Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione
(Versione per stampa)
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento bilancio | ||||||
Titolo: | Meccanismi sanzionatori e premiali relativi a regioni, province e comuni - Schema di D.Lgs. n. 365 (artt. 2, 17 e 26, L. n. 42/2009) - Schede di lettura | ||||||
Riferimenti: |
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Serie: | Atti del Governo Numero: 312 | ||||||
Data: | 14/06/2011 | ||||||
Descrittori: |
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Organi della Camera: | V-Bilancio, Tesoro e programmazione | ||||||
Altri riferimenti: |
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Camera dei deputati |
XVI LEGISLATURA |
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Documentazione per l’esame di |
Meccanismi sanzionatori e premiali relativi a regioni, province e comuni Schema di D.Lgs. n. 365 |
(artt. 2, 17 e 26, L. n. 42/2009) |
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n. 312 |
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14 giugno 2011 |
Servizio responsabile: |
Servizio Studi – Dipartimento Bilancio ( 066760-9932 – * st_bilancio@camera.it |
Hanno partecipato alla redazione del dossier il: |
Servizio Bilancio dello Stato Nota di verifica - dossier n. 306 ( 066760-2174 / 066760-9455 – * bs_segreteria@camera.it
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§ Le schede di lettura sono state redatte dal Servizio Studi. § Le parti relative ai profili di carattere finanziario sono state curate dal Servizio Bilancio dello Stato. |
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File: BI0410.doc |
INDICE
Schede di lettura
Capo I – Meccanismi sanzionatori
§ Articolo 1 (Inventario di fine legislatura regionale).......................................... 3
§ Articolo 2 (Fallimento politico del Presidente della Giunta regionale).......... 10
§ Articolo 3 (Decadenza automatica e interdizione dei funzionari regionali)... 26
§ Articolo 4 (Inventario di fine mandato provinciale e comunale)................... 31
§ Articolo 5 (Regolarità della gestione amministrativo-contabile)................... 36
§ Articolo 6 (Fallimento politico del Presidente di Provincia e del Sindaco)... 38
Capo II – Meccanismi premiali
§ Articolo 7 (Mancato rispetto del patto di stabilità interno)............................ 47
§ Articolo 8 (Patto di stabilità interno).............................................................. 57
§ Articolo 9 (Ulteriori meccanismi premiali).................................................... 64
§ Articolo 10 (Contrasto all’evasione fiscale).................................................. 70
§ Articolo 11 (Collaborazione nella gestione organica dei tributi).................... 74
§ Articolo 12 (Ulteriori forme premiali per l’azione di contrasto all’evasione fiscale) 78
Capo III – Disposizioni finali
§ Articolo 13 (Applicazione alle Regioni speciali)............................................ 81
Normativa di riferimento
§ L. 5 maggio 2009, n. 42 Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione (artt. 2, comma 1, comma 2, lettera z); 17, comma 1; 26, comma 1) 85
Allegato
§ Relazione illustrativa..................................................................................... 91
§ Relazione tecnica......................................................................................... 97
§ Relazione del Governo su mancata intesa in Conferenza unificata.......... 101
Premessa
Lo schema di decreto in esame è stato assegnato in data 19 maggio 2011 alla Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale, nonché alle Commissioni bilancio delle Camere, stabilendosi il termine per l’espressione del parere nella data del 18 luglio 2011.
Il provvedimento, trasmesso dal Governo in assenza dell’intesa in sede di Conferenza Unificata, è a tale riguardo corredato della relazione prevista dall’articolo 2, comma 3, della legge n. 42 del 2009. Tali disposizioni prevedono che, qualora non si sia conclusa in Conferenza Unificata l’intesa sugli schemi di decreto legislativo nel termine di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997 n. 281 (termine di 30 giorni), il Consiglio dei Ministri può comunque deliberare la trasmissione degli schemi alle Camere, approvando una relazione che indica le specifiche motivazioni per le quali l’intesa medesima non è stata raggiunta. Tale relazione è riportata nel presente dossier, unitamente agli altri elementi istruttori contenuti nel documento trasmesso (atto n. 365).
1. Al fine di garantire il coordinamento della finanza pubblica, il rispetto dell'unità economica della Repubblica, il principio di trasparenza delle decisioni di entrata e di spesa, le Regioni che nella legislatura in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto o in una successiva sono assoggettate a un piano di rientro della spesa sanitaria, sono tenute a redigere un inventario di fine legislatura. Lo stesso inventario di fine legislatura può essere istituito anche dalle altre Regioni.
2. L'inventario di fine legislatura è sottoscritto dal Presidente della Giunta regionale. Entro e non oltre venti giorni dal provvedimento di indizione delle elezioni esso deve risultare certificato dagli organi di controllo interno regionale e, nello stesso termine, trasmesso al Tavolo tecnico interistituzionale istituito presso la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, composto pariteticamente da rappresentanti ministeriali e regionali. II Tavolo tecnico interistituzionale verifica, per quanto di propria competenza, la conformità di quanto esposto nell'inventario di fine legislatura con i dati finanziari in proprio possesso e con le informazioni fatte pervenire dalle Regioni alla Banca dati di cui all'articolo 13 della legge 31 dicembre 2009, n. 196 ed invia, entro sessanta giorni, apposita relazione al Presidente della Giunta regionale. Per quanto attiene al settore sanitario e, in particolare, per i contenuti di cui al comma 3, lettere c), per la parte relativa agli enti del servizio sanitario regionale, d), e) ed f), la verifica è effettuata dai Tavoli tecnici che ai sensi delle vigenti disposizioni sono deputati alla verifica dell'attuazione dei Piani di rientro, ivi compresa la struttura tecnica di monitoraggio prevista dall'articolo 3 dell'intesa Stato-Regioni in materia sanitaria per il triennio 2010-2012, sulla base delle risultanze emerse in sede di verifica dei medesimi Piani ovvero, per le regioni non sottoposte al piano di rientro, sulla base della verifica degli adempimenti annuali di cui all'articolo 2, comma 68, della legge 23 dicembre 2009, n. 191. La relazione e l'inventario di fine legislatura sono pubblicati sul sito istituzionale della Regione almeno dieci giorni prima delle elezioni. Entrambi i documenti sono inoltre trasmessi dal Presidente della Giunta regionale alla Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale di cui all'articolo 4 della legge 5 maggio 2009, n. 42.
3. L’inventario di fine legislatura contiene la descrizione dettagliata delle principali attività normative e amministrative svolte durante la legislatura, con specifico riferimento a:
a) sistema e esiti dei controlli interni;
b) eventuali rilievi della Corte dei Conti;
c) carenze riscontrate nella gestione degli enti comunque sottoposti al controllo della Regione, nonché degli enti del servizio sanitario regionale, con indicazione delle azioni intraprese per porvi rimedio;
d) azioni intraprese per contenere la spesa sanitaria e stato del percorso di convergenza ai costi standard, affiancato da indicatori quantitativi e qualitativi relativi agli output dei servizi resi, anche utilizzando come parametro di riferimento realtà rappresentative dell'offerta di prestazioni con il miglior rapporto qualità-costi;
e) situazione economica e finanziaria del settore sanitario, quantificazione certificata della misura del relativo indebitamento regionale;
f) stato certificato del bilancio regionale per la parte relativa alla spesa sanitaria.
4. Con atto di natura non regolamentare, sentita la Conferenza Stato Regioni, il Ministro per i rapporti con le regioni, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, con il Ministro per le riforme per il federalismo e con il Ministro della salute, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, adotta uno schema tipo per la redazione dell'inventario di fine legislatura differenziandolo eventualmente per le regioni non assoggettate a un piano di rientro della spesa sanitaria.
L’articolo in esame istituisce un inventario di fine legislatura, obbligatorio per le Regioni assoggettate a un piano di rientro dal debito sanitario, facoltativo per tutte le altre Regioni, contenente la descrizione dettagliata delle principali attività normative e amministrative svolte durante la legislatura.
In particolare, al fine di garantire il coordinamento della finanza pubblica, il rispetto dell'unità economica della Repubblica, il principio di trasparenza delle decisioni di entrata e di spesa, le Regioni, assoggettate a un piano di rientro della spesa sanitaria (vedi infra), sono obbligate a redigere un inventario di fine legislatura. E’ facoltà delle altre Regioni di istituire l’inventario medesimo (comma 1).
L'inventario di fine legislatura è sottoscritto dal Presidente della Giunta regionale ed, entro e non oltre venti giorni dal provvedimento di indizione delle elezioni, certificato dagli organi di controllo interno regionale e, nello stesso termine, trasmesso al Tavolo tecnico interistituzionale istituito presso la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica[1], composto pariteticamente da rappresentanti ministeriali e regionali.
Il Tavolo tecnico interistituzionale confronta i dati finanziari dell'inventario con quelli in proprio possesso e con quelli della Banca dati delle amministrazioni pubbliche[2] ed invia, entro sessanta giorni, una relazione al Presidente della Giunta regionale.
Per quanto attiene al settore sanitario, specificatamente, sulle azioni intraprese dalla Regione, nella gestione degli enti del servizio sanitario regionale (ASL e Aziende Ospedaliere), nel contenimento della spesa sanitaria e per la convergenza ai costi standard, per la situazione economica e finanziaria del settore e nella certificazione del bilancio regionale, per la parte relativa alla spesa sanitaria, la verifica è effettuata dai Tavoli tecnici deputati alla verifica dell'attuazione dei Piani di rientro, e dalla struttura tecnica di monitoraggio prevista dall'articolo 3 dell'intesa Stato-Regioni in materia sanitaria per il triennio 2010-2012[3] (vedi infra).
In particolare, per le regioni con piano di rientro, la verifica dei dati del settore sanitario è effettuata sulla base delle risultanze emerse in sede di verifica dei medesimi Piani.
Per le regioni non sottoposte al piano di rientro, la suddetta verifica è compiuta sulla base degli adempimenti annuali previsti per legge[4].
Si rileva che ai fini della verifica effettuata dai Tavoli tecnici deputati alla verifica dell'attuazione dei Piani di rientro, e dalla struttura tecnica di monitoraggio, non è stabilito il termine di conclusione, a differenza di quanto previsto dall’attività di verifica del Tavolo tecnico interistituzionale.
La relazione e l'inventario di fine legislatura sono pubblicati sul sito istituzionale della Regione almeno dieci giorni prima delle elezioni e trasmessi dal Presidente della Giunta regionale alla Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale[5](comma 2).
L’inventario di fine legislatura deve indicare, dettagliatamente, le principali norme regionali e gli atti amministrativi riguardanti:
a) sistema e esiti dei controlli interni;
b) eventuali rilievi della Corte dei Conti;
c) carenze riscontrate nella gestione degli enti comunque sottoposti al controllo della Regione, nonché degli enti del servizio sanitario regionale, con indicazione delle azioni intraprese per porvi rimedio;
d) azioni intraprese per contenere la spesa sanitaria e stato del percorso di convergenza ai costi standard, affiancato da indicatori quantitativi e qualitativi relativi agli output dei servizi resi, anche utilizzando come parametro di riferimento realtà rappresentative dell'offerta di prestazioni con il miglior rapporto qualità-costi[6];
e) situazione economica e finanziaria del settore sanitario, quantificazione certificata della misura del relativo indebitamento regionale;
f) stato certificato del bilancio regionale per la parte relativa alla spesa sanitaria[7] (comma 3).
Lo schema tipo per la redazione dell'inventario di fine legislatura,differenziandolo eventualmente per le regioni non assoggettate a un piano di rientro della spesa sanitaria, è adottato con atto di natura non regolamentare, sentita la Conferenza Stato Regioni, dal Ministro per i rapporti con le regioni, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, con il Ministro per le riforme per il federalismo e con il Ministro della salute, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto (comma 4).
Il governo delle risorse, per assicurare i Livelli essenziali di Assistenza sanitaria ai cittadini sul territorio nazionale, ha necessariamente portato i due livelli di governo coinvolti - Stato e Regioni – il primo, deputato ad assicurare l’erogazione dei LEA previsti, il secondo, ad organizzare le prestazione sanitarie, secondo criteri di efficienza, qualità ed economia- alla conclusione, dal 2001 (Accordo 8 agosto 2001) fino al recente Nuovo Patto della Salute 2010-2012, di una serie di Intese, in sede di Conferenza Stato – Regioni, in cui stabilire, il livello di finanziamento, le quote premiali e gli strumenti di controllo della spesa sanitaria.
Nell’Intesa del 23 marzo 2005 sono previsti adempimenti di natura “premiale” per le Regioni ottemperanti, finalizzati al maggior finanziamento della sanità regionale rispetto al livello dell’esercizio precedente. Tali adempimenti sono elencati in un Allegato 1 e riguardano, tra l’altro, il conferimento dei dati sulle prestazioni sanitarie, i soggetti prescrittori e le strutture erogatrici, al Sistema informativo sanitario (NSIS), allo scopo di monitorare la spesa sanitaria o, come stabilito dall’articolo 6, relativamente all’obbligo di garantire l’equilibrio economico – finanziario del servizio sanitario regionale nel suo complesso, con riferimento agli enti sanitari gestiti dalla Regione, il quale, se non mantenuto, determina l’adozione automatica di “sanzioni”, relative alla decadenza dei direttori generali delle ASL, al blocco delle assunzioni e all’affidamento esterno di incarichi. In particolare, le Regioni provvedono alla verifica trimestrale e annuale dell’equilibrio economico – finanziario della gestione, in attuazione dell’art. 1, commi 173 e 174 della legge 311/2004 (finanziaria 2005).
Con un atto conseguente agli obiettivi dell’Intesa previsto dall’articolo 8, specificatamente, al fine di raggiungere l’equilibrio economico e ottenere la riattribuzione del maggior finanziamento, le regioni interessate possono sottoscrivere un Accordo con lo Stato (art. 1, comma 180, legge 311/2004), che prevede tra l’altro per le regioni in forte difficoltà l’affiancamento del Governo. In tal senso, l’Intesa ha previsto un Comitato permanente per la verifica dell’erogazione dei LEA (art. 9), che deve valutare la congruità tra prestazioni erogate e risorse a disposizione, e un Tavolo di verifica degli adempimenti (art. 12), che valuta i risultati di gestione della Regione che ha stipulato l’Accordo.
Successivamente, con l’Intesa del 5 ottobre 2006, Patto della Salute 2007-2009, la quota di finanziamento condizionata alla verifica degli adempimenti previsti nella misura del 3 per cento delle somme dovute a titolo di finanziamento della quota indistinta del fabbisogno sanitario, al netto delle entrate proprie per le regioni a statuto ordinario. Sostanzialmente, con l’intesa in esame gli anticipi delle somme riguardanti il finanziamento ordinario passa dal 95 per cento stabilito nella precedente Intesa del 23 marzo 2005 al 97 per cento.
Il Tavolo tecnico per la verifica degli adempimenti individua le Regioni con un disavanzo pari o superiore al 7 per cento nell'anno precedente e/o nelle quali sia entrata in vigore la massimizzazione dell'aliquota di addizionale Irpef e della maggiorazione Irap, alle quali, per tutto il triennio 2007-2009, è destinato un Fondo transitorio di 1000 milioni di euro per l'anno 2007, di 850 milioni di euro per l'anno 2008 e di 700 milioni di euro per l'anno 2009, il cui accesso resta tuttavia subordinato alla sottoscrizione dell'Accordo, comprensivo di un Piano di rientro triennale, contenente: misure di riequilibrio del profilo erogativo dei livelli essenziali di assistenza, misure necessarie all'azzeramento del disavanzo entro il 2010, obblighi e procedure previste dall'art. 8 dell'Intesa del 23 marzo 2005.
Da ultimo, con l’Intesa del 3 dicembre 2009, il Nuovo Patto della salute 2010-2012, si avvia un sistema di monitoraggio dei fattori di spesa sanitaria, individuando gli indicatori di efficienza ed appropriatezza di determinati settori strategici (art. 2). Per lo svolgimento del monitoraggio, viene istituita la Struttura tecnica di monitoraggio paritetica, che si avvale per lo svolgimento delle proprie funzioni del supporto dell'AGENAS e dell'AIFA. L’intesa conferma le funzioni, previste dall'ordinamento vigente, del Tavolo di verifica degli adempimenti e del Comitato permanente per la verifica dei Livelli essenziali di assistenza di cui rispettivamente agli articoli 12 e 9 dell'Intesa del 23 marzo 2005, in materia delle verifiche trimestrali e annuali degli adempimenti regionali e dell'attuazione dei Piani di rientro (art. 3).
L’articolo 4 elenca gli adempimenti per l'accesso al finanziamento integrativo del Servizio sanitario nazionale, ai fini dell'accesso al finanziamento integrativo del Servizio sanitario nazionale, tra i quali rilevano:
a) gli adempimenti regionali previsti dalla legislazione vigente;
b) gli adempimenti derivanti dagli Accordi e dalle Intese intervenute fra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, ivi compresi quelli rilevanti ai fini della garanzia dell'equilibrio economico-finanziario e della verifica dell'erogazione dei Livelli essenziali di assistenza indicati annualmente dal Comitato permanente per la verifica dei LEA e dal Tavolo di verifica degli adempimenti, di cui rispettivamente agli articoli 9 e 12 dell'Intesa Stato-Regioni del 23 marzo 2005 (Comitato LEA e Tavolo di verifica).
Rientrano in tale ambito, gli adempimenti previsti dall’Intesa, riguardanti: la razionalizzazione della rete ospedaliera e l’incremento dell'appropriatezza nel ricorso ai ricoveri ospedalieri (art. 6), la razionalizzazione dell'assistenza ai pazienti anziani e agli altri soggetti non autosufficienti (art. 9), l’accertamento della qualità dei dati contabili, di struttura e di attività (art. 11), il contenimento della spesa per il personale (art. 12).
Infine, per quanto riguarda il livello delle anticipazioni del finanziamento ordinario del SSN, lo stesso rimane fermo al 97 per cento per tutte le regioni. Per le regioni che risultano adempienti nell'ultimo triennio il livello medesimo è fissato al 98 per cento, ulteriormente elevato compatibilmente con gli obblighi di finanza pubblica.
La quota di finanziamento condizionata alla verifica positiva degli adempimenti regionali (quota premiale) è confermata nella misura del 3 per cento delle somme dovute a titolo di finanziamento della quota indistinta del fabbisogno sanitario. Per le regioni che risultano adempienti nell'ultimo triennio, tale quota premiale è determinata nella misura del 2 per cento.
Appare opportuno valutare la congruità dei tempi di esame dell’inventario (che possono arrivare ad un massimo di 80 giorni dal provvedimento di indizione delle elezioni e che deve essere pubblicato sul sito istituzionale almeno 10 giorni prima delle elezioni) rispetto ai tempi stabiliti dalle leggi regionali e, ove non emanate, dalla legge 108/1968 per il rinnovo degli organi regionali. Tale valutazione appare funzionale all’obiettivo, enunciato nella relazione illustrativa, di garantire la trasparenza delle responsabilità ai fini del controllo da parte degli elettori
Si ricorda che in base alla legge da ultimo citata (art. 3) i consigli regionali esercitano le loro funzioni fino al 46° giorno antecedente la data delle elezioni per il loro rinnovo e che tali elezioni possono aver luogo a decorrere dalla quarta domenica precedente il compimento del suddetto periodo. Della convocazione dei comizi elettorali deve essere data notizia 45 giorni prima. Tale aspetto è anche segnalato in riferimento al successivo articolo 4, cui si rinvia.
La relazione tecnica, precisa che le disposizioni hanno carattere ordinamentale e risultano, quindi, prive di effetti sui saldi di finanza pubblica.
In merito ai profili di quantificazione, non si hanno osservazioni da formulare tenuto conto che, con particolare riferimento alle regioni che presentino disavanzi sanitari, i controlli in esame sono effettuati dai soggetti (Tavoli di verifica e Comitato Lea) che, sulla base della legislazione vigente,sono competenti ai fini della verifica degli equilibri economico-finanziari e della erogazione dei livelli essenziali di assistenza.
Articolo 2
(Fallimento politico del Presidente della
Giunta regionale)
1. La fattispecie di grave dissesto finanziario, con riferimento al disavanzo sanitario; si verifica in una Regione assoggettata a piano di rientro ai sensi dell'articolo 2, comma 77, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, al verificarsi congiuntamente delle seguenti condizioni:
a) il Presidente della Giunta regionale, nominato Commissario ad acta ai sensi dell'articolo 2, comma 83, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, non abbia adempiuto immotivatamente, in tutto o in parte, all'obbligo di redazione del piano di rientro o agli obblighi operativi, anche temporali, derivanti dal piano stesso;
b) si riscontri, in sede di verifica annuale, ai sensi dell'articolo 2, comma 81, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, il mancato raggiungimento degli obiettivi del piano di rientro, con conseguente perdurare del disavanzo sanitario oltre la misura consentita dal piano medesimo o suo aggravamento;
c) sia stato adottato per due esercizi consecutivi, in presenza del mancato raggiungimento degli obiettivi del piano di rientro e del conseguente incremento delle aliquote fiscali di cui all’articolo 2, comma 86, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, un ulteriore incremento dell'aliquota dell'addizionale regionale all’Irpef al livello massimo previsto dall'art. 6, comma 1 del decreto legislativo in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario, delle città metropolitane e delle province, di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario, nonché di istituzione della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica.
2. Il grave dissesto finanziario di cui al comma 1 del presente articolo è considerato grave violazione di legge e in tal caso il Presidente del Consiglio dei Ministri, previo parere della Commissione parlamentare per le questioni regionali e previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, propone al Presidente della Repubblica, ai sensi dell'articolo 126, comma primo, della Costituzione, la rimozione del Presidente della Giunta regionale per fallimento nel proprio mandato di amministrazione dell'ente Regione.
3. Il Presidente rimosso è interdetto da qualsiasi carica in enti vigilati o partecipati da enti pubblici per un periodo di tempo di dieci anni. La sanzione è irrogata con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per i rapporti con le regioni. II giudizio sulla relativa impugnazione è devoluto alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
4. II rimborso in relazione alle spese elettorali sostenute per la campagna per il rinnovo del consiglio regionale spettante, ai sensi della legge 3 giugno 1999, n. 157, è decurtato del 30% per il partito politico, la lista o la coalizione che presentino nuovamente la candidatura del Presidente rimosso a qualsiasi altra carica pubblica elettiva prima che siano decorsi dieci anni dalla rimozione.
5. Nelle more dell'insediamento del nuovo presidente della giunta regionale, il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della salute e sentito il Ministro per i rapporti con le regioni, nomina un nuovo commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro ai sensi dell'articolo 2, comma 84, della legge 23 dicembre 2009, n. 191.
6. Resta fermo quanto previsto dall'articolo 3, comma 2, primo periodo, del decreto legislativo in materia: di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario, delle città metropolitane e delle province, di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario, nonché di istituzione della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica.
L’articolo 2, come sottolineato dalla relazione tecnica al provvedimento, illustra le condizioni al cui verificarsi congiunto viene a determinarsi la fattispecie di grave dissesto finanziario di cui all’articolo 17, comma 1, lettera e), ultimo periodo della legge delega 42/2009[8]. L’articolo in commento tuttavia definisce esclusivamente la fattispecie di grave dissesto finanziario, riferita al disavanzo sanitario.
Il citato articolo 17, comma 1, lettera e), della L. 42/2009, reca i criteri per la definizione di un sistema premiale o sanzionatorio da applicarsi nei confronti degli enti locali e delle regioni che risultano virtuosi o meno rispetto al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica ad essi imposti. In particolare, ai sensi dell’ultimo periodo della lettera e), il sistema sanzionatorio comporta l’attivazione di meccanismi automatici nei confronti degli organi di governo e amministrativi, con individuazione dei casi di ineleggibilità nei confronti degli amministratori degli enti locali per i quali sia stato dichiarato lo stato di dissesto finanziario[9] . Il sistema sanzionatorio prevede che le attività che abbiano causato un grave dissesto nelle finanze regionali rientrino tra i casi di grave violazione di legge di cui all’articolo 126, primo comma Costituzione, con conseguente scioglimento del Consiglio regionale e rimozione del Presidente della Giunta.
Regioni sottoposte a piani di rientro e commissariate
Il processo di riequilibrio dei conti sanitari nelle regioni in disavanzo sanitario, è stato avviato nel 2007 con la procedura di affiancamento da parte dei Ministeri della salute e dell’economia, alle regioni Liguria, Lazio, Abruzzo, Molise, Campania, Sicilia e Sardegna e la sottoscrizione dei Piani di rientro. Nel dicembre 2009 è stato sottoscritto il piano di rientro della regione Calabria, di cui è stata avviata l’attuazione nel 2010, mentre sono stati sottoscritti nel luglio e nel novembre 2010 due ulteriori piani di rientro, rispettivamente, dal Piemonte e dalla Puglia.
Tra le regioni sottoposte a piani di rientro, risultano commissariate le regioni Abruzzo, Calabria, Campania, Lazio e Molise.
La regione Liguria è l’unica, per la quale, sia con la verifica annuale per l'anno 2009 che con quella per l’anno 2010, è stato accertato il rispetto degli obiettivi di risanamento.
Meccanismi di controllo del disavanzo gestionale in ambito sanitario
In ambito sanitario, la legislazione vigente prevede meccanismi di controllo della spesa sanitaria con verifiche periodiche e un regime di incentivi e penalizzazioni, strettamente connesso con tali procedure. Un sistema, come rilevato dalla Corte dei Conti, “fondato su un meccanismo di monitoraggio attento sia a garantire la copertura dei disavanzi, che a prevedere interventi in grado di contrastare l’emergere di squilibri strutturali (piani di rientro)”[10].
Successivi interventi normativi[11], in ultimo sistematizzati nell’articolo 2, commi 76 e seguenti della legge 191/2009[12], hanno messo a punto un complesso sistema procedurale da attivare in caso di riconosciuto disavanzo gestionale in ambito sanitario. Ai sensi dell’articolo 2, comma 77, della L. 191/2009, una regione è obbligatoriamente assoggettata a piano di rientro in una situazione di disavanzo sanitario tale che comporti, rispetto al finanziamento sanitario ordinario e alle maggiori entrate proprie sanitarie, uno squilibrio economico pari o superiore al 5%, se coperto dalla regione e, qualora la regione non possa farvi fronte, inferiore al 5%. In tal caso, la regione interessata è tenuta a presentare un piano di rientro di durata non superiore al triennio, elaborato con l’ausilio dell’Agenzia italiana del farmaco (AIFA) e dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (AGENAS). Il piano deve contenere sia le misure di riequilibrio del profilo erogativo dei livelli essenziali di assistenza, sia le misure per garantire l’equilibrio di bilancio sanitario in ciascuno degli anni compresi nel piano stesso. In caso di riscontro positivo, il piano è approvato dal Consiglio dei ministri ed è immediatamente efficace ed esecutivo per la regione. Su tale base, la regione in disavanzo stipula con i Ministri della salute e dell’economia un apposito Accordo che individua gli interventi necessari a un programma di riqualificazione e di riorganizzazione del servizio sanitario regionale interessato. In caso di riscontro negativo, ovvero in caso di mancata presentazione del piano, il Consiglio dei ministri, in attuazione dell’ articolo 120 della Costituzione, nomina il Presidente della regione Commissario ad acta per la predisposizione del piano di rientro e per la sua attuazione per l’intera durata del piano stesso (articolo 2, comma 79, della L. 191/2009)[13]. L’articolo 120 della Costituzione è espressamente richiamato dalla L. 191/2009 a sottolineare che la sostituzione in via amministrativa di organi della Regione viene operata a tutela dell’unità economica e in particolare a tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali[14]. La procedura sopra descritta, prevede la partecipazione attiva dell’amministrazione centrale, chiamata a valutare il piano di rientro presentato dalla regione e successivamente a verificarne l’attuazione nel rispetto delle modalità e dei tempi previsti dall’articolo 2, comma 81, della L. 191/2009[15]. La verifica dell’attuazione del piano di rientro avviene con periodicità trimestrale e annuale, ferma restando la possibilità di procedere a verifiche ulteriori previste dal piano stesso o straordinarie ove ritenute necessarie da una delle parti[16]. Qualora dall’esito delle verifiche, trimestrali o annuali, emerga l’inadempienza della regione, il Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della salute e sentito il Ministro per i rapporti con le regioni, la Struttura tecnica di monitoraggio – STEM e la Conferenza Stato-Regioni, diffida la regione interessata ad attuare il piano, adottando altresì tutti gli atti normativi, amministrativi, organizzativi e gestionali idonei a garantire il conseguimento degli obiettivi in esso previsti. In caso di perdurante inadempienza, accertata dal Tavolo tecnico per la verifica degli adempimenti regionali e dal Comitato permanente per la verifica dell’erogazione dei livelli essenziali di assistenza, il Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della salute e sentito il Ministro per i rapporti con le regioni, in attuazione dell’ articolo 120 della Costituzione, nomina il presidente della regione Commissario ad acta per l’intera durata del piano di rientro. Il Commissario adotta tutte le misure indicate nel piano, nonché gli ulteriori atti e provvedimenti normativi, amministrativi, organizzativi e gestionali da esso implicati in quanto presupposti o comunque correlati e necessari alla completa attuazione del piano (articolo 2, comma 83, della L. 191/2009). La nomina del Commissario ad acta, sia ai sensi del comma 79, ovvero per mancata presentazione del piano di rientro da parte della regione, sia ai sensi del comma 83, ovvero a seguito delle verifiche trimestrali ed annuali dell’attuazione del piano di rientro, comporta la sospensione dei trasferimenti erariali a carattere non obbligatorio, e la decadenza, in via automatica dei direttori generali, amministrativi e sanitari degli enti del servizio sanitario regionale, nonché dell’assessorato regionale competente. Si dispone inoltre, con riferimento all’esercizio in corso alla data della delibera di nomina del Commissario, l’incremento in via automatica, delle aliquote fiscali di IRAP e addizionale regionale all’IRPEF rispettivamente di 0,15 e di 0,30 punti percentuali oltre il livello delle aliquote vigenti (articolo 2, comma 86, della L. 191/2009)[17]. E’ inoltre previsto il blocco del turn over e il divieto di effettuare spese non obbligatorie per i due esercizi successivi. Il comma 84 ha previsto che, qualora il Presidente della regione, in qualità di Commissario ad acta, non adempia in tutto o in parte all’obbligo di redazione del piano o agli obblighi, anche temporali, derivanti dal piano stesso, il Consiglio dei ministri, in attuazione dell’ articolo 120 della Costituzione, adotti tutti gli atti necessari ai fini della predisposizione del piano di rientro e della sua attuazione. Pertanto, il Consiglio dei ministri, in attuazione dell'articolo 120 della Costituzione, sentita la regione interessata, nomina uno o più commissari ad acta di qualificate e comprovate professionalità ed esperienza in materia di gestione sanitaria per l’adozione e l’attuazione degli atti indicati nel piano e non realizzati.
Il comma 1, lega la fattispecie di grave dissesto finanziario, riferita al disavanzo sanitario e da accertarsi nelle regioni sottoposte a piano di rientro e commissariate, al verificarsi congiunto di tre condizioni:
a) inadempienza immotivata, in tutto in parte, del Presidente della Giunta regionale, in qualità di Commissario ad acta, a seguito della nomina intervenuta ai sensi dell’articolo 2, comma 83, della legge n. 191/2009 (v.supra), all’obbligo di redazione del piano di rientro o agli obblighi operativi, anche temporali, derivanti dal piano stesso;
Si rileva, che ai sensi dell’articolo 2, comma 83, della legge n. 191/2009, il Presidente della Giunta regionale viene nominato Commissario ad acta in seguito ad inadempienze regionali nell’attuazione del piano di rientro. In tal senso, andrebbe chiarito quali siano le inadempienze del Presidente della Giunta regionale, in qualità di Commissario ad acta, relativamente alla redazione del piano di rientro.
b) mancato raggiungimento degli obiettivi del piano di rientro, come accertato in sede di verifica annuale, con conseguente perdurare del disavanzo sanitario oltre la misura consentita o con ulteriore aggravamento;
c) adozione per due esercizi consecutivi, in presenza del mancato raggiungimento degli obiettivi del piano di rientro e del conseguente incremento delle aliquote fiscali di cui all’articolo 2, comma 86, della L.191/2009, di un ulteriore incremento dell’aliquota dell’addizionale regionale all’IRPEF al livello massimo previsto dall’articolo 6, comma 1, del D.Lgs. n. 68/2011[18].
In merito al requisito del verificarsi congiunto delle tre condizioni di cui al comma 1, si fa presente che, mentre la condizione di cui alla lett. a) presuppone espressamente la nomina del commissario ad acta, le fattispecie cui le altre due condizioni si riferiscono riguardano fasi in cui non si è ancora giunti a tale nomina. Inoltre, mentre le condizioni delle lettere b) e c) presuppongono l’esistenza di un piano di rientro, la condizione della lett. a) si fonda (anche) sull’inadempimento totale o parziale dell’obbligo di redazione del piano.
Ai fini del coordinamento formale, si segnala l’opportunità di inserire, al comma 6, il corretto rinvio al D.Lgs. 6 maggio 2011, n. 68, Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario, nel frattempo approvato.
Il D.Lgs. n. 68/2011 ha introdotto disposizioni in materia di addizionale regionale all’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF), in particolare disciplinando il potere delle regioni a statuto ordinario di apportarvi modifiche nell’ambito dell’autonomia ad esse riconosciuta.
In sintesi, l’articolo 6, comma 1 - cui si riferisce la norma in esame - fissa l’aliquota di base dell’addizionale nella misura dello 0,9%[19], misura vigente sino alla successiva rideterminazione, da effettuarsi mediante DPCM. A decorrere dall’anno 2013 (ai sensi di quanto previsto dall’articolo 2, comma 1 del medesimo D.Lgs. 68/2011) le regioni a statuto ordinario possono con propria legge modificare la misura dell’aliquota di base.
In caso di maggiorazione, l’incremento non può essere superiore:
a) allo 0,5 per cento, per l’anno 2013;
b) all’1,1 per cento, per l’anno 2014;
c) al 2,1 per cento, a decorrere dall’anno 2015.
Per quanto concerne le regioni con deficit finanziario nel settore sanitario, l’articolo 6, comma 10 del D.Lgs. 68/2011 ha disposto la conferma degli automatismi fiscali previsti dalla vigente legislazione nel settore sanitario nei casi di squilibrio economico, nonché le disposizioni in materia di applicazioni di incrementi delle aliquote fiscali per le regioni sottoposte ai piani di rientro dai deficit sanitari. Alcune disposizioni introdotte nel tempo hanno infatti consentito alle suddette regioni di applicare misure superiori delle aliquote d’imposta[20].
In particolare, i commi 174 e seguenti dell’articolo 1 della legge n. 311 del 2004 (legge finanziaria 2005) hanno disposto che, in presenza di un disavanzo di gestione del settore sanitario, la regione è tenuta ad intervenire attraverso l’adozione di provvedimenti necessari per il ripianamento finanziario del settore, ivi inclusi gli aumenti dell'addizionale all'imposta sul reddito delle persone fisiche e le maggiorazioni dell'aliquota dell'imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) entro le misure massime stabilite dalla normativa vigente. Successivamente, i commi 75 e seguenti dell’articolo 2 della legge n. 191 del 2009 (legge finanziaria 2010) hanno introdotto ulteriori automatismi fiscali da applicare qualora le regioni interessate non raggiungano gli obiettivi fissati nel Piano di rientro dei disavanzi sanitari entro il termine perentorio in esso indicato. In particolare, il comma 86 stabilisce che il mancato raggiungimento degli obiettivi del piano di rientro, verificato annualmente, comporta, oltre all’applicazione delle misure previste dal comma 80 (mantenimento per l’intera durata del piano delle maggiorazioni IRAP e IRPEF previste e vincolo per la regione degli interventi individuati dal piano) e ferme restando le misure eventualmente scattate ai sensi del comma 83 (concernente la gestione commissariale della regione in disavanzo sanitario), l’incremento nelle misure fisse di 0,15 punti percentuali dell’aliquota IRAP e di 0,30 punti percentuali dell’addizionale all’IRPEF[21].
Al verificarsi del grave dissesto finanziario illustrato nel comma 1, conseguono alcune misure sanzionatorie previste dai commi 2, 3 e 4 dell’articolo in esame.
La prima di queste misure consiste nella rimozione del Presidente della giunta regionale ai sensi dell’art. 126 Cost. “per fallimento del proprio mandato di amministratore dell’ente Regione” (comma 2).
La disposizione in esame, come quelle dei commi 3 e 4 si inseriscono nel quadro dei principi di delega di cui alla lettera z) dell’art. 2 della legge 42/2009 che dispone la “previsione di meccanismi automatici sanzionatori degli organi di governo e amministrativi nel caso di mancato rispetto degli equilibri e degli obiettivi economico-finanziari assegnati alla regione e agli enti locali”.
L’art. 126 Cost., come modificato dalla legge costituzionale 1/1999, concerne la rimozione del Presidente della giunta e lo scioglimento del consiglio regionale. In particolare, il 1° comma disciplina lo scioglimento c.d. eteronomo, ossia disposto da organi esterni alla regione, mentre i commi 2° e 3° riguardano lo scioglimento autonomo.
Ai sensi del 1° comma, con il quale si attua un controllo statale su organi regionali, lo scioglimento del consiglio regionale e la rimozione del Presidente della giunta sono disposti con decreto (motivato) del Presidente della Repubblica nei seguenti casi:
§ commissione di atti contrari alla Costituzione;
§ gravi violazioni di legge;
§ commissione di atti che pongono in pericolo la sicurezza nazionale.
Allo stato, l’art. 126, primo comma, non ha mai trovato applicazione, in quanto nessun Consiglio regionale è finora stato sciolto con provvedimento statale. Per quanto attiene all’individuazione delle “gravi violazioni di legge”, in Assemblea costituente era emersa la necessità di violazioni intenzionali e ripetute oppure anche di una singola violazione gravissima. La dottrina ha ribadito la necessità che i comportamenti illegittimi abbiano un certo grado di frequenza e di intensità, come – d’altra parte – si desume dalla formula costituzionale e dalle corrispondenti formule degli statuti speciali (che parlano di “reiterate e gravi violazioni di legge”).
La legge delega sul federalismo fiscale ha stabilito che le attività che hanno causato un grave dissesto nelle finanze regionali rientrano tra i casi di grave violazione. Tale disposizione è contenuta nell’art. 17, comma 1, lett. e), recante i principi e criteri direttivi per l’emanazione della delega di cui al provvedimento in esame.
In attuazione della disposizione di delega, il comma 2 dell’articolo in esame stabilisce che il grave dissesto finanziario derivante dal disavanzo sanitario, si consideri quale grave violazione di legge e, pertanto, sanzionabile con la rimozione del presidente della giunta regionale.
Le disposizioni in esame non affrontano le questioni sia degli effetti della rimozione sugli altri organi della regione, sia delle esigenze di provvedere all’ordinaria amministrazione regionale.
Quanto alla prima, interviene l’art. 126 Cost. terzo comma che dispone che la rimozione comporta, al pari degli eventi indicati, le dimissioni della Giunta e lo scioglimento del Consiglio.
Quanto alla seconda, sulla scorta della giurisprudenza costituzionale che ritiene che, in caso o di rimozione, “esiste, dunque, la necessità di un immediato allontanamento dalla carica di chi si sia reso responsabile di gravi illeciti o risulti pericoloso per la sicurezza nazionale” (sent. 12/2006), “trattandosi di un intervento repressivo statale (non più previsto per la semplice impossibilità di funzionamento, come accadeva nel vecchio testo dell'art. 126 Cost., ma solo a seguito di violazioni della Costituzione o delle leggi, o per ragioni di sicurezza nazionale), è logico che le conseguenze, anche in ordine all'esercizio delle funzioni fino all'elezione dei nuovi organi, siano disciplinate dalla legge statale, cui si deve ritenere che l'art. 126, primo comma, della Costituzione implicitamente rinvii nonostante l'avvenuta soppressione del vecchio art. 126, quinto comma: non potendosi supporre che resti nella disponibilità della Regione disporre la proroga dei poteri di organi sciolti o dimessi a seguito di gravi illeciti, o la cui permanenza in carica rappresenti un pericolo per la sicurezza nazionale.” Pertanto, “in tema di disciplina dell'esercizio dei poteri degli organi regionali dopo la loro scadenza o scioglimento o rimozione, o dopo l'annullamento della elezione, la legge regionale è priva di competenza, almeno fino a quando lo statuto, o rispettivamente la legge statale, abbiano fissato i principi e le regole fondamentali” (sent. 196/2003).
Occorre pertanto valutare l’opportunità di richiamare espressamente, oltre al primo, anche il terzo comma dell’art. 126 Cost..
Inoltre, si nota che la formulazione del comma 2 sembra implicare una valutazione del presupposto da cui discende la rimozione poiché si afferma che il grave dissesto “è considerato” grave violazione di legge, anziché disporre che tale dissesto “costituisce” grave violazione di legge.
Da un punto di vista procedurale, il comma in esame prevede che, in caso di grave dissesto finanziario, spetta al Presidente del Consiglio presentare la proposta di rimozione al Presidente della Repubblica, con il parere della Commissione parlamentare per le questioni regionali e previa deliberazione del Consiglio dei Ministri.
Questo procedimento si innesta su quello contemplato dall’art. 126 Cost. che prevede che la rimozione è stabilita con decreto del Presidente della Repubblica. Il decreto deve essere motivato e deve essere adottato previo parere della Commissione per le questioni regionali.
Da rilevare che l’articolo 6 del provvedimento in esame, relativo al fallimento politico del presidente di provincia e del sindaco, tra le sanzioni previste non contempla la loro rimozione (pure prevista dall’art. 142 del testo unico degli enti locali per le stesse cause di cui all’art. 126 Cost.).
Alla rimozione consegue, ai sensi del comma 3, una ulteriore sanzione consistente nell’interdizione del Presidente da qualsiasi carica in enti vigilati o partecipati da enti pubblici per 10 anni successivi alla rimozione.
Anche qui è previsto un procedimento di irrogazione della sanzione con l’emanazione di un decreto del Presidente del Consiglio, previa deliberazione del Consiglio ministri, su proposta del Ministro per i rapporti con le regioni.
La disposizione ricorre al nomen iuris interdizione che è generalmente utilizzato nell’ordinamento, quando rileva a fini sanzionatori, per definire istituti connessi all’accertamento di responsabilità in sede giudiziaria. Anche l’interdizione in esame sembra avere carattere consequenziale ed accessorio, in tal caso rispetto alla rimozione.
Di tale decreto è indirettamente riconosciuta l’impugnabilità dalla disposizione che affida alla giurisdizione amministrativa la competenza esclusiva a decidere sui ricorsi concernenti l’interdizione.
La terza sanzione consiste nella riduzione dei rimborsi elettorali per i partiti politici che presentano la candidatura del presidente rimosso prima che siano trascorsi 10 anni dalla rimozione (comma 4).
Mentre, dunque, le prime due sanzioni sono automatiche e si applicano in conseguenza della dichiarazione di fallimento politico del presidente della giunta, l’ultima sanzione trova applicazione solamente nel caso di eventuale ricandidatura del Presidente rimosso.
Si tratta, in buona sostanza, di una forma particolare di incandidabilità, o meglio, di un forte disincentivo alla candidatura, che fa leva sulla decurtazione dei rimborsi per le spese elettorali.
Nella relazione illustrativa dello schema di decreto legislativo in esame la sanzione è giustificata dall’intento di garantire una particolare vigilanza da parte dei partiti sulla gestione della cosa pubblica.
La disciplina del contributo pubblico per le spese elettorali è recata principalmente dalla L. 157/1999, di riforma del sistema di finanziamento dei partiti, successivamente modificata. I criteri per il riparto delle somme da assegnare sono contenuti nella L. 515/1993 e nella L. 43/1995.
Le spese dei partiti e dei movimenti politici rimborsabili sono quelle sostenute per le campagne elettorali relative ai seguenti organi:
- Camera dei deputati;
- Senato;
- Parlamento europeo;
- Consigli regionali.
I rimborsi sono corrisposti ripartendo, tra i movimenti o partiti politici aventi diritto, quattro fondi, corrispondenti agli organi da rinnovare. L’ammontare di ciascuno dei quattro fondi è pari, per ciascun anno di legislatura degli organi stessi, alla somma risultante dalla moltiplicazione dell’importo di 1 euro per il numero dei cittadini della Repubblica iscritti nelle liste elettorali per le elezioni della Camera dei deputati[22].
Per accedere ai rimborsi sono previste condizioni diverse per ciascun tipo di elezione, per le elezioni regionali è necessario aver ottenuto almeno un eletto.
Sono escluse dal rimborso le campagne per le elezioni negli enti locali (consigli comunali e provinciali).
La legge prevede infine una forma di rimborso per le campagne relative ai referendum abrogativi di cui all’art. 75 e dei referendum costituzionali ex art. 138 della Costituzione.
Per la erogazione dei contributi per le elezioni regionali si procede in primo luogo a distribuire il fondo tra le regioni in proporzione alla rispettiva popolazione. Nell’ambito di ciascuna regione, la quota spettante è quindi ripartita, proporzionalmente ai voti riportati, tra le liste che abbiano ottenuto almeno un candidato eletto al consiglio regionale della regione interessata (L. 43/1995, art. 6, co. 2).
L’erogazione del rimborso è disposta con decreti del Presidente della Camera dei deputati o del Presidente del Senato della Repubblica, secondo le rispettive competenze. Il Presidente della Camera provvede anche all’erogazione dei contributi relativi alle elezioni europee e regionali ed ai referendum.
I partiti o movimenti politici che intendono usufruire dei rimborsi sono tenuti a farne richiesta, a pena di decadenza, al Presidente del ramo del Parlamento competente, entro dieci giorni dalla data di scadenza del termine per la presentazione delle liste.
Quanto alle modalità di corresponsione dei rimborsi, il contributo è versato sulla base di quote annuali entro il 31 luglio di ogni anno.
Si rileva nell’ordinamento un precedente, di natura temporanea, di induzione ad un determinato comportamento nel procedimento elettorale attraverso una rimodulazione dei rimborsi elettorali.
Si tratta dell’art. 3 della L. 90/2004, che ha modificato della legge per l’elezione dei rappresentanti italiani al Parlamento europeo. La disposizione introduce, con esclusivo riferimento alle elezioni europee e limitatamente alle prime due elezioni del Parlamento europeo successive all’entrata in vigore della legge, il principio dell’inammissibilità delle liste elettorali nelle quali non siano presenti candidati di entrambi i sessi e ha stabilito che, nelle liste presentate, nessuno dei due sessi possa essere rappresentato in misura superiore ai due terzi dei candidati presenti nella lista.
Per i movimenti o partiti politici che non abbiano rispettato questa disposizione è applicata una riduzione del contributo alle spese elettorali corrisposto dallo Stato: l’importo del rimborso previsto dalla L. 157/1999 è ridotto, fino a un massimo della metà, in misura direttamente proporzionale al numero dei candidati in più rispetto a quello massimo consentito.
La somma eventualmente derivante dalla riduzione di cui sopra è invece erogata, quale “premio”, ai partiti o gruppi politici organizzati che abbiano avuta proclamata eletta una quota superiore a un terzo di candidati di entrambi i sessi. Tale somma è ripartita proporzionalmente ai voti ottenuti da ciascun partito o gruppo politico.
La disposizione illustrata è successivamente confluita nel Codice delle pari opportunità tra uomo e donna (D.Lgs. 198/2006. art. 56).
In sintesi, il comma 4 prevede che se il Presidente rimosso si ricandidi “a qualsiasi altra carica pubblica elettiva”, il partito politico, lista o coalizione che presenti nuovamente tale candidatura, subirà una riduzione del 30% delle spese elettorali sostenute nella campagna elettorale per il rinnovo del consiglio regionale, spettanti ai sensi della legge 157/1999.
Con l’avverbio “nuovamente” la fattispecie sanzionatoria sembra doversi interpretare come circoscritta a partiti, liste o coalizioni che abbiano già candidato il soggetto rimosso e non comprenderebbe, invece, partiti, liste o coalizioni nei quali lo stesso soggetto non è mai risultato candidato; sul punto, sembrerebbe opportuno un chiarimento.
Si segnala che l’art. 6 dello schema di decreto sanziona il fallimento politico degli amministratori locali con l’ineleggibilità per 10 anni; il comma 4 dell’articolo in esame, invece, sanziona quello dei presidenti di regione con la decurtazione dei rimborsi elettorali, con un effetto di forte dissuasione all’eleggibilità.
La differenza di trattamento è presumibilmente da ricondurre alla riserva di legge regionale recata dal’art. 122 Cost. che prevede appunto che il sistema di elezione e i casi di ineleggibilità del presidente, degli assessori e dei consiglieri regionali sono disciplinati con legge della regione, nei limiti dei principi fondamentali stabiliti con legge dello Stato.
La disposizione presenta alcuni aspetti problematici.
In primo luogo, si rileva che la disposizione del comma 4 fa riferimento “a qualsiasi carica pubblica elettiva”, senza specificare quali. L’espressione è da intendersi presumibilmente riferita alle cariche elettive indicate espressamente al citato articolo 6, comma 1, del provvedimento in esame, che introduce una forma di ineleggibilità (per 10 anni) anche per i sindaci e i presidenti di provincia, ossia:
§ sindaco;
§ presidente di provincia;
§ consigliere comunale;
§ consigliere provinciale;
§ membro del Parlamento nazionale;
§ membro del Parlamento europeo;
§ presidente di giunta regionale;
§ consigliere regionale.
L’espressione usata nel testo, “qualsiasi altra carica” potrebbe indurre ad escludere queste ultime due cariche (presidente e consigliere regionali) dal novero di quelle la cui candidatura è sanzionata. Tuttavia, tale interpretazione sembrerebbe non compatibile con la ratio della norma, in quanto appare irragionevole impedire la candidatura del Presidente rimosso da tutte le cariche pubbliche elettive ad eccezione proprio di quella nel corso della quale è incorso nella sanzione principale (la rimozione).
Sarebbe, pertanto, opportuno chiarire l’ambito di applicazione della disposizione attraverso una eventuale elencazione delle cariche elettive alla stregua di quanto disposto dal citato articolo 6.
In secondo luogo, si segnala che, come descritto in precedenza, la legge prescrive che i rimborsi sono corrisposti ai movimenti o partiti politici che ne hanno diritto. Per le elezioni regionali, hanno diritto al rimborso le liste presentate nelle circoscrizioni provinciali che abbiano ottenuto almeno un candidato eletto (L. 43/1995, art. 6)
Pertanto, il riferimento alle coalizioni, nel comma in esame, appare incongruo, almeno nell’attuale sistema, in quanto esse non sono destinatarie dei contributi.
In terzo luogo, occorre rilevare la discrasia tra i tipi di elezione cui fa riferimento la norma: il comportamento sanzionato riguarda la candidatura a qualsiasi elezione, mentre la sanzione concerne esclusivamente i rimborsi per le elezioni regionali.
In proposito, si osserva che, qualora prevalga l’interpretazione di cui sopra (volta cioè ad includere le cariche regionali tra quelle “proibite”) in caso di presentazione della candidatura del presidente rimosso alle elezioni regionali (alla carica di presidente, o anche di semplice consigliere), la disposizione troverebbe applicazione in modo incontroverso, in quanto il partito che ha presentato la candidatura si vedrebbe decurtato il rimborso per quella stessa elezione e non ci sarebbero dubbi sull’identità tra il partito che ha commesso l’irregolarità (la presentazione della candidatura vietata) e il partito cui applicare la sanzione.
Diversamente, nel caso di presentazione della candidatura in un’altra competizione elettorale, diversa dalle regionali, si potrebbe porre il problema di identificare il partito corrispondente nel consiglio regionale cui applicare la sanzione: infatti, sarebbe sufficiente una modifica nella denominazione o nel simbolo della lista che presenta la candidatura di un ex-presidente regionale, per porre in dubbio la legittimità della sanzione.
Sarebbe, invece, impossibile applicare la sanzione qualora il partito che presenti la candidatura non sia presente nel consiglio regionale.
Inoltre, la disposizione in esame non specifica a quale legislatura regionale si applicherebbe la decurtazione dei rimborsi. Infatti, l’erogazione dei rimborsi è effettuata in tranche annuali e la loro riduzione potrebbe applicarsi o alla legislatura in corso, o alla legislatura immediatamente successiva alla elezione nella quale si presenta l’ex presidente, oppure ad entrambe (la parte residua della legislatura in corso e parte della nuova legislatura fino alla concorrenza dei 5 anni di durata della legislatura regionale).
Si osserva, altresì, che la sanzione si applica esclusivamente alla presentazione di candidature per cariche elettive e non anche alla nomina in organi esecutivi e quindi, ad esempio, l’ex presidente non potrebbe candidarsi alla carica di consigliere comunale, ma potrebbe essere nominato assessore regionale o ministro.
Il comma 5 dispone che, nelle more dell’insediamento del nuovo Presidente della Giunta, il Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della salute, sentito il Ministro per i rapporti con le regioni, nomini, ai sensi dell’articolo 2, comma 84, della L: 191/2009, un nuovo Commissario ad acta (vedi supra).
Il comma 6 conferma quanto previsto dall’articolo 3, comma 2, primo periodo, del D.Lgs. 68/2011 in materia di:
§ erogabilità delle quote premiali in ambito sanitario di cui all’articolo 2, comma 68, lettera c) della L. 191/2009;
Meccanismi premiali applicati alla spesa sanitaria
In particolare, l’articolo 2, comma 68, della L. 191/2009, fissa al 97% il livello delle anticipazioni di tesoreria per il finanziamento della spesa sanitaria corrente. Tale livello è elevato al 98% per le regioni risultate adempienti nell’ultimo triennio. La misura delle anticipazioni è riferita allo stanziamento risultante dai maggiori finanziamenti previsti dal Nuovo patto per la salute 2010-2012, (articolo 2, comma 67), ed è condizionata al rispetto delle misure disposte per il contenimento della spesa sanitaria, che riguardano, l’adozione di misure che consentono la riduzione del personale sanitario (commi 71-74) e, in generale, il rispetto degli altri adempimenti previsti per il mantenimento dell’equilibrio economico del settore sanitario (commi 92-97) nonché, per le regioni in disavanzo, l’adozione delle misure che garantiscono il ripristino dell’equilibrio finanziario della gestione (commi 75-91).
La lettera c) del citato comma 68 prevede un ulteriore livello di verifica per la determinazione della misura delle anticipazioni previste del 97 per cento e del 98 per cento. In particolare, è stabilita una decurtazione dei due livelli di anticipazioni, rispettivamente, del 3 per cento e del 2 per cento (cosiddette quote premiali), quale misura cautelare in corso di verifica. La quota trattenuta è erogata all’esito positivo della verifica o, in caso negativo, quando la regione abbia attuato le misure correttive richiamate dai commi 71-74 (misure di riduzione del personale sanitario) e dai commi 92-97 (inadempimenti sugli altri vincoli di spesa).
§ disposizioni in materia di realizzazione degli obiettivi di carattere prioritario, di rilievo nazionale e di relativa erogabilità delle corrispondenti risorse ai sensi dell’art. 1, commi 34 e 34-bis, della L. 662/1996[23].
Il comma 34 dell’articolo 1 della L. 662/1996, prevede la possibilità di vincolare quote del Fondo sanitario nazionale per la realizzazione di specifici obiettivi del Piano sanitario nazionale. Il successivo comma 34-bis, ha introdotto, a decorrere dall’anno 2009, un nuovo criterio di assegnazione di tali risorse alle regioni. In particolare, il Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE), su proposta del Ministro della salute, d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni, ripartisce tra le regioni tali quote vincolate in concomitanza all’adozione della propria delibera di ripartizione delle somme spettanti alle regioni a titolo di finanziamento della quota indistinta di Fondo sanitario nazionale di parte corrente. Le quote vincolate non vengono erogate integralmente, il Ministero dell’economia e delle finanze provvede infatti ad erogare, a titolo di acconto, il 70 per cento dell’importo complessivo annuo del fabbisogno sanitario vincolato, spettante a ciascuna regione. L’erogazione del restante 30 per cento è subordinata all’approvazione da parte della Conferenza Stato-Regioni, su proposta del Ministro della salute, dei progetti presentati dalle regioni. Le mancate presentazione ed approvazione dei progetti comportano, nell’anno di riferimento, la mancata erogazione della quota residua del 30 per cento ed il recupero, anche a carico delle somme a qualsiasi titolo spettanti nell’anno successivo, dell’anticipazione del 70 per cento già erogata.
§ norme in materia di fondo di garanzia e di recuperi, di cui all’articolo 13 del D.Lgs. 56/2000[24], rispettivamente per minori ovvero maggiori gettiti fiscali effettivi rispetto a quelli stimati ai fini della copertura del fabbisogno sanitario standard regionale.
In particolare, l’articolo 13 del citato decreto legislativo n. 56 del 2000 ha istituito, nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze un fondo di garanzia (capitolo 2701)per compensare le regioni a statuto ordinario delle eventuali minori entrate dell'IRAP e dell'addizionale regionale all'IRPEF. Nel caso di un gettito complessivo dell'IRAP e dell'addizionale regionale all'IRPEF superiore a quello previsto, si provvede al recupero delle eventuali maggiori entrate.
La relazione tecnica, precisa che le disposizioni hanno carattere ordinamentale e risultano, quindi, prive di effetti sui saldi di finanza pubblica.
In merito ai profili di quantificazione, non si hanno osservazioni da formulare tenuto conto che trattasi di sanzioni “politiche”, che si aggiungono a quelle di carattere economico-finanziario previste dalla legislazione vigente e da ultimo dalla legge 191/2009.
In proposito, si ricorda che la legge 191/2009 (art. 2, comma 76 e ss.) prevede, tra l’altro, l’incremento delle aliquote dell’addizionale IRPEF e dell’IRAP oltre i massimi, il blocco del turn over del personale del SSR, il divieto di effettuare spese non obbligatorie, la sospensione dei trasferimenti erariali a carattere non obbligatorio e la decadenza dei direttori generali degli enti del servizio sanitario regionale, nonché dell’assessorato competente.
Nulla da osservare, in particolare, relativamente al comma 6 dell’articolo in esame che, rinviando all’articolo 3, comma 2, del D.Lgs. n. 68/2011, conferma quanto previsto dalla legislazione vigente (art. 2, comma 68, della legge 191/2009) in merito al sistema di finanziamento del SSN ed in particolare al meccanismo, premiale e sanzionatorio, riguardante le anticipazioni.
Secondo quanto da ultimo disposto dalla legge 191/2009 (art. 2, comma 68), in corso di esercizio, viene erogata a tutte le regioni una quota pari al 97 per cento del finanziamento ordinario ad esse spettante; tale quota si eleva al 98 per cento per le regioni che risultino adempienti nell’ultimo triennio. L’erogazione dell’ulteriore quota (3 per cento per tutte le regioni e 2 per cento per quelle risultate adempienti) è condizionata alla verifica positiva degli adempimenti regionali. Le regioni che risultino inadempienti non hanno, infatti, accesso alla quota premiale: presupposto per accedervi è la sottoscrizione di un accordo con il relativo piano di rientro.
Articolo 3
(Decadenza automatica e interdizione dei
funzionari regionali)
1. Il verificarsi del grave dissesto finanziario di cui all'articolo 2 determina l'applicazione delle disposizioni di cui all'articolo 2, comma 79, lettera a), della legge 23 dicembre 2009,. n. 191, in materia di decadenza automatica dei direttori generali, amministrativi e sanitari degli enti del servizio sanitario regionale, nonché dell'assessorato regionale competente, previa verifica delle rispettive responsabilità del dissesto.
2. Agli stessi soggetti di cui al comma 1 si applica altresì l'interdizione dei medesimi da qualsiasi carica in enti vigilati o partecipati da enti pubblici per un periodo di tempo da sette a dieci anni. La sanzione dell'interdizione è irrogata con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per i rapporti con le Regioni. Il giudizio sulla relativa impugnazione è devoluto alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
L’articolo 3, al comma 1, estende la sanzione della decadenza automatica disposta dalla legge finanziaria per il 2010, in caso di mancata presentazione de piano di rientro o di verifica negativa del medesimo,per i direttori generali, amministrativi e sanitari degli enti del servizio sanitario regionale, nonché dell’assessorato regionale competente alla fattispecie del grave dissesto finanziario come disciplinato dall’art. 2 dello schema in esame, previa verifica delle rispettive responsabilità del dissesto.
La disposizione è riconducibile alla “previsione di meccanismi automatici sanzionatori degli organi di governo e amministrativi nel caso di mancato rispetto degli equilibri e degli obiettivi economico-finanziari assegnati alla regione e agli enti locali” di cui alla lettera z) dell’art. 17 della legge di delega.
E’ da notare che la sanzione richiamata dalla citata legge finanziaria per il 2010 è costituita dalla decadenza disposta automaticamente. Nella disposizione in esame, invece, la decadenza, pur essendo definita “automatica”, come nella norma che si richiama, è però subordinata alla “previa verifica delle rispettive responsabilità del dissesto”, ai fini della quale non è indicato il soggetto titolare del relativo potere. In ogni caso, il riferimento alla previa verifica, in mancanza di disciplina di tipo transitorio, sembra diretto a consentire l’individuazione delle singole posizioni dei funzionari in relazione al momento in cui ha avuto inizio il dissesto finanziario ai fini dell’applicazione delle misure previste dal provvedimento.
Avuto riguardo al richiamo operato dal comma 1, si ricorda che la legge finanziaria 2010, all’art. 2, commi da 78 a 82, regola le nuove procedure per la predisposizione e l'approvazione del Piano di rientro da parte delle regioni. In particolare, si segnala che il Piano, approvato dalla Regione, deve essere valutato dall’apposita struttura tecnica di monitoraggio istituita con l’intesa Stato-Regioni per il triennio 2010-2012[25] e dalla Conferenza Stato-Regioni nel termine perentorio, rispettivamente, di 30 e di 45 giorni dall’approvazione (comma 78). Nell’esprimere il parere la Conferenza Stato-Regioni tiene conto di quello della citata struttura, ove espresso. Decorsi i predetti termini, il Consiglio dei Ministri, valuta il piano anche in assenza dei pareri dei suddetti organi e, in caso di riscontro positivo, ne dispone l’approvazione rendendolo immediatamente esecutivo per la Regione.
L’eventuale riscontro negativo o la mancata presentazione del Piano comporta la nomina, da parte del Consiglio dei Ministri, del Presidente della regione quale commissario ad actaper la presentazione, entro i successivi trenta giorni, del piano di rientro e per la sua attuazione. La nomina del Commissario ad acta comporta, oltre alle disposizioni previste dalla normativa vigente[26], l’automatica adozione di misure restrittive e sanzionatorie nei confronti della Regione (sospensione dei trasferimenti erariali a carattere non obbligatorio, decadenza dei direttori generali, amministrativi e sanitari degli enti del SSN e dell’assessorato regionale competente), (comma 79).
Sembra, altresì, opportuno segnalare che i commi 83-85 disciplinano già le misure destinate alle inadempienze delle Regioni e dei presidenti delle stesse in qualità di commissari ad acta.
Più in dettaglio il comma 83 prevede, nei confronti della regione inadempiente, la diffida, da parte del Consiglio dei ministri[27] - sentita, la struttura tecnica di monitoraggio e la Conferenza Stato-Regioni -, ad attuare il piano, adottando altresì tutti gli atti normativi, amministrativi, organizzativi e gestionali atti a garantire il conseguimento degli obiettivi in esso previsti. In caso di perdurante accertata inadempienza - accertata dal Tavolo di verifica degli adempimenti regionali e dal Comitato permanente per la verifica dei livelli essenziali di assistenza di cui agli articoli 12 e 9 dell’Intesa del 23 marzo 2005 -, il Consiglio dei Ministri, nomina il Presidente della regione quale commissario ad acta per l'intera durata del Piano di rientro. Il commissario adotta tutte le misure indicate nel piano e tutti gli atti necessari alla completa attuazione dello stesso. Inoltre, a seguito della deliberazione di nomina del commissario sono automaticamente sospesi i trasferimenti erariali a carattere non obbligatorio, decadono in via automatica i direttori generali, amministrativi e sanitari.
Pertanto, con l’introduzione dell’ipotesi di decadenza prevista dall’art. in esame si avrebbero tre fattispecie di decadenza automatica dei direttori generali, amministrativi e sanitari degli enti del servizio sanitario regionale, nonché dell’assessorato regionale competente:
§ quella prevista dal comma 79 dell’art. 2 della L. 191/2009 conseguente alla deliberazione di nomina di commissario ad acta per mancata predisposizione di piano di rientro o riscontro negativo del medesimo;
§ quella prevista dal comma 83 dell’art. 2 della L. 191/2009 conseguente alla deliberazione di nomina di commissario ad acta a seguito di inadempimento del piano di rientro a seguito di diffida;
§ quella prevista dall’articolo in esame che, a differenza delle precedenti, non è senz’altro automatica in quanto presuppone una previa verifica delle responsabilità. Il presupposto di tale fattispecie, definito grave dissesto finanziario con riferimento al disavanzo sanitario, richiede il verificarsi congiunto delle tre condizioni indicate dall’art. 2. Tuttavia, mentre la condizione di cui alla lett. a) presuppone espressamente la nomina del commissario ad acta, le fattispecie cui le altre due condizioni si riferiscono riguardano fasi in cui non si è ancora giunti a tale nomina. Inoltre, mentre le condizioni delle lettere b) e c) presuppongono l’esistenza di un piano di rientro, la condizione della lett. a) si fonda (anche) sull’inadempimento totale o parziale dell’obbligo di redazione del piano.
Il comma 2, nei confronti dei medesimi soggetti, dispone, oltre alla declaratoria di decadenza, l’interdizione, per un periodo di tempo da sette a dieci anni, da qualsiasi carica in enti vigilati o partecipati da enti pubblici, da irrogare a cura del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per le regioni, con un proprio decreto direttamente impugnabile avanti il Tar competente in sede di giurisdizione esclusiva.
La disposizione ricorre al nomen iuris interdizione che è generalmente utilizzato nell’ordinamento, quando rileva a fini sanzionatori, per definire istituti connessi all’accertamento di responsabilità in sede giudiziaria. Anche l’interdizione in esame sembra avere carattere consequenziale ed accessorio, in tal caso rispetto alla decadenza automatica; si nota che, mentre la prima è “irrogata”, la seconda è “applicata” (senza indicazione, a differenza dell’altra, dell’ atto che la dispone ).
La norma in commento presuppone l’individuazione delle figure ritenute precipuamente responsabili di uno squilibrio finanziario atto a giustificare l’applicazione della decadenza automatica unita all’interdizione di cui al comma 2.
In prima battuta si ricorda che il vertice di un’azienda ASL è costituito da due organi principali: il direttore generale e il collegio dei revisori (C.d.R.). Al direttore generale (art. 3, comma 6, D.Lgs. 502/1992[28]) competono tutti i poteri di gestione, nonché la rappresentanza dell'unità sanitaria locale e, anche attraverso l'istituzione dell'apposito servizio di controllo interno, il compito di verificare, mediante valutazioni comparative dei costi, dei rendimenti e dei risultati, la corretta ed economica gestione delle risorse attribuite ed introitate nonché l'imparzialità ed il buon andamento dell'azione amministrativa. L'autonomia della ASL diviene effettiva con la prima immissione nelle funzioni del direttore generale. Il direttore amministrativo coadiuva il direttore generale insieme al direttore sanitario, al consiglio dei sanitari e al coordinatore dei servizi sociali.
In tema di responsabilità dirigenziale (o manageriale), il D.Lgs. 502/1992 ha optato per un collegamento esclusivo non soltanto ai singoli eventi illeciti apprezzabili ai fini di una responsabilità penale, amministrativa e patrimoniale ma anche ad un giudizio complessivo sulla capacità o meno di orientare il proprio operato verso il raggiungimento di obiettivi fissati in sede di negoziazione budget o verso lo sviluppo delle competenze. È sulla base di questi principi che avviene la valutazione dell’operato della dirigenza per la quale sono previste:
- una valutazione annuale per la verifica del raggiungimento degli obiettivi generali ed individuali e per la verifica delle competenze, anche al fine dell’attribuzione della retribuzione di risultato;
- verifiche periodiche e di fine incarico come previsto dalla vigente normativa (art. 15-ter D.Lgs. 229/1999 e art. 19 D.Lgs. 29/1993).
È in questo senso, dunque, che le misure sanzionatorie della responsabilità manageriale non sono le stesse previste per il personale del comparto in quanto non si riferiscono a singoli comportamenti disciplinarmente rilevanti ma attengono al mancato raggiungimento dei risultati attesi; a tal proposito si possono agevolmente riscontrare le sanzioni già previste:
- per il direttore generale: dall’art.3-bis, commi 6 e 7 del D.Lgs. 502/1992 e dal conseguente contratto di lavoro autonomo che viene sottoscritto con la regione[29];
- per i direttori amministrativi e sanitari: dall’art. 3-bis, comma 8 del D.Lgs. 502/1992 e dal conseguente contratto di lavoro autonomo sottoscritto con il direttore generale;
- per i dirigenti del ruolo sanitario: dall’art. 15-ter, comma 3, del D.Lgs. 502/1992 e dal conseguente contratto di lavoro sottoscritto con il direttore generale nonché dal contratto nazionale di lavoro;
- per tutti gli altri dirigenti: dalle norme previste dal D.Lgs. 165/2001 e dal contratto nazionale di lavoro.
Dal punto di vista dei soggetti che concorrono nel quadro di responsabilità cui si riferiscono le disposizioni in commento, occorre ricordare che, a seguito dell’Intesa del 23 marzo 2005 i cui contenuti sono stati trasfusi nella normativa vigente in tema di disavanzi sanitari (cfr. supra art. 2) anche i responsabili delle istituzioni ministeriali sono coinvolti a pieno titolo nella filiera dei controlli.
Si nota inoltre che la disposizione in esame non richiama tra i soggetti di cui al comma 1 quelli che compongono il collegio dei revisori di conti nonostante esso sia costituito, in posizione apicale, all’interno di ciascuna azienda sanitaria.
La relazione tecnica, precisa che le disposizioni hanno carattere ordinamentale e risultano, quindi, prive di effetti sui saldi di finanza pubblica.
In merito ai profili di quantificazione, non si hanno osservazioni da formulare tenuto conto che trattasi di sanzioni “politiche”, che si aggiungono a quelle di carattere economico-finanziario previste dalla legislazione vigente e, da ultimo, dalla legge 191/2009 (art. 2, comma 79, lett. a), cui si rinvia.
In proposito si ricorda che la legge 191/2009 prevede, oltre all’incremento delle aliquote dell’addizionale IRPEF e dell’IRAP oltre i massimi, il blocco del turn over del personale del SSR, il divieto di effettuare spese non obbligatorie e la sospensione dei trasferimenti erariali a carattere non obbligatorio, la decadenza dei direttori generali degli enti del servizio sanitario regionale, nonché dell’assessorato competente (art. 2, comma 79, lett. 1).
Articolo 4
(Inventario di fine mandato provinciale e
comunale)
1. Al fine di garantire il coordinamento della finanza pubblica, il rispetto dell'unità economica della Repubblica, il principio di trasparenza delle decisioni di entrata e di spesa, le Province e i Comuni che durante il mandato consiliare in corso o in uno successivo si trovino in situazione di dissesto finanziario ai sensi dell'articolo 244 del decreto legislativo n. 267 del 2000, sono tenuti a redigere un inventario di fine mandato. Lo stesso inventario di fine mandato può essere istituito anche dagli altri Comuni e Province.
2. L'inventario di fine mandato è sottoscritto dal Presidente della Provincia o dal Sindaco. Entro e non oltre venti giorni dal provvedimento di indizione delle elezioni esso deve risultare certificato dall'organo di revisione dell'ente locale e, nello stesso termine, trasmesso al Tavolo tecnico interistituzionale istituito presso la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, composto pariteticamente da rappresentanti ministeriali e degli enti locali. Il Tavolo tecnico interistituzionale verifica, per quanto di propria competenza, la conformità di quanto esposto nell'inventario di fine mandato con i dati finanziari in proprio possesso e con le informazioni fatte pervenire dagli enti locali alla Banca dati di cui all'articolo 13 della legge 31 dicembre 2009, n. 196 ed invia, entro sessanta giorni, apposita relazione al Presidente della Provincia o del Sindaco. La relazione e l’inventario di fine mandato sono pubblicati sul sito istituzionale della Provincia o del Comune almeno dieci giorni prima delle elezioni. Entrambi i documenti sono inoltre trasmessi dal Presidente della Provincia e dal Sindaco alla Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale di cui all'articolo 4 della legge 5 maggio 2009, n. 42.
3. L'inventario di fine mandato contiene la descrizione dettagliata delle principali attività normative e amministrative svolte durante la consiliatura, con specifico riferimento a:
a) eventuali rilievi della Corte dei Conti;
b) azioni intraprese per il rispetto dei saldi di finanza pubblica programmati e stato del percorso di convergenza verso i fabbisogni standard;
c) situazione finanziaria e patrimoniale, anche evidenziando le carenze riscontrate nella gestione degli enti controllati dal Comune o dalla Provincia ai sensi dei numeri 1 e 2 del comma 1 dell'art. 2359 del Codice Civile, ed indicando azioni intraprese per porvi rimedio;
d) azioni intraprese per contenere la spesa e stato del percorso di convergenza ai fabbisogni standard, misurato attraverso un adeguato monitoraggio degli output e delle caratteristiche dei destinatari relativi a ciascun servizio offerto;
e) quantificazione della misura dell'indebitamento provinciale o comunale.
4. Con atto di natura non regolamentare, sentita la Conferenza Stato, Città e autonomie locali, il Ministro dell'Interno, di concerto con il Ministro dell'Economia e Finanze, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, adotta uno schema tipo per la redazione dell'inventario di fine mandato.
Analogamente a quanto previsto per le regioni assoggettate ad un piano di rientro della spesa sanitaria, lo schema di decreto, all’articolo 4, dispone l’obbligo di redazione dell’inventario di fine mandato relativamente alle province e ai comuni che, durante il mandato consiliare in corso o in uno successivo, si trovino in situazione di dissesto finanziario, ai sensi dell'articolo 244 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267.
L’inventario di fine mandato è facoltativo per gli altri comuni e province (comma 1).
Ai sensi dell’art. 244 del D.Lgs. n. 267/2000 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali), si ha stato di dissesto finanziario qualora l’ente non possa garantire l’assolvimento delle funzioni e dei servizi indispensabili ovvero esistano, nei confronti dell’ente locale, crediti liquidi ed esigibili di terzi cui non si possa fare validamente fronte con le modalità ordinarie (di cui agli artt. 193 e 194 del TUEL).
Il risanamento finanziario degli enti locali deficitari oinsituazione di dissesto finanziarioè disciplinato dal titolo VIII del D.Lgs. n. 267 del 2000 (artt. 242-269).
La gestione dello stato di dissesto finanziario è affidata all’organo straordinario di liquidazione.I compiti attribuitiin via generale all'organo straordinario di liquidazione sono disciplinati dall’art. 252, comma 3. Essi consistono nella rilevazione della massa passiva dell’ente locale; nell’acquisizione e gestione dei mezzi finanziari disponibili ai fini del risanamento anche mediante alienazione dei beni patrimoniali; nella liquidazione e pagamento della massa passiva.
Verificata la situazione debitoria, l’organo straordinario di liquidazione provvede all’accertamento della massa passiva, attraverso la formulazione di un piano di rilevazione, e alla acquisizione dei mezzi finanziari disponibili per il risanamento (artt. 254-255). Entro 24 mesi dall’insediamento, l’organo straordinario di liquidazione è tenuto a predisporre il piano di estinzione delle passività, che viene sottoposto al Ministero dell’interno, cui spetta approvarlo, previo parere della Commissione per la finanza e gli organici degli enti locali (artt. 256-257).
A seguito dell’approvazione del piano di estinzione, l’organo straordinario di liquidazione provvede al pagamento delle residue passività, sino alla concorrenza della massa attiva realizzata. Nel caso in cui l’insufficienza della massa attiva, non diversamente rimediabile, sia tale da compromettere il risanamento dell’ente, il Ministro dell’interno, su proposta della Commissione per la finanza e gli organici degli enti locali, può stabilire misure straordinarie per il pagamento integrale della massa passiva della liquidazione, anche in deroga alle norme vigenti, comunque senza oneri a carico dello Stato.
Mentre l’organo straordinario di liquidazione provvede al ripiano dell’indebitamento pregresso, gli organi istituzionali dell’ente assicurano condizioni stabili di equilibrio della gestione finanziaria,rimuovendo le cause strutturali che hanno determinato il dissesto. Entro il termine di tre mesi dalla nomina dell’organo straordinario di liquidazione, il consiglio dell’ente è tenuto a presentare al Ministro dell’interno un’ipotesi di bilancio di previsione stabilmente riequilibrato, istruita dalla Commissione per la finanza e gli organici degli enti locali, che esprime il proprio parere sulla validità delle misure disposte dall’ente per consolidare la propria situazione finanziaria entro quattro mesi. Il riequilibrio viene realizzato mediante l’attivazione di entrate proprie e la riduzione delle spese correnti, anche attraverso la rideterminazione della dotazione organica da sottoporsi all’esame della Commissione per la finanza egli organici degli enti locali, secondo una disciplina che vincola la gestione del bilancio dal momento della deliberazione del dissesto fino a quella dell’approvazione del bilancio riequilibrato (artt. 259-263).
Infine, a seguito dell’approvazione ministeriale dell’ipotesi di bilancio riequilibrato, l’ente provvede alla deliberazione del bilancio dell’esercizio cui l’ipotesi si riferisce. Il testo unico stabilisce le prescrizioni e i limiti conseguenti al risanamento dell’ente locale, a seguito dell’emanazione del decreto ministeriale di approvazione dell’ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato. L’osservanza delle prescrizioni è curata dagli amministratori ordinari e straordinari, che hanno l’obbligo di riferire sullo stato di attuazione nella relazione al rendiconto annuale, per tutto il periodo interessato al risanamento, fissato in cinque anni (artt. 264-267).
L’inventario di fine mandato, sottoscritto dal Presidente della provincia o dal Sindaco, deve essere certificato dall'organo di revisione dell'ente locale entro e non oltre venti giorni dall’indizione delle elezioni e deve essere trasmesso al Tavolo tecnico interistituzionale, istituito presso la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, entro il medesimo termine.
Si ricorda che la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, prevista dall’articolo 5 della legge n. 42/2009, è stata di recente istituita dal D.Lgs. 6 maggio 2011, n. 68[30].
Il Tavolo tecnico, composto pariteticamente da rappresentanti ministeriali e degli enti locali, ha il compito di verificare, per quanto di propria competenza, la conformità dei dati dell’inventario di fine mandato con i dati finanziari in proprio possesso e con le informazioni contenute nella Banca dati delle amministrazioni pubbliche, di cui all'articolo 13 della legge di contabilità (legge n.196/2009).
L’articolo 13 della legge di contabilità nazionale ha previsto l’istituzione, presso il Ministero dell’economia e finanze, di una Banca dati unitaria, nella quale le amministrazioni pubbliche provvedono ad inserire i dati relativi ai bilanci di previsione, alle relative variazioni, ai conti consuntivi, nonché alle operazioni gestionali.
Una apposita sezione della banca dati contiene tutti i dati necessari a dare attuazione al federalismo fiscale. Le informazioni sono messe a disposizione della Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale e della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, a supporto tecnico dell’espletamento delle funzioni loro proprie (articolo 38, D.Lgs. n. 68/2011)[31].
A tal fine, la Conferenza permanente concorre con il Ministero dell’economia, alla individuazione dei contenuti della predetta sezione.
A supporto della sua attività, la Conferenza si avvale della Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale, la quale, prevista dall’articolo 4 della legge n.42/2009, è stata istituita presso il Ministero dell'economia e delle finanze con D.P.C.M. 3 luglio 2009 e svolge il ruolo di segreteria tecnica per lo svolgimento delle attività istruttorie e di supporto necessarie alla Conferenza.
Ad oggi, sono in corso le attività operative e strumentali propedeutiche alla realizzazione della Banca dati.
Il Tavolo tecnico invia apposita relazione,circa l’espletamento dell’attività di verifica sull’inventario, al Presidente della provincia o del Sindaco, entro sessanta giorni.
Con riferimento al termine di sessanta giorni previsto per l’invio della relazione sull’inventario da parte del Tavolo tecnico non è ben chiaro il dies a quo da cui decorre il termine in questione (se dall’invio dell’inventario, ovvero dal momento in cui il Tavolo tecnico ha terminato la verifica dei dati in esso contenuti).
La relazione e l’inventario sono pubblicati sul sito istituzionale della provincia o del comune almeno dieci giorni prima delle elezioni e sono trasmessi dal Presidente della provincia e dal Sindaco alla Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale, di cui all'articolo 4 della legge n. 42/2009 (comma 2).
Come già segnalato in ordine all’articolo 1 del provvedimento in esame, si osserva che i tempi di esame dell’inventario (che possono arrivare ad un massimo di 80 giorni dal provvedimento di indizione delle elezioni) che deve essere pubblicato sul sito istituzionale almeno 10 giorni prima delle elezioni, non sembrano coerenti con il complessivo periodo di tempo che può intercorrere tra il decreto di indizione delle elezioni degli enti locali e la data di svolgimento delle elezioni medesime, non superiore a 55 giorni (art. 18, D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570; art. 3, comma 1, legge 7 giugno 1991, n. 182)[32].
Ai sensi dell’articolo 4 in esame, infatti, l’invio dell’inventario al Tavolo tecnico deve avvenire entro 20 giorni dal provvedimento di indizione delle elezioni, il periodo di valutazione da parte del Tavolo tecnico sarebbe pari a 60 giorni, e la pubblicazione della relazione del Tavolo tecnico dovrebbe avvenire almeno 10 giorni prima delle elezioni.
Il tempo massimo di esame dell’inventario potrebbe essere dunque di 80 giorni: ciò comporta l’esigenza di valutare – alla stregua dell’obiettivo di garantire la trasparenza delle responsabilità ai fini del controllo da parte degli elettori - la congruità dei termini sopra illustrati con la tempistica, più stretta, del periodo massimo intercorrente tra indizione delle elezioni ed elezioni medesime (55 giorni).
I contenuti dell’inventario di fine mandato consistono nella descrizione dettagliata delle principali attività normative e amministrative svolte durante la consiliatura, ed in particolare nell’indicazione di:
a) eventuali rilievi della Corte dei Conti;
b) azioni intraprese per il rispetto dei saldi di finanza pubblica programmati e lo stato del percorso di convergenza verso i fabbisogni standard;
c) situazione finanziaria e patrimoniale, anche evidenziando le carenze riscontrate nella gestione degli enti e società controllate dal Comune o dalla Provincia, con l’indicazione delle azioni intraprese per porvi rimedio;
d) azioni di contenimento della spesa e stato del percorso di convergenza ai fabbisogni standard, da misurarsi attraverso un adeguato monitoraggio degli output e delle caratteristiche dei destinatari di ciascun servizio offerto;
e) quantificazione della misura dell'indebitamento provinciale o comunale (comma 3).
Ad un atto di natura non regolamentare del Ministro dell’Interno - adottato sentita la Conferenza Stato, Città e autonomie locali, di concerto con il Ministro dell'Economia e Finanze entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto - è rimessa la definizione di uno schema tipo per la redazione dell'inventario di fine mandato.
La relazione tecnica, oltre a ricordare che le disposizioni prevedono per gli enti in situazione di dissesto l’obbligo di redigere un inventario provinciale e comunale di fine mandato, nulla aggiunge alla descrizione della norma.
In merito ai profili di quantificazione, si osserva che l’articolo 4, comma 2, prevede che le province e i comuni pubblichino sui rispettivi siti istituzionali le relazioni e gli inventari di fine mandato almeno dieci giorni prima delle elezioni. Al riguardo, appare opportuno acquisire conferma dal Governo che gli adempimenti connessi a tale pubblicazione (potenzialmente onerosi soprattutto per i comuni di piccole dimensioni) possano essere svolti con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.
Articolo 5
(Regolarità della gestione
amministrativo-contabile)
1. Il Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento della ragioneria generale dello Stato, può attivare verifiche sulla regolarità della gestione amministrativo-contabile, ai sensi dell'articolo 14, comma 1, lett. d), della legge 31 dicembre 2009, n. 196, oltre che negli altri casi previsti dalla legge, qualora un Ente evidenzi, anche attraverso le rilevazioni SIOPE, situazioni di squilibrio finanziario riferibili ai seguenti indicatori:
a) ripetuto utilizzo dell'anticipazione di tesoreria;
b) disequilibrio consolidato della parte corrente del bilancio;
c) anomale modalità di gestione dei servizi per conto di terzi.
2. Le modalità di attuazione del comma 1 sono definite con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell'interno e con il Ministro per i rapporti con le regioni, d'intesa con la Conferenza Unificata.
L’articolo 5 consente al Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento della ragioneria generale dello Stato – di attivare, ai sensi della disciplina sui poteri di monitoraggio attribuiti alla RGS dalla legge di contabilità nazionale (articolo 14, comma 1, lettera d), legge n. 196/2009), verifiche sulla regolarità della gestione amministrativo-contabile, qualora un ente, anche attraverso le rilevazioni SIOPE, evidenzi situazioni di squilibrio finanziario riferibiliai seguenti indicatori:
a) ripetuto utilizzo dell'anticipazione di tesoreria;
b) disequilibrio consolidato della parte corrente del bilancio;
c) anomale modalità di gestione dei servizi per conto di terzi (comma 1).
Si ricorda che l’articolo 14 della legge di contabilità nazionale definisce alcune funzioni della Ragioneria Generale dello Statofinalizzate al monitoraggio e alla valutazione della spesa pubblica. Tra esse, vi rientra la verifica della regolarità della gestione amministrativo-contabile delle amministrazioni pubbliche, ad eccezione delle Regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano[33].
Per gli enti territoriali la Ragioneria compie verifiche finalizzate ad accertare eventuali scostamenti dagli obiettivi di finanza pubblica, nonché per l’eventuale esercizio dei poteri sostitutivi del Governo[34]. I referti di tali verifiche sono inviati alla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica affinché possa valutare l’opportunità di attivare il Piano per il conseguimento degli obiettivi di convergenza di cui all’articolo 18 della legge delega per l’attuazione del federalismo fiscale n.42/09 (comma 1, lettera d)).
Le modalità di attuazione della previsione in esame sono demandate ad un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, da adottarsi di concerto con il Ministro dell'interno e con il Ministro per i rapporti con le regioni, d'intesa con la Conferenza Unificata (comma 2).
Si segnala, inoltre, che in materia di controlli è all’esame della V Commissione Bilancio della Camera lo schema di decreto legislativo recante la riforma dei controlli di regolarità amministrativa e contabile e disposizioni per il potenziamento dell’attività di analisi e valutazione della spesa, adottato in attuazione della delega di cui all’articolo 49 della legge di contabilità e finanza pubblica n.196 del 2009.
La relazione tecnica, con riferimento all’articolo 5 - che prevede la possibilità per il Ministero dell’economia di attivare verifiche sulla regolarità della gestione amministrativo-contabile qualora un ente evidenzi, anche mediante le rilevazioni SIOPE, situazioni di squilibrio finanziario riferibili a determinati indicatori - afferma che la disposizione ha carattere ordinamentale e quindi risulta priva di effetti finanziari sui saldi di finanza pubblica.
Nulla da osservare con riferimento ai profili di quantificazione
Articolo 6
(Fallimento politico del Presidente di
Provincia e del Sindaco)
1. Al comma 5 dell'articolo 248 del decreto legislativo n. 267 del 2000 è aggiunto il seguente periodo: "I Sindaci e i Presidenti di Provincia ritenuti responsabili ai sensi del periodo precedente, inoltre, non sono eleggibili, per un periodo di dieci anni, alle cariche di Sindaco, di Presidente di Provincia, di Presidente di Giunta regionale, nonché di membro dei consigli comunali, dei consigli provinciali, delle assemblee e dei consigli regionali, del Parlamento e del Parlamento europeo. Gli stessi sono altresì interdetti per un periodo di tempo di dieci anni da qualsiasi carica in enti vigilati o partecipati da enti pubblici. Qualora, a seguito della dichiarazione di dissesto, la Corte dei Conti accerti gravi responsabilità nello svolgimento dell'attività del collegio dei revisori, o ritardata o mancata comunicazione, secondo le normative vigenti, delle informazioni, i componenti del collegio riconosciuti responsabili in sede di giudizio della predetta Corte non possono essere nominati nel collegio dei revisori degli enti locali e degli enti ed organismi agli stessi riconducibili fino a 10 anni, in funzione della gravità accertata.
2. Qualora dalle pronunce delle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti emergano, anche a seguito delle verifiche svolte ai sensi dell'articolo 5 del presente decreto e dell'articolo 14, comma 1, lettera d), secondo periodo, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, comportamenti difformi dalla sana gestione finanziaria, violazioni degli obiettivi della finanza pubblica allargata e irregolarità contabili o squilibri strutturali del bilancio dell'ente locale in grado di provocarne il dissesto economico e lo stesso ente non abbia adottato, entro il termine assegnato dalla Corte dei conti, le necessarie misure correttive previste dall'articolo 1, comma 168, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, la competente sezione regionale, accertato l'inadempimento, trasmette gli atti al Prefetto ai fini della deliberazione dello stato di dissesto e della procedura per lo scioglimento del Consiglio dell'ente ai sensi dell'articolo 141 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267. Nei casi previsti dal periodo precedente, ove sia accertata la sussistenza delle condizioni di cui all'articolo 244 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, il Prefetto assegna al Consiglio, con lettera notificata ai singoli consiglieri, un termine non superiore a venti giorni per la deliberazione del dissesto. Decorso infruttuosamente il termine di cui al precedente periodo, il Prefetto nomina un Commissario per la deliberazione dello stato di dissesto e dà corso alla procedura per lo scioglimento del consiglio dell'ente ai sensi dell'articolo 141 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.
L’articolo 6, comma 1, in analogia a quanto previsto per i presidenti delle giunte regionali, prevede l’istituto del fallimento politico per i Sindaci e i Presidenti di provincia che siano ritenuti responsabili di una situazione di dissesto finanziario, ai sensi degli articoli 244 ss. del TUEL (su cui, si v., supra, il commento all’articolo 4).
La disposizione costituisce attuazione del criterio di delega previsto dell’articolo 17, lett. e), della L. 42/2009, ai sensi del quale il sistema sanzionatorio nei confronti degli enti meno virtuosi rispetto agli obiettivi di finanza pubblica comporta, tra l’altro, l’attivazione di meccanismi automatici sanzionatori nei confronti degli organi di governo e amministrativi, responsabili del mancato rispetto degli equilibri di bilancio e degli obiettivi economico-finanziari assegnati alla regione e agli enti locali, con individuazione dei casi di ineleggibilità nei confronti degli amministratori responsabili degli enti locali per i quali sia stato dichiarato lo stato di dissesto finanziario (ai sensi dell’art. 244 del TUEL), oltre che dei casi di interdizione dalle cariche in enti vigilati o partecipati da enti pubblici.
La sanzione per il fallimento politico è introdotta mediante novella dell’articolo 248 del TUEL che pone la disciplina delle conseguenze del dissesto finanziario degli enti locali.
In particolare, i commi da 1 a 4 dell’articolo 248 del TUEL disciplinano le conseguenze immediate della dichiarazione di dissesto, che sono la sospensione dei termini per la deliberazione del bilancio di previsione, il blocco delle procedure esecutive nei confronti dell’ente dissestato e la sospensione della produzione di interessi passivi per l’ente. Il successivo comma 5 inibisce ai soggetti ritenuti responsabili della situazione di dissesto di assumere determinati incarichi pubblici.
In dettaglio, il comma 5 prevede che coloro che sono stati amministratori degli enti locali dissestati nei cinque anni precedenti il dissesto e che la Corte dei Conti abbia riconosciuto, anche solo in primo grado, responsabili di danni prodotti all’ente con dolo o colpa grave, non possono ricoprire, per un periodo di cinque anni incarichi di assessore, di revisore dei conti di enti locali e di rappresentante di enti locali presso altri enti, istituzioni ed organismi pubblici e privati. Affinché scatti la sanzione è necessario che la Corte abbia accertato che il dissesto costituisce una diretta conseguenza delle azioni od omissioni per le quali l'amministratore è stato riconosciuto responsabile.
Alle incompatibilità (successive) già previste dal Testo unico nella formulazione vigente, l’articolo in esame aggiunge la sanzione della ineleggibilità per coloro che sono stati riconosciuti dalla Corte di conti come aventi responsabilità nel dissesto del rispettivo ente.
Pertanto, la nuova sanzione trova fondamento nel medesimo titolo di responsabilità già individuato dal comma 5, ossia l’accertamento da parte della Corte dei Conti, ma si applica solo al vertice dell’esecutivo (non a tutti gli amministratori locali), ossia il sindaco e il presidente della provincia.
In particolare, il periodo aggiunto al comma 5 dell’art. 248 prevede per questi ultimi la ineleggibilità, per un periodo di dieci anni, a tutte le cariche pubbliche elettive (sindaco, presidente di provincia, presidente di regione, nonché membro di consiglio comunale, di consiglio provinciale, delle assemblee e dei consigli regionali, membro del Parlamento e del Parlamento europeo).
A livello locale, si ricorda che la materia della ineleggibilità è regolata in gran parte dal D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (TUEL), che stabilisce i casi di incandidabilità, ineleggibilità e incompatibilità alle cariche pubbliche negli enti locali, conformemente all’articolo 117, co. 2, lett. p), della Costituzione che riserva alla legge statale la disciplina elettorale e degli organi di governo degli enti locali.
Le cause di ineleggibilità comportano un impedimento giuridico a divenire soggetto passivo del rapporto elettorale e costituiscono quindi fattispecie limitative del diritto di elettorato passivo. In particolare, l’articolo 60 del testo unico prevede che non sono eleggibili a sindaco, presidente della provincia, consigliere comunale, provinciale e circoscrizionale:
1) il Capo della polizia, i vice capi della polizia, gli ispettori generali di pubblica sicurezza che prestano servizio presso il Ministero dell'interno, i dipendenti civili dello Stato che svolgano le funzioni di direttore generale o equiparate o superiori ed i capi di gabinetto dei ministri;
2) nel territorio, nel quale esercitano le loro funzioni, i Commissari di Governo, i prefetti della Repubblica, i vice prefetti ed i funzionari di pubblica sicurezza;
3) nel territorio, nel quale esercitano il comando, gli ufficiali generali, gli ammiragli e gli ufficiali superiori delle Forze armate dello Stato;
4) nel territorio, nel quale esercitano il loro ufficio, gli ecclesiastici ed i ministri di culto, che hanno giurisdizione e cura di anime e coloro che ne fanno ordinariamente le veci;
5) i titolari di organi individuali ed i componenti di organi collegiali che esercitano poteri di controllo istituzionale sull'amministrazione del comune o della provincia nonché i dipendenti che dirigono o coordinano i rispettivi uffici;
6) nel territorio, nel quale esercitano le loro funzioni, i magistrati addetti alle corti di appello, ai tribunali, ai tribunali amministrativi regionali, nonché i giudici di pace;
7) i dipendenti del comune e della provincia per i rispettivi consigli;
8) il direttore generale, il direttore amministrativo e il direttore sanitario delle aziende sanitarie locali ed ospedaliere[35];
9) i legali rappresentanti ed i dirigenti delle strutture convenzionate per i consigli del comune il cui territorio coincide con il territorio dell'azienda sanitaria locale o ospedaliera con cui sono convenzionati o lo ricomprende, ovvero dei comuni che concorrono a costituire l'azienda sanitaria locale o ospedaliera con cui sono convenzionate (non si applica alla carica di consigliere provinciale);
10) i legali rappresentanti ed i dirigenti delle società per azioni con capitale maggioritario rispettivamente del comune o della provincia;
11) gli amministratori ed i dipendenti con funzioni di rappresentanza o con poteri di organizzazione o coordinamento del personale di istituto, consorzio o azienda dipendente rispettivamente dal comune o dalla provincia;
12) i sindaci, presidenti di provincia, consiglieri comunali, provinciali o circoscrizionali in carica, in altro comune, provincia o circoscrizione.
Caratteristica della cause della ineleggibilità è la possibilità della loro rimozione entro un determinato termine prima delle elezioni. Infatti, le cause di ineleggibilità non hanno effetto se l’interessato cessa dalla carica prima della presentazione della candidatura. La conseguenza giuridica derivante dall’accertamento di una causa di ineleggibilità da parte degli organi competenti è la nullità dell’elezione.
Oltre alle fattispecie indicate sopra, l’articolo 61, TUEL indica una ulteriore causa di ineleggibilità per i sindaci e presidenti di provincia: a queste cariche non possono essere eletti i ministri di un culto, a prescindere dal territorio nel quale esercitano il loro ufficio.
L’incandidabilità è un istituto comparso nel diritto positivo in epoca relativamente recente e con afferenza alla sola disciplina delle elezioni regionali ed amministrative.
L’art. 58 del TUEL (D.Lgs. 267/2000) individua una serie di cause ostative alla candidatura alle elezioni locali (ma anche alla nomina degli assessori, consiglieri di amministrazione ecc.) per coloro che sono stati condannati con sentenza definitiva per alcuni reati tassativamente indicati. L’eventuale elezione o nomina di coloro che si trovano nelle condizioni di incandidabilità è nulla e il provvedimento di nomina o di convalida è revocato (art. 58, comma 4).
La ratio prevalente delle norme sulle ineleggibilità è quella di impedire che alcuni candidati, in virtù della carica ricoperta o dell’attività esercitata al momento dell’elezione, possano godere nella pratica di una posizione privilegiata nel corso della campagna elettorale ed esercitare pressioni in grado di condizionare la libera scelta degli elettori. Le cause di incandidabilità, invece, hanno l’obiettivo di vietare l’accesso alle cariche pubbliche di soggetti condannati in via definitiva per gravi reati – compresi, in particolare, quelli contro la pubblica amministrazione – o sottoposti a misure di prevenzione divenute definitive. Da ciò discende una importante differenza tra i due istituti: mentre generalmente le cause di ineleggibilità possono essere rimosse entro un termine predefinito, le cause di incandidabilità precludono definitivamente la possibilità di esercitare il diritto di elettorato passivo.
Alla luce del quadro normativo, la disciplina recata dalla disposizione in esame sembra introdurre una ipotesi peculiare di ineleggibilità. Essa, peraltro, presenta piuttosto affinità sia con la ratio, sia con la disciplina propria delle ipotesi di incandidabilità.
Il secondo periodo della novella al comma 5 prevede, sempre a carico del sindaco e del presidente di provincia di cui sia accertata la responsabilità del dissesto, un’ulteriore ipotesi di incompatibilità successiva, che consiste in un’inibitoria a svolgere per un periodo di dieci anni qualsiasi carica in enti vigilati o partecipati da enti pubblici.
Infine, il sistema sanzionatorio è completato dalla norma che dispone una sanzione per i componenti del collegio dei revisori di cui la Corte dei conti abbia accertato gravi responsabilità nello svolgimento dell’attività del collegio stesso, o ritardata o mancata comunicazione delle informazioni in base alla normativa vigente. Questi, infatti, non possono essere nominati nel collegio dei revisori degli enti locali ed organismi agli stessi riconducibili fino a dieci anni, da graduarsi a seconda della gravità accertata.
La disposizione non chiarisce quale soggetto e con quali modalità si stabilisce precisamente la durata della incompatibilità.
Si ricorda che la disciplina del’organo di revisione economico-finanziaria degli enti locali è disciplinato dagli articoli 234-241del TUEL.
Il collegio dei revisori è composto da tre membri[36] eletti, con voto limitato a due componenti, dai consigli comunali, provinciali e delle città metropolitane. Questi devono essere scelti, uno tra gli iscritti al registro dei revisori contabili, con funzioni di presidente del collegio; uno tra gli iscritti nell'albo dei dottori commercialisti ed uno tra gli iscritti nell'albo dei ragionieri (art. 234).
Il collegio dei revisori è titolare di una seri ampia di poteri e funzioni, a cui si collega una specifica responsabilità. In particolare, l’organo di revisione svolge le seguenti funzioni (art. 239):
a) attività di collaborazione con l’organo consiliare secondo le disposizioni dello statuto e del regolamenti;
b) pareri sulla proposta di bilancio di previsione e dei documenti allegati e sulle variazioni di bilancio, esprimendo un giudizio di congruità, coerenza attendibilità contabile;
c) vigilanza sulla regolarità contabile, finanziaria ed economica della gestione;
d) relazione sulla proposta di deliberazione consiliare del rendiconto della gestione e sullo schema di rendiconto;
e) referto all’organo consiliare su gravi irregolarità di gestione, con contestuale denuncia ai competenti organi giurisdizionali ove si configurino ipotesi di responsabilità;
f) verifiche di cassa.
L'organo di revisione contabile dura in carica tre anni ed i suoi componenti sono rieleggibili per una sola volta. Il revisore è revocabile solo per inadempienza ed in particolare per la mancata presentazione della relazione alla proposta di deliberazione consiliare del rendiconto entro il termine di legge (art. 235).
La normativa vigente contempla alcune ipotesi di incompatibilità (art. 236): oltre a quelle previste dalla disciplina civilistica dei membri del collegio sindacale delle società (art. 2399, c.c.), i componenti degli organi di revisione contabile degli enti locali non possono assumere incarichi o consulenze presso l'ente locale o presso organismi o istituzioni dipendenti o comunque sottoposti al controllo o vigilanza dello stesso. Sono, infine, previsti alcuni limiti agli incarichi: in particolare si richiede che ciascun revisore non può assumere complessivamente più di otto incarichi (art. 238).
Con riferimento alla previsione in esame, contenuta nell’ultimo periodo del comma 2, dal tenore letterale della formulazione, non risulta chiaro chi e con quale modalità stabilisca la durata, fino ad un massimo di dieci anni, dell’incompatibilità successiva per il revisore di cui sia accertata la responsabilità. Non risulta inoltre dalla formulazione della disposizione alcun criterio per l’individuazione in concreto delle responsabilità definite “gravi”.
Infine, si valuti l’opportunità di chiarire l’espressione “organismi agli stessi riconducibili”, anche in riferimento alle ipotesi di incompatibilità già previste dall’art. 236 del TUEL.
Il comma 2 prevede la sanzione per l’ente locale che – a seguito della pronuncia della sezione regionale di controllo della Corte dei Conti attestante comportamenti difformi dalla sana gestione finanziaria e atti tali da determinare il dissesto finanziario - non ha adottato le necessarie misure correttive nel termine assegnato dalla Corte medesima.
In tali casi, la norma prevede che la Corte dei conti trasmetta gli atti al Prefettoil quale attiva una procedura finalizzata alla dichiarazione dello stato di dissesto allo scioglimento del Consiglio.
In particolare, la norma prevede che i comportamenti difformi dalla sana gestione finanziaria, le violazioni degli obiettivi della finanza pubblica allargata e le irregolarità contabili o gli squilibri strutturali del bilancio tali da provocarne il dissesto economico devono emergere dalle pronunce delle sezioni regionali di controllodella Corte dei Conti, anche a seguito delle verifiche sulla regolarità della gestione amministrativo-contabile che la Ragioneria generale dello Stato effettua in virtù delle competenze ad essa attribuitegli dalla legge di contabilità nazionale (legge n. 196/2009) e dall’articolo 5 dello schema di decreto legislativo in esame, il quale prevede specifici “indicatori di squilibrio finanziario” in presenza dei quali attivare l’attività di verifica e controllo.
Le pronunce delle sezioni regionali di controllo della Corte sono adottate, ai sensi dell’articolo 1, comma 168 della legge finanziaria per il 2006 (legge n. 266/2005), allorquando le medesime accertino - anche sulla base delle relazioni che gli organi di revisione degli enti locali inviano sul bilancio di previsione e sul rendiconto - comportamenti difformi dalla sana gestione finanziaria o il mancato rispetto degli obiettivi posti con il patto di stabilità.
La relazione sul bilancio di previsione dell'esercizio di competenza e sul rendiconto dell'esercizio che deve essere trasmessa dagli organi di revisione economico-finanziaria degli enti locali deve in ogni caso dare conto del rispetto degli obiettivi annuali posti dal patto di stabilità interno, dell'osservanza del vincolo in materia di ricorso all’indebitamento solo per spese di investimento di cui all'articolo 119, ult.comma, Cost. e di ogni grave irregolarità contabile e finanziaria in ordine alle quali l'amministrazione non ha adottato le misure correttive segnalate dall'organo di revisione (articolo 1, comma 166 e 167 della legge n. 255/2006).
Il citato comma 168 attribuisce altresì alla Corte dei Conti la competenza a vigilare sull'adozione da parte dell'ente locale delle necessarie misure correttive e sul rispetto dei vincoli e delle limitazioni poste in caso di mancato rispetto delle regole del patto di stabilità interno.
In relazione a tale potere di vigilanza, il comma 2 in esame prevede che, qualora l’ente locale non abbia adottato, entro il termine assegnato dalla Corte, le necessarie misure correttive, la competente sezione regionale, accertato l'inadempimento, trasmette gli atti al Prefetto ai fini della deliberazione dello stato di dissesto e della procedura per lo scioglimento del Consiglio dell'ente, ai sensi dell'articolo 141 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267[37].
Con riferimento alla previsione in esame, contenuta nel penultimo periodo del comma 2, dal tenore letterale della formulazione, non risulta chiaro come l’inadempimento delle prescrizioni della Corte possa determinare automaticamente le condizioni per la deliberazione dello stato di dissesto, posto che il periodo successivo condiziona la deliberazione di dissesto all’accertamento delle requisiti previsti dalla disciplina del TUEL., introducendo al riguardo una specifica procedura.
L’ultimo periodo del comma 2 introduce una disposizione con la quale, in caso di accertamento della sussistenza delle condizioni di dissesto di cui all’art. 244 del TUEL[38] a seguito della pronuncia della sezione regionale di controllo della Corte dei Conti attestante comportamenti difformi dalla sana gestione finanziaria e tali da determinare il dissesto finanziario, viene attribuita alprefetto la competenza a nominare il commissario ad acta incaricato di procedere alla deliberazione dello stato di dissesto finanziario.
In particolare, la norma prevede che il Prefetto assegni al Consiglio, con lettera notificata ai singoli consiglieri, un termine non superiore a venti giorni per la deliberazione del dissesto, decorso il quale, il Prefetto nomina un Commissario per la deliberazione dello stato di dissesto e dà corso alla procedura per lo scioglimento del consiglio dell'ente, ai sensi dell'articolo 141 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.
La specifica fattispecie dello scioglimento dei consigli comunali per omessa deliberazione di dissesto è disciplinata dall’articolo 247, comma 4, del Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al D.Lgs. n. 267 del 2000.
In particolare, tale l’articolo prevede che ove l’organo regionale di controllo (CO.RE.CO.) venga a conoscenza - dalle deliberazioni dell'ente, dai bilanci di previsione, dai rendiconti o da altra fonte - dell'eventuale condizione di dissesto, chiede chiarimenti all'ente e una motivata relazione all'organo di revisione contabile assegnando un termine, non prorogabile, di trenta giorni.
Qualora sia ritenuta sussistente l'ipotesi di dissesto, l'organo regionale di controllo assegna al consiglio, con lettera notificata ai singoli consiglieri, un termine non superiore a venti giorni, per la deliberazione del dissesto, decorso il quale si sostituisce, mediante apposito commissario ad acta, all’amministrazione inadempiente per la deliberazione dello stato di dissesto.
Del provvedimento sostitutivo è data comunicazione al prefetto, che inizia la procedura per lo scioglimento del consiglio.
La norma prevista dall’ultimo periodo dal comma 2 in esame, che assegna al prefetto i poteri, prima spettanti al Comitato regionale di controllo, relativi alla nomina del commissario ad acta incaricato di procedere alla deliberazione dello stato di dissesto, sembrerebbe essere introdotta per colmare il vuoto normativodeterminatosi con l’abrogazione della norma costituzionale che individuava nel CO.RE.CO. l’organo cui era affidato il controllo di legittimità sugli atti degli enti locali (articolo 130 della Costituzione, abrogato dall’art. 9, comma 2, della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, recante modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione) al fine di individuare quale organo sia ora legittimato a nominare il commissario ad acta che deve adottare la dichiarazione dello stato di disseto dell’ente.
La procedura indicata dalla disposizione in esame si applica con riferimento ai casi in cui l’accertamento delle condizioni di dissesto sia conseguente ad una specifica pronuncia della sezione regionale di controllo della Corte dei conti, attestante comportamenti difformi dalla sana gestione finanziaria e atti tali da determinare il dissesto finanziario dell’ente.
La relazione tecnica, con riferimento all’articolo 6 - riguardante l’ineleggibilità per i soggetti riconosciuti dalla Corte dei conti come aventi responsabilità nel dissesto del rispettivo ente - afferma che la disposizione ha carattere ordinamentale e quindi risulta priva di effetti finanziari sui saldi di finanza pubblica.
Nulla da osservare con riferimento ai profili di quantificazione.
Articolo 7
(Mancato rispetto del patto di stabilità
interno)
1. In caso di mancato rispetto del patto di stabilità interno la Regione o la Provincia autonoma inadempiente, nell'anno successivo a quello dell'inadempienza:
a) è tenuta a versare all'entrata del bilancio statale, entro 60 giorni dal termine stabilito per la trasmissione della certificazione relativa al rispetto del patto di stabilità, l'importo corrispondente alla differenza tra il risultato registrato e l'obiettivo programmatico predeterminato. Per gli enti per i quali il patto di stabilità è riferito al livello della spesa, si assume quale differenza il maggiore degli scostamenti registrati in termini di cassa o di competenza. In caso di mancato versamento si procede, nei 60 giorni successivi, al recupero di detto scostamento a valere sulle giacenze depositate nei conti aperti presso la tesoreria statale. Trascorso inutilmente il termine perentorio stabilito dalla normativa vigente per la trasmissione della certificazione da parte dell'ente territoriale, si procede al blocco di qualsiasi prelievo dai conti della tesoreria statale sino a quando la certificazione non viene acquisita. La sanzione non si applica nel caso in cui il superamento degli obiettivi del patto di stabilità interno sia determinato dalla maggiore spesa per interventi realizzati con la quota di finanziamento nazionale e correlati ai finanziamenti dell'Unione europea rispetto alla media della corrispondente spesa del triennio precedente;
b) non può impegnare spese correnti, al netto delle spese per la sanità, in misura superiore all'importo annuale minimo dei corrispondenti impegni effettuati nell'ultimo triennio;
c) non può ricorrere all'indebitamento per gli investimenti; i mutui e i prestiti obbligazionari posti in essere con istituzioni creditizie e finanziarie per il finanziamento degli investimenti devono essere corredati da apposita attestazione da cui risulti il conseguimento degli obiettivi del patto di stabilità interno per l'anno precedente. L'istituto finanziatore o l'intermediario finanziario non può procedere al finanziamento o al collocamento del prestito in assenza della predetta attestazione;
d) non può procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo, con qualsivoglia tipologia contrattuale, ivi compresi i rapporti di collaborazione continuata e continuativa e di somministrazione, anche con riferimento ai processi di stabilizzazione in atto. E' fatto altresì divieto di stipulare contratti di servizio che si configurino come elusivi della presente disposizione;
e) è tenuta a rideterminare le indennità di funzione ed i gettoni di presenza del Presidente e dei componenti della giunta con una riduzione del 30 per cento rispetto all'ammontare risultante alla data del 30 giugno 2010.
2. In caso di mancato rispetto del patto di stabilità interno, l'ente locale inadempiente, nell'anno successivo a quello dell'inadempienza:
a) è tenuto a versare all'entrata del bilancio statale entro 60 giorni dal termine stabilito per la trasmissione della certificazione relativa al rispetto del patto di stabilità, l'importo corrispondente alla differenza tra il risultato registrato e l'obiettivo programmatico predeterminato. In caso di mancato versamento, si procede, nei 60 giorni successivi, al recupero di detto scostamento a valere sulle giacenze depositate nei conti aperti presso la tesoreria statale. Trascorso inutilmente il termine perentorio stabilito dalla normativa vigente per la trasmissione della certificazione da parte dell'ente territoriale, si procede al blocco di qualsiasi prelievo dai conti della tesoreria statale sino a quando la certificazione non viene acquisita. La sanzione non si applica nel caso in cui il superamento degli obiettivi del patto di stabilità interno sia determinato dalla maggiore spesa per interventi realizzati con la quota di finanziamento nazionale e correlati ai finanziamenti dell'Unione Europea rispetto alla media della corrispondente spesa del triennio precedente;
b) non può impegnare spese correnti in misura superiore all'importo annuale medio dei corrispondenti impegni effettuati nell'ultimo triennio;
c) non può ricorrere all'indebitamento per gli investimenti; i mutui e i prestiti obbligazionari posti in essere con istituzioni creditizie o finanziarie per il finanziamento degli investimenti, devono essere corredati da apposita attestazione da cui risulti il conseguimento degli obiettivi del patto di stabilità interno per l'anno precedente. L'istituto finanziatore o l'intermediario finanziario non può procedere al finanziamento o al collocamento del prestito in assenza della predetta attestazione;
d) non può procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo, con qualsivoglia tipologia contrattuale, ivi compresi i rapporti di collaborazione continuata e continuativa e di somministrazione, anche con riferimento ai processi di stabilizzazione in atto. E' fatto altresì divieto agli enti di stipulare contratti di servizio con soggetti privati che si configurino come elusivi della presente disposizione;
e) è tenuto a rideterminare le indennità di funzione ed i gettoni di presenza indicati nell'articolo 82 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni, con una riduzione del 30 per cento rispetto all'ammontare risultante alla data del 30 giugno 2010.
3. Le sanzioni di cui ai commi 1 e 2 possono essere ridefinite con legge sulla base delle proposte avanzate dalla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica.
4. Le disposizioni del presente articolo si applicano a decorrere dall'anno 2014.
L’articolo 7 disciplina i meccanismi sanzionatori da applicare nei confronti delle regioni e degli enti locali nelle ipotesi di mancato rispetto del patto di stabilità interno, a decorrere dall’anno 2014.
Si ricorda, in merito, che l’articolo 17, lettera e), della legge n. 42/2009 prevede, tra i principi di delega inerenti il coordinamento e la disciplina fiscale dei diversi livelli di governo, l’introduzione, nei confronti degli enti meno virtuosi rispetto agli obiettivi di finanza pubblica, di un sistema sanzionatorio che, fino alla dimostrazione della messa in atto di provvedimenti atti a raggiungere gli obiettivi, determini il divieto di procedere alla copertura di posti di ruolo vacanti nelle piante organiche e di iscrivere in bilancio spese per attività discrezionali, fatte salve quelle afferenti al cofinanziamento regionale o dell’ente locale per l’attuazione delle politiche comunitarie.
Tra i provvedimenti che possono essere attivati, al fine di riportare l’ente in linea con gli obiettivi di finanza pubblica, la lettera e) indica, in particolare, anche l'alienazione di beni mobiliari e immobiliari rientranti nel patrimonio disponibile dell'ente nonché l'attivazione nella misura massima dell'autonomia impositiva.
Le sanzioni individuate per le regioni e per gli enti locali, rispettivamente, ai commi 1 e 2 dell’articolo in esame, sono, sostanzialmente, analoghe.
Esse corrispondono, peraltro, a quelle già previste dalla vigente disciplina del patto di stabilità interno per gli anni 2011-2013, recata dalla legge di stabilità per il 2011 (legge n. 220/2010), fatta eccezione per alcune novità, relative, in particolare, alla estensione alle regioni della sanzione, attualmente prevista per i soli enti locali, della riduzione del 30% delle indennità di funzione e dei gettoni di presenza del Presidente della Regione e dei componenti della Giunta regionale.
Agli enti locali è stata, invece, estesa la previsione dell’obbligo di versamento all'entrata del bilancio dello Stato dell'importo corrispondente alla differenza tra il risultato registrato e l'obiettivo programmatico – attualmente vigente per le sole regioni - in sostituzione della sanzione consistente nella riduzione dei trasferimenti erariali, prevista dalla normativa vigente, in conseguenza della soppressione dei trasferimenti a seguito dei provvedimenti attuativi del federalismo fiscale.
Si ricorda, brevemente, che il Patto di stabilità interno rappresenta lo strumento attraverso il quale le regioni e gli enti locali concorrono al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica assunti in sede europea, con l’adesione al Patto europeo di stabilità e crescita.
Per gli anni 2011-2013, il Patto di stabilità interno prevede il contributo della finanza regionale e locale al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, quantificato dall’articolo 14, comma 1, del D.L. n. 78/2010, in termini di fabbisogno e indebitamento netto, nei seguenti importi:
- 4.000 milioni nel 2011 e 4.500 milioni a decorrere dal 2012, per le regioni a statuto ordinario;
- 300 milioni per l’anno 2011 e in 500 milioni a decorrere dall’anno 2012 per le province,
- 1.500 milioni per l’anno 2011 e 2.500 milioni a decorrere dall’anno 2012 per i comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti.
Va sottolineato che i risparmi sopra indicati sono stati già garantiti attraverso una riduzione dei trasferimenti erariali spettanti alle regioni, alle province e ai comuni di pari importo, ai sensi del comma 2 dell’articolo 14 del medesimo D.L. 78/2010.
Le regole del patto per il triennio 2011-2013 sono definite dalla legge di stabilità per il 2011 (legge n. 220/2010), in modo differenziato per le regioni (articolo 1, commi 125-150[39]) e per gli enti locali (articolo 1, commi 87-124).
Per quanto riguarda le regioni a statuto ordinario, l’obiettivo del Patto consiste nel controllo della spesa finale (corrente e in conto capitale). In particolare, la disciplina prevede che per ciascun anno del triennio, il complesso delle spese di competenza e di cassa delle regioni non debba superare la media del triennio 2007-2009 ridotta di determinate percentuali.
Per gli enti locali l’obiettivo del Patto di stabilità consiste, invece, nel raggiungimento, in ciascuno degli anni 2011, 2012 e 2013, di un determinato livello di saldo finanziario (calcolato quale differenza tra entrate e spese, con l’eccezione di alcune voci), non inferiore al valore determinato applicando alla spesa corrente media sostenuta nel periodo 2006-2008, determinate percentuali, fissate per ogni anno del triennio in maniera differenziata per le province e i comuni.
La disciplina del Patto di stabilità interno per gli enti locali per gli anni 2011-2013 è illustrata dalla Circolare del Ministero dell’economia e finanze n. 11 del 6 aprile 2011.
Il comma 1 concerne le regioni e le province autonome. La norma disciplina le misure sanzionatorie in caso di mancato rispetto del patto di stabilità, misure applicabili a decorrere dal 2014 come stabilito dal comma 4 dell'articolo in esame.
Si ricorda che la disciplina del patto di stabilità, comprendente anche le sanzioni per il mancato rispetto, è dettata, di norma, per un periodo di tre anni nell'ambito della manovra finanziaria annuale (prima legge finanziaria, ora legge di stabilità). Con riguardo alle regioni, la disciplina per il triennio 2011-2013 è dettata dall'articolo 1, commi da 125 a 150 della legge 220/2010 (legge di stabilità per il 2011), modificata e integrata dall'articolo 2, comma 33 del decreto legge 225/2010 (recante proroga di termini e interventi urgenti in materia tributaria, convertito con modificazioni con legge 10/2011) e dall'art. 40, comma 3 del D.Lgs. 68/2011 recante disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario.
Per quanto concerne le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano, la disciplina sopra citata, prevede la necessità della definizione di una intesa - con il Ministero dell’economia - sulla misura e sulle modalità del concorso di ciascun ente agli obiettivi di finanza pubblica. Per la regione Trentino-Alto Adige e le Province autonome di Trento e di Bolzano, la disciplina del Patto di stabilità, a decorrere dal 2010, è contenuta nell'articolo 79 del D.P.R. 670/1972 (statuto della regione) come ultimamente modificato dalla legge finanziaria 2010 (legge 191 del 2009) che ai commi 106-125 dell'articolo 2 ha revisionato l'ordinamento finanziario della regione autonoma al fine di recepire i principi del federalismo fiscale. Anche per la Regione Friuli Venezia Giulia sono state emanate disposizioni specifiche – anche se non inserite nello statuto – dall'articolo 1, commi 154 e 155 della legga di stabilità 2011, nell'ambito – come nel caso del Trentino-Alto Adige - di una revisione dell'ordinamento finanziario al fine di recepire alcuni dei principi del federalismo fiscale.
Più in generale per l'applicabilità delle disposizioni recate dal presente schema di decreto legislativo alle regioni a statuto speciale si rinvia all'articolo 13 dello stesso.
Le sanzioni previste dal comma 1 – tranne che per quella prevista alla lettera e) - sono le medesime sanzioni già previste nella disciplina del patto di stabilità per gli anni 2011-2013.
Nell'anno successivo a quello dell'inadempienza, la regione:
a) è tenuta a versare all’entrata del bilancio statale l’importo corrispondente allo scostamento tra il risultato e l’obiettivo prefissato. Questa sanzione, disciplinata nel medesimo dettaglio di tempi e modalità, è già prevista in caso di mancato rispetto del patto di stabilità «relativo agli anni 2010 e successivi» dall'articolo 14, comma 4 del decreto legge 78/2010 (in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica, convertito con modificazioni con legge 122/2010). Sull'applicabilità della sanzione (ultimo periodo della lettera a)) è successivamente intervenuta la norma inserita nella disciplina generale del patto (L. 220/2010 art. 1, commi 147 e 148), secondo la quale la sanzione non si applica nel caso in cui il superamento degli obiettivi del patto di stabilità interno sia determinato dalla maggiore spesa per interventi realizzati con la quota di finanziamento nazionale e correlati ai finanziamenti dell'Unione europea rispetto alla media della corrispondente spesa del triennio 2007-2009;
b) non può impegnare spese correnti – sempre al netto delle spese sanitarie - in misura superiore all’importo annuale minimo dei corrispondenti impegni effettuati nell'ultimo triennio (L. 220/2010 art. 1, comma 147, lett. a));
c) non può contrarre debiti per gli investimenti.Mutui e prestiti obbligazionari dovranno essere corredati da una certificazione di attestazione dell’osservanza del Patto di stabilità per l’anno precedente (L. 220/2010 art. 1, comma 147, lett. b))
d) non può procedere ad assunzione di personale a qualsiasi titolo, con qualsiasi tipologia contrattuale, ivi compresi i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa (L. 220/2010 art. 1, comma 147, lett. c));
e) è tenuta a ridurre del 30% rispetto all'ammontare risultante al 30 giugno 2010, le indennità di funzione ed i gettoni di presenza del Presidente della Regione e dei componenti della Giunta regionale; sanzione analoga era già prevista per gli enti locali (L. 220/2010 art. 1 comma 120) ma non anche per le regioni.
La determinazione delle indennità di funzione spettanti ai componenti degli organi elettivi (consigli) e degli organi esecutivi delle regioni, è rimessa all’autonomia statutaria delle stesse, sancita dall'artico 123 della Costituzione. Gli statuti, nella maggioranza dei casi, rinviano alla legge regionale[40]. L'applicazione della norma in esame è condizionata – perciò – all'emanazione di disposizioni normative da parte di ciascuna regione interessata.
Sembra comunque opportuna una valutazione della disposizione in esame alla luce della giurisprudenza costituzionale in riferimento agli articoli 117, terzo comma, e 119 della Costituzione, con particolare riguardo alla definizione – e delimitazione – di ciò che può essere considerato espressione del principio fondamentale di «coordinamento della finanza pubblica»; ovvero quanto la limitazione o riduzione di spesa sia o meno espressione di tale principio e dunque sia o meno lesiva dell'autonomia finanziaria regionale[41].
In via generale, per quanto concerne le riduzioni percentuali delle indennità di funzione e ogni altro emolumento corrisposto agli organi collegiali dalle pubbliche amministrazioni, si segnala, da ultimo, la riduzione del 10% disposta dall'articolo 6, comma 3 del decreto-legge 78/2010 (convertito con modificazioni con legge 122/2010). Quella riduzione, tuttavia, non si applica direttamente alle regioni e alle province autonome: Il comma 20 del citato articolo 6 dispone infatti sull’applicazione delle disposizioni recanti norme di risparmio degli apparati amministrativi contenute nell’articolo stesso, ne esclude l’applicazione diretta a regioni, province autonome ed agli enti del Servizio sanitario nazionale e, contemporaneamente, quelle norme vengono qualificate come disposizioni di principio. Si ricorda infine che la norma contenuta nella legge finanziaria 2006 (L. 266/2005, art. 1, co. 54) che disponeva la riduzione del 10% della indennità di funzione e ogni altro emolumento spettante ai sindaci, ai presidenti delle province e delle regioni (…) ai componenti degli organi esecutivi e degli uffici di presidenza dei consigli degli enti stessi, è stata dichiarata incostituzionale dalla Corte costituzione con sentenza n. 157 del 2007[42], nella parte in cui «prevede la riduzione percentuale delle indennità corrisposte ai titolari degli organi politici regionali».
Si segnala infine che la seconda parte del citato articolo 6, comma 20, del decreto legge 78/2010, dispone misure 'premiali' per quelle regioni che diano applicazione, tra l'altro, alle misure di contenimento della spesa recate dallo stesso articolo 6. Disposizione che viene ora integrata dall'articolo 9 comma 1 del presente schema di decreto legislativo che specifica il criterio secondo il quale considerare 'adempiente' la regione.
Il comma 2 reca le misure di carattere sanzionatorio applicabili, a decorrere dall’anno 2014, nei confronti degli enti locali che non abbiano rispettato gli obiettivi del patto di stabilità interno.
Come già ricordato, le misure sanzionatorie per gli enti locali recate dal comma in esame sono sostanzialmente conformi a quelle già previste dalla vigente disciplina del patto di stabilità interno per gli anni 2011-2013, contenute all’articolo 1, commi 119-121 della legge di stabilità per il 2011 (legge n. 220/2010)[43].
Per gli enti inadempienti è previsto, nell'anno successivo a quello dell'inadempienza:
a) l’obbligo di versare all'entrata del bilancio dello Stato, entro 60 giorni dal termine stabilito per la trasmissione della certificazione relativa al rispetto del patto di stabilità, l'importo corrispondente alla differenza tra il risultato registrato e l'obiettivo programmatico predeterminato. In caso di mancato versamento, si procede, nei 60 giorni ancora successivi, al recupero di detto scostamento a valere sulle giacenze depositate nei conti aperti presso la tesoreria statale.
Trascorso inutilmente il termine perentorio stabilito dalla normativa vigente per la trasmissione della certificazione da parte dell'ente territoriale, si procede al blocco di qualsiasi prelievo dai conti della tesoreria statale sino a quando la certificazione non viene acquisita.
Conformemente con quanto indicato nel principio di delega di cui all’articolo 17, lettera e), della legge n. 42, la norma precisa che la sanzione in questione non si applica nel caso in cui il superamento degli obiettivi del patto di stabilità interno sia determinato dalla maggiore spesa per interventi realizzati con la quota di finanziamento nazionale e correlati ai finanziamenti dell'Unione Europea rispetto alla media della corrispondente spesa del triennio precedente.
Tale misura sanzionatoria rappresenta una novità rispetto alla vigente disciplina del Patto di stabilità interno per gli enti locali.
Nella sostanza, tuttavia, la suddetta sanzione corrisponde a quella già introdotta dall’articolo 14, comma 3, del D.L. n. 78/2010, in caso di mancato rispetto del patto di stabilità interno relativo agli anni 2010 e successivi, e poi confermata dal comma 121 della legge di stabilità per il 2011, consistente nella riduzione dei trasferimenti erariali agli enti locali in misura pari allo scostamento da essi registrato rispetto all’obiettivo.
La riformulazione della sanzione sembrerebbe conseguente al fatto che i provvedimenti attuativi della legge delega n. 42/2009 sul federalismo fiscale hanno determinato la soppressione dei trasferimenti erariali e la loro sostituzione con entrate proprie ai fini del finanziamento delle funzioni degli enti locali (tributi propri, compartecipazioni al gettito di tributi erariali e regionali e addizionali a tributi erariali e regionali)[44];
b) il divieto di impegnare spese di parte corrente in misura superiore all’importo annuale medio dei corrispondenti impegni effettuati nell’ultimo triennio.
Tale misura corrisponde a quella disciplinata dall’articolo 1, comma 119, lettera a) della legge n. 220/2011. Ai fini dell’applicazione della suddetta sanzione, la Circolare del Ministero dell’economia e finanze del 6 aprile 2011, n. 11, esplicativa del Patto di stabilità interno per i comuni e le province per il triennio 2011-2013, precisa che i limiti agli impegni si applicano alle spese correnti identificate dal Titolo I della spesa, senza alcuna esclusione;
c) il divieto di ricorrere all’indebitamento per finanziare gli investimenti. Per quanto concerne la contrazione di mutui e di prestiti obbligazionari posti in essere con istituzioni creditizie o finanziarie per il finanziamento degli investimenti, si precisa, in linea con la normativa vigente, che essi devono essere corredati da apposita attestazione, da cui risulti il conseguimento degli obiettivi del patto di stabilità interno per l’anno precedente. In assenza della predetta attestazione, l’istituto finanziatore o l’intermediario finanziario non può procedere al finanziamento o al collocamento del prestito.
Anche tale previsione risulta del tutto identica alla sanzione già prevista dalla legge di stabilità per il 2011, articolo1, comma 119, lettera b) e comma 121. La Circolare n. 11/2011 precisa che, ai fini dell’applicazione della sanzione, il divieto non opera nei riguardi delle devoluzioni di mutui già in carico all’ente locale contratti in anni precedenti. Non rientrano, inoltre, nel divieto le operazioni che non configurano un nuovo debito, quali i mutui e le emissioni obbligazionari, il cui ricavato è destinato all’estinzione anticipata di precedenti operazioni di indebitamento, che consentono una riduzione del valore finanziario delle passività, né le sottoscrizioni di mutui la cui rata di ammortamento è a carico di un’altra amministrazione pubblica;
d) il divieto di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo, con qualsivoglia tipologia contrattuale, compresi i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa e di somministrazione, anche con riferimento a processi di stabilizzazione in atto.
È fatto altresì divieto agli enti di stipulare contratti di servizio con soggetti privati che si configurino come elusivi della sanzione.
Tale misura corrisponde a quella disciplinata dall’articolo 1, comma 119, lettera c) della legge n. 220/2011. In relazione a tale disposizione, la Circolare n. 11/2011 precisa che devono considerarsi riconducibili alla spesa di personale degli enti locali le spese sostenute da tutti gli organismi variamente denominati (istituzioni, aziende, fondazioni, ecc.) che non abbiano indicatori finanziari e strutturali tali da attestare una sostanziale posizione di effettiva autonomia rispetto all’amministrazione controllante;
e) l’obbligo di procedere ad una rideterminazione delle indennità di funzione e dei gettoni di presenza, indicati nell'articolo 82 del TUEL (D.Lgs. n. 267/2000), apportando una riduzione del 30 per cento rispetto all'ammontare risultante alla data del 30 giugno 2010.
Tale misura sanzionatoria è stata introdotta per la prima volta dalla legge di stabilità per il 2011 (articolo 1, comma 120, legge n. 220/2010) che stabilisce la riduzione del 30 per cento rispetto all'ammontare risultante alla data del 30 giugno 2008.
I componenti degli organi esecutivi degli enti locali (sindaci, presidenti di provincia, assessori ecc.) e i presidenti dei consigli (comunali e provinciali) percepiscono una indennità di funzione (art. 82, co. 1 TUEL), mentre i componenti degli organi elettivi (consiglieri comunali e consiglieri provinciali) hanno diritto ad un gettone di presenza per la partecipazione a consigli e commissioni (art. 82, co. 2 TUEL).
La misura dell’indennità e dei gettoni è determinata dal decreto del Ministro dell’interno 119/2000.
Negli ultimi anni, nel quadro delle misure per il contenimento della spesa pubblica, sono stati adottati diversi interventi volti alla riduzione degli importi di indennità e gettoni; si segnala, da ultimo, l’art. 5, comma 5 e seguenti del D.L. 78/2011 (conv. L. 122/2010).
Il comma 3 prevede la possibilità che le sanzioni previste per le regioni e gli enti locali, rispettivamente, ai commi 1 e 2 dell’articolo in esame, possano essere ridefinite con legge sulla base delle proposte avanzate dalla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica.
Il comma 4 dispone l’applicazione delle misure sanzionatorie disciplinate dall’articolo in esame a decorrere dall'anno 2014.
La relazione tecnica esamina i profili finanziari dell’articolo in esame (riguardante le conseguenze del mancato rispetto del patto di stabilità interno) congiuntamente con quelli dell’articolo 8 (riguardante il meccanismo di premialità per gli enti virtuosi). Per la relativa analisi si rinvia pertanto all’unica scheda congiunta allegata all’articolo 8.
Articolo 8
(Patto di stabilità interno)
1. Qualora venga conseguito l'obiettivo programmatico assegnato al comparto di appartenenza, gli enti virtuosi che hanno rispettato il patto di stabilità interno possono, nell'anno successivo a quello di riferimento, ridurre l'obiettivo del patto stesso di un importo determinato con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica di cui all'articolo 5 della legge 5 maggio 2009, n. 42. La virtuosità degli enti è determinata attraverso la valutazione della posizione di ciascun ente rispetto a un insieme di indicatori economico-strutturali di cui al comma 2. L'assegnazione a ciascun ente dell'importo da escludere è determinata mediante una funzione lineare della distanza ponderata di ciascun ente virtuoso dal valore medio degli indicatori. E' virtuoso l'ente che, relativamente a tutti gli indicatori, presenta valori migliori rispetto al valore medio. Il valore medio degli indicatori è individuato distintamente per le Regioni a statuto ordinario e per le autonomie speciali. Il valore medio degli indicatori per gli enti locali è individuato sulla base delle seguenti classi demografiche e dovrà tenere conto anche delle aree geografiche da individuare con il decreto di cui al comma 4:
a) per le province:
1) province con popolazione fino a 400.000 abitanti;
2) province con popolazione superiore a 400.000 abitanti;
b) per i comuni:
1) comuni con popolazione superiore a 5.000 e fino a 50.000 abitanti;
2) comuni con popolazione superiore a 50.000 e fino a 100.000 abitanti;
3) comuni con popolazione superiore a 100.000 abitanti.
2. Gli indicatori di cui al comma precedente sono finalizzati a misurare:
a) il grado di rigidità strutturale dei bilanci con particolare riguardo alla: I) incidenza della spesa per personale su entrate correnti; II) incidenza della spesa per rimborso prestiti su spesa corrente; III) incidenza dello stock di debito non assistito su spese correnti; IV) misura del ricorso alle anticipazioni del proprio tesoriere e valutazione del fenomeno delle mancate estinzioni a chiusura d'esercizio;
b) il grado di autonomia finanziaria con particolare riguardo alla: I) incidenza degli incassi tributari ed extratributari sugli incassi correnti; II) incidenza degli incassi tributari ed extratributari sulle analoghe entrate considerate in termini di accertamenti; III) incidenza degli accertamenti delle entrate correnti tributarie ed extratributarie sugli impegni di spesa corrente; IV) incidenza delle entrate correnti accertate sugli impegni di spesa corrente; V) incidenza per età dei residui attivi;
c) l'effetto dell'attività finanziaria con particolare riguardo a: I) consistenza del risultato di amministrazione; lI) composizione del risultato di amministrazione; III) incidenza dei residui passivi di parte corrente sui relativi impegni; IV) incidenza dell'ammontare del debito sull'ammontare della quota capitale rimborsata;
d) il livello dei servizi e della pressione fiscale e gli altri indicatori di cui alla lettera e) dell'articolo 17, comma 1, della legge 5 maggio 2009, n. 42.
3. Gli indicatori di cui al comma 2 possono essere ridefiniti con legge sulla base delle proposte avanzate dalla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica.
4. Le modalità di attuazione dei commi 1 e 2, per quanto concerne gli Enti locali, sono definite con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, previa intesa con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, ai sensi del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 e, per quanto concerne le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per i rapporti con le Regioni, previa intesa, ai sensi del medesimo decreto legislativo, con la Conferenza Stato-regioni.
5. Le disposizioni del presente articolo si applicano a decorrere dall'anno 2014.
L’articolo 8 disciplina i meccanismi premiali da applicare, a decorrere dall’anno 2014, nei confronti delle regioni e degli enti locali virtuosi che hanno rispettato gli obiettivi finanziari imposti dal patto di stabilità interno.
Si ricorda che tra i principi di delega funzionali al coordinamento e alla disciplina fiscale dei diversi livelli di governo, l’articolo 17, lettera e), della legge n. 42/2009 prevede l’introduzione di un sistema premiante e sanzionatorio da applicare nei confronti degli enti che risultano virtuosi o meno rispetto al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica ad essi imposti.
In particolare, in base alla citata disposizione, il sistema premiante riguarderebbe gli enti che:
- assicurano elevata qualità dei servizi e livello della pressione fiscale inferiore alla media degli altri enti del proprio livello di governo a parità di servizi offerti;
- partecipano a progetti strategici mediante l'assunzione di oneri e di impegni nell'interesse della collettività, compresi quelli di carattere ambientale;
- incentivano l'occupazione e l'imprenditorialità femminile.
L’articolo in esame introduce un meccanismo di premialità in favore degli enti c.d. “virtuosi”,che si attiva qualora l’obiettivo programmatico assegnato al comparto di appartenenza (regionale o locale) sia stato nel complesso raggiunto.
Il meccanismo consente agli enti virtuosi, che hanno cioè adempiuto ai loro obiettivi programmatici, di ridurre, nell’anno successivo a quello di riferimento, l’obiettivo di saldo ad essi assegnatodi un importo determinato con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica[45].
Lo “sconto” di cui ciascun ente virtuoso può beneficiareè determinato in funzione del “grado di virtuosità” dell’ente medesimo.
La virtuosità degli enti è determinata in base alla valutazione della posizione di ciascun ente rispetto ad un insieme di indicatori economico-strutturali individuati dal comma 2, finalizzati a misurare il grado di rigidità strutturale dei bilanci, il grado di autonomia finanziaria degli enti, l'effetto dell'attività finanziaria, nonché il livello dei servizi e della pressione fiscale.
L’assegnazione a ciascun ente dell’importo da escludere è determinata mediante una funzione lineare della distanza ponderata di ciascun ente virtuoso dal valore medio degli indicatori: è virtuoso l'ente che, relativamente agli indicatori considerati, presenta valori migliori rispetto al valore medio.
Il valore medio degli indicatori è individuato distintamente per le regioni a statuto ordinario e per le autonomie speciali.
Per gli enti locali, il valore medio degli indicatori è individuato per classe demografica, con riferimento alle aree geografiche che saranno appositamente individuate con il decreto del Ministro dell'interno, di cui al comma 4, che dovrà recare le modalità di attuazione dei meccanismi premiali in esame.
In particolare, le classi demografiche individuate dal comma 1 in esame sono:
a) per le province:
1) province con popolazione fino a 400.000 abitanti;
2) province con popolazione superiore a 400.000 abitanti;
b) per i comuni:
1) comuni con popolazione superiore a 5.000 e fino a 50.000 abitanti;
2) comuni con popolazione superiore a 50.000 e fino a 100.000 abitanti;
3) comuni con popolazione superiore a 100.000 abitanti.
Il comma 2 individua gli indicatori economico-strutturali sulla base dei quali è valutata la virtuosità degli enti, finalizzati a misurare:
a) il grado di rigidità strutturale dei bilanci con particolare riguardo alla: I) incidenza della spesa per personale su entrate correnti; II) incidenza della spesa per rimborso prestiti su spesa corrente; III) incidenza dello stock di debito non assistito su spese correnti; IV) misura del ricorso alle anticipazioni del proprio tesoriere e valutazione del fenomeno delle mancate estinzioni a chiusura d'esercizio;
b) il grado di autonomia finanziaria con particolare riguardo alla: I) incidenza degli incassi tributari ed extratributari sugli incassi correnti; II) incidenza degli incassi tributari ed extratributari sulle analoghe entrate considerate in termini di accertamenti; III) incidenza degli accertamenti delle entrate correnti tributarie ed extratributarie sugli impegni di spesa corrente; IV) incidenza delle entrate correnti accertate sugli impegni di spesa corrente; V) incidenza per età dei residui attivi;
c) l'effetto dell'attività finanziaria con particolare riguardo a: I) consistenza del risultato di amministrazione; lI) composizione del risultato di amministrazione; III) incidenza dei residui passivi di parte corrente sui relativi impegni; IV) incidenza dell'ammontare del debito sull'ammontare della quota capitale rimborsata;
d) il livello dei servizi e della pressione fiscale e gli altri indicatori di cui alla lettera e) dell'articolo 17, comma 1, della legge 5 maggio 2009, n. 42.
Tali indicatori possono essere ridefiniti con legge sulla base delle proposte avanzate dalla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica (comma 3).
Ai fini della definizione delle modalità di attuazione della normativa in oggetto, il comma 4 prevede l’adozione di un decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, previa intesa con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, per la disciplina delle misure premiali relative agli enti locali, e l’adozione di un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per i rapporti con le Regioni, previa intesa con la Conferenza Stato-regioni, per quanto concerne le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.
Le misure premiali disciplinate dall’articolo in esame si applicano a decorrere dall'anno 2014 (comma 5)
Si ricorda che meccanismi di premialità del tutto analoghi a quelli disciplinati dall’articolo in esame sono già stati introdotti, per le province e i comuni sottoposti al Patto di stabilità interno, a decorrere dal 2009.
In particolare, l’articolo 77-bis del D.L. n. 25 giugno 2008, n. 112, recante la disciplina del patto di stabilità interno per gli enti locali per il triennio 2009-2011, ha introdotto un meccanismo di premialità correlato con i risultati raggiunti dal comparto degli enti locali rispetto agli obiettivi programmatici assegnati al comparto medesimo (commi 23-26).
In sintesi, il meccanismo di premialità introdotto dal D.L. n. 112 consentiva agli enti locali virtuosi adempienti al patto di stabilità, qualora l’obiettivo programmatico di comparto fosse stato raggiunto, di poter beneficiare, nell’anno successivo a quello di riferimento, di una riduzione dell’obiettivo di saldo ad essi assegnato. L’entità della riduzione, a livello complessivo, era commisurata al 70% dello scostamento registrato tra saldo obiettivo e saldo realizzato dagli enti che, nell’anno di riferimento, non avevano rispettato il patto.
Lo “sconto” di cui ciascun ente virtuoso poteva beneficiareera determinato in funzione del “grado di virtuosità” dell’ente medesimo, valutato in base al posizionamento rispetto a due indicatori economico-strutturali:
- il grado di rigidità strutturale del bilancio, che indica quanta parte delle entrate correnti viene assorbita dalle spese per il personale, per il rimborso dei ratei dei mutui e per gli interessi. Tale indicatore evidenzia, in sostanza, l'ammontare delle entrate correnti utilizzato dall'ente per finanziare le spese di natura rigida. Minore, quindi, è il valore dell'indicatore e maggiore è la capacità dell'ente di finanziare spese di carattere discrezionale;
- l’indice di autonomia finanziaria dell’ente, che esprime la capacità di ciascun ente di acquisire autonomamente le risorse necessarie per finanziare la spesa corrente.
Il valore medio di riferimento dei due indicatori, sulla cui base valutare la virtuosità degli enti, era individuato per fasce demografiche.
L’applicazione del sistema di premialità per l’anno 2009, nei confronti degli enti locali che hanno conseguito l'obiettivo per il 2008, è stata disciplinata con il D.M. Economia 22 dicembre 2009.
Per l’anno 2010, il meccanismo di premialità è stato invece disapplicato, ai sensi dell’articolo 14, comma 12, del D.L. n. 78/2010.
Con la legge di stabilità per il 2011, che ha disposto la nuova disciplina del patto di stabilità interno per gli enti locali per il triennio 2011-2013, il sistema di premialità per gli enti locali virtuosi è stato riformulato, rispetto alla disciplina introdotta dal D.L. n. 112/2008. Il meccanismo di premialità introdotto dalla legge di stabilità per il 2011 autorizza il Ministro dell'economia e delle finanze, con apposito decreto, emanato di concerto con il Ministro dell'interno e di intesa con la Conferenza Stato-città, a ridurre gli obiettivi annuali degli enti locali sottoposti al Patto, sulla base di criteri che saranno definiti con il medesimo decreto, in misura pari alla differenza, registrata nell'anno precedente, tra l'obiettivo programmatico ed il saldo conseguito da comuni e province inadempienti al patto di stabilità interno (articolo 1, comma 122, legge n. 220/2011).
La relazione tecnica, con riferimento all’articolo 7 (che disciplina, le conseguenze del mancato rispetto del patto di stabilità interno),segnala che le sanzioni previste - versamento all’entrata del bilancio statale della differenza tra il risultato registrato e l’obiettivo programmatico predeterminato, limite dell’impegno delle spese correnti, divieti di indebitamento e di assunzione di personale e riduzione del 30% delle indennità di funzione e dei gettoni di presenza - determinano effetti positivi sui saldi di finanza pubblica, non stimabili ex ante in quanto non risulta prevedibile il numero degli enti che risulteranno inadempienti ai patti di stabilità futuri, né tantomeno l’entità finanziaria di detta inadempienza. In ogni caso, l’effetto finanziario positivo è redistribuito agli enti locali mediante apposito meccanismo premiale disciplinato al successivo articolo 8. Pertanto, la RT conclude affermando che l’effetto congiunto degli articoli 7 e 8 non altera i meccanismi di finanza pubblica.
Con riferimento al meccanismo premiale disciplinato all’articolo 8 - secondo il quale gli enti rispettosi del patto di stabilità interno e virtuosi secondo specifici indicatori economico-strutturali possono, nell’anno successivo a quello di riferimento, ridurre l’obiettivo del patto di un importo determinato, con decreto del Ministero dell’economia, in base a una funzione lineare della distanza ponderata di ciascun ente virtuoso dal valore medio dei predetti indicatori - la RT ribadisce che la norma è neutrale rispetto ai saldi di finanza pubblica, in quanto la riduzione dell’obiettivo è commisurata agli effetti positivi finanziari, rinvenienti dall’applicazione del precedente articolo 7.
In merito ai profili di quantificazione si osserva in primo luogo che l’affermazione della relazione tecnica - secondo la quale il meccanismo premiale previsto dall’articolo 8 risulta neutrale rispetto ai saldi di finanza pubblica in quanto finanziato con i risparmi rinvenienti dall’applicazione delle sanzioni previste dal precedente articolo 7 – non trova riscontro in una specifica previsione normativa. L’articolo 8 non dispone, infatti, esplicitamente che l’ammontare delle risorse utilizzabili ai fini della concessione del meccanismo premiale sia circoscritto all’ammontare delle predette risorse. Più in dettaglio, ai fini della neutralità, andrebbe specificato che l’ammontare complessivo delle risorse destinate a finanziare il meccanismo premiale non possa essere superiore a quello derivante dall’applicazione delle sole sanzioni previste all’articolo 7, comma 1, lettera a) e comma 2, lettera a). Le sanzioni previste dalle restanti lettere, infatti, non distraendo risorse dai bilanci degli enti oggetto delle sanzioni stesse, non appaiono suscettibili di liberare risorse da utilizzare in favore di altri enti.
Si segnala altresì che l’articolo 8 non prevede che, in sede di emanazione del decreto ministeriale volto a disciplinare l’applicazione del meccanismo premiale, si dia conto della compensatività delle risorse utilizzate rispetto a quelle resesi effettivamente disponibili, anche in termini di cassa, grazie all’applicazione delle predette sanzioni.
Si rileva infatti che le disposizioni sanzionatorie idonee a liberare risparmi utilizzabili per finanziare il meccanismo premiale (le citate lettere a) dei commi 1 e 2 dell’articolo 7) prevedono il versamento all’erario di somme da parte degli enti colpiti dalla sanzione e, in caso di inadempimento di questi ultimi, il recupero delle somme a valere sulle giacenze in tesoreria statale.
Si ribadisce inoltre l’opportunità di acquisire chiarimenti in merito ad alcuni possibili effetti indiretti derivanti dal meccanismo sanzionatorio in esame, sostanzialmente confermativo di quello previsto dalla legislazione vigente[46], ma non ancora concretamente applicato, in quanto decorrente dall’esercizio in corso, con riferimento ai casi di mancato rispetto del patto nel 2010.
In primo luogo andrebbe confermata l’effettiva sostenibilità, per gli enti interessati, delle sanzioni previste e in particolare di quella relativa alla riduzione delle risorse loro spettanti. La sottrazione di risorse a carico di enti già dimostratisi, nell’esercizio precedente, inadempienti potrebbe ulteriormente pregiudicare la loro effettiva possibilità di ristabilire condizioni di bilancio compatibili con gli obiettivi richiesti e tradursi pertanto in un ulteriore causa di inadempienza.
Inoltre, con riferimento alla fattispecie esclusa dalla sanzione del taglio delle risorse - nel caso in cui il mancato raggiungimento dell’obiettivo sia determinato dalla crescita dei finanziamenti nazionali degli interventi cofinanziati dall’Unione europea, rispetto alla corrispondente media del triennio precedente[47] - si osserva che tale disposizione appare potenzialmente suscettibile di ridurre i risparmi attesi dal patto di stabilità interno in quanto configura un indebolimento del vincolo, la cui violazione è solo parzialmente sanzionata se imputabile alla spesa in questione. Potrebbe infatti assumersi un rispetto meno fedele del patto da parte in particolare degli enti interessati ad imprimere un’accelerazione a tale voce di spesa, al fine di non perdere i cofinanziamenti comunitari ad essa correlati. Appare pertanto opportuno che gli andamenti tendenziali dei risparmi attesi dal patto, calcolati tradizionalmente nell’ipotesi del pieno rispetto del vincolo, considerino invece, a fini cautelativi, l’eventualità di possibili superamenti del vincolo motivati dalla crescita dei cofinanziamenti nazionali.
Si segnala in particolare che la norma potrebbe assorbire in parte anche i risparmi potenzialmente derivanti dall’applicazione del vincolo sulle altre voci di spesa che restano ad esso soggette: la norma costituisce infatti un incentivo a destinare agli interventi cofinanziati dall’Unione europea le risorse eventualmente resesi disponibili dalla compressione delle altre voci di spesa.
Articolo 9
(Ulteriori meccanismi premiali)
1. Dopo il secondo periodo del comma 20 dell'articolo 6 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, è aggiunto il seguente: "Ai fini degli effetti di cui al periodo precedente, si considerano adempienti le Regioni a statuto ordinario che hanno registrato un rapporto uguale o inferiore alla media nazionale fra spesa di personale e spesa corrente al netto delle spese per i ripiani dei disavanzi sanitari e del surplus di spesa rispetto agli obiettivi programmati dal patto di stabilità e che hanno rispettato il patto di stabilità interno.".
2. Nelle more del perfezionamento delle attività concernenti la determinazione annuale di costi standardizzati per tipo di servizio e fornitura da parte dell'Osservatorio dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture di cui all'articolo 7 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 e anche al fine di potenziare le attività delle Centrali regionali per gli acquisti di cui al comma 3, il citato Osservatorio, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, attraverso la Banca dati nazionale dei contratti pubblici di cui all'articolo 44 del decreto legislativo 30 dicembre 2010, n. 235, fornisce alle regioni un'elaborazione dei prezzi di riferimento alle condizioni di maggiore efficienza dei beni, delle prestazioni e dei servizi sanitari e non sanitari individuati dall'Agenzia per i servizi sanitari regionali di cui all'articolo 5 del decreto legislativo 30 giugno 1993, n. 266, tra quelli di maggiore impatto in termini di costo a carico del Servizio sanitario nazionale. Ciò, al fine di mettere a disposizione delle regioni strumenti operativi di controllo e razionalizzazione della spesa. Qualora gli acquisti effettuati si discostino dai prezzi di riferimento, il legale rappresentante dell'Ente che ha disposto gli acquisti, dovrà farne segnalazione alla Corte dei Conti.
3. All'articolo 2 della legge 23 dicembre 2009, n 191, dopo il comma 67, è aggiunto il seguente:
«67-bis. Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, da adottarsi entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, di concerto con il Ministro della salute, previa intesa con la Conferenza Stato-Regioni, sono stabilite forme premiali a valere sulle risorse ordinarie previste dalla vigente legislazione per il finanziamento del Servizio sanitario nazionale, applicabili a decorrere dall'anno 2012, per le regioni che istituiscano una Centrale Regionale per gli Acquisti e l'aggiudicazione di procedure di gara per l'approvvigionamento di beni e servizi per un volume annuo non inferiore ad un importo determinato con il medesimo decreto. L'accertamento delle condizioni per l'accesso regionale alle predette forme premiali è effettuato nell'ambito del Comitato permanente per la verifica dell'erogazione dei livelli essenziali di assistenza e del Tavolo tecnico per la verifica degli adempimenti regionali, di cui agli articoli 9 e 12 dell'intesa 23 marzo 2005, sancita dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, pubblicata nel supplemento ordinario n. 83 alla Gazzetta Ufficiale n. 105 del 7 maggio 2005 ».
Il comma 1 riguarda un 'meccanismo premiale' per le regioni che diano applicazione a determinate misure di contenimento della spesa recate dall'articolo 6 del decreto legge 78/2010. Il meccanismo premiale, disciplinato dal secondo periodo del comma 20 del citato articolo 6, consiste in una redistribuzione tra le regioni a statuto ordinario del 10% dei trasferimenti per il c.d. “federalismo amministrativo”, a vantaggio delle regioni che abbiano contenuto i compensi dei consiglieri regionali e che abbiano applicato “volontariamente” le misure di contenimento della spesa recate dallo stesso articolo 6. La norma viene ora integrata dalla disposizione in esame, in ordine al criterio secondo il quale considerare 'adempiente' la regione.
L'articolo 6 del decreto-legge 78/2010, dispone – al primo periodo - sull’applicazione delle disposizioni recanti norme di risparmio degli apparati amministrativi contenute nell’articolo stesso. In primo luogo ne viene esclusa l’applicazione diretta a regioni, province autonome ed agli enti del Servizio sanitario nazionale e, contemporaneamente, vengono qualificate come disposizioni di principio.
Il secondo periodo del comma 20 dispone l’accantonamento, a decorrere dal 2011, del 10 per cento dei trasferimenti erariali destinati all’esercizio delle funzioni trasferite alle regioni dai decreti attuativi della legge 59 del 1997 – tra cui trasposto pubblico locale, mercato del lavoro, incentivi alle imprese, agricoltura, viabilità, opere pubbliche, ambiente, salute umana[48]. Dell’importo così accantonato si prevede il successivo svincolo (dalla destinazione iniziale) ai fini della re-distribuzione alle regioni a statuto ordinario, che rispondono alle seguenti condizioni:
- definiscano gli emolumenti spettanti ai consiglieri regionali nell’ambito del “tetto” stabilito dall’art. 3 del decreto legge 25 gennaio 2010, n. 2 convertito con legge 26 marzo 2010, n. 42 (il complesso degli emolumenti e delle utilità, comunque denominati, ivi compresi l'indennità di funzione, l'indennità di carica, la diaria, il rimborso spese, a qualunque titolo percepiti dai consiglieri regionali non devono eccedere, in alcun caso, l'indennità massima spettante ai membri del Parlamento);
- aderiscano ‟volontariamente‟alle norme di riduzione dei costi degli apparati amministrativi contemplate nell'articolo 6[49].
Per definire modalità, tempi e criteri attuativi, il medesimo comma 20, al terzo periodo, indica quale atto normativo un decreto “di natura non regolamentare" del Ministro dell’economia e delle finanze sentita la Conferenza Stato Regioni integrata, in questa occasione, da due rappresentanti delle Assemblee legislative regionali designati dalla Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative delle Regioni e delle Province autonome, organismo collegiale di rappresentanza dei ‘parlamenti’ regionali[50].
Il comma 1 in esame, dispone che la regione venga considerata 'adempiente' - e possa quindi essere destinataria delle risorse accantonate - nel caso in cui registri:
§ il rapporto fra spesa di personale da una parte e spesa corrente dall'altra (al netto delle spese per i ripiani dei disavanzi sanitari e del surplus di spesa rispetto agli obiettivi programmati dal patto di stabilità) sia uguale o inferiore alla media nazionale;
§ il rispetto del patto di stabilità interno.
In relazione alla formulazione della norma si osserva che non risultano chiare le modalità di computo del rapporto tra spesa di personale e spesa corrente ai fini della qualificazione di regione adempiente. In proposito, andrebbe in particolare specificato il riferimento al “surplus di spesa rispetto agli obiettivi programmati dal patto di stabilità”, al fine di verificare se, ad esempio, esso possa intendersi relativo alla maggiore spesa per interventi realizzati con quote di finanziamento nazionale e correlati finanziamenti dell’Unione europea, che ai sensi dell’articolo 7, comma 1, lett. a), dello schema di decreto, non viene considerata ai fini della sanzionabilità del superamento degli obiettivi del patto di stabilità interno.
Il comma 2 dispone che, nelle more del perfezionamento delle attività dell’Osservatorio dei contratti pubblici relative alla determinazione annuale dei costi standardizzati per tipo di servizio e fornitura previste dall’art. 7, comma 4, lett. c), del D.Lgs. n. 163/2006, cd. Codice dei contratti pubblici, per quanto riguarda il settore sanitario, l’Osservatorio, attraverso l’ausilio della Banca dati nazionale dei contratti pubblici ed entro sei mesi dall’entrata in vigore del decreto in esame, elabori, per le regioni, i prezzi di riferimento, le prestazioni e i servizi sanitari e non, come individuati dall’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (AGE.NA.S.) tra quelli di maggiore impatto in termini di costo a carico del Servizio sanitario nazionale. Ciò anche al fine di potenziare le attività delle Centrali regionali degli acquisti e di fornire alle stesse regioni gli strumenti operativi di controllo e di razionalizzazione della spesa.
Il comma dispone, infine, un obbligo di segnalazione alla Corte dei Conti degli acquisti effettuati che si discostano dai prezzi di riferimento.
Ai sensi dell’art. 7 del D.Lgs. n. 163/2006, l’Osservatorio dei contratti pubblici opera nell’ambito dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (AVCP). Esso è composto da una sezione centrale e da sezioni regionali aventi sede presso le regioni e le province autonome. La sezione centrale dell'Osservatorio si avvale delle sezioni regionali competenti per territorio per l'acquisizione delle informazioni necessarie allo svolgimento di una serie di compiti tra i quali anche la determinazione annuale dei costi standardizzati per tipo di servizio e fornitura in relazione a specifiche aree territoriali, facendone oggetto di una specifica pubblicazione, per la quale si avvale dei dati forniti dall’ISTAT (comma 4, lett. c).
Si rammenta che la Banca dati nazionale dei contratti pubblici (BDNCP) è stata istituita, presso l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, dall’art. 44 del D.Lgs. n. 235/2010 al fine di assicurare efficacia, trasparenza e controllo in tempo reale dell'azione amministrativa per l'allocazione della spesa pubblica in lavori, servizi e forniture. Nella banca dati dovranno, conseguentemente, confluire tutti i dati previsti dall'art. 7 del citato D.Lgs. n. 163/2006.
Il comma 3 è volto a diffondere l’istituzione, da parte delle regioni, delle Centrali per gli acquisti attraverso l’attribuzione di quote premiali.In particolare, si prevede l’introduzione del comma 67-bis all’art. 2 della legge n. 191/2009,in base al quale spetterà adun decreto interministeriale - da adottare entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto in esame e previa intesa in sede di Conferenza Stato – regioni - determinare la quota premiale,da attribuire, a decorrere dal 2012, alleregioni che istituiscono una Centrale Regionale per gli Acquisti e per l’aggiudicazione di procedure di gara per l’approvvigionamento di beni e servizi per un volume annuo non inferiore ad un importo che dovrà essere determinato dallo stesso decreto.
Il comma precisa che tali forme premiali saranno individuate a valere sulle risorse ordinarie già previste a legislazione vigente per il finanziamento del Servizio sanitario nazionale e, pertanto, non comporteranno oneri aggiuntivi per la finanza pubblica, come sottolinea la relazione illustrativa.
Viene, infine, previsto che l’accertamento delle condizioni per l’accesso da partedelle regioni alle quote premiali venga effettuato dal Comitato permanente per la verifica dell'erogazione dei livelli essenziali di assistenza (LEA) e dal Tavolo tecnico per la verifica degli adempimenti regionali, istituiti dagli artt. 9 e 12 dell’intesa del 23 marzo 2005.
La possibilità di costituire, da parte delle regioni, centrali di acquisto, al fine di contenere e razionalizzare la spesa pubblica, è stata introdotta dall’art. 1, comma 455, della legge finanziaria 2007 (legge n. 296/2006). Esse operano quindi quali centrali di committenza in favore delle amministrazioni ed enti regionali, degli enti locali, degli enti del Servizio sanitario nazionale e delle altre p.a. aventi sede nel medesimo territorio. E’ proprio, infatti, la tipologia degli acquisti centralizzati a concretizzare il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica; ciò in quanto, attraverso tale modalità di acquisto, è reso più facile il controllo della spesa non realizzabile attraverso la frammentazione degli acquisti. A seguito della previsione della legge finanziaria diverse sono state le iniziative affermatesi a livello regionale: le centrali di acquisto della Lombardia (Lombardia Informatica S.p.A.), del Piemonte (S.C.R.), del Friuli Venezia Giulia (Centro Servizi Condivisi “CSC”), del Trentino-Alto Adige (Informatica Trentina), dell’Emilia Romagna (Intercent-ER), della Toscana (ESTAV Centro, Nord-Ovest, Sud-Est), del Lazio (LA.i.t.), del Molise (ASREM), della Campania (SO.RE.SA.), della Puglia (EMPULIA) e della Sardegna (C.A.T.).
Da un’indagine svolta dall’AVCP nel corso del 2009[51] sull’attività contrattuale di 13 Centrali di committenza regionali, emerge che: sono state bandite gare, nel periodo luglio 2006-dicembre 2008, pari a dieci miliardi di euro, corrispondente a poco meno del 10% del totale nazionale, concentrate per l’87% nel settore sanitario e nel centro nord; sono state espletate 2.761 procedure di gara ed ottenuti ribassi medi di circa il 22%, un valore superiore di circa il 40% del corrispondente dato nazionale rilevato dall’AVCP nel 2008, a conferma del positivo effetto generato dal processo di aggregazione della domanda.
Da ultimo si ricorda che con l’approvazione del D.P.R. n. 207/2010, recante il Regolamento di attuazione del Codice dei contratti pubblici, è stato completato l’ambito dei compiti affidati alle Centrali di acquisto. In particolare, l’art. 312, comma 5, conferisce alle Centrali di acquisto la possibilità, nella fase esecutiva del contratto, di effettuare attività di supervisione e controllo finalizzate ad accertare la corretta esecuzione della prestazione contrattuale, fino alla possibilità di disporre la risoluzione del contratto/convenzione/accordo stipulato con l’affidatario procedendo, al tempo stesso, ad una nuova aggiudicazione al concorrente che segue in graduatoria.
La relazione tecnica, con riferimento al comma 2, precisa che la disposizione non comporta nuovi o maggiori oneri in quanto prevede attività che già la legislazione vigente mette in capo all’Osservatorio dei contratti pubblici.
Anche con riferimento al comma 3, sono esclusi oneri aggiuntivi per la finanza pubblica, in quanto la quota premiale di finanziamento per le regioni che hanno istituito una centrale regionale per gli acquisiti è individuata a valere sulle ordinarie risorse già previste a legislazione vigente per il finanziamento del SSN.
In merito ai profili di quantificazione, con riferimento al comma 3 (forme premiali per le regioni che istituiscano una Centrale Regionale per gli Acquisti), posto che, sulla base della vigente legislazione, non sembrano sussistere margini per comprimere la spesa relativa ai LEA, andrebbe chiarito a valere su quali voci di spesa possano essere operate le riduzioni dei finanziamenti al SSN al fine di consentire l’applicazione del meccanismo premiale previsto dalla norma. Ciò al fine di verificare se si tratti di voci di spesa effettivamente comprimibili.
In proposito, si ricorda che il livello di finanziamento del SSN cui concorre lo Stato è fissato dalla normativa vigente in 106.633 milioni di euro nel 2011. Per il 2012, è previsto l’incremento di tale valore del 2,8 per cento. Il finanziamento complessivo in esame è costituito da una quota destinata al finanziamento dei Livelli Essenziali di Assistenza che i Servizi Sanitari Regionali sono tenuti ad assicurare con le risorse a disposizione (finanziamento indistinto)[52]. La quota restante è destinata al finanziamento di obiettivi di carattere prioritario, di rilievo nazionale, di interventi in materia sanitaria previsti da specifiche norme e gestite dalle regioni e, infine, di enti che accedono al finanziamento del SSN (finanziamento vincolato)[53].
Dal momento che non sono intervenuti provvedimenti di revisione dei LEA, che il sistema dei costi standard dovrebbe entrare a regime solo a partire dal 2013-2014 e che, quindi, non sono state liberate risorse nell’ambito del finanziamento indistinto, ove le quote premiali previste dalla disposizione in esame dovessero ricadere sulla quota di finanziamento destinato al fabbisogno indistinto, si determinerebbero minori risorse a garanzia dei LEA. In caso contrario, ove fossero calcolate a valere sulle risorse del finanziamento vincolato, sarebbe necessario un’indicazione puntuale circa i progetti e/o Istituti che si intendono definanziare.
Sulle restanti disposizioni recate dall’articolo in esame, non si hanno rilievi da formulare.
Articolo 10
(Contrasto all’evasione fiscale)
1. Per potenziare l'azione di contrasto all'evasione fiscale, la partecipazione delle Province all'accertamento fiscale è incentivata mediante il riconoscimento di una quota pari al 50 per cento delle maggiori somme relative a tributi statali riscosse a titolo definitivo, a seguito dell'intervento della Provincia che abbia contribuito all'accertamento stesso.
2. Con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e d'intesa con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, adottato entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, sono individuati i tributi su cui calcolare la quota pari al 50 per cento spettanti alle Province che abbiano contribuito all'accertamento, ai sensi del comma precedente, nonché le relative modalità di attribuzione, prevedendo forme di incentivazione finalizzate alla collaborazione delle Regioni, delle Province e dei Comuni all'accertamento fiscale.
3. Con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle Entrate, adottato entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, d'intesa con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, sentito il Garante per la protezione dei dati personali e sentita DigitPA per quanto di rispettiva competenza, sono stabilite le modalità tecniche di accesso alle banche dati e di trasmissione alle Province, anche in via telematica, delle informazioni reddituali relative ai contribuenti in esse residenti, nonché quelle della partecipazione delle Province all'accertamento fiscale di cui al comma 1. Per le attività di supporto all'esercizio di detta funzione di competenza provinciale, le Province possono avvalersi delle società e degli enti partecipati dalle Province stesse ovvero degli affidatari delle entrate provinciali i quali, pertanto, devono garantire alle Province l'accesso alle banche dati utilizzate.
L’articolo 10 dello schema reca disposizioni in materia di contrasto dell’evasione fiscale da parte delle Province.
In particolare, il comma 1dispone l’attribuzione alle province di una quota del gettito derivante dalla partecipazione di detti enti locali all’accertamento dei tributi, nella misura del 50 per cento delle maggiori somme relative a tributi statali riscosse a titolo definitivo.
Le disposizioni in commento sostanzialmente completano il quadro dei meccanismi premiali che il legislatore ha introdotto per incentivare la partecipazione degli enti territoriali all’attività di accertamento dei tributi e, più in generale, del recupero fiscale.
Con riferimento all’attività di recupero fiscale svolta dai comuni, si ricorda che l’articolo 2, comma 10, lettera b) del D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23[54], tra le norme dirette a potenziare l’attività di gestione delle entrate comunali e l’attività di accertamento da parte dei comuni, dispone l’elevazione al 50% (dall’originario 33%[55]) della quota del maggior gettito ottenuto a seguito dell'intervento del comune nell’attività di accertamento riconosciuta agli enti locali ai sensi dell’art. 1, comma 1, D.L. 203/2005[56]. Nonostante la norma richiamata sia riferita alle somme relative a tributi statali “riscosse a titolo definitivo” nonché delle sanzioni civili applicate sui maggiori contributi riscossi a titolo definitivo, le disposizioni in materia di federalismo municipale hanno attribuito ai comuni - in via provvisoria - anche una pari quota delle somme “riscosse a titolo non definitivo”, fermo restando il recupero delle stesse qualora siano rimborsate ai contribuenti a qualunque titolo. Le modalità di recupero delle suddette somme saranno disciplinate con decreto del MEF da emanare sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, non ancora emanato.
Dall’altro lato, l’articolo 9, comma 1 del D.Lgs. 6 maggio 2011, n. 68[57] dispone il riversamento diretto alle regioni dell’intero gettito derivante dall’attività di recupero fiscale riferita ai tributi propri derivati, nonché alle addizionali IRPEF e IVA come introdotte dal decreto medesimo.
Il successivo comma 2 attribuisce inoltre alle regioni, in relazione ai principi di territorialità, una quota del gettito riferibile al concorso della regione nella attività di recupero fiscale in materia di IVA, commisurata all'aliquota di compartecipazione attribuita.
Infine, il comma 3 reca il generale principio di riversamento alle regioni di una quota del gettito riferibile al concorso dell’ente nella attività di recupero fiscale, relativa ad ulteriori forme di compartecipazione al gettito dei tributi erariali eventualmente attribuite.
Il comma 2 affida a un decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e d'intesa con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, da adottare entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame, l’individuazione dei tributi su cui calcolare la predetta quota del 50 per cento e le relative modalità di attribuzione.
La norma secondaria deve prevedere forme di incentivazione finalizzate alla collaborazione delle regioni, delle province e dei comuni all'accertamento fiscale.
Si ricorda che l’articolo 10, comma 7 del citato D.Lgs. 68/2011, relativo alle modalità di gestione dei tributi regionali, prevede che per la gestione dei tributi il cui gettito sia ripartito tra gli enti di diverso livello di governo, con specifico atto convenzionale sia istituito presso ciascuna sede regionale dell'Agenzia delle Entrate un Comitato regionale di indirizzo, di cui stabilisce la composizione con rappresentanti designati dal direttore dell'Agenzia delle entrate, dalla regione e dagli enti locali. La citata gestione dei tributi è svolta sulla base di linee guida concordate nell'ambito della Conferenza Stato-Regioni, con l'Agenzia delle entrate, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Infine, il comma 3 demanda a un provvedimento del direttore dell'Agenzia delle Entrate, anch’esso da adottare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del provvedimento e anch’esso d'intesa con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, sentito il Garante per la protezione dei dati personali e sentita DigitPA per quanto di rispettiva competenza, l’individuazione delle modalità tecniche di accesso alle banche dati e di trasmissione alle province, anche in via telematica, delle informazioni reddituali relative ai contribuenti in esse residenti, nonché quelle della partecipazione delle province all'accertamento fiscale.
Il DigitPA è l’organo competente della pubblica amministrazione nel settore delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Esso ha la finalità di contribuire alla creazione di valore per cittadini e imprese da parte della pubblica amministrazione attraverso la realizzazione dell’amministrazione digitale. In particolare, il DigitPA svolge funzioni di natura progettuale, tecnica e operativa. Tali funzioni sono esercitate nel rispetto delle direttive del Presidente del Consiglio o del ministro delegato.
Il DigitPA è stato istituito dal decreto legislativo 1° dicembre 2009, n. 177 che ha riordinato la disciplina del Centro nazionale per l’informatica nella pubblica amministrazione (CNIPA) mutandone la denominazione.
Per le attività di supporto all'esercizio di detta funzione di competenza provinciale, le province possono avvalersi delle società e degli enti partecipati dalle province stesse ovvero degli affidatari delle entrate provinciali i quali, pertanto, devono garantire alle province l'accesso alle banche dati utilizzate.
La relazione tecnica afferma che le disposizioni degli articoli in esame sono volte a potenziare l’azione di contrasto all’evasione fiscale mediante il coinvolgimento delle Province nell’accertamento fiscale e la previsione di una collaborazione di tali enti territoriali nella gestione organica dei tributi provinciali. Tali norme, secondo la relazione tecnica, hanno un impatto positivo sui saldi di finanza pubblica in quanto favoriscono l’emersione delle basi imponibili con conseguenti maggiori entrate a livello centrale e locale, il cui ammontare risulta, al momento, di difficile quantificazione.
In merito ai profili di quantificazione, si segnala che il comma 1 dell’articolo 10 in esame riconosce alla Provincia che abbia contribuito all’accertamento una quota pari al 50 per cento delle maggiori somme relative a tributi statali riscosse a titolo definitivo, a seguito dell’intervento della Provincia medesima.
In proposito andrebbero forniti chiarimenti circa i criteri di individuazione delle suddette maggiori somme riscosse. Andrebbe, in particolare chiarito se si faccia esclusivamente riferimento alle maggiori imposte accertate per i periodi d’imposta oggetto dell’attività di controllo ovvero se tali maggiori somme includano anche l’effetto permanente derivante dall’emersione strutturale di base imponibile conseguente all’attività accertatrice, nonché l’eventuale effetto indiretto di incentivazione della tax compliance connesso alla percezione da parte del contribuente del potenziamento dell’attività di controllo.
Andrebbe, inoltre, chiarito se le attività necessarie ai fini di garantire l’accesso delle Province alle banche dati contenenti le informazioni reddituali dei contribuenti residenti, di cui al comma 3 del medesimo articolo 10, possano efficacemente realizzarsi senza ulteriori oneri per le amministrazioni coinvolte.
Articolo 11
(Collaborazione nella gestione organica
dei tributi)
1. I criteri generali per la gestione organica dei tributi e delle compartecipazioni sono definiti dalle Province con l'Agenzia delle Entrate, che per l'attuazione si avvale delle proprie Direzioni Regionali.
2. Le Province possono stipulare con l'Agenzia delle Entrate convenzioni finalizzate ad instaurare adeguate forme di collaborazione e a garantire una gestione organica dei tributi propri derivati. Con lo stesso provvedimento sono definiti i termini e le modalità per la corresponsione del rimborso spese.
3. Nel rispetto della propria autonomia organizzativa le Province possono definire con specifica convenzione con il Ministero dell'economia e delle finanze le modalità gestionali e operative di ripartizione degli introiti derivanti dall'attività di recupero dell'evasione.
L’articolo 11 stabilisce le forme di collaborazione nella gestione organica dei tributi tra le province e l’Agenzia delle entrate, in particolare attraverso le direzioni regionali delle entrate. La ripartizione degli introiti derivanti dall’attività di recupero dell’evasione è effettuata sulla base di modalità gestionali e operative definite con specifiche convenzioni che le Province possono stipulare con il Ministero dell’economia e delle finanze.
La legge delega sul federalismo fiscale (legge 42/2009) all’articolo 25 fissa i principi e i criteri direttivi relativi alla gestione dei tributi e delle compartecipazioni, ferma restando l’autonomia organizzativa di regioni ed enti locali nella scelta delle forme di organizzazione delle attività di gestione e di riscossione.
Ai sensi del citato articolo 25, nell’esercizio della delega devono essere previste adeguate forme di collaborazione delle regioni e degli enti locali con il Ministero dell’economia e delle finanze e con l’Agenzia delle entrate, al fine di utilizzare le direzioni regionali delle entrate per la gestione organica dei tributi erariali, regionali e degli enti locali. E’ prescritta la definizione, con apposita e specifica convenzione fra il Ministero dell’economia e delle finanze, le singole regioni e gli enti locali, delle modalità gestionali, operative, di ripartizione degli oneri, degli introiti di attività di recupero dell’evasione.
Si segnala che l’articolo 25 della legge 5 maggio 2009, n. 42, non è contemplato nella premessa del presente schema di decreto legislativo. Appare opportuno, inoltre, precisare che i tributi e le compartecipazioni di cui si tratta sono quelli provinciali.
In sintesi si ricorda che, ai sensi del D.Lgs. n. 68 del 2011, a partire dal 2012 le province saranno finanziate:
- dall’imposta sulle assicurazioni per la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei motori (RC auto) (art. 17);
- dall’imposta provinciale di trascrizione per gli atti soggetti ad IVA (art. 17);
- da una compartecipazione all’IRPEF (art. 18);
- dagli altri tributi propri derivati (riconosciuti alle province nei termini previsti dalla legislazione vigente) (art. 20).
A partire dal 2013 è prevista inoltre una compartecipazione provinciale al gettito della tassa automobilistica regionale.
Il comma 1 attribuisce il compito di definire i criteri generali per la gestione organica dei tributi e delle compartecipazioni alla provincia con l’Agenzia delle entrate, la quale si avvale per l’attuazione delle proprie direzioni regionali.
Si ricorda che in materia di gestione dei tributi regionali l’articolo 10, comma 2, del D.Lgs. 68/2011 dispone, in ossequio ai criteri di delega, la salvaguardia del “rispetto dell’autonomia organizzativa delle regioni nella scelta delle forme di organizzazione delle attività di gestione e di riscossione”.
Sotto il profilo della formulazione della norma, si valuti l’opportunità di inserire una clausola analoga con riferimento alla gestione dei tributi da parte delle province.
Si segnala che, per quanto riguarda la gestione dei tributi regionali, l’articolo 10, comma 4, del D.Lgs. 68/2011 ha specificato che competono all’Agenzia delle entrate le attività di controllo, di rettifica della dichiarazione, di accertamento e di contenzioso dell’IRAP e dell’addizionale regionale all’IRPEF, mentre le modalità di gestione delle stesse imposte, nonché il relativo rimborso spese, sono disciplinati sulla base di convenzioni tra l’Agenzia delle entrate e le regioni.
Il comma 2 attribuisce alle province la possibilità di stipulare con l’Agenzia delle entrate convenzioni volte ad instaurare adeguate forme di collaborazione e a garantire una gestione organica dei tributi propri derivati.
I tributi propri derivati delle province sono definiti dall’articolo 20 del D.Lgs. 68/2011 come i “tributi ad esse riconosciuti, nei termini previsti dalla legislazione vigente alla data di entrata in vigore del presente decreto” (27 maggio 2011), salvo quanto previsto dagli articoli 17 e 18 dello stesso provvedimento (i quali contemplano i tributi e le compartecipazioni provinciali sopra descritti).
Principali entrate tributarie delle province
Fra le principali entrate tributarie delle province si possono attualmente annoverare:
- l'imposta sulle assicurazioni contro la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore, esclusi i ciclomotori, il cui gettito è attribuito dall’articolo 60, comma 1, del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446. Ai sensi dell’articolo 13 del D.Lgs. 68/2011, tale imposta costituirà, a decorrere dal 2012, tributo proprio derivato delle province;
- l'imposta provinciale di trascrizione (IPT), che è l'imposta dovuta alla provincia per la maggior parte delle richieste presentate al Pubblico Registro Automobilistico (PRA), il cui importo base è stabilito con Decreto del Ministero delle Finanze. Le Province possono deliberare di aumentare l'importo stabilito dal Ministero fino ad un massimo del 30 per cento. Nel dettaglio, l’articolo 56 del D.Lgs. n. 446/1997 ha stabilito che le province possono istituire l'imposta provinciale sulle formalità di trascrizione, iscrizione ed annotazione dei veicoli richieste al pubblico registro automobilistico, avente competenza nel proprio territorio. L'imposta è applicata sulla base di apposita tariffa, le cui misure potranno essere aumentate, anche con successiva deliberazione, fino ad un massimo del 30%, ed è dovuta per ciascun veicolo al momento della richiesta di formalità;
- l'addizionale provinciale all'accisa sull'energia elettrica sui consumi di qualsiasi uso effettuato in locali e luoghi diversi dalle abitazioni, per tutte le utenze con potenza disponibile non superiore a 200 kw e fino limite massimo di 200.000 Kwh di consumo al mese, che è stata istituita ai sensi dell’articolo 6, comma 1, del D.L. 28 novembre 1988, n. 511 (legge n. 20/1989). La Provincia ha la facoltà di incrementare la misura dell'addizionale provinciale da € 9,30 fino a € 11,40 per ogni mille Kwh. Le province devono deliberare la misura dell'addizionale entro i termini di approvazione del bilancio di previsione L'addizionale è versata direttamente alla provincia nell'ambito del cui territorio è ubicata l'utenza. Si ricorda che tale addizionale viene soppressa a decorrere dal 2012 dall’articolo 14, comma 5, del D.Lgs. 68/2011;
- il tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi, istituito e disciplinato dall'articolo 3, commi 24-41, della legge n. 549/1995. Presupposto dell'imposta è il deposito in discarica dei rifiuti solidi, compresi i fanghi palabili. Soggetto passivo dell'imposta è il gestore dell'impresa di stoccaggio definitivo con obbligo di rivalsa nei confronti di colui che effettua il conferimento;
- la compartecipazione provinciale al gettito IRPEF, istituita a decorrere dall’anno 2003 dall’articolo 31, comma 8, della legge n. 289/2002, che è stata via via confermata negli anni successivi, da ultimo, per il 2010, dall’articolo 4, comma 3, del D.L. n. 2/2010 (legge n. 42/2010). La compartecipazione è fissata nella misura dell’1 per cento del riscosso in conto competenza che affluisce al bilancio dello Stato, con riferimento all’esercizio finanziario 2002, quali entrate derivanti dall’attività ordinaria di gestione. In base a tale disciplina, alle province viene attribuito ogni anno, a titolo di compartecipazione, lo stesso ammontare riconosciuto negli anni precedenti, con corrispondente riduzione dei trasferimenti erariali ad esse spettanti. Si ricorda che ai sensi dell’articolo 14 del D.Lgs. 68/2011, dal 2012 l’aliquota di compartecipazione sarà stabilita con D.P.C.M. in misura tale da compensare i trasferimenti erariali soppressi nonché il venir meno dell’addizionale provinciale all’accisa sull’energia elettrica, soppressa a partire dall’anno 2012;
- il tributo cosiddetto ambientale. Si ricorda che il D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 ha riordinato la legislazione in materia ambientale e ha introdotto nella parte IV nuove norme che concernono la gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati. Fra le tante novità presenti nel decreto si registra l'articolo 264, comma 1, lett. i), ed n), che prevedono rispettivamente: l'abrogazione della "legge Ronchi" di cui al D.Lgs. n. 22/1997, le cui disposizioni continuano tuttavia ad applicarsi fino all'entrata in vigore dei corrispondenti provvedimenti attuativi previsti dalla parte quarta stessa (art. 264, c. 1, lett. i) del D.Lgs. n.. 152/2006; l'abrogazione del tributo per l'esercizio delle funzioni di tutela, protezione e igiene dell'ambiente a favore delle Province di cui all'articolo 19 del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504 (art. 264, c. 1, lett. n) del D.Lgs. n. 152/2006;
- il canone occupazione di spazi ed aree pubbliche, dovuto dal titolare dell'atto di concessione o dall'occupante (anche abusivo) in proporzione della superficie sottratta all'uso pubblico per le occupazioni effettuate nelle strade, aree e comunque sui beni appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile della Provincia (articolo 63 del D.Lgs. n. 446 del 1997).
Si ricordano, infine, la tassa per l’ammissione ai concorsi, di cui all’articolo 1 del R.D. 21 ottobre 1923, n. 2361, e i diritti di segreteria, disciplinati dall’articolo 40 della legge 8 giugno 1962, n. 604.
Nelle convenzioni sono definiti i termini e le modalità per la corresponsione del rimborso delle spese.
Il comma 3 consente alle province, nel rispetto della loro autonomia organizzativa, di definire con specifica convenzione con il Ministero dell’economia e delle finanze come gestire, anche operativamente, la ripartizione degli introiti derivanti dall’attività di recupero dell’evasione.
Sotto il profilo della formulazione della norma, in coerenza con quanto disposto dall’articolo 10 del provvedimento in esame, sembrerebbe opportuno precisare che si tratta dell’attività di recupero dell’evasione alla quale concorrono le province.
Per la partecipazione delle province all’azione di contrasto all’evasione fiscale si rinvia alla scheda del citato articolo 10 del presente provvedimento.
Si rinvia all’articolo 10.
Articolo 12
(Ulteriori forme premiali per l’azione di
contrasto all’evasione fiscale)
1. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica di cui all'articolo 5 della legge 5 maggio 2009, n. 42, sono stabilite annualmente le modalità per la determinazione del livello di evasione fiscale relativo ad ogni singola Regione, tenendo conto del rapporto tra i dati fiscali dichiarati e i dati elaborati dall'Istituto Nazionale di Statistica, così come previsto dal Regolamento (CE) 25 giugno 1996, n. 2223, resi omogenei per quanto riguarda definizioni e classificazioni, e integrati da eventuali ulteriori indicatori statistici di fonte istituzionale.
2. Il decreto di cui al comma precedente disciplina le modalità di accesso al fondo perequativo di cui all'articolo 15 del decreto legislativo in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario, delle città metropolitane e delle province, di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario, nonché di istituzione della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, tenendo conto, nel rispetto dell'autonomia organizzativa delle Regioni nella scelta delle forme di organizzazione delle attività di gestione e di riscossione, dei risultati conseguiti in termini di maggior gettito derivante dall'azione di contrasto dell'evasione fiscale.
L’articolo 12 affida a un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri la determinazione annuale delle modalità per la determinazione del livello di evasione fiscale relativo ad ogni singola Regione, nonché la fissazione delle modalità di accesso al fondo perequativo regionale, disciplinato dall’articolo 15 del decreto legislativo n. 68 del 2011.
Nel dettaglio, il comma 1 prevede che il suddetto D.P.C.M. sia emanato su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica di cui all'articolo 5 della legge 5 maggio 2009, n. 42.
La Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica è stata istituita dall’articolo 33 del citato D.Lgs. n. 68/2011, ai sensi dell’articolo 5 della legge di delega sul federalismo fiscale (legge n. 42/2009), in qualità di organismo stabile di coordinamento della finanza pubblica fra comuni, province, città metropolitane, regioni e Stato. La composizione della Conferenza e le modalità di funzionamento e votazione sono disciplinate, rispettivamente, negli articoli 34 e 35 del citato decreto legislativo; le funzioni della Conferenza e le relative strutture di supporto tecnico trovano disciplina ai successivi articoli 36 e 37.Ad essa sono attribuiti una pluralità di compiti riconducibili, tra gli altri, anche alla definizione degli obiettivi di finanza pubblica per comparto ed al potere di proposta dei criteri per il corretto uso dei fondi perequativi.
Inoltre, la Conferenza mette a disposizione della Camera dei deputati, del Senato della Repubblica, dei Consigli regionali e di quelli delle Province autonome, tutti gli elementi informativi raccolti (lettera f). Le determinazioni della Conferenza devono essere trasmesse alle Camere (comma 2). Inoltre, ai sensi dell’articolo 2 della legge n. 42/2009, la Conferenza permanente è competente alla quantificazione finanziaria degli interventi statali sulle basi imponibili e sulle aliquote riguardanti i tributi degli enti locali, sugli interventi riguardanti i tributi propri derivati delle regioni e sulle aliquote riservate alle regioni a valere sulle basi imponibili dei tributi erariali. Tali interventi sono ammessi solo previa quantificazione da parte della Conferenza, e solo laddove lo Stato adotti misure per la loro completa compensazione.
La determinazione del livello di evasione fiscale avviene tenendo conto del rapporto tra i dati fiscali dichiarati e i dati elaborati dall'Istituto Nazionale di Statistica - ISTAT, così come previsto dal SEC95 (adottato ai sensi del Regolamento (CE) 25 giugno 1996, n. 2223), resi omogenei per quanto riguarda definizioni e classificazioni, e integrati da eventuali ulteriori indicatori statistici di fonte istituzionale.
Ai sensi del successivo comma 2 il citato D.P.C.M., nel disciplinare le modalità di accesso al fondo perequativo regionale di cui all’articolo 15 del D.Lgs. 68/2011 deve tenere conto, nel rispetto dell'autonomia organizzativa delle regioni nella scelta delle forme di organizzazione delle attività di gestione e di riscossione, dei risultati conseguiti in termini di maggior gettito derivante dall'azione di contrasto dell'evasione fiscale.
Sotto il profilo della formulazione del testo, sembrerebbe opportuno chiarire rispetto a quali livelli di gettito fiscale debba essere valutato l’eventuale “maggior gettito” conseguito nella lotta all’evasione fiscale da parte delle regioni.
In estrema sintesi, il citato articolo 15 disciplina la fase a regime - a decorrere dal 2013 - del nuovo sistema di finanziamento delle regioni. Per ciascuna delle due categorie di spese – ovvero quelle attinenti ai livelli essenziali delle prestazioni (LEP) e non attinenti ai suddetti livelli (non-LEP) elenca le fonti di finanziamento e disciplina il fondo perequativo.
In particolare, a decorrere dal 2013 una quota del fondo perequativo concorre al finanziamento delle spese LEP (comma 5 dell’articolo 15), alimentata da una compartecipazione all'IVA, in modo tale da assicurare la copertura integrale di tutte le spese relative ai livelli essenziali delle prestazioni (articolo 9, lett. a) della legge delega.
I successivi commi 7 ed 8 disciplinano la parte del fondo perequativo destinata alle spese non attinenti ai livelli essenziali delle prestazioni, con lo scopo di ridurre le differenze tra le regioni con diversa capacità fiscale. Come già indicato dalla legge delega (articolo 9, co. 1 lett. a) e lett. g)), questa parte del fondo è alimentata dalle gettito dell'addizionale all'IRPEF.
Dalla lettera della norma proposta, di conseguenza, pare che le modalità di accesso al fondo perequativo terranno conto dei risultati conseguiti da ciascuna regione nella lotta all’evasione, quantificati sulla base del maggior gettito conseguito.
Si osserva che la disposizione in commento disciplina le modalità di accesso al fondo perequativo genericamente riferendosi al “fondo di cui all’articolo 15” del decreto legislativo n. 68/2011; la suddetta disposizione disciplina sia la parte del fondo perequativo regionale volto al finanziamento delle spese relative ai livelli essenziali delle prestazioni (ai commi 5 e 6), sia la parte del fondo destinata alle spese non attinenti ai livelli essenziali delle prestazioni (ai successivi commi 7 e 8), finalizzata a ridurre le differenze tra le regioni con diversa capacità fiscale. Occorrerebbe, pertanto, chiarire a quali componenti del fondo debba essere riferito il criterio introdotto dalla norma in esame, tenendo conto di quanto disposto dall’articolo 15 del decreto legislativo n.68/11 in materia di funzionamento a regime del fondo perequativo.
Articolo 13
(Applicazione alle Regioni speciali)
1. Le disposizioni di cui al capo I e II del presente decreto legislativo si applicano alle Regioni a statuto speciale ed agli Enti locali appartenenti ai rispettivi territori in base alle procedure e ai tempi stabiliti dall'articolo 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42.
L'articolo 13 concerne il rapporto della normativa recata dallo schema di decreto legislativo in esame con l'ordinamento delle regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano.
In analogia con quanto stabilito in via generale dalla legge delega e dagli altri decreti legislativi attuativi della legge 42/2009, la norma stabilisce che l'applicazione delle disposizioni recate dallo schema di decreto legislativo in esame alle regioni suddette ed agli enti locali dei rispettivi territori, deve avvenire nelle procedure e nei tempi stabiliti dall'articolo 27 della legge delega, in sintesi, in maniera concordata con ciascuna autonomia.
L'articolo 27 della legge n. 42/2009 adatta alle specialità il procedimento di attuazione del federalismo fiscale in quegli ordinamenti ed elenca i principi ed i criteri direttivi che potranno applicarsi. In particolare:
§ le modifiche all’ordinamento finanziario delle regioni a statuto speciale e delle province autonome dovranno essere introdotte con la procedura delle norme di attuazione degli statuti speciali, negli stessi termini temporali previsti dalla delega conferita per l’emanazione dei decreti delegati relativi alle regioni a statuto ordinario e agli enti locali (comma 1);
§ ferme le prerogative statutarie previste per ciascuna regione e provincia autonoma, la nuova disciplina deve comunque essere informata ai principi fondamentali del federalismo fiscale; nella specie il rispetto e l’assolvimento degli obblighi posti dall’ordinamento comunitario e i principi di perequazione e di solidarietà e i diritti ed i doveri che da essi derivano (commi 2 e 3);
§ sono previste, inoltre, specifiche norme procedurali per l’attuazione della delega:
- il principio della partecipazione dei Presidenti delle regioni e delle province autonome alle riunioni del Consiglio dei ministri in cui si esaminano gli schemi delle rispettive norme di attuazione (comma 5);
- la delimitazione ad una attività “meramente ricognitiva” delle funzioni che è chiamata a svolgere la Commissione tecnica paritetica per l’emanazione delle norme di attuazione; inoltre, quando tratta delle nome di attuazione, la commissione è integrata da un rappresentante tecnico della singola regione o provincia autonoma interessata (comma 6);
- istituzione dei tavoli paritetici tra ciascuna regione e Governo (comma 7).
Si ricorda inoltre che tutte le regioni a statuto speciale hanno competenza legislativa esclusiva in materia di ordinamento degli enti locali, secondo quanto disposto dai rispettivi statuti di autonomia e dalle norme di attuazione[58].
Si segnala infine che norme recanti disposizioni di attuazione del federalismo fiscale per le regioni a statuto speciale sono state emanate per la Regione autonoma Trentino-Alto Adige e per le Province autonome di Trento e di Bolzano con la legge finanziaria 2010 (legge n. 191/2009, art. 2, commi 106-125) e per la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e la Regione autonoma Valle d'Aosta dalla legge di stabilità 2011 (legge n. 220/2010, art. 1, rispettivamente, commi 151-159 e commi 160-164). In particolare le disposizioni citate quantificano il contributo di ciascuna regione per l'attuazione dei principi di perequazione e solidarietà del federalismo fiscale, recano disposizioni sulla disciplina del patto di stabilità e norme generali per il coordinamento delle norme che provvederanno ad attuare il federalismo fiscale (i decreti legislativi attuativi della legge n. 42 del 2009) e l'ordinamento finanziario della regione.
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(1) Pubblicata nella Gazz. Uff. 6 maggio 2009, n. 103.
(omissis)
Art. 2.
(Oggetto e finalità)
1. Il Governo è delegato ad adottare, entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi aventi ad oggetto l’attuazione dell’ articolo 119 della Costituzione, al fine di assicurare, attraverso la definizione dei princìpi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario e la definizione della perequazione, l’autonomia finanziaria di comuni, province, città metropolitane e regioni nonché al fine di armonizzare i sistemi contabili e gli schemi di bilancio dei medesimi enti e i relativi termini di presentazione e approvazione, in funzione delle esigenze di programmazione, gestione e rendicontazione della finanza pubblica (7). (3)
2. Fermi restando gli specifici princìpi e criteri direttivi stabiliti dalle disposizioni di cui agli articoli 5, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 15, 16, 17, 19, 20, 21, 22, 24, 25, 26, 28 e 29, i decreti legislativi di cui al comma 1 del presente articolo sono informati ai seguenti princìpi e criteri direttivi generali:
(omissis)
z) premialità dei comportamenti virtuosi ed efficienti nell’esercizio della potestà tributaria, nella gestione finanziaria ed economica e previsione di meccanismi sanzionatori per gli enti che non rispettano gli equilibri economico-finanziari o non assicurano i livelli essenziali delle prestazioni di cui all’ articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione o l’esercizio delle funzioni fondamentali di cui all’ articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione; previsione delle specifiche modalità attraverso le quali il Governo, nel caso in cui la regione o l’ente locale non assicuri i livelli essenziali delle prestazioni di cui all’ articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, o l’esercizio delle funzioni fondamentali di cui all’ articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, o qualora gli scostamenti dal patto di convergenza di cui all’ articolo 18 della presente legge abbiano caratteristiche permanenti e sistematiche, adotta misure sanzionatorie ai sensi dell’ articolo 17, comma 1, lettera e), che sono commisurate all’entità di tali scostamenti e possono comportare l’applicazione di misure automatiche per l’incremento delle entrate tributarie ed extra-tributarie, e può esercitare nei casi più gravi il potere sostitutivo di cui all’ articolo 120, secondo comma, della Costituzione, secondo quanto disposto dall’ articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131, e secondo il principio di responsabilità amministrativa e finanziaria;
(omissis)
Capo VI
COORDINAMENTO DEI DIVERSI LIVELLI DI GOVERNO
(omissis)
Art. 17
(Coordinamento e disciplina fiscale dei
diversi livelli di governo)
1. I decreti legislativi di cui all’ articolo 2, con riguardo al coordinamento e alla disciplina fiscale dei diversi livelli di governo, sono adottati secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) garanzia della trasparenza delle diverse capacità fiscali e delle risorse complessive per abitante prima e dopo la perequazione, in modo da salvaguardare il principio dell’ordine della graduatoria delle capacità fiscali e la sua eventuale modifica a seguito dell’evoluzione del quadro economico territoriale;
b) rispetto degli obiettivi del conto consuntivo, sia in termini di competenza sia di cassa, per il concorso all’osservanza del patto di stabilità e crescita per ciascuna regione e ciascun ente locale; determinazione dei parametri fondamentali sulla base dei quali è valutata la virtuosità dei comuni, delle province, delle città metropolitane e delle regioni, anche in relazione ai meccanismi premiali o sanzionatori dell’autonomia finanziaria;
c) assicurazione degli obiettivi sui saldi di finanza pubblica da parte delle regioni che possono adattare, previa concertazione con gli enti locali ricadenti nel proprio territorio regionale, le regole e i vincoli posti dal legislatore nazionale, differenziando le regole di evoluzione dei flussi finanziari dei singoli enti in relazione alla diversità delle situazioni finanziarie esistenti nelle diverse regioni (25);
d) individuazione di indicatori di efficienza e di adeguatezza atti a garantire adeguati livelli qualitativi dei servizi resi da parte di regioni ed enti locali;
e) introduzione di un sistema premiante nei confronti degli enti che assicurano elevata qualità dei servizi e livello della pressione fiscale inferiore alla media degli altri enti del proprio livello di governo a parità di servizi offerti, ovvero degli enti che garantiscono il rispetto di quanto previsto dalla presente legge e partecipano a progetti strategici mediante l’assunzione di oneri e di impegni nell’interesse della collettività nazionale, ivi compresi quelli di carattere ambientale, ovvero degli enti che incentivano l’occupazione e l’imprenditorialità femminile; introduzione nei confronti degli enti meno virtuosi rispetto agli obiettivi di finanza pubblica di un sistema sanzionatorio che, fino alla dimostrazione della messa in atto di provvedimenti, fra i quali anche l’alienazione di beni mobiliari e immobiliari rientranti nel patrimonio disponibile dell’ente nonché l’attivazione nella misura massima dell’autonomia impositiva, atti a raggiungere gli obiettivi, determini il divieto di procedere alla copertura di posti di ruolo vacanti nelle piante organiche e di iscrivere in bilancio spese per attività discrezionali, fatte salve quelle afferenti al cofinanziamento regionale o dell’ente locale per l’attuazione delle politiche comunitarie; previsione di meccanismi automatici sanzionatori degli organi di governo e amministrativi nel caso di mancato rispetto degli equilibri e degli obiettivi economico-finanziari assegnati alla regione e agli enti locali, con individuazione dei casi di ineleggibilità nei confronti degli amministratori responsabili degli enti locali per i quali sia stato dichiarato lo stato di dissesto finanziario di cui all’ articolo 244 del citato testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, oltre che dei casi di interdizione dalle cariche in enti vigilati o partecipati da enti pubblici. Tra i casi di grave violazione di legge di cui all’ articolo 126, primo comma, della Costituzione, rientrano le attività che abbiano causato un grave dissesto nelle finanze regionali.
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(25) In attuazione di quanto disposto dalla presente lettera vedi il comma 155 dell’art. 1, L. 13 dicembre 2010, n. 220.
(omissis)
Art. 26
(Contrasto dell’evasione fiscale)
1. I decreti legislativi di cui all’ articolo 2, con riguardo al sistema gestionale dei tributi e delle compartecipazioni, nel rispetto dell’autonomia organizzativa delle regioni e degli enti locali nella scelta delle forme di organizzazione delle attività di gestione e di riscossione, sono adottati secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) previsione di adeguate forme di reciproca integrazione delle basi informative di cui dispongono le regioni, gli enti locali e lo Stato per le attività di contrasto dell’evasione dei tributi erariali, regionali e degli enti locali, nonché di diretta collaborazione volta a fornire dati ed elementi utili ai fini dell’accertamento dei predetti tributi;
b) previsione di adeguate forme premiali per le regioni e gli enti locali che abbiano ottenuto risultati positivi in termini di maggior gettito derivante dall’azione di contrasto dell’evasione e dell’elusione fiscale.
(omissis)
RELAZIONE ILLUSTRATIVA
Il presente decreto legislativo contiene una serie di disposizioni di "chiusura" che portano a sistema l'insieme delle innovazioni introdotte con l'attuazione del federalismo fiscale: una nuova trasparenza sulle decisioni di spesa, garantita attraverso l'introduzione dei costi e dei fabbisogni standard, una nuova semplificazione e responsabilizzazione sulle decisioni di entrata di Enti locali e Regioni, garantita attraverso i rispettivi impianti fiscali. In un sistema razionalizzato in questi termini diventa possibile imputare con precisione le responsabilità, senza lo "scaricabarile" tra una istituzione e l'altra tipico della finanza derivata. In questo contesto pertanto si inseriscono, legittimamente e finalmente, i meccanismi premiali e sanzionatori del presente decreto.
Il presente decreto legislativo è infatti diretto a disciplinare i meccanismi premiali e sanzionatori, nonché ad istituire i meccanismi di governance del sistema risultante dalla attuazione della legge n. 42 del 2009.
In particolare, l'articolo 1 della legge n. 42 del 2009 specifica che l'attuazione dell’articolo 119 della Costituzione, avviene "assicurando autonomia di entrata e di spesa di comuni, province, città metropolitane e regioni e garantendo i princìpi di solidarietà e di coesione sociale, in maniera da sostituire gradualmente, per tutti i livelli di governo, il criterio della spesa storica", così "da garantire la loro massima responsabilizzazione e l'effettività e la trasparenza del controllo democratico nei confronti degli eletti".
E' proprio a quest'ultimo criterio che si ispira il presente decreto legislativo, nell'intento di fornire un contributo decisivo al superamento degli elementi che hanno condotto allo sviluppo di quello che nella Relazione del 30 giugno presentata dal Governo alle Camere viene definito "l'albero storto".
Il capo I del presente decreto disciplina i meccanismi sanzionatori. A questo riguardo è utile ricordare che nella stessa Relazione del 30 giugno veniva indicato, nel p.to 4 (le anomalie), quanto segue: "In questo contesto, un Presidente di Regione neo eletto, pur con le risorse tecniche che può avere a disposizione, in certe situazioni deve impiegare due o tre mesi per riuscire a scoprire l'effettivo deficit sanitario ereditato dalla gestione precedente. Rimane da chiedersi in base a che cosa hanno potuto votare i cittadini, ovvero che tipo di controllo democratico hanno potuto esercitare con il loro voto, se addirittura un Presidente di Regione fatica, dopo mesi, a far emergere il dato reale". In questi ultimi anni sono stati realizzati indubbi progressi nell'ambito del controllo e del contenimento della spesa sanitaria, esiste un apparato sanzionatorio consistente ed evoluto che ha permesso un graduale superamento di molte disfunzioni. Tuttavia, appare opportuno, con l’occasione della attuazione della delega prevista nella legge n. 42 del 2009, strutturare ulteriormente tale sistema, soprattutto attraverso l'istituzione di una dichiarazione certificata (l'inventario di fine legislatura regionale) che costituisca una sorta di strumento pubblico di rendicontazione d'uscita del Presidente della Regione. In altri termini si tratta di una dichiarazione certificata dei saldi prodotti e delle iniziative intraprese, da far approvare in Consiglio regionale prima delle elezioni regionali. Questo strumento serve innanzitutto per informare adeguatamente prima delle elezioni regionali, e senza rischio di strumentalizzazione politica, gli elettori sulle reali ed effettive condizioni finanziarie della Regione -e sulle azioni intraprese -, in particolare sulla situazione della spesa sanitaria, in modo che .quanto oggi già avviene a livello istituzionale in termini di verifica e monitoraggio sui Piani di rientro, sia portato con chiarezza alla attenzione di tutti gli elettori regionali. In questo modo diventa effettivamente possibile l'esercizio di quella funzione di controllo democratico degli eletti (vedo/pago/voto) che costituisce l'essenza del federalismo. In attuazione quindi di quanto previsto dall'art. 1 della legge n. 42 del 5 maggio 2009, nonché del principio di cui all'art. 2 (lett. dd) "trasparenza ed efficienza delle decisioni di entrata e di spesa, rivolte a garantire l'effettiva attuazione dei principi di efficacia, efficienza ed economicità", viene istituito l'inventario di fine legislatura regionale, obbligatorio per le Regioni soggette a piano di rientro sulla sanità, facoltativo per le altre Regioni. L'inventario di fine legislatura regionale deve essere approvato dal Consiglio regionale e pubblicato sul sito istituzionale della Regione almeno dieci giorni prima dello svolgimento delle elezioni regionali.
Uno strumento analogo, l'inventario di fine mandato provinciale e comunale, viene istituito obbligatoriamente (è facoltativo per gli altri Enti) per quelle Province e quei Comuni che si trovano nella situazione di dissesto finanziario ai sensi dell'articolo 244 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, in questo caso principalmente per garantire trasparenza sulla situazione dell'ente e sulle azioni intraprese.
Con queste misure, dirette anche a garantire il coordinamento della finanza pubblica e il rispetto dell'unità economica della Repubblica, il cittadino elettore viene quindi posto nelle condizioni effettive di esercitare quel controllo democratico sulle azioni dei governi regionali e locali che è alla base del federalismo, che proprio in forza di questo presupposto avvicina governanti e governati.
In questo quadro si struttura il sistema dei meccanismi sanzionatori, diretti ad evitare che la mala gestione ricada sui cittadini con incrementi indebiti della pressione fiscale. Viene introdotto l'istituto del cd. "fallimento politico" e dell'interdizione in attuazione dell'art. 17 lett. e) della legge n. 42 del 5 maggio 2009. Il sistema giuridico italiano ha sempre avuto la mano molto pesante contro l'imprenditore fallito: interdizione dai pubblici uffici, iscrizione infamante nel pubblico registro dei falliti. Solo dal 2006 queste sanzioni sono state mitigate, ma fino ad allora l'imprenditore fallito perdeva non solo la possibilità di candidarsi in una elezione politica, ma addirittura anche lo stesso diritto di voto. Tanto accanito contro l'imprenditore quanto inconcepibilmente tollerante con alcuni politici, lo stesso ordinamento italiano non ha quasi mai previsto nessuna sanzione specifica per quegli amministratori regionali o locali che mandavano in dissesto un Comune o disastravano i conti della sanità di una Regione. Il decreto introduce il fallimento politico per i Sindaci, i presidenti di Provincia, i presidenti di Regione. Per quanto riguarda i presidenti di Regione, il meccanismo si struttura sulla base dei meccanismi esistenti che vengono però configurati anche tenendo conto della nuova autonomia impositiva regionale, per evitare appunto che gli aumenti della addizionale regionale Irpef ricadano - oltre un certo livello e senza che siano stati attuate efficaci azioni di risanamento - sugli elettori regionali. Il fallimento politico per quanto riguarda il presidente di Regione, si struttura infatti in un meccanismo di rimozione ex art. 126 Cost., configurando come "grave violazione di legge", la situazione di grave dissesto finanziario. La legge n. 42 del 2009, all'art. 17, lett. e) prevede infatti che: "tra i casi di grave violazione di legge di cui all'articolo 126, primo comma, della Costituzione, rientrano le attività che abbiano causato un grave dissesto nelle finanze regionali". La norma del decreto configura quindi la fattispecie individuandola nel congiunto verificarsi di due situazioni: a) gravi e immotivate violazioni degli obblighi previsti dal piano di rientro sulla sanità, b) l'aumento, per due esercizi consecutivi dell'addizionale regionale Irpef al livello massimo previsto dal decreto legislativo in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario. Al realizzarsi di questa fattispecie, previo parere della Commissione parlamentare per le questioni regionali e previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, il Presidente del Consiglio dei Ministri propone al Presidente della Repubblica, ai sensi dell'articolo 126, comma primo, della Costituzione, la rimozione del Presidente della Giunta regionale per fallimento nel proprio mandato di amministrazione dell'ente Regione. Al verificarsi della rimozione, il rimborso in relazione alle spese elettorali sostenute per la campagna per il rinnovo del consiglio regionale spettante, ai sensi della legge 3 giugno 1999, n. 157, al partito politico, alla lista o alla coalizione di cui è espressione il Presidente rimosso è decurtato del 30% per il partito politico, la lista o la coalizione che presentino nuovamente la candidatura del presidente rimosso a qualsiasi altra carica pubblica elettiva prima che siano decorsi dieci anni dalla rimozione. E' vero che il Presidente rappresenta l'Ente e non il partito ma poiché si tratta di un finanziamento pubblico ed è legittimo ipotizzare un obbligo qualificato di controllo del partito sull'operato del Presidente, la sanzione appare giustificata dall'intento di garantire una particolare vigilanza sulla gestione della cosa pubblica.
In sintesi, quindi, la misura sanzionatoria nel suo insieme è diretta a tutelare i cittadini regionali e le imprese, evitando che ricada su di loro l'inefficienza di un Presidente che compie gravi ed immotivate violazioni di obblighi di risanamento dei bilanci della sanità della Regione che amministra. Il verificarsi del grave dissesto finanziario determina, inoltre, l'applicazione delle disposizioni di cui all'articolo 2, comma 79, lettera a), della legge 23 dicembre 2009, n. 191, in materia di decadenza automatica dei direttori generali, amministrativi e sanitari degli enti del servizio sanitario regionale, nonché dell'assessorato regionale competente.
Viene previsto anche il fallimento politico del Sindaco o del Presidente di Provincia. Più precisamente, viene allargato il meccanismo sanzionatorio già previsto dal comma 5, dell'articolo 248, del decreto legislativo n. 267 del 2000 quando si verifica la fattispecie di dissesto finanziario. In questo caso quando la Corte dei Conti accerta una precisa responsabilità del Sindaco o del Presidente di Provincia in carica - non si tratta quindi di responsabilità imputabili alle precedenti gestioni - a questi soggetti si applica la sanzione dell'ineleggibilità, per una durata di dieci anni, alle cariche di Sindaco, di Presidente di Provincia, di Presidente di Regione, nonché a membro dei consigli comunali, dei consigli provinciali, delle assemblee e dei consigli regionali, del Parlamento, del Parlamento europeo. Allo stesso al Presidente di Provincia o al Sindaco si applica la sanzione dell'interdizione dalle cariche in enti vigilati o partecipati da enti pubblici per un periodo di tempo di dieci anni. Inoltre, qualora, a seguito della dichiarazione di dissesto, la Corte dei Conti accerti gravi responsabilità nello svolgimento dell’attività del collegio dei revisori, i componenti del collegio riconosciuti responsabili non possono essere nominati nel collegio dei revisori degli enti locali e degli enti ed organismi agli stessi riconducibili per un periodo fino a 10 anni, in funzione della gravità accertata. Si prevede inoltre un meccanismo sostitutivo in ordine a quelle situazioni dove un Comune o una Provincia omettono, pur in presenza di accertate situazioni di gravità di violazioni contabili o di squilibrio strutturali, di deliberare la dichiarazione di dissesto.
Vengono infine previste alcune sanzioni relativamente al mancato rispetto del Patto di stabilità.
Il capo II disciplina meccanismi premiali e si struttura in una serie di misure relative al Patto di stabilità interno, che acquisiscono un valore nuovo in forza del processo di razionalizzazione complessivamente introdotto dai decreti attuativi della legge n. 42 del 2009 e alla nuova trasparenza che viene conquistata attraverso costi e fabbisogni standard, nonché attraverso il prossimo decreto sulla armonizzazione dei sistemi contabili. E' in questo nuovo contesto sistematico che devono essere considerate le innovazioni introdotte, che riguardano anche il concorso delle Province nella lotta all'evasione fiscale e che prevedono adeguati incentivi per l'impegno su questo versante.
Vengono previsti alcuni ulteriori meccanismi premiali diretti a razionalizzare la spesa sanitaria a favore delle Regioni che dal 2012 istituiscano una Centrale Regionale per gli Acquisti e l'aggiudicazione di procedure di gara per l'approvvigionamento di beni e servizi, nonché altre misure in relazione ai prezzi di riferimento delle prestazioni e dei servizi sanitari e non sanitari.
[1] L’art. 5 della legge 5 maggio 2009 n. 42, recante delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione, istituisce, nell’ambito della Conferenza unificata, la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, al fine generale di coordinare la finanza pubblica, composta di diversi livelli istituzionali di governo, la cui disciplina, funzionamento e composizione, secondo specifici principi e criteri direttivi, sono stabiliti dagli artt. 33-37 del D.Lgs. 6 maggio 2011 n. 68, recante disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario. In particolare, gli articoli summenzionati regolano l’oggetto, la composizione, le modalità di funzionamento, le funzioni e il supporto tecnico della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica.
[2] Istituita dall’art. 13 della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge di contabilità e finanza pubblica), al fine di assicurare un efficace controllo e monitoraggio degli andamenti della finanza pubblica, nonché per la ricognizione delle amministrazioni pubbliche interessate (vedi il Comunicato dell’ISTAT del 24 luglio 2010 che elenca le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato individuate ai sensi dell'articolo 1, comma 3 della citata legge 196/2009), e per dare attuazione e stabilità al federalismo fiscale, la Banca dati delle amministrazioni pubbliche è istituita presso il Ministero dell'economia e delle finanze e contiene i dati di bilanci di previsione, le relative variazioni, i conti consuntivi, quelli relativi alle operazioni gestionali. Tali dati sono a disposizione della Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale e della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica per l'espletamento delle attività, istituite, rispettivamente, dagli articoli 4 e 5 della citata legge 42/2009.
[3] Provvedimento 3 dicembre 2009.
[4] Ai sensi dell'articolo 2, comma 68, lettera c) della legge 23 dicembre 2009, n. 191 (legge finanziaria 2010), la quota di finanziamento, cosiddetta “premiale”, condizionata alla verifica positiva degli adempimenti regionali per l’equilibrio economico del settore sanitario, è fissata nelle misure del 3 per cento e del 2 per cento delle somme previste, rispettivamente, per le regioni che accedono all’erogazione nella misura del 97 per cento e per quelle che accedono all’erogazione nella misura del 98 per cento (per le regioni adempienti nel triennio precedente), ovvero in misura superiore, delle somme dovute a titolo di finanziamento ordinario della quota indistinta. All’erogazione di detta quota si provvede a seguito dell’esito positivo della verifica degli adempimenti previsti dalla normativa vigente e dalla presente legge.
[5] Prevista dall'art. 4 della citata legge 42/2009, la suddetta Commissione è istituita presso il Ministero dell’economia e delle finanze ed opera nell’ambito della Conferenza unificata, svolgendo funzioni di segreteria tecnica della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica di cui al citato art. 5 della legge 42/2009. La Commissione è formata da trentadue componenti, due dei quali rappresentanti dell'ISTAT, e, per i restanti trenta componenti, composta per metà da rappresentanti tecnici dello Stato e per metà da rappresentanti tecnici dei comuni, delle province, delle città metropolitane e delle regioni. La Commissione è sede di condivisione delle basi informative finanziarie, economiche e tributarie. La disciplina e le modalità di funzionamento della Commissione sono contenute nel D.P.C.M. del 3 luglio 2009, recante l’istituzione della Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale.
[6] Sulla determinazione del fabbisogno sanitario nazionale standard e sulla determinazione dei costi e dei fabbisogni standard regionali, vedi gli articoli 26 e 27 del D.Lgs. 6 maggio 2011, n. 68 recante disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario (dossier n. 446 del Servizio Studi – Area finanza pubblica).
[7] Con il D.M. 18 gennaio 2011 è stata avviata la valutazione straordinaria dello stato delle procedure amministrativo-contabili necessarie ai fini della certificazione dei bilanci di tutti gli enti del SSN, ivi compresi i policlinici universitari. In particolare l'art. 11 del Patto per la salute per il triennio 2010-2012, prevede, tra l'altro, che le regioni e le province autonome si impegnano, anche in relazione all'attuazione del federalismo fiscale, ad avviare le procedure per perseguire la certificabilità dei bilanci e che le medesime regioni effettuano una valutazione straordinaria dello stato delle procedure amministrativo contabili, con conseguente certificazione della qualità dei dati contabili delle aziende e del consolidato regionale relativi all'anno 2008 e che a tale adempimento provvedano le regioni sottoposte ai Piani di rientro entro il 31 ottobre 2010 e le altre regioni entro il 30 giugno 2011. Tale atto costituisce adempimento delle regioni ai fini dell'accesso al finanziamento integrativo del Servizio sanitario nazionale, come stabilito dall'art. 4 del Patto medesimo. Le risultanze della valutazione straordinaria verranno esaminate, entro il 31 marzo 2011, dai tavoli congiunti di verifica dei Livelli essenziali di assistenza (LEA) e degli adempimenti, di cui rispettivamente agli articoli 9 e 12 dell'Intesa Stato-regioni del 23 marzo 2005 per le regioni sottoposte ai Piani di rientro; le stesse risultanze verranno esaminate, entro il 31 luglio 2011, dal Tavolo di verifica adempimenti, di cui all'art. 12 della predetta intesa del 23 marzo 2005, per le altre regioni non sottoposte ai Piani di rientro.
Per approfondire il tema della certificazione dei bilanci regionali per il settore sanitario, vedi anche il dossier n. 403 del Servizio Studi – Dipartimento Bilancio – sullo schema di decreto legislativo n. 339, recante disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle regioni, degli enti locali e dei loro enti e organismi.
[8] L. 5 maggio 2009, n. 42, Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione.
[9] Per la definizione di dissesto finanziario, l’articolo 17, comma 1, lettera e) rinvia all’articolo 244 del Testo unico degli enti locali, secondo il quale esso si verifica quando l'ente non può garantire l'assolvimento delle funzioni e dei servizi indispensabili ovvero se esistono nei confronti dell'ente locale crediti liquidi ed esigibili di terzi cui non si possa fare validamente fronte con le modalità ordinarie (di cui agli artt. 193 e 194 del TUEL).
[10] Corte dei Conti, - Sezioni riunite in sede di controllo, Rapporto 2011 sul coordinamento della finanza pubblica, maggio 2011.
[11] Norme sanzionatorie sono tra l’altro recate dall’articolo 1, comma 174 della legge n. 311/2004 per le regioni che non hanno sottoscritto il piano di rientro e dall’articolo 1, comma 796, lettera b), della legge n. 296/2006 per quelle che invece lo hanno sottoscritto.
[12] L. 23 dicembre 2009, n. 191, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2010).
[13] Sulla figura del Commissario ad acta in ambito sanitario si rinvia alle sentenze della Corte costituzionale n. 78/2011, 361/2010 e 2/2010.
[14] Sul punto, Corte costituzionale, sentenza n. 78/2011:”L’operato del commissario ad acta, incaricato dell’attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario previamente concordato tra lo Stato e la Regione interessata, sopraggiunge all’esito di una persistente inerzia degli organi regionali, essendosi questi ultimi sottratti (…) ad un’attività che pure è imposta dalle esigenze della finanza pubblica. È, dunque, proprio tale dato – in uno con la constatazione che l’esercizio del potere sostitutivo è, nella specie, imposto dalla necessità di assicurare la tutela dell’unità economica della Repubblica, oltre che dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti un diritto fondamentale (art. 32 Cost.), qual è quello alla salute – a legittimare la conclusione secondo cui le funzioni amministrative del commissario, ovviamente fino all’esaurimento dei suoi compiti di attuazione del piano di rientro, devono essere poste al riparo da ogni interferenza degli organi regionali, senza che possa essere evocato il rischio di fare di esso l’unico soggetto cui spetti di provvedere per il superamento della situazione di emergenza sanitaria in ambito regionale”.
[15] Gli organismi di controllo previsti sono essenzialmente tre: il Tavolo tecnico per la verifica degli adempimenti regionali, il Comitato permanente per la verifica dell’erogazione dei livelli essenziali di assistenza (di cui rispettivamente all’art. 12 e all’art. 9 dell’intesa 23 marzo 2005) e la nuova Struttura tecnica di monitoraggio paritetica (STEM) prevista dall’articolo 3, comma 2, del Patto per la salute 2010-2012. Lo scadenziario temporale che regola la redazione, la sottoscrizione e le varie fasi di verifica è molto articolato e i termini previsti sono perentori.
[16] Nell’ambito dell’attività di affiancamento di propria competenza nei confronti delle regioni sottoposte al piano di rientro dai disavanzi, le procedure di leale collaborazione e il complessivo sistema delle autonomie regionali, vengono garantite dal fatto che il Ministero della salute, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, esprime un parere preventivo esclusivamente sui provvedimenti indicati nel piano di rientro.
[17] Per l’anno 2010 le regioni Lazio, Campania, Molise e Calabria hanno dovuto applicare le maggiorazioni dell’aliquota IRAP (+0,15 punti percentuali) e dell’addizionale regionale all’IRPEF (+0,30 punti percentuali) rispetto al livello delle aliquote vigenti elevando, pertanto, all’1,7% la misura dell’aliquota ordinaria dell’addizionale regionale IRPEF.
[18] D.Lgs. 6 maggio 2011, n. 68, Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario.
[19] La misura dell’aliquota di base indicata dalla norma in esame coincide con quella vigente fissata dall’articolo 50, comma 3, del decreto legislativo n. 446/1997 istitutivo dell’addizionale regionale IRPEF.
[20] E’ da presumersi dunque che la norma in commento, con riferimento all’”ulteriore incremento dell’aliquota […] al livello massimo” si riferisca a tali disposizioni.
[21] Per l’anno 2010 le regioni Lazio, Campania, Molise e Calabria hanno dovuto applicare le maggiorazioni dell’aliquota IRAP (+0,15 punti percentuali) e dell’addizionale regionale all’IRPEF (+0,30 punti percentuali) rispetto al livello delle aliquote vigenti elevando, pertanto, all’1,7% la misura dell’aliquota ordinaria dell’addizionale regionale IRPEF. Ciò in quanto, come si legge dal comunicato dell’Agenzia delle entrate del 2 luglio 2010 “il Tavolo per la verifica degli adempimenti e il Comitato permanente per la verifica dei livelli essenziali di assistenza hanno constatato per le regioni Lazio, Campania, Molise e Calabria la sussistenza delle condizioni per l’applicazione delle disposizioni recate dall’articolo 2, comma 86, della legge 191/2009, secondo le procedure di cui all’articolo 1, comma 174, della legge 311/2004”. In termini di cassa, la maggiorazione IRAP ha rilevato in sede di determinazione dell’acconto versato a novembre 2010 mentre per l’addizionale regionale IRPEF rileva nel 2011 in sede di conguaglio effettuato dal datore di lavoro per i redditi di lavoro dipendente ovvero in sede di saldo delle imposte per gli altri redditi.
[22] Si ricorda che a partire dalla prossima legislatura, l’importo di 1 euro sarà ridotto del 10% in virtù di quanto disposto dall’articolo 5, comma 4, del decreto-legge n. 78 del 2010. La legge finanziaria 2008 aveva già ridotto di 20 milioni di euro a decorrere dal 2008 l’autorizzazione di spesa destinata all’erogazione dei rimborsi ai partiti e movimenti politici delle spese elettorali e referendarie, di cui alla L. n. 157 del 1999 (L. 244/2007, art. 2, co. 275).
[23] Legge 23 dicembre 1996, n. 662, Misure di razionalizzazione della finanza pubblica.
[24] Decreto Legislativo 18 febbraio 2000, n. 56, Disposizioni in materia di federalismo fiscale, a norma dell'articolo 10 della L. 13 maggio 1999, n. 133.
[25] L’articolo 3, comma 2 dell’Intesa istituisce, quale struttura tecnica di supporto della Conferenza Stato-Regioni, la Struttura tecnica di monitoraggio paritetica, composta da sei rappresentanti del Ministero dell’economia e delle finanze, del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali e del Dipartimento per gli Affari regionali; sei rappresentanti delle regioni di cui tre di competenza di tipo economico e tre di competenza sanitaria; un rappresentante della Segreteria della Conferenza delle Regioni e Province autonome ed un rappresentante della Segreteria della Conferenza Stato-Regioni. Essa è poi presieduta da un ulteriore componente, scelto d’intesa fra lo Stato e le Regioni e si avvale per lo svolgimento delle proprie funzioni del supporto dell’AGENAS e dell’AIFA. L’attività ed il funzionamento sono disciplinati da regolamenti approvati in sede di Conferenza Stato-Regioni.
[26] Cfr. Le disposizioni recate dall'articolo 1, comma 174, della legge 30 dicembre 2004, n. 311.
[27] Il provvedimento di diffida è adottato su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto col Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali e sentito il Ministro per i rapporti con le regioni, il Consiglio dei Ministri, sentite la Struttura tecnica di monitoraggio di cui all'articolo 3, comma 2 della citata Intesa Stato-Regioni in materia sanitaria per il triennio 2010-2012 e la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, che esprimono il proprio parere entro il termine perentorio, rispettivamente, di 10 e 20 giorni dalla richiesta.
[28] D.Lgs. 30-12-1992 n. 502, Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della L. 23 ottobre 1992, n. 421.
[29] D.P.C.M. 19-7-1995 n. 502, Regolamento recante norme sul contratto del direttore generale, del direttore amministrativo e del direttore sanitario delle unità sanitarie locali e delle aziende ospedaliere, modificato, da ultimo, dal D.P.C.M. 31-5-2001 n. 319.
[30] Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario.
[31] Con riferimento alle banche dati a supporto dell’attività della Conferenza, si ricorda che l’articolo 5, comma 1 lettera g) della legge n. 42/2009 prevede l’istituzione di una banca dati comprendente indicatori di costo, di copertura e di qualità dei servizi, utilizzati per definire i costi e i fabbisogni standard e gli obiettivi di servizio, nonché per valutare il grado di raggiungimento degli obiettivi di servizio.
Posto che il decreto legislativo in esame – nell’ambito della disciplina relativa al supporto tecnico della Conferenza - non reca disposizioni circa l’attuazione della banca dati di cui all’articolo 5, comma 1, lett. g), è presumibile che le relative informazioni confluiranno nel patrimonio informativo finalizzato all’attuazione del federalismo fiscale che sarà contenuto nella seconda sezione della banca dati unitaria delle pubbliche amministrazioni, di cui al citato all’articolo 13 della legge di contabilità.
[32] La normativa sopra citata prevede che, qualora, per sopravvenute cause di forza maggiore, non possa farsi luogo alle elezioni per la data fissata dal decreto di convocazione dei comizi, il prefetto può disporne il rinvio, non oltre sessanta giorni, con proprio decreto, da rendersi noto con manifesto del sindaco.
[33] Con accessibilità dei referti delle verifiche, su richiesta delle amministrazioni, nei limiti e con le modalità della legge in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi (legge 7 agosto 1990, n. 241).
[34] Mediante attivazione della procedura di cui all’articolo 8 della Legge n. 131/2003, di attuazione dell’art.. 120 della Costituzione.
[35] Per i dirigenti delle ASL le cause di ineleggibilità non hanno effetto se le funzioni esercitate da loro siano cessate almeno 180 giorni prima della data di scadenza dei periodi di durata degli organi. In caso di scioglimento anticipato delle rispettive assemblee elettive, le cause di ineleggibilità non hanno effetto se le funzioni esercitate siano cessate entro i sette giorni successivi alla data del provvedimento di scioglimento. Il direttore generale, il direttore amministrativo ed il direttore sanitario, in ogni caso, non sono eleggibili nei collegi elettorali nei quali sia ricompreso, in tutto o in parte, il territorio dell'azienda sanitaria locale o ospedaliera presso la quale abbiano esercitato le proprie funzioni in un periodo compreso nei sei mesi antecedenti la data di accettazione della candidatura.
[36] Nei comuni con popolazione inferiore a 15.000 abitanti, nelle unioni dei comuni e nelle comunità montane la revisione economico-finanziaria è affidata ad un solo revisore.
[37] L’articolo 141 del T.U.E.L. disciplina lo scioglimento dei Consigli comunali, prevedendo in particolare, che esso avvenga con D.P.R., su proposta del Ministro dell’interno (comma 1).
Il rinnovo del consiglio nelle ipotesi di scioglimento deve coincidere con il primo turno elettorale utile previsto dalla legge (comma 4).
Inoltre, i consiglieri cessati dalla carica per effetto dello scioglimento continuano ad esercitare, fino alla nomina dei successori, gli incarichi esterni loro eventualmente attribuiti (comma 5).
Al decreto di scioglimento è allegata la relazione del Ministro contenente i motivi del provvedimento; dell'adozione del decreto di scioglimento è data immediata comunicazione al Parlamento. Il decreto è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale (comma 6).
Iniziata la procedura ed in attesa del decreto di scioglimento, il prefetto, per motivi di grave e urgente necessità, può sospendere, per un periodo comunque non superiore a novanta giorni, i consigli comunali e provinciali e nominare un commissario per la provvisoria amministrazione dell'ente (comma 7).
[38] Ai sensi dell’articolo 244 del D.Lgs. n. 267/2000 si ha stato di dissesto finanziario qualora l'ente non può garantire l'assolvimento delle funzioni e dei servizi indispensabili, ovvero esistono nei confronti dell'ente locale crediti liquidi ed esigibili di terzi cui non si possa fare validamente fronte con le modalità ordinarie di cui all'articolo 193 per la salvaguardia degli equilibri di bilancio, nonché con le modalità di cui all'articolo 194 per le fattispecie ivi previste (Riconoscimento di legittimità di debiti fuori bilancio).
[39] Come modificati dall'art. 2 comma 33, del D.L. 225/2010 (legge n. 10/2011).
[40] La legge regionale disciplina, in genere il trattamento economico dei membri del consiglio regionale, l'eventuale indennità di carica del Presidente della Regione e dei componenti della Giunta ed estende ai componenti della Giunta, che non siano consiglieri, il trattamento economico – oltre che le altre prerogative – di questi ultimi.
[41] Si veda da ultimo la Sentenza n. 52 del 2010: “Considerato in diritto 12.3.— Infine, un terzo ambito materiale che viene in rilievo è rappresentato dal coordinamento della finanza pubblica di cui al terzo comma dell’art. 117 Cost. La giurisprudenza di questa Corte è ormai costante nel ritenere che norme statali che fissano limiti alla spese di enti pubblici regionali sono espressione della finalità di coordinamento finanziario (da ultimo, sentenze numeri 237 e 139 del 2009). Il legislatore statale può, dunque, legittimamente imporre alle Regioni vincoli alla spesa corrente per assicurare l’equilibrio unitario della finanza pubblica complessiva, in connessione con il perseguimento di obbiettivi nazionali, condizionati anche da obblighi comunitari (sentenza n. 237 del 2009). Questa Corte, inoltre, pur affermando che le misure statali non devono prevedere in modo esaustivo strumenti o modalità per il perseguimento dei suddetti obbiettivi (sentenza n. 289 del 2008), ha chiarito che possono essere ricondotti nell’ambito dei principio di coordinamento della finanza pubblica «norme puntuali adottate dal legislatore per realizzare in concreto la finalità del coordinamento finanziario, che per sua natura eccede le possibilità di intervento dei livelli territoriali sub-statali» (sentenza n. 237 del 2009 e già sentenza n. 417 del 2005)”. Si veda inoltre, a seguire la Sentenza n. 157 del 2007. In relazione alla mancata ottemperanza da parte regionale, di una prescrizione connessa alla necessità di sanare il disavanzo sanitario, si veda, da ultimo la sentenza n. 163 del 2011, con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato illegittima una norma della regione Calabria (L.R. 16/2010, art. 1) in contrasto con l'accordo stipulato con lo Stato e con il relativo piano di rientro del disavanzo.
[42] «Il censurato comma 54, nel fissare la riduzione delle indennità corrisposte ai titolari degli organi politici regionali «nella misura del 10 per cento rispetto all'ammontare risultante alla data del 30 settembre 2005, pone un precetto specifico e puntuale, comprimendo l'autonomia finanziaria regionale ed eccedendo dall'ambito dei poteri statali in materia di coordinamento della finanza pubblica (sentenza n. 417 del 2005). La legge statale può prescrivere criteri e obiettivi (ad esempio, il contenimento della spesa pubblica), non imporre alle Regioni minutamente gli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere quegli obiettivi. Ciò si risolve «in un'indebita invasione dell'area riservata dall'art. 119 Cost. alle autonomie regionali» (si vedano, tra le molte, le sentenze n. 88 del 2006 e n. 449 del 2005).» da Sentenza Corte costituzionale n. 157 del 2007, considerato in diritto, punto 5.2.
[43] In particolare, i citati commi 119 e 120 dell’articolo 1 della legge n. 220/2010, che recano le misure di carattere sanzionatorio applicabili, a regime, agli enti locali che non abbiano rispettato gli obiettivi del patto di stabilità, dispongono, per gli enti inadempienti, nell'anno successivo a quello dell'inadempienza:
- il divieto di impegnare spese di parte corrente in misura superiore all’importo annuale medio degli impegni effettuati nell’ultimo triennio (co. 119, lett. a);
- il divieto di ricorrere all’indebitamento per finanziare gli investimenti (co. 119, lett. b);
- il divieto di procede ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo, con qualsivoglia tipologia contrattuale, compresi i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa e di somministrazione. È fatto altresì divieto agli enti di stipulare contratti di servizio con soggetti privati che si configurino come elusivi della presente disposizione (co. 119, lett. c);
- la riduzione del 30% delle indennità di funzione e dei gettoni di presenza, indicati nell'articolo 82 del TUEL , rispetto all'ammontare risultante alla data del 30 giugno 2008 (co. 120).
Alle suddette misure sanzionatorie si aggiunge, inoltre, quanto già disposto dall’articolo 14, comma 3, del D.L. n. 78/2010, che ha previsto, nelle ipotesi di mancato rispetto dei vincoli del patto di stabilità interno per gli anni 2010 e successivi, che a tali enti si applichi una sanzione consistente nella riduzione dei trasferimenti erariali in misura pari allo scostamento da essi registrato rispetto all’obiettivo (comma 121).
[44] In particolare, i trasferimenti erariali in favore dei comuni sono stati soppressi, a decorrere dal 2011, dall’articolo 1, comma 8, del D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23, recante “Disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale”; i trasferimenti erariali in favore delle province sono stati soppressi, a decorrere dal 2012, dall’articolo 18 del D.Lgs. 6 maggio 2011, n. 68, recante “Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario”.
[45] Si ricorda che la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, prevista dall’articolo 5 della legge n. 42/2009, è stata di recente istituita dal D.Lgs. 6 maggio 2011, n. 68, recante “Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario”.
[46] Cfr. in particolare l’art. 1, commi 119-120 e 147-149 della L. 220/2010 e l’art. 14, comma 3, del DL n. 78/2010.
[47] Fattispecie già introdotta, con riferimento alle sole regioni, dalla legge finanziaria per il 2011.
[48] Il complesso di questi trasferimenti è quantificato dal Governo (allegato 1 alla Relazione tecnica al Disegno di legge di conversione del DL 78/2010 - AS 2228) in complessivi 3.186 milioni di euro. Si ricorda inoltre che il comma 2 dell’articolo 14 dello stesso DL 78/2010 dispone la riduzione delle risorse spettanti alle regioni – a qualsiasi titolo - di 4.000 milioni di euro per l’anno 2011.
[49] L'articolo 6 prevede una serie di disposizioni volte al contenimento della spesa degli apparati amministrativi, in particolare delle pubbliche amministrazioni ai commi da 1 a 14. I commi da 1 a 5 sono volti alla riduzione dei costi degli organi collegiali: rendendo onorifica la partecipazione a determinati organi collegiali e a quelli degli enti che ricevono contributi a carico delle finanze pubbliche (commi 1 e 2); riducendo del 10% i compensi dei componenti degli organi di indirizzo, direzione e controllo, consigli di amministrazione e organi collegiali comunque denominati di tutte le pubbliche amministrazione comunque denominate (comma 3); prevedendo che i compensi dovuti al dipendente pubblico che sia autorizzato a partecipare all'amministrazione o a fare parte di collegi sindacali di società o enti siano corrisposti non all'impiegato stesso ma all'amministrazione di cui egli fa parte (comma 4); ponendo un limite al numero di componenti degli organi di amministrazione e controllo di tutti gli enti pubblici, anche economici (comma 5). Il comma 6 dispone la riduzione del 10% del compenso degli organi di amministrazione e controllo di società non quotate del conto della P.A. e di società totalmente possedute dalle amministrazioni pubbliche. I commi da 7 a 14 dispongono limiti per le amministrazioni pubbliche del conto P.A., incluse le autorità indipendenti, alle spese per studi, incarichi di consulenza, relazioni pubbliche,convegni, mostre, pubblicità, missioni, formazione e per autovetture.
[50] Il regolamento non risulta adottato, né all'ordine del giorno della Conferenza Stato Regioni.
[51] http://www.avcp.it/portal/rest/jcr/repository/collaboration/Digital%20Assets/Pdf/Centrali_Committenza.pdf
[52] Tale quota nel 2010 è stata di circa 103 miliardi di euro.
[53] La quota di finanziamento per attività a destinazione vincolata è stata pari a circa 2,3 miliardi di euro nel 2010 (di cui 1,4 miliardi per obiettivi di piano), cui si aggiungono 167,8 milioni per la medicina penitenziaria..
[54] Recante disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale.
[55] Soglia così elevata dall’articolo 18, comma 5, lettera a) del D. L. 78 del 2010.
[56] Misure di contrasto all'evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria.
[57] D.Lgs. 6 maggio 2011, n. 68, recante disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario.
[58] Valle d’Aosta L. Cost. 4/1948 art. 2 e D.Lgs. 431/1989; Trentino-Alto Adige D.P.R. 670/1972 artt. 4 e 80, D.P.R. 473/1975 e D.Lgs. 268/1992; Friuli-Venezia Giulia L. Cost. 1/1963 art. 4, D.P.R. 114/1965 art. 8 e D.Lgs. 9/1997; Sicilia R.D.Lgs. 455/1946 art. 14; Sardegna L.Cost. 3/1948 art. 3.