3+2) sono stati istituiti per favorire un maggiore incontro tra domanda e offerta di immobili ad uso abitazione civile dall’art. 2, comma 3, della legge 431 del 1998. Essi si differenziano dai contratti concordati dalle parti per la durata che, per quelli convenzionati, è di 3 anni + 2 di proroga automatica, salvo i casi previsti dalla legge, anziché di 4 + 4. A fronte di questa durata ridotta, il vantaggio per il conduttore è di avere un canone "calmierato", determinato in parte dall'accordo tra le parti e in parte da parametri stabiliti in ogni comune tra le maggiori associazioni rappresentanti i proprietari e gli inquilini. La misura del canone minimo e massimo è infatti stabilita dall'accordo territoriale delle Organizzazioni sindacali locali dei proprietari e degli inquilini. Il contratto consente anche alcune agevolazioni fiscali sia per il locatore che per l'inquilino nel caso in cui il Comune sia considerato ad alta tensione abitativa.

[30]   In pratica, se l'intesa non si realizza entro novanta giorni dalla data di ricevimento da parte delle regioni del programma, e il Consiglio dei Ministri ritiene che si debba procedere in difformità dalla previsione degli strumenti urbanistici, si provvede sentita la commissione interparlamentare per le questioni regionali con decreto del Presidente della Repubblica previa deliberazione del Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro o dei Ministri competenti per materia.

[31]   L’art. 1 del DM definisce quale “alloggio sociale” l'unità immobiliare adibita ad uso residenziale in locazione permanente che svolge la funzione di interesse generale, nella salvaguardia della coesione sociale, di ridurre il disagio abitativo di individui e nuclei familiari svantaggiati, che non sono in grado di accedere alla locazione di alloggi nel libero mercato. L'alloggio sociale si configura come elemento essenziale del sistema di edilizia residenziale sociale costituito dall'insieme dei servizi abitativi finalizzati al soddisfacimento delle esigenze primarie. Rientrano in tale definizione anche gli alloggi realizzati o recuperati da operatori pubblici e privati, con il ricorso a contributi o agevolazioni pubbliche - quali esenzioni fiscali, assegnazione di aree od immobili, fondi di garanzia, agevolazioni di tipo urbanistico - destinati alla locazione temporanea per almeno otto anni ed anche alla proprietà. L'alloggio sociale, in quanto servizio di interesse economico generale, costituisce standard urbanistico aggiuntivo da assicurare mediante cessione gratuita di aree o di alloggi, sulla base e con le modalità stabilite dalle normative regionali. L’art. 2 demanda alle regioni, in concertazione con le Anci regionali, la definizione dei requisiti per l'accesso e la permanenza nell'alloggio sociale. Esse dovranno altresì stabilire il relativo canone di locazione, in relazione alle diverse capacità economiche degli aventi diritto, alla composizione del nucleo familiare e alle caratteristiche dell'alloggio. L'ammontare dei canoni di affitto percepiti dagli operatori dovrà comunque coprire i costi fiscali, di gestione e di manutenzione ordinaria del patrimonio. Agli operatori pubblici individuati come soggetti erogatori del servizio di edilizia sociale in locazione permanente spetterà una compensazione costituita dal canone di locazione e dalle eventuali diverse misure stabilite dallo Stato, dalle regioni e province autonome e dagli enti locali che non potrà eccedere quanto necessario per coprire i costi derivanti dagli adempimenti degli obblighi del servizio nonché un eventuale ragionevole utile. L'alloggio sociale dovrà poi essere adeguato, salubre, sicuro e costruito o recuperato nel rispetto delle caratteristiche tecnico-costruttive indicate agli artt. 16 e 43 della legge n. 457 del 1978 (che prevedono una superficie massima delle nuove abitazioni non superiore a mq 95 ed alcune caratteristiche tecniche e costruttive). Nel caso di servizio di edilizia sociale in locazione si considera adeguato un alloggio con un numero di vani abitabili tendenzialmente non inferiore ai componenti del nucleo familiare - e comunque non superiore a cinque - oltre ai vani accessori quali bagno e cucina. Infine, l'alloggio sociale dovrà essere costruito secondo principi di sostenibilità ambientale e di risparmio energetico, utilizzando, ove possibile, fonti energetiche alternative.

[32]   Il programma riguarderà i comuni di cui alla citata legge n. 9 e sarà finalizzato al recupero e all’adattamento funzionale di alloggi non assegnati di proprietà degli ex IACP o dei Comuni, all’acquisto e la locazione di alloggi e all’eventuale costruzione di nuovi alloggi. Destinatari prioritari del programma sono i soggetti sottoposti a procedure esecutive di rilascio in possesso dei requisiti di cui all’art. 1 della citata legge n. 9 del 2007, nonché le giovani coppie a basso reddito. Il programma straordinario di edilizia residenziale sarà diretto altresì a soddisfare il patrimonio alloggiativo individuato dalle regioni e province autonome sulla base di elenchi prioritari e immediatamente realizzabili, con particolare riferimento a quelli ricompresi nei piani straordinari di cui al citato art. 3 della legge n. 9 del 2007 e in relazione alle priorità definite nel tavolo di concertazione generale sulle politiche abitative di cui all'art. 4 della medesima legge.

[33]   Dall’importo complessivo di 550 milioni di euro sono state detratte le percentuali previste dall’art. 21, comma 4, del decreto legge n. 159/2007, per la costituzione ed il funzionamento dell’Osservatorio nazionale e degli Osservatori regionali sulle politiche abitative e per la copertura degli oneri derivanti dalla Convenzione da sottoscrivere ai sensi del comma 3 dello stesso art. 21 tra Ministero delle infrastrutture e la Cassa depositi e prestiti.

[34]   L’art. 21-bis non indica, però, l’entità di tali risorse residue da utilizzare per il rifinanziamento dei Contratti di quartiere II.

[35]    Decreto legge 31 gennaio 2007, n. 7, recante Misure urgenti per la tutela dei consumatori, la promozione della concorrenza, lo sviluppo di attività economiche e la nascita di nuove imprese, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 aprile 2007, n. 40.

[36]    Legge 23 dicembre 2000, n. 388.

[37]   E’ il caso, ad esempio, del Lazio (legge regionale 3 settembre 2002, n. 30), della Toscana (legge regionale n. 49 del 1986) e del Veneto (legge regionale n. 10 del 1995).

[38]   G.U. 28 marzo 2007, n. 13 Prima serie speciale. Il testo è altresì disponibile all’indirizzo internet http://www.cortecostituzionale.it/giurisprudenza/pronunce/scheda_indice.asp?sez=indice&Comando=LET&NoDec=94&AnnoDec=2007&TrmD=&TrmM. Per un commento articolato della sentenza si veda C. Tessarolo, Le competenze legislative di Stato e regioni in materia di assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica, in Diritto dei servizi pubblici (http://www.dirittodeiservizipubblici.it/articoli/articolo.asp?sezione=dettarticolo&id=221).

[39]   Relativamente alla candidatura di Milano, si ricorda che l’art. 1, comma 950, della legge finanziaria 2007 (n. 296/2006) ha autorizzato uno stanziamento di 3 milioni di euro per il 2007 e di un milione di euro per il 2008 per finanziare le attività di promozione della candidatura milanese all’Expo 2015. Disposizioni volte a semplificare le procedure di utilizzo di tali risorse sono state dettate dall’art. 2 del DL n. 10/2007 (convertito, con modificazioni, dalla legge 6 aprile 2007, n. 46).

[40]    Si segnala che in data 18 giugno 2008 è stata raggiunta fra il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca e l’Associazione italiana editori un’intesa su e-book, prezzi dei libri e agevolazioni economiche per i meno abbienti.

[41]   Decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado.

[42]   Il testo dell’art. 156 fa riferimento alle scuole statali o abilitate a rilasciare titoli di studio aventi valore legale. La Corte costituzionale, però, con sentenza 15-30 dicembre 1994, n. 454, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di tale disposizione, nella parte in cui esclude dalla fornitura gratuita dei libri di testo gli alunni delle scuole elementari che adempiono all’obbligo in modo diverso dalla frequenza presso scuole statali o abilitate a rilasciare titoli di studio aventi valore legale.

[43]   L. 23 dicembre 1998, n. 448, Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo.

[44]   Per l’individuazione delle categorie degli aventi diritto al beneficio, il D.P.C.M. 5 agosto 1999, n. 320, applica, ai fini della valutazione della situazione economica dei beneficiari, i criteri da applicare ai soggetti che richiedono prestazioni sociali agevolate, recati dal d.lgs n. 109/1998. In particolare, possono accedere al beneficio gli alunni che appartengano a nuclei familiari il cui reddito annuo sia equivalente o inferiore a trenta milioni di lire.

[45]   L. 23 dicembre 1999, n. 488, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge finanziaria 2000).

[46]   Più precisamente, per l’esercizio 2001 dalla legge finanziaria per lo stesso anno (legge 388/2000), per gli esercizi 2002, 2003 e 2004 dalla legge finanziaria per il 2002 (legge 448/2001), per gli esercizi 2005 e 2006 dalla legge finanziaria per il 2005 (legge 311/2004), per gli esercizi 2007, 2008, 2009 dalla legge finanziaria 2007 (L. 296/2006).

[47]   Per l’a.s. 2007-2008, il Decreto del Ministro della pubblica istruzione n. 45 del 22 maggio 2007 ha stabilito un tetto massimo di 280 euro per la prima media, di 108 euro per la seconda media e di 124 euro per la terza media.

[48]   L. 20 gennaio 1999, n. 9, Disposizioni urgenti per l’elevamento dell’obbligo di istruzione. La legge è stata abrogata dall'art. 7 della L. 28 marzo 2003, n. 53, Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull'istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale.

[49]   L. 27 dicembre 2006, n. 296, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007).

[50]   L’art. 3 del DM stabilisce che eventuali incrementi degli importi indicati sono consentiti, entro il limite massimo del 10%, negli indirizzi di studio in cui sono presenti indirizzi sperimentali. In tal caso, le relative delibere di adozione dei testi scolastici devono essere adeguatamente motivate da parte del Collegio dei docenti ed approvate dal Consiglio di istituto.

[51]   Legge 9 gennaio 2004, n. 4, Disposizioni per favorire l’accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici.

[52]   D.P.R. 1° marzo 2005, n. 75.

[53]   Legge 28 marzo 2003, n. 53, Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull'istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale.

[54]   Trattasi dei regolamenti di cui all’art. 17, comma 2, della legge n. 400 del 1988, da adottarsi per la disciplina di materie non coperte da riserva assoluta di legge.

[55]   Decreto legislativo 19 febbraio 2004, n. 59, Definizione delle norme generali relative alla scuola dell'infanzia e al primo ciclo dell'istruzione, a norma dell'articolo 1 della L. 28 marzo 2003, n. 53.

[56]   Decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226, Norme generali e livelli essenziali delle prestazioni relativi al secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione, a norma dell'articolo 2 della L. 28 marzo 2003, n. 53.

[57]   Si ricorda che l’avvio della riforma del secondo ciclo è stato rinviato all’a.s. 2009-2010.

[58]   La disposizione in commento riprende la previsione di cui all’art 16, commi 4-9, del ddl AC 5310-ter , risultante dallo stralcio del DDL finanziaria per il 2004(XIV legislatura).L’iter del ddl, avviato dalla VII commissione in sede referente, non è pervenuto a compimento. Si ricorda che la voluminosità ed il peso dei libri sono stati oggetto di numerose segnalazioni da parte di associazioni delle famiglie ed organismi sanitari. In particolare, fin dagli anni novanta, il Consiglio superiore di Sanità ha raccomandato che il peso dello zaino non superasse il 10-15 per cento di quello corporeo; mentre l’Osservatorio permanente per i libri di testo (organismo di consultazione del Ministero della Pubblica Istruzione, composto da rappresentanti degli editori, dei genitori e dei docenti) ha proposto l’adozione di testi più agili ed il contemporaneo potenziamento delle biblioteche scolastiche e degli strumenti multimediali. Va ricordato, infine, che nel Codice di autoregolamentazione degli editori, adottato nel 2000, è contenuto il proposito di ridurre il peso dei libri tramite l’utilizzo di carta di minor grammatura e la suddivisione in fascicoli.

[59]   F. Galgano, Fondazione 1) Diritto civile, voce Enciclopedia giuridica, Milano, Utet, 1989.

[60]   Le norme richiamate stabiliscono, innanzitutto, i requisiti dell’atto costitutivo e dello statuto della fondazione, con i quali il fondatore (soggetto privato o ente pubblico) enuncia un determinato scopo, predispone la struttura organizzativa che dovrà provvedere alla sua realizzazione e la fornisce dei mezzi patrimoniali necessari. Sono, inoltre, regolati i profili relativi alle responsabilità degli amministratori, al controllo dell’autorità governativa sull’amministrazione, all’estinzione e alla trasformazione della fondazione.

[61]   L’acquisto della personalità giuridica consegue all’iscrizione nel registro delle persone giuridiche, istituito presso le prefetture e tenuto sotto la diretta sorveglianza del prefetto.

[62]   Le fondazioni bancarie, frutto di un lungo percorso di trasformazione del sistema creditizio avviato dalla c.d. legge Amato (legge n. 218 del 1990), sono attualmente disciplinate dal d.lgs. 17 maggio 1999, n. 153 e dal regolamento di cui al D.M. 18 maggio 2004, n. 150.

[63]   Gli enti lirici sono stati trasformati in fondazioni di diritto privato con il d.lgs. 29 giugno 1996, n. 367, al fine di eliminare rigidità organizzative connesse alla natura pubblica dei soggetti e di rendere disponibili risorse private in aggiunta al finanziamento statale.

[64]   D.P.R. 24 maggio 2001, n. 254, Regolamento recante criteri e modalità per la costituzione di fondazioni universitarie di diritto privato, a norma dell'articolo 59, comma 3, della L. 23 dicembre 2000, n. 388.

[65]   Per un approfondimento, cfr. D. Marchetta, Le nuove fondazioni universitarie, in Giornale di diritto amministrativo, 2001, pp. 764-774.

[66]   Questa categoria di atenei fu prevista originariamente dal t.u. n. 1592 del 1933 (art. 1, 198 ss., con la dizione di università libere), ed è attualmente disciplinata dalla l. 29 luglio 1991, n. 243, dal D.P.R. 27 gennaio 1998, n. 25 (art. 2, co. 5) e dal d.m. 3 luglio 2007, n. 362 (art. 5).

[67]   Cfr., ex multiis, Cass. civ., Sez. Unite, 11/03/2004, n. 5054.

[68]   Il Senato accademico (SA) è organo interno all’università che assicura la rappresentatività delle facoltà (o dipartimenti) istituite all’interno dell’ateneo (art. 16, co. 4, l. n. 168/1989) e, dunque, della componente accademica. È generalmente composto da: rettore e prorettore; direttore amministrativo, generalmente con funzioni di segretario; presidi delle facoltà; rappresentanti dei settori scientifico-disciplinari e rappresentanti degli studenti. Il Senato ha compiti di tipo decisionale, consultivo o proposito in numerose materie, anche a seconda dei diversi statuti, ma è complessivamente considerato organo di indirizzo in materia di didattica e di ricerca. Singole disposizioni di legge attribuiscono poteri al Senato accademico; in particolare, ai sensi dell’art. 16, co. 2, della l. n. 168/1989, il SA - in composizione integrata - delibera lo statuto dell’università.

[69]   L. 9 maggio 1989, n. 168, Istituzione del Ministero dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica. Il Titolo II della legge contiene le norme fondamentali sull’autonomia delle università.

[70]   A queste prescrizioni positive segue l’indicazione dei limiti, che riguardano: il valore legale dei titoli di studio; il rispetto delle norme sullo stato giuridico del personale docente, ricercatore e non docente e quelle sugli ordinamenti didattici.

[71]   L’integrazione è costituita da presidi e da un uguale numero di rappresentanti di dipartimenti e istituti; per ogni area disciplinare, da un rappresentante di ciascuna fascia dei professori e dei ricercatori; da rappresentanti degli studenti in numero pari ai presidi; da rappresentanti del personale non docente in numero pari alla metà dei presidi.

[72]   Ai sensi dell’art. 6, co. 10, il Ministro può per una sola volta, con proprio decreto, rinviare gli statuti e i regolamenti all'università, indicando le norme illegittime e quelle da riesaminare nel merito. Gli organi competenti dell'università possono non conformarsi ai rilievi di legittimità con deliberazione adottata dalla maggioranza dei tre quinti dei suoi componenti, ovvero ai rilievi di merito con deliberazione adottata dalla maggioranza assoluta. In tal caso il Ministro può ricorrere contro l'atto emanato dal rettore, in sede di giurisdizione amministrativa per i soli vizi di legittimità. Quando la maggioranza qualificata non sia stata raggiunta, le norme contestate non possono essere emanate.

[73]    “Interventi correttivi di finanza pubblica”. L’articolo 5 ha dato sostanziale attuazione alla riforma del sistema di trasferimento delle risorse finanziarie alle università, già delineata dall'articolo 7, comma 2, della l. 9 maggio 1989, n. 168 (Istituzione del Ministero dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica) e differita dall'articolo 16, comma 6, della medesima legge alla data di entrata in vigore della legge di attuazione dei principi di autonomia universitaria.

[74]    Non è invece inclusa nel fondo, e continua quindi ad essere erogata a parte, la quota delle spese per la ricerca scientifica universitaria destinata ai progetti di ricerca di interesse nazionale di cui all’abrogato articolo 65 del D.P.R. n. 382 del 1982 (che ora sono confluite – ai sensi dell’art. 1, co. 870, della legge 296/2006 – nel Fondo per gli investimenti nella ricerca scientifica e tecnologica - FIRST) nonché la spesa per l'attività sportiva universitaria.

[75]   L. 21 marzo 1958 n. 259, Partecipazione della Corte dei conti al controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria.

[76]   La disposizione relativa alla revoca del rettore, contenuta nell’articolo 2 del D.lg. Lgt. 7 settembre 1944, n. 264, ancorché formalmente vigente, non ha trovato applicazione in quanto ritenuta lesiva dell’autonomia di cui godono gli atenei.

[77]   Lo statuto è stato pubblicato, per comunicato, nella G. U. 14 settembre 2005, n. 214. Il testo è scaricabile dal sito web della fondazione, all’indirizzo http://www.iit.it/files/pdf/rules/Statuto.pdf.

[78]   Le somme assegnate all’istituto sono state allocate annualmente nello stato di previsione del Ministero dell’economia e finanze.

[79]   In particolare, l’art. 1, comma 1, della legge autorizza il Governo ad emanare uno o più decreti legislativi – entro 18 mesi dall’entrata in vigore del provvedimento (25 aprile 2009) – al fine di provvedere al riordino degli statuti e degli organi di governo degli enti pubblici nazionali di ricerca, vigilati dal Ministero dell'università e della ricerca.

[80]    “Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici” (conv. L. 24 novembre 2003, n. 326).

[81]   Con la sentenza 272 del 2004.

[82]   Quanto alla definizione di servizi di rilevanza economica essa si può desumere indirettamente dall’art. 2082 del codice civile che definisce l’imprenditore come colui che esercita “un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi”. L’introduzione di tale definizione si deve all’art. 14 del D.L. 269/2003, che, raccogliendo uno dei rilievi alla base della procedura d’infrazione attivata da parte della Commissione europea, ha sostituito la precedente distinzione tra servizi di rilevanza industriale e servizi privi di rilevanza industriale.

[83]   Articolo 1, comma 48, della L. 308/2004, che aggiunge un comma 1-bis all’art. 113 del testo unico; lo stesso articolo 1, comma 48, ha sottratto al regime generale anche gli impianti di trasporti a fune nelle località turistiche montane.

[84]   Comma 5-bis dell’articolo 113 TU, introdotto dalla L. 350/2003 (legge finanziaria 2004, articolo 4, comma 234, lett. a)).

[85]   Nella relazione tecnica allegata al decreto-legge si precisa che la disposizione in esame nulla innova in materia di cumulo tra attività lavorativa e assegno di invalidità previdenziale, parzialmente cumulabile.

[86]    Si ricorda che ai fini dell’applicazione del divieto di cumulo, le pensioni e le retribuzioni si intendono al netto delle maggiorazioni e integrazioni per carichi di famiglia e dai redditi devono essere detratte anche le quote dovute per imposte e contributi previdenziali e assistenziali.

[87]   Si ricorda che ai fini del cumulo, il trattamento di anzianità è equiparato a quello di vecchiaia dopo il compimento dell'età pensionabile (art. 10, comma 7, del D.Lgs. n. 503/1992) ovvero da subito nel caso in cui esso sia stato liquidato con un'anzianità contributiva pari o superiore a 40 anni (art. 77, legge n. 448/1998).

[88]    Si ricorda che il sistema contributivo si applica in maniera integrale ai soggetti privi di anzianità contributiva alla data del 1° gennaio 1996 (art. 1, comma 12, della legge 8 agosto 1995, n. 335) nonché ai soggetti, già iscritti a forme pensionistiche obbligatorie alla suddetta data, che in base all'art. 1, comma 23, della stessa legge n. 335 e del D.Lgs. 30 aprile 1997, n. 180, abbiano optato in tal senso. L'esercizio dell'opzione è subordinato al conseguimento di un'anzianità contributiva pari o superiore a 15 anni, di cui almeno 5 maturati successivamente al 31 dicembre 1995. L’opzione medesima, in virtù dell’interpretazione autentica recata dall’articolo 2 del decreto-legge 28 settembre 2001, n. 355, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 novembre 2001, n. 417, è esercitabile esclusivamente dai lavoratori che alla data del 31 dicembre 1995 possono far valere un'anzianità contributiva inferiore a diciotto anni.

[89]    Come sopra accennato, già l'art. 77 della legge 448/1998 equipara tali pensioni di anzianità (anche se liquidate anteriormente alla data di entrata in vigore della legge stessa) a quelle di vecchiaia.

[90]    L'importo minimo è in tale fattispecie, come detto, pienamente cumulabile.

[91]    Precedentemente definiti dalla L. 335/1995 e dalla L. 449/1997.

[92]    L. 23 agosto 2004, n. 243, Norme in materia pensionistica e deleghe al Governo nel settore della previdenza pubblica, per il sostegno alla previdenza complementare e all'occupazione stabile e per il riordino degli enti di previdenza ed assistenza obbligatoria.

[93]    L. 8 agosto 1995, n. 335, Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare.

[94]    D.P.R. 5 giugno 1965, n. 758, Nuove norme sul cumulo di pensioni e stipendi a carico dello Stato e di Enti pubblici, in applicazione della legge 5 dicembre 1964, n. 1268.

[95]    L. 23 luglio 1991, n. 223, Norme in materia di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della Comunità europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavoro.

[96]    Si tratta sostanzialmente delle imprese rientranti nel campo di applicazione della CIGS.

[97]    Il contributo d’ingresso, previsto dall’articolo 4, comma 3, della L. 223 del 1991, è pari ad una mensilità di massimale lordo CIGS per ogni lavoratore che si intende licenziare. Tale versamento costituisce una anticipazione di quanto dovuto complessivamente all’INPS per la procedura di mobilità. Difatti, ai sensi dell’articolo 5 della L. 223/1991, nel corso della procedura il datore di lavoro è tenuto a versare, per ciascun lavoratore licenziato e beneficiario dell’indennità di mobilità, in trenta rate mensili, una somma pari a sei volte il trattamento iniziale netto di mobilità spettante al lavoratore in 30 rate mensili, se il licenziamento è avvenuto dopo la utilizzazione della CIGS. Nel caso di riduzione del personale senza aver utilizzato prima la CIGS, il contributo complessivo è invece pari a nove volte il trattamento iniziale netto di mobilità. Comunque l’importo da pagare da parte del datore di lavoro è ridotto a tre volte il trattamento netto di mobilità nel caso in cui la messa in mobilità avviene previo accordo sindacale.

      Si ricorda inoltre che è esonerata dal versamento delle residue rate del contributo d’ingresso dovuta l’azienda che procuri ai lavoratori offerte di lavoro a tempo indeterminato aventi determinate caratteristiche (Circ. INPS n. 171/2001).

[98]    In particolare, ai sensi dell’articolo 16 della L. 223 del 1991, i lavoratori collocati in mobilità hanno diritto alla relativa indennità a condizione che, avendo un rapporto di lavoro a carattere continuativo e comunque non a termine, possano vantare un’anzianità aziendale di almeno 12 mesi, di cui almeno 6 di lavoro effettivamente prestato, ivi compresi i periodi di sospensione del lavoro derivanti da ferie, festività, infortuni, astensione per maternità e congedi parentali

[99]    In entrambi i casi lo sgravio contributivo non riguarda i premi INAIL, che restano quindi dovuti per intero.

[100]  R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, Perfezionamento e coordinamento legislativo della previdenza sociale, convertito, con modificazioni nella L. 6 aprile 1936, n. 1155.

[101]In tal senso, la sentenza 23 ottobre-15 novembre 2007, n. 23726.

[102]  L. 8 agosto 1995, n. 335, Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare

[103]  D.Lgs. 6 febbraio 2007, n. 30, Attuazione della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri.

[104]Si tratta dei comitati provinciali che gestiscono il contenzioso amministrativo dell’INPS.

[105]  L. 27 dicembre 2002, n. 289, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2003

[106]Il comma 9 dell’articolo 10 del D.Lgs. 368/2001 affidava alla contrattazione collettiva il compito di individuare un diritto di precedenza nell'assunzione presso la stessa azienda e con la medesima qualifica solamente in favore dei soggetti che avessero avuto un rapporto di lavoro a termine per prestazioni di natura stagionale o per intensificazione dell'attività lavorativa in determinati periodi dell'anno, mentre il comma 10 dello stesso articolo precisava che il diritto di precedenza si estingueva entro un anno dalla cessazione del rapporto e che il lavoratore doveva manifestare la volontà di avvalersene entro tre mesi dalla cessazione del rapporto.

[107]Si consideri che la previgente disciplina rimetteva ai contratti collettivi l’individuazione di un diritto di precedenza nelle assunzioni, in favore esclusivamente dei soggetti che avessero avuto un rapporto di lavoro a termine per prestazioni di natura stagionale o per intensificazione dell'attività lavorativa in determinati periodi dell'anno.

[108]  D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla L. 14 febbraio 2003, n. 30.

[109]  D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla L. 14 febbraio 2003, n. 30

[110]  “Disciplina dell'apprendistato”.

[111]Viene inoltre confermata la norma in base alla quale il numero degli apprendisti presso ciascuna azienda non può superare il numero dei lavoratori specializzati e qualificati, prevedendosi tuttavia che, se tali lavoratori mancano o sono meno di tre, è consentita comunque l’assunzione di tre apprendisti.

[112]  “Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull'istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale.”

[113]In attuazione delle disposizioni del Titolo VI, Capo I, del D.Lgs. n. 276/2003 è stata emanata da parte del Ministero del lavoro la circolare 14 ottobre 2004, n. 40, “Nuovo contratto di apprendistato”.

[114]L’aliquota contributiva a carico dell'apprendista è quella stabilita per la generalità dei lavoratori dipendenti, meno 3 punti percentuali. Dal 1° gennaio 2007, tenendo conto dell'aumento dello 0,30% della contribuzione a carico dei lavoratori dipendenti disposto dall’articolo 1, comma 769, della legge finanziaria 2007, l’aliquota contributiva a carico dell’apprendista si attesta nella misura del 5,84%.

[115]  Cfr. circolare INPS 8 febbraio 2006, n. 18.

[116]  La ripartizione del contributo - con effetto sui periodi contributivi maturati a decorrere dal 1° gennaio 2007 - è stata effettuata dal D.M. 28 marzo 2007. In particolare, la ripartizione è la seguente: FPLD: 9,01%; CUAF: 0,11%; Malattia: 0,53%; Maternità: 0,05%; INAIL: 0.30%.

[117]  Il terzo comma del richiamato articolo 16 dispone che le regioni stipulano con gli istituti assicuratori convenzioni per il pagamento delle somme occorrenti per le assicurazioni in favore degli apprendisti artigiani.

[118]Il già menzionato D.M. 28 marzo 2007, come detto, ha stabilito la contribuzione dovuta a decorrere dal 1° gennaio 2007 per l'indennità giornaliera di malattia nella misura di 0,53 punti percentuali.

[119]  Cfr. sentenza n. 50 del 28 gennaio 2005. In particolare la Corte costituzionale ha chiarito che la competenza legislativa esclusiva delle Regioni in materia di formazione professionale riguarda esclusivamente la formazione professionale pubblica. Invece la formazione professionale che i datori di lavoro somministrano in azienda (formazione aziendale), rientrando nel sinallagma contrattuale, attiene alla materia di competenza legislativa esclusiva dello Stato “ordinamento civile”.

[120]  D.M. 7 ottobre 1999, Disposizioni per l'attuazione dell'art. 16, comma 2, della L. 24 giugno 1997, n. 196, e successive modificazioni, recante: «Norme in materia di promozione dell'occupazione»

[121]  D.P.R. 30 dicembre 1956, n. 1668, Approvazione del regolamento per l'esecuzione della disciplina legislativa sull'apprendistato.

[122]  L. 19 gennaio 1955, n. 25, Disciplina dell'apprendistato

[123]L’istituzione dell’Unità per la semplificazione, prevista dall’articolo 1, comma 22-bis[123], del decreto-legge 18 maggio 2006, n. 181, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2006, n. 233, è stata operata da un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in data 12 settembre 2006. L’Unità è presieduta dal Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio – Segretario del Consiglio dei ministri, che può delegare le relative funzioni al Segretario generale della Presidenza del Consiglio – Vice Presidente dell’Unità in coabitazione con il Capo del Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio. Oltre a questi ultimi, fanno parte dell’Unità:

-        i Capi degli Uffici legislativi dei Ministri componenti il Comitato interministeriale;

-        i consiglieri giuridici del Sottosegretario alla presidenza del Consiglio – Segretario del Consiglio dei ministri e del Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione, in numero non superiore a quattro;

-        19 esperti, nominati con ulteriore DPCM in data 12 settembre 2006 (il citato decreto-legge n. 181/2006 prevede la nomina di un numero di esperti non superiore a 20).

All’unità è affidato - tra gli altri - il compito di definire, d’intesa con il Dipartimento della funzione pubblica, un programma di misurazione e riduzione degli oneri amministrativi e verifica preventivamente l’impatto sulla semplificazione e sulla qualità della regolazione dei disegni di legge, dei decreti legislativi e dei regolamenti di iniziativa governativa.

[124]L’articolo 20 della legge n. 59/1997 prevede la presentazione del Governo al Parlamento del disegno di legge annuale per la semplificazione e il riassetto normativo, che a sua volta demanda normalmente la disciplina delle diverse materie a decreti legislativi e regolamenti di delegificazione.

[125]Comunicato pubblicato sul sito del Formez, www.formez.it, nell’area tematica della semplificazione.

[126]  Il presente paragrafo riprende, in sintesi, quanto già scritto nel dossier della collana Documentazione e ricerche della XV legislatura, n. 56, elaborato in collaborazione con il Servizio per la qualità degli atti normativi del Senato, cui si rimanda per una dettagliata analisi del modello.

[127]La codificazione consiste nel raggruppare in un atto unico gli atti esistenti e le loro modifiche successive, senza che siano adottate nuove modifiche. Ciò riduce il volume della legislazione e permette di disporre di testi giuridicamente più chiari.

[128]Con la rifusione un atto e tutte le sue precedenti modifiche sono sostituiti da un solo atto legislativo quando sono adottate nuove modifiche.

[129]  I successivi commi 721-723 recano misure di principio finalizzate al contenimento della spesa pubblica delle regioni in relazione ai costi degli organismi politici e degli apparati amministrativi, da perseguire anche attraverso la soppressione degli enti inutili, la fusione delle società partecipate e il ridimensionamento delle strutture organizzative.

[130]  La Commissione è composta da venti senatori e venti deputati, nominati rispettivamente dal Presidente del Senato della Repubblica e dal Presidente della Camera dei deputati nel rispetto della proporzione esistente tra i gruppi parlamentari, su designazione dei gruppi medesimi. Essa svolge un ruolo di tipo consultivo nel processo in corso di semplificazione legislativa, delineato dall’art. 14 della L. 246/2005.

[131]  Legge 4 dicembre 1956, n. 1404, Soppressione e messa in liquidazione di enti di diritto pubblico e di altri enti sotto qualsiasi forma costituiti, soggetti a vigilanza dello Stato e comunque interessanti la finanza statale.

[132]  Decreto-legge 15 aprile 2002, n. 63, Disposizioni finanziarie e fiscali urgenti in materia di riscossione, razionalizzazione del sistema di formazione del costo dei prodotti farmaceutici, adempimenti ed adeguamenti comunitari, cartolarizzazioni, valorizzazione del patrimonio e finanziamento delle infrastrutture, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 giugno 2002, n. 112. La menzionata lett. c) ha stabilito – ferma restando la titolarità, in capo al Ministero dell’economia e delle finanze, dei rapporti giuridici attivi e passivi – che la gestione della liquidazione nonché del contenzioso può essere da questo affidata ad una società, direttamente o indirettamente controllata dallo Stato, scelta in deroga alle norme di contabilità generale dello Stato. La società può avvalersi anche dell’assistenza, della rappresentanza e della difesa in giudizio dell’Avvocatura dello Stato alle stesse condizioni e con le stesse modalità con le quali se ne avvalgono, ai sensi della normativa vigente, le Amministrazioni dello Stato. È, altresì, facoltà della società di procedere alla revoca dei mandati già conferiti. La società esercita ogni potere allo stato attribuito all’Ispettorato generale per la liquidazione degli enti disciolti del Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato. Sulla base di criteri di efficacia ed economicità e al fine di eliminare il contenzioso pendente, evitando l’instaurazione di nuove cause, la società può compiere qualsiasi atto di diritto privato, ivi incluse transazioni relative a rapporti concernenti differenti procedure di liquidazione, cessioni di aziende, cessioni di crediti in blocco pro soluto e rinunce a domande giudiziali. Sulle transazioni la società può chiedere il parere all’Avvocatura dello Stato. La società può anche rinunciare a crediti al di fuori delle ipotesi previste dal terzo comma dell’articolo 9 della citata L. 1404/1956. In base ad una apposita convenzione, sono disciplinati i rapporti con il Ministero dell’economia e delle finanze e, in particolare, il compenso spettante alla società, i profili contabili del rapporto, nonché le modalità di rendicontazione e di controllo.

[133]  V. il decreto 27 settembre 2004 (Gazz. Uff. 31 dicembre 2004, n. 306).

[134]  Il termine per l'eventuale trasformazione in soggetto di diritto privato dell'Unione accademica nazionale è stato prorogato al 31 dicembre 2008 dall’art. 5, co. 2-bis, del D.L. 31 dicembre 2007, n. 248, Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria, conv. con mod. dalla L. 28 febbraio 2008, n. 31.

[135]  Il termine per l'emanazione dei regolamenti è stato prorogato al 30 settembre 2008 per la Fondazione “Il Vittoriale degli italiani” dall’art. 4, co. 3, del D.L. D.L. 3 giugno 2008, n. 97, Disposizioni urgenti in materia di monitoraggio e trasparenza dei meccanismi di allocazione della spesa pubblica, nonché in materia fiscale e di proroga di termini, in corso di conversione.

[136]  Il comma 640 ha infine previsto l’abrogazione, a decorrere dal 1° gennaio 2008, della previgente disciplina in tema di razionalizzazione degli enti pubblici, di cui all’art. 28 della legge finanziaria 2002. Sono però fatti salvi i commi 7, 9, 10 e 11 e i regolamenti già emanati ai sensi di quell’articolo.

[137]  Sul punto, si rinvia anche a quanto riportato nel sito Internet dell’ISTAT: http://www.istat.it/strumenti/definizioni/elenco_amministrazioni_pubbliche/ .

[138]  L. 27 settembre 2007, n. 165, Delega al Governo in materia di riordino degli enti di ricerca.

[139]  L. 23 agosto 1988, n. 400, Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

[140]D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, Codice dell’amministrazione digitale.

[141]Dal sito del CNIPA, sezione dedicata alla dematerializzazione:

http://www.cnipa.gov.it/site/it-IT/Attivit%c3%a0/Dematerializzazione/ .

[142]CNIPA - Gruppo di Lavoro interministeriale per la dematerializzazione della documentazione tramite supporto digitale, Libro bianco: La dematerializzazione della documentazione amministrativa, marzo 2006.

[143]D. Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei Beni culturali e del paesaggio.

[144]http://legxv.camera.it/_dati/leg15/lavori/schedela/trovaschedacamera_wai.asp?PDL=1561.

[145]Nella relazione illustrativa dell’AC 1326 viene sottolineato che “lo scopo della proposta è quello di garantire una riorganizzazione di una serie di strutture e organismi tecnici del Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare, che consenta di razionalizzare le risorse umane e finanziarie attualmente destinate a tali organismi, anche nell’ottica di assicurare un percorso rapido ed efficace alle attività di controllo e monitoraggio effettuate da tali organismi in materia ambientale. Ciò anche al fine di eliminare l’accavallamento di competenze che spesso si verifica, in particolare tra APAT e ICRAM, nelle attività di monitoraggio delle componenti ambientali e, contestualmente, di favorire la prevenzione dall’inquinamento, anche con riferimento all’attuazione delle prescrizioni delle autorizzazioni ambientali IPPC e VIA”.

[146]L’art. 36 del D.Lgs 196/2003 prevede l’aggiornamento periodico del disciplinare tecnico, di cui all'allegato B, relativo alle misure minime di sicurezza, con decreto del Ministro della giustizia di concerto con il Ministro per le innovazioni e le tecnologie, in relazione all'evoluzione tecnica e all'esperienza maturata nel settore.

[147]  In accordo con la posizione sostenuta dal Regno Unito.

[148]Eco-Management and Audit Scheme. Tale regolamento viene spesso indicato come EMAS II, dato che il sistema fu introdotto dal regolamento n. 1836/93/CE. Per approfondimenti si rinvia a http://www.apat.gov.it/certificazioni/site/it-IT/.

[149]Ciò ha reso necessaria l’emanazione del regolamento n. 196/2006 volto a modificare il regolamento EMAS al fine di apportare gli aggiornamenti resisi necessari in seguito alla pubblicazione, verso la fine del 2004, della nuova versione della norma ISO 14001.

[150]Integrated Pollution Prevention and Control.

[151]  R.D. 18 giugno 1931, n. 773, Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza.

[152]  D.P.R. 22 ottobre 1999, n. 437, Regolamento recante caratteristiche e modalità per il rilascio della carta di identità elettronica e del documento di identità elettronico.

[153]  D.M. 8 novembre 2007, Regole tecniche della Carta d'identità elettronica (art. 14).

[154]  Il parere del Comitato della legislazione è del 13 giugno 2007, il 14 giugno è stato approvato dalla Commissione l’em. 16.400 che recepisce il parere del Comitato.

[155]  Comma aggiunto dall'art. 2, co. 11-ter, L. 15 maggio 1997, n. 127, come integrato dall'art. 2, co. 6, L. 16 giugno 1998, n. 191.

[156]  D.M. 17 maggio 2007, Sostituzione del modello della carta d'identità cartacea per i documenti emessi dagli uffici consolari, ai sensi dell'articolo 1, comma 1319, della L. 27 dicembre 2006, n. 296.

[157]  D.P.R. 28 dicembre 2000 n. 445, Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, art. 36, co. 7.

[158]  R.D. 6 maggio 1940, n. 635, Approvazione del regolamento per l'esecuzione del testo unico 18 giugno 1931, n. 773 delle leggi di pubblica sicurezza.

[159]L. 15 maggio 1997, n. 127, Misure urgenti per lo snellimento dell’attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo.

[160]L. 16 giugno 1998, n. 191, Modifiche ed integrazioni alle leggi 15 marzo 1997, n. 59, e 15 maggio 1997, n. 127 nonché norme in materia di formazione del personale dipendente e di lavoro a distanza nelle pubbliche amministrazioni. Disposizioni in materia di edilizia scolastica.

[161]D.P.R. 28 dicembre 2000 n. 445, Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa.

[162]  D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, Codice dell'amministrazione digitale.

[163]D.P.R. 22 ottobre 1999, n. 437, Regolamento recante caratteristiche e modalità per il rilascio della carta di identità elettronica e del documento di identità elettronico.

[164]  D.M. 8 novembre 2007, Regole tecniche della Carta d'identità elettronica che ha sostituito il D.M. 19 luglio 2000

[165]  D.L. 31 gennaio 2005, n. 7 (conv. L. 31 marzo 2005, n. 43), Disposizioni urgenti per l'università e la ricerca, per i beni e le attività culturali, per il completamento di grandi opere strategiche, per la mobilità dei pubblici dipendenti, e per semplificare gli adempimenti relativi a imposte di bollo e tasse di concessione, nonché altre misure urgenti.

[166]D.Lgs. 23 gennaio 2002 n. 10, Attuazione della direttiva 1999/93/CE relativa ad un quadro comunitario per le firme elettroniche.

[167]L. 16 gennaio 2003, n. 3, Disposizioni ordinamentali in materia di pubblica amministrazione (collegato P.A.).

[168]D.P.R. 2 marzo 2004, n. 117, Regolamento concernente la diffusione della carta nazionale dei servizi, a norma dell’articolo 27, comma 8, lettera b), della legge 16 gennaio 2003, n. 3.

[169]D.M. 9 dicembre 2004, Regole tecniche e di sicurezza relative alle tecnologie e ai materiali utilizzati per la produzione della Carta nazionale dei servizi.

[170]Presidenza del Consiglio dei ministri Dipartimento per l’innovazione e le tecnologie, Direttiva 4 gennaio 2005, Linee guida in materia di digitalizzazione dell’amministrazione, in G.U. 12 febbraio 2005, n. 35.

[171]Attuazione della Direttiva 2005/60/CE del Parlamento e del Consiglio, del 26 ottobre 2005, relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo. In particolare, ai sensi dell’articolo 5 della citata Direttiva, gli Stati membri hanno la facoltà di adottare o conservare disposizioni nazionali più rigorose di quelle comunitarie.

[172]Data di entrata in vigore del D.lgs. n. 231/2007.

[173]“Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale” convertito, con modificazioni, dalla legge n. 248 del 2006 (c.d. decreto Visco-Bersani).

[174]Disposizioni in materia di accertamento delle imposte sui redditi.

[175]Regolamento recante disposizioni concernenti i tempi e le modalità di applicazione degli studi di settore.

[176]L’articolo 3 del decreto legge n. n. 97 del 2008, attualmente in corso di esame parlamentare per la conversione in legge, dispone la proroga del termine di presentazione delle dichiarazioni in via telematica dal 31 luglio al 30 settembre.

[177]V. comma 8, lett. a), articolo 37.

[178]Vale a dire entro il 29 aprile di ciascun anno. Infatti, il termine imposto dal comma 1 dell’articolo 8-bis del citato regolamento sulla presentazione delle dichiarazioni IVA in via telematica è entro il mese di febbraio di ogni anno.

[179]Con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate sono individuati gli elementi informativi da indicare negli elenchi e le modalità, esclusivamente telematiche, di presentazione degli stessi. Il provvedimento può contenere il differimento del termine di sessanta giorni, in relazione a esigenze di natura esclusivamente tecnica, oppure relativamente a particolari tipologie di contribuenti, anche in considerazione della dimensione dei dati da trasmettere.

[180]  “Riforma delle sanzioni tributarie non penali in materia di imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e di riscossione dei tributi, a norma dell’articolo 3, comma 133, lettera q), della legge 23 dicembre 1996, n. 662”.

[181]Comma 337, art. 1, della legge n. 296 del 2006.

[182]Legge n. 244 del 2007, art. 1, co. 270.

[183]Legge n. 244 del 2007, art. 1, co. 109.

[184]Analogo esonero è stato previsto per i soggetti in regime di contabilità semplificata dall’art. 3-ter della legge di conversione n. 127 del 2007 del decret-legge n. 81 del 2007.

[185]  La metrologia legale è la scienza che si occupa delle unità di misura, dei metodi di misurazione e degli strumenti di misura utilizzati nelle transazioni commerciali (la metrologia scientifica, invece, è connessa alle determinazioni di modelli fisici, mentre la metrologia industriale è connessa alle necessità di regolazione e controllo). Considerato che in un mercato globale è necessario un sistema di regole condivise, nel 1955 è stata istituita l'O.I.M.L. (Organizzazione Internazionale di Metrologia Legale) con sede a Parigi, un'organizzazione a cui aderisce la maggior parte degli Stati del mondo e il cui scopo principale è quello di armonizzare le procedure di controllo metrologico applicate negli Stati membri.

[186]  Procedura d’infrazione 2008/426.

[187]  La norma sembra riferirsi al comma 3 dell’art. 17 della legge n. 400/88, il quale dispone che con decreto ministeriale possono essere adottati regolamenti nelle materie di competenza del ministro o di autorità sottordinate al ministro, quando la legge espressamente conferisca tale potere. Tali regolamenti, per materie di competenza di più ministri, possono essere adottati con decreti interministeriali, ferma restando la necessità di apposita autorizzazione da parte della legge. I regolamenti ministeriali ed interministeriali non possono, peraltro, dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti emanati dal Governo e debbono essere comunicati al Presidente del Consiglio dei ministri prima della loro emanazione.

[188]  Decreto-legge 30 settembre 2005, n.203, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n.248.

[189]  Il decreto interministeriale si applica agli impianti posti al servizio degli edifici, indipendentemente dalla destinazione d'uso, collocati all'interno degli stessi o delle relative pertinenze. Se l'impianto è connesso a reti di distribuzione si applica a partire dal punto di consegna della fornitura. Gli impianti sono classificati come segue:

a)   impianti di produzione, trasformazione, trasporto, distribuzione, utilizzazione dell'energia elettrica, impianti di protezione contro le scariche atmosferiche, nonché gli impianti per l'automazione di porte, cancelli e barriere;

b)   impianti radiotelevisivi, le antenne e gli impianti elettronici in genere;

c)   impianti di riscaldamento, di climatizzazione, di condizionamento e di refrigerazione di qualsiasi natura o specie, comprese le opere di evacuazione dei prodotti della combustione e delle condense, e di ventilazione ed aerazione dei locali;

d)   impianti idrici e sanitari di qualsiasi natura o specie;

e)   impianti per la distribuzione e l'utilizzazione di gas di qualsiasi tipo, comprese le opere di evacuazione dei prodotti della combustione e ventilazione ed aerazione dei locali;

f)    impianti di sollevamento di persone o di cose per mezzo di ascensori, di montacarichi, di scale mobili e simili;

g)   impianti di protezione antincendio.

Gli impianti o parti di impianto che sono soggetti a requisiti di sicurezza prescritti in attuazione della normativa comunitaria, ovvero di normativa specifica, non sono disciplinati, per tali aspetti, dalle disposizioni del decreto. Sono inoltre regolamentati i requisiti tecnico-professionali delle imprese abilitate; le modalità per la progettazione degli impianti; le dichiarazioni di conformità degli impianti; sanzioni. Viene inoltre espressamente indicato che sono nulli, ai sensi dell'articolo 1418 del Codice Civile, i patti relativi alle attività disciplinate dal presente regolamento stipulati da imprese non abilitate ai sensi dell'articolo 3, salvo il diritto al risarcimento di eventuali danni.

[190]  La Camera di conciliazione è composta da 3 avvocati: uno indicato dai soggetti che hanno proposto l'azione collettiva; uno indicato dall'impresa convenuta; uno, che assume le funzioni di presidente, nominato dal presidente del tribunale tra gli iscritti all'albo speciale per le giurisdizioni superiori.

[191]Decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia, in attuazione dell'articolo 12 della L. 3 ottobre 2001, n. 366. L’art. 38 di suddetto decreto legislativo prevede che gli enti pubblici o privati, che diano garanzie di serietà ed efficienza, sono abilitati a costituire organismi deputati, su istanza della parte interessata, a gestire un tentativo di conciliazione delle controversie nelle materie di cui all'art. 1 del decreto legislativo medesimo (materia bancaria, societaria, creditizia e di intermediazione finanziaria). Tali organismi debbono essere iscritti in un apposito registro tenuto presso il Ministero della giustizia. Quest'ultimo determina con decreto i criteri e le modalità di iscrizione nel detto registro e disciplina altresì la formazione dell'elenco e la sua revisione, l'iscrizione, la sospensione e la cancellazione degli iscritti.

[192]  D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero.

[193]  D.Lgs. 6 febbraio 2007, n. 30, Attuazione della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri. È attualmente all’esame delle competenti Commissioni parlamentari, per l’espressione del prescritto parere, uno schema di decreto legislativo (n. 5) di modifica del D.Lgs. 30/2007.

[194]  In tal senso, la nota ministeriale del 3 agosto 2007 (Ministero della salute, Dipartimento della Prevenzione e della Comunicazione, Direzione Generale per i rapporti con l'Unione Europea, e per i Rapporti Internazionali, Ufficio II, Nota del 3 agosto 2007, Protocollo DG RUERI/II/ 12712 11.3.b, Diritto di soggiorno per i cittadini comunitari- direttiva 38/2004 e Dlgs 3 febbraio 2007 n. 30) e soprattutto la nota integrativa del 19 febbraio 2008 (Protocollo DG RUERI/II/ 3152-P/I.3.b/1, in http://www.ministerosalute.it/imgs/C_17_normativa_1514_allegato.pdf ).

[195]  Per approfondimenti si veda da ultimo il dossier del Servizio studi sul Diritto di circolazione dei cittadini comunitari. Schema di D.Lgs. n. 5, Atti del Governo n. 5, 17 giugno 2008.

[196]  Si ricorda che lo schema di decreto legislativo di modifica del D.Lgs. 30/2007 all’esame delle Camere prevede espressamente il trattenimento degli allontanati in un centro di permanenza temporanea (ora centri di identificazione ed espulsione) alla stregua dei cittadini non comunitari colpiti da provvedimento di espulsione (Atto del Governo sottoposto al parere parlamentare n. 5).

[197]  L’articolo 41 della Costituzione prevede che “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”.

[198]  L’articolo 17, comma 2, della legge n.400 del 1988 disciplina i regolamenti di delegificazione, prevedendo che con “Con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il Consiglio di Stato, sono emanati i regolamenti per la disciplina delle materie, non coperte da riserva assoluta di legge prevista dalla Costituzione, per le quali le leggi della Repubblica, autorizzando l'esercizio della potestà regolamentare del Governo, determinano le norme generali regolatrici della materia e dispongono l'abrogazione delle norme vigenti, con effetto dall'entrata in vigore delle norme regolamentari”.

[199]"Regolamento recante modifiche ed integrazioni al decreto del Presidente della repubblica 20 ottobre 1998, n. 447, in materia di sportelli unici per gli impianti produttivi ".

[200]  Successivamente, l’articolo 10 del D.Lgs. 7 marzo 2005 n. 82 (Codice dell'amministrazione digitale), ha previsto la realizzazione in modalità informatica dello sportello unico, al fine di consentire l’erogazione dei servizi all’'utenza anche in via telematica. Lo stesso articolo dispone, altresì, che lo Stato, d'intesa con la Conferenza unificata, allo scopo di promuovere la massima efficacia ed efficienza dello sportello unico, anche attraverso l'adozione di modalità di relazione con gli utenti omogenee in tutto il territorio nazionale, proceda alla individuazione di uno o più modelli tecnico-organizzativi di riferimento, tenendo presenti le migliori esperienze realizzate.

[201]  Decreto-legge 31 gennaio 2007, n.7, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 2 aprile 2007, n. 40

[202]  Il modello di comunicazione unica è stato approvato con DM 2 novembre 2007. Il decreto-legge ha previsto che dopo 60 giorni dall’entrata in vigore del decreto del Ministro dello sviluppo economico si avvii un periodo transitorio in cui è data facoltà alle imprese di utilizzare la nuova modalità (art. 9, comma 9), mentre resteranno in vigore, in alternativa, le precedenti modalità di trasmissione delle singole modulistiche agli enti interessati, in modalità non integrata. Pertanto la Comunicazione Unica (ComUnica) per l’avvio dell’attività d’impresa - la procedura attraverso la quale le imprese potranno essere operative in 1 giorno e assolvere, al massimo in 7 giorni, gli adempimenti dichiarativi verso Registro delle imprese, INPS, INAIL e Agenzia delle entrate mediante la presentazione di un modello informatico unificato - è in vigore dal 19 febbraio 2008. La fase transitoria durerà sei mesi e si concluderà il 19 agosto 2008. In attesa del DPCM che individuerà le regole tecniche per la trasmissione della Comunicazione Unica, le Amministrazioni interessate (che stanno collaborando alla definizione di queste regole tecniche) hanno concordato circa l’opportunità di avviare dal 19 febbraio 2008 una fase di sperimentazione del nuovo procedimento, che avverrà in due fasi. In una prima fase le comunicazioni ai fini previdenziali potranno essere effettuate solo in alcune province “pilota” (sono state proposte: Torino, Venezia, Padova, Prato, Pescara, Ravenna, Milano, Napoli, Cagliari e Taranto) e solo da alcuni soggetti tra imprese, associazioni, professionisti coinvolti e formati sulla nuova procedura dalle camere di commercio interessate; in una seconda fase la sperimentazione verrà estesa a tutto il territorio nazionale e a tutti i soggetti (tipi di impresa), previa verifica tra gli enti coinvolti. Per quanto riguarda gli enti coinvolti (INPS, INAIL, Agenzia delle entrate, camere di commercio) durante il periodo sperimentale gli adempimenti che sarà possibile assolvere con la Comunicazione Unica saranno i seguenti: Agenzia delle entrate: tutti (dichiarazione di inizio attività ai fini IVA, variazione dati, cessazione attività); camere di commercio: tutti (iscrizioni, modifiche, cessazioni); INAIL: solo iscrizioni; INPS: solo iscrizioni per titolari/soci di imprese del terziario e datori di lavoro non artigiani. Sono esclusi nella prima fase gli imprenditori agricoli. A regime anche per INAIL ed INPS, la procedura varrà non solo per l’avvio, ma anche per comunicazioni relative a variazioni e cessazioni d’impresa. Dal 19 agosto 2008 la nuova procedura sarà operativa su tutto il territorio nazionale e per tutti i tipi di imprese. ComUnica sarà obbligatorio e sostituirà ad ogni effetto di legge le attuali modalità di trasmissione della modulistica al Registro delle imprese e agli altri enti interessati. All’impresa giungerà immediatamente - presso una casella di posta elettronica certificata (PEC) gratuita, fornita dalle camere di commercio - la ricevuta di protocollo della pratica che costituisce titolo per l’immediato avvio dell’attività. Le camere di commercio attraverso InfoCamere, la loro società di informatica, diventano l’unico front office per tutte le registrazioni ai fini dell’attribuzione del codice fiscale e/o della partita IVA e per l’iscrizione al Registro delle imprese, ma anche ai fini previdenziali (INPS) e assicurativi (INAIL).

[203]  La disposizione precisa, con l’espresso richiamo dell’articolo 14-quater, comma 3, della legge n.241 del 1990, che deve intendersi riferita anche alle amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità

[204]  Secondo la definizione che ne fornisce la direttiva del Consiglio e del parlamento europeo n.123 del 2006 (c.d. Direttiva Bolkestein), che ha sancito, fissandone i limiti, la libertà di stabilimento e la libera circolazione dei prestatori di servizi nell’Unione europea.

[205]  Sull’articolo 17, comma 2, della legge n.400 del 1988 si veda la nota relativa al comma 3.

[206]  All’attuazione della norma si è provveduto con il DPCM 12 settembre 2006, il quale ha previsto che il Comitato è presieduto dal Presidente del Consiglio dei Ministri, che può delegare le relative funzioni al Ministro per le riforme e l'innovazione nella pubblica amministrazione. Il Comitato è composto dal Ministro per le riforme e l'innovazione nella pubblica amministrazione, dal Ministro per gli affari regionali e le autonomie locali, dal Ministro per le politiche europee, dal Ministro per l'attuazione del programma di Governo, dal Ministro dell'interno, dal Ministro dell'economia e delle finanze, dal Ministro dello sviluppo economico e dal Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Segretario del Consiglio dei Ministri. Ogni componente del Comitato può delegare la propria partecipazione ad un Vice Ministro o ad un Sottosegretario. Alle riunioni del Comitato, in base agli argomenti da trattare, possono essere invitati altri Ministri, nonché esponenti del sistema delle autonomie, rappresentativi degli altri livelli di governo. Segretario del Comitato è il Segretario generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

[207]  Il Piano di azione relativo al 2007 è consultabile all’indirizzo http://www.innovazionepa.­gov.it/ministro/azioni_ministro/607.htm

[208]  L. 5 gennaio 1953, n. 4, Norme concernenti l'obbligo di corrispondere le retribuzioni ai lavoratori a mezzo di prospetti di paga.

[209]  L. 11 gennaio 1979, n. 12, Norme per l'ordinamento della professione di consulente del lavoro.

[210]  L. 24 novembre 1981, n. 689, Modifiche al sistema penale.

[211]  D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali.

[212]  D.L. 1 ottobre 1996, n. 510, Disposizioni urgenti in materia di lavori socialmente utili, di interventi a sostegno del reddito e nel settore previdenziale, convertito in legge, con modificazioni, dall’articolo 1, comma 1, L. 28 novembre 1996, n. 608.

[213]  L. 18 dicembre 1973, n. 877, Nuove norme per la tutela del lavoro a domicilio.

[214]  D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.

[215]L’articolo 14 del richiamato Regolamento (CEE) n. 3821/85 prevede il rilascio, da parte del datore di lavoro, ai conducenti di veicoli dotati di un apparecchio di controllo conforme all'allegato I dello stesso Regolamento, di un numero sufficiente di fogli di registrazione, tenuto conto del carattere individuale di tali fogli, della durata del servizio e dell'obbligo di sostituire eventualmente i fogli danneggiati o quelli ritirati da un agente incaricato del controllo. Più specificamente, il richiamato comma 2 dell’articolo 14 dispone l’obbligo per l’impresa di conservare i fogli di registrazione e i tabulati, ogniqualvolta siano stati predisposti i tabulati per conformarsi alle disposizioni di cui al successivo articolo 15, comma 1, in ordine cronologico e in forma leggibile per un periodo di almeno un anno dalla data di utilizzazione e di rilasciarne una copia ai conducenti interessati che ne facciano richiesta.

[216]  “Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali”.

[217]  Rispetto alla disciplina dell’articolo 13 della legge n. 197/1996, una novità è costituita dall’estensione del campo di applicazione della disciplina del limite di orario, anche ad alcune di quelle categorie di lavoratori per cui era prevista una disciplina speciale (apprendisti maggiorenni, lavoratori delle miniere).

[218]  D.Lgs. 8 aprile 2003, n. 66, “Attuazione della direttiva 93/104/CE e della direttiva 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro”.

[219]  Ciò richiede, nel caso di impiego di lavoratori non risultanti dalle scritture obbligatorie, la regolare assunzione degli stessi; nel caso di reiterate violazioni alla disciplina relativa all’orario di lavoro o di gravi e reiterate violazioni della disciplina in materia di salute e sicurezza sul lavoro, l’accertamento del ripristino delle relative tutele.

[220]  Procedura di infrazione n. 2006/2228.

[221]La materia è stata disciplinata per la prima volta in maniera organica con la legge 5 agosto 1981, n. 416. Successivamente, tale normativa è stata modificata ed integrata da numerosi interventi, che hanno dato luogo a un sistema normativo frammentario ed assai poco organico.

[222]L. 7 agosto 1990, n. 250, Provvidenze per l'editoria e riapertura dei termini, a favore delle imprese radiofoniche, per la dichiarazione di rinuncia agli utili di cui all'articolo 9, comma 2, della L. 25 febbraio 1987, n. 67, per l'accesso ai benefici di cui all'articolo 11 della legge stessa.

[223]L. 7 marzo 2001, n. 62, Nuove norme sull'editoria e sui prodotti editoriali e modifiche alla L. 5 agosto 1981, n. 416. Tra innovazioni principali introdotte con tale legge, si ricorda: la definizione di “prodotto editoriale”; una semplificazione delle procedure per l'accesso ai benefici economici; modifiche alla disciplina previdenziale e sociale; la ridefinizione dei contributi diretti a favore di determinate categorie di imprese editrici; l'adozione di specifiche misure finanziarie per la promozione del libro.

[224]L. 28 dicembre 2001, n. 448.

[225]L. 24 dicembre 2003, n. 350.

[226]D.L. 24 dicembre 2003, n. 353, Disposizioni urgenti in materia di tariffe postali agevolate per i prodotti editoriali, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, L. 27 febbraio 2004, n. 46.

[227]D.L. 1 ottobre 2007, n. 159, Interventi urgenti in materia economico-finanziaria, per lo sviluppo e l'equità sociale, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, L. 29 novembre 2007, n. 222.

[228]A.C. 4163, Disposizioni in materia di editoria e di diffusione della stampa quotidiana e periodica”, presentato il 16 luglio 2003.

[229]D.L. 3 ottobre 2006, n. 262, Disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2006, n. 286.

[230]Legge 27 dicembre 2006, n. 296.

[231]L. 23 agosto 1988, n. 400, Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

[232]Regolamento recante norme per la concessione dei contributi e delle provvidenze all'editoria, in attuazione della L. 7 agosto 1990, n. 250, e successive modificazioni.

[233]L’ammontare complessivo degli stanziamenti è annualmente determinato in tabella C della legge finanziaria.

[234]Nello stanziamento sono inclusi circa 32 milioni per le spese relative alle agevolazioni tariffarie per l’editoria e 3,8 milioni per le spese di funzionamento dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. In relazione all’ammontare delle provvidenze, si ricorda, inoltre, che l’articolo 10, co. 1, del d.l. n. 159/2007 ha disposto una riduzione pari al 2 per cento, relativamente agli anni 2007 e 2008, del contributo spettante a ciascun soggetto.

[235]Recante la riforma dell'organizzazione del Governo a norma dell'articolo 11 della L. 15 marzo 1997, n. 59.

[236]Articoli 9-12 della legge 24 aprile 1980, recante disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato.

[237]Recante il regolamento di organizzazione del Ministero delle finanze.

[238]Recante la riorganizzazione del Ministero dell'economia e delle finanze e delle agenzie fiscali, a norma dell'articolo 1 della L. 6 luglio 2002, n. 137.

[239]A norma dell'articolo 1, comma 404, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria per il 2007).

[240]L’esatta denominazione della Commissione tecnica in esame è “della finanza pubblica” e non “della spesa pubblica” come indicato nella rubrica dell’articolo in esame.

[241]Si ricorda che, ai sensi del citato comma 474, alla Commissione erano stati assegnati compiti di studio e analisi nei seguenti campi:

a)       proposte finalizzate ad accelerare il processo di armonizzazione e di coordinamento della finanza pubblica e di riforma dei bilanci delle amministrazioni pubbliche, diretto a:

-        in relazione al bilancio dello Stato, disegnare una diversa classificazione della spesa, anche mediante ridefinizione delle unità elementari ai fini dell'approvazione parlamentare, finalizzata al miglioramento della scelta allocativa e ad una efficiente gestione delle risorse, rafforzando i processi di misurazione delle attività pubbliche e la responsabilizzazione delle competenti amministrazioni;

-        migliorare la trasparenza dei dati conoscitivi della finanza pubblica, con evidenziazione nel bilancio dello Stato della quota di stanziamenti afferenti alle autorizzazioni legislative di spesa; nonché con una prospettazione delle decisioni in termini di classificazione funzionale, economica e per macrosettori;

-        armonizzare i criteri di classificazione dei bilanci delle pubbliche amministrazioni, per un più agevole consolidamento dei conti di cassa e di contabilità nazionale;

b)       studi preliminari e proposte tecniche per la definizione dei principi generali e degli strumenti di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, con particolare attenzione al coordinamento dei rapporti finanziari tra lo Stato ed il sistema delle autonomie territoriali, nonché all'efficacia dei meccanismi di controllo della finanza territoriale in relazione al rispetto del Patto di stabilità europeo;

c)       studi e analisi concernenti l'attività di monitoraggio sui flussi di spesa della Ragioneria generale dello Stato;

d)       valutazione, in collaborazione con l'ISTAT e con gli altri enti del sistema statistico nazionale, dell'affidabilità, trasparenza e completezza dell'informazione statistica relativa agli andamenti della finanza pubblica;

e)       svolgimento di ricerche e studi su richiesta delle Commissioni parlamentari.

[242]L’Alta Commissione di studio per la definizione dei meccanismi strutturali del federalismo fiscale è stata istituita, ai sensi dell’articolo 3, comma 1, lettera b) della legge n. 289/2002 (legge finanziaria per il 2003), con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 9 aprile 2003, ai fini della attuazione del Titolo V della parte seconda della Costituzione, con il compito specifico di indicare al Governo i princìpi generali del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, ai sensi degli articoli 117, terzo comma, 118 e 119 della Costituzione. La norma istitutiva prevedeva, a tal fine, la predisposizione da parte dell’Alta Commissione di una relazione da presentare al Governo sui princìpi generali del federalismo, sulla base delle indicazioni che avrebbero dovuto essere formulate dalla Conferenza unificata Stato-Regioni ed enti locali. Al Governo spettava il compito di presentare al Parlamento, sulla base della relazione, entro il mese successivo, una proposta di attuazione dell’articolo 119 della Costituzione.

[243]Si rammenta che la soppressa Commissione tecnica per la spesa pubblica (CTSP), istituita più di 20 anni fa (art. 32 della legge n. 119 del 30 marzo 1981), operava nell'ambito del Dipartimento dell'amministrazione generale, del personale e dei servizi del Ministero dell’economia e delle finanze (art. 6-bis del D.P.R. 28 aprile 1998, n. 154 ) ed era competente a svolgere, tra le altre cose studi, ricerche e rilevazioni richiesti dal CIPE e dalle competenti Commissioni parlamentari, a definire le metodologie per la programmazione dell'attività finanziaria ed il monitoraggio dell'attuazione delle manovre di bilancio, nonché per la valutazione tecnica dei costi e degli oneri dei provvedimenti e delle iniziative legislative.

[244]In particolare, ai sensi dell'articolo 32, quarto comma, della legge 30 marzo 1981, n. 119, era previsto l’accesso della Commissione al sistema informativo della Ragioneria generale dello Stato ed che la Commissione potesse ottenere, a richiesta, tutti i dati di cui dispongono la stessa Ragioneria generale e la direzione generale del tesoro.

[245]Tale norma prevede una segreteria tecnica costituita da otto esperti con il compito di raccogliere e catalogare dati e informazioni, nonché predisporre ricerche di base per le varie sezioni funzionali della spesa pubblica. I componenti della segreteria sono scelti tra persone aventi specifiche esperienze professionali in materia di finanza pubblica e nominati con decreto del Ministro del tesoro (ora Ministro dell’economia), su proposta della Commissione stessa.

[246]Il comma 478 prevedeva inoltre che le nomine avvenissero entro il 31 gennaio 2007, con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze, il quale doveva altresì stabilire le regole di funzionamento e la data di inizio delle attività.

[247]Com’è noto, si tratta di disposizioni relative ad accantonamenti e indisponibilità di quote-parti di alcune dotazioni delle UPB iscritte negli bilancio di previsione.

[248]La disposizione del comma 480 ha previsto, inoltre, che il Governo è chiamato a riferire sull'attuazione del programma straordinario nell'ambito del Documento di programmazione economico-finanziaria presentato nel 2007. Entro il 30 settembre, il Ministero dell’economia e delle finanze deve altresì presentare al Parlamento una relazione sui risultati del programma straordinario e sulle conseguenti iniziative di intervento, dando conto in uno speciale allegato dei provvedimenti di riordino degli enti pubblici adottati ai sensi del comma 482 della citata legge finanziaria per il 2007.

[249]Tutti i documenti prodotti dalla CTFP sono consultabili all’indirizzo http://www.mef.gov.it/web/commissioni/Commissione-tecnica-per-la-finanza-pubblica/ presentazione.asp#top

 

 

[250]L. 24 dicembre 2007, n. 244, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008).

[251]Si ricorda che nell’ambito del D.Lgs. 165/2001 “per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300” (art. 1, co. 2, del D.Lgs. 165/2001).

[252]D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche.

[253]D.L. 4 luglio 2006, n. 223, Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale, convertito, con modificazioni, dalla L. 4 agosto 2006, n. 248.

[254]La circolare del Dipartimento della funzione pubblica n. 5/2006 del 21 dicembre 2006, Linee di indirizzo in materia di affidamento di incarichi esterni e di collaborazioni coordinate e continuative, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 24 marzo 2007, n. 70, ha precisato al riguardo che le previsioni in esame si applicano a tutte le tipologie di incarichi di lavoro autonomo. Ciò comporta l’irrilevanza del contenuto della prestazione: studio, consulenza, ricerca o altro, così come della tipologia contrattuale individuata dall’amministrazione: occasionale o coordinata e continuativa, a tali fini.

[255]L’art. 3, co. 77, della legge finanziaria 2008 ha inoltre precisato l’ambito di applicabilità della disciplina in esame, introducendo il comma 6-quater nell’articolo 7, che stabilisce che essa non si applichi a:

-        i componenti degli organismi di controllo interno di cui al D.Lgs. 286/1999, competenti in ordine al controllo di regolarità amministrativa e contabile, al controllo di gestione, alla valutazione della dirigenza nonché alla valutazione e al controllo strategico dell'attività svolta dalle amministrazioni pubbliche;

-        i nuclei di valutazione previsti dal D.Lgs. 286/1999, attraverso i quali le Pubbliche amministrazioni, sulla base dei risultati dei controlli di gestione, devono valutare le prestazioni dei propri dirigenti, nonché i comportamenti relativi allo sviluppo delle risorse professionali, umane ed organizzative ad essi affidate;

-        gli organismi operanti per le finalità di cui all’art. 1, comma 5 della L. 144/1999, che istituisce il sistema di monitoraggio degli investimenti pubblici (MIP) presso il Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE). Il MIP ha il compito di fornire tempestivamente informazioni sull'attuazione delle politiche di sviluppo, con particolare riferimento ai programmi cofinanziati con i fondi strutturali europei, sulla base dell'attività di monitoraggio svolta dai nuclei di valutazione.

[256]Si tratta, peraltro, della specificazione di un orientamento piuttosto consolidato. Al riguardo, si veda in particolare la ricordata circolare del Dipartimento della funzione pubblica n. 5/2006, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 24 marzo 2007, n. 70. Nello stesso senso v. anche Corte dei conti, Sez. reg. di controllo per la Puglia, deliberazione n. 9/PAR/2007.

[257]Circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della funzione pubblica, Ufficio per il personale delle pubbliche amministrazioni 11 marzo 2008, n. 2, Legge 24 dicembre 2007, n. 244, disposizioni in tema di collaborazioni esterne, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 143 del 20 giugno 2008.

[258]La circolare richiama in proposito le fattispecie relative alla progettazione in materia di lavori pubblici, di direzione lavori e collaudo di cui all’articolo 90 del decreto legislativo 12 aprile 2006 n. 163 (Codice dei contratti pubblici), ai requisiti previsti dall’articolo 9 della legge n. 150 del 2000, per gli addetti stampa, nonché a quanto disposto dall’articolo 51, comma 6, della legge n. 449 del 1997, relativamente a specifiche prestazioni previste da programmi di ricerca avviati da università, osservatori astronomici, astrofisici e vesuviano, enti pubblici e istituzioni di ricerca. Nello stesso senso, con riferimento a tale ultima fattispecie, v. anche il parere del Dipartimento della funzione pubblica - Ufficio per il personale delle pubbliche amministrazioni (UPPA) n. 28/2008. Analogamente, nel parere UPPA n. 24/2008, il Dipartimento della funzione pubblica evidenzia come previsioni normative che, per specifiche attività, determinano i requisiti dei collaboratori o anche le procedure per l’affidamento dell’incarico prevalgono sulle disposizioni di carattere generale contenute nell’art. 7, co. 6, del D.Lgs 165/2001. In particolare, il parere evidenzia che per quanto concerne la figura del responsabile del Servizio di prevenzione e protezione trovi quindi applicazione il decreto legislativo n. 626 del 1994, che all’articolo 8-bis, disciplina in maniera puntuale e dettagliata tutti i requisiti e i titoli di studio e di formazione professionale che debbono essere posseduti dai responsabili, stabilendo altresì che il possesso di alcune lauree esonera tale personale dalla frequenza dei corsi di formazione.

[259]Corte dei conti Sezioni Riunite, sentenza n. 12/2007/QM del 27 dicembre 2007.

[260]L’art. 36 del D.Lgs. 165/2001 è integralmente sostituito dall’articolo 49 del decreto in esame (sul quale v. infra). Le disposizioni richiamate dalla circolare sono ora contenute nel comma 5 dell’art. 36.

[261]Sul punto v. anche la circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della funzione pubblica 15 luglio 2004. n. 4/04, Collaborazioni coordinate e continuative. Presupposti e limiti alla stipula dei contratti. Regime fiscale e previdenziale. Autonomia contrattuale, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 30 agosto 2004, n. 203, che evidenziava come, qualora al lavoratore fosse riconosciuta una tutela risarcitoria ex art. 2126 c.c., si potesse certamente configurare una responsabilità amministrativa del dirigente che avesse stipulato il contratto di co.co.co illegittimo, con addebito del danno erariale verificatosi (La circolare richiamava in proposito numerose pronunce della magistratura contabile).

[262]D.L. 12 luglio 2004, n. 168, Interventi urgenti per il contenimento della spesa pubblica, convertito, con modificazioni, dalla L. 30 luglio 2004, n. 191.

[263]Circolare del Presidente della Camera dei deputati del 20 aprile 2001.

[264]  D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali.

[265]Il regolamento è disciplinato dall’art. 89 del T.U.E.L., che prevede i principi ispiratori per la sua redazione e ne disciplinai i contenuti essenziali.

[266]Corte dei Conti, Sezioni riunite in sede di controllo, delib. n. 6/CONTR/05 del 15 febbraio 2005.

[267]Regolamento recante semplificazione del procedimento di conferimento di incarichi individuali ad esperti da parte dei Ministri.

[268]Sembrerebbe rivestire carattere meramente formale anche la mancata menzione della lettera b) nell’ambito del rinvio ai programmi di cui al comma 2 dell’art. 42 del T.U.E.L., in quanto solo in tale lettera sono menzionati programmi deliberati dal Consiglio dell’ente locale.

[269]In questo senso l’art. 3 dello schema di regolamento per il conferimento degli incarichi allegato alla circolare prevedeva che l’ufficio competente dovesse comunque accertarsi della rispondenza dell’affidamento dell’incarico con la previsione contenuta nell’articolo 3, comma 55, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 relativa al programma approvato dal Consiglio, fatte salve materie e competenze previste e assegnate all’Ente da disposizioni legislative.

[270]D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche.

[271]L. 23 dicembre 1996, n. 662, Misure di razionalizzazione della finanza pubblica.

[272]D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, Razionalizzazione dell'organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell'articolo 2 della L. 23 ottobre 1992, n. 421.

[273]D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato.

[274]La disposizione è stata introdotta dalla L. 15 luglio 2002, n. 145, Disposizioni per il riordino della dirigenza statale e per favorire lo scambio di esperienze e l'interazione tra pubblico e privato.

[275]La disciplina si applica a tutti gli incarichi, anche occasionali, non compresi nei compiti e doveri di ufficio, per i quali sia previsto un compenso. Sono peraltro esclusi i compensi derivanti

-        dalla collaborazione a giornali, riviste, enciclopedie e simili;

-        dalla utilizzazione economica da parte dell'autore o inventore di opere dell'ingegno e di invenzioni industriali;

-        dalla partecipazione a convegni e seminari;

-        da incarichi per i quali è corrisposto solo il rimborso delle spese documentate;

-        da incarichi per lo svolgimento dei quali il dipendente è posto in posizione di aspettativa, di comando o fuori ruolo;

-        da incarichi conferiti dalle organizzazioni sindacali a dipendenti presso le stesse distaccati o in aspettativa non retribuita;

-        da attività di formazione diretta ai dipendenti della pubblica amministrazione.

[276]  L. 30 dicembre 1991 n. 412, Disposizioni in materia di finanza pubblica.

[277]D.L. 28marzo 1997, n. 79,Misure urgenti per il riequilibrio della finanza pubblica, convertito, con modificazioni, dalla L. 28 maggio 1997, n. 140.

[278]L. 25 novembre 2003, n. 339, Norme in materia di incompatibilità dell'esercizio della professione di avvocato.

[279]Art. 12 D.M. 5 novembre 2004, Organizzazione e funzionamento del Dipartimento della funzione pubblica nell'àmbito della Presidenza del Consiglio dei Ministri, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 34 dell’11 febbraio 2005.

[280]L’espressione utilizzata dalla disposizione sembra fare riferimento sia alla disciplina in materia di incompatibilità in senso stretto sia a quella relativa al cumulo di impieghi ed incarichi.

[281]Si v. ad esempio l’art. 12 del D.P.R. 5 gennaio 1967, n. 18, Ordinamento dell'Amministrazione degli affari esteri, che affidava all'Ispettorato generale del Ministero e degli uffici all'estero il compito di svolgere, alle dirette dipendenze del Ministro, funzioni di vigilanza sul regolare andamento degli uffici nonché delle rappresentanze e degli istituti all'estero. Analogamente l’art. 5 della L. 1 aprile 1981, n. 121, Nuovo ordinamento dell'Amministrazione della pubblica sicurezza, nel disciplinare il Dipartimento della pubblica sicurezza attribuisce all'ufficio centrale ispettivo il compito di verificare, su richiesta del Ministro o del direttore generale, l'esecuzione degli ordini e delle direttive del Ministro e del direttore generale, di riferire sulla attività svolta dagli uffici ed organi periferici dell'Amministrazione della pubblica sicurezza, nonché di verificare l'efficienza dei servizi e la corretta gestione patrimoniale e contabile.

[282]D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 286, Riordino e potenziamento dei meccanismi e strumenti di monitoraggio e valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati dell'attività svolta dalle amministrazioni pubbliche, a norma dell'articolo 11 della L. 15 marzo 1997, n. 59.

[283]Pubblicato in G. U. 7 febbraio 2008, n. 32. Le tipologie di beni e servizi per i quali vige l’obbligo, ai sensi del citato comma 449, di approvvigionamento tramite convenzioni quadro Consip sono le seguenti:

-        arredi per ufficio;

-        carburanti da autotrazione (specificamente: carburanti in rete ed extrarete, buoni carburante e fuel card);

-        combustibili da riscaldamento (specificamente gasolio e biodiesel);

-        energia elettrica;

-        macchine per ufficio, nonché prodotti hardware e software (specificamente: fotocopiatrici, in acquisto e noleggio, personal computer, desktop e portatili, server entry e midrange, software microsoft e stampanti);

-        noleggio autoveicoli;

-        servizio di buoni pasto;

-        servizi di telefonia fissa;

-        servizi di telefonia mobile;

-        apparati di telefonia e trasmissione dati (specificamente reti locali, centrali telefoniche);

-        servizio di gestione integrata della sicurezza sui luoghi di lavoro.

[284]Gli enti del servizio sanitario nazionale sono in ogni caso tenuti ad approvvigionarsi di beni e servizi utilizzando le convenzioni stipulate dalle centrali regionali di acquisto di riferimento. Mentre,

[285]D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5 (Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia, in attuazione dell'articolo 12 della L. 3 ottobre 2001, n. 366).

[286]R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, Ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore.

[287]D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia.

[288]Si tratta di spese processuali penali; pene pecuniarie; sanzioni amministrative pecuniarie; spese di mantenimento dei detenuti; spese nei casi di ammissione al patrocinio a spese dello Stato.

[289]Si tratta delle solo spese processuali nei casi di ammissione al patrocinio a spese dello Stato.

[290]Per la riscossione coattiva si applicano le norme degli articoli 223 e ss del testo unico, che rinviano al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito) e al D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 112 (Riordino del servizio nazionale della riscossione, in attuazione della delega prevista dalla L. 28 settembre 1998, n. 337).

[291]In particolare, il comma 367, elenca espressamente le attività che formeranno oggetto delle citate convenzioni individuando, altresì, talune delle caratteristiche della Società con la quale il Ministero della giustizia dovrà procedere alle relative stipule.

[292]Tale modifica si è resa necessaria a seguito dell’inserimento dell’art. 420-bis nel codice di rito civile (da parte dal D.Lgs n. 40/2006).

[293]La perenzione è pronunciata con decreto dal presidente della sezione competente o da un magistrato da lui delegato. Il decreto è depositato in segreteria, che ne dà formale comunicazione alle parti costituite. Nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione ciascuna delle parti costituite può proporre opposizione al collegio, con atto notificato a tutte le altre parti e depositato presso la segreteria del giudice adìto entro dieci giorni dall'ultima notifica. Nei trenta giorni successivi il collegio decide sulla opposizione in camera di consiglio, sentite le parti che ne facciano richiesta, con ordinanza che, in caso di accoglimento della opposizione, dispone la reiscrizione del ricorso nel ruolo ordinario. Nel caso di rigetto, le spese sono poste a carico dell'opponente e vengono liquidate dal collegio nella stessa ordinanza, esclusa la possibilità di compensazione anche parziale. L'ordinanza è depositata in segreteria, che ne dà comunicazione alle parti costituite. Avverso l'ordinanza che decide sulla opposizione può essere proposto ricorso in appello. Il giudizio di appello procede secondo le regole ordinarie, ridotti alla metà tutti i termini processuali (cfr. art. 26, legge n. 1034 del 1971).

[294]R.D. 17 agosto 1907, n. 642, Regolamento per la procedura dinanzi alle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato.

[295]L. 27 aprile 1982, n. 186, Ordinamento della giurisdizione amministrativa e del personale di segreteria ed ausiliario del Consiglio di Stato e dei tribunali amministrativi regionali.

[296]Si tratta della sezione consultiva istituita dalla legge n. 127 del 1997 (art. 17, comma 28) per l'esame degli schemi di atti normativi per i quali il parere del Consiglio di Stato è prescritto per legge o è comunque richiesto dall'amministrazione.

[297]Il primo comma dell’articolo 1 stabilisce infatti che «Il Consiglio di Stato è composto dal presidente del Consiglio di Stato, da presidenti di sezione e da consiglieri di Stato, secondo la tabella A allegata alla presente legge».

[298]Articolo 42, comma 3 del D.Lgs. 31 dicembre 1992 n. 545, recante l’ordinamento degli organi speciali di giurisdizione tributaria ed organizzazione degli uffici di collaborazione in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della L. 30 dicembre 1991, n. 413. Si veda inoltre il D.Lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, recante disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della L. 30 dicembre 1991, n. 413.

[299]L’articolo 1, comma 352 della legge finanziaria 2008 ha recato norme in materia di attribuzione dei processi pendenti; il comma 353 ha rimesso ad uno o più decreti di natura non regolamentare del Ministro dell’economia e delle finanze la determinazione del numero delle sezioni e degli organici di ciascuna commissione tributaria provinciale e regionale, nonché la definizione delle modalità per l'attuazione dei commi 351 e 352; e l’indizione delle elezioni per il rinnovo del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria. Con D.M. 20 marzo 2008 è stata disposta l'articolazione in collegi delle sezioni della Commissione tributaria centrale.

[300]Fonte: Il sole 24 ore, sezione “Norme e tributi” di lunedì 25 febbraio 2008, elaborazione su dati dell’Anagrafe tributaria.

[301]  Decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422, Conferimento alle regioni ed agli enti locali di funzioni e compiti in materia di trasporto pubblico locale, a norma dell'articolo 4, comma 4, della L. 15 marzo 1997, n. 59.

[302]  Ai sensi dell’articolo 3 costituiscono servizi pubblici di trasporto di interesse nazionale:

a)   i servizi di trasporto aereo, ad eccezione dei collegamenti che si svolgono esclusivamente nell'ambito di una regione e dei servizi elicotteristici;

b)  i servizi di trasporto marittimo, ad eccezione dei servizi di cabotaggio che si svolgono prevalentemente nell'ambito di una regione;

c)   i servizi di trasporto automobilistico a carattere internazionale, con esclusione di quelli transfrontalieri, e le linee interregionali che collegano più di due regioni;

d)   i servizi di trasporto ferroviario internazionali e quelli nazionali di percorrenza medio-lunga caratterizzati da elevati standards qualitativi. Detti servizi sono tassativamente individuati con decreto del Ministro dei trasporti e della navigazione, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. Qualora la predetta intesa non sia raggiunta entro quarantacinque giorni dalla prima seduta in cui l'oggetto è posto all'ordine del giorno, provvede il Consiglio dei Ministri;

e)   i servizi di collegamento via mare fra terminali ferroviari;

f)    i servizi di trasporto di merci pericolose, nocive ed inquinanti.

[303]  Legge 27 dicembre 2006, n. 296.

[304]  Legge 24 dicembre 2007, n. 244.

[305]  Legge 23 dicembre 1996, n. 662.

[306]  D.L. 11 luglio 1992, n. 333, recante Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica, e convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1992, n. 359.

[307]  La cessione della Tirrenia del Gruppo FINMARE era stata prevista già dall’aprile 2001 dal Libro bianco sulle privatizzazioni pubblicato dall’allora Ministero del tesoro, bilancio e programmazione economica. In particolare, dal riepilogo delle privatizzazioni effettuate dal Gruppo IRI, alla fine del 2002 (v. “Relazione sulle privatizzazioni” presentata al Parlamento dal Ministero dell’economia e delle finanze nell’aprile 2003, p. 17), il totale delle risorse reperite a chiusura del processo di dismissione della FINMARE S.p.a. risultano pari a circa 347 milioni di euro.

 

[308]Convertito con modificazioni dalla legge n. 410 del 2001.

[309]Si ricorda che il sistema tavolare, regolato dal R.D. 28 marzo 1929, n. 499, recante disposizioni relative ai libri fondiari nei territori delle nuove province, è un complesso di norme regolante la pubblicità immobiliare vigente nelle province di Trieste, Gorizia e Trento. Il sistema è impostato su una rilevazione di tipo catastale del territorio, di modo che accanto ad ogni unità immobiliare vengano registrate le relative vicende giuridiche, a differenza del sistema vigente nel resto d’Italia nei registri immobiliari, impostati su base personale, in cui le vicende dei beni immobili vengono effettuate con riferimento alle persone che compiano gli atti da trascrivere o iscrivere.

[310]La finalità di tali accordi ed intese è diretta all’approvazione di iniziative per la valorizzazione degli immobili e per la loro utilizzazione a fini economici.

[311]  Nella relazione illustrativa si afferma che la disposizione è diretta a consentire all’amministrazione la sottoscrizione di azioni di nuova emissione connesse all’esecuzione di possibili aumenti di capitale di Finmeccanica S.p.a. La Società è infatti impegnata a sviluppare importanti iniziative di rafforzamento della propria presenza, in Italia e all’estero, nei settori strategici presidiati che potrebbero richiedere, già nel corrente anno, un finanziamento parziale attraverso il ricorso al mercato dei capitali. In tale ambito, la partecipazione almeno parziale del socio pubblico di maggioranza relativa, oltre a preservare l’entità della quota di possesso, costituirebbe un importante segnale al mercato in sede di esecuzione dell’operazione di ricapitalizzazione.

[312]  Da notizie di stampa (Milano Finanza del 27 giugno 2008) si apprende che il c.d.a. di Finmeccanica ha deliberato ieri (26 giugno 2008) di proporre alla prossima Assemblea Straordinaria ad aumentare il capitale sociale a pagamento e in via scindibile per un importo complessivo massimo, comprensivo di sovrapprezzo, di 1,4 miliardi di euro, nonché la revoca della precedente deliberazione di aumento di capitale dell'Assemblea Straordinaria del 30 maggio 2007. La decisione è stata presa nell'ambito dell'acquisizione di Drs Technologies. L'Assemblea è stata convocata per il 31 luglio e 1 agosto, rispettivamente in prima e in seconda convocazione. L'aumento di capitale potrà aver luogo, mediante emissione di azioni ordinarie, aventi le stesse caratteristiche di quelle in circolazione, da offrire in opzione agli azionisti e potrà eventualmente essere posto, in parte, al servizio di prestiti obbligazionari convertibili o di warrant da offrire in opzione agli azionisti. La proposta prevede che il c.d.a. possa esercitare la delega dando esecuzione all'operazione, secondo le modalità ed i criteri ivi previsti, entro il 31 luglio 2009. Si ritiene che il c.d.a. possa dare esecuzione all'operazione entro il corrente esercizio. La proposta prevede inoltre che l'Assemblea attribuisca al c.d.a. la delega a stabilire modalità, termini e condizioni dell'operazione e, pertanto, a determinare, in prossimità dell'avvio dell'operazione e previa verifica delle condizioni di mercato e del mantenimento da parte del ministero dell'Economia e delle Finanze di una partecipazione non inferiore al 30% del capitale sociale, così come previsto nel DPCM del 28 settembre 1999, quanto segue: il prezzo di sottoscrizione delle azioni, ivi incluso il sovrapprezzo, tenuto conto, tra l'altro, dell'andamento della quotazione delle azioni della società, nonché della prassi di mercato per operazioni similari; l'esatto numero di azioni ordinarie oggetto dell'emissione e il rapporto di opzione; l'esatto ammontare dell'aumento di capitale, fermo restando che complessivamente non potrà comunque eccedere il controvalore massimo di 1,4 miliardi di euro.

[313]  La SIFA S.p.A. svolgeva attività di intermediazione mobiliare e di finanziamento alle grandi imprese.

[314]  In attuazione di detto decreto sono stati successivamente emanati due Decreti del Ministro del Tesoro: uno per l’attribuzione dei poteri speciali, l’altro per fissare al 3% il limite alla partecipazione al capitale oltre il quale era necessario il preventivo gradimento del Ministero stesso.

[315]  MEI era la società italiana che possedeva (pariteticamente con un partner pubblico francese) il 22% della ST Microelectronics, società leader nei semiconduttori.

[316]  Il “book-building” è la procedura - che si svolge nell'ambito di una Initial Public Offering o del lancio di altri titoli - mediante la quale, prima della fissazione definitiva del prezzo di emissione, vengono prima considerate le aspettative di prezzo dei grandi investitori istituzionali. Diversamente dalla procedura di assunzione a fermo, nel metodo del bookbuilding l'emittente si assume il rischio di collocamento.

[317]Si ricorda che, secondo la definizione ISTAT, sono poste correttive e compensative delle entrate gli importi inseriti tra le spese e riferiti ad entrate indebitamente percepite.

[318]Iscritto nel capitolo 2999/ Economia - Missione Fondi da ripartire/Programma Fondi di riserva e speciali.

[319]Iscritto nel capitolo 3000/ Economia - Missione Fondi da ripartire/Programma Fondi di riserva e speciali.

[320]Iscritto nel capitolo 7496/Economia - Missione Fondi da ripartire/Programma Fondi da assegnare.

[321]Iscritto nel capitolo 3001/Economia - Missione Fondi da ripartire/Programma Fondi di riserva e speciali.

[322]  Si ricorda che le voci del bilancio dello Stato per il 2008 sono state stato oggetto di un’ampia riclassificazione, sia per ciò che attiene gli stati di previsione della spesa, sia per quello dell’entrata. Secondo la nuova classificazione, operata in via amministrativa a legislazione vigente, le spese sono classificate in 34 missioni, a loro volta articolate in 168 programmi di spesa, all’interno di quali sono collocate le unità previsionali di base oggetto di voto parlamentare. Per un approfondimento della nuova struttura del bilancio si rinvia al dossier del Servizio Studi L’attività delle Commissioni nella XV legislatura n. 1/5, parte seconda.

[323]  Si ricorda che sono spese di natura obbligatoria quelle spese che, sebbene non quantificate direttamente dalle leggi, sono vincolate a particolari meccanismi o parametri. Questi ultimi possono essere determinati sia dalle leggi che da altri atti normativi. Le spese in annualità e a pagamento differito sono sostanzialmente oneri a carattere pluriennale.

[324]Le variazioni compensative possono essere disposte, su proposta del dirigente generale responsabile, con decreti del Ministro competente, esclusivamente nell'ambito della medesima unità previsionale di base. I decreti di variazione sono comunicati, anche con evidenze informatiche, al Ministro dell’economia - per il tramite della competente ragioneria - nonché alle Commissioni parlamentari competenti e alla Corte dei conti (articolo 3, comma 5 del D.lgs. n. 279/1997).

La legge di assestamento del bilancio o eventuali ulteriori provvedimenti legislativi di variazione possono autorizzare compensazioni tra le diverse unità previsionali.

La legge n.468/1978, che al citato articolo 2, comma 4-quinquies esclude la possibilità di effettuare variazioni compensative fra le unità di spesa oggetto della deliberazione parlamentare.

[325]Le unità previsionali di base sono le unità di voto parlamentare.

[326]  Si ricorda, altresì, che ai sensi del successivo comma 23 dell’art.22 della medesima legge di bilancio 2008, i Ministri competenti, nell’ambito dei programmi concernenti i propri stati di previsione, sono stati inoltre autorizzati ad effettuare, con propri decreti da comunicare al Ministero dell’economia e delle finanze, anche con evidenze informatiche, eventuali variazioni compensative per la stessa categoria economica tra i capitoli di spese discrezionali relativi ai programmi medesimi, allocati nei diversi centri di responsabilità amministrativa. Tali variazioni non devono peraltro comportare alterazioni dei saldi di indebitamento netto e fabbisogno.

[327]Per tale Ministero è stata accantonata una somma fissa pari a 40 milioni di euro, che rispetto ai complessivi accantonamenti corrisponde rispettivamente alle percentuali del 2,43%, 2,44% e 3,02% per ciascuno degli anni 2007-2009.

[328]Si ricorda che, tra le esclusioni dagli accantonamenti rientrano le voci di bilancio i cui stanziamenti sono stati oggetto di modifica da parte di norme contenute nel disegno di legge finanziaria per il 2007. Infatti, l'individuazione dell'accantonamento ha operato sulle risorse iscritte nel bilancio a legislazione vigente e non sugli eventuali incrementi disposti con il disegno di legge finanziaria. Pertanto, la disposizione del citato comma 507 ha inteso escludere le seguenti categorie economiche relative a spese correnti: redditi da lavoro dipendente (cat. 1), imposte pagate sulla produzione (cat. 3), risorse proprie CEE (cat. 8), interessi passivi e redditi da capitale (cat. 9), poste correttive e compensative (cat. 10) e ammortamenti (cat. 11). La norma esclude esplicitamente, infine, l’applicazione degli accantonamenti alle voci relative al comparto della radiodiffusione televisiva locale.

[329]Quest’ultimo riferimento normativo è volto ad escludere dall’accantonamento gli stanziamenti relativi alle confessioni religiose che concorrono al riparto della quota dell’8 per mille dell’IRE, vale a dire la Chiesa cattolica, l’Unione italiana delle Chiese cristiane avventiste del 7° giorno, le Assemblee di Dio in Italia, la Chiesa evangelica valdese, la Chiesa Evangelica Luterana in Italia, l'Unione delle Comunità ebraiche italiane. Si ricorda peraltro che la legge n. 222/1985 riguarda solo la Chiesa cattolica; i rapporti con le altre confessioni religiose sono disciplinati sulla base di leggi successive.

[330]In particolare, è stato previsto che questi ulteriori accantonamenti fossero destinati a consuntivo, per una quota comunque non superiore al 30 per cento, ad appositi fondi per l'incentivazione, mediante contrattazione integrativa, del personale dirigente e non dirigente che abbia contribuito in maniera diretta al conseguimento degli obiettivi di efficienza e di razionalizzazione della spesa.

[331]In termini di minori spese correnti e di conto capitale, complessivamente, gli effetti in termini di fabbisogno e di indebitamento netto ascritti alla disposizione del comma 507, per ciascuno degli anni 2007-2009, invece, sono stati rispettivamente pari a 2.678 mln, 4.180 mln e 4.600 mln e a 3.198 mln, 4.510 mln e 4.574 mln.

[332]Il decreto deve essere comunicato al Presidente del Consiglio, che ne dà a sua volta comunicazione al Ministero dell'economia e delle finanze, alle Commissioni parlamentari competenti, nonché alla Corte dei Conti.

[333]Comma 7, art. 1, della legge finanziaria per il 2006 (legge n. 266 del 2005).

[334]Il saldo netto da finanziare è il saldo congiunto del conto economico e della parte “attività” (partite finanziarie) del conto finanziario ed è dato dalla differenza tra entrate finali e spese finali (cioè dalla differenza tra entrate nettizzate dall’accensione prestiti e delle spese nettizzate dal rimborso del debito pubblico). Esso è uno dei quattro risultati differenziali contenuti – ai sensi della legge generale di contabilità (l. n. 468/1978) - all’interno del Bilancio di previsione dello Stato, nel quadro generale e riassuntivo, ed è espresso in termini di competenza giuridica e di cassa. Le previsioni di competenza costituiscono il limite massimo entro cui l’amministrazione statale è autorizzata ad assumere impegni.

Le autorizzazioni di cassa costituiscono invece la previsione di incasso (per le entrate) e il limite massimo dei pagamenti che si prevede di effettuare in corso d’anno (per le spese).

[335]L’ultimo elenco relativo al conto consolidato della PA è quello di cui al Comunicato ISTAT 29 luglio 2007 (pubblicato G.U. 31 luglio 2007, n. 176), con la successiva integrazione pubblicata in G. U n. 252 del 29 ottobre 2007.

[336]Secondo il Sec 95 il Settore della amministrazioni pubbliche (S13) “comprende tutte le unità istituzionali che agiscono da produttori di beni e servizi non destinabili alla vendita, la cui produzione è destinata a consumi collettivi e individuali ed è finanziata in prevalenza da versamenti obbligatori effettuati da unità appartenenti ad altri settori e/o tutte le unità istituzionali la cui funzione principale consiste nella redistribuzione del reddito e della ricchezza del Paese”.

      In particolare, le Unità istituzionali comprese nel settore S13 sono: gli organismi pubblici che gestiscono e finanziano un insieme di attività date dal fornire alla collettività beni e servizi non destinati alla vendita; le istituzioni senza fine di lucro, che agiscono per lo stesso fine e sono controllate e finanziate in prevalenza da amministrazioni pubbliche; gli enti di previdenza.

[337]I Paesi europei, infatti, sono tenuti a trasmettere alla Commissione europea i livelli di indebitamento netto, del debito pubblico e di altri aggregati di finanza pubblica, relativi ai quattro anni precedenti, nonché le previsioni degli stessi aggregati per l’anno in corso due volte l’anno, il 1° aprile e il 1° ottobre. Le previsioni sull’indebitamento netto sono invece formulate dal Ministero dell’economia e finanze.

[338]Il concetto di cassa utilizzato per il fabbisogno è però differente rispetto alla “cassa” del bilancio dello Stato Il saldo netto da finanziare, espresso in termini di cassa, infatti, misura incassi e pagamenti nel momento in cui le risorse finanziarie, rispettivamente, entrano ed escono dalla disponibilità dello Stato, trovando imputazione sui capitoli di bilancio pertinenti.

[339]Definizione dei criteri di carattere generale per il coordinamento dell'azione amministrativa del Governo, intesi all'efficace controllo e monitoraggio degli andamenti di finanza pubblica per l'anno 2006.

[340]L’articolo Indica poi il seguente elenco tassativo di modalità di copertura finanziaria delle leggi che importino nuove o maggiori spese, ovvero minori entrate :

a)   utilizzo degli accantonamenti iscritti nei fondi speciali di parte corrente (Tab. A) e parte capitale (Tab.B) contenuti nel provvedimento di legge finanziaria, escludendo sia l'utilizzo di accantonamenti del conto capitale per iniziative di parte corrente, sia l'utilizzo per finalità difformi di accantonamenti per regolazioni contabili e per provvedimenti in adempimento di obblighi internazionali;

b)   mediante riduzione di precedenti autorizzazioni legislative di spesa;

c)   mediante modificazioni legislative che comportino nuove o maggiori entrate; restando in ogni caso esclusa la copertura di nuove e maggiori spese correnti con entrate in conto capitale.

[341]Predisposta dalle amministrazioni competenti e verificata dal Ministero dell’economia.

[342]Nella relazione sono indicati i dati e i metodi utilizzati per la quantificazione, le loro fonti e ogni elemento utile per la verifica tecnica in sede parlamentare secondo le norme da adottare con i regolamenti parlamentari. Inoltre, ai sensi del comma 3, le Commissioni parlamentari competenti possono richiedere al Governo la relazione tecnica per tutte le proposte legislative e gli emendamenti al loro esame ai fini della verifica tecnica della quantificazione degli oneri da essi recati.

[343]Che, si ricorda, concerne le autorizzazioni di spesa per l’attuazione di leggi a carattere pluriennale.

[344]L. 14 gennaio 1994, n. 20, Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti.

[345]L. 24 dicembre 2007, n. 244, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008).

[346]Relazione sulla gestione finanziaria delle regioni a statuto ordinario. La più recente è quella relativa agli esercizi 2005-2006 e presentata al Parlamento il 2 luglio 2007 (Deliberazione n. 7/AUT/2007, Doc. CI, n.2, XV legislatura).

[347]Relazione sui risultati dell’esame della gestione finanziaria e dell’attività degli enti locali. La più recente, riferita agli anni 2005-2006 (Doc. XLVI-bis, n. 2), è stata trasmessa alla Presidenza il 2 luglio 2007.

[348]  Il finanziamento delle missioni militari internazionali di pace veniva operato, fino al 2003, facendo ricorso al Fondo di riserva per le spese impreviste.

L’articolo 3, comma 8, della legge n. 350/2003 (finanziaria per il 2004) ha innovato tale procedura, istituendo, per il 2004 un Fondo di riserva di 1.200 milioni di euro, da destinare alla prosecuzione di missioni internazionali di pace.

L’anno successivo, l’articolo 1, comma 233, della legge n. 311/2004 (finanziaria per il 2005) ha confermato il finanziamento del Fondo per le missioni internazionali di pace, per 1.200 milioni di euro per l'anno 2005.

Il comma 97 dell’articolo 1 della legge n. 266/2005 (finanziaria per il 2006) ha infine stanziato 1.000 milioni di euro per il finanziamento del suddetto fondo per il 2006.

[349]Sono compresi 100 milioni di euro utilizzabili a titolo di anticipazione ai sensi dell'art. 1, comma 1, del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248, a valere su Fondo missioni. Il D.L 248/2007, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 31/2008, aveva prorogato al 31 gennaio 2008 il termine per le autorizzazioni di spesa per le missioni militari di pace, in scadenza al 31 dicembre 2007, autorizzando le Amministrazioni competenti a sostenere una spesa mensile nel limite di un dodicesimo degli stanziamenti iscritti in bilancio nell'esercizio 2007 e comunque entro il limite complessivo di 100 milioni di euro.

[350]Recante Disposizioni urgenti in materia di interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione, nonché relative alla partecipazione delle Forze armate e di polizia a missioni internazionali.

[351]Nel caso di accertamento di minori economie, si prevede la riduzione delle dotazioni di bilancio relative ai trasferimenti agli enti pubblici, in maniera lineare, fino alla concorrenza degli importi sopra indicati, secondo quanto disposto dall’art. 1, co. 621, lett. a), della legge finanziaria 2007.

[352]Il comma individua tra i princìpi e criteri direttivi cui devono attenersi i regolamenti, la fusione di organismi svolgenti attività analoghe o complementari, la trasformazione in soggetti di diritto privato o la soppressione di organismi che non svolgono funzioni di rilevante interesse pubblico, e l’abrogazione delle disposizioni legislative che prescrivono il finanziamento, diretto o indiretto, a carico del bilancio dello Stato o di altre amministrazioni pubbliche, degli enti ed organismi pubblici soppressi e posti in liquidazione o trasformati in soggetti di diritto privato.

[353]Legge 27 dicembre 2006, n. 296

[354]Con Nota 24 gennaio 2007 il Ministro della pubblica istruzione ha trasmesso ai dirigenti degli uffici scolastici regionali e provinciali una sintesi delle disposizioni della legge finanziaria specificando le risorse afferenti ai due nuovi fondi. In particolare, nel Fondo per il funzionamento delle istituzioni scolastiche” affluiscono le risorse per:

-        funzionamento amministrativo didattico;

-        spese per le funzioni connesse al subentro nei contratti per le pulizie delle scuole stipulati dagli enti locali (cosiddetti appalti storici);

-        spese per la stabilizzazione dei lavoratori utilizzati in lavori socialmente utili – ex LSU – attualmente in servizio presso le istituzioni scolastiche;

-        spese per la sperimentazione didattica e metodologica nelle classi con alunni disabili.

[355]Decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 28 dicembre 2007, recante ripartizione in capitoli delle unità previsionali di base relative al bilancio 2008.

[356]Doc. XV, n. 198 della XV legislatura. Il testo del documento è disponibile all’indirizzo internet https://leg15.camera.it/_dati/leg15/lavori/documentiparlamentari/indiceetesti/015/198/INTERO.pdf.

[357]Nel corso dell’audizione, tenutasi in data 27 giugno 2006, presso l’VIII Commissione (Ambiente) della Camera, l’allora Ministro delle infrastrutture Antonio Di Pietro si soffermò sulla situazione finanziaria dell’Anas. Vedi resoconto stenografico della seduta all’indirizzo internet:

https://leg15.camera.it/_dati/leg15/lavori/stencomm/08/audiz2/2006/0627/INTERO.pdf.

[358]D.L. 20 maggio 1993, n. 148, Interventi urgenti a sostegno dell'occupazione, convertito in legge, con modificazioni, dall’articolo 1, comma 1, L. 19 luglio 1993, n. 236.

[359]Vedi l'articolo 20, comma 8, della legge 8 novembre 2000, n. 328 (Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali).

[360]Cfr. U.p.b 1.1.3 – Oneri comuni di parte corrente – cap. 3671 del Ministero della solidarietà sociale.

[361]Disposizioni urgenti per salvaguardare il potere di acquisto delle famiglie.

[362]Per la ripartizione in capitoli delle Unità previsionali di base relative al bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2008 (approvato con la legge 24 dicembre 2007, n. 245), cfr. il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze del 28 dicembre 2007.

[363]L. 30 dicembre 2004, n. 311.

[364]D.L. 1 ottobre 2007, n. 159, Interventi urgenti in materia economico-finanziaria, per lo sviluppo e l'equità sociale, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, L. 29 novembre 2007, n. 222.

[365]D.L. 31 dicembre 2007, n. 248, “Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria”, convertito, con modificazioni, dalla L. 28 febbraio 2008, n. 31.

[366]“Regolamento di attuazione della L. 11 febbraio 1994, n. 109 legge quadro in materia di lavori pubblici, e successive modificazioni”.

[367]  “Attuazione della delega conferita dall'art. 3, comma 27, della L. 8 agosto 1995, n. 335, in materia di dismissioni del patrimonio immobiliare degli enti previdenziali pubblici e di investimenti degli stessi in campo immobiliare”.

[368]  “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 1981)”.

[369]  Si segnala che il D.L. 27 maggio 2008, n. 93, recante Disposizioni urgenti per salvaguardare il potere di acquisto delle famiglie, reca all’articolo 5, comma 1, la riduzione delle autorizzazioni di spesa di una serie di disposizioni legislative, indicate nell’elenco 1 allegato al decreto-legge medesimo. Tra queste vi rientra anche l’articolo 1, commi 304-305, della legge finanziaria n. 244/2007 (legge finanziaria per il 2008), istitutivi del Fondo per la promozione e il sostegno dello sviluppo del trasporto pubblico locale. Ai sensi del combinato disposto dei commi 1 e 12 dell’articolo 5 del D.L. n. 93/2008, l’art. 1, commi 304 e 305 citati devo intendersi abrogati.

[370]  Si ricorda che le funzioni attribuite al Ministero dei trasporti sono state attribuite al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti dall’articolo 1, comma 3, del D.L. 16 maggio 2008, n. 85, recante Disposizioni urgenti per l'adeguamento delle strutture di Governo in applicazione dell'articolo 1, commi 376 e 377, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, e attualmente in corso di conversione.

[371]  Legge 27 dicembre 2006, n. 296, legge finanziaria 2007.

[372]  Legge 26 febbraio 1992, n. 211, recante Interventi nel settore dei sistemi di trasporto rapido di massa.

[373]  Legge 5 agosto 1978, n. 468, recante Riforma di alcune norme di contabilità generale dello Stato in materia di bilancio.

      L’articolo 11, comma 3, lett. f), della legge 468/1978, prevede il rifinanziamento, per un solo anno, di interventi di conto capitale per i quali nell'ultimo esercizio sia previsto uno stanziamento di competenza, nonché il rifinanziamento, per uno o più degli anni considerati nel bilancio pluriennale, di norme vigenti che prevedono interventi di particolare rilievo definiti di "sostegno dell'economia", classificati tra le spese in conto capitale.

[374]  Per completezza di esposizione si segnala che le altre lettere del comma 1032, non abrogate, prevedono i seguenti criteri di riparto:

a)   priorità al completamento dei programmi finanziati con la legge n. 194 del 1998 e con la legge n. 211 del 1996, relative ad interventi nel settore del trasporto pubblico locale e nel trasporto rapido di massa e ferroviario;

b)   condizioni di vetustà degli attuali parchi veicolari;

c)   congruenza con le effettive esigenze di domanda di trasporto.

[375]Legge 24 dicembre 2007, n. 244.

[376]Legge 27 dicembre 2006, n. 296. Gli interventi previsti dall’ articolo 1, commi 605-619, hanno per oggetto:

-        il numero di alunni per classe ed il rapporto numerico insegnanti di sostegno/alunni (comma 605, lettere a) e b));

-        le nuove assunzioni del personale docente ed ATA (comma 605,lettera c));

-        il monitoraggio delle supplenze brevi, la formazione docenti per l’insegnamento della lingua inglese (comma 605 lettere d), e));

-        la prospettiva di riduzione degli orari dell’istruzione professionale (comma 605 lettera f));

-        la riorganizzazione del sistema delle graduatorie e della valutazione dei titoli del personale docente (commi 605, lettera c) e 607),

-         la mobilità e la riconversione professionale e del personale docente (commi 608-609);

-        l’istituzione dell’Agenzia nazionale per lo sviluppo dell’autonomia scolastica ed il contestuale riordino degli enti di servizio del ministero della Pubblica istruzione (commi 610-615) e del relativo organico;

-        la riduzione del numero dei revisori di conti delle istituzioni scolastiche (commi 616-617);

-        la ridefinizione delle procedure concorsuali per l’accesso alla dirigenza scolastica e disposizioni transitorie relative alle nomine per il prossimo triennio (comma 605, lettera c) ultimi periodi; commi 618-619).

[377] Ai sensi dell’art. 17, co. 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, recante disciplina dell’attività di Governo, i regolamenti di delegificazione sono adottati con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il Consiglio di Stato, per la disciplina delle materie, non coperte da riserva assoluta di legge prevista dalla Costituzione, per le quali le leggi della Repubblica, autorizzando l'esercizio della potestà regolamentare del Governo, determinano le norme generali regolatrici della materia e dispongono l'abrogazione delle norme vigenti, con effetto dall'entrata in vigore delle norme regolamentari.

[378] Si ricorda che attualmente il Decreto Ministeriale 30 gennaio 1998, n. 39reca il testo coordinato delle disposizioni impartite in materia di ordinamento delle classi di concorso (ivi compresi insegnamenti tecnico-pratici) nelle scuole ed istituti di istruzione secondaria ed artistica; tali classi risultano complessivamente nel numero di 100.

[379] Si ricorda che l’art 7, co. 1, lettera a), della legge n. 53 del 2003 prevede che alla definizione del nucleo essenziale dei piani di studio scolastici per la quota nazionale relativamente agli obiettivi specifici di apprendimento, alle discipline e alle attività costituenti la quota nazionale dei piani di studio, agli orari, ai limiti di flessibilità interni nell'organizzazione delle discipline, si provveda mediante regolamenti di delegificazione da definire, ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sentite le Commissioni parlamentari competenti, nel rispetto dell’autonomia delle istituzioni scolastiche, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. Con DM 3 luglio 2007 sono state emanate Indicazioni - da utilizzare sperimentalmente- per la elaborazione dei curricoli per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo di istruzione, ordini di scuole per i quali è entrata a regime la cosidetta “riforma Moratti” (di cui alla legge 53/2003). Per le scuole secondarie di secondo grado, gli istituti tecnici e professionali, non essendo stata avviata la riforma citata, si fa riferimento ancora ad orari e piani di studio indicati dai decreti ministeriali istitutivi. Si ricorda, peraltro, che il DM 26 giugno 2000, n.234 aveva disposto che ordinamenti e relative sperimentazioni funzionanti nell'anno scolastico 1999/2000, sia con riferimento ai programmi di insegnamento che agli orari di funzionamento delle scuole di ogni ordine e grado, ivi compresa la scuola materna, costituissero, in prima applicazione dell'articolo 8 del decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275, i curricoli delle istituzioni scolastiche autonome. Si segnala, infine, che gli orari degli istituti professionali sono stati recentemente ritoccati (riducendo il tempo scuola da 40 a 36 ore con DM 25 maggio 2007, n.41, adottato ai sensi dell'art. 1, comma 605, lett. f), della legge finanziaria 2007.

[380]La disciplina della formazione delle classi è principalmente recata dal decreto ministeriale 24 luglio 1998. Quest’ultimo prevede in linea di massima per le classi di scuola materna un massimo di 25 alunni ed un minimo di 15; per la scuola elementare (ora denominata scuola primaria) un massimo di 25 alunni ed un minimo di 10; per la scuola secondaria di primo grado un massimo di 25 alunni ed un minimo di 15; per la scuola secondaria di secondo grado non meno di 25 allievi. Le classi che accolgano portatori di handicap (art. 10) possono essere costituite con meno di 25 alunni e, in casi particolari, di 20; disposizioni particolari sono poi dettate per la classi intermedie di ciascun ordine di scuole, per le sezioni ospedaliere e per le zone disagiate. L’art. 6 del decreto interministeriale 21 marzo 2005 (relativo alle dotazioni organiche dei docenti per l’anno scolastico 2004-2005) ha poi disposto che le prime classi nelle sezioni staccate, scuole coordinate, sezioni di indirizzo diverso, anche sperimentali, delle scuole di istruzione secondaria di secondo grado siano costituite con un numero di alunni non inferiore a 20, da elevare a 27 in caso di classi iniziali articolate in gruppi di diversi indirizzi (di almeno 12 alunni ciascuno). E’ stato inoltre previsto l’accorpamento delle classi intermedie e finali qualora se ne preveda il funzionamento con un numero ridotto. Si ricorda, infine, che l’art. 1, comma 605, lettera a), della legge finanziaria 2007 ha prescritto la revisione dei parametri per la formazione delle classi e l’innalzamento del valore medio del rapporto alunni/classe dello 0,4 (da 20,6 a 21 alunni per classe) dall’anno scolastico 2007/2008 (tale adempimento è affidato ad un decreto del Ministro della pubblica istruzione di concerto con il Ministro dell’economia e finanze ). Con circolare n 19 del 1 febbraio 2008 il ministro della pubblica istruzione ha trasmesso agli uffici scolastici regionali lo schema di decreto interministeriale concernente gli organici dei docenti per l’anno scol. 2008-2009, inoltrato al concerto del Ministro dell’economia e finanze.

[381]L’organizzazione didattica della scuola primaria è disciplinata dagli artt. 5-8 e 13 del DLgs 59/2004 (recante riordino della scuola dell'infanzia e sul primo ciclo dell'istruzione ai sensi della legge 53/2003). Il D.Lgs. prevede 891 ore di didattica annuali e 99 ore facoltative; l’art. 1, comma 1, del DL 147/2007, convertito con modificazioni dalla legge 176/2007 ha poi disposto la reintroduzione nella scuola primaria delle classi funzionanti a tempo pieno (40 ore settimanali, compreso il tempo mensa) e delle classi a tempo prolungato facendo riferimento al modello didattico anteriore al D.Lgs. 59/2004 ( art.130, comma 2 del D.Lgs. 297/1994).

[382]La consistenza delle dotazioni organiche del personale docente e ATA è determinata annualmente da un decreto, adottato di concerto dal Ministro dell’istruzione e dal Ministro dell’economia e delle finanze, sulla base delle indicazioni recate da disposizioni di legge (si citano da ultimo, a titolo di esempio, l’art.1, comma 605, della legge finanziaria 2007 e l’art. 2 commi 411 -414 della legge finanziartia 2008). Con circolare n 19 del 1 febbraio 2008 (citata sopra) il ministro della pubblica istruzione ha trasmesso agli uffici scolastici regionali lo schema di decreto interministeriale concernente gli organici dei docenti per l’anno scol.2008-2009, inoltrato al concerto del Ministro dell’economia e finanze.

[383]Con riguardo a tale punto si ricorda che l'articolo 1, comma 632, della legge finanziaria 2007 ha affidato ad un decreto ministeriale la riorganizzazione dei centri territoriali permanenti per l'educazione degli adulti e dei corsi serali, attribuendo comunque a questi ultimi autonomia amministrativa, organizzativa e didattica, nonché un proprio organico da determinare in sede di contrattazione collettiva nazionale. A tale riorganizzazione ha provveduto il DM 25 ottobre 2007.

[384]D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche.

[385]D.L. 1 ottobre 2007, n. 159, recante interventi urgenti in materia economico-finanziaria, per lo sviluppo e l'equita' sociale, convertito con modificazioni dalla legge 29 novembre 2007, n. 222.

[386]Gli enti richiamati sono: ente EUR; enti autonomi lirici ed istituzioni concertistiche assimilate; Agenzia spaziale italiana; Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato; Unione italiana delle camere di commercio, industria, artigianato ed agricoltura; Comitato nazionale per la ricerca e lo sviluppo dell'energia nucleare e delle energie alternative (ENEA); Azienda autonoma di assistenza al volo per il traffico aereo generale e Registro aeronautico italiano (RAI); CONI; Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (CNEL); Ente nazionale per l'aviazione civile (E.N.A.C.).

[387]  I requisiti richiesti sono quelli previsti dall’articolo 1, comma 519, della stessa L. 296/2006, ai sensi del quale il richiamato personale deve almeno trovarsi in una delle seguenti situazioni:

-        sia già in servizio a tempo determinato da almeno tre anni, anche non continuativi;

-        che consegua tale requisito sulla base di contratti stipulati anteriormente alla data del 29 settembre 2006;

-        che sia stato in servizio per almeno tre anni, anche non continuativi, nel quinquennio anteriore alla data di entrata in vigore del provvedimento in esame.

[388]Introdotto dall’articolo 20, comma 1, lettera e), della legge finanziaria per il 2000 (L. 488/1999), il comma 3-ter dell’articolo 39 disciplina sia i requisiti delle richieste di autorizzazione alle assunzioni che le amministrazioni presentano alla Presidenza del Consiglio, sia l’istruttoria che viene compiuta su tali richieste prima delle relative delibere di autorizzazione. Le richieste di autorizzazione devono essere corredate da una relazione illustrativa che contenga, in sintesi, le iniziative ispirate ai principi di semplificazione e funzionalità che fungono da cornice alle richieste di nuovo personale.

      La stessa lettera e), inoltre, disciplina la procedura di approvazione dei contratti integrativi delle amministrazioni statali, anche ad ordinamento autonomo, nonché degli enti pubblici non economici con organico superiore a duecento unità. Per tali contratti si prevede, in particolare, che, una volta sottoscritti, siano trasmessi alla Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica e al Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica. I contratti devono essere corredati di una apposita relazione tecnico-finanziaria sugli oneri derivanti dall'applicazione della nuova classificazione del personale.

[389]  Tale comma, dispone che le determinazioni relative all'avvio di procedure di reclutamento sono adottate da ciascuna amministrazione o ente sulla base della programmazione triennale del fabbisogno di personale deliberata ai sensi dell'articolo 39 della L. 449/1997. Il secondo periodo del comma 4, così come modificato dall’articolo 1, comma 104, della L. 311/2004 reca una specifica disciplina per l’avvio delle procedure concorsuali da parte delle amministrazioni pubbliche. Si prevede infatti che per le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, le agenzie, compresa l’agenzia autonoma per la gestione dell’albo dei segretari comunali e provinciali, gli enti pubblici non economici e gli enti di ricerca con organico superiore alle 200 unità, l’avvio delle procedure concorsuali sia subordinato all’emanazione di un apposito DPCM, da adottare di concerto tra il Ministro per la funzione pubblica ed il Ministro dell’economia. La disposizione, tra l’altro, amplia il novero delle PP.AA. per le quali l’avvio delle procedure concorsuali è subordinato all’emanazione di apposito provvedimento..

[390]“Regolamento recante norme sull'accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le modalità di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di assunzione nei pubblici impieghi”.

[391]“Nuove norme in favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata”.

[392]Norme per l'istituzione del servizio militare professionale”.

[393]  L'art. 5 della legge n. 537 del 1993 ha istituito il fondo per il finanziamento ordinario delle università (che rappresenta la quota più consistente della parte attiva del bilancio degli atenei, seguita solo dalle somme pagate dagli studenti sotto forma di tasse e contributi); quest’ultimo è finanziato annualmente in tabella C della legge finanziaria ed è articolato in:

-        una quota base, da ripartirsi tra le università in misura proporzionale alla somma dei trasferimenti statali e delle spese sostenute direttamente dallo Stato per ciascuna università nell'esercizio 1993;

-        una quota di riequilibrio da ripartirsi con riferimento a standard di costi di produzione per studente e a obiettivi di qualificazione della ricerca, tenuto conto delle dimensioni e delle condizioni ambientali e strutturali. Il riequilibrio è finalizzato anche alla riduzione dei differenziali dei costi standard di produzione nelle diverse aree disciplinari, tenendo conto delle diverse specificità e degli standard europei.

[394]Si ricorda, al riguardo, che l’articolo 51, comma 4, della L. 449/1997, ha prescritto che le spese fisse e obbligatorie per il personale di ruolo delle università statali non possano eccedere il 90% dei trasferimenti statali sul fondo per il finanziamento ordinario delle università. Inoltre, l’articolo 5 del D.L. 97/2004 ha introdotto due deroghe a tale limite per l’esercizio finanziario 2004; successivamente l’articolo 10 del D.L. 266/2004 ha prorogato tali deroghe fino al 31 dicembre 2005.

[395]  Decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (rapporto di lavoro) L. 15-5-1997 n. 127, art. 3, comma 6 (reclutamento). Norme particolari sui ricercatori sono stabilite all'articolo 15 della legge 24 giugno 1997, n. 196, al decreto legislativo 27 luglio 1999, n. 297, e all'articolo 51, comma 6, della legge 27 dicembre 1997, n. 449.

[396]  Si ricordano tra gli altri: Consiglio nazionale delle ricerche (C.N.R.), D.Lgs. del 4 giugno 2003, n. 127; Agenzia spaziale italiana (A.S.I.), D.Lgs. 4 giugno 2003, n. 128; Istituto nazionale di astrofisica (I.N.A.F.), D.Lgs. 4 giugno 2003, n. 138; Ente per le nuove tecnologie, l’energia e l’ambiente (ENEA), D.Lgs. 3 settembre 2003, n. 257; Istituto nazionale di ricerca metrologica (I.N.RI.M.), D.Lgs. 21 gennaio 2004, n. 38.

[397]  “Disposizioni per il coordinamento, la programmazione e la valutazione della politica nazionale relativa alla ricerca scientifica e tecnologica, a norma dell'articolo 11, comma 1, lettera d), della L. 15 marzo 1997, n. 59”.

[398]  D.L. 4 luglio 2006, n. 223, Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale (conv. con mod. in L. 4 agosto 2006, n. 248).

[399]La norma non si applica altresì agli organi di direzione, amministrazione e controllo e ai commissari straordinari del Governo (quest’ultima esclusione è stata introdotta dalla legge finanziaria per il 2007, art. 1, co. 421).

[400]  L. 23 agosto 1988 n. 400, Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

[401]  Criteri che si ispirano a quelli già presenti in disposizioni con finalità analoghe della L. 59/1997.

[402]  L. 16 gennaio 2003, n. 3, Disposizioni ordinamentali in materia di pubblica amministrazione.

[403]  D.P.R. 26 giugno 2006, n. 236, Regolamento recante modifiche ed integrazioni al decreto del Presidente della Repubblica 6 ottobre 2004, n. 258, in materia di funzioni dell'Alto Commissario per la prevenzione ed il contrasto della corruzione e delle altre forme di illecito nella pubblica amministrazione.

[404]  D.L. 14 marzo 2005, n. 35, Disposizioni urgenti nell'àmbito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale, convertito, con modificazioni, dalla L. 14 maggio 2005, n. 80.

[405]  D.L. 10 gennaio 2006, n. 2, Interventi urgenti per i settori dell'agricoltura, dell'agroindustria, della pesca, nonché in materia di fiscalità d'impresa, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 11 marzo 2006, n. 81.

[406]  D.P.R. 14 maggio 2007, n. 78, Regolamento per il riordino degli organismi operanti presso il Ministero dello sviluppo economico, a norma dell'articolo 29 del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla L. 4 agosto 2006, n. 248.

[407]  L. 9 marzo 1971, n. 98, Provvidenze per il personale dipendente da organismi militari operanti nel territorio nazionale nell'ambito della Comunità atlantica.

[408]“Definitivo riordinamento delle pensioni di guerra, in attuazione della delega prevista dall'art. 1 della legge 23 settembre 1981, n. 533”. Si ricorda che la Tabella A allegata al richiamato D.P.R. ha provveduto a sostituire integralmente al corrispondente Tabella A allegata al D.P.R. 23 dicembre 1978, T.U. delle norme in materia di pensioni di guerra.

[409]“Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato”.

[410]“Norme di esecuzione del testo unico delle disposizioni sullo statuto degli impiegati civili dello Stato, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3”.

[411]Non si tratta di un risarcimento, ma di un semplice indennizzo in quanto la Pubblica Amministrazione agisce in un campo di cui ha la prerogativa costituzionale; non esiste una colpa, una responsabilità soggettiva, ma solo una responsabilità oggettiva; il diritto del dipendente non è integro, ma affievolito dalla necessità del pubblico interesse, per cui anche il ripristino del danno è affievolito.

[412]“Regolamento recante semplificazione dei procedimenti per il riconoscimento della dipendenza delle infermità da causa di servizio, per la concessione della pensione privilegiata ordinaria e dell'equo indennizzo, nonché per il funzionamento e la composizione del comitato per le pensioni privilegiate ordinarie”.

[413]“Tabelle degli stipendi, relative norme di carriera per il personale contemplato dalla L. 13 agosto 1921, n. 1080, sulla riforma dell'amministrazione dello Stato, semplificazione dei servizi e riduzione del personale”.

[414]“Approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti gli stipendi ed assegni fissi per il regio esercito”.

[415]“Applicabilità ai mutilati ed invalidi per servizio ed ai congiunti dei caduti per servizio dei benefici spettanti ai mutilati ed invalidi di guerra ed ai congiunti dei caduti in guerra”.

[416]L’articolo 1, comma 2, del D.Lgs. 165/2001 chiarisce che per amministrazioni pubbliche debbono intendersi tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l’ARAN e le Agenzie istituite dal D.Lgs. 300/1999 (Agenzia industrie difesa; Agenzia per le normative e i controlli tecnici; Agenzia per la proprietà industriale; Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici; Agenzia dei rapporti terrestri e delle infrastrutture; Agenzia per la formazione e l’istruzione professionale; Agenzie fiscali (entrate, dogane, territorio, demanio).

[417]“Disciplina delle visite mediche di controllo dei lavoratori da parte dell'Istituto nazionale della previdenza sociale, ai sensi dell'art. 5, comma 12 e seguenti, del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463 , convertito, con modificazioni, nella legge 11 novembre 1983, n. 638”.

[418]Si ricorda che per il diritto amministrativo l’esonero si configura come l'atto o la previsione normativa con i quali un ente concede la dispensa o l'esenzione da un obbligo o da un adempimento.

[419]Gli enti di cui all’art. 70, comma 4, del D.Lgs. 165/2001 sono: ente EUR; enti autonomi lirici ed istituzioni concertistiche assimilate; Agenzia spaziale italiana; Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato; Unione italiana delle camere di commercio, industria, artigianato ed agricoltura; Comitato nazionale per la ricerca e lo sviluppo dell'energia nucleare e delle energie alternative (ENEA); Azienda autonoma di assistenza al volo per il traffico aereo generale e Registro aeronautico italiano (RAI); CONI; Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (CNEL); Ente nazionale per l'aviazione civile (E.N.A.C.).

[420]L’articolo 1, comma 2, del D.Lgs. 165/2001 chiarisce che per amministrazioni pubbliche debbono intendersi tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l’ARAN e le Agenzie istituite dal D.Lgs. 300 del 1999 (Agenzia industrie difesa; Agenzia per le normative e i controlli tecnici; Agenzia per la proprietà industriale; Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici; Agenzia dei rapporti terrestri e delle infrastrutture; Agenzia per la formazione e l’istruzione professionale; Agenzie fiscali (entrate, dogane, territorio, demanio).

[421]“Norme per il riordinamento del sistema previdenziale dei lavoratori privati e pubblici, a norma dell'articolo 3 della L. 23 ottobre 1992, n. 421”.

[422]In maniera corrispondente si elimina la destinazione della quota del 20% al miglioramento della produttività individuale e collettiva.

[423]  D.L. 4 luglio 2006, n. 223, Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale (conv. con mod. in L. 4 agosto 2006, n. 248).

[424]La norma non si applica altresì agli organi di direzione, amministrazione e controllo e ai commissari straordinari del Governo (quest’ultima esclusione è stata introdotta dalla legge finanziaria per il 2007, art. 1, comma 421).

[425]  L. 23 agosto 1988 n. 400, Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

[426]  Tale disciplina trova un precedente nell’art. 18, co. 1 della L. 448/2001, che aveva disposto il divieto per le pubbliche amministrazioni – escluse regioni, province, comuni e comunità montane – di istituire nuovi organismi e l’obbligo di individuare quelli di carattere tecnico indispensabili per la realizzazione dei propri obiettivi istituzionali. Il divieto contenuto nella norma in questione è peraltro mantenuto fermo dall’articolo 29 del D.L. 223/2006.

[427]  D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche.

[428]  Ai sensi di tale comma, l'organizzazione e la disciplina degli uffici dei Ministeri sono determinate, con regolamenti di delegificazione, su proposta del Ministro competente d'intesa con il Presidente del Consiglio dei ministri e con il Ministro del tesoro, nel rispetto dei princìpi posti dal D.Lgs. 165/2000, con i contenuti e con l'osservanza dei criteri che seguono:

      a) riordino degli uffici di diretta collaborazione con i Ministri ed i Sottosegretari di Stato, stabilendo che tali uffici hanno esclusive competenze di supporto dell'organo di direzione politica e di raccordo tra questo e l'amministrazione;

      b) individuazione degli uffici di livello dirigenziale generale, centrali e periferici, mediante diversificazione tra strutture con funzioni finali e con funzioni strumentali e loro organizzazione per funzioni omogenee e secondo criteri di flessibilità eliminando le duplicazioni funzionali;

      c) previsione di strumenti di verifica periodica dell'organizzazione e dei risultati;

      d) indicazione e revisione periodica della consistenza delle piante organiche;

      e) previsione di decreti ministeriali di natura non regolamentare per la definizione dei compiti delle unità dirigenziali nell'ambito degli uffici dirigenziali generali.

      Gli schemi dei regolamenti sono sottoposti a parere delle Commissioni parlamentari competenti.

[429]  Ai sensi dei co. 2, 3 e 4 dell’art. 28 del D.Lgs. 165/2001.

[430]  D.L. 31 dicembre 2007, n. 248, Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria, conv. con mod. in L. 28 febbraio 2008, n. 31.

[431]  Si tratta delle seguenti amministrazioni:

-        amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo;

-        agenzie, comprese le agenzie fiscali;

-        enti pubblici non economici;

-        enti di ricerca;

-        enti pubblici di cui all’articolo 70, comma 4, del D.Lgs. 165 del 2001.

[432]  Il comma 96 dell’articolo 1 della legge finanziaria per il 2005 ha previsto una deroga di carattere generale al divieto di procedere ad assunzioni per il triennio 2005-2007 (c.d. “blocco del turn over”) di cui al precedente comma 95, disponendo che le amministrazioni per le quali era previsto il “blocco del turn-over” – previo effettivo ricorso alle procedure di mobilità ed al fine di fronteggiare indifferibili esigenze di servizio di particolare rilevanza ed urgenza - nel triennio 2005-2007 potevano assumere personale entro un limite complessivo di spesa annua lorda pari a 120 milioni di euro a regime. A tal fine era stato istituito un apposito Fondo nello stato di previsione della spesa del Ministero dell’economia.

[433]Va ricordato, infatti, che con la legge finanziaria per il 2007, gli obiettivi di risparmio relativi alla spesa di personale delle regioni e degli enti locali, che negli anni precedenti erano stati perseguiti attraverso una dettagliata disciplina vincolistica (recata dall’articolo 1, comma 98, della legge n. 311/2004 e, successivamente, dall’articolo 1, commi da 198 a 206, della legge n. 266/2005), sono di fatto confluiti nelle regole del patto di stabilità interno e nei rispettivi saldi finanziari da rispettare.

[434]Tale disposizione prevede che, a decorrere dal 2002, gli organi di revisione contabile degli enti locali sono tenuti ad accertare che i documenti di programmazione del fabbisogno di personale siano improntati al rispetto del principio di riduzione programmata della spesa di personale, disposta ai sensi dell'art. 39 della legge n. 449/1997, e che eventuali deroghe a tale principio siano analiticamente motivate.

[435]Con il D.M. 10 giugno 2003, n. 217 è stato approvato il Regolamento concernente la definizione dei parametri obiettivi, validi per il triennio 2001-2003, ai fini dell'accertamento della condizione di ente strutturalmente deficitario, ai sensi dell'articolo 242 del Testo unico sull'ordinamento degli enti locali, il cui comma 1 prevede che sono da considerarsi in condizioni strutturalmente deficitarie gli enti locali che presentano gravi e incontrovertibili condizioni di squilibrio, rilevabili da una apposita tabella da allegare al certificato di rendiconto di gestione, contenente parametri obiettivi dei quali almeno la metà presentino valori deficitari. L’articolo 1, comma 714, della legge finanziaria per il 2007 ha esteso agli anni successivi la validità di tali parametri.

[436]  D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali (nel prosieguo: TUEL).

[437]  In questo senso anche l’art. 1, comma 2, del TUEL.

[438]D.M. 4 aprile 2000, n. 119, Regolamento recante norme per la determinazione della misura dell'indennità di funzione e dei gettoni di presenza per gli amministratori locali, a norma dell'articolo 23 della L. 3 agosto 1999, n. 265.

[439]Il co. 10 dell’art. 82 prevede l’adeguamento, ogni tre anni, degli importi delle indennità e dei gettoni di presenza attraverso l’emanazione di un nuovo D.M. L’adeguamento è effettuato sulla base della media degli indici annuali dell’ISTAT di variazione del costo della vita.

      Gli importi delle indennità e dei gettoni di presenza possono essere rivisti anche su richiesta della Conferenza Stato-città (art. 82, comma 9).

      Non essendo stato emanato, dopo il 2000, un nuovo D.M., attualmente continua ad applicarsi il D.M. 119/2000 con le relative tabelle e importi.

[440]  Le disposizioni del Titolo VIII del D.Lgs. n. 267/2000 (artt. 242-269) recano la disciplina del risanamento finanziario degli enti locali deficitarii o in situazione di dissesto finanziario. In sintesi, si ricorda che la gestione dello stato di dissesto è affidata all’organo straordinario di liquidazione, nominato con decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Ministro dell'interno, che, verificata la situazione debitoria dell’ente, provvede all’accertamento della massa passiva, attraverso la formulazione di un piano di rilevazione, e alla acquisizione dei mezzi finanziari disponibili per il risanamento (artt. 254-255). A seguito del definitivo accertamento della massa passiva e dei mezzi finanziari disponibili, e comunque entro 24 mesi dall’insediamento, l’organo straordinario di liquidazione predispone il piano di estinzione delle passività, che viene sottoposto al Ministero dell’interno, cui spetta approvarlo, previo parere della Commissione per la finanza e gli organici degli enti locali (artt. 256-257). A seguito dell’approvazione del piano di estinzione, l’organo straordinario di liquidazione provvede al pagamento delle residue passività, sino alla concorrenza della massa attiva realizzata. Entro 60 giorni dalla conclusione delle operazioni di pagamento, l’organo straordinario di liquidazione è tenuto ad approvare il rendiconto della gestione, che è sottoposto al controllo di revisione contabile dell’ente.

Nel caso in cui l’insufficienza della massa attiva, non diversamente rimediabile, sia tale da compromettere il risanamento dell’ente, il Ministro dell’interno, su proposta della Commissione per la finanza e gli organici degli enti locali, può stabilire misure straordinarie per il pagamento integrale della massa passiva della liquidazione, anche in deroga alle norme vigenti, comunque senza oneri a carico dello Stato.

Mentre l’organo straordinario di liquidazione provvede al ripiano dell’indebitamento pregresso, gli organi istituzionali dell’ente assicurano condizioni stabili di equilibrio della gestione finanziaria,rimuovendo le cause strutturali che hanno determinato il dissesto. Entro il termine di tre mesi dalla nomina dell’organo straordinario di liquidazione, il consiglio dell’ente è tenuto a presentare al Ministro dell’interno un’ipotesi di bilancio di previsione stabilmente riequilibrato. Il riequilibrio viene realizzato mediante l’attivazione di entrate proprie e la riduzione delle spese correnti, anche attraverso la rideterminazione della dotazione organica da sottoporsi all’esame della Commissione per la finanza egli organici degli enti locali, secondo una disciplina che vincola la gestione del bilancio dal momento della deliberazione del dissesto fino a quella dell’approvazione del bilancio riequilibrato. Il testo unico stabilisce le prescrizioni e i limiti conseguenti al risanamento dell’ente locale, a seguito dell’emanazione del decreto ministeriale di approvazione dell’ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato (artt. 259-267).

Si ricorda, infine, che nel caso in cui l'organo straordinario di liquidazione non possa concludere entro i termini di legge la procedura del dissesto per l'onerosità degli adempimenti connessi alla compiuta determinazione della massa attiva e passiva dei debiti pregressi, il Ministro dell'interno, d'intesa con il sindaco dell'ente locale interessato, dispone con proprio decreto una chiusura anticipata e semplificata. La prosecuzione della gestione è affidata ad una apposita commissione, nominata dal Presidente della Repubblica su proposta del Ministro dell'interno (procedura straordinaria di cui agli artt. 268-bis e 268-ter).

[441]I debiti fuori bilancio sono quelli derivanti da:

-        sentenze esecutive;

-        copertura di disavanzi di consorzi, di aziende speciali e di istituzioni, purché sia stato rispettato l'obbligo di pareggio del bilancio ed il disavanzo derivi da fatti di gestione;

-        ricapitalizzazione di società di capitali costituite per l'esercizio di servizi pubblici locali;

-        procedure espropriative o di occupazione d'urgenza per opere di pubblica utilità;

-        acquisizione di beni e servizi, nei limiti degli accertati e dimostrati utilità ed arricchimento per l'ente, nell'ambito dell'espletamento di pubbliche funzioni e servizi di competenza.

[442]  Il Fondo per interventi strutturali di politica economica è stato istituito dall’articolo 10, comma 5, del D.L. n. 282 del 2004 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 307/2004), al fine di agevolare il perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, anche mediante interventi volti alla riduzione della pressione fiscale.

[443]Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla L.Cost. 18 ottobre 2001, n. 3.

[444]Il cosiddetto Patto per la salute ha ridefinito il finanziamento del Servizio sanitario nazionale ed ha confermato la disciplina delineata dall’Intesa Stato-regioni del 23 marzo 2005 (e dalle successive disposizioni legislative) in ordine alle misure di contenimento della spesa sanitaria, ai criteri di verifica e alle modalità di copertura di eventuali deficit. E’ stata inoltre concordata un’ulteriore contribuzione a carico dello Stato, al fine di garantire il ripiano dei disavanzi delle regioni in difficoltà economico-finanziaria.

[445]Il rapporto del personale convenzionato con il Servizio sanitario nazionale (medici di medicina generale, pediatri di libera scelta, medici specialisti ambulatoriali interni e altre professioni sanitarie), non dipendente dal medesimo, è disciplinato da apposite convenzioni conformi agli accordi collettivi nazionali stipulati ai sensi dell'articolo 4, comma 9, della legge 30 dicembre 1991, n. 412 (Disposizioni in materia di finanza pubblica), e successive modificazioni, con le organizzazioni sindacali di categoria maggiormente rappresentative in campo nazionale. Detti accordi hanno durata quadriennale per la parte normativa e durata biennale per la parte economica. In sede di prima applicazione la durata, per le parti normativa ed economica, è definita fino al 31 dicembre 2005, come precisato dall’articolo 1, comma 178 della legge 30 dicembre 2004 n. 311 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005).

[446]Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici.

[447](Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici), convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326.

[448]Attuazione dell'articolo 1, comma 810, lettera c), della legge 27 dicembre 2006, n. 296, in materia di regole tecniche e trasmissione dati di natura sanitaria, nell'ambito del Sistema pubblico di connettività.

[449]Tale codice è contenuto nel decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82.

[450]Poi modificato dal decreto ministeriale 19 aprile 2006, n. 95.

[451]Il D.M. 30 giugno 2004, il D.M. 28 ottobre 2004, il D.M. 21 aprile 2005 e il D.M. 28 aprile 2006, hanno riguardato l'estensione del programma di attivazione del Progetto Tessera sanitaria in diverse regioni italiane.

[452]Convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2007, n. 222.

[453]Interventi urgenti in materia economico-finanziaria, per lo sviluppo e l'equità sociale, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2007, n. 222.

[454]Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.

[455]Il secondo comma dell’articolo 120 disciplina l’esercizio da parte dello Stato di poteri sostitutivi rispetto agli organi delle regioni, delle città metropolitane, delle province e dei comuni. Tali poteri sono attivabili quando si riscontri che tali enti non abbiano adempiuto a norme e trattati internazionali o alla normativa comunitaria oppure vi sia pericolo grave per la sicurezza e l’incolumità pubblica, ovvero lo richieda la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e, in particolare, la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali. La disposizione costituzionale demanda ad una successiva legge statale la disciplina dell’esercizio dei poteri sostituitivi, nel rispetto dei principi di sussidiarietà e di leale collaborazione.

[456]Si ricorda che l’articolo 12 dell’Intesa del 23 marzo 2005 ha istituito un Tavolo di verifica degli adempimenti presso la Ragioneria generale dello Stato al quale le regioni forniscono le informazioni necessarie all’effettuazione della verifica e che istruisce le determinazioni correttive rimesse successivamente ad un Tavolo politico, composto da rappresentanti del Governo e delle Regioni. In particolare, il Tavolo di verifica degli adempimenti richiede ed esamina la documentazione necessaria alla verifica degli adempimenti, effettua una valutazione del risultato di gestione, riferisce sull'esito delle verifiche al Tavolo politico, che esprime il suo parere entro il 30 settembre dell'anno successivo a quello di riferimento. L’articolo 9 della citata Intesa del 23 marzo 2005 ha istituito, presso il Ministero della salute, il Comitato permanente per la verifica dell’erogazione dei livelli essenziali di assistenza cui è affidato il compito di vigilare sull’erogazione dei LEA, in condizioni di appropriatezza e di efficienza nell’utilizzo delle risorse, nonché sulla congruità tra le prestazioni da erogare e le risorse messe a disposizione dal Servizio sanitario nazionale. Il Comitato, istituito con decreto del Ministro della salute del 21 novembre 2005, è composto da rappresentanti del Ministero della salute, del Ministero dell’economia e delle finanze, del Dipartimento per gli affari regionali della Presidenza del Consiglio dei ministri e delle Regioni. Al Comitato sono affidati, tra l’altro, i seguenti compiti: certificazione e verifica degli adempimenti cui sono tenute le Regioni per il triennio 2005-2007 ai fini dell’accesso all’incremento delle risorse finanziarie a carico del bilancio dello Stato, da riportare al Tavolo tecnico presso il Ministero dell’economia e finanze; verifica della realizzazione dei piani regionali di contenimento delle liste di attesa; monitoraggio del rapporto costi/livelli essenziali di assistenza.

[457]Si ricorda che in Piani analoghi sono stati già effettuati in passato: cfr. l’articolo 52 della legge 449 del 1997 e l’articolo 37 della legge n. 448 del 1998.

[458]Regolamento recante norme sul riordinamento dei procedimenti in materia di riconoscimento delle minorazioni civili e sulla concessione dei benefici economici.

[459]  D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, recante Nuovo codice della strada.

[460]  Legge 23 dicembre 1998, n. 448, legge c.d. collegata alla legge finanziaria per il 1999.

[461]Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59.

[462]Recante, Norme per il contrasto all’evasione fiscale e disposizioni in materia tributaria e finanziaria, e convertito, con modificazioni, dall'articolo 1 della legge 2 dicembre 2005, n. 248.

[463]Di cui all'articolo 1, comma 7, della legge 15 ottobre 1990, n. 295, in materia di revisione delle categorie delle minorazioni e malattie invalidanti.

[464]Le Commissioni di verifica ricevono ed esaminano i verbali delle Commissioni delle ASL; possono convalidare i verbali oppure sospenderli per accertamenti ulteriori. Trascorsi 60 giorni dalla ricezione, in assenza di sospensione, il suddetto verbale è ritenuto accolto. Può inoltre effettuare visite a campione previste dalla normativa vigente.

[465]  Convertito, con modificazioni, dalla legge 9 marzo 2006, n. 80.

[466]Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate.

[467]Il Consiglio europeo dell’8-9 marzo 2007, con il piano d’azione globale in materia di energia per il periodo 2007-2009, ha definito l’obiettivo strategico per la politica energetica europea: ridurre almeno del 20%, entro il 2020,le emissioni di gas serra derivanti dal consumo di energia nell’UE rispetto ai livelli del 1990, all’interno di un’azione internazionale volta a raggiungere l’obiettivo di ridurre del 30 % le emissioni di gas serra a livello globale, di cui l’UE deve farsi promotrice.

[468]Il piano d’azione, tra l’altro, stabilisce obiettivi quantificati altamente ambiziosi e, in particolare:

-        obiettivo di risparmio dei consumi energetici dell'UE del 20% rispetto alle proiezioni per il 2020;

-        obiettivo vincolante che prevede una quota del 20% di energie rinnovabili nel totale dei consumi energetici dell'UE entro il 2020;

-        obiettivo vincolante che prevede una quota minima del 10% per i biocarburanti nel totale dei consumi di benzina e gasolio per autotrazione dell'UE entro il 2020.

[469]Ai sensi dell’articolo 3 della legge n. 212/2000 le disposizioni tributarie non possono avere effetto retroattivo e le modifiche concernenti i tributi periodici si applicano a partire dal periodo d'imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle disposizioni che le prevedono.

[470]D.P.R. n. 917 del 1986.

[471]Esercizio delle opzioni previste dall'articolo 5 del regolamento (CE) n. 1606/2002 in materia di principi contabili internazionali.

[472]L’articolo 1, comma 33, della legge n. 244/2007 (legge finanziaria per il 2008) ha modificato, con decorrenza 2008, il regime di deducibilità degli interessi passivi sostenuti dalle imprese introducendo, in luogo della thin capitalization e del pro-rata patrimoniale, disposizioni dirette a stabilire un tetto massimo di importo deducibile da determinare in funzione del risultato operativo lordo (c.d. ROL). Dall’applicazione della nuova disciplina risultavano escluse, tra le altre, le società operanti nei settori bancari, finanziario, creditizio.

[473]Attuazione della direttiva n. 86/635/CEE, relativa ai conti annuali ed ai conti consolidati delle banche e degli altri istituti finanziari, e della direttiva n. 89/117/CEE, relativa agli obblighi in materia di pubblicità dei documenti contabili delle succursali, stabilite in uno Stato membro, di enti creditizi ed istituti finanziari con sede sociale fuori di tale Stato membro.

[474]DPR n. 917/1986. L’articolo 96, interamente sostituito dalla legge finanziaria per il 2008, reca la disciplina fiscale degli interessi passivi.

[475]Istituzione dell'imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell'Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali. Gli articoli 6 e 7 disciplinano la determinazione della base imponibile IRAP, rispettivamente, per le banche e per le imprese di assicurazione.

[476]I soggetti obbligati ad effettuare il versamento dell’acconto sono:

-        la società Poste italiane s.p.a.

-        le banche;

-        le società di gestione previste dalla legge 23 marzo 1983, n. 77, recante istituzione e disciplina dei fondi comuni d'investimento mobiliare;

-        le società finanziarie capogruppo dei gruppi bancari iscritti nell'albo;

-        le società previste dalla legge 2 gennaio 1991, n. 1, recante disciplina dell'attività di intermediazione mobiliare e disposizioni sull'organizzazione dei mercati mobiliari;

-        i soggetti operanti nel settore finanziario previsti dal titolo V del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (D.Lgs. n. 385 del 1° settembre 1993 - TUB);

-        le società esercenti le altre attività finanziarie indicate nell'articolo 59, comma 1, lettera b), dello stesso testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia.

[477]Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52 (c.d. Legge Draghi – TUF).

[478]L’obbligo di redigere tali prospetti è disposto dall’articolo 6, comma 1, lettera c) numero 3 del D.Lgs. n. 58/1998.

[479]Decreto del Ministro del tesoro, bilancio e programmazione economica “Regolamento recante norme per la determinazione dei criteri generali cui devono essere uniformati i fondi comuni di investimento“.

[480]Ai sensi dell’articolo 1 del D.Lgs. n. 58/1998 il fondo comune di investimento corrisponde ad un “patrimonio autonomo, suddiviso in quote, di pertinenza di una pluralità di partecipanti, gestito in monte” che può essere raccolto mediante una o più emissioni di quote. Il fondo comune è definito aperto quanto di partecipanti hanno diritto di chiedere, in qualsiasi tempo, il rimborso delle quote secondo le modalità previste dalle regole di funzionamento del fondo mentre è definito chiuso quando il diritto al rimborso delle quote viene riconosciuto ai partecipanti solo a scadenze predeterminate.

[481]Ai sensi dell’articolo 5, comma 5, del TUIR – richiamato dalla norma in esame – per familiari si intendono il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado.

[482]L’articolo 41, comma 1, lettera g) del TUIR include tali proventi tra i redditi di capitale.

[483]L’articolo 73 del TUIR individua i soggetti passivi ai fini IRES.

[484]DPR n. 917/1986.

[485]  Aiuto di Stato n. E1/2008.

[486]Regolamento (CE) n. 659/1999 del Consiglio del 22 marzo 1999, recante modalità di applicazione dell'articolo 93 del trattato CE. La procedura relativa agli aiuti esistenti è definita dagli articoli 17, 18, e 19.

[487]Recante disposizioni finanziarie e fiscali urgenti in materia di riscossione, razionalizzazione del sistema di formazione del costo dei prodotti farmaceutici, adempimenti ed adeguamenti comunitari, cartolarizzazioni, valorizzazione del patrimonio e finanziamento delle infrastrutture.

[488]Recante modificazioni alla disciplina dell'imposta sul reddito delle persone giuridiche e al regime tributario dei dividendi e degli aumenti di capitale, adeguamento del capitale minimo delle società e altre norme in materia fiscale e societaria.

[489]  D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi.

[490]  Tale provvedimento è stato adottato con il D.M. 4 maggio 1999, recante “Individuazione di Stati e territori aventi un regime fiscale privilegiato”.

[491]Recante disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi.

[492]La tabella è stata aggiornata, da ultimo, con il provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 14 febbraio 2007.

[493]Legge 6 agosto 1981, n. 433; decreto-legge 30 settembre 1982, n. 688.

[494]Disposizioni per ampliare le basi imponibili, per razionalizzare, facilitare e potenziare l'attività di accertamento; disposizioni per la rivalutazione obbligatoria dei beni immobili delle imprese, nonché per riformare il contenzioso e per la definizione agevolata dei rapporti tributari pendenti; delega al Presidente della Repubblica per la concessione di amnistia per reati tributari; istituzioni dei centri di assistenza fiscale e del conto fiscale.

[495]L’AIRE è stata istituita nel 1990 con la Legge n. 470 del 27 ottobre 1988 (“Anagrafe e censimento degli italiani all’estero”).

[496]“Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi”.

[497]L’articolo 2 prevede che siano soggetti passivi dell’IRPEF le persone fisiche residenti nel territorio dello Stato.

[498]Decreto convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248.

[499]Gazzetta Ufficiale n. 292 del 17 dicembre 2007.

[500]Recante disposizioni in materia di accertamento con adesione e di conciliazione giudiziale.

[501]Nella prima ipotesi (concordato proposto dall’Amministrazione) l'ufficio invia al contribuente un invito a comparire, nel quale sono indicati i periodi di imposta suscettibili di accertamento, nonché il giorno e il luogo della comparizione per definire l'accertamento con adesione.

Nel caso di iniziativa del contribuente, quest’ultimo può chiedere all'ufficio competente, con apposita istanza in carta libera, la formulazione della proposta di accertamento a condizione che:

-        nei suoi confronti sono stati effettuati accessi, ispezioni o verifiche;

-        ovvero gli è stato notificato avviso di accertamento o di rettifica, non preceduto dall'invito a comparire presso l’amministrazione.

Entro quindici giorni dalla ricezione dell'istanza, l'ufficio, anche telefonicamente o telematicamente, formula al contribuente l'invito a comparire.

[502]  Convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427.

[503]  Legge 8 maggio 1998, n. 148, recante “Disposizioni per la semplificazione e la razionalizzazione del sistema tributario e per il funzionamento dell’Amministrazione finanziaria, nonché disposizioni varie di carattere finanziario”.

[504]Recante il riordino del servizio nazionale della riscossione, in attuazione della delega prevista dalla L. 28 settembre 1998, n. 337.

[505]L’articolo 17, comma 7-ter del D. Lgs. n. 112 del 1999 dispone che le spese di notifica della cartella di pagamento siano a carico del debitore nella misura di euro 5,88, importo che può essere aggiornato con decreto del Ministero delle finanze. Se il ruolo viene annullato per effetto di provvedimenti di sgravio o se il concessionario ha trasmesso la comunicazione di inesigibilità, sono a carico dell'ente creditore le spese vive di notifica della stessa cartella di pagamento.

[506]Recante disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito.

[507]i Consorzi di Garanzia fidi (Confidi) sono sottoposti alla vigilanza prudenziale di cui all’articolo 106 e 107 del d.lgs. n. 385 del 1993 (testo unico bancario, TUB)