Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Bilancio dello Stato
Titolo: (AC 4829) decreto legge 201 del 2011 - Una analisi aggregata
Riferimenti:
AC N. 4826/XVI     
Serie: Dossier di verifica    Numero: 16
Data: 12/01/2012
Descrittori:
BILANCIO DELLO STATO   CONTABILITA' DI STATO
Organi della Camera: V-Bilancio, Tesoro e programmazione

 

 

XVI legislatura

 

(edizione provvisoria)

 

 

Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici. Il testo approvato dalla Camera (A.S. 3066)

Una analisi aggregata

 

(Decreto-legge n. 201 del 2011)

 

 

Dicembre 2011

n. 16


 

DOCUMENTAZIONE DI FINANZA PUBBLICA

 

 

 

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Il presente dossier è destinato alle esigenze di documentazione interna per l’attività degli organi parlamentari e dei parlamentari.

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INDICE

 

Premessa. 2

1. Gli effetti sui saldi e la composizione della manovra. 2

2. Il conto economico delle Amministrazioni pubbliche. 2

3. La composizione della manovra per sottosettori.2

Approfondimento: Rendimenti dei titoli di Stato, crescita economica e saldi di finanza pubblica. 2

 


 



Premessa

Il presente dossier esamina - in termini aggregati - gli effetti finanziari del decreto-legge n. 201 del 2011 nel testo approvato dalla Camera dei deputati[1]. Le indicazioni quantitative relative alle misure in esame sono integrate con le informazioni desumibili dalla Relazione al Parlamento 2011, recante l'aggiornamento delle previsioni macroeconomiche e di finanza pubblica.

Il grafico 1 confronta, per il periodo 2011-2014, gli obiettivi di saldo fissati nella Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza (settembre 2011), i saldi tendenziali stimati nella Relazione al Parlamento 2011 (dicembre 2011), nonché la somma di questi ultimi con gli effetti finanziari delle misure contenute nel citato decreto-legge, come approvato dalla Camera dei deputati. L'analisi evidenzia che la manovra in esame correggerebbe l'andamento tendenziale dei conti, confermando il raggiungimento del pareggio di bilancio nel 2013 e la realizzazione di un avanzo (pari a 0,2 punti di PIL) nel 2014.

 

Grafico 1

I Saldi di finanza pubblica.

 

Tabella 1

Indebitamento netto in rapporto al PIL ed effetti della manovra

 

Tenuto conto del quadro informativo disponibile, non è possibile valutare come il miglioramento dei saldi nominali, riconducibile agli effetti della presente manovra, si rifletta in un miglioramento dei saldi strutturali, parametri di riferimento per valutare la convergenza verso gli Obiettivi di Medio Termine nell'ambito delle regole fissate dal Patto di Stabilità e Crescita.

A differenza della Nota di aggiornamento, la Relazione 2011 riporta i valori nominali dell'indebitamento netto, senza aggiornare il quadro dei saldi strutturali, ossia dei saldi corretti per il ciclo economico e al netto delle misure una tantum. Una crescita inferiore a quella stimata lo scorso settembre ha effetti sulle previsioni di entrata (rilevabili nel nuovo quadro tendenziale), ma implicherebbe, altresì, a parità di PIL potenziale, un peggioramento della componente ciclica (e un aumento, quindi, della relativa correzione), con conseguentemente miglioramento del saldo strutturale. L'entità della revisione complessiva del saldo strutturale dipenderebbe dall'interagire del citato miglioramento dovuto alla componente di correzione ciclica con il peggioramento del saldo nominale derivante dalla riduzione delle entrate. Ulteriori effetti potrebbero aversi in relazione alla modifica delle previsioni del PIL potenziale. Alla luce di tali considerazioni, sarebbe utile acquisire dal Governo la nuova stima dei saldi strutturali di finanza pubblica.

 

La possibilità di raggiungere gli obiettivi indicati dal quadro programmatico dipende anche dalla stabilità delle previsioni tendenziali di finanza pubblica (e, quindi, dalle ipotesi macroeconomiche sottostanti a tali quadri). Secondo quanto indicato dalla Banca d'Italia[2], il decreto-legge in discussione avrebbe effetti negativi sull'andamento del sistema economico, valutati nel prossimo biennio pari a -0,5 punti percentuali del PIL. Tali effetti recessivi potrebbero, tuttavia, secondo BI, essere in parte bilanciati dall’innescarsi di un processo basato su aspettative più favorevoli degli operatori economici: l’aumento della fiducia nella capacità dello Stato italiano di onorare il proprio debito e la conseguente riduzione dei costi di finanziamento del settore pubblico e di famiglie e imprese potrebbe favorire la crescita. Non si può, infine, non ricordare come alcune recenti previsioni[3] presentino stime di crescita più negative di quelle della Relazione 2011, con una flessione del prodotto di 1,6 punti percentuali nel 2012.


 

1. Gli effetti sui saldi e la composizione della manovra

Le modifiche intervenute nel corso dell’esame in prima lettura alla Camera confermano gli effetti sui saldi previsti dal testo iniziale del decreto-legge n. 201 del 2011, evidenziando un lieve miglioramento in termini di indebitamento netto (circa 58 milioni nel 2012, 9 milioni nel 2013 e 7 milioni nel 2014).

La manovra netta, cioè l'entità della correzione sui saldi - data dalla differenza tra risorse (maggiori entrate e minori spese) e impieghi (minori entrate e maggiori spese) - determina, quindi, una correzione rispetto al tendenziale dei conti pari a 20,2 miliardi nel 2012, a 21,3 miliardi nel 2013 e a 21,4 miliardi nel 2014 (v. tabella 1.1[4]).

Le modifiche intervenute incidono in minima parte sulla portata della manovra lorda (cioè del complesso delle risorse; vedi tabella 1.1): in termini di indebitamento, al netto degli effetti indotti, la manovra lorda risulta pari a 31,2 miliardi nel 2012, 33 miliardi nel 2013 e a 34,9 miliardi nel 2014.

 

Guardando alla composizione della manovra (v. tabella 1.2), si conferma come le risorse siano reperite prevalentemente dal lato delle entrate, pari a circa 26,6 miliardi nel 2012 (85 per cento delle risorse), a fronte di minori spese per 4,6 miliardi (15 per cento). Nel biennio successivo, a fronte di entrate pari a 26 miliardi nel 2013 (79 per cento delle risorse) e a 25,8 miliardi nel 2014 (74 per cento), la correzione dal lato della spesa è pari a 6,8 miliardi nel 2013 (21 per cento) e 9 miliardi nel 2014 (26 per cento).

Dal lato degli impieghi (circa 11 miliardi nel 2012, 11,6 miliardi nel 2013 e 13,5 miliardi nel 2014), gli interventi sono diretti a sostenere maggiori spese (40 per cento nel 2012, che scendono al 27 per cento nel 2014) e a coprire minori entrate, il cui peso passa dal 60 per cento del primo esercizio al 73 per cento di fine periodo.

 

Tabella 1.1

D.L. 201/2011 - Articolazione della manovra netta per risorse e impieghi                           (milioni di euro)

 

In relazione ai settori di intervento, rinviando al già citato dossier n. 15 per la descrizione delle misure contenute nel testo iniziale del provvedimento, ci si sofferma sulle principali modifiche intervenute nel corso dell’esame in prima lettura alla Camera (v. tabella 1.2).

Dal lato delle risorse, l’apporto principale proviene dalle maggiori entrate connesse alle modifiche dell’imposta di bollo su titoli e prodotti finanziari e dell’imposta sulle attività scudate che viene ora prevista a regime, nonché dall’imposta sui valori degli immobili e degli strumenti finanziari detenuti all’estero (complessivamente 653 milioni nel 2012, 1.299 milioni nel 2013 e 915 milioni nel 2014).

Maggiori entrate sono, inoltre, assicurate, dall’aumento dei contributi previsti per i lavoratori autonomi (818 milioni nel 2012, 677 milioni nel 2013 e 884 milioni nel 2014) e dal contributo di solidarietà sulle pensioni elevate (2 milioni annui), nonché dall’innalzamento dei coefficienti e moltiplicatori catastali per gli edifici classificati D a fronte delle minori entrate (400 milioni per ciascuno degli anni 2012 e 2013) derivanti dalle detrazioni IMU in relazione ai carichi familiari.

Infine, le modifiche nel settore previdenziale determinano complessivamente minori risparmi (al netto degli effetti indotti), pari a 1.070 milioni nel 2012, a 1.898 milioni nel 2013 e a 2.119 milioni nel 2014, riguardano: l’aumento dell’importo delle pensioni indicizzate, la riduzione delle penalizzazioni in caso di accesso al pensionamento anticipato, l’ampliamento della platea dei soggetti cui si applica la normativa previgente.

 

Tabella 1.2

D.L. 201/2011 - Articolazione della manovra netta per settori di intervento                  (milioni di euro)

 


 

2. Il conto economico delle Amministrazioni pubbliche

Il paragrafo mette in evidenza l'impatto della manovra - come modificata dalla Camera dei deputati - sul conto economico delle pubbliche amministrazioni (PA), utilizzando a tal fine l'aggiornamento del quadro di finanza pubblica tendenziale rilevabile dalla Relazione al Parlamento 2011.

La tabella 2.1 riporta, per ogni anno del periodo 2012-2014 le previsioni tendenziali contenute nella Relazione, articolate per entrate, spese e saldi (prima colonna), gli effetti del d.l. n. 201/2011 inclusivi delle modifiche apportate dalla Camera (seconda colonna) e la relativa somma (terza colonna). La stessa tabella riporta anche i rapporti al PIL e le variazioni percentuali rispetto all'esercizio precedente delle voci analizzate del conto economico. La tabella 2.2. mostra il tasso medio annuo delle principali voci del conto economico riferito al triennio 2012-2014.

 

L'esercizio consente di valutare le dinamiche delle componenti di entrata e di spesa del conto economico delle PA, come risultanti con gli effetti del D.L. n. 201 del 2011 nel testo approvato in prima lettura.

Le spese finali mostrano una evoluzione positiva in tutto il triennio considerato (crescita media annua dell'1,8 per cento), riducendosi in termini di PIL dal 50,6 per cento nel 2011 al 49,7 per cento nel 2014. Il decreto-legge, come approvato dalla Camera, incide in riduzione su tale voce per 8,8 miliardi nel 2012, 4,3 miliardi nel 2013 e 6,5 miliardi nel 2014, accentuando un percorso di contenimento che già scontava le precedenti manovre.

Le spese correnti al netto degli interessi si ridurrebbero di oltre un punto percentuale in termini di PIL, con una crescita media annua pari a circa 0,9 per cento. La manovra in esame incide su tale componente di spesa per circa 2 miliardi nel 2012, 5,6 miliardi nel 2013 e 7,8 miliardi nel 2014, risorse destinate a parzialmente compensare un aumento della spesa in conto capitale (1,2 miliardi per ciascun esercizio). Nonostante gli effetti del decreto-legge in esame, la spesa in conto capitale continua a registrare una evoluzione negativa nel 2012 e 2013 (-9,2 e -0,5 per cento rispettivamente), per poi aumentare nel 2014 dello 0,7 per cento. In termini di PIL, essa oscilla intorno a 2,5 punti percentuali.

 

La spesa per interessi tende ad aumentare nel periodo 2012-2014 con un tasso di crescita medio annuo dell'11,2 per cento, attestandosi nel 2014 al 6,2 per cento del PIL.

 

L'evoluzione delle entrate si presenterebbe positiva per tutto il triennio (crescita media annua del 4,7 per cento)[5]. In termini di PIL le entrate finali si attestano al 49,4 per cento nel 2012, al 50,1 per cento nel 2013 e scendono al 49,9 per cento nel 2014.

La pressione fiscale passerebbe nel 2012 dal 43,7 per cento previsto dalla Relazione 2011 al 44,8 per cento; nel 2013 e 2014 si attesterebbe al 44,9 per cento.

Tabella 2.1

Conto economico della PA e manovra approvata dalla Camera                                         (milioni di euro)

 

Tabella 2.2

Tasso di variazione medio annuo delle principali voci del conto economico - periodo 2012-2014


 

3. La composizione della manovra per sottosettori.

La tabella 3.1. presenta una ricostruzione degli effetti finanziari delle disposizioni contenute del DL, così come risultante a seguito dell'approvazione da parte della Camera, articolata per i sottosettori di contabilità nazionale: Amministrazioni Centrali (AC), Amministrazioni Locali (AP) e Enti di Previdenza (EP).

Come già evidenziato nei paragrafi precedenti, la manovra netta per le AP è pari a circa 20 miliardi nel 2012 e 21 miliardi nel 2013 e nel 2014. La maggior parte degli effetti si manifesta in un miglioramento dei saldi delle Amministrazioni centrali, che ammonta a circa 15,8 miliardi nel 2012, 13,7 miliardi nel 2013 e a 11,1 miliardi nel 2014.

Le Amministrazioni Locali partecipano alla manovra con un contributo netto di circa 1 miliardo per ciascun esercizio del triennio. La maggior parte delle misure che incidono su questo sottosettore non alterano le risorse a disposizione delle autonomie, ma intervengono sulle loro modalità di finanziamento. Ad esempio, l'introduzione dell'IMU implicherebbe, nella valutazione della RT, entrate aggiuntive a favore delle AL pari a 2 miliardi, che vengono compensate da una riduzione di pari ammontare del Fondo sperimentale di riequilibrio, iscritto nel bilancio dello Stato. Ne risulta, quindi, che le risorse a disposizione delle AL restano immutate (si noti nella tabella l'iscrizione di due poste: una che registra maggiori entrate e una le minori entrate); per le AC la disposizione implica l'emergere di un risparmio di pari ammontare (minori spese pari a 2 miliardi); nel caso dell'IMU, la riduzione del Fondo sperimentale si cumula alle maggiori entrate dell'IMU di competenza dello Stato (9 miliardi), facendo emergere in capo alle AC l'intero risparmio ascritto nella RT . Analoghi effetti si hanno con l'introduzione della TARES.

 

L'analisi per sottosettore qui esposta è il risultato di un esercizio di classificazione nel quale si imputa ciascun intervento avente effetti sui saldi di finanza pubblica (come indicato nell'allegato 3) ad uno dei sottosettori istituzionali. Per alcuni interventi è stato, però, necessario tenere conto che il consolidamento della PA non permette di far emergere i flussi che intercorrono tra i sottosettori. Come evidenziato nel commento, in tali casi, l'analisi esposta ha richiesto l'elaborazione degli elementi informativi disponibili.

 

Gli Enti di Previdenza concorrono alla realizzazione della manovra totale netta con un contributo pari a circa 3,4 miliardi nel 2012, 6,6 miliardi nel 2013 e 9,2 miliardi nel 2014.

 

Si segnala che - al fine di rendere più evidente il contributo del settore alla manovra - le disposizioni dell'allegato 3 imputate agli Enti di previdenza non sono integrate con i flussi compensativi che dallo Stato affluiscono al bilancio degli enti in corrispondenza delle minori prestazioni erogate (o più precisamente, in corrispondenza dell'effetto netto delle variazioni di spesa e di entrata). In linea generale, tenuto conto delle caratteristiche di finanziamento derivato di tali enti (per i quali il bilancio dello Stato procede al finanziamento della differenza tra prestazioni erogate ed entrate), l'adozione di disposizioni in materia ha comunque un effetto neutrale sui saldi del sottosettore.

Tabella 3.1

Effetti del D.L. 201/2011 sui sottosettori della P.A. in termini di IN                                          (milioni di euro)


 

Approfondimento:
Rendimenti dei titoli di Stato, crescita economica e saldi di finanza pubblica

 

Nei mesi passati l'incertezza relativa alla risoluzione della crisi dell'Euro e il deterioramento delle prospettive di crescita dell'economia globale hanno portato ad un aumento delle tensioni sui mercati finanziari, che sono sfociate in un incremento dei rendimenti dei titoli di stato di molti paesi europei, tra cui l'Italia, e in un allargamento dei differenziali d'interesse rispetto ai Bund tedeschi. In particolare, lo spread tra Btp e Bund decennali, che nei valori medi mensili di giugno si aggirava intorno ai 173 punti base, a settembre si attestava, in media, attorno ai 366 punti base, per poi oscillare tra i 400 e i 500 punti in ottobre e novembre, superando in alcune sedute la soglia dei 570.

La maggiore rischiosità dei titoli pubblici si ripercuote sullo stato di salute dei conti pubblici attraverso due canali. Da un lato, rendimenti più elevati implicano un aumento della spesa per interessi e quindi, ceteris paribus, un peggioramento dei saldi di finanza pubblica. Rispetto alla Nota di aggiornamento di settembre, la spesa per interessi, come riportata nella Relazione al Parlamento, è attesa deteriorarsi di 8,4 miliardi nel 2012, di 10,5 miliardi nel 2013 e di 11,3 miliardi nel 2014.

Dall'altro lato, un aumento del rischio sovrano porta, attraverso molteplici canali finanziari e monetari, ad un peggioramento delle prospettive di crescita economica, per via di una contrazione della spesa per investimenti e consumi dovuta alle maggiori difficoltà di accesso al credito. Il rallentamento dell'attività economica si tradurrebbe in un deterioramento dei saldi di finanza pubblica per via del minor denominatore nel rapporto indebitamento netto/PIL e della riduzione del gettito fiscale.

Come riportato nel Rapporto sulla Stabilità Finanziaria 2011 della Banca d'Italia, l'aumento del rischio sovrano si ripercuote negativamente sul resto dell'economia attraverso sei canali:

·      Una caduta dei prezzi dei titoli pubblici provoca perdite sul portafoglio finanziario degli intermediari, indebolendone i bilanci e aumentandone la rischiosità.

·      La perdita di valore dei titoli pubblici riduce la possibilità di utilizzarli come collaterale per la raccolta bancaria all'ingrosso o presso la banca centrale. Oltre a comprimere il valore delle garanzie disponibili, un innalzamento del rischio sovrano può portare alla richiesta di ricostituzione dei margini (margin calls) o di aumenti degli scarti di garanzia (haircuts), se non addirittura all'esclusione dei titoli nel novero degli strumenti utilizzabili come collaterale nelle operazioni di raccolta. Per evitare una contrazione dei livelli di liquidità nel settore bancario, la BCE nei mesi passati ha attenuato i criteri per la definizione delle garanzie utilizzabili nelle operazioni di rifinanziamento.

·      I timori sulla solvibilità di uno Stato portano ad una riduzione delle garanzie pubbliche sulle passività bancarie. Tali garanzie possono essere esplicite, come quelle varate da numerosi paesi a seguito del fallimento di Lehman Brothers del 2008, oppure implicite, ossia legate alle attese di intervento dello Stato in caso di difficoltà degli intermediari finanziari, soprattutto quelli di natura sistemica.

·      All'interno di un'unione monetaria, una forte differenziazione dei rendimenti dei titoli di Stato dei singoli Paesi membri può ridurre l'efficacia della politica monetaria. Qualora la banca centrale riducesse i tassi d'interesse di riferimento per stimolare l'economia, tale taglio si tradurrebbe in tassi d'interesse più bassi solo nelle economie il cui rischio sovrano non desta preoccupazione negli investitori finanziari. Per i paesi con rendimenti dei titoli pubblici più elevati, tale meccanismo di trasmissione della politica monetaria verrebbe indebolito, lasciando quasi del tutto inalterati i tassi d'interesse prevalenti nell'economia.

·      Un declassamento del rating dei titoli di Stato è solitamente seguito dall'abbassamento del merito del credito degli altri prenditori nazionali, in quanto il rating sovrano rappresenta il benchmark di riferimento per stabilire le condizioni creditizie nel resto dell'economia. Una riduzione del rating accresce il costo della raccolta bancaria, portando anche all'esclusione dai mercati finanziari dei soggetti considerati più rischiosi. Nei tre anni passati, il declassamento da parte delle agenzie di rating ha portato ad una riduzione del merito di credito di circa il 40 per cento degli intermediari finanziari.

·  Le tensioni sul debito sovrano di un paese si possono trasmettere alle banche estere sia attraverso i legami interbancari internazionali sia attraverso le esposizioni verso i debitori privati dei paesi oggetto di tensione.



[1]    Per l'analisi del testo iniziale del provvedimento in esame si veda il dossier n. 15 - "Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici - Analisi aggregata e sintesi delle nuove previsioni macroeconomiche e di finanza pubblica" - dicembre 2011, a cura del Servizio bilancio del Senato della Repubblica e del Servizio bilancio dello Stato e Servizio Studi della Camera dei deputati.

[2]    Audizione del Governatore della Banca d'Italia presso la Camera dei deputati, Commissioni riunite V, Bilancio, tesoro e programmazione e 5^ Programmazione economica, bilancio, 9 dicembre 2011.

[3]    Confindustria, "Nella spirale della crisi: debiti pubblici, credit crunch e recessione", Scenari Economici, Dicembre 2011.

[4]    Le tabelle 1.1 e 1.2 espongono congiuntamente l'impatto sui conti pubblici delle disposizioni e dei relativi effetti indotti.

[5]    Il decreto-legge in esame interviene sugli importi attesi dalla revisione delle agevolazioni fiscali (4 miliardi nel 2012, 16 miliardi nel 2013 e 20 miliardi a decorrere dal 2014), sostituendoli in parte con l'aumento delle aliquote IVA e in parte con le risorse derivanti dal complesso del provvedimento. La disposizione consente al Governo di non confermare l'aumento delle aliquote IVA per gli anni 2013 e successivi, in connessione con l'eventuale processo di revisione delle agevolazioni; per tale motivo, l'allegato 3 registra l'aumento dell'IVA solo nel 2012 ed espone per gli anni 2013 e successivi - su una linea separata - la quota residua da coprire (con la revisione delle agevolazioni o con la conferma dell'aumento dell'IVA). Per semplicità, l'analisi proposta nel presente paragrafo incorpora tali importi tra le entrate finali, non distinguendo la relativa fonte.