Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento bilancio
Titolo: Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria - A.C. 1441 - Schede di lettura
Riferimenti:
AC N. 1441/XVI     
Serie: Progetti di legge    Numero: 33
Data: 29/07/2008
Descrittori:
ECONOMIA NAZIONALE   FINANZA PUBBLICA
ORGANIZZAZIONE FISCALE   PIANI DI SVILUPPO
PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO     
Organi della Camera: V-Bilancio, Tesoro e programmazione


Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

SERVIZIO STUDI

 

Progetti di legge

 

 

Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività,
la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria

A.C. 1441

Schede di lettura

 

 

 

 

 

n. 33

Edizione provvisoria

 

29 luglio 2008

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Coordinamento: Dipartimento Bilancio e politica economica

 

 

I dossier del Servizio studi sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.

 

File: BI0021.doc


INDICE

Schede di lettura

§      Articolo 1 (Concentrazione strategica degli interventi del Fondo per le aree sottoutilizzate)7

§      Articolo 2 (Fondo per il finanziamento di interventi finalizzati al potenziamento della rete infrastrutturale di livello nazionale)9

§      Articolo 3 (Distretti produttivi e reti di imprese)12

§      Articolo 4 (Banca del Mezzogiorno)19

§      Articolo 5 (Riforma degli interventi di reindustrializzazione)22

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE (a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)28

§      Articolo 6 (Internazionalizzazione delle imprese)29

§      Articolo 7 (Commercio internazionale e incentivi per l'internazionalizzazione delle imprese)32

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE (a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)35

§      Articolo 8 (Fondi regionali con finalità di venture capital gestiti dalla SIMEST Spa)39

§      Articolo 9 (Utilizzo della quota degli utili della SIMEST Spa)41

§      Articolo 10 (Tutela penale dei diritti di proprietà industriale)44

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE (a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)48

§      Articolo 11 (Beni contraffatti)51

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE (a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)51

§      Articolo 12 (Contrasto della contraffazione)52

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE (a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)55

§      Articolo 13 (Proprietà industriale)56

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE (a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)61

§      Articolo 14 (Banda larga)64

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE (a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)68

§      Articolo 15 (Delega al Governo per la definizione dei criteri di localizzazione dei siti nucleari e delle misure compensative da riconoscere alle popolazioni interessate)69

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE (a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)75

Procedure di contenzioso (a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)76

§      Articolo 16 (Energia nucleare)78

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE (a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)78

§      Articolo 17 (Promozione dell'innovazione nel settore energetico)82

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE (a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)86

§      Articolo 18 (Tutela giurisdizionale)88

§      Articolo 19 (Centrali di committenza)91

§      Articolo 20 (Infrastrutture militari)99

§      Articolo 21 (Delega al Governo per la riforma dei servizi pubblici locali)104

§      Articolo 22 (Razionalizzazione della rete di distribuzione dei carburanti)111

§      Articolo 23 (Delega al Governo per la revisione della disciplina in tema di lavori usuranti)116

§      Articolo 24 (Deleghe al Governo per la riorganizzazione di enti vigilati dal Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali)127

§      Articolo 25 (Chiarezza dei testi normativi)130

§      Articolo 26 (Certezza dei tempi di conclusione del procedimento)134

§      Articolo 27 (Certezza dei tempi in caso di attività consultiva e valutazioni tecniche)150

§      Articolo 28 (Conferenza di servizi e silenzio assenso)165

§      Articolo 29 (Ulteriori livelli di tutela previsti dalle autonomie territoriali)178

§      Articolo 30, commi 1-2 (Farmacie rurali)184

§      Articolo 30, commi 3-5 (Ordinamento contabile e finanziario dei comuni con popolazione inferiore a 5000 abitanti)186

§      Articolo 30, comma 6 (Segretario comunale)190

§      Articolo 31 (Progetti di innovazione industriale)194

§      Articolo 32 (Misure contro il lavoro sommerso)197

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE (a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)203

§      Articolo 33 (Cooperazione allo sviluppo internazionale)205

 

§      Articolo 34 (Trasparenza dei flussi finanziari dei Fondi strutturali comunitari e del Fondo per le aree sottoutilizzate)208

§      Articolo 35 (Misure in tema di concorrenza  e tutela degli utenti nel settore postale)211

§      Articolo 36 (Efficienza dell'azione amministrativa)216

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE (a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)218

§      Articolo 37 (Territorializzazione delle procedure concorsuali)220

§      Articolo 38 (Mobilità del personale delle pubbliche amministrazioni)224

§      Articolo 39 (Aspettativa)231

§      Articolo 40 (Trasparenza sulle retribuzioni e sulle collaborazioni autonome)234

§      Articolo 41 (Spese di funzionamento)235

§      Articolo 42 (Trasferimento delle risorse e delle funzioni agli enti territoriali)239

§      Articolo 43 (Mobilità delle funzioni amministrative e uso ottimale degli immobili pubblici)250

§      Articolo 44 (Diffusione delle buone prassi nelle pubbliche amministrazioni e tempi per l'adozione dei provvedimenti o per l'erogazione dei servizi al pubblico)255

§      Articolo 45 (Modifica all'articolo 2470 del codice civile, in materia di cessione di quote di società a responsabilità limitata)258

§      Articolo 46 (Riorganizzazione del Centro nazionale per l'informatica nella pubblica amministrazione, del Centro di formazione studi e della Scuola superiore della pubblica amministrazione)263

§      Articolo 47 (Tutela non giurisdizionale dell'utente dei servizi pubblici)270

§      Articolo 48 (Eliminazione degli sprechi relativi al mantenimento di documenti in forma cartacea)273

§      Articolo 49 (Delega al Governo per la modifica del codice dell'amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82)275

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE (a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)281

§      Articolo 50 (VOIP e Sistema pubblico di connettività)283

§      Articolo 51 (Riallocazione di fondi)289

§      Articolo 52 (Modifiche al libro primo del codice di procedura civile)295

 

§      Articolo 53 (Modifiche al libro secondo del codice di procedura civile)306

§      Articolo 54 (Modifiche al libro terzo del codice di procedura civile)322

§      Articolo 55 (Modifiche al libro quarto del codice di procedura civile)323

§      Articolo 56 (Procedimento sommario non cautelare)326

§      Articolo 57 (Modifiche alle disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368)328

§      Articolo 58 (Abrogazione dell'articolo 3 della legge 21 febbraio 2006, n. 102)332

§      Articolo 59 (Notificazione a cura dell'Avvocatura dello Stato)333

§      Articolo 60 (Abrogazioni)335

§      Articolo 61 (Disposizioni transitorie)338

§      Articolo 62 (Sospensione dei termini processuali nel periodo feriale)340

§      Articolo 63 (Misure urgenti per il recupero di somme afferenti al bilancio della giustizia e per il contenimento e la razionalizzazione delle spese di giustizia)341

§      Articolo 64 (Abrogazioni e modificazione di norme)351

§      Articolo 65 (Clausole generali e certificazione)353

§      Articolo 66 (Conciliazione e arbitrato)360

§      Articolo 67 (Decadenze)374

§      Articolo 68 (Rimedi giustiziali contro la pubblica amministrazione)379

§      Articolo 69 (Patrimonio dello Stato Spa)380

§      Articolo 70 (SACE Spa)381

§      Articolo 71 (Società pubbliche)384

§      Articolo 72 (Copertura finanziaria delle leggi e legge finanziaria)391

§      Articolo 73 (Attuazione del federalismo)397

§      Articolo 74 (Corte dei conti)399

§      Articolo 75 (Disposizioni finanziarie)408

 


A v v e r t e n z a

Si fa presente che gli articoli 1, 2, 3, 4, 14, 20, 21, 22, 28, 42, 45, 72, del disegno di legge A.C. 1441 oggetto del presente dossier riproducono o pongono problemi di coordinamento con disposizioni contenute nel decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, in corso di conversione.

Al fine di agevolare la consultazione del presente dossier, le singole disposizioni del disegno di legge vengono di seguito aggregate sulla base delle materie alle quali afferiscono:

Articolo

Affari costituzionali

21

Delega per la riforma dei servizi pubblici locali

25

Chiarezza dei testi normativi

26

Certezza dei tempi di conclusione del procedimento

27

Certezza dei tempi in caso di attività consultiva e valutazioni tecniche

28

Conferenza di servizi e silenzio assenso

29

Ulteriori livelli di tutela previsti dalle Autonomie territoriali

30, co. 6

Segretario comunale

36

Efficienza dell’azione amministrativa

41

Spese di funzionamento

42

Trasferimento delle risorse e delle funzioni agli enti territoriali

43

Mobilità delle funzioni amministrative e uso ottimale degli immobili pubblici

44

Diffusione delle buone prassi nelle pubbliche amministrazioni e tempi per il rilascio dei provvedimenti o per l’erogazione dei servizi al pubblico

46

Riorganizzazione del CNIPA, del FORMEZ e della SSPA

47

Tutela non giurisdizionale dell’utente dei servizi pubblici

48

Eliminazione degli sprechi relativi al mantenimento di documenti in cartaceo

49

Codice dell’amministrazione digitale

50

VOIP e Sistema pubblico di connettività

51, co. 3

Riallocazione di fondi

73

Attuazione del federalismo

74,
co. 1-3 e co. 12

Corte dei Conti

 

 

Articolo

Affari sociali

24

Deleghe al Governo per la riorganizzazione di enti vigilati dal Ministero del lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali

30,
co. 1-2

Farmacie rurali

 

 

Articolo

Ambiente

2

Fondo per il finanziamento di interventi finalizzati al potenziamento della rete infrastrutturale di livello nazionale

15

Delega al Governo per la definizione dei criteri di localizzazione dei siti nucleari e delle misure compensative da riconoscere alle popolazioni interessate

19

Centrali di committenza

 

 

Articolo

Attività produttive

3

Distretti produttivi e reti di imprese

5

Riforma degli interventi di reindustrializzazione

6

Internazionalizzazione delle imprese

7

Commercio internazionale e incentivi per l’internazionalizzazione delle imprese

8

SIMEST s.p.a.

9

Utilizzo della quota degli utili SIMEST s.p.a.

10

Tutela dei diritti di proprietà industriale

11

Beni contraffatti

12

Contrasto alla contraffazione

13

Proprietà industriale

15

Delega al Governo per la definizione dei criteri di localizzazione dei siti nucleari e delle misure compensative da riconoscere alle popolazioni interessate

16

Energia nucleare

17

Promozione dell’innovazione nel settore energetico

18

Tutela giurisdizionale

22

Razionalizzazione della rete di distribuzione dei carburanti

31

Progetti di innovazione industriale

47

Tutela non giurisdizionale dell’utente dei servizi pubblici

51, co. 2

Riallocazione di fondi

70

SACE

 

 

Articolo

Bilancio

1

Concentrazione strategica degli interventi del Fondo per le aree sottoutilizzate

2

Fondo per il finanziamento di interventi finalizzati al potenziamento della rete infrastrutturale di livello nazionale

4

Banca del Mezzogiorno

5

Ruolo dell’Agenzia e attrazione investimenti

30,
co. 3-5

Ordinamento contabile e finanziario dei comuni con popolazione inferiore a 5000 abitanti

34

Trasparenza dei flussi finanziari dei Fondi strutturali comunitari e del Fondo per le aree sottoutilizzate

Articolo

(segue Bilancio)

69

Patrimonio s.p.a.

71

Società pubbliche

72

Copertura finanziaria delle leggi e legge finanziaria

73

Attuazione del federalismo

74,
co. 4-11

Corte dei Conti

75

Disposizioni finanziarie

 

 

Articolo

Cultura

13, co. 3

Proprietà industriale

51, co. 1

Riallocazione di fondi

 

 

Articolo

Difesa

20

Infrastrutture militari

 

 

Articolo

Esteri

33

Cooperazione allo sviluppo internazionale

 

 

Articolo

Finanze

4

Banca del Mezzogiorno

20

Infrastrutture militari

45

Cessioni di quote di società a responsabilità limitata

 

 

Articolo

Giustizia

10

Tutela dei diritti di proprietà industriale

11

Beni contraffatti

12

Contrasto alla contraffazione

13

Proprietà industriale

18

Tutela giurisdizionale

45

Cessioni di quote di società a responsabilità limitata

52

Modifiche al Libro Primo del codice di procedura civile

53

Modifiche al Libro Secondo del codice di procedura civile

54

Modifiche al Libro Terzo del codice di procedura civile

55

Modifiche al Libro Quarto del codice di procedura civile

56

Procedimento sommario non cautelare

57

Modifiche alle Disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile

58

Abrogazione dell’articolo 3 della legge 21 febbraio 2006, n. 102

59

Notificazione a cura dell’Avvocatura dello Stato

60

Abrogazioni

Articolo

(segue Giustizia)

61

Disposizioni transitorie

62

Sospensione dei termini processuali nel periodo feriale

63

Misure urgenti per il recupero di somme afferenti al bilancio della giustizia e per il contenimento e la razionalizzazione delle spese di giustizia

64

Abrogazioni di norme primarie

65

Clausole generali e certificazione

66

Conciliazione e arbitrato

67

Decadenze

68

Rimedi giustiziali contro la pubblica amministrazione

Articolo

Lavoro

23

Delega al Governo per la revisione della disciplina in tema di lavori usuranti

24

Deleghe al Governo per la riorganizzazione di enti vigilati dal Ministero del lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali

32

Misure contro il lavoro sommerso

36

Efficienza dell’azione amministrativa

37

Territorializzazione delle procedure concorsuali

38

Mobilità del personale delle amministrazioni pubbliche

39

Aspettativa

40

Trasparenza sulle retribuzioni e sulle collaborazioni autonome

46

Riorganizzazione del CNIPA, del FORMEZ e della SSPA

65

Clausole generali e certificazione

66

Conciliazione e arbitrato

67

Decadenze

 

 

Articolo

Trasporti

14

Banda larga

35

Misure in tema di concorrenza e tutela degli utenti nel settore postale

 

 


Schede di lettura

 


 

Articolo 1
(Concentrazione strategica degli interventi
del Fondo per le aree sottoutilizzate)

 


1. Al fine di rafforzare la concentrazione delle risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate, di cui all'articolo 61 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, e successive modificazioni, su interventi di rilevanza strategica nazionale, sono revocate le relative assegnazioni operate dal Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) per il periodo 2000-2006 in favore di amministrazioni centrali con le delibere adottate fino al 31 dicembre 2006, nel limite dell'ammontare delle risorse che entro la data del 31 maggio 2008 non sono state impegnate o programmate nell'ambito di accordi di programma quadro sottoscritti entro la medesima data, con esclusione delle assegnazioni per progetti di ricerca, anche sanitaria.

2. Le disposizioni di cui al comma 1, per le analoghe risorse ad esse assegnate, costituiscono norme di principio per le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. Lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, tramite intese in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, sentite le amministrazioni centrali di volta in volta interessate, definiscono i criteri e le modalità per la riprogrammazione delle risorse disponibili.

3. Le risorse oggetto della revoca di cui al comma 1 che sono già state trasferite ai soggetti assegnatari sono versate in entrata nel bilancio dello Stato per essere riassegnate all'unità previsionale di base in cui è iscritto il Fondo per le aree sottoutilizzate.


 

 

Le disposizioni contenute all’articolo 1 risultano quasi identiche (v. infra) a quelle dell’articolo 6-quater del D.L. n. 112 del 2008, come modificato nel corso dell’esame in prima lettura alla Camera dei deputati.

 

L’articolodispone la revoca delle assegnazioni effettuate dal CIPE fino al 31 dicembre 2006 a valere sulle risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS) a favore di amministrazioni centrali (comma 1) e regionali (comma 2), che non risultano ancora impegnate alla data del 31 maggio 2008, ovvero programmate nell’ambito delle Accordi di programma quadro (APQ) sottoscritti entro tale termine.

Sono escluse le assegnazioni per progetti di ricerca, anche sanitaria.

Rispetto al testo in esame, il richiamato articolo 6-quater del D.L. n. 112 del 2008, prevede che la revoca delle risorse sia effettuata su indicazione dei Ministri competenti. Inoltre, viene fatto salvo il principio in base al quale la ripartizione delle risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate si effettua nella percentuale dell’85% in favore delle regioni del Mezzogiorno e del restante 15% in favore delle regioni del centro Nord.

 

Secondo la relazione illustrativa le risorse recuperabili sono stimate in 700 milioni di euro.

 

Art. 1 - A.C. 1441

Art. 6 quater D.L. n. 112/2008

1. Al fine di rafforzare la concentra­zione delle risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate, di cui all'articolo 61 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, e suc­cessive modificazioni, su interventi di rilevanza strategica nazionale, sono re­vocate le relative assegnazioni operate dal Comitato interministeriale per la pro­grammazione economica (CIPE) per il periodo 2000-2006 in favore di ammini­strazioni centrali con le delibere adottate fino al 31 dicembre 2006, nel limite del­l'ammontare delle risorse che entro la data del 31 maggio 2008 non sono state impegnate o programmate nell'ambito di accordi di programma quadro sottoscritti entro la medesima data, con esclusione delle assegnazioni per progetti di ricerca, anche sanitaria.

1. Al fine di rafforzare la concentra­zione su interventi di rilevanza strate­gica nazionale delle risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate, di cui all'arti­colo 61 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, e successive modificazioni, su indi­cazione dei Ministri competenti sono revocate le relative assegnazioni operate dal Comitato interministeriale per la pro­grammazione economica (CIPE) per il periodo 2000-2006 in favore di ammini­strazioni centrali con le delibere adottate fino al 31 dicembre 2006, nel limite del­l'ammontare delle risorse che entro la data del 31 maggio 2008 non sono state impegnate o programmate nell'ambito di accordi di programma quadro sottoscritti entro la medesima data, con esclusione delle assegnazioni per progetti di ricerca, anche sanitaria. In ogni caso è fatta salva la ripartizione dell’85 % delle ri­sorse alle regioni del Mezzogiorno e il restante 15% alle regioni del Centro-Nord.

2. Le disposizioni di cui al comma 1, per le analoghe risorse ad esse asse­gnate, costituiscono norme di principio per le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. Lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bol­zano, tramite intese in sede di Confe­renza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, sentite le amministrazioni centrali di volta in volta interessate, definiscono i criteri e le mo­dalità per la riprogrammazione delle ri­sorse disponibili.

2. Le disposizioni di cui al comma 1, per le analoghe risorse ad esse asse­gnate, costituiscono norme di principio per le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. Lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bol­zano, tramite intese in sede di Confe­renza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, sentite le amministrazioni centrali di volta in volta interessate, definiscono i criteri e le mo­dalità per la riprogrammazione delle ri­sorse disponibili.

3. Le risorse oggetto della revoca di cui al comma 1 che sono già state trasferite ai soggetti assegnatari sono versate in entrata nel bilancio dello Stato per essere riassegnate all'unità previsionale di base in cui è iscritto il Fondo per le aree sot­toutilizzate.

3. Le risorse oggetto della revoca di cui al comma 1 che sono già state trasferite ai soggetti assegnatari sono versate in entrata nel bilancio dello Stato per essere riassegnate all'unità previsionale di base in cui è iscritto il Fondo per le aree sot­toutilizzate.

 


 

Articolo 2
(Fondo per il finanziamento di interventi finalizzati al potenziamento della rete infrastrutturale di livello nazionale)

 


1. È istituito, nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico, a decorrere dall'anno 2009, un fondo per il finanziamento, in via prioritaria, di interventi finalizzati al potenziamento della rete infrastrutturale di livello nazionale, ivi comprese le reti di telecomunicazione e quelle energetiche, di cui è riconosciuta la valenza strategica ai fini della competitività e della coesione del Paese. Il fondo è alimentato con gli stanziamenti nazionali assegnati per l'attuazione del Quadro strategico nazionale per il periodo 2007-2013 in favore di programmi di interesse strategico nazionale, di progetti speciali e di riserve premiali, fatte salve le risorse che, alla data del 31 maggio 2008, siano state vincolate all'attuazione di programmi già esaminati dal CIPE o destinate al finanziamento del meccanismo premiale disciplinato dalla delibera CIPE n. 82/2007 del 3 agosto 2007, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 301 del 29 dicembre 2007.

2. Con delibera del CIPE, su proposta del Ministero dello sviluppo economico, si provvede alla ripartizione del fondo di cui al comma 1, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. Nel rispetto delle procedure previste dal regolamento (CE) n. 1083/2006 del Consiglio, dell'11 luglio 2006, e successive modificazioni, i programmi operativi nazionali finanziati con risorse comunitarie per l'attuazione del Quadro strategico nazionale per il periodo 2007-2013 possono essere ridefiniti in coerenza con i princìpi di cui al presente articolo.

3. Costituisce principio fondamentale ai sensi dell'articolo 117, terzo comma, della Costituzione la concentrazione, da parte delle regioni, delle risorse del Quadro strategico nazionale per il periodo 2007-2013 su infrastrutture di interesse strategico regionale, in sede di predisposizione dei programmi finanziati dal Fondo per le aree sottoutilizzate, di cui all'articolo 61 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, e successive modificazioni, e di ridefinizione dei programmi finanziati dai Fondi strutturali comunitari.


 

 

Le disposizioni contenute all’articolo 2 risultano quasi identiche (v. infra) a quelle dell’articolo 6-quinquies del D.L. n. 112 del 2008, come modificato nel corso dell’esame in prima lettura alla Camera dei deputati.

 

Il comma 1 dell’articoloistituisce, a decorrere dal 2009, nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico, un Fondo per il finanziamento di interventi finalizzati al potenziamento della rete infrastrutturale di livello nazionale (comprese le reti di telecomunicazione e le reti energetiche).

Nel Fondo confluiscono le risorse nazionali del Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS) previste per l’attuazione del Quadro strategico nazionale (QSN) 2007-2013 in favore di programmi infrastrutturali di rilevanza strategica nazionale, di progetti speciali e di riserve premiali definite dal CIPE con delibera n. 166 del 2007, con esclusione di quelle risorse che alla data del 31 maggio 2008 siano già state vincolate all’attuazione di programmi già esaminati dal CIPE o destinate al finanziamento della “premialità”.

 

Il comma 2 prevede che la dotazione del Fondo venga ripartita con delibera del CIPE, su proposta delMinistero dello sviluppo economico, sentita la Conferenza Stato-Regioni.

E’ prevista la possibilità di ridefinizione dei programmi operativi nazionali (PON) finanziati con risorse comunitarie.

 

Il comma 3 riconosce alla concentrazione da parte delle Regioni sulle infrastrutture di interesse strategico regionale delle risorse del QSN il valore di “principio fondamentale” ai sensi dell’articolo 117, terzo comma, della Costituzione; tale principio sarà applicato in sede di predisposizione dei programmi finanziati dal Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS) e in sede di ridefinizione dei programmi finanziati dai fondi comunitari.

 

Rispetto al testo in esame, il richiamato articolo 6-quinquies del D.L. n. 112 del 2008, prevede l’intesa del Ministero dello sviluppo economico con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti circa la proposta di delibera da sottoporre al CIPE. E’ previsto, inoltre, il parere della Conferenza unificata, anziché della Conferenza Stato-Regioni. Lo schema di delibera del CIPE di ripartizione del Fondo è trasmesso al Parlamento per il parere delle Commissioni competenti per materia e per i profili finanziari. Infine, è fatto salvo il principio in base al quale la ripartizione delle risorse del Fondo sia effettuata nella percentuale dell’85% in favore delle regioni del Mezzogiorno e del restante 15% in favore delle regioni del centro Nord.

 

 

Art. 2 - A.C. 1441

Art. 6-quinquies - D.L. n. 112/2008

 

 

1. È istituito, nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico, a decorrere dall'anno 2009, un fondo per il finanziamento, in via prioritaria, di inter­venti finalizzati al potenziamento della rete infrastrutturale di livello nazionale, ivi comprese le reti di telecomunicazione e quelle energetiche, di cui è riconosciuta la valenza strategica ai fini della competi­tività e della coesione del Paese. Il fondo è alimentato con gli stanziamenti nazio­nali assegnati per l'attuazione del Quadro strategico nazionale per il periodo 2007-2013 in favore di programmi di interesse strategico nazionale, di progetti speciali e di riserve premiali, fatte salve le risorse che, alla data del 31 maggio 2008, siano state vincolate all'attuazione di pro­grammi già esaminati dal CIPE o desti­nate al finanziamento del meccanismo premiale disciplinato dalla delibera CIPE n. 82/2007 del 3 agosto 2007, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 301 del 29 di­cembre 2007.

1. È istituito, nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico, a decorrere dall'anno 2009, un fondo per il finanziamento, in via prioritaria, di inter­venti finalizzati al potenziamento della rete infrastrutturale di livello nazionale, ivi comprese le reti di telecomunicazione e quelle energetiche, di cui è riconosciuta la valenza strategica ai fini della competi­tività e della coesione del Paese. Il fondo è alimentato con gli stanziamenti nazio­nali assegnati per l'attuazione del Quadro strategico nazionale per il periodo 2007-2013 in favore di programmi di interesse strategico nazionale, di progetti speciali e di riserve premiali, fatte salve le risorse che, alla data del 31 maggio 2008, siano state vincolate all'attuazione di pro­grammi già esaminati dal CIPE o desti­nate al finanziamento del meccanismo premiale disciplinato dalla delibera CIPE 3 agosto 2007n. 82.

2. Con delibera del CIPE, su proposta del Ministero dello sviluppo economico, si provvede alla ripartizione del fondo di cui al comma 1, sentita la Conferenza per­manente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. Nel rispetto delle procedure previste dal regolamento (CE) n. 1083/2006 del Consiglio, dell'11 luglio 2006, e successive modificazioni, i pro­grammi operativi nazionali finanziati con risorse comunitarie per l'attuazione del Quadro strategico nazionale per il pe­riodo 2007-2013 possono essere ridefiniti in coerenza con i princìpi di cui al pre­sente articolo.

2. Con delibera del CIPE, su proposta del Ministero dello sviluppo economico d’intesa con il Ministero delle infra­strutture e dei trasporti, si provvede alla ripartizione del fondo di cui al comma 1, sentita la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n, 281 e successive mo­dificazioni, fermo restando il vincolo di concentrare nelle regioni del Mezzo­giorno almeno l’85% degli stanzia­menti nazionali per l’attuazione del quadro strategico nazionale per il pe­riodo 2007-2013. Lo schema di deli­bera del CIPE è trasmesso al Parla­mento per il parere delle Commissioni competenti e per i profili di carattere finanziario. Nel rispetto delle procedure previste dal regolamento (CE) n. 1083/2006 del Consiglio, dell'11 luglio 2006, e successive modificazioni, i pro­grammi operativi nazionali finanziati con risorse comunitarie per l'attuazione del Quadro strategico nazionale per il pe­riodo 2007-2013 possono essere ridefiniti in coerenza con i princìpi di cui al pre­sente articolo.

3. Costituisce principio fondamentale ai sensi dell'articolo 117, terzo comma, della Costituzione la concentrazione, da parte delle regioni, delle risorse del Quadro strategico nazionale per il periodo 2007-2013 su infrastrutture di interesse strate­gico regionale, in sede di predisposizione dei programmi finanziati dal Fondo per le aree sottoutilizzate, di cui all'articolo 61 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, e successive modificazioni, e di ridefini­zione dei programmi finanziati dai Fondi strutturali comunitari.

3. Costituisce principio fondamentale ai sensi dell'articolo 117, terzo comma, della Costituzione la concentrazione, da parte delle regioni, delle risorse del Quadro strategico nazionale per il periodo 2007-2013 su infrastrutture di interesse strate­gico regionale, in sede di predisposizione dei programmi finanziati dal Fondo per le aree sottoutilizzate, di cui all'articolo 61 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, e successive modificazioni, e di ridefini­zione dei programmi finanziati dai Fondi strutturali comunitari.

 


 

Articolo 3
(Distretti produttivi e reti di imprese)


1. Al fine di promuovere lo sviluppo del sistema delle imprese attraverso azioni di rete che ne rafforzino le misure organizzative, l'integrazione per filiera, lo scambio e la diffusione delle migliori tecnologie, lo sviluppo di servizi di sostegno e forme di collaborazione tra realtà produttive anche appartenenti a regioni diverse, con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sono definite le caratteristiche e le modalità di individuazione delle reti delle imprese.

2. Alle reti, di livello nazionale, delle imprese, quale libera aggregazione di singoli centri produttivi coesi nello sviluppo unitario di politiche industriali, anche al fine di migliorare la presenza nei mercati internazionali, si applicano le disposizioni concernenti i distretti produttivi previste dall'articolo 1, commi 366 e seguenti, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, come da ultimo modificati dal presente articolo, ad eccezione delle norme concernenti i tributi dovuti agli enti locali.

3. All'articolo 1 della legge 23 dicembre 2005, n. 266, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 366, dopo le parole: «Ministro per l'innovazione e le tecnologie,» sono inserite le seguenti: «previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sentite le regioni interessate,»;

b) al comma 368, lettera a), i numeri da 1) a 15) sono sostituiti dai seguenti:

«1) al fine della razionalizzazione e della riduzione degli oneri legati alle risorse umane e finanziarie conseguenti all'effettuazione degli adempimenti in materia di imposta sul valore aggiunto, con regolamento da emanare ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sentite le regioni interessate, sono disciplinate, per le imprese appartenenti ai distretti di cui al comma 366, apposite semplificazioni contabili e procedurali, nel rispetto della disciplina comunitaria, e in particolare della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, e successive modificazioni;

2) rimane ferma la facoltà per le regioni e per gli enti locali, secondo i propri ordinamenti, di stabilire procedure amministrative semplificate per l'applicazione di tributi propri»;

c) al comma 368, lettera b), numero 1), ultimo periodo, dopo le parole: «Ministro per la funzione pubblica,» sono inserite le seguenti: «previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sentite le regioni interessate,»;

d) al comma 368, lettera b), numero 2), ultimo periodo, dopo le parole: «Ministro dell'economia e delle finanze» sono inserite le seguenti: «, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sentite le regioni interessate,».

4. Al comma 3 dell'articolo 23 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, come modificato dall'articolo 1, comma 370, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, le parole: «anche avvalendosi delle strutture tecnico-organizzative dei consorzi di sviluppo industriale di cui all'articolo 36, comma 4, della legge 5 ottobre 1991, n. 317» sono soppresse.

5. Dall'attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.


L‘articolo 3 modifica in più parti la disciplina sui distretti produttivi introdottadall’articolo 1, commi 366 e seguenti, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria 2006). La disposizione, in particolare, elimina le disposizioni relative al consolidamento fiscale ed alla tassazione unitaria per le imprese appartenenti ai distretti produttivi, sostituendole con norme di semplificazione ai fini degli adempimenti IVA. Inoltre, estende la normativa sui distretti produttivi, come modificata, alle reti di imprese.

Si segnala che disposizioni sui distretti produttivi di contenuto analogo a quelle in esame sono presenti anche nell’articolo 6-bis del DL 112/08, attualmente all’esame del Senato.Il testo del decreto-legge differisce dal testo in esame unicamente per il fatto che estende l’applicazione delle disposizioni sui distretti produttivi (oltre che alle reti di imprese) anche alle “catene di fornitura”.

Il comma 1 prevede che la definizione delle caratteristiche e delle modalità di individuazionedelle reti di imprese è demandata ad un decreto del Ministro dello sviluppo economico, da adottarsi di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, sentite le regioni interessate[1].

Si segnala che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 165 del 18 aprile-11 maggio 2007 (GU 16 maggio 2007, n. 19 - Prima serie speciale), aveva dichiarato l’illegittimità del comma 366, relativamente alla parte in cui non prevede – ai fini della definizione, con decreto, delle caratteristiche e delle modalità di individuazione dei distretti produttivi - la previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sentite le Regioni interessate.

Il comma 2 estende alle reti di imprese (di livello nazionale) le disposizioni sui distretti produttivi (come modificate dall’articolo in esame), ad eccezione di quelle concernenti i tributi dovuti agli enti locali.

Il comma 3 apporta varie modifiche alle disposizioni della legge 266/2005 disciplinanti i distretti produttivi, di seguito illustrate :

a)  si richiede la previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano e che vengano sentite le regioni interessate, ai fini dell’adozione del decreto del Ministro dell'economia e delle finanze cui il comma 366 rinvia per la definizione delle caratteristiche e delle modalità di individuazione dei distretti produttivi;

b)si dispone la sostituzione dei numeri da 1) a 15) della lettera a) dell’articolo 1, comma 368, della citata della legge 266/2005, che attualmente recano una specifica disciplina tributaria per i distretti produttivi.

Le citate disposizioni prevedono che il regime fiscale dei distretti consenta la tassazione sulla base di due diverse aggregazioni, costituite dal consolidamento fiscale (secondo cui le società di capitali facenti parte di distretti verrebbero sostanzialmente equiparate ad un gruppo) e dalla tassazione unitaria (caratterizzata da un reddito imponibile di distretto che comprende quello delle imprese che hanno optato per la tassazione unitaria). A quest’ultima possono accedere anche le imprese non soggette all'imposta sul reddito delle società (IRES).Tanto nella tassazione consolidata (riferita alle sole imposte sul reddito) quanto nella tassazione unitaria (applicabile sia alle imposte sul reddito, sia alle entrate locali), il distretto è individuato come unità fiscale di riferimento.

     La tassazione consolidata (numeri 1 e 2) si applica alle sole imposte sul reddito e ricalca l'istituto del consolidato nazionale per la tassazione dei gruppi di imprese, le cui norme vengono espressamente richiamate in quanto applicabili. In luogo del gruppo di imprese controllate, l'unità fiscale di riferimento è il distretto, che provvede agli adempimenti dichiarativi e di pagamento, sulla base della somma algebrica dei redditi delle società partecipanti. Viene quindi consentita, ad esempio, la compensazione intradistrettuale delle perdite fiscali. Si ricorda in particolare che, secondo il disposto del numero 1) della citata lettera a), le imprese appartenenti a distretti aventi determinate caratteristiche (a norma del comma 366 dell’articolo 1 della medesima legge) possono congiuntamente esercitare l'opzione per la “tassazione (consolidata) di distretto” ai fini dell'applicazione dell'imposta sul reddito delle società (IRES), ovvero un modello di tassazione che configura l’estensione delle condizioni per l’applicazione dell’istituto del consolidato nazionale, previsto e disciplinato dal titolo II, capo II, sezione II (articolo da 117 a 129), del vigente testo unico delle imposte sui redditi (TUIR), approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, per la tassazione di gruppo delle imprese residenti. La facoltà di opzione per la tassazione di gruppo è consentita congiuntamente alle società di capitali, cooperative, mutue assicuratrici o enti commerciali controllanti e a ciascuna società o ente controllato.

La tassazione unitaria (numeri da 3 a 15) individua il distretto quale soggetto passivo delle imposte sui redditi, dei tributi e delle altre somme dovute agli enti locali, sulla base di concordato preventivo di durata almeno triennale.

Il ricorso a tale forma di concordato preventivo è comunque ammesso anche indipendentemente dall’opzione per le suddette forme di tassazione.

Nel dettaglio, con le norme proposte (ai sensi del nuovo numero 1) viene abrogatoil suddetto gruppo di disposizioni fiscali concernenti i distretti produttivi - contenute nella legge finanziaria 2006 - e sostituito con la previsione di appositesemplificazioni contabili e procedurali in favore delle imprese appartenenti ai distretti medesimi, finalizzate a razionalizzare e ridurre gli oneri legati alle risorse umane e finanziarie conseguenti all'effettuazione degli adempimenti in materia di imposta sul valore aggiunto, nel rispetto della disciplina comunitaria e, in particolare, della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006 e successive modificazioni.

La direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006 ha proceduto alla rifusione delle norme che costituiscono il sistema comune dell’imposta sul valore aggiunto costituendo, pertanto, una sorta di testo unico di tutte le norme sul sistema comune di IVA, razionalizzando e coordinando le numerose e sostanziali modifiche intervenute nel tempo. Il nuovo testo è entrato in vigore dal 1° gennaio 2007 in tutti i Paesi dell’Unione europea.

Si osserva al riguardo che le disposizioni relative all’individuazione dei distretti produttivi tramite decreto ministeriale, ai sensi del citato articolo 1, comma 366, della legge n. 266 del 2005, non sembrano sinora avere ricevuto attuazione.

La norma demanda la disciplina delle suddette semplificazioni a un regolamento di delegificazione, ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sentite le regioni interessate.

Alla luce dell’estensione disposta dal comma 2 dell’articolo in esame, tali norme di semplificazione si applicherebbero sia alle imprese facenti parti dei citati distretti, sia a quelle che opereranno entro le istituende “reti delle imprese”.

Il nuovo numero 2)reca disposizioni in materia di tributi propri delle regioni e degli enti locali, disponendo che per questi ultimi resti ferma la facoltà di stabilire procedure amministrative semplificate per l'applicazione di tributi propri.

c) e d) si richiede la previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome, viene richiesta per l’adozione dei decreti di natura non regolamentare del Ministro dell'economia e delle finanze che fissano, rispettivamente, le modalità applicative delle disposizioni del numero 1 e 2, comma 368, lett. b) (al riguardo si rinvia al successivo quadro normativo).

 

Il comma 4 dell’articolo in commento sopprime le disposizioni del comma 3, art. 23, del D.Lgs 112/98 – aggiunte dal comma 370 della legge 266/05 - che affidano lo svolgimento delle funzioni di assistenza alle imprese, esercitate prioritariamente attraverso gli sportelli unici per le attività produttive, anche alle strutture tecnico-organizzative dei consorzi di sviluppo industriale”, di cui all’articolo 36, comma 4, della legge 5 ottobre 1991, n. 317.

 

Il comma 5, infine, reca la clausola di invarianza di spesa.

 

Quadro normativo

La legge finanziaria per il 2006 (commi 366-372) è intervenuta in materia in materia di distretti produttivi che, come è noto, rappresentano uno dei maggiori punti di forza del sistema produttivo italiano e che si configurando come sistemi produttivi locali omogenei, caratterizzati da un'elevata concentrazione di imprese industriali, prevalentemente di piccola e media dimensione e dall'elevata specializzazione produttiva.

Ai fini dell’applicazione della nuova disciplina recata dai commi da 367 a 372, ilcomma 366 dispone che con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze si provveda a precisare le caratteristiche e le modalità di individuazione dei distretti produttivi, qualificati come libere aggregazioni di imprese articolate sul piano territoriale e sul piano funzionale, aventi le finalità, da perseguirsi "secondo principi di sussidiarietà orizzontale e verticale”, anche individuando modalità di collaborazione con le associazioni imprenditoriali" di:

-        accrescimento dello sviluppo delle aree e dei settori di riferimento;

-        miglioramento dell'efficienza nell'organizzazione e nella produzione.

La disposizione prefigura dunque la definizione di due distinte tipologie di distretti: quelli territoriali e quelli funzionali.

I distretti territoriali, maggiormente ancorati all'esperienza maturata finora nel settore dei distretti produttivi, si caratterizzano per la comune appartenenza delle imprese che vi afferiscono ad un medesimo settore produttivo, oltre che ad uno stesso ambito territoriale. I distretti funzionali, scaturiscono da una libera aggregazione di imprese che cooperano in modo intersettoriale in una logica di mutual business; si prescinde così dalla sussistenza di legami con specifici territori, in funzione del perseguimento di sinergie fra imprese svolgenti attività complementari o comunque connesse, ai fini dell'accesso ad opportunità presenti sul mercato che presuppongono una integrazione dell'offerta produttiva ovvero ai fini dell'ammissione a determinati regimi particolari all'uopo previsti dalla legge. L'adesione ai distretti da parte di imprese industriali, dei servizi, turistiche, agricole e della pesca è libera

L'adesione ai distretti da parte di imprese industriali, dei servizi, turistiche, agricole e della pesca è libera.

Il comma 368determina le disposizioni tributarie, amministrative, finanziarie e di promozione della ricerca e dello sviluppo, applicabili ai distretti produttivi. Con esse viene prevista, in sintesi, la possibilità, per le imprese appartenenti a distretti produttivi, di dare vita a un ambito comune per la fiscalità, gli adempimenti amministrativi e la finanza.

La lettera a) individua la disciplina tributaria.

Si ricorda che, come risulta anche dall’illustrazione contenuta nella relazione governativa all’originario disegno di legge (A.S. 3613), viene prevista – su base comunque opzionale – la possibilità di due diverse aggregazioni, costituite rispettivamente dal consolidamento fiscale (secondo cui le società di capitali facenti parte di distretti verrebbero sostanzialmente equiparate ad un gruppo) e dalla tassazione unitaria (caratterizzata da un reddito imponibile di distretto che comprende quello delle imprese che hanno optato per la tassazione unitaria). A quest’ultima possono accedere anche le imprese non soggette all'imposta sul reddito delle società (IRES). Tanto nella tassazione consolidata (riferita alle sole imposte sul reddito) quanto nella tassazione unitaria (applicabile sia alle imposte sul reddito, sia alle entrate locali) il distretto è individuato come unità fiscale di riferimento.

La lettera b) del comma 368 individua alcune disposizioni amministrative applicabili ai distretti produttivi.

Ai fini della semplificazione degli adempimenti burocratici posti a carico delle imprese che aderiscono ai distretti, la norma prevede la facoltà per il distretto di svolgere talune funzioni quali l'esecuzione, in nome e per conto dell'impresa, degli adempimenti burocratici connessi con lo svolgimento dell'attività, nonché la "certificazione" dell’esattezza dell'iter procedurale seguito; si prevede, inoltre, il riconoscimento ai distretti della facoltà di stipulare negozi di diritto privato per conto delle imprese ad essi aderenti sulla base delle norme civilistiche che disciplinano il mandato

A fronte di quest’attività amministrativa svolta dal distretto, la cui rispondenza alle norme di legge è dichiarata dal distretto stesso, le pubbliche amministrazioni e gli enti pubblici interessati provvedono di conseguenza nei riguardi delle imprese senza esperire alcun altro controllo.

Viene altresì consentito ai distretti di accedere con apposita convenzione ai sistemi informativi e agli archivi informatici delle pubbliche amministrazioni, rimandando ad un successivo decreto l'individuazione delle concrete modalità applicative della disposizione.

La lettera c) individua una serie di disposizioni finanziarie applicabili ai distretti.

Si segnala che si tratta in particolare di interventi diretti ad agevolare l'accesso al credito, a promuovere contenimento dei rischi e a favorire la capitalizzazione delle imprese appartenenti al distretto.

A tale proposito, vengono anzitutto previste forme e condizioni semplificate per la cartolarizzazione dei crediti concessi da più banche o intermediari finanziari alle imprese facenti parte del distretto, agli effetti della cessione a un'unica società.

La lettera d) detta disposizioni in materia di ricerca e sviluppo, prevedendo l'istituzione dell'Agenzia per la diffusione delle tecnologie per l'innovazione, che è chiamata a concorrere all'accrescimento della competitività delle piccole e medie imprese e dei distretti industriali attraverso la diffusione delle nuove tecnologie e delle relative applicazioni industriali (numero 1). All'Agenzia è assegnato il compito di promuove l'integrazione fra il sistema della ricerca e il sistema produttivo provvedendo ad individuare a valorizzare e a diffondere nuove conoscenze tecnologiche, brevetti ed applicazioni industriali su scala sia nazionale che internazionale;

Si prevede, inoltre, la stipula, da parte dell’Agenzia di convenzioni e contratti con soggetti pubblici e privati che ne condividono le finalità (numero 3).

Attraverso decreti di natura non regolamentare, la Presidenza del Consiglio dei ministri - alla cui vigilanza l’Agenzia viene sottoposta e alla quale è, altresì, rimessa l'approvazione del relativo statuto (ai sensi del numero 4) - provvede alla definizione di criteri e modalità per lo svolgimento delle attività istituzionali dell’Agenzia, sentiti i Ministeri dell’istruzione, dell’economia e delle attività produttive, nonché i Ministri per lo sviluppo e la coesione territoriale e per l’innovazione e le tecnologie, se nominati.

L'applicazione delle nuove disposizioni relative ai distretti viene estesa anche:

-        ai distretti rurali ed agroalimentari, di cui all'articolo 13 del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228;

-        ai sistemi produttivi;

-        ai sistemi produttivi locali, distretti industriali e consorzi di sviluppo industriale definiti ai sensi dell'articolo 36 della legge 5 ottobre 1991, n. 317;

-        ai consorzi per il commercio estero di cui alla legge 21 dicembre 1989, n. 83[2];

-        al settore della pesca[3]

Le funzioni di assistenza alle imprese, esercitate prioritariamente attraverso gli sportelli unici per le attività produttive, possano essere svolte “anche avvalendosi delle strutture tecnico-organizzative dei consorzi di sviluppo industriale”, di cui all’articolo 36, comma 4, della legge 5 ottobre 1991, n. 317 (comma 370).

In un primo tempo si prevedeun’applicazione in via sperimentale delle disposizioni di cui ai commi 366-372, limitatamente ad uno o più distretti che saranno individuati con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze. A questa fase sperimentale seguirà, comunque, una realizzazione progressiva dell’applicazione delle disposizioni in oggetto.

Infine, per l’attuazione dei commi 366-371 viene fissato un limite massimo di spesa pari a 50 milioni di euro annui a decorrere dal 2006(comma 372).

La legge finanziaria per il 2007, attraverso la novella della legge n. 266/05, ha introdotto disposizioni relative al cofinanziamento statale di progetti regionali in materia di distretti produttivi.

La novella alla legge finanziaria per il 2006 è volta, in attesa dell’adozione del decreto di individuazione dei distretti produttivi, a prevedere la possibilità di riconoscere un contributo statale a progetti regionali riguardanti tali distretti, per un ammontare massimo del 50% delle risorse pubbliche complessivamente impiegate in ciascun progetto.

I commi 889-891 recano disposizioni relative al cofinanziamento statale di progetti regionali in materia di distretti produttivi.

Novellando la legge n. 266 del 2005 (legge finanziaria per il 2006) mediante l’aggiunta dei commi 371-bis e 371-ter, tali disposizioni prevedono - in attesa dell’adozione del decreto di individuazione dei distretti produttivi - la possibilità di riconoscere una agevolazione a progetti regionali riguardanti tali distretti, per un ammontare massimo del 50 per cento delle risorse pubbliche complessivamente impiegate in ciascun progetto. I progetti regionali ammessi al beneficio, i relativi oneri ed eventuali ulteriori progetti di carattere nazionale (come precisato in aggiunta nel testo approvato dal Senato), saranno individuati con decreto del Ministro dello sviluppo economico.


 

Articolo 4
(Banca del Mezzogiorno)

 


1. Al fine di assicurare la presenza nelle regioni meridionali d'Italia di un istituto bancario in grado di sostenerne lo sviluppo economico e di favorirne la crescita, è costituita la società per azioni «Banca del Mezzogiorno».

2. Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, da adottare, nel rispetto delle disposizioni del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1o settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni, entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, è nominato il comitato promotore della Banca, con oneri posti a carico delle risorse di cui al comma 4.

3. Con il decreto di cui al comma 2 sono altresì disciplinati:

a) i criteri per la redazione dello statuto, nel quale è previsto che la Banca abbia necessariamente sede in una regione del Mezzogiorno d'Italia;

b) le modalità di composizione dell'azionariato della Banca, in maggioranza privato e aperto all'azionariato popolare diffuso, e il riconoscimento della funzione di soci fondatori allo Stato, alle regioni, alle province, ai comuni, alle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e agli altri enti e organismi pubblici, aventi sede nelle regioni meridionali, che conferiscono una quota di capitale sociale;

c) le modalità per provvedere, attraverso trasparenti offerte pubbliche, all'acquisizione di marchi e di denominazioni, entro i limiti delle necessità operative della Banca, di rami di azienda già appartenuti ai banchi meridionali e insulari;

d) le modalità di accesso della Banca ai fondi e ai finanziamenti internazionali, con particolare riferimento alle risorse prestate da organismi sopranazionali per lo sviluppo delle aree geografiche sottoutilizzate.

4. È autorizzata la spesa di 5 milioni di euro per l'anno 2008 per l'apporto al capitale della Banca da parte dello Stato, quale soggetto fondatore. Entro cinque anni dall'inizio dell'operatività della Banca tale importo è restituito allo Stato, il quale cede alla Banca stessa tutte le azioni ad esso intestate ad eccezione di una.

5. All'onere di cui al comma 4 si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2008-2010, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2008, allo scopo parzialmente utilizzando, quanto a 2,5 milioni di euro, l'accantonamento relativo al Ministero per i beni e le attività culturali e, quanto a 2,5 milioni di euro, l'accantonamento relativo al Ministero della salute.

6. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.


 

 

Le disposizioni contenute nell’articolo 4 del provvedimento in esame risultano pressoché identiche a quelle dell’articolo 6-ter del D.L. n. 112 del 2008, come modificato nel corso dell’esame in prima lettura alla Camera dei deputati.

 

Al fine di assicurare la presenza nelle regioni meridionali d'Italia di un istituto bancario in grado di sostenerne lo sviluppo economico e di favorirne la crescita, l’articoloprevede la costituzione della società per azioni “Banca del Mezzogiorno”; con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, da adottarsi entro 4 mesi dalla data di entrata in vigore della legge stessa, viene nominato il Comitato promotore. Il decreto dovrà fissare, altresì, i criteri per la redazione dello Statuto, le modalità di composizione dell’azionariato, per l’acquisizione di rami di azienda già appartenuti ai banchi meridionali e insulari, le modalità di accesso a fondi e finanziamenti internazionali. Viene autorizzata la spesa di 5 milioni per il 2008, quale apporto dello Stato al capitale sociale. Tale importo dovrà essere restituito allo Stato entro 5 anni dall’inizio dell’operatività della Banca, a seguito della cessione alla Banca delle azioni ad esso intestate, salvo una.

 

 

Art. 4 - A.C. 1441

Art. 6-ter – D.L. n. 112/2008

 

 

1. Al fine di assicurare la presenza nelle regioni meridionali d'Italia di un isti­tuto bancario in grado di sostenerne lo sviluppo economico e di favorirne la cre­scita, è costituita la società per azioni «Banca del Mezzogiorno».

1. Al fine di assicurare la presenza nelle regioni meridionali d'Italia di un isti­tuto bancario in grado di sostenerne lo sviluppo economico e di favorirne la cre­scita, è costituita la società per azioni «Banca del Mezzogiorno».

2. Con decreto del Ministro dell'eco­nomia e delle finanze, da adottare, nel ri­spetto delle disposizioni del testo unico delle leggi in materia bancaria e crediti­zia, di cui al decreto legislativo 1° set­tembre 1993, n. 385, e successive modi­ficazioni, entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, è nominato il comitato promotore della Banca, con oneri posti a carico delle ri­sorse di cui al comma 4.

2. Con decreto del Ministro dell'eco­nomia e delle finanze, da adottare, nel ri­spetto delle disposizioni del testo unico delle leggi in materia bancaria e crediti­zia, di cui al decreto legislativo 1° set­tembre 1993, n. 385, e successive modi­ficazioni, entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conver­sione del presente decreto, è nominato il comitato promotore della Banca, con oneri posti a carico delle risorse di cui al comma 4.

3. Con il decreto di cui al comma 2 sono altresì disciplinati:

a) i criteri per la redazione dello sta­tuto, nel quale è previsto che la Banca abbia necessariamente sede in una re­gione del Mezzogiorno d'Italia;

b) le modalità di composizione dell'a­zionariato della Banca, in maggioranza privato e aperto all'azionariato popolare diffuso, e il riconoscimento della funzione di soci fondatori allo Stato, alle regioni, alle province, ai comuni, alle camere di commercio, industria, artigianato e agri­coltura e agli altri enti e organismi pub­blici, aventi sede nelle regioni meridionali, che conferiscono una quota di capitale sociale;

c) le modalità per provvedere, attra­verso trasparenti offerte pubbliche, all'ac­quisizione di marchi e di denominazioni, entro i limiti delle necessità operative della Banca, di rami di azienda già ap­partenuti ai banchi meridionali e insulari;

d) le modalità di accesso della Banca ai fondi e ai finanziamenti internazionali, con particolare riferimento alle risorse prestate da organismi sopranazionali per lo sviluppo delle aree geografiche sottou­tilizzate.

3. Con il decreto di cui al comma 2 sono altresì disciplinati:

a) i criteri per la redazione dello sta­tuto, nel quale è previsto che la Banca abbia necessariamente sede in una re­gione del Mezzogiorno d'Italia;

b) le modalità di composizione dell'a­zionariato della Banca, in maggioranza privato e aperto all'azionariato popolare diffuso, e il riconoscimento della funzione di soci fondatori allo Stato, alle regioni, alle province, ai comuni, alle camere di commercio, industria, artigianato e agri­coltura e agli altri enti e organismi pub­blici, aventi sede nelle regioni meridionali, che conferiscono una quota di capitale sociale;

c) le modalità per provvedere, attra­verso trasparenti offerte pubbliche, all'ac­quisizione di marchi e di denominazioni, entro i limiti delle necessità operative della Banca, di rami di azienda già ap­partenuti ai banchi meridionali e insulari;

d) le modalità di accesso della Banca ai fondi e ai finanziamenti internazionali, con particolare riferimento alle risorse prestate da organismi sopranazionali per lo sviluppo delle aree geografiche sottou­tilizzate.

4. È autorizzata la spesa di 5 milioni di euro per l'anno 2008 per l'apporto al ca­pitale della Banca da parte dello Stato, quale soggetto fondatore. Entro cinque anni dall'inizio dell'operatività della Banca tale importo è restituito allo Stato, il quale cede alla Banca stessa tutte le azioni ad esso intestate ad eccezione di una.

4. È autorizzata la spesa di 5 milioni di euro per l'anno 2008 per l'apporto al ca­pitale della Banca da parte dello Stato, quale soggetto fondatore. Entro cinque anni dall'inizio dell'operatività della Banca tale importo è restituito allo Stato, il quale cede alla Banca stessa tutte le azioni ad esso intestate ad eccezione di una.

5. All'onere di cui al comma 4 si prov­vede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2008-2010, nell'ambito del pro­gramma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'eco­nomia e delle finanze per l'anno 2008, allo scopo parzialmente utilizzando, quanto a 2,5 milioni di euro, l'accantona­mento relativo al Ministero per i beni e le attività culturali e, quanto a 2,5 milioni di euro, l'accantonamento relativo al Mini­stero della salute.

5. All'onere di cui al comma 4 si prov­vede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2008-2010, nell'ambito del pro­gramma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'eco­nomia e delle finanze per l'anno 2008, allo scopo parzialmente utilizzando, quanto a 2,5 milioni di euro, l'accantona­mento relativo al Ministero per i beni e le attività culturali e, quanto a 2,5 milioni di euro, l'accantonamento relativo al Mini­stero della salute.

6. Il Ministro dell'economia e delle fi­nanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

6. Il Ministro dell'economia e delle fi­nanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

 

 

 


 

Articolo 5
(Riforma degli interventi di reindustrializzazione)

 


1. Il Ministero dello sviluppo economico, sentito il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, stipula con le regioni e gli altri soggetti interessati specifici accordi di programma per la reindustrializzazione, che prevedono interventi di agevolazione, proposti e attuati dall'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa Spa, secondo le direttive emanate dal Ministero dello sviluppo economico ai sensi del comma 8, nel limite delle risorse disponibili a legislazione vigente, al fine di:

a) accompagnare le azioni di reindustrializzazione delle aree industriali inquinate, nel quadro degli interventi di all'articolo 252-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152;

b) favorire interventi compensativi per le aree che ospitano o su cui si prevede l'insediamento di grandi impianti industriali o energetici con forte impatto sull'ambiente;

c) promuovere iniziative per la riqualificazione di aree interessate da complesse situazioni di crisi, con impatti significativi per la politica industriale nazionale.

2. Gli interventi di reindustrializzazione di cui al comma 1, lettera a), sono effettuati secondo le procedure previste all'articolo 252-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.

3. L'individuazione delle aree di cui al comma 1, lettere b) e c), è effettuata sulla base di criteri definiti con delibera del CIPE, su proposta del Ministero dello sviluppo economico, sentiti il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.

4. Gli interventi di reindustrializzazione da realizzare, ai sensi del comma 1, nel rispetto del principio di invarianza della spesa, possono riguardare interventi di incentivazione per sostenere il riposizionamento competitivo delle imprese esistenti, la promozione e la creazione di nuove iniziative imprenditoriali nonché la realizzazione di interventi di riqualificazione e di ristrutturazione strettamente connessi.

5. Gli interventi per la reindustrializzazione possono prevedere anche l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa, nel rispetto della normativa comunitaria in materia di aiuti di Stato. Per l'attivazione delle iniziative e degli interventi di reindustrializzazione previsti sono stipulati specifici accordi di programma con le regioni interessate, nel rispetto di quanto disposto dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni. Gli accordi di programma costituiscono fonte regolamentare per la definizione delle modalità attuative degli interventi di competenza dell'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa Spa.

6. Per l'attuazione degli interventi previsti dal presente articolo continuano ad applicarsi le disposizioni di cui al decreto del Ministro dello sviluppo economico 3 dicembre 2007, pubblicato nel supplemento ordinario n. 19 alla Gazzetta Ufficiale n. 19 del 23 gennaio 2008.

7. Le disposizioni di cui al decreto-legge 1o aprile 1989, n. 120, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 maggio 1989, n. 181, e successive modificazioni, in contrasto con il presente articolo sono abrogate. Sono fatti salvi gli effetti degli atti e dei contratti sottoscritti dall'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa Spa prima della data di entrata in vigore della presente legge.

8. Il Ministro dello sviluppo economico, sentito il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, definisce con proprio decreto, da emanare entro due mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, le modalità di attuazione degli interventi di cui al presente articolo e individua le risorse da destinare allo scopo a legislazione vigente nonché le eventuali risorse che possono essere utilizzate direttamente dall'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa Spa nell'ambito delle proprie disponibilità. Con lo stesso decreto sono impartite all'Agenzia medesima le direttive di cui al comma 1.


 

 

L’articolo 5 reca disposizioni volte all’aggiornamento della disciplina concernente gli interventi di promozione e reindustrializzazione delle aree di crisi siderurgica, di cui alla legge n.181/89, prevedendone l’estensione all’intero territorio nazionale in considerazione della sua efficacia, come si sottolinea nella relazione governativa, pur fissando alcune priorità.

Si ricorda, brevemente, che il DL 1° aprile 1989, n. 120 (Misure di sostegno e di reindustrializzazione in attuazione del piano di risanamento della siderurgia), convertito dalla legge 15 maggio 1989, n. 181, agli artt. 5-8, ha previsto la realizzazione di un programma speciale di reindustrializzazione delle aree di crisi siderurgica, attuato dalle aziende del gruppo IRI e specificamente rivolto alle zone di Napoli, Taranto, Genova e Terni (aree prioritarie), nonché un programma di promozione industriale esteso anche ad altre aree di crisi siderurgica (Massa, Piombino, Trieste, Lovere, Villadossola), predisposto dalla SPI, società di promozione imprenditoriale controllata dall’IRI, ora confluita in Sviluppo Italia S.p.A. e relativo ad iniziative imprenditoriali nei settori dell'industria e dei servizi, con particolare riferimento a quelle da realizzare in collaborazione con imprenditori privati e con cooperative o loro consorzi.

La legge finanziaria 2003 (L. 289/2002, art. 73, comma 1), ha poi previsto la possibilità di estendere le misure del D.L. 120/1989 anche ad aree diverse da quelle individuate dallo stesso decreto-legge, nonché alle aree industriali comprese nei territori per i quali sia stato dichiarato o prorogato lo stato di emergenzacon decreti del Presidente del Consiglio dei ministri. In tale contesto, con il comma 265 della legge n. 311/04 (finanziaria 2005) le misure del DL n. 120 sono state estese anche ai territori dei comuni di Arese, Rho, Garbagnate Milanese e Lainate (limitatamente, tuttavia, alle aree individuate nell’accordo di programma per la reindustrializzazione dell’area Fiat-Alfa Romeo), nonché al comune di Marcianise (Caserta) e al distretto di Brindisi, mentre con il comma 266 l’attuazione del programma di reindustrializzazione è stata affidata a Sviluppo Italia S.p.a., in accordo con le rispettive regioni. Lo stesso comma ha individuato ulteriori tipologie di interventi da ricomprendere nel programma. Si tratta di interventi di acquisizione, bonifica e infrastrutturazione di aree industriali dismesse.

Il DL 35/2005, all’art. 11, comma 8, ha disposto, al fine di “concorrere alla soluzione delle crisi industriali”, un ulteriore ampliamento della platea dei soggetti destinatari degli interventi di reindustrializzazione e di promozione industriale di cui al decreto-legge n. 120/1989, prevedendo in particolare che questi siano estesi anche alle aziende operanti in aree di crisi del comparto degli elettrodomestici, nonché al territorio dei comuni individuati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, tenuto conto degli accordi intervenuti fra Governo, enti territoriali e parti economiche e sociali. Per la realizzazione di tali interventi è stato concesso un contributo straordinario pari a 50 milioni di euro per il 2005, 50 milioni di euro per il 2006, 85 milioni di euro per il 2007 e 65 milioni di euro per il 2008, ed è stata altresì assegnata una specifica priorità agli interventi cofinanziati dalle regioni e dagli enti locali, anche per il tramite di società o enti strumentali, tenuto conto della quota di cofinanziamento.

Da ultimo la legge finanziaria 2007 (L. 296/06) al comma 30, art. 1, ha autorizzato, limitatamente all’anno 2006, una spesa di 20 milioni di euro, destinata alla prosecuzione degli interventi consentiti dal DL 120/1989 al fine di concorrere alla soluzione di crisi industriali. La definizione delle relative modalità è stata demandata ad un decreto del Ministro delle attività produttive (ora sviluppo economico), per la cui emanazione si richiede il concerto con i Ministri del lavoro e delle politiche e dell’economia e delle finanze.

 

Le disposizioni in commento sono, inoltre, volte alla semplificazione delle procedure di approvazione degli interventi.A tal fine autorizzano il Ministero dello sviluppo economico – sentito il Ministero dell’ambiente - a sottoscrivere, con le regioni e gli altri soggetti interessati, appositi Accordi di programma, proposti e attuati dall’Agenzia per l’attrazione degli investimenti (ex Sviluppo Italia), che prevedano interventi agevolativi volti al raggiungimento dei seguenti obiettivi strategici:

a)      accompagnare le azioni di reindustrializzazione nel quadro degli interventi di bonifica di aree con rilevanti problemi ambientali di cui all’art. 252-bis del D.Lgs 152 (cfr. oltre);

b)      previsione di interventi compensativi a favore delle aree ospitanti o destinate ad ospitare grandi impianti industriali a forte impatto ambientale;

c)      promozione di iniziative di riqualificazione interessate da complesse situazioni di crisi con impatti significativi per la politica industriale nazionale.

 

Il comma 2 prevede che gli interventi di reindustrializzazione di cui al comma 1, lett. a) siano effettuati secondo le procedure del citato art. 252-bis del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152.

L’art. 252-bis del D.Lgs. n. 152/2006 (cd. codice ambientale)[4] ha introdotto nell’ordinamento nazionale una procedura finalizzata a consentire la realizzazione di programmi ed interventi di riconversione industriale e di sviluppo economico in siti di preminente interesse pubblico (anche non compresi nel programma nazionale di bonifica[5]), contaminati da eventi antecedenti al 30 aprile 2006, da individuarsi con successivi decreti interministeriali.

Il comma 1 dell’art. 252-bis prevede, inoltre, che in tali siti sono attuati progetti di riparazione dei terreni e delle acque contaminate assieme ad interventi mirati allo sviluppo economico produttivo e che nei siti con aree demaniali e acque di falda contaminate tali progetti sono elaborati ed approvati con appositi accordi di programma stipulati tra i soggetti interessati, i Ministri per lo sviluppo economico, dell'ambiente e della salute e il Presidente della Regione territorialmente competente, sentiti il Presidente della Provincia e il Sindaco del Comune territorialmente competenti.

Tali accordi di programma assicurano, ai sensi del comma 3, il coordinamento delle azioni per determinarne i tempi, le modalità, il finanziamento ed ogni altro connesso e funzionale adempimento per l'attuazione dei programmi di riconversione e disciplinano, tra l’altro: gli obiettivi di reindustrializzazione e di sviluppo economico produttivo e il piano economico finanziario degli investimenti da parte di ciascuno dei proprietari delle aree comprese nel sito contaminato al fine di conseguire detti obiettivi; gli obiettivi degli interventi di bonifica e riparazione, i relativi obblighi dei responsabili della contaminazione e del proprietario del sito; l'eventuale costituzione di consorzi pubblici o a partecipazione mista per l'attuazione di tali obblighi; nonché le iniziative e le azioni che le pubbliche amministrazioni si impegnano ad assumere ed a finanziare.

Il comma 4 dell’articolo 252-bis dispone poi che la stipula dell'accordo di programma costituisce riconoscimento dell'interesse pubblico generale alla realizzazione degli impianti, delle opere e di ogni altro intervento connesso e funzionale agli obiettivi di risanamento e di sviluppo economico e produttivo.

In base al comma 5, inoltre, i provvedimenti relativi agli interventi previsti dall’accordo di programma sono valutati da due conferenze di servizi, cui partecipano i soggetti pubblici coinvolti nell'accordo di programma e i soggetti privati proponenti le opere e gli interventi nei siti:

-        una, indetta dal Ministero dell'ambiente, avente ad oggetto l'intervento di bonifica;

-        una, indetta dal Ministero dello sviluppo economico, avente ad oggetto l'intervento di reindustrializzazione.

Il comma 5 dispone altresì che l'assenso espresso dai rappresentanti degli enti locali, sulla base delle determinazioni a provvedere degli organi competenti, sostituisce ogni atto di pertinenza degli enti medesimi e che alle conferenze dei servizi sono ammessi gli enti, le associazioni e le organizzazioni sindacali interessati alla realizzazione del programma.

Fatta salva l’applicazione delle norme in materia di valutazione di impatto ambientale (VIA) e di autorizzazione ambientale integrata (AIA), all'esito delle due conferenze di servizi, con appositi decreti ministeriali (del Ministro dell'ambiente e dello sviluppo economico), d'intesa con la regione interessata, si autorizzano la bonifica e l’eventuale messa in sicurezza nonché la costruzione e l'esercizio degli impianti e delle opere annesse.

Si fa notare, infine, che l’articolo 252-bis fissa il limite massimo di un anno (dall'adozione del decreto di individuazione del sito) per la conclusione della procedura introdotta e prevede, inoltre, l’applicazione di procedure di bonifica semplificate[6], con l’intento – riconosciuto da più parti[7] – di pervenire ad una velocizzazione dell’iter amministrativo di approvazione dei progetti di bonifica dei siti in questione.

 

Il comma 3 demanda la definizione dei criteri di individuazione delle aree di cui alle lettere b) e c) del comma 1, ad una delibera del CIPE, su proposta del Ministero dello sviluppo economico e sentiti il Ministero dell’ambiente e la Conferenza Stato-regioni.

 

Ai sensi dei commi 4 e 5 gli interventi di reindustrializzazione possono riguardare:

§      incentivi a sostegno del riposizionamento competitivo delle imprese, promozione e creazione di nuove iniziative imprenditoriali e interventi di riqualificazione e ristrutturazione connessi, nel rispetto del principio di invarianza della spesa (comma 4);

§      attrazione di investimenti e sviluppo di impresa nel rispetto delle norme UE sugli aiuti di Stato. Per l’attivazione delle iniziative si prevede la stipula di specifici accordi di programma[8] con le regioni interessate, che costituiscono una fonte regolamentare per la definizione delle modalità di attuazione degli interventi da parte dell’ Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa spa” (di seguito Agenzia).

Per quanto riguarda l’attività di attrazione degli investimenti, si segnala che l’articolo 43 del D.L. 25 giugno 2008, n. 112 (c.d. manovra per il 2009-2011) provvede a ridisciplinare la materia, prevedendo l’emanazione di un decreto di natura non regolamentare del Ministro dello sviluppo economico per la concessione di agevolazioni finanziariea sostegno degli investimenti privati e per la realizzazione di interventi ad essi complementari e funzionali. La gestione degli interventi viene affidata, con modalità stabilite da apposita convenzione, all’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo di impresa S.p.A. Tale strumento di intervento sostituirà i contratti di programma e i contratti di localizzazione per l’attrazione degli investimenti[9].

Si ricorda che, a partire dalla legge finanziaria 2005, sono stati previsti diversi strumenti di intervento per favorire l’attrazione di investimenti in Italia, assegnandone la competenza gestionale a Sviluppo Italia, poi trasformata in Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo di impresa S.p.A Infatti la legge finanziaria 2007 (legge n. 296/2006) all’articolo 1, comma 460, oltre a mutare la denominazione di Sviluppo Italia S.p.A. in “Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa S.p.A.“, ha attribuito al Ministro dello sviluppo economico una serie di poteri, tra cui quello di definire con apposite direttive le priorità e gli obiettivi dell’Agenzia. In particolare la direttiva del Ministro dell’economia e delle finanze del 27 marzo 2007 ha stabilito che l’azione dell’Agenzia dovrà essere diretta, con particolare riferimento al Mezzogiorno, a conseguire le seguenti priorità:

1.  favorire l’attrazione degli investimenti esteri di elevata qualità, in grado di dare un contributo allo sviluppo del sistema economico e produttivo nazionale;

2.  sviluppare l’innovazione e la competitività industriale e imprenditoriale nei sistemi produttivi e nei sistemi territoriali;

3.  promuovere la competitività e le potenzialità attrattive dei territori.

Relativamente alla disciplina degli aiuti di Stato si ricorda che con la Comunicazione della Commissione 2006/C 54/08 sono stati definiti i nuovi “Orientamenti in materia di aiuti a finalità regionale 2007-2013”. Per quanto riguarda l’Italia la “Carta degli aiuti è stata approvata con Decisione della Commissione C(2007)5618 del 28 novembre 2007e recepita con decreto del Ministro dello sviluppo economico del 7 dicembre 2007, come modificato dal DM 27 marzo 2008.

 

Il comma 6 conferma – ai fini dell’attuazione degli interventi del presente articolo - l’applicazione delle disposizioni del decreto del Ministro dello sviluppo economico 3 dicembre 2007, n. 747 recante Agevolazioni ai sensi degli articoli 5, 6, 7 e 8 della legge n. 181/1989, e successive estensioni. Attuazione in regime di esenzione ai sensi del regolamento (CE) n. 1968/2006, del regolamento (CE) n. 70/2001 come prorogato dal regolamento (CE) n. 1976/2006.

 

Il comma 7 reca abrogazione di tutte le disposizioni della legge 181/89 e successive modificazioni in contrasto con l’articolo in esame. Sono fatti salvi gli effetti degli atti e dei contratti sottoscritti dell’Agenzia in data anteriore all’entrata in vigore del presente provvedimento.

Da ultimo il comma 8 rinvia ad un decreto del Ministro dello sviluppo economico – la cui emanazione è prevista entro il termine di due mesi dall’entrata in vigore della presente legge – la definizione delle modalità attuative degli interventi previsti dall’articolo in commento, nonché delle direttive da impartire all’Agenzia. Al Ministro compete, altresì, l’individuazione delle risorse da destinare a tali interventi a legislazione vigente e quelle che possono essere utilizzate direttamente dall’Agenzia nell’ambito delle proprie disponibilità.

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)

Con riferimento alle azioni di reindustrializzazione delle aree industriali inquinate, si ricorda che la nuova disciplina degli aiuti di stato per la tutela ambientale, pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea serie C, n. 82, del 1° aprile 2008, prevede, al punto 3.1.10, le condizioni per l’erogazione di aiuti per il risanamento di siti contaminati. In particolare, si stabiliscono la tipologia e l’intensità delle agevolazioni in presenza delle quali esse possono essere considerate compatibili con il mercato comune, ai sensi dell’art. 87, paragrafo 3, lettera c), del trattato CE.

 


 

Articolo 6
(Internazionalizzazione delle imprese)

 

1. Alla legge 31 marzo 2005, n. 56, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all'articolo 4, comma 2, le parole da: «e con il Ministro dell'istruzione» fino a: «Conferenza permanente» sono sostituite dalle seguenti: «, sentiti il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca e la Conferenza permanente»;

b) all'articolo 5, comma 3, le parole: «di concerto con il Ministro per gli italiani nel Mondo, d'intesa con il Ministro delle politiche agricole e forestali e con il Ministro per gli affari regionali,» sono soppresse.

 

 

L’articolo 6 modifica la legge 31 marzo 2005, n. 56 recante disposizioni in materia di internazionalizzazione delle imprese, al fine di semplificare le procedure nell’ambito dell’Accordo-quadro con le università e degli accordi di settore in materia di internazionalizzazione.

La legge 31 marzo 2005, n. 56 (Misure per l’internazionalizzazione delle imprese, nonché delega al Governo per il riordino degli enti operanti nel medesimo settore) costituisce il nuovo quadro giuridico di riferimento definito per promuovere interventi a sostegno dell’internazionalizzazione del sistema produttivo italiano. La legge si colloca nell’ambito di un processo di riforma del sistema di sostegno pubblico all’internazionalizzazione avviato nella XIV legislatura, finalizzato, a fronte del decentramento, dell’ampliamento dell’autonomia delle regioni e degli enti locali e del coinvolgimento di numerosi soggetti (pubblici e privati) nelle attività di sostegno all’internazionalizzazione, ad evitare un’eccessiva polverizzazione e disorganicità degli interventi e degli strumenti nel settore dell’internazionalizzazione, integrando e coordinando le azioni dei diversi soggetti coinvolti in una logica di “sistema Paese”. In tale logica di recupero di una funzione statuale di coordinamento unitario, che trova la sua base giuridica nell’art. 118 Cost., si innestano: la previsione degli sportelli unici all’estero, le funzioni di coordinamento del Ministero delle attività produttive concernenti l’accordo-quadro con le università, gli accordi di settore.

 

Le modifiche introdotte dall’articolo in commento riguardano in particolare:

§      l’articolo 4, comma 2, della legge 56/2005, recante disposizioni volte al rafforzamento delle sinergie tra il mondo imprenditoriale e quello universitario attraverso l’attivazione di strumenti indicati dall’Accordo-quadro sottoscritto tra il Ministero e le università.

Attraverso la concretizzazione degli strumenti indicati nell’Accordo-quadro sottoscritto nel 2001[10] tra l’allora Ministero del commercio con l’estero, ICE e Conferenza dei rettori delle università italiane, allo scopo di valorizzare le Università italiane nelle loro interconnessioni con il sistema economico, si evidenzia la funzione propulsiva e di coordinamento affidata al Ministero delle attività produttive (ora dello sviluppo economico) per la ricerca di sinergie tra il mondo universitario e quello imprenditoriale nel settore della internazionalizzazione.

Il comma 2 rinvia, per l’individuazione delle priorità e dei settori di intervento per effettuare gli investimenti previsti dall’articolo in attuazione dell’Accordo, nonché delle relative modalità di finanziamento, ad un successivo decreto del Ministro delle attività produttive, adottato di concerto con i Ministri degli affari esteri e dell’istruzione, sentita la Conferenza dei rettori delle università e la Conferenza Stato-regioni, entro centottanta giornidalla data di entrata in vigore della legge.

La modifica introdotta dall’articolo in commento prevede che per l’emanazione del decreto non sia più richiesto il concerto con il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca (che deve essere solo sentito) né che venga sentita la Conferenza dei rettori delle università italiane;

 

§      l’articolo 5 della legge 56/2005, contenente la previsione di accordi di settore volti a favorire e incentivare, anche attraverso l’ICE, il coordinamento delle attività promozionali e la realizzazione di progetti di investimenti pluriennali nel campo della internazionalizzazione.

In particolare il comma 3 oggetto di modifica prevede forme di raccordo con le camere di commercio e le camere di commercio italiane all’estero, con il sistema associativo, rappresentativo degli interessi delle imprese, con le comunità, le comunità di affari italiane all’estero e con i loro organismi rappresentativi, alla cui promozione provvedono i Ministri delle attività produttive (ora dello sviluppo economico) e degli affari esteri, di concerto con il Ministro per gli italiani nel mondo, d’intesa con i Ministri delle politiche agricole e forestali e per gli affari regionali.

A seguito delle modifiche apportate non è più previsto il concerto con il Ministro per gli italiani nel mondo, né l’intesa con i Ministri delle politiche agricole e forestali e per gli affari regionali con riferimento alle forme di raccordo di cui al citato comma 3.

 

 


 

Articolo 7
(Commercio internazionale e incentivi per l'internazionalizzazione delle imprese)

 


1. Il Governo è delegato ad adottare, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo recante norme per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di internazionalizzazione delle imprese, secondo le modalità e i princìpi e criteri direttivi di cui all'articolo 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni, nonché nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) riunire e coordinare tutte le disposizioni legislative vigenti in materia di internazionalizzazione delle imprese, considerando, oltre a quelle relative alle esportazioni, anche quelle concernenti gli investimenti in grado di promuovere l'internazionalizzazione delle produzioni italiane e prevedendo la delegificazione dei procedimenti in materia;

b) coordinare gli interventi di competenza dello Stato con quelli di competenza delle regioni e degli altri soggetti operanti nel settore dell'internazionalizzazione delle imprese;

c) prevedere accordi tra enti pubblici e il sistema bancario per l'utilizzo dei servizi e delle sedi estere degli istituti di credito.

2. Il Governo è delegato ad adottare, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi ai fini della ridefinizione, del riordino e della razionalizzazione degli enti operanti nel settore dell'internazionalizzazione delle imprese, secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) rispetto dei compiti attribuiti al Ministero dello sviluppo economico, al Ministero degli affari esteri e al Ministero dell'economia e delle finanze dal decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, e successive modificazioni, e dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 143, e successive modificazioni, e adeguamento delle disposizioni legislative che regolano i singoli enti al quadro delle competenze delineato dal citato decreto legislativo n. 143 del 1998, e successive modificazioni, nonché all'assetto costituzionale derivante dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3;

b) riassetto organizzativo degli enti operanti nel settore dell'internazio­nalizzazione delle imprese, secondo princìpi ispirati alla maggiore funzionalità dei medesimi in relazione alle rinnovate esigenze imposte dall'attuale quadro economico-finanziario, nonché a obiettivi di coerenza della politica economica e commerciale estera e della promozione del sistema economico italiano in ambito internazionale con le funzioni svolte dall'amministrazione centrale degli affari esteri, dalle rappresentanze diplomatiche e dagli uffici consolari in materia di rappresentanza, di coordinamento e di tutela degli interessi italiani in sede internazionale;

c) compatibilità con gli obiettivi di riassetto della normativa in materia di internazionalizzazione delle imprese di cui al comma 1.

3. Entro un anno dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi di cui ai commi 1 e 2, possono essere emanate disposizioni correttive e integrative dei decreti stessi, nel rispetto delle modalità e dei princìpi e criteri direttivi stabiliti dai medesimi commi.


 

 

L’articolo 7 reca due deleghe al Governo volte, la prima, a prefigurare un generale riordino normativo, la seconda, a riordinare gli enti operanti nel settore dell’internazionalizzazione[11]. Il termine fissato per l’esercizio di ciascuna delega e di diciotto mesi dall’entrata in vigore della legge.

Con il termine internazionalizzazione delle imprese si indica una molteplicità di attività piuttosto eterogenee, svolte da una pluralità di soggetti istituzionali, tra le quali rientrano: l’azione di politica estera volta a promuovere la presenza delle imprese nazionali all’estero ovvero l’incremento delle esportazioni; la costituzione di sportelli unici per le imprese che operano all’estero; l’assistenza e la consulenza alle imprese svolta all’estero; il sostegno ad iniziative di penetrazione commerciale; la concessione di crediti agevolati per l’esportazione e l’assicurazione degli stessi crediti; i finanziamenti diretti e la partecipazione, da parte di organismi societari sottoposti al controllo pubblico, in società finanziarie; il finanziamento di società miste all’estero.

Per quanto riguarda gli organismi la cui azione è volta a promuovere l’internazionalizzazione delle imprese, oltre al Ministero dello sviluppo economico vanno menzionati il Ministero degli affari esteri e le regioni. A livello dell’amministrazione statale, è inoltre da ricordare l’attività di coordinamento e decisione svolta dal CIPE. Nel settore operano inoltre l’Istituto del commercio estero (ICE), sottoposto alla vigilanza del Ministero dello sviluppo economico; l’Istituto per i servizi assicurativi del commercio estero (SACE, ora trasformato in S.p.A); la Società italiana per le imprese all’estero (SIMEST), le cui azioni sono per il 76% di proprietà pubblica; la Società finanziaria attiva nei confronti delle imprese che operano nelle zone di confine (FINEST). Vanno infine menzionati il Mediocredito Centrale, gli uffici commerciali delle rappresentanze diplomatiche e le camere di commercio italiane all’estero.

 

Delega per il riassetto normativo

La delega conferita al Governo ai sensi del comma 1, prevede l’adozione, entro diciotto mesi dall'entrata in vigore della presente legge, di uno o più decreti legislativi destinati al riassetto della normativa in materia di internazionalizzazione delle imprese.

L’articolo in esame, detta specifici principi e criteri direttivi per l'attuazione della delega, in aggiunta a quelli di carattere generale definiti dall’articolo 20 della legge 59/97, si possono così riassumere:

§      esercizio della delega finalizzato alla raccolta e al coordinamento delle disposizioni legislative in materia, con l’indicazione di considerare, oltre alle esportazioni, anche gli investimenti idonei a promuovere l’internazionalizzazione. Tale principio e criterio di delega, come del resto il successivo, non prevede alcuna modifica di carattere sostanziale della normativa vigente e sembra piuttosto orientato a consentire la predisposizione di un codice in materia di internazionalizzazione, come, peraltro, confermato dalla stessa relazione governativa al ddl in esame;

§      coordinamento delle misure di competenza dello Stato con quelle delle regioni e degli altri soggetti operanti nel settore dell’internazionalizzazione, mentre;

§      accordi tra enti pubblici e il sistema bancario per l’utilizzo dei servizi e delle sedi estere degli istituti di credito.

La ripartizione delle funzioni amministrative tra Stato e regioni in materia di internazionalizzazione risulta dal decreto legislativo n. 112 del 1998 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59).

Allo Stato (art. 18), oltre alla definizione dei criteri generali per la concessione degli incentivi e simili all’industria ed alla diretta concessione di determinati contributi (ad esempio quelli di rilevanza economica strategica o valutabili su scala nazionale), sono riservate funzioni e compiti in materia di assicurazione, riassicurazione e finanziamento dei crediti all’esportazione; partecipazione ad imprese e società miste, promosse o partecipate da imprese italiane; sostegno alle iniziative di penetrazione commerciale ed industriale; sostegno alla partecipazione di imprese italiane a gare internazionali; attività promozionale di livello nazionale ed altre funzioni di analogo contenuto in cui si sostanzia la gran parte delle attività rivolte alla internazionalizzazione delle imprese. Alle regioni (art. 19) risultano invece attribuite le funzioni in materia di promozione di livello locale nonché la concessione di incentivi e simili per il sostegno allo sviluppo della commercializzazione e della internazionalizzazione delle imprese. Va infine ricordato come il nuovo testo dell’articolo 117 Cost., introdotto nell’ambito della riforma del titolo V della Costituzione, ricomprenda tra le materie di legislazione concorrente - per le quali alle regioni spetta la potestà legislativa e regolamentare ed allo Stato la definizione con legge dei principi fondamentali della materia - il commercio con l’estero. Tale materia – alla quale può ricondursi l’internazionalizzazione delle imprese - sembra tuttavia presentare profili afferenti alle materie valutaria, finanziaria e della concorrenza, oltre che alla politica estera nazionale, tutte rimesse alla competenza legislativa esclusiva dello Stato ai sensi del medesimo articolo 117 Cost.

 

Delega per il riordino degli enti

Il comma 2 delega il Governo alla ridefinizione, al riordino e alla razionalizzazione degli enti operanti nel settore dell’internazionalizzazione delle imprese, attraverso l’adozione di uno o più decreti legislativi a ciò finalizzati, da adottarsi entro 18 mesi dalla data di entrata in vigore della legge.

Tra i principi e i criteri direttivi enunciati dal comma 2, cui dovrà attenersi il Governo, si ricordano:

§      il rispetto dei compiti attribuiti rispettivamente ai Ministeri dello sviluppo economico, degli affari esteri e dell’economia e delle finanze dal D.Lgs. n. 300/99[12] e successive modificazioni e dal D.Lgs. n. 143/98, nonché l’adeguamento delle disposizioni legislative regolanti i singoli enti al quadro delle competenze delineato dal citato D.Lgs. n. 143 e all’assetto costituzionale derivante dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.

Con riferimento ai compiti dei ministeri sarebbe opportuno un rinvio anche al decreto-legge 85/2008, recentemente convertito in legge (L. 121/08), che ha inciso sull’assetto delle competenze del Ministero dello sviluppo economico assegnandogli funzioni in precedenza spettanti ai Ministeri del commercio internazionale e delle comunicazioni.

§      il riassetto organizzativo degli enti secondo principi che si ispirano a maggiore funzionalità dei medesimi tenuto conto delle esigenze imposte dall’attuale quadro economico-finanziario, nonché ad obiettivi di coerenza della politica economica e commerciale estera e della promozione del sistema economico italiano, in ambito internazionale, con le funzioni svolte dall’amministrazione centrale degli affari esteri, dalle rappresentanze diplomatiche e dagli uffici consolari in materia di rappresentanza, di coordinamento e di tutela degli interessi italiani in sede internazionale;

§      la compatibilità con gli obiettivi di riassetto della normativa in materia di internazionalizzazione.

 

Il comma 3, infine, prevede la possibilità di adottare disposizioni correttive e integrative dei decreti legislativi entro un anno dalla data di entrata in vigore di ciascuno di essi.

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)

Europa globale

Nell’ambito delle iniziative adottate per favorire la competitività esterna, si ricorda che il 18 aprile 2007 la Commissione ha presentato la comunicazione “Europa Globale: un partenariato rafforzato per assicurare l'accesso ai mercati per gli esportatori europei” (COM (2007) 183). Questa strategia, volta ad abbattere le barriere commerciali estere e ad assicurare nuove opportunità di esportazione, si inserisce nel nuovo quadro di politica commerciale inaugurato dalla Commissione con la comunicazione del 4 ottobre 2006 “Europa globale – competere nel mondo[13]. Il fulcro di questa nuova strategia[14] è costituito da un nuovo partenariato decentrato tra la Commissione, gli Stati membri e le aziende attive sul terreno nei paesi terzi in cui l'esperienza locale agevola l'identificazione e il superamento delle barriere commerciali.

Tra gli elementi chiave della nuova strategia vi sono:

-        una cooperazione più stretta e più attiva tra la Commissione europea, gli Stati membri e le imprese, compresa la costituzione sul terreno di gruppi[15] per l'accesso al mercato nei paesi terzi, sia per identificare le barriere commerciali prima che si manifestino, sia per affrontare gli ostacoli esistenti agli scambi;

-        una migliore definizione delle priorità in materia di risorse, con particolare attenzione per certi “mercati bersaglio”, settori chiave o tematiche, quali i diritti di proprietà intellettuale;

-        un miglior uso delle opportunità offerte dai negoziati – in particolare nell'ambito del Doha Round e della nuova generazione di accordi di libero scambio dell'UE – per registrare progressi in materia di ostacoli non tariffari;

-        una maggiore attenzione per gli aspetti applicativi delle norme commerciali globali e bilaterali – mediante un sistema istituzionale di composizione delle controversie e di strumenti europei in materia di barriere commerciali;

-        un servizio più efficiente e trasparente rivolto alle imprese, compresi una registrazione e un follow-up più sistematici dei casi e una base di dati migliorata sull'accesso ai mercati (Market Access Database).

La comunicazione è stata trasmessa al Consiglio e al Parlamento europeo. Il 17 giugno 2007 il Consiglio ha adottato conclusioni in merito.

In particolare, nell’accogliere positivamente l’iniziativa della Commissione, il Consiglio sottolinea che l’attuazione della nuova strategia dell’UE di accesso ai mercati e gli sforzi bilaterali degli Stati membri dovrebbero completarsi nel pieno rispetto delle competenze esistenti. Il Consiglio concorda inoltre sul fatto che non occorrano nuove istituzioni e che sia al contrario necessario far funzionare in maniera più efficace quelle esistenti. Il Consiglio infine esprime l’intenzione di valutare periodicamente i progressi compiuti nella attuazione della strategia.

Il 19 febbraio 2008 il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione in merito all’iniziativa della Commissione.

Nella risoluzione il PE sollecita un'ambiziosa strategia di accesso ai mercati extra-UE capace di accrescere la competitività delle imprese europee, in particolare delle piccole e medie imprese (PMI). A tal fine secondo il PE occorre: rimuovere gli ostacoli tariffari e non tariffari; garantire il rispetto delle norme internazionali, in particolare sulla proprietà intellettuale; promuovere un accordo multilaterale che favorisca l'accesso ai mercati nonché migliorare l'assistenza alle imprese esportatrici. A quest’ultimo proposito, il Parlamento chiede di:

-        creare servizi di assistenza (helpdesk) nazionali o regionali «per centralizzare informazioni e segnalazioni, prestando particolare attenzione agli interessi e alle esigenze delle PMI»;

-        creare un vero e proprio registro delle denunce e di un servizio assistenza agli Stati membri e alle imprese (con una sezione riservata alle PMI);

-        mettere a punto degli orientamenti strutturati per le priorità, precisando quali sono i mercati, i settori e gli ostacoli sui quali è opportuno focalizzare l'attenzione;

-        rivedere e potenziare la politica di comunicazione sui servizi in materia di accesso ai mercati, con un'attenzione particolare per le PMI, e migliorare la banca dati sull'accesso ai mercati «per renderla di più facile uso e più rispondente alle esigenze delle aziende»;

-        accrescere la cooperazione con le camere di commercio europee, con le associazioni commerciali e con gli enti di promozione del commercio degli Stati membri situati in paesi terzi, nonché garantire un adeguato scambio di informazioni tra le delegazioni, le ambasciate degli Stati membri, gli altri enti governativi di promozione del commercio estero e le associazioni industriali europee interessate.

 

Investimenti transfrontalieri

Il 21 dicembre 2007 la Commissione ha presentato la comunicazioneEliminare gli ostacoli agli investimenti transfrontalieri dei fondi di capitali di rischio” (COM(2007) 853), che pone l’accento sui problemi con cui si confrontano le piccole e medie imprese innovatrici per accedere al finanziamento necessario ad avviare l’attività, crescere e diventare competitive sui mercati mondiali. In questo contesto, la Commissione sottolinea che, in un’economia globale altamente competitiva, un migliore accesso ai finanziamenti da parte delle piccole e medie imprese innovatrici è diventato un elemento essenziale per rafforzare la competitività.

La Commissione intende, pertanto, continuare ad adoperarsi per un mercato dei capitali di rischio unificato che favorisca l’accesso ai finanziamenti per le PMI innovatrici e nel corso del 2009 farà nuovamente il punto sulla situazione.

Il Consiglio ha adottato, nella sua riunione del 29-30 maggio 2008, conclusioni sulla competitività e l’innovazione dell’industria europea nelle quali, fra l’altro, insiste sul fatto che gli strumenti esistenti a livello dell’UE, a livello nazionale e regionale, in particolare i fondi strutturali, svolgono un ruolo importante nella promozione dell’innovazione; invita, pertanto, la Commissione e gli Stati membri a unire i loro sforzi al fine di superare gli ostacoli agli investimenti transfrontalieri dei fondi di capitale di rischio.

 


 

Articolo 8
(Fondi regionali con finalità di venture capital
gestiti dalla SIMEST Spa)

 


1. All'articolo 1 del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, il comma 6-bis è sostituito dal seguente:

«6-bis. Al fine di potenziare l'attività della SIMEST Spa a supporto dell'interna­zionalizzazione delle imprese, le regioni possono assegnare in gestione alla società stessa propri fondi rotativi con finalità di venture capital, per l'acquisizione di quote aggiuntive di partecipazione fino a un massimo del 49 per cento del capitale o fondo sociale di società o imprese partecipate da imprese operanti nel proprio territorio. Tali fondi sono autonomi e restano distinti dal patrimonio della SIMEST Spa. Qualora i fondi rotativi siano assegnati da regioni del Mezzogiorno, le quote di partecipazione complessivamente detenute dalla SIMEST Spa possono raggiungere una percentuale fino al 70 per cento del capitale o fondo sociale. I fondi rotativi regionali con finalità di venture capital previsti dal presente comma possono anche confluire, ai fini della gestione, nel fondo unico di cui all'articolo 1, comma 932, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, estendendosi agli stessi la competenza del Comitato di indirizzo e di rendicontazione di cui al decreto del Vice Ministro delle attività produttive n. 404 del 26 agosto 2003. Il Ministro dello sviluppo economico può provvedere, con proprio decreto, all'integrazione della composizione del Comitato di indirizzo e di rendicontazione con un rappresentante della regione assegnataria del fondo per le specifiche delibere di impiego del medesimo, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica».


 

 

L’articolo in esame novella il comma 6-bis, art. 1, del DL 14 marzo 2005, n. 35[16]concernente la gestione, da parte della SIMEST spa[17], di fondi regionali con finalità di venture capital .

Il comma 6-bis, aggiunto all’articolo 1 del DL 35/05dal comma 4-terdell’art. 2 del DL 203/05[18]nell’ambito del potenziamento degli strumenti di supporto all’internazionalizzazione delle imprese, attribuisce alle regioni la facoltà di assegnare in gestione alla SIMEST spa propri fondi rotativi con finalità di capitale di rischio - venture capital - per l’acquisizione da parte della stessa società di quote aggiuntive di partecipazione, entro il limite massimo del 49% del capitale o del fondo sociale, in società o imprese partecipate operanti nel loro territorio. Tali fondi rotativi delle regioni, gestiti dalla Simest, sono autonomi e restano distinti dal patrimonio della società.

 

La modifica è rivolta a prevedere che qualora i fondi siano assegnati in gestione alla SIMEST da parte di regioni del Mezzogiorno, il limite massimodelle quote di partecipazione che possono essere acquisite dalla suddetta società può arrivare fino al 70% del capitale o del fondo sociale.

Prevede, inoltre, che i suddetti fondi confluiscano - ai fini della loro gestione - nel fondo unico previsto dal comma 932 della legge finanziaria 2007 (L. 296/06), stabilendo che ad essi venga estesa la competenza del Comitato di indirizzo e di rendicontazione (istituito dall’art. 5 del decreto del viceministro delle attività produttive n. 397 del 3 giugno 2003) cui è affidata la definizione dei criteri generali di operatività del Fondo stesso. Il Comitato, cui in sostanza sono devoluti i poteri concernenti l’utilizzo dei fondi stessi, può essere integrato, con decreto del Ministro dello sviluppo economico e senza ulteriori oneri a carico della finanza pubblica, con un rappresentante della regione assegnataria del fondo, per l’adozione di specifiche delibere di impiego del fondo stesso.

Nel citato fondo unico sono unificati tutti i fondi rotativi gestiti dalla SIMEST spa, destinati ad operazioni di venture capital in paesi non aderenti alla UE, compreso il fondo autonomo previsto dall’articolo 5, comma 2, lettera c), della legge n. 84 del 2001 per l’acquisizione da parte della stessa Simest di partecipazioni societarie fino al 40% del capitale o del fondo sociale delle società o imprese partecipate[19].

 

Secondo la relazione illustrativa del DDL in esame, la modifica normativa è rivolta a rendere la norma maggiormente flessibile ed efficace, in modo da consentire alle regioni interessate una gestione autonoma dei fondi, procedendo in sinergia con il suindicato fondo unico, e di offrire il massimo supporto all’internazionalizzazione delle PMI del Mezzogiorno attraverso l’estensione delle quote detenute dalla SIMEST per i fondi delle regioni meridionali.


 

Articolo 9
(Utilizzo della quota degli utili della SIMEST Spa)

 


1. Per il raggiungimento delle finalità di cui all'articolo 3, comma 5, della legge 24 aprile 1990, n. 100, come da ultimo modificato dall'articolo 1, comma 934, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, è istituito presso la Tesoreria dello Stato, con apposita contabilità speciale, il Fondo rotativo per favorire la fase di avvio (start-up) di progetti di internazionalizzazione di imprese singole o aggregate, gestito dalla SIMEST Spa, ai sensi dell'articolo 25 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 143.

2. Sono assegnate al Fondo, con decreto del Ministero dello sviluppo economico, le disponibilità finanziarie derivanti da utili di spettanza del Ministero stesso in qualità di socio della SIMEST Spa, già finalizzate, ai sensi del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 143, e successive modificazioni, a interventi di sviluppo delle esportazioni.

3. Gli interventi del Fondo hanno per oggetto investimenti transitori e non di controllo nel capitale di rischio di società appositamente costituite da singole piccole e medie imprese, o da loro raggruppamenti, per realizzare progetti di internazionalizzazione.

4. Il Ministro dello sviluppo economico, entro un mese dalla data di entrata in vigore della presente legge, stabilisce con decreto emanato ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, le condizioni e le modalità operative del Fondo.


 

 

Il comma 1 dell’articolo in esame, in relazione alle finalità di cui all’art. 3, co. 5, legge n. 100/1990 come modificato dal comma 934 della legge Finanziaria per il 2007, istituisce presso la Tesoreria dello Stato, con apposita contabilità speciale, un Fondo rotativo destinato a favorire la fase di avvio (start-up) di progetti di internazionalizzazione delle imprese, assegnandone la gestione alla SIMEST S.p.A., ai sensi dell’articolo 25 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 143.

Si ricorda che l’articolo 3, comma 5 della L. 24 aprile 1990, n. 100, recante norme sulla promozione della partecipazione a società ed imprese miste all'estero e istitutiva della SIMEST[20], stabilisce che gli utili conseguiti da quest’ultima, anche per la parte degli stessi determinati da plusvalenze sulle cessioni di partecipazioni effettuate, possono essere distribuiti agli azionisti diversi dallo Stato. La quota di utili di competenza del Ministro del commercio con l'estero (oggi Ministro dello sviluppo economico) affluisce all'entrata del bilancio dello Stato per essere contestualmente riassegnata ad un apposito capitolo di spesa del Ministero del commercio con l'estero per interventi volti a sostenere l'internazionalizzazione del sistema produttivo italiano.

Quanto sopra è il risultato delle modifiche apportate dapprima con l'art. 20 del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 143[21] e in seguito, dal comma 934 della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Finanziaria 2007), il quale ha modificato la legge n. 100 del 1990, con riferimento alla destinazione degli utili conseguiti dalla SIMEST S.p.a., consentendo di destinare tali utili anziché, come previsto in precedenza, per le finalità della legge n. 100/90 sostanzialmente circoscritte alla partecipazione di quote di capitale da parte della Società, ad interventi a sostegno dell’internazionalizzazione del sistema produttivo nazionale.

 

Il comma 2 prevede che, con apposito decreto ministeriale, al Fondo affluiscano le disponibilità finanziarie derivanti da utili di competenza del Ministero dello sviluppo economico quale socio della SIMEST e già destinati, ai sensi del citato D.Lgs. 143/98, allo sviluppo delle esportazioni.

Si ricorda che ai sensi dell’articolo 25, comma 1, del D.Lgs. n. 143/98, con decorrenza 1° gennaio 1999 la gestione degli interventi di sostegno finanziario all'internazionalizzazione del sistema previste dalle varie leggi di settore (L. 24 n. 227/77; DL n. 251/81, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 394/81; L. n. 304/90; L. n. 100/90; art. 14 della L n. 317/91) è stata affidata alla SIMEST. La società, in qualità di gestore unico di fondi pubblici, corrisponde direttamente alle imprese italiane contributi agli interessi (nella misura massima del 50% del tasso di riferimento) a fronte di finanziamenti concessi da banche, italiane o estere, della quota di capitale di rischio nelle società estere partecipate dalla stessa SIMEST.

 

Il comma 3 specifica che gli interventi del fondo sono destinati ad investimenti di carattere transitorio, e non di controllo, nel capitale di rischio di società costituite appositamente da parte di PMI o di loro raggruppamenti, finalizzati alla realizzazione di progetti di internazionalizzazione.

La relazione allegata al ddl in esame sottolinea come la finalità del progetto sia di supportare, attraverso investimenti nel capitale di rischio transitori e di minoranza, lo sviluppo di società che realizzino progetti di internazionalizzazione mediante società costituite da raggruppamenti di piccole e medie imprese che solitamente incontrano difficoltà nell’affrontare i mercati extra-europei a causa delle loro dimensioni.

 

Il comma 4 rinvia ad un decreto del Ministro dello sviluppo economico ai sensi dell’art. 17, co. 2 della legge n. 400/1988[22] che, entro un mese dall’entrata in vigore della presente legge, dovrà definire condizioni e modalità operative del Fondo.


 

Articolo 10
(Tutela penale dei diritti di proprietà industriale)

 


1. Al codice penale sono apportate le seguenti modificazioni:

a) l'articolo 473 è sostituito dal seguente:

«Art. 473. - (Contraffazione, alterazione o uso di marchi o segni distintivi. Usurpazione di brevetti, modelli e disegni). - Chiunque contraffà o altera marchi o segni distintivi, nazionali o esteri, di prodotti industriali, ovvero, senza essere concorso nella contraffazione o alterazione, fa uso di tali marchi o segni contraffatti o alterati, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 1.000 a euro 6.000.

Alla stessa pena soggiace chi riproduce prodotti industriali usurpando i diritti di proprietà industriale protetti da brevetti, disegni o modelli, ovvero, senza essere concorso nell'usurpazione, ne fa altrimenti uso.

Le disposizioni di cui ai commi primo e secondo si applicano sin dal momento del deposito delle relative domande di registrazione o di brevettazione, sempre che siano state osservate le norme delle leggi interne, dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali rispettiva­mente applicabili»;

b) l'articolo 474 è sostituito dal seguente:

«Art. 474. - (Introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi o usurpativi). - Chiunque, fuori dei casi di concorso nei delitti previsti dall'articolo 473, introduce nel territorio dello Stato, al fine di trarne profitto, prodotti industriali con marchi o altri segni distintivi, nazionali o esteri, contraffatti o alterati, ovvero prodotti industriali realizzati usurpando i diritti di proprietà industriale protetti da brevetti, disegni o modelli industriali, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 1.000 a euro 6.000.

Fuori dei casi di concorso nella contraffazione, alterazione, usurpazione o introduzione nel territorio dello Stato, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa fino a euro 3.000 chiunque detiene per la vendita, pone in vendita o mette altrimenti in circolazione la merce di cui al primo comma.

Si applica la disposizione del terzo comma dell'articolo 473»;

c) dopo l'articolo 474 sono inseriti i seguenti:

«Art. 474-bis. - (Aggravante specifica). - La pena è della reclusione da due a otto anni e della multa da euro 3.000 a euro 15.000, se i fatti previsti dagli articoli 473, primo e secondo comma, e dall'articolo 474, primo comma, sono commessi su ingenti quantità di merci, ovvero, fuori dei casi di cui all'articolo 416, attraverso l'allestimento di mezzi nonché di attività continuative e organizzate.

Art. 474-ter. - (Confisca). - Nei casi di cui agli articoli 473, primo e secondo comma, e 474, primo comma, è sempre ordinata la confisca delle cose che sono servite e sono state destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono l'oggetto, il prodotto o il profitto, a chiunque appartenenti.

Quando non è possibile eseguire il provvedimento di cui al primo comma, il giudice ordina la confisca di beni di cui il reo ha la disponibilità per un valore corrispondente al profitto.

Si applicano le disposizioni dell'articolo 240 se si tratta di cose che sono servite o sono state destinate a commettere il reato appartenenti a persona estranea, qualora questa dimostri di non averne potuto prevedere l'illecito impiego, anche occasionale, e di non essere incorsa in un difetto di vigilanza.

Le disposizioni del presente articolo si osservano anche nel caso di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma del titolo II del libro sesto del codice di procedura penale»;

d) all'articolo 517, le parole: «fino a un anno o» sono sostituite dalle seguenti: «fino a due anni e»;

e) al libro secondo, titolo VIII, capo II, dopo l'articolo 517-bis è aggiunto il seguente:

«Art. 517-ter. - (Contraffazione di indicazioni dei prodotti agroalimentari). - Chiunque contraffà indicazioni geografiche o denominazioni di origine di prodotti agroalimentari tutelate ai sensi di leggi speciali, regolamenti comunitari o convenzioni internazionali è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 1.000 a euro 6.000.

Alla stessa pena soggiace chi, al fine di trarne profitto, introduce i medesimi prodotti con le indicazioni o denominazioni contraffatte nel territorio dello Stato.

Si applicano le disposizioni di cui al secondo comma dell'articolo 517-bis».

2. All'articolo 12-sexies, comma 1, del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, e successive modificazioni, dopo le parole: «416-bis,» sono inserite le seguenti: «473 e 474, aggravati ai sensi dell'articolo 474-bis,».

3. All'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale, dopo le parole: «decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43» sono inserite le seguenti: «, e per i delitti di cui agli articoli 473 e 474 del codice penale, aggravati ai sensi dell'articolo 474-bis del medesimo codice,».


 

 

L’articolo 10, comma 1,interviene sulla disciplina del codice penale volta alla tutela dei diritti di proprietà industriale, inasprendone il quadro sanzionatorio.

 

La lettera a) del comma 1 riformula l’art. 473 c.p., che disciplina, attualmente, la contraffazione, alterazione o uso di segni distintivi di opere dell'ingegno o di prodotti industriali.

Il vigente art. 473 c.p. sanziona con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a 2.065 euro chiunque contraffà o altera i marchi o segni distintivi, nazionali o esteri, delle opere dell'ingegno o dei prodotti industriali, ovvero, senza essere concorso nella contraffazione o alterazione, fa uso di tali marchi o segni contraffatti o alterati,.

Alla stessa pena soggiace chi contraffà o altera brevetti, disegni o modelli industriali, nazionali o esteri, ovvero, senza essere concorso nella contraffazione o alterazione, fa uso di tali brevetti, disegni o modelli contraffatti o alterati.

Le disposizioni precedenti si applicano sempre che siano state osservate le norme delle leggi interne o delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà intellettuale o industriale.

 

In particolare, è in primo luogo modificata la fattispecie delittuosa, che comprende anche l’ipotesi di riproduzione di prodotti industriali tramite usurpazione dei diritti di proprietà industriale protetti da brevetti, modelli e disegni.

In secondo luogo l’illecito (la cui rubrica è rinnovata nella formulazione aderente alla nuova fattispecie) viene sanzionato più severamente con la reclusione da uno a sei anni e la multa da 1.000 a 6.000 euro. La disciplina di cui all’art. 473 si applica dal momento del deposito delle domande di brevettazione o registrazione del prodotto industriale.

La lettera b) riformula l’art. 474 c.p. che regola la fattispecie di introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi.

L’art. 474 c.p. prevede che chiunque, fuori dei casi di concorso nei delitti preveduti dall'articolo 473, introduce nel territorio dello Stato per farne commercio, detiene per vendere, o pone in vendita, o mette altrimenti in circolazione opere dell'ingegno o prodotti industriali, con marchi o segni distintivi, nazionali o esteri, contraffatti o alterati, è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a euro 2.065.

 

Il nuovo art. 474 modifica la fattispecie differenziando le fattispecie di illecito, che attualmente prevedono la medesima pena. Il primo comma disciplina infatti, l’ipotesi dell’introduzione in Italia, al fine di trarne profitto, dei prodotti industriali con marchi o altri segni distintivi, nazionali o esteri contraffatti o alterati, estendendone l’ambito di applicazione anche ai prodotti realizzati tramite l’usurpazione dei diritti di proprietà industriale protetti da brevetti. Tale fattispecie è punita con la reclusione da uno a sei anni e la multa da 1.000 a 6.000 euro.

Il secondo comma disciplina invece la fattispecie della detenzione per la vendita, la messa in vendita o la messa in circolazione dei suddetti prodotti, che è punita con la reclusione da sei mesi a tre anni e la multa fino a 3.000 euro.

 

La lettera c) del comma 1, aggiunge al codice penale due nuovi articoli che prevedono rispettivamente un’aggravante specifica per i delitti di cui agli articoli 473 e 474, primo comma, c.p. , come modificati dal disegno di legge in esame, e la confisca delle cose inerenti i suddetti reati.

Con l’art. 474-bis c.p. si prevede che costituisce un’aggravante specificadelle suddette violazioni, l’aver commesso il fatto suingenti quantità di merci. In tal caso sono comminate la pena della reclusione da due a otto anni e la multa da 3.000 a 15.000 euro. Analoga pena è prevista quando, fuori delle ipotesi associative di cui all’art. 416 c.p. , il reato è commesso non episodicamente ma con allestimento di mezzi ed attività continuative e organizzate.

Il nuovo art. 474-ter c.p. introduce, invece, una specifica ipotesi di confisca obbligatoria delle cose, a chiunque appartenenti, che servirono o furono destinate a commettere i reati di cui agli artt. 473 e 474, primo comma, e delle cose, che ne sono l’oggetto, il prodotto o il profitto (primo comma).

Se non è possibile eseguire il provvedimento, è disposta dal giudice una confisca per equivalente (secondo comma).

In caso di cose appartenenti a persona estranea al reato, qualora questa dimostri di non averne potuto prevedere l'illecito impiego, anche occasionale, e di non essere incorsa in un difetto di vigilanza, si applica l’articolo 240 c.p. (che concede al giudice la facoltà di disporre la confisca).

Viene, infine, precisata l’applicabilità del nuovo art. 474-ter anche in caso di patteggiamento (art. 444 c.p.p.).

 

La lettera d) raddoppia il limite edittale della reclusione per il reato di vendita di prodotti industriali con segni mendaci (art. 517, c.p.): dall’attuale reclusione fino ad un annoalla reclusione fino a due anni.

 

La lettera e) aggiunge tra i delitti contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio, la fattispecie della contraffazione di indicazioni dei prodotti agroalimentari (nuovo art. 517-ter c.p.).

La fattispecie prevede la punibilità - con la reclusione da uno a sei anni e la multa da 1.000 a 6.000 euro - della contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine di prodotti agroalimentari tutelate da leggi speciali, regolamenti comunitari o convenzioni internazionali ovvero l’introduzione, al fine di trarne profitto, di tali prodotti nel territorio dello Stato.

In tali casi è disposta l’applicazione dell’art. 517-bis secondo comma il quale prevede la facoltà per il giudice, in caso di particolare gravità o recidiva specifica, di disporre la chiusura dello stabilimento in cui il fatto è stato commesso, ovvero la revoca della licenza o delle autorizzazioni.

 

L’articolo 10, comma 2, aggiunge ipotesi particolari di confisca obbligatoria a quelle previste dall’art. 12-sexies, comma 1, del decreto legge n. 306 del 1992 (Modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa).

Tale disposizione prevede attualmente che in caso di condanna o patteggiamento per una serie di reati specificamente individuati (tra cui associazione mafiosa, sequestro di persona, tratta di persone, usura, estorsione, riciclaggio, terrorismo, ecc.) il giudice debba obbligatoriamente ordinare la confisca del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito dichiarato o alla propria attività economica.

Alla lista di reati alla cui condanna o patteggiamento consegue detta confisca obbligatoria, sono aggiunte le violazioni della disciplina penale della proprietà industriale di cui agli artt. 473 e 474 c.p., nelle sole ipotesi aggravate dell’art. 474-bis (in quanto commessi su ingente quantità di merce o mediante attività organizzate).

 

Infine, con analoga integrazione all’art. 51, comma 3-bis, c.p.p. le indagini per i reati di cui agli artt. 473 e 474 c.p., nelle sole citate ipotesi aggravate, sono attribuite al pubblico ministero presso il tribunale del capoluogo del distretto di corte d’appello (comma 3).

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)

Contraffazione

Il 24 giugno 2006 la Commissione ha presentato una proposta modificata di direttiva (COM(2006)168)[23], relativa alle misure penali finalizzate ad assicurare il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale.

In particolare, la proposta della Commissione prevede che gli Stati membri qualifichino penalmente ogni violazione intenzionale del diritto di proprietà intellettuale commessa su scala commerciale e il relativo tentativo nonché la complicità e l’incitamento, introducendo le seguenti sanzioni:

per le persone fisiche, pene restrittive della libertà;

per le persone fisiche e giuridiche:

-        ammende,

-        confisca dell’oggetto, degli strumenti e dei prodotti originati dai reati, o di beni il cui valore corrisponde a questi prodotti.

 

In base alla proposta gli Stati membri dovrebbero inoltre prevedere, nei casi opportuni, l’applicabilità delle sanzioni seguenti:

§      ladistruzione dei beni che causano una violazione del diritto di proprietà intellettuale;

§      la chiusura, totale o parziale, definitiva o temporanea, dello stabilimento principalmente usato per commettere la violazione in questione;

§      l’interdizione permanente o temporanea di esercitare attività commerciali;

§      il controllo giudiziario;

§      la liquidazione giudiziaria;

§      il divieto di accedere a sovvenzioni e aiuti pubblici;

§      la pubblicazione delle decisioni giudiziarie.

Per quanto riguarda il livello delle sanzioni, la proposta di direttiva prevede che gli Stati membri garantiscano che il massimo della pena comminabile alle persone fisiche responsabili dei suddetti reati non sia inferiore a 4 anni di reclusione quando tali reati siano commessi nell’ambito di un’organizzazione criminale ai sensi della decisione quadro sulla lotta contro la criminalità organizzata, attualmente in corso di esame da parte delle istituzioni europee[24], e comportino un rischio per la salute o la sicurezza delle persone.

Inoltre, le sanzioni devono comprendere ammende penali o non penali:

§      di un massimo non inferiore a 100 000 euro per i casi meno gravi;

§      di un massimo non inferiore a 300 000 euro per i casi in cui tali reati siano commessi nell’ambito di un’organizzazione criminale ai sensi della decisione quadro sulla lotta contro la criminalità organizzata, in corso di esame e comportino un rischio per la salute o la sicurezza delle persone.

La proposta di direttiva prevede inoltre ampi poteri di confisca e gli Stati membri adottano le misure necessarie a permettere la confisca, totale o parziale, dei beni appartenenti a persone fisiche o giuridiche condannate conformemente alle disposizioni della decisione quadro 2005/212/GAI del 24 febbraio 2005 relativa alla confisca di beni, strumenti e proventi di reati, quantomeno quando i reati siano stati commessi nell’ambito di un’organizzazione criminale e qualora comportino un rischio per la salute o la sicurezza delle persone.

La proposta è stata esaminata dal Parlamento europeo in prima lettura il 25 aprile 2007, con l’approvazione di una risoluzione legislativa, contenente alcuni emendamenti.

Tra le altre cose, il Parlamento europeo ritiene che:

-        per "diritti di proprietà intellettuale” si debbano intendere uno o più dei seguenti diritti: diritto d'autore, diritti connessi al diritto d'autore, diritto sui generis del costitutore di una banca di dati, diritti dei creatori di topografie di prodotti semiconduttori, diritti relativi ai marchi, nella misura in cui l'estensione ad essi della protezione del diritto penale non sia in contravvenzione delle norme sul libero mercato e sulle attività di ricerca, diritti relativi ai disegni, indicazioni geografiche, denominazioni commerciali, nella misura in cui sono protetti dal diritto nazionale in quanto diritti di proprietà esclusivi, in ogni caso unicamente per quanto riguarda i diritti previsti a livello comunitario, i diritti relativi alle merci di cui all'articolo 2, paragrafo 1, lettere a) e b) del regolamento (CE) n. 1383/2003 del Consiglio, del 22 luglio 2003, relativo all'intervento dell'autorità doganale nei confronti di merci sospettate di violare taluni diritti di proprietà intellettuale e alle misure da adottare nei confronti di merci che violano tali diritti, e in ogni caso, ad esclusione dei brevetti.

-        per quanto riguarda l’oggetto e il campo di applicazione, la direttiva non debba applicarsi alle violazioni di un diritto di proprietà intellettuale collegato a: a) brevetti, modelli di utilità e certificati complementari di protezione; b) importazione parallela di beni originali che sono stati commercializzati con l’accordo del titolare dei diritti di un paese terzo;

-        per quanto riguarda la qualifica di reato, per violazione commessa su scala commerciale si debba intendere “la violazione di un diritto di proprietà intellettuale commesso per ottenere un vantaggio commerciale” escludendo perciò gli atti compiuti da un utilizzatore privato per fini personali e non di lucro;

-        per quanto riguarda le sanzioni, si debba aggiungere alle tipologie previste nella proposta della Commissione, anche la possibilità di “un ordine che richieda il pagamento, da parte del contraffattore, delle spese di custodia dei beni confiscati; il Parlamento europeo propone inoltre che nel fissare il livello delle sanzioni, secondo i limiti quantitativi già indicati dalla proposta della Commissione, gli Stati membri tengano conto delle violazioni ripetutamente commesse da persone fisiche o giuridiche in un altro Stato membro.

La proposta, che segue la procedura di codecisione, è in attesa di esame da parte del Consiglio.

Il tema della lotta alla contraffazione è stato affrontato anche nell’ambito della risoluzione su norme e procedure efficaci in tema d'importazione ed esportazione al servizio della politica commerciale, adottata dal Parlamento europeo il 5 giugno 2008.

In particolare il Parlamento europeo ha sottolineato la necessità di predisporre, a livello di Unione europea, un piano di lotta alla contraffazione e alla pirateria; insistendo sulla necessità di rafforzare la cooperazione al riguardo, in seno alla Commissione, tra i servizi responsabili delle norme sulla proprietà intellettuale, della politica commerciale e della politica doganale.

 


 

Articolo 11
(Beni contraffatti)

 


1. All'articolo 392 del codice di procedura penale è aggiunto, in fine, il seguente comma:

«2-bis. Fuori dei casi previsti dal comma 2, il pubblico ministero, la persona sottoposta alle indagini e la persona offesa possono chiedere una perizia sui corpi di reato e sulle cose pertinenti al reato sottoposte a sequestro nei procedimenti per i reati previsti dagli articoli 473 e 474 del codice penale, qualora l'entità o la natura dei prodotti sequestrati comportino costi rilevanti per la loro custodia».

2. All'articolo 1 del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, e successive modificazioni, dopo il comma 8 è inserito il seguente:

«8-bis. Il pubblico ministero, quando sia stato eseguito l'incidente probatorio ai sensi dell'articolo 392, comma 2-bis, del codice di procedura penale, provvede immediatamente alla distruzione della merce contraffatta sottoposta a sequestro, ferma restando la conservazione dei campioni sottoposti a perizia. Se la conservazione dei beni sottoposti a sequestro è assolutamente necessaria per il prosieguo delle indagini, dispone in tal senso con provvedimento motivato».


 

 

L’articolo 11 modifica la disciplinain materia di incidente probatorio, in relazione ai delitti di cui agli artt. 473 e 474 c.p.

 

Il comma 1 integra la formulazione dell’art. 392 del codice di procedura penale (Casi di incidente probatorio) aggiungendo un comma 2-bis che prevede – nei procedimenti per i reati di cui agli artt. 473 e 474 - la possibilità di richiesta di perizia sulle cose sequestrate (da parte del PM., dell’indagato e della persona offesa dal reato) quando la loro quantità o natura comportino costi di custodia troppo elevati.

 

Il comma 2, a corollario di tale previsione, aggiunge un comma 8-bis all’art. 1 del DL 35/2005[25] (L. 80/2005) che stabilisce che nei casi sopraindicati – salva l’ipotesi di conservazione della merce in quanto assolutamente necessaria alle indagini - il P.M., eseguita la perizia e prelevati i necessari campioni, provvede immediatamente alla distruzione della merce sequestrata.

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)

Si veda il paragrafo “Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE”, relativo all’articolo 10.


 

Articolo 12
(Contrasto della contraffazione)

 


1. All'articolo 9, comma 1, lettera a), della legge 16 marzo 2006, n. 146, dopo le parole: «in ordine ai delitti previsti dagli articoli» sono inserite le seguenti: «473 e 474, aggravati ai sensi dell'articolo 474-bis,».

2. All'articolo 1, comma 7, del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) nel primo periodo:

1) le parole: «Salvo che il fatto costituisca reato,» sono soppresse;

2) le parole: «da 500 euro fino a 10.000 euro l'acquisto o l'accettazione, senza averne prima accertata la legittima provenienza, a qualsiasi titolo di cose» sono sostituite dalle seguenti: «da 100 euro fino a 7.000 euro l'acquirente finale che acquista a qualsiasi titolo cose»;

3) la parola: «intellettuale» è sostituita dalla seguente: «industriale»;

b) il secondo periodo è soppresso;

c) nel quinto periodo, prima delle parole: «Qualora l'acquisto sia effettuato da un operatore commerciale» sono inserite le seguenti: «Salvo che il fatto costituisca reato,».

3. All'articolo 1 del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, dopo il comma 8-bis, introdotto dall'articolo 11 della presente legge, è inserito il seguente:

«8-ter. Nelle indagini per i reati di cui agli articoli 473, 474 e 517-ter del codice penale, l'autorità giudiziaria può, con decreto motivato, ritardare l'emissione o disporre che sia ritardata l'esecuzione di misure cautelari, personali e reali, quando sia necessario per acquisire maggiori elementi probatori ovvero per l'individuazione dei responsabili. L'autorità giudiziaria impartisce agli organi di polizia le disposizioni per il controllo degli sviluppi dell'attività criminosa. Nei casi di urgenza, le disposizioni possono essere richieste o impartite anche oralmente, ma il relativo provvedimento deve essere emesso entro le successive ventiquattro ore».


 

 

L’articolo 12 reca misure di natura processuale volte al contrasto della contraffazione.

In particolare, il comma 1 - con la novella dell’art. 9, comma 1, della legge 146/2006 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione e dei Protocolli delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale) - estende anche alle indagini per le fattispecie aggravate dei delitti di cui agli artt. 473 e 474 c.p. la disciplina delle cd. indagini sottocopertura.

L’articolo 9 della legge 146/2006 si è proposto di introdurre una disciplina unitaria delle “operazioni sotto copertura” provvedendo all’abrogazione espressa delle norme allora vigenti in materia. Tali operazioni consistono in attività di tipo investigativo affidate in via esclusiva ad ufficiali di polizia giudiziaria, infiltrati sotto falsa identità negli ambienti malavitosi al fine di reperire prove e accertare responsabilità.. Fermo restando quando dettato dall’articolo 51 c.p. in materia di esercizio di un diritto o adempimento di un dovere, l’art. 9 prevede la non punibilità di ufficiali di polizia giudiziaria della Polizia di Stato, dell’Arma dei Carabinieri e del Corpo della Guardia di Finanza, appartenenti alle strutture specializzate o alla Direzione investigativa antimafia, quando – anche per interposta persona – e nei limiti delle proprie competenze, nel corso di specifiche operazioni di polizia ed al solo fine di acquisire elementi di prova per una serie di delitti (riciclaggio, art. 648-bis c.p.; impiego di denaro, beni o utilizzo di provenienza illecita, art. 648-ter c.p.); delitti contro la personalità individuale, artt. 600-604 c.p.; delitti concernenti armi, munizioni ed esplosivi, delitti previsti dal T.U. 309/1990 sugli stupefacenti; specifici reati di immigrazione clandestina, art. 12, commi 3, 3-bis e 3-ter del T.U. 286/1998; sfruttamento della prostituzione, art. 3, L. 75/1958, n. 75) danno rifugio o comunque prestano assistenza agli associati, acquistano, ricevono, sostituiscono od occultano denaro, armi, documenti, stupefacenti, beni ovvero cose che sono oggetto, prodotto, profitto o mezzo per commettere il reato o altrimenti ostacolano l’individuazione della loro provenienza o ne consentono l’impiego. Nel corso di tali operazioni, gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria possono utilizzare documenti, identità o indicazioni di copertura anche per attivare o entrare in contatto con soggetti e siti nelle reti di comunicazione, informandone il pubblico ministero al più presto e comunque entro le quarantotto ore dall'inizio delle attività.

 

I commi 2 e 3 novellano il sopra citato decreto legge n. 35 del 2005.

Il comma 2 introduce modifiche all’art. 1, comma 7, del provvedimento in materia di disciplina sanzionatoria del “consumatore consapevole”.

Il vigente art. 1 del DL 35/2005 prevede (comma 7) che, salvo che il fatto costituisca reato, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 500 euro fino a 10.000 euro l'acquisto o l'accettazione, senza averne prima accertata la legittima provenienza, a qualsiasi titolo di cose che, per la loro qualità o per la condizione di chi le offre o per l'entità del prezzo, inducano a ritenere che siano state violate le norme in materia di origine e provenienza dei prodotti ed in materia di proprietà intellettuale. La sanzione di cui al presente comma si applica anche a coloro che si adoperano per fare acquistare o ricevere a qualsiasi titolo alcuna delle cose suindicate, senza averne prima accertata la legittima provenienza. In ogni caso si procede alla confisca amministrativa delle cose di cui al presente comma. Restano ferme le norme di cui al decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70. Qualora l'acquisto sia effettuato da un operatore commerciale o importatore o da qualunque altro soggetto diverso dall'acquirente finale, la sanzione amministrativa pecuniaria è stabilita da un minimo di 20.000 euro fino ad un milione di euro. Le sanzioni sono applicate ai sensi della legge 24 novembre 1981, n. 689. Fermo restando quanto previsto in ordine ai poteri di accertamento degli ufficiali e degli agenti di polizia giudiziaria dall'articolo 13 della citata legge n. 689 del 1981, all'accertamento delle violazioni provvedono, d'ufficio o su denunzia, gli organi di polizia amministrativa.

 


La nuova norma, risultante dalle modifiche, prevede:

§         la sola punibilità a titolo amministrativo dell’incauto acquisto da parte dell’acquirente finale di prodotti in violazione della disciplina sulla proprietà industriale (anziché intellettuale);

§         l’irrogabilità della sanzione a prescindere dall’accertamento da parte dell’acquirente della legittima provenienza delle cose;

§         la diminuzione della sanzione amministrativa da irrogare, fissata tra 100 e 7.000 euro (in luogo di quella attuale da 500 a 10000);

§         che non sia più sanzionato chi si adopera per fare acquistare o ricevere a qualsiasi titolo alcuna delle cose suindicate, senza averne prima accertata la legittima provenienza;

§         la conferma della sanzione amministrativa pecuniaria da un minimo di 20.000 euro fino ad un milione di euro, per l’ipotesi di acquisto effettuato da un operatore commerciale o importatore o da qualunque altro soggetto diverso dall'acquirente finale, con l’introduzione della clausola “salvo che il fatto costituisca reato”.

 

Il comma 3 aggiunge un ulteriore comma 8-ter al citato art. 1 del D.L. 35/2005, con il quale è data possibilità al PM, nelle indagini per i delitti di cui agli artt. 473, 474 e 517-ter (v. ante), di ritardare con decreto motivato l’emissione o l’esecuzione di misure cautelari (sia personali che reali) quando ciò sia necessario a fini probatori ovvero per l’individuazione dei responsabili. L’autorità giudiziaria impartisce agli organi di polizia le disposizioni per il controllo dell’attività criminosa. Nei casi di urgenza, tali disposizioni possono essere richieste o impartite oralmente salvo l’obbligo di emettere il relativo decreto nelle successive 24 ore.

Va osservato che in relazione alle fattispecie illecite di cui agli artt. 473 e 474 c.p. - quando aggravate ex art. 474-bis - per il combinato disposto dell’art. 9, commi 1 (come novellato dall’art. 12, comma 1 del d.d.l. in esame) e 7 della legge 146 del 2006, è già prevista la possibilità per il PM di ritardare ai fini indicati l'esecuzione dei provvedimenti che applicano una misura cautelare personale o reale.

A fini sistematici, andrebbe valutata l’opportunità di collocare la previsione recata dal comma 8-ter nell’art. 9 della legge 146/2006 che - in relazione ad una serie di reati di particolare allarme sociale – comprende sia la disciplina delle indagini sottocopertura che quella della ritardata emissione di provvedimenti cautelari da parte dell’autorità giudiziaria.

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)

Si veda il paragrafo “Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE”, relativo all’articolo 10.

 


 

Articolo 13
(Proprietà industriale)

 


1. All'articolo 47 del codice della proprietà industriale, di cui al decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30, è aggiunto, in fine, il seguente comma:

«3-bis. Per i brevetti di invenzione e per i modelli di utilità, il deposito nazionale in Italia dà luogo al diritto di priorità anche rispetto a una successiva domanda nazionale depositata in Italia, in relazione a elementi già contenuti nella domanda di cui si rivendica la priorità».

2. L'articolo 120, comma 1, del citato codice di cui al decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30, è sostituito dal seguente:

«1. Le azioni in materia di proprietà industriale i cui titoli sono concessi o in corso di concessione si propongono avanti l'Autorità giudiziaria dello Stato, qualunque sia la cittadinanza, il domicilio e la residenza delle parti. Se l'azione di nullità o quella di contraffazione sono proposte quando il titolo non è stato ancora concesso, la sentenza può essere pronunciata solo dopo che l'Ufficio italiano brevetti e marchi ha provveduto sulla domanda di concessione, esaminandola con precedenza rispetto a domande presentate in data anteriore. Il giudice, tenuto conto delle circostanze, dispone la sospensione del processo, per una o più volte, fissando con il medesimo provvedimento l'udienza in cui il processo deve proseguire».

3. L'articolo 239 del citato codice di cui al decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30, è sostituito dal seguente:

«Art. 239. - (Limiti alla protezione accordata dal diritto d'autore). - 1. La protezione accordata ai disegni e modelli ai sensi dell'articolo 2, numero 10), della legge 22 aprile 1941, n. 633, non opera nei soli confronti di coloro che, anteriormente alla data del 19 aprile 2001, hanno intrapreso la fabbricazione, l'offerta o la commercializzazione di prodotti realizzati in conformità con disegni o modelli che erano oppure erano divenuti di pubblico dominio. L'attività in tale caso può proseguire nei limiti del preuso. I diritti di fabbricazione, di offerta e di commercializzazione non possono essere trasferiti separatamente dall'azienda».

4. L'articolo 3 del decreto del Ministro dello sviluppo economico 3 ottobre 2007, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 250 del 26 ottobre 2007, è abrogato.

5. Il Governo è delegato ad adottare, entro il 30 dicembre 2008, disposizioni correttive o integrative del citato codice di cui al decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30, come da ultimo modificato dal presente articolo, secondo le modalità e i princìpi e criteri direttivi di cui all'articolo 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni, e previo parere delle competenti Commissioni parlamen­tari, nonché nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) correggere gli errori materiali e i difetti di coordinamento presenti nel codice;

b) armonizzare la normativa alla disciplina comunitaria e internazionale in materia di protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche;

c) introdurre strumenti di semplifica­zione e di riduzione degli adempimenti amministrativi;

d) prevedere che, in caso di invenzioni realizzate da ricercatori universitari o di altre strutture pubbliche di ricerca, l'università o l'amministrazione attui la procedura di brevettazione, acquisendo il relativo diritto sull'invenzione.

6. Dall'attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Agli adempimenti previsti dal presente articolo si provvede nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.


Il comma 1 dell’articolo in esame modifica l’articolo 47 del Codice della proprietà industriale, aggiungendo un comma 3-bis in virtù del quale, per i brevetti di invenzione e per i modelli di utilità, il deposito nazionale in Italia riconosce un diritto di priorità anche rispetto ad una domanda nazionale successiva depositata in Italia, in relazione a elementi già contenuti nella domanda di cui si rivendica la priorità.

L’articolo 47 del Codice della proprietà industriale reca norme in materia di divulgazioni non opponibili, stabilendo che, per l'applicazione del precedente art. 46[26], una divulgazione dell'invenzione non è presa in considerazione se si è verificata nei sei mesi che precedono la data di deposito della domanda di brevetto e risulta direttamente o indirettamente da un abuso evidente ai danni del richiedente o del suo dante causa.

Non è presa, altresì, in considerazione, la divulgazione avvenuta in esposizioni ufficiali o ufficialmente riconosciute ai sensi della Convenzione concernente le esposizioni internazionali, firmata a Parigi il 22 novembre 1928, e successive modificazioni[27]. Per le invenzioni per le quali si è rivendicata la priorità ai sensi delle convenzioni internazionali, la sussistenza del requisito della novità deve valutarsi con riferimento alla data alla quale risale la priorità.

Più specificamente, si rammenta che il citato art. 47 è collocato nella sezione del Codice relativa alle invenzioni (artt. 45-81).

Si ricorda, sinteticamente, che il brevetto per invenzioni industriali si rinviene quando si è in presenza di una invenzione nuova - vale a dire di una soluzione nuova ed originale ad un problema tecnico non ancora risolto o risolto con mezzi e metodi diversi – adatta ad essere realizzata e suscettibile di avere un'applicazione su scala industriale.

Dagli articoli 46, 48, 49 e 50 del Codice, si desumono i 4 requisiti di brevettabilità delle invenzioni industriali: novità, attività inventiva, industrialità e liceità. Il brevetto viene pertanto concesso a tutela di una invenzione nuova, ossia non compresa nello stato della tecnica, che implichi un’attività inventiva (o originalità) e che sia atta ad avere un’applicazione industriale; inoltre, deve essere lecito e usato in conformità all’ordine pubblico e al buon costume. All’attività inventiva sono riconosciuti diritti di carattere patrimoniale (esclusiva di sfruttamento concessa dal brevetto registrato) e di carattere morale: i primi hanno una durata temporale e sono alienabili, a differenza dei secondi che non sono soggetti a scadenza temporale, non possono essere alienati e consentono di far figurare il proprio nome sul brevetto e sul registro dei brevetti, nonché di agire in giudizio per rivendicare la paternità dell’opera ed opporsi a qualsiasi deformazione e, in genere, a qualsiasi atto a danno dell’opera stessa che possa essere di pregiudizio all’onore o alla reputazione dell’autore.

In via generale si segnala, inoltre, che nel Codice viene mantenuta distinta la disciplina delle invenzioni industriali da quella dei modelli di utilità (nonostante tale distinzione non sia contemplata dalla Convenzione sul brevetto europeo).

Si segnala, peraltro, che l'art. 85, al comma 2, chiarisce che gli effetti della brevettazione del modello di utilità equivalgono esattamente agli effetti della brevettazione delle invenzioni industriali.

 

Il comma 2 sostituisce il comma 1 dell’art. 120 del Codice inserendo la possibilità di esperire azione di contraffazione, accanto all’azione di nullità, nonché la facoltà per il giudice di sospendere il processo, tenuto conto delle circostanze del caso.

La disposizione, confermando che le azioni in materia di proprietà industriale, i cui titoli sono concessi o in corso di concessione, si propongono avanti l'Autorità giudiziaria dello Stato, a prescindere da cittadinanza, domicilio e residenza delle parti, prevede che ogniqualvolta l'azione di nullità o di contraffazione siano proposte quando il titolo non sia stato ancora concesso, la sentenza può essere pronunciata soltanto dopo che l'Ufficio italiano brevetti abbia provveduto sulla domanda di concessione, esaminandola con precedenza rispetto a domande presentate in data anteriore.

Infine il giudice, tenuto conto delle circostanze, può disporre la sospensione del processo, per una o più volte, fissando con il medesimo provvedimento l'udienza in cui il processo deve proseguire

 

Il comma 3 sostituisce l’articolo 239 del Codice della proprietà industriale[28], concernente i limiti alla protezione accordata dal diritto d’autore ai disegni e modelli industriali.

In premessa, si ricorda che la legge n. 633/1941[29], ossia la legge principale in materia di diritto d’autore, a seguito di modifica introdotta con il decreto legislativo n. 95 del 2001[30], di recepimento della direttiva 98/71/CE[31], annovera tra le opere che possono beneficiare della tutela d’autore anche le “opere del disegno industriale che presentino di per sé carattere creativo e valore artistico” (art. 2, numero 10)[32].

Parallelamente, l’articolo 44, comma 1, del Codice della proprietà industriale specifica che i diritti di utilizzazione economica dei disegni e modelli industriali suscettibili di essere protetti durano tutta la vita dell'autore e sino al termine del settantesimo anno solare dopo la sua morte o dopo la morte dell'ultimo dei coautori.

L’articolo 239 del Codice, novellato da ultimo con il decreto legge. n. 10 del 2007[33], circoscrive, invece, l’ambito oggettivo della protezione accordata. In particolare, tale norma, nel testo attualmente vigente, stabilisce che la protezione non opera in relazione ai prodotti realizzati in conformità con disegni e modelli che, anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 95 del 2001 (ossia 19 aprile 2001), erano, oppure, erano diventati, di pubblico dominio.

 

La disposizione in esame modifica la norma, circoscrivendo ulteriormente le ipotesi di esclusione della protezione.

Infatti, essa specifica che la tutela per diritto d’autore non può essere fatta valere unicamente nei confronti di coloro che, anteriormente alla data del 19 aprile 2001, hanno intrapreso la fabbricazione, l’offerta o la commercializzazione di prodotti realizzati in conformità con disegni e modelli che erano, ovvero erano divenuti, di pubblico dominio. In tali casi, tuttavia, l’attività può proseguire nei soli limiti del preuso.

In altri termini, la novella sembra restringere le ipotesi di limite solo in relazione a coloro che prima del 2001 abbiano compiuto investimenti effettivi per lo sfruttamento di ciò che, a partire dal 2001, è entrato nell'ambito della protezione del diritto d’autore.

 

La novella, prevede, inoltre, che i diritti di fabbricazione, di offerta e di commercializzazione non possano essere trasferiti separatamente dall’azienda.

 

Il comma 4 dispone l’abrogazione dell'articolo 3 del D.M. 3 ottobre 2007.

Il D.M. 3 ottobre 2007 attribuisce all'Ufficio europeo dei brevetti il compito di effettuare la ricerca di anteriorità. Segnatamente, l’articolo 3 fissa norme in materia di decadenza stabilendo che Il ritardo del pagamento della quinta annualità per il brevetto per invenzione industriale, del secondo quinquennio per il brevetto per modello di utilità e per la registrazione di disegno o modello comporta la decadenza del diritto di proprietà industriale dalla data del deposito della relativa domanda.

Da ultimo, si segnala il decreto del Ministero dello sviluppo economico del 27 giugno 2008, il quale, nel disciplinare la ricerca di anteriorità relativamente alle domande di brevetto per invenzione industriale, conferma come l'Ufficio Europeo dei Brevetti (EPO) sia l'autorità competente ad effettuare tale ricerca relativamente alle domande di brevetto per invenzione industriale depositate presso l'Ufficio italiano brevetti e marchi prevedendo che le modalità siano stabilite da un apposito Accordo stipulato tra il Ministero dello sviluppo economico - Ufficio italiano brevetti e marchi e l'Organizzazione europea dei brevetti. La ricerca di anteriorità di cui sopra si applica alle domande di brevetto per invenzione industriale depositate a partire dal 1° luglio 2008.

 

Il comma 5 delega il Governo ad adottare, entro il 30 dicembre 2008, disposizioni correttive o integrative del Codice della proprietà industriale secondo le modalità e i princìpi di cui all'art. 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59 e previo parere delle competenti Commissioni parlamentari, nonché nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

§      correggere gli errori materiali e i difetti di coordinamento presenti nel codice;

§      armonizzare la normativa alla disciplina comunitaria e internazionale in materia di protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche;

§      introdurre strumenti di semplificazione e di riduzione degli adempimenti amministrativi;

§      prevedere che, in caso di invenzioni realizzate da ricercatori universitari o di altre strutture pubbliche di ricerca, l'università o l'amministrazione attui la procedura di brevettazione, acquisendo il relativo diritto sull'invenzione.

Si ricorda brevemente che al fine di soddisfare le esigenze di semplificazione amministrativa, con la L. 59/1997 (cd. legge Bassanini) si è provveduto a rendere più flessibili le regole dell’agire della pubblica amministrazione attraverso la delegificazione delle norme che regolano i procedimenti amministrativi.

Per quanto in questa sede interessa, si evidenzia che il comma 3-bis dell’articolo 20 prevede che, qualora il Governo proceda ad una codificazione, questo realizzi anche la raccolta organica delle norme regolamentari vigenti nella materia oggetto del riassetto.

 

Il comma 6 stabilisce che dall'attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e che agli adempimenti previsti dal medesimo si provvede nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie già disponibili a legislazione vigente.

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)

La Commissione ha presentato, il 16 luglio 2008, un pacchetto di iniziative sui diritti di proprietà intellettuale[34] che comprende: una comunicazione sui diritti di proprietà industriale; una proposta di direttiva per l’estensione della durata del diritto di autore delle registrazioni sonore ed un libro verde sul diritto d’autore nell’economia della conoscenza.

Proprietà industriale

Il 16 luglio 2008 ha presentato una comunicazione relativa ad una nuova strategia europea in materia di diritti di proprietà industriale (COM(2008) 465). Oltre la creazione di un brevetto comunitario e di una giurisdizione integrata, specializzata in materia di brevetti, questa comunicazione descrive una serie di misure considerate essenziali per mantenere un sistema di proprietà industriale di alta qualità per l’UE nel 21° secolo.

 

La comunicazione è stata preceduta, il 3 aprile 2007, dalla comunicazioneMigliorare il sistema dei brevetti in Europa” (COM(2007) 165), che ha stimolato il dibattito sul brevetto comunitario e sul sistema di giurisdizione in materia di brevetti.

La comunicazione del 2007 verte, in particolare, sull’introduzione del brevetto comunitario e sull’istituzione di una efficiente giurisdizione in materia di brevetti su scala comunitaria: affronta argomenti quali la qualità dei brevetti, il sostegno alle piccole e medie imprese, il trasferimento di tecnologia e le questioni attuative, compresi i modi alternativi di risoluzione delle controversie, l’assicurazione per le spese connesse alle controversie in materia di brevetti e gli aspetti internazionali dell’applicazione.

 

Il Consiglio, durante uno scambio di opinioni a tal riguardo svolto il 22 novembre 2007, ha convenuto che i lavori dovrebbero proseguire affinché possano essere trovate soluzioni per un sistema europeo unificato di risoluzione delle controversie in materia di brevetti nonché per un brevetto comunitario.

La Commissione europea, nella comunicazione relativa alla sua strategia politica per il 2008, ha espresso l’intenzione di monitorare la nuova strategia in materia di brevetto europeo.

 

La comunicazione della Commissione sui diritti di proprietà industriale costituisce una riflessione più ampia sulle iniziative future; pur non trattando del brevetto comunitario e del sistema di giurisdizione, sottolinea l’importanza di adottare con urgenza il brevetto comunitario per la competitività dell’Unione europea.

 

La strategia delineata ha l’obiettivo di aiutare gli inventori a compiere scelte consapevoli riguardo la protezione dei loro diritti di proprietà industriale e preconizza un controllo rigoroso del rispetto dei diritti per lottare contro la contraffazione e la pirateria. Questa comunicazione, inoltre, è volta a garantire un alto livello di qualità dei diritti di proprietà industriale in Europa e la loro accessibilità a tutti gli innovatori, in particolare le piccole e medie imprese (PMI).

 

La Commissione sottolinea che un sistema solido di diritti di proprietà industriale costituisce un motore dell’innovazione: stimola gli investimenti nella ricerca e nello sviluppo, facilita il trasferimento di conoscenze dal laboratorio al mercato. Oltre all’adozione urgente della proposta di brevetto comunitario e alla creazione di una giurisdizione integrata su scala dell’UE in materia di brevetti, le misure proposte intendono assicurare all’Europa un sistema di diritti di proprietà industriale di alta qualità per gli anni a venire:

-        controlli efficaci sul terreno per lottare contro la contraffazione e la pirateria, che raggiungono livelli allarmanti e hanno incidenze nefaste sulla creazione di occupazione in Europa e sulla salute e sicurezza dei consumatori; la Commissione intende migliorare il coordinamento tra gli attori chiave del controllo su scala nazionale e vigilare sull’attuazione di una collaborazione efficace tra gli Stati membri nei settori della raccolta delle informazioni e dello scambio rapido di informazioni sulle merci di contraffazione e le merci pirata. Inoltre, la Commissione intende favorire accordi che associno i settori pubblico e privato allo scopo di contrastare in modo efficace le violazioni manifeste dei diritti di proprietà industriale;

-        garanzia di un alto livello di qualità dei diritti di proprietà industriale in Europa, accessibili a tutti gli innovatori, comprese le piccole e medie imprese. A tal fine la Commissione intende realizzare studi sulla qualità del sistema di brevetti e sul funzionamento generale dei sistemi di marchi commerciali nell’UE;

-        misure in favore di un migliore uso dei diritti di proprietà industriale da parte delle PMI. La comunicazione descrive misure volte a facilitare l’accesso ai diritti di proprietà industriale e alle procedure di regolamento delle controversie, e a sensibilizzare maggiormente le PMI alla gestione della proprietà industriale nel quadro di un piano di impresa globale.

Diritto d’autore

La Commissione ha adottato, il 16 luglio 2008, due iniziative nel settore dei diritti d’autore:

proposta di direttiva che modifica la direttiva 2006/116/CE sulla durata della protezione del diritto di autore e di alcuni diritti correlati (COM(2008) 464);

Libro verde sul diritto d’autore nell’economia della conoscenza (COM(2008) 466).

Durata della protezione del diritto d’autore

La proposta di direttiva intende allineare la durata della protezione dei diritti degli artisti interpreti o esecutori a quella degli autori, colmando così la perdita degli introiti cui devono far fronte gli artisti interpreti e esecutori alla fine della loro vita. Propone inoltre una armonizzazione completa della durata dei diritti che si applicano alle composizioni musicali contenenti contributi di più autori.

In particolare, la proposta intende portare da 50 a 95 anni la durata di protezione delle esecuzioni registrate e della registrazione propriamente detta. Del prolungamento della durata beneficerebbero gli artisti interpreti o esecutori, che potrebbero continuare a guadagnare per un periodo di tempo maggiore. Un periodo di 95 anni compenserebbe la perdita di guadagno che gli artisti subiscono quando raggiungono i 70 anni di età, momento in cui le loro prime registrazioni effettuate a 20 anni diventano di pubblico dominio. Continuerebbero inoltre a beneficiare delle remunerazioni per la radiodiffusione e le esecuzioni in luoghi pubblici, così come per la copia privata delle loro esecuzioni.

Diritto d’autore nell’economia della conoscenza

Il Libro verde è un documento di consultazione che affronta i temi di interesse per lo sviluppo di una economia moderna, trainata dalla diffusione rapida della conoscenza e dell’informazione.

Il Libro verde pone l’accento sul modo in cui il materiale scientifico, di ricerca e di educazione viene diffuso presso il pubblico e esaminerà se la conoscenza circola liberamente nell’ambito del mercato interno. Il documento di consultazione intende inoltre valutare se il quadro attuale che regola il diritto d’autore è abbastanza solido per proteggere i prodotti della conoscenza e se gli autori e gli editori sono sufficientemente incoraggiati a creare e diffondere versioni elettroniche di questi documenti. La Commissione intende condurre un dibattito strutturato sull’avvenire a lungo termine della politica in materia di diritto d’autore nei settori ad alta intensità cognitiva. Il libro verde evoca le sfide che investiranno i settori delle pubblicazioni scientifiche e universitarie, dei motori di ricerca e delle deroghe speciali in favore delle biblioteche, dei ricercatori e dei disabili.

 


 

Articolo 14
(Banda larga)

 


1. Il Governo, nel rispetto delle attribuzioni costituzionali delle regioni, individua un programma di interventi infrastrutturali nelle aree sottoutilizzate necessari per facilitare l'adeguamento delle reti di comunicazione elettronica pubbliche e private all'evoluzione tecnologica e alla fornitura dei servizi avanzati di informazione e di comunicazione del Paese. Nell'individuare le infrastrutture di cui al presente comma, il Governo procede secondo finalità di riequilibrio socio-economico tra le aree del territorio nazionale. Il Governo individua nel programma le risorse necessarie, che integrano i finanziamenti pubblici, comunitari e privati allo scopo disponibili. Al relativo finanziamento si provvede con una dotazione di 800 milioni di euro per il periodo 2007-2013 a valere sulle risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate, di cui all'articolo 61 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, e successive modificazioni.

2. Il Governo è delegato ad adottare, nel rispetto delle competenze delle regioni e in coerenza con la normativa comunitaria in materia, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi di riassetto normativo volti a definire un quadro normativo finalizzato alla celere realizzazione delle infrastrutture di comunicazione elettronica a banda larga, secondo le modalità e i princìpi e criteri direttivi di cui all'articolo 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni, nonché nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) disciplina delle tecniche di finanza di progetto e di accordo tra il settore pubblico e privato per finanziare e realizzare, con il concorso del capitale privato, le infrastrutture di cui al comma 1 nelle aree sottoutilizzate, a condizione che i progetti selezionati contribuiscano allo sviluppo di un sistema di reti aperto alla concorrenza nel rispetto dei princìpi e delle norme comunitari;

b) fermi restando i compiti spettanti al Ministero dello sviluppo economico e all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ai sensi della legislazione vigente, razionalizzazione e semplificazione della disciplina generale della concessione dei diritti di passaggio nel rispetto delle norme comunitarie, abolendo qualunque diritto speciale o esclusivo nella posa e nel passaggio delle dorsali in fibra ottica e nell'accesso alla proprietà privata, favorendo e garantendo al tempo stesso l'utilizzazione condivisa di cavidotti e altre infrastrutture tra i diversi operatori;

c) definizione di apposite procedure semplificate di inizio attività, da seguire in sostituzione di quelle attualmente previste per il rilascio dei provvedimenti concessori o autorizzatori di ogni specie e genere per gli scavi e per la posa in opera degli impianti realizzati secondo le più moderne tecnologie; definizione della durata delle medesime procedure non superiore a trenta giorni per l'approvazione dei progetti preliminari, comprensivi di quanto necessario per la localizzazione dell'opera d'intesa con l'ente locale competente; definizione delle procedure necessarie per la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza e per l'approvazione del progetto definitivo, la cui durata non può superare il termine di ulteriori sessanta giorni, con previsione del silenzio assenso alla scadenza di tale termine; definizione di termini perentori per la risoluzione delle interferenze con servizi pubblici e privati, con previsione di responsabilità patrimoniali in caso di mancata tempestiva risoluzione;

d) previsione delle opportune modifiche al codice civile per favorire la posa di cavi e di infrastrutture avanzate di comunicazione all'interno dei condomìni;

e) previsione di un regime agevolato per l'utilizzo del suolo pubblico che non ostacoli gli investimenti in reti a banda larga, prevedendo, nelle aree sottoutilizzate, la gratuità, per un congruo periodo di tempo, dell'utilizzo del suolo pubblico per la posa di cavi e di infrastrutture a banda larga; previsione di incentivi fiscali per la realizzazione di infrastrutture avanzate di comunicazione nelle nuove costruzioni e urbanizzazioni nonché nei casi di innovazioni finalizzate alla cablatura in fibra ottica dei condomìni e degli insediamenti residenziali, a valere sulle risorse disponibili di cui al comma 1;

f) previsione di interventi che, nelle aree sottoutilizzate, incentivino la razionalizzazione dell'uso delle spettro radio al fine di favorire l'accesso radio a larghissima banda e la completa digitalizzazione delle reti di diffusione, prevedendo a tale fine misure di sostegno a interventi di ristrutturazione dei sistemi di trasmissione e di collegamento anche utilizzati dalle amministrazioni civili e militari dello Stato, favorendo altresì la liberazione delle bande di frequenza utili ai sistemi avanzati di comunicazione;

g) attribuzione al Ministero dello sviluppo economico del coordinamento dei progetti di cui alla lettera a) attraverso la previsione della stipula di accordi di programma con le regioni interessate;

h) affidamento della realizzazione dei progetti di cui alla lettera a) mediante gara ad evidenza pubblica nel rispetto della normativa comunitaria in materia.

3. I decreti legislativi previsti dal comma 2 sono emanati previo parere della Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, e delle competenti Commissioni parlamentari, che si pronunciano entro trenta giorni dalla trasmissione dei relativi schemi, trascorsi i quali i decreti sono emanati anche in assenza del parere.

4. Entro due anni dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi di cui al comma 2, possono essere emanate disposizioni correttive e integrative dei decreti stessi nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi e con le procedure di cui ai commi 2 e 3.

5. Ai fini del presente articolo, sono fatte salve le competenze delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano previste dagli statuti speciali e dalle relative norme di attuazione.


 

 

L’articolo 14 reca norme volte alla realizzazione delle infrastrutture necessarie all’adeguamento delle reti di comunicazioni elettronica nelle aree sottoutilizzate. A tal fine, il comma 1 stabilisce che il Governo – nel rispetto delle competenze regionali - definisca un programma nel quale siano indicati gli interventi necessari, ed assegna una dotazione di 800 milioni per il periodo 2007-2013, a valere sulle risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate.

Si ricorda in proposito che il Fondo, istituito dall’articolo 61 della legge finanziaria per il 2003, è destinato al finanziamento degli interventi attuativi del Programma per lo sviluppo della larga banda nel Mezzogiorno da parte del Ministero delle comunicazioni per il tramite della Società infrastrutture e telecomunicazioni per l'Italia s.p.a (Infratel Italia). Con la legge finanziaria 2007[35] sono state incrementate le risorse assegnate a tale Fondo nella misura di 10 milioni di euro per gli anni 2007, 2008 e 2009, e si è prevista l’attribuzione di ulteriori 50 milioni - sulla base di un’apposita delibera del CIPE - a beneficio del Ministero delle comunicazioni, destinati a sostenere nuovi processi di realizzazione delle infrastrutture per la larga banda e di completare il suddetto Programma per lo sviluppo della larga banda nel Mezzogiorno. Anche nella legge finanziaria per il 2008[36] (articolo 2, comma 299), è stato disposto un incremento, pari a 50 milioni di euro per il 2008, della dotazione del Fondo, al fine di sostenere nuovi processi di realizzazione delle infrastrutture per la larga banda sul territorio nazionale.

 

Il comma 2 reca una delega al Governo per adottare, entro dodici mesi dalla entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi di riassetto legislativo, volti a ridefinire il quadro normativo relativo alla realizzazione delle infrastrutture di comunicazione elettronica a banda larga, secondo le modalità e i principi direttivi di cui all’articolo 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59.

Si ricorda che tale articolo 20 ha previsto, al comma 1, che il Governo presenti al Parlamento, entro il 31 maggio di ogni anno, un disegno di legge per la semplificazione e il riassetto normativo, volto a definire, per l'anno successivo, gli indirizzi, i criteri, le modalità e le materie di intervento, anche ai fini della ridefinizione dell'area di incidenza delle pubbliche funzioni con particolare riguardo all'assetto delle competenze dello Stato, delle regioni e degli enti locali. Il comma 2 ha previsto l'emanazione di decreti legislativi, relativamente alle norme legislative sostanziali e procedimentali, nonché di regolamenti per le norme regolamentari di competenza dello Stato. Il comma 3 ha indicato i criteri direttivi generali cui il Governo deve attenersi nell’esercizio delle deleghe, facendo salva la previsione di principi e criteri specificamente dettati per le singole materie.

 

Il medesimo comma 2 indica gli ulteriori principi e criteri direttivi cui il Governo deve conformarsi nell’attuazione della delega:

a)  disciplina delle tecniche di finanza di progetto e di accordo tra il settore pubblico e privato per finanziare le infrastrutture nelle aree sottoutilizzate, a condizione che i progetti selezionati contribuiscano allo sviluppo di un sistema di reti aperto alla concorrenza nel rispetto dei princìpi e delle norme comunitari;

b)  fermi restando i compiti spettanti al Ministero dello sviluppo economico e all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ai sensi della legislazione vigente, razionalizzazione e semplificazione della disciplina generale della concessione dei diritti di passaggio nel rispetto delle norme comunitarie, abolendo qualunque diritto speciale o esclusivo nella posa e nel passaggio delle dorsali in fibra ottica e nell'accesso alla proprietà privata, favorendo e garantendo al tempo stesso l'utilizzazione condivisa di cavidotti e altre infrastrutture tra i diversi operatori;

c)  definizione di procedure semplificate di inizio attività per la realizzazione degli impianti; definizione della durata delle medesime procedure non superiore a trenta giorni per l'approvazione dei progetti preliminari, definizione delle procedure necessarie per la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza e per l'approvazione del progetto definitivo, nel termine di ulteriori sessanta giorni; definizione di termini perentori per la risoluzione delle interferenze con servizi pubblici e privati;

d)  previsione delle opportune modifiche al codice civile per favorire la posa di cavi e di infrastrutture avanzate di comunicazione all'interno dei condomìni;

e)  previsione di un regime agevolato per l'utilizzo del suolo pubblico, prevedendo la gratuità, per un congruo periodo di tempo, dell'utilizzo del suolo pubblico per la posa di cavi e di infrastrutture a banda larga; previsione di incentivi fiscali per la realizzazione di infrastrutture avanzate di comunicazione nelle nuove costruzioni e urbanizzazioni nonché nei casi di innovazioni finalizzate alla cablatura in fibra ottica dei condomìni e degli insediamenti residenziali;

f)   previsione di interventi che incentivino la razionalizzazione dell'uso delle spettro radio al fine di favorire l'accesso radio a larghissima banda e la completa digitalizzazione delle reti di diffusione;

g)  attribuzione al Ministero dello sviluppo economico del coordinamento dei progetti di cui alla lettera a) attraverso la previsione della stipula di accordi di programma con le regioni interessate;

h)  affidamento della realizzazione dei progetti di cui alla lettera a) mediante garaad evidenza pubblica nel rispetto della normativa comunitaria in materia.

Si segnala, con riferimento alla lettera c), che l’articolo 2 del decreto legge n. 112/2008 - in corso di conversione – ha già introdotto la procedura della denuncia di inizio attività (DIA) per la realizzazione dei lavori necessari alla installazione delle reti di comunicazione in fibra ottica.

 

Il comma 3 prevede che i decreti legislativi di cui al comma precedente vengano emanati dopo avere acquisito il parere della Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del d.lgs. n. 281/1997 e delle commissioni parlamentari competenti

Si ricorda che, ai sensi del citato articolo 8, la Conferenza Stato - città ed autonomie locali e' unificata per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province, dei comuni e delle comunità montane, con la Conferenza Stato - regioni. La Conferenza unificata e' convocata dal Presidente del Consiglio dei Ministri. Le sedute sono presiedute dal Presidente del Consiglio dei Ministri o, su sua delega, dal Ministro per gli affari regionali o, se tale incarico non e' conferito, dal Ministro dell'interno.

 

Disposizioni correttive dei decreti legislativi in questione potranno essere emanate, secondo il comma 4, entro due anni dalla entrata in vigore dei decreti stessi, nel rispetto dei medesimi criteri direttivi e modalità procedurali.

 

Il comma 5, infine, fa salve le competenze delle regioni a statuto speciale e delle province autonome, quali previste dagli statuti e dalle norme di attuazione.

 

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)

Il 13 novembre 2007 la Commissione ha presentato un pacchetto di riforma delle telecomunicazioni costituito sostanzialmente da due proposte di direttiva e una proposta di regolamento.

La prima proposta di direttiva contiene modifiche delle direttive 2002/21/CE (c.d. direttiva quadro), che istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica, 2002/19/CE (c.d. direttiva accesso), relativa all'accesso alle reti di comunicazione elettronica e alle risorse correlate, e all'interconnessione delle medesime, e 2002/20/CE (c.d. direttiva autorizzazioni), relativa alle autorizzazioni per le reti e i servizi di comunicazione elettronica (COM(2007)697).

Obiettivi della proposta sono, tra l’altro:

§      l’orientamento verso una gestione più efficace dello spettro radio in modo da agevolare l'accesso agli operatori e promuovere l'innovazione;

§      il raggiungimento di una regolamentazione più efficace e più semplice sia per gli operatori che per le autorità nazionali di regolamentazione (ANR);

La proposta segnala che:

-        il sistema attuale di gestione e distribuzione dello spettro si basa generalmente su decisioni amministrative che non sono sufficientemente flessibili per stare al passo con il progresso tecnologico e l'evoluzione dei mercati, in particolare con il rapido sviluppo della tecnologia senza fili e con la crescente domanda di banda larga;

-        la frammentazione delle politiche nazionali comporta costi più elevati e una perdita di opportunità commerciali per gli utilizzatori dello spettro; inoltre, rallenta l'innovazione, a scapito del mercato interno, dei consumatori e dell'economia nel suo complesso;

-        le condizioni di accesso e di utilizzo delle frequenze radio possono variare in base al tipo di operatore, mentre i servizi elettronici forniti da tali operatori si sovrappongono sempre più, creando così tensioni tra i titolari dei diritti, discrepanze nel costo dell'accesso allo spettro radio e potenziali distorsioni nel funzionamento del mercato interno.

Si ricorda che la seconda proposta di direttiva modifica la direttiva 2002/22/CE, relativa al servizio universale e ai diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica, la direttiva 2002/58/CE, relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche, e il regolamento (CE) n. 2006/2004 sulla cooperazione per la tutela dei consumatori (COM(2007)698). La proposta di regolamento prevede l’istituzione di un'Autorità europea del mercato delle comunicazioni elettroniche (COM(2007)699).

Le proposte, che seguono la procedura di consultazione, sono state esaminate da Consiglio, da ultimo, il 21 e 22 luglio 2008 e sono in attesa di essere esaminate dal Parlamento europeo durante la sessione del 2 settembre prossimo.


 

Articolo 15
(Delega al Governo per la definizione dei criteri di localizzazione dei siti nucleari e delle misure compensative da riconoscere alle popolazioni interessate)

 


1. Il Governo, nel rispetto delle norme in tema di valutazione di impatto ambientale e di pubblicità delle relative procedure, è delegato ad adottare, secondo le modalità e i princìpi e criteri direttivi di cui all'articolo 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni, nonché nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi di cui al comma 2 del presente articolo, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, entro il 31 dicembre 2008, uno o più decreti legislativi di riassetto normativo recanti i criteri per la disciplina della localizzazione nel territorio nazionale di impianti di produzione elettrica nucleare, per i sistemi di stoccaggio dei rifiuti radioattivi e del materiale nucleare e per la definizione delle misure compensative minime da corrispondere alle popolazioni interessate.

2. La delega di cui al comma 1 è esercitata nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) previsione della possibilità di dichiarare i siti aree di interesse strategico nazionale, soggette a speciali forme di vigilanza e di protezione;

b) definizione di adeguati livelli di sicurezza dei siti, che tengano conto delle esigenze di tutela della salute della popolazione e dell'ambiente;

c) riconoscimento di benefìci diretti alle famiglie e alle imprese residenti nel territorio circostante al sito, con oneri a carico delle imprese coinvolte nella costruzione o nell'esercizio degli impianti e delle strutture;

d) previsione che, nei giudizi davanti agli organi di giustizia amministrativa che comunque riguardino le procedure di progettazione, approvazione e realizza­zione delle opere, delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi concernenti il settore dell'energia e le relative attività di espropriazione, occupazione e asservimento, si applichino le disposizioni dell'articolo 246 del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163.

3. Disposizioni correttive e integrative dei decreti legislativi di cui al comma 1 possono essere emanate, nel rispetto delle modalità e dei princìpi e criteri direttivi di cui ai commi 1 e 2, entro un anno dalla data della loro entrata in vigore.

4. Dall'attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.


 

 

Il comma 1 dell'articolo in esame delega il Governo ad adottare entro il 31 dicembre 2008, uno o più decreti legislativi di riassetto normativo recanti i criteri per:

§      la disciplina della localizzazione nel territorio nazionale di impianti di produzione elettrica nucleare;

Tale disposizione appare necessaria alla luce della possibilità di realizzare sul territorio nazionale impianti di produzione di energia nucleare prevista dall’art. 7 del D.L. n. 112/2008, attualmente in corso di conversione (AC 1386), come uno degli obiettivi cui deve tendere la «Strategia energetica nazionale» prevista dal medesimo articolo.

Il comma 3 del medesimo articolo, inoltre, autorizza il Governo ad avviare la stipula di uno o più accordi con Stati membri dell’Unione Europea o Paesi Terzi entro il 31 dicembre 2009, onde poter dare avvio al processo di sviluppo del settore dell’energia nucleare al fine di ridurre le emissioni di anidride carbonica. In base ai successivi commi 4 e 5 tali accordi potranno prevedere modelli contrattuali volti all’ottenimento di forniture di energia nucleare a lungo termine e definire tutti gli aspetti connessi della normativa provvedendo al necessario coordinamento con le disposizioni vigenti e nel rispetto delle competenze delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome.

Si ricorda, altresì, che l’attuale disciplina in materia di sorgenti e impianti nucleari è contenuta nel d.lgs. 17 marzo 1995, n. 230 recante “Attuazione delle direttive 89/618/Euratom, 90/641/Euratom, 92/3/Euratom e 96/29/Euratom in materia di radiazioni ionizzanti” (le cui disposizioni si applicano, tra l’altro, “alla costruzione, all'esercizio ed alla disattivazione degli impianti nucleari”), e nel d.lgs. 6 febbraio 2007, n. 52 di attuazione della direttiva 2003/122/CE Euratom sul controllo delle sorgenti radioattive sigillate ad alta attività e delle sorgenti orfane. Si segnala, inoltre, che l’art. 22 della legge comunitaria 2007 (n. 34/2008) ha delegato il Governo ad adottare, entro il 25 dicembre 2008, un decreto legislativo al fine di dare organica attuazione alla direttiva 2006/117/EURATOM, relativa alla sorveglianza ed al controllo delle spedizioni di rifiuti radioattivi e di combustibile nucleare esaurito, ed allo scopo di garantire l'adeguata protezione della popolazione ai sensi dell'articolo 1, paragrafo 1, della medesima direttiva, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi fissati dal medesimo articolo 22.

§      i sistemi di stoccaggio dei rifiuti radioattivi e del materiale nucleare;

Relativamente al problema dello stoccaggio dei rifiuti radioattivi, si ricorda che nel corso della XIV legislatura, è stata adottata una normativa finalizzata ad individuare le procedure per la messa in sicurezza delle scorie radioattive.

Con l’emanazione del decreto-legge n. 314/2003[37], il Governo ha provveduto, in particolare, a dettare norme per l’individuazione di un sito ove realizzare sia gli impianti e le infrastrutture per il deposito definitivo dei rifiuti a bassa e media attività e a breve vita (II categoria) - che rappresentano volumetricamente la quantità principale di rifiuti presenti sul territorio nazionale - sia il deposito temporaneo in bunker del combustibile irraggiato e dei rifiuti ad alta attività e/o a lunga vita (III categoria)[38].

L’individuazione del sito più idoneo (sulla base delle integrazioni apportate al decreto legge dai commi 98-105 della cd. legge Marzano, n. 239/2004) per la realizzazione del citato deposito è stata demandata ad un Commissario straordinario, previo parere di una apposita Commissione tecnico-scientifica istituita con compiti di valutazione e di alta vigilanza e previa intesa in sede di Conferenza unificata ed è stata fissata la data del 31 dicembre 2008 quale termine ultimo per la realizzazione (affidata alla SOGIN S.p.A.[39]) del deposito stesso.

Lo stesso decreto n. 314, come integrato dai citati commi della cd. legge Marzano, inoltre, ha previsto una specifica procedura per la messa in sicurezza e lo stoccaggio provvisorio dei rifiuti radioattivi di I, II e III categoria, da parte della SOGIN S.p.A.[40]

La citata Commissione non è tuttavia mai stata costituita. Con il D.M. 25 febbraio 2008[41] però, il Ministero dello sviluppo economico ha provveduto alla costituzione di un gruppo di lavoro per l'individuazione della tipologia, delle procedure e della metodologia di selezione dirette alla realizzazione, su un sito del territorio nazionale, di un centro di servizi tecnologici e di ricerca ad alto livello nel settore dei rifiuti radioattivi, comprendente un deposito nazionale centralizzato per l'allocazione definitiva dei rifiuti radioattivi di seconda categoria, e per l'immagazzinamento temporaneo di medio termine dei rifiuti radioattivi di terza categoria, del combustibile nucleare esaurito e delle materie nucleari ancora presenti in Italia, anche alla luce dell’accordo intergovernativo (ricordato nelle premesse del decreto) “firmato in data 24 novembre 2006, tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica francese e perfezionato in data 2 maggio 2007, per il riprocessamento del combustibile nucleare irraggiato depositato negli impianti nucleari italiani che prevede tra l'altro il rientro in Italia dei relativi rifiuti entro il 2025”.

§      la definizione delle misure compensative minime da corrispondere alle popolazioni interessate.

In proposito si ricorda che l’art. 4 del citato D.L. n. 314/2003 ha previsto la determinazione di misure di compensazione territoriale, a favore dei siti che ospitano centrali nucleari e impianti del ciclo del combustibile nucleare, fino al definitivo smantellamento degli impianti. Dalla data di messa in esercizio del deposito nazionale, tali misure sono trasferite al territorio che ospita il deposito, proporzionalmente alla allocazione dei rifiuti radioattivi. Lo stesso articolo ha demandato al CIPE l’effettuazione del riparto, avvenuto con la delibera n. 101 del 28 settembre 2007[42].

 

Il comma 1 precisa che i decreti legislativi devono essere adottati nel rispetto delle norme in tema di valutazione di impatto ambientale e di pubblicità delle relative procedure.

Si ricorda, in proposito, che la disciplina delle procedure di valutazione dell’impatto ambientale (VIA) è recata dalla parte seconda del d.lgs. 152/2006 (cd. codice ambientale).

 

La norma prevede, poi, che i decreti legislativi devono essere adottati secondo le modalità e nel rispetto dei criteri di cui all’articolo 20 della legge n. 59 del 1997.

L’articolo 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59, disciplina le procedure per l’emanazione della legge annuale di semplificazione, nonché dei decreti legislativi e regolamenti adottati in attuazione di essa.

Per quanto concerne la procedura di adozione dei decreti legislativi, il comma 5 dispone che essi siano emanati su proposta del Ministro competente, di concerto con il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro per la funzione pubblica, con i Ministri interessati e con il Ministro dell'economia e delle finanze, previa acquisizione del parere della Conferenza unificata successivamente, dei pareri delle Commissioni parlamentari competenti, che sono resi entro il termine di sessanta giorni dal ricevimento della richiesta.

Quanto ai principi e criteri direttivi per l’esercizio della delega, il comma 3 dispone che i decreti legislativi devono prevedere:

a) la definizione del riassetto normativo e codificazione della normativa primaria regolante la materia, previa acquisizione del parere del Consiglio di Stato, reso nel termine di novanta giorni dal ricevimento della richiesta, con determinazione dei princìpi fondamentali nelle materie di legislazione concorrente;

a-bis) il coordinamento formale e sostanziale del testo delle disposizioni vigenti, apportando le modifiche necessarie per garantire la coerenza giuridica, logica e sistematica della normativa e per adeguare, aggiornare e semplificare il linguaggio normativo (64);

b) l’indicazione esplicita delle norme abrogate, fatta salva l'applicazione dell'articolo 15 delle disposizioni sulla legge in generale premesse al codice civile;

c) l’indicazione dei princìpi generali, in particolare per quanto attiene alla informazione, alla partecipazione, al contraddittorio, alla trasparenza e pubblicità che regolano i procedimenti amministrativi, nell'àmbito dei princìpi stabiliti dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni;

d) l’eliminazione degli interventi amministrativi autorizzatori e delle misure di condizionamento della libertà contrattuale, ove non vi contrastino gli interessi pubblici alla difesa nazionale, all'ordine e alla sicurezza pubblica, all'amministrazione della giustizia, alla regolazione dei mercati e alla tutela della concorrenza, alla salvaguardia del patrimonio culturale e dell'ambiente, all'ordinato assetto del territorio, alla tutela dell'igiene e della salute pubblica;

e) la sostituzione degli atti di autorizzazione, licenza, concessione, nulla osta, permesso e di consenso comunque denominati che non implichino esercizio di discrezionalità amministrativa e il cui rilascio dipenda dall'accertamento dei requisiti e presupposti di legge, con una denuncia di inizio di attività da presentare da parte dell'interessato all'amministrazione competente corredata dalle attestazioni e dalle certificazioni eventualmente richieste;

f) la determinazione dei casi in cui le domande di rilascio di un atto di consenso, comunque denominato, che non implichi esercizio di discrezionalità amministrativa, corredate dalla documentazione e dalle certificazioni relative alle caratteristiche tecniche o produttive dell'attività da svolgere, eventualmente richieste, si considerano accolte qualora non venga comunicato apposito provvedimento di diniego entro il termine fissato per categorie di atti in relazione alla complessità del procedimento, con esclusione, in ogni caso, dell'equivalenza tra silenzio e diniego o rifiuto;

g) la revisione e riduzione delle funzioni amministrative non direttamente rivolte:

1) alla regolazione ai fini dell'incentivazione della concorrenza;

2) alla eliminazione delle rendite e dei diritti di esclusività, anche alla luce della normativa comunitaria;

3) alla eliminazione dei limiti all'accesso e all'esercizio delle attività economiche e lavorative;

4) alla protezione di interessi primari, costituzionalmente rilevanti, per la realizzazione della solidarietà sociale;

5) alla tutela dell'identità e della qualità della produzione tipica e tradizionale e della professionalità;

h) la promozione degli interventi di autoregolazione per standard qualitativi e delle certificazioni di conformità da parte delle categorie produttive, sotto la vigilanza pubblica o di organismi indipendenti, anche privati, che accertino e garantiscano la qualità delle fasi delle attività economiche e professionali, nonché dei processi produttivi e dei prodotti o dei servizi;

i) per le ipotesi per le quali sono soppressi i poteri amministrativi autorizzatori o ridotte le funzioni pubbliche condizionanti l'esercizio delle attività private, la previsione dell'autoconformazione degli interessati a modelli di regolazione, nonché di adeguati strumenti di verifica e controllo successivi. I modelli di regolazione vengono definiti dalle amministrazioni competenti in relazione all'incentivazione della concorrenzialità, alla riduzione dei costi privati per il rispetto dei parametri di pubblico interesse, alla flessibilità dell'adeguamento dei parametri stessi alle esigenze manifestatesi nel settore regolato;

l) l’attribuzione delle funzioni amministrative ai comuni, salvo il conferimento di funzioni a province, città metropolitane, regioni e Stato al fine di assicurarne l'esercizio unitario in base ai princìpi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza; determinazione dei princìpi fondamentali di attribuzione delle funzioni secondo gli stessi criteri da parte delle regioni nelle materie di competenza legislativa concorrente;

m) la definizione dei criteri di adeguamento dell'organizzazione amministrativa alle modalità di esercizio delle funzioni di cui al presente comma;

n) l’indicazione esplicita dell'autorità competente a ricevere il rapporto relativo alle sanzioni amministrative, ai sensi dell'articolo 17 della legge 24 novembre 1981, n. 689.

I decreti legislativi devono essere adottati entro il 31 dicembre 2008 (fatta salva l’adozione di decreti correttivi ai sensi del successivo comma 3).

 

Il comma 2 definisce i principi e criteri direttivi (oltre quelli previsti al comma 1) che il Governo è tenuto a rispettare nell’esercizio della delega:

a)  previsione della possibilità di dichiarare i siti aree di interesse strategico nazionale, soggette a speciali forme di vigilanza e di protezione;

b)  definizione di adeguati livelli di sicurezza dei siti, che tengano conto delle esigenze di tutela della salute della popolazione e dell'ambiente;

c)  riconoscimento di benefìci diretti alle famiglie e alle imprese residenti nel territorio circostante al sito, con oneri a carico delle imprese coinvolte nella costruzione o nell'esercizio degli impianti e delle strutture;

d)  previsione che, nei giudizi davanti agli organi di giustizia amministrativa che comunque riguardino le procedure di progettazione, approvazione e realizzazione delle opere, delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi concernenti il settore dell'energia e le relative attività di espropriazione, occupazione e asservimento, si applichino le disposizioni dell'articolo 246 del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163.

Relativamente a quest’ultimo aspetto, nella relazione illustrativa viene sottolineato che tale criterio è volto a limitare l’incidenza dei provvedimenti giurisdizionali sulla realizzazione delle opere e degli interventi programmati in sede politica e normativa, che “non è limitata al solo profilo della mancata realizzazione - nei tempi previsti - delle opere e degli interventi, ma concerne anche il profilo dei costi degli interventi stessi, i livelli di occupazione, la credibilità degli attori istituzionali del sistema e la fiducia degli operatori economici. Appare opportuno, pertanto, estendere al settore dell'energia modelli processuali già sperimentati dal legislatore in altri settori e ritenuti pienamente legittimi dalla Corte costituzionale”.

L’art. 246 del d.lgs. n. 163/2006 “si connota per l'applicazione delle direttive 89/665/CEE e 92/13/CEE che permettono di escludere la caducazione del contratto già stipulato dai soggetti aggiudicatori nelle ipotesi di sospensione o di annullamento giurisdizionale dell'aggiudicazione di prestazioni pertinenti alle infrastrutture, limitando la riparazione degli interessi o dei diritti lesi al solo risarcimento per equivalente, con esclusione della reintegrazione in forma specifica”.

 

Il comma 3 prevede che il Governo possa adottare disposizione integrative o correttive dei decreti legislativi entro un anno dalla loro entrata in vigore, nel rispetto delle medesime modalità di adozione dei provvedimenti e dei medesimi principi e criteri direttivi.

 

Il comma 4 stabilisce che dall’attuazione delle norme non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)

L’8 settembre 2004 la Commissione ha presentato due proposte modificate di direttiva (COM(2004)526)[43] relative a:

§      obblighi fondamentali e i princìpi generali nel settore della sicurezza degli impianti nucleari.

La proposta prevede, tra l’altro, l’istituzione da parte di ciascuno Stato membro di un’autorità di regolamentazione responsabile della sicurezza nucleare degli impianti nucleari e dell’effettiva attuazione delle norme di sicurezza. Tali autorità nazionali andrebbero a comporre un Comitato delle autorità di regolamentazione a livello europeo.

§      gestione sicura del combustibile nucleare esaurito e dei rifiuti radioattivi.

La proposta vincolerebbe gli Stati membri, tra l’altro, alla elaborazione di programmi nazionali di gestione di tali rifiuti, ben definiti e che includano un calendario per il deposito definitivo dei rifiuti radioattivi.

Tali proposte sono intese a dotare l’Unione europea allargata di una legislazione vincolante nel settore della sicurezza delle installazioni nucleari e della gestione dei rifiuti, al fine di mantenere un elevato livello di sicurezza nucleare al proprio interno.

Con le proposte modificate la Commissione ha inteso tenere conto delle proposte di modifica del Parlamento europeo che, nell’ambito della procedura di consultazione, ha approvato un parere nel corso della seduta del 13 gennaio 2004.

La Commissione, in particolare, ribadisce la necessità di “comunitarizzare” le norme esistenti, di instaurare un sistema comune di valutazione della sicurezza nucleare in ciascuno Stato membro, di mantenere l’obbligo per ogni Stato di definire un programma per la gestione definitiva dei rifiuti e di intensificare le attività di ricerca e sviluppo in questo settore.

Per contro, il Consiglio ambiente del 28 giugno 2004 ha sottolineato l’importanza del principio della responsabilità nazionale per quanto concerne la sicurezza degli impianti nucleari, discostandosi in tal modo dalla posizione della Commissione.

Il 12 dicembre 2006 la Commissione ha presentato una comunicazione relativa a un programma europeo per la protezione delle infrastrutture critiche (COM(2006)786) e una proposta di direttiva del Consiglio relativa all'individuazione e alla designazione delle infrastrutture critiche europee[44] e alla valutazione della necessità di migliorarne la protezione (COM(2006)787) in cui si prospettano una serie di misure volte a migliorare la protezione di dette infrastrutture, comprese le installazioni nucleari, e prevenirne la distruzione o i guasti.

Il 19 aprile 2007 il Consiglio ha adottato conclusioni con cui accoglie favorevolmente gli sforzi compiuti dalla Commissione intesi a sviluppare una procedura europea per l'individuazione e la designazione delle infrastrutture critiche europee e la valutazione della necessità di migliorarne la protezione. Il Consiglio, tra l’altro, riconosce che gli Stati membri sono i responsabili principali della gestione delle modalità di protezione delle infrastrutture critiche all'interno dei loro confini nazionali, incoraggiandoli a varare ogni azione adeguata per la protezione delle infrastrutture critiche.

Il 10 luglio 2007 il Parlamento europeo ha esaminato, in prima e unica lettura secondo la procedura di consultazione, la proposta di direttiva del Consiglio relativa all'individuazione e alla designazione delle infrastrutture critiche europee approvando emendamenti. Il 5 giugno 2008 il Consiglio ha raggiunto un accordo politico sulla proposta.

Infine si ricorda che il 12 dicembre 2007 la Commissione ha presentato una comunicazione relativa alla seconda relazione sull’utilizzo delle risorse finanziarie destinate alla disattivazione delle installazioni nucleari e alla gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi (COM(2007)794) intesa, tra l’altro, a rispondere alle preoccupazioni relative alle potenziali implicazioni in materia di sicurezza derivanti da una eventuale indisponibilità di fondi sufficienti al momento della disattivazione delle installazioni nucleari, nonché da una cattiva gestione delle risorse accantonate e dalla potenziale distorsione della concorrenza.

Procedure di contenzioso
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)

Il 5 luglio 2005 la Commissione ha inviato all’Italia un parere motivato[45] per essere venuta meno agli obblighi imposti dalla direttiva 96/29/Euratom, che stabilisce le norme di sicurezza relative alla protezione sanitaria della popolazione contro i pericoli delle radiazioni ionizzanti e dalla direttiva 89/618/Euratom, concernente l’informazione della popolazione sui provvedimenti di protezione sanitaria applicabili e sul comportamento da adottare in caso di emergenza radioattiva. La Commissione, in particolare, contesta all’Italia di non aver adottato i decreti di attuazione necessari a garantire un’effettiva applicazione delle due direttive in esame[46].

 


 

Articolo 16
(Energia nucleare)

 

1. Con delibera del CIPE, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, sentito il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sono definite le tipologie degli impianti di produzione di energia elettrica nucleare che possono essere realizzati nel territorio nazionale. Con le stesse modalità sono, altresì, stabiliti le procedure autorizzative e i requisiti soggettivi per lo svolgimento delle attività di costruzione e di esercizio degli impianti di cui al periodo precedente.

 

 

L’articolo 16 prevede che con delibera del CIPE, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, sentito il Ministro dell’ambiente, siano definite le tipologie degli impianti di produzione di energia elettrica nucleare che possono essere realizzati nel territorio nazionale, nonché le procedure autorizzative e i requisiti soggettivi per lo svolgimento delle attività di costruzione e di esercizio degli impianti.

 

Si evidenzia l’opportunità di indicare un termine per l’adozione della delibera del CIPE, anche al fine di coordinare proceduralmente tale atto con la delega prevista all’articolo 15.

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)

Il Consiglio europeo dell’8-9 marzo 2007, nell’approvare un piano d’azione globale in materia dienergiaper ilperiodo 2007-2009, per ciò che concerne il rispetto delle scelte degli Stati membri riguardo al mix energetico ha, tra l’altro:

§      preso atto della valutazione effettuata dalla Commissione riguardo al contributo dell'energia nucleare nel far fronte alle crescenti preoccupazioni concernenti la sicurezza dell'approvvigionamento energetico e la necessità di ridurre le emissioni di CO2, mantenendo la sicurezza e la protezione nucleare al centro del processo decisionale;

§      confermato che spetta a ciascuno Stato membro decidere se fare affidamento o meno sull'energia nucleare;

§      sostenuto la proposta della Commissione di istituire un Gruppo ad alto livello sulla sicurezza nucleare e la gestione dei rifiuti[47];

§      proposto che la discussione sulle opportunità e sui rischi dell'energia nucleare si svolga in maniera ampia fra tutte le parti interessate.

Il 4 ottobre 2007, secondo quanto previsto dall’articolo 40 del trattato Euratom[48], la Commissione ha presentato la comunicazione relativa al “Programma indicativo per il settore nucleare” (COM(2007)565) che illustra la situazione attuale del nucleare nell’Unione europea e gli scenari possibili per il futuro e opera un’analisi delle prospettive di sviluppo e d’investimento nei diversi paesi che producono attualmente energia nucleare nell’Unione europea[49].

La Commissione, tra l’altro, ritiene che l’energia nucleare, con emissioni di CO2 vicine allo zero, possa svolgere un ruolo importante nel realizzare gli obiettivi energetici europei, ma che spetta agli Stati membri, anche nel rispetto delle opinioni pubbliche, decidere se avvelersene o meno. Indipendentemente dalle scelte operate dagli Stati membri nel settore dell’energia, la Commissione ritiene che l'UE debba intraprendere un’azione coerente nel settore della sicurezza nucleare, della disattivazione degli impianti e della gestione dei rifiuti.

Il 20 marzo 2007 la Commissione ha presentato la comunicazioneI 50 anni del trattato Euratom” (COM(2007)124), elaborata in occasione del cinquantesimo anniversario della firma dei trattati di Roma che dettero vita alla Comunità economica europea, divenuta poi Comunità europea, e alla Comunità europea dell'energia atomica, sovente chiamata Euratom.

Nel passare in rassegna i principali risultati conseguiti dal trattato, la Commissione pone in evidenza la valutazione largamente positiva delle attività svolte nell’ambito del trattato Euratom, in particolare per ciò che riguarda: la sicurezza dell’approvvigionamento energetico, i progressi nei settori della ricerca, della protezione della salute, del controllo sugli usi pacifici delle materie nucleari e delle relazioni internazionali.

In riferimento alla comunicazione della Commissione sui 50 anni dell’Euratom, sopra citata, il 10 maggio 2007 il Parlamento europeo ha approvato una relazione d’iniziativa(cioè non legata ad un procedimento legislativo).

Il Parlamento europeo riconosce l'importante ruolo del nucleare a favore dell'approvvigionamento energetico dell'UE e il suo basso impatto in termini di emissioni di anidride carbonica, tuttavia sottolinea che, se la scelta nucleare spetta agli Stati membri, è necessario porre la sicurezza al centro delle attività Euratom e implicare il Parlamento nel processo decisionale.

In particolare, il Parlamento europeo ritiene che sia necessaria una revisione generalizzata del trattato Euratom per colmare il deficit democratico in quanto il Parlamento europeo risulta quasi completamente escluso dal processo legislativo Euratom. Il Parlamento europeo ritiene, altresì, necessario porre le questioni relative alla sicurezza comune al centro delle attività nucleari dell'Unione e dei suoi Stati membri.

 

Il 22 maggio 2008 la Commissione ha presentato la comunicazioneLa sicurezza nucleare: una sfida internazionale”(COM(2008)312), intesa ad analizzare i problemi di sicurezza connessi alla diffusione geografica del nucleare e a proporre raccomandazioni su questioni prioritarie, anche in considerazione del dibattito mondiale sulle questioni del cambiamento climatico e del possibile contributo che l’energia nucleare potrebbe dare nell’ottica della riduzione delle emissioni di gas a effetto serra.

La Commissione, tra l’altro, ribadisce che la Comunità intende proseguire i suoi sforzi volti a garantire che gli standard sempre più elevati applicati all'interno della Comunità per le misure di non proliferazione e di sicurezza vengano osservati anche a livello internazionale[50] e sottolinea la necessità che la Comunità stessa debba essere pronta ad esaminare le opportunità per una maggiore cooperazione con paesi terzi al fine di promuovere la non proliferazione e la sicurezza.

 

Il 3 luglio 2008 la Commissione ha presentato la comunicazioneSintesi delle attività svolte dalla Commissione nel 2007 per l'attuazione del titolo II, capi da 3 a 10, del trattato Euratom” (COM(2008)417).

Il documento espone le più recenti principali attività svolte a livello europeo al fine di migliorare il quadro per l'energia nucleare in Europa, nel contesto del piano d’azione del piano d’azione globale in materia di energia per ilperiodo 2007-2009, approvato sulla base di quanto prospettato dalla Commissione nella comunicazione “Una politica energetica per l’Europa” (COM(2007)1), presentata il 10 gennaio 2007, e del Programma indicativo sopra citato.

Tra l’altro, la comunicazione fa riferimento alla creazione di:

§      Gruppo di alto livello sulla sicurezza nucleare e la gestione dei rifiuti.

Il17 luglio 2007 la Commissione ha approvato la decisione 2007/530/Euratom, relativa all'istituzione del gruppo europeo ad alto livello sulla sicurezza nucleare e la sicurezza della gestione dei residui. Il gruppo è composto da 27 rappresentanti nazionali competenti nei settori della sicurezza degli impianti nucleari e della sicurezza della gestione del combustibile esaurito e dei residui radioattivi e ha compiti consultivi nei confronti della Commissione. Obiettivo del gruppo è sviluppare metodologie comuni nel campo della sicurezza nucleare e nella gestione dei rifiuti e individuare rapidamente i problemi relativi alla sicurezza nucleare da trattare in via prioritaria oltre a raccomandare azioni da avviare a livello europeo. A tal fine il gruppo ad alto livello, tra l’altro, agevola le consultazioni, il coordinamento e la cooperazione delle autorità nazionali di regolamentazione e promuove ampie consultazioni con le parti e i cittadini interessati in modo aperto e trasparente. Il gruppo si è riunito per la prima volta nell'ottobre 2007.

In tale contesto, il 30 maggio 2008 il Gruppo ha approvato una serie di princìpi sulla base dei quali i rappresentanti delle autorità nazionali di regolamentazione in materia di sicurezza nucleare degli Stati membri dell’UE, il 9 giugno 2008 hanno raggiunto un accordo inteso a rendere ulteriormente sicuro, in tutti i paesi dell’UE, l’utilizzo dell’energia nucleare, la gestione dei rifiuti radioattivi e le modalità di dismissione degli impianti nucleari obsoleti. Tra l’altro, si prospetta la necessità di una sempre maggiore collaborazione fra Stati membri e organismi internazionali quali, ad esempio, l’Agenzia internazionale per l’energia nucleare[51]; di aumentare la trasparenza delle discussioni di fronte al pubblico, ad esempio, creando un accesso europeo via web ai principali dati relativi alla sicurezza nucleare negli Stati membri; che il gruppo ad alto livello discuta della opportunità di stabilire ed attuare un piano per la gestione dei rifiuti radioattivi in ogni Stato membro dell’UE.

§      Forum europeo sull'energia nucleare.

In linea con le conclusioni del Consiglio europeo di primavera, la Commissione ha creato un forum per facilitare il dialogo tra le diverse parti interessate - governi della UE, membri del Parlamento europeo, industria nucleare, consumatori industriali di energia e la società civile - sulle opportunità e i rischi dell'energia nucleare. Gli incontri del forum si terranno alternativamente a Bratislava e a Praga. La riunione inaugurale del forum si è tenuta in novembre 2008 a Bratislava, alla presenza dei primi ministri dei paesi ospiti, di ministri e membri del Parlamento europeo nonché di altri operatori importanti del settore dell'energia nucleare. In tale occasione sono stati creati tre gruppi di lavoro sulle opportunità, i rischi e la trasparenza.


 

Articolo 17
(Promozione dell'innovazione nel settore energetico)

 


1. Al fine di promuovere la ricerca nel settore energetico, con particolare riferimento allo sviluppo del nucleare di nuova generazione e delle tecnologie per la cattura e il confinamento dell'anidride carbonica emessa dagli impianti termoelettrici, è stipulata un'apposita convenzione tra l'Agenzia per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa Spa, il Ministero dello sviluppo economico e il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nella quale sono individuate le risorse della stessa Agenzia disponibili per la realizzazione del Piano di cui al terzo periodo del presente comma, per ciascun anno del triennio. La convenzione è approvata con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze. Ai fini di cui al presente comma il CIPE, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, provvede all'approvazione di un Piano operativo che, fermo restando quanto disposto al comma 2, definisce obiettivi specifici, priorità, modalità di utilizzo delle risorse e tipologia dei soggetti esecutori.

2. Il Piano di cui al comma 1 persegue in particolare le seguenti finalità:

a) realizzazione di un progetto dimo­strativo sulla cattura e sul confinamento dell'anidride carbonica emessa dagli impianti termoelettrici, con il concorso dei principali operatori nazionali industriali e della ricerca, con sostegno finanziario limitato alla copertura dei costi addizionali per lo sviluppo della parte innovativa a maggiore rischio del progetto;

b) partecipazione attiva, con rico­struzione della capacità di ricerca e di sviluppo, ai programmi internazionali sul nucleare denominati «Generation IV International Forum» (GIF), «Global Nuclear Energy Partnership» (GNEP), «International Project on Innovative Nuclear Reactors and Fuel Cycles» (INPRO), «Accordo bilaterale Italia-USA di cooperazione energetica» e «International Thermonuclear Experimental Reactor» (ITER).


 

 

L’articolo 17 prevede la predisposizione, da parte del CIPE, di un Piano operativo per la promozione dell’innovazione nel settore energetico. Il Piano dovrà definire obiettivi, priorità, modalità di utilizzo delle risorse, tipologia dei soggetti esecutori, nonché, in particolare, prevedere la realizzazione di un progetto dimostrativo sulla cattura e il confinamento dell’anidride carbonica emessa dagli impianti termoelettrici e la partecipazione a vari programmi internazionali sull’energia nucleare. Per la realizzazione degli interventi si rinvia ad apposita Convenzione tra l’Agenzia per l’attrazione degli investimenti, il Ministero dello sviluppo economico e il Ministero dell’ambiente, con la quale si provvederà anche ad individuare le risorse dell’Agenzia da destinare alla realizzazione del Piano operativo.

 

L’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa S.p.A

Per quanto riguarda l’attività di attrazione degli investimenti, si segnala che l’articolo 43 del D.L. 25 giugno 2008, n. 112 (c.d. manovra per il 2009-2011) provvede a ridisciplinare la materia, prevedendo l’emanazione di un decreto di natura non regolamentare del Ministro dello sviluppo economico per la concessione di agevolazioni finanziariea sostegno degli investimenti privati e per la realizzazione di interventi ad essi complementari e funzionali. La gestione degli interventi viene affidata, con modalità stabilite da apposita convenzione, all’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo di impresa S.p.A. Tale strumento di intervento sostituirà i contratti di programma e i contratti di localizzazione per l’attrazione degli investimenti[52].

Si ricorda che, a partire dalla legge finanziaria 2005, sono stati previsti diversi strumenti di intervento per favorire l’attrazione di investimenti in Italia, assegnandone la competenza gestionale a Sviluppo Italia, poi trasformata in Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo di impresa S.p.A Infatti la legge finanziaria 2007 (legge n. 296/2006) all’articolo 1, comma 460, oltre a mutare la denominazione di Sviluppo Italia S.p.A. in “Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa S.p.A.“, ha attribuito al Ministro dello sviluppo economico una serie di poteri, tra cui quello di definire con apposite direttive le priorità e gli obiettivi dell’Agenzia. In particolare la direttiva del Ministro dell’economia e delle finanze del 27 marzo 2007 ha stabilito che l’azione dell’Agenzia dovrà essere diretta, con particolare riferimento al Mezzogiorno, a conseguire le seguenti priorità:

1.  favorire l’attrazione degli investimenti esteri di elevata qualità, in grado di dare un contributo allo sviluppo del sistema economico e produttivo nazionale;

2.  sviluppare l’innovazione e la competitività industriale e imprenditoriale nei sistemi produttivi e nei sistemi territoriali;

3.  promuovere la competitività e le potenzialità attrattive dei territori.

 

L’ENEA e i recenti sviluppi delle ricerche in materia di energia nucleare[53]

Il mantenimento della cultura e delle competenze nel settore nucleare è affidato all’Ente per le nuove tecnologie, l’energia e l’ambiente (ENEA), che promuove e svolge attività di ricerca nucleare di base e applicata, per le quali esplica il ruolo di advisor tecnico-scientifico per il Governo. Il decreto legislativo 3 settembre 2003, n. 257, recante il riordino della disciplina dell’ENEA, affida all'Ente il compito di preservare la cultura e le competenze nel settore del nucleare nel nostro Paese, conferendogli il “ruolo di responsabile del presidio scientifico e tecnologico in tema di energia nucleare”. L’ENEA è inoltre chiamato a svolgere attività di ricerca e sviluppo (R&S) in questo campo, a supporto della competitività del settore produttivo.

L’Ente detiene rilevanti competenze, conservate e sviluppate grazie alla partecipazione ai programmi del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, sulla trasmutazione, ai progetti europei dei vari programmi quadro Euratom e agli organismi internazionali del settore (OECD Nuclear Energy Agency - NEA, International Atomic Energy Agency - IAEA, ecc.). Peculiare è la sua capacità di integrazione di sistema, in particolare per quanto riguarda la progettazione dell’isola nucleare, i cicli avanzati del combustibile e gli aspetti di sicurezza e radioprotezione. A ciò si aggiunge l’esistenza di importanti infrastrutture sperimentali, presso i Centri ricerche ENEA della Casaccia e del Brasimone, in cui è possibile effettuare prove di qualifica di componenti e sviluppo dei materiali per reattori.

Le iniziative internazionali più rilevanti in cui si sviluppa l’attività dell’ENEA, e che prevedono, a medio-lungo termine, realizzazioni di sistemi nucleari avanzati sono:

-        GNEP (Global Nuclear Energy Initiative), lanciata dal Governo statunitense nel 2006;

-        Generation IV, lanciata dal U.S.Department of Energy (DOE) nel 2000;

-        INPRO (International Project on Innovative Nuclear Reactors and Fuel Cycles) promosso nel 2000 dall’International Atomic Energy Agency (IAEA);

-        Sustainable Nuclear Energy Technology Platform europea lanciata dalla Commissione Europea il 21 settembre 2007.

In particolare, i grandi temi di R&S su cui l’ENEA, assieme alle sue partecipate, sarà maggiormente impegnato nel prossimo triennio sono:

§       nell’ambito GNEP, lo sviluppo del reattore PWR IRIS, con 22 partners di 10 paesi, sette dei quali italiani, sotto la responsabilità della Westinghouse. Il reattore IRIS è di Generation III+, cioè appartiene a quella classe di reattori meno rivoluzionari della Generation IV, ma di tecnologia più certa e realizzabile (2012-2015);

§       nell’ambito Generation IV:

-        il reattore veloce raffreddato a piombo (LFR) che, se risultasse vincente come tecnologia (aspetti di compatibilità piombo fuso-acciaio) porterebbe a reattori veloci semplici, sicuri ed economicamente più competitivi di quelli raffreddati a sodio rendendo l’uranio una risorsa praticamente inesauribile;

-        il reattore veloce raffreddato a sodio (SFR), in collaborazione, nell’ambito del VI Programma Quadro europeo, con l’Università di Roma “La Sapienza”, la controllata CESI Ricerca e il CEA francese;

-        il Technology Survey sui reattori a gas ad alta temperatura (VHTR – Very High Temperature Reactor) per il quale è attiva la partecipazione in ambito europeo;

§       nell’ambito degli studi riguardanti la non proliferazione e i cicli avanzati del combustibile mediante Partitioning&Transmutation in reattori critici e sottocritici (ADS–Accelerator Driven System), l’eliminazione dei rifiuti radioattivi ad alta attività e lunga vita.

 

Nucleare da fissione

Nonostante il ridimensionamento di risorse umane e strumentali conseguente al referendum del 1987, l’Italia possiede ancora rilevanti competenze specifiche sul nucleare da fissione[54]e infrastrutture di ricerca di livello internazionale, conservate e sviluppate in questi anni da ENEA con il concorso e in collaborazione con gli altri soggetti nazionali attivi nel settore, che hanno permesso di ricostituire e mantenere un sistema nazionale qualificato, agevolmente inserito in attività di ricerca e sviluppo sia a livello comunitario, sia ad un più ampio livello internazionale.

Competenze ed infrastrutture per la ricerca nucleare da fissione sono concentrate presso i Centri ENEA di Bologna, del Brasimone, della Casaccia (dove si trovano due dei quattro reattori di ricerca italiani ancora in funzione) e di Saluggia, le partecipate SIET, CESI Ricerca e NUCLECO e presso le Università che fanno capo al Consorzio CIRTEN[55].

ENEA è impegnato in numerose attività di ricerca e sviluppo (R&S) e di sistema sul nucleare a fissione per contribuire a ricreare le competenze e le capacità in questo settore e consentire all’Italia di partecipare a pieno titolo alle grandi iniziative di R&S internazionali ed europee attualmente in atto.

A livello nazionale, nell’ambito dell’Accordo di programma con il Ministero dello sviluppo economico[56], cui fornisce supporto per il coordinamento della partecipazione nazionale a progetti e accordi internazionali nel campo del nuovo nucleare da fissione, ENEA sta effettuando rilevanti attività teoriche e sperimentali per lo sviluppo degli impianti di ultima generazione (GEN III+, GEN IV), che soddisfano i criteri di sostenibilità, economicità, sicurezza e resistenza alla proliferazione.

A livello europeo e internazionale l’ente presidia e sviluppa, attraverso la partecipazione alle grandi iniziative europee e internazionali in corso[57]e mediante accordi bilaterali con organismi governativi di ricerca come il DOE americano e il CEA francese, importanti attività di R&S sui reattori avanzati e innovativi, nonché sui cicli del combustibile avanzati, che permettono un migliore sfruttamento delle risorse naturali e la minimizzazione dei rifiuti radioattivi ad alta attività e a lunga vita.

 

Nucleare da fusione

La fusione termonucleare[58]è attualmente considerata una delle opzioni utili, in presenza di una crescente richiesta globale di energia e di sicurezza nell’approvvigionamento, in grado di rendere disponibile una fonte di energia sostenibile, di larga scala, sicura e praticamente inesauribile. Sebbene i progressi compiuti dalla ricerca negli ultimi anni siano notevoli, per poter realizzare una centrale a fusione commerciale, che consentirebbe un approvvigionamento quasi illimitato di energia pulita, sono necessari ulteriori sviluppi di fisica, tecnologia e ingegneria.

L'Italia è fortemente impegnata nelle ricerche sulla fusione a livello europeo e internazionale sia nel campo della fisica, che nel in quello della tecnologia. Le attività vengono svolte dall' Associazione ENEA-EURATOM che, oltre all' EURATOM e alla UTS Fusione dell' ENEA, comprende:

-        l'Istituto di fisica del plasma del Centro nazionale delle ricerche (CNR) di Milano;

-        il Consorzio RFX (CNR-Padova), dove è attiva la macchina di tipo Reversed Field Pinch RFX;

-        istituti universitari quali il Politecnico di Torino, l'Università di Catania DIEES, l'Universita' di Roma Tor Vergata e il Consorzio universitario CREATE (Consorzio di ricerca per l’energia e le applicazioni tecnologiche dell’elettromagnetismo).

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)

Il 22 novembre 2007 la Commissione, facendo seguito a quanto annunciato nel piano d’azione in materia energetica, adottato dal Consiglio europeo dell’8-9 marzo 2007, ha presentato un piano strategico europeo per le tecnologie energetiche (piano SET[59]) (COM(2007)723) inteso accelerare lo sviluppo e l’impiego diffuso di tecnologie a bassa emissione di carbonio attraverso la predisposizione di un nuovo ed ampio programma di ricerca nel campo energetico.

La Commissione propone misure che, rilanciando gli investimenti per la ricerca nel settore energetico e migliorandone l’impiego ed il coordinamento a livello europeo, consentano l’abbassamento dei costi per la produzione di energia pulita e permettano all’industria europea di porsi all’avanguardia in un settore considerato in rapida espansione qual è quello delle tecnologie a bassa produzione di carbonio.

La Commissione propone, tra l’altro, che priorità e azioni nel settore della ricerca energetica siano definite da un gruppo direttivo (o di pilotaggio) sulle tecnologie energetiche strategiche (Steering Group on Strategic Energy Technologies) presieduto dalla Commissione e composto da rappresentanti di alto livello delle amministrazioni degli Stati membri. Tale gruppo dovrebbe, tra l’altro, elaborare azioni congiunte e monitorare i progressi in modo sistematico, al fine di rafforzare la coerenza fra gli sforzi compiuti a livello nazionale, europeo ed internazionale avvalendosi anche di un sistema di gestione delle informazioni e della conoscenza ad accesso aperto, che comprenderà una “mappa delle tecnologie” (stato delle conoscenze, ostacoli e potenziale delle tecnologie) e una “mappa delle capacità” (risorse finanziarie e umane) sviluppati dal Centro comune di ricerca[60] della Commissione, istituiti dalla Commissione.

 

Tra i settori prioritari per cui la Commissione propone di lanciare, a partire dal 2008, una serie di nuove iniziative industriali europee figurano anche la cattura, il trasporto e lo stoccaggio di CO2 e la fissione nucleare sostenibile. Tali iniziative industriali europee potranno assumere la forma di partenariati pubblico-privato o concretizzarsi in una programmazione congiunta da parte di coalizioni di Stati membri interessati, a seconda della natura e delle esigenze dei settori e delle tecnologie interessate. Tra gli esempi utili ad illustrare le iniziative del piano SET la Commissione cita il programma europeo di ricerca sulla fusione nucleare che ha nel programma ITER (International Thermonuclear Experimental Reactor) il suo progetto di punta.

Il progetto internazionale ITER è volto a dimostrare la fattibilità scientifica e tecnica dell’energia di fusione per usi pacifici, il cui elemento essenziale è costituito dalla costruzione di un reattore sperimentale di fusione termonucleare a Cadarache, nel sud della Francia. L’inizio dei lavori per la costruzione del reattore è fissato per il 2008 e dovrebbe concludersi entro i dieci anni successivi. Gli accordi per la realizzazione congiunta del Progetto ITER sono stati firmati a Parigi il 20 novembre 2006. L’accordo è stato firmato dai ministri dei sette partner che partecipano al progetto: Unione europea, Stati Uniti, Russia, Giappone, Cina, Corea del Sud e India. L’Italia partecipa al progetto attraverso tre enti di ricerca: l’Enea, il Cnr e l’Istituto di Fisica Nucleare (Infn).

 

La Commissione preannuncia, inoltre, la presentazione entro fine 2008 di una comunicazione sul finanziamento delle tecnologie a basso tenore di carbonio che esaminerà, tra l’altro, le vie possibili per ottenere finanziamenti privati, compreso il private equity e il venture capital, nonché per migliorare il coordinamento fra le fonti di finanziamento. In particolare, sarà valutata l’opportunità di istituire un nuovo meccanismo o fondo europeo per la dimostrazione su scala industriale e la prima applicazione commerciale di tecnologie avanzate a basso tenore di carbonio. La comunicazione valuterà, inoltre, i costi e i benefici degli incentivi fiscali per l’innovazione.

 

Il 21 settembre 2007 è stata lanciata una piattaforma tecnologica per l'energia nucleare sostenibile (SNET-TP) che riunisce rappresentanti delle industrie, organizzazioni di ricerca, università e rappresentanti nazionali. La piattaforma è stata creata, tra l'altro, per favorire e consolidare la cooperazione europea nel settore della ricerca e dello sviluppo con particolare riferimento alla fissione nucleare.

 


 

Articolo 18
(Tutela giurisdizionale)

 


1. Sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e attribuite alla competenza del tribunale amministrativo regionale del Lazio, con sede in Roma, tutte le controversie, anche in relazione alla fase cautelare e alle eventuali questioni risarcitorie, comunque attinenti alle procedure e ai provvedimenti dell'amministrazione pubblica o dei soggetti alla stessa equiparati concernenti il settore dell'energia. La giurisdizione di cui al presente comma si intende estesa anche alle controversie relative a diritti costituzionalmente garantiti.

2. Le questioni di cui al comma 1 sono rilevate d'ufficio.

3. Le norme del presente articolo si applicano anche ai processi in corso e l'efficacia delle misure cautelari emanate da un'autorità giudiziaria diversa da quella di cui al comma 1 è sospesa fino alla loro conferma, modifica o revoca da parte del tribunale amministrativo regionale del Lazio, con sede in Roma, cui la parte interessata può riproporre il ricorso e l'istanza cautelare.

4. Dall'attuazione delle disposizioni del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Agli adempimenti previsti dal presente articolo si provvede nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.


 

 

Il comma 1 della disposizione in esamedevolve alla giurisdizione esclusiva del TAR del Lazio, con sede in Roma, la competenza in primo grado su tutte le controversie (comprese quelle di natura cautelare e risarcitoria) concernenti le procedure e i provvedimenti della pubblica amministrazione (e dei soggetti ad essa equiparati) in materia di energia.

 

La norma precisa che la giurisdizione esclusiva comprende anche le controversie relative a “diritti costituzionalmente garantiti”.

Per quanto concerne il settore dell’energia, l’art. 1, comma 552, della legge 311 del 2004 (legge finanziaria 2005) ha devoluto alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi ad oggetto le procedure ed i provvedimenti in materia di impianti di energia elettrica di cui al DL 7/2002 (Misure urgenti per garantire la sicurezza del sistema elettrico nazionale) convertito, con modificazioni, dalla legge 55/2002 e le relative questioni risarcitorie.

La norma citata ha superato il vaglio di legittimità costituzionale (C. Cost. 27 aprile 2007, n. 140)[61]affermando la Consulta che essa “è conforme all’orientamento espresso nelle sentenze n. 204 del 2004 e, soprattutto, n. 191 del 2006 di questa Corte”. Secondo tali pronunce, l’art. 103 Cost., pur non avendo conferito al legislatore ordinario una assoluta ed incondizionata discrezionalità nell’attribuzione al giudice amministrativo di materie devolute alla sua giurisdizione esclusiva, gli ha riconosciuto il potere di indicare «particolari materie» nelle quali la tutela nei confronti della pubblica amministrazione investe «anche» diritti soggettivi.

Deve trattarsi tuttavia, di materie determinate nelle quali la pubblica amministrazione agisce nell’esercizio del suo potere. La richiamata giurisprudenza della Corte esclude, poi, che la giurisdizione possa competere al giudice ordinario per il solo fatto che la domanda abbia ad oggetto esclusivo il risarcimento del danno (sentenza n. 191 del 2006).

Nella fattispecie disciplinata dal comma 552 dell’art. 1 della legge n. 311 del 2004 la Corte costituzionale ha ritenuto sufficienti i presupposti che legittimano il riconoscimento di una giurisdizione esclusiva al giudice amministrativo in quanto l’oggetto delle controversie è rigorosamente circoscritto alle particolari «procedure e provvedimenti», tipizzati dalla legge (decreto-legge n. 7 del 2002), e concernenti una materia specifica (gli impianti di generazione di energia elettrica).

Inoltre, la Consulta ha affermato che alla validità costituzionale del «sistema» in esame non è di ostacolo la natura «fondamentale» dei diritti soggettivi coinvolti nelle controversie de quibus, non essendovi alcun principio o norma nel nostro ordinamento che riservi esclusivamente al giudice ordinario - escludendone il giudice amministrativo - la tutela dei diritti costituzionalmente protetti.

Da ultimo le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza 18 dicembre 2007 n. 27187, sono intervenute sulla questione dei diritti fondamentali e - riprendendo quanto affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza 140/2007– hanno precisato che, in materia di giurisdizione esclusiva, la tutela giurisdizionale spetta al giudice amministrativo anche quando l’atto amministrativo o il comportamento esecutivo di un atto amministrativo incide sui diritti fondamentali.

 

Il comma 2 prevede la rilevabilità d’ufficio delle questioni di cui al comma 1.

 

Il comma 3 definisce la disciplina transitoria, precisando che le norme sulla devoluzione di competenza al TAR del Lazio si applicano anche ai processi in corso. Particolare disciplina è inoltre dettata per le misure cautelari adottate da un’autorità giudiziaria diversa dal TAR del Lazio, la cui efficacia è sospesa fino alla loro conferma, modifica o revoca da parte del TAR del Lazio, cui la parte interessata può riproporre il ricorso e l’istanza cautelare.

 

Il comma 4 prevede, infine, che dall’applicazione dell’art. 18 non debbano derivare nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato.

Va, per completezza, segnalato che analoga norma di tutela giurisdizionale esclusiva è stata introdotta dall’art. 4 del recente D.L. 23 maggio 2008 n. 90 “Misure straordinarie per fronteggiare l'emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella regione Campania e ulteriori disposizioni di protezione civile”, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 luglio 2008, n. 123. Tale disposizione ha attribuito al TAR del Lazio, con sede in Roma, la competenza (in primo grado) su tutte le controversie, anche in ordine alla fase cautelare, comunque attinenti alla complessiva azione di gestione dei rifiuti, anche posta in essere con comportamenti dell'amministrazione pubblica o dei soggetti alla stessa equiparati[62].


 

Articolo 19
(Centrali di committenza)

 


1. All'articolo 33 del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, sono aggiunti, in fine, i seguenti commi:

«3-bis. Al fine di assicurare più effettivi e penetranti strumenti di controllo a tutela della trasparenza e della legalità dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, le amministrazioni regionali possono svolgere, per conto e su richiesta degli enti locali siti nei relativi territori, diversi dai comuni metropolitani, le attività di centrali di committenza, anche avvalendosi delle province, dei provveditorati alle opere pubbliche e della collaborazione delle prefetture-uffici territoriali del Governo. Resta ferma, per gli enti locali diversi dai comuni metropolitani, la facoltà di costituire centrali di committenza associandosi o consorziandosi, ai sensi del comma 1.

3-ter. I soggetti che fungono da centrali di committenza ai sensi del comma 3-bis e l'Osservatorio predispongono capitolati prestazionali e prezzari di riferimento per prestazioni standardizzate o comunque comparabili, anche sulla base dei valori espressi nelle convenzioni stipulate ai sensi dell'articolo 26 della legge 23 dicembre 1999, n. 488, e successive modificazioni, e dei relativi parametri qualità-prezzo, nonché della media dei prezzi praticati alle amministrazioni aggiudicatrici negli ultimi tre anni, ridotti del 5 per cento. Dei capitolati prestazionali e dei prezzari così rilevati è data evidenza pubblica mediante pubblicazione sul sito internet istituzionale di ciascuna centrale di committenza e sul sito dell'Osservatorio.

3-quater. I contratti di lavori, servizi o forniture per gli enti locali che si avvalgono delle procedure di cui al comma 3-bis sono stipulati prendendo a riferimento i prezzari di cui al comma 3-ter. Nel caso in cui, a seguito delle procedure di affidamento, il corrispettivo di ciascun contratto sia inferiore rispetto a quello determinato ai sensi del comma 3-ter, un importo non superiore alla differenza tra il prezzo di riferimento determinato ai sensi del comma 3-ter e il minore corrispettivo pagato dall'amministrazione derivante dal ricorso alle procedure di cui al comma 3-bis può essere ripartito, in misura convenzionalmente pattuita, tra l'ente locale interessato e la centrale di committenza, per essere destinato alla copertura delle spese necessarie ad assicurare il rispetto degli obblighi di pubblicità delle procedure, nonché a finalità di incentivazione e di miglioramento degli interventi di vigilanza e di controllo sui contratti di cui al presente articolo, anche nella relativa fase di esecuzione.

3-quinquies. Gli enti locali che si avvalgono delle centrali di committenza e le centrali di committenza non sono tenuti al pagamento del contributo previsto ai sensi dell'articolo 1, comma 67, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, e successive modificazioni.

3-sexies. In sede di programmazione degli interventi infrastrutturali a carico del bilancio dello Stato, ai fini della ripartizione degli stessi su scala regionale, è assicurata una quota premiale delle relative risorse finanziarie in favore delle regioni che abbiano introdotto nella loro legislazione disposizioni volte a rendere effettivo il ricorso alle procedure gestite da centrali di committenza per gli enti locali siti all'interno del territorio regionale, in maniera tale da assicurare minori oneri in termini di fabbisogno e di indebitamento netto, per effetto del ricorso alle procedure di cui al comma 3-bis, rispetto all'anno precedente. L'ammontare di tale quota premiale è stabilito annualmente con il Documento di programmazione economico-finanziaria.

3-septies. Le amministrazioni locali che non si avvalgono delle procedure di cui al comma 3-bis sono tenute a motivarne specificamente le ragioni tecniche e di opportunità economica, con obbligo di trasmissione degli atti alle competenti sezioni regionali di controllo della Corte dei conti. In tale caso, il contratto non può essere stipulato prima di trenta giorni dalla data di trasmissione degli atti ai competenti uffici della Corte dei conti.

3-octies. Nel caso di contratto stipulato dagli enti locali senza il ricorso alle procedure di cui al comma 3-bis, in mancanza di adeguata motivazione delle ragioni tecniche e di opportunità economica, ferma ogni eventuale ulteriore pretesa erariale, dell'eventuale maggiore corrispettivo pagato dall'amministrazione rispetto a quelli determinati ai sensi del comma 3-ter rispondono comunque, a titolo personale e solidale, il pubblico ufficiale che ha stipulato il contratto e i componenti degli organi deputati all'eventuale approvazione o degli organi di controllo competenti secondo l'ordinamento delle singole amministrazioni che non hanno rilevato preventivamente il fatto.

3-novies. In caso di mancato ricorso alle procedure di cui al comma 3-bis, i trasferimenti ordinari a carico del bilancio dello Stato sono stabilmente ridotti di un importo pari al maggiore onere sostenuto dalle amministrazioni rispetto a quanto sarebbe derivato dall'affidamento alle centrali di committenza, tenuto conto dei corrispettivi fissati ai sensi del comma 3-ter.

3-decies. Le amministrazioni locali che, per la realizzazione di opere pubbliche, non si avvalgano delle procedure di cui al comma 3-bis non possono fare ricorso per il relativo finanziamento all'imposta di scopo di cui all'articolo 1, commi 145 e seguenti, della legge 27 dicembre 2006, n. 296. Gli stessi enti non possono procedere a variazioni in aumento di aliquote di tributi e di imposte propri o di compartecipazione a tributi statali o regionali per i successivi cinque esercizi, né possono prevedere, per lo stesso periodo, aumenti degli oneri concessori per la realizzazione di attività edilizie o di altre tariffe locali.

3-undecies. Ai fini del concorso delle autonomie locali al rispetto degli obblighi comunitari della Repubblica, al rispetto del patto di stabilità interno e alla realizzazione degli obblighi di contenimento e di razionalizzazione della spesa pubblica, nonché al fine di realizzare le migliori condizioni per l'acquisizione di lavori, beni e servizi nel rispetto dei princìpi di tutela della concorrenza, le disposizioni del presente articolo costituiscono princìpi di coordinamento della finanza pubblica».


 

 

L’articolo reca un’articolata disciplina - che va ad integrare le norme generali sugli appalti pubblici e gli accordi quadro stipulati dalle centrali di committenza recate dall’art. 33 del Codice dei contratti pubblici (d.lgs. 163 del 2006) - delle procedure gestite dalle centrali di committenza regionali, della cui qualificazione tecnica ed esperienza potranno avvalersi gli enti territoriali di minori dimensioni, con conseguenti contenimenti di costi da parte degli stessi enti, come sottolinea la relazione illustrativa.

Sono centrali di committenza le amministrazioni aggiudicatici che acquistano forniture o servizi o aggiudicano appalti di lavori o accordi quadro di forniture e servizi per altre amministrazioni aggiudicatici. Le centrali di committenza rappresentano, pertanto, uno strumento di centralizzazione degli acquisti in modo da evitare l’atomizzazione delle procedure ed ottenere, su acquisti di maggiori dimensioni, risparmi sia in termini di prezzi che di costi di gestione della procedura (per personale, pubblicazioni e contenzioso).

La centrale di committenza non rappresenta uno schema contrattuale bensì un modulo organizzativo attraverso il quale l'amministrazione gestisce una pluralità di commesse nell'interesse di diverse e molteplici amministrazioni aggiudicatrici. La caratteristica fondamentale della stipulazione di contratti per il tramite della centrale di committenza è quella evitare che i successivi contratti di acquisto di lavori, servizi o forniture siano assoggettati alle regole dell'evidenza pubblica, laddove tale regole siano state rispettate a monte dalla stessa centrale di committenza in sede di stipula della convenzione o accordo-quadro. In tal modo, una volta concluso il contratto tra la centrale di committenza e l'operatore privato, tutte le amministrazioni interessate potranno acquistare beni e servizi facendo ricorso all'operatore economico prescelto dalla centrale di committenza e nel rispetto delle condizioni stabilite senza rinnovo della gara pubblica[63].

Il primo modello di centrale di committenza, a livello nazionale, è nato verso la fine degli anni 2000 con la CONSIP S.p.A. (Concessionaria Servizi Informatici Pubblici)[64] - organismo a struttura societaria interamente posseduto dal Ministero dell’Economia con il compito di stipulare convenzioni in base alle quali le imprese fornitrici si impegnano ad accettare ordinativi di fornitura fino alla concorrenza di un quantitativo di beni o di servizi predeterminato - ma già con la legge n. 388/2000 (finanziaria 2001) il disegno legislativo sulle centrali di committenza si è andato chiarificando nelle sue prospettive future che, come si vedrà, non saranno limitate alla sola CONSIP. L’art. 59 di tale legge[65] ha affidato al Ministero dell’Economia il compito di promuovere aggregazioni di enti decentrati di spesa (indicando esplicitamente province, comuni, aziende sanitarie e ospedaliere, università) per le l’elaborazione di strategie comuni di acquisto attraverso la standardizzazione degli ordini di acquisto per specie merceologiche e l’eventuale stipula di convenzioni valevoli su parte del territorio nazionale.

Pertanto, con tale disposizione ha iniziato a delinearsi un sistema di centrali di committenza non delimitato alla sola CONSIP ma diffuso sul territorio, per settori amministrativi omogenei, in modo da perseguire una politica a tutto campo di centralizzazione degli acquisti. Questa nuova politica di razionalizzazione degli acquisti ha condotto, infatti, all’introduzione, da parte delle leggi finanziarie che si sono succedute negli ultimi anni, di nuovi strumenti di centralizzazione delle procedure di gara che operano a livello locale.

Tra essi quelli a livello:

-        comunale – le aggregazioni di enti locali per gli acquisti di beni e servizi

L’art. 1, commi 157-160, della legge n. 266/2005 (finanziaria 2006) introduce la possibilità, per gli enti locali, di aggregarsi tra loro e funzionare come centrali di committenza, stipulando convenzioni aperte all’adesione di tutti gli enti aderenti all’aggregazione: si tratta della possibilità di creare delle CONSIP a livello locale. Resta naturalmente impregiudicata la possibilità per gli enti locali di aderire volontariamente alle convenzioni stipulate dalla CONSIP;

-        regionale – le centrali di committenza regionali

L’art 1, commi 455-457, della legge n. 296/2006 (finanziaria 2007) introduce la possibilità per le regioni, anche unitamente ad altre regioni, di costituire centrali di committenza ai sensi dell’art. 33 del Codice dei contratti pubblici, con il compito di stipulare convenzioni per acquisto di beni e servizi in favore di amministrazioni locali, ASL e tutte le altre amministrazioni con sede nel territorio (comma 455). Le centrali stipulano, per gli ambiti territoriali di competenza, convenzioni di cui all'art. 26, comma 1, della legge n. 488/1999 (comma 456). Viene previsto, infine, che le centrali regionali e la CONSIP formino un sistema a rete anche sotto il profilo delle risorse informatiche e viene attribuita alla Conferenza permanente Stato-Regioni il compito di definire i programmi di razionalizzazione della spesa pubblica e la verifica dei risultati (comma 457).

Appare, quindi, evidente che il concetto di centralizzazione degli acquisti si è andato nel tempo raffinando mediante l’introduzione di strumenti che operano a livello di singolo settore amministrativo (universitario, sanitario, scolastico e così via) o a livello locale (comunale e regionale), accanto alla CONSIP quale ente con vocazione universale e come tale non sempre adatto alle esigenze di amministrazioni sparse su un territorio geograficamente, socialmente e storicamente variegato come l’Italia, in modo da massimizzare l’efficacia e l’economicità dell’azione amministrativa.

 

L’articolo in esame reca, come anzidetto, attraverso l’inserimento di alcuni commi aggiuntivi all’art. 33 del Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. n. 163/2006), un’articolata disciplina delle centrali di committenza regionali.

Si ricorda che il Codice dei contratti pubblici ha trasposto nell’ordinamento nazionale (art. 3, comma 34 e art. 33) le disposizioni in materia di centrali di committenza previste dalla normativa europea (art. 1, par. 10 e art. 11 della direttiva 2004/18/CE e art. 1, par. 8 e art. 29 della direttiva 2004/17/CE). Tra gli aspetti di rilievo della direttiva 2004/18/CE va segnalata, quindi, l'introduzione di organismi creati per centralizzare le committenze i quali, per essere definiti "centrali di committenza" ai sensi dell'art. 1, par. 10, devono soddisfare due condizioni:

a)  essere amministrazioni aggiudicatrici;

b)  acquistare forniture e servizi destinati ad amministrazioni aggiudicatrici ovvero aggiudicare appalti pubblici o concludere accordi quadro di lavori, forniture, servizi destinati ad amministrazioni aggiudicatrici.

Il ricorso a centri unici di imputazione di appalti non è un obbligo, ma è rimessa alla facoltà dei singoli Stati darvi attuazione nei loro ordinamenti (considerando n. 16).

Conseguentemente, ai sensi del citato art. 3, comma 34, del Codice dei contratti pubblici, la centrale di committenza è un'amministrazione aggiudicatrice che:

-        acquista forniture o servizi destinati ad amministrazioni aggiudicatrici o altri enti aggiudicatori;

-        aggiudica appalti pubblici o conclude accordi quadro di lavori, forniture o servizi destinati ad amministrazioni aggiudicatrici o altri enti aggiudicatori.

L’art. 33 prevede, quindi, che le stazioni appaltanti e gli enti aggiudicatori possono acquisire lavori, servizi e forniture facendo ricorso a centrali di committenza, anche associandosi o consorziandosi e che tali centrali sono tenute all’osservanza del codice[66].

 

Il comma 3-bis dispone che le amministrazioni regionali, al fine di assicurare più effettivi e penetranti strumenti di controllo a tutela della trasparenza e della legalità dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, le possono svolgere le attività di centrali di committenza, per conto e su richiesta degli enti locali siti nei relativi territori, diversi dai comuni metropolitani, anche avvalendosi delle province, dei provveditorati alle opere pubbliche e della collaborazione delle prefetture-uffici territoriali del Governo.

Si osserva che, rispetto alle analoghe disposizioni previste per le centrali di committenza regionali dall’art. 1, commi 455-457, della legge n. 296/2006 (vedi infra), quelle recate dal comma in esame prevedono la possibilità di fare ricorso alle province, ai provveditorati alle opere pubbliche ed alla collaborazione delle prefetture-uffici territoriali del Governo.

Resta ferma, per gli enti locali diversi dai comuni metropolitani, la facoltà di costituire centrali di committenza associandosi o consorziandosi, ai sensi del comma 1 dello stesso art. 33.

 

Il comma 3-ter dispone che le amministrazioni regionali (o chi per loro ai sensi del comma precedente) che fungono da centrali di committenza e l'Osservatorio dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture[67] sono tenuti a predisporre capitolati prestazionali e prezzari di riferimento per prestazioni standardizzate o comunque comparabili, anche sulla base dei valori espressi nelle convenzioni stipulate ai sensi dell'art. 26 della legge n. 488/1999 (vedi infra) e dei relativi parametri qualità-prezzo, nonché della media dei prezzi praticati alle amministrazioni aggiudicatrici negli ultimi tre anni, ridotti del 5 per cento.

Successivamente i capitolati prestazionali ed i prezzari dovranno essere adeguatamente pubblicizzati, attraverso la pubblicazione sul sito internet istituzionale di ciascuna centrale di committenza e sul sito dell'Osservatorio.

 

Il comma 3-quater stabilisce che i contratti di lavori, servizi o forniture per gli enti locali che si avvalgono delle centrali di committenza vengano stipulati prendendo a riferimento i prezzari predisposti al comma precedente.

Qualora, a seguito delle procedure di affidamento, il corrispettivo di ciascun contratto sia inferiore a quello determinato ai sensi del comma 3-ter, un importo non superiore alla differenza tra il prezzo di riferimento determinato ai sensi del comma 3-ter e il minore corrispettivo pagato dall'amministrazione derivante dal ricorso alle centrali di committenza può essere ripartito, in misura convenzionalmente pattuita, tra l'ente locale interessato e la centrale di committenza, per essere destinato alla copertura delle spese necessarie ad assicurare il rispetto degli obblighi di pubblicità delle procedure, nonché a finalità di incentivazione e di miglioramento degli interventi di vigilanza e di controllo sui contratti di cui al presente articolo, anche nella relativa fase di esecuzione.

 

Il comma 3-quinquies prevede che gli enti locali che si avvalgono delle centrali di committenza e le centrali di committenza non siano tenuti al pagamento del contributo previsto ai sensi dell'art. 1, comma 67, della legge 23 n. 266/2005 (finanziaria 2006).

Si ricorda che l'art. 1, comma 67, della legge n. 266/2005, dispone che l'Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici (ora Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture), ai fini della copertura dei costi relativi al proprio funzionamento, determini annualmente l'ammontare del contributo dovuto dai soggetti, pubblici e privati, sottoposti alla sua vigilanza, nonché le relative modalità di riscossione. Per l'anno 2008, l’entità della contribuzione è stata determinata con delibera del 24 gennaio 2008[68].

 

Il comma 3-sexies dispone che, in sede di programmazione degli interventi infrastrutturali a carico del bilancio dello Stato, ai fini della ripartizione degli stessi su scala regionale, una quota premiale delle relative risorse finanziarie vada a quelle regioni che abbiano introdotto, nella loro legislazione, norme volte a rendere effettivo il ricorso alle procedure gestite da centrali di committenza per gli enti locali siti all'interno del territorio regionale, al fine di assicurare minori oneri in termini di fabbisogno e di indebitamento netto rispetto all'anno precedente.

L'ammontare di tale quota premiale è stabilito annualmente con il Documento di programmazione economico-finanziaria.

 

Il comma 3-septies, invece, dispone un obbligo di motivazione – sia riguardo alle ragioni tecniche che a quelle di opportunità economica - da parte delle amministrazioni locali che non si avvalgono delle procedure gestite dalle centrali di committenza.

E’, inoltre, previsto un obbligo di trasmissione degli atti alle competenti sezioni regionali di controllo della Corte dei conti. In tale caso, il contratto non può essere stipulato prima di trenta giorni dalla data di trasmissione degli atti ai competenti uffici della Corte dei conti.

 

Il comma 3-octies disciplina l’eventualità di un contratto stipulato dagli enti locali senza il ricorso alle procedure con le centrali di committenza in mancanza di adeguata motivazione (delle ragioni tecniche e di opportunità economica). Ferma ogni eventuale ulteriore pretesa erariale e l'eventuale maggiore corrispettivo pagato dall'amministrazione rispetto a quelli determinati ai sensi del comma 3-ter, rispondono comunque, a titolo personale e solidale, il pubblico ufficiale che ha stipulato il contratto e i componenti degli organi deputati all'eventuale approvazione o degli organi di controllo competenti secondo l'ordinamento delle singole amministrazioni che non hanno rilevato preventivamente il fatto.

 

Il comma 3-novies dispone che, qualora non si faccia ricorso alle procedure con le centrali di committenza, i trasferimenti ordinari a carico del bilancio dello Stato sono stabilmente ridotti di un importo pari al maggiore onere sostenuto dalle amministrazioni rispetto a quanto sarebbe derivato dall'affidamento alle centrali di committenza, tenuto conto dei corrispettivi fissati ai sensi del comma 3-ter.

 

Il comma 3-decies dispone che le amministrazioni locali che, nella realizzazione di opere pubbliche, non si avvalgono delle procedure gestite dalle centrali di committenza non possono fare ricorso, per il relativo finanziamento, all'imposta di scopo di cui all'art. 1, commi 145-151, della legge n. 296/2006 (finanziaria 2007).

Si ricorda che l’art. 1, commi 145-151, della legge n. 296/2006 prevede la possibilità per i comuni di istituire, con regolamento, un’imposta di scopo[69] per finanziare la realizzazione di opere pubbliche. In particolare, il comma 145 rimette ad un regolamento comunale, emanato ai sensi dell’art. 52 del d.lgs. n. 446/1997, l’istituzione dell’imposta che deve essere destinata esclusivamente alla parziale copertura delle spese per la realizzazione di specifiche opere pubbliche, individuate dai comuni nello stesso regolamento e rientranti nelle tipologie individuate dal comma 149.

 

Lo stesso comma prevede che tali enti non possono procedere a variazioni in aumento di aliquote di tributi e di imposte propri o di compartecipazione a tributi statali o regionali per i successivi cinque esercizi, né prevedere, per lo stesso periodo, aumenti degli oneri concessori per la realizzazione di attività edilizie o di altre tariffe locali.

 

Il comma 3-undecies statuisce che le disposizioni dell’articolo in esame costituiscono princìpi di coordinamento della finanza pubblica.

 

Tale previsione appare volta a legittimare la competenza legislativa dello Stato, con specifico riferimento alle disposizioni che interessano le regioni e gli enti locali.

Ai sensi dell’articolo 117, comma terzo, della Costituzione, il coordinamento della finanza pubblica è materia di legislazione concorrente. Anche l’articolo 119, comma secondo, della Costituzione prevede che le regioni e gli enti locali stabiliscano e applichino tributi ed entrate propri “secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario”. Dal momento che si tratta di materia di legislazione concorrente, è riservata alla legislazione dello Stato la determinazione dei principi fondamentali.

 


 

Articolo 20
(Infrastrutture militari)

 


1. All'articolo 27 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 13-ter:

1) le parole: «31 ottobre 2008» sono sostituite dalle seguenti: «31 dicembre 2008»;

2) le parole: «entro il 31 dicembre 2008, nonché altre strutture, per un valore complessivo pari almeno a 2.000 milioni di euro» sono sostituite dalle seguenti: «ad avvenuto completamento delle procedure di riallocazione concernenti i programmi di cui ai commi 13-ter e 13-ter.1»;

b) al comma 13-ter.2:

1) dopo le parole: «a procedure negoziate con enti territoriali» sono inserite le seguenti: «, società a partecipazione pubblica e soggetti privati»;

2) l'ultimo periodo è sostituito dai seguenti: «Per consentire la riallocazione delle predette funzioni nonché per le più generali esigenze di funzionamento, ammodernamento, manutenzione e supporto dei mezzi, dei sistemi, dei materiali e delle strutture in dotazione alle Forze armate, inclusa l'Arma dei carabinieri, sono istituiti, nello stato di previsione del Ministero della difesa, un fondo in conto capitale e uno di parte corrente le cui dotazioni sono determinate dalla legge finanziaria in relazione alle esigenze di realizzazione del programma di cui al comma 13-ter.1. Al fondo in conto capitale concorrono anche i proventi derivanti dalle attività di valorizzazione effettuate dall'Agenzia del demanio con riguardo alle infrastrutture militari, ancora in uso al Ministero della difesa, oggetto del presente comma. Alla ripartizione dei predetti fondi si provvede mediante uno o più decreti del Ministro della difesa, da comunicare, anche con evidenze informatiche, al Ministero dell'economia e delle finanze»;

c) dopo il comma 13-ter.2 è inserito il seguente:

«13-ter.3. Ai proventi di cui al comma 13-ter.2 non si applica l'articolo 2, comma 615, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, ed essi sono riassegnati allo stato di previsione del Ministero della difesa integralmente nella misura percentuale di cui al citato comma 13-ter.2».

2. All'articolo 3, comma 15-ter, del decreto-legge 25 settembre 2001, n. 351, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2001, n. 410, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al primo periodo, le parole: «con gli enti territoriali» sono sostituite dalle seguenti: «di beni e di servizi con gli enti territoriali, con le società a partecipazione pubblica e con i soggetti privati»;

b) il secondo periodo è sostituito dal seguente: «Le procedure di permuta sono effettuate dal Ministero della difesa, d'intesa con l'Agenzia del demanio, nel rispetto dei princìpi generali dell'ordinamento giuridico-contabile».

3. Il Ministero della difesa - Direzione generale dei lavori e del demanio, sentito il Ministero dell'economia e delle finanze - Agenzia del demanio, individua con apposito decreto gli immobili militari, non ricompresi negli elenchi di cui all'articolo 27, comma 13-ter, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, come da ultimo modificato del comma 1 del presente articolo, da alienare secondo le seguenti procedure:

a) le alienazioni, le permute, le valorizzazioni e le gestioni dei beni, in deroga alla legge 24 dicembre 1908, n. 783, e successive modificazioni, e al regolamento di cui al regio decreto 17 giugno 1909, n. 454, e successive modificazioni, nonché alle norme della contabilità generale dello Stato, fermi restando i princìpi generali dell'ordina­mento giuridico-contabile, sono effettuate direttamente dal Ministero della difesa - Direzione generale dei lavori e del demanio che può avvalersi del supporto tecnico-operativo di una società pubblica o a partecipazione pubblica con particolare qualificazione professionale ed esperienza commerciale nel settore immobiliare;

b) la determinazione del valore dei beni da porre a base d'asta è decretata dal Ministero della difesa - Direzione generale dei lavori e del demanio, previo parere di congruità emesso da una commissione appositamente nominata dal Ministro della difesa, presieduta da un magistrato amministrativo o da un avvocato dello Stato e composta da esponenti dei Ministeri della difesa e dell'economia e delle finanze, nonché da un esperto in possesso di comprovata professionalità nella materia.

Dall'istituzione della commissione non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e ai componenti della stessa non spetta alcun compenso o rimborso spese;

c) i contratti di trasferimento di ciascun bene sono approvati dal Ministero della difesa. L'approvazione può essere negata per sopravvenute esigenze di carattere istituzionale dello stesso Ministero;

d) le risorse finanziarie derivanti dalle gestioni degli immobili effettuate ai sensi del presente comma sono versate all'entrata del bilancio dello Stato per essere integralmente riassegnate allo stato di previsione del Ministero della difesa;

e) le alienazioni e le permute dei beni individuati possono essere effettuate a trattativa privata, qualora il valore del singolo bene, determinato ai sensi della lettera b), sia inferiore a 400.000 euro;

f) ai fini delle permute e delle alienazioni degli immobili da dismettere, con cessazione del carattere demaniale, il Ministero della difesa comunica, insieme alle schede descrittive di cui all'articolo 12, comma 3, del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, l'elenco di tali immobili al Ministero per i beni e le attività culturali che si pronuncia, entro il termine perentorio di quarantacinque giorni dalla ricezione della comunicazione, in ordine alla verifica dell'interesse storico-artistico e individua, in caso positivo, le parti degli immobili stessi soggette a tutela, con riguardo agli indirizzi di carattere generale di cui all'articolo 12, comma 2, del citato codice. Per i beni riconosciuti di interesse storico-artistico, l'accertamento della relativa condizione costituisce dichiarazione ai sensi dell'articolo 13 del citato codice di cui al decreto legislativo n. 42 del 2004. Le approvazioni e le autorizzazioni previste dal citato codice di cui al decreto legislativo n. 42 del 2004, e successive modificazioni, sono rilasciate o negate entro novanta giorni dalla ricezione dell'istanza. Le disposizioni del citato codice di cui al decreto legislativo n. 42 del 2004, parti prima e seconda, e successive modificazioni, si applicano anche dopo la dismissione.

4. Ferme restando le disposizioni di cui all'articolo 1, comma 568, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, i proventi derivanti dalle alienazioni di cui all'articolo 49, comma 2, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, sono integralmente riassegnati al fondo di parte corrente istituito nello stato di previsione del Ministero della difesa, in relazione alle esigenze di realizzazione del programma di cui al comma 13-ter.2 dell'articolo 27 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, come modificato dal comma 1 del presente articolo.


 

 

L’articolo 20 del disegno di legge in esame, composto da quattro commi, reca talune disposizioni in materia di infrastrutture militari.

 

Al riguardo, si segnala che tale disposizione riproduce integralmente il contenuto dell’articolo 14-bis del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria, attualmente in corso di conversione al Senato.

 

Nello specifico, il comma 1 del citato articolo 20 modifica in primo luogo il comma 13–ter dell’articolo 27 deldecreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, fissando al 31 dicembre del 2008, anziché al 31 ottobre come attualmente previsto, il termine entro il quale il Ministero della difesa è tenuto ad individuare gli immobili non più utilizzati dall’Amministrazione della difesa per finalità istituzionali da consegnare all’Agenzia del demanio allo scopo di favorirne la riallocazione in aree maggiormente funzionali.

Al riguardo, si ricorda che il comma 443 dell’articolo 1 Legge 30 dicembre 2004, n. 311 (finanziaria 2005), ha modificato l’articolo 27 del D.L. n. 269/2003[70], introducendo quattro nuovi commi, da 13-ter a 13-sexies, volti ad integrare la disciplina della dismissione degli immobili della difesa per contemperare le esigenze di valorizzazione e gestione produttiva degli immobili di proprietà dello Stato con le esigenze finanziarie manifestate dal Ministero della difesa.

In particolare, il comma 13-ter prevede che entro il 31 luglio 2008 il Ministero della difesa, sentita l’Agenzia del demanio, adotta un programma di razionalizzazione, accorpamento, riduzione e ammodernamento del patrimonio infrastrutturale in uso, in coerenza con il processo di pianificazione territoriale e urbanistica previsto dalla legislazione nazionale e regionale, allo scopo di favorirne la riallocazione in aree maggiormente funzionali per migliorare l’efficienza dei servizi assolti, e individua entro il 31 ottobre 2008, con le stesse modalità indicate nel primo periodo, immobili non più utilizzati per finalità istituzionali, da consegnare all’Agenzia del demanio entro il 31 dicembre 2008, nonché altre strutture, per un valore complessivo pari almeno a 2.000 milioni di euro.

 

In secondo luogo, ai sensi del medesimo comma 1 del citato articolo 20, la consegna all’Agenzia del demanio degli immobili dismessi è subordinata all’avvenuto completamento delle procedure di riallocazione del patrimonio infrastrutturale in uso ed è quindi soppresso l’attuale termine del 31 dicembre 2008 per la conclusione delle citate operazioni di consegna.

 

Il citato comma 1 prevede inoltre:

§      la soppressione del riferimento al valore complessivo di 2.000 milioni di euro da conseguire in conseguenza delle dismissione da realizzare nell’anno 2008;

§      la previsione che tale riallocazione possa avvenire anche attraverso il ricorso ad accordi o a procedure negoziate con società a partecipazione pubblica e con soggetti privati.

 

Da ultimo, il comma 1 dell’articolo 20 dispone l’istituzione, nello stato di previsione del Ministero della difesa, di un fondo in conto capitale e di un fondo di parte corrente destinati al finanziamento della richiamata riallocazione, nonché delle esigenze di funzionamento, ammodernamento e manutenzione dei mezzi delle Forze armate, inclusa l'Arma dei Carabinieri. I fondi sono determinati dalla legge finanziaria: al fondo in conto capitale concorrono anche i proventi derivanti dalle dismissione degli immobili del Ministero della difesa; al fondo di parte corrente affluiscono anche i proventi derivanti dalle alienazioni dei materiali fuori uso della Difesa.

 

Il successivo comma 2 dell’articolo 20 del ddl in esame novella, poi, il comma 15-ter del decreto legge 25 settembre 2001 n. 351[71] in base al quale, nell'ambito dei processi di razionalizzazione dell'uso degli immobili pubblici ed al fine di adeguare l'assetto infrastrutturale delle Forze armate alle esigenze derivanti dall'adozione dello strumento professionale, il Ministero della difesa può individuare beni immobili di proprietà dello Stato mantenuti in uso al medesimo Dicastero per finalità istituzionali, suscettibili di permuta con gli enti territoriali. Le attività e le procedure di permuta sono effettuate dall'Agenzia del demanio, d'intesa con il Ministero della difesa.

 

Al riguardo, la novella prevista dal comma in esame è volta in primo luogo a prevedere che la citata permuta possa avvenire anche con società a partecipazione pubblica e con soggetti privati.

 

In secondo luogo all’attuale previsione secondo la quale le attività e le procedure di permuta sono effettuate dall'Agenzia del demanio, d'intesa con il Ministero della difesa, la disposizione in esame sostituisce la diversa regola secondo la quale le citate procedure sono effettuate dal Ministero della difesa d’intesa con l’Agenzia del demanio.

 

Il successivo comma 3 dell’articolo 20 attribuisce, poi, al Ministero della difesa il compito di individuare, con apposito decreto, ulteriori immobili da alienare, non ricompresi negli elenchi di cui all’articolo 27, comma 13-ter del citato decreto legge n. 269 del 2003. A tal fine, il medesimo comma 3 stabilisce che:

§      le vendite, le permute e le valorizzazioni e la gestione dei citati beni sono effettuate direttamente dal Ministero della difesa;

§      il valore dei beni da porre a base d’asta è stabilito dal Ministero della difesa, previo parere di congruità espresso da una apposita Commissione;

§      con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottarsi di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze e con il Ministro della difesa, i proventi derivanti dalle attività di alienazione, permuta valorizzazione e gestione dei citati immobili possono essere destinati alle esigenze funzionali del Ministero della difesa, dedotta la quota che può essere destinata agli enti territoriali interessati;

§      le alienazioni e le permute dei beni in questione possono essere realizzate tramite il ricorso alla trattativa privata nel caso in cui il valore dei citati beni sia inferiore a quattrocentomila euro.

 

Da ultimo, il comma 4 stabilisce che i proventi derivanti dalle alienazioni di cui all'articolo 49, comma 2, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, sono integralmente riassegnati al citato fondo di parte corrente istituito nello stato di previsione del Ministero della difesa.

Al riguardo si ricorda che il citato comma 2 dell’articolo 49 della legge n. 388 del 200 stabilisce che con decreto del Ministro della difesa sono individuati, nell’ambito delle pianificazioni di ammodernamento connesse al nuovo modello organizzativo delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, i materiali ed i mezzi suscettibili di alienazione.

 

 


 

Articolo 21
(Delega al Governo per la riforma dei servizi pubblici locali)

 


1. Il riordino della normativa nazionale che disciplina l'affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali è disposto, al fine di favorire la più ampia diffusione dei princìpi di concorrenza, di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi di tutti gli operatori economici interessati alla gestione di servizi di interesse generale di rilevanza economica in ambito locale, nonché di garantire il diritto di tutti gli utenti all'universalità e all'accessibilità dei servizi pubblici locali e al livello essenziale delle prestazioni, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettere e) e m), della Costituzione, assicurando un adeguato livello di tutela degli utenti, secondo i princìpi di sussidiarietà, proporzionalità e leale collaborazione.

2. Per le finalità di cui al comma 1, il Governo è delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, uno o più decreti legislativi in materia di servizi pubblici locali, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) prevedere che l'affidamento delle nuove gestioni e il rinnovo delle gestioni in essere dei servizi pubblici locali di rilevanza economica debbano avvenire mediante procedure competitive ad evidenza pubblica di scelta del gestore, nel rispetto della disciplina dell'Unione europea in materia di appalti pubblici e di servizi pubblici, fatta salva la proprietà pubblica delle reti, degli impianti e degli altri beni strumentali all'esercizio;

b) consentire, in deroga all'ipotesi di cui alla lettera a), nelle situazioni che, per le peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettono un efficace e utile ricorso al mercato, l'affidamento a società a capitale interamente pubblico, partecipate dall'ente locale, che abbiano i requisiti richiesti dall'ordinamento comunitario per la gestione in house;

c) considerare la possibilità di disporre l'affidamento diretto a società a partecipazione mista pubblica e privata, eccezionalmente, nei medesimi casi indicati alla lettera b) e se necessario per particolari situazioni di mercato, secondo modalità di selezione e di partecipazione dei soci pubblici e privati direttamente connesse alla gestione e allo sviluppo degli specifici servizi pubblici locali oggetto dell'affidamento, ferma restando la scelta dei soci privati mediante procedure competitive nelle quali siano già stabilite le condizioni e le modalità di svolgimento del servizio;

d) prevedere, nell'ipotesi di cui alla lettera c), norme e clausole volte ad assicurare un efficace controllo pubblico della gestione del servizio e a evitare possibili conflitti di ruolo;

e) prevedere che l'ente locale debba motivare le ragioni che impongono di ricorrere alle modalità di affidamento di cui alle lettere b) e c), anziché a quella di cui alla lettera a). In particolare l'ente locale deve dare adeguata pubblicità a tale scelta, definire il periodo temporale entro il quale effettuare la gara e giustificare gli affidamenti diretti in base a un'analisi di mercato e a una valutazione comparativa con l'offerta privata, da trasmettere, a fini di controllo, all'Autorità garante della concorrenza e del mercato e alle autorità di regolazione di settore, ove costituite. Le società di capitali cui sia attribuita la gestione ai sensi della lettera b) non possono svolgere servizi o attività per altri enti pubblici o privati, né direttamente, né tramite loro controllanti o altre società che siano da esse controllate o partecipate anche in forma indiretta, né partecipando a gare;

f) escludere la possibilità di acquisire la gestione di servizi diversi o in ambiti territoriali diversi da quello di appartenenza, per i soggetti titolari della gestione di servizi pubblici locali non affidati mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nonché per le imprese partecipate da enti locali, affidatarie della gestione di servizi pubblici locali, qualora usufruiscano di forme di finanziamento pubblico diretto o indiretto, fatta eccezione per il ristoro degli oneri connessi all'assolvimento degli obblighi di servizio pubblico derivanti dalla gestione di servizi affidati secondo procedure ad evidenza pubblica, ove evidenziati da sistemi certificati di separazione contabile e gestionale;

g) individuare le modalità idonee a favorire la massima razionalizzazione ed economicità dei servizi pubblici locali, purché in conformità alla disciplina adottata ai sensi del presente articolo, anche mediante la gestione integrata di servizi diversi e l'estensione territoriale della gestione del medesimo servizio, da determinare anche attraverso l'identificazione, in base a criteri di efficienza, di bacini ottimali di utenza;

h) definire le modalità con le quali incentivare, con misure di natura esclusivamente regolatoria e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, la gestione in forma associata dei servizi pubblici locali per gli enti locali con popolazione inferiore a 20.000 abitanti;

i) prevedere una netta distinzione tra le funzioni di regolazione e le funzioni di gestione dei servizi pubblici locali, anche attraverso la revisione della disciplina sulle incompatibilità;

l) armonizzare, nel rispetto delle competenze delle regioni, la nuova disciplina e quella di settore applicabile ai diversi servizi pubblici locali, individuando in modo univoco le norme applicabili in via generale per l'affidamento di tutti i servizi pubblici locali di rilevanza economica e apportando le necessarie modifiche alla vigente normativa di settore in materia di rifiuti, trasporti, energia elettrica e gas, nonché in materia di acqua, fermo restando quanto previsto dalla lettera a);

m) disciplinare la fase transitoria, ai fini del progressivo allineamento delle gestioni in essere alla normativa adottata ai sensi delle lettere precedenti, prevedendo, se necessario, tempi e modi diversi per la progressiva applicazione a ciascun settore della nuova normativa;

n) prevedere che gli affidamenti diretti in essere debbano cessare alla scadenza, con esclusione di ogni proroga o rinnovo;

o) consentire ai soggetti affidatari diretti di servizi pubblici locali di concorrere, fino al 31 dicembre 2011, all'affidamento, mediante procedura competitiva ad evidenza pubblica da svolgere entro tale termine, dello specifico servizio già affidato, fermi restando i termini più brevi previsti dalla normativa di settore;

p) prevedere l'applicazione del princìpio di reciprocità ai fini dell'ammissione di imprese estere alle gare;

q) limitare, secondo criteri di proporzionalità, sussidiarietà orizzontale e razionalità economica del denegato ricorso al mercato, i casi di gestione in regime di esclusiva dei servizi pubblici locali, liberalizzando le altre attività economiche di prestazione di servizi di interesse generale in ambito locale compatibili con le garanzie di universalità e di accessibilità del servizio pubblico locale affidato ai sensi delle lettere precedenti;

r) definire, sentite le competenti autorità amministrative indipendenti, garanzie di trasparenza e di imparzialità nella gestione delle procedure di affidamento;

s) prevedere, nella disciplina degli affidamenti, idonee forme di ammortamento degli investimenti e una durata degli affidamenti strettamente proporzionale e mai superiore ai tempi di recupero degli investimenti.

3. Entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi di cui al comma 2, possono essere adottate disposizioni correttive e integrative dei decreti stessi, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi e con la procedura di cui al medesimo comma 2.


 

 

L’articolo 21 delega il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi in materia di servizi pubblici locali.

Si rileva, preliminarmente, che il riordino dei servizi pubblici locali è oggetto di intervento da parte dell’art. 23-bis del D.L. n. 112 del 2008, come modificato nel corso dell’esame in prima lettura alla Camera dei deputati, la cui disciplina presenta notevoli analogie con il testo in esame.

 

L’oggetto della delega è individuato (comma 1) nel riordino della normativa in materia di affidamento e gestione del servizi pubblici locali a rilevanza economica (disciplinati attualmente in via generale dall’art. 113 del testo unico degli enti locali[72] ed in particolare dalle singole discipline di settore) con due obiettivi fondamentali:

§      favorire la concorrenza tra gli più operatori economici;

§      garantire i diritti degli utenti all'universalità e all'accessibilità dei servizi pubblici locali e al livello essenziale delle prestazioni, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettere e) e m)[73], della Costituzione.

 

Il comma 2 reca, oltre alla disposizione di delega:

§      il termine per l’esercizio della delega stessa, un anno dall’entrata in vigore del provvedimento in esame;

§      la procedura di adozione dei decreti legislativi, che prevede il parere della Conferenza unificata (non è previsto il parere parlamentare);

§      una serie dettaglia di princìpi e criteri direttivi.

 

Infine, il comma 3 reca un’altra delega al Governo per l’adozione di ulteriori decreti legislativi correttivi e integrativi entro due anni dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui al comma 2, con la stessa procedura e secondo gli stessi princìpi e criteri direttivi.

Il testo in esame e il citato art. 23-bis del decreto legge 112, pur prevedendo sostanzialmente una disciplina analoga volta alla riforma dei servizi pubblici locali, presentano rilevanti differenze.

In primo luogo, dal punto di vista formale, l’art. 23-bis stabilisce da una lato una serie di disposizioni immediatamente applicabili e dall’altro demanda all’adozione di regolamenti di delegificazione la definizione delle procedure di riordino dei servizi pubblici locali, tra cui la determinazione di una fase transitoria. L’articolo in esame affida, invece, l’intera attuazione del riordino ad uno o più decreti delegati, da adottarsi secondo una serie dettagliata di principi e criteri direttivi, molti dei quali trovano riscontro nei criteri di adozione dei regolamenti dell’art. 23-bis.

Dal punto di vista sostanziale, una importante differenza riguarda le modalità di affidamento della gestione dei servizi pubblici. In entrambi i testi si prevede una modalità ordinaria consistente nell’attivazione di procedure competitive di evidenza pubblica per la scelta del gestore (comma 2, lett. a) dell’articolo in esame e comma 2 dell’art. 23-bis). Rispetto all’assetto vigente la partecipazione alle procedure competitive viene estesa anche agli operatori non costituiti in forma di società di capitali (l’art. 113, comma 5, del testo unico degli enti locali, ammette, invece, alle gare esclusivamente le società di capitali).

In deroga alla modalità ordinaria è prevista una procedura speciale consistente nell’affidamento diretto senza gara, da attivarsi solamente in presenza di particolari situazioni che non consentono il ricorso al mercato. I soggetti ammessi all’affidamento diretto, ai sensi dell’articolo in esame (comma 2, lett. b) e c) sono:

§      le società a capitale interamente pubblico, partecipate dall’ente locale, che hanno i requisiti comunitari per la gestione in house[74];

§      le società miste a partecipazione pubblica e privata.

L’art. 23-bis del D.L. 112, invece, non considera tra i soggetti ammessi all’affidamento diretto le società miste. Inoltre, non si riferisce esplicitamente alle società in house, ma prevede genericamente che l’affidamento diretto debba avvenire nel rispetto dei princìpi della disciplina comunitaria.

La scelta in favore dell’affidamento diretto deve essere adeguatamente motivata e pubblicizzata ed è sottoposta al controllo dell’Autorità antitrust e delle autorità di settore. L’art. 23-bis rende più stringente questo controllo, prevedendo l’espressione di un parere dalle predette autorità.

Entrambi i provvedimenti, poi, escludono i soggetti che gestiscono servizi pubblici locali in virtù dell’affidamento diretto, dalla possibilità di acquisire la gestione di servizi diversi (le cosiddette attività multiutility) o in ambiti territoriali diversi. Una deroga a tale disposizione è disposta in favore delle società quotate in borsa, ancorché affidatarie dirette, dall’art. 23-bis, comma 9.

Il medesimo art. 23-bis (comma 10) prevede l’assoggettamento al patto di stabilità interno degli affidatari diretti e l’obbligo della gara pubblica per l’acquisto di beni e servizi e per l’assunzione di personale delle società in house e delle società miste.

Un’altra differenza riguarda la fase transitoria: in entrambi i casi essa è demandata all’adozione di provvedimenti attuativi (regolamento per il decreto legge, decreto delegato per l’articolo in esame). L’art. 23-bis stabilisce, per il solo servizio idrico, la cessazione delle concessioni dirette entro il 31 dicembre 2010. Sono escluse le concessioni dirette affidate secondo i princìpi comunitari.

L’articolo 23-bis del decreto legge 112/2008, introdotto nel corso dell’esame in sede referente (emendamento 23.011 del Governo come modificato dal subemendamento Fugatti 0.23.011.64), disciplina l'affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, in applicazione della normativa comunitaria ed al fine di favorire la diffusione dei principi di concorrenza, libertà di stabilimento e libera prestazione dei servizi di tutti gli operatori economici interessati alla gestione di servizi di interesse generale in ambito locale (comma 1).

Il comma 2 prevede il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali, in via ordinaria, a imprenditori o società individuati mediante procedure competitive ad evidenza pubblica.

Il comma 3 dispone che, in deroga alle modalità di affidamento ordinario, previste dal comma 2, per situazioni che non permettano un efficace ed utile ricorso al mercato, l'affidamento diretto può avvenire nel rispetto dei principi della disciplina comunitaria (testo così modificato dall’emendamento Dis. 1.1 del Governo)

Il testo approvato dalle Commissioni riunite stabiliva che l’affidamento diretto potesse avvenire sia a favore di società a capitale interamente pubblico, partecipate dall'ente locale, che abbiano i requisiti richiesti dall'ordinamento comunitario per la gestione in house, sia di società a partecipazione mista pubblica e privata, anche quotate in borsa, partecipate dall’ente locale, a condizione che il socio privato sia scelto mediante procedure ad evidenza pubblica.

Il comma 4 prevede che, nei casi di cui al comma 3, l'ente affidante debba dare adeguata pubblicità alla scelta, motivandola e verificandola, e trasmettere una relazione all'Autorità garante della concorrenza e del mercato, e all'autorità di regolazione del settore, se costituita, per l’espressione di un parere sui profili di competenza da rendere entro 60 giorni dalla ricezione della relazione.

Il comma 5prevede inoltre che, ferma restando la proprietà pubblica delle reti, la loro gestione possa essere affidata a soggetti privati.

In base al comma 6, è consentito l'affidamento simultaneo con gara di una pluralità di servizi pubblici locali nei casi in cui possa essere dimostrato che tale scelta sia economicamente vantaggiosa. In questo caso la durata dell'affidamento non può essere superiore alla media calcolata sulla base della durata degli affidamenti indicata dalle discipline di settore.

Le Regioni e gli enti locali, nell'ambito delle rispettive competenze, d'intesa con la Conferenza unificata, possono definire i bacini di gara per i diversi servizi (comma 7).

Il comma 8dispone la cessazione, entro il 31 dicembre 2010, delle concessioni relative al servizio idrico integrato rilasciate con procedure diverse dall'evidenza pubblica, senza necessità di apposita deliberazione dell'ente affidante. Sono escluse dalla cessazione soltanto le concessioni affidate ai sensi del comma 3 (ossia secondo le con procedure previste dalla disciplina comunitaria).

Il comma 9 stabilisce che i soggetti titolari della gestione di servizi pubblici locali non affidati mediante le procedure competitive previste dal comma 2, nonché i soggetti cui è affidata la gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali degli enti locali, qualora separata dall'attività di erogazione dei servizi, non possono acquisire la gestione di servizi ulteriori ovvero in ambiti territoriali diversi, né svolgere servizi o attività per altri enti pubblici o privati, né direttamente, né tramite loro controllanti o altre società che siano da essi controllate o partecipate, né partecipando a gare. In ogni caso, entro il 31 dicembre 2010, per l’affidamento dei servizi si procede mediante procedure competitive ad evidenza pubblica.

Il comma 10 autorizza l’emanazione, entro 180 giorni, di uno o più regolamenti di delegificazione su proposta del ministro per i rapporti con le regioni sentita la Conferenza unificata e le competenti Commissioni parlamentari, al fine di:

-        prevedere l’assoggettamento degli affidatari diretti di servizi pubblici locali al patto di stabilità interno e l’osservanza da parte delle società in house e delle società a partecipazione mista pubblica e privata di procedure ad evidenza pubblica per l’acquisto di beni e servizi e l’assunzione di personale;

-        consentire ai comuni con un limitato numero di residenti di svolgere le funzioni relative alla gestione dei servizi pubblici locali in forma associata;

-        distinguere nettamente tra funzioni di regolazione e funzioni di gestione dei servizi pubblici locali, anche attraverso la revisione della disciplina sulle incompatibilità;

-        armonizzare la nuova disciplina e quella di settore applicabile ai diversi servizi pubblici locali, individuando le norme applicabili in via generale per l'affidamento di tutti i servizi pubblici locali di rilevanza economica in materia di rifiuti, trasporti, energia elettrica e gas, nonché in materia di acqua;

-        disciplinare per i settori diversi da quello idrico (fermo restando il limite massimo stabilito dall’ordinamento di ciascun settore per la cessazione degli affidamenti effettuati con procedure diverse dall'evidenza pubblica o da quella di cui al comma 3) la fase transitoria, ai fini del progressivo allineamento delle gestioni in essere alla nuova disciplina, prevedendo tempi differenziati e che gli affidamenti diretti in essere debbano cessare alla scadenza, con esclusione di ogni proroga o rinnovo;

-        applicare il principio di reciprocità ai fini dell'ammissione alle gare di imprese estere;

-        limitare i casi di gestione in regime d'esclusiva dei servizi pubblici locali, liberalizzando le altre attività economiche di prestazione di servizi di interesse generale in ambito locale compatibili con le garanzie di universalità ed accessibilità del servizio pubblico locale;

-        prevedere nella disciplina degli affidamenti idonee forme di ammortamento degli investimenti e una durata degli affidamenti strettamente proporzionale e mai superiore ai tempi di recupero degli investimenti;

-        disciplinare, in ogni caso di subentro, la cessione dei beni, di proprietà del precedente gestore, necessari per la prosecuzione del servizio;

-        prevedere adeguati strumenti di tutela non giurisdizionale anche con riguardo agli utenti dei servizi;

-        individuare espressamente le norme abrogate.

Il comma 11 dispone l’abrogazione delle disposizioni contenute nell'art. 113 del D.Lgs. 267/2000 (testo unico sugli enti locali) recante la disciplina in materia di gestione delle reti ed erogazione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, nelle parti incompatibili con la normativa introdotta.

Il comma 12 fa salve le procedure di affidamento già avviate alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge 112.

 


 

Articolo 22
(Razionalizzazione della rete di distribuzione dei carburanti)

 


1. Al fine di garantire il pieno rispetto delle disposizioni dell'ordinamento comunitario in materia di tutela della concorrenza e di assicurare il corretto e uniforme funzionamento del mercato, l'installazione e l'esercizio di un impianto di distribuzione di carburanti non possono essere subordinati alla chiusura di impianti esistenti né al rispetto di vincoli, con finalità commerciali, relativi a contingentamenti numerici, distanze minime tra impianti e tra impianti ed esercizi o superfici minime commerciali o che pongono restrizioni od obblighi circa la possibilità di offrire, nel medesimo impianto o nella stessa area, attività e servizi integrativi.

2. Le disposizioni di cui al comma 1 costituiscono princìpi generali in materia di tutela della concorrenza e livelli essenziali delle prestazioni ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione.

3. All'articolo 1, comma 3, primo periodo, del decreto legislativo 11 febbraio 1998, n. 32, le parole: «iscritto al relativo albo professionale» sono sostituite dalle seguenti: «abilitato ai sensi delle specifiche normative vigenti nei Paesi dell'Unione europea».

4. All'articolo 7, comma 1, del decreto legislativo 11 febbraio 1998, n. 32, le parole: «e a fronte della chiusura di almeno settemila impianti nel periodo successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo,» sono soppresse.

5. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, nell'ambito dei poteri di programmazione del territorio, promuovono il miglioramento della rete distributiva dei carburanti e la diffusione dei carburanti eco-compatibili, secondo criteri di efficienza, adeguatezza e qualità del servizio per i cittadini, nel rispetto dei princìpi di non discriminazione previsti al comma 1 e della disciplina in materia ambientale, urbanistica e di sicurezza.

6. Il Ministro dello sviluppo economico, sentita l'Autorità per l'energia elettrica e il gas, determina, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, i criteri di vettoriamento del gas metano per autotrazione attraverso le reti di trasporto e distribuzione del gas naturale.


 

 

L’articolo 22 detta disposizioni volte a liberalizzare l’attività di distribuzione dei carburanti.

 

Si segnala che le disposizioni dell’art. 22 sono contenute nell’art. 83-bis, commi 17-22 del DL 112/83, attualmente all’esame del Senato

La disposizione, come si legge nella relazione governativa, è rivolta a fornire risposte ai rilievi avanzati dalla Commissione europea in materia, riguardanti vincoli con finalità commerciali (distanze minime, contingentamenti e bacini minimi di utenza, superfici minime commerciali e obblighi o limiti ad integrare attività oil ad attività non oil nello stesso impianto).

 

Il comma 1 vieta la subordinazione dell’attività di installazione e di esercizio degli impianti di distribuzione di carburanti alla chiusura di impianti esistenti e al rispetto di vincoli relativi a contingentamenti numerici, distanza minima tra impianti e tra impianti ed esercizi o superfici minime commerciali, o concernenti limitazioni od obblighi relativamente all’offerta di attività e servizi integrativi nello stesso impianto o nella medesima area.

 

Il comma 2 precisa che le disposizioni del comma 1, volte alla tutela della concorrenza e alla definizione di livelli essenziali di prestazioni, rientrano nella potestà legislativa dello Stato in quanto costituiscono principi generali in materia ai sensi dell’art. 117 Cost. e pertanto non richiedono norme di adeguamento da parte delle regioni.

 

I commi 3 e 4 apportano modifiche agli articolo 1 e 7 del D.Lgs. 32/98 riguardanti rispettivamente :

§      la redazione della perizia giurata – che correda l’auto certificazione inviata al comune con la domanda di autorizzazione all'installazione e all'esercizio di impianti di distribuzione - da parte da un ingegnere o altro tecnico competente per la sottoscrizione del progetto, cui, a seguito della modifica, viene richiesta l’abilitazione secondo le norme vigenti nei Paesi UE in luogo dell’iscrizione al relativo albo professionale;

§      l’esercizio della facoltà per il gestore dell’impianto di aumentare l’orario massimo di servizio fino al 50% dell’orario minimo stabilito, che non è più subordinato alla chiusura di almeno 7000 impianti.

 

Il comma 5 riconosce il ruolo di programmazione delle regioni nella promozione del miglioramento della rete distributiva e nella diffusione di carburanti eco-compatibili, secondo criteri di efficienza, adeguatezza e qualità del servizio reso ai cittadini e nel rispetto dei principi di non discriminazione e delle norme in materia ambientale, igienico sanitaria e di sicurezza.

 

Infine il comma 6, demanda al Ministro dello sviluppo economico la determinazione - entro sei mesi dall’entrata in vigore del presente provvedimento e sentita l’Autorità per l’energia elettrica e il gas - i criteri di vettoriamento del gas metano per autotrazione attraverso le reti di trasporto e di distribuzione del gas naturale.

Quadro normativo

Si ricorda che nel corso della XIII legislatura il sistema di distribuzione dei carburanti è stato oggetto di una profonda riforma operata, in attuazione della legge 59 del 1997 (c.d. legge Bassanini), con il D.Lgs. 11 febbraio 1998, n. 32, successivamente modificato in più punti dal D.Lgs. 8 settembre 1999, n. 346 e dal DL 383/99 ai quali ha fatto seguito l’art. 19 della legge 57/2001 che ha prescritto l’adozione di un Piano nazionale emanato con DM 31 ottobre 2001, con il quale alle regioni è stata riconosciuta una importante funzione programmatoria.

Il D.Lgs. 11 febbraio 1998, n. 32, che ha ridisciplinato interamente la materia del sistema di distribuzione dei carburanti sulla rete di viabilità ordinaria[75], rappresenta il punto di partenza e la base normativa essenziale del processo di riforma del settore.

I principi ispiratori del decreto possono essere così riassunti:

-        liberalizzazione dell’attività di distribuzione, tramite l’abolizione del previgente regime concessorio, sostituito da un’autorizzazione comunale, e la liberalizzazione degli orari e della vendita nelle stazioni di servizio di prodotti non petroliferi (c.d. settore non oil);

-        ristrutturazione della rete distributiva, in direzione di una riduzione del numero di impianti e della riqualificazione di quelli restanti, per aumentarne la reddittività e la sicurezza e migliorare il servizio all’utenza.

Con riferimento alle competenze regionali e comunali in materia il D.Lgs. n. 32 ha previsto che ai comuni fosse attribuito il compito di rideterminare, entro un breve termine, i criteri, i requisiti e le caratteristiche delle aree per l'installazione dei nuovi impianti, disponendo contestualmente l'adeguamento degli strumenti urbanistici, così da non creare contrasti fra le due discipline. Tuttavia tale obiettivo, che presupponeva un'azione incisiva da parte dei comuni, è stato conseguito parzialmente e prevalentemente sulla base delle iniziative volontarie di chiusura da parte delle aziende.

L'articolo 3 del D.Lgs. n. 32/98 che ha provveduto a disciplinare il passaggio dal vecchio al nuovo regime ha definito un programma di chiusure graduali, in modo da omologare la rete italiana a quella europea e di riqualificazione degli impianti di distribuzione (commi 1, 2, 3 e 7), con alcune deroghe parziali (commi 4 e 8). Ha infatti previsto, al comma 1 un periodo transitorio durante il quale l’apertura di nuovi impianti veniva subordinata alla chiusura di impianti già esistenti (fino al 30 giugno 2000).

L'articolo 7 intervenendo in materia di orari e di turnazioni degli impianti di distribuzione dei carburanti, ha previsto che al termine del periodo transitorio di cui all’art. 3, e a fronte della chiusura di almeno 7000 impianti, il gestore potesse aumentare l’orario massimo di servizio fino al 50% dell’orario minimo stabilito e definire autonomamente la modulazione dell’orario e dei periodi di riposo previa comunicazione al comune.

Il successivo D.Lgs. 346/99 di modifica del decreto 32 ha rivisto la tempistica precedentemente stabilita fissando termini più stretti per i comuni, con poteri sostitutivi da parte delle regioni in caso di inadempienza. Ulteriori elementi di liberalizzazione sono stati, poi, introdotti dal DL 383/99, conv. con modif. dalla legge 496/99. Infine, l’articolo 19 della legge n. 57/01 (Disposizioni in materia di apertura e regolazione dei mercati) ha previsto l’adozione da parte del Ministro dell’industria, d’intesa con la Conferenza unificata, di un Piano nazionale contenente le linee guida per l’ammodernamento del sistema di distribuzione dei carburanti in coerenza con il quale le regioni sono state chiamate a provvederanno alla redazione di piani regionali sulla base di precisi indirizzi. Il Piano è stato approvato con il DM 31 ottobre 2001.


Segnalazioni dell’Antitrust

La necessità di una riforma del settore in senso favorevole alla liberalizzazione è stata espressa a più riprese dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato che già con la segnalazione AS283 del 10 novembre 2004, ha evidenziato come gli obiettivi di razionalizzazione e liberalizzazione del settore perseguiti dalla normativa nazionale di riforma (decreto legislativo 11 febbraio 1998, n. 32; legge 28 dicembre 1999, n. 496; decreto ministeriale 31 ottobre 2001) non siano stati conseguiti “nella misura necessaria a garantire l’effettivo raggiungimento degli attesi guadagni di efficienza e a rendere possibile il loro trasferimento ai consumatori, attraverso una riduzione dei prezzi al consumo”, indicando una serie di vincoli normativi nazionali che regionali che per il loro effetto cumulativo si sono tradotti sostanzialmente in un ostacolo alla capacità competitiva degli operatori non integrati verticalmente, sia per quelli già attivi nel settore petrolifero (grossisti o retisti), sia per i potenziali entranti (imprese della grande distribuzione commerciale. L’Autorità è intervenuta nuovamente sull’argomento con la segnalazione AS379 del 18 gennaio 2007, nella quale ha sottolineato come agli auspici espressi nel precedente intervento non siano seguite modifiche legislative adeguate, sia a livello nazionale che regionale. Al contrario, dall’analisi delle normative adottate nel corso dei due anni precedenti dalle amministrazioni regionali e locali, è emerso in modo evidente come gli ampimargini di discrezionalità ad esse riconosciuti dalla legislazione nazionale siano stati utilizzati in genere in modo difforme rispetto ai suggerimenti formulati nel precedente intervento. Più recentemente l’Autorità è intervenuta sull’argomento con la Segnalazione al Governo e al Parlamento approvata nella riunione del 9 giugno 2008, nella quale sono stati posti in evidenza gli aspetti che limitano la concorrenza nei settori economici più importanti per il Paese .

L’Autorità ha colto l’occasione per denunciare nuovamente il mancato completamento del processo di ammodernamento della rete nazionale di distribuzione, avviato ben 10 anni fa con il citato decreto legislativo 11 febbraio 1998, n. 32, rilevando ritardi ed inefficienze del sistema distributivo italiano rispetto al resto d’Europa “in termini di erogato per punto vendita, diffusione del self-service, sviluppo delle attività non-oil, ingresso e penetrazione della grande distribuzione commerciale organizzata” che a loro volta si ripercuotono negativamente sul livello dei prezzi al dettaglio di benzina e gasolio, costantemente più elevati rispetto alla media europea. L’Autorità ha ribadito nuovamente come le carenze e le criticità della struttura distributiva siano imputabili, essenzialmente, ad ostacoli di natura normativa (a livello sia nazionale che regionale) connessi a una “disciplina dell’accesso e delle modalità di esercizio dell’attività economica che risulta spesso eccessivamente restrittiva in rapporto alla pur legittima tutela di specifici interessi pubblici”. Per quanto riguarda la disciplina dell’accesso al mercato ha ricordato l’obbligo per le Regioni di individuazione - nella determinazione dei criteri per l’autorizzazione di nuovi impianti - dei contingentamenti sulla base di bacini di utenza e distanze minime e la possibilità loro riconosciuta di imporre il rispetto di obblighi in termini di superfici minime o caratteristiche qualitative (ad esempio offerta di servizi non-oil). Ha rilevato, altresì, il mantenimento da parte delle Regioni - che nell’attuazione delle disposizioni nazionali hanno seguito criteri e modalità spesso notevolmente differenti abbiano - in taluni casi dell’obbligo di chiusura di un determinato numero di impianti preesistenti quale condizione per l’apertura di nuovi punti vendita, previsto dalla normativa nazionale solo in via transitoria. Quanto ai vincoli al comportamento d’impresa segnala come principale limite posto dalla attuale normativa l’imposizione di turni ed orari (minimi e massimi) di apertura.

 


 

Articolo 23
(Delega al Governo per la revisione della disciplina
in tema di lavori usuranti)

 


1. Il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi di riassetto normativo, al fine di concedere ai lavoratori dipendenti impegnati in particolari lavori o attività e che maturano i requisiti per l'accesso al pensionamento a decorrere dal 1o gennaio 2008 la possibilità di conseguire, su domanda, il diritto al pensionamento anticipato con requisiti inferiori a quelli previsti per la generalità dei lavoratori dipendenti, secondo i princìpi e criteri direttivi di cui all'articolo 1, comma 3, lettere a), b), c), d), e), f) e g), della legge 24 dicembre 2007, n. 247. Restano ferme le modalità procedurali per l'emanazione dei predetti decreti legislativi indicate dai commi 90 e 91 e le norme di copertura di cui al comma 92 del citato articolo 1 della legge 24 dicembre 2007, n. 247.


 

 

L'articolo 23reca una delega per una apposita disciplina relativa al pensionamento anticipato dei soggetti che svolgono lavori usuranti.

La normativa sui benefici previdenziali per i lavoratori che svolgono attività usuranti è stata introdotta nel nostro ordinamento dal D.Lgs. 374/1993[76], in attuazione di una delega prevista dall'art. 3, comma 1, lett. f), della L. 421/1992[77]. Secondo l'art. 1 del D.Lgs. 374/1993 sono considerati particolarmente usuranti i lavori "per il cui svolgimento è richiesto un impegno psicofisico particolarmente intenso e continuativo, condizionato da fattori che non possono essere prevenuti con misure idonee".

Le attività particolarmente usuranti sono individuate dalla tabella A allegata al medesimo decreto. In particolare, tale tabella comprende le seguenti attività:

-        lavoro notturno continuativo;

-        lavori alle linee di montaggio con ritmi vincolati;

-        lavori in galleria, cava o miniera;

-        lavori espletati direttamente dal lavoratore in spazi ristretti: all'interno di condotti, di cunicoli di servizio, di pozzi, di fognature, di serbatoi, di caldaie;

-        lavori in altezza: su scale aree, con funi a tecchia o parete, su ponti a sbalzo, su ponti a castello installati su natanti, su ponti mobili a sospensione (a questi lavori sono assimilati quelli svolti dal gruista, dall'addetto alla costruzione di camini e dal copritetto);

-        lavori in cassoni ad aria compressa;

-        lavori svolti dai palombari;

-        lavori in celle frigorifere o all'interno di ambiente con temperatura uguale o inferiore a 5 gradi centigradi;

-        lavori ad alte temperature: addetti ai forni e fonditori nell'industria metallurgica e soffiatori nella lavorazione del vetro cavo;

-        autisti di mezzi rotabili di superficie;

-        marittimi imbarcati a bordo;

-        personale addetto ai reparti di pronto soccorso, rianimazione, chirurgia d'urgenza;

-        trattoristi;

-        addetti alle serre e fungaie;

-        lavori di asportazione dell'amianto da impianti industriali, da carrozze ferroviarie e da edifici industriali e civili.

La tabella può essere modificata con decreto del Ministro del lavoro, di concerto con il Ministro dell’economia, sentite le organizzazioni sindacali dei lavoratori maggiormente rappresentative sul piano nazionale.

E’ necessario peraltro evidenziare che la normativa vigente (articolo 2, comma 1, del D.Lgs. 374/1993) distingue due tipi di attività usuranti: al primo periodo fa riferimento a quelle particolarmente usuranti elencate nella tabella A; nel secondo periodo fa riferimento (sempre nell’ambito delle attività particolarmente usuranti) ad un sottoinsieme più ristretto di attività considerate (ancora) più usuranti "anche sotto il profilo delle aspettative di vita e dell'esposizione al rischio professionale di particolare intensità", prevedendo per tale sottoinsieme benefici ancora maggiori. Il sottoinsieme è stato individuato espressamente dal decreto del Ministro del lavoro, di concerto con i Ministri del tesoro, della sanità e per la funzione pubblica del 19 maggio 1999 (cfr. infra).

Ai lavoratori prevalentemente occupati, a decorrere dall'entrata in vigore del D.Lgs. 374/1993 (8 ottobre 1993), in attività particolarmente usuranti è consentito di anticipare il pensionamento, mediante abbassamento del limite di età pensionabile nella misura di due mesi per ogni anno di attività; la riduzione non può comunque superare un totale di 60 mesi (art. 2, comma 1, primo periodo, D.Lgs. 374/1993).

Fermo restando il requisito minimo di un anno di attività usurante continuata, il beneficio è frazionabile in giornate sempreché, in ciascun anno, il periodo di attività lavorativa svolta abbia avuto una durata di almeno centoventi giorni (art. 2, comma 2, D.Lgs. 374/1993)[78].

E’ poi prevista, esclusivamente per i lavoratori impegnati in attività caratterizzate da una maggiore gravità dell'usura (come detto individuate dall’art. 2 del D.M. 19 maggio 1999), la riduzione del limite di anzianità contributiva, ai fini del pensionamento di anzianità, di un anno ogni dieci di occupazione nelle medesime attività, fino ad un massimo di 24 mesi complessivamente considerati (art. 2, comma 1, secondo periodo, del D.Lgs. 374/1993, introdotto dall’art. 1, comma 35, della L. 335/1995)[79] .

Sono comunque fatti salvi i trattamenti di miglior favore previsti dai singoli ordinamenti pensionistici, ove questi prevedano anticipazioni dei limiti di età pensionabile in dipendenza delle attività particolarmente usuranti[80] (art. 2, comma 3, D.Lgs. 374/1993).

Il riconoscimento dei benefici previdenziali presuppone peraltro l’individuazione, ai sensi dell’articolo 3 del medesimo D.Lgs. 374/1993, come modificato dall’articolo 1, comma 34, della legge di riforma del sistema pensionistico (L. 335/1995), delle mansioni particolarmente usuranti all’interno delle categorie di lavori usuranti di cui alla Tabella A, nonché delle modalità di copertura dei relativi oneri.

Tale individuazione è rimessa a successivi decreti ministeriali - distinti per i lavoratori del settore privato, per i lavoratori autonomi assicurati presso l'INPS e per i lavoratori del settore pubblico - da emanarsi su proposta delle organizzazioni sindacali. La copertura degli oneri deve avvenire attraverso una aliquota contributiva definita secondo criteri attuariali riferiti all'anticipo dell'età pensionabile; per i lavoratori pubblici deve inoltre essere rispettato il limite delle risorse finanziarie preordinate ai rinnovi dei contratti di lavoro.

In particolare, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera a) del D.Lgs. 374/1993, per i lavoratori del settore privato l’individuazione delle mansioni particolarmente usuranti è rimesso ad un decreto del Ministro del lavoro di concerto con il Ministro del tesoro, su proposta congiunta delle organizzazioni sindacali e datoriali maggiormente rappresentative a livello nazionale.

In caso di mancata formulazione delle proposte da parte delle organizzazioni sindacali è previsto un potere sostitutivo del Ministro del lavoro (art. 3, comma 3, D.Lgs. 374/1993).

L'art. 59, comma 11, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, ha ulteriormente modificato la procedura per l'individuazione delle mansioni usuranti, stabilendo che i criteri per tale individuazione fossero stabiliti con un decreto del Ministro del lavoro, di concerto con i Ministri del tesoro, del bilancio, della sanità e della funzione pubblica e per gli affari regionali, da emanarsi entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge, su parere di una commissione tecnico-scientifica, composta da non più di venti componenti, costituita con carattere paritetico da rappresentanti delle amministrazioni interessate e delle organizzazioni maggiormente rappresentative dei datori di lavoro e dei lavoratori.

In attuazione dell’art. 59, comma 11, della L. 449/1997 è stato emanato il decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 19 maggio 1999 (pubblicato sulla G.U. n. 208 del 4 settembre 1999).

Il decreto ministeriale 19 maggio 1999 ha determinato, all’art. 1, comma 1, i criteri cui le organizzazioni sindacali devono attenersi ai fini dell'individuazione delle mansioni particolarmente usuranti e della determinazione delle aliquote contributive.

Si tratta, in particolare, dei seguenti criteri:

-        l'attesa di vita al compimento dell'età pensionabile;

-        la prevalenza della mansione usurante:

-        la mancanza di possibilità di prevenzione;

-        la compatibilità fisico-psichica in funzione dell'età;

-        l'elevata frequenza degli infortuni, con particolare riferimento alle fasce di età superiori ai cinquanta anni;

-        l'età media della pensione di invalidità;

-        il profilo ergonomico;

-        l'esposizione ad agenti chimici, fisici, biologici, individuati secondo la normativa di prevenzione vigente.

E’ esplicitamente ribadito che gli oneri sono a totale carico delle categorie interessate.

E’ fissato un termine per la formulazione delle proposte delle organizzazioni sindacali e datoriali. In particolare si prevede che le organizzazioni sindacali e datoriali formulino congiuntamente apposite proposte entro e non oltre cinque mesi dalla data di pubblicazione del decreto ministeriale nella Gazzetta Ufficiale. Decorso infruttuosamente il predetto termine, si prevede l’applicazione delle disposizioni di cui all'art. 3, comma 3, del D.Lgs. 374/1993, come riformulato dall'art. 1, comma 34, della L. 335/1995: viene pertanto ribadito il potere sostitutivo del Ministro del lavoro, di concerto con il Ministro del tesoro, sentita una commissione tecnico-scientifica, che è tenuta formulare il relativo parere entro e non oltre cinque mesi dalla data della sua costituzione (art. 1, comma 2, D.M. 19 maggio 1999).

L’articolo 3, comma 4 del D.Lgs. 374/1993 prevede inoltre una disciplina particolare per la copertura degli oneri relativi a “determinate mansioni in ragione delle caratteristiche di maggiore gravità dell'usura che esse presentano anche sotto il profilo dell'incidenza della stessa sulle aspettative di vita, dell'esposizione al rischio professionale di particolare intensità, delle peculiari caratteristiche dei rispettivi ambiti di attività con riferimento particolare alle componenti socio-economiche che le connotano”: si tratta sostanzialmente del sottoinsieme più ristretto di attività considerate (ancora) più usuranti di cui al secondo periodo dell’articolo 2, comma 1. Per tali oneri è rimesso ad un decreto del Ministro del lavoro, di concerto con il Ministro del tesoro, sentita una commissione tecnico scientifica, il riconoscimento di un concorso dello Stato, in misura non superiore al 20 per cento.

Si consideri che, in attuazione dell’articolo 3, comma 4 del D.Lgs. 374/1993, l’articolo 2 del decreto ministeriale 19 maggio 1999 ha individuato direttamente, nell'ambito delle attività elencate nella citata tabella A allegata al D.Lgs. 374/1993, le “mansioni particolarmente usuranti in ragione delle caratteristiche di maggiore gravità dell'usura che esse presentano”, di cui all’articolo 2, comma 1, secondo periodo.

Le mansioni sono le seguenti:

-        «lavori in galleria, cava o miniera»: mansioni svolte in sotterraneo con carattere di prevalenza e continuità;

-        «lavori nelle cave»: mansioni svolte dagli addetti alle cave di materiale di pietra e ornamentale;

-        «lavori nelle gallerie»: mansioni svolte dagli addetti al fronte di avanzamento con carattere di prevalenza e continuità;

-        «lavori in cassoni ad aria compressa»;

-        «lavori svolti dai palombari»;

-        «lavori ad alte temperature»: mansioni che espongono ad alte temperature, quando non sia possibile adottare misure di prevenzione, quali, a titolo esemplificativo, quelle degli addetti alle fonderie di 2ª fusione, non comandata a distanza, dei refrattaristi, degli addetti ad operazioni di colata manuale;

-        «lavorazione del vetro cavo»: mansioni dei soffiatori nell'industria del vetro cavo eseguito a mano e a soffio;

-        «lavori espletati in spazi ristretti», con carattere di prevalenza e continuità ed in particolare delle attività di costruzione, riparazione e manutenzione navale, le mansioni svolte continuativamente all'interno di spazi ristretti, quali intercapedini, pozzetti, doppi fondi, di bordo o di grandi blocchi strutture;

-        «lavori di asportazione dell'amianto»: mansioni svolte con carattere di prevalenza e continuità.

Per tali mansioni, come già previsto dall’art. 3, comma 4, del D.Lgs. 374/1993, è ribadito il concorso dello Stato alla copertura degli oneri, in misura non superiore al 20 per cento, nell’ambito delle risorse già preordinate dalla legge di riforma del sistema pensionistico (L. 335/1995).

Si attribuisce alle organizzazioni sindacali e datoriali il compito di formulare congiuntamente, entro il termine di cinque mesi dalla pubblicazione del decreto, le proposte per la determinazione delle aliquote contributive relative alle mansioni individuate dal comma 1; inoltre, anche in questo caso, in mancanza delle proposte delle organizzazioni sindacali e datoriali si prevede il potere sostitutivo del Ministro del lavoro, di concerto con il Ministro del tesoro, sentita una commissione tecnico scientifica (art. 2, comma 3).

L'applicazione della normativa in materia di attività usuranti ha subito, dalla data di emanazione del D.Lgs 374/1993, notevoli ritardi. Difatti sino ad oggi, non essendo stata completata la procedura di cui all’articolo 1, comma 2 e all’articolo 2, comma 3 del D.M. 19 maggio 1999, non sono stati emanati i provvedimenti attuativi necessari per individuare le mansioni particolarmente usuranti e determinare le aliquote contributive per la copertura dei conseguenti oneri, in modo da rendere concretamente operativi “a regime” i benefici previdenziali previsti dall’articolo 2 del D.Lgs. 374/1993.

In considerazione di tale situazione la legge 23 dicembre 2000, n. 388 (legge finanziaria per il 2001), all’articolo 78, commi 8, 11, 12 e 13, ha previsto una disciplina transitoria (i cui effetti si sono già esauriti), “in attesa della definizione, tra le parti sociali, dei criteri di attuazione della normativa di cui al decreto legislativo 11 agosto 1993, n. 374”[81].

In base a tale disciplina, il beneficio della riduzione dei requisiti di età anagrafica e contributiva è stato riconosciuto ai lavoratori che:

a)  per il periodo successivo all’8 ottobre 1993 (data di entrata in vigore del D.Lgs. 374/1993) avevano svolto prevalentemente le mansioni particolarmente usuranti, per le caratteristiche di maggior gravità dell’usura che queste presentano, individuate dal citato art. 2 del D.M. 19 maggio 1999;

b)  potevano far valere entro il 31 dicembre 2001 i requisiti per il pensionamento di anzianità o di vecchiaia, utilizzando le riduzioni di età pensionabile e di anzianità contributiva previste dalla normativa sui lavori usuranti.

In attuazione dell'art. 78, comma 11, della citata L. 388/2000, è stato emanato il D.M. 17 aprile 2001 che detta le disposizioni per ottenere il riconoscimento dei benefici previdenziali di riduzione dei requisiti anagrafici e di anzianità contributiva relativi alle mansioni particolarmente usuranti[82]. Pertanto i lavoratori che hanno maturato il diritto alla pensione entro il 31 dicembre 2001 hanno potuto avvalersi dei benefici previsti dal citato D.Lgs. 374/1993[83].

Allo stato attuale, quindi, essendo ormai esauriti gli effetti di tale disciplina transitoria e in mancanza dei provvedimenti attuativi necessari per rendere concretamente operativi “a regime” i benefici previdenziali previsti dall’articolo 2 del D.Lgs. 374/1993, i lavoratori che non hanno ancora maturato i requisiti per il pensionamento non possono concretamente godere dei benefici previdenziali previsti per lo svolgimento di lavori usuranti.

Si ricorda inoltre che, al fine di superare tale situazione di “stallo”, la L. 247/2007[84], all’articolo 1, comma 3, ha previsto una delega legislativa, da esercitare entro tre mesi dall’entrata in vigore della medesima legge, volta a concedere ai lavoratori dipendenti impegnati in lavori o attività connotati da un particolare indice di stress psico-fisico, che maturano i requisiti pensionistici a decorrere dal 1° gennaio 2008, la possibilità di accedere anticipatamente al trattamento pensionistico.

In attuazione della menzionata delega di cui alla L. 247/2007 è stato predisposto e trasmesso alla Camera e al Senato, ai fini dell’espressione del parere, lo schema di decreto legislativo recante “Disposizioni in materia di accesso anticipato al pensionamento per gli addetti alle lavorazioni particolarmente faticose e pesanti” (atto n. 238), volto appunto a consentire ai lavoratori subordinati addetti a lavori particolarmente faticosi e pesanti (cd “attività usuranti”) di accedere anticipatamente al pensionamento, con requisiti inferiori a quelli previsti per la generalità dei lavoratori dipendenti .

Su tale schema di decreto legislativo la XI Commissione (Lavoro) della Camera ha espresso un parere favorevole con osservazioni in data 1° aprile 2008, mentre la 11a Commissione (Lavoro, previdenza sociale) del Senato, pur avendo avviato l’esame del provvedimento, non ha espresso il parere entro la scadenza del termine.

Tuttavia il termine finale per l’esercizio della delega (30 maggio 2008) è scaduto senza che tale decreto legislativo venisse definitivamente emanato. Si ricorda, al riguardo, che il termine per l’esercizio della delega, stabilito al 31 marzo 2008, è stato automaticamente prorogato di 60 giorni in base al “meccanismo” di cui all’articolo 1, comma 90, della L. 247/2007 e quindi è scaduto il 30 maggio 2008.

 

Anche la delega prevista dall’articolo in esame, da esercitare con uno o più decreti legislativi entro sei mesi dall’entrata in vigore del provvedimento in esame, è volta a concedere ai lavoratori dipendenti impegnati in lavori o attività connotati da un particolare indice di stress psico-fisico (cfr. infra), che maturano i requisiti pensionistici a decorrere dal 1° gennaio 2008, la possibilità, su domanda, di accedere anticipatamente al trattamento pensionistico.

I principi e criteri direttivi per l’esercizio della delega vengono indicati per relationem. Si dispone infatti che, ai fini dell’attuazione della delega, si faccia riferimento ai principi e criteri direttivi di cui all'articolo 1, comma 3, lettere a), b), c), d), e), f) e g), della L. 247/2007. In sostanza vengono richiamati gli stessi principi e criteri direttivi previsti dalla precedente delega in materia di cui alla menzionata L. 247/2007, che come già detto non è stata esercitata entro il termine previsto (cfr. supra).

 

Si ricorda che l’articolo 1, comma 3, della L. 247/2007 ha dettato i seguenti principi e criteri direttivi per l’esercizio della delega.

Per quanto riguarda il beneficio pensionistico attribuito, si dispone (lettera a)) che debba essere previsto un requisito anagrafico minimo ridotto di 3 anni e, comunque, almeno pari a 57 anni di età, fermi restando il requisito minimo di anzianità contributiva pari a 35 anni e la disciplina relativa alla decorrenza del pensionamento (cd. “finestre”).

Per quanto riguarda i soggetti beneficiari, si dispone (lettera b)) che possano usufruire del pensionamento anticipato quattro diverse categorie di soggetti:

-        i lavoratori impegnati in mansioni particolarmente usuranti di cui all’articolo 2 del D.M. 19 maggio 1999;

-        i lavoratori subordinati notturni, così come definiti dal D.Lgs. 66/2003[85];

-        i lavoratori addetti alla cd. “linea catena” che, nell’ambito di un processo produttivo in serie, svolgano lavori caratterizzati dalla ripetizione costante dello stesso ciclo lavorativo su parti staccate di un prodotto finale;

-        conducenti di veicoli pesanti adibiti a servizi pubblici di trasporto di persone.

Viene tuttavia precisato (lettera c)) che i lavoratori, per usufruire dei benefici pensionistici in questione, non solamente devono svolgere le attività di cui alla precedente lettera b) al momento dell’accesso al trattamento pensionistico di anzianità ma devono aver svolto le medesime attività per un certo periodo di tempo e in particolare:

-        nel periodo transitorio, per un arco di tempo minimo di 7 anni negli ultimi 10 anni di attività lavorativa;

-        a regime, per un arco di tempo almeno pari alla metà della vita lavorativa.

Il legislatore delegato, inoltre, deve individuare la documentazione e gli elementi di prova di data certa volti a dimostrare il possesso dei requisiti soggettivi ed oggettivi nonché disciplinare il relativo procedimento di accertamento, anche tramite verifica ispettiva (lettera d)).

La successiva lettera e) contempla la necessità di prevedere sanzioni amministrative in misura non inferiore a 500 euro e non superiore a 2000 euro e altre misure di carattere sanzionatorio nell’ipotesi di omissione da parte del datore di lavoro degli adempimenti relativi agli obblighi di comunicazione ai competenti uffici della pubblica amministrazione dell’articolazione dell’attività produttiva ovvero dell’organizzazione dell’orario di lavoro aventi le caratteristiche di cui alla precedente lettera b) (cfr supra), relativamente, rispettivamente, alla c.d. ”linea catena” ed al lavoro notturno.

Secondo la medesima lettera e) il legislatore delegato deve prevedere inoltre, fermo restando quanto previsto dall’articolo 484 c.p. (concernente la falsità in registri e notificazioni) e le altre ipotesi di reato previste dalla legislazione vigente in caso di comunicazioni mendaci, anche relativamente ai presupposti del conseguimento dei benefici, una sanzione pecuniaria fino al 200% delle somme indebitamente percepite. Si consideri che quest’ultima fattispecie sanzionatoria sembrerebbe diretta ai casi di dichiarazioni non veritiere al fine di usufruire dei benefici previdenziali previsti per i lavoratori che svolgono attività usuranti.

La norma inoltre dispone che, nella specificazione dei criteri per la concessione dei benefici pensionistici in questione, deve essere assicurata la coerenza con il limite massimo delle risorse finanziarie di uno specifico Fondo, la cui dotazione finanziaria è pari a 83 milioni di euro per l’anno 2009, 200 milioni di euro per l’anno 2010, 312 milioni di euro per l’anno 2011, 350 milioni di euro per l’anno 2012, 383 milioni di euro a decorrere dall’anno 2013 (lettera f)).

Infine, si stabilisce (lettera g)) che, allorché dovesse verificarsi uno scostamento rispetto alle risorse finanziarie appositamente stanziate, il Ministro del lavoro debba informare tempestivamente il Ministro dell’economia ai fini dell’adozione dei provvedimenti di cui all’articolo 11-ter, comma 7, della L. 468/1978 (apposita relazione al Parlamento e conseguenti iniziative legislative).

 

L’articolo in esame si rifà alla disciplina della menzionata delega in materia di lavori usuranti di cui alla L. 247/2007 anche per quanto riguarda le modalità procedurali per l'emanazione dei decreti legislativi in questione (disponendo che si applicano al riguardo i commi 90 e 91 dell’articolo 1 della L. 247/2007), nonché la clausola di copertura finanziaria (disponendo che rimane valida la norma di copertura di cui al comma 92 del citato articolo 1).

I menzionati commi 90 e 91 disciplinano la procedura per l’emanazione dei decreti legislativi da adottare ai sensi della L. 247/2007.

Il comma 90, in particolare, dispone che tutti gli schemi di decreti legislativi siano deliberati in via preliminare dal Consiglio dei ministri sentite le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro maggiormente rappresentative a livello nazionale, nonché gli organismi a livello nazionale rappresentativi del personale militare e delle forze di polizia a ordinamento civile relativamente agli schemi dei decreti legislativi adottati ai sensi del comma 6, recante una delega finalizzata ad estendere l’obiettivo dell’elevazione dell’età media di accesso al pensionamento anche ai regimi pensionistici armonizzati e agli altri regimi e gestioni pensionistiche per cui siano previsti requisiti diversi da quelli vigenti nell’assicurazione generale obbligatoria.

Sugli schemi così deliberati è prevista l’acquisizione del parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano sulle materie di competenza.

Si dispone quindi che tali schemi siano trasmessi alle Camere ai fini dell'espressione dei pareri da parte delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per le conseguenze di carattere finanziario, da rendere entro 30 giorni dall’assegnazione. Le Commissioni parlamentari hanno la possibilità di chiedere una proroga di 20 giorni per l'espressione del parere, qualora ciò si renda necessario per la complessità della materia o per il numero degli schemi trasmessi nello stesso periodo all'esame delle stesse Commissioni.

Qualora i termini per l'espressione del parere delle Commissioni parlamentari scadano nei 30 giorni che precedono la scadenza del termine per l'esercizio della delega, o successivamente, quest'ultimo è prorogato di sessanta giorni. Il predetto termine è invece prorogato di 20 giorni nel caso in cui sia concessa la proroga del termine per l'espressione del parere.

Decorso il termine stabilito ai fini dell’espressione del parere (30 giorni dall’assegnazione), ovvero quello eventualmente prorogato (30 giorni dall’assegnazione più ulteriori 20 giorni), senza che le Commissioni abbiano espresso i pareri di rispettiva competenza, i decreti legislativi possono essere comunque emanati. Infine, si dispone che, entro i 30 giorni successivi all’espressione dei pareri, il Governo, qualora non intenda conformarsi alle condizioni eventualmente formulate nei medesimi pareri con riferimento all’esigenza di garantire il rispetto dell’articolo 81, quarto comma, della Costituzione (relativo alla copertura finanziaria dei provvedimenti legislativi), debba ritrasmettere alle Camere i testi, corredati dai necessari elementi integrativi di informazione, per i pareri definitivi delle competenti Commissioni, che devono essere espressi entro 30 giorni dalla data della trasmissione.

Il comma 91 reca l’autorizzazione ad adottare disposizioni correttive e integrativedei decreti legislativi in questione entro 18 mesi dalla data di entrata in vigore dei medesimi decreti, nel rispetto dei principi e criteri direttivi previsti dalla legge in esame e con le stesse modalità procedurali stabilite dal comma 90. Il medesimo comma reca altresì una delega al Governo, da esercitare entro 18 mesi dall’entrata in vigore delle disposizioni correttive e integrative, volta ad adottare i decreti legislativi recanti le norme eventualmente occorrenti per il coordinamento dei decreti emanati ai sensi della legge in esame con le altre leggi dello Stato e l'abrogazione delle norme divenute incompatibili.

Per quanto attiene ai maggiori oneri derivanti dalle disposizioni recate dalla L. 247/2007, il successivo comma 92 quantifica tali oneri in:

-         1.264 milioni di euro per l’anno 2008;

-         1.520 milioni di euro per l’anno 2009;

-         3.048 milioni di euro per ciascuno degli anni 2010 e 2011;

-         1.898 milioni di euro a decorrere dall’anno 2012.

La copertura finanziaria di tali oneri è posta a valere sulle risorse stanziate nell’apposito Fondo per il finanziamento del “Protocollo su previdenza, lavoro e competitività per l’equità e la crescita sostenibili” del 23 luglio 2007, istituito dall’articolo 2, comma 508, della legge finanziaria per il 2008 (L. 244/2007), entro il limite delle medesime risorse[86].

A tal fine, il primo periodo del comma 92 subordina l’efficacia delle disposizioni recate dalla L. 247/2007 all’entrata in vigore delle norme della legge finanziaria per il 2008 che recano l’istituzione del Fondo per il finanziamento del Protocollo del 23 luglio 2007 (articolo 2, comma 508, L. 244/2007), a valere sulle cui risorse è posta la copertura finanziaria degli oneri derivanti dalla L. 247/2007[87].

La dotazione del Fondo stabilita dalla legge finanziaria risulta capiente ai suddetti fini, in quanto risulta pari a 1.264 milioni di euro per il 2008, 1.520 milioni per il 2009, e a 3.048 milioni per ciascuno degli anni 2010 e 2011 e 1.898 milioni di euro annui a decorrere dal 2012 (coincidendo quindi con gli oneri quantificati dal comma 92).

In sostanza l’articolo in esame, “confermando” la norma di copertura di cui all’articolo 1, comma 92, della L. 247/2007, stabilisce che alla copertura finanziaria degli oneri derivanti dall’attuazione della delega in esame si provvede a valere sulle risorse stanziate nell’apposito Fondo per il finanziamento del Protocollo sul welfare del 23 luglio 2007, istituito dall’articolo 2, comma 508, della legge finanziaria per il 2008 (L. 244/2007).

Si ricorda, al riguardo, che il principio direttivo di cui all’articolo 1, comma 3, lettera f), della L. 247/2007, che si applica anche alla delega in esame, dispone che gli oneri determinati dai decreti legislativi attuativi della delega devono rimanere entro il limite massimo delle risorse finanziarie di uno specifico Fondo, la cui dotazione finanziaria è pari a 83 milioni di euro per l’anno 2009, 200 milioni di euro per l’anno 2010, 312 milioni di euro per l’anno 2011, 350 milioni di euro per l’anno 2012, 383 milioni di euro a decorrere dall’anno 2013.

 

Si può affermare che l’articolo in esame, disponendo una delega su materia identica a quella precedente di cui all’articolo 1, comma 3, della L. 247/2007, richiamando integralmente gli stessi principi e criteri direttivi di cui alla menzionata precedente delega, e, altresì, rifacendosi alla precedente delega anche per quanto riguarda le modalità procedurali per l'emanazione dei decreti legislativi nonché per le modalità di copertura finanziaria, in sostanza determina una riapertura dei termini per l’esercizio della delega in materia di pensionamento anticipato dei soggetti che svolgono lavori usuranti prevista dalla L. 247/2007.

Infine si ricorda che la Commissione XI è in procinto di iniziare l’esame delle abbinate proposte di legge A.C. 1297 (Damiano ed altri) e A.C. 1367 (Cazzola ed altri), volte a prevedere una disciplina in materia di pensionamento anticipato dei soggetti che svolgono lavori usuranti.

 


 

Articolo 24
(Deleghe al Governo per la riorganizzazione di enti vigilati dal Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali)

 


1. Il Governo è delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi finalizzati alla riorganizzazione dell'Istituto superiore di sanità, dell'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, dell'Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro, degli Istituti zooprofilattici sperimentali, della Croce rossa italiana, della Lega italiana per la lotta contro i tumori, dell'Agenzia italiana del farmaco, dell'Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori, dell'Istituto per gli affari sociali e di Italia Lavoro Spa nonché alla ridefinizione del rapporto di vigilanza del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali sugli stessi enti, istituti e società, in base ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) semplificazione e snellimento dell'organizzazione e della struttura amministrativa degli enti, istituti e società vigilati, adeguando le stesse ai princìpi di efficacia, efficienza ed economicità dell'attività amministrativa e all'organizza­zione del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, prevedendo altresì la trasformazione di Italia Lavoro Spa in ente pubblico economico, con eventuale incorporazione nello stesso, in tutto o in parte, dell'Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori e dell'Istituto per gli affari sociali;

b) razionalizzazione e ottimizzazione delle spese e dei costi di funzionamento, previa riorganizzazione dei relativi centri di spesa e mediante adeguamento dell'orga­nizzazione e della struttura amministrativa degli enti e istituti vigilati ai princìpi e alle esigenze di razionalizzazione di cui all'articolo 1, comma 404, della legge 27 dicembre 2006, n. 296;

c) ridefinizione del rapporto di vigilanza tra il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali e gli enti e istituti vigilati, prevedendo, in particolare, la possibilità per il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali di emanare indirizzi e direttive nei confronti degli enti o istituti sottoposti alla sua vigilanza;

d) previsione dell'obbligo degli enti e istituti vigilati di adeguare i propri statuti alle disposizioni dei decreti legislativi emanati in attuazione del presente articolo, entro il termine di un anno dalla data di entrata in vigore degli stessi.

2. I decreti legislativi di cui al comma 1 sono emanati su proposta del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, con il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione e con il Ministro dello sviluppo economico, previo parere delle competenti Commissioni parlamentari e della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. I pareri sono espressi, rispettivamente, entro quaranta ed entro trenta giorni dalla data di trasmissione degli schemi di decreti legislativi; decorsi tali termini i decreti sono emanati anche in assenza dei pareri.

3. L'adozione dei decreti legislativi attuativi della delega di cui al presente articolo non deve comportare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

4. Entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, si procede al riordino degli organi collegiali e degli altri organismi istituiti con legge o con regolamento nell'amministrazione centrale della salute, mediante l'emanazione di regolamenti adottati ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, nel rispetto dei seguenti criteri:

a) eliminazione delle duplicazioni organizzative e funzionali;

b) razionalizzazione delle competenze delle strutture che svolgono funzioni omogenee;

c) limitazione del numero delle strutture a quelle strettamente indispensabili all'adempimento delle funzioni riguardanti la tutela della salute;

d) diminuzione del numero dei compo­nenti degli organismi.


 

 

L’articolo 24 delega il Governo ad adottare, entro dodici mesi dall’entrata in vigore del provvedimento, uno o più decreti legislativi volti a riorganizzare una serie di enti vigilati dal Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, nonché a ridefinire il rapporto di vigilanza del menzionato Ministero sugli stessi enti. Si tratta, in particolare: dell'Istituto superiore di sanità, dell'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, dell'Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro, degli Istituti zooprofilattici sperimentali, della Croce rossa italiana, della Lega italiana per la lotta contro i tumori, dell'Agenzia italiana del farmaco, dell'Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori, dell'Istituto per gli affari sociali e di Italia Lavoro Spa.

La delega deve essere esercitata sulla base dei seguenti criteri e principi direttivi (comma 1):

§      semplificare e snellire l’organizzazione e la struttura amministrativa dei suddetti enti, prevedendo anche la trasformazione di Italia Lavoro Spa in ente pubblico economico, con eventuale incorporazione nel medesimo dell'Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori e dell'Istituto per gli affari sociali;

§      razionalizzare e ottimizzare i costi di funzionamento, attraverso la riorganizzazione dei centri di spesa e l’adeguamento dell’organizzazione e della struttura amministrativa degli enti vigilati ai principi di razionalizzazione di cui al comma 404 dell’articolo 1 della L. 296/2006 (legge finanziaria 2007);

 

Il comma 404 dell’articolo 1 della L. 296/2006, al fine di razionalizzare e ottimizzare l'organizzazione delle spese e dei costi di funzionamento dei Ministeri, aveva disposto l’emanazione di regolamenti ai sensi dell'articolo 17, comma 4-bis della legge n. 400 del 1988, fissando peraltro il termine del 30 aprile 2007.

Nell’indicare con maggiore dettaglio le finalità di tale opera di riorganizzazione, il menzionato comma 404 precisava i seguenti punti:

-        riorganizzazione degli uffici di livello dirigenziale generale e non generale, procedendo alla riduzione in misura non inferiore al 10 per cento di quelli di livello dirigenziale generale ed al 5 per cento di quelli di livello dirigenziale non generale (lettera a));

-        gestione unitaria del personale e dei servizi comuni anche mediante strumenti di innovazione amministrativa e tecnologica (lettera b));

-        rideterminazione delle strutture periferiche (lettera c));

-        riorganizzazione degli uffici con funzioni ispettive e di controllo (lettera d));

-        riduzione degli organismi di analisi, consulenza e studio di elevata specializzazione (lettera e));

-        riduzione delle dotazioni organiche in modo da assicurare che il personale utilizzato per funzioni di supporto (gestione delle risorse umane, sistemi informativi, servizi manutentivi e logistici, affari generali, provveditorati e contabilità) non ecceda comunque il 15 per cento delle risorse umane complessivamente utilizzate da ogni amministrazione, mediante processi di riorganizzazione e di formazione e riconversione del personale addetto alle predette funzioni che consentano di ridurne il numero in misura non inferiore all'8 per cento all'anno fino al raggiungimento del limite predetto (lettera f));

-        avvio della ristrutturazione della rete diplomatica, consolare e degli istituti di cultura ed in particolare l'unificazione dei servizi contabili degli uffici della rete diplomatica aventi sede nella stessa città estera (lettera g)).

 

Il comma 2 dispone che i menzionati decreti legislativi devono essere emanati su proposta del Ministro del lavoro, di concerto con il Ministro dell’economia, con il Ministro per la pubblica amministrazione e con il Ministro dello sviluppo economico, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti e della Conferenza Stato-regioni, da esprimersi rispettivamente entro 40 ed entro 30 giorni dalla data di trasmissione.

 

Il comma 3 precisa che i decreti legislativi in questione non devono recare nuovi oneri per la finanza pubblica.

 

Il comma 4 prevede l’emanazione, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, di regolamenti adottati ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, per il riordino degli organi collegiali e degli altri organismi istituiti con legge o con regolamento nell'amministrazione centrale della salute, nel rispetto dei seguenti criteri:

a)  eliminazione delle duplicazioni organizzative e funzionali;

b)  razionalizzazione delle competenze delle strutture che svolgono funzioni omogenee;

c)  limitazione del numero delle strutture a quelle strettamente indispensabili all'adempimento delle funzioni riguardanti la tutela della salute;

d)  diminuzione del numero dei componenti degli organismi.

 

L’articolo 17, comma 2, della legge n. 400/88 prevede che con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il Consiglio di Stato, sono emanati i regolamenti per la disciplina delle materie, non coperte da riserva assoluta di legge prevista dalla Costituzione, per le quali le leggi della Repubblica, autorizzando l'esercizio della potestà regolamentare del Governo, determinano le norme generali regolatrici della materia e dispongono l'abrogazione delle norme vigenti, con effetto dall'entrata in vigore delle norme regolamentari.


 

Articolo 25
(Chiarezza dei testi normativi)

 

1. Ogni norma che sia diretta a sostituire, modificare o abrogare norme vigenti ovvero a stabilire deroghe indica espressamente le norme sostituite, modificate, abrogate o derogate.

2. Ogni rinvio ad altre norme contenuto in disposizioni legislative, nonché in regolamenti, decreti o circolari emanati dalla pubblica amministrazione deve contestualmente indicare, in forma integrale ovvero in forma sintetica e di chiara comprensione, il testo ovvero la materia alla quale le disposizioni fanno riferimento o il principio, contenuto nelle norme cui si rinvia, che esse intendono richiamare.

 

 

L’articolo 25 reca la rubrica “Chiarezza dei testi normativi” e contiene due commi:

§      il comma 1 dispone che ogni norma diretta a sostituire, modificare o abrogare norme vigenti ovvero a stabilire deroghe deve indicare espressamente le norme oggetto di sostituzione, modifica, abrogazione o deroga;

§      il comma 2 stabilisce che le disposizioni legislative, di rango secondario e contenute in circolari che rinviano ad altre norme devono contestualmente indicare, in forma integrale ovvero in forma sintetica (sembrerebbe questa la strada più percorribile, per evitare citazioni eccessivamente lunghe) e di chiara comprensione, il testo ovvero la materia alla quale fanno riferimento o il principio, contenuto nelle norme cui si rinvia, che esse intendono richiamare.

 

Si innova così l’ordinamento, in quanto per la prima volta due principi attinenti alla formulazione tecnica dei testi legislativi (e non solo) trovano spazio in una fonte di rango primario a carattere generale.

Si rammenta infatti che a livello legislativo sono presenti disposizioni attinenti alle fonti normative, mentre le regole di stesura tecnica dei testi (cosiddetto drafting) sono raccolte in tre circolari di identico contenuto emanate contemporaneamente dal Presidente del Consiglio e dai Presidenti delle due Camere il 20 aprile 2001.

Per quanto riguarda il livello legislativo, rilevano in particolare:

§      le disposizioni sulla legge in generale premesse al codice civile (cosiddette preleggi), che in due distinti capi trattano delle fonti del diritto e dell’applicazione della legge in generale;

§      gli articoli da 14 a 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, recante disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri, raccolti nel capo III dedicato alla potestà normativa del Governo. In particolare, vengono disciplinati, anche in attuazione della Costituzione, il potere delegato e la decretazione d’urgenza, nonché la potestà regolamentare del Governo;

§      i primi 7 articoli della legge 27 luglio 2000, n. 212, recante disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente, i quali pongono alcuni vincoli nell’esercizio della potestà normativa ed amministrativa in materia tributaria. In particolare l’articolo 3 della legge, limitatamente alle disposizioni di carattere tributario, già contiene – con qualche differenza – i principi disciplinati in via generale dall’articolo in commento.

In particolare, il comma 3 dispone che i “richiami di altre disposizioni contenuti nei provvedimenti normativi in materia tributaria si fanno indicando anche il contenuto sintetico della disposizione alla quale si intende fare rinvio” ed il comma 4 stabilisce che le “disposizioni modificative di leggi tributarie debbono essere introdotte riportando il testo conseguentemente modificato”;

§      altre leggi che disciplinano – facendo sistema con specifiche norme dei regolamenti parlamentari – contenuti e procedure di leggi di particolare rilevanza e ad andamento ciclico, quali la legge finanziaria, la legge comunitaria e la legge di semplificazione (rispettivamente, si tratta delle leggi: 5 agosto 1978, n. 468, recante riforma di alcune norme di contabilità generale dello Stato in materia di bilancio; 4 febbraio 2005, n. 11, recante norme generali sulla partecipazione dell'Italia al processo normativo dell'Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari; 15 marzo 1997, n. 59, recante delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa, con specifico riguardo all’articolo 20).

 

Per le leggi ordinarie che disciplinano l’esercizio della potestà legislativa si presenta il problema della loro equiparazione agli strumenti normativi che vanno a regolare: un’altra legge, essendo equiordinata, può derogare implicitamente alle norme sulla produzione legislativa. Il legislatore, conscio della questione, ha generalmente corredato le leggi sulla produzione di una clausola (anch’essa comunque derogabile implicitamente) volta a prevedere che le disposizioni di tali leggi possono essere derogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali[88].

 

Le circolari sulla formulazione tecnica dei testi legislativi sono composte di 15 paragrafi[89] contenenti regole e raccomandazioni: le regole hanno ovviamente un carattere precettivo superiore alle raccomandazioni, che si limitano ad indicare degli indirizzi. Il complesso delle regole e delle raccomandazioni è volto a garantire una migliore redazione dei testi, sia dal punto di vista della redazione sia dal punto di vista del coordinamento con l’ordinamento vigente.

 

La disposizione in esame, dunque, stabilisce due principi generali per la chiarezza dei testi normativi, i quali non si inseriscono in un contesto normativo specificamente dedicato al tema della qualità redazionale delle leggi, ma confluiscono nel capo VI del disegno di legge, dedicato al vasto tema delle semplificazioni.

Si rammenta che nel passato erano stati esperiti alcuni tentativi per elaborare una legge sulla produzione normativa. In particolare, nel corso della XIII legislatura, il 15 giugno 1999, la Commissione Affari costituzionali della Camera aveva adottato come testo base un testo unificato di 4 proposte di legge elaborato dal Comitato ristretto, recante “Norme per la redazione dei testi legislativi”(C. 1665, C. 4868, C. 5151 e C. 6019).

 

Composto di 23 articoli e strutturato in sette capi, il testo esordisce con i princìpi generali in materia di formulazione dei testi normativi, redazione delle leggi, nonché regole per la chiarezza delle disposizioni legislative. Il capo II reca disposizioni in materia di istruttoria legislativa. Il capo III introduce nell’ordinamento (sull’esempio di modelli stranieri) una nuova fonte normativa: la legge organica. Il capo IV riguarda la potestà normativa del Governo e riprende, con qualche modifica, alcune delle disposizioni della legge n. 400 del 1988. Il capo V reca disposizioni in materia di regolamenti delle autorità amministrative indipendenti, mentre il capo VI reca disposizioni in materia di semplificazione normativa e di codificazione, nell'ambito delle quali si è tenuto conto dei rilevanti princìpi introdotti nella legge annuale di semplificazione. Gli articoli 22 e 23 recano disposizioni finali concernenti, rispettivamente, l'elenco delle norme da abrogare a seguito dell'entrata in vigore della nuova disciplina, nonché la clausola di abrogazione o modificazione espressa, volta ad attribuire alle disposizioni del testo unificato la capacità di non poter essere abrogate o derogate se non in maniera esplicita.

In particolare, all’interno del capo I, l’articolo 3 contiene (Regole per la chiarezza delle disposizioni di legge) reca una disposizione di tenore analogo al comma 2 dell’articolo in esame:

Ogni rinvio ad altre norme contenuto nelle disposizioni legislative, nonché in regolamenti, decreti o circolari emanati dalla pubblica amministrazione, deve contestualmente indicare, in forma sintetica e di chiara comprensione, la materia alla quale le disposizioni fanno riferimento ed il principio, contenuto nelle norme cui si rinvia, che esse intendono richiamare.


 

Articolo 26
(Certezza dei tempi di conclusione del procedimento)

 


1. Alla legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) l'articolo 2 è sostituito dal seguente:

«Art. 2. - (Conclusione del proce­dimento). - 1. Ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad un'istanza, ovvero debba essere iniziato d'ufficio, le pubbliche amministrazioni hanno il dovere di concluderlo, mediante una manifestazione di volontà chiara e univoca, anche ai sensi degli articoli 19 e 20, entro un termine certo, stabilito conformemente alle disposizioni del presente articolo.

2. Nei casi in cui disposizioni di legge ovvero i provvedimenti di cui ai commi 3, 4 e 5 non prevedono un termine diverso, i procedimenti amministrativi di competenza delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali devono concludersi entro il termine di trenta giorni.

3. Con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, adottati ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta dei Ministri competenti e di concerto con i Ministri per la pubblica amministrazione e l'innovazione e per la semplificazione normativa, sono individuati i termini non superiori a novanta giorni entro i quali devono concludersi i procedimenti di competenza delle amministrazioni statali. Gli enti pubblici nazionali stabiliscono, secondo i propri ordinamenti, i termini non superiori a novanta giorni entro i quali devono concludersi i procedimenti di propria competenza.

4. Nei casi in cui, tenendo conto della sostenibilità dei tempi sotto il profilo dell'organizzazione amministrativa, della natura degli interessi pubblici tutelati e della particolare complessità del procedimento, sono indispensabili termini superiori a novanta giorni per la conclusione dei procedimenti di competenza delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali, i decreti di cui al comma 3 sono adottati su proposta anche dei Ministri per la pubblica amministrazione e l'innovazione e per la semplificazione normativa e previa delibera del Consiglio dei ministri. I termini ivi previsti non possono comunque superare i centottanta giorni.

5. Fatto salvo quanto previsto da specifiche disposizioni normative, le autorità di garanzia e di vigilanza disciplinano, in conformità ai propri ordinamenti, i termini di conclusione dei procedimenti di rispettiva competenza.

6. I termini per la conclusione del procedimento decorrono dall'inizio del procedimento d'ufficio o dal ricevimento della domanda, se il procedimento è ad iniziativa di parte.

7. Fatto salvo quanto previsto dall'articolo 17, i termini di cui ai commi 2, 3, 4 e 5 del presente articolo possono essere sospesi, per una sola volta e per un periodo non superiore a trenta giorni, per l'acquisizione di informazioni o di certificazioni relative a fatti, stati o qualità non attestati in documenti già in possesso dell'amministrazione stessa o non direttamente acquisibili presso altre pubbliche amministrazioni. Si applicano le disposizioni dell'articolo 14, comma 2.

8. Salvi i casi di silenzio assenso, decorsi i termini per la conclusione del procedimento, il ricorso avverso il silenzio dell'amministrazione, ai sensi dell'articolo 21-bis della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, può essere proposto anche senza diffida all'amministrazione inadempiente, fintanto che perdura l'inadempimento e comunque non oltre un anno dalla scadenza dei termini di cui ai commi 2 o 3 del presente articolo. Il giudice amministrativo può conoscere della fondatezza dell'istanza. È fatta salva la riproponibilità dell'istanza di avvio del procedimento ove ne ricorrano i presupposti.

9. Il dirigente è personalmente responsabile delle ulteriori spese conseguenti alla mancata emanazione del provvedimento nei termini prescritti»;

b) dopo l'articolo 2 è inserito il seguente:

«Art. 2-bis. - (Conseguenze per il ritardo dell'amministrazione nella conclusione del procedimento). - 1. Le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all'articolo 1, comma 1-ter, sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, indipendentemente dalla spettanza del beneficio derivante dal provvedimento richiesto.

2. Indipendentemente dal risarcimento del danno di cui al comma 1, e con l'esclusione delle ipotesi in cui il silenzio dell'amministrazione competente equivale a provvedimento di accoglimento dell'istanza, in caso di inosservanza del termine di conclusione del procedimento, le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all'articolo 1, comma 1-ter, corrispondono ai soggetti istanti, per il mero ritardo, una somma di denaro stabilita in misura fissa ed eventualmente progressiva, tenuto conto anche della rilevanza degli interessi coinvolti nel procedimento stesso.

3. Con regolamento, emanato su proposta dei Ministri per la pubblica amministrazione e l'innovazione e per la semplificazione normativa ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, sono stabiliti la misura e il termine di corresponsione della somma di cui al comma 2 del presente articolo. Il regolamento stabilisce, altresì, le modalità di pagamento per le amministrazioni statali, gli enti pubblici nazionali e i soggetti di cui all'articolo 1, comma 1-ter. Le regioni, le province e i comuni determinano modalità di pagamento per i procedimenti di propria competenza.

4. Le controversie relative all'applicazione del presente articolo sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Il diritto al risarcimento del danno di cui al comma 1 si prescrive in cinque anni; il diritto alla corresponsione della somma di cui al comma 2 si prescrive in due anni. In entrambi i casi, il termine di prescrizione di cui all'articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, e successive modificazioni, decorre dalla data del pagamento, che deve essere comunicata entro quindici giorni dall'amministrazione gravata del relativo onere economico»;

c) il comma 5 dell'articolo 20 è sostituito dal seguente:

«5. Si applicano gli articoli 2, comma 7, e 10-bis».

2. Il rispetto dei termini per la conclusione dei procedimenti rappresenta un elemento di valutazione dei dirigenti, anche al fine della corresponsione della retribuzione di risultato. Il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, di concerto con il Ministro per la semplificazione normativa, adotta le linee di indirizzo per l'attuazione del presente articolo e per i casi di grave e ripetuta inosservanza dell'obbligo di provvedere entro i termini fissati per ciascun procedimento.

3. In sede di prima attuazione della presente legge gli atti o provvedimenti di cui ai commi 3, 4 e 5 dell'articolo 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241, come da ultimo sostituito dal comma 1, lettera a), del presente articolo, sono adottati entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge. Le disposizioni regolamentari vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge, che prevedono termini superiori a novanta giorni per la conclusione dei procedimenti, cessano di avere effetto a decorrere dalla scadenza del termine di cui al primo periodo. Continuano ad applicarsi le disposizioni regolamentari, vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge, che prevedono termini non superiori a novanta giorni per la conclusione dei procedimenti. La disposizione di cui al comma 2 del citato articolo 2 della legge n. 241 del 1990 si applica dallo scadere del termine di un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge.

4. Il regolamento previsto dall'articolo 2-bis, comma 3, della legge 7 agosto 1990, n. 241, introdotto dal comma 1, lettera b), del presente articolo, è emanato entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge. Entro due mesi dalla data di entrata in vigore del predetto regolamento, le regioni, le province e i comuni adottano gli atti finalizzati agli adempimenti previsti nel citato articolo 2-bis, comma 4, della legge n. 241 del 1990. Decorsi i termini prescritti, in caso di mancata adozione degli atti previsti dal presente comma, la somma di cui al comma 2 del medesimo articolo 2-bis è liquidata dal giudice secondo equità. In sede di prima applicazione delle disposizioni del citato articolo 2-bis della legge n. 241 del 1990, il regolamento di cui al comma 3 del citato articolo 2-bis provvede a determinare la somma di denaro di cui al medesimo articolo 2-bis, comma 2.

5. Agli eventuali oneri derivanti dall'attuazione dell'articolo 2-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, introdotto dal comma 1, lettera b), del presente articolo, si provvede nell'ambito degli stanziamenti di bilancio già previsti a legislazione vigente. Il Ministro dell'economia e delle finanze provvede al monitoraggio degli eventuali oneri derivanti dall'attuazione delle disposizioni del citato articolo 2-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, anche ai fini dell'adozione dei provvedimenti correttivi di cui all'articolo 11-ter, comma 7, della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni. I decreti eventualmente emanati ai sensi dell'articolo 7, secondo comma, numero 2), della citata legge n. 468 del 1978, prima dell'entrata in vigore dei provvedimenti o delle misure di cui al periodo precedente, sono tempestivamente trasmessi alle Camere, corredati da apposite relazioni illustrative.


 

 

L’articolo 26 apporta modifiche alla L. 241/1990[90], recante le norme generali che regolano l’attività amministrativa, al fine di ridurre e conferire maggiore certezza ai tempi di conclusione del procedimento amministrativo.

 

La L. 241/1990 ha il duplice obiettivo di garantire trasparenza all’attività della pubblica amministrazione attraverso il coinvolgimento dei soggetti interessati, e, nel contempo, di migliorarne la qualità, rendendola più efficiente ed economica. Le disposizioni della legge sono applicabili ad ogni amministrazione dello Stato e delle autonomie locali, fatte salve le prerogative delle Regioni.

La legge è stata in più punti modificata e integrata da successivi interventi legislativi. In particolare, nel corso della XIV legislatura un’ampia maggioranza parlamentare ha approvato una legge di riforma – la L. 15/2005[91] – che ha apportato sostanziali modifiche alla disciplina.

La L. 15/2005 ha inteso rispondere all’esigenza di una legge generale sull’azione amministrativa dettata dalle innovazioni del sistema costituzionale e normativo (ci si riferisce in particolar modo alle novità introdotte nel riparto di competenze normative e amministrative tra Stato e Regioni dalla riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione) e dall’evoluzione del contesto culturale e sociale in cui[92] – “è fortemente avanzata l’esigenza di amministrazioni più trasparenti, più efficienti, più rapide nelle decisioni, meno invadenti, più capaci di offrire servizi di buona qualità ai cittadini senza imporre eccessivi carichi tributari, burocratici e normativi”.

Fra i tratti essenziali della legge si ricordano:

-        il riconoscimento della possibilità per le pubbliche amministrazioni di utilizzare gli strumenti di diritto privato anche nel perseguimento dei propri fini istituzionali;

-        l’introduzione di nuove disposizioni sulla comunicazione di avvio del procedimento, e dell’obbligo di comunicazione al cittadino dei motivi che ostino all’accoglimento della sua istanza;

-        l’adeguamento della disciplina sulla conferenza di servizi al nuovo assetto costituzionale delle autonomie territoriali;

-        l’introduzione di norme organiche sull’efficacia, l’esecutorietà e l’esecutività, nonché sulle ipotesi di invalidità degli atti amministrativi e, in quest’ultimo àmbito, l’individuazione di vizi a carattere meramente formale che non comportano la loro caducazione;

-        la ridefinizione, per vari aspetti, delle norme sull’accesso ai documenti amministrativi.

A breve distanza temporale dall’entrata in vigore della L. 15/2005, un ulteriore, rilevante intervento sulla L. 241/2005 sopravveniva ad opera di alcune tra le disposizioni previste dal D.L. 35/2005[93] (c.d. “decreto-legge sulla competitività”), e da ulteriori norme introdotte nel testo del decreto-legge in sede di conversione. Ci si riferisce in particolare:

§       al co. 1 dell’art. 3 che, novellando l’art. 19 della L. 241/1990, pone una nuova disciplina dell’istituto della denuncia di inizio attività, ora denominata dichiarazione di inizio attività, al principale fine di ampliarne l’ambito di applicabilità per semplificare il regime delle autorizzazioni (intese in senso lato) concernenti l’esercizio di attività economiche private;

§       ai co. da 6-bis a 6-decies del medesimo articolo, che recano disposizioni finalizzate alla semplificazione amministrativa, in massima parte consistenti in ulteriori novelle alla L. 241/1990. In particolare, viene modificata la disciplina concernente

-        la conclusione del procedimento amministrativo;

-        il silenzio-assenso, la cui applicazione viene generalizzata, con le sole eccezioni individuate dalla legge;

-        l’autocertificazione;

-        la disciplina sanzionatoria;

-        la giurisdizione in materia di accesso ai documenti amministrativi, che è attribuita in via esclusiva al giudice amministrativo.

Tra le iniziative elaborate nel corso della XV legislatura al fine di incidere sulle modalità dell’azione amministrativa, anche attraverso modifiche alla L. 241/1990, poche si sono tradotte in norma vigente: si ricorda in particolare la modifica all’art. 21-quinquies della L. 241/1990, che disciplina in via generale l’istituto della revoca del provvedimento amministrativo e i suoi effetti (art. 13, co. 8-duodevicies, del D.L. 7/2007, conv. L. 40/2007).

Misure assai più ampie recava un disegno di legge governativo (A.C. 2161) finalizzato alla modernizzazione e all’efficienza delle amministrazioni pubbliche, che la I Commissione della Camera ha esaminato, senza peraltro concluderne l’iter. Varie disposizioni, tra quelle contenute nel capo I, miravano ad un ulteriore intervento di revisione della citata L. 241/1990, in tema di conclusione del procedimento e di responsabilità della pubblica amministrazione. Sono altresì oggetto di intervento le disposizioni di tutela dei cittadini nei confronti della pubblica amministrazione, in materia di silenzio assenso e di ricorso straordinario al Presidente della Repubblica; nonché quelle relative alla dichiarazione d'inizio attività e al diritto d'accesso ai documenti amministrativi.

La formulazione dell’articolo 26 in commento riprende in ampia misura quella dell’art. 1 del citato A.C. 2161.

 

Le novelle alla L. 241/1990 sono recate dal comma 1 dell’articolo in esame, suddiviso nelle lettere da a) a c).

 

Se ne dà conto di seguito rinviando, per un confronto analitico delle modificazioni apportate, al testo a fronte riportato in calce alla presente scheda di lettura.

 

La lettera a) del comma 1 sostituisce interamente l’art. 2 della L. 241/1990, che disciplina la conclusione del procedimento amministrativo.

 

Secondo tale articolo, ogni amministrazione ha il dovere di concludere ciascun procedimento cui ha dato avvio con l’adozione di un provvedimento espresso ed entro termini prefissati. Il termine varia a seconda del tipo di procedimento e, nel testo originario, era determinato e reso pubblico da ciascuna amministrazione per i procedimenti di propria competenza. Nel caso in cui l’amministrazione competente non avesse provveduto ad indicare un termine, questo si intendeva fissato in 30 giorni.

Sull’art. 2 ha inciso dapprima la L. 15/2005, e successivamente l’art. 3, co. 6-bis, del D.L. 35/2005, che lo ha interamente riscritto. Secondo il testo vigente dell’articolo:

-        la fissazione dei termini entro i quali i procedimenti di competenza delle amministrazioni statali devono concludersi, ove non siano direttamente previsti per legge, è rimessa ad uno o più regolamenti governativi (da adottare entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del D.L. 35/2005); gli enti pubblici nazionali (entro lo stesso termine) fissano, secondo i propri ordinamenti, i termini entro i quali devono concludersi i procedimenti di propria competenza;

-        la determinazione dei termini deve avvenire considerando “la loro sostenibilità, sotto il profilo dell’organizzazione amministrativa e della natura degli interessi pubblici tutelati”;

-        in caso di mancata individuazione dei tempi, il termine è di 90 giorni;

-        sono previste ipotesi di sospensione dei termini in caso di acquisizione di valutazioni tecniche di organi o enti appositi, o di acquisizione di informazioni o certificazioni relative a fatti, stati o qualità non attestati in documenti già in possesso dell’amministrazione stessa o non direttamente acquisibili presso altre pubbliche amministrazioni. Si prevede inoltre la possibilità di ricorso alla conferenza di servizi (art. 14, co. 2, L. 241/1990);

-        qualora, avverso il silenzio dell’amministrazione (e salvi i casi di silenzio assenso) sia stato proposto ricorso (per il quale non occorre previo atto di diffida), il giudice amministrativo è competente a conoscere della fondatezza dell’istanza.

 

La riformulazione dell’art. 2 proposta dall’art. 26 in esame reca i seguenti, principali elementi di novità:

§      il dovere di concludere il procedimento che consegua obbligatoriamente ad un'istanza, ovvero debba essere iniziato d'ufficio, è adempiuto mediante una “manifestazione di volontà chiara e univoca, anche ai sensi degli articoli 19 e 20, entro un termine certo”, in conformità alle disposizioni del medesimo art. 2. Il testo originario si limita a richiedere “l'adozione di un provvedimento espresso”; la nuova formulazione – e in specie il richiamo agli artt. 19 e 20 della L. 241/1990, che disciplinano rispettivamente la dichiarazione di inizio attività e le ipotesi di silenzio-assenso – consente di ritenere ammissibile anche una manifestazione di volontà implicita o tacita, purché “chiara ed univoca”;

§      in assenza di un termine fissato dalla legge o dalle amministrazioni competenti, i procedimenti di competenza delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali devono concludersi entro 30 giorni (anziché 90, come oggi previsto);

§      i termini che possono essere fissati per la conclusione dei procedimenti di competenza delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali, non possono in via generale superare i 90 giorni;

§      la fissazione di tali termini, per quanto concerne le amministrazioni statali, è rimessa non più a regolamenti governativi (da adottare con D.P.R. ai sensi dell’art. 17, co. 1, della L. 400/1988[94]) ma a regolamenti, da adottare (ex art. 17, co. 3, della stessa L. 400/1988) con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del ministro di volta in volta competente di concerto con i ministri per la pubblica amministrazione e l'innovazione e per la semplificazione normativa. All’introduzione di un termine massimo corrisponde il venir meno dell’indicazione di espliciti criteri per l’adozione dei regolamenti;

§      se per taluni procedimenti, e per ragioni connesse all’organizzazione amministrativa, alla natura degli interessi pubblici tutelati ed alla particolare complessità del procedimento, emergesse l’esigenza di fissare termini superiori a 90 giorni, il testé menzionato D.P.C.M. dev’essere adottato anche su proposta dei ministri per la pubblica amministrazione e l'innovazione e per la semplificazione normativa, e previa deliberazione del Consiglio dei ministri. I termini non possono comunque superare i 180 giorni.

La deliberazione del Consiglio dei ministri sembra richiesta in deroga alla disciplina di cui alla L. 400/1988. In particolare, l’art. 2 (Attribuzioni del Consiglio dei Ministri) di tale legge disciplina l’individuazione (tassativa) degli atti sottoposti alla deliberazione del Consiglio dei ministri, e l’art. 17 (Regolamenti) richiede la previa deliberazione del Consiglio dei ministri per i soli regolamenti governativi, approvati con D.P.R. ai sensi dei co. 1 e 2 dell’articolo, e non dei regolamenti ministeriali ex co. 3;

§      anche le Autorità di garanzia e di vigilanza sono chiamate a fissare i termini di conclusione dei procedimenti di propria competenza;

§      la sospensione dei termini ai fini dell’acquisizione di valutazioni tecniche da parte di organi appositi, già prevista dal comma 4 dell’art. 2, è stata ridisciplinata nel contesto della riformulazione del successivo art. 17 (vedi infra, la scheda di lettura sull’art. 27 del d.d.l.). Resta ferma la possibilità di sospensione, per una sola volta, per l'acquisizione di informazioni o di certificazioni; ma la durata di quest’ultima non può superare i 30 giorni;

§      è inoltre aggiunto un comma 9 nel quale si afferma la responsabilità personale del dirigente per le ulteriori spese conseguenti alla mancata emanazione del provvedimento nei termini prescritti.

Quest’ultima previsione va presumibilmente letta in correlazione con la disciplina recata dalla lettera b) del comma 1, che introduce nella L. 241/1990 il nuovo art. 2-bis (Conseguenze per il ritardo dell’amministrazione nella conclusione del procedimento). Tale articolo pone a carico di tutte le amministrazioni pubbliche – nonché ai soggetti privati preposti all'esercizio di attività amministrative di cui all’art. 1, co. 1-ter, della medesima L. 241/1990 – l’obbligo di risarcire il danno ingiusto causato dall’inosservanza, dolosa o colposa, dei termini procedimentali, e ciò senza riguardo all’effettiva spettanza al richiedente del beneficio derivante dal provvedimento richiesto (comma 1).

Indipendentemente dal risarcimento del danno (e in aggiunta a questo), il comma 2 dell’articolo dispone, in caso di ritardo, la corresponsione a titolo sanzionatorio di una somma di denaro, “in misura fissa ed eventualmente progressiva” tenuto conto degli interessi coinvolti. Anche quest’obbligo è osto a carico sia delle amministrazioni pubbliche sia dei soggetti privati preposti all'esercizio di attività amministrative.

Scopo evidente della disposizione è quello di offrire in tempi rapidi all’interessato un ristoro economico al pregiudizio subìto in virtù del mero ritardo dell’amministrazione (pregiudizio la cui esistenza e rilevanza appaiono presunte ex lege). In coerenza con tale assunto, la disposizione esclude la corresponsione della somma in tutte le ipotesi di silenzio-assenso.

L’entità della somma, i termini e le modalità di corresponsione sono definiti (comma 3) da un regolamento governativo adottato ai sensi dell’art. 17, co. 1, della L. 400/1988, sentita la Conferenza unificata Stato-regioni-città e autonomie locali.

Anche le Regioni e gli enti locali sono soggetti alla disciplina testé illustrata; essi peraltro determinano l’entità e le modalità di corresponsione della somma secondo le norme dei rispettivi ordinamenti.

Il comma 4 attribuisce le controversie in materia di mancato rispetto dei termini per la conclusione del procedimento alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Il diritto al risarcimento del danno si prescrive in cinque anni; il diritto alla corresponsione della somma a titolo sanzionatorio si prescrive invece in due anni.

In entrambi i casi, si prevede che il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno erariale, che l’art. 1 della L. 20/1994 fissa in cinque anni, decorre dalla data del pagamento, che deve essere comunicato entro 15 giorni dall’amministrazione gravata del relativo onere economico.

 

La L. 20/1994[95] reca disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti. L’art. 1 disciplina in particolare l’azione di responsabilità nei confronti dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica. Il co. 2 dell’articolo stabilisce che il diritto al risarcimento del danno erariale si prescrive in ogni caso in cinque anni, decorrenti dalla data in cui si è verificato il fatto dannoso, ovvero, in caso di occultamento doloso del danno, dalla data della sua scoperta.

 

Il comma 1, lettera c), dell’articolo 26 in commento apporta una modifica, a meri fini di coordinamento, al co. 5 del successivo art. 20 della L. 241/1990, in materia di silenzio assenso, adeguando al nuovo testo dell’art. 2 il rinvio ivi disposto al co. 4 (divenuto co. 7) del medesimo art. 2.

 

Il successivo comma 2 del medesimo articolo 26 inserisce il rispetto dei termini per la conclusione dei procedimenti tra gli elementi da considerare nell’ambito della valutazione dei dirigenti, anche al fine della corresponsione della retribuzione di risultato.

Il comma inoltre rimette al ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, di concerto con il Ministro per la semplificazione normativa, l’adozione delle linee di indirizzo per l'attuazione dell’intero articolo 26 in esame, nonché per i casi di “grave e ripetuta inosservanza” dell'obbligo di rispettare i termini fissati per ciascun procedimento.

 

Il procedimento per la valutazione del personale dirigenziale è disciplinato dall’art. 5 del D.Lgs. 286/1999[96]. Ai sensi del co. 4 di tale articolo, la valutazione costituisce presupposto per l'applicazione delle misure di cui all’art. 21 del D.Lgs. 165/2001, in materia di responsabilità dirigenziale.

La responsabilità dirigenziale disciplinata dal citato art. 21 non ha per oggetto la violazione di norme giuridiche da parte del dirigente, bensì la valutazione complessiva dell’attività della struttura cui è preposto. In particolare il dirigente è chiamato a rispondere del mancato raggiungimento degli obiettivi e dell’inosservanza delle direttive a lui imputabili. Le sanzioni previste sono graduate in relazione alla gravità dei casi: si va dal mancato rinnovo dell’incarico dirigenziale, alla revoca dell'incarico collocando il dirigente a disposizione, fino al recesso del rapporto di lavoro secondo le disposizioni del contratto collettivo.

La valutazione dei dirigenti è annuale ed è regolata da un procedimento che prevede due fasi (D.Lgs. 286/1999, art. 5). L’accertamento della responsabilità spetta al diretto superiore del dirigente (nel caso di alti dirigenti, quali i capi dipartimento, l’accertamento è fatto dal ministro), mentre l’eventuale provvedimento di sanzione è adottato da un comitato di garanti nominato dal Presidente del Consiglio (art. 22 del D.Lgs. 165/2001).

 

L’art. 24 del D.Lgs. 165 stabilisce che il trattamento economico del personale con qualifica di dirigente è fissato dai contratti collettivi per le aree dirigenziali, che ne determinano soltanto la misura fondamentale (comma 1).

Per gli stessi soggetti è inoltre previsto un trattamento economico accessorio – il quale consta di due voci: retribuzione di posizione (parte fissa) e retribuzione di risultato –, commisurato alle funzioni loro attribuite e alle responsabilità connesse. La graduazione delle funzioni e delle responsabilità (ai fini del calcolo del trattamento economico accessorio) è definita con decreti ministeriali (comma 1).

Il trattamento economico fondamentale spettante a coloro che rivestono incarichi di uffici dirigenziali di livello generale è invece stabilito con contratto individuale. Al medesimo contratto è anche demandata la quantificazione del trattamento economico accessorio, che deve essere correlato sia al livello di responsabilità che l'incarico comporta, sia ai risultati conseguiti dal dirigente generale nell'esercizio delle funzioni amministrative e di gestione. I criteri generali per l'individuazione dei trattamenti accessori massimi relativi agli incarichi di uffici dirigenziali di livello generale sono fissati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da emanarsi di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sulla base dei principi di contenimento della spesa, uniformità e perequazione (comma 2).

È fissato il principio della onnicomprensività della retribuzione definita contrattualmente: il trattamento economico remunera tutte le funzioni ed i compiti attribuiti ai dirigenti, compreso qualsiasi incarico ad essi conferito in funzione del loro ufficio o comunque attribuito loro dall'amministrazione di appartenenza; i compensi previsti per incarichi aggiuntivi conferiti ai dirigenti in ragione del loro ufficio o comunque conferiti dalle amministrazioni presso cui prestano servizio o su designazione delle stesse sono corrisposti dai terzi direttamente alle amministrazioni ed afferiscono ai fondi di tali amministrazioni per essere destinati al trattamento accessorio (comma 3). In virtù di tale principio anche i compensi spettanti ai dirigenti in base ad eventuali norme speciali sono assorbiti nel trattamento economico (comma 7).

Per il finanziamento del trattamento economico accessorio dei dirigenti è disposta l’istituzione, presso ciascuna amministrazione, di un apposito fondo (comma 8), nel quale confluiscono:

-        le risorse che si rendono disponibili dopo l’assorbimento nel trattamento economico onnicomprensivo degli ulteriori compensi spettanti ai dirigenti in base a norme speciali;

-        i compensi dovuti da terzi ai dirigenti per lo svolgimento di attività riconducibili agli stessi.

La struttura della retribuzione dei dirigenti è dettagliatamente disciplinata nei contratti collettivi. Per quanto riguarda i dirigenti dell’area ministeri[97], sia di prima che di seconda fascia, la retribuzione si compone di una parte fissa costituita da:

-        stipendio tabellare;

-        retribuzione individuale di anzianità, maturato economico annuo, assegni ad personam, ove acquisiti e spettanti in relazione a previgenti contratti collettivi nazionali;

-        retribuzione di posizione – parte fissa;

e di una parte variabile:

-          retribuzione di posizione – parte variabile;

-          retribuzione di risultato.

 

I commi da 3 a 5 dell’articolo 26 in commento recano le disposizioni necessarie per la prima applicazione del novellato art. 2 e del nuovo art. 2-bis della L. 241/1990.

In particolare, il comma 3 fissa tra l’altro il termine di un anno dalla data di entrata in vigore della legge per l’adozione, da parte della Presidenza del Consiglio, dei (nuovi) decreti concernenti la fissazione dei termini per la conclusione dei procedimenti.

Il comma 4 fissa il termine di sei mesi per l’adozione del regolamento attuativo dell’obbligo di corresponsione di una somma di danaro a titolo sanzionatorio in caso di ritardo nell’emanazione di un provvedimento, previsto dall’art. 2-bis. Il medesimo regolamento determina, in prima applicazione, l’importo della somma da corrispondere. Nei successivi due mesi le regioni e gli enti locali provvedono agli adempimenti di rispettiva competenza, previsti dal co. 3 (il testo in esame cita erroneamente il co. 4) dell’art. 2-bis. Decorsi i termini, in mancanza di tali atti decide il giudice secondo equità.

Ai sensi del comma 5, agli eventuali oneri derivanti dall'attuazione del menzionato art. 2-bis si fa fronte con gli stanziamenti di bilancio già previsti a legislazione vigente. Il comma reca altresì la consueta clausola di salvaguardia finanziaria che affida al ministro dell’economia e delle finanze il monitoraggio degli oneri eventualmente derivanti dall’articolo medesimo, anche ai fini dell’adozione dei provvedimenti correttivi di cui all’art. 11-ter, co. 7, della legge di contabilità (L. 468/1978).

 

L’art. 11-ter, co. 7, della L. 468/1978, come modificato dal D.L. 194/2002 (cd. decreto-legge “tagliaspese”), impegna i ministri di settore ad informare tempestivamente il Ministro dell’economia e delle finanze degli eventuali scostamenti rispetto alle previsioni di spesa che si verifichino nel corso dell’attuazione di provvedimenti legislativi. Il Ministro dell’economia è quindi tenuto a riferire al Parlamento con una propria relazione, che individui le cause che hanno determinato gli scostamenti, anche ai fini di eventuali conseguenti iniziative legislative. Il Ministro dell'economia e delle finanze può promuovere la procedura suddetta allorché riscontri che l'attuazione di leggi rechi pregiudizio al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica indicati dal Documento di programmazione economico-finanziaria e da eventuali aggiornamenti, come approvati dalle relative risoluzioni parlamentari.

 

È prevista, inoltre, sempre a fini di salvaguardia, la trasmissione alle Camere degli eventuali decreti adottati dal Ministro dell’economia e delle finanze, ai sensi dell’art. 7, co. 2°, n. 2), della L. 468/1978. Si tratta dei decreti mediante i quali il Ministro dell’economia e finanze provvede ad aumentare gli stanziamenti di capitoli di spesa aventi carattere obbligatorio, con risorse prelevate a valere sul Fondo di riserva per le spese obbligatorie e d'ordine[98].

Modificazioni proposte dall’articolo 26 al testo della L. 241/1990

L. 241/1990 (testo vigente)

L. 241/1990 (A.C. 1441, art. 26)

[…]

[…]

Art. 2
(Conclusione del procedimento)

Art. 2
(Conclusione del procedimento)

1. Ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad una istanza, ovvero debba essere iniziato d’ufficio, la pubblica amministrazione ha il dovere di concluderlo mediante l’adozione di un provvedimento espresso.

1. Ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad un'istanza, ovvero debba essere iniziato d'ufficio, le pubbliche amministrazioni hanno il dovere di concluderlo, mediante una manifestazione di volontà chiara e univoca, anche ai sensi degli articoli 19 e 20, entro un termine certo, stabilito conformemente alle disposizioni del presente articolo.

[Vedi comma 3].

2. Nei casi in cui disposizioni di legge ovvero i provvedimenti di cui ai commi 3, 4 e 5 non prevedono un termine diverso, i procedimenti amministrativi di competenza delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali devono concludersi entro il termine di trenta giorni.

2. Con uno o più regolamenti adottati ai sensi dell’articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro competente, di concerto con il Ministro per la funzione pubblica, sono stabiliti i termini entro i quali i procedimenti di competenza delle amministrazioni statali devono concludersi, ove non siano direttamente previsti per legge. Gli enti pubblici nazionali stabiliscono, secondo i propri ordinamenti, i termini entro i quali devono concludersi i procedimenti di propria competenza. I termini sono modulati tenendo conto della loro sostenibilità, sotto il profilo dell’orga­nizzazione amministrativa, e della natura degli interessi pubblici tutelati e decorrono dall’inizio di ufficio del procedimento o dal ricevimento della domanda, se il procedimento è ad iniziativa di parte.

3. Con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, adottati ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta dei Ministri competenti e di concerto con i Ministri per la pubblica amministrazione e l'innovazione e per la semplificazione normativa, sono individuati i termini non superiori a novanta giorni entro i quali devono concludersi i procedimenti di competenza delle amministrazioni statali. Gli enti pubblici nazionali stabiliscono, secondo i propri ordinamenti, i termini non superiori a novanta giorni entro i quali devono concludersi i procedimenti di propria competenza.

[Vedi anche commi 4 e 6].

[Vedi comma 2].

4. Nei casi in cui, tenendo conto della sostenibilità dei tempi sotto il profilo dell'organizzazione amministrativa, del­la natura degli interessi pubblici tutelati e della particolare complessità del procedimento, sono indispensabili termini superiori a novanta giorni per la conclusione dei procedimenti di competenza delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali, i decreti di cui al comma 3 sono adottati su proposta anche dei Ministri per la pubblica amministrazione e l'inno­vazione e per la semplificazione normativa e previa delibera del Consiglio dei ministri. I termini ivi previsti non possono comunque superare i centottanta giorni.

3. Qualora non si provveda ai sensi del comma 2, il termine è di novanta giorni.

[Vedi comma 2].

 

5. Fatto salvo quanto previsto da spe­cifiche disposizioni normative, le autorità di garanzia e di vigilanza disciplinano, in conformità ai propri ordinamenti, i termini di conclusione dei procedimenti di rispettiva competenza.

[Vedi comma 2].

6. I termini per la conclusione del procedimento decorrono dall’inizio del procedimento d’ufficio, ovvero dal ricevimento della domanda, se il procedimento è ad iniziativa di parte.

4. Nei casi in cui leggi o regolamenti prevedono per l’adozione di un provvedimento l’acquisizione di valutazioni tecniche di organi o enti appositi, i termini di cui ai commi 2 e 3 sono sospesi fino all’acquisizione delle valutazioni tecniche per un periodo massimo comunque non superiore a novanta giorni. I termini di cui ai commi 2 e 3 possono essere altresì sospesi, per una sola volta, per l’acquisizione di informazioni o certificazioni relative a fatti, stati o qualità non attestati in documenti già in possesso dell’amministrazione stessa o non direttamente acquisibili presso altre pubbliche amministrazioni. Si applicano le disposizioni dell’articolo 14, comma 2.

7. Fatto salvo quanto previsto dall'articolo 17, i termini di cui ai commi 2, 3, 4 e 5 del presente articolo possono essere sospesi, per una sola volta e per un periodo non superiore a trenta giorni, per l'acquisizione di informazioni o di certificazioni relative a fatti, stati o qualità non attestati in documenti già in possesso dell'amministrazione stessa o non direttamente acquisibili presso altre pubbliche amministrazioni. Si applicano le disposizioni dell'articolo 14, comma 2.

[Vedi anche l’art. 27 dell’A.C. 1441].

5. Salvi i casi di silenzio assenso, decorsi i termini di cui ai commi 2 o 3, il ricorso avverso il silenzio dell’amministrazione, ai sensi dell’articolo 21-bis della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, può essere proposto anche senza necessità di diffida all’amministrazione inadempiente, fintanto che perdura l’inadempimento e comunque non oltre un anno dalla scadenza dei termini di cui ai predetti commi 2 o 3. Il giudice amministrativo può conoscere della fondatezza dell’istanza. È fatta salva la riproponibilità dell’istanza di avvio del procedimento ove ne ricorrano i presupposti.

8. Salvi i casi di silenzio assenso, decorsi i termini per la conclusione del procedimento, il ricorso avverso il silenzio dell'amministrazione, ai sensi dell'articolo 21-bis della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, può essere proposto anche senza diffida all'amministrazione inadempiente, fintanto che perdura l'inadempimento e comunque non oltre un anno dalla scadenza dei termini di cui ai commi 2 o 3 del presente articolo. Il giudice amministrativo può conoscere della fondatezza dell'istanza. È fatta salva la riproponibilità dell'istanza di avvio del procedimento ove ne ricorrano i presupposti.

 

9. Il dirigente è personalmente respon­sabile delle ulteriori spese conseguenti alla mancata emanazione del provve­dimento nei termini prescritti.

 

Art. 2-bis
(Conseguenze per il ritardo dell’amministrazione nella conclusione del procedimento)

 

1. Le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all'articolo 1, comma 1-ter, sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conse­guenza dell'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, indipendentemente dalla spettanza del beneficio derivante dal provvedimento richiesto.

 

2. Indipendentemente dal risarcimento del danno di cui al comma 1, e con l'esclusione delle ipotesi in cui il silenzio dell'amministrazione compe­tente equivale a provvedimento di accoglimento dell'istanza, in caso di inosservanza del termine di conclusione del procedimento, le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all'articolo 1, comma 1-ter, corrispondono ai soggetti istanti, per il mero ritardo, una somma di denaro stabilita in misura fissa ed eventual­mente progressiva, tenuto conto anche della rilevanza degli interessi coinvolti nel procedimento stesso.

 

3. Con regolamento, emanato su proposta dei Ministri per la pubblica amministrazione e l'innovazione e per la semplificazione normativa ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, sono stabiliti la misura e il termine di corresponsione della somma di cui al comma 2 del presente articolo. Il regolamento stabilisce, altresì, le modalità di pagamento per le amministrazioni statali, gli enti pubblici nazionali e i soggetti di cui all'articolo 1, comma 1-ter. Le regioni, le province e i comuni determinano modalità di pagamento per i procedimenti di propria competenza.

 

4. Le controversie relative all'appli­cazione del presente articolo sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Il diritto al risarcimento del danno di cui al comma 1 si prescrive in cinque anni; il diritto alla corresponsione della somma di cui al comma 2 si prescrive in due anni. In entrambi i casi, il termine di prescrizione di cui all'articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, e successive modificazioni, decorre dalla data del pagamento, che deve essere comunicata entro quindici giorni dall'amministrazione gravata del relativo onere economico.

[…]

[…]

Art. 20
(Silenzio assenso)

Art. 20
(Silenzio assenso)

1. Fatta salva l'applicazione dell'articolo 19, nei procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti ammini­strativi il silenzio dell'amministrazione competente equivale a provvedimento di accoglimento della domanda, senza necessità di ulteriori istanze o diffide, se la medesima amministrazione non comunica all'interessato, nel termine di cui all'articolo 2, commi 2 o 3, il provvedimento di diniego, ovvero non procede ai sensi del comma 2.

1. [Identico].

2. L'amministrazione competente può indire, entro trenta giorni dalla presenta­zione dell'istanza di cui al comma 1, una conferenza di servizi ai sensi del capo IV, anche tenendo conto delle situazioni giuridiche soggettive dei controinteressati.

2. [Identico].

3. Nei casi in cui il silenzio dell'ammini­strazione equivale ad accoglimento della domanda, l'amministrazione competente può assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies.

3. [Identico].

4. Le disposizioni del presente articolo non si applicano agli atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, l'ambiente, la difesa nazionale, la pubblica sicurezza e l'immigrazione, la salute e la pubblica incolumità, ai casi in cui la normativa comunitaria impone l'adozione di provvedimenti amministrativi formali, ai casi in cui la legge qualifica il silenzio dell'amministrazione come rigetto dell'istanza, nonché agli atti e procedimenti individuati con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per la funzione pubblica, di concerto con i Ministri competenti.

4. Le disposizioni del presente articolo non si applicano agli atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, l’ambiente, la difesa nazionale, la pubblica sicurezza, l’immigrazione e la cittadinanza, la salute e la pubblica incolumità, ai casi in cui la normativa comunitaria impone l’adozione di provvedimenti amministrativi formali, ai casi in cui la legge qualifica il silenzio dell’amministrazione come rigetto dell’istanza, nonché agli atti e procedimenti individuati con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per la funzione pubblica, di concerto con i Ministri competenti[99].

5. Si applicano gli articoli 2, comma 4, e 10-bis.

5. Si applicano gli articoli 2, comma 7, e 10-bis.

[…]

[…]

 

 

 


 

Articolo 27
(Certezza dei tempi in caso di attività consultiva e valutazioni tecniche)

 


1. Alla legge 7 agosto 1990, n. 241, come da ultimo modificata dall'articolo 26 della presente legge, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all'articolo 16:

1) al comma 1, dopo le parole: «sarà reso» sono aggiunte le seguenti: «, che comunque non può superare i quarantacinque giorni dal ricevimento della richiesta»;

2) il comma 2 è sostituito dal seguente:

«2. In caso di decorrenza del termine senza che sia stato comunicato il parere obbligatorio o senza che l'organo adito abbia rappresentato esigenze istruttorie, è in facoltà dell'amministrazione richiedente di procedere indipendentemente dall'espressione del parere. In caso di decorrenza del termine senza che sia stato comunicato il parere facoltativo o senza che l'organo adito abbia rappresentato esigenze istruttorie, l'amministrazione richiedente procede indipendentemente dall'espressione del parere. Salvo il caso di omessa richiesta del parere, il responsabile del procedimento non può essere chiamato a rispondere degli eventuali danni derivanti dalla mancata espressione dei pareri di cui al presente comma»;

3) al comma 4, le parole: «il termine di cui al comma 1 può essere interrotto» sono sostituite dalle seguenti: «i termini di cui al comma 1 possono essere interrotti»;

4) il comma 5 è sostituito dal seguente:

«5. I pareri di cui al comma 1 sono trasmessi con mezzi telematici»;

5) dopo il comma 6 è aggiunto il seguente:

«6-bis. Resta fermo quanto previsto dall'articolo 127 del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni»;

b) all'articolo 17:

1) al comma 1 sono aggiunti, in fine, i seguenti periodi: «Decorsi inutilmente ulteriori novanta giorni, il responsabile del procedimento provvede comunque all'adozione del provvedimento. Salvo il caso di omessa richiesta della valutazione, il responsabile del procedimento non può essere chiamato a rispondere degli eventuali danni derivanti dalla mancata emissione delle valutazioni tecniche di cui al presente comma»;

2) dopo il comma 2 sono inseriti i seguenti:

«2-bis. Nei casi in cui leggi o regolamenti prevedono per l'adozione di un provvedimento l'acquisizione di valutazioni tecniche, i termini di cui all'articolo 2, commi 2, 3, 4 e 5, sono sospesi fino all'acquisizione della valutazione e, comunque, salvo che per i casi di cui al comma 2 del presente articolo, non oltre i termini massimi di cui al comma 1.

2-ter. I servizi di controllo interno delle singole amministrazioni statali, ovvero le strutture delle medesime amministrazioni cui sono affidate, in forza dei rispettivi ordinamenti, le verifiche sul rispetto dei termini procedimentali, e i corrispondenti uffici od organi degli enti pubblici nazionali sono tenuti, anche avvalendosi dei sistemi di protocollo informatico, a misurare i tempi medi di conclusione dei procedimenti, nonché a predisporre un apposito rapporto annuale, indicando il numero e le tipologie dei procedimenti che non si sono conclusi nei termini previsti.

2-quater. Il rapporto di cui al comma 2-ter, corredato da un piano di riduzione dei tempi, è presentato ogni anno, entro il 15 febbraio dell'anno successivo, alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Sulla base delle risultanze del rapporto si provvede, anche su impulso di quest'ultima, al conseguente adeguamento dei termini di conclusione dei procedimenti con le modalità di cui all'articolo 2, commi 3 e 4»;

c) all'articolo 25, comma 4, dopo le parole: «Nei confronti degli atti delle pubbliche amministrazioni centrali e periferiche dello Stato tale richiesta è inoltrata presso la Commissione per l'accesso di cui all'articolo 27» sono inserite le seguenti: «nonché presso l'amministrazione resistente».


 

 

L’articolo 27, comma 1, novella - alle lettere a) e b) - gli artt. 16 e 17 della L. 241/1990[100], introducendo modifiche alla disciplina generale relativa all’acquisizione di pareri e valutazioni tecniche nell’ambito dell’istruttoria del procedimento amministrativo, al fine di abbreviare e dare maggiore certezza ai tempi di conclusione della fase consultiva.

 

Le disposizioni riprendono – con taluni aggiustamenti – il contenuto di analoghe previsione contenute nell’art. 1 del disegno di legge governativo recante disposizioni volte alla modernizzazione e all' incremento dell'efficienza delle amministrazioni pubbliche nonché alla riduzione degli oneri burocratici per i cittadini e per le imprese, approvato dalla Camera dei deputati nel corso della scorsa legislatura (A.C. 2161, c.d. ddl Nicolais). L’iter del provvedimento al Senato (A.S. 1859) non fu completato entro la fine della XV legislatura.

 

Diversamente da quanto indicato nella rubrica dell’articolo, la lettera c) del comma 1 dell’articolo in esame introduce invece modifiche alla disciplina delle modalità di esercizio del diritto di accesso, prevista dall’art. 25 della L. 241/1990.

 

Una sintetica illustrazione della L. 241/1990 e delle modificazioni ad essa apportate è riportata nella scheda di lettura sull’articolo 26.

Per un esame analitico delle modificazioni apportate alla L. 241/1990, si rinvia al testo a fronte riportato in calce alla presente scheda di lettura.

 

La lettera a) del comma 1 introduce modifiche alla disciplina dei termini per l’espressione dei pareri ed alle modalità della loro trasmissione.

 

L’art. 16 della L. 241/1990, come risultante a seguito delle modifiche introdotte dall’art. 17, co. 24, L. 127/1997[101], reca una disciplina generale del termine per l’espressione dei pareri nell’ambito del procedimento amministrativo, prevedendo un diverso regime a seconda che l’attiva consultiva abbia carattere obbligatorio (e quindi l’amministrazione procedente sia tenuta a richiedere un parere all’organo consultivo) ovvero facoltativo (e quindi la decisione circa la richiesta del parere sia rimessa alla discrezionalità dell’amministrazione procedente).

Quanto ai pareri obbligatori l’art. 16 stabilisce che le pubbliche amministrazioni, così come definite dall’art. 1, co. 2, del D.Lgs 165/2001[102], provvedano ad emetterli entro 45 giorni dal ricevimento della relativa richiesta[103]. Qualora l’organo consultato abbia rappresentato esigenze di carattere istruttorio, il termine può essere interrotto per una sola volta e, comunque, il parere deve essere reso entro 15 giorni dal ricezione degli elementi istruttori da parte dell’amministrazioni cui sia stato richiesto il parere stesso[104].

Per i pareri facoltativi non è invece previsto un termine di carattere generale, stabilendosi che siano gli organi consultivi interpellati a dare immediata comunicazione alle amministrazioni richiedenti del termine previsto per l’emissione del parere.

In ogni caso, una volta decorso il termine previsto per l’espressione del parere senza che esso sia stato comunicato o siano state rappresentate esigenze istruttorie l’amministrazione richiedente ha la facoltà di proseguire il procedimento anche in assenza del parere stesso[105]. La mancata espressione del parere entro i termini previsti realizza secondo la dottrina una fattispecie di silenzio procedimentale (c.d. silenzio facoltativo), che si caratterizza per il venir meno dell’obbligatorietà dell’acquisizione dei pareri richiesti, analogamente a quanto avveniva nell’istituto dell’accantonamento dei pareri precedentemente previsto in specifiche normative settoriali.

La disciplina sopra descritta in materia di termini e di prescindibilità del parere non si applica peraltro ai pareri che devono essere rilasciati da amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistica, territoriale e della salute dei cittadini.

 

Il numero 1) della lettera a) in esame introduce un termine generale anche in relazione all’espressione di pareri facoltativi, prevedendo che l’organo consultivo non possa indicare un termine che ecceda i 45 giorni dal ricevimento della richiesta, termine che – come si è detto – già si applica ex lege ai pareri obbligatori.

Al riguardo si segnala che tale termine generale, così come quello attualmente previsto per i pareri obbligatori, eccede il termine per la conclusione del procedimento, che la nuova formulazione dell’art. 2, co. 2, della L. 241/1990, come sostituito dall’art. 26 del d.d.l. in esame, ha ridotto (salva diversa disposizione) a 30 giorni. Tale circostanza appare particolarmente rilevante se si tiene conto che – diversamente da quanto disposto per le valutazioni tecniche (v. infra) – non è prevista la sospensione del termine per la conclusione del procedimento fino al momento dell’acquisizione del parere.

 

Il numero 2) della lettera a) innova invece la disciplina relativa alla mancata espressione del parere nei termini prescritti, prevedendo una diversa regolamentazione secondo che il parere sia obbligatorio o facoltativo. Nel secondo caso, infatti, l’amministrazione richiedente ha il dovere (e non la facoltà) di procedere indipendentemente dal parere stesso.

Nel caso di mancata espressione di un parere obbligatorio, continua invece ad applicarsi la disciplina attualmente vigente, in base alla quale l’amministrazione richiedente ha la facoltà di proseguire il procedimento in assenza del parere stesso.

In entrambi i casi, il responsabile del procedimento[106] non può essere chiamato a rispondere degli eventuali danni derivanti dalla mancata espressione dei pareri, a meno che abbia omesso di richiedere il previsto parere.

 

Il successivo numero 3), in relazione alla fissazione di un termine generale anche per l’espressione dei pareri facoltativi, estende a questi ultimi la disciplina dell’interruzione dei termini per esigenze di carattere istruttorio già prevista per i pareri obbligatori dall’art. 16, co. 4, della L. 241/1990.

 

Come già segnalato, in base alla disciplina vigente, che si applica ai soli pareri obbligatori, nel caso in cui l’organo adito abbia rappresentato esigenze istruttorie itermini per l’espressine del parere possono essere interrotti per una sola volta e il parere deve essere reso definitivamente entro 15 giorni dalla ricezione degli elementi istruttori da parte delle amministrazioni interessate

 

Il numero 4) interviene sulle modalità di trasmissione del parere da parte dell’organo consultivo, prevedendo che all’invio si debba sempre provvedere con mezzi telematici, innovando rispetto al vigente comma 5 dell’art. 16, in base al quale tale obbligo è limitato ai soli pareri favorevoli privi di osservazioni ed è realizzabile in via alternativa attraverso il ricorso ad una comunicazione telegrafica.

Quanto alla formulazione della disposizione, potrebbe valutarsi l’opportunità di un maggior coordinamento con la disciplina vigente in materia di trasmissioni telematiche ed informatiche tra le pubbliche amministrazioni.

In proposito si ricorda che il Codice dell’amministrazione digitale[107] prevede in via generale che le comunicazioni di documenti tra le pubbliche amministrazioni avvengano di norma mediante l’utilizzo della posta elettronica, subordinandone la validità ai fini del procedimento amministrativo alla verifica della provenienza (art. 47, comma 1). In base al comma 2 dell’art. 47 sono considerate valide le comunicazioni:

-        sottoscritte con firma digitale o altro tipo di firma elettronica qualificata;

-        dotate di protocollo informatizzato;

-        delle quali è comunque possibile accertare la provenienza, secondo quanto previsto dalla normativa vigente o dalle regole tecniche previste dall’articolo 71 del Codice;

-        trasmesse attraverso sistemi di posta elettronica certificata.

Il numero 5) della lettera a) fa in ogni caso salvo quanto previsto dall’articolo 127 del Codice dei contratti pubblici[108].

Tale disposizione prevede, al comma 3, che il Consiglio superiore dei lavori pubblici esprima:

§      parere obbligatorio sui progetti definitivi di lavori pubblici di competenza statale – o comunque finanziati per almeno il 50 per cento dallo Stato – di importo superiore ai 25 milioni di euro;

§      parere sui progetti delle altre stazioni appaltanti che siano pubbliche amministrazioni, sempre superiori a tale importo, e nel caso ne facciano richiesta.

Per i lavori pubblici di importo inferiore a 25 milioni di euro, la stessa disposizione prevede che le competenze del Consiglio siano esercitate dai comitati tecnici amministrativi presso i servizi integrati infrastrutture e trasporti (SIIT) e che se il lavoro pubblico di importo inferiore a 25 milioni di euro, presenti elementi di particolare rilevanza e complessità, il direttore del settore infrastrutture sottopone il progetto, con motivata relazione illustrativa, al parere del Consiglio superiore.

Si segnala, inoltre, che il comma 2 dell’art. 127 demanda ad un successivo D.P.R., da adottare su proposta del ministro delle infrastrutture, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, l’attribuzione al Consiglio superiore, su materie identiche o affini a quelle già di competenza del Consiglio medesimo, poteri consultivi affidati dalla normativa vigente ad altri organi istituiti presso altre amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo.

Il successivo comma 5 prevede che il parere sia espresso entro 45 giorni dalla trasmissione del progetto e che, decorso tale termine, il procedimento prosegua prescindendo dal parere omesso; in tal caso, l’amministrazione motiva autonomamente l’atto amministrativo da emanare.

 

La lettera b) del comma 1 dell’articolo in commento modifica la disciplina dell’acquisizione delle valutazioni tecniche[109], contenuta nell’art. 17 della L. 241/1990.

In base a tale disposizione, qualora ai fini dell’adozione di un provvedimento una legge o un regolamento prevedano l’obbligo di preventiva acquisizione di valutazioni tecniche, i soggetti consultati debbano provvedere entro i termini previsti dalla disposizione che prevede la valutazione o, in mancanza, entro 90 giorni dal ricevimento della richiesta.

Decorso tale termine senza che siano state comunicate le valutazioni e non siano state rappresentate esigenze istruttorie di competenza dell’amministrazione procedente[110], il responsabile del procedimento ha il dovere di richiedere le suddette valutazioni ad altri organi della pubblica amministrazione o ad enti pubblici dotati di qualificazione e capacità tecnica equipollenti, ovvero ad istituti universitari. A tale riguardo la dottrina ha parlato di silenzio devolutivo, in quanto il silenzio dell’organo consultivo comporta la devoluzione della competenza in ordine alle valutazioni tecniche ad un soggetto diverso da quello normativamente previsto.

In conformità a quanto previsto per i pareri, la disciplina sopra descritta non si applica in caso di valutazioni che devono essere prodotte da amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale[111] e della salute dei cittadini.

 

Il numero 1) della lettera b) prevede una specifica disciplina per il caso in cui anche il nuovo soggetto cui siano state richieste le valutazioni tecniche non provveda a trasmetterle entro il termine di 90 giorni dalla nuova richiesta.

In tale circostanza – analogamente a quanto previsto dalla lettera a) per la mancata emissione di pareri facoltativi – il responsabile del procedimento deve adottare il provvedimento anche in assenza delle valutazioni tecniche, e non può essere chiamato a rispondere di eventuali danni derivanti dalla mancata emissione delle valutazioni tecniche.

Al riguardo si segnala che in base alla formulazione letterale del testo non appare chiaro se il soggetto interpellato in seconda istanza possa rappresentare esigenze istruttorie all’amministrazione procedente, in tal modo interrompendo il termine di 90 giorni.

 

Il numero 2) della disposizione in esame – introducendo tre nuovi commi nell’articolo 17 – stabilisce in primo luogo che, qualora leggi o regolamenti prevedano la necessità di acquisire valutazioni tecniche, i termini per la conclusione dei relativi procedimenti siano sospesi fino all’acquisizione delle valutazioni stesse e, comunque, per un periodo non superiore ai termini massimi stabiliti per tale acquisizione. Il riferimento ai termini massimi non si applica alle valutazioni che devono essere prodotte da amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale e della salute dei cittadini, per la cui espressione – come si è visto – non sono previsti termini massimi.

La formulazione della disposizione non pare di univoca interpretazione con riferimento all’identificazione dei termini massimi, non essendo in particolare chiaro se la dizione ricomprenda le eventuali interruzioni del termine per esigenze istruttorie.

I due commi successivi pongono a carico dei competenti uffici all’interno delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali l’obbligo di effettuare un costante monitoraggio sui tempi di conclusione dei procedimenti e sul rispetto dei relativi termini, anche attraverso l’utilizzo dei sistemi di protocollo informatico[112].

 

Più in particolare, le attività di verifica sono attribuite ai servizi di controllo interno o alle altre strutture competenti in materia, secondo i rispettivi ordinamenti.

Con riferimento ai servizi di controllo interno (cd. SECIN), si ricorda che essi sono stati previsti in via generale, nell’ambito del riordino degli strumenti e degli organismi di controllo interno , dall’art. 6 del D.Lgs. 298/1999[113].

In base a detta disposizione, essi svolgono attività di valutazione e controllo strategico, effettuando analisi, preventive e successive, della congruenza e degli eventuali scostamenti tra le missioni affidate dalle norme, gli obiettivi operativi prescelti, le scelte operative effettuate e le risorse umane, finanziarie e materiali assegnate, nonché procedendo all’identificazione degli eventuali fattori ostativi, delle eventuali responsabilità per la mancata o parziale attuazione, dei possibili rimedi.

Nelle amministrazioni dello Stato il controllo interno è affidato ad apposito ufficio, operante nell'àmbito delle strutture di diretta collaborazione, denominato servizio di controllo interno e dotato di adeguata autonomia operativa. La direzione dell'ufficio può essere dal Ministro affidata ad un organo monocratico o composto da tre componenti. In caso di previsione di un organo con tre componenti viene nominato un presidente, ferma restando la possibilità di ricorrere, anche per la direzione stessa, ad esperti estranei alla pubblica amministrazione. I servizi di controllo interno redigono almeno annualmente una relazione sui risultati delle analisi effettuate, con proposte di miglioramento della funzionalità delle amministrazioni. Possono svolgere, anche su richiesta del Ministro, analisi su politiche e programmi specifici dell'amministrazione di appartenenza e fornire indicazioni e proposte sulla sistematica generale dei controlli interni nell'amministrazione.

 

Le risultanze di tale controllo dovranno formare oggetto di un rapporto da trasmettere, unitamente a un piano di riduzione dei tempi, alla Presidenza del Consiglio dei ministri entro il 15 febbraio di ogni anno.

Il rapporto costituirà la base per la periodica revisione dei termini fissati dalle singole amministrazioni ai sensi del novellato art. 2 della L. 241, sopra illustrato.

 

Con riferimento alla formulazione della novella in esame, sembra opportuno verificare la congruità dell’inserimento di disposizioni relative alla verifica dei tempi di conclusione dei procedimenti amministrativi nell’articolo 17 della L. 241/1990, che reca la disciplina dell’acquisizione delle valutazioni tecniche.

A tale proposito, si segnala che disposizioni sostanzialmente corrispondenti a quelle in esame erano previste anche nell’A.C. 2161 della scorsa legislatura, ma non erano formulate in termine di novella all’articolo 17 della legge sul procedimento amministrativo.

 

La lettera c) del comma 1 dell’articolo in esame interviene invece sulla disciplina della tutela non giurisdizionale nei casi di diniego, espresso o tacito, dell'accesso agli atti amministrativi o di differimento dello stesso.

 

L’art. 22 della L. 241/1990 ha riconosciuto in via generale il diritto degli interessati di prendere visione e di estrarre copia di documenti amministrativi. il diritto di accesso così riconosciuto costituisce, secondo la prevalente giurisprudenza amministrativa[114], un diritto soggettivo a carattere strumentale rispetto alla protezione di un’ulteriore o sottesa situazione soggettiva, che non necessariamente è di interesse legittimo o di diritto soggettivo, ma che può avere la consistenza di un interesse collettivo o diffuso o di un interesse semplice o di fatto.

In assenza di casi che giustifichino l’esclusione o il differimento dell’accesso, il relativo procedimento deve concludersi entro 30 giorni dalla presentazione della richiesta all'ufficio competente. L'amministrazione può decidere di negare, limitare o rinviare temporaneamente l'accesso, specificandone le ragioni nella risposta. La mancata risposta entro il termine di 30 giorni costituisce una fattispecie di tacito diniego della richiesta di accesso. Contro le decisioni (o la mancata risposta) dell'amministrazione, il cittadino ha accesso a forme di tutela giurisdizionale e amministrativa, che sono state ridisegnate da ultimo con la L. 15/2005[115]. Entro 30 giorni l’interessato:

-        può ricorrere al tribunale amministrativo regionale, che decide in camera di consiglio entro 30 giorni dal termine per la presentazione del ricorso;

-        chiedere un riesame della suddetta determinazione.

Nei confronti degli atti delle amministrazioni comunali, provinciali e regionali, il riesame può essere richiesto al difensore civico competente per ambito territoriale, ove costituito. Qualora detto organo non sia stato istituito, la competenza è attribuita al difensore civico competente per l'ambito territoriale immediatamente superiore.

Nei confronti degli atti delle amministrazioni centrali e periferiche dello Stato tale richiesta è inoltrata presso la Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi, istituita dall’art. 27 della L. 241/1990.

Il difensore civico e la Commissione per l'accesso si pronunciano entro 30 giorni dalla presentazione dell’istanza, altrimenti essa si intende respinta. Qualora il diniego o il differimento dell’accesso siano ritenuti illegittimi, l’autorità competente può adottare un provvedimento confermativo motivato entro 30 giorni dalla comunicazione della decisione, altrimenti l’accesso si intende consentito.

Quanto ai rapporti tra rimedi amministrativi e giurisdizionale, il ricorso amministrativo non ha carattere alternativo, ma ha effetto sospensivo sul decorso dei termini per la presentazione del ricorso in sede giurisdizionale.

Quando l’accesso sia negato o differito per motivi inerenti ai dati personali riferiti a soggetti terzi, si prevede la consultazione preventiva, da parte della Commissione, del Garante per la protezione dei dati personali, che si pronuncia entro il termine di 10 giorni dalla richiesta.

Quanto ai profili procedurali del ricorso alla Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi, essi sono disciplinati dall’art. 12 del regolamento in materia di accesso[116].

La presentazione del ricorso avviene a mezzo di raccomandata con avviso di ricevimento indirizzata alla Commissione. ovvero a mezzo fax o per via telematica.

Il ricorso deve essere notificato ad eventuali soggetti controinteressati ed è presentato nel termine di trenta giorni dalla piena conoscenza del provvedimento impugnato o dalla formazione del silenzio rigetto sulla richiesta d'accesso. Nel termine di quindici giorni dall'avvenuta comunicazione i controinteressati possono presentare alla Commissione le loro controdeduzioni. Ove la Commissione ravvisi l'esistenza di controinteressati, non già individuati nel corso del procedimento, notifica anche ad essi il ricorso.

La decisione della Commissione è comunicata alle parti e al soggetto che ha adottato il provvedimento impugnato entro il medesimo termine previsto per l’adozione della decisione.

 

La disposizione in esame interviene sulla disciplina del riesame in sede amministrativa, prevedendo che la richiesta di riesame debba essere trasmessa – oltre che alla Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi – anche all’amministrazione interessata, qualificata dalla norma come “resistente” pur in assenza di una controversia di carattere giurisdizionale.

 

Al riguardo, si segnala che – in assenza di indicazioni al riguardo nella relazione illustrativa che accompagna il provvedimento – non appare di immediata evidenza la ratio dell’innovazione introdotta, non essendo in particolare chiaro se la comunicazione all’amministrazione sia finalizzata ad un suo intervento nel procedimento di riesame svolto dalla Commissione per l’accesso.

In ogni caso, si rileva che la disposizione in esame non prevede una analoga trasmissione della richiesta di riesame anche all’amministrazione interessata con riferimento all’accesso agli atti delle amministrazioni comunali, provinciali e regionali.

Modificazioni proposte dall’articolo 27 al testo della L. 241/1990

L. 241/1990 (testo vigente)

L. 241/1990 (A.C. 1441, art. 27)

[…]

[…]

Art. 16
(Attività consultiva)

Art. 16
(Attività consultiva)

1. Gli organi consultivi delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, sono tenuti a rendere i pareri ad essi obbligatoriamente richiesti entro quarantacinque giorni dal ricevimento della richiesta. Qualora siano richiesti di pareri facoltativi, sono tenuti a dare immediata comunicazione alle amministrazioni richiedenti del termine entro il quale il parere sarà reso.

1. Gli organi consultivi delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, sono tenuti a rendere i pareri ad essi obbligatoriamente richiesti entro quaranta­cinque giorni dal ricevimento della richiesta. Qualora siano richiesti di pareri facoltativi, sono tenuti a dare immediata comunicazione alle amministrazioni richiedenti del termine entro il quale il parere sarà reso, che comunque non può superare i quarantacinque giorni dal ricevimento della richiesta.

2. In caso di decorrenza del termine senza che sia stato comunicato il parere o senza che l’organo adito abbia rappresentato esigenze istruttorie, è in facoltà dell’am­ministrazione richiedente di procedere indipendentemente dall’acquisizione del parere.

2.In caso di decorrenza del termine senza che sia stato comunicato il parere obbligatorio o senza che l’organo adito abbia rappresentato esigenze istruttorie, è in facoltà dell’amministrazione richiedente di procedere indipendentemente dall’e­spressione del parere. In caso di decorrenza del termine senza che sia stato comunicato il parere facoltativo o senza che l’organo adito abbia rappre­sentato esigenze istruttorie, l’ammini­strazione richiedente procede indipen­dentemente dall’espressione del parere. Salvo il caso di omessa richiesta del parere, il responsabile del procedi­mento non può essere chiamato a rispondere degli eventuali danni derivanti dalla mancata espressione dei pareri di cui al presente comma.

3. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 non si applicano in caso di pareri che debbano essere rilasciati da amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistica, territoriale e della salute dei cittadini .

3. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 non si applicano in caso di pareri che debbano essere rilasciati da amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistica, territoriale e della salute dei cittadini .

4. Nel caso in cui l’organo adito abbia rappresentato esigenze istruttorie il termine di cui al comma 1 può essere interrotto per una sola volta e il parere deve essere reso definitivamente entro quindici giorni dalla ricezione degli elementi istruttori da parte delle amministrazioni interessate.

4. Nel caso in cui l’organo adito abbia rappresentato esigenze istruttorie i termini di cui al comma 1 possono essere interrotti per una sola volta e il parere deve essere reso definitivamente entro quindici giorni dalla ricezione degli elementi istruttori da parte delle amministrazioni interessate.

5. Qualora il parere sia favorevole, senza osservazioni, il dispositivo è comunicato telegraficamente o con mezzi telematici.

5. I pareri di cui al comma 1 sono trasmessi con mezzi telematici.

6. Gli organi consultivi dello Stato predispongono procedure di particolare urgenza per l’adozione dei pareri loro richiesti .

6. Gli organi consultivi dello Stato predispongono procedure di particolare urgenza per l’adozione dei pareri loro richiesti.

 

6-bis. Resta fermo quanto previsto dall’articolo 127 del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni.

Art. 17
(Valutazioni tecniche)

Art. 17
(Valutazioni tecniche)

1. Ove per disposizione espressa di legge o di regolamento sia previsto che per l’adozione di un provvedimento debbano essere preventivamente acquisite le valu­tazioni tecniche di organi od enti appositi e tali organi ed enti non provvedano o non rappresentino esigenze istruttorie di competenza dell’amministrazione proce­dente nei termini prefissati dalla disposizione stessa o, in mancanza, entro novanta giorni dal ricevimento della richiesta, il responsabile del procedimento deve chiedere le suddette valutazioni tecniche ad altri organi dell’ammini­strazione pubblica o ad enti pubblici che siano dotati di qualificazione e capacità tecnica equipollenti, ovvero ad istituti universitari.

1. Ove per disposizione espressa di legge o di regolamento sia previsto che per l’adozione di un provvedimento debbano essere preventivamente acquisite le valutazioni tecniche di organi od enti appositi e tali organi ed enti non provve­dano o non rappresentino esigenze istruttorie di competenza dell’ammini­strazione procedente nei termini prefissati dalla disposizione stessa o, in mancanza, entro novanta giorni dal ricevimento della richiesta, il responsabile del procedimento deve chiedere le suddette valutazioni tecniche ad altri organi dell’ammini­strazione pubblica o ad enti pubblici che siano dotati di qualificazione e capacità tecnica equipollenti, ovvero ad istituti universitari. Decorsi inutilmente ulteriori novanta giorni, l’organo competente procede comunque all’adozione del provvedimento. In tal caso, l’organo competente ad adottare il provvedi­mento non può essere chiamato a rispondere degli eventuali danni derivanti dalla mancata emissione delle valutazioni tecniche di cui al presente comma.

 

2. La disposizione di cui al comma 1 non si applica in caso di valutazioni che debbano essere prodotte da amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale e della salute dei cittadini.

2. La disposizione di cui al comma 1 non si applica in caso di valutazioni che debbano essere prodotte da amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale e della salute dei cittadini.

[Vedi art. 2, comma 4].

2-bis. Nei casi in cui leggi o regolamenti prevedono per l’adozione di un provvedimento l’acquisizione di valutazioni tecniche, i termini di cui all’articolo 2, commi 2, 3, 4 e 5, sono sospesi fino all’acquisizione della valutazione e, comunque, salvo che per i casi di cui al comma 2 del presente articolo, non oltre i termini massimi previsti dal comma 1.

 

2-ter. I servizi di controllo interno delle singole amministrazioni statali, ovvero le strutture delle medesime ammi­nistrazioni cui sono affidate, in forza dei rispettivi ordinamenti, le verifiche sul rispetto dei termini procedimentali, e i corrispondenti uffici od organi degli enti pubblici nazionali sono tenuti, anche avvalendosi dei sistemi di protocollo informatico, a misurare i tempi medi di conclusione dei procedimenti, nonché a predisporre un apposito rapporto annuale, indicando il numero e le tipologie dei procedimenti che non si sono conclusi nei termini previsti.

 

2-quater. Il rapporto di cui al comma 2-ter, corredato da un piano di riduzione dei tempi, è presentato ogni anno, entro il 15 febbraio dell'anno successivo, alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Sulla base delle risultanze del rapporto si provvede, anche su impulso di quest'ultima, al conseguente adegua­mento dei termini di conclusione dei procedimenti con le modalità di cui all'articolo 2, commi 3 e 4.

3. Nel caso in cui l’ente od organo adito abbia rappresentato esigenze istruttorie all’amministrazione procedente, si applica quanto previsto dal comma 4 dell’articolo 16.

3. Nel caso in cui l’ente od organo adito abbia rappresentato esigenze istruttorie all’amministrazione procedente, si applica quanto previsto dal comma 4 dell’articolo 16.

 

[…]

[…]

Art. 25
(Modalità di esercizio del diritto di accesso e ricorsi)

Art. 25
(Modalità di esercizio del diritto di accesso e ricorsi)

1. Il diritto di accesso si esercita mediante esame ed estrazione di copia dei documenti amministrativi, nei modi e con i limiti indicati dalla presente legge. L'esame dei documenti è gratuito. Il rilascio di copia è subordinato soltanto al rimborso del costo di riproduzione, salve le disposizioni vigenti in materia di bollo, nonché i diritti di ricerca e di visura.

1. Il diritto di accesso si esercita mediante esame ed estrazione di copia dei documenti amministrativi, nei modi e con i limiti indicati dalla presente legge. L'esame dei documenti è gratuito. Il rilascio di copia è subordinato soltanto al rimborso del costo di riproduzione, salve le disposizioni vigenti in materia di bollo, nonché i diritti di ricerca e di visura.

2. La richiesta di accesso ai documenti deve essere motivata. Essa deve essere rivolta all'amministrazione che ha formato il documento o che lo detiene stabilmente.

2. La richiesta di accesso ai documenti deve essere motivata. Essa deve essere rivolta all'amministrazione che ha formato il documento o che lo detiene stabilmente.

3. Il rifiuto, il differimento e la limitazione dell'accesso sono ammessi nei casi e nei limiti stabiliti dall'articolo 24 e debbono essere motivati.

3. Il rifiuto, il differimento e la limitazione dell'accesso sono ammessi nei casi e nei limiti stabiliti dall'articolo 24 e debbono essere motivati.

4. Decorsi inutilmente trenta giorni dalla richiesta, questa si intende respinta. In caso di diniego dell'accesso, espresso o tacito, o di differimento dello stesso ai sensi dell'articolo 24, comma 4, il richiedente può presentare ricorso al tribunale amministrativo regionale ai sensi del comma 5, ovvero chiedere, nello stesso termine e nei confronti degli atti delle amministrazioni comunali, provinciali e regionali, al difensore civico competente per àmbito territoriale, ove costituito, che sia riesaminata la suddetta determinazione. Qualora tale organo non sia stato istituito, la competenza è attribuita al difensore civico competente per l'àmbito territoriale immediatamente superiore. Nei confronti degli atti delle amministrazioni centrali e periferiche dello Stato tale richiesta è inoltrata presso la Commissione per l'accesso di cui all'articolo 27. Il difensore civico o la Commissione per l'accesso si pronunciano entro trenta giorni dalla presentazione dell'istanza. Scaduto infruttuosamente tale termine, il ricorso si intende respinto. Se il difensore civico o la Commissione per l'accesso ritengono illegittimo il diniego o il differimento, ne informano il richiedente e lo comunicano all'autorità disponente. Se questa non emana il provvedimento confermativo motivato entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione del difensore civico o della Commissione, l'accesso è consentito. Qualora il richiedente l'accesso si sia rivolto al difensore civico o alla Commissione, il termine di cui al comma 5 decorre dalla data di ricevimento, da parte del richiedente, dell'esito della sua istanza al difensore civico o alla Commissione stessa. Se l'accesso è negato o differito per motivi inerenti ai dati personali che si riferiscono a soggetti terzi, la Commissione provvede, sentito il Garante per la protezione dei dati personali, il quale si pronuncia entro il termine di dieci giorni dalla richiesta, decorso inutilmente il quale il parere si intende reso. Qualora un procedimento di cui alla sezione III del capo I del titolo I della parte III del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, o di cui agli articoli 154, 157, 158, 159 e 160 del medesimo decreto legislativo n. 196 del 2003, relativo al trattamento pubblico di dati personali da parte di una pubblica amministrazione, interessi l'accesso ai documenti amministrativi, il Garante per la protezione dei dati personali chiede il parere, obbligatorio e non vincolante, della Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi. La richiesta di parere sospende il termine per la pronuncia del Garante sino all'acquisizione del parere, e comunque per non oltre quindici giorni. Decorso inutilmente detto termine, il Garante adotta la propria decisione.

4. Decorsi inutilmente trenta giorni dalla richiesta, questa si intende respinta. In caso di diniego dell'accesso, espresso o tacito, o di differimento dello stesso ai sensi dell'articolo 24, comma 4, il richiedente può presentare ricorso al tribunale amministrativo regionale ai sensi del comma 5, ovvero chiedere, nello stesso termine e nei confronti degli atti delle amministrazioni comunali, provinciali e regionali, al difensore civico competente per àmbito territoriale, ove costituito, che sia riesaminata la suddetta determinazione. Qualora tale organo non sia stato istituito, la competenza è attribuita al difensore civico competente per l'àmbito territoriale immediatamente superiore. Nei confronti degli atti delle amministrazioni centrali e periferiche dello Stato tale richiesta è inoltrata presso la Commissione per l'accesso di cui all'articolo 27 nonché presso l’ammini­strazione resistente. Il difensore civico o la Commissione per l'accesso si pronunciano entro trenta giorni dalla presentazione dell'istanza. Scaduto infruttuosamente tale termine, il ricorso si intende respinto. Se il difensore civico o la Commissione per l'accesso ritengono illegittimo il diniego o il differimento, ne informano il richiedente e lo comunicano all'autorità disponente. Se questa non emana il provvedimento confermativo motivato entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione del difensore civico o della Commissione, l'accesso è consentito. Qualora il richiedente l'accesso si sia rivolto al difensore civico o alla Commissione, il termine di cui al comma 5 decorre dalla data di ricevimento, da parte del richiedente, dell'esito della sua istanza al difensore civico o alla Commissione stessa. Se l'accesso è negato o differito per motivi inerenti ai dati personali che si riferiscono a soggetti terzi, la Commissione provvede, sentito il Garante per la protezione dei dati personali, il quale si pronuncia entro il termine di dieci giorni dalla richiesta, decorso inutilmente il quale il parere si intende reso. Qualora un procedimento di cui alla sezione III del capo I del titolo I della parte III del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, o di cui agli articoli 154, 157, 158, 159 e 160 del medesimo decreto legislativo n. 196 del 2003, relativo al trattamento pubblico di dati personali da parte di una pubblica amministrazione, interessi l'accesso ai documenti amministrativi, il Garante per la protezione dei dati personali chiede il parere, obbligatorio e non vincolante, della Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi. La richiesta di parere sospende il termine per la pronuncia del Garante sino all'acquisizione del parere, e comunque per non oltre quindici giorni. Decorso inutilmente detto termine, il Garante adotta la propria decisione.

5. Contro le determinazioni amministrative concernenti il diritto di accesso e nei casi previsti dal comma 4 è dato ricorso, nel termine di trenta giorni, al tribunale amministrativo regionale, il quale decide in camera di consiglio entro trenta giorni dalla scadenza del termine per il deposito del ricorso, uditi i difensori delle parti che ne abbiano fatto richiesta. In pendenza di un ricorso presentato ai sensi della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, e successive modificazioni, il ricorso può essere proposto con istanza presentata al presidente e depositata presso la segreteria della sezione cui è assegnato il ricorso, previa notifica all'amministrazione o ai controinteressati, e viene deciso con ordinanza istruttoria adottata in camera di consiglio. La decisione del tribunale è appellabile, entro trenta giorni dalla notifica della stessa, al Consiglio di Stato, il quale decide con le medesime modalità e negli stessi termini. Le controversie relative all'accesso ai documenti amministrativi sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo

5. Contro le determinazioni amministrative concernenti il diritto di accesso e nei casi previsti dal comma 4 è dato ricorso, nel termine di trenta giorni, al tribunale amministrativo regionale, il quale decide in camera di consiglio entro trenta giorni dalla scadenza del termine per il deposito del ricorso, uditi i difensori delle parti che ne abbiano fatto richiesta. In pendenza di un ricorso presentato ai sensi della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, e successive modificazioni, il ricorso può essere proposto con istanza presentata al presidente e depositata presso la segreteria della sezione cui è assegnato il ricorso, previa notifica all'amministrazione o ai controinteressati, e viene deciso con ordinanza istruttoria adottata in camera di consiglio. La decisione del tribunale è appellabile, entro trenta giorni dalla notifica della stessa, al Consiglio di Stato, il quale decide con le medesime modalità e negli stessi termini. Le controversie relative all'accesso ai documenti amministrativi sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo

5-bis. Nei giudizi in materia di accesso, le parti possono stare in giudizio perso­nalmente senza l'assistenza del difensore. L'amministrazione può essere rappre­sentata e difesa da un proprio dipendente, purché in possesso della qualifica di dirigente, autorizzato dal rappresentante legale dell'ente.

5-bis. Nei giudizi in materia di accesso, le parti possono stare in giudizio perso­nalmente senza l'assistenza del difensore. L'amministrazione può essere rappre­sentata e difesa da un proprio dipendente, purché in possesso della qualifica di dirigente, autorizzato dal rappresentante legale dell'ente.

6. Il giudice amministrativo, sussistendone i presupposti, ordina l'esibizione dei documenti richiesti.

6. Il giudice amministrativo, sussistendone i presupposti, ordina l'esibizione dei documenti richiesti.

[…]

[…]

 

 

 


 

Articolo 28
(Conferenza di servizi e silenzio assenso)

 


1. All'articolo 14-ter della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 1 sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «e può svolgersi per via telematica»;

b) dopo il comma 2 sono inseriti i seguenti:

«2-bis. La convocazione della conferenza di servizi è pubblica e ad essa possono partecipare, senza diritto di voto, i soggetti portatori di interessi pubblici o privati, individuali o collettivi, nonché i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o in comitati che vi abbiano interesse. Gli stessi soggetti possono proporre osservazioni, in ordine alle quali non sussiste obbligo di risposta da parte dell'amministrazione procedente. Si applica l'articolo 10, comma 1, lettera b).

2-ter. Alla conferenza di servizi partecipano anche, senza diritto di voto, i concessionari, i gestori o gli incaricati di pubblici servizi, chiamati ad adempimenti nella realizzazione di opere, che sono vincolati alle determinazioni assunte nella conferenza. Alla stessa possono partecipare inoltre, senza diritto di voto, le amministrazioni preposte alla gestione delle eventuali misure pubbliche di agevolazione»;

c) al comma 9, le parole: «Il provvedimento finale conforme alla determinazione conclusiva di cui al comma 6-bis sostituisce» sono sostituite dalle seguenti: «Il verbale recante la determinazione conclusiva di cui al comma 6-bis, nonché l'indicazione delle dichiarazioni, degli assensi, dei dinieghi e delle eventuali prescrizioni integrative, sostituiscono».

2. Il comma 9 dell'articolo 14-ter della legge 7 agosto 1990, n. 241, come da ultimo modificato dal comma 1 del presente articolo, si interpreta nel senso che la relativa disposizione si applica anche alle amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità.

3. Al comma 1 dell'articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, dopo le parole: «all'immigrazione,» sono inserite le seguenti: «alla cittadinanza,». Al comma 4 dell'articolo 20 della stessa legge n. 241 del 1990, le parole: «e l'immigrazione» sono sostituite dalle seguenti: «, l'immigrazione e la cittadinanza».

4. Al comma 2 dell'articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Nel caso in cui la dichiarazione di inizio attività abbia ad oggetto l'esercizio di attività di impianti produttivi di beni e di servizi e di prestazione di servizi di cui alla direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, compresi gli atti che dispongono l'iscrizione in albi o ruoli o registri ad efficacia abilitante o comunque a tale fine eventualmente richiesta, il termine per l'inizio dell'attività decorre dalla data della presentazione della dichiarazione all'amministrazione competente».

5. Al comma 3, primo periodo, dell'articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, dopo le parole: «dal ricevimento della comunicazione di cui al comma 2,» sono inserite le seguenti: «o, nei casi di cui all'ultimo periodo del citato comma 2, nel termine di trenta giorni,».

6. Al comma 5 dell'articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Il relativo ricorso giurisdizionale, esperibile da qualunque interessato nei termini di legge, può riguardare anche gli atti di assenso formati in virtù delle norme sul silenzio assenso previste dall'articolo 20».

7. Dall'attuazione delle disposizioni del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Gli adempimenti previsti dal presente articolo sono svolti nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.


 

 

L’articolo 28 apporta modifiche agli artt. 14-ter, 19 e 20 della L. 241/1990[117], rispettivamente in materia di conferenza di servizi, dichiarazione di inizio attività e silenzio assenso.

 

Una sintetica illustrazione della L. 241/1990 e delle modificazioni ad essa apportate è riportata nella scheda di lettura sull’articolo 26.

Per un esame analitico delle modifiche apportate dall’articolo in esame, si rinvia al testo a fronte riportato in calce alla presente scheda di lettura.

Conferenza di servizi

I primi due commi dell’articolo 28 contengono disposizioni relative alla conferenza di servizi.

 

La conferenza di servizi, disciplinata in via generale negli artt. da 14 a 15 della L. 241/1990[118], costituisce uno strumento organizzativo da attivarsi nella fase decisoria di procedimenti amministrativi complessi ed è volta ad accelerare l’espressione dei consensi delle amministrazioni coinvolte.

Quando risulti opportuno esaminare contestualmente più interessi pubblici ovvero sia necessario acquisire una pluralità di atti di intesa (concerti, nulla osta, pareri, etc.) l’amministrazione procedente può indire una conferenza di servizi, le cui decisioni sostituiscono, a tutti gli effetti, ogni atto di tutte le amministrazioni partecipanti.

Al di fuori di questa ipotesi, le amministrazioni pubbliche possono comunque concludere tra loro accordi volti a disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune.

La legge prevede tre tipi di conferenza dei servizi:

-        conferenza c.d. istruttoria;

-        conferenza su istanze o progetti preliminari;

-        conferenza c.d. decisoria.

La conferenza istruttoria costituisce la fattispecie più generale, può, infatti, essere indetta ogni qual volta sia opportuno un confronto tra più amministrazioni portatrici di interessi pubblici coinvolti in un procedimento amministrativo. La conferenza è convocata dall’amministrazione responsabile del procedimento.

La conferenza su istanze o progetti preliminari, istituita dalla L. 340/2000, è un particolare tipo di conferenza “preliminare” convocata – su richiesta dell’interessato – per progetti di particolare complessità e di insediamenti produttivi di beni e servizi prima della presentazione di un’istanza o di un progetto definitivo.

L’obiettivo della conferenza preliminare è di verificare le condizioni alle quali potrebbe essere dato l’assenso sull’istanza o sul progetto definitivo stesso, in modo di eliminare, od almeno limitare, l’emersione di ostacoli amministrativi nelle fasi ulteriori della procedura. La conferenza, in tale sede, è tenuta a pronunciarsi entro un temine determinato (30 giorni).

Tempi più lunghi sono previsti nel caso in cui sia richiesta la valutazione di impatto ambientale (VIA). In ogni caso l’autorità competente alla VIA è tenuta ad esprimersi in tempi definiti, ed il suo intervento costituisce parte integrante della procedura di VIA che prosegue anche dopo la presentazione del progetto definitivo.

Le indicazioni fornite dalle amministrazioni coinvolte nella conferenza preliminare, comprese quelle eventuali dell’autorità competente alla VIA, non possono essere modificate in assenza di significativi elementi emersi nelle fasi successive del procedimento.

La terza e principale fattispecie è la conferenza decisoria. Essa interviene nei procedimenti che prevedono, per il loro perfezionamento, l’assenso, sotto forma di intesa, concerto, nulla osta, o comunque altrimenti denominato, di più autorità. In questi casi l’amministrazione responsabile del procedimento è tenuta prima ad esperire la procedura normale richiedendo formalmente, al momento dell’avvio del procedimento, l’assenso alle altre amministrazioni interessate. Se questo non è ottenuto entro 30 giorni dalla richiesta (o si è verificato il dissenso di una amministrazione coinvolta) si procede con la convocazione della conferenza.

La legge definisce le procedure di convocazione della conferenza, dello svolgimento e della conclusione dei lavori. In particolare, le amministrazioni convocate devono subito stabilire il termine per l’adozione della decisione conclusiva, che comunque non può pervenire oltre i 90 giorni dalla prima seduta, così come da ultimo stabilito dalla L. 340/2000 che per la prima volta definisce un termine certo per la conclusione dei lavori. Nel caso in cui è richiesta la VIA c’è la possibilità di prolungare i termini (di 90 giorni), ma essi devono comunque rientrare in limiti definiti.

È disciplinata l’espressione di eventuali dissensi in seno alla conferenza da parte di rappresentanti di una o più amministrazioni: in questi casi il dissenso deve essere espresso in sede di conferenza, deve essere motivato, deve riferirsi a questioni connesse al procedimento e, soprattutto, deve indicare le modifiche necessarie per l’ottenimento dell’assenso.

 

Il comma 1 novella l’art. 14-ter della L. 241/1990[119], che disciplina le modalità di svolgimento della conferenza di servizi.

La prima modifica (lettera a)), che incide sul co. 1 di tale articolo, dispone che la conferenza di servizi può svolgersi per via telematica.

 

Si fa presente che il co. 5-bis dell’art. 14 della L. 241/1990 già dispone che, “previo accordo tra le amministrazioni coinvolte, la conferenza di servizi è convocata e svolta avvalendosi degli strumenti informatici disponibili, secondo i tempi e le modalità stabiliti dalle medesime amministrazioni”.

Come segnala il Piano di azione per la semplificazione e la qualità della regolazione[120], sono in corso attività di sperimentazione, a cura del Ministero per lo sviluppo economico, del Dipartimento per le innovazione e le tecnologie e del CNIPA, finalizzate all’utilizzo degli strumenti telematici, nella disponibilità delle amministrazioni, al fine di attuare gli adempimenti necessari allo svolgimento della conferenza di servizi sia istruttoria che decisoria compatibilmente con il sistema normativo vigente. In particolare l’azione riguarderà le fasi di convocazione e, verifica della presenza dei partecipanti, lo scambio di informazioni e documenti, nonché le forme e modalità per la redazione ed approvazione degli atti conclusivi della conferenza.

 

La lettera b) del comma 1 introduce due nuovi commi dopo il co. 2 del citato art. 14-ter della L. 241/1990.

La nuova disciplina introdotta dispone che la convocazione della conferenza di servizi è pubblica (non sono espressamente precisate le forme di pubblicità da adottare nell’occasione), e che alla medesima:

§      possono partecipare, senza diritto di voto, i soggetti portatori di interessi pubblici o privati, individuali o collettivi, nonché i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o in comitati che vi abbiano interesse (nuovo co. 2-bis). Tali soggetti possono proporre osservazioni, senza che ciò comporti obblighi di risposta da parte dell’amministrazione, e possono esercitare i diritti dei soggetti partecipanti al procedimento, di cui all’art. 10 della stessa L. 241/1990, e cioè:

-       prendere visione degli atti che non siano esclusi dal diritto di accesso;

-       presentare memorie scritte e documenti, che l'amministrazione ha l'obbligo di valutare ove siano pertinenti all'oggetto del procedimento;

§      partecipano (si tratta dunque di un obbligo, non di una facoltà), pur senza diritto di voto, e sono vincolati alle determinazioni assunte nella conferenza i concessionari, i gestori e gli incaricati di pubblici servizi quando il procedimento amministrativo di che trattasi implica loro adempimenti (nuovo co. 2-ter);

 

Una definizione di servizio pubblico è indicata nella direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 27 gennaio 1994[121], secondo la quale sono considerati “servizi pubblici, anche se svolti in regime di concessione o mediante convenzione, quelli volti a garantire il godimento dei diritti della persona, costituzionalmente tutelati, alla salute, all’assistenza e previdenza sociale, alla istruzione e alla libertà di comunicazione, alla libertà e alla sicurezza della persona, alla libertà di circolazione, ai sensi dell’art. 1 della legge 12 giugno 1990, n. 146, e quelli di erogazione di energia elettrica, acqua e gas”.

 

§      possono partecipare, sempre senza diritto di voto, le amministrazioni preposte alla gestione delle eventuali misure pubbliche di agevolazione (nuovo co. 2-ter).

 

La conferenza di servizi, nel testo originario della L. 241/1990, prevedeva la partecipazione unicamente delle amministrazioni pubbliche. L’unica apertura a soggetti esterni era costituita dalla possibilità di convocazione su richiesta dell’interessato, quando l’attività del privato sia subordinata ad atti di consenso (art. 14, co. 4).

Successivamente, la L. 15/2005 ha ampliato la possibilità di intervento da parte di soggetti estranei alla pubblica amministrazione. Innanzitutto, ha stabilito che, in caso di affidamento di lavori pubblici, la conferenza di servizi può essere convocata su richiesta, oltre che del concedente, anche del concessionario (art. 14, co. 5).

In secondo luogo, sempre nel caso di lavori pubblici, i concessionari partecipano alla conferenza di servizi, senza diritto di voto, così come partecipano, anch’essi senza diritto di voto, i soggetti privati che intervengono in una operazione di project financing.

 

La lettera c) del comma 1 riformula il comma 9 dell’art. 14-ter, ai sensi del quale Il provvedimento finale, conforme alla determinazione adottata in esito ai lavori della conferenza, tiene luogo di ogni autorizzazione, concessione, nulla osta o atto di assenso comunque denominato di competenza delle amministrazioni partecipanti alla conferenza, o invitate a partecipare ma risultate assenti.

Il nuovo testo attribuisce tale effetto giuridico non a un “provvedimento finale conforme” ma allo stesso verbale della conferenza recante la determinazione conclusiva, nonché all’indicazione (presumibilmente, nel medesimo verbale o in allegato ad esso) delle dichiarazioni, degli assensi, dei dinieghi e delle eventuali prescrizioni integrative.

 

Il comma 2 dell’articolo in commento, formulato in termini di interpretazione autentica, precisa che il testé illustrato art. 14-ter, co. 9, nel testo modificato, si applica anche alle amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità.

 

L’art. 14-quater, co. 3, disciplina gli effetti del motivato dissenso espresso nella conferenza dei servizi da un'amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità. In tal caso la decisione è rimessa, entro 10 giorni:

-        al Consiglio dei ministri, in caso di dissenso tra amministrazioni statali;

-        alla Conferenza Stato-regioni, in caso di dissenso tra un'amministrazione statale e una regionale o tra più amministrazioni regionali;

-        alla Conferenza unificata Stato-regioni-città e autonomie locali, in caso di dissenso tra un'amministrazione statale o regionale e un ente locale o tra più enti locali.

La decisione è assunta di norma entro 30 giorni, salva proroga di non più di 60 giorni in ragione della complessità dell'istruttoria.

Dichiarazione di inizio attività e silenzio assenso

Il comma 3 modifica l’art. 19, co. 1, e l’art. 20, co. 4, della L. 241/1990 allo scopo di sottrarre alla disciplina – rispettivamente – della dichiarazione di inizio attività (DIA) e del silenzio assenso gli atti e i procedimenti amministrativi riguardanti la cittadinanza.

Il vigente art. 19, co. 1, esclude dalle disposizioni sulla DIA gli atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all’immigrazione, all’amministrazione della giustizia e a quella delle finanze (inclusi gli atti concernenti le reti di acquisizione del gettito anche derivante dal gioco), alla tutela della salute e della pubblica incolumità, del patrimonio culturale e paesaggistico e dell’ambiente, nonché gli atti imposti dalla normativa comunitaria.

Ai sensi del vigente art. 20, co. 4, le norme sul silenzio assenso non si applicano (tra gli altri) agli atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, l’ambiente, la difesa nazionale, la pubblica sicurezza, l’immigrazione, la salute e la pubblica incolumità, ai casi in cui la normativa comunitaria impone l’adozione di provvedimenti formali, ai casi di “silenzio-rigetto” definiti dalla legge ed a quelli individuati con D.P.C.M., su proposta del ministro per la funzione pubblica, di concerto con i ministri competenti.

 

Il comma 4 aggiunge un periodo al co. 2 dell’art. 19. Ai sensi di tale comma, nei casi in cui la disciplina sulla DIA trova applicazione, l’interessato può iniziare l’attività oggetto della dichiarazione (dandone contestuale comunicazione all’amministrazione competente) decorsi trenta giorni dalla data di presentazione della dichiarazione all’amministrazione medesima.

Il periodo aggiunto consente di dare inizio all’attività già a decorrere dalla data della presentazione della dichiarazione, se questa ha ad oggetto l’esercizio di attività di impianti produttivi di beni e di servizi e di prestazione di servizi di cui alla direttiva 2006/123/CE[122].

 

Sempre in tema di semplificazioni burocratiche per l’avvio dell’attività d’impresa, occorre ricordare l’articolo 9 del D.L. 7/2007[123], il quale ha stabilito che gli adempimenti amministrativi a carico delle imprese per l’iscrizione nel registro delle imprese, a fini previdenziali (iscrizione all’Inps), assistenziali (iscrizione all’Inail) e per l’ottenimento del codice fiscale e della partita IVA, siano sostituiti da una comunicazione unica all’Ufficio del registro delle imprese delle camere di commercio.

Il suddetto Ufficio rilascia contestualmente una ricevuta che costituisce titolo per l’immediato avvio dell’attività imprenditoriale e informa le amministrazioni competenti dell’avvenuta presentazione della comunicazione unica. Queste, da parte loro, comunicano immediatamente all'interessato e all'ufficio del registro delle imprese, per via telematica, il codice fiscale e la partita IVA ed entro i successivi sette giorni gli ulteriori dati definitivi relativi alle posizioni registrate.

La disposizione prevede, inoltre, che la procedura si applichi anche in caso di modifiche o di cessazioni dell’attività d’impresa e che la comunicazione, la ricevuta e gli atti amministrativi, siano di norma adottati in formato elettronico e trasmessi per via telematica. A tal fine le camere di commercio, previa intesa con le associazioni imprenditoriali, assicurano gratuitamente ai privati l’assistenza e il supporto tecnico di cui necessitano.

L’individuazione del modello di comunicazione unica è stata demandata ad un decreto del Ministro dello sviluppo economico[124].

 

La formulazione del comma (testualmente non del tutto perspicua) sembra includere nella fattispecie – e dunque assoggettare sia alla DIA sia all’abbreviazione del termine – anche gli atti che dispongono l’iscrizione in albi o ruoli o registri, anche ad efficacia abilitante.

 

Il comma 5 integra con un inciso il successivo co. 3 dell’art. 19, a meri fini di coordinamento con la novella introdotta dal comma precedente.

 

Il comma 6 aggiunge un periodo al co. 5 del medesimo art. 19. Il comma in esame devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie relative all’applicazione della DIA. Nel nuovo periodo si precisa che il ricorso può riguardare anche gli atti di assenso formati (tacitamente) in virtù delle norme sul silenzio assenso previste dal successivo art. 20.

 

Il comma 7 reca la clausola di invarianza degli oneri a carico della finanza pubblica in conseguenza dell’attuazione delle disposizioni introdotte dall’articolo.


Modificazioni proposte dall’articolo 28 al testo della L. 241/1990

L. 241/1990 (testo vigente)

L. 241/1990 (A.C. 1441, art. 28)

[…]

[…]

Art. 14-ter
(Lavori della conferenza di servizi)

Art. 14-ter
(Lavori della conferenza di servizi)

01. La prima riunione della conferenza di servizi è convocata entro quindici giorni ovvero, in caso di particolare complessità dell’istruttoria, entro trenta giorni dalla data di indizione.

01. [Identico].

1. La conferenza di servizi assume le determinazioni relative all’organizzazione dei propri lavori a maggioranza dei presenti.

1. La conferenza di servizi assume le determinazioni relative all’organizzazione dei propri lavori a maggioranza dei presenti e può svolgersi per via telematica.

2. La convocazione della prima riunione della conferenza di servizi deve pervenire alle amministrazioni interessate, anche per via telematica o informatica, almeno cinque giorni prima della relativa data. Entro i successivi cinque giorni, le amministrazioni convocate possono richiedere, qualora impossibilitate a partecipare, l’effettuazione della riunione in una diversa data; in tale caso, l’amministrazione procedente concorda una nuova data, comunque entro i dieci giorni successivi alla prima.

2. [Identico].

 

2-bis. La convocazione della conferenza di servizi è pubblica e ad essa possono partecipare, senza diritto di voto, i soggetti portatori di interessi pubblici o privati, individuali o collettivi, nonché i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o in comitati che vi abbiano interesse. Gli stessi soggetti possono proporre osservazioni, in ordine alle quali non sussiste obbligo di risposta da parte dell’amministrazione procedente. Si applica l’articolo 10, comma 1, lettera b).

 

2-ter. Alla conferenza di servizi parteci­pano anche, senza diritto di voto, i concessionari, i gestori o gli incaricati di pubblici servizi, chiamati ad adempimenti nella realizzazione di opere, che sono vincolati alle deter­minazioni assunte nella conferenza. Alla stessa possono partecipare inoltre, senza diritto di voto, le amministrazioni preposte alla gestione delle eventuali misure pubbliche di agevolazione.

3. Nella prima riunione della conferenza di servizi, o comunque in quella immediatamente successiva alla trasmissione dell’istanza o del progetto definitivo ai sensi dell’articolo 14-bis, le amministrazioni che vi partecipano determinano il termine per l’adozione della decisione conclusiva. I lavori della conferenza non possono superare i novanta giorni, salvo quanto previsto dal comma 4. Decorsi inutilmente tali termini, l’amministrazione procedente provvede ai sensi dei commi 6-bis e 9 del presente articolo.

3. [Identico].

4. Nei casi in cui sia richiesta la VIA, la conferenza di servizi si esprime dopo aver acquisito la valutazione medesima ed il termine di cui al comma 3 resta sospeso, per un massimo di novanta giorni, fino all’acquisizione della pronuncia sulla compatibilità ambientale. Se la VIA non interviene nel termine previsto per l’adozione del relativo provvedimento, l’amministrazione competente si esprime in sede di conferenza di servizi, la quale si conclude nei trenta giorni successivi al termine predetto. Tuttavia, a richiesta della maggioranza dei soggetti partecipanti alla conferenza di servizi, il termine di trenta giorni di cui al precedente periodo è prorogato di altri trenta giorni nel caso che si appalesi la necessità di approfondimenti istruttori.

4. [Identico].

5. Nei procedimenti relativamente ai quali sia già intervenuta la decisione concernente la VIA le disposizioni di cui al comma 3 dell’articolo 14-quater, nonché quelle di cui agli articoli 16, comma 3, e 17, comma 2, si applicano alle sole amministrazioni preposte alla tutela della salute , del patrimonio storico-artistico e della pubblica incolumità.

5. [Identico].

6. Ogni amministrazione convocata partecipa alla conferenza di servizi attraverso un unico rappresentante legittimato, dall’organo competente, ad esprimere in modo vincolante la volontà dell’amministrazione su tutte le decisioni di competenza della stessa.

6. [Identico].

6-bis. All’esito dei lavori della conferenza, e in ogni caso scaduto il termine di cui al comma 3, l’amministrazione procedente adotta la determinazione motivata di conclusione del procedimento, valutate le specifiche risultanze della conferenza e tenendo conto delle posizioni prevalenti espresse in quella sede.

6-bis. [Identico].

7. Si considera acquisito l’assenso dell’am­ministrazione il cui rappresentante non abbia espresso definitivamente la volontà dell’amministrazione rappresentata.

7. [Identico].

8. In sede di conferenza di servizi possono essere richiesti, per una sola volta, ai proponenti dell’istanza o ai progettisti chiarimenti o ulteriore documentazione. Se questi ultimi non sono forniti in detta sede, entro i successivi trenta giorni, si procede all’esame del provvedimento.

8. [Identico].

9. Il provvedimento finale conforme alla determinazione conclusiva di cui al comma 6-bis sostituisce, a tutti gli effetti, ogni autorizzazione, concessione, nulla osta o atto di assenso comunque denominato di competenza delle amministrazioni partecipanti, o comunque invitate a partecipare ma risultate assenti, alla predetta conferenza.

9. Il verbale recante la determinazione conclusiva di cui al comma 6-bis, nonché l’indicazione delle dichiarazioni, degli assensi, dei dinieghi e delle eventuali prescrizioni integrative, sostituiscono, a tutti gli effetti, ogni autorizzazione, concessione, nulla osta o atto di assenso comunque denominato di competenza delle amministrazioni partecipanti, o comunque invitate a partecipare ma risultate assenti, alla predetta conferenza[125].

10. Il provvedimento finale concernente opere sottoposte a VIA è pubblicato, a cura del proponente, unitamente all’estratto della predetta VIA, nella Gazzetta Ufficiale o nel Bollettino regionale in caso di VIA regionale e in un quotidiano a diffusione nazionale. Dalla data della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale decorrono i termini per eventuali impugnazioni in sede giurisdizionale da parte dei soggetti interessati.

10. [Identico].

[…]

[…]

Art. 19
(Dichiarazione di inizio attività)

Art. 19
(Dichiarazione di inizio attività)

1. Ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l’esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento dei requisiti e presupposti di legge o di atti amministrativi a contenuto generale e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli atti stessi, con la sola esclusione degli atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all’immigrazione, all’amministrazione della giustizia, alla amministrazione delle finanze, ivi compresi gli atti concernenti le reti di acquisizione del gettito, anche derivante dal gioco, alla tutela della salute e della pubblica incolumità, del patrimonio culturale e paesaggistico e dell’ambiente, nonché degli atti imposti dalla normativa comunitaria, è sostituito da una dichiarazione dell’interessato corredata, anche per mezzo di autocertificazioni, delle certificazioni e delle attestazioni normativamente richieste. L’ammini­strazione competente può richiedere informazioni o certificazioni relative a fatti, stati o qualità soltanto qualora non siano attestati in documenti già in possesso dell’amministrazione stessa o non siano direttamente acquisibili presso altre pubbliche amministrazioni.

1. Ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l’esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento dei requisiti e presupposti di legge o di atti amministrativi a contenuto generale e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli atti stessi, con la sola esclusione degli atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all’immigrazione, alla cittadinanza, all’amministrazione della giustizia, alla amministrazione delle finanze, ivi compresi gli atti concernenti le reti di acquisizione del gettito, anche derivante dal gioco, alla tutela della salute e della pubblica incolumità, del patrimonio culturale e paesaggistico e dell’ambiente, nonché degli atti imposti dalla normativa comunitaria, è sostituito da una dichiarazione dell’interessato corredata, anche per mezzo di autocertificazioni, delle certificazioni e delle attestazioni normativamente richieste. L’ammini­strazione competente può richiedere informazioni o certificazioni relative a fatti, stati o qualità soltanto qualora non siano attestati in documenti già in possesso dell’amministrazione stessa o non siano direttamente acquisibili presso altre pubbliche amministrazioni.

2. L’attività oggetto della dichiarazione può essere iniziata decorsi trenta giorni dalla data di presentazione della dichiarazione all’amministrazione competente. Conte­stualmente all’inizio dell’attività, l’inte­ressato ne dà comunicazione all’ammini­strazione competente.

2. L’attività oggetto della dichiarazione può essere iniziata decorsi trenta giorni dalla data di presentazione della dichiarazione all’amministrazione competente. Conte­stualmente all’inizio dell’attività, l’inte­ressato ne dà comunicazione all’ammini­strazione competente. Nel caso in cui la dichiarazione di inizio attività abbia ad oggetto l’esercizio di attività di impianti produttivi di beni e di servizi e di prestazione di servizi di cui alla direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, compresi gli atti che dispongono l’iscrizione in albi o ruoli o registri ad efficacia abilitante o comunque a tale fine eventualmente richiesta, il termine per l’inizio dell’attività decorre dalla data della presentazione della dichiarazione all’amministrazione competente.

3. L’amministrazione competente, in caso di accertata carenza delle condizioni, modalità e fatti legittimanti, nel termine di trenta giorni dal ricevimento della comunicazione di cui al comma 2, adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione dei suoi effetti, salvo che, ove ciò sia possibile, l’interessato provveda a conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi effetti entro un termine fissato dall’amministrazione, in ogni caso non inferiore a trenta giorni. È fatto comunque salvo il potere dell’amministrazione competente di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies. Nei casi in cui la legge prevede l’acquisizione di pareri di organi o enti appositi, il termine per l’adozione dei provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione dei suoi effetti sono sospesi, fino all’ac­quisizione dei pareri, fino a un massimo di trenta giorni, scaduti i quali l’ammi­nistrazione può adottare i propri provvedimenti indipendentemente dall’ac­quisizione del parere. Della sospensione è data comunicazione all’interessato.

3. L’amministrazione competente, in caso di accertata carenza delle condizioni, modalità e fatti legittimanti, nel termine di trenta giorni dal ricevimento della comunicazione di cui al comma 2, o, nei casi di cui all’ultimo periodo del citato comma 2, nel termine di trenta giorni, adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione dei suoi effetti, salvo che, ove ciò sia possibile, l’interessato provveda a conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi effetti entro un termine fissato dall’amministrazione, in ogni caso non inferiore a trenta giorni. È fatto comunque salvo il potere dell’amministrazione competente di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies. Nei casi in cui la legge prevede l’acquisizione di pareri di organi o enti appositi, il termine per l’adozione dei provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione dei suoi effetti sono sospesi, fino all’ac­quisizione dei pareri, fino a un massimo di trenta giorni, scaduti i quali l’ammini­strazione può adottare i propri provvedimenti indipendentemente dall’ac­quisizione del parere. Della sospensione è data comunicazione all’interessato.

4. Restano ferme le disposizioni di legge vigenti che prevedono termini diversi da quelli di cui ai commi 2 e 3 per l’inizio dell’attività e per l’adozione da parte dell’amministrazione competente di provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione dei suoi effetti.

4. [Identico].

5. Ogni controversia relativa all’applica­zione dei commi 1, 2 e 3 è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

5. Ogni controversia relativa all’appli­cazione dei commi 1, 2 e 3 è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Il relativo ricorso giurisdizionale, esperibile da qualunque interessato nei termini di legge, può riguardare anche gli atti di assenso formati in virtù delle norme sul silenzio assenso previste dall’articolo 20.

Art. 20
(Silenzio assenso)

Art. 20
(Silenzio assenso)

1. Fatta salva l’applicazione dell’articolo 19, nei procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti ammi­nistrativi il silenzio dell’amministrazione competente equivale a provvedimento di accoglimento della domanda, senza necessità di ulteriori istanze o diffide, se la medesima amministrazione non comunica all’interessato, nel termine di cui all’articolo 2, commi 2 o 3, il provvedimento di diniego, ovvero non procede ai sensi del comma 2.

1. [Identico].

2. L’amministrazione competente può indire, entro trenta giorni dalla presenta­zione dell’istanza di cui al comma 1, una conferenza di servizi ai sensi del capo IV, anche tenendo conto delle situazioni giuridiche soggettive dei controinteressati.

2. [Identico].

3. Nei casi in cui il silenzio dell’ammi­nistrazione equivale ad accoglimento della domanda, l’amministrazione competente può assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies.

3. [Identico].

4. Le disposizioni del presente articolo non si applicano agli atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, l’ambiente, la difesa nazionale, la pubblica sicurezza e l’immigrazione, la salute e la pubblica incolumità, ai casi in cui la normativa comunitaria impone l’adozione di provvedimenti amministrativi formali, ai casi in cui la legge qualifica il silenzio dell’amministrazione come rigetto dell’istanza, nonché agli atti e procedimenti individuati con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per la funzione pubblica, di concerto con i Ministri competenti.

4. Le disposizioni del presente articolo non si applicano agli atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, l’ambiente, la difesa nazionale, la pubblica sicurezza, l’immigrazione e la cittadinanza, la salute e la pubblica incolumità, ai casi in cui la normativa comunitaria impone l’adozione di provvedimenti amministrativi formali, ai casi in cui la legge qualifica il silenzio dell’amministrazione come rigetto dell’istanza, nonché agli atti e procedimenti individuati con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per la funzione pubblica, di concerto con i Ministri competenti.

5. Si applicano gli articoli 2, comma 4, e 10-bis.

5. Si applicano gli articoli 2, comma 7, e 10-bis[126].

 


 

Articolo 29
(Ulteriori livelli di tutela previsti dalle autonomie territoriali)

 


1. Alla legge 7 agosto 1990, n. 241, come da ultimo modificata dalla presente legge, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all'articolo 22, il comma 2 è sostituito dal seguente:

«2. L'accesso ai documenti ammini­strativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce princìpio generale dell'attività amministra­tiva al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l'imparzialità e la trasparenza»;

b) all'articolo 29:

1) il comma 1 è sostituito dal seguente:

«1. Le disposizioni della presente legge si applicano alle amministrazioni statali e agli enti pubblici nazionali. Le disposizioni della presente legge si applicano, altresì, alle società con totale o prevalente capitale pubblico, limitatamente all'esercizio delle funzioni amministrative. Le disposizioni di cui agli articoli 2-bis, 11, 15 e 25, commi 5, 5-bis e 6, nonché quelle del capo IV-bis si applicano a tutte le amministrazioni pubbliche»;

2) dopo il comma 2 sono aggiunti i seguenti:

«2-bis. Attengono ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione,

le disposizioni della presente legge concernenti gli obblighi per la pubblica amministrazione di garantire la partecipazione dell'interessato al procedimento, di individuarne un responsabile, di concluderlo entro il termine prefissato e di assicurare l'accesso alla documentazione amministrativa.

2-ter. Attengono altresì ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, le disposizioni della presente legge concernenti la dichiarazione di inizio attività e il silenzio assenso, salva la possibilità di individuare, con intese in sede di Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, casi ulteriori in cui tali disposizioni non si applicano.

2-quater. Le regioni e gli enti locali, nel disciplinare i procedimenti amministrativi di loro competenza, non possono stabilire garanzie inferiori a quelle assicurate ai privati dalle disposizioni attinenti ai livelli essenziali delle prestazioni di cui ai commi 2-bis e 2-ter, ma possono prevedere livelli ulteriori di tutela.

2-quinquies. Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano adeguano la propria legislazione alle disposizioni del presente articolo, secondo i rispettivi statuti e le relative norme di attuazione».


 

 

L’articolo 29 apporta modificazioni agli artt. 22 e 29 della L. 241/1990[127] sull’azione amministrativa, intervenendo in ordine all’ambito di applicazione della legge medesima, con riguardo alle società con totale o prevalente capitale pubblico ed alle amministrazioni regionali e locali[128].

Si osserva in proposito che la rubrica dell’articolo non ne illustra integralmente il contenuto.

 

Una sintetica illustrazione della L. 241/1990 e delle modificazioni ad essa apportate è riportata nella scheda di lettura sull’articolo 26.

Per un esame analitico delle modificazioni proposte, si rinvia al testo a fronte riportato in calce alla presente scheda di lettura.

 

Il comma 1, alla lettera a), riformula il comma 2 dell’art. 22 della L. 241/1990. Tale disposizione eleva il diritto di accesso ai documenti amministrativi, in ragione delle sue finalità di interesse pubblico generale, a principio generale dell’attività amministrativa e lo riconduce tra i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che, in base all'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, spetta alla potestà legislativa esclusiva dello Stato garantire uniformemente su tutto il territorio nazionale.

La nuova formulazione, mantenendo intatta la prima parte del comma, espunge – per esigenze di coordinamento normativo – la seconda parte, comprendente il richiamo all’art. 117, co. 2°, lett. m), Cost., che viene trasferita all’art. 29 dalla successiva lettera b) del comma 1 in commento (vedi infra).

La lettera b) novella per l’appunto l’art. 29 della L. 241/1990, che definisce l’àmbito di applicazione della legge medesima.

Il primo elemento innovativo è operato attraverso una riformulazione dell’art. 29, co. 1, mediante la quale l’applicazione della legge nel suo complesso, oggi riferita alle amministrazioni statali e agli enti pubblici nazionali, è estesa alle società con totale o prevalente capitale pubblico, limitatamente all'esercizio delle funzioni amministrative.

 

Si ricorda che, ai sensi dell’art. 1, co. 1-ter, della L. 241/1990, introdotto dalla L. 15/2005, i “soggetti privati preposti all'esercizio di attività amministrative” sono tenuti ad assicurare il rispetto dei princìpi generali fissati dall’art. 1, co. 1 (principalmente: economicità, efficacia, pubblicità e trasparenza), ma non sono soggetti a tutte le disposizioni recate dalla legge medesima.

 

La seconda innovazione consiste nella ridefinizione del novero delle disposizioni della legge la cui applicazione è estesa a tutte le amministrazioni pubbliche, comprese le Regioni e gli enti locali.

Questo secondo profilo di intervento sembra finalizzato ad adeguare l’ambito di applicazione della legge alle modifiche costituzionali intervenute con la revisione del Titolo V della Parte II della Costituzione, come aveva in parte già fatto la L. 15/2005 operando una prima modifica dell’art. 29 e introducendo la disposizione in materia di accesso citata sopra.

Il problema che si intende affrontare nasce dalla considerazione che, seppure la nuova ripartizione di potestà legislativa tra Stato e Regioni operata dalla riforma non prevede tra le materie riservate allo Stato la disciplina del procedimento amministrativo, appare insopprimibile l’esigenza di garantire una disciplina unitaria dell’azione amministrativa su tutto il territorio nazionale.

 

La riformulazione dell’art. 29, co. 1, della L. 241/1990, include pertanto tra le disposizioni della legge applicabili a tutte le amministrazioni pubbliche quelle di cui:

§      all’art. 2-bis, concernente le Conseguenze per il ritardo dell’amministrazione nella conclusione del procedimento, introdotto dall’art. 26 del disegno di legge in esame (per il quale si rinvia alla relativa scheda di lettura); si ricorda che – stante la formulazione dell’art. 2-bis, gli obblighi in esso previsti si applicano anche ai soggetti privati preposti all'esercizio di attività amministrative;

§      all’art. 11 (Accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento), che disciplina la facoltà delle amministrazioni procedenti di concludere, senza pregiudizio dei diritti dei terzi e in ogni caso nel perseguimento del pubblico interesse, accordi con gli interessati al fine di determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale ovvero in sostituzione di questo;

§      all’art. 15 (Accordi fra pubbliche amministrazioni), ai sensi del quale le amministrazioni pubbliche possono sempre concludere accordi tra loro per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune;

§      all’art. 25, commi 5, 5-bis e 6, che disciplinano le modalità di ricorso al giudice amministrativo contro le determinazioni concernenti il diritto di accesso;

§      al capo IV-bis (artt. da 21-bis a 21-novies), che disciplina l’efficacia e le ipotesi di invalidità del provvedimento amministrativo, nonché gli istituti della revoca e del recesso.

Il testo novellato dell’art. 29, co. 1, non riporta invece il richiamo generale, presente nel testo vigente, a “quanto stabilito in tema di giustizia amministrativa”.

 

Ai sensi del vigente art. 29, co. 1, alle amministrazioni pubbliche diverse da quelle statali e dagli enti pubblici nazionali si applicano le sole disposizioni in tema di giustizia amministrativa. Si ricorda in proposito che l’art. 117, 2° co., lett. l), Cost., affida la “giustizia amministrativa” alla competenza legislativa esclusiva allo Stato.

Il co. 2 dell’art. 29 – non modificato dal testo in esame – individua un ulteriore ambito di influenza della legge nei confronti delle autonomie. Le Regioni e gli enti locali hanno la facoltà di regolare in modo autonomo la propria azione amministrativa, con due condizioni: il rispetto del sistema costituzionale e delle garanzie del cittadino nei riguardi dell’azione amministrativa, così come definite dai principi stabiliti nella L. 241/1990.

 

Il testo in esame non modifica il co. 2 dell’art. 29, ma aggiunge all’articolo quattro ulteriori commi, nei quali individua con più precisione quali disposizioni della L. 241/1990, in quanto riguardanti la tutela del cittadino nei confronti dell’azione amministrativa, attengono ai livelli essenziali delle prestazioni, la cui disciplina è affidata dalla Costituzione alla competenza legislativa esclusiva dello Stato (art. 117, co. 2°, lett. m), Cost.), e pertanto sono vincolanti anche per le Regioni e gli enti locali.

Le disposizioni in questione riguardano (nuovo co. 2-bis dell’art. 29 della L. 241/1990):

§         la partecipazione dell'interessato al procedimento;

§         l’individuazione del responsabile del procedimenti;

§         l’obbligo di conclusione del provvedimento entro il termine prefissato;

§         il diritto di accesso alla documentazione amministrativa.

In pratica, il meccanismo previsto dal testo vigente della L. 241/1990 (art. 22, co. 2) per il solo diritto di accesso, viene ora esteso a gran parte degli altri istituti della L. 241/1990.

Viene, poi, individuato un altro gruppo di disposizioni della legge anch’esse ritenute indispensabili per garantire i livelli essenziali delle prestazioni, la cui applicazione può essere però oggetto di intesa tra Stato e Regioni.

Si tratta dell’istituto del silenzio assenso e di quello di dichiarazione di inizio attività, per i quali possono essere individuati, in sede di Conferenza unificata, ulteriori casi, rispetto alla disciplina recata dalla L. 241/1990, di non applicazione a livello locale (così il nuovo co. 2-ter introdotto nell’art. 29 della L. 241/1990).

Il nuovo co. 2-quater vieta alle Regioni e agli enti locali di stabilire, negli ambiti sopra indicati, garanzie inferiori a quelle stabilite nella L. 241/1990, consentendo loro di prevedere livelli più alti di tutela.

Infine, è prevista la consueta clausola di applicazione delle norme alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome, le quali adeguano la propria legislazione secondo i rispettivi statuti (nuovo co. 2-quinques).

Modificazioni proposte dall’articolo 29 al testo della L. 241/1990

L. 241/1990 (testo vigente)

L. 241/1990 (A.C. 1441, art. 29)

[…]

[…]

Art. 22
(Definizioni e princìpi in materia di accesso)

Art. 22
(Definizioni e princìpi in materia di accesso)

[…]

[…]

2. L'accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce principio generale dell'attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l'imparzialità e la trasparenza, ed attiene ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione. Resta ferma la potestà delle regioni e degli enti locali, nell'àmbito delle rispettive competenze, di garantire livelli ulteriori di tutela.

2. L'accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce principio generale dell'attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l'imparzialità e la trasparenza.

[…]

[…]

Art. 29
(Àmbito di applicazione della legge)

Art. 29
(Àmbito di applicazione della legge)

1. Le disposizioni della presente legge si applicano ai procedimenti amministrativi che si svolgono nell'àmbito delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali e, per quanto stabilito in tema di giustizia amministrativa, a tutte le amministrazioni pubbliche.

1. Le disposizioni della presente legge si applicano alle amministrazioni statali e agli enti pubblici nazionali. Le disposizioni della presente legge si applicano, altresì, alle società con totale o preva­lente capitale pubblico, limitatamente all'esercizio delle funzioni amministra­tive. Le disposizioni di cui agli articoli 2-bis, 11, 15 e 25, commi 5, 5-bis e 6, nonché quelle del capo IV-bis si applicano a tutte le amministrazioni pubbliche.

2. Le regioni e gli enti locali, nell'àmbito delle rispettive competenze, regolano le materie disciplinate dalla presente legge nel rispetto del sistema costituzionale e delle garanzie del cittadino nei riguardi dell'azione amministrativa, così come definite dai princìpi stabiliti dalla presente legge.

2. [Identico].

 

2-bis. Attengono ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, le disposizioni della presente legge concernenti gli obblighi per la pubblica amministrazione di garantire la partecipazione dell'inte­ressato al procedimento, di indivi­duarne un responsabile, di concluderlo entro il termine prefissato e di assicurare l'accesso alla documenta­zione amministrativa.

 

2-ter. Attengono altresì ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, le disposizioni della presente legge concernenti la dichiarazione di inizio attività e il silenzio assenso, salva la possibilità di individuare, con intese in sede di Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, casi ulteriori in cui tali disposizioni non si applicano.

 

2-quater. Le regioni e gli enti locali, nel disciplinare i procedimenti ammini­strativi di loro competenza, non possono stabilire garanzie inferiori a quelle assicurate ai privati dalle disposizioni attinenti ai livelli essenziali delle prestazioni di cui ai commi 2-bis e 2-ter, ma possono prevedere livelli ulteriori di tutela.

 

2-quinquies. Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano adeguano la propria legislazione alle disposizioni del presente articolo, secondo i rispettivi statuti e le relative norme di attuazione.

[…]

[…]

 

 

 


 

Articolo 30, commi 1-2
(Farmacie rurali)

 

1. L'articolo 2 della legge 8 marzo 1968, n. 221, è abrogato.

2. La corresponsione dell'indennità annua di residenza, prevista dall'articolo 115 del testo unico delle leggi sanitarie, di cui al regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265, e successive modificazioni, riconosciuta in favore dei farmacisti rurali dagli articoli 2 e seguenti della legge 8 marzo 1968, n. 221, come modificata dal comma 1 del presente articolo, è abolita a decorrere dal 1o gennaio 2009.

 

 

I commi 1 e 2 dell’articolo 30 dispongono rispettivamente l’abrogazione dell’articolo 2 della legge 8 marzo 1968, n. 221, recante Provvidenze a favore dei farmacisti rurali e la conseguente abolizione, dal 1 gennaio 2009, dell’indennità di residenza spettante ai farmacisti rurali [129].

Ai sensi dell’articolo 115 del testo unico delle leggi sanitarie[130] per i comuni o centri abitati con popolazione inferiore ai cinquemila abitanti, nei quali non esista farmacia e sia andato deserto il concorso aperto per la istituzione e l'esercizio della medesima, è stabilita una speciale indennità di residenza a favore del farmacista.

La predetta indennità può essere concessa anche ai titolari di farmacie rurali non di nuova istituzione.

 

Ai sensi dell’articolo 2 della legge 8 marzo 1968, n. 221, ai titolari delle farmacie rurali, ubicate in località con popolazione inferiore a 3.000 abitanti, l'indennità di residenza è fissata in relazione alla popolazione nella misura che segue:

-        lire 850.000 annue per popolazione fino a 1.000 abitanti;

-        lire 650.000 annue per popolazione da 1.001 2.000 abitanti;

-        lire 500.000 annue per popolazione da 2.001 a 3.000 abitanti.

Al comune che gestisce la farmacia rurale spetta, ai sensi della medesima legge, un contributo annuo a carico dello Stato pari alla misura dell'indennità stabilita precedenti a favore dei farmacisti rurali, ridotta della quota dovuta dal comune.

Per i comuni e i centri abitati con popolazione fino a 3.000 abitanti le amministrazioni comunali hanno facoltà di concedere ai titolari delle farmacie rurali di nuova istituzione ed ai dispensari, idonei locali.

Ai sensi dell’articolo 3 della medesima legge, l’indennità di residenza di cui all'articolo precedente spetta al farmacista direttore responsabile che sostituisca il titolare nei casi consentiti, nonché al farmacista che abbia la gestione provvisoria dell'esercizio nella misura fissata per il titolare.

Al farmacista gestore o al sanitario cui è affidato il dispensario farmaceutico spetta un'indennità di gestione nella misura fissa di lire 80.000 annue, ridotta a metà nel caso che il dispensario sia ubicato in locali messi a disposizione del comune.

 

Gli importi sopraccitati sono stati progressivamente aggiornati da leggi regionali (cfr., ad esempio, l.r. Molise 23 febbraio 1996 n. 19, l.r. Basilicata 3 gennaio 1997, n. 1, l.r. Marche 23 febbraio 2005, n. 13).

 

Va ricordato che per costante giurisprudenza della Corte Costituzionale (cfr. sentenza n. 87 del 2006) ai fini del riparto delle competenze legislative previsto dall’articolo 117 della Costituzione la “materia” della organizzazione del servizio farmaceutico, non diversamente (cfr. sentenza n. 61 del 1968) da quanto già avveniva sotto il regime anteriore alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), va ricondotta al titolo di competenza concorrente della tutela della salute. La complessa regolamentazione pubblicistica della attività economica di rivendita dei farmaci è infatti preordinata al fine di assicurare e controllare l’accesso dei cittadini ai prodotti medicinali ed in tal senso a garantire la tutela del fondamentale diritto alla salute, restando solo marginale, sotto questo profilo, sia il carattere professionale sia l’indubbia natura commerciale dell’attività del farmacista.

 

Va rilevato che molti articoli della citata legge 221/68 disciplinano aspetti riguardanti l’attribuzione dell’indennità di residenza alle farmacie rurali. Andrebbe pertanto valutata l’opportunità di estendere anche a queste norme l’abrogazione disposta dal comma 1 dell’articolo 30 in esame.

 


 

Articolo 30, commi 3-5
(Ordinamento contabile e finanziario dei comuni con popolazione inferiore a 5000 abitanti)

 


3. Al fine di semplificare l'ordinamento finanziario nei comuni di piccole dimensioni, al testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all'articolo 151, comma 2, dopo le parole: «Il bilancio» sono inserite le seguenti: «degli enti con popolazione superire a 5.000 abitanti»;

b) all'articolo 170, comma 1, dopo le parole: «enti locali» sono inserite le seguenti: «con popolazione superiore a 5.000 abitanti»;

c) all'articolo 170, comma 8, dopo le parole: «per tutti gli enti» sono inserite le seguenti: «con popolazione superiore a 5.000 abitanti»;

d) all'articolo 171, comma 1, dopo le parole: «enti locali» sono inserite le seguenti: «con popolazione superiore a 5.000 abitanti»;

e) all'articolo 172, comma 1, lettera d), dopo le parole: «di cui alla legge 11 febbraio 1994, n. 109» sono aggiunte le seguenti: «, per gli enti con popolazione superiore a 5.000 abitanti»;

f) all'articolo 197, comma 1, dopo le parole: «dei comuni» sono inserite le seguenti: «con popolazione superiore a 5.000 abitanti»;

g) all'articolo 229, comma 2, dopo le parole: «è redatto» sono inserite le seguenti: «dagli enti con popolazione superiore a 5.000 abitanti»;

h) all'articolo 233, dopo il comma 4 è aggiunto il seguente:

«4-bis. Per i comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti non si applicano le disposizioni di cui al presente articolo».

4. Nel regolamento di cui al comma 5 sono individuati gli adempimenti sostitutivi per i comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti.

5. Entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, è emanato un regolamento a norma dell'articolo 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, recante modelli e schemi contabili semplificati per i comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti, in deroga all'articolo 160 del citato testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.


 

 

I commi da 3 a 5 dell’articolo 30 recano una serie di disposizioni volte a semplificare la disciplina contabile per i comuni di piccole dimensioni.

 

A tal fine, il comma 3 novella alcuni articoli del Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali (TUEL), di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni, relativi all’ordinamento contabile e finanziario degli enti locali.

 

In particolare, attraverso la modifica al comma 2 dell’articolo 151 del TUEL, recante Princìpi in materia di contabilità, gli enti locali con popolazione inferiore a 5.000 abitanti sono esentati dall’obbligo di presentare, a corredo del bilancio di previsione:

§      la relazione previsionale e programmatica;

§      il bilancio pluriennale di durata pari a quello della Regione di appartenenza;

§      gli ulteriori documenti previsti dall'articolo 172 del TUEL o da altre norme di legge (comma 3, lett. a).

 

Si tratta dei seguenti documenti:

a)      il rendiconto deliberato del penultimo esercizio antecedente quello cui si riferisce il bilancio di previsione, ai fini del controllo da parte del competente organo regionale;

b)      le risultanze dei rendiconti o conti consolidati delle unioni di comuni, aziende speciali, consorzi, istituzioni, società di capitali costituite per l'esercizio di servizi pubblici, relativi al penultimo esercizio antecedente quello cui il bilancio si riferisce;

c)      la deliberazione, da adottarsi annualmente prima dell'approvazione del bilancio, con la quale i comuni verificano la quantità e qualità di aree e fabbricati da destinarsi alla residenza, alle attività produttive e terziarie che potranno essere ceduti in proprietà od in diritto di superficie; con la stessa deliberazione i comuni stabiliscono il prezzo di cessione per ciascun tipo di area o di fabbricato;

d)      il programma triennale dei lavori pubblici, di cui alla legge 11 febbraio 1994, n. 109;

e)      le deliberazioni con le quali sono determinati, per l'esercizio successivo, le tariffe, le aliquote d'imposta e le eventuali maggiori detrazioni, le variazioni dei limiti di reddito per i tributi locali e per i servizi locali, nonché, per i servizi a domanda individuale, i tassi di copertura in percentuale del costo di gestione dei servizi stessi;

f)        la tabella relativa ai parametri di riscontro della situazione di deficitarietà.

 

Vengono, di conseguenza, modificati in tal senso i seguenti articoli del TUEL:

§      l’articolo 170, commi 1 e 8, relativo alla Relazione previsionale e programmatica, la cui presentazione in allegato al bilancio di previsione è limitata ai soli enti locali con popolazione superiore ai 5.000 abitanti (comma 3, lett. b e c);

§      l’articolo 171, comma 1, relativo al bilancio pluriennale di competenza, di durata pari a quello della Regione di appartenenza e comunque non inferiore a tre anni, limitando ai soli enti locali con popolazione superiore ai 5.000 abitanti l’obbligo della sua presentazione in allegato al bilancio di previsione (comma 3, lett. d);

§      l’articolo 172, comma 1, lettera d), relativo agli ulteriori allegati al bilancio di previsione, precisando che l’obbligo di allegare al bilancio il programma triennale dei lavori pubblici, di cui alla legge n. 109/1994, è richiesto soltanto per gli enti locali con popolazione superiore a 5.000 abitanti (comma 3, lett. e).

 

In ordine alla modifica apportata all’articolo 172 del TUEL – volta ad esentare gli enti locali di piccole dimensioni dall’obbligo di allegare al bilancio di previsione il documento di cui alla lettera d), ossia il programma triennale dei lavori pubblici – si osserva che in base alla modifica apportata all’articolo 151, comma 2, del TUEL, di cui al comma 3, lettera a), dell’articolo in esame, gli enti locali di piccole dimensioni risultano già esentati dall’obbligo di allegare al bilancio di previsione tutti i documenti previsti dall’articolo 172, compreso, dunque, il programma triennale dei lavori pubblici.

 

Le ulteriori novelle introdotte dal comma 3 riguardano:

§      l’articolo 197, comma 1, del TUEL, al fine di escludere i comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti dal controllo di gestione, volto alla verifica dell'efficacia, efficienza ed economicità dell'azione amministrativa, al fine di ottimizzare, anche mediante tempestivi interventi di correzione, il rapporto tra costi e risultati. In particolare, la modifica apportata all’articolo 197 precisa che il controllo di gestione, ha per oggetto l'intera attività amministrativa e gestionale delle province, dei comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti, delle comunità montane, delle unioni dei comuni e delle città metropolitane ed è svolto con una cadenza periodica definita dal regolamento di contabilità dell'ente (comma 3, lett. f);

§      l’articolo 189, comma 2, del TUEL, relativo al conto economico, al fine di limitare l’obbligo di redazione di tale documento ai soli enti locali con popolazione superiore a 5.000 abitanti (comma 3, lett. g).

A tale riguardo si ricorda che già la legge finanziaria per il 2007 (art. 1, comma 164, legge n. 266/2005) aveva escluso i comuni con meno di 3.000 abitanti dall’obbligo di redazione del conto economico. Pertanto, con riferimento ai comuni, la novella in esame interessa quelli con popolazione fra 3.000 e 5.000 abitanti;

§      l’articolo 233 del TUEL, relativo ai conti degli agenti contabili interni, cui viene aggiunto il comma 4-bis che esclude i comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti, dall’applicazione delle disposizioni dell’articolo stesso (comma 3, lett. h).

L’articolo 233 prevede che entro due mesi dalla chiusura dell'esercizio finanziario, l'economo, e gli altri soggetti indicati dalla norma, rendano il conto della propria gestione all'ente locale il quale lo trasmette alla competente sezione giurisdizionale della Corte dei conti entro 60 giorni dall'approvazione del rendiconto. Gli agenti contabili, a danaro e a materia, allegano al conto, per quanto di rispettiva competenza il provvedimento di legittimazione del contabile alla gestione; la lista per tipologie di beni; copia degli inventari tenuti dagli agenti contabili; la documentazione giustificativa della gestione; i verbali di passaggio di gestione; le verifiche ed i discarichi amministrativi e per annullamento, variazioni e simili; eventuali altri documenti richiesti dalla Corte dei conti.

 

Gli adempimenti sostitutivi per i comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti sono individuati nell’ambito del regolamento da emanarsi entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, a norma dell'articolo 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, con il quale saranno approvati, in deroga all'articolo 160 del TUEL[131], i modelli e gli schemi contabili semplificati per i piccoli comuni (commi 4 e 5).

 


 

Articolo 30, comma 6
(Segretario comunale)

 


6. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Governo è delegato ad adottare un decreto legislativo volto alla razionalizzazione del ruolo del segretario comunale nei comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) istituzione di una sede di segreteria comunale unificata cui fanno riferimento più comuni limitrofi la cui popolazione complessiva sia pari almeno a 15.000 abitanti;

b) riordino dei compiti e delle funzioni del segretario comunale in servizio presso la sede unificata di cui alla lettera a);

c) ampliamento delle responsabilità del segretario comunale in servizio presso la sede unificata;

d) attribuzione al segretario comunale in servizio presso la sede unificata di funzioni di controllo interno e di gestione nonché di legittimità sugli atti.


 

 

Il comma 6 dell’articolo 30 reca una delega al Governo per la razionalizzazione del ruolo del segretario comunale nei comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti.

La disposizione, con l’evidente obiettivo di contenimento della spesa, è in primo luogo finalizzata alla riduzione del numero delle sedi di segreteria comunale degli enti locali di minori dimensioni attraverso la loro unificazione, nonché al riordino delle funzioni dei segretari comunali in servizio presso le nuove sedi di segreteria unificate.

La delega deve essere esercitata mediante un decreto legislativo da adottarsi entro il termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame.

Nell’attuazione della delega il Governo dovrà osservare i seguenti principi e criteri direttivi:

§      istituire sedi di segreteria comunale unificata cui facciano riferimento più comuni limitrofi (con popolazione non superiore a 5.000 abitanti) la cui popolazione complessiva sia pari ad almeno a 15.000 abitanti;

§      riordinare i compiti e le funzioni dei segretari comunali che prestano servizio presso le sedi unificate;

§      ampliare le responsabilità dei segretari comunali in servizio presso le sedi unificate;

§      attribuire ai segretari comunali in servizio presso le sedi unificate le funzioni di controllo interno e di gestione nonché di legittimità sugli atti.

 

Il bacino di utenza delle sedi di segreteria comunale unificata dovrà essere pertanto costituito da comuni che non superino la soglia demografica di 5.000 abitanti, che siano contigui territorialmente e che raggiungano complessivamente una popolazione non inferiore a 15.000 abitanti.

 

La normativa vigente in materia di segretari comunali e provinciali è contenuta principalmente negli articoli da 97 a 106[132] del D.Lgs. 267/2000[133] (Testo unico sull’ordinamento degli enti locali) e nel regolamento approvato con D.P.R. 465/1997[134].

Nell’ordinamento è già prevista la facoltà per due o più comuni di consorziarsi tra di loro per la gestione associata del servizio di segreteria: si ricorda in proposito che l’art. 98, comma 3, del TUEL dispone in via generale che i comuni possono stipulare convenzioni per l’ufficio di segretario comunale, comunicandone l’avvenuta costituzione alla Sezione regionale dell’Agenzia.

L’art. 10, comma 1, del D.P.R. 465/1997 precisa che i comuni, con deliberazione dei rispettivi consigli comunali, possono, anche nell'ambito di più ampi accordi per l'esercizio associato di funzioni, unificare le segreterie avvalendosi dell’opera dello stesso segretario[135].

Lo strumento previsto a tale scopo è quello della convenzione. Con la convenzione sono stabilite le modalità di espletamento del servizio; viene individuato il sindaco competente alla nomina e alla revoca del segretario; è determinata la ripartizione degli oneri finanziari per la retribuzione del segretario, la durata della convenzione, la possibilità di recesso da parte di uno o più comuni ed i reciproci obblighi e garanzie.

La normativa vigente non pone limiti demograficiai comuni che procedono a convenzionarsi per il servizio di segreteria.

E’ invece condizione necessaria per la stipula della convenzione che i comuni che intendono aderire ad essa siano ricompresi nell'ambito territoriale della stessa sezione regionale dell'Agenzia autonoma per la gestione dell'albo dei segretari comunali e provinciali.

L’articolo 3-quater del decreto-legge n. 44/2005[136] è intervenuto, con una norma di carattere derogatorio, sulla disciplina dell’esercizio associato delle funzioni di segreteria comunale, dettata dall’art. 10 del D.P.R. 465/1997, al fine di concedere, anche ai comuni situati in regioni diverse, la facoltà di utilizzare in convenzione il medesimo segretario comunale. Per potersi convenzionare, i comuni interessati devono essere in possesso dei seguenti requisiti:

§       non superare la soglia demografica di 5.000 abitanti;

§       essere situati in posizione di contiguità territoriale tra di loro;

§       condividere analoghe condizioni territoriali.

Con la deliberazione n. 164 del 27 luglio 2000, il Consiglio nazionale di amministrazione dell’Agenzia per la gestione dell’albo dei segretari comunali e provinciali ha dettato i criteri generali per la stipula delle convezioni prevedendo tra l’altro che “le convenzioni per l’ufficio di segreteria, disciplinate dall’art. 10 del D.P.R. 465/1997, siano stipulate in maniera tale da consentire al segretario l’effettivo svolgimento delle funzioni previste dalla legge, nel rispetto dei principi generali che presiedono al buon e corretto andamento della pubblica amministrazione, nonché dei principi di adeguatezza organizzativa degli enti interessati alla convenzione”.

Secondo i dati dell'Agenzia nazionale dei segretari diffusi all’inizio del 2007, a livello nazionale, il 65% degli enti locali ha stipulato la convenzione per gli uffici di segreteria (5.259 su 8.209 enti). Oltre la metà delle convenzioni riguarda una popolazione compresa tra 3.000 e 10.000 abitanti. Il 69% delle 2.179 convenzioni di segreteria sono state stipulate fra due enti; il 23% fra tre enti; 26 sono quelle costituite tra cinque o sei comuni[137].

Il ricorso sempre più frequente, anche da parte dei comuni di maggiori dimensioni, alle convenzioni per l’esercizio associato delle funzioni di segreteria ha indotto il Consiglio di amministrazione dell’Agenzia ad adottare un provvedimento al riguardo, ritenendosi che le convenzioni dovessero essere compatibili con l’esercizio adeguato, efficace ed efficiente delle funzioni del segretario e che pertanto non dovessero essere stipulate tra comuni con popolazione (e quindi con complessità) tale da richiedere la presenza continua del segretario, nonché tra comuni molto distanti.

Con la deliberazione n. 46 del 12 aprile 2005, il Consiglio aveva stabilito, tra i criteri per la costituzione delle convenzioni di segreteria:

§       di non consentire ai comuni di classe 1/B o superiore di stipulare convenzioni;

§       la stipula di convenzioni era consentita fra un numero massimo di quattro comuni, uno solo dei quali poteva appartenere alla classe II;

§       la stipula di convenzioni era consentita fra un numero di comuni superiore a quattro (dei quali uno soltanto poteva appartenere alla classe II), purché la popolazione complessiva non fosse superiore a 15.000 abitanti e previa autorizzazione della sezione regionale dell’Agenzia;

§       in ogni caso, la distanza tra i comuni facenti parte della convenzione doveva essere tale da consentire al segretario l'esercizio ottimale delle funzioni.

La deliberazione è stata revocata[138] a seguito di alcune pronunce del giudice amministrativo[139], adito da diversi comuni a cui l’Agenzia aveva negato la presa d’atto della convenzione sulla base di quanto sancito nella deliberazione citata, pronunce che hanno eccepito sotto il profilo formale l'inidoneità di un atto dell'Agenzia a incidere sull'autonomia degli enti.

Il Contratto collettivo nazionale di lavoro dei segretari comunali e provinciali per il biennio economico 2004-2005[140], sottoscritto l’8 marzo 2008, tra i principi enunciati dalla norma programmatica di cui all’articolo 5, prevede che il servizio prestato in sedi di segreteria convenzionate non produca effetti ai fini della progressione in carriera, e che la maggiorazione economica[141] prevista per i segretari titolari di segreteria convenzionata sia rimodulata in negativo in relazione al numero dei comuni convenzionati.

Le funzioni del segretario comunale e provinciale sono individuate dall’art. 97 del TUEL, il quale stabilisce in primo luogo che il segretario svolge compiti di collaborazione e funzioni di assistenza giuridico-amministrativa (ciò escludendo le consulenze di carattere tecnico) nei confronti degli organi dell'ente in ordine alla conformità dell'azione amministrativa alle leggi, allo statuto ed ai regolamenti. A questa funzione se ne affianca un’altra consultiva, referente e di assistenza alle riunioni degli organi dell’ente (consiglio e Giunta), delle quali cura la verbalizzazione.

Qualora il sindaco e il presidente della provincia non abbiano nominato il direttore generale[142], il segretario sovrintende allo svolgimento delle funzioni dei dirigenti e ne coordina l'attività. Inoltre:

§       può rogare tutti i contratti nei quali l'ente è parte ed autenticare scritture private ed atti unilaterali nell'interesse dell'ente;

§       esercita ogni altra funzione attribuitagli dallo statuto o dai regolamenti, o conferitagli dal sindaco o dal presidente della provincia;

§       esercita le funzioni di direttore generale nel caso in cui il direttore generale non sia stato nominato e non siano state stipulate, tra comuni con popolazione inferiore a 15.000 abitanti, le convenzioni per la nomina di un unico direttore generale[143].


 

Articolo 31
(Progetti di innovazione industriale)

 


1. Entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, al fine di promuovere e sostenere la competitività del sistema produttivo, il Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, sentiti il Ministro per la semplificazione normativa e il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, può individuare nuove aree tecnologiche ovvero aggiornare o modificare quelle già individuate e, a decorrere dall'anno 2009, l'individuazione di nuove aree tecnologiche o l'aggiornamento di quelle individuate può intervenire entro il 30 giugno di ogni anno.

2. All'articolo 1, comma 842, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e successive modificazioni, le parole: «di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, nonché con il Ministro per gli affari regionali e le autonomie locali di concerto con il Ministro per i diritti e le pari opportunità,» sono soppresse.

3. All'articolo 1, comma 843, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, le parole da: «, sentiti i Ministri» fino a: «in cui gli stessi concorrono,» sono soppresse.

4. All'articolo 1, comma 844, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) le parole: «i Ministri dell'università» sono sostituite dalle seguenti: «il Ministro dell'università»;

b) le parole: «, per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione, per gli affari regionali e le autonomie locali,» sono soppresse;

c) i periodi secondo, terzo e quarto sono soppressi.


 

 

L’articolo 31 interviene in materia di progetti di innovazione industriale (PII), previsti dalla legge finanziaria per il 2007 (legge 27 dicembre 2006, n. 296), attribuendo al Ministro dello sviluppo economico il potere di individuarenuove aree tecnologiche ovvero di aggiornare o modificare quelle già individuate, entro 90 giorni dall’entrata in vigore del provvedimento in esame (comma 1).

Alla individuazione o alla modifica delle suddette aree - che a partire dal 2009 potrà avere cadenza annuale (entro il 30 giugno) - il titolare del dicastero provvederà di concerto con il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, sentiti i ministri per la semplificazione amministrativa e per la pubblica amministrazione e l’innovazione tecnologica. E’ prevista, altresì, l’intesa con la Conferenza Stato regioni e province autonome di Trento e Bolzano.

Si ricorda che la legge 296/2006 prevede il finanziamento, a valere sul Fondo per la competitività (art. 1, commi 841ss della legge finanziaria 2007), nel rispetto degli obiettivi fissati con la strategia di Lisbona, di progetti di innovazione industriale (PII) (previsti dal comma 842 della legge finanziaria per il 2007). Si tratta di progetti di intervento organico miranti a favorire lo sviluppo di una specifica tipologia di prodotti e servizi ad alto contenuto di innovazione in aree tecnologico-produttive strategiche, con forte impatto sullo sviluppo del sistema produttivo e intensa ricaduta sul sistema Paese: efficienza energetica, mobilità sostenibile, nuove tecnologie per la vita, nuove tecnologie per il Made in Italy, tecnologie innovative per i beni culturali e turistici[144].

I Progetti di innovazione industriale si inseriscono nel quadro di politiche pubbliche volte al rafforzamento della competitività del sistema anche attraverso liberalizzazioni e misure di semplificazione amministrativa e di sostegno generalizzato all’apparato produttivo, da realizzarsi prevalentemente con incentivi automatici (quali il credito di imposta per investimenti in ricerca e sviluppo).

Tra le novità dei Progetti di innovazione industriale si segnalano:

-        la designazione di un responsabile (Project Manager) per ogni progetto industriale;

-        la mobilitazione di una pluralità di attori per il raggiungimento degli obiettivi tecnologico-produttivi. Imprese (piccole, medie e grandi), enti di ricerca, università e soggetti finanziari sono chiamati a partecipare ai singoli Progetti sulla base di specifici inviti lanciati dal Responsabile di progetto. Le amministrazioni pubbliche nazionali e locali, in particolare le regioni, possono contribuire prevedendo strumenti di intervento che andranno ad affiancarsi a quello specificatamente previsto per i Progetti di innovazione industriale;

-        la ridefinizione degli strumenti di incentivazione per le imprese che partecipano ai Progetti di innovazione industriale. L’intervento pubblico per il sostegno finanziario dei Progetti di innovazione industriale mira a “confezionare” dei pacchetti di agevolazioni tagliati su misura rispetto alle finalità da perseguire e alle specificità delle iniziative da realizzare;

-        la possibilità di attivare il partenariato pubblico-privato. Queste forme di cooperazione tra autorità pubbliche e operatori economici intendono rappresentare modalità efficienti per finanziare, realizzare o sfruttare un’infrastruttura materiale o immateriale o la fornitura di un servizio nell’ambito della realizzazione di azioni o parti di azioni previste nei Progetti di Innovazione Industriale.

Si segnala che ad oggi sono stati avviati i primi tre Progetti di innovazione industriale, riguardanti le seguenti aree strategiche: Efficienza energetica, Mobilità sostenibile e Nuove Tecnologie per il Made in Italy.

 

I commi 2-4 apportano modifiche ad alcune disposizioni della legge finanziaria 2007 concernenti, per l’appunto, la disciplina dei PII.

Le modifiche riguardano in particolare :

-       il comma 842, relativo al finanziamento dei progetti posto a carico della quota delle risorse del Fondo per la competitività individuata con decreto del Ministro dello sviluppo economico, per la cui adozione, a seguito delle modifiche introdotte dal comma 2 in esame, non è più richiesto il concerto con i ministri dell’economia e delle finanze, per gli affari regionali e le autonomie locali, per i diritti e le pari opportunità, mentre è ancora prevista l’intesa con la Conferenza permanente Stato-regioni;

-       il comma 843 riguardante la nomina di un responsabile di progetto, ai fini dell’individuazione del contenuto dei singoli progetti, da parte del Ministro dello sviluppo economico che non è più tenuto a sentire i ministri dell’università e della ricerca, per le riforme e l’innovazione nella pubblica amministrazione, per gli affari regionali e le autonomie locali e per i diritti e le pari opportunità;

-       il comma 844 relativo all’adozione dei progetti demandata, sulla base delle proposte del responsabile, a decreti del Ministro dello sviluppo economico per la cui adozione è richiesta unicamente - a seguito delle modifiche introdotte - l’intesa con la Conferenza permanenteper i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome e il concerto con il Ministro dell’istruzione dell’università e della ricerca (nel testo del ddl ancora erroneamente indicato come Ministero dell’università e delle ricerca), nonché con gli altri ministri interessati in relazione ai progetti cui gli stessi concorrono. Scompare dal testo ogni riferimento ai ministri per le riforme e l’innovazione nella pubblica amministrazione, per gli affari regionali e le autonomie locali. Vengono, altresì, soppresse le disposizioni riguardanti l’invio al CIPE dei progetti finanziati con le risorse per le aree sottoutilizzate, ai fini della loro approvazione e la previsione dell’adozione delle necessarie norme procedurali da parte dello stesso organismo.

 

 

 


 

Articolo 32
(Misure contro il lavoro sommerso)

 


1. All'articolo 3 del decreto-legge 22 febbraio 2002, n. 12, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2002, n. 73, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) il comma 3 è sostituito dal seguente:

«3. Ferma restando l'applicazione delle sanzioni già previste dalla normativa in vigore, l'impiego di lavoratori senza preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro, da parte del datore di lavoro privato, con la sola esclusione del datore di lavoro domestico, è altresì punito con la sanzione amministrativa da euro 1.500 a euro 12.000 per ciascun lavoratore, maggiorata di euro 150 per ciascuna giornata di lavoro effettivo. L'importo della sanzione è da euro 1.000 a euro 8.000 per ciascun lavoratore, maggiorato di euro 30 per ciascuna giornata di lavoro irregolare nel caso in cui il lavoratore risulti regolarmente occupato per un periodo lavorativo successivo. L'importo delle sanzioni civili connesse all'evasione dei contributi e dei premi riferiti a ciascun lavoratore di cui ai periodi precedenti è aumentato del 50 per cento»;

b) il comma 4 è sostituito dal seguente:

«4. Le sanzioni di cui al comma 3 non trovano applicazione qualora, dalle registrazioni effettuate sul libro unico del lavoro nel mese precedente all'accertamento ispettivo oppure da altri adempimenti obbligatori precedentemente assolti, si evidenzi comunque la volontà di non occultare il rapporto, anche se trattasi di differente qualificazione»;

c) il comma 5 è sostituito dal seguente:

«5. All'irrogazione delle sanzioni amministrative di cui al comma 3 provvedono gli organi di vigilanza che effettuano accertamenti in materia di lavoro, fisco e previdenza. Autorità competente a ricevere il rapporto ai sensi dell'articolo 17 della legge 24 novembre 1981, n. 689, è la direzione provinciale del lavoro territorialmente competente».

2. Al comma 7-bis dell'articolo 36-bis del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, introdotto dall'articolo 1, comma 54, della legge 24 dicembre 2007, n. 247, la parola: «constatate» è sostituita dalla seguente: «commesse».


 

 

L’articolo 32 reca disposizioni in materia di sanzioni relative all’impiego di lavoro irregolare.

 

Il comma 1 modifica, tramite novella, la disciplina di cui ai commi da 3 a 5 dell’articolo 3 del D.L. 12/2002[145], relativa alle sanzioni amministrative e civili previste per il caso di impiego di personale non risultante dalle scritture o dai documenti obbligatori.

In particolare, la lettera a) del comma in esame provvede a sostituire il comma 3 dell’articolo 3 del D.L. 12/2002.

 

Si ricorda che il menzionato comma 3, così come modificato dall’art. 36-bis del D.L. 223/2006[146], al fine di rendere più efficace, in termini di deterrenza, la previsione sanzionatoria relativa all’impiego di lavoratori non risultanti dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria, prevede la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 1.500 a euro 12.000 per ciascun lavoratore, maggiorata di 150 euro per ciascuna giornata di lavoro effettivo.

Inoltre, con la stessa finalità di rendere più rigorosa la disciplina sanzionatoria nel caso di utilizzazione di “lavoro nero”, si prevede che l’importo delle sanzioni civili connesse all’omesso versamento dei contributi e premi riferiti a ciascun lavoratore impiegato irregolarmente non può essere inferiore a 3.000 euro, a prescindere dalla durata della prestazione lavorativa accertata.

 

In primo luogo al menzionato comma 3, così come sostituito dalla disposizione in esame, per individuare l’oggetto della violazione si fa riferimento non più all'impiego di lavoratori non risultanti dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria, bensì all’impiego di lavoratori senza preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto lavorativo (da parte del datore di lavoro privato). Inoltre si escludono dai soggetti passibili delle sanzioni i datori di lavoro domestico.

Inoltre, con una significativa modifica, viene introdotta una sanzione amministrativa più lieve per coloro che, pur avendo utilizzato lavoro irregolare, abbiano successivamente regolarizzato lo stesso lavoratore. Difatti, si prevede la sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000 euro a 8.000 euro per ciascun lavoratore, maggiorata di 30 euro per ciascuna giornata di lavoro irregolare, nel caso in cui il lavoratore risulti regolarmente impiegato per un periodo lavorativo successivo.

Un’altra modifica di notevole portata riguarda l’entità della sanzioni civili applicate, prevedendosi che l’importo delle sanzioni civili connesse all’omesso versamento dei contributi e premi riferiti a ciascun lavoratore impiegato irregolarmente è aumentato del 50%. Si rammenta che invece il vigente comma 3 prevede che tale importo non può essere inferiore a 3.000 euro, a prescindere dalla durata della prestazione lavorativa accertata.

 

La lettera b) del comma in esame, invece, sostituendo il comma 4 dell’articolo 3 del D.L. 12/2002, introduce una norma volta ad escludere dall’applicazione delle sanzioni amministrative e civili relative all’impiego di lavoro sommerso coloro che non abbiano dolosamente occultato il rapporto di lavoro. In particolare si prevede che le menzionate sanzioni non si applicano nel caso in cui, dalle registrazioni effettuate sul libro unico del lavoro nel mese precedente all’ispezione oppure da altri adempimenti obbligatori in precedenza assolti, si rilevi comunque l’intenzione di non occultare il rapporto lavorativo, anche se al medesimo è stata attribuita una diversa qualificazione.

 

Si ricorda che l’articolo 39 del D.L. 112/2008[147], approvato dalla Camera, al fine di introdurre alcune misure di semplificazione per quanto riguarda gli adempimenti obbligatori di natura formale nella gestione dei rapporti di lavoro, prevede l’istituzione del libro unico del lavoro, il quale sostituisce i libri che il datore di lavoro doveva obbligatoriamente istituire ai sensi della normativa precedente e cioè, in particolare, il libro matricola e il libro paga[148].

In particolare, si dispone (comma 1) che il libro unico del lavoro deve essere istituito e tenuto da ogni datore di lavoro privato, con la sola esclusione del datore di lavoro domestico. In questo documento sono iscritti tutti i lavoratori subordinati, i collaboratori coordinati e continuativi e gli associati in partecipazione con apporto lavorativo. Inoltre, per ciascun lavoratore devono essere indicati il nominativo, il codice fiscale e, ove ricorrano, la qualifica e il livello, la retribuzione base, l’anzianità di servizio, nonché le relative posizioni assicurative.

Per quanto riguarda gli obblighi relativi alla tenuta del libro unico del lavoro, si stabilisce (comma 2) che nel medesimo debba essere annotata ogni dazione in danaro o in natura corrisposta o gestita dal datore di lavoro, indicando distintamente le somme erogate a titolo di premio o per lavoro straordinario. Il libro unico del lavoro deve altresì contenere un calendario delle presenze del lavoratore, da cui deve risultare, per ogni giornata, il numero di ore di lavoro effettuate da ciascun lavoratore dipendente, nonché l’indicazione delle ore di lavoro straordinario, delle assenze dal lavoro, delle ferie e dei riposi.

I dati sopra indicati devono essere riportati per ciascun mese di riferimento ed entro il 16 del mese successivo (comma 3).

Si rinvia a un decreto del Ministro del lavoro, da adottarsi entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame, la disciplina delle modalità e dei tempi di tenuta e conservazione del libro unico del lavoro nonché del relativo regime transitorio (comma 4)[149].

Inoltre, si stabilisce che la consegna in copia al lavoratore delle scritturazioni effettuate sul libro unico del lavoro comporta per il datore di lavoro l’adempimento degli obblighi di cui alla L. 4/1953, relativi alla consegna dei prospetti di paga (comma 5).

Vengono stabilite (comma 6) le seguenti sanzioni da applicare in caso di omissioni nella istituzione, tenuta ed esibizione del libro unico del lavoro:

-        una sanzione pecuniaria amministrativa da 500 a 2.500 euro in caso di mancata istituzione e tenuta;

-        una sanzione pecuniaria amministrativa da 200 a 2.000 euro nei casi di omessa esibizione agli organi di vigilanza;

-        una sanzione pecuniaria amministrativa da 250 a 2.000 euro per i soggetti di cui all’articolo 1, comma 4, della L. 12/1979[150] che, senza giustificato motivo, non ottemperino entro quindici giorni alla richiesta degli organi di vigilanza di esibire la documentazione in loro possesso; in caso di recidiva di tale violazione, la stessa sanzione varia da 500 a 3000. I soggetti cui si riferisce la norma sono i servizi o i centri di assistenza fiscale istituiti dalle rispettiva associazioni di categoria cui le imprese artigiane, nonché le altre piccole imprese, anche in forma cooperativa, possono affidare l’esecuzione degli adempimenti in materia di lavoro, previdenza ed assistenza sociale dei lavoratori dipendenti.

Inoltre, si prevedono (comma 7) specifiche sanzioni per irregolarità nella tenuta del libro unico del lavoro:

-        una sanzione pecuniaria amministrativa da 150 a 1.500 euro nei casi di omessa o infedele registrazione dei dati relativi ai nominativi dei lavoratori impiegati, alle retribuzioni e alle dazioni in danaro o in natura, nonché quelle relative alle presenze (di cui ai commi 1 e 2 dell’articolo in esame), qualora tali violazioni determinano differenti trattamenti retributivi, previdenziali o fiscali. Tale sanzione va da 500 a 3000 euro se tale violazione si riferisce a più di dieci lavoratori;

-        una sanzione pecuniaria amministrativa da 100 a 600 euro se la violazione si riferisce all’obbligo di riportare i dati per ciascun mese di riferimento (di cui al comma 3 dell’articolo in esame). Tale sanzione va da 150 a 1.500 euro se tale violazione si riferisce a più di dieci lavoratori;

-        una sanzione pecuniaria amministrativa da 100 a 600 euro nel caso di mancata conservazione del libro unico del lavoro per il periodo temporale stabilito nel previsto decreto del Ministro del lavoro (di cui al comma 4 dell’articolo in esame).

Viene precisato che alla contestazione delle sanzioni amministrative esaminate provvedono gli organi di vigilanza che effettuano accertamenti in materia di lavoro e previdenza e che l’autorità competente a ricevere il rapporto ai sensi dell’articolo 17 della L. 689/1981[151]è la Direzione provinciale del lavoro territorialmente competente.

Si evidenzia, infine, che, in connessione all’istituzione del libro unico del lavoro, si dispone (comma 10) l’abrogazione delle norme relative all’obbligo e alle modalità di tenuta del libro matricola e del libro paga (articolo 134 del R.D. 1422/1924; articolo 7 della L. 1122/1955; articoli 39 e 41 del D.P.R. 797/1955; artt. 20, 21, 25 e 26 del D.P.R. 1124/1965; art. 42 della L. 153/1969; art. 1, comma 1178, della L. 296/2006; D.M. 30 ottobre 2002), nonché del registro d’impresa nel settore agricolo (art. 9-quater del D.L. 510/1996).

 

La lettera c) del comma in esame, novellando il comma 5 dell’articolo 3 del D.L. 12/2002, è volta a modificare le norme relative alla competenza all’irrogazione delle sanzioni amministrative relative all’impiego di lavoro irregolare.

 

Si ricorda che il vigente comma 4 del menzionato articolo 3 (recante una disposizione che viene in pratica soppressa dalla lettera b) del comma in esame: cfr. supra) dispone che alla constatazione delle violazione relative all’impiego di lavoro irregolare procedono gli organi preposti ai controlli in materia fiscale, contributiva e del lavoro.

Invece il successivo comma 5, così come novellato dall’articolo 36-bis, comma 7, lettera b), del D.L. 223/2006, attribuisce la competenza all’irrogazione della sanzione amministrativa per l’impiego di lavoratori non risultanti dalle scritture obbligatorie alla Direzione provinciale del lavoro competente per territorio. Si consideri che invece la previgente formulazione del comma 5 attribuiva la competenza in questione all’Agenzia delle entrate.

 

La formulazione del menzionato comma 5 introdotta dalla disposizione in esame attribuisce la competenza all’irrogazione delle sanzioni amministrative relative all’impiego di lavoro irregolare agli organi ispettivi che effettuano controlli i materia di lavoro, fisco e previdenza. Viene altresì precisato che l’autorità competente a ricevere il rapporto ai sensi dell’articolo 17 della L. 689/1981 è la Direzione provinciale del lavoro competente per territorio.

 

Si ricorda che il citato articolo 17 dispone che, qualora non sia stato effettuato il pagamento in misura ridotta della sanzione amministrativa pecuniaria, il funzionario o l'agente che ha accertato la violazione deve presentare rapporto, con la prova delle eseguite contestazioni o notificazioni, all'ufficio periferico cui sono demandati attribuzioni e compiti del Ministero nella cui competenza rientra la materia alla quale si riferisce la violazione o, in mancanza, al prefetto (attualmente: Ufficio Territoriale del Governo – UTG).

 

Infine, il comma 2 dell’articolo in esame è volto a novellare il comma 7-bis dell’articolo 36-bis del D.L. 223/2006, introdotto dall’articolo 1, comma 54, della L. 247/2007 recante attuazione del Protocollo sul welfare del 23 luglio 2007.

 

Il citato comma 7-bis prevede che l'adozione dei provvedimenti sanzionatori amministrativi di cui all'articolo 3 del D.L. 12/2002, relativi alle violazioni constatate prima della entrata in vigore del D.Lgs. 223/2006, rimane di competenza dell'Agenzia delle entrate, in luogo della Direzione provinciale del lavoro.

In sostanza, la disposizione è volta a distinguere la competenza sulla irrogazione delle sanzioni amministrative relative all’impiego di lavoratori non risultanti dalle scritture obbligatorie a seconda del momento della constatazione delle medesime violazioni. Per le violazioni constatate prima dell’entrata in vigore del D.L. 223/2206 la competenza viene attribuita all’Agenzia delle entrate, mentre per le violazioni constatate successivamente all’entrata in vigore del D.L. 223/2206 la competenza spetta alla Direzione provinciale del lavoro.

Il comma 7-bis, inoltre, dispone che tale adozione di sanzioni effettuata dall’Agenzia delle entrate sia soggetta alle disposizioni del D.Lgs. 472/1997[152], relativo alle sanzioni amministrative comminate per violazioni tributarie, ad eccezione del comma 2 dell'articolo 16 dello stesso D.Lgs. 472[153].

 

In particolare, a seguito della modifica in esame, si dispone che rimane di competenza dell'Agenzia delle entrate l'adozione dei suddetti provvedimenti sanzionatori amministrativi relativi alle violazioni “commesse”(anziché “constatate”) prima della entrata in vigore del D.Lgs. 223/2006[154].

 

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)

Orientamenti a favore dell’occupazione

Il 15 luglio 2008 il Consiglio ha adottato la decisione sugli orientamenti a favore dell’occupazione che, insieme alla raccomandazione relativa agli indirizzi di massima per le politiche economiche degli Stati membri e della Comunità, forma gli orientamenti integrati per la crescita e l’occupazione[155].

In particolare, la decisione comprende l’orientamento 21Favorire al tempo stesso flessibilità e sicurezza occupazionale e ridurre la segmentazione del mercato del lavoro, tenendo debito conto del ruolo delle parti sociali” sottolinea l’esigenza di affrontare il problema del lavoro clandestino.

Modernizzazione del diritto del lavoro e flessicurezza

Nel 2006 la Commissione ha avviato un dibattito pubblico sull’evoluzione del diritto del lavoro in modo tale da sostenere gli obiettivi della strategia di Lisbona ed ottenere una crescita sostenibile con più posti di lavoro di migliore qualità. A conclusione del processo di consultazione (avviato sulla base di un apposito Libro verde), la Commissione ha presentato, il 27 giugno 2007, una comunicazione intesa a definire principi comuni in materia di flessicurezza per consentire agli Stati membri di sviluppare strategie di flessicurezza adattate al proprio contesto nazionale.

La comunicazione delinea proposte in merito a otto principi comuni di flessicurezza tra cui il seguente:

“la flessicurezza dovrebbe promuovere mercati del lavoro aperti, reattivi e inclusivi, superando la segmentazione. Riguarda sia gli occupati sia i non occupati. Le persone inattive, i disoccupati, i lavoratori irregolari, i precari o quanti si trovano ai margini del mercato del lavoro hanno bisogno di vedersi offrire migliori opportunità, incentivi economici e misure di sostegno per un più facile accesso al lavoro o di supporti per essere aiutati a progredire verso un’occupazione stabile e giuridicamente sicura. Il sostegno dovrebbe essere disponibile per tutti gli occupati al fine di rimanere occupabili, progredire e gestire le transizioni verso il mondo del lavoro e da un posto di lavoro all’altro”.

I principi comuni sono stati accolti con favore dal Parlamento europeo e dal Consiglio occupazione che ha invitato la Commissione ad assumere le iniziative necessarie per consentire l’attuazione dell’approccio proposto per gli Stati membri.

Il Parlamento europeo, in particolare, nella risoluzione dell’11 luglio 2007 su “modernizzare il diritto del lavoro per rispondere alle sfide del XXI secolo” sottolinea che la lotta contro il lavoro sommerso rientri tra le priorità di una riforma del diritto del lavoro negli Stati membri. Il Parlamento europeo, inoltre, invita gli Stati membri a rivedere e adattare i sistemi di previdenza sociale e a completare le politiche attive del mercato del lavoro, segnatamente la formazione e l’apprendimento permanente allo scopo di realizzare nuove realtà lavorative, sostenere le transizioni tra professioni e il reinserimento nel mercato del lavoro per evitare una non necessaria dipendenza dai sussidi e dal lavoro sommerso.

Il Consiglio europeo del 13 e 14 marzo 2008, ha invitato gli Stati membri ad attuare i principi comuni concordati di flessicurezza delineando nei loro programmi nazionali di riforma per il 2008 le modalità nazionali di attuazione di tali principi.

 

Il 19 maggio 2008 la Commissione ha lanciato, in cooperazione con le parti sociali europee, la “missione per la flessicurezza”, un’iniziativa per contribuire alla messa in pratica, a livello nazionale, della flessicurezza.

 


 

Articolo 33
(Cooperazione allo sviluppo internazionale)

 


1. Entro due mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, con decreto del Ministro degli affari esteri, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sono definite le modalità semplificate di svolgimento delle procedure amministrative e contrattuali riguardanti:

a) gli interventi di cooperazione a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione nei Paesi indicati dal decreto-legge 31 gennaio 2008, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 marzo 2008, n. 45;

b) gli interventi nelle ulteriori aree individuate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro degli affari esteri, finalizzati al superamento delle criticità di natura umanitaria, sociale o economica.

2. Con il decreto di cui al comma 1 sono stabiliti, in particolare:

a) le modalità di approvazione degli interventi, in conformità all'articolo 11, comma 3, della legge 26 febbraio 1987, n. 49, e successive modificazioni, e all'articolo 11, comma 1, del decreto-legge 1o luglio 1996, n. 347, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1996, n. 426;

b) le specifiche deroghe alle norme di contabilità generale dello Stato;

c) i presupposti per il ricorso ad esperti e a consulenti tecnici e giuridici;

d) le modalità di svolgimento delle procedure negoziate.


 

 

L'articolo 33 riguarda le procedure amministrative e contrattuali con cui si attuano gli interventi di cooperazione internazionale sia per la costruzione e il mantenimento della pace, sia per il superamento delle emergenze umanitarie sociali ed economiche.

In particolare, il comma 1 prevede che, al fine di semplificare le modalità di svolgimento di tali procedure amministrative e contrattuali, il Ministro degli affari esteri emani un decreto, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, entro il termine di due mesi dall’entrata in vigore del provvedimento in esame.

Gli interventi di cooperazione interessati dalla norma sono, come accennato, di due tipi:

a)   interventi di cooperazione a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione nei Paesi indicati dal decreto-legge 31 gennaio 2008, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 marzo 2008, n. 45 Disposizioni urgenti in materia di interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione, nonché relative alla partecipazione delle Forze armate e di polizia a missioni internazionali.

Dal contenuto della disposizione di cui alla lettera a) in esame, sembra possibile evincere che i paesi a cui la disposizione stessa si riferisce siano quelli indicati al solo art. 2 del D.L. 8/2008, che, infatti, disciplina gli “Interventi a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione”

Poiché, tuttavia, il rinvio testuale non è sufficientemente specifico, può sussistere un dubbio interpretativo circa la estensibilità della portata della nuova disposizione anche a tutti i paesi ai quali fa riferimento l’intero D.L. 8/2008 (o per lo meno a quelli di cui al Capo I dello stesso decreto, dedicato a tutti gli interventi di cooperazione allo sviluppo.

Si segnala, inoltre, che ove il rinvio si intendesse riferito al solo articolo 2 del decreto legge n. 8, sembrerebbecorretto ritenere che i Paesi interessati siano solo quelli citati nei commi 1 e 3: Somalia, Sudan, Repubblica Democratica del Congo, Iraq e Afghanistan.

Infine, sembrerebbe quindi opportuno che nella lettera a) dell’art. 33 in esame venisse inserita – con più chiarezza - l’indicazione degli articoli del D.L. 8/2008 cui si intende fare riferimento.

b)   interventi per fronteggiare emergenze di carattere umanitario, sociale o economico in aree che saranno di volta in volta individuate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro degli affari esteri.

Il comma 2 specifica i contenuti del Decreto del Ministro degli esteri, che deve contenere: le modalità di approvazione degli interventi; le deroghe alle norme di contabilità generale dello Stato; i presupposti per il ricorso ad esperti e a consulenti; le modalità di svolgimento delle procedure negoziate.

In particolare, le modalità di approvazione dovranno essere conformi all’articolo 11, co. 3 della legge n. 49 del 1987 (Nuova disciplina della cooperazione dell'Italia con i Paesi in via di sviluppo), nonché all’articolo 11, co. 1, del D.L. n. 347 del 1996 (Differimento di termini previsti da disposizioni legislative concernenti il Ministero degli affari esteri e norme relative ad impegni internazionali ed alla cooperazione allo sviluppo), convertito, con modificazioni, dalla legge n. 426 del 1996.

Il comma 3 dell’articolo 11, della legge n. 49/1987 stabilisce che gli interventi straordinari destinati a fronteggiare casi di calamità e situazioni di denutrizione e di carenze igienico-sanitarie che minacciano la sopravvivenza della popolazione sono deliberate dal Ministro degli affari esteri (o dal Sottosegretario delegato) se l'onere previsto è superiore a lire 2 miliardi (di lire, N.B.), ovvero dal Direttore generale per importi inferiori e non sono sottoposte al parere preventivo del Comitato direzionale né al visto preventivo dell'ufficio di ragioneria presso la D.G. Cooperazione allo sviluppo. La relativa documentazione è inoltrata al Comitato direzionale, al Comitato consultivo ed all'Ufficio di ragioneria contestualmente alla delibera.

L'articolo 11, comma 1, del decreto-legge 1° luglio 1996, n. 347, (convertito, con modificazioni, dalla legge 426/1996) stabilisce che le autorizzazioni con procedura d’urgenza di interventi conseguenti a calamità naturali o attribuibili all'uomo, avvenute o imminenti, su richiesta delle comunità colpite o a seguito di appello internazionale, sono effettuate dal Ministro degli affari esteri su richiesta del direttore generale. Quest’ultimo delibera l'intervento, precisandone tipologia e modalità, ed indicando i risultati attesi, i destinatari e le risorse impiegate. Il Parlamento deve essere tempestivamente informato di tali interventi.

 

Si rileva che, poiché il Decreto del Ministro degli esteri previsto dal comma 1 dell’articolo in esame può contenere, come previsto al comma 2, deroghe alle norme di contabilità generale dello Stato, disciplinate da fonti di rango primario, sarebbe opportuno prevedere un passaggio parlamentare del provvedimento, al fine dell’espressione di un parere sullo schema di decreto da parte delle competenti Commissioni.


 

Articolo 34
(Trasparenza dei flussi finanziari dei Fondi strutturali comunitari e del Fondo per le aree sottoutilizzate)

 


1. Per prevenire l'indebito utilizzo delle risorse stanziate nell'ambito della programmazione unitaria della politica regionale per il periodo 2007-2013, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con i Ministri interessati, sono definite le modalità e le procedure necessarie a garantire l'effettiva tracciabilità dei flussi finanziari relativi all'utilizzo, da parte dei soggetti beneficiari delle agevolazioni, delle risorse pubbliche e private impiegate per la realizzazione degli interventi oggetto di finanziamento a valere sui Fondi strutturali comunitari e sul Fondo per le aree sottoutilizzate, di cui all'articolo 61 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, e successive modificazioni. Le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, sono tenute, nell'utilizzo delle risorse dei predetti Fondi loro assegnate, ad applicare le modalità e le procedure definite dal decreto di cui al periodo precedente.


 

 

L’articolo introduce disposizioni relative a misure di tracciabilità dei flussi finanziari derivanti dall’impiego delle risorse dei Fondi strutturali comunitari e del Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS), allo scopo di prevenirne l’indebito utilizzo nell’ambito della programmazione unitaria della politica regionale per il periodo 2007-2013.

Il comma 1 prevede, al riguardo, l’emanazione di un decreto del Ministro dell’economia, di concerto con i Ministri interessati, per la definizione delle modalità e delle procedure necessarie a garantire l’effettiva tracciabilità dell’utilizzo di risorse pubbliche e private, da parte dei soggetti beneficiari delle agevolazioni, per l’attuazione di interventi oggetto di finanziamento a valere sui Fondi strutturali comunitari e sul FAS.

Nell’utilizzo delle risorse dei predetti fondi le Amministrazioni pubbliche[156] sono chiamate ad applicare le modalità e le procedure definite dal suddetto decreto.

 

Si ricorda che nel luglio 2006 la Commissione europea ha definito la nuova programmazione della politica regionale di sviluppo per il periodo 2007-2013, stabilendo le risorse da assegnare ai nuovi obiettivi della politica di coesione (Convergenza, Competitività regionale e occupazione e Cooperazione territoriale europea). Per quanto riguarda l’Italia, è stato definito il Quadro strategico nazionale (QSN) 2007-2013 – approvato dalla Commissione europea con Decisione del 13 luglio 2007 – che ha previsto una programmazionesettennale di tutti gli strumenti finanziari di attuazione della politica di coesione e di sviluppo, vale a dire i fondi strutturali comunitari, il cofinanziamento nazionale e le risorse aggiuntive nazionali assegnate al Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS), relativamente alle nuove aree obiettivo[157]. Quest’ultimo fondo è stato istituito con l’articolo 61, comma 1, della legge finanziaria per il 2003 (legge n. 289 del 2002), facendo confluire in esso, con separata evidenziazione contabile, le risorse già allocate nel Fondo per le aree depresse, relative sia all’intervento straordinario nel Mezzogiorno (legge n. 64 del 1986) che all’intervento ordinario nelle aree depresse, del Fondo per l’imprenditoria giovanile (la legge n. 488 del 1999, articolo 27, comma 11) e delle risorse iscritte in bilancio per i crediti di imposta per nuove assunzioni e per investimenti (rispettivamente previste all’articolo 7 e 8 della legge n. 388 del 2000).

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)

Il 6 novembre 2007 la Commissione ha presentato la relazione annuale sull’esecuzione dei Fondi strutturali (2006) (COM(2007)676).

In particolare, la relazione evidenzia, con riferimento al Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR), che l'esecuzione del bilancio 2006 è stata molto soddisfacente in quanto per gli obiettivi 1 e 2 e le iniziative comunitarie è stato impegnato il 100% delle risorse disponibili. Quanto agli stanziamenti di pagamento, è stato utilizzato il 99,92% delle risorse disponibili (99,65% nel 2005).

Anche con riguardo al Fondo sociale europeo (FSE)a parere della Commissione l'esecuzione del bilancio nel 2005 è stata molto soddisfacente: il 99,97% degli stanziamenti impegnati sono stati utilizzati nel 2006 (rispetto al 99,93% del 2005).

In un comunicato stampa del 14 febbraio 2008, Danuta Hübner, Commissario per la Politica regionale ha annunciato che anche nel 2007l’esecuzione del bilancio per la politica di coesione è stata eccellente, con pagamenti per oltre 41 miliardi di euro, a fronte dei 33 miliardi del 2006. Inoltre, nel corso del 2007 sono stati quasi tutti adottati i nuovi programmi operativi relativi al periodo di programmazione dei fondi strutturali 2007-2013.

 

Il 19 febbraio 2008 la Commissione ha presentato un piano d’azione per il rafforzamento della funzione di supervisione della Commissione stessa nel contesto della gestione condivisa delle azioni strutturali (COM(2008)97).

Il piano d'azione intende migliorare il controllo sulla gestione dei fondi strutturali negli Stati membri, rilevandone il carattere cruciale per ridurre i rischi di indebito utilizzo dei fondi stessi. Secondo la Commissione sussistono lacune ed errori a questo livello causati da regole complesse che non vengono interpretate o applicate correttamente; è essenziale pertanto ridurre questi margini d'errore mediante azioni previe di formazione e di orientamento rivolte alle autorità di gestione. La Commissione ricorda che nell'ambito del processo volto a ridurre gli errori e a migliorare i sistemi di audit, 25 Stati membri hanno già predisposto e trasmesso alla Commissione sintesi annuali dei loro sistemi di audit e dichiarazioni relative al 2007 o sono in procinto di farlo. L'esame e il seguito dei contenuti di tali sintesi svolgerà un ruolo cruciale contestualmente agli sforzi della Commissione per migliorare la sua funzione di vigilanza. Gli Stati membri che non hanno ottemperato ai loro obblighi legali inviando le sintesi o le cui sintesi siano incomplete riceveranno una lettera di richiesta di informazioni da parte della Commissione. Nella lettera si farà presente che in caso di mancata ottemperanza essi rischiano una procedura d'infrazione.

Con specifico riguardo al periodo di programmazione 2007-2013, il piano d’azione rileva che un'azione preventiva volta a migliorare e semplificare la messa in opera di sistemi di controllo e di audit, è in corso e continuerà in modo da identificare eventuali punti deboli e di ovviarvi in una fase precoce.

Per quanto riguarda invece il periodo di programmazione 2000-2006, la Commissione intensificherà gli sforzi per chiudere i programmi 2000-2006 assicurando la legalità e la regolarità dei pagamenti relativi a tale periodo, mediante controlli ex-post più efficaci rimedino alle eventuali carenze ancora presenti nei sistemi.

Più in generale, la Commissione intende migliorare la rendicontazione sulle rettifiche finanziarie operate dagli Stati membri stessi, assicurando un ricorso più celere alle procedure di sospensione e di rettifica finanziaria previste dai regolamenti sui fondi strutturali vigenti.

 

Il 14 maggio 2008 la Commissione ha presentato una comunicazione sui risultati dei negoziati relativi alle strategie e ai programmi settoriali e regionali relativi alla politica di coesione per il periodo 2007-2013 (COM(2008)301). Il documento contiene l’analisi del contenuto 450 programmi operativi relativi al periodo di programmazione 2007-2013.

 


 

Articolo 35
(Misure in tema di concorrenza
e tutela degli utenti nel settore postale)

 


1. All'articolo 2, comma 2, lettera d), del decreto legislativo 22 luglio 1999, n. 261, dopo le parole: «espletamento del servizio universale» sono aggiunte le seguenti: «e adotta i provvedimenti necessari ad assicurare la continuità della fornitura di tale servizio anche in considerazione della funzione di coesione economica, sociale e territoriale che esso riveste».

2. All'articolo 2, comma 2, lettera h), del decreto legislativo 22 luglio 1999, n. 261, dopo le parole: «rete postale pubblica» sono inserite le seguenti: «e ad alcuni elementi dei servizi postali, quali il sistema di codice di avviamento postale,».

3. All'articolo 2, comma 2, lettera l), del decreto legislativo 22 luglio 1999, n. 261, le parole: «del servizio universale» sono sostituite dalle seguenti: «dei servizi postali».

4. All'articolo 3, comma 3, lettera c), del decreto legislativo 22 luglio 1999, n. 261, dopo le parole: «criteri di ragionevolezza» sono inserite le seguenti: «e in considerazione della funzione di coesione sociale e territoriale del servizio e della relativa rete postale,».

5. La rubrica dell'articolo 14 del decreto legislativo 22 luglio 1999, n. 261, è sostituita dalla seguente: «Reclami e rimborsi».

6. L'articolo 14, comma 1, del decreto legislativo 22 luglio 1999, n. 261, è sostituito dal seguente:

«1. Relativamente al servizio universale, compresa l'area della riserva, sono previste dal fornitore del servizio universale, nella carta della qualità di cui all'articolo 12, comma 1, procedure trasparenti, semplici e poco onerose per la gestione dei reclami degli utenti, con particolare riferimento ai casi di smarrimento, furto, danneggiamento o mancato rispetto delle norme di qualità del servizio, comprese le procedure per determinare l'attribuzione della responsabilità qualora sia coinvolto più di un operatore. È fissato anche il termine per la trattazione dei reclami medesimi e per la comunicazione del loro esito all'utente».

7. Dopo il comma 1 dell'articolo 14 del decreto legislativo 22 luglio 1999, n. 261, come sostituito dal comma 6 del presente articolo, è inserito il seguente:

«1-bis. Le procedure per la gestione dei reclami di cui al comma 1 comprendono le procedure conciliative in sede locale nonché le procedure extragiudiziali per la risoluzione delle controversie, uniformate ai princìpi comunitari in materia».

8. All'articolo 14, comma 5-bis, del decreto legislativo 22 luglio 1999, n. 261, dopo le parole: «titolari di licenza individuale» sono inserite le seguenti: «e di autorizzazione generale».


 

 

L’articolo 35 reca modifiche al D.Lgs. 261/1999[158], che disciplina il servizio postale, recependo alcune previsioni introdotte dalla normativa comunitaria.

L’articolo in esame, ai commi da 1 a 4, amplia le funzioni dell’Autorità di regolamentazione, con l’intento di incrementare la concorrenza nel settore postale ed espressamente riconoscendo la funzione di coesione che il servizio postale riveste.

I successivi commi da 5 a 8 dettano disposizioni in materia di tutela degli utenti in caso di disservizi del servizio postale.

 

Il comma 1 dell’articolo 35 novella l’articolo 2, comma 2, del D.Lgs. 261/1999, relativo alle funzioni dell’Autorità di regolamentazione del settore postale, che in Italia è stata individuata nel Ministero delle comunicazioni[159]. Il comma in esame prevede che l’Autorità, oltre a verificare il rispetto degli obblighi connessi all’espletamento del servizio universale[160], adotta i provvedimenti necessari ad assicurare la continuità della fornitura di tale servizio, anche in considerazione della funzione di coesione economica, sociale e territoriale che esso riveste.

La modifica proposta è diretta a recepire una previsione della direttiva 2008/6/CE[161], la quale, novellando l’articolo 4 della direttiva 97/67/CE[162], stabilisce che gli Stati membri adottano misure volte a garantire che le condizioni a cui viene affidato il servizio universale si basino su principi di trasparenza, non discriminazione e proporzionalità, garantendo in tal modo la continuità della fornitura del servizio universale e tenendo conto del ruolo importante che questo servizio svolge nella coesione sociale e territoriale.

 

Anche il comma 2 dell’articolo in esame interviene sull’articolo 2, comma 2, del D.Lgs. 261/1999, in particolare sulla lettera h). La norma vigente prevede che l’Autorità di regolamentazione promuova l’adozione di provvedimenti per realizzare l’accesso di operatori alla rete postale pubblica, in condizioni di trasparenza e non discriminazione. La novella stabilisce che i menzionati provvedimenti siano diretti anche a realizzare l’accesso ad alcuni elementi dei servizi postali, tra i quali viene espressamente citato il sistema di codice di avviamento postale.

La novella recepisce il nuovo articolo 11-bis della direttiva 97/67/CE, introdotto dalla direttiva 2008/6/CE, il quale prevede che gli Stati membri, qualora sia necessario per tutelare gli interessi degli utenti e/o per promuovere una concorrenza efficace, garantiscono condizioni di accesso trasparenti e non discriminatorie per elementi dell’infrastruttura o dei servizi postali forniti nell’ambito di applicazione del servizio universale. Tra questi vengono espressamente menzionati: il sistema di codice di avviamento postale, le banche dati di indirizzi, le caselle postali, le cassette di recapito, le informazioni sui cambiamenti di indirizzo, il servizio di instradamento della posta verso nuovi indirizzi e il servizio di rinvio al mittente.

La ratio della norma, secondo la relazione illustrativa, è duplice, poiché se da un lato risponde a esigenze di tutela della concorrenza e di corretto funzionamento del mercato di riferimento e dei mercati attigui, che si avvalgono del servizio postale, dall'altro garantisce gli utenti del servizio postale in ordine ai propri diritti, in qualità di destinatari degli invii veicolati da operatori diversi dal fornitore del servizio universale.

 

Il comma 3 dell’articolo 35, che novella la lettera l) del già citato articolo 2, comma 2, del D.Lgs. 261/1999, estende a tutti i servizi postali, anziché al solo servizio universale, come attualmente previsto, l’obbligo di dare pubblicamente agli utenti informazioni sulle caratteristiche dei servizi offerti, in particolare per quanto riguarda le condizioni generali di accesso ai servizi, i prezzi e il livello di qualità. L’accertamento del rispetto di tale obbligo rientra tra i compiti dell’Autorità di regolamentazione.

La novella recepisce le modifiche all’articolo 6 della direttiva 97/67/CE, apportate dalla direttiva 2008/6/CE.

 

Il comma 4 ribadisce la funzione di coesione sociale e territoriale del servizio e della rete postale, stabilendo che tale funzione deve essere considerata, assieme ai criteri di ragionevolezza, al fine di specificare l’estensione territoriale del servizio postale universale.

Il comma 4 in esame novella l’articolo 3, comma 3, del D.Lgs. 261/1999, il quale individua le caratteristiche del servizio postale universale. In particolare viene modificata la lettera c), che specifica il significato dell’espressione “tutti i punti del territorio nazionale”, utilizzata per definire l’ambito territoriale entro il quale il servizio postale universale deve essere garantito.

 

Il commi da 5 a 8 dell’articolo 35 modificano l’articolo 14 del D.Lgs. 261/1999, il quale disciplina i reclami degli utenti del servizio postale, introducendo misure più stringenti di tutela degli utenti, in considerazione della loro natura di “contraenti deboli”, ed estendendo a tutti gli operatori postali i medesimi obblighi.

Il citato articolo 14 stabilisce che il fornitore del servizio postale universale deve prevedere le procedure per la gestione dei reclami dei clienti, comprese le procedure conciliative in sede locale. Tali procedure devono essere trasparenti, semplici e poco onerose. In caso di accertamento del disservizio, è previsto inoltre un sistema di rimborso o di compensazione. Qualora l’utente non sia soddisfatto del risultato ottenuto, può rivolgersi al Ministero delle comunicazioni, il quale, come già ricordato sopra, svolge le funzioni di Autorità di regolamentazione. L’utente ha comunque la possibilità di adire l’autorità giudiziaria, indipendentemente dalla presentazione del reclamo.

La disciplina illustrata si applica anche ai titolari di licenza individuale.

 

Il comma 5 modifica la rubrica del citato articolo 14, introducendovi la parola rimborsi, dopo la parola reclami. A tal proposito si segnala che la disciplina dei rimborsi non viene modificata dall’articolo 35 in esame.

 

Il comma 6 novella il comma 1 dell’articolo 14 prevedendo che il fornitore del servizio universale, nel disciplinare le procedure per la gestione dei reclami, deve prevedere in particolare le ipotesi di smarrimento, furto, danneggiamento e mancato rispetto delle norme di qualità del servizio. Dovranno inoltre essere disciplinate procedure per determinare l'attribuzione della responsabilità, nei casi in cui sia coinvolto più di un operatore.

La novella è diretta a recepire nel nostro ordinamento disposizioni comunitarie contenute già nel testo originario della direttiva 97/67/CE (articolo 19, paragrafo 1), per quel che riguarda la previsione di procedure di reclamo per i casi di smarrimento, furto, danneggiamento e mancato rispetto delle norme di qualità del servizio, e nella successiva direttiva 2002/39/CE[163] per quel che riguarda le procedure per la determinazione della responsabilità, in caso di pluralità di operatori coinvolti.

 

Il comma 7 introduce un nuovo comma 1-bis al già citato articolo 14 del D.Lgs. 261/1999. Il nuovo comma prevede che le procedure per la gestione dei reclami devono comprendere anche:

-       procedure conciliative in sede locale;

-       procedure extragiudiziali.

Si segnala che le procedure conciliative sono già comprese nel testo vigente del comma 1 dell’articolo 14, ma non sono più contemplate nel nuovo testo di tale comma, introdotto dal precedente comma 6, e sono state pertanto introdotte nel nuovo comma 1-bis.

Le procedure extragiudiziali rappresentano invece una innovazione, in attuazione delle novelle apportate dalla direttiva 2008/6/CE all’articolo 19 della direttiva 97/67/CE.

Il considerando 42 della citata direttiva 2008/6/CE sottolinea l’opportunità di incoraggiare il ricorso a procedure di soluzione extragiudiziale delle controversie in materia di servizi postali, al fine di aumentare l’efficacia delle procedure di trattamento dei reclami. A questo proposito il considerando cita la raccomandazione 98/257/CE della Commissione, del 30 marzo 1998, riguardante i principi applicabili agli organi responsabili per la risoluzione extragiudiziale delle controversie in materia di consumo, e la raccomandazione 2001/310/CE della Commissione, del 4 aprile 2001, sui principi applicabili agli organi extragiudiziali che partecipano alla risoluzione consensuale delle controversie in materia di consumo, ricordate anche nella relazione illustrativa dell’articolo 35 in esame.

 

Il comma 8 infine, novellando il comma 5-bis del citato articolo 14, estende le disposizioni di questo articolo ai titolari di autorizzazione generale.

Si ricorda che il citato articolo 14 era originariamente riferito al solo fornitore del servizio universale. Successivamente l’articolo 7 del D.Lgs. 384/2003[164] ne ha disposto l’estensione ai titolari di licenza individuale.

Si ricorda che, ai sensi dell’articolo 1, comma 2, lettera q), del D.Lgs. 261/1999, le imprese, per poter fornire servizi postali e creare e gestire reti postali per la fornitura di tali servizi, devono essere autorizzate. Sono previste due tipologie di autorizzazione:

-        l’autorizzazione generale, che non richiede all'impresa interessata di ottenere una esplicita decisione da parte dell'Autorità di regolamentazione prima dell'esercizio dei diritti derivanti dall’autorizzazione stessa;

-        la licenza individuale, per la quale è richiesta una previa decisione dell’Autorità di regolamentazione,con la quale sono conferiti diritti ed obblighi specifici ad un'impresa in relazione a prestazioni non riservate rientranti nel servizio universale.


 

Articolo 36
(Efficienza dell'azione amministrativa)

 


1. Le disposizioni del presente capo sono dirette a restituire efficienza all'azione amministrativa, a ridurre le spese di funzionamento delle amministrazioni pubbliche nonché ad incrementare le garanzie per i cittadini, nel rispetto dell'articolo 97 della Costituzione, dell'articolo 41 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e dell'articolo 197 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea.

2. Per le finalità di cui al comma 1, le disposizioni del presente capo recano le misure concernenti il riordino e la raziona­lizzazione delle funzioni amministrative, la semplificazione e la riduzione degli oneri burocratici, la trasparenza e la tempestività nei procedimenti amministrativi e nell'erogazione dei servizi pubblici, nonché la diffusione delle nuove tecnologie nel settore pubblico.


 

 

L’articolo 36 individua le finalità e l’ambito di applicazione delle norme contenute nel Capo VII del provvedimento in esame, rubricato Piano industriale della pubblica amministrazione e comprendente gli articoli da 36 a 51.

La disposizione, come si evidenzia nella relazione tecnica, ha carattere programmatico, essendo volta a chiarire che le norme in questione (concernenti il riordino e la razionalizzazione delle funzioni amministrative, la semplificazione e la riduzione degli oneri burocratici, la trasparenza e la tempestività nei procedimenti amministrativi e nell'erogazione dei servizi pubblici, la diffusione delle nuove tecnologie nel settore pubblico) sono dirette a rendere più efficienti le amministrazioni pubbliche, riducendone i costi di funzionamento, e ad accrescere le garanzie dei cittadini.

L’articolo in esame intende indicare la collocazione delle disposizioni del Capo VII nel quadro dei principi in materia di funzionamento delle amministrazioni pubbliche enunciati dalla Costituzione, dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (di cui si richiama l’articolo 41) e del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (attraverso il rinvio all’articolo 197).

 

La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea è stata proclamata il 7 dicembre 2000 a Nizza; essa era contenuta, in una versione adattata, nella parte II del Trattato costituzionale (non entrato in vigore per il mancato completamento del processo di ratifica[165]). Essa è stata di nuovo proclamata solennemente a Strasburgo il 12 dicembre 2007 dai Presidenti del Consiglio, della Commissione e del Parlamento europeo. Il testo della Carta dei diritti fondamentali non figura più nel Trattato. Alla versione del dicembre 2007 della Carta rinvia il nuovo articolo 6 del Trattato sull’Unione europea (introdotto dal Trattato di Lisbona), che attribuisce ad essa “lo stesso valore giuridico dei trattati”. Il riconoscimento del carattere giuridicamente vincolante pone fine all’incertezza sullo status giuridico della Carta, permettendole, in seguito, di dispiegare importanti effetti giuridici e politici.

L’articolo 41 della Carta dei diritti fondamentali, qui richiamato, sancisce il diritto ad una buona amministrazione. In particolare, stabilisce che ogni individuo ha diritto a che le questioni che lo riguardano siano trattate in modo imparziale, equo ed entro un termine ragionevole dalle istituzioni e dagli organi dell'Unione.

Tale diritto comprende in particolare:

-        il diritto di ogni individuo di essere ascoltato prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che gli rechi pregiudizio;

-        il diritto di ogni individuo di accedere al fascicolo che lo riguarda, nel rispetto dei legittimi interessi della riservatezza e del segreto professionale;

-        l'obbligo per l'amministrazione di motivare le proprie decisioni.

L’articolo 41 della Carta attribuisce ad ogni individuo il diritto al risarcimento da parte della Comunità dei danni cagionati dalle sue istituzioni o dai suoi agenti nell'esercizio delle loro funzioni conformemente ai principi generali comuni agli ordinamenti degli Stati membri.

L’articolo 197 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea[166], introdotto dal Trattato di Lisbona, stabilisce che l'attuazione effettiva del diritto dell'Unione da parte degli Stati membri, essenziale per il buon funzionamento dell'Unione, è considerata una questione di interesse comune.

L'Unione può sostenere gli sforzi degli Stati membri volti a migliorare la loro capacità amministrativa di attuare il diritto dell'Unione. Tale azione può consistere in particolare nel facilitare lo scambio di informazioni e di funzionari pubblici e nel sostenere programmi di formazione. Nessuno Stato membro è tenuto ad avvalersi di tale sostegno. Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando mediante regolamenti secondo la procedura legislativa ordinaria, stabiliscono le misure necessarie a tal fine, ad esclusione di qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri.

Le disposizioni citate non pregiudicano l'obbligo degli Stati membri di attuare il diritto dell'Unione né le prerogative e i doveri della Commissione. Esse non pregiudicano le altre disposizioni dei trattati che prevedono la cooperazione amministrativa fra gli Stati membri e fra questi ultimi e l'Unione.

 

Con riguardo al richiamo, operato dal testo in esame, all’articolo 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (Diritto ad una buona amministrazione) ed all’articolo 197 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, si osserva che l’ambito oggettivo dell’articolo 41 della Carta è limitato ai rapporti del cittadino con le istituzioni e gli organi dell’Unione e che l’articolo 197 del Trattato concerne la cooperazione amministrativa tra gli Stati membri per migliorare l’attuazione effettiva del diritto dell’Unione europea.

Quest’ultima disposizione è stata introdotta dal Trattato di Lisbona, il cui disegno di legge di ratifica da parte dell’Italia, approvato il 23 luglio 2008 dal Senato, è all’esame della Camera (A.C. 1519).

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)

La Commissione europea ha adottato il 24 gennaio 2007 una comunicazione relativa al programma d’azione per la riduzione degli oneri amministrativi nell’Unione europea (COM(2007)23). Nella comunicazione la Commissione propone, da una parte, di operare, con l'aiuto degli Stati membri, una misurazione degli oneri amministrativi legati alla legislazione comunitaria, e di elaborare iniziative per la riduzione dei medesimi; dall'altra, invita gli Stati membri a misurare e ridurre gli oneri amministrativi imposti dalle legislazioni nazionali e regionali.

Entro la fine del 2008 la Commissione europea presenterà delle raccomandazioni per la riduzione degli oneri amministrativi.

Il Consiglio europeo dell’8 e 9 marzo 2007 ha ribadito che il miglioramento della regolamentazione è un importante strumento per rafforzare la competitività, la crescita sostenibile e l’occupazione, ed in particolare ha sottolineato l’importanza di ridurre gli oneri amministrativi al fine di stimolare l'economia europea, fissando l’obiettivo della riduzione del 25% gli oneri amministrativi derivanti dalla legislazione UE entro il 2012 e invitando gli Stati membri a fissare i loro obiettivi nazionali entro il 2008. Il Consiglio europeo ha, altresì, sottolineato la necessità che il Consiglio e il Parlamento europeo si avvalgano maggiormente delle valutazioni d'impatto economico e della competitività delle nuove proposte legislative.

Su impulso del Consiglio europeo è stato inoltre istituito un gruppo di esperti ad alto livello con il compito di assistere la Commissione e gli Stati membri nell'attuazione del programma d'azione per la riduzione degli oneri amministrativi. Il gruppo presieduto da Edmun Stoiber (ex Governatore della Baviera) ha iniziato i suoi lavori nel gennaio 2008, l’unico italiano che fa parte del gruppo è Riccardo Illy.

La Commissione europea ha adottato il 10 marzo 2008 una comunicazione relativa ad interventi rapidi per il 2008 destinati a ridurre gli oneri amministrativi dell’UE (COM (2008)141), nella quale ha proposto 12 misure immediate che potrebbero generare effetti positivi immediati attraverso modifiche tecniche delle relative, nei seguenti settori: Agricoltura, politica industriale, ambiente, statistiche, diritto societario e contabilità.

Il Consiglio europeo del 13 e 14 marzo 2008 ha sottolineato la necessità di ulteriori sforzi per migliorare la competitività, in particolare, delle piccole e medie imprese, invitando tutte le formazioni del Consiglio dell’UE a prendere prioritariamente in considerazione il miglioramento della regolamentazione nelle proprie attività normative.

Il Consiglio europeo ha inoltre chiesto di:

-        intensificare gli sforzi volti a ridurre del 25%, entro il 2012, gli oneri amministrativi derivanti dalla normativa UE;

-        adottare celermente le proposte legislative di semplificazione ancora in sospeso e individuarne di nuove; la Commissione europea dovrebbe presentare proposte di riduzione degli oneri amministrativi su base permanente;

-        sviluppare ulteriormente la capacità delle istituzioni dell'UE in materia di valutazione di impatto delle nuove iniziative legislative dell’UE.


 

Articolo 37
(Territorializzazione delle procedure concorsuali)

 


1. Il comma 1 dell'articolo 35 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, è sostituito dal seguente:

«1. Le pubbliche amministrazioni coprono i propri fabbisogni nel rispetto del principio del prevalente accesso dall'esterno, tramite concorso pubblico, e del previo esperimento delle procedure di mobilità, con le modalità da adottare nei propri regolamenti di organizzazione. L'assunzione nelle amministrazioni pubbliche avviene con contratto individuale di lavoro:

a) tramite procedure selettive conformi ai princìpi di cui al comma 3, volte all'accertamento della professionalità richiesta;

b) mediante avviamento degli iscritti negli elenchi anagrafici ai sensi della legislazione vigente per le qualifiche e profili per i quali è richiesto il solo requisito della scuola dell'obbligo, facendo salvi gli eventuali ulteriori requisiti per specifiche professionalità».

2. Al comma 4 dell'articolo 35 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, dopo il primo periodo è inserito il seguente: «A tali fini le dotazioni organiche sono articolate per area o categoria, profilo professionale e posizione economica».

3. Al comma 5 dell'articolo 35 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, è premesso il seguente periodo: «Le amministrazioni dello Stato e gli enti pubblici non economici individuano i posti per i quali avviare le procedure concorsuali dall'esterno e di progressione interna nella programmazione triennale dei fabbisogni con riferimento alle sedi di servizio e, ove ciò non sia possibile, con riferimento ad ambiti regionali».

4. Al comma 5-bis dell'articolo 35 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, introdotto dall'articolo 1, comma 230, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, dopo le parole: «I vincitori dei concorsi» sono inserite le seguenti: «e i vincitori delle procedure di progressione verticale» ed è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Nelle procedure di progressione verticale la permanenza nelle sedi carenti di organico, individuate dalle amministrazioni e comunicate alla Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica, è considerata titolo di preferenza».


 

 

L'articolo 37 reca alcune modifiche all’articolo 35 del D.Lgs. 165/2001[167], in materia di reclutamento del personale delle pubbliche amministrazioni. In particolare:

§      si sostituisce il comma 1 del citato articolo 35, al fine di evidenziare il principio della prevalenza, nel coprire il proprio fabbisogno di personale, del reclutamento dall’esterno tramite concorsi pubblici, previo ricorso alla mobilità (comma 1);

§      si modifica il comma 4 del medesimo articolo 35, al fine di precisare che, in maniera funzionale rispetto alle determinazioni sull’avvio di procedure di reclutamento, le dotazioni organiche devono essere articolate per area o categoria, profilo professionale e posizione economica (comma 2);

§      modificando il comma 5 del più volte richiamato articolo 35, si dispone l’obbligo, per le amministrazioni dello Stato e gli enti pubblici non economici, di individuare i posti da ricoprire, in sede di programmazione triennale del fabbisogno di personale, con riferimento alle sedi di servizio ovvero all'ambito regionale (comma 3);

§      novellando il successivo comma 5-bis, si stabilisce l’obbligo, per i vincitori delle procedure di progressione verticale di permanenza nella sede di destinazione per un periodo di almeno cinque anni, e si considera titolo di preferenza nelle stesse procedure la permanenza in sedi carenti di organico (comma 4).

 

Come già detto, il comma 1 dell’articolo in esame sostituisce il comma 1 dell’articolo 35 del D.Lgs. 165/2001, in modo da inserire una precisazione sulle modalità di soddisfacimento del fabbisogno di personale.

 

Il vigente articolo 35, comma 1, del D.Lgs. 165/2001 prevede che l'assunzione nelle amministrazioni pubbliche avvenga, con contratto individuale di lavoro:

a)       tramite procedure selettive, conformi a determinati principi stabiliti dal comma 3[168], volte all'accertamento della professionalità richiesta, che garantiscano in misura adeguata l'accesso dall'esterno;

b)       tramite avviamento degli iscritti nelle liste di collocamento ai sensi della normativa vigente per le qualifiche e profili per i quali è richiesto il solo requisito della scuola dell'obbligo, facendo salvi gli eventuali ulteriori requisiti per specifiche professionalità.

 

Rispetto al testo vigente, il nuovo testo del comma 1 precisa che le pubbliche amministrazioni debbano coprire i propri fabbisogni di personale nel rispetto del principio del prevalente accesso dall'esterno, tramite procedure concorsuali, e del previo esperimento delle procedure di mobilità, con le modalità da definire nei propri regolamenti di organizzazione.

Per il resto, viene confermata sostanzialmente la disposizione contenuta nel testo vigente, con limitate modifiche di carattere formale, alcune consequenziali alla suddetto principio introdotto (come nella lettera a)), altre volte ad adeguarsi alla nuova disciplina del collocamento pubblico (facendo riferimento agli elenchi anagrafici e non più alle liste di collocamento: vedi lettera b)).

Il comma 2, come accennato in precedenza, novella il comma 4 del medesimo articolo 35 aggiungendo un’ulteriore periodo.

 

Si ricorda che il citato articolo 35, comma 4, del D.Lgs. 165/2001 stabilisce che le determinazioni relative all'avvio di procedure di reclutamento sono adottate da ciascuna amministrazione o ente sulla base della programmazione triennale del fabbisogno di personale. Per le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, le agenzie, ivi compresa l'Agenzia autonoma per la gestione dell'albo dei segretari comunali e provinciali, gli enti pubblici non economici e gli enti di ricerca, con organico superiore alle 200 unità, l'avvio delle procedure concorsuali è subordinato all'emanazione di apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare su proposta del Ministro per la funzione pubblica di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze.

Inoltre, il comma 4-bis del medesimo articolo 35 estende la procedura autorizzatoria tramite apposito D.P.C.M., prevista dal precedente comma 4 per l’avvio delle procedure di reclutamento del personale a tempo indeterminato, alle procedure di reclutamento dirette a selezionare personale a tempo determinato per contingenti superiori alle cinque unità, inclusi i contratti di formazione e lavoro, precisando che l’avvio delle procedure di reclutamento debba tener conto degli aspetti finanziari e dei criteri di cui al successivo articolo 36 (relativi ai limiti per l’utilizzazione di forme contrattuali flessibili di assunzione e di impiego del personale).

 

In particolare, tramite tale modifica, si dispone che le determinazioni relative all'avvio delle procedure di reclutamento, da adottare da ciascuna amministrazione o ente sulla base della programmazione triennale del fabbisogno di personale deliberata ai sensi dell'articolo 39 della L. 27 dicembre 1997, n. 449 (provvedimento collegato alla manovra finanziaria per il 1998)[169], debbano tener conto dell'articolazione delle dotazioni organiche per area o categoria, profilo professionale e della posizione economica.

 

Il successivo comma 3 integra il comma 5 del più volte richiamato articolo 35.

Il comma 5 stabilisce che i concorsi pubblici per le assunzioni nelle amministrazioni statali e nelle aziende autonome si espletano di norma a livello regionale. Eventuali deroghe, per ragioni tecnico-amministrative o di economicità, devono essere autorizzate dal Presidente del Consiglio. Si prevede inoltre la possibilità, per gli uffici aventi sede regionale, compartimentale o provinciale, di bandire concorsi unici circoscrizionali per l'accesso alle varie professionalità.

 

In particolare, aggiungendo un periodo all’inizio del menzionato comma 5, il comma in esame introduce l’obbligo, per le amministrazioni dello Stato e gli enti pubblici non economici, di individuare i posti per i quali avviare le procedure concorsuali dall'esterno e di progressione interna, nell’ambito della programmazione triennale dei fabbisogni, con riferimento alle sedi di servizio e, ove ciò non sia possibile, con riferimento ad ambiti regionali.

 

Il comma 4, infine, reca alcune modifiche al comma 5-bis del più volte citato articolo 35.

Introdotto dall’articolo 1, comma 230, della legge finanziaria per il 2006 (L. 266/2005), il menzionato comma 5-bis obbliga i vincitori dei concorsi a permanere nella sede di prima destinazione per un periodo non inferiore a cinque anni, disponendo che tale obbligo non è derogabile dai contratti collettivi.

 

Rispetto al testo vigente, si prevede che l’obbligo di permanenza quinquennale nella sede di destinazione operi anche per i vincitori delle procedure di progressione verticale (cioè sostanzialmente i vincitori di “concorsi interni”).

Inoltre, si dispone che ai fini della formazione delle graduatorie nelle procedure di progressione verticale, sia considerata titolo di preferenza la permanenza nelle sedi carenti di organico, individuate dalle amministrazioni e comunicate al Dipartimento della funzione pubblica presso la Presidenza del Consiglio dei ministri.

 


 

Articolo 38
(Mobilità del personale delle pubbliche amministrazioni)

 


1. In caso di conferimento di funzioni statali alle regioni e alle autonomie locali ovvero di trasferimento o di conferimento di attività svolte da pubbliche amministrazioni ad altri soggetti pubblici ovvero di esternalizzazione di attività e di servizi, si applicano al personale ivi adibito, in caso di esubero, le disposizioni dell'articolo 33 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.

2. Il personale che oppone un reiterato rifiuto, pari a due volte in cinque anni, per giustificate e obiettive esigenze di organizzazione dell'amministrazione, si considera in posizione di esubero, con conseguente applicazione di quanto previsto dall'articolo 33 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.

3. All'articolo 30 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, dopo il comma 2-quinquies è aggiunto il seguente:

«2-sexies. Le pubbliche amministrazioni, per motivate esigenze organizzative, risultanti dai documenti di programmazione previsti all'articolo 6, possono utilizzare in assegnazione temporanea, con le modalità previste dai rispettivi ordinamenti, personale di altre amministrazioni per un periodo non superiore a tre anni, fermi restando quanto già previsto da norme speciali sulla materia, nonché il regime di spesa eventualmente previsto da tali norme e dal presente decreto».


 

 

L’articolo 38 reca disposizioni in materia di mobilità del personale delle amministrazioni pubbliche.

In particolare il comma 1 dispone che, se a seguito di conferimento di funzioni statali alle regioni ed agli enti locali ovvero di trasferimento di attività svolte da pubbliche amministrazioni ad altri soggetti pubblici ovvero di esternalizzazione di attività e servizi il personale adibito a tali funzioni risulta in eccedenza, a tale personale si applicano le disposizioni in materia di mobilità collettiva e di collocamento in disponibilità di cui all’articolo 33 del D.Lgs. 165/2001.

 

La disciplina della gestione del personale in esubero delle pubbliche amministrazioni è contenuta principalmente negli articoli 33, 34 e 34-bis del D.Lgs. 165/2001, che prevedono in primo luogo che sia attivata una apposita procedura volta a raggiungere un accordo con le organizzazioni sindacali per ricollocare almeno parzialmente il personale in esubero nell'ambito della medesima amministrazione o presso altre amministrazioni (cd. “mobilità collettiva”). All’esito di tale procedura, il personale eccedente di cui non è stata possibile la ricollocazione lavorativa viene collocato in disponibilità e quindi, oltre a percepire un’apposita indennità, viene iscritto in appositi elenchi da cui si attinge preliminarmente per soddisfare le esigenze di personale delle amministrazioni pubbliche che presentano necessità di assumere nuovo personale. Decorso il termine massimo di ventiquattro mesi dal collocamento in disponibilità, anche in mancanza di ricollocazione presso altra amministrazione, il rapporto di lavoro si intende definitivamente risolto di diritto.

Più in dettaglio, l’articolo 33, al comma 1, dispone che le pubbliche amministrazioni che rilevino esuberi di personale sono tenute ad informare preventivamente le organizzazioni sindacali e ad osservare le apposite procedure di “mobilità collettiva” previste dal medesimo articolo. Si precisa che, salvo quanto previsto dal medesimo articolo, si applicano le disposizioni in materia di collocamento in mobilità di cui alla legge 23 luglio 1991, n. 223[170], ed in particolare l'articolo 4, comma 11 (relativo alla possibilità per gli accordi sindacali che prevedano il riassorbimento totale o parziale dei lavoratori ritenuti eccedenti, di stabilire la loro assegnazione a mansioni diverse da quelle svolte, anche in deroga al secondo comma dell'art. 2103 del codice civile) e l'articolo 5, commi 1 e 2 (relativi alle modalità di individuazione dei lavoratori da collocare in mobilità).

La disciplina relativa alla “mobilità collettiva” di cui all’articolo 33 si applica qualora l’eccedenza di personale interessi almeno 10 dipendenti (articolo 33, comma 2). In tal caso la pubblica amministrazione interessata dall’eccedenza attiva una apposita procedura alla quale partecipano le organizzazioni sindacali, volta a ricollocare totalmente o parzialmente il personale in esubero nell'ambito della medesima amministrazione o presso altre amministrazioni. Tale procedura può concludersi - comunque entro quarantacinque giorni dal suo avvio - con il raggiungimento dell’accordo o con apposito verbale nel quale sono riportate le diverse posizioni delle parti. In caso di disaccordo, le organizzazioni sindacali possono richiedere che il confronto prosegua secondo determinate modalità; comunque la procedura si conclude in ogni caso, anche dopo tale eventuale ulteriore fase di confronto, al massimo entro sessanta giorni dal suo avvio (articolo 33, commi 3, 4 e 5).

I contratti collettivi nazionali possono inoltre stabilire criteri generali e procedure per consentire, tenuto conto delle caratteristiche del comparto, la gestione delle eccedenze di personale attraverso la mobilità volontaria presso altre amministrazioni nell'ambito della provincia o in quello diverso che, in relazione alla distribuzione territoriale delle amministrazioni o alla situazione del mercato del lavoro, sia stabilito dai contratti collettivi nazionali (articolo 33, comma 6).

All’esito della prevista procedura o comunque nel caso l’esubero riguardi meno di 10 dipendenti, l’amministrazione colloca in disponibilità il personale che non sia possibile impiegare diversamente nell'ambito della medesima amministrazione, che non possa essere ricollocato presso altre amministrazioni, ovvero che non abbia preso servizio presso la diversa amministrazione che, secondo gli accordi intervenuti ai sensi dei commi precedenti, ne avrebbe consentito il ricollocamento (articolo 33, comma 7).

Il lavoratore “in disponibilità” ha comunque diritto ad un’indennità pari all’80% dello stipendio e dell'indennità integrativa speciale, con esclusione di qualsiasi altro emolumento retributivo comunque denominato, per la durata massima di 24 mesi. I periodi di godimento dell'indennità sono riconosciuti ai fini della determinazione dei requisiti di accesso alla pensione e della misura della stessa (articolo 33, comma 8).

L’articolo 34 del D.Lgs. 165/2001 dispone in via generale che il personale risultato in eccedenza e posto in disponibilità al termine dell’apposita procedura disciplinata dall’articolo 33 del medesimo decreto legislativo, sia iscritto, secondo l’ordine cronologico di sospensione del relativo rapporto di lavoro, in appositi elenchi formati e gestiti:

-        dal Dipartimento della funzione pubblica, per le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, e per gli enti pubblici non economici nazionali (comma 2);

-        dalle strutture regionali e provinciali individuate con legge regionale ai sensi del D.Lgs. 469/1997, per le altre amministrazioni (comma 3).

È previsto espressamente che il Dipartimento della funzione pubblica realizzi "opportune forme di coordinamento" tra l'elenco da esso gestito e quelli tenuti dalle strutture regionali e provinciali. A tale coordinamento, nonché alla collaborazione con il Dipartimento della funzione pubblica ai fini della riqualificazione e ricollocazione del personale, fa riferimento il comma 3 dell’articolo 34 ove dispone che "le leggi regionali previste dal D.Lgs. 469/1997, nel provvedere all’organizzazione del sistema regionale per l’impiego, si adeguano ai principi di cui al comma 2".

Principalmente alle strutture regionali e provinciali sono affidati i compiti relativi allariqualificazione professionaledel personale e alla sua ricollocazione presso altre amministrazioni; per quanto riguarda il personale statale, infatti, è previsto che a tali fini il Dipartimento della funzione pubblica si avvalga della loro collaborazione. In materia interviene poi il successivo comma 5, che prevede che i contratti collettivi nazionali possano costituire fondi riservati per riqualificare personale in disponibilità ed incentivarne la ricollocazione, in particolare mediante mobilità volontaria. Tali fondi possono essere utilizzati per riqualificare anche il personale eccedente trasferito ai sensi dell'articolo 33 prima del collocamento in disponibilità.

Il comma 4 completa la disciplina relativa all’indennità di disponibilità prevista dall’articolo 33, comma 8, e dispone la definitiva risoluzione del rapporto di lavoro del pubblico dipendente alla decorrenza del periodo massimo di fruizione della stessa. Viene stabilito che il dipendente collocato in disponibilità ha diritto all’indennità per la durata prevista dall’articolo 33 (al massimo 24 mesi); per tutto tale periodo, ha altresì diritto a che siano corrisposti all’ente previdenziale di riferimento gli oneri sociali relativi alla retribuzione goduta al momento del collocamento in disponibilità. Le spese, relative sia all’erogazione dell’indennità che alla corresponsione degli oneri sociali, gravano sul bilancio dell’amministrazione di appartenenza del dipendente fino alla sua ricollocazione o alla decorrenza del termine massimo di disponibilità.

Scaduto tale termine senza che sia stata possibile la ricollocazione presso altra amministrazione, e a far data da esso, il rapporto di lavoro si intende definitivamente risolto.

Ilcomma 6 dell’articolo 34 subordina la possibilità di procedere a nuove assunzioni all’utilizzo del personale collocato in disponibilità. Viene infatti disposto che, nell’ambito della programmazione triennale delle assunzioni prevista dall’articolo 39 della L. 27 dicembre 1997, n. 449 (provvedimento collegato alla manovra finanziaria per il 1998)[171], le nuove assunzioni siano subordinate alla verifica dell’impossibilità di ricollocare tale personale.

Infine, i commi 7 e 8 dell'articolo 34dettano disposizioni particolari per gli enti pubblici territoriali in generale e per gli enti locali in situazione di dissesto finanziario. I primi vengono autorizzati ad utilizzare le economie derivanti dalla minore spesa dal collocamento in disponibilità del personale per la formazione e riqualificazione di esso. Quanto agli enti territoriali in dissesto, si prevede che ad essi continui ad applicarsi la disciplina dettata in materia di gestione del personale in disponibilità dal D.Lgs. 77/1995[172].

L’articolo 34-bis, che reca disposizioni in materia di mobilità, prevede l’obbligo per le pubbliche amministrazioni di utilizzare il personale già collocato in disponibilità prima di avviare le procedure per le nuove assunzioni.

In particolare, il comma 1 stabilisce che le amministrazioni pubbliche, prima di avviare le procedure di assunzione del personale, devono comunicare una serie di informazioni relative al personale per il quale si intende bandire il concorso, con particolare riguardo per l’area, il livello (ovvero la posizione economica all’interno dell’area), la sede di destinazione.

I soggetti ai quali è rivolta la comunicazione - che sono gli stessi i quali, ai sensi del precedente articolo 34, formano e gestiscono gli elenchi del personale in disponibilità - sono:

-        il Dipartimento per la funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri per le assunzioni da effettuare presso le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, e per gli enti pubblici non economici nazionali;

-        le strutture regionali e provinciali di cui al D.Lgs. 469/1997[173], per le assunzioni da effettuare presso le altre amministrazioni[174].

Il comma 2 stabilisce che il soggetto al quale è rivolta la comunicazione provvede entro 15 giorni dalla stessa ad assegnare all’amministrazione richiedente il personale che risulta iscritto nel proprio elenco. L’assegnazione del personale deve avvenire secondo l’anzianità di iscrizione nell’elenco del personale collocato in disponibilità.

Nel caso in cui la comunicazione sia stata rivolta alle strutture regionali e provinciali e queste abbiano accertato l’assenza nei propri elenchi di personale da assegnare alle amministrazioni richiedenti, le suddette strutture devono tempestivamente (non è stabilito un termine preciso) comunicare al Dipartimento della funzione pubblica le informazioni che gli sono state a loro volta comunicate dall’amministrazione richiedente. Il Dipartimento della funzione pubblica, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, provvederà, entro 15 giorni dal ricevimento della predetta comunicazione, ad assegnare all’amministrazione richiedente il personale che risulta iscritto nel proprio elenco. Avvenuta l’assegnazione, l’amministrazione provvede ad iscrivere il dipendente ad essa destinato nei propri ruoli; conseguentemente il rapporto di lavoro prosegue con l’amministrazione che ha comunicato l’intenzione di bandire il concorso.

Ai sensi del comma 3, le amministrazioni possono provvedere ad organizzare percorsi di qualificazione del personale assegnato ai sensi del comma 2.

Il comma 4 prevede che le amministrazioni potranno avviare la procedura di assunzione mediante concorso per tutte le posizioni che non sono state coperte con assegnazione di personale in disponibilità, decorsi due mesi dalla ricezione della comunicazione da parte del Dipartimento della funzione pubblica. La comunicazione è diretta se proviene dalle amministrazioni statali e dagli enti pubblici non economici comprese le università e per conoscenza per le altre amministrazioni..

Il comma 5 dispone la nullità delle assunzioni effettuate in violazione delle procedure previste dallo stesso articolo per la mobilità attivata d’ufficio.

Il comma 5-bis dà mandato al Dipartimento della funzione pubblica di verificare presso le amministrazioni pubbliche l’eventuale interesse ad acquisire in mobilità i dipendenti in eccedenza di altre amministrazioni. In tal caso saranno applicate le disposizioni dell’articolo 4, comma 2, del D.L. 163/1995[175], che ha previsto un meccanismo di snellimento delle procedure di assegnazione dei dipendenti pubblici dichiarati eccedenti, disponendo che essi possano essere trasferiti con decreto del Ministro della funzione pubblica ad altra amministrazione che ne faccia richiesta, previo assenso dell'interessato[176].

 

Ai sensi del comma 2, inoltre, il personale che rifiuta, per due volte in 5 anni, il trasferimento per giustificate ed obiettive esigenze di organizzazione dell’amministrazione, si considera in posizione di esubero e viene conseguentemente collocato in disponibilità secondo quanto previsto dall’articolo 33 del D.Lgs. 165/2001.

 

Al riguardo si osserva che, nel comma 2, non è indicato espressamente l’oggetto del rifiuto da parte del personale. Sarebbe quindi opportuno esplicitare nel testo del medesimo comma che la norma riguarda il personale che oppone un rifiuto al trasferimento.

Infine, il comma 3 è volto a novellare l’articolo 30 del D.Lgs. 165/2001, recante disposizioni in materia di mobilità volontaria di personale tra pubbliche amministrazioni, aggiungendo al menzionato articolo il comma 2-sexies.

 

Si ricorda, in tema di mobilità del personale del settore pubblico, che la mobilità volontaria (tramite passaggio diretto di personale tra diverse amministrazioni pubbliche) è disciplinata dall'articolo 30 del D.Lgs. 165/2001, mentre i successivi articoli 33, 34 e 34-bis pongono la disciplina della mobilità collettiva (cfr. supra).

In particolare, l’articolo 30 stabilisce che le amministrazioni possano ricoprire posti vacanti in organico mediante cessione del contratto di dipendenti appartenenti alla stessa qualifica in servizio presso altre amministrazioni, che facciano domanda di trasferimento. Il trasferimento è disposto previo consenso dell'amministrazione di appartenenza (comma 1).

Le procedure ed i criteri generali per l’attuazione del passaggio diretto dei dipendenti sono definiti dai contratti collettivi nazionali. Si stabilisce la nullità degli accordi, atti o clausole dei contratti collettivi che intendano eludere l’obbligo di ricorrere alla mobilità prima di procedere al reclutamento di nuovo personale (comma 2).

Il comma 2-bis dell’art. 30, prevede che le amministrazioni pubbliche, al fine di coprire le vacanze di organico e prima dell’espletamento delle procedure concorsuali, devono attivare le procedure di mobilità mediante passaggio diretto dei dipendenti di cui al comma 1 del medesimo art. 30. Esse devono comunque provvedere in via prioritaria all’immissione in ruolo dei dipendenti che, provenienti da altre amministrazioni, prestino già attività presso l’amministrazione in posizione di comando o di fuori ruolo, purché tali dipendenti appartengano alla medesima area presentino la relativa domanda di trasferimento. Entro i limiti dei posti vacanti, i dipendenti sono inquadrati nella medesima area funzionale e con la posizione economica corrispondente a quella posseduta nella amministrazione di provenienza.

Il comma 2-ter dell’art. 30 reca specifiche disposizioni in merito all’immissione in ruolo del personale della Presidenza del Consiglio e del Ministero degli affari esteri. In particolare tale comma prevede che l’immissione in ruolo di cui al precedente comma 2-bis, limitatamente alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e al Ministero degli affari esteri, in ragione della specifica professionalità richiesta ai propri dipendenti, avviene previa valutazione comparativa dei titoli di servizio e di studio, posseduti dai dipendenti comandati o fuori ruolo al momento della presentazione della domanda di trasferimento, nei limiti dei posti effettivamente disponibili[177].

Il comma 2-quinquies all’art. 30, in merito al trattamento del dipendente trasferito per mobilità, specifica che, salvo diversa previsione, al dipendente si applica il trattamento giuridico ed economico – compreso quello accessorio – previsto dal contratto collettivo vigente nel comparto dell’amministrazione di destinazione[178].

 

In particolare, il comma 2-sexies dispone che le pubbliche amministrazioni, per motivate esigenze organizzative, possano utilizzare in assegnazione temporanea, secondo le modalità previste dai rispettivi ordinamenti, personale di altre amministrazioni per un periodo non superiore a 3 anni, fermo restando quanto già previsto da norme speciali in materia.


 

Articolo 39
(Aspettativa)

 


1. I dipendenti pubblici possono essere collocati in aspettativa, senza assegni e senza decorrenza dell'anzianità di servizio, per un periodo massimo di dodici mesi, anche per avviare attività professionali e imprenditoriali. L'aspettativa è concessa dall'amministrazione, tenuto conto delle esigenze organizzative, previo esame della documentazione prodotta dall'interessato.

2. Nel periodo di cui al comma 1 del presente articolo non si applicano le disposizioni in tema di incompatibilità di cui all'articolo 53 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni.

3. Resta fermo quanto previsto dall'articolo 23-bis del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni.


 

 

L’articolo 39, comma 1, prevede la possibilità, per i dipendenti pubblici, di essere collocati in aspettativa non retribuita e senza decorrenza dell'anzianità di servizio, per un periodo massimo di dodici mesi, anche per avviare attività professionali e imprenditoriali.

L'amministrazione di appartenenza decide la concessione dell’aspettativa tenendo conto delle esigenze organizzative, dopo aver esaminato la documentazione prodotta dall'interessato.

 

Il successivo comma 2 prevede che nel periodo di aspettativa non trovino applicazione le disposizioni in tema di incompatibilità per i dipendenti pubblici, di cui all'articolo 53 del D.Lgs. 165/2001.

 

L’articolo 53 del D.Lgs. 165/2001, che riprende con talune modifiche il contenuto dell’art. 58 del D.Lgs. 29/1993[179], contiene la disciplina di carattere generale in materia di incompatibilità e di cumulo di impieghi per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni. Regimi speciali sono peraltro previsti per determinate categorie di dipendenti pubblici richiamate dalla disposizione (personale docente, direttivo e ispettivo della scuola, personale docente dei conservatori, personale degli enti lirici e personale del servizio sanitario nazionale).

Il principio fondamentale che regola la materia è quello dell’esclusività del rapporto di impiego del pubblico dipendente, che trova una sua traduzione normativa nell’articolo 60 del T.U. in materia di impiegati civili dello Stato[180], richiamato espressamente dal comma 1 dell’articolo 53.

In base a tale disposizione i dipendenti pubblici non può esercitare il commercio, l'industria, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro, tranne che si tratti di cariche in società o enti per le quali la nomina è riservata allo Stato e sia all'uopo intervenuta l'autorizzazione del Ministro competente. In base al successivo articolo 61 il divieto di non si applica nei casi di società cooperative e agli impieghi come perito o arbitro, purché vi sia una previa autorizzazione del Ministro o del capo ufficio da lui delegato.

Il divieto è sostanzialmente ribadito dall’articolo 1, comma 60, della L. 662/1996, il quale prevede, al di fuori dei casi di rapporto di lavoro part-time con prestazione lavorativa non superiore al 50% di quella a tempo pieno, un divieto di svolgere attività di lavoro subordinato o autonomo tranne che la legge o altra fonte normativa ne prevedano l'autorizzazione rilasciata dall'amministrazione di appartenenza e l'autorizzazione sia stata concessa.

Una deroga di carattere generale al principio è peraltro contenuta nell’art. 23-bis dello stesso D.Lgs. 165/2001[181], che consente ai dirigenti delle pubbliche amministrazioni, agli appartenenti alla carriera diplomatica e prefettizia e, limitatamente agli incarichi pubblici, ai magistrati ordinari, amministrativi e contabili nonché agli avvocati e procuratori dello Stato di essere collocati, a domanda, in aspettativa senza assegni per lo svolgimento di attività presso soggetti e organismi, pubblici o privati, anche operanti in sede internazionale.

La violazione delle norme in materia di incompatibilità è sanzionata dall’articolo 1, comma 61, della L. 662/1996. In particolare, tale violazione costituisce giusta causa di recesso per i rapporti di lavoro disciplinati dai contratti collettivi nazionali di lavoro e costituisce causa di decadenza dall'impiego per il restante personale, purché le prestazioni per le attività di lavoro subordinato o autonomo svolte al di fuori del rapporto di impiego con l'amministrazione di appartenenza non siano rese a titolo gratuito, presso associazioni di volontariato o cooperative a carattere socio-assistenziale senza scopo di lucro.

Si ritiene pertanto superato il sistema previsto dall’articolo 63 del T.U. del 1957 che prevedeva una diffida a cessare dalla situazione di incompatibilità.

L’articolo 53, commi 2-16, del D.Lgs. 165/2001 reca poi una articolata disciplina del cumulo di impieghi ed incarichi dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, incentrata sul principio dell’autorizzazione allo svolgimento dell’incarico[182] da parte dell’amministrazione di competenza, che deve decidere sulla base di criteri oggettivi e predeterminati che garantiscano in particolare l’assenza di casi di incompatibilità.

Si prevedono inoltre (articolo 53, commi 7-9) specifiche sanzioni per l’inosservanza della richiesta di autorizzazione all’incarico. In particolare:

-        il conferimento da parte di un’altra pubblica amministrazione costituisce una infrazione disciplinare per il funzionario responsabile del procedimento e causa di nullità del provvedimento. L'importo previsto come corrispettivo dell'incarico, ove gravi su fondi in disponibilità dell'amministrazione conferente, è trasferito all'amministrazione di appartenenza del dipendente ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti;

-        per gli enti pubblici economici e i soggetti privati il conferimento, oltre alle sanzioni per le eventuali violazioni tributarie o contributive, determina l’applicazione di una sanzione pecuniaria pari al doppio degli emolumenti corrisposti sotto qualsiasi forma al dipendente pubblico. All'accertamento delle violazioni e all'irrogazione delle sanzioni provvede il Ministero delle finanze, avvalendosi della Guardia di finanza;

-        per quanto riguarda il dipendente, l’inosservanza del divieto, salve le più gravi sanzioni e ferma restando la responsabilità disciplinare, comporta che il compenso dovuto per le prestazioni eventualmente svolte deve essere versato, a cura dell'erogante o, in difetto, del percettore, nel conto dell'entrata del bilancio dell'amministrazione di appartenenza del dipendente per essere destinato ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti.

Sono inoltre previsti (articolo 53, co. 11-16) meccanismi volti a garantire la visibilità e la trasparenza degli incarichi conferiti ai dipendenti pubblici attraverso la costituzione presso il Dipartimento della funzione pubblica della c.d. anagrafe degli incarichi, già istituita dall'articolo 24 della L. 412/1991[183].

Si ricorda, infine, che l’articolo 47 del D.L. 112/2008[184], approvato dalla Camera, introducendo un comma 16-bis al richiamato articolo 53,al fine di rafforzare i controlli sul rispetto della disciplina in materia di incompatibilità e di limiti al cumulo degli incarichi per i pubblici dipendenti, ha attribuito al Dipartimento della funzione pubblica il compito di disporre – per il tramite dell’Ispettorato della funzione pubblica – verifiche in ordine al rispetto alla disciplina delle incompatibilità prevista in via generale dal medesimo articolo 53 e, con riferimento ai rapporti di lavoro a tempo parziale con prestazione lavorativa superiore al 50% di quella a tempo pieno, dall’articolo 1, comma 56 e ss., della L. 662/1996 (provvedimento collegato alla manovra finanziaria per il 1997).

 

Il comma 3, infine, fa salva la disciplina specifica di cui all'articolo 23-bis del richiamato D.Lgs. 165/2001, in materia di collocamento in aspettativa senza assegni del personale con qualifica dirigenziale, degli appartenenti alla carriera diplomatica e prefettizia, dei magistrati ordinari, amministrativi e contabili e degli avvocati e procuratori dello Stato, per lo svolgimento di attività presso soggetti diversi dall’amministrazione di appartenenza (cfr. supra).


 

Articolo 40
(Trasparenza sulle retribuzioni e sulle collaborazioni autonome)

 

1. Ciascuna delle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, ha l'obbligo di pubblicare nel proprio sito internet le retribuzioni annuali, i curricula vitae, gli indirizzi di posta elettronica e i numeri telefonici dei dirigenti nonché di rendere pubblici, con lo stesso mezzo, i tassi di assenza del personale distinti per uffici di livello dirigenziale.

 

 

L’articolo 40 pone a carico delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del D.Lgs. 165/2001[185] (si tratta in pratica della generalità delle pubbliche amministrazioni), l’obbligo di pubblicare nel proprio sito internet le retribuzioni annuali, i curricula vitae, gli indirizzi di posta elettronica e i numeri telefonici dei dirigenti nonché di rendere pubblici, con la stessa modalità di comunicazione, i tassi di assenza del personale distinti per uffici di livello dirigenziale di appartenenza.

 

Si osserva che sarebbe opportuno modificare la rubrica dell’articolo con la seguente: “Trasparenza sulle retribuzioni dei dirigenti e sui tassi di assenza del personale”.


 

Articolo 41
(Spese di funzionamento)

 


1. Dopo l'articolo 6 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, è inserito il seguente:

«Art. 6-bis. - (Misure in materia di organizzazione e razionalizzazione della spesa di funzionamento delle pubbliche amministrazioni). - 1. Le pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, nonché gli enti finanziati direttamente o indirettamente a carico del bilancio dello Stato sono autorizzati ad acquistare sul mercato i servizi, originariamente prodotti al proprio interno, a condizione di ottenere conseguenti economie di gestione e di adottare le necessarie misure in materia di personale e di dotazione organica.

2. Relativamente alla spesa per il personale e alle dotazioni organiche le amministrazioni interessate dai processi di cui al presente articolo provvedono al congelamento dei posti e alla temporanea riduzione dei fondi della contrattazione, fermi restando i conseguenti processi di riduzione e di rideterminazione delle dotazioni organiche nel rispetto dell'articolo 6 nonché i conseguenti processi di riallocazione e di mobilità del personale.

3. I collegi dei revisori dei conti e gli organi di controllo interno delle amministrazioni che attivano i processi di cui al comma 1 vigilano sull'applicazione del presente articolo, dando evidenza, nei propri verbali, dei risparmi derivanti dall'adozione dei provvedimenti in materia di organizzazione e di personale, anche ai fini della valutazione del personale con incarico dirigenziale di cui all'articolo 5 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 286».


 

 

L'articolo 41 – che introduce un nuovo articolo 6-bis nel D.Lgs. 165/2001[186] - reca disposizioni di carattere generale volte alla razionalizzazione delle spese per il funzionamento e alla riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni in relazione ai processi di esternalizzazione riferiti alla fornitura di servizi.

In particolare, il comma 1 dell’articolo in esame prevede che le pubbliche amministrazioni, individuate attraverso il consueto rinvio all’art. 1, co. 2, del D.Lgs. 165/2001[187], nonché gli enti finanziati direttamente o indirettamente a carico del bilancio dello Stato, possano acquistare sul mercato servizi originariamente prodotti al proprio interno, a condizione di ottenere conseguenti economie di gestione e di adottare le necessarie misure in materia di personale e di dotazione organica.

 

Con riferimento all’ambito di applicazione della disciplina di cui si propone l’introduzione, si segnala che l’articolo in esame si riferisce alle medesime categorie di soggetti pubblici o finanziati dallo Stato che l’art. 29, co. 1, della legge finanziaria 2002[188] ha autorizzato, anche in deroga alle vigenti disposizioni, a:

-        acquistare sul mercato i servizi, originariamente prodotti al proprio interno, a condizione di ottenere conseguenti economie di gestione;

-        costituire, nel rispetto del principio di economicità, soggetti di diritto privato ai quali affidare lo svolgimento di servizi, svolti in precedenza;

-        attribuire a soggetti di diritto privato già esistenti, attraverso gara pubblica, ovvero con adesione a convenzioni, lo svolgimento di tali ultimi servizi.

Quanto ai profili relativi all’incidenza della disposizione sulle competenze legislative regionali, si ricorda che la Corte costituzionale con la sentenza n. 17 del 2004 dichiarò infondate le censure di costituzionalità sollevate con riferimento all’art. 29, co. 1, della legge finanziaria del 2002, ritenendo che la disposizione rientrasse nell’ambito della competenza legislativa dello Stato relativa alla determinazione dei principi fondamentali nella materia compresa nella endiadi espressa dalla indicazione di "armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario" (art. 117, terzo comma e art. 119, secondo comma, della Costituzione).

La Corte sottolineò in quella circostanza il carattere meramente facoltizzante e autorizzatorio con valore di principio della disposizione, che lasciava comunque alla Regione e agli enti territoriali il potere di operare le scelte ordine alla gestione dei servizi Il legislatore statale si è, infatti, limitato ad indicare, con carattere non vincolante per l'autonomia delle Regioni ed in via generale e non di dettaglio, talune possibili modalità procedimentali, caratterizzate da finalità esclusivamente economico-finanziarie, per una c.d. esternalizzazione dei servizi.

 

Con riferimento alle misure di carattere organizzativo conseguenti alla esternalizzazione della gestione dei servizi, il comma 2 prevede che, relativamente alla spesa per il personale e alle dotazioni organiche, le amministrazioni interessate provvedano:

-       al “congelamento” dei posti (questa espressione, di uso non comune nella legislazione, sembrerebbe doversi interpretare come riferita alla indisponibilità di posti eventualmente resisi vacanti nelle piante organiche dell’amministrazione);

-       alla temporanea riduzione dei “fondi della contrattazione”.

 

In base alla formulazione della disposizione, non sembrano univocamente individuabili i fondi che devono essere oggetto della prevista riduzione, non essendo in particolare chiaro se con l’espressione “fondi della contrattazione” si intenda fare riferimento alle risorse assegnate ai fondi per la contrattazione integrativa o, più genericamente, alle risorse occorrenti per i rinnovi contrattuali e gli adeguamenti retributivi del personale.

 

La norma fa comunque salvi i processi di riduzione e rideterminazione delle dotazioni organiche conseguenti alla gestione dei servizi attraverso il ricorso all’outsourcing, da attuare ai sensi dell'articolo 6 del D.Lgs. 165/2001, nonché i processi di riallocazione e di mobilità del personale.

 

Si ricorda che il richiamato art. 6, co. 1, del D.Lgs. 165/2001, recante l’organizzazione e la disciplina degli uffici e dotazioni organiche, ha disposto che nelle amministrazioni pubbliche l'organizzazione e la disciplina degli uffici, nonché la consistenza e la variazione delle dotazioni organiche sono determinate in funzione delle finalità indicate nel precedente articolo 1, co. 1[189], previa verifica degli effettivi fabbisogni e previa consultazione delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative. Le amministrazioni pubbliche, inoltre, devono curare l'ottimale distribuzione delle risorse umane attraverso la coordinata attuazione dei processi di mobilità e di reclutamento del personale.

A seguito delle modifiche introdotte dal D.L. 6/2004, è inoltre previsto un divieto, per le pubbliche amministrazioni, di determinare situazioni di soprannumero (anche temporaneo) di personale, in presenza di vacanze di organico, nell’ambito dei contingenti relativi alle singole posizioni economiche delle aree funzionali e di livello dirigenziale.

E’ inoltre previsto che le stesse amministrazioni effettuino, ai fini della mobilità collettiva, delle rilevazioni annuali delle eccedenze di personale su base territoriale per categoria o area, qualifica e profilo professionale.

 

Si segnala che, in via generale, l’ art. 38, co. 1, del decreto in esame dispone che, se a seguito di conferimento di funzioni statali alle regioni ed agli enti locali ovvero di trasferimento di attività svolte da pubbliche amministrazioni ad altri soggetti pubblici ovvero di esternalizzazione di attività e servizi il personale adibito a tali funzioni risulta in eccedenza, a tale personale si applicano le disposizioni in materia di mobilità collettiva e di collocamento in disponibilità di cui all’articolo 33 del D.Lgs. 165/2001.

Per il quadro della normativa vigente in materia di mobilità nelle pubbliche amministrazioni si fa rinvio alla scheda di lettura relativa a tale disposizione.

 

Il comma 3 attribuisce, infine, ai collegi dei revisori dei conti e agli organi di controllo interno delle amministrazioni che attivano i processi di esternalizzazione il compito di verificare l’attuazione delle misure previste nell’articolo in esame, stabilendo in particolare che essi debbano indicare i risparmi derivanti dall'adozione dei provvedimenti in materia di organizzazione e di personale.

L'effettiva realizzazione dei predetti risparmi costituisce oggetto di valutazione del personale con incarico dirigenziale ai sensi dell'articolo 5 del decreto legislativo n. 286 del 1999.

 

La valutazione dei dirigenti ha ad oggetto le prestazioni del personale con qualifica dirigenziale, con particolare riferimento ai risultati dell'attività amministrativa e della gestione, nonché i comportamenti relativi allo sviluppo delle risorse professionali, umane e organizzative ad essi assegnate (competenze organizzative).

La valutazione è svolta annualmente ed è regolata da un procedimento che prevede due fasi (D.Lgs. 286/1999[190], art. 5).

La competenza sulla valutazione spetta al diretto superiore del dirigente (nel caso di alti dirigenti, quali i capi dipartimento, la valutazione è effettuata dal Ministro, che decide sulla base degli elementi forniti dall'organo di valutazione e controllo strategico).

L’eventuale provvedimento di sanzione è adottato previo conforme parere di un comitato di garanti nominato dal Presidente del Consiglio (art. 22 del D.Lgs. 165/2001).

In questo quadro, la responsabilità dirigenziale, disciplinata dal D.Lgs. 165/2001 (art. 21), non ha per oggetto la violazione di norme giuridiche da parte del dirigente, bensì la valutazione complessiva dell’attività della struttura cui è preposto. In particolare il dirigente è chiamato a rispondere del mancato raggiungimento degli obiettivi e dell’inosservanza delle direttive a lui imputabili.

Le sanzioni previste sono graduate in relazione alla gravità dei casi: si va dal mancato rinnovo dello stesso incarico dirigenziale, alla revoca dell'incarico con conseguente collocamento del dirigente a disposizione, fino al recesso del rapporto di lavoro secondo le disposizioni del contratto collettivo.

 


 

Articolo 42
(Trasferimento delle risorse e delle funzioni agli enti territoriali)

 


1. All'articolo 7 della legge 5 giugno 2003, n. 131, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) il comma 2 è abrogato;

b) il comma 3 è sostituito dal seguente:

«3. Per le finalità di cui al comma 1, e comunque ai fini del trasferimento delle occorrenti risorse, sulla base degli accordi con le regioni e con le autonomie locali, da concludere in sede di Conferenza unificata, diretti in particolare all'individuazione dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative necessari per l'esercizio delle funzioni e dei compiti da conferire, il Governo, su proposta del Ministro per le riforme per il federalismo e del Ministro per i rapporti con le regioni, di concerto con il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione e con il Ministro dell'economia e delle finanze, può avviare i trasferimenti dei suddetti beni e risorse mediante uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, tenendo conto delle previsioni di spesa risultanti dal bilancio dello Stato e del patto di stabilità interno. Si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 3, 7, commi 8, 9, 10 e 11, e 8 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112. Gli schemi di decreto, ciascuno dei quali deve essere corredato di idonea relazione tecnica, sono trasmessi alle Camere per l'acquisizione del parere delle Commissioni parlamentari competenti per le conseguenze di carattere finanziario, da rendere entro trenta giorni dall'asse­gnazione»;

c) il comma 5 è sostituito dal seguente:

«5. Dalla data di entrata in vigore dei decreti di cui al comma 3 o da quella diversa indicata negli stessi, le regioni o gli enti locali provvedono all'esercizio delle funzioni relative ai beni e alle risorse trasferiti dalla medesima. Dalla medesima data sono soppressi gli uffici delle amministrazioni statali precedentemente preposti all'esercizio delle predette funzioni, con le corrispondenti quote organiche di personale».

2. I comuni e le province favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività e di servizi di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà orizzontale, individuando, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, i servizi la cui erogazione è affidata ai privati anche a livello territoriale più ampio, mediante accordi di programma, consorzi e altre forme associative di erogazione di servizi.

3. In attuazione dei princìpi di proporzionalità e di adeguatezza di cui all'articolo 118 della Costituzione, i comuni con popolazione inferiore a 20.000 abitanti svolgono le funzioni relative alla gestione dei servizi pubblici locali in forma associata in modo che la popolazione complessiva dei comuni associati sia almeno pari a 20.000 abitanti.


 

 

Il comma 1 dell’articolo 42 reca modifiche testuali all’art. 7 della c.d. “legge La Loggia” (L. 131/2003[191]), innovando le procedure previste per il conferimento delle funzioni amministrative agli enti territoriali nonché per il trasferimento dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative necessari per l'esercizio di dette funzioni.

 

I primi sei commi dell’articolo 7 della L. 131/2003, recano disposizioni attuative dell'articolo 118 della Costituzione in materia di esercizio delle funzioni amministrative.

In via generale, si prevede che lo Stato e le Regioni, secondo le rispettive competenze, debbono provvedere a conferire le funzioni amministrative da loro esercitate alla data di entrata in vigore della legge, sulla base dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza (comma 1).

In correlazione con il disposto costituzionale che attribuisce tali funzioni in via generale ai Comuni, l’articolo stabilisce che sono attribuite agli enti posti a livello territorialmente superiore (Province, Città metropolitane, Regioni e Stato soltanto) quelle di cui occorra assicurare l’unitarietà di esercizio (sostanzialmente ribadendo la formulazione dell’art. 118, primo comma Cost.).

La disposizione non si limita a riconfermare il dato costituzionale, ma sembra specificarlo, allorché richiama, ai fini della valutazione sulle esigenze di unitarietà di esercizio, motivi di buon andamento, efficienza o efficacia dell’azione amministrativa ovvero motivi funzionali o economici o esigenze di programmazione o di omogeneità territoriale.

Si stabilisce esplicitamente che debbano essere rispettate, anche ai fini dell’assegnazione di ulteriori funzioni, le attribuzioni degli enti di autonomia funzionale, anche nei settori della promozione dello sviluppo economico e della gestione dei servizi.

Inoltre Stato, Regioni, Città metropolitane, Province, Comuni e Comunità montane sono tenute a favorire l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli o associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà (c.d. “orizzontale”).

Una norma di chiusura afferma che tutte le altre funzioni amministrative non diversamente attribuite spettano ai Comuni, che le esercitano in forma singola o associata, anche mediante le Comunità montane e le unioni dei Comuni.

Successive disposizioni stabiliscono, per le finalità poc’anzi enunciate, e comunque, ai fini del trasferimento delle occorrenti risorse:

-        la stipula di accordi con le Regioni e le autonomie locali, da concludere in sede di Conferenza unificata, diretti in particolare all’individuazione dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative necessarie per l’esercizio delle funzioni e dei compiti da conferire;

-        la presentazione al Parlamento, da parte del Governo[192], di uno o più disegni di legge collegati, ai sensi dell’art. 3, co. 4, della L. 468/1978[193], alla manovra finanziaria annuale, per il recepimento dei suddetti accordi[194]. Nel corso della XIV e della XV legislatura non sono stati peraltro presentati disegni di legge di tale genere;

-        una disciplina transitoria, che consente, sulla base dei medesimi accordi e nelle more dell’approvazione dei disegni di legge citati, di avviare i trasferimenti dei suddetti beni e risorse secondo princìpi di invarianza di spesa[195], presentando uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, che tengano conto delle previsioni di spesa risultanti dal bilancio dello Stato e del patto di stabilità, nonché delle indicazioni contenute nel Documento di programmazione economico-finanziaria, come approvato dalle risoluzioni parlamentari. Sugli schemi di decreto, ciascuno dei quali deve essere corredato di idonea relazione tecnica, deve essere acquisito il parere da parte delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per le conseguenze di carattere finanziario, da rendere entro trenta giorni dall’assegnazione[196]. Anche quest’ultima disposizione non ha avuto finora concreta applicazione.

Il comma 6 reca una norma di chiusura, prevedendo che - fino alla data di entrata in vigore dei provvedimenti previsti dal medesimo articolo 7 - le funzioni amministrative continuano ad essere esercitate secondo le attribuzioni stabilite dalle disposizioni vigenti, fatti salvi gli effetti di eventuali pronunce della Corte costituzionale.

 

In particolare - attraverso la soppressione del comma 2 dell’articolo 7, disposta dalla lettera a) del comma in esame - viene eliminata la fase della procedura che, ai fini del trasferimento dei beni e delle risorse, prevede la presentazione di disegni di legge collegati alla manovra di finanza pubblica che recepiscano accordi al riguardo stipulati tra Stato, Regioni ed autonomie locali.

È invece individuata come procedura ordinaria quella attualmente prevista in via transitoria, fino all’approvazione dei citati disegni di legge, in base alla quale il trasferimento avviene, sempre in base ad accordi tra Stato ed enti territoriali, con uno o più D.P.C.M. (lettera b)).

Oltre all’integrale delegificazione del procedimento, il comma:

-       prevede che il parere sui D.P.C.M. sia espresso solo dalle Commissioni competenti per i profili finanziari e non anche dalle Commissioni di merito;

-       non prevede che i D.P.C.M. siano espressamente vincolati al rispetto del principio dell’invarianza della spesa, né che debbano tener conto di eventuali indicazioni formulate nei DPEF o nelle relative risoluzioni parlamentari.

Si dispone inoltre (lettera c)) che dalla data di entrata in vigore dei D.P.C.M. siano soppressi gli uffici delle amministrazioni statali che svolgevano le funzioni trasferite e ridotte corrispondentemente le dotazioni organiche.

Diversamente da quanto attualmente previsto, la procedura individuata potrà trovare applicazione anche successivamente all’entrata in vigore delle norme attuative dell’art. 119 Cost. in materia di federalismo fiscale.

Si segnala che non appare immediatamente individuabile l’atto normativo che dispone il trasferimento delle funzioni, il quale – intervenendo su disposizioni di carattere legislativo – sembrerebbe dover avere rango primario.

Parimenti, non risulta evidente se – al momento dell’entrata in vigore dei D.P.C.M. previsti dalla norma in esame – la soppressione degli uffici statali che cedono le risorse e le funzioni agli enti territoriali operi ex lege sulla base della disposizione in esame o necessiti di ulteriori adempimenti attuativi di carattere normativo, che anche in questo caso – intervenendo su disposizioni di carattere legislativo – sembrerebbe dover avere rango primario.

 

I commi 2 e 3 dell’articolo in esame recano previsioni che attengono, più che al trasferimento di risorse e funzioni agli enti locali, cui fa riferimento la rubrica dell’articolo, alle modalità di erogazione dei servizi da parte dei medesimi enti.

In particolare, il comma 2 prevede che gli enti locali, in attuazione del principio di sussidiarietà orizzontale, individuino entro dodici mesi dall’entrata in vigore della legge in esame i servizi di interesse generale la cui erogazione è affidata a privati.

 

Per quanto riguarda, il principio di sussidiarietà orizzontale, si ricorda che esso ha trovato una prima traduzione normativa nel nostro ordinamento con l’art. 4, co. 3, lett. a), della L. 59/1997 (c.d. Legge Bassanini)[197], il quale ha previsto che nei conferimenti di funzioni agli enti territoriali l’attribuzione delle responsabilità pubbliche dovesse favorire l'assolvimento di funzioni e di compiti di rilevanza sociale da parte delle famiglie, associazioni e comunità. Con maggiore ampiezza, dopo la riforma del 2001, il quarto comma dell’art. 118 Cost. prevede che “Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”.

Lespressione servizi di interesse generale[198] ha origine nell’ambito dell’Unione europea ed è derivata nella prassi comunitaria dall’espressione “servizi di interesse economico generale” che è utilizzata negli articoli 16 e 86, paragrafo 2 del trattato istitutivo della Comunità europea. In assenza di una definizione nel trattato o nella normativa derivata, nella prassi comunitaria sono ritenuti “servizi di interesse economico generale” quei servizi di natura economica che, in virtù di un criterio di interesse generale, gli Stati membri o la Comunità assoggettano a specifici obblighi di servizio pubblico. Il concetto di servizi di interesse economico generale riguarda in particolare alcuni servizi forniti dalle grandi industrie di rete quali i trasporti, i servizi postali, l’energia e la comunicazione. Tuttavia, il termine si estende anche a qualsiasi altra attività economica soggetta ad obblighi di servizio pubblico. I servizi di interesse generale hanno uno spettro più ampio dei “servizi di interesse economico generale” e riguardano sia i servizi di mercato che quelli non di mercato che le autorità pubbliche considerano di interesse generale e assoggettano a specifici obblighi di servizio pubblico.

 

Ai fini dell’affidamento dei servizi ai privati, comuni e province potranno individuare ambiti territoriali più ampi per la prestazione dei servizi stessi, ricorrendo ad accordi di programma, consorzi e altre forme associative.

 

Gli accordi di programma, la cui disciplina fondamentale è contenuta nell’art. 34 del testo unico sull’ordinamento degli enti locali (T.U.E.L.)[199], costituiscono strumenti convenzionali attraverso i quali diversi organi amministrativi interessati allo svolgimento di attività comuni che coinvolgono Stato, Regioni e altri enti territoriali coordinano i rispettivi interventi per la definizione e la realizzazione di opere, interventi, programmi di intervento.

Le attività dei diversi enti confluiscono in un unico procedimento amministrativo, che si realizza con il consenso dei rappresentanti degli enti territoriali interessati. L'iniziativa della stipulazione degli accordi compete al presidente della Regione, a quello della Provincia o al sindaco, a seconda delle diverse competenze che interagiscono nelle decisioni da prendere per la realizzazione degli interventi o delle opere. Se questi ultimi riguardano più regioni, l'iniziativa compete alla presidenza del Consiglio dei ministri

In base all’art. 31 del T.U.E.L. i consorzi possono essere costituti dagli enti locali per la gestione associata di uno o più servizi o per l’esercizio associato di funzioni. I consorzi sono dotati di autonoma personalità giuridica e sono costituiti sulla base di una convenzione approvata, a maggioranza assoluta dei componenti, dai Consigli comunali o provinciali interessati. In caso di rilevante interesse pubblico, la legge dello Stato può prevedere la costituzione di consorzi obbligatori per l'esercizio di determinate funzioni e servizi. La stessa legge ne demanda l'attuazione alle leggi regionali. Si prevede inoltre che tra i medesimi enti locali non possa essere costituito più di un consorzio.

Al riguardo, si ricorda altresì che l’art. 2, co. 28, della legge finanziaria 2008[200] ha previsto che ogni comune possa aderire ad una unica forma associativa per ciascuna di quelle previste dagli articoli 31, 32 e 33 del TUEL (si tratta, sostanzialmente, dei consorzi e delle unioni di comuni, vedi infra).

La disposizione sanziona la permanenza di un comune in più di una forma associativa dello stesso tipo (“adesione multipla”) oltre il termine del 30 settembre 2008[201]. In tal caso è nullo non solo ogni atto adottato dall’associazione (forma associativa), ma anche ogni atto attinente all’adesione o allo svolgimento di essa da parte del comune interessato (per il quale – dovrebbe intendersi – permanga l’adesione a più forme associative).

 

Il comma 3 reca una norma di principio in materia di servizi pubblici locali prevedendo che i comuni con meno di 20.000 abitanti debbano gestirli in modo associato, facendo sì che la popolazione dei comuni associati a tal fine sia pari ad almeno 20.000 abitanti. La disposizione non prevede espressamente controlli o verifiche successive, né prefigura sanzioni in caso di non osservanza dell’obbligo di gestire i servizi in forma associata.

Quanto all’ambito di operatività della norma, sembrerebbe – in base alla sua formulazione testuale, che fa riferimento in via generale alla gestione dei servizi pubblici - che essa debba trovare applicazione in relazione:

-        ai servizi pubblici locali di rilevanza economica disciplinati dall’art. 113 del testo unico in materia di enti locali (T.U.E.L.)[202];

-        ai servizi pubblici locali espressamente esclusi[203] dall’ambito di applicazione delle norme dell’art. 113 del T.U.E.L. (elettricità, gas e trasporto pubblico locale e agli impianti di trasporti a fune per la mobilità turistico-sportiva eserciti in aree montane);

-        ai servizi pubblici locali privi di rilevanza economica.

 

Con particolare riferimento a tale ultima categoria di servizi, si segnala l’opportunità di un approfondimento circa l’inquadramento della disposizione in esame nell’ambito dell’assetto delle competenze risultante dalla riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione.

 

Al riguardo, si ricorda che l’art. 117 della Costituzione, come modificato dalla riforma costituzionale del 2001, non fa espresso riferimento alla disciplina dei servizi pubblici locali né tra le materie attribuite alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, né fra quelle attribuite alla competenza legislativa concorrente tra lo Stato e le Regioni.

La Corte costituzionale, con la sentenza 272/2004, ha peraltro contribuito a chiarire in modo significativo competenza legislativa statale e competenza legislativa regionale.

Secondo la Corte la disciplina dei servizi pubblici locali “può essere agevolmente ricondotta nell’ambito della materia tutela della concorrenza, riservata dall’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, alla competenza legislativa esclusiva dello Stato”. La stessa Corte, secondo un indirizzo giurisprudenziale costante, dà, inoltre, una interpretazione ampia del principio della tutela della concorrenza, concernente oltre alla tutela vera e propria anche l’adozione di misure di promozione della concorrenza stessa. Tutela e promozione sono dunque gli ambiti di manovra legittimi per il legislatore statale, che non possono essere derogati né dalle regioni, né dalle norme settoriali.

Centrale, sotto questo profilo, è la dichiarazione, contenuta nel comma 1 dell’art. 113 del testo unico, come modificato dall’art. 14 del D.L. 269/2003, secondo cui le disposizioni sulle modalità di gestione ed affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica “concernono la tutela della concorrenza e sono inderogabili ed integrative delle discipline di settore”. Tale disposizione per la Corte: “si può dunque sostanzialmente considerare una norma-principio della materia, alla cui luce è possibile interpretare il complesso delle disposizioni in esame nonché il rapporto con le altre normative di settore, nel senso cioè che il titolo di legittimazione dell’intervento statale in oggetto è fondato sulla tutela della concorrenza, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, e che la disciplina stessa contiene un quadro di principi nei confronti di regolazioni settoriali di fonte regionale”.

La disciplina dei servizi pubblici non appare, invece, riferibile – secondo la Corte come osserva la ricorrente – né alla competenza legislativa statale in tema di “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali” (art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione), giacché riguarda precipuamente servizi di rilevanza economica e comunque non attiene alla determinazione di livelli essenziali, né a quella in tema di “funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane” (art. 117, secondo comma, lettera p), giacché la gestione dei predetti servizi non può certo considerarsi esplicazione di una funzione propria ed indefettibile dell’ente locale.

In questo contesto argomentativo, la Corte ha in particolare dichiarato l’incostituzionalità della disciplina dei servizi pubblici locali privi di rilevanza economica, prevista nell’art. 113-bis del T.U.E.L. Per questi servizi, il titolo di legittimazione per gli interventi del legislatore statale non può infatti essere costituito dalla tutela della concorrenza in quanto in riferimento ad essi non esiste un mercato concorrenziale.

 

Per quanto attiene al collegamento con lavori legislativi in corso, si segnala, inoltre, che appare opportuno un maggior coordinamento della disposizione in esame con le previsioni dell’art. 23-bis del D.L. 112/2008, inserito nel corso dell’esame presso la Camera dei deputati, che reca una riforma di carattere generale dei servizi pubblici locali di rilevanza economica.

In particolare, il comma 10, lett. b) dell’art. 23-bis rimette ad uno o più decreti di delegificazione, da emanare entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge, sentita la Conferenza unificata Stato – Regioni - Città – Autonomie locali, il compito di prevedere che i comuni con un limitato numero di residenti possano svolgere le funzioni relative alla gestione dei servizi pubblici locali in forma associata.

 

Modificazioni proposte dall’articolo 42
al testo dell’art. 7 della legge 131/2003

 

L. 5 giugno 2003, n. 131
Testo vigente.

L. 5 giugno 2003, n. 131
Modificazioni proposte dall’art. 42

[…]

[…]

Articolo 7. 
(Attuazione dell'articolo 118 della Costituzione in materia di esercizio delle funzioni amministrative)

Articolo 7. 
(Attuazione dell'articolo 118 della Costituzione in materia di esercizio delle funzioni amministrative)

1. Lo Stato e le Regioni, secondo le rispettive competenze, provvedono a conferire le funzioni amministrative da loro esercitate alla data di entrata in vigore della presente legge, sulla base dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, attribuendo a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato soltanto quelle di cui occorra assicurare l'unitarietà di esercizio, per motivi di buon andamento, efficienza o efficacia dell'azione amministrativa ovvero per motivi funzionali o economici o per esigenze di programmazione o di omogeneità territoriale, nel rispetto, anche ai fini dell'assegnazione di ulteriori funzioni, delle attribuzioni degli enti di autonomia funzionale, anche nei settori della promozione dello sviluppo economico e della gestione dei servizi. Stato, Regioni, Città metropolitane, Province, Comuni e Comunità montane favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli o associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà. In ogni caso, quando sono impiegate risorse pubbliche, si applica l'articolo 12 della legge 7 agosto 1990, n. 241. Tutte le altre funzioni amministrative non diversamente attribuite spettano ai Comuni, che le esercitano in forma singola o associata, anche mediante le Comunità montane e le unioni dei Comuni.

1. Lo Stato e le Regioni, secondo le rispettive competenze, provvedono a conferire le funzioni amministrative da loro esercitate alla data di entrata in vigore della presente legge, sulla base dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, attribuendo a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato soltanto quelle di cui occorra assicurare l'unitarietà di esercizio, per motivi di buon andamento, efficienza o efficacia dell'azione amministrativa ovvero per motivi funzionali o economici o per esigenze di programmazione o di omogeneità territoriale, nel rispetto, anche ai fini dell'assegnazione di ulteriori funzioni, delle attribuzioni degli enti di autonomia funzionale, anche nei settori della promozione dello sviluppo economico e della gestione dei servizi. Stato, Regioni, Città metropolitane, Province, Comuni e Comunità montane favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli o associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà. In ogni caso, quando sono impiegate risorse pubbliche, si applica l'articolo 12 della legge 7 agosto 1990, n. 241. Tutte le altre funzioni amministrative non diversamente attribuite spettano ai Comuni, che le esercitano in forma singola o associata, anche mediante le Comunità montane e le unioni dei Comuni.

2. Per le finalità di cui al comma 1, e comunque ai fini del trasferimento delle occorrenti risorse, sulla base degli accordi con le Regioni e le autonomie locali, da concludere in sede di Conferenza unificata, diretti in particolare all'individuazione dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative necessarie per l'esercizio delle funzioni e dei compiti da conferire, il Governo, su proposta del Ministro per gli affari regionali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentiti i Ministri interessati, presenta al Parlamento uno o più disegni di legge collegati, ai sensi dell'articolo 3, comma 4, della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni, alla manovra finanziaria annuale, per il recepimento dei suddetti accordi. Ciascuno dei predetti disegni di legge deve essere corredato da idonea relazione tecnica e non deve recare oneri aggiuntivi a carico della finanza pubblica. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano fino alla data di entrata in vigore delle norme relative al nuovo sistema finanziario in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione.

2. [Abrogato]

v. anche il co. 3.

3. Sulla base dei medesimi accordi e nelle more dell'approvazione dei disegni di legge di cui al comma 2, lo Stato può avviare i trasferimenti dei suddetti beni e risorse secondo princìpi di invarianza di spesa e con le modalità previste al numero 4) del punto II dell'Acc. 20 giugno 2002, recante intesa interistituzionale tra Stato, regioni ed enti locali, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 159 del 9 luglio 2002. A tale fine si provvede mediante uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, tenendo conto delle previsioni di spesa risultanti dal bilancio dello Stato e del patto di stabilità. Si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 3, 7, commi 8, 9, 10 e 11, e 8 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112. Gli schemi di decreto, ciascuno dei quali deve essere corredato di idonea relazione tecnica, sono trasmessi alle Camere per l'acquisizione del parere da parte delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per le conseguenze di carattere finanziario, da rendere entro trenta giorni dall'asse­gnazione.

3. Per le finalità di cui al comma 1, e comunque ai fini del trasferimento delle occorrenti risorse, sulla base degli accordi con le Regioni e le autonomie locali, da concludere in sede di Conferenza unificata, diretti in particolare all'individuazione dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative necessarie per l'esercizio delle funzioni e dei compiti da conferire, il Governo, su proposta del Ministro per le riforme e il federalismo e del Ministro con i rapporti con le regioni, di concerto con il Ministro per la Pubblica ammini­strazione e l’innovazione e il Ministro dell'economia e delle finanze, può avviare i trasferimenti dei suddetti beni e risorse mediante uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, tenendo anche conto delle previsioni di spesa risultanti dal bilancio dello Stato e del patto di stabilità. Si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 3, 7, commi 8, 9, 10 e 11, e 8 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112. Gli schemi di decreto, ciascuno dei quali deve essere corredato di idonea relazione tecnica, sono trasmessi alle Camere per l'acquisizione del parere da parte delle Commissioni parlamentari competenti per le conseguenze di carattere finanziario, da rendere entro trenta giorni dall'assegnazione.

4. Le Commissioni possono chiedere ai Presidenti delle Camere una proroga di venti giorni per l'espressione del parere, qualora ciò si renda necessario per la complessità della materia o per il numero degli schemi di decreto trasmessi nello stesso periodo all'esame delle Commis­sioni. Qualora sia concessa, ai sensi del presente comma, la proroga del termine per l'espressione del parere, i termini per l'adozione dei decreti sono prorogati di venti giorni. Decorso il termine di cui al comma 3, ovvero quello prorogato ai sensi del presente comma, senza che le Commissioni abbiano espresso i pareri di rispettiva competenza, i decreti possono comunque essere adottati. I decreti sono adottati con il concerto del Ministro dell'economia e delle finanze e devono conformarsi ai pareri delle Commissioni parlamentari competenti per le conse­guenze di carattere finanziario nelle parti in cui essi formulano identiche condizioni.

4. Le Commissioni possono chiedere ai Presidenti delle Camere una proroga di venti giorni per l'espressione del parere, qualora ciò si renda necessario per la complessità della materia o per il numero degli schemi di decreto trasmessi nello stesso periodo all'esame delle Commis­sioni. Qualora sia concessa, ai sensi del presente comma, la proroga del termine per l'espressione del parere, i termini per l'adozione dei decreti sono prorogati di venti giorni. Decorso il termine di cui al comma 3, ovvero quello prorogato ai sensi del presente comma, senza che le Commissioni abbiano espresso i pareri di rispettiva competenza, i decreti possono comunque essere adottati. I decreti sono adottati con il concerto del Ministro dell'economia e delle finanze e devono conformarsi ai pareri delle Commissioni parlamentari competenti per le conse­guenze di carattere finanziario nelle parti in cui essi formulano identiche condizioni.

5. Nell'adozione dei decreti, si tiene conto delle indicazioni contenute nel Documento di programmazione economico-finanziaria, come approvato dalle risoluzioni parlamentari. Dalla data di entrata in vigore dei suddetti decreti o da quella diversa indicata negli stessi, le Regioni o gli enti locali possono provvedere all'esercizio delle funzioni relative ai beni e alle risorse trasferite. Tali decreti si applicano fino alla data di entrata in vigore delle leggi di cui al comma 2.

5. Dalla data di entrata in vigore dei suddetti decreti o da quella diversa indicata negli stessi, le Regioni o gli enti locali provvedono all'esercizio delle funzioni relative ai beni e alle risorse trasferite. Dalla medesima data sono soppressi gli uffici delle amministra­zioni statali precedentemente preposti all’esercizio delle predette funzioni, con le corrispondenti quote organiche di personale.

6. Fino alla data di entrata in vigore dei provvedimenti previsti dal presente arti­colo, le funzioni amministrative continuano ad essere esercitate secondo le attribu­zioni stabilite dalle disposizioni vigenti, fatti salvi gli effetti di eventuali pronunce della Corte costituzionale

6. Fino alla data di entrata in vigore dei provvedimenti previsti dal presente arti­colo, le funzioni amministrative continuano ad essere esercitate secondo le attribu­zioni stabilite dalle disposizioni vigenti, fatti salvi gli effetti di eventuali pronunce della Corte costituzionale

[…]

[…]

 

 


 

Articolo 43
(Mobilità delle funzioni amministrative e uso ottimale degli immobili pubblici)

 


1. Le amministrazioni pubbliche, tenuto conto della missione principale loro affidata, individuano tra le proprie funzioni quelle che possono essere esercitate temporaneamente, in modo più efficace o più economico, da altri soggetti pubblici o privati.

2. Nel proporre il trasferimento dell'esercizio delle funzioni ciascuna amministrazione ne specifica gli effetti finanziari e organizzativi, con particolare riguardo al risparmio di spesa e alla riallocazione delle risorse umane e strumentali, nonché ai conseguenti processi di mobilità. Dal trasferimento non possono, in ogni caso, derivare maggiori oneri per la finanza pubblica.

3. La proposta è presentata a un comitato interministeriale presieduto dal Presidente del Consiglio dei ministri o, per sua delega, dal Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, e del quale fanno parte il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro dell'interno, il Ministro per i rapporti con le regioni, il Ministro per le riforme per il federalismo e il Ministro per la semplificazione normativa nonché i Ministri di volta in volta competenti in ordine alle funzioni interessate. Il comitato, qualora presenti la proposta all'approvazione del Consiglio dei ministri, indica lo strumento giuridico di diritto pubblico o privato idoneo ad assicurare il migliore esercizio della funzione.

4. Le amministrazioni pubbliche favoriscono ogni iniziativa volta a realizzare, in armonia con le finalità istituzionali fissate dai rispettivi ordinamenti, l'obiettivo della piena utilizzazione e fruizione dei propri edifici da parte dei cittadini. Alle predette iniziative si provvede con le ordinarie risorse strumentali e finanziarie disponibili in sede di bilancio.

5. Al personale delle rispettive amministrazioni effettivamente impiegato nelle attività realizzate sulla base delle iniziative di cui al comma 4 sono attribuiti incentivi economici da definire in sede di contrattazione collettiva nell'ambito delle risorse assegnate nei rispettivi fondi unici di amministrazione.


 

 

L’articolo 43 interviene nell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche recando disposizioni volta all’attivazione di due interventi:

§      l’esternalizzazione di funzioni (commi 1-3) e

§      la piena utilizzazione degli edifici pubblici, in modo da consentirne la fruizione anche ai cittadini (commi 4-5).

 

Le amministrazioni pubbliche possono decidere di affidare, in via temporanea e tenuto conto della missione principale loro affidata, alcune funzioni da esse esercitate ad altri soggetti, pubblici o privati (comma 1). La scelta deve cadere sulle funzioni che possono essere esercitate più efficacemente o più economicamente da altri.

Se la scelta di affidare a terzi alcune funzioni proprie spetta unicamente alle singole amministrazioni, il procedimento è stabilito a livello centrale.

Le amministrazioni interessate presentano una proposta di affidamento – che presuppone un risparmio di spesa – (comma 2) ad un comitato interministeriale presieduto dal Presidente del Consiglio o dal ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione. Il comitato individua lo strumento giuridico più adatto per l’esercizio della funzione, sul cui trasferimento decide in ultima istanza il Consiglio dei ministri (comma 3).

Inoltre, le amministrazioni pubbliche favoriscono ogni iniziativa volta alla piena utilizzazione e fruizione dei propri edifici da parte dei cittadini, provvedendo con le risorse disponibili in bilancio (comma 4). In sede di contrattazione collettiva dovranno essere definiti incentivi economici da attribuire al personale impiegato nelle attività di cui sopra (comma 5).

 

Entrambi gli interventi disciplinati dall’articolo in esame sono parte integrante della bozza del Piano industriale che il Ministro della funzione pubblica ha presentato alle parti sociali il 28 maggio 2008[204].

Uno dei tre punti fondamentali del Piano, la riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni, si articola in quattro parti:

-        mobilità delle funzioni;

-        qualità e customers’ satisfaction;

-        utilizzo ottimale degli immobili;

-        sponsorizzazioni e project financing.

Per quanto riguarda la mobilità delle funzioni, il Piano industriale, pur riconoscendo che le attribuzioni delle amministrazioni centrali sono definite per legge, ritiene tuttavia necessario adattare i moduli organizzativi volti all’erogazione di prestazioni e servizi e, al contempo, concentrare le singole amministrazioni sulle funzioni essenziali. Tali obiettivi richiedono un processo di riallocazione delle funzioni tra amministrazioni, tra livelli di governo centrale e locale e tra amministrazioni e privati, “secondo un modulo possibile che possa prescindere dall’intervento legislativo”.

Il processo di esternalizzazione (o outsourcing) delle pubbliche amministrazioni comincia a svilupparsi a partire dagli anni ’90.

Tra i primi provvedimenti a carattere generale in materia si ricorda la legge finanziaria 1998[205], che ha esteso a tutte le amministrazioni la possibilità di dismettere le attività non essenziali, e ha consentito la costituzione, per l'esercizio delle attività dismesse, di società miste.

 

Particolare rilievo, in questa sede, assume l’art. 29 della legge finanziaria 2002[206], che ha autorizzato le pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, co. 2, del D.Lgs. 165/2001, anche in deroga alle vigenti disposizioni, a:

§      acquistare sul mercato i servizi, originariamente prodotti al proprio interno, a condizione di ottenere conseguenti economie di gestione;

§      costituire, nel rispetto del principio di economicità, soggetti di diritto privato ai quali affidare lo svolgimento di servizi, svolti in precedenza;

§      attribuire a soggetti di diritto privato già esistenti, attraverso gara pubblica, ovvero con adesione a convenzioni, lo svolgimento di tali ultimi servizi.

L’individuazione dei servizi trasferibili, le modalità per l'affidamento, i criteri per l'esecuzione del servizio e per la determinazione delle relative tariffe sono demandate ad un regolamento di esecuzione adottato su proposta del Ministero dell’economia. Viene, inoltre, precisato, che sono fatte salve le funzioni delle regioni e degli enti locali.

La stessa legge finanziaria 2002 ha disposto anche in ordine all’outsourcing degli enti locali, prevedendo che province, comuni, comunità montane e consorzi di enti locali debbano promuovere opportune azioni dirette ad attuare l'esternalizzazione dei servizi al fine di realizzare economie di spesa e migliorare l'efficienza gestionale (art. 24, co. 8). Disposizioni analoghe sono previste per gli enti pubblici (art. 31, co. 1).

 

Rispetto a quanto sopra sommariamente descritto, la disposizione in esame presenta diversi elementi di novità.

Innanzitutto, relativamente alla tipologia delle attività oggetto di esternalizzazione, mentre la normativa vigente riguarda essenzialmente l’esternalizzazione di servizi, il provvedimento in esame riferendosi alle funzioni, sembrerebbe prefigurare il trasferimento dell’esercizio di potestà amministrative pubbliche. Con due condizioni: le dismissioni devono tenere conto della missione principale affidata all’amministrazione cedente, e, quindi, sono da considerare escluse le funzioni che attengono strettamente ai compiti istituzionali propri dell’amministrazione. Inoltre, il trasferimento deve avere natura temporanea.

 

La Corte costituzionale (ord. 157/2001) ha riconosciuto che “rientra in una scelta discrezionale del legislatore consentire che talune funzioni, obiettivamente pubbliche, possano essere svolte anche da soggetti privati che abbiano una particolare investitura da parte della pubblica amministrazione, in relazione al servizio svolto”.

 

In secondo luogo, per quanto riguarda l’ambito oggettivo di applicazione della norma, si rileva che il comma 1 dell’articolo in esame si riferisce genericamente alle amministrazioni pubbliche senza operare il consueto rinvio all’art. 1, comma 2, del D.Lgs. 165/2001[207]. Tale rinvio è, invece, presente sia nel citato art. 29 della legge finanziaria 2002, sia nell’art. 41 del presente provvedimento relativo all’esternalizzazione di servizi (e per il quale si fa rinvio alla relativa scheda di lettura).

 

Tale omissione rileva in relazione all’incidenza della disposizione sulle competenze legislative regionali: in proposito si ricorda che la Corte costituzionale con la sentenza n. 17 del 2004 ha dichiarato infondate le censure di costituzionalità sollevate con riferimento all’art. 29, co. 1, della legge finanziaria del 2002, ritenendo che la disposizione rientrasse nell’ambito della competenza legislativa dello Stato relativa alla determinazione dei principi fondamentali nella materia compresa nella endiadi espressa dalla indicazione di "armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario" (art. 117, terzo comma e art. 119, secondo comma, della Costituzione).

 

La terza novità riguarda le procedure di esternalizzazione. Come si è accennato, la finanziaria 2002 ha previsto un duplice procedimento: in linea generale, la definizione puntuale delle modalità di dismissione, compresa l’indicazione dei servizi oggetto di cessione, è affidata ad un regolamento governativo; mentre l’attribuzione dello svolgimento di servizi a soggetti privati già esistenti è sottoposta a gara pubblica o alla stipula di convenzioni. In ogni caso, il procedimento definito con regolamento fa salve le funzioni di regioni ed enti locali. Il procedimento delineato dall’articolo in esame, invece, non contempla la definizione di criteri e modalità preventivi, bensì affida ad un comitato interministeriale[208] il compito sia di esaminare ed approvare le proposte di trasferimento presentate dalle singole amministrazioni (su cui come si è detto in ultima istanza decide il Consiglio dei ministri), sia di indicare di volta in volta lo strumento giuridico più adatto all’esercizio della funzione trasferito. Nessun vincolo viene indicato per tale scelta, ad eccezione del fatto che l’atto di trasferimento deve contenere una scadenza temporale, in ossequio del principio di temporaneità dell’esercizio esterno enunciato dal comma 1.

 

Anche in questo caso è opportuno ricordare la citata ordinanza 157/2001 della Corte costituzionale che, pur riconoscendo la possibilità da parte delle pubbliche amministrazioni di affidare a privati talune funzioni pubbliche, sembra presumere la necessità di una specifica disposizione legislativa di autorizzazione dell’amministrazione.

L’affidamento all’esterno, a soggetti o imprese private, di funzioni delle pubbliche amministrazioni è stato spesso oggetto di decisioni della Corte dei conti. L’orientamento prevalente della Corte – soprattutto nei decenni precedenti – è stato nel senso di ritenere che l’affidamento all’esterno di compiti propri delle amministrazioni pubbliche confliggesse con un il principio generale secondo cui l’attività delle stesse deve essere svolta dai loro uffici e organi,[209] consentendosi il ricorso ad esterni nei casi previsti dalla legge o in relazione ad eventi straordinari; la Corte in questi casi interveniva in un contesto di affidamento all’esterno che, comportando spese per l’amministrazione poteva configurare un’ipotesi di danno erariale. In altre occasioni la giurisprudenza della Corte sembra orientarsi diversamente, affermandosi come la normativa abbia modificato “i tradizionali assetti organizzativi attraverso un più ampio ricorso ad apporti esterni con particolare riferimento alle attività meramente strumentali, ferma restando l’impossibilità di delegare le funzioni più propriamente istituzionali”[210].

Per quanto riguarda, poi, la determinazione della procedura di affidamento, la disciplina dei contratti pubblici prevede in generale il sistema delle procedura di evidenza pubblica per la scelta del contraente.

 

Si ricorda che all’art. 38 del provvedimento in esame (alla cui scheda si fa rinvio) prevede che in caso di esubero del personale conseguente a operazioni di trasferimento di funzioni si applicano le disposizioni in materia di mobilità del personale delle pubbliche amministrazioni.

 

Per quanto riguarda l’uso ottimale degli immobili pubblici, il comma 4 stabilisce che le amministrazioni pubbliche favoriscano ogni iniziativa volta alla piena utilizzazione e fruizione dei propri edifici da parte dei cittadini, provvedendo con le risorse disponibili in bilancio ed in armonia con le proprie finalità istituzionali.

Al personale impiegato nelle attività di cui al comma precedente, dovranno essere attribuiti incentivi economici da definire in sede di contrattazione collettiva nell’ambito delle risorse assegnate nei rispettivi fondi unici di amministrazione (comma 5).

Anche in questo caso, come per l’esternalizzazione di cui ai commi 1, 2 e 3, non viene specificato a quali amministrazioni pubbliche la disposizione è indirizzata e, pertanto, si pine il problema del rapporto della norma con le autonomie regionali.

 


 

Articolo 44
(Diffusione delle buone prassi nelle pubbliche amministrazioni e tempi per l'adozione dei provvedimenti o per l'erogazione dei servizi al pubblico)

 


1. Le amministrazioni pubbliche statali individuano nel proprio ambito gli uffici che provvedono con maggiore tempestività ed efficacia all'adozione di provvedimenti o all'erogazione di servizi e adottano le opportune misure al fine di garantire la diffusione delle relative buone prassi.

2. Le prassi individuate ai sensi del comma 1 sono pubblicate nei siti telematici istituzionali di ciascuna amministrazione e comunicate alla Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica.

3. L'elaborazione e la diffusione delle buone prassi sono considerate ai fini della valutazione dei dirigenti e del personale amministrativo.

4. In sede di Conferenza unificata, di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, sono conclusi accordi tra lo Stato, le regioni e gli enti locali per l'individuazione e la diffusione di buone prassi per le funzioni e i servizi degli enti territoriali.

5. Al fine di aumentare la trasparenza dei rapporti tra le amministrazioni pubbliche e gli utenti, a decorrere dal 1o gennaio 2009 ogni amministrazione pubblica determina e pubblica, con cadenza annuale, nel proprio sito internet o con altre forme idonee:

a) un indicatore dei propri tempi medi di pagamento relativi agli acquisti di beni, servizi e forniture, denominato «indicatore di tempestività dei pagamenti»;

b) i tempi medi di definizione dei procedimenti e di erogazione dei servizi con riferimento all'esercizio finanziario precedente.

6. Con decreto del Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da adottare entro un mese dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono definite le modalità di attuazione dell'obbligo informativo di cui al comma 5, lettera a), avuto riguardo all'individuazione dei tempi medi ponderati di pagamento con riferimento, in particolare, alle tipologie contrattuali, ai termini contrattualmente stabiliti e all'importo dei pagamenti.


 

 

L’articolo 44 promuove l’individuazione e la diffusione delle buone prassi in uso presso gli uffici delle pubbliche amministrazioni pubbliche statali e introduce l’obbligo per le medesime amministrazioni di pubblicare, sul proprio sito web o con idonee modalità, un indicatore dei tempi medi di pagamento dei beni, dei servizi e delle forniture acquistate nonché dei tempi medi di definizione dei procedimenti e di erogazione dei servizi resi all'utenza.

 

Ai sensi del comma 1 le amministrazioni pubbliche statali, per conseguire un miglioramento dell’efficacia della complessiva azione amministrativa:

§      individuano tra i propri uffici quelli che adottano i provvedimenti o erogano i servizi con maggiore tempestività ed efficacia;

§      introducono le opportune misure per diffondere le relative buone prassi agli altri uffici.

Il comma 2 dispone la pubblicazione delle buone prassi sui siti telematici istituzionali di ciascuna amministrazione e la loro comunicazione al Dipartimento della funzione pubblica.

Il comma 3 stabilisce che l'elaborazione e la diffusione delle buone prassi sono considerate ai fini della valutazione professionale dei dirigenti e del personale amministrativo.

Per garantire la diffusione delle buone prassi anche a livello locale, il comma 4 prevede che, in sede di Conferenza unificata, siano conclusi accordi tra lo Stato, le regioni e gli enti locali per promuovere l’individuazione e la diffusione delle buone prassi tra gli enti territoriali.

 

I successivi commi 5 e 6 sono finalizzati ad accrescere la trasparenza nei rapporti tra le amministrazioni pubbliche e gli utenti.

A tale scopo, il comma 5 impone a ciascuna amministrazione pubblica, a partire dal 1° gennaio 2009, di pubblicare con periodicità annuale, sul proprio sito web o con altre modalità idonee:

§      un indicatore dei tempi medi di pagamento dei beni, dei servizi e delle forniture acquistate (denominato indicatore di tempestività dei pagamenti);

§      un indicatore dei tempi medi di definizione dei procedimenti e di erogazione dei servizi resi all'utenza con riferimento all’esercizio precedente.

Riguardo alla pubblicazione dei tempi di pagamento, le modalità attuative dell'obbligo informativo in capo alle pubbliche amministrazioni sono rimesse, ai sensi del comma 6, ad un decreto del Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, da emanarsi di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze entro un mese dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame.

 

Il Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione ha adottato il 13 dicembre 2006 una direttiva[211] (Per una pubblica amministrazione di qualità) che promuove il miglioramento continuo nelle amministrazione pubbliche.

La direttiva impegna le amministrazioni ad inserire precisi obiettivi di miglioramento della qualità nelle loro attività di programmazione strategica e operativa e a valutare anche su questa base i propri dirigenti. Le amministrazioni vengono sollecitate, inoltre, a dotarsi di strumenti di autovalutazione della loro performance organizzativa per assicurarsi che l'intera organizzazione sia orientata a erogare servizi e ad attuare politiche di qualità.

Gli obiettivi della direttiva sono di tre ordini.

Innanzitutto, essa intende richiamare l'attenzione delle amministrazioni sulla qualità e il miglioramento continuo.

In secondo luogo, la direttiva indica il ricorso all'autovalutazione della prestazione organizzativa, quale punto di partenza obbligato dei percorsi di miglioramento continuo.

Infine, essa delinea una prospettiva chiara di sviluppo della politica per la qualità nelle pubbliche amministrazioni da parte del Dipartimento della funzione pubblica che, valorizzando le esperienze esistenti e gli sforzi già effettuati, indichi percorsi puntuali e traguardi di sistema condivisi.

 


 

Articolo 45
(Modifica all'articolo 2470 del codice civile, in materia di cessione di quote di società a responsabilità limitata)

 


1. Il secondo comma dell'articolo 2470 del codice civile è sostituito dal seguente:

«L'atto di trasferimento, sottoscritto con firma digitale nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione dei documenti informatici, ovvero con sottoscrizione autenticata dal notaio, deve essere depositato entro trenta giorni, a cura di un intermediario abilitato al deposito degli atti nel registro delle imprese di cui all'articolo 31, comma 2-quater, della legge 24 novembre 2000, n. 340, ovvero a cura del notaio autenticante, presso l'ufficio del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sede sociale. L'iscrizione del trasferimento nel libro dei soci ha luogo, su richiesta dell'alienante o dell'acquirente, verso esibizione del titolo da cui risultino il trasferimento e l'avvenuto deposito, rilasciato dal professionista che vi ha provveduto ai sensi del periodo precedente. In caso di trasferimento a causa di morte il deposito e l'iscrizione sono effettuati a richiesta dell'erede o del legatario verso presentazione della documentazione richiesta per l'annotazione nel libro dei soci dei corrispondenti trasferimenti in materia di società per azioni».


 

 

L’articolo 45 del progetto di legge in commento sostituisce il secondo comma dell’articolo 2470 del codice civile, recando norme di semplificazione degli adempimenti necessari perché il trasferimento di quote di partecipazione di una società a responsabilità limitata acquisti efficacia nei confronti della società medesima, e dunque l’acquirente della partecipazione consegua la legittimazione all’esercizio dei diritti sociali.

 

Si ricorda preliminarmente che il Consiglio europeo, nel marzo 2007, ha incluso nella “Strategia di Lisbona” l’obiettivo della riduzione degli oneri amministrativi nella misura del 25 per cento entro il 2012, sottolineando come si tratti di un obiettivo finalizzato allo sviluppo dell’economia europea, soprattutto per il suo impatto sulle piccole e medie imprese. La disposizione in commento appare coerente con gli orientamenti espressi dal Consiglio.

 

Si ricorda poi che l’articolo 36, comma 1-bis -introdotto con il maxiemendamento Dis. 1.1 presentato dal Governo alla Camera - del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112[212], attualmente all’esame del Senato per la conversione in legge, contiene una norma sostanzialmente identica all’articolo in commento (con le limitate differenze che saranno di seguito indicate).

Il citato comma 1-bis dell’articolo 36 non modifica l’articolo 2470, ma prevede le medesime modalità semplificate di sottoscrizione e deposito dell’atto di trasferimento delle quote di partecipazione nelle SRL contenute nell’articolo 45 in esame.

 

Si osserva dunque al riguardo che appare opportuno un coordinamento tra la norma di cui all’articolo 36, comma 1-bis del D.L. n. 112 del 2008, ove convertito in legge nell’attuale formulazione, e l’articolo 45 in esame, in quanto aventi il medesimo contenuto.

 

Articolo 2470,
co. secondo
Codice civile

Articolo 45 A.C. 1441

Articolo 36, co. 1-bis
D.L. 112/08
(iter in corso al Senato)

L'atto di trasferimento, con sottoscrizione autenticata, deve essere depositato entro trenta giorni, a cura del notaio autenticante, presso l'ufficio del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sede sociale. L'iscrizione del trasferimento nel libro dei soci ha luogo, su richiesta dell'alienante o dell'acquirente, verso esibizione del titolo da cui risultino il trasferimento e l'avvenuto deposito. In caso di trasferimento a causa di morte il deposito e l'iscrizione sono effettuati a richiesta dell'erede o del legatario verso presen­tazione della documentazione richiesta per l'annotazione nel libro dei soci dei corrispondenti trasferimenti in materia di società per azioni

L'atto di trasferimento, sottoscritto con firma digitale nel rispetto della normativa anche regolamen­tare concernente la sotto­scrizione dei documenti informatici, ovvero con sottoscrizione autenticata dal notaio, deve essere depositato entro trenta giorni, a cura di un intermediario abilitato al deposito degli atti nel registro delle imprese di cui all'articolo 31, comma 2-quater, della legge 24 novembre 2000, n. 340, ovvero a cura del notaio autenticante, presso l'ufficio del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sede sociale. L'iscrizione del trasferimento nel libro dei soci ha luogo, su richiesta dell'alienante o dell'acquirente, verso esibizione del titolo da cui risultino il trasferimento e l'avvenuto deposito, rilasciato dal professionista che vi ha provveduto ai sensi del periodo precedente. In caso di trasferimento a causa di morte il deposito e l'iscrizione sono effettuati a richiesta dell'erede o del legatario verso presentazione della documen­tazione richiesta per l'anno­tazione nel libro dei soci dei corrispondenti trasferimenti in materia di società per azioni.

L'atto di trasferimento di cui al secondo comma dell'articolo 2470 del codice civile può essere sotto­scritto con firma digitale, nel rispetto della normativa anche regolamentare con­cernente la sottoscrizione dei documenti informatici, ed è depositato, entro trenta giorni, presso l'ufficio del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sede sociale, a cura di un intermediario ai sensi dell’articolo 31, comma 2-quater, della legge 24 novembre 2000, n. 340. In tale caso, l'iscrizione del trasferimento nel libro dei soci ha luogo, su richiesta dell'alienante o dell'ac­quirente, dietro esibizione del titolo da cui risultano il trasferimento e l'avvenuto deposito, rilasciato dall'in­termediario che vi ha provveduto ai sensi del presente articolo. Resta salva la disciplina tributaria applicabile agli atti di cui al presente articolo.

 

 

Nella sua attuale formulazione, l’articolo 2470 c.c. prevede l’adempimento di alcuni obblighi formali affinché il trasferimento delle partecipazioni di una SRL acquisti efficacia nei confronti della società stessa.

Nel dettaglio, il contratto di trasferimento - stipulato per atto pubblico o scrittura privata autenticata – deve essere depositato entro trenta giorni, a cura del notaio autenticante, presso l'ufficio del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sede sociale e successivamente iscritto nel libro dei soci. L’efficacia del trasferimento si dispiega infatti dal momento dell’iscrizione nel libro dei soci.

Tale iscrizione ha luogo, su richiesta dell'alienante o dell'acquirente, previa esibizione del titolo da cui risultino il trasferimento e l'avvenuto deposito. La norma in esame reca poi disposizioni sugli adempimenti necessari nel caso di acquisto mortis causa (articolo 2470, comma secondo), prevedendo in tale ipotesi che il deposito e l'iscrizione siano effettuati a richiesta dell'erede o del legatario verso presentazione della documentazione richiesta per l'annotazione nel libro dei soci dei corrispondenti trasferimenti in materia di società per azioni.

Il terzo comma dell’articolo 2470 disciplina il conflitto tra acquirenti successivi della medesima quota, disponendo in particolare che sia preferito l’acquirente che per primo ha effettuato in buona fede l'iscrizione nel registro delle imprese, ancorché il suo titolo rechi una data posteriore.

Il commi dal quarto al settimo recano disposizioni relative al trasferimento di quote di una SRL unipersonale. Nel dettaglio, quando l'intera partecipazione appartiene ad un solo socio o muta la persona dell'unico socio, gli amministratori devono depositare per l'iscrizione nel registro delle imprese una dichiarazione contenente l'indicazione del cognome e nome o della denominazione, della data e del luogo di nascita o lo Stato di costituzione, del domicilio o della sede e cittadinanza dell'unico socio. Analogamente, dev’essere depositata apposita dichiarazione quando si costituisce o ricostituisce la pluralità dei soci. Entrambe le tipologie di dichiarazioni devono essere depositate entro trenta giorni dall'iscrizione nel libro dei soci e devono indicare la data di tale iscrizione.

Gli adempimenti pubblicitari possono essere anche portati a termine dall'unico socio o da colui che cessa di essere tale.

 

La disposizione proposta prevede anzitutto che l’atto di trasferimento possa essere sottoscritto con firma digitale, nel rispetto della normativa – anche regolamentare – relativa alla sottoscrizione dei documenti informatici, ovvero con autenticazione notarile.

 

Si ricorda che la firma digitale consiste in una procedura informatica di autenticazione volta a riconoscere al documento informatico gli stessi requisiti di certezza propri di un documento cartaceo autografo. Essa fa parte di un insieme di strumenti definiti genericamente firme elettroniche (firma elettronica, firma elettronica avanzata, firma elettronica qualificata, firma digitale e, nel linguaggio comune, firma elettronica “debole” e “forte”…) e disciplinati dal D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, recante il Codice dell’amministrazione digitale.

In particolare il Codice definisce:

-        firma elettronica, un insieme di dati in forma elettronica utilizzati come metodo di identificazione informatica;

-        firma elettronica qualificata, un particolare tipo di firma elettronica caratterizzato da elevate garanzie di sicurezza con riguardo all’identificazione del firmatario ed al controllo sull’integrità del documento; essa è basata su un certificato qualificato (fornito da appositi certificatori) e realizzata mediante un dispositivo sicuro per la creazione della firma (come ad es. una smart card);

-        firma digitale un particolare tipo di firma elettronica qualificata, in cui la garanzia sulla provenienza e l’integrità del documento è basata su un sistema di chiavi crittografiche, una pubblica e una privata, tra loro correlate.

Il documento informatico sottoscritto con firma elettronica qualificata o con firma digitale, se formato nel rispetto delle relative regole tecniche, soddisfa comunque il requisito della forma scritta.

In particolare, il documento informatico sottoscritto con firma digitale o con un altro tipo di firma elettronica qualificata, ha l’efficacia prevista dall’art. 2702 del codice civile, la medesima cioè della scrittura privata, che “fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza delle dichiarazioni da chi l'ha sottoscritta, se colui contro il quale la scrittura è prodotta ne riconosce la sottoscrizione, ovvero se questa è legalmente considerata come riconosciuta”.

La firma digitale o elettronica qualificata può essere autenticata dal notaio o altro pubblico ufficiale, secondo modalità analoghe a quelle previste dall’art. 2703 del codice civile.

 

Il citato articolo 36, comma 1-bis, del decreto-legge n. 112 del 2008 contiene una previsione sostanzialmente identica a quella in commento, disponendo che l’atto di trasferimento delle quote possa essere sottoscritto con firma digitale; si prevede cioè che la modalità semplificata si affianchi a quella attualmente prevista dal codice civile, ossia con autentica notarile.

 

La disposizione proposta mantiene identico altresì il termine di deposito dell’atto di trasferimento presso l’ufficio del registro delle imprese – 30 giorni – disponendo, tuttavia, che il suddetto deposito possa essere effettuato, oltre che dal notaio autenticante, anche mediante trasmissione telematica o su supporto informatico, da parte degli iscritti negli albi dei dottori commercialisti, dei ragionieri e periti commerciali, muniti della firma digitale e allo scopo incaricati dai legali rappresentanti della società, abilitati al deposito degli atti nel registro delle imprese, secondo quanto disposto dall’articolo 32, comma 2-quater della legge 24 novembre 2000, n. 340[213].

 

L’iscrizione del trasferimento nel libro dei soci ha luogo previa esibizione del titolo da cui risultino il trasferimento e l'avvenuto deposito - analogamente a quanto prevede l’attuale articolo 2470 del codice civile -, rilasciato dal professionista che ha provveduto al deposito stesso.

L’articolo 36, comma 1-bis, del citato decreto-legge n. 112 del 2008 fa salva la disciplina tributaria applicabile agliatti di trasferimento di quote di SRL, precisazione che manca nell’articolo 45 in esame.

 

L’articolo in commento riproduce le norme codicistiche relative agli adempimenti in caso di trasferimento mortis causa della quota: deposito e l'iscrizione sono effettuati a richiesta dell'erede o del legatario verso presentazione della documentazione richiesta, per l'annotazione nel libro dei soci, dei corrispondenti trasferimenti in materia di società per azioni.


 

Articolo 46
(Riorganizzazione del Centro nazionale per l'informatica nella pubblica amministrazione, del Centro di formazione studi e della Scuola superiore della pubblica amministrazione)

 


1. Al fine di realizzare un sistema unitario di interventi nel campo della formazione dei pubblici dipendenti, della riqualificazione del lavoro pubblico, dell'aumento della sua produttività, del miglioramento delle prestazioni delle pubbliche amministrazioni e della qualità dei servizi erogati ai cittadini e alle imprese, della misurazione dei risultati e dei costi dell'azione pubblica, nonché della digitalizzazione delle pubbliche amministrazioni, il Governo è delegato ad adottare, secondo le modalità e i princìpi e criteri direttivi di cui all'articolo 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi di riassetto normativo finalizzati al riordino del Centro nazionale per l'informatica nella pubblica amministrazione (CNIPA), del Centro di formazione studi (FORMEZ) e della Scuola superiore della pubblica amministrazione (SSPA), secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) ridefinizione delle missioni e delle competenze e riordino degli organi, in base a princìpi di efficienza, efficacia ed economicità, anche al fine di assicurare un sistema coordinato e coerente nel settore della formazione e della reingegne­rizzazione dei processi produttivi della pubblica amministrazione centrale e delle amministrazioni locali;

b) raccordo con le altre strutture, anche di natura privatistica, operanti nel settore della formazione e dell'innovazione tecnologica;

c) riallocazione delle risorse umane e finanziarie in relazione alla riorganiz­zazione e alla razionalizzazione delle competenze.

2. Dall'attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Alle attività previste dal presente articolo si provvede nell'ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali previste dalla legislazione vigente.


 

 

L’articolo 46 delega il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi di riassetto normativo aventi ad oggetto il riordino di tre importanti agenzie pubbliche operanti nel settore dell’innovazione tecnologica e dell’alta formazione, ossia il Centro nazionale per l'informatica nella pubblica amministrazione (CNIPA), il Centro di formazione studi (Formez) e la Scuola superiore della pubblica amministrazione (SSPA).

 

Per quanto riguarda la Scuola superiore di pubblica amministrazione, la disposizione in esame sostituisce il progetto di riordino previsto dalla legge finanziaria 2007 e di recente abrogato dal D.L. 112/2008 in corso di conversione.

 

I commi 580-586 dell’articolo 1 della legge finanziaria 2007[214] istituiscono e disciplinano l’Agenzia per la formazione dei dirigenti e dipendenti delle amministrazioni pubbliche – Scuola nazionale della pubblica amministrazione, destinata a sostituire la SSPA a partire dall’adozione dei regolamenti di delegificazione previsti dal comma 585. Il decreto legge 112/2008, art. 26, comma 3, ha abrogato i commi da 580 a 585 del citato art. 1 della legge finanziaria

 

Anche il CNIPA è stato oggetto di recente di un intervento di riassetto ad opera della legge finanziaria 2008 (L. 244/2007 art. 2, comma, 601) che ne ha ridotto i membri da 5 a 3.

 

Il termine per l’esercizio della delega è di un anno dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame.

 

Per quanto riguarda le modalità di adozione dei decreti legislativi, si fa riferimento alla procedura che l’articolo 20 della legge 59/97 (vedi oltre) stabilisce per i decreti legislativi autorizzati dalla legge annuale di semplificazione e di riassetto normativo.

Tale procedura prevede che questi siano emanati su proposta del ministro competente, di concerto con il Presidente del Consiglio dei ministri o con il ministro per la funzione pubblica, con i ministri interessati e con il ministro dell’economia e delle finanze. È espressamente prevista la previa acquisizione del parere della Conferenza unificata Stato - regioni - città e autonomie locali e – successivamente – dei pareri delle Commissioni parlamentari competenti, che debbono essere resi entro il termine di 60 giorni dal ricevimento della richiesta (art. 20, comma 5).

 

La determinazione dei princípi e criteri direttivi è articolata in tre punti.

Innanzitutto, si fa rinvio, come per le procedure di adozione di cui sopra, ai princípi e criteri generali contenuti nel citato articolo 20 della legge 59/97.

 

L’articolo 20 della legge 59/1997[215] ha introdotto nell’ordinamento la previsione di una “legge annuale di semplificazione”. Secondo la formulazione originaria dell’articolo, essa avrebbe costituito uno strumento periodico di semplificazione e di razionalizzazione di procedimenti amministrativi, da perseguire attraverso lo strumento giuridico della delegificazione delle norme di legge disciplinanti i procedimenti amministrativi stessi.

L’art. 1 della legge di semplificazione per il 2001 (L. 229/2003[216]) ha modificato l’impianto complessivo della legge annuale di semplificazione (denominata “legge di semplificazione e riassetto normativo”), attraverso un’integrale riscrittura dell’art. 20 citato, che ne ha spostato l’asse dalla semplificazione dei procedimenti amministrativi attraverso la delegificazione delle norme di riferimento, alla semplificazione normativa attraverso il riassetto normativo e la codificazione.

I princìpi e criteri direttivi generali ai quali dovranno attenersi tutti i decreti legislativi adottati sulla base delle leggi di semplificazione successive sono dettati dai commi 3 e 4 dell’art. 20, con la precisazione che possono essere stabiliti ulteriori princìpi e criteri direttivi specifici per le singole materie oggetto di semplificazione e riassetto normativo, indicati dall’annuale legge di semplificazione.

I princìpi e criteri direttivi di cui al comma 3 sono i seguenti:

-        codificazione della normativa primaria regolante la materia, previa acquisizione del parere del Consiglio di Stato con determinazione dei princìpi fondamentali nelle materie di legislazione concorrente;

-        coordinamento formale e sostanziale del testo delle disposizioni vigenti, garantendo anche la semplificazione del linguaggio normativo;

-        indicazione esplicita delle norme abrogate,

-        indicazione dei principi generali, in particolare per quanto attiene alla informazione, alla partecipazione, al contraddittorio, alla trasparenza e pubblicità che regolano i procedimenti amministrativi;

-        eliminazione, laddove possibile, degli interventi amministrativi autorizzatori e delle misure di condizionamento della libertà contrattuale;

-        sostituzione degli atti di autorizzazione comunque denominati con una denuncia di inizio di attività;

-        determinazione dei casi di silenzio assenso;

-        revisione e riduzione delle funzioni amministrative che non siano direttamente rivolte alla:

-        regolazione ai fini dell’incentivazione della concorrenza;

-        eliminazione delle rendite e dei diritti di esclusività, anche alla luce della normativa comunitaria;

-        eliminazione dei limiti all’accesso e all’esercizio delle attività economiche e lavorative;

-        protezione di interessi primari, costituzionalmente rilevanti, per la realizzazione della solidarietà sociale;

-        tutela dell’identità e della qualità della produzione tipica e tradizionale e della professionalità;

-        promozione degli interventi di autoregolazione per standard qualitativi e delle certificazioni di conformità da parte delle categorie produttive;

-        previsione dell’autoconformazione degli interessati a modelli di regolazione, nonché di adeguati strumenti di verifica e controllo successivi, nei casi in cui siano soppressi i poteri amministrativi autorizzatori o ridotte le funzioni pubbliche condizionanti l’esercizio delle attività private;

-        attribuzione delle funzioni amministrative ai Comuni, salvo il conferimento di funzioni a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato al fine di assicurarne l’esercizio unitario in base ai principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza;

-        definizione dei criteri di adeguamento dell’organizzazione amministrativa al riassetto delle funzioni amministrative che i decreti legislativi sono chiamati a realizzare.

Contestualmente al decreto legislativo di riassetto, il Governo può completare il processo di codificazione con una raccolta organica delle norme regolamentari regolanti la medesima materia (comma 3-bis).

L’art. 20 individua poi ulteriori principi riferiti alla disciplina delle funzioni amministrative mantenute in essere (comma 4). Tali principi, comuni ai decreti legislativi ed ai regolamenti da emanare ai sensi del comma 2, sono:

-        semplificazione dei procedimenti amministrativi, e di quelli strettamente connessi o strumentali, prevedendo la riduzione del numero delle fasi procedimentali e delle amministrazioni intervenienti;

-        riduzione dei termini per la conclusione dei procedimenti e uniformazione dei tempi di conclusione previsti per procedimenti tra loro analoghi;

-        regolazione uniforme dei procedimenti dello stesso tipo che si svolgono presso diverse amministrazioni o presso diversi uffici della medesima amministrazione;

-        riduzione del numero di procedimenti amministrativi e accorpamento dei procedimenti che si riferiscono alla medesima attività;

-        semplificazione e accelerazione delle procedure di spesa e contabili, anche mediante l’adozione di disposizioni che prevedano termini perentori per le fasi di integrazione dell’efficacia e di controllo degli atti, decorsi i quali i provvedimenti si intendono adottati;

-        adeguamento delle procedure alle nuove tecnologie informatiche.

-        possibilità di utilizzare, da parte delle amministrazioni, strumenti di diritto privato;

-        conformazione ai princìpi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, nella ripartizione delle attribuzioni e competenze tra i diversi soggetti istituzionali;

-        riconduzione delle intese, degli accordi e degli atti equiparabili comunque denominati, ad uno o più schemi base di riferimento nei siano stabilite le responsabilità, le modalità di attuazione e le conseguenze degli eventuali inadempimenti;

-        possibilità di utilizzare uffici e strutture tecniche e amministrative pubbliche da parte di altre pubbliche amministrazioni, sulla base di accordi.

 

In secondo luogo, l’articolo in esame individua specifici principi e criteri direttivi per l’esercizio delle delega, quali:

§      la ridefinizione delle missioni e delle competenze delle tre strutture e riordino dei loro organi, secondo i princìpi di efficienza, efficacia ed economicità;

§      il raccordo con le altre strutture, pubbliche e private, che operano nei medesimi settori della formazione e dell'innovazione tecnologica;

§      la riallocazione delle risorse umane e finanziarie in relazione alla riorganizzazione e alla razionalizzazione delle competenze.

 

In terzo luogo, vengono indicate una serie di finalità che pur non essendo principi e criteri direttivi in senso stretto, possono essere a questi assimilati, in quanto destinati a indirizzare l’azione del legislatore delegato. Si tratta, in particolare, dei seguenti obiettivi:

§      realizzare un sistema unitario di interventi nel campo della formazione dei pubblici dipendenti;

§      riqualificare il lavoro pubblico e aumentarne la produttività;

§      migliorare le prestazioni delle pubbliche amministrazioni e la qualità dei servizi erogati ai cittadini e alle imprese;

§      misurare i risultati e i costi dell'azione pubblica;

§      promuovere la digitalizzazione delle pubbliche amministrazioni.

Il Centro nazionale per l’informatica nella pubblica amministrazione (CNIPA) è la struttura organizzativa funzionale al perseguimento degli obiettivi di e-Government e di costruzione della Società dell’informazione. Istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri ai sensi dell’art. 176, co. 3, del D.Lgs. 196/2003[217], il CNIPA prende il posto della preesistente Autorità per l’informatica nella pubblica amministrazione (AIPA), istituita dall’art. 4 del D.Lgs. 39/1993[218].

Con il D.Lgs. 343/2003 sono stati trasferiti al CNIPA anche i compiti, le funzioni e le attività esercitati dal Centro tecnico istituito presso l’AIPA per l’assistenza ai soggetti che utilizzano la Rete unitaria della pubblica amministrazione (RUPA) istituita ai sensi dell’art. 15, co. 1, della L. 59/1997 e successivamente sostituita dal Sistema pubblico di connettività e cooperazione (SPC)[219]

Il CNIPA è un organo collegiale costituito dal presidente e da due membri, scelti tra persone dotate di alta e riconosciuta competenza e professionalità e di indiscussa moralità e indipendenza[220]. Il presidente è nominato con decreto del presidente del Consiglio dei Ministri, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri. Entro quindici giorni dalla nomina del presidente, su proposta di quest'ultimo, il Presidente del Consiglio dei Ministri nomina con proprio decreto, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, gli altri due membri. Il presidente e i due membri durano in carica quattro anni e possono essere confermati una sola volta.

Tra le funzioni del CNIPA si ricordano quelle relative a:

-        definire e utilizzare i processi e gli strumenti per governare il processo di innovazione tecnologica nelle amministrazioni centrali e locali;

-        coordinare, attraverso la redazione di un piano triennale annuale, il processo di pianificazione e i principali interventi di sviluppo; dettare norme tecniche e criteri in materia di ICT (tecnologie dell’informazione e della comunicazione), progettazione, realizzazione, gestione, mantenimento dei sistemi informativi delle amministrazioni e delle loro interconnessioni, nonché della loro qualità e relativi aspetti organizzativi;

-        dettare criteri e regole tecniche di sicurezza, interoperabilità, apertura, performance;

-        emettere dei pareri di congruità tecnico-economica sugli schemi dei contratti concernenti l’acquisizione di beni e servizi riguardanti i sistemi informativi;

-        operare nell’ambito dell’Unione europea; nelle materie di propria competenza e per gli aspetti tecnico-operativi, curare i rapporti con le Istituzioni comunitarie e con gli organismi internazionali;

-        definire indirizzi e direttive per la predisposizione di piani di formazione del personale delle pubbliche amministrazioni, orientandoli verso l’utilizzo di tecnologie informatiche innovative.

Il Centro di formazione studi (FORMEZ) è un'associazione con personalità giuridica partecipata dalla Presidenza del Consiglio, attraverso il Dipartimento della funzione pubblica, dall’ANCI, dall’UPI, dall’UNCEM, da Legautonomie e da alcune regioni. Nato nel 1965 con lo scopo di affiancare alle opere pubbliche e alla creazione della grande impresa un intervento basato sulla formazione ornamento dei quadri direttivi delle imprese e delle amministrazioni pubbliche, il FORMEZ nel corso degli anni è passato attraverso vari mutamenti di competenze e funzioni. Attualmente, nell'ambito delle competenze già stabilite dal D.Lgs. 285/1999[221], l'Assemblea dei Soci dell'11 aprile 2007 ha individuato una nuova missione specifica per il FORMEZ, consistente, principalmente, nell’accompagnare le amministrazioni pubbliche, in particolare quelle regionali e locali, nello sviluppo di progetti di innovazione organizzativa e amministrativa e nel monitoraggio delle politiche e dei processi di innovazione, nonché fornire alle amministrazioni pubbliche assistenza tecnica e tecnico-formativa per migliorare la qualità dei servizi e l'efficacia delle politiche, la comunicazione delle stesse tra di loro, e di sviluppare, anche d'intesa con altre amministrazioni e/o organizzazioni italiane e di altri paesi, progetti di cooperazione internazionale.

La Scuola superiore della pubblica amministrazione (SSPA) è un’istituzione di alta cultura e formazione, posta nell’ambito e sotto la vigilanza della Presidenza del Consiglio.

Istituita nel 1957, essa è stata soggetta a diversi riordinamenti, i più recenti dei quali sono stati operati con il D.Lgs. 287/1999[222] e successivamente con il D.Lgs. 381/2003[223], che con una novella ha integralmente sostituito gli articoli da 1 a 8 del D.Lgs. 287/1999.

Come accennato, la legge finanziaria del 2007 (art. 1, commi 580-585, abrogati dal DL 112/2008, art. 26) aveva previsto la sostituzione della SSPA con la nuova Agenzia per la formazione pubblica attraverso la previsione di una serie di regolamenti di delegificazione.

Tra i compiti primari della Scuola sono da ricordare:

-        il reclutamento dei dirigenti e dei funzionari dello Stato, secondo quanto disposto dalla L. 145/2002[224] che ha reintrodotto, per l’accesso alla dirigenza, anche la modalità del corso-concorso selettivo di formazione dirigenziale bandito dalla SSPA;

-        l’attività formativa iniziale dei dirigenti dello Stato;

-        la formazione permanente dei dirigenti e dei funzionari dello Stato;

-        lo svolgimento di attività di ricerca, e, su richiesta, di attività di consulenza e supporto tecnico per la Presidenza del Consiglio e per le amministrazioni pubbliche su tematiche istituzionali, progetti di riforma e in materia di innovazione amministrativa, formazione e di organizzazione dell’attività formativa;

-        il coordinamento delle attività delle scuole pubbliche statali di formazione e l’individuazione e l’attuazione di forme di cooperazione con le scuole pubbliche diverse da quelle dello Stato, nonché la cura di un Osservatorio sui bisogni di formazione e qualificazione del personale delle amministrazioni pubbliche.

La Scuola ha sede in Roma. Le attività di insegnamento e formazione sono tenute presso la sededi Roma e quelle distaccate di Acireale, Bologna, Caserta, Reggio Calabria e del Centro Residenziale Studi di Caserta.

La legge individua tra gli organi della Scuola il direttore, unitamente al comitato di indirizzo, al comitato operativo e al dirigente amministrativo.

Spetta al direttore, in qualità di vertice dell’istituzione, il compito di assicurare lo svolgimento delle attività istituzionali: egli è responsabile dell’attività didattica e scientifica della Scuola, nomina le commissioni esaminatrici per i concorsi e i corsi ed esercita le altre attribuzioni previste dal D.Lgs. 287/1999, dal regolamento della Scuola e dalle delibere con cui lo stesso direttore definisce, sentito il comitato operativo e per quanto di sua competenza il dirigente amministrativo, l’organizzazione interna della Scuola e detta le ulteriori disposizioni occorrenti per il suo funzionamento.

L’attività di formazione è svolta da un gruppo di 30 docenti stabili, scelti tra dirigenti di amministrazioni pubbliche, docenti universitari, magistrati ordinari,amministrativi e contabili, avvocati dello Stato e consiglieri parlamentari, esperti, italiani o stranieri, di comprovata professionalità. La Scuola può, inoltre, avvalersi di docenti incaricati, anche temporaneamente, di specifiche attività di insegnamento e conferire a persone di comprovata professionalità specifici incarichi finalizzati alla pubblicazione di ricerche e studi.


 

Articolo 47
(Tutela non giurisdizionale dell'utente dei servizi pubblici)

 


1. Le carte dei servizi dei soggetti pubblici e privati che erogano servizi pubblici o di pubblica utilità contengono la previsione della possibilità, per l'utente o per la categoria di utenti che lamenti la violazione di un diritto o di un interesse giuridico rilevante, di promuovere la risoluzione non giurisdizionale della controversia, che avviene entro i trenta giorni successivi alla richiesta; esse prevedono, altresì, l'eventuale ricorso a meccanismi di sostituzione dell'amministrazione o del soggetto inadempiente.

2. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, le autorità amministrative che svolgono la propria attività nelle materie contemplate dal codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, dalla legge 14 novembre 1995, n. 481, e dalla legge 31 luglio 1997, n. 249, nell'autonomia garantita dai rispettivi ordinamenti, nonché, per i servizi pubblici o di pubblica utilità non regolati dalle medesime autorità, il Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, emanano una determinazione che individua uno schema-tipo di procedura conciliativa ai sensi del comma 1, da recepire nelle singole carte dei servizi entro il termine di novanta giorni dalla data della sua adozione.


 

 

Il comma 1 stabilisce che le carte dei servizi predisposte da coloro i quali erogano servizi pubblici o di pubblica utilità devono prevedere, in favore degli utenti che lamentino la violazione di un diritto o di un interesse giuridico rilevante, la possibilità di promuovere la risoluzione non giurisdizionale della controversia entro i trenta giorni successivi alla richiesta.

Le medesime carte devono prevedere anche la possibilità di ricorrere a meccanismi di sostituzione dell'amministrazione o del soggetto erogatore inadempiente.

 

Si ricorda che, ai sensi dell’art. 11 del D.L. 30 luglio 1999, n. 286, i soggetti che erogano servizi di pubblica utilità sono tenuti ad adottare una Carta dei Servizi secondo gli schemi emanati dalla Presidenza del Consiglio dei ministri con la quale assumono nei confronti dell'utente impegni diretti a garantire predeterminati e controllabili livelli di qualità delle prestazioni.

Si ricorda che in data 27 gennaio 1994, attraverso una direttiva della Presidenza del Consiglio, sono stati recepiti le regole ed i principi di un documento di studio del governo Ciampi, in seguito ulteriormente recepiti in altre leggi (v. art. 2, D.L. n. 165/1995, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 273/1995, articolo successivamente abrogato e sostituito dall'art. 11, D.Lgs. n. 286/1999; L. n. 481/1995 sui poteri delle Autorità di regolazione), che hanno definitivamente sanzionato l'obbligo legislativo di adottare le carte dei servizi.

La c.d. direttiva Ciampi, relativa ai "Principi sull'erogazione dei servizi pubblici", ha fissato i principi cui deve essere progressivamente uniformata l'erogazione dei servizi pubblici, anche se svolti in regime di concessione, a tutela delle esigenze dei cittadini che possono fruirne nel rispetto delle esigenze di efficienza e imparzialità cui l'erogazione deve uniformarsi. Il rispetto di detti principi deve essere assicurato dalle amministrazioni pubbliche nell'esercizio dei loro poteri di direzione, controllo e vigilanza.

I punti fondamentali della Direttiva possono così sintetizzarsi:

-        enunciazione dei principi fondamentali cui devono attenersi i soggetti che erogano un servizio pubblico;

-        adozione degli standard di qualità e quantità del servizio ed indicazione di eventuali fattori esterni che potrebbero incidere significativamente sul conseguimento degli standard. Tali standard devono essere sottoposti a verifica con gli utenti in adunanze pubbliche e devono essere periodicamente aggiornati

-        semplificazione delle procedure relative agli atti concernenti la prestazione di servizio pubblici, con un espresso riferimento alla semplificazione e all'informatizzazione dei sistemi di prenotazione e delle forme di pagamento delle prestazioni.

Il citato articolo 2 della legge 273/1995 prevedeva che con decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri venissero emanati schemi generali di riferimento delle carte dei servizi pubblici predisposti dal Dipartimento della funzione pubblica d'intesa con le singole amministrazioni interessate.

Successivamente, l'art. 11 del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 286, ha abrogato il suddetto articolo 2 della legge 273/1995, prevedendo al comma 2 che "le modalità di definizione, adozione e pubblicizzazione degli standard di qualità, i casi e le modalità di adozione delle carte dei servizi, i criteri di misurazione della qualità dei servizi, le condizioni di tutela degli utenti, nonché i casi e le modalità di indennizzo automatico e forfettario all'utenza per mancato rispetto degli standard di qualità sono stabilite con direttive, aggiornabili annualmente, del Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Il comma 2 dispone che, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, le autorità amministrative che svolgono attività nelle materie contemplate dal Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, dalla L. n. 481/1995 e dalla L. n. 249/1997, nell'autonomia garantita dai rispettivi ordinamenti, nonché, per i servizi pubblici o di pubblica utilità non regolati dalle medesime autorità, il Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, emanino una determinazione che individua uno schema-tipo di procedura conciliativa ai sensi del comma 1, che entro novanta giorni deve essere recepita nelle singole carte dei servizi.

 

Si ricorda che il D.Lgs. n. 163/2006 (cd. codice dei contratti pubblici) disciplina, ai sensi dell'art. 1, comma 1, i contratti delle stazioni appaltanti, degli enti aggiudicatori e dei soggetti aggiudicatori, aventi per oggetto l’acquisizione di servizi, prodotti, lavori e opere, sia nei settori ordinari (i settori diversi da quelli del gas, energia termica, elettricità, acqua, trasporti, servizi postali, sfruttamento di area geografica, come definiti dalla parte III del codice) che speciali (settori del gas, energia termica, elettricità, acqua, trasporti, servizi postali, sfruttamento di area geografica, come definiti dalla parte III del codice).

La legge n. 481/1995 ha istituito due autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità: l’Autorità per l’energia elettrica ed il gas e l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni in seguito disciplinata più specificamente dalla L. n. 249/1997. Il legislatore, nella norma istitutiva, ha dichiarato espressamente le finalità e le funzioni delle autorità indipendenti tra le quali si ricorda , in particolare, quella di garantire la concorrenza e l’efficienza nel settore dei servizi di pubblica utilità.

 


 

Articolo 48
(Eliminazione degli sprechi relativi al mantenimento di documenti in forma cartacea)


1. Gli obblighi di pubblicazione di atti e di provvedimenti amministrativi aventi effetto di pubblicità legale si intendono assolti con la pubblicazione da parte delle amministrazioni e dei soggetti obbligati nei propri siti informatici.

2. Gli adempimenti di cui al comma 1 possono essere attuati mediante l'utilizzo di siti informatici di altri soggetti obbligati, ovvero di loro associazioni.

3. Al fine di garantire e di facilitare l'accesso alle pubblicazioni di cui al comma 1 il CNIPA realizza e gestisce un Portale di accesso ai siti di cui al medesimo comma 1.

4. A decorrere dal 1o gennaio 2011 le pubblicazioni effettuate in forma cartacea non hanno effetto di pubblicità legale.

5. Agli oneri derivanti dalla realizza­zione delle attività di cui al comma 1 del presente articolo si provvede a valere sulle risorse finanziarie assegnate ai sensi dell'articolo 27 della legge 16 gennaio 2003, n. 3, e successive modificazioni, con decreto del Ministro per l'innovazione e le tecnologie 22 luglio 2005 al progetto «PC alle famiglie» non ancora impegnate alla data di entrata in vigore della presente legge.


 

 

L’articolo 48 reca disposizioni finalizzate all’“eliminazione degli sprechi” collegati al mantenimento delle pubblicazioni legali in forma cartacea.

 

I commi 1 e 2 dell’articolo in esame riconoscono effetto di pubblicazione legale agli atti e ai provvedimenti amministrativi pubblicati dalle amministrazioni e dai soggetti obbligati sui propri siti informatici, ovvero sui siti di altri soggetti obbligati o di loro associazioni.

Con “siti informatici” delle pubbliche amministrazioni, l’espressione intende probabilmente riferirsi ai “siti istituzionali” su reti telematiche di cui agli artt. 53 e 54 del Codice dell'amministrazione digitale (D.Lgs. 82/2005). Per tale profilo potrebbe risultare utile un esplicito coordinamento normativo.

 

In particolare, la circolare Funzione pubblica 13 marzo 2001, n. 3, detta le linee guida per l'organizzazione, l'usabilità e l'accessibilità dei siti web delle pubbliche amministrazioni; successivamente, con la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri 30 maggio 2002[225], viene riconosciuta prioritaria la necessità di impartire direttive alle pubbliche amministrazioni per lo sviluppo dello strumento dei servizi in linea ai cittadini e alle imprese con l’attivazione e la registrazione del dominio di secondo livello .gov.it.; contemporaneamente viene realizzato il portale nazionale per il cittadino al quale seguirà quello per le imprese.

 

Il comma 3 prevede altresì la realizzazione e gestione da parte del CNIPA di un portale di accesso ai suddetti siti.

 

Ai sensi del comma 4, a decorrere dal 1° gennaio 2011, le pubblicazioni effettuate in forma cartacea non avranno effetto di pubblicazione legale.

Sembra opportuno un più esplicito coordinamento – valutando anche l’opportunità di una riformulazione della norma in forma di novella – con le disposizioni generali che disciplinano la pubblicazione di atti e provvedimenti amministrativi (ci si riferisce principalmente al testo unico approvato con D.P.R. 1092/1985[226] ed agli artt. 3-bis e 26 della L. 241/1990[227]).

 

Il comma 5 dispone che agli oneri derivanti dalle attività relative alla pubblicazione degli atti o provvedimenti amministrativi sui siti informatici delle amministrazioni pubbliche, dei soggetti obbligati, o di loro associazioni, si provveda a valere sulle risorse finanziarie disponibili, e non ancora impegnate a legislazione vigente, del Fondo di finanziamento per i progetti strategici nel settore informatico di cui all’art. 27 della L. 3/2003[228], successivamente assegnate con decreto del ministro per l'innovazione e le tecnologie 22 luglio 2005[229] alla realizzazione del progetto “PC alle famiglie”.


 

Articolo 49
(Delega al Governo per la modifica del codice dell'amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82)

 


1. Il Governo è delegato ad adottare, secondo le modalità e i princìpi e criteri direttivi di cui all'articolo 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, di concerto con i Ministri interessati, uno o più decreti legislativi volti a modificare il codice dell'amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi specifici:

a) prevedere forme sanzionatorie, anche inibendo l'erogazione dei servizi disponibili in modalità digitali attraverso canali tradizionali, per le amministrazioni che non ottemperano alle prescrizioni del codice;

b) individuare meccanismi volti a quantificare gli effettivi risparmi conseguiti dalle singole pubbliche amministrazioni, da utilizzare per l'incentivazione del personale coinvolto e per il finanziamento di progetti di innovazione;

c) modificare la normativa in materia di firma digitale al fine di semplificarne l'adozione e l'uso da parte della pubblica amministrazione, dei cittadini e delle imprese;

d) prevedere il censimento e la diffusione delle applicazioni informatiche realizzate o comunque utilizzate dalle pubbliche amministrazioni e dei servizi erogati con modalità digitali, nonché delle migliori pratiche tecnologiche e organizzative adottate, introducendo sanzioni per le amministrazioni inadempienti;

e) introdurre specifiche disposizioni volte a rendere la finanza di progetto strumento per l'accelerazione dei processi di valorizzazione dei dati pubblici e per l'utilizzazione da parte delle pubbliche amministrazioni centrali, regionali e locali;

f) prevedere l'utilizzo del web nelle comunicazioni tra le amministrazioni e i propri dipendenti;

g) prevedere la pubblicazione nei siti delle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, di indicatori di prestazioni, introducendo sanzioni per le amministrazioni inadempienti.


 

 

L’articolo 49 delega il Governo ad adottare entro diciotto mesi, secondo le modalità, i principi e i criteri direttivi contenuti nell’art. 20 della L. 59/1997[230] (vedi infra), su proposta del ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, di concerto con i ministri interessati, uno o più decreti legislativi volti a modificare il Codice dell’amministrazione digitale di cui al D.Lgs. 82/2005[231].

La procedura indicata dal citato art. 20 della L. 59/1997 prevede altresì che i decreti legislativi siano emanati su proposta del ministro competente, di concerto con il Presidente del Consiglio dei ministri o con il ministro per la funzione pubblica, con i ministri interessati e con il ministro dell’economia e delle finanze. È espressamente prevista la previa acquisizione del parere della Conferenza unificata Stato-regioni-città e autonomie locali e – successivamente – dei pareri delle Commissioni parlamentari competenti, che debbono essere resi entro il termine di 60 giorni dal ricevimento della richiesta (art. 20, co. 5).

 

L’art. 20 della L. 59/1997[232] ha introdotto nell’ordinamento la previsione di una “legge annuale di semplificazione”. Secondo la formulazione originaria dell’articolo, essa avrebbe costituito uno strumento periodico di semplificazione e di razionalizzazione di procedimenti amministrativi, da perseguire attraverso lo strumento giuridico della delegificazione delle norme di legge disciplinanti i procedimenti amministrativi stessi.

L’art. 1 della legge di semplificazione per il 2001 (L. 229/2003[233]) ha modificato l’impianto complessivo della legge annuale di semplificazione (denominata “legge di semplificazione e riassetto normativo”), attraverso un’integrale riscrittura dell’art. 20 citato, che ne ha spostato l’asse dalla semplificazione dei procedimenti amministrativi attraverso la delegificazione delle norme di riferimento, alla semplificazione normativa attraverso il riassetto normativo e la codificazione.

I princìpi e criteri direttivi generali ai quali dovranno attenersi tutti i decreti legislativi adottati sulla base delle leggi di semplificazione successive sono dettati dai commi 3 e 4 dell’art. 20, con la precisazione che possono essere stabiliti ulteriori princìpi e criteri direttivi specifici per le singole materie oggetto di semplificazione e riassetto normativo, indicati dall’annuale legge di semplificazione.

I princìpi e criteri direttivi di cui al comma 3 sono i seguenti:

-        codificazione della normativa primaria regolante la materia, previa acquisizione del parere del Consiglio di Stato con determinazione dei princìpi fondamentali nelle materie di legislazione concorrente;

-        coordinamento formale e sostanziale del testo delle disposizioni vigenti, garantendo anche la semplificazione del linguaggio normativo;

-        indicazione esplicita delle norme abrogate,

-        indicazione dei principi generali, in particolare per quanto attiene alla informazione, alla partecipazione, al contraddittorio, alla trasparenza e pubblicità che regolano i procedimenti amministrativi;

-        eliminazione, laddove possibile, degli interventi amministrativi autorizzatori e delle misure di condizionamento della libertà contrattuale;

-        sostituzione degli atti di autorizzazione comunque denominati con una denuncia di inizio di attività;

-        determinazione dei casi di silenzio assenso;

-        revisione e riduzione delle funzioni amministrative che non siano direttamente rivolte alla:

-        regolazione ai fini dell’incentivazione della concorrenza;

-        eliminazione delle rendite e dei diritti di esclusività, anche alla luce della normativa comunitaria;

-        eliminazione dei limiti all’accesso e all’esercizio delle attività economiche e lavorative;

-        protezione di interessi primari, costituzionalmente rilevanti, per la realizzazione della solidarietà sociale;

-        tutela dell’identità e della qualità della produzione tipica e tradizionale e della professionalità;

-        promozione degli interventi di autoregolazione per standard qualitativi e delle certificazioni di conformità da parte delle categorie produttive;

-        previsione dell’autoconformazione degli interessati a modelli di regolazione, nonché di adeguati strumenti di verifica e controllo successivi, nei casi in cui siano soppressi i poteri amministrativi autorizzatori o ridotte le funzioni pubbliche condizionanti l’esercizio delle attività private;

-        attribuzione delle funzioni amministrative ai Comuni, salvo il conferimento di funzioni a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato al fine di assicurarne l’esercizio unitario in base ai principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza;

-        definizione dei criteri di adeguamento dell’organizzazione amministrativa al riassetto delle funzioni amministrative che i decreti legislativi sono chiamati a realizzare.

Contestualmente al decreto legislativo di riassetto, il Governo può completare il processo di codificazione con una raccolta organica delle norme regolamentari regolanti la medesima materia (comma 3-bis).

L’art. 20 individua poi ulteriori principi riferiti alla disciplina delle funzioni amministrative mantenute in essere (comma 4). Tali principi, comuni ai decreti legislativi ed ai regolamenti da emanare ai sensi del comma 2, sono:

-        semplificazione dei procedimenti amministrativi, e di quelli strettamente connessi o strumentali, prevedendo la riduzione del numero delle fasi procedimentali e delle amministrazioni intervenienti;

-        riduzione dei termini per la conclusione dei procedimenti e uniformazione dei tempi di conclusione previsti per procedimenti tra loro analoghi;

-        regolazione uniforme dei procedimenti dello stesso tipo che si svolgono presso diverse amministrazioni o presso diversi uffici della medesima amministrazione;

-        riduzione del numero di procedimenti amministrativi e accorpamento dei procedimenti che si riferiscono alla medesima attività;

-        semplificazione e accelerazione delle procedure di spesa e contabili, anche mediante l’adozione di disposizioni che prevedano termini perentori per le fasi di integrazione dell’efficacia e di controllo degli atti, decorsi i quali i provvedimenti si intendono adottati;

-        adeguamento delle procedure alle nuove tecnologie informatiche.

-        possibilità di utilizzare, da parte delle amministrazioni, strumenti di diritto privato;

-        conformazione ai principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, nella ripartizione delle attribuzioni e competenze tra i diversi soggetti istituzionali;

-        riconduzione delle intese, degli accordi e degli atti equiparabili comunque denominati, ad uno o più schemi base di riferimento nei siano stabilite le responsabilità, le modalità di attuazione e le conseguenze degli eventuali inadempimenti;

-        possibilità di utilizzare uffici e strutture tecniche e amministrative pubbliche da parte di altre pubbliche amministrazioni, sulla base di accordi.

 

L’articolo in esame individua i seguenti specifici princìpi e criteri direttivi per l’esercizio delle delega:

§      inserimento, all’interno del corpo normativo del Codice, della previsione di forme sanzionatorie per le amministrazioni che non ottemperino alle previsioni da questo contenute. Tali forme sanzionatorie sembrano essere individuate nell’inibizione per le amministrazioni inadempienti della possibilità di erogare i servizi disponibili attraverso i canali tradizionali, ancorché in assenza di norme legislative che impongano l’erogazione in modalità esclusivamente digitale.

L’art. 2 del Codice, Finalità e ambito di applicazione, prevede che lo Stato, le regioni e gli enti locali assicurino la disponibilità, la gestione, l'accesso, la trasmissione, la conservazione e la fruibilità dell'informazione in modalità digitale e si organizzino ed agiscano a tale fine utilizzando con le modalità più appropriate le tecnologie dell'informazione e della comunicazione. Il successivo art. 3 stabilisce altresì che “i cittadini e le imprese hanno diritto a richiedere ed ottenere l'uso delle tecnologie telematiche nelle comunicazioni con le pubbliche amministrazioni e con i gestori di pubblici servizi statali nei limiti di quanto previsto nel presente codice”, stabilendosi più avanti (art. 4) che la partecipazione al procedimento amministrativo informatico avvenga sia tramite accesso esterno che interno. A tal fine lo Stato promuove “L’alfabetizzazione informatica dei cittadini” (art. 8) “con particolare riguardo alle categorie a rischio di esclusione, anche al fine di favorire l'utilizzo dei servizi telematici delle pubbliche amministrazioni”, favorendo “La partecipazione democratica elettronica” (art. 9) e “ogni forma di uso delle nuove tecnologie per promuovere una maggiore partecipazione dei cittadini, anche residenti all'estero, al processo democratico e per facilitare l'esercizio dei diritti politici e civili sia individuali che collettivi”. Da parte loro, le pubbliche amministrazioni per attuare dette finalità si impegnano alla formazione informatica dei dipendenti pubblici (art. 13) favorendo “politiche di formazione del personale finalizzate alla conoscenza e all'uso delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione”. Si rileva inoltre la centralità del disposto dell’articolo 12, Norme generali per l'uso delle tecnologie dell'informazione e delle comunicazioni nell'azione amministrativa, secondo il quale le pubbliche amministrazioni, nell'organizzare autonomamente la loro attività, utilizzano le tecnologie dell'informazione e della comunicazione per la realizzazione degli obiettivi di efficienza, efficacia, economicità, imparzialità, trasparenza, semplificazione e partecipazione, adottando “le tecnologie dell'informazione e della comunicazione nei rapporti interni, tra le diverse amministrazioni e tra queste e i privati, con misure informatiche, tecnologiche, e procedurali di sicurezza”, secondo le regole tecniche stabilite dal Codice. In tale contesto, le pubbliche amministrazioni “operano per assicurare l'uniformità e la graduale integrazione delle modalità di interazione degli utenti con i servizi informatici da esse erogati, qualunque sia il canale di erogazione, nel rispetto della autonomia e della specificità di ciascun erogatore di servizi” assicurando al contempo “l'accesso alla consultazione, la circolazione e lo scambio di dati e informazioni, nonché l'interoperabilità dei sistemi e l'integrazione dei processi di servizio fra le diverse amministrazioni”, mentre lo Stato “promuove la realizzazione e l'utilizzo di reti telematiche come strumento di interazione tra le pubbliche amministrazioni ed i privati”;

§      individuazione di meccanismi in grado di quantificare i risparmi effettivamente conseguiti dalle pubbliche amministrazioni. Tali risorse dovranno quindi essere utilizzate per l’incentivazione del personale e per il finanziamento di progetti di innovazione.

Tale principio sembra rispondere a quanto esposto nel Piano industriale per la riforma della pubblica amministrazione presentato alle Camere dal ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, relativamente ai sistemi di misurazione e valutazione delle organizzazioni pubbliche, diretti a rilevare la corrispondenza dei servizi e dei beni resi, ad oggettivi standard di qualità, rilevati anche a livello internazionale. In questa prospettiva, il bilancio di ciascuna amministrazione assume importanza per valutare l’efficienza complessiva dell’amministrazione stessa e per poter destinare i risparmi di gestione delle amministrazioni virtuose quali risorse premiali per dirigenti e impiegati;

§      modificazione della normativa in materia di firma digitale con l’obiettivo di semplificarne ed intensificarne l’uso da parte della pubblica amministrazione, dei cittadini e delle imprese.

La firma digitale consiste in una procedura informatica di autenticazione volta a riconoscere al documento informatico gli stessi requisiti di certezza propri di un documento cartaceo autografo. Essa fa parte di un insieme di strumenti definiti genericamente firme elettroniche (firma elettronica, firma elettronica avanzata, firma elettronica qualificata, firma digitale e, nel linguaggio comune, firma elettronica “debole” e “forte”) e disciplinati dal Codice dell’amministrazione digitale.

In particolare il Codice definisce:

-        firma elettronica, un insieme di dati in forma elettronica utilizzati come metodo di identificazione informatica;

-        firma elettronica qualificata, un particolare tipo di firma elettronica caratterizzato da elevate garanzie di sicurezza con riguardo all’identificazione del firmatario ed al controllo sull’integrità del documento; essa è basata su un certificato qualificato (fornito da appositi certificatori) e realizzata mediante un dispositivo sicuro per la creazione della firma (come ad es. una smart card);

-        firma digitale un particolare tipo di firma elettronica qualificata, in cui la garanzia sulla provenienza e l’integrità del documento è basata su un sistema di chiavi crittografiche, una pubblica e una privata, tra loro correlate.

Il documento informatico sottoscritto con firma elettronica qualificata o con firma digitale, se formato nel rispetto delle relative regole tecniche, soddisfa comunque il requisito della forma scritta.

In particolare, il documento informatico sottoscritto con firma digitale o con un altro tipo di firma elettronica qualificata, ha l’efficacia prevista dall’art. 2702 del codice civile, la medesima cioè della scrittura privata, che “fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza delle dichiarazioni da chi l'ha sottoscritta, se colui contro il quale la scrittura è prodotta ne riconosce la sottoscrizione, ovvero se questa è legalmente considerata come riconosciuta”.

La firma digitale o elettronica qualificata può essere autenticata dal notaio o altro pubblico ufficiale, secondo modalità analoghe a quelle previste dall’art. 2703 c.c.;

§      previsione della mappatura e della diffusione delle applicazioni informatiche realizzate o utilizzate dalle pubbliche amministrazioni e dei servizi erogati con modalità digitali, nonché delle best practicetecnologiche e organizzative adottate, introducendo sanzioni per le amministrazioni inadempienti;

§      introduzione di specifiche disposizioni volte a rendere la finanza di progetto lo strumento per l’accelerazione dei processi di valorizzazione dei dati pubblici e di una loro migliore utilizzazione da parte delle pubbliche amministrazioni centrali, regionali e locali;

Potrebbe risultare utile una formulazione più circostanziata e puntuale di quest’ultimo principio direttivo (comma 1, lettera e)).

La finanza di progetto, o project financing, coinvolge imprese e capitali privati nel finanziamento e nella gestione di infrastrutture e servizi di pubblica utilità, sia per incrementare l'ammontare dei fondi disponibili, sia al fine di perseguire un più efficiente impiego delle risorse pubbliche e private. Essa rappresenta uno dei nuovi modelli che vedono nel rapporto pubblico/privato una via per la realizzazione delle infrastrutture necessarie allo sviluppo competitivo dei sistemi locali. Un’operazione di finanza di progetto si caratterizza per la capacità del progetto di autofinanziarsi, producendo flussi di cassa sufficienti per ripagare i prestiti accesi per il finanziamento dell’opera e garantendo al contempo una adeguata remunerazione del capitale investito;

§      previsione dell’utilizzo delle reti telematiche e in particolare di Internet e Intranet (a ciò sembra riferirsi il termine atecnico “web”) nelle comunicazioni tra le amministrazioni e i propri dipendenti;

§      previsione della pubblicazione nei siti delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, co. 2, del D.Lgs. 165/2001[234], e successive modificazioni, di indicatori di prestazioni, introducendo sanzioni per le amministrazioni inadempienti.

Ai sensi dell’art. 1, co. 2 del D.Lgs. 165/2001, per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie fiscali.

Documenti all’esame delle Istituzioni dell’UE
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)

Il 25 aprile 2006 la Commissione ha presentato il piano d'azione e-Government per l'iniziativa i2010: accelerare l'e-Government in Europa a vantaggio di tutti (COM(2006)173).

Il piano d'azione e-Government fa parte integrante dell'iniziativa i2010 per l'occupazione e la crescita nella società dell'informazione e intende apportare un significativo contributo all'agenda di Lisbona e ad altre politiche comunitarie europee. Il 19 maggio 2006 la Commissione ha adottato la prima relazione annuale sui progressi compiuti nell'ambito dell'iniziativa i2010[235](COM(2006)215). Nel documento la Commissione afferma che gli Stati membri dell'UE devono attuare piani più ambiziosi per sfruttare le tecnologie dell'informazione e delle comunicazioni (TIC) al fine di trarne pieno vantaggio. Per far ripartire la crescita, gli Stati membri devono moltiplicare gli sforzi per migliorare l'accesso alle connessioni internet in banda larga, agevolare la circolazione dei contenuti digitali in tutta l'Unione europea, liberare lo spettro radio per nuove applicazioni, integrare la ricerca e l'innovazione e ammodernare i servizi pubblici.

Il documento è stato trasmesso al Parlamento europeo e al Consiglio, che l’8 giugno 2006 ha adottato conclusioni in cui ha invitato gli Stati membri:

-        a favorire la creazione di servizi elettronici di pubbliche amministrazioni accessibili, inclusivi, incentrati sull'utente e senza soluzione di continuità in tutta l'Unione europea;

-        fornire ai funzionari pubblici le capacità e le competenze necessarie per gestire il cambiamento;

-        rendere disponibili strumenti sicuri di identificazione elettronica per accedere ai servizi elettronici, tenendo conto della convenienza per l'utente e del principio di riconoscimento reciproco all'interno dell'UE;

-        promuovere l'interoperabilità, l'uso di norme aperte e di servizi pubblici elettronici integrati e interattivi.

 

Il 24 ottobre 2006 la Commissione ha adottato la comunicazione sulla Valutazione dell’attuazione del programma quinquennale IDABC (Erogazione interoperabile di servizi paneuropei di governo elettronico alle amministrazioni pubbliche, alle imprese e ai cittadini) (COM(2006)611), avviato il 1° gennaio 2005 con decisione 2004/387/CE del 21 aprile 2004.

La comunicazione presenta le conclusioni e le raccomandazioni della valutazione dell’attuazione del programma IDABC, disposta dall’articolo 13, paragrafi da 2 a 4, della citata decisione, ed è stata adottata dalla Commissione nella fase iniziale del programma in modo tale da potere raccordare gli importi relativi al 2007-2009 con le prospettive finanziarie dello stesso periodo.

La Commissione ha espresso una valutazione positiva sul programma e ne ha sottolineato l’elevata qualità complessiva ma, al contempo, ha messo in luce alcune carenze e ha raccomandato di prenderle in considerazione nella fase successiva di attuazione.

Le iniziative finanziate riguardano progetti di interesse comune e misure orizzontali.

Le prime sono iniziative concernenti la creazione o il potenziamento di servizi paneuropei di governo elettronico a sostegno delle amministrazioni pubbliche, delle imprese e dei cittadini. Tali iniziative vengono attuate dalle direzioni generali e sono monitorate dai comitati settoriali.

Le misure orizzontali sono iniziative destinate a sostenere i progetti di interesse comune e il governo elettronico in generale, misure che forniscono servizi di infrastruttura per i servizi pubblici della Comunità, come soluzioni tecnologiche e di software, servizi di rete, servizi di sicurezza ecc.

La comunicazione è stata trasmessa al Consiglio e al Parlamento europeo.


 

Articolo 50
(VOIP e Sistema pubblico di connettività)

 


1. Al fine di consentire l'attuazione di quanto previsto all'articolo 78, comma 2-bis, del codice dell'amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, il CNIPA provvede alla realizzazione e alla gestione di un nodo di interconnessione per i servizi VOIP per il triennio 2009-2011, in conformità all'articolo 83 del medesimo codice.

2. All'attuazione del comma 1 si provvede nel limite delle risorse disponibili a legislazione vigente, assegnate al progetto «Lotta agli sprechi» dal decreto del Ministro per l'innovazione e le tecnologie 24 febbraio 2005, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 116 del 20 maggio 2005, non ancora impegnate alla data di entrata in vigore della presente legge, nonché utilizzando le economie derivanti dalla realizzazione del Sistema pubblico di connettività di cui al decreto del Ministro per l'innovazione e le tecnologie 27 ottobre 2004, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 304 del 29 dicembre 2004.

3. Al fine di accelerare la diffusione del Sistema pubblico di connettività disciplinato dal citato codice di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, presso le pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, della legge 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, nel rispetto dei princìpi di economicità e di concorrenza del mercato, il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione predispone, d'intesa con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, un programma triennale atto ad assicurare, entro il 31 dicembre 2011, l'adesione di tutte le citate amministrazioni al predetto Sistema, la realizzazione di progetti di cooperazione tra i rispettivi sistemi informativi e la piena interoperabilità delle banche dati, dei registri e delle anagrafi, al fine di migliorare la qualità e di ampliare la tipologia dei servizi, anche on line, erogati a cittadini e a imprese, nonché di aumentare l'efficacia e l'efficienza dell'amministrazione pubblica.

4. All'attuazione del programma di cui al comma 3 del presente articolo sono prioritariamente destinate le risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate, di cui all'articolo 61 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, e successive modificazioni, assegnate a programmi per lo sviluppo della società dell'informazione, e non ancora programmate.


 

 

L’articolo 50 reca disposizioni relative all’uso del VOIP (“Voce tramite protocollo Internet”) nel contesto del Sistema pubblico di connettività (SPC), al fine di consentire l’attuazione del disposto dell’art. 78, co. 2-bis, del Codice dell’amministrazione digitale[236].

L’utilizzo del sistema VOIP si inquadra nel percorso di razionalizzazione delle risorse delle pubbliche amministrazioni; il sistema rende infatti possibile effettuare una conversazione telefonica sfruttando una connessione Internet, o altra rete dedicata, permettendo un collegamento telefonico senza costi aggiuntivi rispetto alla connessione dati, con risparmi sulle chiamate e minori costi infrastrutturali.

 

L’art. 2, co. 591, della L. 244/2007 (legge finanziaria 2008[237]) ha aggiunto i commi da 2-bis a 2-quater all’articolo 78 del Codice dell’amministrazione digitale. La norma dispone l’obbligo di utilizzare i servizi VOIP previsti dal Sistema pubblico di connettività o da analoghe convenzioni stipulate dalla CONSIP; destinatari di tale obbligo sono le pubbliche amministrazioni centrali e periferiche richiamate dall’art. 1, co. 1, lett. z) del Codice dell’amministrazione digitale[238].

La norma specifica poi che le suddette amministrazioni sono tenute ad utilizzare i servizi VOIP nei limiti dei parametri di prezzo/qualità stabiliti dalle convenzioni quadro CONSIP[239], come limiti massimi per la stipulazione dei contratti (di cui al richiamato articolo art. 1, co. 449, secondo periodo, della legge finanziaria 2007).

Il citato obbligo decorre dal 1° gennaio 2008 e, comunque, a partire dalla scadenza dei contratti relativi ai servizi di fonia in corso alla medesima data. L’attività di monitoraggio e verifica del rispetto di tali disposizioni è demandata al CNIPA (articolo 78, comma 2-bis).

In caso di mancato adeguamento alle medesime disposizioni è prevista la riduzione, nell'esercizio finanziario successivo, del 30% delle risorse stanziate nell'anno in corso per spese di telefonia (art. 78, co. 2-quater).

Il successivo co. 592 dell’art. 2 della L. 244/2007 dispone che le modalità attuative delle citate norme introdotte nel Codice siano determinate con decreto del ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione, di concerto con il ministro dell'economia e delle finanze e con il ministro delle comunicazioni, da adottare entro due mesi dalla data di entrata in vigore della legge finanziaria.

Il co. 593, in relazione alle misure di razionalizzazione di cui ai due commi precedenti, dispone un taglio lineare delle dotazioni delle unità previsionali di base degli stati di previsione dei Ministeri concernenti spese postali e telefoniche, in misura tale da realizzare, complessivamente, una riduzione di 7 milioni di euro per l'anno 2008, 12 milioni di euro per l'anno 2009 e 14 milioni di euro a decorrere dal 2010.

Le “altre” pubbliche amministrazioni (diverse da quelle richiamate dal co. 591) sono chiamate a adottare misure di contenimento delle spese postali e telefoniche tali da comportare risparmi, in termini di indebitamento netto, non inferiori a 18 milioni di euro per l’anno 2008, a 128 milioni di euro per l’anno 2009 e a 272 milioni di euro per l’anno 2010. Il mancato rispetto dei suddetti obiettivi di risparmio sarà sanzionato, in caso di accertate minori economie, con corrispondenti riduzioni dei trasferimenti statali verso le amministrazioni inadempienti.

Il comma 1 dell’articolo in esame prevede che il CNIPA[240] provveda alla realizzazione e gestione di un nodo di interconnessione per i servizi VOIP nel contesto dello SPC per il triennio 2009-2011, in conformità a quanto stabilito dall’art. 83 Contratti quadrodel Codice dell’amministrazione digitale.

 

Il Sistema Pubblico di Connettività e Cooperazione (SPC), istituito e disciplinato con il D.Lgs. 42/2005[241], ha sostituito la Rete Unitaria delle Pubbliche Amministrazioni (RUPA) con l’obiettivo di raccordare i sistemi informatici di tutte le pubbliche amministrazioni statali, regionali e locali.

Il SPC è una infrastruttura e un insieme di servizi di connettività condivisi dalle pubbliche amministrazioni finalizzato a garantire la piena interazione e la cooperazione applicativa tra i sistemi informativi dello Stato, delle Regioni e delle autonomie locali; esso consente a questi soggetti di utilizzare i servizi telematici per elaborare ed erogare i propri servizi direttamente ai cittadini e alle imprese. Accanto al SPC, ed a questo interconnessa, il D.Lgs. 42/2005 ha istituito una Rete internazionale delle pubbliche amministrazioni (RIPA), volta a permettere il collegamento tra queste e gli uffici italiani all’estero.

La gestione strategica e la vigilanza sul sistema, la disciplina e la promozione della cooperazione informativa sono affidate alla Commissione di coordinamento del SPC, presieduta dal Presidente del CNIPA. La Commissione è composta da rappresentanti delle amministrazioni statali e da membri designati dalla Conferenza unificata Stato-regioni-città e autonomie locali, in rappresentanza degli enti territoriali. Il CNIPA, anche avvalendosi della collaborazione di altri soggetti, ha il compito di coordinare le fasi della progettazione e della realizzazione del SPC e, nel rispetto delle decisioni e degli indirizzi della Commissione, quelle della gestione e dell’evoluzione del sistema.

La L. 244/2007 (Legge finanziaria 2008) con i co. da 577 a 585 dell’art. 2 ha previsto una serie di misure volte a favorire la piena realizzazione dello SPC e a dare nuovo impulso all’attività di informatizzazione della normativa statale vigente avviata nel 2001. Si dispone che i costi delle infrastrutture telematiche condivise per la realizzazione dello SPC rimangano a carico del CNIPA fino alla scadenza dei contratti quadro stipulati con gli operatori vincitori delle gare per la fornitura dei servizi necessari per il SPC. Per favorire la realizzazione delle infrastrutture centrali e regionali per lo sviluppo di tutte le componenti del SPC si prevede la definizione da parte delle Regioni e degli enti locali, per le parti di rispettiva competenza, e di concerto con il CNIPA, di un programma organico in cui siano individuate le componenti progettuali tecniche ed organizzative dello SPC. A tal fine il CNIPA identifica le soluzioni tecniche e funzionali atte a garantire la salvaguardia dei dati e delle applicazioni informatiche, nonché la continuità operativa dei servizi informatici e telematici anche in caso di disastri o situazioni di emergenza. Inoltre, si consente allo stesso CNIPA di indire conferenze di servizi al fine di identificare dette soluzioni tecniche. In particolare il co 584 dispone che per tali finalità le risorse, non ancora impegnate, del Fondo per l’informatizzazione della normativa vigente di cui all’art. 107 della L. 388/2000[242] o da questo confluite nel Fondo di riserva istituito dall’art. 12 del D.P.C.M. 9 dicembre 2002, Disciplina dell'autonomia finanziaria e contabile della Presidenza del Consiglio dei Ministri, siano incrementati per 500.000 euro per ciascun anno del triennio 2008-2010. Le finalità del Fondo sono altresì estese al coordinamento di programmi per l’informatizzazione e la classificazione della normativa regionale, all’adeguamento agli standard europei delle classificazioni utilizzate nelle banche dati normative pubbliche, nonché all’adozione di linee guida per la promulgazione e la pubblicazione telematica degli atti normativi, nella prospettiva del superamento dell’edizione cartacea della Gazzetta ufficiale. Il successivo co. 585 autorizza, per l’attuazione di tali finalità, una spesa pari a 10,5 milioni di euro per ciascun anno del triennio 2008-2010. Tale autorizzazione di spesa è stata soppressa ad opera del D.L. 93/2007[243].

 

I contratti quadro – di cui al citato art. 83 del Codice dell’amministrazione digitale – sono stipulati dal CNIPA, a livello nazionale, e dalle regioni nell'ambito del proprio territorio, espletando gare ad evidenza pubblica per la selezione dei contraenti, con più fornitori per i servizi necessari per il raggiungimento delle finalità del SPC. In conformità a tali contratti, stipulati dal CNIPA con più fornitori qualificati, le singole amministrazioni ottengono dai fornitori prescelti i servizi richiesti, a parità di condizioni. La stipula dei contratti esecutivi in conformità ai contratti quadro costituisce un obbligo per le amministrazioni statali e per gli enti pubblici nazionali non economici; una facoltà per le amministrazioni regionali e locali.

 

La gara per la fornitura dei servizi di connettività e sicurezza per le pubbliche amministrazioni è stata aggiudicata nel corso del 2006 a quattro operatori e ripartita secondo le seguenti percentuali: Fastweb/EDS 60%, BT Italia S.p.A. 25%, Wind S.p.A. 10%, Telecom Italia S.p.A. 5%. Il 10 luglio 2006 è stata costituita, da parte dei soggetti aggiudicatari della gara multifornitore per la fornitura dei servizi del Sistema Pubblico di Connettività, la Società consortile per la realizzazione e gestione della Qualified eXchange Network (QXN), infrastruttura che interconnetterà le reti delle stesse società, per consentire l’erogazione dei servizi SPC a tutte le amministrazioni italiane[244].

 

Per l’attuazione di quanto disposto dal comma 1, il successivo comma 2 dispone che vengano utilizzate le risorse, non ancora impegnate, assegnate al progetto ”Lotta agli sprechi” dal Decreto del Ministro per l’innovazione e le tecnologie del 24 febbraio 2005[245].

 

Nella tabella allegata, il decreto individua, ai sensi dell'art. 27, commi 1 e 2, primo periodo, della L. 3/2003[246], i progetti di grande contenuto innovativo, di rilevanza strategica e di preminente interesse nazionale per lo sviluppo dei sistemi informativi e della società dell'informazione da sostenere con un finanziamento; fra i quali appunto il progetto “Lotta agli sprechi”. Al finanziamento dei progetti individuati, di costo complessivamente pari a 162,75 milioni di euro, si provvede quanto a 57,75 mln. con i fondi di pertinenza delle amministrazioni proponenti e quanto a 105 mln. a valere sulla disponibilità del Fondo di cui all'art. 27, co. 2, secondo periodo e 4 della L. 3/2003, ovvero del Fondo di finanziamento per i progetti strategici nel settore informatico, iscritto in una apposita unità previsionale di base dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze. Tali fondi sono ripartiti nella misura di 77 mln di euro a valere sulla disponibilità per l'annualità 2005, e di 28 mln. a valere su parte delle disponibilità relative al 2006. I progetti sono da realizzarsi da parte delle amministrazioni competenti.

L’iniziativa “Efficienza della PA – Lotta agli sprechi”, approvata l’8 febbraio 2005 dal Comitato dei ministri per la società dell’informazione ha come obiettivo di ottenere, in tempi brevi, attraverso l’eliminazione di duplicazioni e ridondanze, risultati concreti in termini di riduzione dei costi e di miglioramento dei servizi per cittadini e imprese. L’iniziativa “Lotta agli sprechi” è attuata mediante il finanziamento di progetti specifici proposti dalle amministrazioni[247], ed è coordinata dal ministro per l’innovazione e le tecnologie, dal ministro della funzione pubblica e dal ministro dell’economia e finanze e la sua gestione è affidata al CNIPA. L’importo complessivo del finanziamento destinato all’iniziativa era, al maggio 2006, di 22,5 milioni di euro[248].

 

I commi 3 e 4 stabiliscono che il ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione predisponga, entro 180 giorni dall’entrata in vigore della disposizione, un programma triennale in grado di assicurare, alla scadenza del 31 dicembre 2011, l’adesione al SPC di tutte le amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2 del D.Lgs. 165/2001[249], nonché la realizzazione di progetti di cooperazione tra i rispettivi sistemi operativi e la piena interoperabilità delle banche dati, dei registri e delle anagrafi, al fine di migliorare la qualità e di ampliare la tipologia dei servizi, anche online, erogati a cittadini ed imprese.

Nel testo dell’articolo il D.Lgs. 165/2001 è erroneamente indicato come L. 165/2001.

Le risorse necessarie per l’attuazione del programma triennale sono prioritariamente individuate fra quelle destinate al Fondo aree sottoutilizzate – FAS[250] e, in particolare, assegnate ai programmi per lo sviluppo della società dell’informazione.


 

Articolo 51
(Riallocazione di fondi)

 


1. Le somme di cui all'articolo 2-bis, comma 1, lettera b), del decreto-legge 30 giugno 2005, n. 115, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 agosto 2005, n. 168, non impegnate alla data di entrata in vigore della presente legge sono destinate al cofinanziamento dei progetti di sviluppo di reti di connettività, anche con tecnologie senza fili (wireless), e di servizi innovativi di tipo amministrativo e didattico presentati dalle università.

2. Al fine di favorire le iniziative di creazione di imprese nei settori innovativi promosse da giovani ricercatori, il Dipartimento per l'innovazione e le tecnologie della Presidenza del Consiglio dei ministri definisce un programma di incentivi e di agevolazioni, attuati in regime de minimis, dando priorità a progetti in grado di contribuire al miglioramento qualitativo e alla razionalizzazione dei servizi offerti dalla pubblica ammini­strazione. All'attuazione del presente comma si provvede nel limite delle risorse finanziarie disponibili, assegnate, ai sensi dell'articolo 27 della legge 16 gennaio 2003, n. 3, al progetto «Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese» con decreto dei Ministri delle attività produttive e per l'innovazione e le tecnologie 15 giugno 2004, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 150 del 29 giugno 2004, non impegnate alla data di entrata in vigore della presente legge.

3. Le risorse finanziarie assegnate al Dipartimento per l'innovazione e le tecnologie della Presidenza del Consiglio dei ministri e al CNIPA con delibere del CIPE adottate ai sensi dell'articolo 61 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, e successive modificazioni, non impegnate alla data di entrata in vigore della presente legge e non destinate all'attuazione di accordi di programma quadro di cui all'articolo 2, comma 203, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, e successive modificazioni, possono essere riprogrammate dal CIPE in favore degli interventi proposti dallo stesso Dipartimento. Possono altresì essere destinate alle finalità di cui al periodo precedente le risorse finanziarie per l'anno 2009 di cui all'articolo 1, comma 892, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, non ancora programmate.


 

 

L’articolo in esame reca disposizioni in materia di riallocazione di fondi di interesse del Dipartimento per l’innovazione e le tecnologie.

Il comma 1 prevede che le somme destinate per l’anno 2005 – ai sensi dell’articolo 2-bis, comma 1, lettera b), del decreto-legge 30 giugno 2005, n. 115 - all’erogazione di un contributo per l’acquisto di personal computer da parte degli studenti che usufruiscono dell’esenzione dalle tasse e dai contributi universitari, che alla data di entrata in vigore della legge di conversione non risultano ancora impegnate, sono destinate al cofinanziamento di progetti per lo sviluppo e la realizzazione di reti di connettività, anche senza fili, presentati dalle università, nonché alla fornitura alle stesse di strumenti didattici e amministrativi innovativi.

 

In relazione alle somme di cui si dispone una diversa finalizzazione, si ricorda che l’articolo 2-bis del D.L. n. 115/2005[251], ha finanziato sia la realizzazione di reti di connettività senza fili nelle università, sia l’acquisto di personal computer da parte degli studenti esonerati da tasse e contributi universitari.

In particolare il comma 1 ha autorizzato, nell’esercizio finanziario 2005, la spesa di:

a)       2,5 milioni di euro per il cofinanziamento di progetti per la realizzazione di reti di connettività senza fili nelle università;

b)       10 milioni di euro per l’erogazione di un contributo di 200 euro per l’acquisto di personal computer da parte degli studenti che usufruiscono delle esenzioni dalle tasse e dei contributi universitari;

c)       2,5 milioni di euro per la costituzione di un Fondo di garanzia per la copertura dei rischi sui prestiti erogati da istituti di credito agli studenti universitari che intendono acquistare un personal computer[252]

In attuazione dell’articolo 2-bis e del D.M. 6 dicembre 2005[253], il Dipartimento per l’innovazione e le tecnologie della Presidenza del Consiglio dei Ministri[254] ha avviato il progetto “Un C@ppuccino per un Pc”, il quale mira a favorire gli studenti regolarmente iscritti alle Università statali e non statali legalmente riconosciute nell’acquisto di un Pc con connessione WiFi, attraverso due diverse agevolazioni:

1)       il prestito garantito: gli studenti possono usufruire di un prestito garantito dalla Stato, erogato dai soggetti finanziatori convenzionati per un importo massimo di 1200 €, rimborsabile in 36 mesi (1€ circa al giorno, il prezzo di un cappuccino);

2)       il bonus governativo: gli studenti che usufruiscono dell'esonero totale o parziale delle tasse e dei contributi universitari possono beneficiare, oltre che del prestito, anche di un contributo governativo pari a 200 €.

 

Le somme di cui si propone una diversa destinazione sono, dunque, gestite dal Dipartimento per l’innovazione e le tecnologie presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. A sua volta, la riprogrammazione delle risorse è destinata alla realizzazione di interventi della medesima tipologia di competenza dello stesso Dipartimento[255].

In proposito, si ricorda che l’ordinamento finanziario e contabile della Presidenza del Consiglio prevede, all’articolo 11[256], l’istituto del riporto delle somme di conto capitale non impegnate alla chiusura dell’esercizio, sui corrispondenti stanziamenti dell’esercizio successivo. Il riporto delle somme avviene con decreto del Segretario generale.

 

Dunque, poiché la norma in esame si riferisce a somme stanziate per l’esercizio finanziario 2005 e non impegnate, è presumibile che tali somme, siano state oggetto di riporto negli esercizi successivi, fino a quello in corso.

 

Il comma 2 prevede che il Dipartimento per l’innovazione e le tecnologie della Presidenza del Consiglio dei ministri definisca un programma di incentivi e di agevolazioni volto a favorire la promozione, da parte di giovani ricercatori, di iniziative di creazione di imprese nei settori innovativi, dando priorità ai progetti volti a migliorare qualitativamente e a razionalizzare i servizi offerti dalla pubblica amministrazione. La stessa norma prevede che gli incentivi e le agevolazioni siano attuati in regime de minimis.

La norma de minimis,recentemente aggiornata dal Regolamento (CE) n. 1998/2006 della Commissione, del 15 dicembre 2006, relativo all'applicazione degli articoli 87 e 88 del trattato agli aiuti d'importanza minore,prevede chenon siano considerati aiuti di stato e dunque non devono essere notificati per l’autorizzazione della Commissione Europea gli incentivi sotto i 200 mila euro percepiti in tre anni (in precedenza il limite massimo era di 100 mila euro). Al fine di evitare abusi sono stati esclusi gli aiuti alle imprese in difficoltà e quelli il cui ammontare non può essere calcolato in anticipo (i cosiddetti aiuti “non trasparenti”). Un aiuto si definisce trasparente qualora sia possibile determinarne in precedenza l'importo preciso, senza necessità di effettuare un'analisi del rischio. Sono pertanto considerati trasparenti:

-        gli aiuti sotto forma di prestiti il cui importo è calcolato sulla base dei tassi d'interesse praticati sul mercato al momento della concessione dell'aiuto;

-        gli aiuti sotto forma di conferimenti di capitale quando l'importo totale dell'apporto pubblico è inferiore alla soglia de minimis;

-        gli aiuti sotto forma di misure a favore del capitale di rischio ove il regime relativo al capitale di rischio interessato preveda apporti di capitali per un importo non superiore alla soglia de minimis per ogni impresa destinataria;

-        gli aiuti sotto forma di garanzie di prestiti se la parte del prestito non supera 1,5 milioni di euro o (750 000 euro nel settore del trasporto su strada). Gli Stati membri possono tuttavia concedere garanzie per prestiti superiori a 1,5 milioni di euro dimostrando, sulla base di un metodo accettato dalla Commissione, che la parte di aiuto contenuta nella garanzia non supera i 200 000 euro.

A differenza della precedente disciplina, la nuova normativa sul de minimis si applica al settore della trasformazione e della commercializzazione dei prodotti agricoli e a quello dei trasporti. Per quest’ultimo è però previsto un tetto di 100 mila euro e l’esclusione dei veicoli per il trasporto merci su strada.

 

Agli oneri connessi all’attuazione dei suddetti progetti si provvederà utilizzando le risorse non impegnate all’entrata in vigore del presente provvedimento, assegnate al progetto “Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese” con il decreto 15 giugno 2004”, ai sensi dell’art. 27 della legge 16 gennaio 2003[257].

Il decreto del Ministro delle attività produttive e del Ministro per l’innovazione e le tecnologie del 15 giugno 2004[258], al fine di facilitare l'accesso delle PMI alle fonti di finanziamento per lo sviluppo di progetti innovativi basati sulle tecnologie digitali, ha disposto l'istituzione di una apposita sezione speciale del fondo di garanzia PMI[259]. Ad essa il decreto ha destinato le risorse di cui all’art. 27 della legge n. 3/2003 concernenti il Fondo di finanziamento per i progetti strategici nel settore informatico, per un importo pari a 20 milioni di euro per l’anno 2004, 20 milioni di euro per l’anno 2005, 20 milioni di euro per il 2006 (art. 1)[260]. La Sezione speciale del fondo di garanzia è riservata alla concessione di garanzie su finanziamenti di durata non inferiore a 36 mesi e non superiore a 10 anni, a fronte di programmi di investimento delle PMI, finalizzati a introdurre innovazioni di prodotto e di processo attraverso l’utilizzo di tecnologiche digitali. Modificazioni e integrazioni al decreto interministeriale 15 giugno 2004 sono state apportate successivamente dal decreto 24 novembre 2004 (GU 27 dicembre 2004), che consente alla sezione speciale di concedere garanzie su finanziamenti anche alle PMI fornitrici di applicazioni tecnologiche digitali. L’art. 1, comma 209, della finanziaria 2005 (L. n. 311/04)ha integrato della somma di 40 milioni di euro per l’anno 2005, 40 milioni di euro per l’anno 2006 e 20 milioni di euro per l’anno 2007, la citata Sezione speciale. Lo stesso comma 209, come modificato dall’art. 4, comma 1, lett. a-ter), del DL 14 marzo 2005, n. 35[261], ha previsto, inoltre, che gli stanziamenti integrativi della sezione speciale possono essere utilizzati al termine di ciascun anno - limitatamente a quelli non impegnati - per altri interventi del Fondo garanzia. Il successivo DM 20 giugno 2005 all’art. 5 ha rinviato ad un decreto dei Ministri delle attività produttive e per l’innovazione e le tecnologie la determinazione annuale delle risorse della suddetta sezione speciale che possono essere utilizzate per il Fondo di garanzia. Il recente decreto del Ministro dello sviluppo economico 17 aprile 2008 (GU 7 luglio 2008),in considerazione del fatto che al termine degli anni 2006 e 2007gli stanziamenti integrativi della sezione speciale, pari a 60 milioni di euro, risultano non impegnati, ha pertanto destinato tale somma agli interventi del Fondo di garanzia per le PMI.

 

Il comma 3stabilisce che le risorse finanziarie assegnate dal CIPE in sede di riparto del Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS) in favore della Presidenza del Consiglio - Dipartimento per l’innovazione e le tecnologie e del CNIPA (Centro nazionale per l’informatica nella pubblica amministrazione) - che non risultino impegnate alla data di entrata in vigore del provvedimento in esame e che non siano destinate all’attuazione di accordi di programma quadro (APQ) - possano essere riprogrammate dal CIPE in favore di interventi proposti dallo stesso Dipartimento.

Si tratta, pertanto, di una riallocazione di risorse inizialmente destinate agli interventi nelle aree sottoutilizzate, per le quali potrebbe realizzarsi una diversa destinazione.

Analoga possibilità di riallocazione viene prevista per le risorse relative all’esercizio 2009 previste dall’articolo 1, comma 892, della legge finanziaria 2007, che risultino ancora in attesa di programmazione. Si tratta di 10 milioni di euro destinati alla realizzazione di progetti per la società dell'informazione.

 

Il richiamato comma 892 prevede l’emanazione di un decreto di natura non regolamentare del Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione, da emanarsi entro il 30 aprile 2007, con il quale sono individuate:

-        le azioni da realizzare;

-        le aree destinatarie della sperimentazione;

-        le modalità operative e di gestione dei progetti.

Nella procedura di emanazione del decreto di attuazione degli interventi, con riferimento agli interventi che interessano le Regioni e gli enti locali, è previsto il concerto del ministro per gli affari regionali e le autonomie locali.

In attuazione di quanto previsto, sono stati emanati due decreti in data 16 maggio 2007 e 23 febbraio 2008, che individuano le azioni da realizzare nei settori della scuola, sanità, lavoro, studi e ricerche per la società dell’informazione, nonché per la realizzazione del progetto “servizi consolari online”.


 

Articolo 52
(Modifiche al libro primo del codice di procedura civile)

 


1. All'articolo 7 del codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al primo comma, le parole: «lire cinque milioni» sono sostituite dalle seguenti: «settemilacinquecento euro»;

b) al secondo comma, le parole: «lire trenta milioni» sono sostituite dalle seguenti: «venticinquemila euro».

2. L'articolo 38 del codice di procedura civile è sostituito del seguente:

«Art. 38. - (Incompetenza). - L'incompetenza per materia, quella per valore e quella per territorio sono eccepite, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta tempestivamente depositata. L'eccezione di incompetenza per territorio si ha per non proposta se non contiene l'indicazione del giudice che la parte ritiene competente.

Fuori dei casi previsti dall'articolo 28, quando le parti costituite aderiscono all'indicazione del giudice competente per territorio, la competenza del giudice indicato rimane ferma se la causa è riassunta entro tre mesi dalla cancellazione della stessa dal ruolo.

L'incompetenza per materia, quella per valore e quella per territorio nei casi previsti dall'articolo 28 sono rilevate d'ufficio non oltre l'udienza di cui all'articolo 183.

Le questioni di cui ai commi precedenti sono decise, ai soli fini della competenza, in base a quello che risulta dagli atti e, quando sia reso necessario dall'eccezione del convenuto o dal rilievo del giudice, assunte sommarie informazioni».

3. All'articolo 39 del codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:

a) il primo comma è sostituito dal seguente:

«Se una stessa causa è proposta davanti a giudici diversi, quello successivamente adito, in qualunque stato e grado del processo, anche d'ufficio, dichiara con ordinanza la litispendenza e dispone la cancellazione della causa dal ruolo»;

b) al secondo comma, la parola: «sentenza» è sostituita dalla seguente: «ordinanza».

4. All'articolo 40, primo comma, del codice di procedura civile, la parola: «sentenza» è sostituita dalla seguente: «ordinanza».

5. L'articolo 44 del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:

«Art. 44. - (Efficacia dell'ordinanza che pronuncia sulla competenza). - L'ordinanza che, anche a norma degli articoli 39 e 40, pronuncia sulla competenza del giudice adito, se non è reclamata entro il termine di trenta giorni dalla comunicazione, rende incontestabili la decisione sulla competenza e la competenza del giudice in essa indicato, in ogni processo avente ad oggetto la medesima domanda.

Il reclamo contro l'ordinanza del giudice di pace si propone dinanzi al tribunale in composizione monocratica nella cui circoscrizione ha sede il giudice che ha pronunciato l'ordinanza.

Quando il tribunale pronuncia in composizione monocratica, il reclamo si propone al collegio, del quale non può far parte il giudice che ha emanato il provvedimento reclamato.

Il reclamo contro l'ordinanza del tribunale e quello contro l'ordinanza della corte d'appello, quando pronuncia in unico grado, si propongono dinanzi al collegio diversamente composto.

Il giudice pronuncia sul reclamo in camera di consiglio con ordinanza non impugnabile.

In pendenza del reclamo il processo è sospeso, ma il giudice può autorizzare il compimento degli atti che ritiene urgenti».

6. All'articolo 45 del codice di procedura civile, le parole: «alla sentenza» sono sostituite dalle seguenti: «all'ordinanza».

7. All'articolo 47 del codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:

a) i commi primo, secondo e terzo sono abrogati;

b) al quinto comma, le parole: «notificato il ricorso o» sono soppresse;

c) la rubrica è sostituita dalla seguente: «Procedimento del regolamento d'ufficio».

8. All'articolo 48, primo comma, del codice di procedura civile, le parole: «dal giorno in cui è presentata l'istanza al cancelliere a norma dell'articolo precedente o» sono soppresse.

9. All'articolo 49 del codice di procedura civile, la parola: «sentenza», ovunque ricorre, è sostituita dalla seguente: «ordinanza».

10. Al primo comma dell'articolo 50 del codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:

a) la parola: «sentenza», ovunque ricorre, è sostituita dalla seguente: «ordinanza»;

b) le parole: «sei mesi» sono sostituite dalle seguenti: «tre mesi».

11. All'articolo 88 del codice di procedura civile è aggiunto, in fine, il seguente comma:

«Le parti costituite devono chiarire le circostanze di fatto in modo leale e veritiero».

12. Il primo comma dell'articolo 91 del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:

«Il giudice, con il provvedimento che chiude il processo davanti a lui, condanna la parte soccombente al rimborso delle spese a favore dell'altra parte e ne liquida l'ammontare insieme con gli onorari di difesa. Se accoglie la domanda in misura non superiore all'eventuale proposta conciliativa, condanna la parte che ha rifiutato senza giustificato motivo la proposta al pagamento delle spese del processo, salvo quanto disposto dal secondo comma dell'articolo 92».

13. All'articolo 96 del codice di procedura civile è aggiunto, in fine, il seguente comma:

 «In ogni caso, il giudice, anche d'ufficio, condanna la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma non inferiore alla metà e non superiore al doppio dei massimi tariffari».

14. Al primo comma dell'articolo 115 del codice di procedura civile sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, nonché i fatti contestati in modo generico».

15. Al secondo comma dell'articolo 132 del codice di procedura civile, il numero 4) è sostituito dal seguente:

«4) la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione».

16. All'articolo 153 del codice di procedura civile è aggiunto, in fine, il seguente comma:

«La parte che dimostra di essere incorsa in decadenze per causa ad essa non imputabile può chiedere al giudice di essere rimessa in termini. Il giudice provvede a norma dell'articolo 294, secondo e terzo comma».


 

 

L'articolo 52 apporta alcune modifiche alle disposizioni contenute nel libro I del codice di procedura civile.

In particolare:

§      si prevede l’elevazione della competenza per valore del giudice di pace;

§      significative modifiche attengono alle questioni sulla competenza (il cui rilievo processuale è ridimensionato)definendosi, tra l’altro, un nuovo sistema di impugnazione consistente nel reclamo deciso in camera di consiglio con ordinanza non impugnabile.

Ulteriori disposizioni riguardano la valorizzazione del comportamento processuale delle parti: in particolare viene inserita una norma di principio che obbliga le parti a chiarire le circostanze di fatto rilevanti ai fini della decisione in modo leale e veritiero.

Con riferimento alla disciplina delle spese processuali misure particolari sono previste a carico dell'attore il quale abbia rifiutato, senza giusto motivo, una proposta conciliativa avanzata dall'altra parte.

Si introduce altresì uno strumento sanzionatorio a carico del soccombente, condannato al pagamento di una somma di denaro ulteriore rispetto alle spese di lite in conseguenza dell'accertamento della condotta illecita.

Ulteriori norme sono previste in materia di disponibilità delle prove e di rimessione in termini, della quale si allarga l'ambito oggettivo di applicazione .

Il testo a fronte che segue, evidenzia le modifiche apportate dalle nuove disposizioni al vigente codice di procedura civile[262].

 

Codice di Procedura Civile

AC 1441 (Governo)

 

 

Art. 7

Art. 7

Competenza del giudice di pace

Competenza del giudice di pace

1. Il giudice di pace è competente per le cause relative a beni mobili di valore non superiore a euro 2.582,28, quando dalla legge non sono attribuite alla competenza di altro giudice.

1. Il giudice di pace è competente per le cause relative a beni mobili di valore non superiore a euro 7.500, quando dalla legge non sono attribuite alla competenza di altro giudice.

2. Il giudice di pace è altresì competente per le cause di risarcimento del danno prodotto dalla circolazione di veicoli e di natanti, purché il valore della controversia non superi euro 15.493,71.

2. Il giudice di pace è altresì competente per le cause di risarcimento del danno prodotto dalla circolazione di veicoli e di natanti, purché il valore della controversia non superi euro 25.000.

3. È competente qualunque ne sia il valore:

3. Identico:

1) per le cause relative ad apposizione di termini ed osservanza delle distanze stabilite dalla legge, dai regolamenti o dagli usi riguardo al piantamento degli alberi e delle siepi;

1) identico;

2) per le cause relative alla misura ed alle modalità d'uso dei servizi di condominio di case;

2) identico;

3) per le cause relative a rapporti tra proprietari o detentori di immobili adibiti a civile abitazione in materia di immissioni di fumo o di calore, esalazioni, rumori, scuotimenti e simili propagazioni che superino la normale tollerabilità.

3) identico.

 

 

Art. 38

Art. 38

Incompetenza

Incompetenza

1. L'incompetenza per materia, quella per valore e quella per territorio nei casi previsti dall'articolo 28 sono rilevate, anche d'ufficio, non oltre la prima udienza di trattazione.

3. L'incompetenza per materia, quella per valore e quella per territorio nei casi previsti dall'articolo 28 sono rilevate d'ufficio non oltre l'udienza di cui all'articolo 183.

2. L'incompetenza per territorio, fuori dei casi previsti dall'articolo 28, è eccepita a pena di decadenza nella comparsa di risposta. L'eccezione si ha per non proposta se non contiene l'indicazione del giudice che la parte ritiene competente.

1. L'incompetenza per materia, quella per valore e quella per territorio sono eccepite, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta tempestivamente depositata. L'eccezione di incompetenza per territorio si ha per non proposta se non contiene l'indicazione del giudice che la parte ritiene competente.

3. Quando le parti costituite aderiscono a tale indicazione, la competenza del giudice rimane ferma se la causa è riassunta entro tre mesi dalla cancellazione del ruolo.

2. Fuori dei casi previsti dall'articolo 28, quando le parti costituite aderiscono all'indicazione del giudice competente per territorio, la competenza del giudice indicato rimane ferma se la causa è riassunta entro tre mesi dalla cancellazione della stessa dal ruolo.

4. Le questioni di cui ai commi precedenti sono decise, ai soli fini della competenza, in base a quello che risulta dagli atti e, quando sia reso necessario dall'eccezione del convenuto o dal rilievo del giudice, assunte sommarie informazioni.

4. Identico.

 

 

Art. 39

Articolo 39

Litispendenza e continenza di cause

Litispendenza e continenza di cause

1. Se una stessa causa è proposta davanti a giudici diversi, quello successivamente adito, in qualunque stato e grado del processo, anche d'ufficio, dichiara con sentenza la litispendenza e dispone con ordinanza la cancellazione della causa dal ruolo.

1. Se una stessa causa è proposta davanti a giudici diversi, quello successivamente adito, in qualunque stato e grado del processo, anche d'ufficio, dichiara con ordinanza la litispendenza e dispone la cancellazione della causa dal ruolo.

2. Nel caso di continenza di cause, se il giudice preventivamente adito è competente anche per la causa proposta successivamente, il giudice di questa dichiara con sentenza la continenza e fissa un termine perentorio entro il quale le parti debbono riassumere la causa davanti al primo giudice. Se questi non è competente anche per la causa successivamente proposta, la dichiarazione della continenza e la fissazione del termine sono da lui pronunciate.

2. Nel caso di continenza di cause, se il giudice preventivamente adito è competente anche per la causa proposta successivamente, il giudice di questa dichiara con ordinanza la continenza e fissa un termine perentorio entro il quale le parti debbono riassumere la causa davanti al primo giudice. Se questi non è competente anche per la causa successi­vamente proposta, la dichiarazione della continenza e la fissazione del termine sono da lui pronunciate.

3. La prevenzione è determinata dalla notificazione della citazione.

3. Identico.

 

 

Art. 40

Art. 40

Connessione

Connessione

1. Se sono proposte davanti a giudici diversi più cause le quali, per ragione di connessione, possono essere decise in un solo processo, il giudice fissa con sentenza alle parti un termine perentorio per la riassunzione della causa accessoria, davanti al giudice della causa principale, e negli altri casi davanti a quello preventivamente adito.

1. Se sono proposte davanti a giudici diversi più cause le quali, per ragione di connessione, possono essere decise in un solo processo, il giudice fissa con ordinanza alle parti un termine perentorio per la riassunzione della causa accessoria, davanti al giudice della causa principale, e negli altri casi davanti a quello preventivamente adito.

2. La connessione non può essere eccepita dalle parti né rilevata d'ufficio dopo la prima udienza e la rimessione non può essere ordinata quando lo stato della causa principale o preventivamente proposta non consente l'esauriente trattazione e decisione delle cause connesse.

2. Identico.

3. Nei casi previsti negli articoli 31, 32, 34, 35 e 36, le cause, cumulativamente proposte o successivamente riunite, debbono essere trattate e decise col rito ordinario, salva l'applicazione del solo rito speciale quando una di tali cause rientri fra quelle indicate negli articoli 409 e 442.

3. Identico.

4. Qualora le cause connesse siano assoggettate a differenti riti speciali debbono essere trattate e decise col rito previsto per quella tra esse in ragione della quale viene determinata la competenza o, in subordine, col rito previsto per la causa di maggior valore.

4. Identico.

5. Se la causa è stata trattata con un rito diverso da quello divenuto applicabile ai sensi del terzo comma, il giudice provvede a norma degli articoli 426, 427 e 439.

5. Identico.

6. Se una causa di competenza del giudice di pace sia connessa per i motivi di cui agli articoli 31, 32, 34, 35 e 36 con altra causa di competenza del tribunale, le relative domande possono essere proposte innanzi al tribunale affinché siano decise nello stesso processo.

6. Identico.

7. Se le cause connesse ai sensi del sesto comma sono proposte davanti al giudice di pace e al tribunale, il giudice di pace deve pronunziare anche d'ufficio la connessione a favore del tribunale.

7. Identico.

 

 

Art. 44

Art. 44

Efficacia della sentenza che pronuncia sulla competenza

Efficacia dell’ordinanza che pronuncia sulla competenza

1. La sentenza che, anche a norma degli articoli 39 e 40, dichiara l'incompetenza del giudice che l'ha pronunciata, se non è impugnata con la istanza di regolamento, rende incontestabile l'incompetenza dichiarata e la competenza del giudice in essa indicato se la causa è riassunta nei termini di cui all'art. 50, salvo che si tratti di incompetenza per materia o di incompetenza per territorio nei casi previsti nell'articolo 28.

1. L'ordinanza che, anche a norma degli articoli 39 e 40, pronuncia sulla competenza del giudice adito, se non è reclamata entro il termine di trenta giorni dalla comunicazione, rende incontestabili la decisione sulla competenza e la competenza del giudice in essa indicato, in ogni processo avente ad oggetto la medesima domanda.

 

Il reclamo contro l'ordinanza del giudice di pace si propone dinanzi al tribunale in composizione monocratica nella cui circoscrizione ha sede il giudice che ha pronunciato l'ordinanza.

 

Quando il tribunale pronuncia in composizione monocratica, il reclamo si propone al collegio, del quale non può far parte il giudice che ha emanato il provvedimento reclamato.

 

Il reclamo contro l'ordinanza del tribunale e quello contro l'ordinanza della corte d'appello, quando pronuncia in unico grado, si propongono dinanzi al collegio diversamente composto.

 

Il giudice pronuncia sul reclamo in camera di consiglio con ordinanza non impugnabile.

 

In pendenza del reclamo il processo è sospeso, ma il giudice può autorizzare il compimento degli atti che ritiene urgenti.

 

 

Art. 45

Art. 45.

Conflitto di competenza

Conflitto di competenza

Quando, in seguito alla sentenza che dichiara la incompetenza del giudice adito per ragione di materia o per territorio nei casi di cui all'articolo 28, la causa nei termini di cui all'articolo 50 è riassunta davanti ad altro giudice, questi, se ritiene di essere a sua volta incompetente, richiede d'ufficio il regolamento di competenza.

Quando, in seguito all’ordinanza che dichiara la incompetenza del giudice adito per ragione di materia o per territorio nei casi di cui all'articolo 28, la causa nei termini di cui all'articolo 50 è riassunta davanti ad altro giudice, questi, se ritiene di essere a sua volta incompetente, richiede d'ufficio il regolamento di competenza.

 

 

Art. 47

Art. 47

Procedimento del regolamento di competenza

Procedimento del regolamento d’ufficio

1. L'istanza di regolamento di competenza si propone alla Corte di cassazione con ricorso sottoscritto dal procuratore o dalla parte, se questa si è costituita personalmente.

Abrogato

 

2. Il ricorso deve essere notificato alle parti che non vi hanno aderito entro il termine perentorio di trenta giorni dalla comunicazione della sentenza che abbia pronunciato sulla competenza o dalla notificazione dell'impugnazione ordinaria nel caso previsto nell'articolo 43 secondo comma. L'adesione delle parti può risultare anche dalla sottoscrizione del ricorso.

Abrogato

 

3. La parte che propone l'istanza, nei cinque giorni successivi all'ultima notificazione del ricorso alle parti, deve chiedere ai cancellieri degli uffici davanti ai quali pendono i processi che i relativi fascicoli siano rimessi alla cancelleria della Corte di cassazione. Nel termine perentorio di venti giorni dalla stessa notificazione deve depositare nella cancelleria il ricorso con i documenti necessari.

Abrogato

 

4. Il regolamento d'ufficio è richiesto con ordinanza dal giudice, il quale dispone la rimessione del fascicolo di ufficio alla cancelleria della Corte di cassazione.

1. Identico

5. Le parti alle quali è notificato il ricorso o comunicata l'ordinanza del giudice, possono, nei venti giorni successivi, depositare nella cancelleria della Corte di cassazione scritture difensive e documenti.

2. Le parti alle quali è comunicata l'ordinanza del giudice, possono, nei venti giorni successivi, depositare nella cancelleria della Corte di cassazione scritture difensive e documenti.

 

 

Art. 48

Art. 48

Sospensione dei processi

Sospensione dei processi

1. I processi relativamente ai quali è chiesto il regolamento di competenza sono sospesi dal giorno in cui è presentata l’istanza al cancelliere a norma dell’articolo precedente o dalla pronuncia dell’ordinanza che richiede il regolamento.

 

1. I processi relativamente ai quali è chiesto il regolamento di competenza sono sospesi dalla pronuncia dell’ordinanza che richiede il regolamento.

2. Il giudice può autorizzare il compimento degli atti che ritiene urgenti.

2. Identico.

 

 

Art. 49

Art. 49

Sentenza di regolamento di competenza

Ordinanza di regolamento di competenza

1. Il regolamento è pronunciato con sentenza in camera di consiglio entro i venti giorni successivi alla scadenza del termine previsto nell'articolo 47, ultimo comma.

1. Il regolamento è pronunciato con ordinanza in camera di consiglio entro i venti giorni successivi alla scadenza del termine previsto nell'articolo 47, ultimo comma.

2. Con la sentenza la Corte di cassazione statuisce sulla competenza, dà i provvedimenti necessari per la prosecuzione del processo davanti al giudice che dichiara competente e rimette, quando occorre, le parti in termini affinché provvedano alla loro difesa.

2. Con l’ordinanza la Corte di cassazione statuisce sulla competenza, dà i provvedimenti necessari per la prosecuzione del processo davanti al giudice che dichiara competente e rimette, quando occorre, le parti in termini affinché provvedano alla loro difesa.

 

 

Art. 50

Art. 50

Riassunzione della causa

Riassunzione della causa

1. Se la riassunzione della causa davanti al giudice dichiarato competente avviene nel termine fissato nella sentenza dal giudice e in mancanza in quello di sei mesi dalla comunicazione della sentenza di regolamento o della sentenza che dichiara l'incompetenza del giudice adito, il processo continua davanti al nuovo giudice.

1. Se la riassunzione della causa davanti al giudice dichiarato competente avviene nel termine fissato nell’ordinanza dal giudice e in mancanza in quello di tre mesi dalla comunicazione dell’ordinanza di regolamento o dell’ordinanza che dichiara l'incompetenza del giudice adito, il processo continua davanti al nuovo giudice

2. Se la riassunzione non avviene nei termini su indicati, il processo si estingue.

2. Identico

 

 

Art. 88

Art. 88

Dovere di lealtà e di probità.

Dovere di lealtà e di probità.

1. Le parti e i loro difensori hanno il dovere di comportarsi in giudizio con lealtà e probità

1. Identico

2. In caso di mancanza dei difensori a tale dovere, il giudice deve riferirne alle autorità che esercitano il potere disciplinare su di essi.

2. Identico

 

3. Le parti costituite devono chiarire le circostanze di fatto in modo leale e veritiero.

 

 

Art. 91.

Art. 91.

Condanna alle spese.

Condanna alle spese.

1. Il giudice, con la sentenza che chiude il processo davanti a lui, condanna la parte soccombente al rimborso delle spese a favore dell'altra parte e ne liquida l'ammontare insieme con gli onorari di difesa. Eguale provvedimento emette nella sua sentenza il giudice che regola la competenza.

1. Il giudice, con il provvedimento che chiude il processo davanti a lui, condanna la parte soccombente al rimborso delle spese a favore dell'altra parte e ne liquida l'ammontare insieme con gli onorari di difesa. Se accoglie la domanda in misura non superiore all'eventuale proposta conciliativa, condanna la parte che ha rifiutato senza giustificato motivo la proposta al pagamento delle spese del processo, salvo quanto disposto dal secondo comma dell'articolo 92.

2. Le spese della sentenza sono liquidate dal cancelliere con nota in margine alla stessa; quelle della notificazione della sentenza del titolo esecutivo e del precetto sono liquidate dall'ufficiale giudiziario con nota in margine all'originale e alla copia notificata.

2. Identico.

3. I reclami contro le liquidazioni di cui al comma precedente sono decisi con le forme previste negli articoli 287 e 288 dal capo dell'ufficio a cui appartiene il cancelliere o l'ufficiale giudiziario.

3. Identico.

 

 

Art. 96

Art. 96

Responsabilità aggravata

Responsabilità aggravata

1. Se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave il giudice, su istanza dell'altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche d'ufficio, nella sentenza.

1. Identico.

2. Il giudice che accerta l'inesistenza del diritto per cui è stato eseguito un provvedimento cautelare, o trascritta domanda giudiziale, o iscritta ipoteca giudiziale, oppure iniziata o compiuta l'esecuzione forzata, su istanza della parte danneggiata condanna al risarcimento dei danni l'attore o il creditore procedente, che ha agito senza la normale prudenza. La liquidazione dei danni è fatta a norma del comma precedente.

2. Identico.

 

3. In ogni caso, il giudice, anche d'ufficio, condanna la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma non inferiore alla metà e non superiore al doppio dei massimi tariffari.

 

 

Art. 115.

Art. 115.

Disponibilità delle prove.

Disponibilità delle prove.

1. Salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero.

1. Salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero, nonché i fatti contestati in modo generico.

2. Può tuttavia, senza bisogno di prova, porre a fondamento della decisione le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza.

2. Identico.

 

 

Art. 132.

Art. 132.

Contenuto della sentenza.

Contenuto della sentenza.

1. La sentenza è pronunciata in nome del popolo italiano e reca l'intestazione: Repubblica Italiana.

1. Identico.

2. Essa deve contenere:

2. Identico:

1) l'indicazione del giudice che l'ha pronunciata;

1) identico;

2) l'indicazione delle parti e dei loro difensori;

2) identico;

3) le conclusioni del pubblico ministero e quelle delle parti;

3) identico;

4) la concisa esposizione dello svolgimento del processo e dei motivi in fatto e in diritto della decisione;

4) la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione;

5) il dispositivo, la data della deliberazione e la sottoscrizione del giudice.

5) identico.

3. La sentenza emessa dal giudice collegiale è sottoscritta soltanto dal presidente e dal giudice estensore. Se il presidente non può sottoscrivere per morte o per altro impedimento, la sentenza viene sottoscritta dal componente più anziano del collegio, purché prima della sottoscrizione sia menzionato l'impedimento; se l'esten­sore non può sottoscrivere la sentenza per morte o altro impedimento è sufficiente la sottoscrizione del solo presidente, purché prima della sottoscrizione sia menzionato l'impedimento.

3. Identico

 

 

Art. 153.

Art. 153.

Improrogabilità dei termini perentori.

Improrogabilità dei termini perentori.

I termini perentori non possono essere abbreviati o prorogati, nemmeno sull'accordo delle parti.

Identico

 

La parte che dimostra di essere incorsa in decadenze per causa ad essa non imputabile può chiedere al giudice di essere rimessa in termini. Il giudice provvede a norma dell'articolo 294, secondo e terzo comma.

 


 

Articolo 53
(Modifiche al libro secondo del codice di procedura civile)

 


1. Al secondo comma dell'articolo 170 del codice di procedura civile è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Questa disposizione si applica anche agli atti di impugnazione».

2. Il secondo comma dell'articolo 182 del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:

«Quando rileva un difetto di rappresentanza, di assistenza o di autorizzazione ovvero un vizio che determina la nullità della procura al difensore, il giudice assegna alle parti un termine perentorio per la costituzione della persona alla quale spetta la rappresentanza o l'assistenza, per il rilascio delle necessarie autorizzazioni, ovvero per il rilascio della procura alle liti o per la rinnovazione della stessa. L'osservanza del termine sana i vizi, e gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono sin dal momento della prima notificazione».

3. Al sesto comma, alinea, dell'articolo 183 del codice di procedura civile, le parole: «il giudice concede» sono sostituite dalle seguenti: «il giudice, ove sussistano giusti motivi, può concedere».

4. Il terzo comma dell'articolo 187 del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:

«Il giudice provvede analogamente se sorgono questioni attinenti alla giurisdi­zione o ad altre pregiudiziali, ma può anche disporre che siano decise unitamente al merito. Le questioni attinenti alla competenza sono decise immediatamente con ordinanza, ai sensi dell'articolo 279, primo comma».

5. Il primo comma dell'articolo 191 del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:

«Nei casi previsti dagli articoli 61 e seguenti il giudice istruttore, con ordinanza ai sensi dell'articolo 183, settimo comma, o con altra successiva ordinanza, nomina un consulente, formula i quesiti e fissa l'udienza nella quale il consulente deve comparire».

6. Il terzo comma dell'articolo 195 del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:

«Il giudice fissa il termine entro il quale il consulente deve depositare in cancelleria la relazione e il termine, comunque anteriore alla successiva udienza, entro il quale le parti possono depositare memorie contenenti osservazioni alla relazione del consulente».

7. Al libro secondo, titolo I, capo II, sezione II, paragrafo 8, del codice di procedura civile, dopo l'articolo 257 è aggiunto il seguente:

«Art. 257-bis - (Testimonianza scritta). - Il giudice, sentite le parti e tenuto conto di ogni circostanza, può disporre, nelle cause aventi ad oggetto diritti disponibili, di assumere la deposizione chiedendo al testimone, anche nelle ipotesi di cui all'articolo 203, di fornire, per iscritto e nel termine fissato, le risposte ai quesiti sui quali deve essere interrogato.

Il giudice, con il provvedimento di cui al primo comma, dispone che la parte che ha richiesto l'assunzione della prova predisponga il modello di testimonianza in conformità agli articoli ammessi e lo faccia notificare al testimone.

Il testimone rende la deposizione compilando il modello di testimonianza in ogni sua parte, con risposta separata a ciascuno dei quesiti, e precisa quali sono quelli cui non è in grado di rispondere, indicandone la ragione.

Il testimone sottoscrive la deposizione apponendo la propria firma autenticata su ciascuna delle facciate del foglio di testimonianza, che spedisce in busta chiusa con plico raccomandato o consegna alla cancelleria del giudice.

Quando il testimone si avvale della facoltà di astensione di cui all'articolo 249, ha l'obbligo di compilare il modello di testimonianza, indicando le complete generalità e i motivi di astensione.

Quando il testimone non spedisce o non consegna le risposte scritte nel termine stabilito, il giudice può condannarlo alla pena pecuniaria di cui all'articolo 255, primo comma.

Il giudice, esaminate le risposte, può sempre disporre che il testimone sia chiamato a deporre davanti a lui o davanti al giudice delegato».

8. All'articolo 279 del codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:

a) il primo comma è sostituito dal seguente:

«Il collegio pronuncia ordinanza quando provvede soltanto su questioni relative all'istruzione della causa, senza definire il giudizio, nonché quando decide questioni di competenza. In tal caso, se non definisce il giudizio, impartisce con la stessa ordinanza i provvedimenti per l'ulteriore istruzione della causa»;

b) al secondo comma, numero 1), le parole: «o di competenza» sono soppresse.

9. All'articolo 295 del codice di procedura civile è aggiunto, in fine, il seguente comma:

«L'ordinanza di sospensione è reclamabile nei termini e nei modi di cui all'articolo 44».

10. All'articolo 296 del codice di procedura civile sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, fissando l'udienza per la prosecuzione del processo medesimo».

11. All'articolo 297, primo comma, del codice di procedura civile, le parole: «sei mesi» sono sostituite dalle seguenti: «tre mesi».

12. All'articolo 305 del codice di procedura civile le parole: «sei mesi» sono sostituite dalle seguenti: «tre mesi».

13. All'articolo 307 del codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al primo comma, le parole: «un anno» sono sostituite dalle seguenti: «tre mesi»;

b) al terzo comma, la parola: «sei» è sostituita dalla seguente: «tre»;

c) il quarto comma è sostituito dal seguente:

«L'estinzione opera di diritto ed è dichiarata, anche d'ufficio, con ordinanza del giudice istruttore ovvero con sentenza del collegio».

14. All'articolo 310, secondo comma, del codice di procedura civile, le parole: «e quelle che regolano la competenza» sono sostituite dalle seguenti: «e le ordinanze che pronunciano sulla competenza».

15. All'articolo 323 del codice di procedura civile, le parole: «, oltre al regolamento di competenza nei casi previsti dalla legge,» sono soppresse.

16. All'articolo 324 del codice di procedura civile, le parole: «né al regolamento di competenza,» sono soppresse.

17. All'articolo 327, primo comma, del codice di procedura civile, le parole: «decorso un anno» sono sostituite dalle seguenti: «decorsi otto mesi».

18. All'articolo 345, terzo comma, del codice di procedura civile, dopo le parole: «nuovi mezzi di prova» sono inserite le seguenti: «e non possono essere prodotti nuovi documenti».

19. All'articolo 353 del codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:

a) la rubrica è sostituita dalla seguente: «Rimessione al primo giudice per ragioni di giurisdizione»;

b) al secondo comma, le parole: «sei mesi» sono sostituite dalle seguenti: «tre mesi».

20. Il numero 2) del primo comma dell'articolo 360 del codice di procedura civile è abrogato.

21. All'articolo 382 del codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:

a) nella rubrica, le parole: «e di competenza» sono soppresse;

b) il secondo comma è abrogato.

22. Al secondo comma dell'articolo 385 del codice di procedura civile, le parole: «o per violazione delle norme sulla competenza» sono soppresse.

23. Al primo comma dell'articolo 392 del codice di procedura civile, le parole: «un anno» sono sostituite dalle seguenti: «tre mesi».


L’articolo in esame introduce una serie di modifiche al libro secondo del codice di procedura civile, relativo al processo di cognizione.

In particolare, sono novellate disposizioni in materia di:

§      notificazioni degli atti di impugnazione al procuratore costituito per più parti, per le quali sarà sufficiente la consegna di una sola copia dell’atto;

§      difetto di rappresentanza, assistenza o autorizzazione, con la previsione di un termine perentorioper sanare un eventuale vizio che determina la nullità della procura al difensore;

§      prima udienza di trattazione, nella quale la rimessione in termini può avvenire soloper giusti motivi;

§      immediata decisione,da assumere con ordinanza, delle questioni sulla competenza del giudice;

§      nomina del consulente tecnico, con contestuale indicazione dei quesiti formulati dal giudice istruttore; si prevede inoltre un termine entro il quale le parti possono depositare memorie recanti osservazioni alla relazione peritale;

§      reclamo avverso l’ordinanza con la quale il giudice sospende il processo;

§      riduzione dei termini per la prosecuzione o riassunzione della causa dopo la sospensione, l‘interruzione o la cancellazione dal ruolo;

§      assunzione di testimonianza scritta sulla base di un modello predisposto dalla parte interessata;

§      coordinamento della disciplina delle impugnazioni (sia in appello che per cassazione) con quella di nuova introduzione in materia di competenza.

 

Le novelle al codice di procedura civile sono visibili nel seguente testo a fronte, cui si fa rinvio.

 

 

Codice di Procedura Civile

AC 1441 (Governo)

 

 

Art. 170

Art. 170

Notificazioni e comunicazioni nel corso del procedimento

Notificazioni e comunicazioni nel corso del procedimento

1. Dopo la costituzione in giudizio tutte le notificazioni e le comunicazioni si fanno al procuratore costituito, salvo che la legge disponga altrimenti.

1. Identico.

2. E' sufficiente la consegna di una sola copia dell'atto anche se il procuratore è costituito per più parti.

2. E' sufficiente la consegna di una sola copia dell'atto anche se il procuratore è costituito per più parti. Questa disposizione si applica anche agli atti di impugnazione.

3. Le notificazioni e le comunicazioni alla parte che si è costituita personalmente si fanno nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto.

3. Identico.

4. Le comparse e le memorie consentite dal giudice si comunicano mediante deposito in cancelleria oppure mediante notificazione o mediante scambio documentato con l'apposizione sull'originale, in calce o in margine, del visto della parte o del procuratore. Il giudice può autorizzare per singoli atti, in qualunque stato e grado del giudizio, che lo scambio o la comunicazione di cui al presente comma possano avvenire anche a mezzo telefax o posta elettronica nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici e teletrasmessi. La parte che vi procede in relazione ad un atto di impugnazione deve darne comunicazione alla cancelleria del giudice che ha emesso la sentenza impugnata. A tal fine il difensore indica nel primo scritto difensivo utile il numero di telefax o l'indirizzo di posta elettronica presso cui dichiara di voler ricevere le comunicazioni.

4. Identico.

Art. 182

Art. 182

Difetto di rappresentanza o di autorizzazione

Difetto di rappresentanza o di autorizzazione

1. Il giudice istruttore verifica d'ufficio la regolarità della costituzione delle parti e, quando occorre, le invita a completare o a mettere in regola gli atti e i documenti che riconosce difettosi.

1. Identico.

2. Quando rileva un difetto di rappresentanza, di assistenza o di autorizzazione, il giudice può assegnare alle parti un termine per la costituzione della persona alla quale spetta la rappresentanza o l'assistenza, o per il rilascio delle necessarie autorizzazioni, salvo che si sia avverata una decadenza.

2. Quando rileva un difetto di rappresentanza, di assistenza o di autorizzazione ovvero un vizio che determina la nullità della procura al difensore, il giudice assegna alle parti un termine perentorio per la costituzione della persona alla quale spetta la rappresentanza o l'assistenza, per il rilascio delle necessarie autorizzazioni, ovvero per il rilascio della procura alle liti o per la rinnovazione della stessa. L'osservanza del termine sana i vizi, e gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono sin dal momento della prima notificazione.

Art. 183

Art. 183

Prima comparizione delle parti e trattazione della causa

Prima comparizione delle parti e trattazione della causa

1. All'udienza fissata per la prima comparizione delle parti e la trattazione il giudice istruttore verifica d'ufficio la regolarità del contraddittorio e, quando occorre, pronuncia i provvedimenti previsti dall'articolo 102, secondo comma, dall'articolo 164, secondo, terzo e quinto comma, dall'articolo 167, secondo e terzo comma, dall'articolo 182 e dall'articolo 291, primo comma.

1. Identico.

2. Quando pronunzia i provvedimenti di cui al primo comma, il giudice fissa una nuova udienza di trattazione.

2. Identico.

3. Il giudice istruttore fissa altresì una nuova udienza se deve procedere a norma dell'articolo 185.

3. Identico.

4. Nell'udienza di trattazione ovvero in quella eventualmente fissata ai sensi del terzo comma, il giudice richiede alle parti, sulla base dei fatti allegati, i chiarimenti necessari e indica le questioni rilevabili d'ufficio delle quali ritiene opportuna la trattazione.

4. Identico.

5. Nella stessa udienza l'attore può proporre le domande e le eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto. Può altresì chiedere di essere autorizzato a chiamare un terzo ai sensi degli articoli 106 e 269, terzo comma, se l'esigenza è sorta dalle difese del convenuto. Le parti possono precisare e modificare le domande, le eccezioni e le conclusioni già formulate.

5. Identico.

6. Se richiesto, il giudice concede alle parti i seguenti termini perentori:

6. Se richiesto, il giudice, ove sussistano giusti motivi, può concedere alle parti i seguenti termini perentori:

1) un termine di ulteriori trenta giorni per il deposito di memorie limitate alle sole precisazioni o modificazioni delle domande, delle eccezioni e delle conclusioni già proposte;

1) identico;

2) un termine di ulteriori trenta giorni per replicare alle domande ed eccezioni nuove, o modificate dall'altra parte, per proporre le eccezioni che sono conseguenza delle domande e delle eccezioni medesime e per l'indicazione dei mezzi di prova e produzioni documentali;

2) identico;

3) un termine di ulteriori venti giorni per le sole indicazioni di prova contraria.

3) identico.

7. Salva l'applicazione dell'articolo 187, il giudice provvede sulle richieste istruttorie fissando l'udienza di cui all'articolo 184 per l'assunzione dei mezzi di prova ritenuti ammissibili e rilevanti. Se provvede mediante ordinanza emanata fuori udienza, questa deve essere pronunciata entro trenta giorni.

7. Identico.

8. Nel caso in cui vengano disposti d'ufficio mezzi di prova con l'ordinanza di cui al settimo comma, ciascuna parte può dedurre, entro un termine perentorio assegnato dal giudice con la medesima ordinanza, i mezzi di prova che si rendono necessari in relazione ai primi nonché depositare memoria di replica nell'ulteriore termine perentorio parimenti assegnato dal giudice, che si riserva di provvedere ai sensi del settimo comma.

8. Identico.

9. Con l'ordinanza che ammette le prove il giudice può in ogni caso disporre, qualora lo ritenga utile, il libero interrogatorio delle parti; all'interrogatorio disposto dal giudice istruttore si applicano le disposizioni di cui al terzo comma.

9. Identico.

10. L'ordinanza di cui al settimo comma è comunicata a cura del cancelliere entro i tre giorni successivi al deposito, anche a mezzo telefax, nella sola ipotesi in cui il numero sia stato indicato negli atti difensivi, nonché a mezzo di posta elettronica, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione e la trasmissione dei documenti informatici e teletrasmessi. A tal fine il difensore indica nel primo scritto difensivo utile il numero di fax o l'indirizzo di posta elettronica presso cui dichiara di voler ricevere gli atti.

10. Identico.

 

 

Art. 187

Art. 187

Provvedimenti del giudice istruttore

Provvedimenti del giudice istruttore

1. Il giudice istruttore, se ritiene che la causa sia matura per la decisione di merito senza bisogno di assunzione di mezzi di prova, rimette le parti davanti al collegio.

1. Identico.

2. Può rimettere le parti al collegio affinché sia decisa separatamente una questione di merito avente carattere preliminare, solo quando la decisione di essa può definire il giudizio.

2. Identico.

3. Il giudice provvede analogamente se sorgono questioni attinenti alla giurisdizione o alla competenza o ad altre pregiudiziali, ma può anche disporre che siano decise unitamente al merito.

Il giudice provvede analogamente se sorgono questioni attinenti alla giurisdizione o ad altre pregiudiziali, ma può anche disporre che siano decise unitamente al merito. Le questioni attinenti alla competenza sono decise immediatamente con ordinanza, ai sensi dell'articolo 279, primo comma.

4. Qualora il collegio provveda a norma dell'art. 279, secondo comma, n. 4), i termini di cui all'art. 183, ottavo comma, non concessi prima della rimessione al collegio sono assegnati dal giudice istruttore, su istanza di parte, nella prima udienza dinnanzi a lui.

4. Identico.

5. Il giudice dà ogni altra disposizione relativa al processo.

5. Identico.

 

 

Art. 191

Art. 191

Nomina di consulente tecnico

Nomina di consulente tecnico

1. Nei casi di cui agli articoli 61 e seguenti il giudice istruttore, con l'ordinanza prevista nell'articolo 187 ultimo comma o con altra successiva, nomina un consulente tecnico e fissa l'udienza nella quale questi deve comparire.

1. Nei casi previsti dagli articoli 61 e seguenti il giudice istruttore, con ordinanza ai sensi dell'articolo 183, settimo comma, o con altra successiva ordinanza, nomina un consulente, formula i quesiti e fissa l'udienza nella quale il consulente deve comparire.

2. Possono essere nominati più consulenti soltanto in caso di grave necessità o quando la legge espressamente lo dispone.

2. Identico.

 

 

Art. 195

Art. 195

Processo verbale e relazione

Processo verbale e relazione

1. Delle indagini del consulente si forma processo verbale, quando sono compiute con l'intervento del giudice istruttore, ma questi può anche disporre che il consulente rediga relazione scritta.

1. Identico.

2. Se le indagini sono compiute senza l'intervento del giudice, il consulente deve farne relazione, nella quale inserisce anche le osservazioni e le istanze delle parti.

2. Identico.

3. La relazione deve essere depositata in cancelleria nel termine che il giudice fissa.

Il giudice fissa il termine entro il quale il consulente deve depositare in cancelleria la relazione e il termine, comunque anteriore alla successiva udienza, entro il quale le parti possono depositare memorie contenenti osservazioni alla relazione del consulente.

 

 

 

Art. 257-bis

 

Testimonianza scritta

 

1. Il giudice, sentite le parti e tenuto conto di ogni circostanza, può disporre, nelle cause aventi ad oggetto diritti disponibili, di assumere la deposizione chiedendo al testimone, anche nelle ipotesi di cui all'articolo 203, di fornire, per iscritto e nel termine fissato, le risposte ai quesiti sui quali deve essere interrogato.

2. Il giudice, con il provvedimento di cui al primo comma, dispone che la parte che ha richiesto l'assunzione della prova predisponga il modello di testimonianza in conformità agli articoli ammessi e lo faccia notificare al testimone.

3. Il testimone rende la deposizione compilando il modello di testimonianza in ogni sua parte, con risposta separata a ciascuno dei quesiti, e precisa quali sono quelli cui non è in grado di rispondere, indicandone la ragione.

4. Il testimone sottoscrive la deposizione apponendo la propria firma autenticata su ciascuna delle facciate del foglio di testimonianza, che spedisce in busta chiusa con plico raccomandato o consegna alla cancelleria del giudice.

5. Quando il testimone si avvale della facoltà di astensione di cui all'articolo 249, ha l'obbligo di compilare il modello di testimonianza, indicando le complete generalità e i motivi di astensione.

 

6. Quando il testimone non spedisce o non consegna le risposte scritte nel termine stabilito, il giudice può condannarlo alla pena pecuniaria di cui all'articolo 255, primo comma.

7. Il giudice, esaminate le risposte, può sempre disporre che il testimone sia chiamato a deporre davanti a lui o davanti al giudice delegato.

 

 

Art. 279

Art. 279

Forma dei provvedimenti del collegio

Forma dei provvedimenti del collegio

1. Il collegio quando provvede soltanto su questioni relative all'istruzione della causa, senza definire il giudizio, pronuncia ordinanza.

1. Il collegio pronuncia ordinanza quando provvede soltanto su questioni relative all'istruzione della causa, senza definire il giudizio, nonché quando decide questioni di competenza. In tal caso, se non definisce il giudizio, impartisce con la stessa ordinanza i provvedimenti per l'ulteriore istruzione della causa.

2. Il collegio pronuncia sentenza:

2. Identico.

1) quando definisce il giudizio, deciden­do questioni di giurisdizione o di competenza;

1) quando definisce il giudizio, decidendo questioni di giurisdizione;

2) quando definisce il giudizio deci­dendo questioni pregiudiziali attinenti al processo o questioni preliminari di merito;

2) identico;

3) quando definisce il giudizio, deciden­do totalmente il merito;

3) identico;

4) quando, decidendo alcune delle questioni di cui ai numeri 1, 2 e 3, non definisce il giudizio e impartisce distinti provvedimenti per l'ulteriore istruzione della causa;

4) identico;

5) quando, valendosi della facoltà di cui agli articoli 103, secondo comma, e 104, secondo comma, decide solo alcune delle cause fino a quel momento riunite, e con distinti provvedimenti dispone la separazione delle altre cause e l'ulteriore istruzione riguardo alle medesime, ovvero la rimessione al giudice inferiore delle cause di sua competenza.

5) identico.

3. I provvedimenti per l'ulteriore istruzione, previsti dai numeri 4 e 5 sono dati con separata ordinanza.

3. Identico.

4. I provvedimenti del collegio, che hanno forma di ordinanza, comunque motivati, non possono mai pregiudicare la decisione della causa; salvo che la legge disponga altrimenti, essi sono modificabili e revocabili dallo stesso collegio, e non sono soggetti ai mezzi di impugnazione previsti per le sentenze. Le ordinanze del collegio sono sempre immediatamente esecutive. Tuttavia, quando sia stato proposto appello immediato contro una delle sentenze previste dal n. 4 del secondo comma, il giudice istruttore, su istanza concorde delle parti, qualora ritenga che i provvedimenti dell'ordinanza collegiale, siano dipendenti da quelli contenuti nella sentenza impugnata, può disporre con ordinanza non impugnabile che l'esecuzione o la prosecuzione dell'ulteriore istruttoria sia sospesa sino alla definizione del giudizio di appello.

4. Identico.

5. L'ordinanza è depositata in cancelleria insieme con la sentenza.

5. Identico.

 

 

Art. 295

Art. 295

Sospensione necessaria

Sospensione necessaria

1. Il giudice dispone che il processo sia sospeso in ogni caso in cui egli stesso o altro giudice deve risolvere una controversia, dalla cui definizione dipende la decisione della causa.

1. Identico.

 

2. L'ordinanza di sospensione è reclamabile nei termini e nei modi di cui all'articolo 44.

 

 

Art. 296

Art. 296

Sospensione su istanza delle parti

Sospensione su istanza delle parti

1. Il giudice istruttore su istanza di tutte le parti, può disporre che il processo rimanga sospeso per un periodo non superiore a quattro mesi.

1. Il giudice istruttore su istanza di tutte le parti, può disporre che il processo rimanga sospeso per un periodo non superiore a quattro mesi, fissando l'udienza per la prosecuzione del processo medesimo.

 

 

Art. 297

Art. 297

Fissazione della nuova udienza dopo la sospensione

Fissazione della nuova udienza dopo la sospensione

1. Se col provvedimento di sospensione non è stata fissata l'udienza in cui il processo deve proseguire, le parti debbono chiederne la fissazione entro il termine perentorio di sei mesi dalla cessazione della causa di sospensione di cui all'art. 3 del Codice di procedura penale o dal passaggio in giudicato della sentenza che definisce la controversia civile o amministrativa di cui all'articolo 295.

1. Se col provvedimento di sospensione non è stata fissata l'udienza in cui il processo deve proseguire, le parti debbono chiederne la fissazione entro il termine perentorio di tre mesi dalla cessazione della causa di sospensione di cui all'art. 3 del Codice di procedura penale o dal passaggio in giudicato della sentenza che definisce la controversia civile o amministrativa di cui all'articolo 295.

2. Nell'ipotesi dell'articolo precedente l'istanza deve essere proposta dieci giorni prima della scadenza del termine di sospensione.

2. Identico.

3. L'istanza si propone con ricorso al giudice istruttore o, in mancanza, al presidente del tribunale.

2. Identico.

4. Il ricorso, col decreto che fissa l'udienza, è notificato, a cura dell'istante alle altre parti nel termine stabilito dal giudice.

2. Identico.

 

 

Art. 305

Art. 305

Mancata prosecuzione o riassunzione

Mancata prosecuzione o riassunzione

1. Il processo deve essere proseguito o riassunto entro il termine perentorio di sei mesi dall'interruzione, altrimenti si estingue.

1. Il processo deve essere proseguito o riassunto entro il termine perentorio di tre mesi dall'interruzione, altrimenti si estingue.

 

 

Art. 307

Art. 307

Estinzione del processo per inattività delle parti

Estinzione del processo per inattività delle parti

1. Se dopo la notificazione della citazione nessuna delle parti siasi costituita entro il termine stabilito dall'articolo 166, ovvero, se, dopo la costituzione delle stesse, il giudice, nei casi previsti dalla legge, abbia ordinata la cancellazione della causa dal ruolo, il processo, salvo il disposto del secondo comma dell'articolo 181 e dell'articolo 290, deve essere riassunto davanti allo stesso giudice nel termine perentorio di un anno, che decorre rispettivamente dalla scadenza del termine per la costituzione del convenuto a norma dell'articolo 166, o dalla data del provvedimento di cancellazione; altrimenti il processo si estingue.

1. Se dopo la notificazione della citazione nessuna delle parti siasi costituita entro il termine stabilito dall'articolo 166, ovvero, se, dopo la costituzione delle stesse, il giudice, nei casi previsti dalla legge, abbia ordinata la cancellazione della causa dal ruolo, il processo, salvo il disposto del secondo comma dell'articolo 181 e dell'articolo 290, deve essere riassunto davanti allo stesso giudice nel termine perentorio di tre mesi, che decorre rispettivamente dalla scadenza del termine per la costituzione del convenuto a norma dell'articolo 166, o dalla data del provvedimento di cancellazione; altrimenti il processo si estingue.

2. Il processo, una volta riassunto a norma del precedente comma, si estingue se nessuna delle parti siasi costituita, ovvero se nei casi previsti dalla legge il giudice ordini la cancellazione della causa dal ruolo.

2. Identico.

3. Oltre che nei casi previsti dai commi precedenti, e salvo diverse disposizioni di legge, il processo si estingue altresì qualora le parti alle quali spetta di rinnovare la citazione, o di proseguire, riassumere o integrare il giudizio, non vi abbiano provveduto entro il termine perentorio stabilito dalla legge, o dal giudice che dalla legge sia autorizzato a fissarlo. Quando la legge autorizza il giudice a fissare il termine, questo non può essere inferiore ad un mese né superiore a sei.

3. Oltre che nei casi previsti dai commi precedenti, e salvo diverse disposizioni di legge, il processo si estingue altresì qualora le parti alle quali spetta di rinnovare la citazione, o di proseguire, riassumere o integrare il giudizio, non vi abbiano provveduto entro il termine perentorio stabilito dalla legge, o dal giudice che dalla legge sia autorizzato a fissarlo. Quando la legge autorizza il giudice a fissare il termine, questo non può essere inferiore ad un mese né superiore a tre.

4. L'estinzione opera di diritto, ma deve essere eccepita dalla parte interessata prima di ogni altra sua difesa. Essa è dichiarata con ordinanza del giudice istruttore, ovvero con sentenza del collegio, se dinanzi a questo venga eccepita.

4. L'estinzione opera di diritto ed è dichiarata, anche d'ufficio, con ordinanza del giudice istruttore ovvero con sentenza del collegio.

 

 

Art. 310

Art. 310

Effetti dell'estinzione del processo

Effetti dell'estinzione del processo

1. L'estinzione del processo non estingue l'azione.

1. Identico.

2. L'estinzione rende inefficaci gli atti compiuti, ma non le sentenze di merito pronunciate nel corso del processo e quelle che regolano la competenza.

2. L'estinzione rende inefficaci gli atti compiuti, ma non le sentenze di merito pronunciate nel corso del processo e le ordinanze che pronunciano sulla competenza.

3. Le prove raccolte sono valutate dal giudice a norma dell'articolo 116 secondo comma.

3. Identico

4. Le spese del processo estinto stanno a carico delle parti che le hanno anticipate.

4. Identico

 

 

Art. 323

Art. 323

Mezzi di impugnazione

Mezzi di impugnazione

1. I mezzi per impugnare le sentenze, oltre al regolamento di competenza, nei casi previsti dalla legge, sono: l'appello, il ricorso per cassazione, la revocazione e l'opposizione di terzo.

1. I mezzi per impugnare le sentenze sono: l'appello, il ricorso per cassazione, la revocazione e l'opposizione di terzo.

 

 

Art. 324

Art. 324

Cosa giudicata formale

Cosa giudicata formale

1. S'intende passata in giudicato la sentenza che non è più soggetta né al regolamento di competenza, né ad appello, né a ricorso per cassazione, né a revocazione per i motivi di cui ai numeri 4 e 5 dell'articolo 395.

1. S'intende passata in giudicato la sentenza che non è più soggetta né ad appello, né a ricorso per cassazione, né a revocazione per i motivi di cui ai numeri 4 e 5 dell'articolo 395.

Art. 327

Art. 327

Decadenza dall'impugnazione

Decadenza dall'impugnazione

1. Indipendentemente dalla notificazione, l'appello, il ricorso per Cassazione e la revocazione per i motivi indicati nei numeri 4 e 5 dell'articolo 395 non possono proporsi dopo decorso un anno dalla pubblicazione della sentenza.

1. Indipendentemente dalla notificazione, l'appello, il ricorso per Cassazione e la revocazione per i motivi indicati nei numeri 4 e 5 dell'articolo 395 non possono proporsi dopo decorsi otto mesi dalla pubblicazione della sentenza.

2. Questa disposizione non si applica quando la parte contumace dimostra di non aver avuto conoscenza del processo per nullità della citazione o della notificazione di essa, e per nullità della notificazione degli atti di cui all'art. 292.

2. Identico.

 

 

Art. 345

Art. 345

Domande ed eccezioni nuove

Domande ed eccezioni nuove

1. Nel giudizio d'appello non possono proporsi domande nuove e, se proposte, debbono essere dichiarate inammissibili d'ufficio. Possono tuttavia domandarsi gli interessi, i frutti e gli accessori maturati dopo la sentenza impugnata, nonché il risarcimento dei danni sofferti dopo la sentenza stessa.

1. Identico.

2. Non possono proporsi nuove eccezioni, che non siano rilevabili anche d'ufficio.

2. Identico.

3. Non sono ammessi nuovi mezzi di prova, salvo che il collegio non li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa ovvero che la parte dimostri di non aver potuto proporli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile. Può sempre deferirsi il giuramento decisorio.

3. Non sono ammessi nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che il collegio non li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa ovvero che la parte dimostri di non aver potuto proporli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile. Può sempre deferirsi il giuramento decisorio.

Art. 353

Art. 353

Rimessione al primo giudice per ragioni di giurisdizione o di competenza

Rimessione al primo giudice per ragionidi giurisdizione

1. Il giudice d'appello, se riforma la sentenza di primo grado dichiarando che il giudice ordinario ha sulla causa la giurisdizione negata dal primo giudice, pronuncia sentenza con la quale rimanda le parti davanti al primo giudice.

1. Identico.

2. Le parti debbono riassumere il processo nel termine perentorio di sei mesi dalla notificazione della sentenza.

2. Le parti debbono riassumere il processo nel termine perentorio di tre mesi dalla notificazione della sentenza.

3. Se contro la sentenza d'appello è proposto ricorso per cassazione, il termine è interrotto.

3. Identico.

 

 

Art. 360

Art. 360

Sentenze impugnabili e motivi di ricorso

Sentenze impugnabili e motivi di ricorso

1. Le sentenze pronunciate in grado d'appello o in unico grado possono essere impugnate con ricorso per cassazione:

1. Identico:

1) per motivi attinenti alla giurisdizione,

1) identico;

2) per violazione delle norme sulla competenza, quando non è prescritto il regolamento di competenza;

2) abrogato;

3) per violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro;

3) identico;

4) per nullità della sentenza o del procedimento;

4) identico;

5) per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

5) identico.

2. Può inoltre essere impugnata con ricorso per cassazione una sentenza appellabile del tribunale, se le parti sono d'accordo per omettere l'appello; ma in tale caso l'impugnazione può proporsi soltanto a norma del primo comma, n. 3.

2. Identico.

3. Non sono immediatamente impugnabili con ricorso per cassazione le sentenze che decidono di questioni insorte senza definire, neppure parzialmente, il giudizio. Il ricorso per cassazione avverso tali sentenze può essere proposto, senza necessità di riserva, allorché sia impugnata la sentenza che definisce, anche parzialmente, il giudizio.

3. Identico.

4. Le disposizioni di cui al primo comma e terzo comma si applicano alle sentenze ed ai provvedimenti diversi dalla sentenza contro i quali è ammesso il ricorso per cassazione per violazione di legge.

4. Identico.

 

 

Art. 382

Art. 382

Decisione delle questioni di giurisdizione e di competenza

Decisione delle questioni di giurisdizione

1. La corte, quando decide una questione di giurisdizione, statuisce su questa, determinando, quando occorre, il giudice competente.

1. Identico.

2. Quando cassa per violazione delle norme sulla competenza, statuisce su questa.

Abrogato

3. Se riconosce che il giudice del quale si impugna il provvedimento e ogni altro giudice difettano di giurisdizione, cassa senza rinvio. Egualmente provvede in ogni altro caso in cui ritiene che la causa non poteva essere proposta o il processo proseguito.

3. Identico.

 

 

Art. 385

Art. 385

Provvedimenti sulle spese

Provvedimenti sulle spese

1. La Corte, se rigetta il ricorso, condanna il ricorrente alle spese.

1. Identico.

2. Se cassa senza rinvio o per violazione delle norme sulla competenza, provvede sulle spese di tutti i precedenti giudizi, liquidandole essa stessa o rimettendone la liquidazione al giudice che ha pronunciato la sentenza cassata.

2. Se cassa senza rinvio, provvede sulle spese di tutti i precedenti giudizi, liquidandole essa stessa o rimettendone la liquidazione al giudice che ha pronunciato la sentenza cassata.

3. Se rinvia la causa ad altro giudice, può provvedere sulle spese del giudizio di cassazione o rimetterne la pronuncia al giudice di rinvio.

3. Identico.

4. Quando pronuncia sulle spese, anche nelle ipotesi di cui all'articolo 375, la Corte, anche d'ufficio, condanna, altresì, la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma, equitativamente determinata, non superiore al doppio dei massimi tariffari, se ritiene che essa ha proposto il ricorso o vi ha resistito anche solo con colpa grave.

Abrogato

[cfr. art. 60 d.d.l.]

 

 

Art. 392

Art. 392

Riassunzione della causa

Riassunzione della causa

1. La riassunzione della causa davanti al giudice di rinvio può essere fatta da ciascuna delle parti non oltre un anno dalla pubblicazione della sentenza della Corte di cassazione.

1. La riassunzione della causa davanti al giudice di rinvio può essere fatta da ciascuna delle parti non oltre tre mesi dalla pubblicazione della sentenza della Corte di cassazione.

2. La riassunzione si fa con citazione, la quale è notificata personalmente a norma degli articoli 137 e seguenti.

2. Identico.

 


 

Articolo 54
(Modifiche al libro terzo del codice di procedura civile)

 

1. Al libro terzo, titolo IV, del codice di procedura civile, dopo l'articolo 614 è aggiunto il seguente:

«Art. 614-bis. - (Attuazione degli obblighi di fare infungibile o di non fare). - Con il provvedimento di condanna all'adempimento di un obbligo di fare infungibile o di non fare il giudice, su richiesta di parte, fissa la somma dovuta all'avente diritto per ogni violazione o inosservanza successiva.

Il provvedimento costituisce titolo esecutivo per il pagamento delle somme dovute per ogni violazione o inosservanza».

 

 

L’articolo in esame aggiunge nel libro terzo del codice processuale civile – relativo al processo di esecuzione - un nuovo art. 614-bis.

La norma introduce uno strumento di coercizione indiretta per l'adempimento degli obblighi di fare infungibile e per gli obblighi di non fare, prevedendo che la sentenza che accoglie la domanda di condanna all'adempimento di tali obblighi contenga anche la determinazione di una somma di denaro spettante al creditore per ogni violazione o inosservanza successiva alla pronuncia.


 

Articolo 55
(Modifiche al libro quarto del codice di procedura civile)

 


1. All'articolo 669-octies del codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:

a) dopo il sesto comma è inserito il seguente:

«Il giudice, quando emette uno dei provvedimenti di cui al sesto comma prima dell'inizio della causa di merito, provvede sulle spese del procedimento cautelare»;

b) al settimo comma, le parole: «primo comma» sono sostituite dalle seguenti: «sesto comma».

2. All'articolo 819-ter del codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al primo comma, il secondo periodo è sostituito dal seguente: «L'ordinanza con la quale il giudice afferma o nega la propria competenza in relazione ad una convenzione d'arbitrato è reclamabile a norma dell'articolo 44»;

b) al secondo comma, dopo la parola: «44» sono inserite le seguenti: «, primo comma,».


 

 

L’articolo 55 interviene in materia di procedimenti cautelari ed arbitrato rituale novellando, rispettivamente, gli articoli 669-octies e 819-ter del codice processuale civile. Con la prima modifica si afferma esplicitamente il principio generale secondo cui ilgiudice che emette un provvedimento cautelare ante causam deve sempre provvedere anche sulle spese relative al relativo procedimento.

La modifica all'articolo 819-ter in materia di arbitrato ribadisce, in coerenza con il nuovo sistema impugnatorio delle ordinanze che pronunciano sulla competenza, che è reclamabile a norma dell'articolo 44 dello stesso codice anche l'ordinanza con la quale il giudice afferma o nega la propria competenza in relazione ad una convenzione di arbitrato.

 

Codice di Procedura Civile

AC 1441 (Governo)

 

 

Art. 669-octies

Art. 669-octies

Provvedimento di accoglimento

Provvedimento di accoglimento

1. L'ordinanza di accoglimento, ove la domanda sia stata proposta prima dell'inizio della causa di merito, deve fissare un termine perentorio non superiore a sessanta giorni per l'inizio del giudizio di merito, salva l'applicazione dell'ultimo comma dell'articolo 669-novies.

1. Identico

2. In mancanza di fissazione del termine da parte del giudice, la causa di merito deve essere iniziata entro il termine perentorio di sessanta giorni.

2. Identico

3. Il termine decorre dalla pronuncia dell'ordinanza se avvenuta in udienza o altrimenti dalla sua comunicazione.

3. Identico

4. Per le controversie individuali relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, escluse quelle devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo, il termine decorre dal momento in cui la domanda giudiziale è divenuta procedibile o, in caso di mancata presentazione della richiesta di espletamento del tentativo di conciliazione, decorsi trenta giorni.

4. Identico

5. Nel caso in cui la controversia sia oggetto di compromesso o di clausola compromissoria, la parte, nei termini di cui ai commi precedenti, deve notificare all'altra un atto nel quale dichiara la propria intenzione di promuovere il procedimento arbitrale, propone la domanda e procede, per quanto le spetta, alla nomina degli arbitri.

5. Identico.

6. Le disposizioni di cui al presente articolo e al primo comma dell'articolo 669-novies non si applicano ai provvedimenti di urgenza emessi ai sensi dell'articolo 700 e agli altri provvedimenti cautelari idonei ad anticipare gli effetti della sentenza di merito, previsti dal codice civile o da leggi speciali, nonché ai provvedimenti emessi a seguito di denunzia di nuova opera o di danno temuto ai sensi dell'articolo 688, ma ciascuna parte può iniziare il giudizio di merito.

6. Identico.

 

7. Il giudice, quando emette uno dei provvedimenti di cui al sesto comma prima dell'inizio della causa di merito, provvede sulle spese del procedimento cautelare.

7. L'estinzione del giudizio di merito non determina l'inefficacia dei provvedimenti di cui al primo comma, anche quando la relativa domanda è stata proposta in corso di causa.

8. L'estinzione del giudizio di merito non determina l'inefficacia dei provvedimenti di cui al sesto comma, anche quando la relativa domanda è stata proposta in corso di causa.

8. L'autorità del provvedimento cautelare non è invocabile in un diverso processo.

9. Identico.

 

 

Art. 819-ter

Art. 819-ter

Rapporti tra arbitri e autorità giudiziaria

Rapporti tra arbitri e autorità giudiziaria

1. La competenza degli arbitri non è esclusa dalla pendenza della stessa causa davanti al giudice, né dalla connessione tra la controversia ad essi deferita ed una causa pendente davanti al giudice. La sentenza, con la quale il giudice afferma o nega la propria competenza in relazione a una convenzione d'arbitrato, è impugnabile a norma degli articoli 42 e 43. L'eccezione di incompetenza del giudice in ragione della convenzione di arbitrato deve essere proposta, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta. La mancata proposizione dell'eccezione esclude la competenza arbitrale limitatamente alla controversia decisa in quel giudizio.

1. La competenza degli arbitri non è esclusa dalla pendenza della stessa causa davanti al giudice, né dalla connessione tra la controversia ad essi deferita ed una causa pendente davanti al giudice. L'ordinanza con la quale il giudice afferma o nega la propria competenza in relazione ad una convenzione d'arbitrato è reclamabile a norma dell'articolo 44. L'eccezione di incompetenza del giudice in ragione della convenzione di arbitrato deve essere proposta, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta. La mancata proposizione dell'eccezione esclude la competenza arbitrale limitatamente alla controversia decisa in quel giudizio.

2. Nei rapporti tra arbitrato e processo non si applicano regole corrispondenti agli articoli 44, 45, 48, 50 e 295.

2. Nei rapporti tra arbitrato e processo non si applicano regole corrispondenti agli articoli 44, primo comma, 45, 48, 50 e 295.

3. In pendenza del procedimento arbitrale non possono essere proposte domande giudiziali aventi ad oggetto l'invalidità o inefficacia della convenzione d'arbitrato.

3. Identico.

 

 


 

Articolo 56
(Procedimento sommario non cautelare)

 


1. Dopo il capo III del titolo I del libro quarto del codice di procedura civile è inserito il seguente:

«Capo III-bis

DEL PROCEDIMENTO SOMMARIO DI COGNIZIONE

Art. 702-bis.

(Forma della domanda. Costituzione delle parti).

Nelle cause in cui il tribunale giudica in composizione monocratica, la domanda di condanna al pagamento di somme di denaro, anche se non liquide, ovvero alla consegna o al rilascio di cose può essere proposta con ricorso al tribunale competente. Il ricorso, sottoscritto a norma dell'articolo 125, deve contenere le indicazioni di cui ai numeri 1), 2), 3), 4), 5) e 6) e l'avviso di cui al numero 7) del terzo comma dell'articolo 163.

A seguito della presentazione del ricorso il cancelliere forma il fascicolo d'ufficio e lo presenta senza ritardo al presidente del tribunale, il quale designa il magistrato cui è affidata la trattazione del procedimento.

Il giudice designato fissa con decreto l'udienza di comparizione delle parti, assegnando un termine perentorio per la notificazione del ricorso.

Il convenuto deve costituirsi almeno dieci giorni prima dell'udienza, mediante deposito in cancelleria della comparsa di risposta, nella quale deve proporre le sue difese e prendere posizione sui fatti posti dal ricorrente a fondamento della domanda, indicare i mezzi di prova di cui intende avvalersi e i documenti che offre in comunicazione, nonché formulare le conclusioni. A pena di decadenza deve proporre le eventuali domande riconvenzionali e le eccezioni processuali e di merito che non sono rilevabili d'ufficio.

Se il convenuto intende chiamare un terzo in garanzia deve, a pena di decadenza, farne dichiarazione nella comparsa di costituzione e chiedere al giudice designato lo spostamento dell'udienza. Il giudice, con decreto comunicato dal cancelliere alle parti costituite, provvede a fissare la data della nuova udienza assegnando un termine perentorio per la citazione del terzo. La costituzione del terzo in giudizio avviene a norma del quarto comma.

Art. 702-ter.

(Procedimento).

Il giudice, se ritiene di essere incompetente, pronuncia ordinanza reclamabile ai sensi dell'articolo 44. Si applica l'articolo 50.

Se rileva che la domanda non rientra tra quelle indicate nell'articolo 702-bis, il giudice, con ordinanza non impugnabile, la dichiara inammissibile. Nello stesso modo provvede sulla domanda riconvenzionale.

Se ritiene che le difese svolte dalle parti richiedono un'istruzione non sommaria, il giudice, con ordinanza non impugnabile, fissa l'udienza di cui all'articolo 183. In tal caso si applicano le disposizioni del libro II.

Quando la causa relativa alla domanda riconvenzionale richiede un'istruzione non sommaria, il giudice ne dispone la separazione.

Se non provvede ai sensi dei commi precedenti, il giudice, sentite le parti, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione indispensabili in relazione all'oggetto del provvedimento richiesto e provvede con ordinanza all'accoglimento o al rigetto delle domande.

L'ordinanza è provvisoriamente esecutiva e costituisce titolo per l'iscrizione di ipoteca giudiziale.

Il giudice provvede in ogni caso sulle spese del procedimento ai sensi degli articoli 91 e seguenti.

Art. 702-quater.
(Appello).

L'ordinanza emessa ai sensi del sesto comma dell'articolo 702-ter produce gli effetti di cui all'articolo 2909 del codice civile se non è appellata entro trenta giorni dalla sua comunicazione o notificazione. Sono ammessi nuovi mezzi di prova e nuovi documenti quando il collegio li ritiene indispensabili ai fini della decisione, ovvero la parte dimostra di non aver potuto proporli nel corso del procedimento sommario per causa ad essa non imputabile. Il presidente del collegio può delegare l'assunzione dei mezzi istruttori ad uno dei componenti del collegio».


 

 

L'articolo in esame prevede l'inserimento nel codice di procedura civile di un nuovo capo III-bis (composto dagli artt. 702-bis, 702-ter e 702-quater) cheaggiunge tra i procedimenti specialidel libro quarto, il procedimento sommario di cognizione.

Tale procedimento riguarda le sole domande relative ai crediti di somme di denaro, anche se non liquide, ovvero alla consegna o al rilascio di cose e permette – nelle cause in cui il tribunale giudica in composizione monocratica – di arrivare ad un rapido soddisfacimento della domanda grazie all’emanazione di un provvedimento immediatamente esecutivo su cui, in mancanza di appello, si forma il giudicato.

La nuova disciplina prevede che il ricorrente depositi la domanda nella cancelleria del tribunale, chiedendo il pagamento della somma o la consegna del bene. Il tribunale con decreto fissa l’udienza di comparizione designando il magistrato competente ed assegnando un termine perentorio per la notificazione del ricorso al convenuto. Questi deposita la comparsa di risposta che conterrà le sue argomentazioni difensive e le eventuali domande riconvenzionali, eccezioni e chiamate di terzo a garanzia. Il giudice designato, se ritiene la domanda inammissibile o impossibile procedere con procedimento sommario, con ordinanza fissa l’udienza ordinaria di prima comparizione prevista dall’art. 183 c.p.c. Altrimenti, dopo aver proceduto eventualmente a sommaria istruzione, decide senza formalità nel merito con ordinanza sull’accoglimento o meno della domanda, provvedendo sulle spese del procedimento. L'ordinanza, che è provvisoriamente esecutiva e costituisce titolo per l'iscrizione di ipoteca giudiziale, è appellabile entro 30 giorni dalla sua comunicazione o notificazione. In appello, sono ammessi nuovi mezzi di prova e nuovi documenti solo in quanto ritenuti indispensabili per la decisione, ovvero sia dimostrata l’incolpevole impossibilità di proposizione nel corso del procedimento sommario.


 

Articolo 57
(Modifiche alle disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368)

 


1. Dopo l'articolo 103 delle disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368, di seguito denominate «disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile», è inserito il seguente:

«Art. 103-bis. - (Modello di testimonianza). - La testimonianza scritta è resa su di un modulo conforme al modello approvato con decreto del Ministro della giustizia, che individua anche le istruzioni per la sua compilazione, da notificare unitamente al modello. Il modello, sottoscritto in ogni suo foglio dalla parte che ne ha curato la compilazione, deve contenere, oltre all'indicazione del procedimento e dell'ordinanza di ammissione da parte del giudice procedente, idonei spazi per l'inserimento delle complete generalità del testimone, dell'indicazione della sua residenza, del suo domicilio e, ove possibile, di un suo recapito telefonico. Deve altresì contenere l'ammonimento del testimone ai sensi dell'articolo 251 del codice e la formula del giuramento di cui al medesimo articolo, oltre all'avviso in ordine alla facoltà di astenersi ai sensi degli articoli 351 e 352 del codice di procedura penale, con lo spazio per la sottoscrizione obbligatoria del testimone, nonché le richieste di cui all'articolo 252, primo comma, del codice, e la trascrizione dei quesiti ammessi, con l'avvertenza che il testimone deve rendere risposte circostanziate a ciascuna domanda.

Al termine di ogni risposta è apposta, di seguito e senza lasciare spazi vuoti, la sottoscrizione da parte del testimone.

Le sottoscrizioni devono essere autenticate da un notaio o da un segretario comunale o dal cancelliere di un ufficio giudiziario. L'autentica delle sottoscrizioni è in ogni caso gratuita».

2. All'articolo 104, primo comma, delle disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile, dopo le parole: «questi la dichiara» sono inserite le seguenti: «, anche d'ufficio,».

3. Il primo comma dell'articolo 118 delle disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:

«La motivazione della sentenza, di cui all'articolo 132, secondo comma, numero 4), del codice, consiste nella succinta esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione, anche con riferimento a precedenti conformi».


 

 

L'articolo in esame interviene sul R.D. 1368 del 1941, contenente le disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile, aggiungendo l'articolo 103-bis e novellando gli articoli 104 e 118.

Il comma 1, introduce il citato art. 103-bis riguardante il modello di testimonianza già richiamato dall’art. 257-bis c.p.c. (introdotto nel codice dall’art. 53 del disegno di legge) che prevede la possibilità di assunzione di testimonianza scritta.

Il nuovo art. 103-bis prevede che la testimonianza scritta sia resa su di un modulo conforme al modello approvatocon decreto del Ministro della giustizia, che individua anche le istruzioni per la sua compilazione, da notificare unitamente al modello. Il modello, sottoscritto in ogni suo foglio dalla parte che ne ha curato la compilazione, deve contenere, oltre alla indicazione del procedimento e dell'ordinanza di ammissione da parte del giudice procedente, idonei spazi per l'inserimento delle complete generalità del testimone, dell'indicazione della sua residenza, del suo domicilio e, ove possibile, di un suo recapito telefonico. Lo stesso deve altresì contenere l'ammonimento del testimone ai sensi dell'articolo 251 c.p.c. e la formula del giuramento di cui al medesimo articolo, oltre all'avviso in ordine alla facoltà di astenersi ai sensi degli articoli 351 e 352 c.p.p, e la trascrizione dei quesiti ammessi, con l'avvertenza che il testimone deve rendere risposte circostanziate a ciascuna domanda.

La disposizione definisce altresì nel dettaglio le modalità di sottoscrizione da parte del testimone e della relativa autentica.

 

Il comma 2, con la modifica dell’articolo 104, primo comma, delle disposizioni di attuazione, è volto a prevedere che la decadenza dalla prova in caso di mancata intimazione ai testimoni ad opera della parte possa essere disposta anche d'ufficio,

 

Il comma 3 riformula il primo comma dell'articolo 118 delle disposizioni di attuazione ridefinendo il contenuto della motivazione della sentenza (succinta esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione, anche con riferimento a precedenti conformi) in coerenza con quanto è disposto dall’art. 52 del disegno di legge.

 

Il testo a fronte che segue evidenzia il contenuto del nuovo art. 103-bis e le novelle introdotte agli artt. 104 e 118 delle disposizioni di attuazione al codice di procedura civile.


 

Disposizioni di attuazione del codice di procedura civile

AC 1441 (Governo)

 

 

 

 

 

 

Art. 103-bis

 

 

 

Modello di testimonianza

 

 

 

La testimonianza scritta è resa su di un modulo conforme al modello approvato con decreto del Ministro della giustizia, che individua anche le istruzioni per la sua compilazione, da notificare unitamente al modello. Il modello, sottoscritto in ogni suo foglio dalla parte che ne ha curato la compilazione, deve contenere, oltre all'indicazione del procedimento e dell'ordinanza di ammissione da parte del giudice procedente, idonei spazi per l'inserimento delle complete generalità del testimone, dell'indicazione della sua residenza, del suo domicilio e, ove possibile, di un suo recapito telefonico. Deve altresì contenere l'ammonimento del testimone ai sensi dell'articolo 251 del codice e la formula del giuramento di cui al medesimo articolo, oltre all'avviso in ordine alla facoltà di astenersi ai sensi degli articoli 351 e 352 del codice di procedura penale, con lo spazio per la sottoscrizione obbligatoria del testimone, nonché le richieste di cui all'articolo 252, primo comma, del codice, e la trascrizione dei quesiti ammessi, con l'avvertenza che il testimone deve rendere risposte circostanziate a ciascuna domanda.

Al termine di ogni risposta è apposta, di seguito e senza lasciare spazi vuoti, la sottoscrizione da parte del testimone.

Le sottoscrizioni devono essere autenticate da un notaio o da un segretario comunale o dal cancelliere di un ufficio giudiziario. L'autentica delle sottoscrizioni è in ogni caso gratuita

 

 

 

 

 

 

Art. 104

Art. 104

 

 

Mancata intimazione ai testimoni

Mancata intimazione ai testimoni

 

 

1. Se la parte senza giusto motivo non fa chiamare i testimoni davanti al giudice, questi la dichiara decaduta dalla prova.

1. Se la parte senza giusto motivo non fa chiamare i testimoni davanti al giudice, questi la dichiara, anche d’ufficio, decaduta dalla prova.

 

 

2. Se il giudice riconosce giustificata l'omissione, fissa una nuova udienza per l'assunzione della prova.

2. Identico.

 

 

 

 

 

 


Art. 118

Art. 118

 

 

Motivazione della sentenza

Motivazione della sentenza

 

 

1. La motivazione della sentenza di cui all'articolo 132, n. 4 del codice consiste nell'esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione.

1. La motivazione della sentenza, di cui all'articolo 132, secondo comma, numero 4), del codice, consiste nella succinta esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione, anche con riferimento a precedenti conformi.

 

 

2. Debbono essere esposte concisamente e in ordine le questioni discusse e decise dal collegio ed indicati le norme di legge e i principi di diritto applicati. Nel caso previsto nell'articolo 114 del codice debbono essere esposte le ragioni di equità sulle quali è fondata la decisione.

2. Identico.

 

 

3. In ogni caso deve essere omessa ogni citazione di autori giuridici.

3. Identico.

 

 

4. La scelta dell'estensore della sentenza prevista nell'articolo 276 ultimo comma del codice è fatta dal presidente tra i componenti il collegio che hanno espresso voto conforme alla decisione.

4. Identico.

 

 

 


 

Articolo 58
(Abrogazione dell'articolo 3 della legge 21 febbraio 2006, n. 102)

 

1. L'articolo 3 della legge 21 febbraio 2006, n. 102, è abrogato.

 

 

L’articolo 58 abroga l'articolo 3 della legge 21 febbraio 2006, n. 102[263], che ha assoggettato alle norme del processo del lavoro (contenute nel Libro II, Titolo IV, Capo I del codice di procedura civile) le controversie relative al risarcimento dei danni per morte o lesioni conseguenti ad incidenti stradali.

La relazione illustrativa specifica che tale abrogazione è giustificata dal fatto che il rito del lavoro non si adatta alle peculiarità delle controversie in questione, che, a seguito dell'aumento della competenza per valore previsto dall'articolo 52 del disegno di legge, sono destinate ad essere trattate in numero sempre maggiore innanzi al giudice di pace.

 


 

Articolo 59
(Notificazione a cura dell'Avvocatura dello Stato)

 


1. L'Avvocatura dello Stato può eseguire la notificazione di atti civili, amministrativi e stragiudiziali ai sensi della legge 21 gennaio 1994, n. 53, e successive modificazioni.

2. Per le finalità di cui al comma 1, l'Avvocatura generale dello Stato e ciascuna avvocatura distrettuale dello Stato si dotano di un apposito registro cronologico conforme alla normativa, anche regolamentare, vigente.

3. La validità dei registri di cui al comma 2 è subordinata alla previa numerazione e vidimazione, in ogni mezzo foglio, rispettivamente, da parte dell'Avvocato generale dello Stato, o di un avvocato dello Stato allo scopo delegato, ovvero dell'avvocato distrettuale dello Stato.

4. Dall'attuazione delle disposizioni del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Gli adempimenti previsti dal presente articolo sono svolti nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.


 

 

L’articolo 59 reca disposizioni relative alla notificazione di atti civili, amministrativi e stragiudiziali da parte dell'Avvocatura dello Stato, alla quale viene riconosciuta la facoltà di avvalersi delle modalità di notifica previste dalla legge 21 gennaio 1994, n. 53[264] per gli avvocati del libero foro (comma 1).

 

La legge 53/1994 prevede che l'avvocato, munito di procura alle liti e dell’autorizzazione del consiglio dell'ordine nel cui albo è iscritto, può eseguire la notificazione di atti in materia civile, amministrativa e stragiudiziale a mezzo del servizio postale, secondo le modalità previste dalla legge 20 novembre 1982, n. 890, salvo che l'autorità giudiziaria disponga che la notifica sia eseguita personalmente (articolo 1). Gli articoli 2 e 3 ne definiscono le relative modalità.

L'avvocato o il procuratore legale può inoltre eseguire notificazioni in materia civile, amministrativa e stragiudiziale, direttamente, mediante consegna di copia dell'atto nel domicilio del destinatario, nel caso in cui il destinatario sia altro avvocato o procuratore legale, che abbia la qualità di domiciliatario di una parte e che sia iscritto nello stesso albo del notificante (articolo 4).

La legge 53/1994 definisce altresì le condizioni e i requisiti per effettuare le suddette notificazioni. In particolare, il difensore che intende avvalersi delle facoltà previste dalla citata legge deve munirsi di un apposito registro cronologico, il cui modello è stabilito con decreto del Ministro della giustizia (articolo 8).

 

In relazione alle nuove modalità di notifica, l'Avvocatura generale dello Stato e ciascuna avvocatura distrettuale si dotano di appositi registri cronologici conformi alla normativa vigente; tali registri devono essere previamente numerati e vidimati da parte dell'Avvocato generale dello Stato (o altro avvocato delegato) o dell'avvocato distrettuale dello Stato (commi 2 e 3).

Ai citati adempimenti si provvede senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente (comma 4).

 


 

Articolo 60
(Abrogazioni)

 

1. Gli articoli 42, 43, 46 e 184-bis e il quarto comma dell'articolo 385 del codice di procedura civile e l'articolo 187 delle disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile sono abrogati.

 

 

L’articolo in esame, per esigenze di coordinamento con le modifiche introdotte dal disegno di legge, procede all’abrogazione degli artt. 42, 43, 46 (relativi alle questioni di competenza), 184-bis (rimessione in termini) e 385, quarto comma (pronuncia sulle spese nel giudizio in cassazione) del codice processuale civile.

Analoga abrogazione riguarda l’art. 187 delle disposizioni di attuazione allo stesso codice, relativo al regolamento di competenza in materia esecutiva.

 

 

 

Codice di Procedura Civile

AC 1441 (Governo)

 

 

Art. 42

Art. 42

Regolamento necessario di competenza

Regolamento necessario di competenza

1. La sentenza che, pronunciando sulla competenza anche ai sensi degli articoli 39 e 40, non decide il merito della causa e i provvedimenti che dichiarano la sospensione del processo ai sensi dell'articolo 295 possono essere impugnati soltanto con istanza di regolamento di competenza.

Abrogato

 

 

 

 

Art. 43

Art. 43

Regolamento facoltativo di competenza

Regolamento facoltativo di competenza

1. La sentenza che ha pronunciato sulla competenza insieme col merito può essere impugnata con l'istanza di regolamento di competenza, oppure nei modi ordinari quando insieme con la pronuncia sulla competenza si impugna quella sul merito.

Abrogato

2. La proposizione dell'impugnazione ordinaria non toglie alle altre parti la facoltà di proporre l'istanza di regolamento.

Abrogato

3. Se l'istanza di regolamento è proposta prima dell'impugnazione ordinaria, i termini per la proposizione di questa riprendono a decorrere dalla comunicazione della sentenza che regola la competenza; se è proposta dopo, si applica la disposizione dell'articolo 48.

Abrogato

 

 

Art. 46

Art. 46.

Casi di inapplicabilità del regolamento di competenza

Casi di inapplicabilità del regolamento di competenza

1. Le disposizioni degli articoli 42 e 43 non si applicano nei giudizi davanti ai giudici di pace.

Abrogato

 

 

Art. 184-bis

Art. 184-bis

Rimessione in termini

Rimessione in termini

1. La parte che dimostra di essere incorsa in decadenze per causa ad essa non imputabile può chiedere al giudice istruttore di essere rimessa in termini.

Abrogato

2. Il giudice provvede a norma dell'art. 294, secondo e terzo comma.

Abrogato

 

 

 

(artt. 53 e 60)

Art. 385

Art. 385

Provvedimenti sulle spese

Provvedimenti sulle spese

1. La Corte, se rigetta il ricorso, condanna il ricorrente alle spese.

1. Identico.

2. Se cassa senza rinvio o per violazione delle norme sulla competenza, provvede sulle spese di tutti i precedenti giudizi, liquidandole essa stessa o rimettendone la liquidazione al giudice che ha pronunciato la sentenza cassata.

2. Se cassa senza rinvio, provvede sulle spese di tutti i precedenti giudizi, liquidandole essa stessa o rimettendone la liquidazione al giudice che ha pronunciato la sentenza cassata.

3. Se rinvia la causa ad altro giudice, può provvedere sulle spese del giudizio di cassazione o rimetterne la pronuncia al giudice di rinvio.

3. Identico.

4. Quando pronuncia sulle spese, anche nelle ipotesi di cui all'articolo 375, la Corte, anche d'ufficio, condanna, altresì, la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma, equitativamente determinata, non superiore al doppio dei massimi tariffari, se ritiene che essa ha proposto il ricorso o vi ha resistito anche solo con colpa grave.

Abrogato

 

 

Disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile

AC 1441 (Governo)

 

 

Art. 187

Regolamento di competenza delle sentenze in materia esecutiva

Art. 187

Regolamento di competenza delle sentenze in materia esecutiva

Le sentenze dichiarate non impugnabili che il giudice pronuncia sulle opposizioni agli atti esecutivi sono sempre soggette a regolamento di competenza a norma degli articoli 42 e seguenti del Codice.

Abrogato

 


 

Articolo 61
(Disposizioni transitorie)

 


1. Fatto salvo quanto previsto dai commi successivi, le disposizioni della presente legge che modificano il codice di procedura civile e le disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile si applicano ai giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore.

2. Ai giudizi pendenti in primo grado alla data di entrata in vigore della presente legge si applica l'articolo 345 del codice di procedura civile, come modificato dalla presente legge.

3. Alle controversie disciplinate dall'articolo 3 della legge 21 febbraio 2006, n. 102, pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge, continuano ad applicarsi le disposizioni di cui al libro secondo, titolo IV, capo I, del codice di procedura civile.

4. Le disposizioni di cui ai commi quinto e sesto dell'articolo 155 del codice di procedura civile si applicano anche ai procedimenti pendenti alla data del 1o marzo 2006.


 

 

L’articolo 61 reca alcune disposizioni transitorie.

 

Il comma 1 stabilisce che le modifiche al codice di procedura civile e alle norme di attuazione dello stesso codice si applicano solo ai giudizi instaurati dopo l’entrata in vigore del disegno di legge in esame.

 

Il comma 2 precisa altresì che le previsioni del riformulato articolo 345 c.p.c., relativo alla produzione di nuovi documenti in appello, trovano applicazione anche nei confronti dei giudizi pendenti in primo grado alla data di entrata in vigore del disegno di legge.

 

Viceversa, alle controversie relative al risarcimento dei danni per morte o lesioni conseguenti ad incidenti stradali, pendenti alla data di entrata in vigore delle nuove disposizioni, continua ad applicarsi il libro II, titolo IV, capo I, del codice di procedura civile (comma 3).

 

Infine, il comma 4 estende l’applicazione delle disposizioni di cui ai commi quinto e sesto dell'articolo 155 c.p.c., relative al computo dei termini, anche ai procedimenti pendenti alla data del 1° marzo 2006.

 

Il quinto comma del richiamato articolo 155 c.p.c. estende l’ambito di applicazione del quarto comma dello stesso articolo secondo cui, se il giorno di scadenza è festivo, la scadenza è prorogata di diritto al primo giorno seguente non festivo. Il citato quinto comma prevede, infatti, che tale proroga si applichi anche ai termini per il compimento degli atti processuali svolti fuori dell'udienza che scadono nella giornata del sabato.

Il sesto comma del citato articolo 155 conferma, invece, il regolare svolgimento delle udienze e di ogni altra attività giudiziaria, anche svolta da ausiliari, nella giornata del sabato, che ad ogni effetto è considerata lavorativa.

Si ricorda che tali disposizioni si applicano ai procedimenti instaurati successivamente al 1° marzo 2006, per effetto di quanto stabilito dal comma 4 dell’articolo 2 della legge 28 dicembre 2005, n. 263 (come modificato dall'art. 39-quater del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 273).


 

Articolo 62
(Sospensione dei termini processuali nel periodo feriale)

 

1. All'articolo 1, primo comma, della legge 7 ottobre 1969, n. 742, le parole: «15 settembre» sono sostituite dalle seguenti: «31 agosto».

2. La disposizione di cui al comma 1 si applica a decorrere dal 1o gennaio 2009.

 

 

L’articolo 62 modifica la disciplina relativa alla sospensione dei termini processuali nel periodo feriale.

In particolare, la disposizione novella il primo comma dell'articolo 1 della legge 7 ottobre 1969, n. 742[265], al fine di ridurre il periodo della sospensione di diritto dei termini processuali relativi alle giurisdizioni ordinarie e a quelle amministrative. La suddetta sospensione viene quindi limitata al periodo dal 1° al 31 agosto di ciascun anno (anziché dal 1° agosto al 15 settembre, come attualmente previsto).

La novella si applica a decorrere dal 1° gennaio 2009.

 


 

Articolo 63
(Misure urgenti per il recupero di somme afferenti al bilancio della giustizia e per il contenimento e la razionalizzazione delle spese di giustizia)

 


1. All'articolo 36, secondo comma, del codice penale, le parole: «in uno o più giornali designati dal giudice» sono sostituite dalle seguenti: «nel sito internet del Ministero della giustizia. La durata della pubblicazione è stabilita dal giudice in misura non superiore a trenta giorni. In mancanza, la durata è di quindici giorni».

2. Al codice di procedura penale sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all'articolo 262, il comma 3-bis è abrogato;

b) all'articolo 535, comma 1, le parole: «relative ai reati cui la condanna si riferisce» sono soppresse e il comma 2 è abrogato;

c) all'articolo 536, comma 1, le parole: «e designa il giornale o i giornali in cui deve essere inserita» sono soppresse;

d) all'articolo 676, comma 1, le parole: «o alla devoluzione allo Stato delle somme di denaro sequestrate ai sensi del comma 3-bis dell'articolo 262» sono soppresse.

3. Al comma 4 dell'articolo 171-ter della legge 21 aprile 1941, n. 633, la lettera b) è sostituita dalla seguente:

«b) la pubblicazione della sentenza ai sensi dell'articolo 36, secondo comma, del codice penale».

4. Al titolo IV, capo IV, delle disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile, dopo l'articolo 187-bis è aggiunto il seguente:

«Art. 187-ter. - (Devoluzione delle somme di denaro allo Stato). - Le somme di denaro depositate presso gli uffici postali, le banche o altri enti, in relazione a procedure esecutive, non riscosse o non reclamate dagli aventi diritto entro cinque anni dalla data in cui è divenuta definitiva l'ordinanza di distribuzione o di approvazione del progetto di distribuzione ovvero, in caso di opposizione, dal passaggio in giudicato della sentenza che definisce la controversia, sono devolute allo Stato. La devoluzione opera di diritto.

Per le somme di denaro depositate presso gli uffici postali, le banche o altri enti, la cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento comunica l'avvenuta devoluzione al depositario, il quale provvede al versamento delle somme e dei valori, con i relativi interessi, in conto entrate al bilancio dello Stato. Gli importi versati sono riassegnati con decreti del Ministro dell'economia e delle finanze, alle unità previsionali di base dello stato di previsione del Ministero della giustizia concernenti le spese di funzionamento dell'organizzazione giudiziaria».

5. Al testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) alla parte III, dopo il titolo XIV, è aggiunto il seguente:

«Titolo XIV-bis

REGISTRAZIONE DEGLI ATTI GIUDIZIARI NEL PROCESSO PENALE

Art. 73-bis (L)

(Termini per la richiesta di registrazione)

1. La registrazione della sentenza di condanna al risarcimento del danno deve essere richiesta entro cinque giorni dal passaggio in giudicato.

Art. 73-ter (L)

(Procedura per la registrazione degli atti giudiziari)

1. La trasmissione della sentenza all'ufficio finanziario è curata dal funzionario addetto all'ufficio del giudice, diverso dalla Corte di cassazione, il cui provvedimento è passato in giudicato o presso il quale il provvedimento è divenuto definitivo»;

b) l'articolo 111 (L) è sostituito dal seguente:

«Art. 111 (L). - (Recupero nei confronti dell'imputato ammesso al patrocinio). - 1. Non si procede al recupero di alcuna spesa nei confronti dell'imputato ammesso al patrocinio a spese dello Stato.

2. In caso di revoca dell'ammissione del patrocinio, ai sensi dell'articolo 112, comma 1, lettera d), e comma 2, si procede alla riscossione delle spese forfetizzate, delle spese anticipate dall'erario non comprese nella forfetizzazione nonché del contributo unificato e dell'imposta di registro»;

c) all'articolo 154 (L), dopo il comma 3 sono aggiunti i seguenti:

«3-bis. Salvo quanto previsto dai commi 1, 2 e 3, trascorsi cinque anni dalla data della sentenza non più soggetta ad impugnazione o dalla data in cui il provvedimento di archiviazione è divenuto definitivo, le somme di denaro, i titoli al portatore, quelli emessi o garantiti dallo Stato anche se non al portatore, i valori di bollo e i crediti pecuniari sequestrati, con i relativi interessi, se non ne è stata disposta la confisca e se nessuno ne ha chiesto la restituzione, reclamando di avervi diritto, sono devoluti allo Stato. La devoluzione opera di diritto.

3-ter. Alla destinazione delle somme devolute provvede la cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento, osservando le disposizioni seguenti. Per le somme di denaro e i valori depositati presso gli uffici postali, le banche o altri enti, la cancelleria comunica l'avvenuta devoluzione al depositario, il quale provvede al versamento delle somme e dei valori, con i relativi interessi, in conto entrate al bilancio dello Stato. Tali importi sono riassegnati, con decreti del Ministro dell'economia e delle finanze, alle unità previsionali di base dello stato di previsione del Ministero della giustizia concernenti le spese di funzionamento dell'organizzazione giudiziaria. Per le somme di denaro e per i valori depositati presso la cancelleria, questa vi provvede direttamente secondo le stesse modalità. Per i crediti pecuniari, la cancelleria comunica l'avvenuta devoluzione al debitore, il quale provvede al versamento delle somme di denaro, con i relativi interessi, in conto entrate al bilancio dello Stato. Tali somme sono riassegnate, con decreti del Ministro dell'economia e delle finanze, alle unità previsionali di base dello stato di previsione del Ministero della giustizia concernenti le spese di funzionamento dell'organizzazione giudiziaria»;

d) all'articolo 205 (L):

1) la rubrica è sostituita dalla seguente: «Recupero intero, forfetizzato e per quota»;

2) i commi 1 e 2 sono sostituiti dai seguenti:

«1. Le spese del processo anticipate dall'erario sono recuperate nei confronti di ciascun condannato, senza vincolo di solidarietà, nella misura fissa stabilita con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, ai sensi dell'articolo 17, commi 3 e 4, della legge 23 agosto 1988, n. 400. L'ammontare degli importi può essere rideterminato ogni anno.

2. Il decreto determina la misura del recupero con riferimento al grado di giudizio e al tipo di procedimento. Il giudice, in ragione della complessità delle indagini e degli atti compiuti, nella statuizione di condanna al pagamento delle spese processuali può disporre che gli importi siano raddoppiati o triplicati. Sono recuperate per intero solamente le spese per la pubblicazione della sentenza penale di condanna e le spese per la demolizione di opere abusive e per la riduzione in pristino dei luoghi, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 32, comma 12, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326»;

3) dopo il comma 2-ter sono aggiunti i seguenti:

«2-quater. Gli importi di cui al comma 2-bis, nonché le spese per la pubblicazione della sentenza penale di condanna, per la demolizione di opere abusive e per la riduzione in pristino dei luoghi di cui al comma 2, sono recuperati nei confronti di ciascun condannato in misura corrispondente alla quota del debito da ciascuno dovuta in base al decreto di cui al comma 1, senza vincolo di solidarietà.

2-quinquies. Il contributo unificato e l'imposta di registro prenotati a debito per l'azione civile nel processo penale sono recuperati nei confronti di ciascun condannato al risarcimento del danno in misura corrispondente alla quota del debito da ciascuno dovuta, senza vincolo di solidarietà.

2-sexies. Gli oneri tributari relativi al sequestro conservativo di cui all'articolo 316 del codice di procedura penale sono recuperati nei confronti del condannato a carico del quale è stato disposto il sequestro conservativo»;

e) la rubrica del titolo II della parte VII è sostituita dalla seguente: «Disposizioni generali per spese di mantenimento in carcere e per spese processuali nel processo amministrativo, contabile e tributario»;

f) alla parte VII, dopo l'articolo 227, prima delle parole: «Capo I - Riscossione mediante ruolo», introdotte dall'articolo 52, comma 1, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, sono inserite le seguenti: «Titolo II-bis. Disposizioni generali per spese processuali, pene pecuniarie, sanzioni amministrative pecuniarie e sanzioni pecuniarie processuali nel processo civile e penale»;

g) nella parte VII, titolo II-bis, capo I, dopo l'articolo 227-ter, introdotto dall'articolo 52, comma 1, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, sono aggiunti i seguenti:

«Art. 227-quater (L). - (Ruoli informatizzati). - 1. Dopo aver svolto le attività previste dal comma 4 dell'articolo 3 del regolamento di cui al decreto del Ministro delle finanze 3 settembre 1999, n. 321, l'agente della riscossione restituisce, in duplice esemplare, all'ufficio giudiziario i ruoli informatizzati.

2. La restituzione dei ruoli informatizzati proveniente su supporto cartaceo o magnetico avviene:

a) per le minute pervenute all'agente dal giorno 1° al giorno 15, entro l'ultimo giorno del mese;

b) per le minute pervenute all'agente dal giorno 16, entro il giorno 15 del mese successivo.

Art. 227-quinquies (L). - (Termini per la riscossione). - 1. I termini per l'attività dell'agente della riscossione previsti:

a) dall'articolo 19, comma 2, lettera a), del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112, e successive modificazioni, per procedere alla notifica della cartella di pagamento, sono ridotti a cinque mesi;

b) dall'articolo 19, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112, per la presentazione della comunicazione di inesigibilità come causa di perdita del diritto al discarico, sono ridotti a sedici mesi;

c) dall'articolo 50, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, e successive modificazioni, per procedere ad espropriazione forzata, sono ridotti a tre mesi dalla notificazione della cartella;

d) dall'articolo 50, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, e successive modificazioni, di efficacia dell'avviso di cui al comma 2 dello stesso articolo, sono ridotti a novanta giorni;

e) dall'articolo 53, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, e successive modificazioni, di perdita di efficacia del pignoramento senza che sia stato effettuato il primo incanto, sono ridotti a novanta giorni decorrenti dalla data di esecuzione del pignoramento;

f) dall'articolo 25, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, e successive modificazioni, per adempiere l'obbligo risultante dal ruolo, sono ridotti a trenta giorni decorrenti dalla data di notificazione della cartella di pagamento.

2. La comunicazione di inesigibilità dell'agente della riscossione costituisce attestazione di impossibilità di esazione della pena pecuniaria o di una rata di essa idonea all'attivazione della procedura di conversione della pena pecuniaria ai sensi dell'articolo 660, comma 2, del codice di procedura penale.

Art. 227-sexies (L). - (Sequestro conservativo di somme di denaro nel processo penale). - 1. Quando è disposto il sequestro conservativo di una somma di denaro a norma dell'articolo 316 del codice di procedura penale, l'agente della riscossione, entro cinque giorni dalla consegna del ruolo, notifica al debitore un avviso di liquidazione degli importi dovuti con l'avvertenza che, qualora la somma di denaro sia sufficiente a soddisfare il credito, la stessa verrà prelevata nel termine di un mese.

2. Qualora la somma sequestrata risulti insufficiente, ferma restando la soddisfazione parziale del credito con la medesima, per il residuo l'agente della riscossione provvede secondo le modalità ordinarie.

3. Nel caso in cui le somme sequestrate eccedano il credito per il quale si procede alla riscossione, l'agente provvede alla restituzione dell'eccedenza previa verifica e soddisfazione, totale o parziale, di eventuali altri crediti erariali iscritti a ruolo sul territorio nazionale.

Art. 227-septies (L). - (Sequestro conservativo di crediti, beni mobili e immobili nel processo penale). - 1. Quando è disposto sequestro conservativo di un credito, di un bene mobile o immobile a norma dell'articolo 316 del codice di procedura penale, e la sentenza di condanna prevede il pagamento di una pena pecuniaria, il funzionario addetto all'ufficio procede all'iscrizione del credito a ruolo e contestualmente trasmette all'agente della riscossione per via telematica l'elenco dei crediti e dei beni mobili o immobili sequestrati e il provvedimento che dispone il sequestro.

2. L'agente della riscossione, entro cinque giorni dalla consegna del ruolo, prima di procedere alla fissazione degli incanti, notifica al debitore un avviso di liquidazione degli importi dovuti con l'avvertenza che, in caso di mancato integrale pagamento nel termine di un mese, si procederà all'esecuzione forzata.

3. Gli effetti del sequestro cessano all'integrale pagamento della somma iscritta a ruolo.

Art. 227-octies. (L). - (Restituzione di cose sequestrate dopo il passaggio in giudicato del provvedimento di condanna). - 1. Dopo l'irrevocabilità del provvedimento di condanna le somme sequestrate di cui è stata disposta la restituzione al condannato sono versate dal funzionario addetto all'ufficio all'erario sino alla concorrenza del credito per le spese processuali, le pene pecuniarie, le sanzioni pecuniarie processuali e le sanzioni amministrative pecuniarie.

2. Se oggetto del sequestro sono assegni o altri titoli di credito, su richiesta del funzionario addetto all'ufficio, le rispettive somme sono assegnate in pagamento delle spese processuali, pene pecuniarie, sanzioni pecuniarie processuali e sanzioni amministrative pecuniarie con provvedimento del giudice dell'esecuzione. Il funzionario addetto all'ufficio provvede alla vendita dei titoli sequestrati e versa il ricavato a pagamento di quanto indicato e alla restituzione dell'eccedenza.

3. Le altre cose sequestrate al condannato sono vendute a cura del cancelliere e la somma ricavata è versata in conto spese processuali, pene pecuniarie, sanzioni pecuniarie processuali e sanzioni amministrative pecuniarie, dedotte le spese di cui all'articolo 155. Se la somma ricavata supera l'ammontare del credito, l'eccedenza è restituita al condannato.

4. Del provvedimento di vendita degli oggetti sequestrati, il funzionario addetto all'ufficio dà avviso al condannato con avvertenza che può ritirarli pagando l'intero ammontare del credito.

5. Con il provvedimento che ordina la vendita delle cose sequestrate, il giudice dell'esecuzione stabilisce le modalità della vendita e il luogo in cui deve eseguirsi.

6. Il provvedimento che dispone la vendita deve essere affisso per dieci giorni continui nell'albo del tribunale e degli altri uffici giudiziari del circondario o, nel caso in cui giudice dell'esecuzione è il giudice di appello, nell'albo del tribunale che ha pronunciato la sentenza di primo grado e degli altri uffici giudiziari dello stesso circondario nonché nell'albo del tribunale del luogo in cui ha sede il giudice di appello.

7. Se i beni rimangono invenduti, il funzionario addetto all'ufficio comunica senza ritardo all'avente diritto che può ritirare i beni e che le spese di custodia e di conservazione, decorsi venti giorni dalla comunicazione, sono in ogni caso dovute dallo stesso. Analoga comunicazione è eseguita nei riguardi del custode.

8. Se i beni sono affidati alla cancelleria, in caso di mancato ritiro nel termine di trenta giorni dalla comunicazione, il funzionario presenta l'elenco al giudice dell'esecuzione che ne dispone la distruzione.

9. Le spese per la distruzione dei beni rimasti invenduti sono in ogni caso a carico del condannato.

Art. 227-novies (L). - (Norme applicabili). - 1. Al presente titolo si applicano gli articoli 214, 215, 216, 218, comma 2, e 220».

6. Alla legge 24 dicembre 2007, n. 244, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all'articolo 1, comma 367, la lettera a) è sostituita dalla seguente:

«a) acquisizione dei dati anagrafici del debitore e quantificazione del credito, nella misura stabilita dal decreto del Ministro della giustizia adottato a norma dell'articolo 205 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, e successive modificazioni»;

b) all'articolo 1, comma 367, dopo la lettera b) è inserita la seguente:

«b-bis) notificazione al debitore degli atti indicati nell'articolo 227-ter (L) del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115;»;

c) all'articolo 1, comma 367, la lettera c) è sostituita dalla seguente:

«c) su richiesta del contribuente, può concedere, nelle ipotesi di temporanea situazione di obiettiva difficoltà dello stesso, la ripartizione del pagamento del credito, fino ad un massimo di 72 rate mensili, fermo restando quanto previsto dalle norme speciali in materia di rateizzazione delle pene pecuniarie di cui all'articolo 236 (L), comma 1, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115»;

d) all'articolo 1, dopo il comma 367 è inserito il seguente:

«367-bis. Gli atti indicati nell'articolo 227-ter (L) del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, sono notificati dagli ufficiali giudiziari ai sensi degli articoli 137 e seguenti del codice di procedura civile. Le spese di notifica dell'invito al pagamento sono a carico del debitore, qualora quest'ultimo provveda al pagamento del credito; l'importo è aggiornato con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze».


 

 

Le disposizioni contenute nell’articolo in esame sono volte, anche secondo quanto evidenziato nella relazione illustrativa del disegno di legge, a realizzare il contenimento delle spese di giustizia e la razionalizzazione delle procedure di riscossione di esse.

 

I commi 1 e 3 intervengono in materia di modalità di pubblicazione delle sentenze di condanna nel processo penale, modificando l’articolo 36, secondo comma, del codice penale e, ai fini di coordinamento, l’articolo 171-ter della legge 21 aprile 1941, n. 633 (c.d. legge sul diritto d'autore).

Secondo le nuove disposizioni il giudice dispone la pubblicazione delle sentenze di condanna non più su uno o più giornali, bensì sul sito INTERNET del Ministero della giustizia, per un periodo non superiore ai trenta giorni.

 

Il comma 2 apporta alcune modifiche al codice di procedura penale, che si rendono necessarie ai fini del coordinamento con le nuove disposizioni introdotte col disegno di legge in esame.

In particolare:

-       l’abrogazione del comma 3-bis dell’articolo 262 e del comma 1 dell’articolo 676, conseguono all’introduzione delle nuove modalità di devoluzione allo Stato delle somme giacenti in sequestro non confiscate e non restituite, introdotte dalle nuove disposizioni dell’art. 154 e dell’art. 205 del testo unico sulle spese di giustizia, così come modificati rispettivamente dal comma 5, lettera c) e lettera d) dell’articolo in esame (vedi infra);

-       l'abrogazione del comma 1 dell'articolo 535, è conseguente all’introduzione della nuova disciplina in materia di riscossione dei crediti erariali (vedi infra);

-       l’abrogazione del comma 1 dell'articolo 536, mira a coordinare le disposizioni del codice di procedura penale con gli interventi sulla pubblicazione delle sentenze di condanna sopra descritti.

 

Il comma 4 interviene sulle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, introducendo l’articolo 187-ter, il quale stabilisce la devoluzione di diritto, allo Stato, delle somme di denaro depositate presso gli uffici postali, le banche o altri enti, in relazione a procedure esecutive, non riscosse o non reclamate dagli aventi diritto entro cinque anni dalla data in cui è divenuta definitiva l'ordinanza di distribuzione, ovvero dal passaggio in giudicato della sentenza che definisce la controversia.

Particolari disposizioni sono dettate in relazione alla comunicazione della devoluzione.

E’ infine specificato che gli importi versati sono assegnati con decreti del Ministro dell'economia e delle finanze, alle unità previsionali di base dello stato di previsione del Ministero della giustizia concernenti le spese di funzionamento dell'organizzazione giudiziaria.

 

Il comma 5 disciplina gli interventi sul testo unico delle disposizioni in materia di spese di giustizia (decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002).

La lettera a), inserisce dopo il titolo XIV (Registrazione degli atti giudiziari nel processo civile e amministrativo) un nuovo titolo XIV-bis, (Registrazione degli atti giudiziari nel processo penale)composto di due articoli in materia di termini e di procedura per la registrazione degli atti.

In particolare sono introdotti:

-       l’art. 73-bis, che stabilisce che la registrazione della sentenza di condanna deve essere chiesta entro cinque giorni dal passaggio in giudicato.

-       l’art. 73-ter che prevede che la trasmissione della sentenza all’ufficio finanziario sia effettuata dal funzionario addetto all'ufficio del giudice, diverso dalla Corte di cassazione, il cui provvedimento è passato in giudicato o presso il quale è divenuto definitivo

Come messo in luce dalla relazione illustrativa, l’effetto di tali disposizioni dovrebbe essere quello di evitare l'eventualità di una trasmissione inutile di atti per la registrazione, con particolare riguardo alle sentenze emesse dal giudice di primo grado, qualora l'imputato condannato in sede di giudizio di primo grado sia assolto dal giudice dell'impugnazione.

 

La lettera b), modifica l'articolo 111 del citato testo unico, in materia di recupero delle spese nei confronti dell'imputato ammesso al patrocinio a spese dello Stato.

In primo luogo si chiarisce che non si procede ad alcun recupero nel caso di imputato ammesso a tale patrocinio. Inoltre, in conseguenza delle modifiche apportate dal disegno di legge al sistema di determinazione delle spese processuali penali, si prevede - nella specifica ipotesi di revoca del beneficio del patrocinio – che vadano riscosse le spese forfetizzate, quelle sostenute dall'erario per la difesa, nonché il contributo unificato e l’imposta di registro.

 

La lettera c) modifica l'articolo 154 del testo unico, in materia di destinazione del ricavato della vendita e di somme e valori, aggiungendovi i commi 3-bis e 3-ter, concernenti specificamente la devoluzione allo Stato dei beni sequestrati.

Attualmente la disciplina di riferimento, introdotta dalla legge finanziaria per il 2008, è contenuta nell’art. 262, comma 3-bis, del codice di procedura penale che stabilisce che trascorsi cinque anni dalla data della sentenza non più soggetta ad impugnazione, le somme di denaro sequestrate, se non ne è stata disposta la confisca e nessuno ne ha chiesto la restituzione, reclamando di averne diritto, sono devolute allo Stato.

Le principali novità apportate dalle nuove disposizioni alla disciplina della devoluzione consistono:

-       nell’ampliamento dell'ambito di applicazione della norma non limitato più solo alle somme di denaro, ma esteso anche ai titoli al portatore, ai valori di bollo e ai crediti pecuniari con i relativi interessi;

-       nell’applicazione di essa anche dei depositi giacenti a seguito di provvedimento di archiviazione;

-       nella separazione della devoluzione dal procedimento esecutivo e dal provvedimento giudiziario e nel contestuale affidamento di essa alla cancelleria del giudice in forme semplificate.

 

Come precedentemente ricordato, il comma 3-bis dell’ articolo 262 c.p.p. è esplicitamente abrogato dal comma 2 dell’articolo in commento.

 


Si ricorda che l'art. 154 del Testo Unico disciplina la destinazione:

-        delle somme e valori sequestrati non ritirati dall'avente diritto: questi sono devoluti alla cassa delle ammende, decorsi tre mesi dalla comunicazione dell'avviso di cui di cui all'ultima parte del comma 4 dell'art. 150 T.U.;

-        delle somme e valori appartenenti a persona ignota o irreperibile: questi sono devoluti alla cassa delle ammende, decorsi sei mesi dalla data in cui la sentenza è divenuta irrevocabile ovvero dalla data in cui il provvedimento è divenuto definitivo;

-        del ricavato dalla vendita disposta ex art. 151 T.U.: questo, dedotte le spese prenotate a debito (contributo unificato e diritti di copia) e le spese anticipate dall'erario (le spese di spedizione o le indennità di trasferta per le notificazioni a richiesta dell'ufficio, le spese ed onorari agli ausiliari del magistrato, l'indennità di custodia, le spese per gli strumenti di pubblicità dei provvedimenti dell'autorità giudiziaria (art. 155 DPR n. 115/2002), è devoluto alla cassa delle ammende, decorsi tre mesi dalla data in cui è stata eseguita la vendita.

Per ciò che concerne le spese di custodia, è opportuno precisare che, sulla somma ricavata dalla vendita, vanno recuperate soltanto quelle anticipate dall'erario successivamente al provvedimento di dissequestro.

 

Le modifiche apportate dalla lettera d) attengono al cuore della disciplina del sistema di recupero delle spese di giustizia, di cui all’articolo 205 del testo unico più volte citato

La normativa attualmente vigente stabilisce che le spese del processo anticipate dall'erario sono recuperate per intero tranne i diritti e le indennità di trasferta spettanti all'ufficiale giudiziario nonché le spese di spedizione per la notificazione degli atti a richiesta di ufficio, che sono, invece, recuperati in misura fissa.

In base alle modifiche apportate al citato articolo 205, si semplifica la procedura di quantificazione del credito, stabilendosi che tutte le spese processuali penali sono recuperate in misura fissa, stabilita con decreto del Ministro della giustizia con riferimento al grado di giudizio e al tipo di procedimento. Sono recuperate per intero solo le spese per la pubblicazione della sentenza penale di condanna e le spese per la demolizione di opere abusive e riduzione in pristino dei luoghi.

Alcune novità riguardano anche le modalità di riscossione di specifiche spese (nuovi commi da 2-quater a 2-sexies dell’art. 205 T.U.) Al fine di evitare che residuino spese per le quali si debba procedere nei confronti di più debitori solidali, è infatti stabilito il ricorso alla riscossione pro quota, sia per quanto riguarda le spese per prestazioni a fini di giustizia effettuate a fronte di richieste di intercettazioni e di informazioni da parte delle competenti autorità giudiziarie, sia per le spese escluse dalla forfetizzazione ovvero spese di pubblicazione e spese per la demolizione di opere abusive e riduzione in pristino dei luoghi e le spese di natura tributaria.

Le lettere e) e f) contengono disposizioni di coordinamento del testo unico con le modificazioni ad esso apportate dall’articolo 52 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, in corso di conversione (A.C. 1386)

 

La lettera g) introduce gli articoli da 227-quater a 227-novies nella parte VII del testo unico (Riscossione), dopo gli artt.227-bis e 227-ter inseriti daldecreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, in corso di conversione (A.C. 1386).

 

Si ricorda che l’articolo 52 del decreto legge 112/2008 novella il testo unico in materia di spese di giustizia , per introdurvi due nuove disposizioni volte a disciplinare, nell’ambito della riscossione delle spese di giustizia, le fasi della quantificazione dell’importo dovuto (art. 227-bis) e della riscossione a mezzo ruolo (art. 227-ter).

L’articolo 227-bis stabilisce che per la quantificazione dell’importo dovuto si applica la disposizione dell’articolo 211. Tale disposizione (v. sopra) prevede che il funzionario quantifichi l’importo dovuto per spese sulla base degli atti, dei registri e delle norme che individuano la somma da recuperare e prenda atto degli importi stabiliti nei provvedimenti giurisdizionali per le pene pecuniarie, per le sanzioni amministrative pecuniarie e per le sanzioni pecuniarie processuali, specificando le varie voci dell’importo complessivo.

L’articolo 227-ter disciplina la riscossione a mezzo ruolo, attualmente già disciplinata dagli articoli 213-216 del testo unico.

Il decreto legge elimina la fase del c.d. adempimento spontaneo per prevedere che, dopo la quantificazione dell’importo dovuto (art. 227-bis) si proceda - entro un mese dal passaggio in giudicato o dalla definitività del provvedimento da cui sorge l’obbligo - con l’adempimento coattivo mediante iscrizione a ruolo (comma 1).

L’agente della riscossione dovrà notificare al debitore una comunicazione con l’intimazione a pagare l’importo dovuto nel termine di un mese e contestuale cartella di pagamento contenente l’intimazione ad adempiere entro 20 giorni, con l’avvertenza che in mancanza si procederà ad esecuzione forzata (comma 2). La disposizione precisa che se il ruolo è ripartito in più rate, l’intimazione ad adempiere contenuta nella cartella di pagamento produce effetti relativamente a tutte le rate (comma 3).

 

I suddetti nuovi articoli ridefiniscono la disciplina in materia di riscossione a mezzo ruolo, con riferimento in particolare:

-       alla formazione dei ruoli informatizzati (articolo 227-quater);

-       ad una generalizzata riduzione dei termini per la riscossione ( articolo 227-quinquies);

-       a specifiche disposizioni riguardanti i casi in cui, nell'ambito del processo penale, sia stato disposto il sequestro conservativo di somme di denaro nonché di crediti, beni mobili e immobili (articoli 227-sexies e 227-septies), nonché i casi di restituzione di cose sequestrate dopo il passaggio in giudicato del provvedimento di condanna (articolo 227-octies).

 

Il comma 6 apporta alcune modifiche all’articolo 1, comma 367, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (finanziaria per il 2008), in materia di riscossione dei crediti erariali relativi al processo penale affidati ad Equitalia.

Si ricorda che la legge finanziaria per il 2008 (legge 24 dicembre 2007, n. 244) all’articolo 1, commi 367-373, ha previsto che entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore della legge (e dunque entro il 30 aprile 2008) il Ministero della giustizia provvedesse alla stipula di una o più convenzioni con una società interamente posseduta da Equitalia spa (ex Riscossione s.p.a.) per la gestione e la riscossione del crediti derivanti da spese di giustizia previste dal DPR n. 115/2002[266].

Con riferimento alle spese ed alle pene pecuniarie previste dal Testo unico, risultanti dai provvedimenti passati in giudicato o divenuti definitivi a decorrere dal 1° gennaio2008, la citata Società stipulante dovrà provvedere alla gestione dei relativi crediti attraverso:

-        l'acquisizione dei dati anagrafici del debitore e supporto all'attività di quantificazione del credito effettuata dall'ufficio competente;

-        la notifica al debitore di un invito al pagamento entro un mese dal passaggio in giudicato o dalla definitività del provvedimento da cui sorge l'obbligo o dalla cessazione dell'espiazione della pena;

-        l'iscrizione a ruolo del credito, scaduto inutilmente il termine per l’adempimento spontaneo.

 

Le lettere a) e b) del comma in esame apportano modifiche alla disciplina della riscossione affidata ad Equitalia, conseguenti all’introduzione della nuova disciplina - precedentemente descritta - della quantificazione del credito dell'erario per spese di giustizia (art 205 del t.u. come modificato dal comma 5 lettera d) dell’articolo in commento) e con l'abolizione dell'invito al pagamento nella procedura di riscossione. dell’adempimento spontaneo (art. 227-ter del T.U. inserito dal decreto legge n. 112/2008 in corso di conversione)

 

La lettera c) sostituisce la lettera c) del comma 367 sopra citato, prevedendo la facoltà per gli agenti della riscossione di rateizzare il pagamento del credito. Viene espressamente esclusa la rateizzazione delle pene pecuniarie.

 

La lettera d) inserisce il nuovo comma 367-bis dopo il comma 367, prevedendo le modalità di notifica per gli atti indicati nell’art. 227-ter del testo unico sulle spese di giustizia.

Si ricorda che l’art. 227-ter, comma 2, prevede che l'agente della riscossione notifichi al debitore una comunicazione con l'intimazione a pagare l'importo dovuto nel termine di un mese e contestuale cartella di pagamento contenente l'intimazione ad adempiere entro il termine di giorni venti successivi alla scadenza del termine di cui alla comunicazione con l'avvertenza che in mancanza si procederà ad esecuzione forzata.


 

Articolo 64
(Abrogazioni e modificazione di norme)

 


1. Dalla data di entrata in vigore della presente legge:

a) l'articolo 25 (L) del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, è abrogato;

b) al comma 1 dell'articolo 243 (R) del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, le parole: «e le somme relative ai diritti di cui all'articolo 25» sono soppresse;

c) gli articoli 1, comma 372, e 2, commi da 612 a 614, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, sono abrogati. Conseguentemente, gli articoli 211 (R), 212 (R) e 213 (R) del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, si applicano nel testo vigente prima della data di entrata in vigore della citata legge n. 244 del 2007.


 

 

L’articolo 64 dispone l’abrogazione di alcune norme, resa necessaria dall’introduzione della nuova disciplina in materia di spese di giustizia.

In particolare:

-       le lettere a) e b) dispongono rispettivamente l’abrogazione dell'articolo 25 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, e il comma 1 dell’articolo 243 limitatamente al riferimento al suddetto articolo 25, in materia di quota forfetaria spettante all’ufficiale giudiziario. L’abrogazione di tali disposizioni è conseguente alle modifiche introdotte dall’articolo 63 del disegno di legge in esame all’art. 205 del citato testo unico (vedi commento all’art. 64, comma 5, lettera d)

-       la lettera c) dispone in primo luogo l’abrogazione dell’articolo 1, comma 372 e conseguentemente, che gli articoli 211, 212 e 213 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, si applicano nel testo vigente prima della data di entrata in vigore della citata legge n. 244 del 2007.

Il comma 372, dispone, dalla data di stipula della convenzione con Equitalia spa, di cui al comma 367, l'abrogazione degli articoli 211, 212 e 213 del citato Testo unico in materia di spese di giustizia relativi alla iscrizione a ruolo del credito. Tale abrogazione è connessa alle nuove competenze previste in capo alla Società stipulante la convenzione con il Ministero della Giustizia.

Si evidenzia che, ad oggi, le convenzioni non sono state stipulate e che pertanto gli articoli 211, 212 e 213 sono in vigore.

 

In secondo luogo la medesima lettera c) dispone l’abrogazione dell’articolo 2, commi da 612 a 614, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria per il 2008) . Tale abrogazione è conseguente all’introduzione della nuova disciplina in materia di devoluzione allo Stato delle somme giacenti in sequestro non confiscate e non restituite e consegue altresì l’abrogazione del comma 3-bis dell’articolo 262 c.p.p. disposta dall’articolo 63, comma 2 sopra descritto.

Il comma 612 della legge finanziaria 2008 ha introdotto nel codice di procedura penale, all’articolo 262, il comma 3-bis in materia di devoluzione allo Stato delle somme giacenti in sequestro non confiscate e non restituite. I commi 613 e 614 fanno riferimento alla disciplina introdotta con il comma 612.

 


 

Articolo 65
(Clausole generali e certificazione)

 


1. In tutti i casi nei quali le disposizioni di legge nelle materie di cui all'articolo 409 del codice di procedura civile e all'articolo 63, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, contengano clausole generali, ivi comprese le norme in tema di instaurazione di un rapporto di lavoro, esercizio dei poteri datoriali, trasferimento di azienda e recesso, il controllo giudiziale è limitato esclusivamente, in conformità ai princìpi generali dell'ordinamento, all'accertamento del presupposto di legittimità e non può essere esteso al sindacato di merito sulle valutazioni tecniche, organizzative e produttive che competono al datore di lavoro o al committente.

2. Nella qualificazione del contratto di lavoro e nell'interpretazione delle relative clausole il giudice non può discostarsi dalle valutazioni delle parti espresse in sede di certificazione dei contratti di lavoro di cui al titolo VIII del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni, salvo il caso di erronea qualificazione del contratto, di vizi del consenso o di difformità tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione.

3. Nel valutare le motivazioni poste a base del licenziamento, il giudice fa riferimento alle tipizzazioni di giusta causa e di giustificato motivo presenti nei contratti collettivi di lavoro stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi ovvero nei contratti individuali di lavoro ove stipulati con l'assistenza e la consulenza delle commissioni di certificazione di cui al titolo VIII del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni. Nel definire le conseguenze da riconnettere al licenziamento, il giudice tiene ugualmente conto di elementi e di parametri fissati dai predetti contratti e comunque considera le dimensioni e le condizioni dell'attività esercitata dal datore di lavoro, la situazione del mercato del lavoro locale, l'anzianità e le condizioni del lavoratore, nonché il comportamento delle parti anche prima del licenziamento.

4. L'articolo 75 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente:

«Art. 75. - (Finalità). - 1. Al fine di ridurre il contenzioso in materia di lavoro le parti possono ottenere la certificazione dei contratti in cui sia dedotta, direttamente o indirettamente, una prestazione di lavoro secondo la procedura volontaria stabilita nel presente titolo».

5. Dall'attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Gli adempimenti previsti dal presente articolo sono svolti nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.


 

 

L’articolo 65 reca disposizioni relative al controllo giudiziale sul rispetto delle “clausole generali” contenute nelle leggi, nonché sulla certificazione dei contratti di lavoro.

 

In particolare il comma 1 è volto a delimitare il potere di controllo giudiziale sulla ricorrenza dei presupposti previsti dalle “clausole generali” contenute nelle disposizioni di legge relative ai rapporti di lavoro subordinato privato e agli altri rapporti di lavoro (sostanzialmente di carattere “parasubordinato”) di cui all’articolo 409 c.p.c., nonché ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 63, comma 1, del D.Lgs. 165/2001.

 

Si ricorda che l’articolo 63, comma 1, del D.Lgs. 165/2001 attribuisce alla giurisdizione del giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni - ad eccezione di quelle relative ai rapporti di lavoro del personale in regime di diritto pubblico di cui all’articolo 3 del medesimo decreto legislativo[267] (cfr. infra) - incluse le controversie concernenti l'assunzione al lavoro, il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali e la responsabilità dirigenziale, nonché quelle concernenti le indennità di fine rapporto, anche se vengano in questione atti amministrativi presupposti, i quali, se sono rilevanti ai fini della decisione, sono disapplicati dal giudice se illegittimi.

Si consideri, inoltre, che il comma 4 del medesimo articolo 63 dispone che restano devolute al giudice amministrativo le controversie in materia di procedure concorsuali per il reclutamento dei dipendenti pubblici, nonché, in sede di giurisdizione esclusiva, le controversie relative ai menzionati rapporti di lavoro del personale in regime di diritto pubblico, ivi comprese le controversie relative ai diritti patrimoniali connessi.

 

A titolo esemplificativo, il comma in esame indica alcune ipotesi di “clausole generali”, quali le norme in materia di instaurazione del rapporto di lavoro e recesso dal medesimo rapporto, esercizio dei poteri del datore di lavoro, trasferimento di azienda.

Si evidenzia, al riguardo, che dalla relazione illustrativa si desume che per “clausole generali” si intendono quelle disposizioni legislative che, al fine di definire l’ambito di legittimità del ricorso a particolari tipologie di lavoro o a decisioni delle parti, non fanno riferimento a specifiche causali tipizzate, bensì stabiliscono requisiti di carattere generale e quindi flessibili, seppur effettivi e verificabili.

 

Sarebbe tuttavia opportuno specificare meglio, nel testo del comma 1 in esame, al fine di evitare dubbi interpretativi, cosa si intende per “clausole generali”.

 

Con riferimento alle predette “clausole generali”, nelle menzionate materie, pertanto, il comma in esame dispone che il controllo giudiziale deve limitarsi esclusivamente all’accertamento del presupposto di legittimità e non può estendersi al sindacato di merito sulle valutazioni tecniche, organizzative e produttive che spettano al datore di lavoro o al committente.

 

I commi 2 e 3, invece, al fine di promuovere e incentivare l’istituto della certificazione dei contratti di lavoro, recano disposizioni volte a rafforzare il valore vincolante (anche nei confronti del giudice) dell’accertamento effettuato in tale sede.

In particolare, il comma 2 interviene sulla possibilità per il giudice di discostarsi da quanto previsto in sede di certificazione del contratto di lavoro.

 

Si ricorda che il D.Lgs. 276/2003[268], concernente la riforma del mercato del lavoro, conseguentemente all’introduzione delle nuove tipologie di lavoro flessibile, prevede una procedura di certificazione del contratto stipulato tra le parti.

Si tratta di una procedura volontaria di certificazione dei contratti di lavoro presso specifiche Commissioni di certificazione, al fine di ridurre il contenzioso in materia di individuazione della tipologia del contratto di lavoro stipulato in concreto. Tale certificazione, sostanzialmente, consente di attribuire piena forza legale al contratto, precludendo la possibilità di ricorso in giudizio se non per erronea qualificazione del contratto, difformità tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione o vizi del consenso e mantenendo la sua efficacia giuridica fino all’accoglimento di uno dei ricorsi giurisdizionali esperibili.

Possono svolgere la procedura di certificazione, che è volontaria e consegue necessariamente a una istanza scritta comune delle parti del contratto di lavoro (articolo 78), le Commissioni di certificazione istituite presso (articolo 76):

-        gli enti bilaterali costituiti su iniziativa di associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentativi. Tali enti possono altresì certificare le rinunzie e le transazioni di cui all’articolo 2113 c.c. (articolo 82);

-        le Direzioni provinciali del lavoro, secondo quanto stabilito da apposito decreto del Ministro del lavoro;

-        le Università, pubbliche e private, esclusivamente nell’ambito di rapporti di collaborazione e consulenza attivati con docenti di diritto del lavoro di ruolo, ai sensi dell’articolo 66 del D.P.R. 382/1980;

-        il Ministero del lavoro - Direzione generale della tutela delle condizioni di lavoro, esclusivamente nei casi in cui il datore di lavoro abbia le proprie sedi di lavoro in almeno due province anche di regioni diverse, ovvero per quei datori di lavoro con unica sede di lavoro associati ad organizzazioni imprenditoriali che abbiano predisposto a livello nazionale schemi di convenzioni certificati dalla commissione di certificazione istituita presso il Ministero del lavoro, nell'ambito delle risorse umane e strumentali già operanti presso la Direzione generale della tutela delle condizioni di lavoro;

-        i consigli provinciali dei consulenti del lavoro di cui alla L. 12/1979, esclusivamente per i contratti di lavoro instaurati nell'ambito territoriale di riferimento.

 

Tali sedi di certificazione svolgono anche funzioni di consulenza ed assistenza effettiva alle parti del contratto di lavoro (articolo 81).

L’articolo 78 disciplina il procedimento di certificazione, che è volontario e richiede una istanza scritta delle parti del contratto di lavoro. In particolare le procedure di certificazione sono determinate all’atto della costituzione delle commissioni di certificazione dalle Direzioni provinciali del lavoro, dagli enti bilaterali e dalle Università (pubbliche e private, comprese le Fondazioni universitarie). Tali procedure, inoltre, sono svolte nel rispetto dei codici di buone pratiche, nonché di specifici principi, quali:

-        l’obbligo di comunicazione di inizio procedimento alle Direzioni provinciali del lavoro, che provvedono ad inoltrare la comunicazione alle autorità pubbliche nei confronti delle quali l’atto di certificazione è destinato a produrre effetti. Tali autorità possono presentare osservazioni alle commissioni di certificazione;

-        il procedimento di certificazione deve essere concluso entro il termine di 30 giorni dal ricevimento dell’istanza;

-        la motivazione dell’atto di certificazione, il quale deve contenere anche il termine e l’autorità cui è possibile ricorrere;

-        infine, l’atto di certificazione deve contenere un’esplicita menzione degli effetti civili, amministrativi, previdenziali o fiscali, in relazione ai quali le parti richiedono la certificazione.

I codici di buone pratiche, adottati con decreto del Ministro del lavoro, hanno il fine di individuare le clausole indisponibili in sede di certificazione dei rapporti di lavoro, con specifico riferimento ai diritti e ai trattamenti economici e normativi. I codici devono recepire, se esistenti, le indicazioni contenute negli accordi interconfederali stipulati dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

I moduli e i formulari per la certificazione del contratto o del relativo programma negoziale, definiti con apposito decreto del Ministro del lavoro, devono tenere conto, all’uopo, degli orientamenti giurisprudenziali prevalenti in materia di qualificazione del contratto di lavoro, come autonomo o subordinato, in relazione alle diverse tipologie di lavoro.

Come precisato dall’articolo 79, gli effetti dell’accertamento dell’organo certificatore permangono, anche verso i terzi, fino al momento in cui sia stato accolto, con sentenza di merito, uno dei risorsi giurisdizionali esperibili ai sensi dell’articolo 80.

Ai sensi dell’articolo 80, nei confronti dell’atto di certificazione, le parti e i terzi interessati dagli effetti dell’atto stesso possono proporre ricorso presso il tribunale con funzioni del giudice del lavoro, per vizi del consenso, erronea qualificazione del contratto, oppure difformità, tra il programma negoziale certificato e la sua attuazione. Tuttavia, chiunque intenda presentare ricorso giurisdizionale contro la certificazione, deve obbligatoriamente rivolgersi alla commissione di certificazione che ha adottato l’atto di certificazione per espletare un tentativo di obbligatorio di conciliazione, ai sensi dell’articolo 410 c.p.c.[269].

L’accertamento giurisdizionale per erroneità della qualificazione ha effetto dal momento della conclusione dell’accordo contrattuale, mentre l’accertamento per difformità ha effetto a decorrere dal momento in cui la sentenza accerta l’inizio della difformità.

Il giudice del lavoro, inoltre, terrà conto del comportamento complessivo tenuto dalle parti in sede di certificazione del rapporto di lavoro e di definizione della controversia dinanzi alla commissione di certificazione, ai fini di quanto previsto dagli artt. 91, 92 e 96 c.p.c.[270].

Inoltre, le parti possono presentare ricorso contro l'atto certificatorio, dinnanzi al tribunale amministrativo regionale nella cui giurisdizione ha sede la commissione che ha certificato il contratto, per violazione del procedimento o per eccesso di potere.

Infine, la disciplina in questione prevede ulteriori ipotesi in cui si può far ricorso alle procedure di certificazione: rinunzie e transazioni del lavoratore (articolo 82), deposito del regolamento interno delle cooperative (articolo 83), stipulazione di appalto e attuazione del relativo programma negoziale anche ai fini della distinzione concreta tra somministrazione di lavoro e appalto (articolo 84).

 

Con la disposizione in esame si prevede che il giudice, nella qualificazione del contratto di lavoro e nell’interpretazione delle clausole in esso contenute, non può discostarsi dalle valutazioni delle parti espresse nell’ambito della certificazione dei contratti di lavoro, salvo nei casi di erronea qualificazione del contratto, di vizi del consenso o di difformità tra la previsione negoziale certificata e la sua attuazione.

 

Invece, il comma 3 reca disposizioni relative agli elementi presenti nei contratti collettivi e individuali di lavoro di cui il giudice deve tener conto nei contenzioni relativi ai licenziamenti individuali (si rinvia alla ricostruzione normativa relativa ai licenziamenti individuali contenuta nella scheda relativa all’articolo 67).

In particolare, si dispone che il giudice, nel valutare le motivazioni poste alla base del licenziamento, deve far riferimento alle tipizzazioni di giusta causa e di giustificato motivo presenti nei contratti collettivi di lavoro ovvero nei contratti individuali di lavoro se stipulati con l’assistenza delle summenzionate commissioni di certificazione.

Analogamente, il giudice deve tener conto degli elementi e dei parametri appositamente individuati dai suddetti contratti, nello stabilire “le conseguenze da riconnettere al licenziamento”. A tal fine, inoltre, il giudice deve comunque tener conto di una serie di elementi di fatto: dimensioni e condizioni dell’attività del datore di lavoro; situazione del mercato del lavoro locale; anzianità e condizioni del lavoratore; comportamento delle parti contrattuali anche nel periodo precedente al licenziamento.

Si osserva che sarebbe opportuno chiarire, nel testo, il riferimento a “le conseguenze da riconnettere al licenziamento”, per definire le quali il giudice deve tener conto di determinati elementi e parametri indicati dalla norma. Sembrerebbe che la norma intenda stabilire gli elementi e i parametri che il giudice deve considerare allorché debba determinare l’indennità prevista dalla normativa vigente in caso di licenziamento illegittimo per mancanza della giusta causa o del giustificato motivo (nei casi in cui al lavoratore si applichi la “tutela obbligatoria”contro i licenziamenti illegittimi).

In proposito si rileva inoltre che la norma in esame andrebbe coordinata con l’articolo 8 della L. 604/1966, che, per i casi di licenziamento illegittimo non rientranti nell’ambito di applicazione della “tutela reale” di cui all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (L. 300/1970), pone a carico del datore di lavoro l’obbligo di riassumere il lavoratore oppure di risarcirlo con un’indennità da stabilirsi, tra un minimo e un massimo indicato dalla legge, sulla base di determinati parametri simili ma non del tutto coincidenti con quelli indicati dalla norma in esame.

 

Il menzionato articolo 8 della L. 604/1966 dispone che, ove non ricorrano gli estremi della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento, "il datore di lavoro è tenuto a riassumere il prestatore di lavoro entro il termine di tre giorni o, in mancanza, a risarcire il danno versandogli un'indennità di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità dell'ultima retribuzione di fatto, avuto riguardo al numero dei dipendenti occupati, alle dimensioni dell'impresa, all'anzianità di servizio del prestatore di lavoro, al comportamento e alle condizioni delle parti. La misura massima della predetta indennità può essere maggiorata fino a 10 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore a dieci anni e fino a 14 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore a venti anni, se dipendenti da datore di lavoro che occupa più di quindici prestatori di lavoro".

 

Il comma 4 provvede a riformulare l’articolo 75 del D.Lgs. 276/2003, che individua la finalità della procedura di certificazione (cfr. supra).

A parte differenze di carattere prettamente formale, la formulazione prevista dalla disposizione in esame sembrerebbe voler ampliare, anche sul piano definitorio, l’ambito di intervento della certificazione, dal momento che, mentre la il testo vigente fa riferimento al “contenzioso in materia di qualificazione dei contratti di lavoro”, la disposizione in esame in maniera più generale si riferisce al “contenzioso in materia di lavoro”.

 

Infine il comma 5 stabilisce che dall’attuazione dell’articolo in esame non devono derivare nuovi oneri per la finanza pubblica.

 


 

Articolo 66
(Conciliazione e arbitrato)

 


1. L'articolo 410 del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:

«Art. 410. - (Tentativo di conciliazione). - Chi intende proporre in giudizio una domanda relativa ai rapporti previsti dall'articolo 409 del presente codice e dall'articolo 63, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, può promuovere, anche tramite l'associazione sindacale alla quale aderisce o conferisce mandato, un previo tentativo di conciliazione presso la commissione di conciliazione individuata secondo i criteri di cui all'articolo 413.

La comunicazione della richiesta di espletamento del tentativo di conciliazione interrompe la prescrizione e sospende, per la durata del tentativo di conciliazione e per i venti giorni successivi alla sua conclusione, il decorso di ogni termine di decadenza.

Le commissioni di conciliazione sono istituite presso la direzione provinciale del lavoro. La commissione è composta dal direttore dell'ufficio stesso o da un suo delegato, in qualità di presidente, da quattro rappresentanti effettivi e da quattro supplenti dei datori di lavoro e da quattro rappresentanti effettivi e da quattro supplenti dei lavoratori, designati dalle rispettive organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative.

Le commissioni, quando se ne ravvisi la necessità, affidano il tentativo di conciliazione a proprie sottocommissioni, presiedute dal direttore della direzione provinciale del lavoro o da un suo delegato, che rispecchino la composizione prevista dal terzo comma. In ogni caso per la validità della riunione è necessaria la presenza del presidente e di almeno un rappresentante dei datori di lavoro e almeno un rappresentante dei lavoratori.

La richiesta del tentativo di conciliazione, sottoscritta dall'istante, è consegnata o spedita mediante raccomandata con avviso di ricevimento. Copia della richiesta del tentativo di conciliazione deve essere consegnata o spedita a cura della stessa parte istante alla controparte.

La richiesta deve precisare:

1) nome, cognome e residenza dell'istante e del convenuto; se l'istante o il convenuto sono una persona giuridica, un'associazione non riconosciuta o un comitato, l'istanza deve indicare la denominazione o la ditta nonché la sede;

2) il luogo ove è sorto il rapporto ovvero dove si trova l'azienda o sua dipendenza alla quale è addetto il lavoratore o presso la quale egli prestava la sua opera al momento della fine del rapporto;

3) il luogo dove devono essere fatte alla parte istante le comunicazioni inerenti alla procedura;

4) l'esposizione dei fatti e delle ragioni posti a fondamento della pretesa.

Entro venti giorni dal ricevimento della copia della richiesta, la controparte deposita presso la commissione di conciliazione una memoria contenente le difese e le eccezioni in fatto e in diritto, le eventuali domande in via riconvenzionale e l'indicazione dei mezzi di prova. Entro i dieci giorni successivi al deposito, la commissione fissa la comparizione delle parti per il tentativo di conciliazione, che deve essere tenuto entro i successivi trenta giorni. Dinanzi alla commissione il lavoratore può farsi rappresentare o assistere anche da un'organizzazione cui aderisce o conferisce mandato.

La conciliazione della lite da parte di chi rappresenta la pubblica amministrazione, anche in sede giudiziale ai sensi dell'articolo 420, commi primo, secondo e terzo, non può dar luogo a responsabilità amministrativa».

2. L'articolo 411 del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:

«Art. 411. - (Processo verbale di conciliazione). - Se la conciliazione esperita ai sensi dell'articolo 410 riesce, anche limitatamente ad una parte della domanda, viene redatto separato processo verbale sottoscritto dalle parti e dai componenti della commissione di conciliazione. Il verbale costituisce titolo esecutivo a seguito di provvedimento del giudice su istanza della parte interessata.

Se non si raggiunge l'accordo tra le parti, la commissione di conciliazione deve formulare una proposta per la bonaria definizione della controversia. Se la proposta non è accettata, i termini di essa sono riassunti nel verbale con indicazione delle valutazioni espresse dalle parti.

Ove il tentativo di conciliazione sia stato richiesto dalle parti, al ricorso depositato ai sensi dell'articolo 415 devono essere allegati i verbali e le memorie concernenti il tentativo di conciliazione non riuscito».

3. L'articolo 412 del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:

«Art. 412. - (Risoluzione arbitrale della controversia). - In qualunque fase del tentativo di conciliazione, o al suo termine in caso di mancata riuscita, le parti possono accordarsi per la risoluzione della lite, affidando alla commissione di conciliazione il mandato a risolvere in via arbitrale la controversia.

Nel conferire mandato per la risoluzione arbitrale della controversia, le parti devono indicare:

1) il termine per l'emanazione del lodo, spirato il quale l'incarico deve intendersi revocato;

2) le norme che la commissione deve applicare al merito della controversia, ivi compresa la decisione secondo equità, nel rispetto dei princìpi generali dell'ordinamento.

Il lodo emanato a conclusione dell'arbitrato, sottoscritto dagli arbitri e autenticato, produce tra le parti gli effetti di cui all'articolo 1372 e all'articolo 2113, quarto comma, del codice civile e ha efficacia di titolo esecutivo ai sensi dell'articolo 474 del presente codice a seguito del provvedimento del giudice su istanza della parte interessata ai sensi dell'articolo 825.

Il lodo è impugnabile ai sensi dell'articolo 808-ter».

4. L'articolo 412-ter del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:

«Art. 412-ter. - (Altre modalità di conciliazione previste dalla contrattazione collettiva). - La conciliazione, nelle materie di cui all'articolo 409 del presente codice e all'articolo 63, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, può essere svolta altresì presso le sedi previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative.

Si applicano, in quanto compatibili, le norme di cui agli articoli 410, 411 e 412».

5. L'articolo 412-quater del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:

«Art. 412-quater. - (Altre modalità di conciliazione e arbitrato). - Ferma restando la facoltà di ciascuna delle parti di adire l'autorità giudiziaria e di avvalersi delle procedure di conciliazione e di arbitrato previste dalla legge, le controversie di cui all'articolo 409 del presente codice e all'articolo 63, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, possono essere altresì proposte innanzi al collegio di conciliazione e arbitrato irrituale costituito secondo quanto previsto dai commi seguenti. È nulla ogni clausola del contratto individuale di lavoro o comunque pattuita che obblighi una parte o entrambe a proporre le controversie indicate nel periodo precedente al collegio di conciliazione e arbitrato.

Il collegio di conciliazione e arbitrato è composto da un rappresentante di ciascuna delle parti e da un terzo membro, in funzione di presidente, scelto di comune accordo dagli arbitri di parte tra i professori universitari di materie giuridiche e gli avvocati ammessi al patrocinio davanti alla Corte di cassazione.

La parte che intenda ricorrere al collegio di conciliazione e arbitrato deve notificare all'altra parte un ricorso sottoscritto, salvo che si tratti di una pubblica amministrazione, da un avvocato al quale abbia conferito mandato e presso il quale deve eleggere il domicilio. Il ricorso deve contenere la nomina dell'arbitro di parte e indicare l'oggetto della domanda, le ragioni di fatto e di diritto sulle quali si fonda la domanda stessa, i mezzi di prova e il valore della controversia entro il quale si intende limitare la domanda.

Se la parte convenuta intende accettare la procedura di conciliazione e arbitrato nomina il proprio arbitro di parte, il quale entro trenta giorni dalla notifica del ricorso procede, ove possibile, concordemente con l'altro arbitro, alla scelta del presidente e della sede del collegio. Ove ciò non avvenga ciascuna delle parti è libera di adire l'autorità giudiziaria.

In caso di scelta concorde del terzo arbitro e della sede del collegio, la parte convenuta, entro trenta giorni da tale scelta, deve depositare presso la sede del collegio una memoria difensiva sottoscritta, salvo che si tratti di una pubblica amministrazione, da un avvocato cui abbia conferito mandato e presso il quale deve eleggere il domicilio. La memoria deve contenere le difese e le eccezioni in fatto e in diritto, le eventuali domande in via riconvenzionale e l'indicazione dei mezzi di prova.

Entro dieci giorni dal deposito della memoria difensiva il ricorrente può depositare presso la sede del collegio una memoria di replica senza modificare il contenuto del ricorso. Nei successivi dieci giorni il convenuto può depositare presso la sede del collegio una controreplica senza modificare il contenuto della memoria difensiva.

Il collegio fissa il giorno dell'udienza, da tenere entro trenta giorni dalla scadenza del termine per la controreplica del convenuto, dandone comunicazione alle parti nel domicilio eletto almeno dieci giorni prima.

All'udienza il collegio esperisce il tentativo di conciliazione. Se la conciliazione riesce si applicano le disposizioni dell'articolo 411, commi primo e terzo, del presente codice, e dell'articolo 66, comma 8, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.

Se la conciliazione non riesce il collegio provvede, ove occorra, a interrogare le parti e ad ammettere ed espletare le prove, altrimenti invita all'immediata discussione orale. Nel caso di ammissione delle prove il collegio può rinviare ad altra udienza, a non più di dieci giorni di distanza, per l'assunzione delle stesse e la discussione orale.

La controversia è decisa, entro venti giorni dall'udienza di discussione, mediante un lodo. Il lodo è impugnabile ai sensi dell'articolo 808-ter.

Il compenso del presidente del collegio è fissato in misura pari al 2 per cento del valore della controversia dichiarato in ricorso ed è versato dalle parti per metà ciascuna presso la sede del collegio mediante assegni circolari intestati al presidente almeno cinque giorni prima dell'udienza. Ciascuna parte provvede a compensare l'arbitro da essa nominato. Le spese legali e quelle per il compenso del presidente e dell'arbitro di parte, queste ultime nella misura dell'1 per cento del suddetto valore della controversia, sono liquidate nel lodo ai sensi degli articoli 91, primo comma, e 92.

I contratti collettivi nazionali di categoria possono istituire un fondo per il rimborso al lavoratore delle spese per il compenso del presidente del collegio e del proprio arbitro di parte».

6. In deroga a quanto previsto dall'articolo 412-quater del codice di procedura civile, i contratti collettivi nazionali di lavoro possono prevedere clausole compromissorie che comportino la devoluzione della controversia al collegio arbitrale anche sulla base di forme di adesione tacita dei soggetti interessati alla procedura arbitrale.

7. Le controversie di cui all'articolo 409 del codice di procedura civile possono essere decise da arbitri, oltre che nei casi previsti dall'articolo 806 del medesimo codice e dall'articolo 5 della legge 11 agosto 1973, n. 533, e successive modificazioni, anche qualora il contratto e la clausola compromissoria ivi contenuta, ovvero il compromesso, siano stati certificati in base alle norme di cui al titolo VIII del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni. Le commissioni di certificazione accertano che la clausola compromissoria, ovvero il compromesso, contenga, anche mediante rinvio a regolamenti preesistenti dei collegi arbitrali, i criteri per la liquidazione dei compensi spettanti agli arbitri e il termine entro il quale il lodo deve essere emanato.

8. Gli organi di certificazione di cui all'articolo 76 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni, possono istituire camere arbitrali per la definizione, ai sensi dell'articolo 808-ter del codice di procedura civile, delle controversie nelle materie di cui all'articolo 409 del medesimo codice e all'articolo 63, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. Le commissioni di cui al citato articolo 76 del decreto legislativo n. 276 del 2003, e successive modificazioni, possono concludere convenzioni con le quali prevedano la costituzione di camere arbitrali unitarie. Si applica, in quanto compatibile, l'articolo 412, commi terzo e quarto, del codice di procedura civile.

9. Presso le sedi di certificazione può altresì essere esperito il tentativo di conciliazione di cui all'articolo 410 del codice di procedura civile.

10. All'articolo 82 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, le parole: «di cui all'articolo 76, comma 1, lettera a), del presente decreto legislativo» sono soppresse.

11. Il comma 2 dell'articolo 83 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, è abrogato.

12. All'articolo 2113, quarto comma, del codice civile, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «e dell'articolo 82 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni».

13. Il secondo comma dell'articolo 410-bis e l'articolo 412-bis del codice di procedura civile sono abrogati.

14. Dall'attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Gli adempimenti previsti dal presente articolo sono svolti nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.


 

 

L’articolo in esame interviene sulla disciplina del processo del lavoro contenuta nel codice di procedura civile disponendo, in particolare, in materia di conciliazione ed arbitrato.

La novella, che interessa gli articoli 410, 411, 412, 412-ter e 412-quater del codice di rito, mira ad introdurre, nei contenziosi di lavoro, una nuova disciplina della procedura del tentativo di conciliazione, da tenere presso le apposite commissioni istituite presso le Direzioni provinciali del lavoro.

Gli artt. 410 e 411 dettano specifiche disposizioni sul procedimento e sul processo verbale di conciliazione, mentre l’art. 412 prevede la possibile risoluzione arbitrale della controversia (devoluta alla citata commissione dalle stesse parti in qualunque momento del tentativo di conciliazione in corso) e gli effetti esecutivi del lodo raggiunto.

Gli articoli 412-ter e 412-quater, prevedono, rispettivamente, che i tentativi di conciliazione possono essere svolti anche nelle forme previste dalla contrattazione collettiva (412-ter) nonché la possibile proposizione delle liti in oggetto davanti ad appositi collegi di conciliazione e arbitrato irrituale, in relazione ai cui giudizi sono dettati specifici passaggi procedimentali (art. 412-quater).

Delle norme indicate, relative ai primi cinque commi dell’art. 66, è predisposto un testo a fronte che evidenzia le novelle introdotte nel codice di rito civile.

 

 

Codice di Procedura Civile

AC 1441 (Governo)

 

 

Art. 410

Art. 410

Tentativo obbligatorio di conciliazione

Tentativo di conciliazione

1. Chi intende proporre in giudizio una domanda relativa ai rapporti previsti dall'articolo 409 e non ritiene di avvalersi delle procedure di conciliazione previste dai contratti e accordi collettivi deve promuovere, anche tramite l'associazione sindacale alla quale aderisce o conferisca mandato, il tentativo di conciliazione presso la commissione di conciliazione individuata secondo i criteri di cui all'articolo 413.

1. Chi intende proporre in giudizio una domanda relativa ai rapporti previsti dall'articolo 409 del presente codice e dall'articolo 63, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, può promuovere, anche tramite l'associazione sindacale alla quale aderisce o conferisce mandato, un previo tentativo di conciliazione presso la commissione di conciliazione individuata secondo i criteri di cui all'articolo 413.

2. La comunicazione della richiesta di espletamento del tentativo di conciliazione interrompe la prescrizione e sospende, per la durata del tentativo di conciliazione e per i venti giorni successivi alla sua conclusione, il decorso di ogni termine di decadenza.

2. Identico.

3. La commissione, ricevuta la richiesta tenta la conciliazione della controversia, convocando le parti, per una riunione da tenersi non oltre dieci giorni dal ricevimento della richiesta.

[cfr. infra, comma 7]

4. Con provvedimento del direttore dell'ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione è istituita in ogni provincia presso l'ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione, una commissione provinciale di conciliazione composta dal direttore dell'ufficio stesso, o da un suo delegato, in qualità di presidente, da quattro rappresentanti effettivi e da quattro supplenti dei datori di lavoro e da quattro rappresentanti effettivi e da quattro supplenti dei lavoratori, designati dalle rispettive organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative su base nazionale.

3. Le commissioni di conciliazione sono istituite presso la direzione provinciale del lavoro. La commissione è composta dal direttore dell'ufficio stesso o da un suo delegato, in qualità di presidente, da quattro rappresentanti effettivi e da quattro supplenti dei datori di lavoro e da quattro rappresentanti effettivi e da quattro supplenti dei lavoratori, desi­gnati dalle rispettive organizzazioni sindacali maggiormente rappresenta­tive.

5. Commissioni di conciliazione pos­sono essere istituite, con le stesse modalità e con la medesima compo­sizione di cui al precedente comma, anche presso le sezioni zonali degli uffici provinciali del lavoro e della massima occupazione.

Soppresso.

6. Le commissioni, quando se ne ravvisi la necessità, affidano il tentativo di conciliazione a proprie sottocommissioni, presiedute dal direttore dell'ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione o da un suo delegato che rispecchino la composizione prevista dal precedente terzo comma.

7. In ogni caso per la validità della riunione è necessaria la presenza del presidente e di almeno un rappresentante dei datori di lavoro e di uno dei lavoratori.

4. Le commissioni, quando se ne ravvisi la necessità, affidano il tentativo di conciliazione a proprie sottocommissioni, presiedute dal direttore della direzione provinciale del lavoro o da un suo delegato, che rispecchino la composizione prevista dal terzo comma. In ogni caso per la validità della riunione è necessaria la presenza del presidente e di almeno un rappresentante dei datori di lavoro e almeno un rappresentante dei lavoratori.

8. Ove la riunione della commissione non sia possibile per la mancata presenza di almeno uno dei componenti di cui al precedente comma, il direttore dell'ufficio provinciale del lavoro certifica l'impossibilità di procedere al tentativo di conciliazione.

Soppresso.

 

5. La richiesta del tentativo di conciliazione, sottoscritta dall'istante, è consegnata o spedita mediante raccomandata con avviso di ricevimento. Copia della richiesta del tentativo di conciliazione deve essere consegnata o spedita a cura della stessa parte istante alla controparte.

 

6. La richiesta deve precisare:

1) nome, cognome e residenza dell'istante e del convenuto; se l'istante o il convenuto sono una persona giuridica, un'associazione non riconosciuta o un comitato, l'istanza deve indicare la denominazione o la ditta nonché la sede;

2) il luogo ove è sorto il rapporto ovvero dove si trova l'azienda o sua dipendenza alla quale è addetto il lavoratore o presso la quale egli prestava la sua opera al momento della fine del rapporto;

3) il luogo dove devono essere fatte alla parte istante le comunicazioni inerenti alla procedura;

4) l'esposizione dei fatti e delle ragioni posti a fondamento della pretesa.

 

7. Entro venti giorni dal ricevimento della copia della richiesta, la controparte deposita presso la commissione di conciliazione una memoria contenente le difese e le eccezioni in fatto e in diritto, le eventuali domande in via riconvenzionale e l'indicazione dei mezzi di prova. Entro i dieci giorni successivi al deposito, la commissione fissa la comparizione delle parti per il tentativo di conciliazione, che deve essere tenuto entro i successivi trenta giorni. Dinanzi alla commissione il lavoratore può farsi rappresentare o assistere anche da un'organizzazione cui aderisce o conferisce mandato.

 

8. La conciliazione della lite da parte di chi rappresenta la pubblica ammini­strazione, anche in sede giudiziale ai sensi dell'articolo 420, commi primo, secondo e terzo, non può dar luogo a responsabilità amministrativa.

 

 

Art. 410-bis

Art. 410-bis

Termine per l'espletamento del tentativo di conciliazione

Termine per l'espletamento del tentativo di conciliazione

1. Il tentativo di conciliazione, anche se nelle forme previste dai contratti e accordi collettivi, deve essere espletato entro sessanta giorni dalla presentazione della richiesta

1. Identico.

2. Trascorso inutilmente tale termine, il tentativo di conciliazione si considera comunque espletato ai fini dell'articolo 412-bis.

2. Abrogato.

 

 

Art. 411

Art. 411

Processo verbale di conciliazione

Processo verbale di conciliazione

1. Se la conciliazione riesce, si forma processo verbale che deve essere sottoscritto dalle parti e dal presidente del collegio che ha esperito il tentativo, il quale certifica l'autografia della sottoscrizione delle parti o la loro impossibilità di sottoscrivere.

1. Se la conciliazione esperita ai sensi dell'articolo 410 riesce, anche limitatamente ad una parte della domanda, viene redatto separato processo verbale sottoscritto dalle parti e dai componenti della commissione di conciliazione. Il verbale costituisce titolo esecutivo a seguito di provvedimento del giudice su istanza della parte interessata.

2. Il processo verbale è depositato a cura delle parti o dell'ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione nella cancelleria del tribunale nella cui circoscrizione è stato formato. Il giudice, su istanza della parte interessata, accertata la regolarità formale del verbale di conciliazione, lo dichiara esecutivo con decreto.

 

2. Se non si raggiunge l'accordo tra le parti, la commissione di conciliazione deve formulare una proposta per la bonaria definizione della controversia. Se la proposta non è accettata, i termini di essa sono riassunti nel verbale con indicazione delle valutazioni espresse dalle parti.

 

3. Ove il tentativo di conciliazione sia stato richiesto dalle parti, al ricorso depositato ai sensi dell'articolo 415 devono essere allegati i verbali e le memorie concernenti il tentativo di conciliazione non riuscito.

3. Se il tentativo di conciliazione si è svolto in sede sindacale, il processo verbale di avvenuta conciliazione è depositato presso l'ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione a cura di una delle parti o per il tramite di un'associazione sindacale. Il direttore, o un suo delegato, accertatane l'autenticità, provvede a depositarlo nella cancelleria del tribunale nella cui circoscrizione è stato redatto. Il giudice su istanza della parte interessata accertata la regolarità formale del verbale di conciliazione, lo dichiara esecutivo con decreto.

Soppresso.

 

 

Art. 412

Art. 412

Verbale di mancata conciliazione

Risoluzione arbitrale della controversia

1. Se la conciliazione non riesce, si forma processo verbale con l'indicazione delle ragioni del mancato accordo; in esso le parti possono indicare la soluzione anche parziale sulla quale concordano, precisando, quando è possibile, l'ammontare del credito che spetta al lavoratore. In quest'ultimo caso il processo verbale acquista efficacia di titolo esecutivo, osservate le disposizioni di cui all'articolo 411.

1. In qualunque fase del tentativo di conciliazione, o al suo termine in caso di mancata riuscita, le parti possono accordarsi per la risoluzione della lite, affidando alla commissione di conciliazione il mandato a risolvere in via arbitrale la controversia.

2. Nel conferire mandato per la risoluzione arbitrale della controversia, le parti devono indicare:

2. L'ufficio provinciale del lavoro rilascia alla parte copia del verbale entro cinque giorni dalla richiesta.

3. Le disposizioni del primo comma si applicano anche al tentativo di conciliazione in sede sindacale.

4. Delle risultanze del verbale di cui al primo comma il giudice tiene conto in sede di decisione sulle spese del successivo giudizio.

1) il termine per l'emanazione del lodo, spirato il quale l'incarico deve intendersi revocato;

2) le norme che la commissione deve applicare al merito della controversia, ivi compresa la decisione secondo equità, nel rispetto dei princìpi generali dell'ordinamento.

3. Il lodo emanato a conclusione dell'arbitrato, sottoscritto dagli arbitri e autenticato, produce tra le parti gli effetti di cui all'articolo 1372 e all'articolo 2113, quarto comma, del codice civile e ha efficacia di titolo esecutivo ai sensi dell'articolo 474 del presente codice a seguito del provvedimento del giudice su istanza della parte interessata ai sensi dell'articolo 825.

4. Il lodo è impugnabile ai sensi dell'articolo 808-ter.

 

 

Art. 412-bis

Art. 412-bis

Procedibilità della domanda

Procedibilità della domanda

L'espletamento del tentativo di conciliazione costituisce condizione di procedibilità della domanda.

L'improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto nella memoria difensiva di cui all'articolo 416 e può essere rilevata d'ufficio dal giudice non oltre l'udienza di cui all'articolo 420.

Il giudice ove rilevi che non è stato promosso il tentativo di conciliazione ovvero che la domanda giudiziale è stata presentata prima dei sessanta giorni dalla promozione del tentativo stesso, sospende il giudizio e fissa alle parti il termine perentorio di sessanta giorni per promuovere il tentativo di conciliazione.

Trascorso il termine di cui al primo comma dell'articolo 410-bis, il processo può essere riassunto entro il termine perentorio di centottanta giorni.

Ove il processo non sia stato tempestivamente riassunto, il giudice dichiara d'ufficio l'estinzione del processo con decreto cui si applica la disposizione di cui all'articolo 308.

Il mancato espletamento del tentativo di conciliazione non preclude la concessione dei provvedimenti speciali d'urgenza e di quelli cautelari previsti nel capo III del titolo I del libro IV.

Abrogato

 

 

Art. 412-ter

Art. 412-ter

Arbitrato irrituale previsto dai contratti collettivi

Altre modalità di conciliazione previste dalla contrattazione collettiva

1. Se il tentativo di conciliazione non riesce o comunque è decorso il termine previsto per l'espletamento, le parti possono concordare di deferire ad arbitri la risoluzione della controversia, anche tramite l'organizzazione sindacale alla quale aderiscono o abbiano conferito mandato, se i contratti o accordi collettivi nazionali di lavoro prevedono tale facoltà e stabiliscono:

a) le modalità della richiesta di devoluzione della controversia al collegio arbitrale e il termine entro il quale l'altra parte può aderirvi;

b) la composizione del collegio arbitrale e la procedura per la nomina del presidente e dei componenti;

c) le forme e i modi di espletamento dell'eventuale istruttoria;

d) il termine entro il quale il collegio deve emettere il lodo, dandone comunicazione alle parti interessate;

e) i criteri per la liquidazione dei compensi agli arbitri.

1. La conciliazione, nelle materie di cui all'articolo 409 del presente codice e all'articolo 63, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, può essere svolta altresì presso le sedi previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative.

2. I contratti e accordi collettivi possono, altresì, prevedere l'istituzione di collegi o camere arbitrali stabili, composti e distribuiti sul territorio secondo criteri stabiliti in sede di contrattazione nazionale.

2. Si applicano, in quanto compatibili, le norme di cui agli articoli 410, 411 e 412.

3. Nella pronuncia del lodo arbitrale si applica l'articolo 429, terzo comma, del codice di procedura civile.

Soppresso.

4. Salva diversa previsione della contrattazione collettiva, per la liquidazione delle spese della procedura arbitrale si applicano altresì gli articoli 91, primo comma, e 92 del codice di procedura civile.

Soppresso.

 

 

Art. 412-quater

Art. 412-quater

Impugnazione ed esecutività del lodo arbitrale

Altre modalità di conciliazione e arbitrato

1. Sulle controversie aventi ad oggetto la validità del lodo arbitrale decide in un unico grado il Tribunale, in funzione del giudice del lavoro, della circoscrizione in cui è la sede dell'arbitrato. Il ricorso è depositato entro il termine di trenta giorni dalla notificazione del lodo.

2. Trascorso tale termine, o se le parti hanno comunque dichiarato per iscritto di accettare la decisione arbitrale, ovvero se il ricorso è stato respinto dal Tribunale, il lodo è depositato nella cancelleria del Tribunale nella cui circoscrizione è la sede dell'arbitrato. Il giudice, su istanza della parte interessata, accertata la regolarità formale del lodo arbitrale, lo dichiara esecutivo con decreto.

1. Ferma restando la facoltà di ciascuna delle parti di adire l'autorità giudiziaria e di avvalersi delle procedure di conciliazione e di arbitrato previste dalla legge, le controversie di cui all'articolo 409 del presente codice e all'articolo 63, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, possono essere altresì proposte innanzi al collegio di conciliazione e arbitrato irrituale costituito secondo quanto previsto dai commi seguenti. È nulla ogni clausola del contratto individuale di lavoro o comunque pattuita che obblighi una parte o entrambe a proporre le controversie indicate nel periodo precedente al collegio di conciliazione e arbitrato.

 

2. Il collegio di conciliazione e arbitrato è composto da un rappresentante di ciascuna delle parti e da un terzo membro, in funzione di presidente, scelto di comune accordo dagli arbitri di parte tra i professori universitari di materie giuridiche e gli avvocati ammessi al patrocinio davanti alla Corte di cassazione.

 

3. La parte che intenda ricorrere al collegio di conciliazione e arbitrato deve notificare all'altra parte un ricorso sottoscritto, salvo che si tratti di una pubblica amministrazione, da un avvocato al quale abbia conferito mandato e presso il quale deve eleggere il domicilio. Il ricorso deve contenere la nomina dell'arbitro di parte e indicare l'oggetto della domanda, le ragioni di fatto e di diritto sulle quali si fonda la domanda stessa, i mezzi di prova e il valore della controversia entro il quale si intende limitare la domanda.

 

4. Se la parte convenuta intende accettare la procedura di conciliazione e arbitrato nomina il proprio arbitro di parte, il quale entro trenta giorni dalla notifica del ricorso procede, ove possibile, concordemente con l'altro arbitro, alla scelta del presidente e della sede del collegio. Ove ciò non avvenga ciascuna delle parti è libera di adire l'autorità giudiziaria.

 

5. In caso di scelta concorde del terzo arbitro e della sede del collegio, la parte convenuta, entro trenta giorni da tale scelta, deve depositare presso la sede del collegio una memoria difensiva sottoscritta, salvo che si tratti di una pubblica amministrazione, da un avvocato cui abbia conferito mandato e presso il quale deve eleggere il domicilio. La memoria deve contenere le difese e le eccezioni in fatto e in diritto, le eventuali domande in via riconvenzionale e l'indicazione dei mezzi di prova.

 

6. Entro dieci giorni dal deposito della memoria difensiva il ricorrente può depositare presso la sede del collegio una memoria di replica senza modificare il contenuto del ricorso. Nei successivi dieci giorni il convenuto può depositare presso la sede del collegio una controreplica senza modificare il contenuto della memoria difensiva.

 

7. Il collegio fissa il giorno dell'udienza, da tenere entro trenta giorni dalla scadenza del termine per la controreplica del convenuto, dandone comunicazione alle parti nel domicilio eletto almeno dieci giorni prima.

 

8. All'udienza il collegio esperisce il tentativo di conciliazione. Se la conciliazione riesce si applicano le disposizioni dell'articolo 411, commi primo e terzo, del presente codice, e dell'articolo 66, comma 8, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.

 

9. Se la conciliazione non riesce il collegio provvede, ove occorra, a interrogare le parti e ad ammettere ed espletare le prove, altrimenti invita all'immediata discussione orale. Nel caso di ammissione delle prove il collegio può rinviare ad altra udienza, a non più di dieci giorni di distanza, per l'assunzione delle stesse e la discussione orale.

 

10. La controversia è decisa, entro venti giorni dall'udienza di discussione, mediante un lodo. Il lodo è impugnabile ai sensi dell'articolo 808-ter.

 

11. Il compenso del presidente del collegio è fissato in misura pari al 2 per cento del valore della controversia dichiarato in ricorso ed è versato dalle parti per metà ciascuna presso la sede del collegio mediante assegni circolari intestati al presidente almeno cinque giorni prima dell'udienza. Ciascuna parte provvede a compensare l'arbitro da essa nominato. Le spese legali e quelle per il compenso del presidente e dell'arbitro di parte, queste ultime nella misura dell'1 per cento del suddetto valore della controversia, sono liquidate nel lodo ai sensi degli articoli 91, primo comma, e 92.

 

12. I contratti collettivi nazionali di categoria possono istituire un fondo per il rimborso al lavoratore delle spese per il compenso del presidente del collegio e del proprio arbitro di parte.

 

Il comma 6 prevede che, in deroga al nuovo art. 412-quater, i CCLN possano prevedere clausole compromissorie relative alla devoluzione al collegio arbitrale anche sulla base di forme di adesione tacita” alla procedura arbitrale.

 

Il commi 7, 8 e 9 estendono ulteriormente la possibilità di arbitrato, rituale e irrituale. L’arbitrato sarà, infatti, possibile anche quando il contratto di lavoro e la clausola compromissoria siano “certificati” in conformità delle previsioni della cd. legge Biagi (Decreto legislativo n. 276 del 2003)[271] ovvero siano validati dalle apposite commissioni di certificazione di cui all’art. 76 del citato decreto legislativo[272]. Gli stessi organi di certificazione possono istituire camere arbitrali “irrituali”, presso le quali può anche essere esperito, preliminarmente, il tentativo di conciliazione.

 

Il comma 10, estende a tutte le commissioni di certificazione la competenza a certificare - a conferma della volontà abdicativa o transattiva delle parti stesse - tutte le rinunce e transazioni relative a diritti del lavoratore derivanti da disposizioni inderogabili di legge e da contratti e accordi collettivi (di cui all’art. 2113 c.c.).

 

Il comma 11 abroga il comma 2 dell’art. 83 della legge Biagi, che prevede che la certificazione del contenuto del regolamento interno delle cooperative (riguardante la tipologia dei rapporti di lavoro attuati o da attuare con i soci lavoratori), depositato presso la competente Direzione provinciale del lavoro, debba essere espletata da specifiche commissioni istituite nelle sole sedi di certificazione presso le stesse Direzioni provinciali.

 

Il comma 12 novella il quarto comma dell’art. 2113 del codice civile prevedendo l’inapplicabilità della disciplina ivi contenuta in materia di rinunzie e transazionianche alle conciliazioni intervenute presso le commissioni di conciliazione.

 

Il comma 13 in coerenza con le novelle introdotte, abroga l’art. 412-bis del codice di procedura civile, relativo al tentativo di conciliazione nel processo del lavoro come condizione di procedibilità della domanda. Per coordinamento, è abrogato anche il secondo comma dell’art. 410-bis che fa riferimento all’art. 412-bis (cfr. ante, testo a fronte).

 

Il comma 14 è relativo alla clausola d’invarianza finanziaria.

 


 

Articolo 67
(Decadenze)

 


1. Il primo comma dell'articolo 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, è sostituito dal seguente:

«Il licenziamento da parte del datore di lavoro deve essere impugnato a pena di decadenza entro centoventi giorni dalla ricezione della sua comunicazione, ovvero dalla comunicazione dei motivi, ove non contestuale, con ricorso depositato nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro».

2. Il termine di decadenza, previsto dall'articolo 6, primo comma, della legge 15 luglio 1966, n. 604, come sostituito dal comma 1 del presente articolo, si applica anche ai casi di nullità del licenziamento, nonché ai casi di licenziamento inefficace di cui all'articolo 2 della citata legge n. 604 del 1966.

3. Il termine di decadenza previsto dall'articolo 6, primo comma, della legge 15 luglio 1966, n. 604, come sostituito dal comma 1 del presente articolo, si applica inoltre:

a) ai licenziamenti anche qualora presuppongano la risoluzione di questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro ovvero alla legittimità del termine apposto al contratto;

b) al recesso del committente nei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, anche nella modalità a progetto, di cui all'articolo 409, numero 3), del codice di procedura civile;

c) al trasferimento ai sensi dell'articolo 2103 del codice civile.


 

 

L’articolo 67 è volto a modificare le disposizioni relative alle modalità e ai termini per l’impugnazione dei licenziamenti individuali.

 

La vigente disciplina dei licenziamenti individuali[273] è differenziata in ragione della “soglia dimensionale” del datore di lavoro, secondo una articolazione di ipotesi che peraltro, rispetto ai testi originari delle leggi in materia (L. 15 luglio 1966, n. 604; articolo 18 della L. 20 maggio 1970, n. 300), è stata semplificata dalla L. 11 maggio 1990, n. 108.

A parte le situazioni, ormai residuali, in cui permane il regime di libera recedibilità (c.d. recesso ad nutum), originariamente previsto per tutti i rapporti di lavoro a tempo indeterminato dall'articolo 2118 del codice civile, la disciplina vigente, nel caso di licenziamento senza giusta causa o giustificato motivo, distingue un'area nella quale si applica la c.d. "tutela reale" del lavoratore, prevista dall'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, ed un'area nella quale si applica invece la c.d. "tutela obbligatoria", di cui all'articolo 8 della L. 604/1966. Nel primo caso, il datore di lavoro ha l'obbligo di reintegrare il lavoratore illegittimamente licenziato, salvo che questi non preferisca farsi liquidare una indennità sostitutiva della reintegrazione nel posto di lavoro; nel secondo, spetta al datore di lavoro la scelta tra la riassunzione del lavoratore e la corresponsione di una indennità pecuniaria.

L'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, come accennato, prevede la "tutela reale", che comporta la reintegrazione del lavoratore illegittimamente licenziato nel posto di lavoro. Tale forma di tutela si applica nei confronti dei datori di lavoro (imprenditori e non imprenditori) che occupino più di 15 dipendenti (ovvero 5 dipendenti per gli imprenditori agricoli) in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento.La medesima forma di tutela si applica altresì nei confronti dei datori di lavoro che nell'ambito dello stesso comune occupano più di 15 dipendenti ed alle imprese agricole che nel medesimo ambito territoriale occupano più di 5 dipendenti, anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso al datore di lavoro che occupa alle sue dipendenze più di 60 lavoratori.

Si ricorda che la normativa vigente, a parte il caso del licenziamento illegittimo per mancanza di giusta causa o giustificato motivo, prevede la “tutela reale” (e quindi la reintegrazione), indipendentemente dai limiti dimensionali del datore di lavoro, allorché il giudice abbia:

-        dichiarato inefficace il licenziamento per mancanza della forma scritta o della comunicazione, sempre per iscritto, dei motivi del licenziamento stesso (articolo 2 della legge n. 604/1966);

-        ovvero dichiarato la nullità del licenziamento discriminatorio, in quanto determinato (a prescindere dalla motivazione addotta) da ragioni di credo politico o fede religiosa, dall'appartenenza ad un sindacato e dalla partecipazione ad attività sindacali, ovvero da ragioni di discriminazione razziale, di lingua o di sesso (articolo 4 della legge n. 604/1966 e articolo 15 della legge n. 300/1970).

Con la stessa sentenza con cui il giudice dispone la reintegrazione ai sensi dell’articolo 18, comma 1 (che, ai sensi dell'articolo 18, comma 6, è provvisoriamente esecutiva) il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore, stabilendo un’indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione e al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali per il medesimo periodo. Il risarcimento non potrà essere inferiore a 5 mensilità di retribuzione globale di fatto (articolo 18, comma 4).

Fermo restando il diritto al risarcimento del danno quantificato come sopra, al prestatore di lavoro è riconosciuta la facoltà di chiedere, in luogo della reintegrazione, un’indennità pari a 15 mensilità di retribuzione globale di fatto (articolo 18, comma 5).

Al di fuori del campo di applicazione dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, e quindi essenzialmente per le imprese fino a 15 dipendenti, si applica invece la “tutela obbligatoria” di cui all'articolo 8 della legge n. 604/1966. Tale articolo dispone che, ove non ricorrano gli estremi della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento, "il datore di lavoro è tenuto a riassumere il prestatore di lavoro entro il termine di tre giorni o, in mancanza, a risarcire il danno versandogli un'indennità di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità dell'ultima retribuzione di fatto, avuto riguardo al numero dei dipendenti occupati, alle dimensioni dell'impresa, all'anzianità di servizio del prestatore di lavoro, al comportamento e alle condizioni delle parti. La misura massima della predetta indennità può essere maggiorata fino a 10 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore a dieci anni e fino a 14 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore a venti anni, se dipendenti da datore di lavoro che occupa più di quindici prestatori di lavoro".

A prescindere dalle diverse opinioni prospettate in dottrina ed in giurisprudenza circa la configurazione, dal punto di vista teorico, del rapporto tra le due obbligazioni (riassunzione e risarcimento del danno)[274], è certo che la norma di cui sopra non consente al lavoratore di ottenere, senza il concorso della volontà del datore di lavoro, il ripristino della precedente posizione lavorativa. Per altro verso, il risarcimento previsto nel caso di mancata riassunzione (che deve intendersi comunque dovuto anche quando sia il lavoratore a non voler ripristinare il rapporto, per effetto della sentenza interpretativa di rigetto n. 194 del 28 dicembre 1970 della Corte costituzionale) è comunque inferiore a quello previsto dall'articolo 18 della legge n. 300/1970.

Sussistono poi opinioni diversificate anche in ordine alla questione se la riassunzione dia luogo ad un nuovo rapporto di lavoro (come sembra ritenere l'opinione prevalente), ovvero costituisca la prosecuzione o la rinnovata attuazione del precedente rapporto, questione la cui soluzione ha naturalmente conseguenze significative per vari profili (spettanza di ulteriori erogazioni per i periodi intermedi, anzianità aziendale, trattamento di fine rapporto).

 

In particolare il comma 1, sostituendo l’articolo 6, primo comma, della L. 604/1966, allunga da 60 giorni a 120 giorni dal ricevimento della sua comunicazione (ovvero della comunicazione dei motivi se non contestuale) il termine, previsto a pena di decadenza, per l’impugnazione del licenziamento.

Tuttavia, allo stesso tempo, si dispone che tale impugnazione possa essere effettuata esclusivamente con ricorso al giudice del lavoro depositato nella relativa cancelleria, facendo quindi venir meno la possibilità, prevista dalla normativa vigente, di impugnare il licenziamento con qualsiasi atto scritto, anche stragiudiziale, idoneo a far conoscere la volontà del lavoratore.

Si evidenzia che la formulazione della disposizione in esame sembrerebbe voler prevedere che il termine per l’impugnazione si intende rispettato se il ricorso viene depositato entro tale termine presso la cancelleria, non occorrendo altresì la notifica al datore di lavoro. Invece la giurisprudenza prevalente interpreta la normativa vigente nel senso della necessità della notifica entro il termine, considerando l’impugnazione un atto recettizio[275].

Il comma 2 precisa che il termine previsto a pena di decadenza dal precedente comma per l’impugnazione del licenziamento, si applica anche ai casi di nullità del licenziamento, nonché alle ipotesi di licenziamento inefficace.

Si evidenzia che invece, in base all’interpretazione prevalente della normativa vigente, il termine di decadenza in questione si applica, oltre che al licenziamento ingiustificato (in assenza della giusta causa o del giustificato motivo), anche al licenziamento nullo in quanto discriminatorio ai sensi dell’articolo 4 della L. 300/1970 (cd. Statuto dei lavoratori) ed al licenziamento disciplinare illegittimo per violazione del procedimento di cui all’articolo 7 della L. 300/1970[276].

Al contrario, secondo tale prevalente orientamento interpretativo, lo stesso termine di decadenza non è applicabile al licenziamento inefficace per mancanza della forma scritta o per omessa tempestiva comunicazione dei motivi richiesti dal lavoratore (non potendosi far carico al lavoratore di rispettare il termine per l’impugnazione se il datore di lavoro non abbia preventivamente assolto ai propri oneri di comunicazione), né al licenziamento nullo disposto nel periodo di interdizione per matrimonio o maternità ed al licenziamento nullo per motivo illecito o frode alla legge (dal momento che la disposizione relativa al termine di decadenza è contenuta nella L. 604/1966 che non si applica alle predette fattispecie)[277].

Pertanto, il provvedimento in esame sembra voler estendere l’ambito di applicabilità del termine di decadenza per l’impugnazione di cui all’articolo 6, primo comma, della L. 604/1966 ad ulteriori casi di licenziamento illegittimo, comprendendovi anche tutti i casi di nullità (quindi anche quelli che ai sensi dell’interpretazione prevalente della normativa vigente rimangono esclusi) nonché i casi di inefficacia per vizio di forma o per omessa tempestiva comunicazione dei motivi richiesti.

 

Il comma 3 estende ulteriormente l’ambito di applicazione del termine di decadenza per l’impugnazione di cui al menzionato articolo 6, primo comma, della L. 604/1966. In primo luogo, viene precisato che tale termine si applica anche ai licenziamenti che presuppongano la risoluzione di questioni attinenti alla qualificazione del rapporto lavorativo ovvero alla legittimità del termine apposto al contratto. Inoltre, si prevede l’applicazione del termine anche al di fuori dei casi di licenziamento e, in particolare, alle seguenti fattispecie:

-       recesso del committente nei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, anche a progetto;

La collaborazione coordinata e continuativa si configura come un rapporto di lavoro nel quale il collaboratore si impegna a compiere un’opera od un servizio, in via continuativa, a favore del committente, ed in coordinamento con il committente stesso, senza che però si crei un vero e proprio vincolo di subordinazione.

Il D.Lgs. 276/2003[278] ha introdotto una specifica disciplina delle collaborazioni coordinate e continuative (lavoro a progetto), finalizzata a superare gli abusi che hanno condotto all’uso talvolta improprio di tale strumento contrattuale per eludere la disciplina del rapporto di lavoro subordinato.

A tal fine si stabilisce (articolo 61), creando in questo modo la nuova figura del lavoratore a progetto, l’obbligo di ricondurre i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa ad uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso, determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del coordinamento con l’organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione dell’attività lavorativa. Da tale previsione sono escluse le prestazioni meramente occasionali, cioè i rapporti di durata complessiva non superiore a trenta giorni nel corso dell’anno solare con lo stesso committente, salvo che il compenso complessivo per lo svolgimento della prestazione sia superiore a 5 mila euro. Sono escluse dal campo di applicazione della disciplina del lavoro a progetto anche le professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi.

Il contratto di lavoro a progetto deve essere redatto in forma scritta ad probationem, deve contenere, tra gli altri, l’indicazione della durata della prestazione lavorativa e del progetto, o programma, di lavoro o delle fasi di esso, nonché il corrispettivo e le relative modalità di pagamento e le forme di coordinamento del lavoratore, che in ogni caso non devono essere tali da pregiudicare l’autonomia del collaboratore stesso. Lo stesso contratto, infine, deve prevedere forme di tutela della salute e sicurezza del collaboratore a progetto (articolo 62).

Si prevede che, nel caso in cui i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa siano instaurati senza individuare uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso, vengono considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato fin dalla data di costituzione del rapporto (articolo 69, comma 1).

Si consideri, infine, che la disciplina del lavoro a progetto non si applica al settore pubblico, poiché l’art. 1 del D.Lgs. 276/2003 dispone espressamente che la disciplina introdotta dal medesimo decreto non si applica alle amministrazioni pubbliche e al relativo personale.

-        trasferimento del lavoratore subordinato da un’unità produttiva ad un’altra.

Si ricorda che l’articolo 2103 c.c. stabilisce che il lavoratore dipendente non può essere trasferito da una unità produttiva ad una altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive e che ogni patto contrario è nullo.

 


 

Articolo 68
(Rimedi giustiziali contro la pubblica amministrazione)

 


1. All'articolo 13, primo comma, alinea, del decreto del Presidente della Repubblica 24 novembre 1971, n. 1199, dopo il secondo periodo è inserito il seguente: «Se ritiene che il ricorso non possa essere deciso indipendentemente dalla risoluzione di una questione di legittimità costituzionale che non risulti manifestamente infondata, sospende l'espressione del parere e, riferendo i termini e i motivi della questione, ordina alla segreteria l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, ai sensi e per gli effetti di cui agli articoli 23 e seguenti della legge 11 marzo 1953, n. 87, nonché la notifica del provvedimento ai soggetti ivi indicati».

2. All'articolo 14 del decreto del Presidente della Repubblica 24 novembre 1971, n. 1199, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al primo comma, primo periodo, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, conforme al parere del Consiglio di Stato» e il secondo periodo è soppresso;

b) il secondo comma è abrogato.


 

 

L’articolo 68 detta disposizioni in materia di rimedi giustiziali contro la pubblica amministrazione, intervenendo in particolare sulla disciplina dei ricorsi straordinari al Capo dello Stato.

In primo luogo, la norma aggiunge un secondo comma all'articolo 13 del D.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199[279], che definisce le modalità con le quali il Consiglio di Stato esprime il proprio parere sui ricorsi straordinari al Presidente della Repubblica.

La novella prevede che il Consiglio di Stato (sezione o commissione speciale, alla quale il ricorso è assegnato), ove ritenga che il ricorso non possa essere deciso indipendentemente dalla risoluzione di una questione di legittimità costituzionale non manifestamente infondata, sospende l'espressione del parere e, riferendo i termini e i motivi della questione, ordina alla segreteria l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.

Viene inoltre modificato l'articolo 14 del citato D.P.R. 1199/1971, al fine di prevedere che il decreto del Presidente della Repubblica che decide il ricorso straordinario sia in ogni caso conforme al parere del Consiglio di Stato, escludendo la possibilità (riconosciuta dalla disciplina vigente) di pervenire ad una decisione difforme dal suddetto parere previa deliberazione del Consiglio dei ministri.


 

Articolo 69
(Patrimonio dello Stato Spa)

 


1. All'articolo 7, comma 10, del decreto-legge 15 aprile 2002, n. 63, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 giugno 2002, n. 112, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al secondo periodo, dopo le parole: «iscrizione dei beni» sono inserite le seguenti: «e degli altri diritti costituiti a favore dello Stato»;

b) dopo il secondo periodo è inserito il seguente: «La pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto del Ministro dell'economia e delle finanze che dispone il trasferimento dei crediti dello Stato e le modalità di realizzo dei medesimi produce gli effetti del primo comma dell'articolo 1264 del codice civile».


 

L’articolo novella le disposizioni contenute nell’articolo 7, comma 10, del decreto-legge n. 63 del 2002[280] in materia di trasferimento alla società Patrimonio S.p.A. dei diritti, pieni o parziali, sui beni immobili del patrimonio disponibile e indisponibile, del demanio e comunque dei beni rientranti nel conto del patrimonio dello Stato[281] e di ogni altro diritto costituito a favore dello Stato.

Secondo la relazione illustrativa, le disposizioni traggono origine dalla finalità di consentire il trasferimento e il collocamento sul mercato di assets pubblici inseriti nel conto generale del patrimonio dello Stato, con conseguenti riflessi positivi sui saldi e sulle disponibilità finanziarie dello Stato.

 

A tal fine, il comma 1, lett. a), coordina le disposizioni di cui al primo e secondo periodo del sopra richiamato comma 10 dell’articolo 7, al fine di chiarire che la definizione delle modalità e dei valori di trasferimento e di iscrizione nel bilancio della società Patrimonio S.p.A., operata con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze, deve avvenire oltre che per i beni, anche con riferimento ai diritti costituiti a favore dello Stato.

Il comma 1, lett. b) introduce invece una disposizione volta a chiarire che con la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto del Ministro dell’economia e delle finanze che dispone il trasferimento dei crediti dello Stato e le modalità di realizzo dei medesimi, si producono nei confronti del debitore ceduto i medesimi effetti di cui all’articolo 1264 del c.c. ai sensi del quale la cessione ha effetto al momento dell’accettazione o della notifica della cessione del credito.


 

Articolo 70
(SACE Spa)

 


1. Al fine di ottimizzare l'efficienza dell'attività della SACE Spa a sostegno della internazionalizzazione dell'economia italiana e la sua competitività rispetto agli altri organismi che operano con le stesse finalità sui mercati internazionali, il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi volti a prevedere:

a) la separazione tra le attività che la SACE Spa svolge a condizioni di mercato dall'attività che, avente ad oggetto rischi non di mercato, beneficia della garanzia dello Stato secondo la normativa vigente;

b) la possibilità che le due attività di cui alla lettera a) siano esercitate da organismi diversi, determinandone la costituzione e i rapporti;

c) la possibilità che all'organismo destinato a svolgere l'attività a condizioni di mercato possono partecipare anche soggetti interessati all'attività o all'investimento.

2. Il secondo periodo del comma 2 dell'articolo 6 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, è soppresso.

3. Dall'attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.


 

 

L’articolo 70 al comma 1 reca una delega al governo per l’adozione di uno o più decreti legislativi destinati ad incidere sull’attività svolta dalla SACEspa a favore del comparto dell’internazionalizzazione e della competitività dell’economia italiana, allo scopo di ottimizzarne l’efficienza rispetto ad altri organismi operanti sui mercati internazionali con le stesse finalità.

LIstituto per i servizi assicurativi del commercio estero (SACE), riformato dal titolo I del D.Lgs. 143/1998[282] e successivamente dal D.Lgs. n. 170/1999 (recante disposizioni correttive del D.Lgs 143/98), ha la funzione di assumere in assicurazione e in riassicurazione la garanzia sui rischi (di carattere politico, catastrofico, economico, commerciale e dei cambi) ai quali sono esposti gli operatori nazionali nella loro attività con l'estero. Il DL 269/2003, convertito con modificazioni nella legge n. 326/2003, all’art. 6 ha disposto la trasformazione della SACE in spa con decorrenza dal 1 gennaio 2004. Le azioni della SACE spa sono attribuite al Ministero dell’economia e delle finanze che provvede alle nomine dei componenti degli organi sociali, d’intesa con i Ministeri degli affari esteri, delle attività produttive e delle politiche agricole e forestali. Ulteriori modifiche alla disciplina relativa alla SACE sono state apportate dal decreto-legge n. 35/2005[283], che con l’articolo 11-quinquies ha introdotto disposizioni volte al sostegno dell’internazionalizzazione delle imprese, con particolare riferimento all’attività di rilascio di garanzie e di coperture assicurative da parte di SACE spa. Da ultimo è intervenuta la legge finanziaria 2007 (L. 296/06) che ai commi 1334-1339 reca disposizioni riguardanti la SACE. In particolare, oltre a provvedere alla sostituzione del termine “ Istituto” con il termine “Società”, in conformità all’attuale natura giuridica della SACE Spa (comma 1334), tali disposizioni precisano che le attività della società sono rivolte non solo a favore degli operatori nazionali ma anche delle loro controllate e collegate estere (comma 1334) e che la SACE è autorizzata al rilascio di garanzie e coperture assicurative per le imprese estere in relazione a progetti strategici per l’economia italiana. I commi 1336 e 1337 provvedono ad ampliare la gamma dei clienti della società consentendo il rilascio di garanzie anche a società finanziarie che rispettino adeguati principi di organizzazione, vigilanza, patrimonializzazione e operatività, relativamente a crediti concessi da tali soggetti ad operatori nazionali o alla controparte estera e destinati al finanziamento, mentre si esclude la possibilità di concedere garanzie ad operatori e controparte estera per crediti concessi da questi soggetti a Stati e banche centrali per il finanziamento di debiti statali. Con il comma 1338 relativo agli accordi di riassicurazione e coassicurazione, viene meno la limitazione prevista in precedenza in base alla quale tali accordi possono essere stipulati con enti o imprese autorizzati ai sensi del DPR 229/59. Si prevede, inoltre la possibilità per la SACE di stipulare contratti di copertura del rischio assicurativo a condizioni di mercato con primari operatori del settore. Il comma 1339 prevede una riduzione del capitale sociale della SACE in favore del Ministero dell’economia e delle finanze.

 

I decreti legislativi – il cui termine di adozione è stabilito in sei mesi dall’entrata in vigore della presente legge - dovranno in particolare:

-       prevedere la separazione dell’attività che la SACE svolge a condizioni di mercato, da quella che beneficia della garanzia da parte dello Stato in quanto avente come oggetto rischi non di mercato.

Il comma 11, art. 6, del DL 269 citato mantiene esplicitamente la disciplina dettata dall’articolo 2, comma 3, dall’articolo 8, comma 1, e dall’articolo 24 del decreto legislativo n. 143 del 1998, riguardanti la definizione da parte del CIPE dei rischi assicurabili, per quelle attività SACE che godono della garanzia dello Stato.

I commi 12 e 13 regolamentano l'attività della società con riferimento ai segmenti di mercato che in base alla disciplina comunitaria non possono beneficiare del sostegno pubblico.

Il comma 12, in particolare, stabilisce che la SACE S.p.A. può svolgere attività assicurativa e di garanzia rischi di mercato, che non beneficia comunque di garanzia da parte dello Stato, mediante la costituzione di una diversa società od operando con contabilità separata rispetto alle attività che beneficiano, invece, di garanzia statale.

Nel caso in cui l'esercizio dell'attività suddetta venga effettuato attraverso la costituzione di una diversa società, la partecipazione in tale società da parte della SACE S.p.A. non può essere inferiore al 30%. Tale partecipazione, inoltre non può essere sottoscritta mediante i crediti indennizzati e ristrutturati, dei quali è attualmente titolare il Ministro dell'economia e delle finanze e del relativo flusso di recuperi, che il comma 3 dell'articolo in esame trasferisce alla SACE S.p.A (Cfr. supra).

Il comma 13 assoggetta le attività della SACE S.p.A., svolte a garanzia dei rischi di mercato, che non beneficino di garanzia da parte dello Stato, alla normativa nazionale sulle assicurazioni private, in particolare alle disposizioni della legge n. 576 del 1982, recante la riforma della vigilanza sulle assicurazioni.

-       consentire l’esercizio delle due attività da parte di distinti organismi di cui determineranno la costituzione e i rapporti;

-       consentire la partecipazione all’organismo incaricato dell’attività a condizioni di mercato di soggetti interessati alla medesima attività o all’investimento.

 

Il comma 2 dell’articolo in commento dispone la soppressione – in vista di una eventuale privatizzazione della SACE, come si legge nella relazione governativa - della disposizione dell’art. 6 del DL 269/2003[284] (trasformazione della SACE in spa) che demanda al Ministro dell'economia e delle finanze le nomine dei componenti degli organi della società, d’intesa con alcuni ministri indicati al comma 5 dell’articolo 4 del decreto legislativo n. 143 del 1998 (art. 6, comma 2, secondo periodo[285]). In tal modo la composizione del consiglio di amministrazione della società viene rinviata implicitamente alle disposizioni statutarie.

 

Il comma 3 reca la clausola di invarianza della spesa.


 

Articolo 71
(Società pubbliche)

 


1. All'articolo 3 della legge 24 dicembre 2007, n. 244, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) il comma 12 è sostituito dai seguenti:

«12. Fatto salvo quanto previsto dall'articolo 1, commi 459, 460, 461, 462 e 463, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, ovvero da eventuali disposizioni speciali, gli statuti delle società non quotate, direttamente o indirettamente controllate dallo Stato ai sensi dell'articolo 2359, primo comma, numero 1), del codice civile, si adeguano alle seguenti disposizioni:

a) ridurre il numero massimo dei componenti degli organi di amministrazione a cinque se le disposizioni statutarie vigenti prevedono un numero massimo di componenti superiore a cinque, e a sette se le citate disposizioni statutarie prevedono un numero massimo di componenti superiore a sette. I compensi deliberati ai sensi dell'articolo 2389, primo comma, del codice civile sono ridotti, in sede di prima applicazione delle presenti disposizioni, del 25 per cento rispetto ai compensi precedentemente deliberati per ciascun componente dell'organo di amministrazione;

b) prevedere che al presidente non possano essere attribuite deleghe operative;

c) sopprimere la carica di vicepre­sidente eventualmente contemplata dagli statuti, ovvero prevedere che la carica stessa sia mantenuta esclusivamente quale modalità di individuazione del sostituto del presidente in caso di assenza o impedimento, senza dare titolo a compensi aggiuntivi;

d) prevedere che l'organo di ammini­strazione possa delegare proprie attribuzioni a un solo componente, al quale soltanto possono essere riconosciuti compensi ai sensi dell'articolo 2389, terzo comma, del codice civile;

e) prevedere, in deroga a quanto previsto dalla lettera d), la possibilità che l'organo di amministrazione conferisca deleghe per singoli atti anche ad altri membri dell'organo stesso, a condizione che non siano previsti compensi aggiuntivi;

f) prevedere che la funzione di controllo interno riferisca all'organo di amministrazione o, fermo restando quanto previsto dal comma 12-bis, a un apposito comitato eventualmente costituito all'interno dell'organo di amministrazione;

g) prevedere il divieto di corrispondere gettoni di presenza ai componenti degli organi sociali.

12-bis. Le società di cui al comma 12 provvedono a limitare la costituzione di comitati con funzioni consultive o di proposta ai casi strettamente necessari. Per il caso di loro costituzione, in deroga a quanto previsto dal comma 12, lettera d), può essere riconosciuta a ciascuno dei componenti di tali comitati una remunerazione complessivamente non superiore al 30 per cento del compenso deliberato per la carica di componente dell'organo amministrativo»;

b) al comma 27, le parole: «o indirettamente» sono soppresse;

c) dopo il comma 27 è inserito il seguente:

«27-bis. Per le amministrazioni dello Stato restano ferme le competenze del Ministero dell'economia e delle finanze già previste dalle disposizioni vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge. In caso di costituzione di società che producono servizi di interesse generale e l'assunzione di partecipazioni in tali società, le relative partecipazioni sono attribuite al Ministero dell'economia e delle finanze, che esercita i diritti dell'azionista di concerto con i Ministeri competenti per materia»;

d) dopo il comma 28 è inserito il seguente:

«28-bis. Per le amministrazioni dello Stato, l'autorizzazione è data con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro competente per materia, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze»;

e) al comma 29, le parole: «Entro diciotto mesi» sono sostituite dalle seguenti: «Entro trentasei mesi» ed è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Per le società partecipate dallo Stato, restano ferme le disposizioni di legge in materia di alienazione di partecipazioni»;

f) dopo il comma 32 sono inseriti i seguenti:

«32-bis. Il comma 734 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296, si interpreta nel senso che non può essere nominato amministratore di ente, istituzione, azienda pubblica, società a totale o parziale capitale pubblico chi, avendo ricoperto nei cinque anni precedenti incarichi analoghi, abbia registrato, per tre esercizi consecutivi, un progressivo peggioramento dei conti per ragioni riferibili a non necessitate scelte gestionali.

32-ter. Le disposizioni dei commi da 27 a 31 non si applicano per le partecipazioni in società emittenti strumenti finanziari quotati nei mercati regolamentati».


 

 

L’articolo 71 novella taluni commi dell’articolo 3 della legge n. 244 del 2007 (legge finanziaria per il 2008) in materia di disciplina relativa agli organi societari, alla costituzione e alla partecipazione al capitale di società controllate direttamente o indirettamente dallo Stato.

 

Il comma 1, lett. a), sostituisce interamente il comma 12, articolo 3, della citata legge finanziaria per il 2008, in materia di riduzione, compensi e funzioni dei componenti degli organi societari delle società controllate da amministrazioni pubbliche statali.

 In particolare - ferma restando la richiamata disciplina contenuta nella legge finanziaria per il 2007 in materia di riduzione dei membri dei consigli di amministrazione di Sviluppo Italia S.p.A. e della Sogin S.p.A.[286] - si dispone che gli statuti delle società non quotate, direttamente o indirettamente controllate dallo Stato, debbano adeguarsi alle seguenti disposizioni:

-       ridurre il numero massimo dei componenti degli organi di amministrazione a cinque ovvero a sette, se le disposizioni statutarie vigenti prevedono un numero massimo di componenti superiore, rispettivamente, a cinque o a sette. Si dispone, inoltre, che in sede di prima applicazione delle norme in commento i compensi deliberati ai sensi dell’articolo 2389, comma 1, del codice civile siano ridotti del 25 per cento rispetto ai compensi precedentemente deliberati per ciascun componente dell’organo di amministrazione;

 

Legge n. 244 del 2007

AC 1441

 

 

Art. 3, comma 12

Art. 3, comma 12

Società pubbliche

Società pubbliche

12. Fatto salvo quanto previsto dall’articolo1, commi 459, 460, 461, 462 e 463, dellalegge 27 dicembre 2006, n. 296, le amministrazioni pubbliche statali che detengono, direttamente o indirettamente, il controllo di società, ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, numeri 1) e 2), del codice civile, promuovono entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, nelle forme previste dalla vigente normativa, anche attraverso atti di indirizzo, iniziative volte a:

a) ridurre il numero dei componenti degli organi societari a tre, se composti attualmente da più di cinque membri, e a cinque, se composti attualmente da più di sette membri;

12. Fatto salvo quanto previsto dall’articolo 1, commi 459, 460, 461, 462 e 463, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, ovvero da eventuali disposizioni speciali, gli statuti delle società non quotate, direttamente o indirettamente controllate dallo Stato ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, numero 1), del codice civile, si adeguano alle seguenti disposizioni:

a) ridurre il numero massimo dei componenti degli organi di amministrazione a cinque se le disposizioni statutarie vigenti prevedono un numero massimo di componenti superiore a cinque, e a sette se le citate disposizioni statutarie prevedono un numero massimo di componenti superiore a sette. I compensi deliberati ai sensi dell’articolo 2389, primo comma, del codice civile sono ridotti, in sede di prima applicazione delle presenti disposizioni, del 25 per cento rispetto ai compensi precedentemente deliberati per ciascun componente dell’organo di amministrazione.

La legislazione vigente prevede che le amministrazioni pubbliche statali, entro 90 giorni dal 1° gennaio 2008, pongano in essere iniziative atte a incidere sugli organi societari delle società da esse direttamente o indirettamente controllate. Per la definizione di queste ultime, la norma dell’attuale articolo 12 rinvia ai numeri 1) e 2), comma 1, dell’articolo 2359 del codice civile, in base al quale sono considerate società controllate le società in cui un'altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria e le società in cui un'altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un'influenza dominante nell'assemblea ordinaria.

Le nuove disposizioni in esame , invece, non inserendo il sopra richiamato numero 2), comma 1, dell’articolo 2359 del codice civile, limitano l’applicabilità delle norme alle sole società controllate mediante maggioranza dei voti e non anche mediante voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria. Inoltre, il vigente comma 12, lett. a), prevede la riduzione a 3 ovvero a 5 membri dei componenti degli organi societari (e non di amministrazione come nel testo in esame), se rispettivamente il numero degli stessi sia superiore a 5 ovvero a 7.

-       porre il divieto di attribuzione di deleghe operative al Presidente.

 

Legge n. 244 del 2007

A.C. 1441

 

 

Art. 3, comma 12

Art. 3, comma 12

Società pubbliche

Società pubbliche

b) prevedere, per i consigli di ammi­nistrazione o di gestione costituiti da tre componenti, che al presidente siano attribuite, senza alcun compenso aggiun­tivo, anche le funzioni di amministratore delegato;

 

b)prevedere che al presidente nonpossano essere attribuite deleghe operative;

 

La legislazione vigente prevede che, nel caso di organi societari formati da 3 membri, le funzioni di amministratore delegato - senza compensi aggiuntivi - siano attribuite al presidente.

 

-       sopprimere la carica di vicepresidente, ove prevista a livello statutario, ovvero specificare che tale carica valga al fine eventuale dell’individuazione del sostituto del presidente – senza compensi aggiuntivi - in caso di sua assenza o impedimento (nuova lett. c), sostanzialmente identica a quella vigente);

 

Legge n. 244 del 2007

A.C. 1441

 

 

Art. 3, comma 12

Art. 3, comma 12

Società pubbliche

Società pubbliche

c) sopprimere la carica di vicepresidente eventualmente contemplata dagli statuti, ovvero prevedere che la carica stessa sia mantenuta esclusivamente quale modalità di individuazione del sostituto del presidente in caso di assenza o di impedimento, senza titolo a compensi aggiuntivi;

c) sopprimere la carica di vicepresidenteeventualmente contemplata dagli statuti, ovvero prevedere che la carica stessa sia mantenuta esclusivamente quale modalità di individuazione del sostituto del presidente in caso di assenza o impedimento, senza dare titolo a compensi aggiuntivi;

 

-       prevedere la delega esclusiva ad un solo componente delle attribuzioni dell’organo di amministrazione, con compensi riconosciuti secondo il già citato articolo 2389 del codice civile ovvero, in deroga a quest’ultima disposizione, acconsentire al conferimento di deleghe per singoli atti ad altri componenti, purché senza compensi aggiuntivi (nuove lett. d) ed e));

-       prevedere che la funzione di controllo interno riferisca all’organo di amministrazione o, ferma restando la previsione normativa del successivo comma 12-bis, ad apposito comitato (nuova lett. f));

Le nuove lett. d), e) ed f) introducono disposizioni non contemplate nella legislazione vigente.

 

-       porre il divieto di corrispondere gettoni di presenza ai componenti gli organi societari (nuova lett. g)). Analoga disposizione è prevista dall’attuale comma 12, lett. d).

 

Legge n. 244 del 2007

A.C. 1441

 

 

Art. 3, comma 12

Art. 3, comma 12

Società pubbliche

Società pubbliche

d) eliminare la previsione di gettoni di presenza per i componenti degli organi societari, ove esistenti, nonché limitare la costituzione di comitati con funzioni consultive o di proposta ai casi stretta­mente necessari.

g) prevedere il divieto di corrispondere gettoni di presenza ai componenti degli organi sociali.

12-bis. Le società di cui al comma 12provvedono a limitare la costituzione di comitati con funzioni consultive o di proposta ai casi strettamente necessari. Per il caso di loro costituzione, in deroga a quanto previsto dal comma 12, lettera d), può essere riconosciuta a ciascuno dei componenti di tali comitati una remunerazione complessivamente non superiore al 30 per cento del compenso deliberato per la carica di componente dell’organo amministrativo »;

 

Inoltre, il comma 1, lett. a) dell’articolo in esame, aggiunge il nuovo comma 12-bis all’articolo 3 della legge finanziaria per il 2008,che prevede di limitare ai “casi strettamente necessari” la costituzione di comitati con funzioni consultive o di proposta da parte delle società controllate da amministrazioni pubbliche statali. In caso di costituzione di tali comitati, in deroga a quanto previsto dalla nuova disposizione contenuta nella lett. d) del comma 12, la remunerazione che può essere riconosciuta a ciascuno dei componenti non deve superare complessivamente il 30 per cento del compenso spettante alla carica di componente dell’organo amministrativo[287].

 

Il comma 1, lett. b), modifica il comma 27, articolo 3, della legge finanziaria per il 2008, che attualmente dispone il divieto delle amministrazioni pubbliche di costituire società ovvero assumerne o mantenere, direttamente o indirettamente, partecipazioni anche di minoranza in esse, nel caso svolgano attività non strettamente necessarie alle proprie finalità istituzionali.

La norma, sopprimendo l’avverbio “indirettamente”, limita il divieto esclusivamente alle società c.d. “di primo livello” (con partecipazioni dirette dello Stato) e non anche alle società partecipate indirettamente.

 

Per quanto attiene alla soppressione delle parole «o indirettamente», la relazione illustrativa specifica che essa è necessaria al fine di chiarire che il vincolo alla realizzazione degli scopi istituzionali dell'amministrazione pubblica è relativo alle finalità delle partecipate di primo livello.

 

Le lett. c) e d) del comma 1 dell’articolo in esame aggiungono, rispettivamente, i commi 27-bis e 28-bis all’articolo 3, della legge finanziaria per il 2008, in materia di limiti in capo alle pubbliche amministrazioni - previsti dalla legislazione vigente[288] per tutelare la concorrenza e il mercato - alla costituzione e alla partecipazione in società la cui attività non sia strettamente necessaria alle proprie finalità istituzionali.

Il comma 27-bis prevede che, per le amministrazioni dello Stato, restano ferme le competenze del Ministero dell’economia e delle finanze previste dalla legislazione vigente prima dell’entrata in vigore del provvedimento in esame. Pertanto, con riferimento a tali amministrazioni, in caso di costituzione di società che producono servizi di interesse generale e assunzione di partecipazioni in tali società, le relative partecipazioni sono attribuite al Ministero dell’economia che esercita i diritti di azionista di concerto con i Ministeri competenti per materia.

Il comma 28-bis dispone, inoltre, che per le amministrazioni statali l’autorizzazione all’assunzione di nuove partecipazioni nelle predette società avvenga con decreto del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro competente per materia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze.

 

Si ricorda che la disposizione del comma 28, articolo 3, della legge finanziaria per il 2008 prevede che l'assunzione di nuove partecipazioni ed il mantenimento di quelle esistenti devono essere autorizzate dall’organo competente, con delibera motivata in ordine alla sussistenza dei presupposti di cui al precedente comma 27.

 

La lett. e), comma 1, modifica il comma 29, articolo 3, della legge finanziaria per il 2008 estendendo a 36 mesi, in luogo degli attuali 18 mesi, il periodo entro il quale le amministrazioni pubbliche devono adempiere all’obbligo di cessione a terzi delle partecipazioni in società con attività non strettamente necessarie alle proprie finalità istituzionali. Per le società partecipate dallo Stato restano ferme le disposizioni in materia di alienazione di partecipazioni.

 

Infine, la lett. f) del comma 1 dell’articolo in esame aggiunge icommi 32-bis e 32-ter che prevedono, rispettivamente:

 

§      un’interpretazione autentica della disposizione di cui al comma 734, articolo 1, della legge finanziaria per il 2007 – ove si prevede il divieto di nomina quale amministratore di enti, istituzioni, aziende pubbliche, società a totale o parziale capitale pubblico per chi, avendo ricoperto nei cinque anni precedenti incarichi analoghi, abbia chiuso in perdita tre esercizi consecutivi – volta a specificare ilconcetto di “perdita” quale “progressivo peggioramento dei conti”- registrato per tre esercizi consecutivi – per ragioni riferibili a scelte gestionali “non necessitate”;

 

Secondo quanto riportato nella relazione illustrativa al disegno di legge, la proposta relativa all'introduzione del comma 32-bis è volta a chiarire il concetto di perdita contenuto all'articolo 1, comma 734, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, al fine di limitare le perdite che gravano sul bilancio dello Stato, ponendo al centro della norma non il senso ragioneristico del concetto di perdita, ma l'aspetto dell'attività gestoria rispetto alla situazione di partenza. Infatti, se nel triennio le perdite risultassero progressivamente ridotte rispetto alla situazione iniziale, ancorché non del tutto eliminate, l'opera dell'amministratore andrebbe valutata positivamente. Per converso, meriterebbe un giudizio negativo l'amministratore che, avendo rilevato una società in forte utile, l'avesse portata, nel triennio, in una condizione di perdurante ma molto più esiguo utile. Per tali ragioni la norma distingue tra perdite effettivamente riferibili a scelte gestionali, e pertanto imputabili all'amministratore, e perdite dovute invece alla struttura stessa, oggettivamente predeterminata, dei conti aziendali.

 

§      la non applicazione della nuova disciplina di cui all’art. 3, commi da 27 a 31, della legge n. 244/07 alle società quotate nei mercati regolamentati.


 

Articolo 72
(Copertura finanziaria delle leggi e legge finanziaria)

 


1. Alla legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all'articolo 11, comma 3:

1) all'alinea, secondo periodo, dopo la parola: «realizzare» sono inserite le seguenti: «, con particolare riferimento agli enti inseriti nel conto economico consolidato delle pubbliche amministrazioni, individuati dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell'articolo 1, comma 5, della legge 30 dicembre 2004, n. 311,»;

2) alla lettera a), dopo le parole: «di competenza,» sono inserite le seguenti: «del fabbisogno del settore statale e dell'indebitamento netto della pubblica amministrazione, articolato pro quota per livelli di governo,», dopo le parole: «pregresse» sono inserite le seguenti: «, analiticamente indicate in apposita tabella» e le parole: «specificamente indicate» sono soppresse;

3) alla lettera i-bis), le parole «, salvo che esse si caratterizzino per un rilevante contenuto di miglioramento dei saldi di cui alla lettera a)» sono soppresse;

4) la lettera i-ter) è abrogata;

b) all'articolo 11-ter:

1) al comma 1, alinea, secondo periodo, dopo le parole: «è determinata» sono inserite le seguenti: «, con riferimento al saldo netto da finanziare, al fabbisogno del settore statale e all'indebitamento netto del conto consolidato delle pubbliche amministrazioni,»;

2) al comma 1, dopo la lettera c) è inserita la seguente:

«c-bis) mediante compensazioni finanziarie, anche in termini di sola cassa, per far fronte agli effetti sul fabbisogno e sull'indebitamento netto»;

3) dopo il comma 5 è inserito il seguente:

«5-bis. La relazione tecnica di cui ai commi 2 e 3 è aggiornata all'atto del passaggio dell'esame tra i due rami del Parlamento».


 

 

L’articolo 72 apporta modifiche agli articoli 11 e 11-ter della legge di contabilità generale (n. 468 del 1978), novellando la disciplina inerente il contenuto proprio della legge finanziaria, nonché quella relativa alla copertura finanziaria delle leggi di spesa.

 

In particolare, con riferimento alla legge finanziaria, il comma 1, lettera a), dell’articolo in esame, mediante una novella all’articolo 11, comma 3, della legge di contabilità generale:

§      dispone che l’obbligo di contenere esclusivamente norme tese a realizzare effetti finanziari con decorrenza dal primo anno considerato nel bilancio pluriennale sia riferito, in particolare, a tutti gli enti inseriti nel conto economico consolidato delle pubbliche amministrazioni, individuati dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell'articolo 1, comma 5, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, ossia gli enti considerati in sede comunitaria ai fini delle valutazioni contabili inerenti il rispetto del Patto di stabilità e crescita (punto 1); il conto economico consolidato riguarda l’intero comparto della pubblica amministrazione e non già solo il comparto statale; vi sono pertanto incluse le amministrazioni centrali, gli enti territoriali, gli enti di previdenza e assistenza.Gli enti rientranti nel conto economico sono annualmente individuati per l’Italia dall’ISTAT[289], secondo i criteri del Sistema europeo dei conti economici integrati (Sec 95)[290];

§      inserisce, tra i contenuti tipici della legge finanziaria, a fianco dell’indicazione, per ciascuno degli anni considerati dal bilancio pluriennale, del “saldo netto da finanziare in termini di competenza[291]”, anche quella del saldo del “fabbisogno del settore statale e dell'indebitamento netto della pubblica amministrazione, articolato pro quota per livelli di governo”; analogamente alla modifica precedente, si tratta anche in tal caso di dare specifico rilievo nella legge di contabilità nazionale al parametro di riferimento principale ai fini del rispetto dei vincoli comunitari introdotti dal Trattato di Maastricht e specificati dal Patto di stabilità e crescita dell’Unione europea, che impongono un limite dell’indebitamento netto della PA al 3 percento del PIL, pena l’avvio di una procedura per disavanzi eccessivi[292].

L’articolazione pro quota per livelli di governo consente invece una più chiara rappresentazione contabile dell’indebitamento netto anche livello territoriale, posto che tale saldo è riferito all’intero comparto della pubblica amministrazione e non già solo il comparto statale[293]. L’inclusione, operata dalla norma, del riferimento al fabbisogno del settore statale, appare invece funzionale ad integrare le informazioni fornite dal saldo netto da finanziare. Il fabbisogno del settore statale ed il saldo netto da finanziare misurano infatti entrambi il saldo del conto economico e della parte attiva del conto finanziario. Il fabbisogno, tuttavia, comprende, oltre al bilancio statale, la gestione di tesoreria e viene calcolato solo per cassa, mentre il saldo netto da finanziare è calcolato sia per competenza giuridica che per cassa. Inoltre la cassa è utilizzata per il calcolo dei due saldi in due accezioni diverse. Per il fabbisogno, calcolato dalla Ragioneria generale dello Stato, si fa infatti riferimento agli incassi e ai pagamenti nel momento in cui le risorse entrano ed escono dalla tesoreria, mentre per il saldo netto da finanziare si misurano incassi e pagamenti nel momento in cui le risorse finanziarie entrano ed escono dalla disponibilità dello Stato trovando imputazione sui relativi capitoli di bilancio.

Con riferimento alle eventuali regolazioni contabili pregresse, la novella specifica, infine, che esse debbono essere “analiticamente indicate in apposita tabella”, anziché solo “specificamente indicate” come previsto nel testo vigente (punto 2);

§      rende più stringente l'esclusione dal contenuto della legge finanziaria delle norme di carattere ordinamentale ovvero organizzatorio, attraverso la soppressione della vigente eccezione riferita, in particolare, alle norme che si “caratterizzino per un rilevante contenuto di miglioramento dei saldi” (di cui alla lettera i-bis) del comma 3 dell'articolo 11 della legge n. 468) (punto 3);

§      esclude la possibilità di inserire nella legge finanziaria norme comportanti aumenti di spesa o riduzioni di entrata il cui contenuto sia finalizzato direttamente al sostegno o al rilancio dell'economia, attraverso l’abrogazione espressa della lettera i-ter) del comma 3 del citato articolo 11 (punto 4).

 

Attraverso il combinato disposto dei citati punti 3 e 4 il contenuto tipico della legge finanziaria verrebbe dunque a restringersi sensibilmente, rimanendo preclusa la possibilità di inserirvi, oltre che norme di delega o prive di effetti finanziari dal primo anno del bilancio pluriennale, anche norme di carattere ordinamentale ovvero organizzatorio – anche se recanti impatti significativi in termini di miglioramento dei saldi - ovvero recanti misure di spesa o di minore entrata finalizzate allo sviluppo dell’economia.

 

Le disposizioni in oggetto delineano pertanto un assetto della decisione di bilancio per molti versi analogo a quello vigente prima della legge di riforma del 1999 (legge n. 208 del 1999), la quale, raggiunto il traguardo dell’ingresso nell’Euro, dispose, tra le altre cose, un ampliamento del contenuto proprio della legge finanziaria, prevedendo la possibilità di introdurvi norme recanti aumenti di spesa o riduzioni di entrata finalizzate direttamente “al sostegno o al rilancio dell’economia” e sostituendo il divieto di introdurre nuove imposte, tasse o contributi e di disporre nuove e maggiori spese (previsto dalla precedente riforma di cui alla legge n. 362 del 1988) con il più labile divieto di introdurre norme di delega o di carattere ordinamentale ovvero organizzatorio (salvo che si caratterizzino per un rilevante contenuto di miglioramento dei saldi), nonché di carattere localistico o micro settoriale.

 

A seguito delle novelle introdotte dall’articolo in esame la legge finanziaria verrebbe pertanto a configurarsi come un atto di regolazione quantitativa dei saldi di bilancio, recante esclusivamente le variazioni del quantum delle prestazioni tributarie e contributive, le rimodulazioni delle diverse tabelle delle leggi di spesa e dei fondi speciali, la determinazione degli importi massimi destinati al rinnovo dei contratti del pubblico impiego, le regolazioni quantitative rinviate alla legge finanziaria da leggi vigenti, le norme recanti aumenti di entrata o riduzioni di spesa, le misure correttive degli effetti finanziari di leggi di spesa che hanno dato luogo a scostamenti rispetto alle previsioni, l’indicazione della quota di nuove e maggiori entrate che non può essere utilizzata per la copertura di nuove maggiori spese, nonché nuove o maggiori spese correnti e riduzioni di entrata nei limiti delle nuove e maggiori entrate e delle riduzioni permanenti di autorizzazioni di spesa corrente.

 

Si ricorda che disposizioni di analogo tenore, dirette a restringere il contenuto proprio della legge finanziaria, sono state introdotte, in via sperimentale, dall’articolo 1, comma 1-bis, del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112[294], in corso di conversione, ai sensi del quale la legge finanziaria per il 2009 potrà contenere esclusivamente disposizioni strettamente attinenti al suo contenuto tipico, con esplicita esclusione di disposizioni finalizzate direttamente al sostegno o al rilancio dell’economia, nonché di carattere ordinamentale, microsettoriale e localistico.

 

A tale ridimensionamento del contenuto proprio della legge finanziaria corrisponde, peraltro, una significativa valorizzazione del contenuto decisionale del bilancio dello Stato, disposta dall’articolo 60 del citato decreto legge n. 112/08, il quale ha previsto, tra l’altro, in via sperimentale e fino alla riforma della legge di contabilità, che nella legge di bilancio possano essere rimodulate tra i programmi le dotazioni finanziarie di ciascuna missione di spesa, ad eccezione delle spese di natura obbligatoria, in annualità e a pagamento differito, nel rispetto dell’invarianza dei saldi di finanza pubblica e con il limite, per la rimodulazione tra spese di funzionamento e spese per interventi, del 10 per cento delle risorse stanziate per gli interventi stessi, fermo restando il divieto di utilizzo degli stanziamenti di spesa in conto capitale per finanziare spese correnti.

 

Per quanto concerne le novelle all'articolo 11-ter della legge di contabilità generale, recante disposizioni in materia di copertura finanziaria delle leggi, il comma 1, lettera b) dell'articolo in esame, in conformità alle modifiche, sopra illustrate, apportate al suddetto l'articolo 11, dispone che:

§      la copertura finanziaria delle leggi che importino nuove o maggiori spese, ovvero minori entrate, sia determinata, secondo le modalità indicate dal medesimo articolo 11-ter, non più solo con riferimento al saldo netto da finanziare (cioè con riguardo agli effetti negativi che essa determina sulle previsioni di competenza del bilancio dello Stato), ma anche con riferimento al fabbisogno del settore statale e all’indebitamento netto del conto consolidato delle Amministrazioni pubbliche (punto 1).

Si ricorda che l’articolo 11-ter della legge n. 468/1978, prevede, al comma 1, che, in attuazione dell'articolo 81, quarto comma, Cost., ciascuna legge che comporti nuove o maggiori spese indica espressamente, per ciascun anno e per ogni intervento da essa previsto, la spesa autorizzata, che si intende come limite massimo di spesa, ovvero le relative previsioni di spesa, definendo una specifica clausola di salvaguardia per la compensazione degli effetti che eccedano le previsioni medesime[295]. Il comma 2 poi prevede che i disegni di legge, gli schemi di decreto legislativo e gli emendamenti di iniziativa governativa che comportino conseguenze finanziarie devono essere corredati da una relazione tecnica, sulla quantificazione delle entrate e degli oneri recati da ciascuna disposizione, nonché delle relative coperture. A tale ultimo riguardo si ricorda, altresì, come il decreto-legge n. 112 cit, all’art. 60, c. 7, abbia prevIsto che, in sede di relazione tecnica sui provvedimenti legislativi, vengano presentati al Parlamento gli elementi di valutazione relativi a prevedibili effetti specifici e rilevanti sugli andamenti tendenziali del fabbisogno del settore pubblico e dell’indebitamento netto, nonché la presentazione alle Camere di una relazione sulle modalità di calcolo dei predetti saldi.

§      tra le modalità di determinazione della copertura finanziaria delle leggi che importino nuove o maggiori spese, ovvero minori entrate, si possano prevedere, per far fronte agli effetti sul fabbisogno e sull'indebitamento netto (da considerare ai fini della copertura ai sensi delle modifiche precedenti), compensazioni finanziarie, anche in termini di sola cassa (nuova lettera c-bis) dell’art. 11-ter, introdotta dal punto 2);

§      all'atto del passaggio dell'esame tra i due rami del Parlamento debba procedersi all’aggiornamento delle relazioni tecniche[296]relative ai disegni di legge, agli schemi di decreto legislativo e agli emendamenti di iniziativa governativa che comportino conseguenze finanziarie, nonché di quelle eventualmente richieste al Governo dalle Commissioni parlamentari per le proposte legislative e gli emendamenti al loro esame (nuovo comma 5-bis dell’articolo 11-ter, introdotto dal punto 2).

 

Disposizioni volte ad estendere il contenuto delle relazioni tecniche in ordine agli effetti finanziari dei provvedimenti legislativi anche alle valutazioni inerenti gli andamenti tendenziali in termini di fabbisogno del settore pubblico e di indebitamento netto del conto consolidato delle PP.AA., sono state introdotte, dall’art. 60, comma 7, del decreto legge n. 112/08, in corso di conversione.


 

Articolo 73
(Attuazione del federalismo)

 


1. Per lo studio delle problematiche connesse all'effettiva attuazione della riforma federalista, assicurando un contesto di stabilità e piena compatibilità finanziaria con gli impegni europei e internazionali assunti, è stanziata la somma di 3 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009 e di 1,2 milioni di euro a decorrere dall'anno 2010. Alla relativa copertura finanziaria si provvede, per gli anni 2008 e 2009, mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2008-2010, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2008, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero della salute, e, a decorrere dall'anno 2010, a valere sulle risorse derivanti dall'attuazione dell'articolo 45, comma 3, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112.

2. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.


 

Il comma 1 dell’articolo reca lo stanziamento di 3 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009 e di 1,2 milioni di euro a decorrere dall'anno 2010 per lo studio delle problematiche connesse all'effettiva attuazione della riforma federalista, al fine di garantire un contesto di stabilità e di piena compatibilità finanziaria con gli impegni europei e internazionali assunti.

 

Alla relativa copertura finanziaria si provvede:

-       quanto a 3 milioni di euro per gli anni 2008 e 2009, a valere sul fondo speciale di parte corrente allo scopo utilizzando parzialmente l'accantonamento relativo al Ministero della salute;

-        quanto a 1,2 milioni di euro a decorrere dall'anno 2010, a valere sulle risorse derivanti dalla soppressione della Commissione tecnica per la finanza pubblica dall'attuazione, disposta dall'articolo 45, comma 3, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112.

Il comma 3 dell’articolo 45 del D.L. n. 112/2008, attualmente all’esame in seconda lettura presso il Senato,dispone la soppressione della Commissione tecnica per la finanza pubblica - istituita presso il Ministero dell'economia e delle finanze dalla legge finanziaria per il 2007 (art. 1, comma 474, legge n. 296/2006), con compiti di analisi del processo di spending review e di riforma dei bilanci delle amministrazioni pubbliche - nonché la conseguente abrogazione di talune disposizioni relative all’espletamento della sua attività. Le risorse derivanti da tali abrogazioni, pari a 1,2 milioni di euro dal 2008, sono iscritte in un apposito fondo dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze.

Il comma 2 autorizza il Ministro dell'economia e delle finanze ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.


 

Articolo 74
(Corte dei conti)

 


1. Avverso le deliberazioni conclusive di controlli su gestioni che abbiano accertato il mancato raggiungimento degli obiettivi stabiliti o l'inefficienza dell'attività amministrativa svolta, l'amministrazione competente, nel termine perentorio di sessanta giorni dalla formale comunicazione, può, anche mediante strumenti telematici idonei allo scopo, proporre ricorso ad un apposito collegio delle sezioni riunite della Corte dei conti, composto da undici magistrati con qualifica non inferiore a consigliere e presieduto dal Presidente della Corte, che giudica in via esclusiva, con sentenza di mero accertamento, sulla fondatezza degli esiti istruttori e delle risultanze del controllo.

2. Analogamente è dato ricorso ad ogni ente, istituto o amministrazione che avrebbe tratto diretto beneficio dalla gestione sottoposta a controllo, nonché ad ogni contribuente che dimostri, quale ulteriore condizione di procedibilità, di avere adempiuto negli ultimi tre anni ai propri obblighi fiscali.

3. La decisione delle sezioni riunite della Corte dei conti che accerti violazione di norme o regole comunitarie inerenti ai bilanci può essere altresì comunicata, su conforme proposta del Presidente della Corte, ai competenti organi dell'Unione europea.

4. Resta fermo quanto disposto dal comma 3-bis dell'articolo 2 della legge 5 agosto 1978, n. 468, introdotto dall'articolo 1, comma 171, della legge 23 dicembre 2005, n. 266.

5. Le sezioni riunite della Corte dei conti in sede di controllo, ferme restando le attribuzioni ad esse demandate da norme di legge o di regolamento, contemporaneamente al giudizio di parifica del rendiconto generale dello Stato, a norma degli articoli 40 e 41 del testo unico di cui al regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214, rendono altresì al Parlamento il referto, ai fini di coordinamento del sistema complessivo di finanza pubblica, previsto dal comma 4 dell'articolo 3 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, come modificato dall'articolo 3, comma 65, della legge 24 dicembre 2007, n. 244.

6. Le sezioni riunite della Corte dei conti procedono, altresì, all'analisi delle entrate, verificandone lo scostamento rispetto alle previsioni e le cause di esso, evidenziando anche la distribuzione territoriale e funzionale delle stesse entrate.

7. Fermo restando il parere obbligatorio di cui al regio decreto-legge 9 febbraio 1939, n. 273, convertito dalla legge 2 giugno 1939, n. 739, il Presidente del Consiglio dei ministri può avvalersi della facoltà prevista per i Presidenti delle Camere dall'articolo 16, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e può altresì chiedere alla Corte dei conti pareri su questioni relative alla finanza pubblica.

8. Il Presidente della Corte dei conti stabilisce se sottoporre le richieste di parere di cui al comma 7 alle sezioni riunite in sede consultiva ovvero, per ragioni di urgenza, a un collegio di sette magistrati da questo nominato.

9. Il Presidente del Consiglio dei ministri chiede altresì il parere della Corte dei conti in ordine all'attuazione annuale dell'obbligo di cui al comma 3-bis dell'articolo 2 della legge 5 agosto 1978, n. 468, introdotto dall'articolo 1, comma 171, della legge 23 dicembre 2005, n. 266.

10. Il Presidente del Consiglio dei ministri può invitare il Presidente della Corte dei conti, o un magistrato da questo delegato, ad assistere a riunioni tecniche del Governo per essere sentito su questioni relative alla finanza pubblica.

11. Al fine di assicurare la trasparenza e l'affidabilità dei conti pubblici, il Presidente del Consiglio dei ministri o le competenti Commissioni parlamentari possono chiedere alla Corte dei conti la verifica e la certificazione delle risultanze dei conti pubblici. La Corte vi procede di concerto con il Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato del Ministero dell'economia e delle finanze, previa stipula di uno specifico protocollo d'intesa, relativo alle modalità di lavoro, tra il Ragioniere generale dello Stato e il Segretario generale della Corte dei conti, nel rispetto delle direttive allo stesso impartite dal Presidente della Corte medesima.

12. Le sezioni della Corte dei conti, per l'esercizio delle proprie funzioni, hanno accesso diretto in via telematica alle banche dati di ogni pubblica amministrazione.


 

 

I commi 1-3 dell’articolo 74 individuano una procedura giurisdizionale per la contestazione di deliberazioni conclusive di controlli su gestioni svolti dalla Corte dei conti nei quali siano stati accertati il mancato raggiungimento di obiettivi stabiliti o l’inefficienza dell’attività svolta.

La riforma delle funzioni di controllo della Corte dei Conti realizzata dalla L. 20/1994[297] si è mossa nella direzione di ridurre i controlli preventivi di legittimità, valorizzando al contempo il controllo sull’attività e sulle gestioni come strumento per la verifica del rispetto dei principi di efficienza, di economicità e di efficacia.

Più in particolare, i tratti fondamentali del modello di controllo prefigurato dalla legge di riforma sono sostanzialmente tre: in primo luogo, il controllo preventivo di legittimità è limitato e concentrato sugli atti fondamentali del Governo (e non più su tutti gli atti prodotti dall'amministrazione); in secondo luogo, viene potenziato e generalizzato a tutte le amministrazioni il controllo successivo sulla gestione, da svolgere sulla base di appositi programmi elaborati dalla Corte dei conti, che riferisce al Parlamento ed ai Consigli regionali sull'esito dei controlli eseguiti; in terzo luogo viene attribuito alla Corte dei conti il compito di verificare la funzionalità dei controlli interni all'amministrazione.

Con particolare riferimento ai controlli sulle gestioni, l’articolo 3, comma 4, della L. 20/1994 prevede che la Corte svolga, anche in corso di esercizio, il controllo successivo sulla gestione del bilancio e del patrimonio delle amministrazioni pubbliche, nonché sulle gestioni fuori bilancio e sui fondi di provenienza comunitaria, verificando la legittimità e la regolarità delle gestioni, nonché il funzionamento dei controlli interni a ciascuna amministrazione. La Corte, poi, accerta, anche in base all'esito di altri controlli, la rispondenza dei risultati dell'attività amministrativa agli obiettivi stabiliti dalla legge, valutando comparativamente costi, modi e tempi dello svolgimento dell'azione amministrativa.

La Corte, inoltre, definisce ogni anno i programmi ed i criteri di riferimento del controllo di gestione[298] sulla base delle priorità previamente deliberate dalle competenti Commissioni parlamentari. L’intervento del Parlamento nel procedimento di formazione del programma di controllo di gestione della Corte dei conti è stato introdotto di recente ad opera della legge finanziaria per il 2007[299] (art. 1, co. 473). La legge finanziaria 2008[300] ha inoltre precisato che i programmi e i criteri per il controllo debbano tenere conto, ai fini di referto per il coordinamento del sistema di finanza pubblica, anche delle relazioni redatte dagli organi che esercitano funzioni di controllo o vigilanza su amministrazioni, enti pubblici, autorità amministrative indipendenti o società a prevalente capitale pubblico

Ai sensi del comma 6 dell’art. 3, la Corte dei conti riferisce, almeno annualmente, al Parlamento ed ai consigli regionali sull'esito dei controlli eseguiti. Le relazioni sono inviate anche alle amministrazioni interessate, alle quali la Corte può altresì formulare, in qualsiasi momento, le proprie osservazioni. Entro sei mesi dalla ricezione della relazione, le amministrazioni comunicano alla Corte ed agli organi elettivi le misure adottate al riguardo.

L’articolo 3, comma 64, della legge finanziaria 2008, ha inoltre previsto che, ove un’amministrazione ritenga di non ottemperare ai rilievi svolti dalla Corte dei conti nell’esercizio del controllo su gestioni di spesa e di entrata, essa debba inviare –entro 30 giorni dalla ricezione dei rilievi - un documento motivato alla Presidenza delle Camere, alla Presidenza del Consiglio e alla Presidenza della Corte dei conti.

Con particolare riferimento agli enti locali, la L. 20/1994 ha mantenuto in vigore i controlli già previsti dal D.L. 786/1981[301], che prevedeva l’esame dei conti consuntivi delle province e dei comuni con popolazione superiore ad 8.000 abitanti ai fini di riferire al riguardo al Parlamento.

L’art. 7 della L. 131/2003[302] (c.d. legge La Loggia) reca inoltre[303] un’articolata disciplina delle funzioni di controllo della Corte dei conti sulla finanza territoriale, a fini di coordinamento della finanza pubblica: in particolare, la Corte è tenuta a verificare il rispetto degli equilibri di bilancio da parte degli enti territoriali, nonché (tramite le sezioni regionali di controllo) il perseguimento degli obiettivi posti dalle leggi statali o regionali di principio e di programma, nel rispetto della natura collaborativa del controllo sulla gestione, la sana gestione finanziaria degli enti locali ed il funzionamento dei controlli interni. Al fine di rafforzare la natura collaborativa dei controlli previsti, l’art. 7 prevede inoltre che le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti riferiscano sugli esiti delle verifiche esclusivamente ai Consigli degli enti controllati.

Comuni, Province e Città metropolitane possono richiedere, di norma attraverso il Consiglio delle autonomie locali, ulterioriforme di collaborazione alle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, ai fini della regolare gestione finanziaria e dell’efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa.

La disposizione fa riferimento, in via generale, a deliberazioni conclusive di controlli sulle gestioni e – pertanto – sembra trovare applicazione anche in relazione i controlli sulle amministrazioni territoriali.

 

Quanto al procedimento, il comma 1 dell’articolo in esame prevede che i ricorsi possano essere presentati, anche a mezzo di strumenti telematici, entro 60 giorni dalla comunicazione formale della deliberazione conclusiva del controllo.

La procedura contenziosa introdotta dalla disposizione in esame si innesta, peraltro, in un contesto normativo che prevede una serie di adempimenti da parte delle amministrazioni che – nell’ambito di controlli su gestioni di spesa o di entrata – siano state destinatarie di rilievi formulati dalla Corte dei conti. In particolare, come già ricordato, in base all’art. 3, co. 64, della legge finanziaria 2008, le amministrazioni che ritengano di non ottemperare ai rilievi svolti dalla Corte dei conti sono tenute ad inviare – entro 30 giorni dalla ricezione dei rilievi - un documento motivato alla Presidenza delle Camere, alla Presidenza del Consiglio e alla Presidenza della Corte dei conti.

In questo quadro, quindi, l’amministrazione che ritenga infondati i rilievi formulati dalla Corte nell’ambito delle sue funzioni di controllo è tenuta a trasmettere alle Istituzioni competenti il documento motivato prima della scadenza del termine per la presentazione del ricorso avverso la deliberazione che abbia formulato il rilievo, in esito al quale potrebbe anche essere dichiarata l’infondatezza del rilievo stesso.

Potrebbe, pertanto, valutarsi l’opportunità di un coordinamento tra le due previsioni.

 

I ricorsi possono essere presentati – oltre che dall’amministrazione interessata (co. 1) – anche da enti, istituti e amministrazioni che avrebbero tratto diretto beneficio dalla gestione sottoposta a controllo, nonché da ogni contribuente che sia da almeno tre anni in regola con i propri adempimenti fiscali (comma 2).

I caratteri della procedura di impugnazione da parte dei soggetti diversi dall’ente controllato non sono espressamente definiti dal comma 2 dell’articolo in esame, che richiama per analogia quanto previsto dal comma 1 per l’amministrazione interessata. In particolare non è espressamente chiarito se si applichi anche a tali soggetti il termine decadenziale previsto dal comma 1 per la proposizione del ricorso (60 giorni dalla comunicazione formale della deliberazione), tenuto altresì conto del fatto che la deliberazione non è ad essi comunicata.

Quanto ai presupposti dell’impugnazione, sembra che anche i soggetti diversi dall’ente controllato possano presentare ricorso solo avverso le deliberazioni che abbiano accertato il mancato raggiungimento di obiettivi stabiliti o l’inefficienza dell’attività svolta e non anche avverso le deliberazioni che non abbiano evidenziato analoghe problematiche. In sostanza, quindi, il ricorso sarebbe finalizzato a far valere la correttezza dell’operato dell’ente sottoposto a controllo.

 

La disposizione, attribuendo a ciascun contribuente la possibilità di ricorrere, configura in sostanza una azione popolare.

Nel nostro ordinamento il caso più noto di azione popolare è quella – a carattere suppletivo – prevista dall’art. 9 del T.U.E.L.[304], in base al quale ciascun elettore può far valere in giudizio le azioni e i ricorsi che spettano al comune e alla provincia. Il giudice dispone necessariamente l'integrazione del contraddittorio nei confronti del comune o della provincia. In caso di soccombenza, le spese sono a carico di chi ha promosso l'azione o il ricorso, salvo che l'ente costituendosi abbia aderito alle azioni e ai ricorsi promossi dall'elettore. Tra gli altri casi di azione popolare si ricordano, inoltre:

-        l’azione avverso le decisioni delle Commissioni elettorali mandamentali circa l'iscrizione nelle liste degli elettori, che può essere esperita da ciascun cittadino innanzi alla Corte d'appello, sia con riferimento alle elezioni politiche sia a quelle amministrative (artt. 42 e 44 D.P.R. 223/1967[305]);

-        l’azione riconosciuta agli elettori del Comune, della Provincia e della Regione in materia elettorale per le consultazioni relative agli enti territoriali[306] e al rinnovo del Parlamento europeo[307].

 

La decisione sul ricorso spetta ad un apposito collegio costituito all’interno delle sezioni riunite della Corte di conti, che decide con una sentenza di mero accertamento sulla fondatezza degli esiti dell’istruttoria e delle risultanze del controllo. Il collegio è presieduto dal Presidente della Corte ed è composto da undici magistrati di qualifica non inferiore a consigliere (non possono , quindi, far parte del collegio i referendari ed i primi referendari).

Non è peraltro prevista una specifica disciplina delle procedure applicabili alla fase giurisdizionale che si svolge davanti al collegio delle Sezioni riunite.

 

Il comma 3 prevede, inoltre, che la sentenza che abbia accertato la violazione di norme o regole comunitarie in materia di bilancio possa essere comunicata – su proposta del Presidente della Corte – ai competenti organi dell’Unione europea.

Il tenore letterale della disposizione, che fa riferimento a violazione di norme o regole comunitarie in materia di bilancio, non chiarisce in modo univoco se essa si riferisca anche ad eventuali inefficienze o frodi riscontrate nella gestione dei fondi di provenienza comunitaria.

Come già segnalato, l’art. 3, co. 4, della L. 20/1994 attribuisce alla Corte dei conti il controllo successivo sulla gestione della anche sui fondi di provenienza comunitaria.

Nell’ambito di detta funzione la Corte dei conti controlla la gestione del fondi strutturali comunitari, verificando l’utilizzazione dei finanziamenti di provenienza comunitaria e l’efficacia della loro gestione rispetto agli obiettivi posti dalla normativa comunitaria e nazionale. La Corte verifica anche la consistenza e le cause delle possibili frodi, nonché le misure preventive e repressive adottate dalle amministrazioni pubbliche.

 

Con riferimento alla portata del comma in esame, si segnala inoltre che esso determina una sostanziale legificazione, con riferimento alle sentenze di accertamento introdotte dalla norma di esame, di disposizioni che già sono contenute nel regolamento di organizzazione delle funzioni di controllo della Corte dei conti.

In base alle disposizioni di auto-organizzazione attualmente vigenti[308], infatti, la sezione di controllo per gli affari comunitari ed internazionali riceve da tutte le sezioni centrali e regionali di controllo segnalazione di atti di gestione contrastanti con norme o principi della Unione europea e può proporre al presidente della Corte di darne comunicazione, con relazione illustrativa, alla Corte dei conti europea e ai competenti organi dell'Unione.

Il presidente della Corte, qualora accolga la proposta, approva la relazione illustrativa e dà indirizzi alla sezione per gli ulteriori adempimenti

 

Il comma 4 mantiene fermo l’obbligo in capo al Governo di tener conto, in sede di formulazione delle previsioni di spesa, degli esiti del controllo successivo sulla gestione del bilancio e del patrimonio delle amministrazioni pubbliche effettuato dalla Corte di conti e di indicare, nelle note preliminari agli stati di previsione della spesa, le misure adottate a seguito delle valutazioni operate dalla Corte dei conti.

Il suddetto obbligo è contenuto nel comma 3-bis dell'articolo 2 della legge di contabilità generale dello Stato (l. n. 468/1978), ed è stato introdotto nella disciplina generale del procedimento di formazione del bilancio di previsione dalla legge finanziaria per il 2006 (articolo 1, comma 171 della legge n. 266/2005).

 

Ai sensi del comma 9 dell’articolo in esameil Presidente del Consiglio chiede il parere della Corte dei conti in ordine all'attuazione annuale dell'obbligo di cui sopra.

Il comma 5 stabilisce che le Sezioni riunite in sede di controllo - ferme restando le attribuzioni ad esse demandate da norme di legge o di regolamento - contemporaneamente al giudizio di parifica del Rendiconto generale dello Stato[309], rendano altresì al Parlamento il referto per il coordinamento del sistema complessivo di finanza pubblica, previsto dalla disciplina generale in materia di controlli della Corte dei Conti (art. 3, comma 4 della legge n. 20/1994, come modificato, da ultimo, dalla legge finanziaria 2008, art. 3, comma 65) .

L’art. 3, comma 4, della legge n. 20/1994 affida alla Corte di conti il compito di svolgere, anche in corso di esercizio, il controllo successivo sulla gestione del bilancio e del patrimonio delle pubbliche amministrazioni, comprese le gestioni fuori bilancio e la gestione dei fondi comunitari. A tal fine la Corte verifica la legittimità e la regolarità delle gestioni e il funzionamento dei controlli interni alle singole amministrazioni. Obiettivo di tali controlli è la valutazione della rispondenza dei risultati dell’attività amministrativa agli obiettivi posti dalla legge, in termini di costi, modi e tempi di svolgimento dell’azione amministrativa. Il citato comma 4, così come modificato prima dalla legge finanziaria 2007 e poi dalla legge finanziaria 2008 (rispettivamente, art. 1, comma 473, e art. 1, comma 65), attribuisce altresì alla Corte il compito di definire annualmente i programmi e i criteri di riferimento del controllo di gestione sulla base delle priorità previamente deliberate dalle competenti Commissioni parlamentari a norma dei rispettivi regolamenti, anche tenendo conto - ai fini di referto per il coordinamento del sistema di finanza pubblica - delle relazioni redatte dagli organi, collegiali o monocratici, che esercitano funzioni di controllo o vigilanza su amministrazioni, enti pubblici, autorità amministrative indipendenti o società a prevalente capitale pubblico.

 

Si segnala che il Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti, con Deliberazione del 19 Giugno 2008, ha già previsto (art. 8 della deliberazione) – attraverso una modifica all'art. 6 del Regolamento per l'organizzazione delle funzioni di controllo della Corte [310]- che in occasione del giudizio sul Rendiconto generale dello Stato la Corte trasmetta altresì al Parlamento il referto per il coordinamento del sistema di finanza pubblica, a norma dell'art. 3, comma 65, della legge 24 dicembre 2007, n. 244. In particolare, l’articolo 7 della Deliberazione ha disposto che tutte le sezioni di controllo orientino i propri programmi di controllo sulle gestioni all’obiettivo di accertare che ogni spesa abbia conseguito il miglior risultato, tenuto conto dei profili di efficienza, efficacia ed economicità, anche al fine della riqualificazione della spesa pubblica o di una diversa allocazione delle risorse; la stessa Delibera specifica, inoltre, tra le competenze della Corte, l’accertamento dell’osservanza dell’obbligo in capo al Governo di seguire i risultati del controllo successivo sulla gestione in sede di elaborazione delle previsioni di spesa (articolo 8).

 

Ai sensi del comma 6 le Sezioni riunite della Corte sono chiamate a compiere un'analisi delle entrate, al fine di verificarne lo scostamento rispetto alle previsioni e le cause di esso, evidenziando altresì la distribuzione territoriale e funzionale delle stesse.

 

Si segnala che la citata Deliberazione del 19 giugno 2008 prevede, all’articolo 10, la costituzione di un apposito collegio presso la Sezione centrale di controllo sulle gestioni delle Amministrazioni centrali dello Stato, nonché su quelle decentrate, con il compito di verificare lo scostamento delle entrate rispetto alle previsioni e di accertare i recuperi effettivamente conseguiti per effetto della lotta all’evasione tributaria o derivanti da altre attività.

 

Fermo restando il parere obbligatorio che la Corte dei conti rende (ai sensi dell’articolo 1 del R.D.L. n. 273/1939) sui provvedimenti legislativi che ne riguardino l’ordinamento o le funzioni, o che le attribuiscono nuovi compiti, o sopprimono o modificano quelli ad essa già conferiti, il comma 7 attribuisce al Presidente del Consiglio dei ministri la facoltà – già prevista per i Presidenti delle Camere - di chiedere alla Corte dei Conti valutazioni in ordine alle conseguenze finanziarie che deriverebbero dalla conversione in legge di un decreto legge o dalla emanazione di decreti legislativi delegati, ovvero di chiedere alla Corte pareri su questioni relative alla finanza pubblica.

 

Ai sensi del comma 8 è il Presidente della Corte dei conti a stabilire se sottoporre tali richieste di parere alle sezioni riunite in sede consultiva ovvero, per ragioni di urgenza, ad un collegio di sette magistrati nominato dal Presidente medesimo.

Si ricorda che l’articolo 16, comma 2, della legge n. 400/1988 prevede che il Presidente della Corte dei conti, in quanto ne faccia richiesta la Presidenza di una delle Camere, anche su iniziativa delle Commissioni parlamentari competenti, trasmette al Parlamento le valutazioni della Corte in ordine alle conseguenze finanziarie che deriverebbero dalla conversione in legge di un decreto-legge o dalla emanazione di un decreto legislativo adottato dal Governo su delegazione delle Camere.

 

Il comma 10 attribuisceal Presidente del Consiglio dei ministri la facoltà di invitare il Presidente della Corte dei conti, o un magistrato da lui delegato, ad assistere a riunioni tecniche del Governo per essere sentito su questioni relative alla finanza pubblica.

 

Inoltre, ai sensi del comma 11, al fine di assicurare la trasparenza e l'affidabilità dei conti pubblici, il Presidente del Consiglio dei ministri o anche le competenti Commissioni parlamentari possono chiedere alla Corte dei conti la verifica e la certificazione delle risultanze dei conti pubblici.

A tal fine la Corte procede di concerto con il dipartimento della Ragioneria generale dello Stato del Ministero dell'economia e delle finanze, previa stipulazione di uno specifico protocollo d'intesa, relativo alle modalità di lavoro, tra il Ragioniere generale dello Stato e il Segretario generale della Corte, nel rispetto delle direttive allo stesso impartite dal Presidente della Corte medesima.

 

Il comma 12 riconosce alla Corte dei conti – per l’esercizio delle proprie funzioni di controllo – la possibilità di accedere in via telematica alle banche dati di ogni amministrazione.

Al riguardo, si segnala che la formulazione particolarmente ampia della disposizione sembra consentire l’accesso anche a dati di carattere sensibile o riservato senza che siano previste espressamente misure di tutela.

Quanto ai poteri istruttori attualmente riconosciuti alla Corte dei conti, si ricorda che ai sensi dell’art. 3, co. 8, della L. 20/1994, la Corte dei conti, nell'esercizio delle attribuzioni di controllo, può richiedere alle amministrazioni pubbliche ed agli organi di controllo interno qualsiasi atto o notizia e può effettuare e disporre ispezioni e accertamenti diretti[311]. Gli adempimenti istruttori possono essere delegati anche a funzionari delle pubbliche amministrazioni[312].


 

Articolo 75
(Disposizioni finanziarie)

 

1. Per la realizzazione degli interventi di cui ai capi I, II e III del titolo I, effettuati per il tramite dell'Agenzia per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa Spa, si provvede a valere sulle risorse finanziarie disponibili presso l'Agenzia medesima, ferme restando le modalità di utilizzo già previste dalla normativa vigente per le disponibilità giacenti sui conti di tesoreria intestati all'Agenzia.

 

L’articolo dispone in ordine alla copertura finanziaria degli interventi previsti al capo I - Impresa (articoli da 1 a 13) -, al capo II – Innovazione (articolo 14) - e capo III - Energia (articoli 15-18) del titolo I (Sviluppo economico, semplificazione e competitività), effettuati tramite l’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo di impresa Spa (ex Sviluppo Italia Spa), stabilendo che per la realizzazione degli stessi si provvede a valere sulle risorse finanziarie disponibili presso l’Agenzia stessa, ferme restando le modalità di utilizzo - a carattere rotativo - già previste per le disponibilità giacenti sui conti di tesoreria intestati all’Agenzia.

 

Si osserva come le disposizioni in esame andrebbero più correttamente riferite ai soli articoli 5 e 17, ossia alle sole norme che prevedono l’intervento dell’Agenzia.

Si segnala, infatti, che la relazione tecnica allegata al disegno di legge, relativamente agli articoli da 1 a 18, presenta schede soltanto per gli articoli 1, 2, 4, 9 e 14, indicando che non comportano oneri.

In particolare, relativamente agli articoli 1 e 2, si tratta di risorse già autorizzate, che non risulterebbero suscettibili di determinare effetti sui saldi in quanto non è prevista una accelerazione della spesa; la copertura degli oneri previsti dall’articolo 4 (Banca del Mezzogiorno) è posta a carico del Fondo speciale (Tabella A); gli articoli 1, 2 e 4 sono peraltro confluiti nel D.L. n. 112, come approvato dalla Camera dei deputati. L’articolo 9 (Utilizzo quota degli utili SIMEST) riguarda le risorse dello specifico fondo di rotazione; gli 800 milioni di euro destinati alla banda larga (articolo 14) sono a valere sulle risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS).

Si osserva, infine, che, relativamente agli articoli 5 (interventi di reidustrializzazione) e 17 (Innovazione nel settore energetico), non viene fissato l’ammontare complessivo delle agevolazioni (articolo 5) o del Piano operativo (articolo 17); la copertura degli oneri è posta a valere sulle disponibilità giacenti sui conti di tesoreria intestati all’Agenzia, ma la relazione non ne indica l’attuale ammontare, che dovrebbe eventualmente essere in parte vincolato alle nuove finalizzazioni.



[1]    Si segnala che la Corte costituzionale, con la sentenza n.165 del 18 aprile-11 maggio 2007 (GU 16 maggio 2007, n. 19 - Prima serie speciale), ha dichiarato l’illegittimità del comma 366, relativamente alla parte in cui non prevede – ai fini della definizione, con decreto, delle caratteristiche e delle modalità di individuazione dei distretti produttivi - la previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sentite le Regioni interessate.

[2]     Interventi di sostegno per i consorzi tra piccole e medie imprese industriali, commerciali ed artigiane.

[3]    La nuova disciplina in materia di distretti produttivi è stata estesa al settore della pesca dal DL n. 2 del 10 gennaio 2006 (Interventi urgenti per i settori dell’agricoltura, dell’agroindustria, della pesca, nonché in materia di fiscalità d’impresa), convertito con modificazioni dalla legge n. 81 dell’11 marzo 2006 (SO n. 58 della GU n. 59 dell’11 marzo 2006), art. 5-bis, comma 1.

[4]    Articolo aggiunto dall’art. 2, comma 43-ter, del D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4.

[5]    Di cui al decreto ministeriale 18 settembre 2001, n. 468 e successive modifiche ed integrazioni, l’ultima delle quali è avvenuta ad opera del DM 28 novembre 2006, n. 308 (GU n. 24 del 30 gennaio 2007, S.O. n. 23).

[6]    Al comma 8 dell’art. 252-bis viene infatti esplicitato che gli obiettivi di bonifica dei suoli e delle acque sono stabiliti dalla Tabella I dell'Allegato 5 al titolo V del D.Lgs. n. 152/2006, in luogo dell’analisi di rischio ordinariamente prevista.

[7]    Si veda, ad esempio, L. Musmeci, La nuova disciplina della bonifica, in “Rifiuti - Bollettino di informazione normativa” n. 148-149 del 2008.

[8]    L’accordo di programma, introdotto dall'art. 27 della L. 142/1990 e ora disciplinato dall'art. 34 del D.Lgs. 267/2000 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali) è un atto mediante il quale diversi enti pubblici (regioni, province comuni, amministrazioni statali) coordinano le loro attività future per la realizzazione di opere pubbliche e infrastrutture, di interventi o di programmi di intervento che richiedono, per la loro completa realizzazione, l'azione integrata e coordinata di due o più tra i soggetti predetti. Il procedimento per la conclusione dell'accordo è promosso, anche su richiesta di uno o più dei soggetti interessati, dall'ente territoriale cui spetta in modo prevalente la competenza per la realizzazione delle opere, per assicurare il coordinamento delle azioni e per determinarne i tempi, le modalità, il finanziamento ed ogni altro connesso adempimento. L’accordo è approvato con atto formale del presidente della regione o del presidente della provincia o del sindaco ed è pubblicato nel bollettino ufficiale della regione. Se comporta la partecipazione di più regioni deve essere promosso dalla Presidenza del consiglio dei ministri.

[9]    Il principale strumento di attrazione degli investimenti è stato identificato nel “contratto di localizzazione”. Si tratta di uno strumento previsto nel “Programma operativo pluriennale di marketing territoriale per l’attrazione degli investimenti esteri”, finanziato dal CIPE con la delibera n. 130/2002 e richiamato dall’articolo 6, comma 13, del D.L. n. 35 del 2005, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 80 del 2005.

[10]   L’Accordo, di durata triennale e tacitamente rinnovabile per un periodo di uguale durata, è stato sottoscritto il 30 aprile 2001 allo scopo di valorizzare le Università italiane nelle loro interconnessioni con il sistema economico, sia in qualità di soggetti a cui è demandata in via prioritaria la creazione di conoscenza e l'alta formazione, sia in qualità di canali per l'acquisizione, lo sviluppo e la diffusione delle conoscenze specialistiche e innovative che fanno da supporto ai processi di internazionalizzazione e di acquisizione di una maggiore competitività delle imprese. Tra gli obiettivi primari individuati dall’Accordo rientrano: a) l'integrazione fra la produzione di conoscenza in materia di internazionalizzazione del sistema universitario e il mondo delle imprese, incentivando a tal fine i rapporti delle Università con i sistemi produttivi locali, i distretti industriali e i parchi tecnologici italiani e stranieri; b) promozione all'estero dell'offerta formativa del sistema universitario italiano. Le azioni derivanti dall’Accordo dovranno essere individuate in coerenza con le Linee direttrici ministeriali in materia di attività promozionale e tenendo conto degli interventi a favore dei sistemi produttivi anche in ambito degli Accordi programma sottoscritti con le Regioni e degli Accordi di settore sottoscritti con le Associazioni di categoria. In prima applicazione tali azioni saranno volte: alla promozione e al sostegno della diffusione all'estero di informazioni sulle attività formative delle Università italiane; alla realizzazione di specifiche iniziative promozionali per presentare l'offerta formativa del sistema universitario italiano o le opportunità formative settoriali; l'identificazione di potenziali partners stranieri per lo svolgimento di attività di ricerca e formazione in materia di internazionalizzazione; la realizzazione di iniziative di scambio, comprese quelle relative a tecnologie, tra Università ed imprese, mediante forum, organizzazione di meeting, workshop, seminari nei centri di produzione, parchi tecnologici ecc.; lo sviluppo della collaborazione tra le Università e tra queste e gli altri soggetti operanti nel campo della formazione per l'internazionalizzazione - in primo luogo l'ICE. L’art. 3 dell’Accordo demanda al Ministero (ora dello sviluppo economico) il compito di individuare priorità, risorse e procedure relative alla selezione e al finanziamento dei progetti, stabilendo, inoltre che la valutazione dei progetti sia realizzata con l’apporto di un Comitato di valutazione appositamente costituito. Lo stesso art. 3 stabilisce che la valutazione dei progetti sia realizzata con l’apporto di un Comitato costituito ad hoc (art.4), in cui siedono i rappresentanti del Ministero delle attività produttive, della Conferenza dei rettori delle università, dell’Istituto per il commercio estero e del Ministero degli affari esteri.

[11]   Si ricorda che nel corso della XIV legislatura l’intento governativo di riordinare il settore si era concretizzato nella previsione di due deleghe per l’adozione di appositi provvedimenti, contenute nelle leggi n. 229/03 (Interventi in materia di qualità della regolazione, riassetto normativo e codificazione - Legge di semplificazione 2001) e n. 56/05, nessuna delle quali è peraltro stata attuata, nonché nella trasformazione in società per azioni dell’Istituto per i servizi assicurativi del commercio estero (SACE) e nella revisione della disciplina istitutiva della società SIMEST, recata dalla legge n. 100 del 1990.

[12]   "Riforma dell'organizzazione del Governo, a norma dell'articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59".

[13]   COM(2006)567. Obiettivo della comunicazione è quello di definire una strategia per aprire nuovi mercati esteri all’Unione europea, assicurando che gli esportatori europei siano in grado di sostenere una leale competitività, e per mantenere aperti i propri mercati.

[14]   La precedente strategia di accesso al mercato dell’Unione europea è stata definita nel 1996, sulla base della comunicazione della Commissione “Una strategia di accesso ai mercati per l'Unione europea” (COM (1996) 53) del 14 febbraio 1996.

[15]   Si tratterebbe di gruppi comunitari, impiantati localmente, composti da rappresentanti delle delegazioni della Commissione, delle ambasciate degli Stati membri e delle organizzazioni delle imprese.

[16]    Il DL 14 marzo 2005, n. 35 recante (Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale) è stato convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80.

[17]   Simest (Società italiana per le imprese all'estero) è una società per azioni controllata dallo Stato, che ne detiene il 76 per cento del pacchetto azionario, istituita nel 1990 sulla base di quanto previsto dalla legge n. 100 del 1990 (Norme sulla promozione della partecipazione a società ed imprese miste all'estero) ed operativa dal 1991. La missione della Società è la promozione del processo di internazionalizzazione delle imprese italiane e l’assistenza degli imprenditori nelle loro attività all’estero, mediante la partecipazione alle società estere partecipate da imprese italiane (c.d. joint-ventures) ovvero ai consorzi che prestano servizi alle imprese, nonché l’offerta di servizi di assistenza e consulenza e la concessione di garanzie a favore delle imprese presso gli intermediari finanziari.

[18]   Il DL 30 settembre 2005, n. 203 recante Misure di contrasto all'evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria è statoconvertito in legge, con modificazioni dall’art. 1 della legge 2 dicembre 2005, n. 248.

[19]   La legge n. 84/01(Disposizioni per la partecipazione italiana alla stabilizzazione, alla ricostruzione e allo sviluppo di Paesi dell'area balcanica), all’articolo 5, co. 2,lettera c), prevede, l'istituzione presso la SIMEST Spa di un fondo autonomo e distinto dal patrimonio della società medesima con finalità di capitale di rischio (venture capital), per l'acquisizione, da parte di quest'ultima, di partecipazioni societarie fino al 40 per cento del capitale o fondo sociale delle società o imprese partecipare. Ciascun intervento non può essere superiore ad 1 miliardo delle vecchie lire e, comunque, le partecipazioni devono essere cedute, a prezzo non inferiore a valori correnti, entro otto anni dall'acquisizione. Analogamente l’articolo 46 della legge 273/2002 (“Misure per favorire l'iniziativa privata e lo sviluppo della concorrenza”) ha autorizzato il Ministero delle attività produttive a costituire, ai sensi e per le finalità della legge n. 100 del 24 aprile 1990, e successive modificazioni, fondi rotativi per la gestione delle risorse deliberate dal CIPE per il sostegno degli investimenti delle piccole e medie imprese nella Repubblica Federale di Jugoslavia, per il finanziamento di operazioni venture capital nei Paesi del Mediterraneo e per favorire il processo di internazionalizzazione delle imprese italiane.

[20]    La SIMEST - Società italiana per le imprese all'estero – è una società per azioni controllata dal Governo italiano che detiene il 76% del pacchetto azionario, ed è stata istituita dalla legge 24 aprile 1990, n. 100 con il compito di partecipare alle società estere partecipate dalle imprese italiane, le cosiddette joint-ventures.

[21]   Il D.Lgs. 31-3-1998 n. 143, recante “Disposizioni in materia di commercio con l'estero, a norma dell'articolo 4, comma 4, lettera c), e dell'articolo 11 della L. 15 marzo 1997, n. 59” è stato pubblicato nella Gazz. Uff. 13 maggio 1998, n. 109

[22]   L’art. 17, comma 2, L. 400/1988, prevede che il Governo possa emanare regolamenti diretti a disciplinare materie non coperte da riserva assoluta di legge, dettando “le norme generali regolatrici della materia” e disponendo l’abrogazione delle norme vigenti dal momento dell’entrata in vigore di quelle regolamentari. Tali regolamenti hanno natura normativa e, conseguentemente, per la loro adozione è richiesto il parere del Consiglio di Stato (si veda C.d.S., Sez. IV, sent. 15-2-2001, n.734).

[23]   La proposta modifica la precedente proposta presentata dalla Commissione il 12 luglio 2005 (COM(2005)276, 1-2, costituita da una proposta di direttiva relativa alle misure penali finalizzate ad assicurare il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale e da una proposta di decisione quadro relativa al rafforzamento del quadro penale per la repressione delle violazioni della proprietà intellettuale e da una proposta di decisione quadro), al fine di adeguarla alla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee del 13 settembre (2005C-176/03 Commissione contro Consiglio), alla luce della quale le disposizioni di diritto penale necessarie all’effettiva attuazione del diritto comunitario sono disciplinate dal trattato CE. Il nuovo testo integra pertanto le disposizioni relative al livello delle sanzioni e agli ampi poteri di confisca che figuravano nella proposta di decisione quadro.

[24]   Proposta di decisione quadro relativa alla lotta contro la criminalità organizzata(COM(2005)6), presentata dalla Commissione europea il 19 febbraio 2005

[25]    D.L. 14 marzo 2005 n. 35, Disposizioni urgenti nell'àmbito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale, convertito dalla L. 14 maggio 2005, n. 80.

[26]   Il citato articolo 46 fissa in norme in tema di novità stabilendo che un'invenzione viene considerata nuova se non è compresa nello stato della tecnica che, a sua volta, è costituito da tutto ciò che è stato reso accessibile al pubblico nel territorio dello Stato o all'estero prima della data del deposito della domanda di brevetto, mediante una descrizione scritta od orale, una utilizzazione o un qualsiasi altro mezzo. È pure considerato come compreso nello stato della tecnica il contenuto di domande di brevetto nazionale o di domande di brevetto europeo o internazionali designanti e aventi effetto per l'Italia, così come sono state depositate, che abbiano una data di deposito anteriore a quella sopra menzionata e che siano state pubblicate o rese accessibili al pubblico anche in questa data o più tardi. Le disposizioni anzidette non escludono la brevettabilità di una sostanza o di una composizione di sostanze già compresa nello stato della tecnica, purché in funzione di una nuova utilizzazione.

[27]   Con la Convenzione di Parigi del 22 novembre 1928, caratterizzata dall’adesione di molti Stati tra cui l’Italia, con il fine di regolamentare organizzazione e frequenza delle molte esposizioni internazionali succedutesi in varie città dei paesi industrializzati dalla seconda metà dell’Ottocento al primi decennio del Novecento, è stato istituto il B.I.E (Bureau International des Expositions). La Convenzione conta attualmente 140 Stati e organismi membri. Aggiornata di continuo dal 1928 ad oggi, la Convenzione ha delineato il carattere fondamentale che ogni Esposizione internazionale deve assumere. Nella Convenzione inoltre vengono distinte due tipologie di Esposizioni internazionali: l’Esposizione Internazionale registrata, o Universale, caratterizzata dalla frequenza ogni cinque anni, dalla durata di sei mesi, da una estensione superficiale non aprioristicamente delimitata e da ampio tema generale di identificazione; l’Esposizione Internazionale riconosciuta, o Internazionale, da svolgere nell’intervallo temporale tra due Esposizioni Universali, con durata massima di tre mesi, superficie occupata che non supera 25 ettari e con tema centrale a carattere specialistico.

[28]   D.Lgs. 10 febbraio 2005, n. 30, Codice della proprietà industriale, a norma dell'articolo 15 della L. 12 dicembre 2002, n. 273.

[29]   L. 22 aprile 1941, n. 633, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio.

[30]   D.Lgs. 2 febbraio 2001, n. 95, Attuazione della direttiva 98/71/CE relativa alla protezione giuridica dei disegni e dei modelli (articolo 22, comma 1, lett. b)).

[31]   Dir. 13 ottobre 1998, n. 98/71/CE, Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla protezione giuridica dei disegni e dei modelli. In particolare, l’articolo 17 della direttiva prevede che i disegni e modelli protetti come disegni o modelli registrati in uno Stato membro o con effetti in uno Stato membro sono ammessi a beneficiare altresì della protezione della legge sul diritto d'autore vigente in tale Stato fin dal momento in cui il disegno o modello è stato creato o stabilito in una qualsiasi forma. Ciascuno Stato membro determina l'estensione della protezione e le condizioni alle quali essa è concessa, compreso il grado di originalità che il disegno o modello deve possedere.

[32]   In tal modo, si è rinunciato al principio della tutela superata ed è stato introdotto il principio del cumulo della protezione offerta dalla normativa sui disegni e modelli registrati e dalla normativa concernente il diritto d’autore. In altri termini, a partire dal 2001, l’opera di design industriale può godere di due tutele concorrenti: a) la registrazione; b) il diritto d’autore.

[33]   D.L. 15 febbraio 2007, n. 10, Disposizioni volte a dare attuazione ad obblighi comunitari ed internazionali (articolo 4, comma 4, lett. b)), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, L. 6 aprile 2007, n. 46.

[34]   La Commissione specifica che la proprietà intellettuale si riferisce ai diritti connessi alla creazione intellettuale, quali le invenzioni, i lavori artistici e letterari, simboli e disegni. La proprietà intellettuale si divide normalmente in due categorie: diritto d’autore e proprietà industriale. Il diritto d’autore – copyrights – comprende le creazioni letterarie ed artistiche. I diritti di proprietà industriale comprendono, fra l’altro, brevetti per invenzioni, marchi, design industriale.

[35]    Legge 27 dicembre 2006, n. 296.

[36]   Legge 24 dicembre 2007, n. 244.

[37]    Convertito, con modificazioni, dalla legge n. 368/2003.

[38]    Sulla classificazione dei rifiuti radioattivi nelle tre categorie I, II e III, si veda la Guida Tecnica n. 26 “Gestione dei rifiuti radioattivi” dell’ENEA (1987), disponibile anche all’indirizzo internet http://info.casaccia.enea.it/conferenza-statoregioni/atti/doc_attori/11 - guidatecnica26.pdf.

[39]    Società gestione impianti nucleari (www.sogin.it).

[40]    Per una trattazione più approfondita dei contenuti del decreto-legge n. 314/2003 e della legge n. 239/2004 (cd. legge Marzano) si rinvia al capitolo “Scorie nucleari” del dossier “L’attività delle commissioni nella XIV legislatura”, consultabile all’indirizzo internet www.camera.it/cartellecomuni/leg14/RapportoAttivitaCommissioni/testi/08/08_cap04.htm.

[41]    Pubblicato nella G.U. 7 marzo 2008, n. 57.

[42]    Pubblicata nella G.U. n. 277 del 28 novembre 2007 e disponibile anche all’indirizzo internet www.cipecomitato.it/delibere/E070101.doc.

[43]   Le proposte modificano le precedenti proposte di direttiva concernenti la sicurezza degli impianti nucleari (COM(2003)32-1), e la gestione dei rifiuti radioattivi (COM(2003)32-2), presentate dalla Commissione il 30 gennaio 2003. Tali proposte formano il cosiddetto “pacchetto nucleare”, unitamente alla comunicazione volta a delineare un approccio comunitario in materia di sicurezza nucleare nell’Unione europea in vista dell’allargamento (COM(2002)605), presentata dalla Commissione il 6 novembre 2002.

[44]   Per "infrastruttura critica europea" s'intendono gli elementi, sistemi o parti di essi ubicati negli Stati membri dell'UE che sono fondamentali per il mantenimento delle funzioni vitali della società, la salute, la sicurezza e il benessere economico o sociale dei cittadini (quali produzione, trasporto e distribuzione di energia elettrica, gas e idrocarburi; telecomunicazioni; agricoltura; servizi finanziari e di sicurezza, ecc.) e la cui perturbazione o distruzione avrebbe un significativo impatto su almeno due Stati membri dell'UE.

[45]   Procedura 2003/4755.

[46]   Il recepimento delle direttive 96/29/Euratom e 89/618/Euratom è previsto dal D.Lgs. 17 marzo 1995, n. 230, modificato dal D.L. 26 maggio 2000, n. 241.

[47]   Il17 luglio 2007 la Commissione ha approvato la decisione 2007/530/Euratom, relativa all'istituzione del gruppo europeo ad alto livello sulla sicurezza nucleare e la sicurezza della gestione dei residui. Il gruppo è composto da 27 rappresentanti nazionali competenti nei settori della sicurezza degli impianti nucleari e della sicurezza della gestione del combustibile esaurito e dei residui radioattivi e ha compiti consultivi nei confronti della Commissione. A tal fine il gruppo ad alto livello, tra l’altro, agevola le consultazioni, il coordinamento e la cooperazione delle autorità nazionali di regolamentazione e promuove ampie consultazioni con le parti e i cittadini interessati in modo aperto e trasparente.

[48]   L’articolo 40, Titolo II, Capo 4 del trattato Euratom dispone che la Commissione “pubblica periodicamente dei programmi a carattere indicativo, riguardanti in particolare obiettivi di produzione di energia nucleare e gli investimenti di qualsiasi natura richiesti dalla loro realizzazione”. Dal 1958 sono stati pubblicati quattro programmi indicativi ed un aggiornamento: nel 1966, 1972, 1984, 1990 e l'ultima volta nel 1997. La versione finale del “Programma indicativo per il settore nucleare” è stata pubblicata dalla Commissione in seguito al parere espresso dal Comitato economico e sociale europeo in merito ad un progetto di “Programma indicativo per il settore nucleare” (COM(2006)844), presentato il 23 gennaio 2007 dalla Commissione nel contesto di un pacchetto di proposte per la politica energetica europea, ben illustrate dalla comunicazione della Commissione “Una politica energetica per l’Europa” (COM(2007)1), che sono alla base del Piano d’azione approvato dal Consiglio europeo del marzo 2007.

[49]   Il documento della Commissione segnala che le centrali nucleari producono attualmente circa un terzo dell’energia elettrica e il 15% dell’energia consumata nell’Unione europea (UE) e che il nucleare rappresenta attualmente nell'UE una delle principali fonti di energia che non producono emissioni di carbonio (CO2).

[50]    Come annunciato nella Comunicazione "Una politica energetica per l'Europa", COM(2007)1.

[51]   International Atomic Energy Agency (IAEA) istituita presso le Nazioni Unite.

[52]   Il principale strumento di attrazione degli investimenti è stato identificato nel “contratto di localizzazione”. Si tratta di uno strumento previsto nel “Programma operativo pluriennale di marketing territoriale per l’attrazione degli investimenti esteri”, finanziato dal CIPE con la delibera n. 130/2002 e richiamato dall’articolo 6, comma 13, del D.L. n. 35 del 2005, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 80 del 2005.

[53]    Le seguenti note sono una sintetica rielaborazione di alcune pagine presenti sul sito www.enea.it, a cui si rimanda per eventuali approfondimenti.

[54]    La fissione nucleare è una reazione in cui atomi di uranio 235, plutonio 239 o di altri elementi pesanti adatti vengono divisi in due o più frammenti in un processo che libera energia. La reazione può avvenire spontaneamente o a causa del bombardamento di neutroni (è il caso più diffuso), particelle cariche, raggi gamma (fissione nucleare indotta). La fissione è comunemente utilizzata nelle centrali nucleari, dove avviene in modo controllato e il calore prodotto viene trasformato in energia elettrica.

[55]    Università italiane raggruppate nel consorzio CIRTEN: Politecnici di Milano e Torino e Università di Roma, Palermo, Pisa e Pavia.

[56]    L’Accordo di programma triennale è stato siglato il 21 giugno 2007. Nel programma di ricerca sono coinvolti, oltre ad ENEA, che svolge il ruolo di capofila, anche la sua partecipata SIET, il Consorzio interuniversitario CIRTEN, l’Ansaldo Nucleare, l’Ansaldo Camozzi e la Del Fungo Giera Energia.

[57]    L’Italia partecipa al Generation IV International Forum tramite l’Euratom

[58]    La fusione nucleare, che è il processo che avviene nel Sole e nelle stelle, consiste nella fusione di due atomi leggeri in uno più pesante, che libera energia in quantità proporzionale alla massa persa; perché avvenga la fusione nucleare, i nuclei devono avvicinarsi fra loro vincendo la forza di repulsione elettrostatica dovuta alla loro carica positiva. Questo è possibile solo in gas a temperature di milioni o decine di milioni di gradi, in cui i nuclei si muovono ad altissima velocità a causa del violento moto di agitazione termica.

[59]   Strategic Energy Technology Plan.

[60]    Istituito con decisione 2006/975/CE, il Centro comune di ricerca (CCR) ha la missione di fornire un supporto scientifico e tecnico personalizzato alla progettazione, allo sviluppo, all'attuazione e al controllo delle politiche dell'UE.

[61]   Il ricorso alla Consulta contro la norma della Finanziaria 2005, sollevato dal Tribunale di Civitavecchia, riguardava la devoluzione esclusiva al giudice amministrativo delle controversie sul procedimento autorizzativo della riconversione a carbone della centrale ENEL di Torrevaldaliga Nord di Civitavecchia.

[62]   L’attribuzione di tale giurisdizione esclusiva opera mediante il richiamo all’applicazione dell’art. 3, comma 2-bis, del DL 245/2005 Misure straordinarie per fronteggiare l'emergenza nel settore dei rifiuti nella regione Campania (convertito dalla legge 21/2006) che ha previsto che in tutte le situazioni di emergenza dichiarate ai sensi dell'articolo 5, comma 1, della legge 225/1992, la competenza di primo grado a conoscere della legittimità delle ordinanze adottate e dei consequenziali provvedimenti commissariali spetta in via esclusiva, anche per l'emanazione di misure cautelari, al tribunale amministrativo regionale del Lazio, con sede in Roma. Il citato art. 3, comma 2-bis, è stata dichiarato costituzionalmente legittimo da C. Cost. 26 giugno 2007, n. 237.

[63]   A. Tomassetti, Contratti della pubblica amministrazione Accordo quadro e centrale di committenza, in Utet giuridica, luglio 2006, consultabile al seguente indirizzo: www.lerivisteipertestuali.it/cgi-bin/hyperriv.cgi?MODE=novita_osserv&OPERA=52&ID=52 NO0000000012

[64]   La fonte normativa originaria è l’art. 26 della legge n. 488/1999 (finanziaria 2000) con il quale o stato delineato un sistema in cui, tramite procedura ad evidenza pubblica, vengono scelte imprese per la fornitura di beni e servizi alle PA ad uguali condizioni. E’ stato quindi previsto che le singole amministrazioni, sulla base delle convenzioni stipulate dal Ministero dell’Economia, per il tramite della CONSIP sua concessionaria, possono emettere ordinativi di forniture di beni e servizi perfezionando così la procedura di ogni singolo acquisto. In particolare, il DM 24 febbraio 2000 ha affidato alla CONSIP il compito di stipulare convenzioni e contratti-quadro per l'acquisto di beni e servizi per conto delle amministrazioni dello Stato. Tali convenzioni sono volte, innanzitutto, alla realizzazione di economie di scala sui volumi di acquisto, alla ottimizzazione della domanda e standardizzazione dei consumi, alla semplificazione dei processi di acquisto, al miglioramento dei tempi di approvvigionamento e dei livelli di servizio, oltre che al conseguimento di risultati in termini di riduzione di spesa. Tale modello, che era stato in un primo momento rafforzato dal legislatore con l'art. 24, della legge n. 289 del 2002 (finanziaria 2003) prevedendo che le amministrazioni aggiudicatrici avrebbero dovuto applicare la normativa sull'evidenza pubblica per tutti gli appalti di forniture e servizi eccedenti la soglia di 50.000 euro, successivamente, con la legge n. 350 del 2003 (finanziaria 2004) è stato successivamente depotenziato in quanto è stato eliminato l'obbligo del ricorso alle convenzioni CONSIP per gli ordinativi di beni e servizi afferenti alle Regioni ed agli enti locali ed è ora prevista l'alternativa, per le amministrazioni pubbliche, di fare ricorso alle convenzioni CONSIP ovvero di utilizzarne i parametri prezzo-qualità.

[65]   Successivamente abrogato dal comma 458 dell'art. 1, della legge n. 296 del 2006 (finanziaria 2007).

[66]   Si ricorda, infine, che il D.Lgs. n. 6/2007 (primo correttivo) ha previsto il differimento al 1° agosto 2007 dell’entrata in vigore di alcuni dei nuovi istituti introdotti dal Codice e già prorogati al 1° febbraio 2007 dall’art. 1-octies del D.L. n. 173/2006, tra i quali anche le centrali di committenza.

[67]   L’Osservatorio dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, opera, si sensi dell’art. 7 del Codice dei contratti pubblici, nell’ambito dell’Autorità ed è composto da una sezione centrale e da sezioni regionali aventi sede presso le regioni e le province autonome. I modi e i protocolli della articolazione regionale sono definiti dall'Autorità di concerto con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano.

[68]   Pubblicata nella G. U. 28 gennaio 2008, n. 23.

[69]   Con il termine di “imposta di scopo” si intende una forma di imposizione che trova la sua giustificazione nel collegamento tra imposizione e destinazione del gettito. L’imposta di scopo costituisce quindi una deroga al principio dell’unità del bilancio, in base al quale, nel bilancio, la corrispondenza tra entrate e spese deve essere garantita a livello globale, non essendo possibile stabilire una specifica correlazione tra una singola entrata ed una singola spesa.

[70]   L’articolo 27 è stato da ultimo modificato dal comma 320 dell’articolo 1 della legge n. 244/2007 (legge finanziaria 2008).

[71]    Convertito con modificazioni dalla legge n. 410 del 2001.

[72]    D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali. I servizi pubblici locali privi di rilevanza economica sono oggetto dell’art. 113-bis del predetto testo unico, che è stato dichiarato illegittimo dalla Corte costituzionale (sen. 272/2004), in quanto la materia è di esclusiva competenza regionale.

[73]    Il secondo comma dell’art. 117 Cost. stabilisce le materie per le quali lo Stato conserva una potestà legislativa esclusiva. Tra queste la tutela della concorrenza e la disciplina del sistema tributario e contabile dello Stato (lett. e) e la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali da garantirsi su tutto il territorio nazionale (lett. m).

[74]    Si tratta di società nei confronti delle quali l’ente locale esercita un controllo analogo a quello da esso esercitato sui propri servizi e realizza la parte più importante della propria attività con l’ente che la controlla. I requisiti per l’affidamento in house si desumono dalla normativa europea in materia di appalti pubblici, e sono stati enucleati nella storica sentenza della Corte di giustizia CE del 18 novembre 1999, causa C-107/98, nota come sentenza Teckal.

[75]    Il D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi a regioni e enti locali, ai sensi dell’art. 1 della L. 59/97), ha fatto salva la disciplina del D.Lgs. 32/1998 (art. 1, comma 1). Peraltro, il successivo art. 105, co. 2, lett. f), ha attribuito alle regioni le funzioni in materia di concessioni per l’installazione e l’esercizio di impianti lungo le autostrade ed i raccordi autostradali.

[76]   D.Lgs. 11 agosto 1993, n. 374, “Attuazione dell'art. 3, comma 1, lettera f), della legge 23 ottobre 1992, n. 421, recante benefici per le attività usuranti”.

[77]   L. 23 ottobre 1992, n. 421, “Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale”.

[78]    Per tali lavoratori, inoltre, i limiti di età introdotti dalla legge di riforma del sistema pensionistico per l'accesso alla pensione di anzianità nel regime retributivo sono ridotti fino al massimo di un anno (art. 1, comma 36, della L. 335/1995).

[79]    Per quanto riguarda invece le pensioni che saranno liquidate esclusivamente con il nuovo sistema contributivo, i lavoratori impegnati in lavori particolarmente usuranti hanno facoltà di optare tra una più elevata pensione (mediante applicazione di un coefficiente di trasformazione del montante contributivo maggiorato, rispetto all'età anagrafica all'atto del pensionamento, di un anno per ogni sei anni di occupazione nelle attività usuranti) o un anticipo, in proporzione corrispondente e fino al massimo di un anno, del diritto al conseguimento della pensione di vecchiaia (art. 1, comma 37, della L. 335/1995).

[80]    A tale riguardo, si segnala che la legge 3 gennaio 1960, n. 5, prevede, all'art. 1, che i lavoratori delle miniere, cave e torbiere possano andare in pensione a 55 anni, purché siano stati addetti complessivamente, anche se con discontinuità, per almeno 15 anni a lavori di sotterraneo. L'art. 25 del D.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, dispone invece che il servizio prestato dagli operai dello Stato addetti ai lavori insalubri (come definiti da ultimo dal decreto del Ministro della Sanità del 19 novembre 1981) o ai polverifici, sia maggiorato di un quarto.

[81]    In tal senso, l’art. 78, comma 8, della legge 23 dicembre 2000, n. 388.

[82]    D.M. 17 aprile 2001, Attuazione dell'art. 78, della L. 23 dicembre 2000, n. 388 (Finanziaria 2001). Benefìci in favore dei lavoratori che risultino aver svolto prevalentemente mansioni particolarmente usuranti per le caratteristiche di maggior gravità dell'usura. La materia è stata successivamente oggetto della circolare INPS n. 115 del 25 maggio 2001 e, per i lavoratori iscritti al Fondo speciale dipendenti della Ferrovie dello Stato Spa, della circolare INPS n. 161 del 10 agosto 2001.

[83]    In base ad una rilevazione effettuata dall’INPS nel mese di maggio 2003, i lavoratori che hanno usufruito del beneficio sono stati 416 (di cui 407 hanno fruito dell’anticipo rispetto ai requisiti di vecchiaia e 9 dell’anticipo rispetto ai requisiti di anzianità).

[84]    Legge 24 dicembre 2007, n. 247, “Norme di attuazione del Protocollo del 23 luglio 2007 su previdenza, lavoro e competitività per favorire l'equità e la crescita sostenibili, nonché ulteriori norme in materia di lavoro e previdenza sociale”.

[85]    D.Lgs. 8 aprile 2003, n. 66, “Attuazione della direttiva 93/104/CE e della direttiva 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro”.

      Si ricorda che l’articolo 1, comma 2, lettera e), del richiamato D.Lgs. 66/2003 definisce come “lavoratore notturno”:

-        qualsiasi lavoratore che durante il periodo notturno svolga almeno tre ore del suo tempo di lavoro giornaliero impiegato in modo normale;

-        qualsiasi lavoratore che svolga durante il periodo notturno almeno una parte del suo orario di lavoro secondo le norme definite dalla contrattazione collettiva. In difetto di disciplina da parte della contrattazione collettiva è considerato lavoratore notturno qualsiasi lavoratore che svolga lavoro notturno per un minimo di ottanta giorni lavorativi all'anno; il suddetto limite minimo è riproporzionato in caso di lavoro part-time.

[86]    Si ricorda, tuttavia, che il comma 78 dell’articolo 1 della L. 247/2007 reca una specifica clausola di copertura finanziaria con riferimento alle disposizioni di cui ai precedenti commi 76 e 77 (relative alla totalizzazione dei contributi assicurativi e al riscatto della durata dei corsi universitari ai fini pensionistici), riducendo in maniera corrispondente ai relativi oneri (200 mln di euro) le risorse del Fondo di cui all’articolo 5, comma 8, del D.L. 81/2007. Inoltre, il comma 86 reca una specifica clausola di copertura finanziaria con riferimento alla disposizione di cui al precedente comma 85 (strumenti di sostegno al reddito in favore dei lavoratori portuali addetti alle prestazioni di lavoro temporaneo), a valere sulle le risorse destinate dalla legge finanziaria per il 2008 alla proroga degli strumenti per il sostegno del reddito dei lavoratori - ammortizzatori sociali, nel limite massimo di 12 mln di euro per l’anno 2008. Pertanto la copertura finanziaria di cui al menzionato comma 92 riguarda tutte le disposizioni recate dalla L. 247/2007 ad eccezione della disposizione di cui ai commi 76 e 77 (per le quali provvede in maniera specifica il comma 78) e al comma 85 (per le quali provvede in maniera specifica il comma 86).

[87]   Si consideri, a tale riguardo, che tutte le disposizioni della legge finanziaria per il 2008 sono entrate in vigore il 1° gennaio 2008, ai sensi dell’articolo 3, comma 164 (fatta eccezione per alcune disposizioni specificamente richiamate, che entrano in vigore il giorno della pubblicazione nella Gazzetta ufficiale della legge finanziaria). Peraltro anche la L. 247/2007 è entrata in vigore il 1° gennaio 2008, ai sensi del comma 94 della medesima legge.

[88]   Quella riportata nel testo è la formula utilizzata nella legge n. 212 del 2000.

[89]   I 15 paragrafi riguardano: 1. il titolo dell’atto legislativo; 2. gli aspetti generali; 3. i rapporti tra gli atti normativi; 4. la terminologia; 5. la numerazione e rubricazione degli articoli; 6. la numerazione e rubricazione degli articoli aggiuntivi; 7. le partizioni interne agli articoli; 8. le partizioni dell’atto legislativo di livello superiore all’articolo; 9. le norme recanti “novelle”; 10. la numerazione dei commi nelle novelle; 11. i riferimenti normativi interni; 12. i riferimenti normativi esterni; 13. gli allegati; 14. le abbreviazioni e le sigle; 15. la vigenza dell’atto legislativo e l’efficacia di singole disposizioni.

[90]    L. 7 agosto 1990, n. 241, Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi.

[91]    L. 11 febbraio 2005, n. 15, Modifiche ed integrazioni alla legge 7 agosto 1990, n. 241, concernenti norme generali sull’azione amministrativa.

[92]    Così si esprimeva la relazione sul disegno di legge della 1ª Commissione del Senato all’Assemblea (A.S. 1281-A), presentata in data 11 marzo 2003.

[93]    D.L. 14 marzo 2005, n. 35, Disposizioni urgenti nell’àmbito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale, conv. con mod. in L. 14 maggio 2005, n. 80.

[94]    L. 23 agosto 1988, n. 400, Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri.

[95]    L. 14 gennaio 1994, n. 20, Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti.

[96]    D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 286, Riordino e potenziamento dei meccanismi e strumenti di monitoraggio e valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati dell'attività svolta dalle amministrazioni pubbliche, a norma dell'articolo 11 della L. 15 marzo 1997, n. 59.

[97]    Contratto collettivo nazionale di lavoro relativo al personale Dirigente dell'Area I per il quadriennio normativo 2002-2005 ed il biennio economico 2002-2003, 21 aprile 2006 (artt. 48 e segg.).

[98]    Si ricorda che allo stato di previsione della spesa del Ministero dell’economia e finanze è allegato l'elenco dei capitoli relativi a spese obbligatorie, per i quali è possibile l’utilizzo del Fondo di riserva delle spese obbligatorie e d’ordine.

[99]    La modifica al comma 4 dell’art. 20 è prevista dall’articolo 28, comma 3, del d.d.l. in esame, per il quale si rinvia alla relativa scheda di lettura.

[100]L. 7 agosto 1990, n. 241, Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi.

[101]  L. 15 maggio 1997, n. 127, Misure urgenti per lo snellimento dell’attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo (c.d. “Legge Bassanini 2”)

[102]  D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche.

[103]  La disciplina originariamente recata dalla L. 241/1990 prevedeva invece che i pareri obbligatori dovessero essere emessi entro il termine fissato dalle relative disposizioni legislative o regolamentari e, in mancanza di dette previsioni, entro 90 giorni dal ricevimento della richiesta.

[104]  La disciplina vigente ha fortemente ristretto i termini inizialmente previsti dalla L. 241/1990 per l’interruzione del termine generale per l’emissione del parere. Nel testo originario dell’art. 16, infatti, la possibilità di interrompere tale termine non era limitata ai soli casi di esigenze istruttorie, ma poteva essere motivata anche dalla “impossibilità, dovuta alla natura dell’affare, di rispettare il termine” stesso. In tale ultimo caso, era previsto il decorso di un ulteriore termine di 90 giorni successivamente alla scadenza del primo. Nel caso di esigenze istruttorie, invece, il termine ricominciava a decorrere dal momento della ricezione delle notizie o dei documenti richiesti.

[105]La Corte di Cassazione (Sez. I, sentenza n. 13749 del 27 giugno 2005) ha peraltro evidenziato che tale disciplina si applica anche ai pareri obbligatori vincolanti, in quanto detti pareri devono comunque considerarsi atti consultivi e non di amministrazione attiva.

[106]Si ricorda che, ai sensi degli art. 4, 5 e 6 della L. 241/1990, il responsabile del procedimento ha la responsabilità della istruttoria e di ogni altro adempimento procedimentale, nonché – qualora ne abbia la competenza - dell'adozione del provvedimento finale.

[107]  D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, Codice dell’amministrazione digitale.

[108]D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE.

[109]  Comunemente si ritiene che le valutazioni tecniche si distinguano dai meri accertamenti tecnici in quanto non si esauriscono nella mera ricognizione degli elementi raccolti, ma postulano una successiva fase di giudizio, connotata da componenti di variabilità e di opinabilità. La dottrina ritiene comunque che l’art. 17 della L. 241/1990, ancorché riferito alle sole valutazioni, possa trovare applicazione anche con riferimento agli accertamenti tecnici, qualora si tratti di accertamenti di carattere complesso.

[110]  Nel qual caso trovano applicazione le disposizioni in materia di interruzione dei termini per l’espressione del parere recate dall’art. 16, comma 4, L. 241/1990 (v. supra).

[111]  Con riguardo ai pareri, l’art. 16 della L. 241/1990 utilizza la diversa dizione: “paesaggistica, territoriale”.

[112]La disciplina fondamentale in materia di protocollo informatico nelle pubbliche amministrazioni è contenuta negli art. 50 e segg. del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa. (Testo A).

[113]D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 286, Riordino e potenziamento dei meccanismi e strumenti di monitoraggio e valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati dell'attività svolta dalle amministrazioni pubbliche, a norma dell'articolo 11 della L. 15 marzo 1997, n. 59.

[114]In tal senso v. in particolare Cons. Stato, Ad. Plen. 20 aprile 2006, n. 7.

[115]L. 11 febbraio 2005, n. 15, Modifiche ed integrazioni alla L. 7 agosto 1990, n. 241, concernenti norme generali sull'azione amministrativa.

[116]D.P.R. 12 aprile 2006, n. 184, Regolamento recante disciplina in materia di accesso ai documenti amministrativi. Ai sensi dell’art. 12, co. 10, del D.P.R. 184 la disciplina prevista per i ricorsi presso la Commissione per l’accesso si applica, in quanto compatibile, anche a quelli presso il difensore civico.

[117]L. 7 agosto 1990, n. 241, Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi.

[118]  L’istituto è stato modificato più volte e parzialmente riformato dalla L. 127/1997. Una completa riforma è stata operata dalla legge di semplificazione per il 1999, la legge 24 novembre 2000, n. 340 (artt. 9-15). Modifiche di rilievo sono state apportate dalla L. 15/2005 (artt. 8-13).

[119]  L. 7 agosto 1990, n. 241, Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi.

[120]  Trasmesso dal Governo alle Camere il 20 luglio 2007 (doc. CCXXXV, n. 1), ai sensi dell’art. 1, co. 2, del D.L. 10 gennaio 2006, n. 4, conv. con mod. in L. 9 marzo 2006, n. 80.

[121]  Direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri 27 gennaio 1994, Princìpi sull’erogazione dei servizi pubblici.

[122]  Direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno.

[123]  Decreto-legge 31 gennaio 2007, n.7, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 2 aprile 2007, n. 40.

[124]  Il modello di comunicazione unica è stato approvato con DM 2 novembre 2007.

[125]  L’art. 28, co. 2, dell’A.C. 1441 recita: “2. Il comma 9 dell’articolo 14-ter della legge 7 agosto 1990, n. 241, come da ultimo modificato dal comma 1 del presente articolo, si interpreta nel senso che la relativa disposizione si applica anche alle amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità”.

[126]  La modifica al comma 5 dell’art. 20 è prevista dall’articolo 26, comma 1, lettera c), del d.d.l. in esame, per il quale si rinvia alla relativa scheda di lettura.

[127]  L. 7 agosto 1990, n. 241, Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi.

[128]  La formulazione dell’articolo è in parte simile a quella dell’art. 6, co. 2 e 3, del d.d.l. A.C. 2161, presentato nel corso della XV legislatura.

[129]Si ricorda che con l’articolo 1 della legge n. 221/1968 le farmacie sono classificate in due categorie:

a)   farmacie urbane, situate in comuni o centri abitati con popolazione superiore a 5.000 abitanti;

b)   farmacie rurali ubicate in comuni, frazioni o centri abitati con popolazione non superiore a 5.000 abitanti.

[130]Approvato con regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265.

[131]L’articolo 160 del TUEL reca l’approvazione di modelli e schemi contabili relativi al bilancio di previsione, al bilancio pluriennale, al conte del tesoriere, al conto economico, al conto del patrimonio, nonché i modelli relativi alla resa del conto da parte degli agenti contabili di cui all'articolo 227.

[132]Negli articoli del testo unico citati sono confluite le disposizioni in precedenza contenute nell’articolo 17, commi da 68 a 85, della legge 15 maggio 1997, n. 127, Misure urgenti per lo snellimento dell'attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo, che hanno riformato la disciplina concernente i segretari comunali e provinciali, rinviando ad un regolamento di delegificazione (successivamente adottato con il D.P.R. 465/1997) la definizione dell'organizzazione, funzionamento e ordinamento contabile dell'Agenzia, dell'amministrazione dell'albo e della sua articolazione in sezioni e in fasce professionali.

[133]  D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali.

[134]  D.P.R. 4 dicembre 1997, n. 465, Regolamento recante disposizioni in materia di ordinamento dei segretari comunali e provinciali, a norma dell'articolo 17, comma 78, della L. 15 maggio 1997, n. 127.

[135]  Prima della riforma dell’ordinamento dei segretari comunali e provinciali introdotta dall’art. 17, comma 78, della legge 127/1997, in attuazione del quale è stato emanato il D.P.R. 465/1997, che ha completamente rivisto l’istituto, era già prevista la facoltà per due o più comuni, con popolazione fino a 10.000 abitanti e appartenenti alla stessa provincia, di unirsi in consorzio tra di loro per il servizio di segreteria (D.P.R. 23 giugno 1972, n. 749, art. 18).

      La nuova disciplina ha accresciuto significativamente le possibilità per i comuni di utilizzare le convenzioni di segreteria.

[136]D.L. 31 marzo 2005, n. 44, (conv. con modificazioni dalla L. 31 maggio 2005, n. 88), Disposizioni urgenti in materia di enti locali.

[137]M. Danzì, Segretari in convenzione per due Comuni su tre, IlSole24Ore, 16 aprile 2007.

[138]Con deliberazione del Consiglio di amministrazione del 21 settembre 2005.

[139]Tra gli altri, TAR Lombardia – Milano, Ordinanza n. 1551/2005 del 22 giugno 2005; TAR Lombardia, Ordinanza n. 2110/2005 del 24 agosto 2005.

[140]Pubblicato nella G.U. 27 marzo 2008, n. 73.

[141]Ai segretari titolari di sedi di segreteria convenzionate spetta una retribuzione mensile aggiuntiva ed il rimborso delle spese di viaggio regolarmente documentate per recarsi da uno ad altro dei comuni riuniti in convenzione per l'esercizio delle relative funzioni. Il contratto collettivo di lavoro determina l'entità della retribuzione aggiuntiva in base al numero dei comuni convenzionati e alla complessità organizzativa degli stessi.

[142]Il sindaco nei comuni con popolazione superiore ai 15.000 abitanti e il presidente della provincia, previa deliberazione della Giunta comunale o provinciale, possono nominare un direttore generale, al di fuori della dotazione organica e con contratto a tempo determinato, che provvede ad attuare gli indirizzi e gli obiettivi stabiliti dagli organi di governo dell'ente, secondo le direttive impartite dal sindaco o dal presidente della provincia, e che sovrintende alla gestione dell'ente.

[143]Nei comuni con popolazione inferiore ai 15.000 abitanti è consentito procedere alla nomina del direttore generale previa stipula di convenzione tra comuni le cui popolazioni assommate raggiungano i 15.000 abitanti. In tal caso il direttore generale dovrà provvedere anche alla gestione coordinata o unitaria dei servizi tra i comuni interessati.

[144]  Il riferimento a quest’ultima tipologia di attività (“turistiche”) è stato disposto dalla legge finanziaria per il 2008 (L. 244/07, art. 2, comma 184).

[145]D.L. 22 febbraio 2002, n. 12, “Disposizioni urgenti per il completamento delle operazioni di emersione di attività detenute all'estero e di lavoro irregolare”, convertito, con modificazioni, dalla L. 23 aprile 2002, n. 73.

[146]D.L. 4 luglio 2006 n. 223, “Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale”.

[147]D.L. 25 giugno 2008 n. 112, “Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria”.

[148]In base alla normativa previgente, il datore di lavoro doveva tenere e conservare una serie di libri e documenti connessi allo svolgimento del rapporto di lavoro, cioè il libro matricola e il libro paga (che vengono soppressi e sostituiti dal libro unico del lavoro con il menzionato D.L. 112/2008), oltre al registro infortuni e al registro delle visite mediche. Il libro matricola doveva riportare, nell’ordine cronologico di assunzione, il numero di dipendenti, i loro dati anagrafici e la loro posizione professionale, al fine di documentare l’esistenza del rapporto di lavoro agli enti previdenziali e assicurativi. Nel libro paga dovevano essere annotati tutti gli elementi che compongono al retribuzione dei lavoratori, le trattenute operate e l’importo dell’assegno per il nucleo familiare corrisposto. Nel registro infortuni il datore di lavoro deve annotare cronologicamente tutti gli infortuni accaduti ai lavoratori che comportino l’assenza dal lavoro almeno di un giorno (senza considerare quello dell’infortunio), indipendentemente dal fatto che l’infortunio sia o meno coperto dall’assicurazione INAIL. La tenuta del registro delle visite mediche è obbligatoria in determinati casi previsti dalla legge, al fine di segnalare l’effettuazione e l’esito delle visite mediche prescritte prima dell’assunzione o delle visite periodiche.

[149]E’ da ritenere che l’obbligo di istituzione del libro unico del lavoro diventi effettivo solamente dopo l’emanazione di tale decreto. Pertanto, nelle more dell’emanazione della normativa attuativa che stabilirà modalità e tempi di tenuta e conservazione del libro unico del lavoro nonché il relativo regime transitorio, dovrebbe continuare ad applicarsi la normativa precedente.

[150]  L. 11 gennaio 1979, n. 12, Norme per l'ordinamento della professione di consulente del lavoro.

[151]  L. 24 novembre 1981, n. 689, “Modifiche al sistema penale”.

[152]D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, “Disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie, a norma dell'articolo 3, comma 133, della L. 23 dicembre 1996, n. 662”.

[153]L’articolo 16 del D.Lgs. 472/1997 disciplina il procedimento di irrogazione delle sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie. Il comma 2, in particolare, stabilisce l’obbligo di corredare la notifica con l’indicazione, a pena di nullità, dei fatti attribuiti al trasgressore, degli elementi probatori, delle norme applicate, dei criteri che ritiene di seguire per la determinazione delle sanzioni e della loro entità nonché dei minimi edittali previsti dalla legge per le singole violazioni. Inoltre, se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto né ricevuto dal trasgressore, questo deve essere allegato all'atto che lo richiama salvo che quest'ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale.

[154]Si consideri infine che il D.L. 31 dicembre 2007, n. 248, “Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria”, convertito con modificazioni dalla L. 28 febbraio 2008, n. 31, all’articolo 7, comma 1, dispone la proroga al 30 giugno 2008 del termine per la notifica dei provvedimenti sanzionatori amministrativi di cui all'articolo 3 del D.L. 12 del 2002, relativi alle violazioni constatate fino al 31 dicembre 2002.

[155]La raccomandazione relativa agli indirizzi di massima per le politiche economiche degli Stati membri e della Comunità per il periodo 2008-2010 è stata adottata dal Consiglio il 14 maggio 2008, unitamente alla raccomandazione sull’aggiornamento nel 2008 degli indirizzi di massima per le politiche degli Stati membri e della Comunità e sull’attuazione delle politiche per l’occupazione degli Stati membri.

[156]  La norma fa riferimento, segnatamente, alle Amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del D.Lgs. n. 165 del 2001, vale a dire le Amministrazioni dello Stato (tra cui scuole e amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo), gli enti territoriali (inclusi loro consorzi e associazioni), le istituzioni universitarie, gli istituti autonomi per le case popolari, le Camere di commercio e loro associazioni, gli enti non economici nazionali e territoriali, gli enti dell’SSN e le Agenzie, tra cui l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie fiscali.

[157]  Con la nuova programmazione 2007-2013 è stato modificato l’ambito territoriale degli Obiettivi 1 e 2 della precedente programmazione, individuando l’obiettivo “Convergenza” (Calabria, Campania, Puglia e Sicilia e, in fase di uscita dall’obiettivo c.d. “phasing-out”, laBasilicata), l’obiettivo “Competitività regionale e occupazione” (tutto il territorio nazionale che non risulta incluso nell’obiettivo “Convergenza”, in sostanza tutto il Centro-Nord e, in regime di entrata nell’obiettivo, c.d. “phasing-in”, la Sardegna).

[158]  D.Lgs. 22 luglio 1999 n. 261, recante Attuazione della direttiva 97/67/CE concernente regole comuni per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali comunitari e per il miglioramento della qualità del servizio.

[159]  Si segnala che le funzioni del Ministero delle comunicazioni sono state trasferite al Ministero dello sviluppo economico dall’articolo 1, comma 7, del D.L. 16 maggio 2008, n. 85, recante Disposizioni urgenti per l'adeguamento delle strutture di Governo in applicazione dell'articolo 1, commi 376 e 377, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 luglio 2008, n. 121.

[160]  Il servizio postale universale comprende (articolo 3 del D.Lgs. 261/1999):

a)    la raccolta, il trasporto, lo smistamento e la distribuzione degli invii postali fino a 2 kg;

b)    la raccolta, il trasporto, lo smistamento e la distribuzione dei pacchi postali fino a 20 kg;

c)     i servizi relativi agli invii raccomandati ed agli invii assicurati.

      Il servizio deve essere effettuato nel rispetto di determinati standard di qualità e deve essere fornito in via continuativa per tutta la durata dell’anno, in tutto il territorio nazionale e ad un prezzo accessibile.

[161]  Direttiva 2008/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 febbraio 2008, che modifica la direttiva 97/67/CE per quanto riguarda il pieno completamento del mercato interno dei servizi postali comunitari.

[162]  Direttiva 97/67/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 dicembre 1997, concernente regole comuni per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali comunitari e il miglioramento della qualità del servizio.

[163]  Direttiva 2002/39/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 10 giugno 2002, che modifica la direttiva 97/67/CE per quanto riguarda l’ulteriore apertura alla concorrenza dei servizi postali della Comunità.

[164]  D.Lgs. 23 dicembre 2003, n. 384, recante Attuazione della direttiva 2002/39/CE che modifica la direttiva 97/67/CE relativamente all'ulteriore apertura alla concorrenza dei servizi postali della Comunità.

[165]Il Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa era stato ratificato da 18 Stati membri: Austria, Belgio, Bulgaria, Cipro, Estonia, Germania, Grecia, Finlandia, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna ed Ungheria. Francia e Paesi Bassi hanno respinto la ratifica del Trattato in seguito all’esito negativo dei referendum. L’Italia aveva ratificato il Trattato con la legge 7 aprile 2005, n. 57.

[166]Il Trattato di Lisbona riprende, con alcune modifiche, disposizioni già contenute nel Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa. Il Trattato di Lisbona - a differenza del Trattato costituzionale - non prevede l’abrogazione dei Trattati vigenti e la loro sostituzione con un unico testo, ma si configura – in linea con le modifiche fin qui realizzate dei Trattati di Roma - come un trattato di modifica dei trattati vigenti: il Trattato sull’Unione europea (TUE) e il Trattato che istituisce una Comunità europea (TCE), quest’ultimo rinominato Trattato sul funzionamento dell’Unione (TFUE).

[167]  D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, “Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”.

[168]  Ai sensi del comma 3 dell’articolo 35, le procedure di reclutamento nelle pubbliche amministrazioni devono rispettare i seguenti principi:

-        adeguata pubblicità della selezione e modalità di svolgimento, al fine di garantire imparzialità e assicurare economicità e celerità di espletamento;

-        adozione di meccanismi oggettivi e trasparenti, idonei a verificare il possesso dei requisiti attitudinali e professionali richiesti in relazione alla posizione da ricoprire;

-        rispetto delle pari opportunità tra lavoratrici e lavoratori;

-        decentramento delle procedure di reclutamento;

-        una composizione delle commissioni esaminatrici che assicuri provata competenza ed imparzialità.

[169]  Le norme dell’articolo 39 della richiamata L. 449/1997 hanno previsto, principalmente, una disciplina innovativa con riferimento al regime di assunzioni da parte delle amministrazioni pubbliche, introducendo un principio di programmazione delle assunzioni stesse che ha inteso superare – quale strumento di controllo della spesa di personale - la precedente normativa imperniata sul principio del blocco delle assunzioni (tale intenzione è stata tuttavia in parte disattesa dalla successiva legislazione, che ha fatto ricorso nuovamente al blocco del turn over per controllare la spesa di personale). In particolare, il comma 1 dell’articolo 39 ha posto a carico degli "organi di vertice" delle amministrazioni pubbliche un obbligo di programmazione triennale del fabbisogno di personale, tenendo conto delle assunzioni che le amministrazioni stesse sono tenute a operare in base alle norme sul collocamento obbligatorio dei disabili; la finalità di tale obbligo è quella di “assicurare le esigenze di funzionalità e di ottimizzare le risorse per il migliore funzionamento dei servizi compatibilmente con le disponibilità finanziarie e di bilancio”.

[170]  “Norme in materia di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della Comunità europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavoro”.

[171]  Le norme dell’articolo 39 della richiamata L. 449/1997 hanno previsto, principalmente, una disciplina innovativa con riferimento al regime di assunzioni da parte delle amministrazioni pubbliche, introducendo un principio di programmazione delle assunzioni stesse che ha inteso superare – quale strumento di controllo della spesa di personale - la precedente normativa imperniata sul principio del blocco delle assunzioni (tale intenzione è stata tuttavia in parte disattesa dalla successiva legislazione, che ha fatto ricorso nuovamente al blocco del turn over per controllare la spesa di personale). In particolare, il comma 1 dell’articolo 39 ha posto a carico degli "organi di vertice" delle amministrazioni pubbliche un obbligo di programmazione triennale del fabbisogno di personale, tenendo conto delle assunzioni che le amministrazioni stesse sono tenute a operare in base alle norme sul collocamento obbligatorio dei disabili; la finalità di tale obbligo è quella di “assicurare le esigenze di funzionalità e di ottimizzare le risorse per il migliore funzionamento dei servizi compatibilmente con le disponibilità finanziarie e di bilancio”.

[172]  D.Lgs. 25 febbraio 1995, n. 77, “Ordinamento finanziario e contabile degli enti locali”.

[173]  D.Lgs. 23 dicembre 1997, n. 469, “Conferimento alle regioni e agli enti locali di funzioni e compiti in materia di mercato del lavoro, a norma dell'articolo 1 della L. 15 marzo 1997, n. 59”.

[174]  Si ricorda che i capi I-III del D.Lgs. 469/1997, e successive modificazioni, hanno conferito alle regioni, nonché - tramite queste ultime - agli enti locali (in particolare, alle province) le funzioni amministrative in materia di collocamento (pubblico) e di politiche attive del lavoro, fermo restando il ruolo generale di indirizzo, promozione e coordinamento da parte dello Stato.

[175]  D.L. 12 maggio-1995, n. 163, recante “Misure urgenti per la semplificazione dei procedimenti amministrativi e per il miglioramento dell'efficienza delle pubbliche amministrazioni”, convertito con modificazioni dalla L. 11 luglio 1995, n. 273.

[176]  Si consideri altresì che l’articolo 30 del D.Lgs. 165/2001 stabilisce che le amministrazioni possano ricoprire posti vacanti in organico mediante passaggio diretto di dipendenti appartenenti alla stessa qualifica in servizio presso altre amministrazioni, che facciano domanda di trasferimento. Il trasferimento è disposto previo consenso dell'amministrazione di appartenenza. L’attuazione delle procedure e dei criteri generali richiamati è demandata alla contrattazione collettiva nazionale.

[177]  Il comma 2-quater autorizza la Presidenza del Consiglio ad indicare, nell’ambito delle procedure concorsuali per il reclutamento di 180 unità di personale da destinare al Dipartimento della protezione civile (previste dall’art. 3, comma 59, della legge finanziaria per il 2004 e fatte salve dall’art. 1, comma 95, della legge finanziaria per il 2005) una riserva di posti destinata al personale assunto con ordinanza per esigenze della Protezione civile e del Servizio civile.

[178]  Tale disposizione ha introdotto una innovazione di non poco conto rispetto alla normativa previgente, che invece riconosceva il diritto alla conservazione del trattamento economico più favorevole (principio del “divieto di reformatio in pejus”), nel caso di mobilità.

[179]  D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, Razionalizzazione dell'organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell'articolo 2 della L. 23 ottobre 1992, n. 421.

[180]  D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato.

[181]  La disposizione è stata introdotta dalla L. 15 luglio 2002, n. 145, Disposizioni per il riordino della dirigenza statale e per favorire lo scambio di esperienze e l'interazione tra pubblico e privato.

[182]  La disciplina si applica a tutti gli incarichi, anche occasionali, non compresi nei compiti e doveri di ufficio, per i quali sia previsto un compenso. Sono peraltro esclusi i compensi derivanti:

-        dalla collaborazione a giornali, riviste, enciclopedie e simili;

-        dalla utilizzazione economica da parte dell'autore o inventore di opere dell'ingegno e di invenzioni industriali;

-        dalla partecipazione a convegni e seminari;

-        da incarichi per i quali è corrisposto solo il rimborso delle spese documentate;

-        da incarichi per lo svolgimento dei quali il dipendente è posto in posizione di aspettativa, di comando o fuori ruolo;

-        da incarichi conferiti dalle organizzazioni sindacali a dipendenti presso le stesse distaccati o in aspettativa non retribuita;

-        da attività di formazione diretta ai dipendenti della pubblica amministrazione.

[183]  L. 30 dicembre 1991 n. 412, Disposizioni in materia di finanza pubblica.

[184]  D.L. 25 giugno 2008 n. 112, “Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria”.

[185]  D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, “Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”.

L’articolo 1, comma 2, del D.Lgs. 165/2001 chiarisce che per amministrazioni pubbliche debbono intendersi tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l’ARAN e le Agenzie istituite dal D.Lgs. 300/1999 (Agenzia industrie difesa; Agenzia per le normative e i controlli tecnici; Agenzia per la proprietà industriale; Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici; Agenzia dei rapporti terrestri e delle infrastrutture; Agenzia per la formazione e l’istruzione professionale; Agenzie fiscali: entrate, dogane, territorio, demanio).

[186]  D.Lgs. 30 marzo-2001, n. 165, Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche.

[187]  Ai sensi di detta disposizione per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300.

[188]  L. 28 dicembre 2001, n. 448, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2002).

[189]  Il richiamato articolo 1, comma 1, prevede che le disposizioni del D.Lgs. 165 disciplinano l'organizzazione degli uffici e i rapporti di lavoro e di impiego alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, tenuto conto delle autonomie locali e di quelle delle regioni e delle province autonome, nel rispetto dell'articolo 97, comma primo, della Costituzione, al fine di:

-        accrescere l'efficienza delle amministrazioni in relazione a quella dei corrispondenti uffici e servizi dei Paesi dell'Unione europea, anche mediante il coordinato sviluppo di sistemi informativi pubblici;

-        razionalizzare il costo del lavoro pubblico, contenendo la spesa complessiva per il personale, diretta e indiretta, entro i vincoli di finanza pubblica;

-        realizzare la migliore utilizzazione delle risorse umane nelle pubbliche amministrazioni, curando la formazione e lo sviluppo professionale dei dipendenti, garantendo pari opportunità alle lavoratrici ed ai lavoratori e applicando condizioni uniformi rispetto a quello del lavoro privato.

[190]D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 286, Riordino e potenziamento dei meccanismi e strumenti di monitoraggio e valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati dell'attività svolta dalle amministrazioni pubbliche, a norma dell'articolo 11 della L. 15 marzo 1997, n. 59.

[191]  L. 5 giugno 2003, n. 131, Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla L.Cost. 18 ottobre 2001, n. 3.

[192]  Su proposta del Ministro per gli affari regionali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentiti i Ministri interessati

[193]  L. 5 agosto 1978, n. 468, Riforma di alcune norme di contabilità generale dello Stato in materia di bilancio.

[194]  Ciascuno dei predetti disegni di legge deve essere corredato da idonea relazione tecnica e non deve recare oneri aggiuntivi a carico della finanza pubblica. Si precisa che tali disposizioni si applicano fino alla data di entrata in vigore delle norme relative al nuovo sistema finanziario in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione (non ancora adottate).

[195]  Con le modalità previste al numero 4) del punto II dell’Accordo 20 giugno 2002, recante intesa interistituzionale tra Stato, Regioni ed enti locali.

[196]  Ulteriori disposizioni riguardano la proroga del termine, nonché la possibilità di adottare comunque i decreti, in assenza dell’espressione dei pareri da parte delle competenti Commissioni. I decreti sono adottati con il concerto del Ministro dell’economia e delle finanze e devono conformarsi ai pareri delle Commissioni parlamentari competenti per le conseguenze di carattere finanziario nelle parti in cui essi formulano identiche condizioni. Dalla data di entrata in vigore dei suddetti decreti o da quella diversa indicata negli stessi, le Regioni o gli enti locali possono provvedere all’esercizio delle funzioni relative ai beni e alle risorse trasferite.

[197]  L. 15 marzo 1997, n. 59, Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa.

[198]  Sul punto v., ad esempio, il Libro bianco sui servizi di interesse generaleComunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni COM/2004/0374.

[199]  D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali.

[200]  L. 24 dicembre 2007, n. 244, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008).

[201]  Il termine, inizialmente fissato al 1° aprile 2008, è stato così prorogato dall’art. 35-bis del D.L. 31 dicembre 2007, n. 248, Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria, convertito, con modificazioni, dalla L. 28 febbraio 2008, n. 31.

[202]  D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali.

[203]  Art. 113, co. 1, 1-bis e 2-bis del T.U.E.L.

[204]  Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, Linee programmatiche sulla riforma della pubblica amministrazione, 28 aprile 2008 (www.innovazionepa.it).

[205]  L. 27 dicembre 1997, n. 449, Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica (art. 44).

[206]  L. 28 dicembre 2001, n. 448, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2002).

[207]  Ai sensi di detta disposizione per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300.

[208]  Il comitato è presieduto dal Presidente del Consiglio dei ministri o, su sua delega, dal Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione. Fanno stabilmente parte del comitato il Ministro dell’economia e delle finanze, il Ministro dell’interno, il Ministro per i rapporti con le regioni, il Ministro per le riforme per i federalismo e il Ministro per la semplificazione normativa. A tali componenti si aggiungono i ministri di volta in volta competenti in ordine alle funzioni da trasferire.

[209]  Corte dei conti, sezioni riunite, sent. 23 giugno 1992, n. 792 e sez. II, sen. 22 aprile 2002, n. 137

[210]  Corte dei conti, sez. giurisd. Veneto, sent. n. 17 del 1999.

[211]  Presidenza del Consiglio dei ministri, Dipartimento della funzione pubblica, direttiva 19 dicembre 2006, Una pubblica amministrazione di qualità, pubblicata nella G.U. 28 settembre 2007, n. 226.

[212]  Recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria.

[213]  Recante disposizioni per la delegificazione di norme e per la semplificazione di procedimenti amministrativi - Legge di semplificazione 1999.

[214]  L. 27 dicembre 2006, n. 296, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)

[215]  L. 15 marzo 1997, n. 59, Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa.

[216]  L. 29 luglio 2003, n. 229, Interventi in materia di qualità della regolazione, riassetto normativo e codificazione. – Legge di semplificazione 2001.

[217]  D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, Codice in materia di protezione dei dati personali.

[218]  D.Lgs. 12 febbraio 1993, n. 39, Norme in materia di sistemi informativi automatizzati delle amministrazioni pubbliche, a norma dell’art. 2, comma 1, lettera mm), della legge 23 ottobre 1992, n. 421.

[219]  D.Lgs. 42/2005, poi confluito nel Codice dell’amministrazione digitale (D.Lgs. 82/2005).

[220]  La riduzione da 5 a 3 membri (due più il presidente) è stata di recente operata dalla L. 24 dicembre 2007, n. 244, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008), art. 2 comma 601. Il comma 602 dispone che fino al 2 agosto 2009 i componenti di tale organo collegiale siano 4 e che in tale composizione provvisoria in caso di parità di voti prevalga quello del Presidente. Il fabbisogno di personale e le relative risorse economiche del CNIPA sono determinate nell'ambito di un piano triennale (comma 603).

[221]  D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 285, Riordino del Centro di formazione studi (Formez), a norma dell'articolo 11 della L. 15 marzo 1997, n. 59.

[222]  D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 287, Riordino della Scuola superiore della pubblica amministrazione e riqualificazione del personale delle amministrazioni pubbliche, a norma dell’articolo 11 della L. 15 marzo 1997, n. 59.

[223]  D.Lgs. 29 dicembre 2003, n. 381, Modifiche al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 287, concernenti il riordino della Scuola superiore della pubblica amministrazione, a norma dell’articolo 1 della legge 6 luglio 2002, n. 137.

[224]  Legge 15 luglio 2002, n. 145, Disposizioni per il riordino della dirigenza statale e per favorire lo scambio di esperienze e l'interazione tra pubblico e privato.

[225]  Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri 30 maggio 2002, Conoscenza ed uso del dominio internet ".gov.it" ed efficace interazione del portale nazionale "italia.gov.it" con le pubbliche amministrazioni e le loro diramazioni territoriali, pubbl. G.U. n. 161 del 11 luglio 2002.

[226]  D.P.R. 28 dicembre 1985, n. 1092, Approvazione del testo unico delle disposizioni sulla promulgazione delle leggi, sulla emanazione dei decreti del Presidente della Repubblica e sulle pubblicazioni ufficiali della Repubblica italiana.

[227]  L. 7 agosto 1990, n. 241, Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi.

[228]  L. 16 gennaio 2003, n. 3, Disposizioni ordinamentali in materia di pubblica amministrazione.

[229]  Allegato A del D. M. 22 luglio 2005, Individuazione di progetti da finanziare, ai sensi dell'articolo 27, commi 1 e 2, della L. 16 gennaio 2003, n. 3, pubblicato nella G. U. 28 settembre 2005, n. 226.

[230]  L. 15 marzo1997, n. 59, Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa.

[231]  D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, Codice dell’amministrazione digitale.

[232]  L. 15 marzo 1997, n. 59, Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa.

[233]  L. 29 luglio 2003, n. 229, Interventi in materia di qualità della regolazione, riassetto normativo e codificazione. – Legge di semplificazione 2001.

[234]  D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche.

[235]  I2010: la parte della strategia di Lisbona per la crescita e l'occupazione dedicata all'economia digitale.

[236]  D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, Codice dell’amministrazione digitale.

[237]  L. 24 dicembre 2007, n.244, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato.

[238]  Si tratta delle amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado, le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le istituzioni universitarie, gli enti pubblici non economici nazionali, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le agenzie fiscali di cui al D.Lgs. 300/1999 (D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, Riforma dell'organizzazione del Governo, a norma dell'articolo 11 della L. 15 marzo 1997, n. 59).

[239]  Consip è una società per azioni interamente partecipata dal Ministero dell'Economia e delle Finanze (MEF). Scopo di Consip è promuovere l’evoluzione di processi finalizzata al miglioramento continuo delle attività della PA, a tal Consip definisce e fornisce soluzioni integrate innovative attraverso consulenza di contenuto, nonché progettazione, realizzazione e acquisizione di beni e servizi valorizzando le migliori opportunità offerte dalla tecnologia ICT e dal mercato con un suo continuo coinvolgimento.

[240]  Il Centro nazionale per l’informatica nella pubblica amministrazione (CNIPA), istituito presso la Presidenza del Consiglio ai sensi dell’art. 176, comma 3, del D.Lgs. 196/2003 (Codice in materia di protezione dei dati personali), ha assunto i compiti della preesistente Autorità per l’informatica nella pubblica amministrazione (AIPA). Il CNIPA è la struttura organizzativa funzionale al perseguimento degli obiettivi di e-Government e di costruzione della Società dell’informazione.

[241]  D.Lgs. 28 febbraio 2005, n. 42, Istituzione del sistema pubblico di connettività e della rete internazionale della pubblica amministrazione, a norma dell'articolo 10, della L. 29 luglio 2003, n. 229.

[242]  L. 23 dicembre 2000, n. 388, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2001).

[243]  D.L. 27 maggio 2008, n. 93, Disposizioni urgenti per salvaguardare il potere di acquisto delle famiglie.

[244]  CNIPA, Relazione annuale 2006. Rapporto sull’attività, pag. 61.

[245]  D.M. 24 febbraio 2005, Individuazione di progetti da finanziare, ai sensi dell'articolo 27, commi 1 e 2, della L. 16 gennaio 2003, n. 3, pubblicato nella G. U. 20 maggio 2005, n. 116.

[246]  L. 16 gennaio 2003, n. 3, Disposizioni ordinamentali in materia di pubblica amministrazione.

[247]  I progetti selezionati per il finanziamento sono risultati: Agenzia delle dogane e Ministero per le attività produttive, Digitalizzazione degli allegati nelle procedure di sdoganamento; Centro nazionale per l’informatica nella PA, AU.G.U.STO., dematerializzazione della Gazzetta Ufficiale storica; Centro nazionale per l’informatica nella PA, Diffusione della Posta Elettronica Certificata; Dipartimento della funzione pubblica, Comunicazioni integrate; Dipartimento della funzione pubblica, Ottimizzazione delle risorse umane; Dipartimento della funzione pubblica, Portale e sistema di rilevazione degli sprechi; Ministero dell’economia e finanze, Cedolino elettronico; Ministero della giustizia, Dematerializzazione completa del casellario giudiziale; Ministero della giustizia, Rilascio di copie digitali dei fascicoli progettuali; Ministero della salute,

Monitoraggio degli errori in sanità; Presidenza del Consiglio dei Ministri, Sito per la guida agli investimenti locali; Vigili del fuoco, Videocomunicazione tra comandi provinciali, sedi regionali e uffici centrali.

[248]  CNIPA, L’iniziativa “Lotta agli sprechi”, Collana della Segreteria tecnica e Comunicazione, n.12, p.5.

[249]  Art. 1, comma 2 del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche. “Per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale”.

[250]  Il FAS è stato istituito dall’art. 61 della L. 27 dicembre 2002 n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2003).

[251]  D.L. 30 giugno 2005, n. 115, Disposizioni urgenti per assicurare la funzionalità di settori della pubblica amministrazione, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, L. 17 agosto 2005, n. 168.

[252]  Il comma 3 ha provveduto alla copertura degli oneri finanziari a valere sul “Fondo di finanziamento per i progetti strategici nel settore informatico”, istituito dall’art. 27, comma 2, della legge 3/2003 ed iscritto in una apposita unità previsionale di base dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze.

[253]  Come previsto dall’art. 2-bis, comma 2, è stato successivamente adottato un decreto di natura non regolamentare del Ministro per l’innovazione e le tecnologie, di concerto con il Ministro per l’istruzione, l’università e la ricerca e con il Ministro dell’economia e delle finanze che ha stabilito le modalità per l’erogazione dei finanziamenti e per la gestione e pubblicizzazione delle iniziative.

[254]  Il Dipartimento è stato istituito con d.p.c.m. 27 settembre 2001, quale struttura di cui si avvale il Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione (ora Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione) nella definizione e nell’attuazione delle politiche per lo sviluppo della società dell’informazione, nonché delle connesse innovazioni tecnologiche per le pubbliche amministrazioni, i cittadini e le imprese.

[255]  Al riguardo si segnala, infatti, che il Dipartimento per l’innovazione e le tecnologie gestisce anche il Programma “ICT 4 University”, nell’ambito del quale è previsto sia il finanziamento di progetti delle Università del Sud destinati alla realizzazione di reti di connettività senza fili e servizi associati (“WiFi Sud”), sia il finanziamento di progetti, presentati dalle Università, finalizzati alla realizzazione, estensione o completamento di servizi online di tipo amministrativo e/o didattico (“Campus digitali”).

[256]  D.P.C.M. 9 dicembre 2002.

[257]  L’art. 27 della legge n. 3 del 16 gennaio 2003, recante Disposizioni ordinamentali in materia di pubblica amministrazione.,al comma 1, affida al Ministro per l'innovazione e le tecnologie il compito di sostenere, nell'attività di coordinamento e di valutazione dei programmi, dei progetti e dei piani di azione per lo sviluppo dei sistemi informativi formulati dalle amministrazioni, progetti di grande contenuto innovativo, rilevanza strategica e preminente interesse nazionale, con particolare attenzione a quelli di carattere intersettoriale, nonché di finanziare iniziative del Dipartimento per l'innovazione e le tecnologie della Presidenza del Consiglio dei ministri con le medesime caratteristiche; il comma 2 dell’articolo 27 istituisce il «Fondo di finanziamento per i progetti strategici nel settore informatico» e affida al Ministro per l'innovazione e le tecnologie, sentito il Comitato dei ministri per la Società dell'informazione, il compito di individuare i progetti per lo sviluppo dei sistemi informativi, di cui al comma 1; il comma 3 del citato art. 27, per il finanziamento del Fondo, ha autorizzato la spesa di 25.823.000 euro per l'anno 2002, 51.646.006 euro per l'anno 2003 e 77.469.000 euro per l'anno 2004, per un totale di euro 154.938.000. L’art. 4, comma 8, della legge n. 350/2003 (legge finanziaria 2004) ha autorizzato l'ulteriore spesa di 51.500.000 euro per l'anno 2004 e di 65.000.000 di euro per ciascuno degli anni 2005 e 2006 per il finanziamento del Fondo per progetti strategici nel settore informatico, disponendo che tale fondo finanzi anche iniziative destinate alla diffusione ed allo sviluppo della società dell'informazione nel Paese. Successivamente, il DM 28 maggio 2004, recante Utilizzo del Fondo di finanziamento per i progetti strategici nel settore informatico ha destinato alle imprese la somma di 60 milioni di euro.

[258]  Il DM 15 giugno 2004 reca Costituzione di una sezione speciale del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese dedicata all’innovazione tecnologica (GU n. 150 del 29 giugno 2004).

[259]  Si ricorda che il Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese è stato istituito presso il Mediocredito centrale dalla legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), allo scopo di fornire una parziale assicurazione ai crediti concessi dalle banche a favore delle piccole e medie imprese.

[260]  In attuazione dell’articolo 3 del DM 15 giugno 2004, il Comitato di gestione del Fondo ha approvato il 16 settembre le disposizioni operative che sono entrate in vigore con la circolare Medio Credito Centrale n. 367 del 23 settembre 2004.

[261]  Il DL 14 marzo 2005, n. 35 recante (Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale) è stato convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80.

[262]  La numerazione dei commi del codice di procedura civile è stata inserita al fine di agevolare la lettura delle norme a confronto.

[263]  Disposizioni in materia di conseguenze derivanti da incidenti stradali.

[264]  Facoltà di notificazioni di atti civili, amministrativi e stragiudiziali per gli avvocati e procuratori legali.

[265]  Sospensione dei termini processuali nel periodo feriale.

[266]  In particolare, il comma 367, elenca espressamente le attività che formeranno oggetto delle citate convenzioni individuando, altresì, talune delle caratteristiche della Società con la quale il Ministero della giustizia dovrà procedere alle relative stipule.

[267]  Si ricorda che, ai sensi dell’articolo 3 del D.Lgs. 165 del 2001, sono tuttora in regime di diritto pubblico e rimangono quindi disciplinati dai rispettivi ordinamenti in deroga alle norme generali sulla “privatizzazione” e “contrattualizzazione” dei rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni (di cui all’articolo 2, commi 2 e 3 del medesimo decreto): i magistrati ordinari, amministrativi e contabili; gli avvocati e procuratori dello Stato; il personale militare e le Forze di polizia di Stato; il personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia; i dipendenti degli enti che svolgono la loro attività nelle materie contemplate dall'articolo 1 del D.Lgs. Capo provv. dello Stato 691/1947, dalla L. 281/1985 e dalla L. 287/1990, cioè sostanzialmente nelle materie della vigilanza sul mercato dei valori mobiliari, della tutela del risparmio e della tutela della concorrenza e del mercato (quali Banca d’Italia, Consob, Autorità garante della concorrenza e del mercato); il personale, anche di livello dirigenziale, del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, esclusi il personale volontario; il personale della carriera dirigenziale penitenziaria; i professori e i ricercatori universitari.

[268]  D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, “Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla L. 14 febbraio 2003, n. 30”.

[269]  Il richiamato articolo stabilisce che chi intenda proporre in giudizio una domanda relativa ai rapporti previsti dal precedente articolo 409 e non ritiene di avvalersi delle procedure di conciliazione previste dai contratti e accordi collettivi deve promuovere, anche tramite l'associazione sindacale alla quale aderisce o conferisca mandato, il tentativo di conciliazione presso la commissione di conciliazione individuata secondo i criteri di cui al successivo articolo 413.

[270]  L’articolo 91 stabilisce che il giudice, con la sentenza che chiude il processo davanti a lui, condanna la parte soccombente al rimborso delle spese a favore dell'altra parte e ne liquida l'ammontare insieme con gli onorari di difesa.

Il successivo articolo 92, in merito alla condanna alle spese per singoli atti, prevede che il giudice, nel pronunciare la condanna di cui all'articolo precedente, può escludere la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice, se le ritiene eccessive o superflue; e può, indipendentemente dalla soccombenza, condannare una parte al rimborso delle spese, anche non ripetibili che, per trasgressione al dovere di cui al precedente articolo 88 che dispone che le parti e i loro difensori hanno il dovere di comportarsi in giudizio con lealtà e probità, essa ha causato all'altra parte.

L’articolo 96, infine, dispone che se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell'altra parte, la condanna oltre che alle spese, al risarcimento dei danni che liquida, anche d'ufficio, nella sentenza.

[271]  Decreto Legislativo 10 settembre 2003, n. 276, "Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30".

[272]  Secondo l’art. 76 sono organi abilitati alla certificazione dei contratti di lavoro le commissioni di certificazione istituite presso: a) gli enti bilaterali costituiti nell'àmbito territoriale di riferimento ovvero a livello nazionale quando la commissione di certificazione sia costituita nell'àmbito di organismi bilaterali a competenza nazionale; b) le Direzioni provinciali del lavoro e le province, secondo quanto stabilito da DM Lavoro 21 luglio 2004); c) le università pubbliche e private, comprese le Fondazioni universitarie, registrate nell'albo di cui al comma 2, esclusivamente nell'àmbito di rapporti di collaborazione e consulenza attivati con docenti di diritto del lavoro di ruolo ai sensi dell'articolo 66 del DPR 382/1980; c-bis) il Ministero del lavoro e delle politiche sociali - Direzione generale della tutela delle condizioni di lavoro, esclusivamente nei casi in cui il datore di lavoro abbia le proprie sedi di lavoro in almeno due province anche di regioni diverse ovvero per quei datori di lavoro con unica sede di lavoro associati ad organizzazioni imprenditoriali che abbiano predisposto a livello nazionale schemi di convenzioni certificati dalla commissione di certificazione istituita presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, nell'ambito delle risorse umane e strumentali già operanti presso la Direzione generale della tutela delle condizioni di lavoro (128); c-ter) i consigli provinciali dei consulenti del lavoro, esclusivamente per i contratti di lavoro instaurati nell'ambito territoriale di riferimento senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

[273]  Materia diversa è quella dei licenziamenti collettivi, disciplinati dalla L. 23 luglio 1991, n. 223 (articolo 24), che sono quelli effettuati dalle imprese con un numero di dipendenti superiore a 15 nei confronti di almeno 5 dipendenti nell'arco di 120 giorni, in conseguenza di una riduzione o trasformazione di attività o di lavoro, o per cessazione dell'attività.

[274]  Si è ipotizzata al riguardo l'applicabilità dello schema normativo delle obbligazioni alternative (articolo 1285 e ss. del codice civile), con scelta spettante al debitore, ovvero di quello della obbligazione facoltativa, identificando l'obbligazione principale in quella di riassunzione: le due ipotesi hanno conseguenze diverse nel caso di sopravvenuta impossibilità di una delle due forme di adempimento.

[275]  Cfr. A. Vallebona, Istituzioni di diritto di lavoro, II. Il rapporto di lavoro, 2002, pag. 370, che richiama, in tal senso, le seguenti pronunce del giudice di legittimità: Cass. 19 ottobre 1981, n. 5468; Cass. S.U. 18 ottobre 1982; Cass. 6 dicembre 1984; Cass. S.U. 2 marzo 1987; Cass. 21 settembre 2000. Lo stesso autore menziona invece, come pronuncia divergente da tale orientamento maggioritario, Cass. 11 ottobre 1978.

[276]  Cfr. A.Vallebona, cit., pag. 369, che richiama alcune sentenze della Corte di Cassazione.

[277]  Cfr. A.Vallebona, cit., pagg. 369-370, che richiama alcune sentenze della Corte di Cassazione

[278]  D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276,“Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla L. 14 febbraio 2003, n. 30”.

[279]  Semplificazione dei procedimenti in materia di ricorsi amministrativi.

[280]  Convertito con modificazioni dalla legge n. 112 del 2002.

[281]  Si ricorda che il conto del patrimonio dello Stato è stato introdotto dall’articolo 14 del D.Lgs. n. 279 del 1997, in attuazione delle deleghe al governo per la riforma del bilancio dello Stato, contenute nella legge n. 94 del 1997. Nell’ambito delle norme relative alla ristrutturazione del rendiconto del bilancio dello Stato, sono state infatti introdotte disposizioni volte a individuare i beni suscettibili di utilizzazione economica e a permettere una analisi economica della gestione patrimoniale.

[282]  D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 143 recante Disposizioni in materia di commercio con l'estero, a norma dell'articolo 4, comma 4, lettera c), e dell'articolo 11 della L. 15 marzo 1997, n. 59.

[283]  Il DL 14 marzo 2005, n. 35 recante (Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale) è stato convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80.

[284]  Il decreto-legge 2 settembre 2003, n. 269 recante Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici è stato convertitoin legge, con modificazioni, dall'art.1, L. 24 novembre 2003, n. 326.

[285]  Si ricorda che il comma 2 del D.Lgs 143/98 attribuisce le azioni della SACE S.p.A. al Ministero dell’economia e delle finanze.

[286]Articolo 1, commi 459-463, della legge n. 296 del 2006. Si ricorda, in particolare, che l’articolo 1, comma 459, ha disposto la riduzione dei membri dei consigli di amministrazione di Sviluppo Italia S.p.A. e della Sogin S.p.A, prevedendo che i componenti dei suddetti consigli di amministrazione siano ridotti al numero di tre, nonché la cessazione dall’incarico dei consiglieri allora in carica alla data dell’entrata in vigore della legge finanziaria medesima (1° gennaio 2007). Si è inoltre stabilito che il limite di tre membri del consiglio di amministrazione si applichi alle società controllaterisultanti dal piano di riordino e dismissione delle partecipazione societarie di Sviluppo Italia S.p.A. (ora denominata “Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa S.p.A.”) previsto dal successivo comma 461.

[287]Quest’ultima disposizione è nuova rispetto a quella già contenuta nell’attuale co. 12, lett. d), dove si prevede, oltre all’eliminazione dei gettoni di presenza, anche la limitazione “ai casi strettamente necessari “ della costituzione di comitati con funzioni consultive o di proposta.

[288]Cfr. sopra il già citato articolo 27, comma 3, della legge finanziaria per il 2008 (legge n. 244 del 2007).

[289]L’ultimo elenco relativo al conto consolidato della PA è quello di cui al Comunicato ISTAT 29 luglio 2007 (pubblicato G.U. 31 luglio 2007, n. 176), con la successiva integrazione pubblicata in G. U n. 252 del 29 ottobre 2007.

[290]Secondo il Sec 95 il Settore delle amministrazioni pubbliche (S13) “comprende tutte le unità istituzionali che agiscono da produttori di beni e servizi non destinabili alla vendita, la cui produzione è destinata a consumi collettivi e individuali ed è finanziata in prevalenza da versamenti obbligatori effettuati da unità appartenenti ad altri settori e/o tutte le unità istituzionali la cui funzione principale consiste nella redistribuzione del reddito e della ricchezza del Paese”. In particolare, le Unità istituzionali comprese nel settore S13 sono: gli organismi pubblici che gestiscono e finanziano un insieme di attività date dal fornire alla collettività beni e servizi non destinati alla vendita; le istituzioni senza fine di lucro, che agiscono per lo stesso fine e sono controllate e finanziate in prevalenza da amministrazioni pubbliche; gli enti di previdenza.

[291]Il saldo netto da finanziare è il saldo congiunto del conto economico e della parte “attività” (partite finanziarie) del conto finanziario ed è dato dalla differenza tra entrate finali e spese finali (cioè dalla differenza tra entrate nettizzate dall’accensione prestiti e delle spese nettizzate dal rimborso del debito pubblico). Esso è uno dei quattro risultati differenziali contenuti – ai sensi della legge generale di contabilità (l. n. 468/1978) - all’interno del Bilancio di previsione dello Stato, nel quadro generale e riassuntivo, ed è espresso in termini di competenza giuridica e di cassa. Le previsioni di competenza costituiscono il limite massimo entro cui l’amministrazione statale è autorizzata ad assumere impegni. Le autorizzazioni di cassa costituiscono invece la previsione di incasso (per le entrate) e il limite massimo dei pagamenti che si prevede di effettuare in corso d’anno (per le spese).

[292]L’indebitamento netto è il saldo dato dalla differenza tra il totale delle entrate finali e il totale delle uscite finali del conto della P.A., al netto delle operazioni finanziarie attive, calcolate in termini di competenza economica. Organo competente a elaborare i dati di consuntivo sull’indebitamento netto è sempre l’Istat, il quale applica al riguardo integralmente i criteri definiti dalla norme del Sec95. Una volta pubblicati, i dati di consuntivo sull’indebitamento netto sono comunicati alla Commissione europea, in applicazione del protocollo sulla procedura dei disavanzi eccessivi, annessa al Trattato di Maastricht. I Paesi europei, infatti, sono tenuti a trasmettere alla Commissione europea i livelli di indebitamento netto, del debito pubblico e di altri aggregati di finanza pubblica, relativi ai quattro anni precedenti, nonché le previsioni degli stessi aggregati per l’anno in corso due volte l’anno, il 1° aprile e il 1° ottobre. Le previsioni sull’indebitamento netto sono invece formulate dal Ministero dell’economia e finanze.

[293]Si osserva, peraltro, come nell’ambito del conto consolidato delle pubbliche amministrazioni, si sia ridotto considerevolmente il peso del bilancio dell’amministrazione statale in conseguenza del massiccio trasferimento di funzioni e competenze alle autonomie territoriali, in atto dalla seconda metà degli anni Novanta e poi tradottosi a livello costituzionale nella riforma del titolo V.

[294]Introdotto dal maxiemendamento sul quale il Governo ha posto la fiducia durante la prima lettura alla Camera del disegno di legge di conversione.

[295]L’articolo Indica poi il seguente elenco tassativo di modalità di copertura finanziaria delle leggi che importino nuove o maggiori spese, ovvero minori entrate:

a)   utilizzo degli accantonamenti iscritti nei fondi speciali di parte corrente (Tab. A) e parte capitale (Tab. B) contenuti nel provvedimento di legge finanziaria, escludendo sia l'utilizzo di accantonamenti del conto capitale per iniziative di parte corrente, sia l'utilizzo per finalità difformi di accantonamenti per regolazioni contabili e per provvedimenti in adempimento di obblighi internazionali;

b)   mediante riduzione di precedenti autorizzazioni legislative di spesa;

c)   mediante modificazioni legislative che comportino nuove o maggiori entrate; restando in ogni caso esclusa la copertura di nuove e maggiori spese correnti con entrate in conto capitale.

[296]Nella relazione sono indicati i dati e i metodi utilizzati per la quantificazione, le loro fonti e ogni elemento utile per la verifica tecnica in sede parlamentare secondo le norme da adottare con i regolamenti parlamentari. Inoltre, le Commissioni parlamentari competenti possono richiedere al Governo la relazione tecnica per tutte le proposte legislative e gli emendamenti al loro esame ai fini della verifica tecnica della quantificazione degli oneri da essi recati.

[297]  L. 14 gennaio 1994, n. 20, Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti.

[298]  Il programma e i criteri per l’anno 2008 sono stati definiti con la deliberazione delle Sezioni Riunite in sede di controllo della Corte dei conti n. 33/CONTR/PRG/07 del 14 novembre 2007.

[299]  L. 27 dicembre 2006, n. 296, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007).

[300]  Art. 3, co. 65, della L. 24 dicembre 2007, n. 244, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008).

[301]  Art. 13 del D.L. 22 dicembre 1981, n. 786, Disposizioni in materia di finanza locale, convertito, con modificazioni, dalla L. 26 febbraio 1982, n. 51.

[302]  L. 5 giugno 2003, n. 131, Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla L.Cost. 18 ottobre 2001, n. 3.

[303]  Si vedano i commi 7-9 dell’art. 7.

[304]  D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali.

[305]  D.P.R. 20 marzo 1967, n. 223, Approvazione del testo unico delle leggi per la disciplina dell'elettorato attivo e per la tenuta e la revisione delle liste elettorali.

[306]  Art. 82 e segg. D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali. Art. 19 L. 17 luglio 1968, n. 108, Norme per la elezione dei Consigli regionali delle Regioni a statuto normale. Art. 6 L. 6 dicembre 1971, n. 1034, Istituzione dei tribunali amministrativi regionali.

[307]  Artt. 42-47 L. 24 gennaio1979, n. 18, Elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia.

[308]  Art. 10, co. 3, del Regolamento per l’organizzazione delle funzioni di controllo della Corte dei conti. (Deliberazione n. 14/DEL/2000), come sostituito dall’art. 12 della deliberazione del Consiglio di Presidenza n. 229/CP/2008 del 19 giugno 2008.

[309]  Il giudizio di parificazione del Rendiconto generale dello Stato è effettuato dalla Corte ai sensi degli articoli 40 e 41 del Testo unico delle leggi sulla Corte dei conti (R.D12 luglio 1934, n. 1214). In particolare, l’articolo 40 prevede che la Corte deliberI sul rendiconto generale dello Stato a sezioni riunite e con le formalità della sua giurisdizione contenziosa. L’articolo 41 dispone che alla delibera sia unita una relazione delle stesse Sezioni riunite in cui sono esposte: le ragioni dell’apposizione con riserva del visto a mandati o ad altri atti o decreti; le osservazioni circa le modalità con le quali le varie amministrazioni si sono conformate alle discipline di ordine amministrativo o finanziario; l’esposizione delle variazioni o delle riforme ritenute opportune per il perfezionamento delle leggi e dei regolamenti sull'amministrazione e sui conti del pubblico denaro.

[310]  Deliberazione delle Sezioni riunite n. 14/DEL/2000 in data 16 giugno 2000.

[311]  L’art. 16, co. 3, del D.L. 13 maggio 1991, n. 152, Provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata e di trasparenza e buon andamento dell'attività amministrativa, convertito, con modificazioni, dalla L. 12 luglio 1991, n. 203, specifica che la Corte dei Conti può disporre, anche a mezzo della Guardia di finanza, ispezioni ed accertamenti diretti presso le pubbliche amministrazioni ed i terzi contraenti o beneficiari di provvidenze finanziarie a destinazione vincolata

[312]  Art. 2, co. 4, D.L. 15 novembre 1993, n. 453, Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti, convertito, con modificazioni, dalla L. 14 gennaio 1994, n. 19, richiamato espressamente dall’art. 3, co. 8, della L. 20/1994.