Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento bilancio
Altri Autori: Servizio Bilancio dello Stato
Titolo: Le modifiche alla disciplina sul federalismo fiscale recate dal D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214
Riferimenti:
AC N. 4829/XVI   DL N. 201 DEL 06-DIC-11
Serie: Documentazione e ricerche    Numero: 304    Progressivo: 1
Data: 12/01/2012
Descrittori:
DECRETO LEGGE 2011 0201   FEDERALISMO
FINANZA LOCALE   L 2011 0214
ORGANIZZAZIONE FISCALE     
Organi della Camera: V-Bilancio, Tesoro e programmazione

 

Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione e ricerche

 

 

Le modifiche alla disciplina sul federalismo fiscale recate dal D.L. 6 dicembre 2011, n. 201

convertito in legge, con modificazioni,
dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214

 

 

 

 

n. 304/1

 

 

 

 

12 gennaio 2012

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Bilancio

( 066760-9932* st_bilancio@camera.it

 

 

Il presente dossier reca una ricognizione delle modifiche apportate dal D.L. n. 201/2011, come modificato dalla legge di conversione n. 214/2011, alla disciplina del federalismo fiscale, con riguardo sia alla legge delega n. 42/2009 che ad alcuni dei decreti legislativi finora emanati. Nell’occasione, inoltre, si riportano sinteticamente anche le modifiche operate alla disciplina medesima con decreti-legge precedenti quello n. 201/2011 in commento, nonché le ulteriori modifiche recentemente introdotte con il D.L. n. 216/2011, in corso di conversione.

E’ stato inoltre ritenuto opportuno segnalare anche le ulteriori disposizioni del decreto-legge medesimo che, pur non modificando formalmente i decreti legislativi sul federalismo fiscale, hanno introdotto disposizioni che comunque si riflettono sul quadro normativo delineato dalla legge delega n. 42/2009 e dalla relativa disciplina attuativa.

 

 

I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.

File: BI0460a.doc


INDICE

 

§      1. Le modifiche alla legge delega n. 42 del 2009........................................... 1

§      2. Le modifiche al federalismo demaniale – Decreto legislativo n. 85 del 2010     3

§      3. Le modifiche ai termini di determinazione dei fabbisogni standard - Decreto legislativo n. 216 del 2010........................................................................................................... 4

§      4. Le modifiche al federalismo municipale – Decreto legislativo n. 23 del 2011    6

§      5. Le modifiche al federalismo regionale e provinciale – Decreto legislativo n. 68 del 2011    15

§      6. Il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi.................................................. 18

§      7. Le disposizioni relative alle regioni a statuto speciale.............................. 21

§      8. Le disposizioni relative alle regioni a statuto ordinario............................. 23

§      9. Altre disposizioni riguardanti gli enti territoriali.......................................... 25

§      10. Disposizioni in materia di province......................................................... 29

 

 


1. Le modifiche alla legge delega n. 42 del 2009

L’articolo 28 del D.L. n. 201/2011, al comma 4, novellando l’articolo 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42, sopprime il termine temporale di 30 mesi (21 novembre 2011) dall’entrata in vigore della legge stessa, previsto per l'emanazione delle norme di attuazione degli statuti speciali ai fini dell'adeguamento dell'ordinamento di quelle regioni ai principi del federalismo fiscale.

 

Il richiamo delle procedure previste dall’articolo 27 della legge n. 42 sono peraltro contenute nelle seguenti norme del D.L. n. 201/2011:

§      all’articolo 13, comma 17 - che, variando, tra l’altro, i trasferimenti erariali dovuti alle regioni Sicilia e Sardegna in misura corrispondente al maggior gettito in ragione delle differenze tra gettito stimato ad aliquota di base derivante dalla nuova disciplina dell’imposta municipale recata dai commi da 1 a 14 dello stesso articolo 13 - stabilisce che relativamente alle restanti autonomie speciali (Valle d’Aosta, Friuli-Venezia Giulia, e province di Trento e di Bolzano) si applicheranno le procedure previste all’articolo 27 della legge n. 42, prevedendo peraltro che, fino alla conclusione di tali procedure – vale a dire fino all’emanazione delle norme di attuazione previste dallo stesso articolo 27 – a valere sulle quote di compartecipazione dei tributi erariali di spettanza delle suddette regioni e province autonome venga accantonato un importo corrispondente al maggior gettito stimato in questione;

§      analogamente l’articolo 14, comma 13-bis, che riducendo, tra l’altro, i trasferimenti erariali dovuti ai comuni della Regioni Siciliana e della Regione Sardegna in misura corrispondente al gettito derivante dalla maggiorazione standard della tariffa del tributo comunale sui rifiuti e sui servizi prevista dal comma 13 dello stesso articolo 14, prevede il ricorso alle procedure previste dall'articolo 27 della legge n. 42, per le restanti autonomie speciali che dovranno assicurare il recupero al bilancio statale del predetto maggior gettito dei comuni ricadenti nel proprio territorio. Fino all'emanazione delle norme di attuazione di cui allo stesso articolo 27, a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali, è accantonato un importo pari al maggior gettito;

§      l’articolo 28, al comma 3, stabilisce che, con le procedure previste dall’articolo 27 della legge n. 42, le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e Bolzano, a decorrere dal 2012, concorrono alla finanza pubblica di 860 milioni annui. Inoltre, con le medesime procedure le Regioni Valle d'Aosta e Friuli Venezia Giulia e le Province autonome di Trento e Bolzano assicurano, a decorrere dal 2012, un ulteriore concorso alla finanza pubblica di 60 milioni annui, da parte dei comuni ricadenti nel proprio territorio. Fino all'emanazione delle norme di attuazione del richiamato articolo 27, l'importo complessivo di 920 milioni è accantonato, proporzionalmente alla media degli impegni finali registrata per ciascuna autonomia nel triennio 2007-2009, a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali. Per la Regione Siciliana si tiene conto della rideterminazione del fondo sanitario nazionale per effetto dell’ l'aumento dell'aliquota base dell'addizionale regionale all'IRPEF ai sensi del comma 2 del medesimo articolo 28.

 

L’articolo 27 della legge n. 42 conferma la necessità dell'accordo con ciascuna regione o provincia autonoma e dispone [conferma] che le modifiche all’ordinamento finanziario delle regioni a statuto speciale e delle province autonome dovranno essere introdotte con la procedura delle norme di attuazione degli statuti speciali (comma 1); sono previste, inoltre, specifiche norme procedurali per l’attuazione della delega, quali il principio della partecipazione dei Presidenti delle regioni e delle province autonome alle riunioni del Consiglio dei ministri in cui si esaminano gli schemi delle rispettive norme di attuazione (comma 5); la partecipazione di un rappresentante tecnico della singola regione o provincia autonoma interessata alla Commissione tecnica paritetica per l’emanazione delle norme di attuazione (comma 6); l'istituzione dei tavoli paritetici tra ciascuna regione e Governo, volti a individuare linee guida, indirizzi e strumenti per assicurare il concorso delle regioni a statuto speciale e delle province autonome agli obiettivi di perequazione e di solidarietà e per valutare la congruità delle attribuzioni finanziarie ulteriori intervenute successivamente all'entrata in vigore degli statuti, verificandone la coerenza con i princìpi della legge delega di attuazione del federalismo fiscale e con i nuovi assetti della finanza pubblica (comma 7).

Si segnala, inoltre, che norme recanti disposizioni di attuazione del federalismo fiscale per le regioni a statuto speciale sono state emanate per la Regione autonoma Trentino-Alto Adige e per le Province autonome di Trento e di Bolzano con la legge finanziaria 2010 (legge n. 191/2009, art. 2, commi 106-125) e per la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e la Regione autonoma Valle d'Aosta dalla legge di stabilità 2011 (legge n. 220/2010, art. 1, rispettivamente, commi 151-159 e commi 160-164). In particolare, le disposizioni citate quantificano il contributo di ciascuna regione per l'attuazione dei principi di perequazione e solidarietà del federalismo fiscale, recano disposizioni sulla disciplina del patto di stabilità e norme generali per il coordinamento delle norme che provvederanno ad attuare il federalismo fiscale (i decreti legislativi attuativi della legge n. 42 del 2009) e l'ordinamento finanziario della regione.


2. Le modifiche al federalismo demaniale – Decreto legislativo n. 85 del 2010

Una modifica testuale al decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85 è prevista dall’articolo 27, comma 8, del D.L. n. 201/2011. In particolare viene novellato l’articolo 5, comma 5:

§      sopprimendo il riferimento alla “fase di prima applicazione” del decreto legislativo stesso;

§      sostituendo, relativamente al trasferimento da parte dello Stato alle regioni e agli altri enti territoriali - ai sensi dell’articolo 54, comma 3, del codice dei beni culturali e del paesaggio (D.Lgs. n. 42/2004), di cose e beni culturali inalienabili indicati in specifici accordi di valorizzazione, definiti ai sensi e con i contenuti di cui all’articolo 112, comma 4, dello stesso codice – il termine di un anno dalla entrata in vigore del decreto legislativo n. 85 del 2010 (cioè entro il 26 giugno 2011 – termine ormai superato), con il termine di entro un anno dalla presentazione della domanda di trasferimento.

 

Si rammenta che, in precedenza, l’articolo 4, comma 17, del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70 (legge n. 106/2011) ha modificato l’articolo 5 del decreto legislativo in commento, con riguardo all’esclusione di alcune tipologie di beni immobili trasferibili dal patrimonio dello Stato a quello degli enti territoriali.


3. Le modifiche ai termini di determinazione dei fabbisogni standard - Decreto legislativo n. 216 del 2010

L’articolo 29, comma 1, del decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216[1], differisce al 30 aprile 2012 il termine previsto dall’articolo 2, comma 5, lettera a), del decreto legislativo n. 216 del 2010, per la determinazione dei fabbisogni standard concernenti alcune delle funzioni fondamentali di comuni e province (“almeno un terzo” di tali funzioni, come recita la norma oggetto della modifica), nell’ambito dell’attuazione della legge delega n.42/2009 sul federalismo fiscale. Tale termine è attualmente genericamente riferito, nella norma che viene ora modificata dal comma 1 in esame, all’anno 2011, e, pertanto, può intendersi concernere la data del 31 dicembre dell’anno medesimo.

In particolare, i commi 4 e 5 dell’articolo 2 del D.Lgs. n. 216 del 2010 delineano i tempi di avvio del periodo transitorio finalizzato al progressivo superamento del criterio della spesa storica nel finanziamento degli enti locali e della sua sostituzione con il criterio dei fabbisogni standard.

Le fasi e la tempistica in cui si struttura la fase transitoria prevedono – nel testo originario del comma 5 - che:

a)   nel 2011 (ora 30 aprile 2012, per effetto del comma 1 in esame) verranno determinati i fabbisogni standard che entreranno in vigore nel 2012 con riguardo ad almeno un terzo delle funzioni fondamentali per i Comuni e le Province, quali definite all’articolo 3, comma 1, con un processo di gradualità tale da garantire l’entrata a regime nel corso del triennio successivo;

b)   nel 2012 verranno determinati i fabbisogni standard che entreranno in vigore nel 2013 con riguardo ad almeno due terzi delle suddette funzioni, anche in questo caso con un’entrata a regime nell’arco del triennio successivo;

c)   nel 2013 verranno determinati i fabbisogni standard che entreranno in vigore nel 2014 con riguardo a tutte le funzioni fondamentali, sempre con un processo di gradualità che, come nelle fasi precedenti, deve comunque assicurare l’entrata a regime nell’arco del triennio successivo.

 

Si segnala che nel mese di gennaio 2011 è iniziata la fase di raccolta dei dati finalizzati alla determinazione dei fabbisogni standard, relativamente a due delle funzioni fondamentali di comuni e province[2]. In particolare, è stato predisposto un sistema telematico di raccolta delle informazioni, attraverso il portale “progetto fabbisogni standard”relativamente alla funzione di polizia locale per i comuni e alle funzioni nel campo dello sviluppo economico-servizi del mercato del lavoro per le province.

Al momento risulta terminata la fase di raccolta dei dati per tali due funzioni, che saranno elaborati sulla base di modelli matematici sviluppati da SOSE e IFEL per individuare i livelli di finanziamento corrispondenti ai fabbisogni standard relativi ai servizi oggetto di rilevazione.

A tale proposito, si segnala che l’articolo 6, comma 2, lettera b), del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70 reca, tra l’altro, le modalità applicative per la pubblicazione dei questionari, prevedendo in particolare che tali questionari siano pubblicati sul sito internet della SOSE a partire dalla data che è resa nota con un provvedimento del Ministero dell’economia e delle finanze in Gazzetta Ufficiale. Dalla data di pubblicazione del provvedimento decorre il termine di sessanta giorni previsto per la restituzione dei questionari compilati.

Nella Gazzetta Ufficiale del 30 maggio 2011 è stato pubblicato il decreto del Direttore generale delle Finanze del 24 maggio 2011, con il quale si è dato avvio ad una nuova fase di raccolta dei dati relativamente alle funzioni generali di amministrazione, di gestione e di controllo di comuni e province.


4. Le modifiche al federalismo municipale – Decreto legislativo n. 23 del 2011

L’articolo 13 reca disposizioni sull’anticipazione sperimentale dell’imposta municipale propria (IMU).

 

In particolare il comma 1 dispone l’anticipazione in via sperimentale dal 2012 e fino al 2014 in tutti i comuni del territorio nazionale dell’imposta municipale propria – che, ai sensi dell’articolo 8 del D.Lgs. n. 23 del 2011, sarebbe decorsa dal 2014 –, in base a quanto previsto dagli articoli 8 e 9 del decreto legislativo in quanto compatibili e sulla base delle ulteriori disposizioni contenute al medesimo articolo 13 in commento. Conseguentemente viene fissata al 2015 l’applicazione a regime dell’imposta municipale propria.

Il comma 2 fissa il presupposto dell’imposta municipale propria nel possesso di immobili (fabbricati, aree fabbricabili e terreni agricoli come indicati dall'articolo 2 del D.Lgs. n. 504/1992), compresa l'abitazione principale e le pertinenze della stessa (com’è noto, l’articolo 8, comma 2, del D.Lgs. n. 23/2011 fissa il presupposto dell’IMU nel possesso di immobili diversi dall’abitazione principale)

 

Il comma 3 dispone che base imponibile dell'imposta municipale propria è costituita dal valore dell'immobile ai sensi dell’articolo 5, comma 1 del D.Lgs. n. 504/1992. Al fine di determinare il valore dell’immobile, è richiamatala disciplina che consente di determinare la base imponibile ICI (articolo 5, commi 3, 5 e 6 del D.Lgs. n. 504/1992) relativamente ai fabbricati di gruppo D non iscritti in catasto e le aree fabbricabili.

 

Il valore dei fabbricati e dei terreni agricoli viene determinato invece secondo quanto previsto, rispettivamente, nei successivi commi 4 e 5.

Per i fabbricati (comma 4) il valore è costituito da quello ottenuto applicando all'ammontare delle rendite risultanti in catasto, vigenti al 1° gennaio dell'anno di imposizione, rivalutate del 5 per cento (ai sensi dell'articolo 3, comma 48, della legge 23 dicembre 1996, n. 662), i seguenti moltiplicatori:

a)   160 per i fabbricati classificati nel gruppo catastale A e nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7, con esclusione della categoria catastale A/10;

b)   140 per i fabbricati classificati nelgruppo catastale B e nelle categorie catastali C/3, C/4 e C/5;

c)   b-bis)     80 per i fabbricati classificati nella categoria catastale D/5;

d)   80 per i fabbricati classificati nella categoria catastale A/10;

e)   60 per i fabbricati classificati nel gruppo catastale D, , ad eccezione dei fabbricati classificati nella categoria catastale D/5; tale moltiplicatore è elevato a 65 a decorrere dal 1o gennaio 2013;

f)     55 per i fabbricati classificati nella categoria catastale C/1.

 

Per i terreni agricoli (comma 5) il valore è costituito da quello ottenuto applicando all'ammontare del reddito dominicale risultante in catasto, vigente al 1° gennaio dell'anno di imposizione, rivalutato del 25 per cento (ai sensi dell'articolo 3, comma 51, della legge 23 dicembre 1996, n. 662) un moltiplicatore pari a 130.

Per i coltivatori diretti e gli imprenditori agricoli professionali iscritti nella previdenza agricola il moltiplicatore èpari a 110.

 

Il comma 6 fissa l'aliquota dell'imposta in una misura di base pari allo 0,76 per cento (cioè al 7,6 per mille).

E’ data facoltà ai comuni, con deliberazione del consiglio adottata entro il termine di approvazione del bilancio di previsione (ai sensi dell'articolo 52 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446) di modificare, in aumento o in diminuzione, l'aliquota di base sino a 0,3 punti percentuali.

 

I commi 7 e 8 disciplinano le ipotesi di aliquota ridotta ex lege. In particolare, l’aliquota:

§      è ridotta (comma 7) allo 0,4 per cento (4 per mille) per l'abitazioneprincipale e per le relative pertinenze. Tale misura di aliquota ridotta può essere modificata dai comuni, in aumento o in diminuzione, la suddetta aliquota sino a 0,2 punti percentuali;

§      è ridotta (comma 8) allo 0,2 per cento (2 per mille) per i fabbricati rurali ad uso strumentale, di cui all'articolo 9, comma 3-bis, del D.L. 30 dicembre 1993, n. 557. I comuni possono ulteriormente ridurre la suddetta aliquota fino allo 0,1 per cento.

 

Inoltre (comma 9) i comuni possono ridurre l'aliquota di base fino allo 0,4 per cento nei seguenti casi:

§      immobili non produttivi di reddito fondiario ai sensi dell'articolo 43 del testo unico di cui al D.P.R. n. 917 del 1986;

§      immobili posseduti dai soggetti passivi dell'imposta sul reddito delle società;

§      immobili locati.

 

Il comma 10 introduce una detrazione pari a 200 euro dall’imposta dovuta sull’abitazione principale, fino a concorrenza dell’ammontare dell’imposta, rapportata al periodo dell'anno durante il quale si protrae la destinazione dell’immobile ad abitazione principale.

Per gli anni 2012 e 2013 è prevista una maggiorazione della suddetta detrazione per un ammontare pari a 50 euro per ciascun figlio di età non superiore ai 26 anni, purché dimori abitualmente ed abbia la residenza anagrafica nell’unità immobiliare adibita ad abitazione principale.

L’importo complessivo della maggiorazione non può superare l’importo massimo di 400 euro, al netto della detrazione di base.

E’ data facoltà ai comuni di elevare l’importo di della detrazione, fino a concorrenza dell'imposta dovuta, nel rispetto dell'equilibrio di bilancio. In tal caso il comune non può stabilire un'aliquota superiore a quella ordinaria per le unità immobiliari tenute a disposizione.

La suddetta detrazione si applica alle unità immobiliari di proprietà delle cooperative edilizie, ove adibite ad abitazione principale dei soci assegnatari, nonché agli alloggi regolarmente assegnati dagli Istituti autonomi per le case popolari e dagli enti di edilizia residenziale pubblica con la medesima destinazione (di cui all’articolo 8, comma 4 del D.Lgs. n. 504 del 1992).

L’aliquota ridotta per l’abitazione principale e ladetrazione si applicano anche alla casa coniugaledel soggetto passivo che, a seguito di provvedimento di separazione legale, annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, non ne risulti tuttavia assegnatario (articolo 6, comma 3-bis del D.Lgs. n. 504 del 1992).

 

Il comma 11 disciplina il riparto del gettito dell’IMU, per il periodo sperimentale, tra i diversi livelli di governo (Stato e comuni), prevedendo l’assegnazione, dal 2012, allo Stato della quota pari alla metà dell’importo ottenuto applicando l’aliquota di base dello 0,76 per cento alla base imponibile di tutti gli immobili, tranne l’abitazione principale e relative pertinenze e i fabbricati rurali.

La quota di imposta risultante è versata allo Stato contestualmente all’imposta municipale propria.

Alla quota statale non si applicano le misure agevolative previste dalle norme in esame, ovvero le detrazioni fissate ex lege e le riduzioni o detrazioni deliberate dai comuni.

Ai sensi del comma 12, il versamento dell’imposta è effettuato secondo modalità regolate con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate.

 

Il comma 13 mantiene ferme le seguenti disposizioni del D.Lgs. n. 23/2011:

§      articolo 9, che contiene norme eterogenee in materia di “applicazione” dell’imposta, riferendosi – tra l’altro - ai soggetti passivi, allefattispecie di esenzione, alla possibilità del Comune di introdurre strumenti deflativi del contenzioso anche in materia di IMU;

§      articolo 14, commi 1 e 6: si tratta, rispettivamente, della disposizione che sancisce la indeducibilità del'imposta municipale propria dalle imposte erariali sui redditi e dall'IRAP, nonché della norma che conferma la potestà regolamentare in materia di entrate degli enti locali - di cui agli articoli 52 e 59 del citato decreto legislativo n. 446 del 1997 - per i nuovi tributi previsti dal D.Lgs. n. 23/2011, dunque anche in materia di IMU.

 

Inoltre viene modificato l’articolo 14, comma 9, del D.Lgs. n. 23/2011, anticipando dal 1° gennaio 2014 al 1° gennaio 2012 il calcolo dell'aliquota percentuale allo 0,6 per mille, indicata nell’articolo 10 del D.Lgs. n. 504/1992, con riferimento al gettito annuale prodotto dall’imposta municipale propria, quali le risorse destinate all’ANCI necessarie, tra le altre, al perseguimento degli ulteriori compiti attribuiti ad essa con i decreti legislativi emanati in attuazione della legge n. 42 del 2009, anche al fine di assistere i comuni nell'attuazione del presente decreto e nella lotta all'evasione fiscale.

 

Il comma 13 reca inoltre disposizioni in materia di sanzioni, disponendo che si applichino alle violazioni connesse a tributi di carattere locale (tra cui l’IMU) le misure stabilite in via generale dagli articoli 16 e 17 del D.Lgs. n. 472/1997 in materia di definizione agevolata delle violazioni tributarie.

Infine, il comma 13 reca disposizioni relative alla riduzione dei trasferimenti erariali a favore dei comuni,disposta dall’articolo 2, commi 39 e 46 del D. L. 262/2006, in rapporto alla maggior gettito ICI a seguito dell’allargamento della base imponibile recate dal medesimo provvedimento. Per effetto delle disposizioni in commento, la riduzione è consolidata, a decorrere dall’anno 2011, all’importo risultante dalle certificazioni inviate ai comuni ai sensi del decreto 7 aprile 2010 del Ministero dell’economia e delle finanze.

 

Il comma 14 recal’abrogazione, a decorrere dal 1° gennaio 2012, delle seguenti disposizioni:

§      l’articolo 1 del D.L. 27 maggio 2008, n. 93, che ha introdotto l’esenzione ICI sulla “prima casa”;

§      il comma 3, dell’articolo 58 e le lettere d), e) ed h) del comma 1, dell’articolo 59 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 concernenti alcune potestà dei Comuni in materia di ICI;

§      l’ultimo periodo del comma 5 dell’articolo 8 e il comma 4 dell’articolo 9 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, rispettivamente concernenti l’applicazione dell’aliquota IMU stabilita ex lege in mancanza di tempestiva delibera di modifica da parte del comune, e la disposizione che affida ai comuni di stabilire le modalità di corresponsione dell'imposta;

§      il comma 1-bis dell’articolo 23 del decreto legge 30 dicembre 2008, n. 207, ai sensi del quale il riconoscimento della ruralità dei fabbricati ai fini ICI deve essere effettuato sulla base dei requisiti di ruralità indicati ex lege (articolo 9 del decreto legge n. 557 del 1993) anche nel caso in cui le unità immobiliari risultino iscritte o iscrivibili nel catasto fabbricato. Tale abrogazione consegue alla circostanza che detti fabbricati rientrano ora nel campo applicativo dell’IMU;

§      i commi da 2-bis a 2-quater del D.L. 70/2011, concernenti le procedure per la richiesta di accatastamento di fabbricati rurali.

 

Ai sensi del comma 14-bis, le domande di variazione della categoria catastale volte al riconoscimento della ruralità degli immobili, presentate anche dopo il 30 settembre 2011 (ai sensi dell’articolo 7, comma 2-bis del D.L. 70 del 2011) e fino alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto in esame producono gli effetti previsti in relazione al riconoscimento del requisito di ruralità, fermo restando il classamento originario degli immobili rurali ad uso abitativo.

I termini per la presentazione delle domande erano stati determinati dal citato articolo 7, commi 2-bis e 2-ter del D.L. n. 70 del 2011, che ha introdotte una specifica procedure per la modifica della categoria catastale degli immobili, volta al riconoscimento del carattere rurale dei fabbricati (ai sensi dell’articolo 9 del D.L. 557/1993). A tale scopo, le citate norme hanno disposto la presentazione di apposita domanda di variazione della categoria catastale - entro il termine originariamente fissato al 30 settembre 2011 - all'Agenzia del territorio, con autocertificazione attestante che l’immobile ha posseduto continuativamente per cinque anni i requisiti richiesti dalla legislazione vigente per il riconoscimento del carattere rurale. L'Agenzia del territorio - entro il termine del 20 novembre 2011 - verificata l'esistenza dei requisiti, convalida la certificazione e attribuisce la categoria catastale richiesta. Nel caso di mancato pronunciamento dell’amministrazione in termini, si consente al contribuente di assumere provvisoriamente (per 12 mesi) la categoria catastale richiesta. Ove intervenga un motivato diniego entro il 20 novembre 2012, il richiedente è tenuto al pagamento delle imposte non versate, degli interessi e delle sanzioni determinate in misura doppia.

 

Si demanda a un decreto del ministero dell’economia e delle finanze, da emanare entro 60 giorni dall’entrata in vigore della citata legge di conversione, la determinazione delle modalità di inserimento negli atti catastali della sussistenza del requisito di ruralità, fermo restando il classamento originario degli immobili rurali ad uso abitativo.

 

Ai sensi del successivo comma 14-ter, è fatto obbligo di dichiarare al catasto edilizio urbano i fabbricati rurali iscritti al catasto terreni entro il 30 novembre 2012, con le modalità stabilite dal regolamento in materia di l'automazione delle procedure di aggiornamento degli archivi catastali e delle conservatorie dei registri immobiliari (decreto del Ministro delle finanze 19 aprile 1994, n. 701).

 

Sono esclusi da tale obbligo dichiarativo i fabbricati che non costituiscono oggetto di inventariazione (articolo 3, comma 3 del decreto del Ministro delle finanze del 2 gennaio 1998, n, 28[3]), ovvero, a meno di una ordinaria autonoma suscettibilità reddituale, i seguenti immobili:

a)    manufatti con superficie coperta inferiore a 8 m2;

b)    serre adibite alla coltivazione e protezione delle piante sul suolo naturale;

c)    vasche per l'acquacoltura o di accumulo per l'irrigazione dei terreni;

d)    manufatti isolati privi di copertura;

e)    tettoie, porcili, pollai, casotti, concimaie, pozzi e simili, di altezza utile inferiore a 1,80 m, purché di volumetria inferiore a 150 m3;

f)      manufatti precari, privi di fondazione, non stabilmente infissi al suolo.

 

Nelle more della presentazione della suddetta domanda di accatastamento nel catasto edilizio urbano (comma 14-quater),l’IMU viene corrisposta a titolo di acconto e salvo conguaglio, sulla base della rendita delle unità similari già iscritte in catasto.

Le norme demandano ai Comuni la determinazione del conguaglio dell’imposta, a seguito di attribuzione di rendita catastale secondo quanto previsto dal citato D.M. n. 701 del 1994.

Infine, il comma 14-quater disciplina le conseguenze dell’eventuale inottemperanza all’obbligo di dichiarazione. In particolare in tal caso gli uffici provinciali dell'Agenzia del territorio provvedono, con oneri a carico dell'interessato, alla iscrizione in catasto dell'immobile non accatastato ovvero alla verifica del classamento delle unità immobiliari segnalate, notificando le risultanze del classamento e la relativa rendita (articolo 1, comma 336 della legge 30 dicembre 2004, n. 311, legge finanziaria 2005).

Le norme fanno salva l’applicazione delle sanzioni “previste dagli articoli 20 e 28” del R.D.L. 13 aprile 1939, n. 652.

 

Il comma 15 interviene in ordine alla potestà regolamentare generale degli enti locali in materia tributaria, mentre il comma 16 interviene poi in ordine all’addizionale IRPEF, come disciplinata dal decreto legislativo n. 360/1998, con riguardo in particolare all’articolo 1, comma 4 dello stesso, laddove si dispone che ai fini della determinazione dell’acconto dovuto per tale addizionale, l’aliquota della stessa, nonché la eventuale soglia di esenzione, sono assunte nella misura vigente per l’anno precedente, salvo che i comuni ne abbiano disposto la variazione con delibera pubblicata entro il 31 dicembre precedente l’anno di riferimento. Il comma 16 in esame anticipa tale data al 20 dicembre.

Il comma medesimo, inoltre interviene circa i criteri previsti dall’articolo 1, comma 11 del decreto-legge n. 138/2011 in ordine alle eventuali differenziazioni di aliquote dell’addizionale. Tale disposizione prevede che i comuni, per assicurare la razionalità del sistema tributario e la salvaguardia dei criteri di progressività, possano stabilire aliquote dell’addizionale “differenziate esclusivamente in relazione agli scaglioni di reddito corrispondenti a quelli stabiliti dalla legge statale”. In luogo di tale previsione viene ora stabilito – con la evidente finalità di escludere l’eventualità di scaglioni di reddito non coincidenti con quelli statali – che i comuni possano differenziare le aliquote dell’addizionale “utilizzando esclusivamente gli stessi scaglioni di reddito” stabiliti dalla legge statale.

 

Il comma 17 dispone la variazione del fondo sperimentale di riequilibrio e del fondo perequativo di cui, rispettivamente, agli articoli 2 e 13 del decreto legislativo n. 23 del 2011, nonché dei trasferimenti erariali dovuti alle regioni Sicilia e Sardegna[4], in ragione delle differenze del gettito stimato ad aliquota di base derivante dalla nuova disciplina dell’imposta municipale recata dai precedenti commi da 1 a 14 dell’articolo 13.

Per quanto riguardo le altre autonomie speciali (Valle d’Aosta, Friuli-Venezia Giulia, province di Trento e di Bolzano) si applicheranno le procedure previste all’articolo 27 della legge n. 42/2009, prevedendosi peraltro che, fino alla conclusione di tali procedure – vale a dire fino all’emanazione delle norme di attuazione previste dallo stesso articolo 27 – a valere sulle quote di compartecipazione dei tributi erariali di spettanza delle suddette regioni e province autonome venga accantonato un importo corrispondente al maggior gettito stimato in questione.

 

L'importo complessivo della riduzione del recupero di cui al comma 17 è stimato in 1.627,4 milioni per il 2012, in 1.762,4 milioni per il 2013 e in 2.162 milioni per il 2014.

Si segnala che sul fondo sperimentale di riequilibrio comunale intervengono anche ulteriori articoli del decreto-legge in esame. In particolare, l’articolo 14 ne prevede, al comma 13-bis, una riduzione in misura pari ai maggiori introiti derivanti ai comuni dalla maggiorazione della tariffa relativa al tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (che la relazione tecnica quantifica in circa 1 miliardo di euro a decorrere dal 2013) e l’articolo 28, che ne dispone, al comma 7, una riduzione per complessivi 1.415 milioni a decorrere dall’anno 2012, da ripartire in proporzione alla distribuzione territoriale dell’imposta municipale propria sperimentale di cui all’articolo 13 del presente decreto-legge (comma 9).

 

Per quanto concerne le disponibilità del Fondo sperimentale di riequilibrio comunale, si ricorda che, nel bilancio di previsione per il 2012 (legge n. 184/2011), tale fondo - istituito nel corso dell’esercizio finanziario 2011 con una dotazione di 8.375,9 milioni di euro ai sensi del D.M. Interno 21 giugno 2011 – risulta dotato di 7.963,7 milioni di euro per ciascuno degli anni 2012, 2013 e 2014 (capitolo 1350/Interno).

 

A seguito delle disposizioni contenute nel decreto legge n. 201 del 2011, le disponibilità del Fondo sperimentale di riequilibrio subiscono le seguenti riduzioni:

 

 

2012

2013

2014

Articolo 13, comma 17

-1.627

-1.762

-2.162

Articolo 14, comma 13-bis

0

-1.000

-1.000

Articolo 28, comma 7

-1.450

-1.450

-1.450

TOTALE RIDUZIONI

-3.077

-4.212

-4.612

 

 

I commi 18 e 19 intervengono sui cespiti che alimentano il Fondo sperimentale di riequilibrio istituito dall’articolo 2, comma 3, del D.Lgs. n. 23/2011, disponendo che al Fondo confluisca anche il gettito della compartecipazione IVA, prevista dal comma 4 dell’articolo 2. Tale inclusione opera per tutto il triennio di sperimentazione dell’IMU stabilito dal comma 1 dell’articolo 13, vale a dire per gli anni dal 2012 al 2014.

 

Ai sensi di quanto dispone l’articolo 2, comma 3, del D.Lgs. n. 23/2011, il Fondo è stato istituito per realizzare in forma progressiva, in una durata prevista per tre anni e comunque fino a quando non verrà attivato il Fondo perequativo previsto dall’articolo 13 del decreto medesimo, la devoluzione ai comuni della fiscalità immobiliare. Il Fondo è alimentato dal gettito della imposizione immobiliare derivante dagli specifici tributi indicati nella norma (imposte ipotecarie, catastali, di registro, cedolare secca ed altri). Il successivo comma 7 dello stesso articolo 2, dispone che con apposito decreto interministeriale sono stabilite le modalità di alimentazione del Fondo, nonché le quote del gettito dei tributi immobiliari che anno per anno sono devolute ai comuni in cui sono ubicati gli immobili. Per l’anno 2011, con decreto 21 giugno 2011 del Ministro dell’interno è stata data attuazione a tale disposizione.

Per quanto concerne l’articolo 2, comma 4 del decreto legislativo medesimo, esso attribuisce ai comuni una compartecipazione al gettito dell’imposta sul valore aggiunto, la cui misura deve essere fissata in misura finanziariamente equivalente alla compartecipazione del due per cento del gettito dell’imposta sulle persone fisiche. Fino a che non saranno disponibili le informazioni necessarie per attribuire tale compartecipazione sulla base del gettito IVA per provincia, l’articolo 2, comma 4, nonché l’articolo 14, comma 10, del decreto legislativo n. 23/2011 dispongono che l’attribuzione avvenga sulla base del gettito IVA per regione, suddiviso per il numero di abitanti del comune. Con DPCM 17 giugno 2011 è stata data attuazione a tale disposizione per l’anno 2011.

In conseguenza di quanto disposto dal comma 18, il comma 19 stabilisce che per il medesimo triennio non si applichino le sopra illustrate disposizioni dell’articolo 2, comma 4, e dell’articolo 14, comma 10, nella parte in cui le stesse stabiliscono il gettito IVA avvenga sulla base del gettito dell’imposta per regione, suddiviso per il numero di abitanti del comune. A tale modalità di assegnazione sembrerebbe, infatti, ora non doversi più far ricorso, atteso che a seguito dell’inclusione nel Fondo sperimentale di riequilibrio la compartecipazione IVA in questione verrà distribuita secondo i criteri previsti per il Fondo stesso.

Il comma 19-bis stabilisce, quindi, che per gli anni 2012, 2013, e 2014, il D.P.C.M. volto a stabilire le modalità di attribuzione ai comuni del gettito derivante dall’imposta sul valore aggiunto (di cui all’articolo 2, comma 4, del D.Lgs. 23/2011) è esclusivamente finalizzato a fissare la percentuale di compartecipazione al gettito dell’imposta sul valore aggiunto, nel rispetto dei saldi di finanza pubblica, in misura finanziariamente equivalente alla compartecipazione del 2 per cento al gettito dell’imposta sul reddito delle persone fisiche.

Si rammenta che in precedenza altre disposizioni hanno modificato il decreto legislativo 23/2011 in commento.

In particolare l’articolo 20, comma 16, il decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (legge n. 111/2011) ha disposto che tutte le disposizioni che prevedono sanzioni o recuperi a valere sui trasferimenti statali destinati agli enti locali devono intendersi riferite anche al fondo sperimentale di riequilibrio di cui all’articolo 2, comma 3, del decreto legislativo n. 23 del 2011 in commento, nonché al fondo sperimentale di riequilibrio provinciale di cui all’articolo 21 del decreto legislativo n. 68 del 2011 (di cui al successivo punto 5 del presente dossier), e, altresì, al fondo perequativo previsto dall’articolo 13 della legge delega n.42 del 2009.

 

Inoltre l’articolo 1, comma 10, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (legge n. 148/2011) nel disporre la cessazione, a decorrere dal 2012, della sospensione del potere dei comuni di aumentare l’addizionale Irpef, ha contestualmente soppresso l’articolo 5 del decreto legislativo n. 23/2011 in esame, che prevedeva la graduale cessazione del blocco degli aumenti dell’addizionale medesima.

 

Infine, l’articolo 1, comma 12-bis, dello stesso decreto legge n. 138/2011 ha innalzato dal 50 al 100 per cento l’ammontare del maggior gettito spettante ai comuni per la partecipazione degli stessi all’attività di accertamento tributario prevista dall’articolo 2, comma 10, del decreto legislativo 23/2011 in esame.


5. Le modifiche al federalismo regionale e provinciale – Decreto legislativo n. 68 del 2011

L’articolo 28 del decreto-legge n. 201 del 2011 reca disposizioni relative al concorso alla manovra degli enti territoriali e ulteriori riduzioni di spesa.

 

Il comma 1 dell'articolo 28 dispone, a decorrere dall’anno di imposta 2011, l'aumento dello 0,33% dell'aliquota base dell'addizionale regionale all'IRPEF (dallo 0,9 allo 1,23%),destinata al finanziamento del Servizio sanitario nazionale. La norma modifica a tal fine il comma 1 dell'articolo 6 del decreto legislativo n. 68 del 2011 (comma 2).

 

L’articolo 6 fissa la misura dell’aliquota di base dell’addizionale regionale all’IRPEF, attribuendo inoltre alle regioni a statuto ordinario, a decorrere dal 2012 (2013 nel testo originario del decreto legislativo 68/2011), il potere di modificare tale aliquota, nell’ambito dell’autonomia ad esse riconosciuta.

Inoltre l’articolo 2, comma 1 del medesimo D.Lgs. n. 68/2011 prevede che, a decorrere dall'anno 2013, con riferimento all'anno di imposta precedente, la misura dell’aliquota di base dell’addizionale regionale IRPEF sia rideterminata entro il 26 maggio 2012 (un anno dall’entrata in vigore del D.Lgs. n. 68/2011) con D.P.C.M. – sentita la Conferenza Stato-regioni e previo parere delle competenti Commissioni parlamentari.

Il richiamato comma 1 dell’articolo 2 prevede che a decorrere dal 2012 ciascuna regione a statuto ordinario possa, con propria legge, aumentare o diminuire l'aliquota dell'addizionale regionale all'IRPEF di base. La maggiorazione non può essere superiore:

a)    a 0,5 punti percentuali per gli anni 2012 e 2013;

b)    a 1,1 punti percentuali per l'anno 2014;

c)    a 2,1 punti percentuali a decorrere dall'anno 2015.

 

Con riferimento a tale disposizione si segnala che l’articolo 29, comma 14, del decreto legge 29 dicembre 2011, n. 216[5], proroga al 31 dicembre 2011 il termine per deliberare, per l'anno di imposta 2011, l'aumento o la diminuzione dell'aliquota dell'addizionale regionale all'IRPEF, da applicare sull'aliquota di base dell'1,23 per cento. Viene inoltre stabilito che le maggiorazioni già vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto si intendono applicate sulla predetta aliquota di base dell'1,23 per cento.

 

Il comma 8dispone, per le province, la riduzione complessiva di 415 milioni di euro a decorrere dal 2012, a valere sulle risorse del Fondo sperimentale di riequilibrio delle province (art. 21 D.Lgs. n. 68/2011) e del Fondo perequativo (art. 23 D.Lgs. n. 68/2011) nonché a valere sui trasferimenti erariali dovuti alle province della Regione Siciliana e della Regione Sardegna.

 

Si ricorda che il Fondo sperimentale di riequilibrio provinciale, istituito nella legge di bilancio per il 2012, presenta una dotazione di 788 milioni di euro per ciascuno degli anni 2012-2014 (capitolo 1352/Interno).

 

Si segnala peraltro, per quanto concerne le province, che le norme introdotte dall’articolo 23, comma 19, che prevedono il trasferimento ai comuni, entro il 30 aprile 2012, delle competenze ora attribuite alle province, dispongono il trasferimento delle risorse umane, finanziarie e strumentali per l’esercizio delle funzioni trasferite medesime.

Il comma 11 sopprime il comma 6 dell’articolo 18 del D.Lgs. n. 68/2011, recante una clausola di salvaguardia nei confronti delle province in esito al riordino fiscale per esse derivante dal medesimo articolo 18, con specifico riguardo alla soppressione dell’addizionale provinciale sull’energia elettrica.

 

L’articolo 18 in questione ha disposto al comma 1 che a decorrere dal 2012 l’aliquota della compartecipazione provinciale all’IRPEF venga stabilita in modo tale da assicurare entrate corrispondenti:

-        ai trasferimenti statali soppressi, costituiti da tutti i trasferimenti di parte corrente e, se non finanziati tramite indebitamento, di conto capitale aventi carattere di generalità e di permanenza nel tempo);

-        alle entrate derivanti dall’ addizionale provinciale sull’energia elettrica, soppressa dall’articolo medesimo, con attribuzione allo Stato del relativo gettito.

Il comma 6 del medesimo articolo ha peraltro stabilito, in sostanza ribadendo la finalità espressamente enunciata nel comma 1 di tutelare le province da possibili perdite di risorse, che alla provincia competente per territorio venga devoluto un gettito non inferiore a quello derivante nel 2011 dalla soppressa addizionale dell’energia elettrica.

 

Va in proposito segnalato che l’articolo 29, comma 14, del decreto legge 29 dicembre 2011, n. 216[6] fissa al 31 dicembre 2011 il termine per deliberare, per l'anno di imposta 2011, l'aumento o la diminuzione dell'aliquota dell'addizionale regionale all'IRPEF, da applicare sull'aliquota di base dell'1,23 per cento. Viene inoltre stabilito che le maggiorazioni già vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto si intendono applicate sulla predetta aliquota di base dell'1,23 per cento

 

Infine l’articolo 28, al comma 11-bis, primo periodo, dispone la soppressione dell’articolo 17, comma 5, del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68, concernente la norma di salvaguardia per le autonomie speciali con riferimento specifico alle modalità di applicazione dell'imposta sulle assicurazioni contro la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore (RCAuto) nei confronti delle province ubicate nelle regioni a statuto speciale e delle province autonome. La soppressione del comma 5 comporta pertanto l’immediata applicabilità delle disposizioni in questione anche nei riguardi delle province situate nelle regioni a statuto speciale.

 

Il secondo periodo del comma 11-bis dispone l’applicazione nell’intero territorio nazionale delle misure previste dall’articolo 1, comma 12, terzo, quarto e quinto periodo, del decreto-legge n. 138 del 2011,relative all’imposta provinciale di trascrizione (IPT), per la quale si prevede la tassazione degli atti soggetti ad IVA in misura modulata sulla base delle caratteristiche di potenza e portata dei veicoli soggetti ad immatricolazione.

 

L’articolo 30, comma 3, del decreto-legge n. 201 del 2011 – che incrementa di 800 milioni annui, a decorrere dal 2012, il Fondo per il finanziamento del trasporto pubblico locale, anche ferroviario, nelle regioni a statuto ordinario, il quale dal 2013 sarà alimentato da una compartecipazione al gettito derivante dall’aumento delle accise sui carburanti disposto dall’articolo 15 dello stesso decreto – novella alcune disposizioni del decreto legislativo n. 68 relative alla soppressione della compartecipazione regionale all’accisa sulla benzina (che avrebbe dovuto essere realizzata nel 2013), e comunque dalla data in cui sono soppressi i trasferimenti statali alle regioni in materia di trasporto pubblico locale.

In particolare:

§      viene soppresso all'articolo 2, comma 1, il riferimento alle entrate derivanti dalla compartecipazione soppressa ai sensi dell'articolo 8, comma 4;

§      viene abrogato il comma 4 dell’articolo 8;

§      viene modificato il comma 4 dell’articolo 32, differendo dal 2012 al 2013 l’anno di riferimento nel quale lo Stato provvederà alla soppressione dei trasferimenti statali alle regioni, aventi carattere di generalità e permanenza, relativi al trasporto pubblico locale e alla conseguente fiscalizzazione degli stessi trasferimenti.

 

Si rammenta in precedenza altre disposizioni hanno modificato in alcuni aspetti il decreto legislativo n. 68 del 2011: in particolare l’articolo 1, comma 10 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (legge n. 148/2011) ha modificato l’articolo 6 del decreto legislativo, anticipando al 2012 (anziché dal 2013, come stabilito dal decreto legislativo medesimo) la possibilità per le regioni di apportare modifiche all’aliquota dell’addizionale Irpef regionale. Come esposto all’inizio della presente scheda, sull’articolo 6 è ora intervenuto anche il decreto legge n. 201/2011.

Lo stesso decreto-legge, all’articolo 1, comma 12, detta disposizioni volte a semplificare la procedura per modificare l’imposta provinciale di trascrizione prevista dall’articolo 17, comma 6, del decreto legislativo n. 68/2011 in questione.


6. Il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi

Disposizioni che riguardano l’autonomia finanziaria dei comuni sono contenute all’articolo 14 del decreto-legge n. 201 del 2011, che istituisce, a decorrere dal 1° gennaio 2013 il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi, a copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, svolto in regime di privativa dai comuni e dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni.

 

In particolare, ai sensi del comma 1 dell’articolo in esame, a decorrere dal 1° gennaio 2013 il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi copre:

§      i costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, svolto in regime di privativa dai comuni;

§      i costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni.

 

Soggetto attivo dell'obbligazione tributaria è il comune nel cui territorio insiste, interamente o prevalentemente, la superficie degli immobili assoggettabili al tributo (comma 2).

Il tributo, ai sensi del comma 3, è dovuto - con vincolo di solidarietà tra i componenti del nucleo familiare o tra coloro che usano in comune i locali o le aree stesse (comma 5) - da chiunque possieda, occupi o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani. Sono escluse dalla tassazione le aree scoperte pertinenziali o accessorie a civili abitazioni e le aree comuni condominiali che non siano detenute o occupate in via esclusiva (comma 4).

In caso di utilizzi temporanei di durata non superiore a sei mesi, il tributo è dovuto soltanto dal possessore dei locali e delle aree a titolo di proprietà, usufrutto, uso, abitazione, superficie (comma 6), mentre per i locali in multiproprietà e i centri commerciali integrati il soggetto che gestisce i servizi comuni è responsabile del versamento del tributo dovuto per i locali ed aree scoperte di uso comune (comma 7).

 

Ai sensi del comma 8, la tariffa è commisurata all’anno solare, cui corrisponde un'autonoma obbligazione tributaria, nonché alle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie(comma 9), in relazione agli usi e alla tipologia di attività svolte.

La superficie assoggettabile al tributo è pari all'80 per cento della superficie catastale.

La tariffa, che deve assicurare la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio (comma 11), è composta da:

§      una quota determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio di gestione dei rifiuti, riferite in particolare agli investimenti per le opere ed ai relativi ammortamenti;

§      una quota rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito e all'entità dei costi di gestione;

§      i costi dello smaltimento dei rifiuti nelle discariche.

La definizione dei criteri per l'individuazione del costo del servizio di gestione dei rifiuti e per la determinazione della tariffa è demandata ad un regolamento da emanarsi entro il 31 ottobre 2012. In via transitoria, a decorrere dal 1° gennaio 2013 si applicano le disposizioni di cui al citato D.P.R. 27 aprile 1999, n. 158, recante norme per la elaborazione del metodo normalizzato per definire la tariffa del servizio di gestione del ciclo dei rifiuti urbani.

Alla tariffa rifiuti così determinata, si applica una maggiorazione pari a 0,30 euro per metro quadrato (comma 13), a copertura dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni, i quali possono, con deliberazione del consiglio comunale, modificare in aumento la misura della maggiorazione per un importo massimo di 0,40 euro, anche graduandola in ragione della tipologia dell'immobile e della zona ove è ubicato.

Tale maggiorazione – secondo quanto emerge dalla relazione tecnica – determina un incremento delle entrate per i comuni stimato in 1.000 milioni di euro annui, al quale corrisponde, ai sensi del comma 13-bis, un riduzione di pari importo delle somme assegnate ai comuni a valere sul Fondo sperimentale di riequilibrio e sul fondo perequativo - di cui, rispettivamente, agli articoli 2 e 13 del decreto legislativo n. 23 del 2011[7] - nonché sui trasferimenti erariali dovuti ai comuni della Regione Siciliana e della Regione Sardegna[8], a decorrere dal 2013.

 

In caso di incapienza ciascun comune deve versare all'entrata del bilancio dello Stato le somme residue.

Per quanto riguardo le rimanenti autonomie speciali (Valle d’Aosta, Friuli-Venezia Giulia, province di Trento e di Bolzano) si applicheranno le procedure previste all’articolo 27 della legge n. 42/2009 sul federalismo fiscale, prevedendosi peraltro che, fino alla conclusione di tali procedure – vale a dire fino all’emanazione delle norme di attuazione previste dallo stesso articolo 27 – a valere sulle quote di compartecipazione dei tributi erariali di spettanza delle suddette regioni e province autonome venga accantonato un importo corrispondente al maggior gettito in questione.

 

Ai sensi del comma 14, resta ferma la disciplina del tributo dovuto per il servizio di gestione dei rifiuti delle istituzioni scolastiche.

I commi da 15 a 21 prevedono specifiche ipotesi di riduzioni tariffarie, salva la facoltà, per il consiglio comunale, di deliberare ulteriori riduzioni ed esenzioni.

Il consiglio comunale determina, con apposito regolamento, la disciplina per l'applicazione del tributo e approva le tariffe del tributo entro il termine fissato da norme statali per l'approvazione del bilancio di previsione, in conformità al piano finanziario del servizio di gestione dei rifiuti urbani (commi 22 e 23).

I commi da 24 a 27 regolano il servizio di gestione dei rifiuti assimilati prodotti da soggetti che occupano o detengono temporaneamente locali od aree pubbliche o di uso pubblico.

Viene fatta salva l'applicazione del tributo provinciale per l'esercizio delle funzioni di tutela, protezione ed igiene dell'ambiente di cui all'articolo 19 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504. Il tributo provinciale, commisurato alla superficie dei locali ed aree assoggettabili a tributo, è applicato nella misura percentuale deliberata dalla provincia sull'importo del tributo. I comuni che hanno realizzato sistemi di misurazione puntuale della quantità di rifiuti conferiti al servizio pubblico possono, con regolamento, prevedere l'applicazione di una tariffa avente natura corrispettiva, in luogo del tributo (commi 28, 29-32).

 

I commi da 33 a 45 disciplinano gli aspetti procedurali concernenti la presentazione della dichiarazione e l’accertamento, statuendo anche in ordine alle sanzioni.

A decorrere dal 1° gennaio 2013 sono quindi soppressi tutti i vigenti prelievi relativi alla gestione dei rifiuti urbani, sia di natura patrimoniale sia di natura tributaria, compresa l'addizionale per l'integrazione dei bilanci degli enti comunali di assistenza. E’ infine abrogato, con la medesima decorrenza, l'articolo 14, comma 7, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 in materia di federalismo fiscale municipale, il quale, sino alla revisione della disciplina relativa alla gestione dei rifiuti solidi urbani, confermava la vigenza dei regolamenti comunali adottati in base alla normativa concernente la tassa sui rifiuti solidi urbani e la tariffa di igiene ambientale nonché la possibilità per i comuni di adottare la tariffa integrata ambientale.


7. Le disposizioni relative alle regioni a statuto speciale

L’articolo 28 del decreto-legge n. 201 del 2011 dispone in merito al concorso alla manovra degli enti territoriali. In particolare, il comma 3 prevede che il concorso delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano alla manovra di finanza pubblica sia determinato in complessivi 920 milioni di euro annui,

A decorrere dal 2012 regioni e province autonome devono versare all'erario 860 milioni di euro annui e le regioni Friuli Venezia Giulia, Valle d'Aosta e le due Province autonome di Trento e di Bolzano anche 60 milioni di euro annui da parte dei comuni ricadenti nei propri territori.

 

Per quanto attiene al contributo riferito ai comuni, sono escluse le regioni Sicilia e Sardegna, in quanto in queste regioni – contrariamente a quanto avviene nelle altre regioni a statuto speciale - la finanza degli enti locali è ancora a carico dello Stato. Per i comuni di Sicilia e Sardegna, infatti, si applicano le disposizioni recate dai commi 7 e 8 dell'articolo 28 in esame (vedi oltre) al pari dei comuni del resto del territorio nazionale.

 

Tutte le regioni e province autonome hanno competenza legislativa esclusiva in materia di ordinamento degli enti locali, secondo quanto disposto dai rispettivi statuti di autonomia e dalle norme di attuazione[9]: Per le regioni Friuli-Venezia Giulia, Valle d’Aosta e per le Province autonome di Trento e di Bolzano sono poi intervenute specifiche norme di attuazione dello statuto speciale che hanno disciplinato la materia della finanza locale, nel senso che è la regione [o la provincia autonoma] a provvedere alla finanza degli enti locali del proprio territorio con risorse del proprio bilancio. Ciò non è avvenuto nel caso della regione Sardegna e della Regione siciliana, dove la finanza degli enti locali è ancora a carico dello Stato.

 

Per le modalità applicative del concorso degli enti alla finanza pubblica la norma fa riferimento alle procedure stabilite dall'articolo 27 della legge 42 del 2009 , il cui contenuto è già stato in precedenza illustrato al punto 1 del presente dossier, al quale si rinvia. Come già precisato al punto 1 medesimo, fino all'emanazione delle citate norme di attuazione, il risparmio di 920 milioni di euro dovrà essere realizzato attraverso un accantonamento di quotedi compartecipazioniai tributi erariali spettanti a ciascuna autonomia; la ripartizione di questa cifra tra le autonomie speciali verrà fatta sulla base della [in proporzione alla] media degli impegni finali di ciascun ente, nel triennio 2007-2009.

Com'è noto, le regioni a statuto speciale ricevono quote di tributi erariali, nella misura stabilita da ciascuno statuto speciale e da norme di attuazione. I tributi erariali sono riscossi dallo Stato che provvede poi a ‘devolvere’ alla regione la quota spettante; le somme transitano quindi nel bilancio dello Stato. Fanno eccezione la regione Sicilia e la regione Friuli-Venezia Giulia, che provvedono direttamente alla riscossione dei tributi; in questi casi si provvederà attraverso regolazioni contabili.

La norma precisa, inoltre, che per la Regione Siciliana si tiene conto della rideterminazione del fondo sanitario operata ai sensi del comma 2 dell'articolo 28.

Il riferimento è al finanziamento del Servizio sanitario regionale nella regione Sicilia, cui lo Stato contribuisce ancora per più del 50 per cento.

In sostanza, per la Regione Siciliana, il maggiore gettito derivante dall'aumento dell'addizionale IRPEF (che la relazione tecnica quantifica in 130 milioni di euro) è destinato a finanziare una parte della quota di finanziamento del servizio sanitario nazionale ancora a carico dello Stato.

 

Si ricorda al riguardo che la Regione Siciliana è rimasta la sola, tra le autonomie speciali, a non finanziarie direttamente con risorse del proprio bilancio, il servizio sanitario nazionale nel proprio territorio. Da ultimo, la legge 296/2006, articolo 1, comma 830, "al fine di addivenire al completo trasferimento della spesa sanitaria a carico del bilancio della Regione Siciliana", ha progressivamente aumentato la quota di partecipazione alla spesa sanitaria fino alla misura del 49,11%[10]. La regione perciò, per la parte restante, rientra nella ripartizione del Fondo sanitario nazionale.


8. Le disposizioni relative alle regioni a statuto ordinario

L’articolo 28, al comma 5 dispone la riduzione delle quote di compartecipazione all'IVA, direttamente sui conti di tesoreria per le regioni a statuto ordinario.

Ai fini della definizione della misura della compartecipazione IVA spettante a ciascuna regione a statuto ordinario – dispone la norma - si tiene conto degli effetti derivanti dall'aumento dell'aliquota dell'addizionale IRPEF, vale a dire si diminuisce per la cifra corrispondente.

 

Si ricorda che la compartecipazione IVA[11] finanzia il Fondo sanitario nazionale di parte corrente insieme alla addizionale IRPEF, all'IRAP ed alle entrate proprie delle regioni (ticket). L’ammontare complessivo spettante alle regioni viene ripartito tra le stesse sulla base sia delle quote di trasferimenti soppressi, sia della quota del fondo sanitario nazionale di parte corrente necessaria per finanziare la differenza tra il fabbisogno sanitario riconosciuto e le entrate specifiche delle regioni (IRAP, addizionale regionale IRPEF e altre entrate proprie)[12].

L'articolo 77-quater del D.L. 112/2008 disciplina l’accreditamento alle regioni a statuto ordinario – nei conti di tesoreria unica - delle somme che spettano loro in base alle assegnazioni del Fondo sanitario nazionale. In particolare, il comma 4 dispone che la compartecipazione IVA è corrisposta (in attesa della determinazione della quota IVA ad esse spettante) sulla base dell'ultima ripartizione disponibile e al netto della quota di fabbisogno indistinto, condizionatamente alla verifica degli adempimenti assunti in base alla legislazione vigente.

 

Per le regioni a statuto ordinario, dove l'imposta è destinata al finanziamento del Servizio sanitario nazionale, la norma dispone – in conseguenza - la riduzione della compartecipazione all'IVA, anch'essa destinata al finanziamento della sanità per un importo corrispondente all'aumento dell'addizionale (comma 5).

 

La relazione tecnica specifica che la norma determina un maggior gettito di 2.085 milioni di euro, cui corrisponde una riduzione di pari importo della compartecipazione IVA per le regioni a statuto ordinario, destinata al finanziamento della sanità, riduzione operata ai sensi del comma 5 dell'articolo in esame (vedi infra).

 

Il comma 6 del medesimo articolo 28 reca una disposizione ordinamentale, ancora in relazione ai conti di tesoreria ed alle erogazioni alle regioni per il finanziamento della sanità.

In particolare dispone in merito alle somme accantonate, pari alla quota del finanziamento indistinto del fabbisogno sanitario, la cui erogazione è condizionata alla verifica degli adempimenti regionali, ai sensi della legislazione vigente (così dispone per tutte le regioni a statuto ordinario il comma 4 e per la regione Sicilia il comma 5 dell'art. 77-quater del decreto legge n. 112/2008). Queste somme rimangono accantonate in bilancio fino alla realizzazione delle condizioni che ne consentono l'erogabilità e comunque per un periodo non superiore al quinto anno successivo a quello di iscrizione in bilancio.


9. Altre disposizioni riguardanti gli enti territoriali

Programmi regionali cofinanziati dai fondi strutturali

L’articolo 3, comma 1, del decreto-legge n. 201 del 2011, attraverso una novella all’articolo 32, comma 4, della legge di stabilità 2012 (legge n. 183/2011) – inserimento della lettera o) - ricomprende tra le tipologie di spese escluse dal computo dell'applicazione delle regole del patto di stabilità per le regioni a statuto ordinario anche le spese effettuate per gli anni 2012, 2013 e 2014 a valere sulle risorse dei cofinanziamenti nazionali dei fondi strutturali comunitari nel limite di un miliardo di euro per ciascuna annualità considerata.

La disposizione specifica che per le Regioni ricomprese nell'Obiettivo Convergenza[13] e nel regime di phasing in nell'Obiettivo Competitività (regione Sardegna), di cui al Regolamento del Consiglio (CE) n. 1083/2006, tale esclusione é subordinata all’Accordo sull'attuazione del Piano di Azione Coesione del 15 novembre 2011.

 

Il comma 1-bis prevede che l’esclusione di tali spese opera nei confronti di ciascuna regione nei limiti definiti con i criteri e le modalità previste dal comma 2.

 

Il comma 2, al fine di compensare gli effetti in termini di fabbisogno e di indebitamento netto delle disposizioni di cui al comma 1, istituisce nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze un “Fondo di compensazione per gli interventi volti a favorire lo sviluppo”.

Il fondo, con una dotazione, in termini di sola cassa, di 1.000 milioni di euro per ciascuno degli anni 2012, 2013 e 2014, verrà ripartito tra le singole Regioni sulla base della chiave di riparto dei fondi strutturali 2007-2013, cosi come stabilita dal Quadro Strategico Nazionale 2007-2013, adottato con Decisione CE C (2007) n. 3329 del 13/7/2007.

 

In sostanza la norma, al fine di agevolare il raggiungimento degli obiettivi di spesa previsti dai programmi regionali cofinanziati dall’Unione europea per il periodo 2007-2013, permette di “non computare” nei saldi del patto di stabilità le spese sostenute dalle regioni a valere sulle proprie risorse, nonché su quelle statali loro trasferite dal Fondo di rotazione per l’attuazione delle politiche comunitarie. La disposizione dovrebbe consentire una accelerazione della capacità di spesa ed evitare il disimpegno automatico delle risorse comunitarie. Al fine di compensare lo “sforamento” del patto, con il comma 2 viene istituito un fondo dotato di sola cassa che compensa gli effetti in termini di fabbisogno e indebitamento

Riorganizzazione di organi collegiali

L’articolo 22, comma 3, del decreto-legge n. 201 del 2011 estende alle Agenzie e agli enti o organismi strumentali comunque denominati sottoposti alla vigilanza delle regioni, delle province autonome di Trento e Bolzano e degli enti locali la norma - contenuta nell’articolo 6, comma 5 del D.L. n. 78/2010 – che dispone la riduzione del numero dei componenti degli organi di amministrazione e di controllo, nonché dei componenti del collegio dei revisori, rispettivamente, a cinque e a tre componenti.

A tal fine, gli enti territoriali vigilanti, negli ambiti di rispettiva competenza, sono tenuti ad adeguare i propri ordinamenti a quanto previsto dal citato articolo 6, comma 5 del D.L. n. 78/2010, entro un anno dalla data di entrata in vigore del provvedimento in commento.

Centrale unica di committenza

Il comma 4 dell’articolo 23 del decreto-legge n. 201 del 2011 introduce un comma 3-bis all’articolo 33 del D.Lgs. n. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici) ai sensi del quale i comuni con popolazione non superiore a 5.000 abitanti ricadenti nel territorio di ciascuna provincia affidano obbligatoriamente ad un'unica centrale di committenza l'acquisizione di lavori, servizi e forniture:

§      nell'ambito delle unioni dei comuni, ove esistenti;

§      ovvero costituendo un apposito accordo consortile tra i comuni medesimi e avvalendosi dei competenti uffici.

 

Si ricorda che le unioni di comuni sono disciplinate dall’articolo 32 del D.Lgs. n. 267/2000. In particolare il comma 1 le definisce come “enti locali costituiti da due o più comuni di norma contermini, allo scopo di esercitare congiuntamente una pluralità di funzioni di loro competenza”, mentre l’articolo 31 del medesimo decreto disciplina i consorzi che gli enti locali possono costituire per la gestione associata di uno o più servizi e l'esercizio associato di funzioni.

 

Quanto alle centrali di committenza si rammenta la definizione recata dall’articolo 3, comma 34, del D.Lgs. n. 163/2006, secondo cui la centrale di committenza è “un'amministrazione aggiudicatrice che:

-        acquista forniture o servizi destinati ad amministrazioni aggiudicatrici o altri enti aggiudicatori, o

-        aggiudica appalti pubblici o conclude accordi quadro di lavori, forniture o servizi destinati ad amministrazioni aggiudicatrici o altri enti aggiudicatori”.

L’articolo 33 prevede, quindi, che le stazioni appaltanti e gli enti aggiudicatori possono acquisire lavori, servizi e forniture facendo ricorso a centrali di committenza, anche associandosi o consorziandosi e che tali centrali sono tenute all’osservanza del codice.

In base al successivo comma 5, la norma introdotta al citato comma 3-bis si applica alle gare bandite successivamente al 31 marzo 2012.

La relazione tecnica sottolinea che la finalità del comma in esame è quella di pervenire ad una”riduzione dell’elevata frammentazione del sistema degli appalti pubblici” che dovrebbe portare ad una conseguente riduzione dei costi di gestione delle procedure grazie alle economie di scala.

Gratuità delle cariche elettive di enti territoriali non previsti dalla Costituzione

L’articolo 23, comma 22, stabilisce che la titolarità di qualsiasi carica, ufficio o organo di natura elettiva di un ente territoriale non previsto dalla Costituzione è a titolo esclusivamente onorifico e non può dare luogo ad alcuna forma di remunerazione, indennità o gettone di presenza.

 

Gli enti territoriali previsti dalla Costituzione sono quelli che compongo la Repubblica e che sono indicati all’articolo 114, e cioè i comuni, le città metropolitane, le regioni e lo Stato.

La norma in esame, prevede appunto che le cariche elettive in enti territoriali diversi da questi non possono essere remunerate, ma sono esercitate a titolo onorifico.

E’ prevista una deroga relativamente alle circoscrizioni di decentramento comunale dei comuni con popolazione superiore a 250.000 abitanti, per le quali non si applicano le disposizioni del comma in esame (articolo 2, comma 186, della legge finanziaria 2010).

L’esclusione dovrebbe riguardare solamente i presidenti delle circoscrizioni che ai sensi dell’art. 82, comma 1, del testo unico enti locali percepiscono una indennità legata alla loro carica, mentre, ai sensi del successivo comma 2, nessuna indennità è dovuta ai consiglieri circoscrizionali ad eccezione dei consiglieri circoscrizionali delle città metropolitane (peraltro quest’ultime non ancora istituite).

Si osserva che comunque non appare chiara la platea dei destinatari del divieto di retribuzione, poiché gli amministratori delle comunità montane e delle unioni di comuni (anch’essi, come le circoscrizioni, enti territoriali non previsti dalla Costituzione) non hanno diritto ad alcuna retribuzione.

Infatti, l’articolo 5, comma 7, del D.L. n. 78/2010, da un lato, vieta di attribuire emolumenti in qualsiasi forma (compresi retribuzioni, gettoni, o indennità) agli amministratori di comunità montane e unioni di comuni e comunque di forme associative di enti locali, aventi per oggetto la gestione di servizi e funzioni pubbliche; dall’altro, prevede la riduzione delle indennità di sindaci, presidenti di provincia, assessori ed altri amministratori locali secondo fasce parametrali rapportate inversamente al fattore demografico.

In particolare, la disposizione citata prevede che, con decreto del Ministro dell'Interno, gli importi delle indennità siano ridotte, per un periodo non inferiore a tre anni, di una percentuale pari a:

-        il 3 per cento per i comuni con popolazione fino a 15.000 abitanti e per le province con popolazione fino a 500.000 abitanti;

-        il 7 per cento per i comuni con popolazione tra 15.001 e 250.000 abitanti e per le province con popolazione tra 500.001 e un milione di abitanti;

-        il 10 per cento per i restanti comuni e per le restanti province.

Sono esclusi dall'applicazione della disposizione i comuni con meno di 1.000 abitanti.

Dismissioni immobili

L’articolo 27 del decreto-legge n. 201 del 2011, al comma 1, attraverso l’inserimento di un articolo 33-bis nel D.L. n. 98 del 2011, attribuisce all’Agenzia del demanio il compito di promuovere iniziative volte alla costituzione di società, consorzi o fondi immobiliari con la finalità di valorizzare e alienare il patrimonio immobiliare pubblico di proprietà dello Stato, delle regioni, degli enti locali e degli enti vigilati. Qualora si costituiscano delle società, ad esse partecipano i soggetti che apportano i beni e, necessariamente, l’Agenzia del demanio in qualità di finanziatore e di struttura tecnica di supporto

Il nuovo articolo 33-bis, inoltre, modifica i primi due commi dell’articolo 58 del decreto legge n. 112 del 2008, relativo al “Piano delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari” con il quale le regioni, gli enti locali e, a seguito della modifica introdotta, anche gli enti a totale partecipazione degli stessi, individuano gli immobili suscettibili di valorizzazione o di dismissione. Con la modifica in oggetto l’approvazione del Piano da parte del consiglio comunale non costituisce più automaticamente una variante allo strumento urbanistico generale: l’eventuale equivalenza della deliberazione del consiglio è disciplinata dalle regioni entro 60 giorni dall’entrata in vigore della norma in esame.

 

Il comma 2, disciplina la formazione di programmi unitari di valorizzazione territoriale per il riutilizzo funzionale e la rigenerazione degli immobili di proprietà di regioni, province e comuni e di ogni soggetto pubblico, anche statale, proprietario, detentore o gestore di immobili pubblici, nonché degli immobili oggetto di procedure di valorizzazione di cui al decreto legislativo sul federalismo demaniale.

 

Il comma 6 prevede il diretto coinvolgimento dei comuni nella gestione di alloggi costruiti a favore di chi occupava originariamente abitazioni malsane.

In sostanza la norma abroga una disposizione di interpretazione autentica, il comma 442 dell’articolo 1 della legge n. 311 del 2004. Conseguentemente a queste abitazioni si applica la norma (comma 441) che prevede che gli alloggi e le relative pertinenze di proprietà dello Stato, costruiti in base a leggi speciali di finanziamento per sopperire ad esigenze abitative pubbliche, compresi quelli affidati agli appositi enti gestori, ed effettivamente destinati a tali scopi, possono essere trasferiti, a richiesta, a titolo gratuito, ai comuni nel cui territorio gli stessi sono ubicati.


10. Disposizioni in materia di province

I commi 14 - 21 dell’articolo 23 del decreto-legge n. 201 del 2011 dispongono in tema di funzioni, organi di governo e legislazione elettorale delle province, materia che, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lett. p) della Costituzione e limitatamente a quelle fondamentali per ciò che riguarda le funzioni, è affidata alla competenza esclusiva della legge dello Stato.

Le funzioni delle province

Il comma 14 prevede che spettano alla Provincia esclusivamente le funzioni di indirizzo e di coordinamento delle attività dei Comuni. Tale previsione è disposta con riferimento alle materie e ai limiti indicati con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze.

In tema di funzioni delle province occorre ricordare che, a livello costituzionale, l’articolo 114, comma secondo, stabilisce che le Province, con i Comuni, le Città metropolitane e le Regioni, sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati nella Costituzione.

Nella giurisprudenza costituzionale, che sottolinea la diversità dei poteri spettanti a Stato, regioni, province, comuni e città metropolitane, è stato precisato che alle province diverse da quelle autonome, come ai comuni e alle città metropolitane, non spettano potestà legislative.

Le province autonome di Trento e Bolzano sono menzionate nell’articolo 116, comma secondo, e l’articolo 117, comma quinto, ne indica specifiche competenze.

Con riferimento alle province delle Regioni a statuto speciale, occorre precisare che tali regioni hanno potestà legislativa in materia di autonomie locali, secondo quanto disposto dai rispettivi statuti di autonomia, “in armonia con la Costituzione, con i princìpi generali dell’ordinamento giuridico della Repubblica, col rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali, con le norme fondamentali delle riforme economico-sociali”. In particolare, ciascuno statuto di autonomia espressamente comprende l’“ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni” nell’elenco delle materie in cui la regione ha potestà legislativa primaria: così, per la regione Friuli-Venezia Giulia, la L.Cost. 1/1963, art. 4, e per la regione Sardegna la L.Cost. 3/1948, art. 3. Per la Regione siciliana l’art. 15 del R.D.Lgs. 455/1946 dispone la soppressione delle circoscrizioni provinciali vigenti al momento dell’entrata in vigore dello Statuto e dispone che “spetta alla Regione la legislazione esclusiva e l’esecuzione diretta in materia di circoscrizione, ordinamento e controllo degli enti locali”.

L’articolo 118, secondo comma, stabilisce che le province, come i comuni e le città metropolitane, sono titolari di funzioni amministrative proprie e di funzioni conferite con legge statale o regionale secondo le rispettive competenze .

L’articolo 117, secondo comma, lett. p), attribuisce alla competenza esclusiva dello Stato la legislazione in materia di funzioni fondamentali delle province, oltre che dei comuni e delle città metropolitane.

 

La differente qualificazione delle funzioni non ha impedito a parte della dottrina di identificare le funzioni proprie con quelle fondamentali (quindi da determinare con legge statale), con individuazione uniforme a livello nazionale delle funzioni di base.

 

A livello di legislazione ordinaria l’articolo 19 del D.Lgs. n. 267/2000 (TUEL) attribuisce alla provincia le funzioni amministrative di interesse provinciale che riguardino vaste zone intercomunali o l'intero territorio provinciale nei settori seguenti:

a)       difesa del suolo, tutela e valorizzazione dell'ambiente e prevenzione delle calamità;

b)       tutela e valorizzazione delle risorse idriche ed energetiche;

c)       valorizzazione dei beni culturali;

d)       viabilità e trasporti;

e)       protezione della flora e della fauna parchi e riserve naturali;

f)         caccia e pesca nelle acque interne;

g)       organizzazione dello smaltimento dei rifiuti a livello provinciale, rilevamento, disciplina e controllo degli scarichi delle acque e delle emissioni atmosferiche e sonore;

h)       servizi sanitari, di igiene e profilassi pubblica, attribuiti dalla legislazione statale e regionale;

i)         compiti connessi alla istruzione secondaria di secondo grado ed artistica ed alla formazione professionale, compresa l'edilizia scolastica, attribuiti dalla legislazione statale e regionale;

l)         raccolta ed elaborazione dati, assistenza tecnico-amministrativa agli enti locali.

Lo stesso articolo 19 TUEL stabilisce che la provincia, in collaborazione con i comuni e sulla base di programmi da essa proposti, promuove e coordina attività, nonché realizza opere di rilevante interesse provinciale sia nel settore economico, produttivo, commerciale e turistico, sia in quello sociale, culturale e sportivo. La gestione di tali attività ed opere avviene attraverso le forme previste dal TUEL per la gestione dei servizi pubblici locali.

L’articolo 20 del TUEL riconduce poi alle funzioni di programmazione della provincia le seguenti attività:

a)       raccogliere e coordinare le proposte avanzate dai comuni, ai fini della programmazione economica, territoriale ed ambientale della Regione;

b)       concorrere alla determinazione del programma regionale di sviluppo e degli altri programmi e piani regionali secondo norme dettate dalla legge regionale;

c)       formulare e adottare, con riferimento alle previsioni e agli obiettivi del programma regionale di sviluppo, propri programmi pluriennali sia di carattere generale che settoriale e promuovere il coordinamento dell'attività programmatoria dei comuni.

Inoltre, la provincia, ferme restando le competenze dei comuni ed in attuazione della legislazione e dei programmi regionali, predispone ed adotta il piano territoriale di coordinamento che determina gli indirizzi generali di assetto del territorio.

In particolare, tale piano indica:

a)       le diverse destinazioni del territorio in relazione alla prevalente vocazione delle sue parti;

b)       la localizzazione di massima delle maggiori infrastrutture e delle principali linee di comunicazione;

c)       le linee di intervento per la sistemazione idrica, idrogeologica ed idraulico-forestale ed in genere per il consolidamento del suolo e la regimazione delle acque;

d)       le aree nelle quali sia opportuno istituire parchi o riserve naturali.

 

Occorre precisare che le richiamate disposizioni del TUEL non esauriscono le funzioni delle province alle quali vanno ascritte anche quelle conferite dalle leggi regionali e statali.

 

II dettato costituzionale in materia di funzioni fondamentali è stato oggetto di più di un tentativo di attuazione.

In questa legislatura, è stato presentato alla Camera dei deputati, il 13 gennaio 2010, un disegno di legge (A.C. 3118) dal titolo “Individuazione delle funzioni fondamentali di Province e Comuni, semplificazione dell'ordinamento regionale e degli enti locali, nonché delega al Governo in materia di trasferimento di funzioni amministrative, Carta delle autonomie locali, razionalizzazione delle Province e degli Uffici territoriali del Governo. Riordino di enti ed organismi decentrati”, approvato in prima lettura alla Camera il 30 giugno 2010 e trasmesso al Senato (A.S. 2259) ove è tuttora all’esame della 1ª Commissione Affari costituzionali.

La determinazione delle funzioni fondamentali degli enti locali risulta rilevante ai fini del federalismo fiscale.

Infatti, l’articolo 119, comma quarto, Cost. stabilisce che le risorse degli enti locali (e delle regioni) – ossia tributi ed entrate proprie, compartecipazioni al gettito erariale e fondo perequativo - devono consentire il finanziamento integrale delle “funzioni pubbliche loro attribuite”. L’individuazione di tali funzioni appare, pertanto, un passaggio necessario per la valutazione dell’entità delle risorse finanziarie da attribuire alle autonomie locali.

L’importanza dell’individuazione delle funzioni territoriali è confermata dalla legge n. 42 del 2009, sul federalismo fiscale di attuazione dell’art. 119 Cost. Tale legge, nell’indicare i princìpi e i criteri direttivi della delega relativa al finanziamento delle funzioni di comuni, province e città metropolitane, prevede una classificazione delle spese degli enti locali ripartite in:

-        spese riconducibili alle funzioni fondamentali individuate dalla legislazione statale;

-        spese relative alle altre funzioni;

-        spese finanziate con contributi speciali.

In particolare, la legge n. 42 prevede l’integrale finanziamento delle spese riconducibili alle funzioni fondamentali, la cui individuazione è rinviata alla legislazione statale di attuazione dell’articolo 117, comma secondo, lett. p), mediante tributi propri, compartecipazioni e addizionali ai tributi erariali e regionali e fondo perequativo, che andranno a sostituire integralmente i trasferimenti statali. La garanzia del finanziamento integrale delle spese riconducibili alle funzioni fondamentali e dei livelli essenziali delle prestazioni da esse eventualmente implicate deve avvenire con modalità definite in base al “fabbisogno standard”, modalità che consente di superare il vigente criterio di finanziamento, basato sulla spesa storica (art. 11, co. 1, lett. b)).

La fase transitoria, riconducibile ad un periodo di cinque anni per consentire il superamento definitivo del criterio della spesa storica, è disciplinata dall’articolo 21 della legge sul federalismo che contiene principi e criteri direttivi per l’attuazione con decreti legislativi da parte del governo. In particolare, l’articolo 21, co. 1, lett. e), dispone che, fin tanto che non saranno in vigore le disposizioni concernenti le funzioni fondamentali, il finanziamento delle spese degli enti locali avviene sulla base di alcuni specifici criteri. In particolare:

-        il fabbisogno delle funzioni di comuni e province viene finanziato assumendo l’ipotesi che l’80 per cento delle spese sia considerato come riconducibile alle funzioni fondamentali e che il residuo 20 per cento si riferisca alle funzioni non fondamentali (punto 1);

-        l’80 per cento delle spese di comuni e province (cioè quelle di cui al punto 1), afferenti alle funzioni fondamentali, viene finanziato per mezzo delle entrate derivanti dall’autonomia finanziaria, comprese le compartecipazioni a tributi erariali, e dal fondo perequativo; il residuo 20 per cento delle spese di cui al punto 1, relative alle altre funzioni, è finanziato per mezzo delle entrate derivanti dall’autonomia finanziaria, comprese le compartecipazioni a tributi regionali, e dal fondo perequativo (punto 2).

-        a tal fine, il punto 3 prevede che venga preso a riferimento l’ultimo bilancio degli enti locali certificato a rendiconto, disponibile alla data di predisposizione degli schemi dei decreti legislativi attuativi della delega.

 

Successivamente, l’articolo 3 del D.Lgs. 26 novembre 2010, n. 216 (Determinazione dei fabbisogni standard di comuni, città metropolitane e province) considera, in via transitoria, quali funzioni fondamentali dei comuni e delle province le funzioni già individuate in via provvisoria come tali dall’articolo 21, commi 3 e 4, della legge 5 maggio 2009, n. 42, che recano, rispettivamente, per i comuni e per le province, un elenco provvisorio delle funzioni fondamentali da finanziare integralmente sulla base del fabbisogno standard, ai sensi del comma 2.

Per le province, le funzioni, e i relativi servizi, da considerare provvisoriamente quali funzioni fondamentali sono:

a)    funzioni generali di amministrazione, di gestione e di controllo, nella misura complessiva del 70 per cento delle spese come certificate dall'ultimo conto del bilancio disponibile alla data di entrata in vigore della legge in esame;

b)    funzioni di istruzione pubblica, ivi compresa l'edilizia scolastica;

c)    funzioni nel campo dei trasporti;

d)    funzioni riguardanti la gestione del territorio;

e)    funzioni nel campo della tutela ambientale;

f)      funzioni nel campo dello sviluppo economico relative ai servizi del mercato del lavoro.

Rispetto alle funzioni individuate dal D.P.R. n. 194/1996 non risultano dunque comprese le funzioni relative ai seguenti ambiti: cultura e beni culturali; settore turistico, sportivo e ricreativo; settore sociale; sviluppo economico, relativamente ai servizi per l’agricoltura e per l’industria, il commercio e l’artigianato.

I decreti legislativi prevedono altresì che l'elenco provvisorio delle funzioni possa essere adeguato attraverso accordi tra Stato, regioni, province e comuni, da concludere in sede di Conferenza unificata (comma 5).

Con successiva legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze, saranno stabiliti la materia e i limiti entro i quali si dispiega la suddetta funzione. Pertanto, essa è espressamente esclusa dal comma 18 da quelle funzioni, già conferite alle province dalla normativa vigente, che lo Stato e le Regioni, ciascuno per quanto di competenza, devono trasferire, con propria legge, ai Comuni entro il 31 dicembre 2012.

L’obbligo di trasferimento ai comuni delle funzioni finora già conferite trova un solo limite, conforme alle previsioni del primo comma dell’art. 118 Cost., costituito dall’esigenza di assicurarne l’esercizio unitario, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza, a garanzia del quale possono essere “acquisite” dalle Regioni.

Il decorso del termine del 31 dicembre 2012 in mancanza di trasferimento delle funzioni da parte delle Regioni comporta un intervento statale di sostituzione normativa, con legge dello Stato, con il procedimento previsto dall’articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131.

L’articolo 8 della legge n. 131/2003 prevede, al comma 1, che, nei casi e per le finalità previsti dall'articolo 120, secondo comma, della Costituzione, il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro competente per materia, anche su iniziativa delle Regioni o degli enti locali, assegna all'ente interessato un congruo termine per adottare i provvedimenti dovuti o necessari; decorso inutilmente tale termine, il Consiglio dei ministri, sentito l'organo interessato, su proposta del Ministro competente o del Presidente del Consiglio dei ministri, adotta i provvedimenti necessari, anche normativi, ovvero nomina un apposito commissario. Alla riunione del Consiglio dei ministri partecipa il Presidente della Giunta regionale della Regione interessata al provvedimento.

 

Il comma 19 stabilisce che lo Stato e le Regioni, secondo le rispettive competenze, provvedono altresì al trasferimento delle risorse umane, finanziarie e strumentali per l’esercizio delle funzioni trasferite, assicurando nell’ambito delle medesime risorse il necessario supporto di segreteria per l’operatività degli organi della provincia.

Gli organi delle province

I commi 15, 16 e 17 ridisegnano gli organi della provincia, senza peraltro delineare la forma di governo dell’ente, e le relative modalità di elezione, riducendone il novero al consiglio provinciale e al presidente della provincia, con eliminazione delle giunte.

Sia il consiglio provinciale che il presidente della provincia sono configurati - a differenza degli altri enti indicati dall’art. 114 Cost. - come organi ad elezione indiretta, eletto il primo dagli organi elettivi dei comuni ricadenti nel territorio della provincia e il secondo dal consiglio provinciale stesso tra i suoi componenti.

Tali organi durano in carica cinque anni e le modalità di elezione del consiglio provinciale, composto da non più di dieci membri, edel presidente della provincia sono stabilite con legge dello Stato entro il 31 dicembre 2012.

Il comma 20 reca una disciplina transitoria, diversificata per gli organi provinciali che vanno in scadenza prima del 31 dicembre 2012 (termine ultimo per l’adozione della nuova legge elettorale) e per quelli che devono essere rinnovati successivamente.

Per i primi, per i quali si dovrebbe procedere all’indizione delle elezioni nella primavera 2012, si applica, fino al 31 marzo 2013, l’articolo 141 del testo unico degli enti locali (D.Lgs. n. 267/2000) che prevede lo scioglimento del consiglio e la nomina di un commissario, dopodiché si procede alle elezioni con le nuove disposizioni.

L’articolo 141 TUEL prevede che con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell’interno, possa essere disposto lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali, in alcuni casi tassativamente indicati dalla legge, quali violazione della Costituzione o della legge, gravi motivi di ordine pubblico, impedimento o dimissioni del sindaco o del presidente della provincia, dimissioni della maggioranza dei consiglieri ecc.

Ad eccezione dei casi di impedimento, rimozione, decadenza e decesso del sindaco o del presidente della provincia, il decreto di scioglimento reca contestualmente la nomina di un commissario che esercita le attribuzioni conferitogli dal decreto stesso (art. 141, comma 3).

Affatto diversa, l’ipotesi di scioglimento dei consigli comunali e provinciali per infiltrazione mafiosa, disciplinata dall’articolo 143 TUEL.

 

La necessità di introdurre una norma transitoria per gli organi provinciali che dovranno essere rinnovati nel 2012 per scadenza naturale (Vicenza, Ancona, Ragusa, Como, Belluno, Genova e La Spezia) o per altre cause, è stata esplicitata dalla Commissione affari costituzionali nel proprio parere, in quanto, qualora la legge statale non fosse intervenuta prima della loro scadenza e della conseguente indizione di nuove elezioni, si sarebbe proceduto a un rinnovo del tutto temporaneo.

 

Gli organi provinciali che vanno in scadenza dopo il 31 dicembre 2012 restano in carica fino alla scadenza naturale e vengono rinnovati secondo le nuove regole.

Il comma 20-bis fa salve le competenze statutarie in materia di province delle regioni a statuto speciale, fermo restando l’obbligo per quest’ultime di adeguare i propri ordinamenti alle disposizioni di cui ai commi precedenti, entro 6 mesi dall’entrata in vigore del decreto-legge in esame (entro il 6 giugno 2012).

Un’altra modifica ha escluso dall’ambito di applicazione delle disposizioni le province autonome di Trento e Bolzano.

Il comma 21 prevede che i comuni possono istituire unioni o organi di raccordo per l’esercizio di specifici compiti o funzioni amministrativi garantendo l’invarianza della spesa.

L’unione di comuni costituisce una delle forme per l’esercizio associato di funzioni prevista dall’art. 32 del D.Lgs. n. 267/2000 (TUEL). Infatti il TUEL prevede anche altre forme per l’esercizio associato di funzioni: la convenzione (art. 30), l’accordo di programma (art. 34) e il consorzio (art. 31). Sulla materia è recentemente intervenuto l’articolo 16 del D.L. n. 138/2011, convertito dalla legge n. 148/2011, che ha previsto, per la razionalizzazione dell'esercizio delle funzioni comunali, l’obbligatorio esercizio in forma associata delle funzioni amministrative e dei servizi spettanti a legislazione vigente dei comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti, attraverso lo strumento dell’unione dei comuni dettandone una specifica disciplina derogatoria dell’art. 32 del D.Lgs. n. 267/2000 (TUEL).



[1]    Recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative, ed il cui d.d.l. di conversione è al momento in corso d’esame presso la Camera dei deputati (A.C. 4865).

[2]     L’articolo 3 del decreto legislativo n. 216 del 2010 definisce le funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitane prese in considerazione in via provvisoria ai fini della determinazione dei costi e fabbisogni standard. Si tratta in particolare di sei funzioni per i Comuni (funzioni generali di amministrazione, gestione e controllo; polizia locale; istruzione pubblica; viabilità e trasporti; gestione del territorio e dell’ambiente; settore sociale) e sei per le province (funzioni generali di amministrazione, gestione e controllo; istruzione pubblica; trasporti; gestione del territorio; tutela ambientale; servizi del mercato del lavoro).

[3]     Regolamento recante norme in tema di costituzione del catasto dei fabbricati e modalità di produzione ed adeguamento della nuova cartografia catastale.

[4]     Si evidenzia che si fa riferimento ai comuni delle sole regioni Sicilia e Sardegna in quanto in queste regioni – contrariamente a quanto avviene nelle altre regioni a statuto speciale - la finanza degli enti locali è ancora a carico dello Stato.

[5]    Recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative , il cui d.d.l. di conversione è al momento in corso d’esame presso la Camera dei deputati (A.C. 4865).

[6]    Recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative, il cui d.d.l. di conversione è al momento in corso d’esame presso la Camera dei deputati (A.C. 4865).

[7]     Si ricorda che il Fondo sperimentale di equilibrio è previsto dall’articolo 2, comma 3, del D.Lgs n. 23/2011 allo scopo di realizzare in forma graduale la devoluzione ai comuni della fiscalità immobiliare prevista dal medesimo articolo 2. La durata del Fondo è prevista in tre anni, e comunque fino all’attivazione del Fondo perequativo di cui all’articolo 13 dello stesso decreto legislativo, che ha la funzione di assicurare il finanziamento delle spese degli enti locali dopo determinati i fabbisogni standard relativi alle spese per le funzioni fondamentali di comuni e province.

[8]     Si evidenzia che si fa riferimento ai comuni delle sole regioni Sicilia e Sardegna in quanto in queste regioni – contrariamente a quanto avviene nelle altre regioni a statuto speciale - la finanza degli enti locali è ancora a carico dello Stato.

[9]     I riferimenti normativi sono i seguenti: Friuli-Venezia Giulia: L.Cost. 1/1963 (Statuto) art. 4; DPR 114/1965 art. 8; D.Lgs. 9/1997; Valle d’Aosta: L.cost. 4/1948 (Statuto) artt. 2-3, D.Lgs. 431/1989 D.Lgs. 282/1992, Trentino-Alto Adige: DPR 670/1972 (Statuto) artt. 4, 8, 80; DPR 473/1975, D.Lgs. 268/1992. Sardegna: L.cost. 3/1948 (Statuto) art. 3; Sicilia: R.D.Lgs. 455/1946 art. 15.

[10]    La norma ha disposto l’aumento progressivo della percentuale di spesa sanitaria posta a carico del bilancio della Regione Siciliana: 44,85 per cento per l’anno 2007, 47,05 per cento per l’anno 2008 e 49,11 per cento per l’anno 2009.

[11]    Istituita dal decreto legislativo n. 56 del 2000 , emanato in attuazione della precedente legge di riforma basata sul federalismo fiscale (legge n. 133/1999).

[12]    La misura dell'aliquota di compartecipazione nonché il prospetto di ripartizione tra le varie regioni sono stabilite con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri emanato annualmente. L'aliquota della compartecipazione IVA è stata da ultimo definita nella misura del 44,71 per cento per l'anno 2009, dall'art. 1 del D.P.C.M. 21 ottobre 2010, Rideterminazione delle compartecipazioni regionali all'imposta sul valore aggiunto e all'accisa sulle benzine e delle aliquote dell'addizionale regionale all'IRPEF, per l'anno 2009, ai sensi dell'articolo 5, comma 2, del decreto legislativo 18 febbraio 2000, n. 56. Per le quote spettanti a ciascuna regione si veda da ultimo il D.P.C.M. 11-6-2010, Determinazione delle quote previste dall'articolo 2, comma 4, del decreto legislativo 18 febbraio 2000, n. 56 - Anno 2008.

[13]    In base alla programmazione 2007-2013 dei fondi strutturali comunitari nell’obiettivo Convergenza (aree in cui il PIL procapite risulta inferiore al 75 per cento della media comunitaria), sono incluse, per l’Italia le regioni Calabria, Campania, Puglia e Sicilia. Nell’ambito dello stesso obiettivo si aggiunge la regione Basilicata, che beneficia di un regime transitorio di sostegno (c.d. phasing-out) per favorirne l’uscita dall’obiettivo.