Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento affari sociali
Titolo: Le povertà nelle società avanzate: una sfida contemporanea
Serie: Documentazione e ricerche    Numero: 255
Data: 13/07/2011
Descrittori:
INDIGENTI E NULLATENENTI   SICUREZZA SOCIALE
Organi della Camera: XII-Affari sociali

 

Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione e ricerche

Le povertà nelle società avanzate: una sfida contemporanea

 

 

 

 

 

 

 

n. 255

 

 

 

13 luglio 2011

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Affari sociali

( 066760-3266 – * st_affarisociali@camera.it

 

 

 

 

 

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File: AS0312.doc

 


INDICE

Schede di lettura

Introduzione  5

§      Dati statistici su rischio povertà ed esclusione  5

§      Chi sono i poveri9

§      Crisi del mercato del lavoro e povertà  12

§      Caratteristiche della spesa socio assistenziale dei comuni italiani13

§      I Poveri e i Centri di Ascolto della Caritas  16

Famiglia  19

§      Le difficoltà delle famiglie  19

§      Le competenze istituzionali19

§      Le politiche di conciliazione  20

§      La Carta acquisti21

§      Fondo di credito per i nuovi nati e acquisto latte artificiale  22

§      Interventi per le famiglie colpite dal sisma della regione Abruzzo  22

§      Fondo politiche per la famiglia  22

§      Il fenomeno degli abbandoni scolastici24

Misure a favore delle imprese nel contesto della crisi internazionale  27

§      Misure a favore delle imprese  27

§      PMI e distretti produttivi28

§      Sportello unico per le attività produttive  34

§      Altri interventi a favore dell'apparato produttivo  35

§      Imprenditoria femminile  39

§      Autoimpiego e autoimprenditorialità (imprenditorialità giovanile)40

Misure a favore dei lavoratori43

§      Contratti di solidarietà  43

§      Lavoratori svantaggiati45

§      Immigrazione e lavoro  47

§      Ammortizzatori sociali54

Allegati

§      M. Mellino, “Le banlieues francesi tra ghetti e postcolonie, ovvero le passé qui ne passe pas”, in Parolechiave, n. 36, dicembre 2006  59

§      G. Costa, “La banlieue in fiamme”, in Aggiornamenti sociali, gennaio 2006, pp. 57 e ss.66

 


SIWEB

Schede di lettura

 


Introduzione

Dati statistici su rischio povertà ed esclusione

L’Istat cura l’elaborazione di una pluralità di dati, utili per ricostruire un quadro esaustivo della povertà e dell’esclusione sociale in Italia. I dati qui riportati sono stati tratti dal Rapporto annuale 2010[1].

 

 

Casella di testo: Indicatori di povertà ed esclusione Europa 2020 
L’Istat utilizza gli indicatori di povertà che rientrano tra gli indicatori di Europa 2020, diffusi da Eurostat per tutti i paesi dell’Unione: persone a rischio di povertà; deprivazione grave e deprivazione; persone appartenenti a nuclei familiari a intensità lavorativa molto bassa. 
In Italia nel 2009 quasi un quinto della popolazione residente (il 18,4 per cento) risulta a rischio di povertà, le persone gravemente deprivate (quattro deprivazioni su nove) sono circa il 7% mentre quasi il 9,0% delle persone di età inferiore ai 60 anni (il 6,6 per cento del totale della popolazione) vive in una famiglia a intensità lavorativa molto bassa.
Casella di testo: Persone a rischio di povertàLe persone a rischio di povertà sono quelle che vivono in famiglie con un reddito equivalente inferiore al 60 per cento del reddito equivalente mediano disponibile (dopo i trasferimenti sociali). L’indicatore rientra tra quelli di tipo relativo, che individuano la condizione di povertà nello svantaggio di alcuni soggetti (famiglie o individui) rispetto a tutti gli altri, rimandando al concetto di disuguaglianza.

In termini percentuali, in Italia, nel 2009, considerando i redditi disponibili per le famiglie a seguito dei trasferimenti sociali (che, nel nostro Paese, consistono quasi totalmente nei trasferimenti pensionistici), quasi un quinto della popolazione residente (il 18,4 per cento) risulta a rischio di povertà. Il valore osservato è più elevato della media europea, sia essa calcolata sui paesi dell’area euro (15,9 per cento), sia essa calcolata sull’Unione dei 27 (16,3 per cento). Livelli simili a quello italiano caratterizzano Grecia (19,7 per cento), Spagna (19,5 per cento), Portogallo (17,9 per cento) e Polonia (17,1 per cento).

 

 

Casella di testo: Deprivazione materialeL’indicatore di grave deprivazione materiale misura la diffusione di alcune difficoltà del vivere quotidiano attraverso la capacità della famiglia di accedere a determinati beni e servizi[2].

Nel 2009 le persone gravemente deprivate (quattro deprivazioni su nove) sono in Italia circa il 7%, valore superiore alla media dei paesi dell’area euro – 5,6 per cento – ma inferiore a quello calcolato sull’Unione a 27 (8,1 per cento).

L’indicatore relativo alla deprivazione (sintomi di malessere per almeno tre tipi di deprivazione) ha fatto registrare in Italia, nel 2009, un’incidenza del 15,3% con una significativa differenza tra aree territoriali. La deprivazione è infatti massima nel Meridione, dove all’incirca un quarto della popolazione (il 25,3%) risulta deprivata, mentre al Centro l’incidenza scende al 13,5% e al Nord al 9,3%, a conferma di un divario territoriale ormai strutturale tra Nord e Sud.

La deprivazione, d’altra parte, si presenta con un livello massimo nel caso delle famiglie numerose (con cinque componenti o più), per le quali l’incidenza è del 25,5% con punte del 29,4% nel caso della presenza di almeno tre minori e del 31,4% per quelle che vivono in affitto.

Come segnala l’Istat, tra il 2007 e il 2008 il numero di famiglie che riferivano situazioni di disagio economico (arrivare alla fine del mese con difficoltà, essere in arretrato nel pagamento delle bollette, mancanza di denaro per l’acquisto di abiti necessari, per le spese per i trasporti e il pagamento del mutuo) è cresciuto di un punto percentuale, passando dal 14,8% al 15,8%. Il peggioramento, in questo caso, era stato percepito con maggiore intensità al Centro (con un incremento dell’indicatore sintetico di deprivazione di 1,5 punti percentuali) che non al Sud (+1,1 punti) e al Nord (+0,5).

 

 

Casella di testo: Esclusione dal lavoroIl terzo indicatore utilizzato tiene conto di un’ulteriore dimensione dell’esclusione sociale, quella dal mercato del lavoro e  mostra che, in Italia nel 2009, quasi il 9,0% delle persone di età inferiore ai 60 anni (il 6,6 per cento del totale della popolazione) vive in una famiglia a intensità lavorativa molto bassa; il valore è prossimo alle medie europee.

La crisi produttiva e la pesante contrazione del Prodotto interno lordo hanno trovato un immediato riflesso sul mercato del lavoro con una caduta occupazionale senza precedenti nella storia economica del dopoguerra.

In Italia, l’occupazione tra il primo trimestre del 2008 e il primo trimestre del 2010 è scesa di oltre 600.000 unità (un calo del 2,4%). In particolare nel 2009 la riduzione rispetto al 2008 è stata di 420.000 unità (pari a -1,7%). Ancor maggiore – a causa del taglio degli straordinari e del massiccio ricorso alla Cassa integrazione - è stato il calo delle ore lavorate, crollate di una percentuale vicina al 5% (-4,9%).

Il decremento dei redditi da lavoro dipendente, i quali pesano per oltre il 55% sul reddito complessivo delle famiglie italiane, nel corso del 2009 ha subito la flessione più rilevante registrata dall’inizio degli anni Settanta. Analoga riduzione hanno subito i redditi derivanti da lavoro autonomo, come effetto di un’ancora più severa flessione del reddito misto delle famiglie produttrici, il quale si è ridotto nell’ultimo anno dell’1,4%, dopo una già modestissima performance nel corso del 2008 e del 2007, ed a cui fa riscontro un’analoga ed ancora più marcata riduzione dell’occupazione delle famiglie produttrici, in particolare del “lavoro indipendente” il quale ha subito una contrazione, nel corso dell’ultimo biennio, del 4,5%.

La contrazione generale della domanda di lavoro che ha caratterizzato in particolare il passaggio tra il 2008 e il 2009 in Italia, ha colpito in misura rilevante gli stranieri, con un dimezzamento netto della crescita tendenziale degli occupati (da 204mila a 92mila) addebitabile nel complesso ad una flessione della forza lavoro impiegata nel comparto dell’industria manifatturiera e nel terziario.

 

 

Casella di testo: Indicatori di povertà relativa e assoluta
Oltre agli indicatori di povertà diffusi da Eurostat, l’Istat diffonde annualmente due ulteriori misure di povertà: una relativa, basata sulla distribuzione della spesa per consumi, e una assoluta, basata sulla valutazione monetaria di un paniere di beni e servizi considerati essenziali.
In Italia nel 2009 il fenomeno della povertà relativa coinvolgeva 2,7 milioni di famiglie (il 10,8% delle famiglie residenti) e quasi 7,8 milioni di persone (il 13,1% della popolazione). D’altra parte, i profili delle famiglie più povere vengono disegnati dalla misura di povertà assoluta che, nel 2009, vede coinvolte 1,2 milioni di famiglie (il 4,7% delle residenti) e 3,1 milioni di persone (il 5,2% della popolazione).

 

Casella di testo: Povertà relativaLa stima dell’incidenza della povertà relativa (la percentuale di famiglie e persone povere sul totale delle famiglie e persone residenti) viene calcolata sulla base di una soglia convenzionale (linea di povertà) che individua il valore di spesa per consumi al di sotto del quale una famiglia viene definita povera in termini relativi. Si definisce, quindi, povera una famiglia di due componenti con una spesa per consumi inferiore o pari a quella media pro capite: in altre parole una famiglia di due persone è povera se spende meno di quanto spende, in media, una singola persona.

Negli ultimi anni il fenomeno della povertà relativa ha registrato una sostanziale stabilità – la percentuale di famiglie povere si è mantenuta intorno al 10-11% – ma ha mostrato anche elementi di dinamicità, solo in parte legati ai cambiamenti strutturali della popolazione

Nel 2009 il fenomeno della povertà relativa coinvolgeva 2,7 milioni di famiglie (il 10,8% delle famiglie residenti) e quasi 7,8 milioni di persone (il 13,1% della popolazione). Situazioni particolarmente gravi si riscontrano nel Mezzogiorno (1,8 milioni di famiglie povere, il 22,7 per cento delle residenti), tra le famiglie più ampie (318 mila con 5 o più componenti), con minori (1,8 milioni i minori poveri), con anziani (1,5 milioni gli anziani poveri).

La povertà, inoltre, è particolarmente diffusa tra le famiglie con a capo persone con bassi livelli di istruzione (1,2 milioni di famiglie povere hanno una persona di riferimento con al massimo la licenza elementare), con basse qualifiche professionali (sono 695 mila le famiglie di operai in condizione di povertà) o totalmente escluse dal mercato del lavoro (tra le famiglie con a capo una persona in cerca di occupazione, il 26,7% è povero, per un totale di 214 mila famiglie).

Nel 2009 il divario fra Nord e Sud si mantiene decisamente marcato: il Mezzogiorno conferma gli elevati livelli raggiunti nel 2008, con un’incidenza di povertà relativa più che doppia rispetto alla media nazionale e con un’intensità del 22,5%. L’incidenza più elevata si rileva in Calabria (27,4%), Campania e Basilicata (25,1% per entrambe) e Sicilia (24,2%).

 

 

Casella di testo: Povertà assolutaLa misura della povertà assoluta dell’Istat è basata sulla valutazione monetaria di un paniere di beni e servizi considerati essenziali, definito da una apposita Commissione di studio. Il paniere si articola in tre principali componenti: quella alimentare, quella relativa all’abitazione (comprensiva delle quote di ammortamento dei principali beni durevoli) e la componente residuale, che ricomprende l’insieme di tutte le altre necessità familiari e individuali. La soglia di povertà assoluta corrisponde alla spesa mensile minima necessaria per acquisire il suddetto paniere e varia non solo in base alla dimensione della famiglia (come per la povertà relativa), ma anche alla sua composizione per età, alla ripartizione geografica e alla dimensione del comune di residenza. Le famiglie con una spesa mensile pari o inferiore al valore della soglia vengono classificate come assolutamente povere. La povertà assoluta si distingue da quella relativa in quanto definita come incapacità di acquisto di determinati beni e servizi, indipendentemente dallo standard di vita medio della popolazione di riferimento, ed è influenzata esclusivamente dalle dinamiche dei prezzi e dal loro impatto sulle opportunità di allocazione delle risorse familiari disponibili.

I profili delle famiglie più povere vengono confermati dalla misura di povertà assoluta che, nel 2009, vede coinvolte 1,2 milioni di famiglie (il 4,7% delle residenti) e 3,1 milioni di persone (il 5,2% della popolazione).

È assolutamente povero il 7,7% delle famiglie residenti nel Mezzogiorno, il 9,2% delle famiglie con più di quattro componenti, il 9,1% delle famiglie con tre o più figli minori. Nel Mezzogiorno si segnala, inoltre, un aumento del valore dell’incidenza di povertà assoluta tra il 2007 e il 2008 (dal 5,8 al 7,9%) e una maggiore intensità passando dal 2008 al 2009 (dal 17,3 al 18,8%), a indicare un aumento nel numero di famiglie assolutamente povere e un peggioramento delle loro condizioni medie.

Chi sono i poveri

Come evidenziato dai dati Istat sopra riportati, la povertà in Italia è relativamente stabile e ciclica.

Secondo l’indice di elasticità di trasmissione dell’ineguaglianza calcolato dall’Ocse, che misura la differenza di reddito fra genitori e figli, si rileva che in Italia per il 50% le diseguaglianze vengono ereditate da generazione a generazione. Pertanto, in Italia la diseguaglianza è alta, permanente e si trasmette lungo le generazioni. Oltre che per questi elementi, il modello italiano di povertà si contraddistingue per il fatto che la povertà passa attraverso la famiglia. poiché aumenta con l’aumentare del numero dei figli e aumenta in situazioni specifiche come nelle famiglie numerose, in quelle monoparentali o anziane.

Accanto ai poveri ufficiali, ci sono le persone impoverite che, pur non essendo povere, vivono in una situazione di forte fragilità economica e che hanno dovuto modificare, in modo anche sostanziale, il proprio tenore di vita, privandosi di una serie di beni e di servizi, precedentemente ritenuti necessari. Il fenomeno è confermato anche da alcuni dati: nel 2009 il credito al consumo è sceso dell’11%, i prestiti personali hanno registrato un -13% e la cessione del quinto a settembre 2009 ha raggiunto il +8%. Facendo una media di questi indicatori, si può calcolare un 10% in più di poveri, da sommare agli oltre 8 milioni stimati.

 

La transizione dei giovani alla vita adulta rappresenta una fase di particolare vulnerabilità legata alla scarsa e precaria offerta di lavoro e, quindi, alla difficoltà nel sostenere il peso economico di una nuova famiglia e di una nuova abitazione.

Negli ultimi anni la condizione è peggiorata per le famiglie dove convivono più generazioni, soprattutto se sono presenti minori, per le famiglie con persone in cerca di occupazione, specialmente se la fonte di reddito familiare è una pensione, e per le famiglie con a capo un lavoratore a basso profilo professionale.

Segnali di miglioramento si osservano soltanto tra le famiglie di anziani sia soli sia in coppia, soprattutto se residenti al Nord, anche a seguito dell’ingresso nella fascia di età anziana di generazioni meno svantaggiate rispetto a quelle nate e cresciute a ridosso dei periodi bellici, con titoli di studio più elevati e una storia contributiva migliore. Tra gli anziani, tuttavia, permane la vulnerabilità in termini economici delle donne; le anziane possono contare su pensioni di importo mediamente più modesto e spesso sostengono i figli conviventi con difficoltà a raggiungere l’indipendenza economica.

Incrociando i dati Istat possono essere isolati alcuni principali gruppi di famiglie povere:

§         le famiglie numerose del Mezzogiorno monoreddito, composte principalmente da coppie con almeno tre figli, in cui il capofamiglia è un uomo, occupato, con basso titolo di studio e basso profilo professionale e la moglie/partner ha anch’essa un basso titolo di studio ed è per lo più fuori del mercato del lavoro;

§         le coppie con due figli del Mezzogiorno nelle condizioni descritte nella tipologia precedente;

§         le famiglie giovani con un figlio con titoli di studio bassi e basso profilo professionale;

§         le famiglie con un solo genitore donna caratterizzata dal possesso di un basso titolo di studio, da una ridotta partecipazione al mercato del lavoro e dalla residenza nel Centro-nord, dove più spesso la povertà è associata a situazioni di vedovanza o separazione/divorzio.

 

In base alle testimonianze provenienti dalle Caritas diocesane e dalle delegazioni regionali (vedi infra), si evidenziano alcuni aspetti di tendenza della crisi economica nell’ultimo biennio.

È sempre più difficile estrapolare modelli e percorsi generalizzabili di povertà: le carriere di povertà sono sempre più veloci, complesse, multidimensionali, con frequenti uscite e “ritorni” in una situazione di disagio sociale. Anche se non si rimane a lungo in situazione di disagio economico, il progressivo esaurimento delle risorse determina situazioni di disagio psicologico e conflittualità intrafamiliare. I vari e molteplici fattori di disagio si intrecciano, in un effetto a spirale, dove giocano un ruolo crescente gli aspetti affettivi e relazionali.

In situazione di evidente criticità la dimensione familiare nel suo complesso: le storie di povertà incontrate dalla Caritas sono sempre meno legate a individui soli e sempre più caratterizzate invece da un coinvolgimento dell’intero nucleo familiare. Particolarmente vulnerabili le persone appartenenti alla fascia di età di mezzo, i separati e divorziati, le donne sole con prole, gli occupati con instabilità lavorativa persistente, i licenziati e cassa integrati, le famiglie monoreddito, le donne con difficoltà a rientrare nel mercato del lavoro dopo la condizione di maternità.

Vi sono poi situazioni di povertà legate a livelli di spesa eccessivi, non corrispondenti all’entità del reddito familiare. Rientrano in questo panorama il fenomeno del gioco d’azzardo e alcuni comportamenti di cattiva gestione del reddito familiare, che favoriscono l’indebitamento.

I dati di sintesi, provenienti dagli oltre 150 Osservatori diocesani delle povertà e delle risorse presenti sul territorio italiano, compongono il seguente ritratto dei soggetti interessati al fenomeno della povertà in Italia:

§      nel corso del biennio 2009-2010 si registra un aumento medio del 25% del numero di persone che si rivolgono alla Caritas per chiedere aiuto. Tale aumento interessa in egual misura tutte le regioni d’Italia;

§      rispetto ad una maggioritaria presenza di stranieri, cresce del 40% la presenza di italiani, anche se una gran parte di povertà italiana continua a rimanere sommersa;

§      cresce il numero di utenti seguiti in modo esclusivo dalla Caritas o da altre espressioni della Chiesa locale: molti nuovi poveri non sono “assistibili” economicamente dai servizi sociali, perché nonostante abbiano un tenore di vita molto basso, percepiscono comunque un reddito “di partenza” (tra cui la pensione) oppure dispongono della casa di proprietà;

§      gli operatori Caritas evidenziano scarsa tempestività degli enti locali nell’affrontare le nuove povertà e la mancanza di competenze adeguate sulla gestione dei fenomeni di indebitamento.

§      non va dimenticata la persistenza della povertà estrema, anche dovuta alla riduzione delle risorse di welfare disponibili su questo settore;

§      si conferma l’affacciarsi di nuove situazioni di impoverimento degli immigrati, dovute alle difficoltà economico-finanziarie di molti comparti produttivi, tra cui l’evidente crisi del settore dei servizi alla persona. Da notare a questo riguardo come le misure di controllo imposte dai recenti “pacchetti-sicurezza” stiano spingendo molti stranieri a non rivolgersi alla Caritas, per il timore di essere rispediti in patria, assieme alle proprie famiglie.

 

Casella di testo: La povertà minorile in ItaliaIn termini di povertà minorile, in Europa l’Italia è superata solo da Bulgaria, Romania e Lettonia.

Uno studio[3] promosso dalla Commissione europea ha rilevato che nei 27 Paesi dell’Unione vi sono 19 milioni di bambini a rischio di povertà e ciò pare interessare una quota significativa di bambini italiani, perlopiù residenti nel nostro Mezzogiorno, e ancora in Italia l’incidenza della povertà minorile (la quota di minori poveri sul totale dei minori) supera la media europea così come anche l’intensità della loro povertà (ovvero quanto la loro condizione di deprivazione si trova al di sotto della linea standard della povertà) è maggiore rispetto a quella dell’intera popolazione povera.

Secondo i dati europei il primo tra i fattori chiave della povertà minorile è costituito dalle caratteristiche della famiglia, ove il rischio maggiore pare essere per i bambini che vivono in famiglie numerose o ancor di più in nuclei con un solo genitore. L’altro fattore chiave del rischio di povertà minorile è rappresentato dalla partecipazione dei genitori al mercato del lavoro. La disoccupazione rappresenta il principale rischio di povertà per le famiglie con figli ed in particolare, in Italia, tra le famiglie più colpite dalla disoccupazione ci sono quelle con un solo genitore donna. Infine, la mancanza di efficaci interventi pubblici e di politiche volte a prevenire e combattere la povertà di bambini e adolescenti accresce il rischio di povertà ed esclusione.

Nel Rapporto della Commissione di indagine sull’esclusione sociale (vedi infra), viene osservato che in Italia “la quota di minori in condizione di povertà relativa (circa il 23% della popolazione povera) è maggiore rispetto al peso dei minori sul totale della popolazione (di cui costituiscono appena il 18%), con una forte prevalenza delle età infantili (il 62% ha meno di 11 anni) e una sproporzionata concentrazione nel Mezzogiorno”.

Crisi del mercato del lavoro e povertà

Il fenomeno della povertà è da tempo osservato in maniera approfondita e sistematica dal Rapporto annuale curato dalla Commissione di indagine sull’esclusione sociale (CEIS), istituita ai sensi dell'art. 27 della Legge 8 novembre 2000, n. 328, e presentato annualmente alle Camere.

Nel Rapporto sulle politiche contro la povertà e l’esclusione sociale: anno 2010[4], è stato dedicato ampio spazio al mercato del lavoro e all’analisi delle forze lavoro. La Commissione ha infatti ritenuto che nel mercato del lavoro e nelle sue dinamiche stia la chiave principale per un’adeguata lettura del rapporto tra crisi e povertà. La parte conclusiva del Rapporto, è interamente dedicata al tema del reddito minimo, uno strumento organico e universalistico che la Commissione reputa in grado di fungere da rete di ultima istanza per chi si ritrova in condizioni di povertà e, al contempo, di sostenere/promuovere l’occupazione e la più complessiva inclusione sociale[5].

La CEIS analizza le possibili criticità di uno strumento di questo tipo, le difficoltà inerenti alla sua introduzione in un contesto complesso come quello italiano, suggerendo possibili soluzioni tecniche e segnalando le possibili difficoltà ambientali e amministrative. Infatti, la proposta di introdurre, in Italia, uno schema generalizzato di reddito minimo, si scontra molto spesso con l’obiezione secondo la quale a ciò si opporrebbero degli impedimenti strutturali, connessi alle peculiarità del contesto italiano, in particolare nel Mezzogiorno: l’occupazione irregolare e sommersa, l’elevata disoccupazione, la bassa legalità, la ridotta capacità istituzionale disponibile presso i contesti amministrativi che dovrebbero erogare la prestazione e gestire i programmi di inserimento.

Per ognuna di tali obiezioni, la CEIS ha elaborato risposte e soluzioni tecnicamente realizzabili, nella convinzione che l’assetto delle politiche pubbliche di contrasto alla povertà e all’esclusione sociale in Italia sia viziato non solo da una evidente insufficienza degli strumenti e delle risorse, ma anche da un eccessivo livello di spreco e di inefficienza.

Allo stesso tempo, nel Rapporto si sottolinea l’insufficienza del ricorso massiccio allo strumento della Cassa integrazione, che, pur avendo ottenuto significativi risultati quantomeno nel preservare alcuni soggetti sociali dal rischio di caduta e nell’assorbire l’urto più forte della crisi, mantiene tuttavia un evidente carattere congiunturale, decisamente insufficienti a far fronte al rischio di impoverimento di parti consistenti della popolazione nel caso in cui, come suggerisce la Commissione Europea, gli effetti occupazionali della crisi dovessero prolungarsi nel tempo, in assenza di uno schema generale di reddito minimo garantito finalizzato all’occupazione lavorativa e all’inclusione sociale.

Caratteristiche della spesa socio assistenziale dei comuni italiani

Il Rapporto della CEIS sottolinea come i contesti di vita, il territorio, giochino un ruolo molto forte nel determinare le condizioni di povertà di una persona e di una famiglia. Lo rileva lo stesso impatto della crisi economica che in Italia ha prodotto effetti molto diversi a seconda del contesto sociale di riferimento.

Il Rapporto della Commissione analizza a tal fine le caratteristiche della spesa socio-assistenziale dei comuni italiani, sia monetaria che in servizi relativa a cinque tipologie di beneficiari: Famiglia e minori; Disabili; Anziani;. Immigrati e nomadi; Povertà, disagio adulti e senza fissa dimora.

L’analisi monetaria, di tipo descrittivo, utilizza i dati dell'indagine censuaria Istat sugli interventi e i servizi sociali dei Comuni singoli e associati che rileva informazioni per gli anni 2004-2005-2006 sugli utenti e sulla spesa sociale sostenuta dai Comuni. L’analisi sui servizi, di tipo esplorativo, integra i dati dell’indagine censuaria, con indicatori provenienti dall’Atlante dei comuni Italiani dell’Istat con lo scopo di individuare attraverso un modello econometrico, le principali determinanti di tale spesa.

I risultati dell’analisi monetaria sono essenzialmente tre:

§      le spese per servizi e interventi a beneficio di famiglie e minori, anziani e disabili rappresentano in media le voci preponderanti del bilancio comunale. Il peso di tali voci, però, differisce in misura anche importante da comune a comune, soprattutto per la spesa per famiglie e minori e anziani;

§      il livello di sviluppo economico gioca un ruolo importante nella scelta dell’ammontare di spesa sociale. Per tutti i tre anni in esame (2004, 2005 e 2006), infatti, i livelli di spesa più bassi si sono registrati nei comuni delle regioni meridionali;

§      la spesa è molto differenziata rispetto all’ampiezza del comune. Al crescere dell’ampiezza comunale, infatti, la spesa sociale per abitante passa da circa 8 euro nei comuni inferiori a 20.000 abitanti fino a circa 22 euro in media nei comuni con otre 500.000 abitanti. La presenza di una spesa maggiore nei comuni del centro-nord e nei comuni di grandi dimensioni sembra dare delle indicazioni dell’importanza che le maggiori entrate hanno sulla spesa.

L’analisi econometrica sui servizi sembra confortare e integrare questi dati descrittivi. L’analisi evidenzia come, per tutte le tipologie di spesa, le regolarità statistiche non includano la presenza di una maggiore spesa nei comuni con maggiori bisogni. Tranne che per la spesa per famiglia e minori e la spesa per gli stranieri, in tutti gli altri settori, tra cui quelli della spesa per anziani e per disagio adulti, non vi è alcuna correlazione statisticamente significativa tra spesa e indicatori di bisogno sociale, costruiti come la proporzione sulla popolazione totale, dei potenziali beneficiari dei programmi di spesa considerati. Ciò che sembra regolare, invece, è la minore spesa nei comuni rurali e montani (tendenzialmente meno ricchi) e la maggiore spesa nei comuni capoluogo di provincia.

I risultati dell’indagine mostrano pertanto la presenza di una dicotomia non trascurabile tra bisogni e spesa sociale a livello locale. La spesa, infatti, sembra essere maggiore dove esistono profili di entrate maggiori (comuni grandi e capoluoghi) e minore nei comuni più piccoli e con struttura produttiva prevalentemente agricola.

 

La lettura territoriale è anche al centro dell’analisi svolta dalla Fondazione Cittalia ANCI Ricerche, nel quadro di una ricerca promossa dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e sistematizzata nel Quaderno Le strategie urbane di lotta alla povertà. La povertà e le famiglie[6].

In Italia, la famiglia è storicamente un pilastro del sistema di welfare. Tuttavia, svolge il suo tradizionale ruolo di cura con crescenti difficoltà, soprattutto laddove manca un adeguato supporto da parte dei servizi e si è in presenza di condizioni di grave precarietà economica. Per garantire una maggiore equità sociale nella determinazione delle tariffe dei servizi, molti Comuni hanno deliberato modifiche all’ISEE (l’indicatore di situazione economica equivalente) in particolare introducendo un coefficiente maggiorato a vantaggio delle famiglie numerose, con figli minori, disabili, anziani (il “quoziente familiare”). Sono state inoltre introdotte in molti casi riduzioni per le multiutenze per i servizi socio-educativi e scolastici. Allo stesso tempo, tuttavia, è emersa l’importanza di disporre, a livello locale, di strategie di intervento integrate, che siano definite alla luce di una mappatura territoriale dei bisogni e delle domande sociali.

 

Un primo inventario delle politiche locali di contrasto alla povertà estrema e alla marginalità sociale permette una schematizzazione articolata lungo quattro principali linee di azione:

§      azioni di sistema, ovvero i dispositivi, le risorse e i servizi a sostegno della programmazione, della realizzazione e della valutazione degli interventi. Rientrano in tale tipologia la Programmazione integrata e i Piani di Zona/Piani Regolatori Sociali; Mappe e misurazioni - Anagrafi delle fragilità; Osservatori sulla povertà e l’esclusione sociale, attività di monitoraggio; Organizzazione dei servizi sociali; Il ruolo delle comunità locali, del terzo settore, del mondo produttivo; Sistemi di accreditamento e rilevazione della qualità;

§      interventi di inclusione sociale, ovvero le iniziative volte a rafforzare le capacità e le potenzialità delle persone più fragili per il loro pieno accesso alle opportunità e ai beni. Tra queste, Prevenzione; Primo soccorso e assistenza; Accoglienza di lunga durata e sostegno all’abitare autonomo; Inserimento lavorativo; Politiche integrate socio - sanitarie; Promozione dei diritti, dei doveri e delle responsabilità; Protezione e tutela;

§      promozione della convivenza urbana e responsabilizzazione della comunità. A tale ambito sono riconducibili la Mediazione dei conflitti; Mediazione culturale; Contrasto all’insicurezza; Informazione/sensibilizzazione;

§      governo del territorio. A questi interventi sono riconducibili il Social housing; Beni sottratti alla criminalità; Progetti di rigenerazione urbana; Autocostruzione e auto recupero.

 

Di uguale importanza a livello locale, le politiche di contrasto alla povertà che hanno come soggetto protagonista la famiglia in quanto tale:

§      Politiche di sostegno economico e redistributive: riequilibrio delle spese per i servizi a favore delle famiglie e sostegno economico per le famiglie in via di formazione, numerose e/o con particolari responsabilità di cura: introduzione di nuovi coefficienti per il calcolo dell’ISEE; facilitazioni tariffarie per l’accesso ai servizi e per il costo delle utenze; sostegno economico per l’acquisto di generi e prodotti di prima necessità; sostegno economico per le spese scolastiche; Family Card; prestiti d’onore per le giovani coppie; sostegno ai nuclei monogenitoriali e ai genitori separati;

§      Politiche di empowerment: rafforzamento delle capacità e delle competenze del nucleo familiare, e sostegno alla genitorialità; centri per la famiglia e consultori familiari; servizi di mediazione familiare; servizi di home-visiting per le neomamme; promozione e sostegno alle reti di auto; servizi di sostegno alle famiglie per la cura di bambini, persone disabili, anziani;

§      Politiche di coesione: rafforzamento del ruolo delle comunità locali nell’inclusione e nel sostegno alle famiglie in condizioni di povertà; programmi di integrazione delle famiglie straniere; promozione di ambienti urbani “family friendly”; partecipazione attiva delle famiglie ai progetti di riqualificazione urbana; consulte familiari e altri organismi partecipativi; definizione dei tempi e degli orari della città;

§      Azioni di sistema: dispositivi, risorse e servizi a sostegno della programmazione, della realizzazione e della valutazione degli interventi; agenzie comunali per la famiglia; osservatori locali; strumenti di pianificazione (Piani di Zona, Piani Regolatori Sociali, Piani per l’infanzia e l’adolescenza).

 

I Poveri e i Centri di Ascolto della Caritas

Da dieci anni un Rapporto curato dalla Fondazione Zancan e dalla Caritas, considera le dimensioni territoriali della povertà e la capacità di risposta delle singole Regioni, approfondendo i legami tra comunità ecclesiale e povertà[7].

In base a una rilevazione su un campione di diocesi, relativa all’anno 2008, sono stimate in circa 360.000 le persone che annualmente si rivolgono ai Centri di Ascolto (Cda) Caritas (circa mille persone al giorno). Tenendo conto della numerosità dei nuclei familiari di riferimento, si giunge ad un totale di circa 1 milione di persone che annualmente beneficiano di un intervento strutturato di aiuto e accompagnamento presso i Centri di Ascolto Caritas.

La grande maggioranza degli utenti Caritas appare costituita da stranieri (68,9%), mentre gli italiani sono il 30,7%. Nelle regioni del Centro-Nord prevalgono gli stranieri, mentre nel Mezzogiorno prevalgono nettamente gli italiani.

L’esame dei dati relativi ai bisogni degli utenti conferma l’esistenza di forti problemi di povertà economica (65,9%), di occupazione (62%) e, in minor misura, di alloggio (23,6%), sia per gli italiani che per gli stranieri. Le richieste maggiormente formulate si riferiscono a beni e servizi materiali, soprattutto viveri e vestiario.

A fronte di tali richieste, i dati sugli interventi dimostrano che i Cda hanno erogato soprattutto beni e servizi materiali (51,1%). Seguono gli interventi di orientamento (12,6%) e i sussidi economici (10,6%).

 

 

Casella di testo: La valutazione delle misure governative anti-crisi economica

 

 

Il Rapporto contiene i risultati di una indagine valutativa sulle misure di contrasto delle situazioni di povertà, introdotte dal governo italiano nel biennio 2007-2008. Le misure prese in esame sono: la social card, il bonus famiglia, il bonus elettrico, il bonus gas e l’abolizione dell’Ici sulla prima casa.

La valutazione è stata realizzata con la collaborazione di due grandi organizzazioni della società civile (Acli e Cisl), e ha contemplato la realizzazione di oltre 150 interviste con operatori di Centri di Ascolto Caritas, Caaf Cisl e Acli Service, in tutte le regioni d’Italia.

La misura considerata maggiormente efficace nel contrasto delle situazioni di povertà non è la social card ma l’abolizione dell’Ici per la prima casa. Nello specifico, il 69,2% degli intervistati ha valutato tale misura “abbastanza” o “molto efficace” nel ridurre la povertà economica. Le valutazioni espresse sul grado di efficacia della social card nel contrasto della povertà economica sono di taglio negativo: il 94,9% degli operatori intervistati ritiene “poco” o “per niente utile” tale misura. Per quello che riguarda le altre misure, il giudizio è meno negativo: una media del 58% degli operatori ritiene i Bonus “poco” o “per niente” utili nel contrasto della povertà economica.

 

Bibliografia

Per la redazione della scheda sono stati utilizzati:

§      Istat, La situazione del paese nel 2010, maggio 2011

§      Commissione d’indagine sull’esclusione sociale (CEIS), Rapporto sulle politiche contro la povertà e l’esclusione sociale, Rapporto annuale presentato al Parlamento il 22 settembre 2010, Doc. XLI n. 2

§      Ministero del Lavoro e delle politiche sociali – ANCI – Cittalia, Le strategie urbane di lotta alla povertà: città a confronto. La povertà e le famiglie, Quaderni di ricerca, 2011

§      Fondazione Zancan – Caritas, X Rapporto 2010 su povertà ed esclusione sociale in Italia: In caduta libera, ottobre 2010

 


Famiglia

Le difficoltà delle famiglie

Come sottolineato dall’Istat, nel Rapporto annuale 2010[8], l’andamento dei consumi delle famiglie è stato condizionato dal calo del potere d’acquisto, diminuito del 3,1 per cento nel 2009 e poi ancora dello 0,6 per cento nel 2010. Per salvaguardare i livelli di spesa, le famiglie italiane hanno dato luogo a una progressiva erosione del tasso di risparmio, sceso al livello più basso tra tutte le altre grandi economie dell’area dell’euro. Nel 2010, il 15,7 per cento delle famiglie ha presentato tre o più sintomi di deprivazione: si tratta di oltre nove milioni di persone. L’identikit delle famiglie deprivate è del tutto simile a quello rilevato in passato: famiglie numerose, con tre o più figli, abitazione in affitto, residenza nel Mezzogiorno. Inoltre, è cresciuta la quota di famiglie costrette a contrarre debiti o a fare ricorso alle proprie risorse patrimoniali (16,2 contro 15,1 per cento nel 2009). Il Rapporto mette inoltre in evidenza come, nel nostro Paese, le reti di aiuto informale svolgano un ruolo molto importante nel sostenere gli individui nei momenti della vita caratterizzati da maggiore vulnerabilità. La famiglia ha contribuito in misura determinante a contenere gli effetti della caduta dell’occupazione giovanile. Fondamentale il ruolo delle donne che continuano a essere un pilastro essenziale del sistema italiano di welfare, facendosi spesso carico di compiti altrove svolti dalle strutture pubbliche. Un altro nodo di fondamentale importanza è legato al progressivo invecchiamento demografico della popolazione, e al conseguente aumento di individui bisognosi di cura all’interno della rete parentale. Le politiche di conciliazione dei tempi di vita e il sostegno pubblico alle famiglie con persone con limitazioni dell’autonomia personale costituiscono, dunque, un tema cruciale del futuro.

Le competenze istituzionali

Il decreto-legge 85/2008[9] ha confermato l’attribuzione al Presidente del Consiglio dei ministri delle funzioni di indirizzo e coordinamento in materia di politiche a favore della famiglia, di interventi per il sostegno della maternità e della paternità, di conciliazione dei tempi di lavoro e dei tempi di cura, di misure di sostegno alla famiglia, alla genitorialità e alla natalità, nonché delle funzioni di indirizzo e coordinamento concernenti l'Osservatorio nazionale sulla famiglia . La Presidenza del Consiglio gestisce altresì le risorse dedicate. Nel 2009[10] è stato istituito il Dipartimento per le politiche della famiglia, i cui compiti sono stati  ulteriormente definiti nel 2011[11].

Le politiche di conciliazione

Le politiche per la conciliazione rappresentano un importante fattore di innovazione dei modelli sociali, economici e culturali e si ripropongono di fornire strumenti che, rendendo compatibili sfera lavorativa e sfera familiare, consentano a ciascun individuo di vivere al meglio i molteplici ruoli che gioca all'interno di società complesse.

L’articolo 9 della legge 53/2000[12], come modificato dalla legge 69/2009[13], promuove, attraverso il Fondo per le politiche della famiglia, azioni positive volte a conciliare tempi di lavoro e tempi di cura della famiglia, in favore tanto dei lavoratori dipendenti quanto dei lavoratori autonomi. Il riparto del Fondo per le politiche della famiglia relativo all’esercizio finanziario 2010, ha stanziato la somma di euro 15.000.000 per il finanziamento degli interventi in favore della conciliazione tra vita professionale e vita familiare.

Le azioni positive, indicate dal Regolamento recante criteri e modalità per la concessione dei contributi, prevedono progetti che consentono alle lavoratrici e ai lavoratori di usufruire di particolari forme di flessibilità degli orari e dell'organizzazione del lavoro, quali, a titolo esemplificativo, part-time reversibile, telelavoro e lavoro a domicilio, banca delle ore, orario flessibile in entrata o in uscita, su turni e su sedi diverse, orario concentrato, con specifico interesse per i progetti che prevedano di applicare, in aggiunta alle misure di flessibilità, sistemi innovativi per la valutazione della prestazione e dei risultati. Vengono inoltre sostenute le attività di formazione e aggiornamento, volte a favorire il reinserimento delle lavoratrici e dei lavoratori dopo un periodo di assenza a titolo di congedo di maternità e paternità o parentale. I contributi sono infine volti al sostegno di progetti che, anche attraverso l'attivazione di reti tra enti territoriali, aziende e parti sociali, promuovano interventi e servizi innovativi in risposta alle esigenze di conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro.

La Carta acquisti

Il decreto-legge 112/2008[14] ha disposto l’istituzione di un Fondo di solidarietà per i cittadini meno abbienti per la concessione della Carta acquisti. Successivamente sono stati individuati i titolari del beneficio, l’ammontare del beneficio unitario e le modalità di fruizione dello stesso, prevedendo la stipula di convenzioni tra i ministeri interessati ed il settore privato[15]. La Carta acquisti viene concessa, con onere a carico dello Stato, ai richiedenti residenti con cittadinanza italiana che versano in condizione di maggior disagio economico, ovvero ai cittadini nella fascia di bisogno assoluto di età uguale o superiore ai 65 anni o con bambini di età inferiore ai tre anni. La Carta, utilizzabile per il sostegno della spesa alimentare e sanitaria e per il pagamento delle spese energetiche, vale 40 euro al mese e viene caricata ogni due mesi con 80 euro, sulla base degli stanziamenti disponibili. E’ stato inoltre previsto l'accredito di un importo aggiuntivo mensile (pari a 25 euro) a titolo di concorso alle spese occorrenti per l'acquisto di latte artificiale e pannolini[16]. Le risorse sono state collocate nel Fondo Carta acquisti. In ultimo, è stato disposto l’accredito di un importo aggiuntivo mensile di 10 euro per i titolari della Carta Acquisti che siano utilizzatori, sul territorio nazionale, di gas naturale o GPL[17]. Con il proroga termini 2011[18], ha preso avvio una sperimentazione, della durata di un anno e con un limite di impegno massimo di risorse fino a 50 milioni di euro, a favore degli enti caritativi operanti nei comuni con più di 250.000 abitanti.

Fondo di credito per i nuovi nati e acquisto latte artificiale

Il decreto legge 185/2008[19], ha istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Fondo di credito per i nuovi nati , finalizzato al rilascio di garanzie dirette, anche fidejussorie, alle banche ed agli intermediari finanziari. Al Fondo è concessa una dotazione pari a 25 milioni di euro per ciascuno degli anni 2009, 2010 e 2011: alla copertura del relativo onere si provvede mediante l’utilizzo delle risorse del Fondo per le politiche della famiglia. Nel 2009 il Fondo è stato integrato di 10 milioni di euro per la corresponsione di contributi in conto interessi in favore delle famiglie di nuovi nati, o con bambini adottati nel medesimo anno, portatori di malattie rare. Sempre nel 2009 è stata autorizzata la spesa di 2 milioni di euro per il rimborso delle spese occorrenti per l’acquisto di latte artificiale e pannolini per i neonati fino a 3 mesi di età. Le risorse relative sono state collocate nel Fondo Carta acquisti. I destinatari dei rimborsi sono i beneficiari delle provvidenze del Fondo di solidarietà per i cittadini meno abbienti.

Interventi per le famiglie colpite dal sisma della regione Abruzzo

L’articolo 8, comma 2, del decreto-legge 39/2009[20] prevede, a valere sulle risorse per il 2009 del Fondo per le politiche della famiglia, nei limiti di una spesa pari a 12 milioni di euro, l'adozione di interventi per la costruzione e l'attivazione di servizi socio-educativi per la prima infanzia, la costruzione e l'attivazione di residenze per anziani, la costruzione e l'attivazione di residenze per "nuclei monoparentali madre bambino".

Fondo politiche per la famiglia

Il Fondo istituito ai sensi dell'art. 19, comma 1, del decreto-legge 223/2006[21], presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, è stato ridisciplinato dalla finanziaria 2007 che ha fra l’altro istituito l’ Osservatorio nazionale sulla famiglia.

Nell’ultimo quinquennio, gli stanziamenti finalizzati alle politiche di sostegno alla famiglia hanno registrato una considerevole riduzione. Nel 2011 il Fondo ammonta a 52.466.151 euro: tale ridimensionamento è stato legato, secondo le indicazioni del MEF, alla necessità di alimentare il costituendo Fondo per il federalismo, con conseguente azzeramento dei trasferimenti di risorse al sistema delle autonomie. A seguito dell’Intesa del 29 aprile 2010 in sede di Conferenza unificata[22], il decreto del 20 luglio 2010 ha stabilito il riparto delle risorse del Fondo per il 2010, ammontanti nel complesso ad euro 174.288.066.25. Per quanto riguarda le attività di competenza regionale e degli enti locali, i 100 milioni di risorse disponibili sono stati ripartiti con l’intesa in sede di Conferenza unificata del 7 ottobre 2010 che li ha destinati in via prioritaria, al proseguimento dello sviluppo ed al consolidamento del sistema integrato di servizi socio-educativi per la prima infanzia e alla realizzazione di altri interventi a favore delle famiglie, assicurando che ad essi accedano prioritariamente le famiglie numerose o in difficoltà, sulla base della valutazione del numero e della composizione del nucleo familiare e dei livelli reddituali.

 

 


Il fenomeno degli abbandoni scolastici

Nel settore dell’istruzione la Strategia UE 2020 fissa un duplice obiettivo : portare a meno del 10% la percentuale della popolazione compresa fra i 18 e i 24 anni che ha abbandonato gli studi e far sì che almeno il 40% dei giovani adulti (30-34 anni) abbia completato l’istruzione terziaria o equivalente.

Nel Piano nazionale di riforma (PNR), allegato al Documento di economia e finanza 2011 ( 13 aprile 2011 ), il Governo ha evidenziato che la riorganizzazione della scuola ha inteso valorizzare i processi di apprendimento, facilitando il passaggio da una scuola basata prevalentemente sulla trasmissione delle conoscenze ad una fondata sull’acquisizione di competenze e rafforzando il legame fra istruzione e mondo del lavoro.

In tema di riduzione degli abbandoni scolastici - ambito per il quale attualmente nel Sud il 25% dei giovani fra 18 e 24 anni possiede al massimo la licenza di scuola secondaria di primo grado, a fronte del 16,7% nel Centro-Nord - il PNR evidenzia che gli obiettivi nazionali si attestano al 17,9% per il 2013, al 17,3% per il 2015 e al 15-16% per il 2020 [23]. I valori obiettivo per il 2013 e per il 2015 sono basati sulle politiche correnti – quali la citata riforma della scuola secondaria –, finalizzate ad assicurare un’istruzione adeguata a tutti i giovani compresi tra i 14 e i 18 anni; essi, inoltre, tengono conto degli sforzi aggiuntivi supportati, per il periodo 2007-2013, sia dai fondi strutturali europei, sia dalla politica di sviluppo regionale, e dei correlati Obiettivi di servizio per le regioni del Mezzogiorno [24]. Tra gli strumenti per contrastare la dispersione scolastica, si inserisce anche lo sviluppo di organici raccordi fra i percorsi degli istituti tecnici e professionali e i percorsi di formazione professionale di competenza delle regioni.

 

Il recente Rapporto della Commissione europea ( 19 aprile 2011)[25]sui progressi compiuti nel campo dell'istruzione e della formazione evidenzia i seguenti dati:

-    la percentuale della dispersione scolastica (popolazione 18-24 anni) nell’UE 27 è calata dal 17,6% del 2000 al 14,4% (ragazze: 12,5%, ragazzi: 16,3%), in Italia è passata dal 25,1% al 19,2% (obiettivo 2020 : pari o inferiore al 10%);

-    i livelli di istruzione secondaria superiore dei giovani ventiduenni sono passati da 76,6 a 78,8 nell’UE e da 69,4 a 76,3 in Italia ( obiettivo 2020 : almeno 85 %);

-    il grado di completamento dell’istruzione terziaria (giovani tra i 30 e i 34 anni) è passato da 22,4 a 32,3 nell’UE e da 11,6% a 19,0% in Italia ( obiettivo 2020 : almeno 40 %);

-    il livello medio UE di partecipazione all'apprendimento permanente tra la popolazione in età lavorativa (fascia di età dai 25 ai 64 anni) è passato da 7,1% del 2000 a 9,3% del 2009 e da 5,8% a 6% in Italia (obiettivo UE 2020: almeno 15%).

 

 

 


Misure a favore delle imprese nel contesto della crisi internazionale

Misure a favore delle imprese

Tra le misure adottate dal Governo e dal Parlamento a sostegno della crescita economica e per il rilancio della competitività del sistema produttivo, che risente della grave crisi economica internazionale, si segnalano in primo luogo quelle diretti alle piccole e medie imprese (PMI), con particolare riferimento al rifinanziamento del Fondo di garanzia per le PMI, i cui interventi sono stati estesi anche alle imprese artigiane e sono assistiti dalla garanzia dello Stato.

Gli interventi hanno riguardato anche i distretti produttivi, la cui disciplina introdotta dalla legge finanziaria 2006 (L. 266/2005) è stata estesa alle reti delle imprese di livello nazionale e alle catene di fornitura.

Il legislatore si è posto anche l’obiettivo di migliorare la competitività delle imprese italiane cercando di incentivare gli investimenti in ricerca, sviluppo e innovazione, al fine di ridurre il divario rispetto a tali investimenti nei principali paesi europei. Sono state approvate anche misure di riordino in materia ed è stata, inoltre, estesa la disciplina dei progetti di innovazione industriale ad ulteriori aree tecnologiche.

Il Parlamento ha anche delegato il Governo al riordino della disciplina della programmazione negoziata e degli incentivi per lo sviluppo del territorio, nonché degli interventi di reindustrializzazione di aree di crisi.

L’obiettivo di una maggiore competitività delle imprese passa anche per una semplificazione degli adempimenti burocratici per avviare e svolgere le attività produttive. In tale direzione va la semplificazione e il riordino della disciplina degli sportelli unici delle attività produttive. Lo sportello unico dovrà essere l’unico punto di accesso in relazione a tutte le vicende amministrative riguardanti l’attività produttiva del richiedente, con il compito di fornire una risposta unica e tempestiva in luogo di tutte le amministrazioni coinvolte nel procedimento. Inoltre si è disposta l’abolizione di alcune certificazioni dovute dalle imprese ai fini dell’ottenimento di titoli autorizzatori o concessori o di partecipazione a procedure di evidenza pubblica.

Al sostegno del sistema produttivo, a maggior ragione in un periodo di crisi economica, contribuisce anche l'approvazione di norme che mirano a rafforzare la tutela della proprietà industriale e gli strumenti di lotta alla contraffazione, anche sotto il profilo penale. Inoltre, a tutela del made in Italy, sono state rafforzate le sanzioni in caso di fallace indicazione sull'origine o provenienza dei prodotti e introdotte sanzioni per l'uso di indicazioni di vendita atte ad indurre la fallace convinzione che il prodotto sia interamente realizzato in Italia.

Nell’ambito della “vicenda Alitalia”, il legislatore è intervenuto inoltre sulla disciplina relativa all’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, tra l’altro individuando una specifica disciplina dell’amministrazione straordinaria per le grandi imprese operanti nei settori dei servizi pubblici essenziali volta a garantire la continuità nella prestazione di tali servizi.

La Commissione X Attività produttive della Camera ha svolto una indagine conoscitiva sulla situazione e sulle prospettive del sistema industriale e manifatturiero italiano in relazione alla crisi dell’economia internazionale, approvandone il documento conclusivo, discusso nelle sedute del 18 e 25 maggio 2011.

Individuati i fattori di debolezza del sistema industriale italiano, il documento conclusivo propone un programma nazionale strategico riguardante la politica energetica, la riduzione del carico fiscale e contributivo, il sostegno alla domanda, lo snellimento burocratico, la concorrenza (a partire dal settore bancario), l'utilizzo dei fondi strutturali europei, l'accelerazione dei tempi di pagamento della pubblica amministrazione, la modernizzazione del sistema produttivo. Tra i settori industriali, vengono avanzate proposte di intervento sulla chimica, sul settore delle macchine utensili e sull'industria farmaceutica.

PMI e distretti produttivi

L’apparato produttivo italiano si distingue per l’elevato numero di imprese attive e una dimensione media di queste estremamente ridotta, cui si aggiunge un accentuato localismo produttivo. In tale ambito, le piccole e medie imprese (nel seguito: PMI) rappresentano senza dubbio uno degli assi portanti dell’economia nazionale e sono andate incontro ad uno sviluppo quantitativo, ma anche qualitativo, che non ha eguali nel panorama internazionale.

Secondo i dati Istat (Struttura e competitività del sistema delle imprese industriali e dei servizi - Anno 2007. Istat, Statistiche in breve, 20 ottobre 2009), la struttura produttiva italiana rimane caratterizzata da una larga presenza di microimprese (con meno di dieci addetti), rappresentative del 94,8 per cento delle imprese, del 47,4 per cento degli addetti e del 32,5 per cento del valore aggiunto. In questo segmento dimensionale di imprese quasi due terzi dell’occupazione è costituita da lavoro indipendente.

Le grandi imprese (con almeno 250 addetti) ammontano a 3.418 unità, che pesano per il 18,5 per cento degli addetti e per il 28,3 per cento del valore aggiunto complessivi.

La dimensione media delle imprese permane particolarmente bassa (3,9 addetti per impresa), seppure in crescita negli ultimi anni.

La principale caratteristica delle PMI italiane può essere individuata nella particolarità della loro forma organizzativa, che ha trovato l’espressione più completa nei distretti industriali i quali, come le altre le forme organizzative delle PMI (le cooperative ad esempio) sono espressione di uno sviluppo industriale che nasce dal basso e riflette la capacità di forze economiche, sociali ed istituzionali presenti in un determinato territorio di autopromuoversi, mettendo a frutto le risorse in termini di capitale umano, di materie prime e di conoscenze disponibili in ambito locale.

I distretti produttivi rappresentano uno dei maggiori punti di forza del sistema produttivo italiano e si configurano come sistemi produttivi locali omogenei, caratterizzati da un'elevata concentrazione di imprese industriali, prevalentemente di piccola e media dimensione, e dall'elevata specializzazione produttiva.

Le reti d’impresa sono invece forme di coordinamento di natura contrattuale tra imprese, soprattutto di piccola e media dimensione, che vogliono aumentare la forza sul mercato senza doversi fondere o unire sotto il controllo di un unico soggetto.

Il Parlamento hainciso sulla materia dei distretti produttivi e delle reti d’impresa nella legislatura in corso in più occasioni. Per una trattazione più estesa degli interventi in materia si veda il tema dell’attività parlamentare Distretti produttivi, curato dal Servizio Studi della Camera dei Deputati. Si veda anche il tema la manovra 2011-13 sul sostegno allo sviluppo.

Le misure approvate dal Governo e dal Parlamento nel corso dell’attuale legislatura a partire dal giugno 2008, destinate specificamente a favore delle PMI allo scopo di sostenerle in una situazione di grave crisi economica e finanziaria internazionale (anche per le ricadute sul piano dell’occupazione e più in generale sul piano sociale), sono contenute in vari decreti-legge e nel collegato alla manovra finanziaria (legge n. 99/2009).

 

Accesso al credito e sostegno finanziario

Per quanto riguarda le misure volte a favorire l’accesso al credito per le PMI, in primo luogo si segnala il Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese.

In particolare il decreto-legge 185/2008 ha destinato al rifinanziamento del Fondo di garanzia per le PMI, il cui intervento viene esteso anche alle imprese artigiane, la somma di 450 milioni di euro (quale limite massimo).

Di tali risorse aggiuntive il 30% è riservato agli interventi di controgaranzia dei Confidi. Inoltre si dispone che gli interventi del Fondo di garanzia per le PMI siano assistiti dalla garanzia dello Stato, quale garanzia di ultima istanza, secondo criteri, condizioni e modalità da stabilire con decreto di natura non regolamentare del Ministro dell'economia e delle finanze, comunque nei limiti delle risorse destinate a tale scopo a legislazione vigente sul bilancio dello Stato.

Lo stesso decreto ha infine consentito l’incremento della dotazione del Fondo mediante versamento di contributi da parte delle banche, delle Regioni e di altri enti e organismi pubblici, ovvero con l'intervento della SACE (Servizi assicurativi del commercio estero) Spa, secondo modalità stabilite con decreto ministeriale.

 

Ulteriori norme riguardanti il Fondo di garanzia per le piccole e medie impresesono state introdotte con il decreto-legge 5/2009.

Inoltre si è prevista la possibilità di estendere gli interventi del Fondo di garanzia alle misure che consentano alle imprese la rinegoziazione dei debiti in essere con il sistema bancario e l’assolvimento degli obblighi tributari e contributivi.

 

Disposizioni volte a sostenere le PMI in difficoltà finanziaria sono contenute inoltre nel decreto-legge 78/2009[26] (convertito dalla legge 102/2009) che prevede una norma ponte per la moratoria dei debiti nei confronti delle banche.

In particolare, il comma 3-quater dell’articolo 5 prevede la stipula di una convenzione tra il Ministro dell’economia e delle finanze e l’ABI diretta ad attenuare gli oneri finanziari a carico delle piccole e medie imprese in difficoltà finanziaria, anche in relazione ai tempi di pagamento degli importi dovuti tenendo conto delle specifiche caratteristiche dei soggetti coinvolti. La convenzione dovrà essere stipulata entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto in esame.

Il decreto-legge 70/2011 (Il decreto-legge per il semestre europeo, A.C. 4357) ha modificato, al comma 5 dell’articolo 8, la disciplina del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese al fine di favorirne l’operatività e l’autonomia e ha disposto in merito all’utilizzo parziale  di risorse inutilizzate  destinate al  Fondo rotativo per il sostegno alle imprese e agli investimenti in ricerca. In particolare il comma 5 prevede:

-    l’eliminazione della disposizione del comma 847, art. 1, della legge 296/2006 che, nel prevedere l'istituzione del Fondo per la finanza d'impresa, stabilisce la soppressione del Fondo di garanzia per le PMI, pur mantenendone l'operatività fino all'emanazione delle norme attuative del citato Fondo per la finanza d'impresa (lett. a).

-    la possibilità di procedere ad opportune razionalizzazioni della disciplina regolamentare del Fondo contenuta nel DM 248/1999 e di estendere la garanzia concessa dal Fondo anche ai fondi comuni di investimento mobiliari chiusi (lett. b);

-    l’integrazione dell’art. 1 della legge 311/2004 (finanziaria 2005), con l’aggiunta dei nuovi commi 361-bis - 361-quater relativi all’utilizzo parziale di risorse inutilizzate del Fondo rotativo per il sostegno alle imprese e agli investimenti in ricerca (FRI) (lett. c).

 

Internazionalizzazione delle imprese

Norme per promuovere la presenza delle imprese nazionali all’estero sono contenute nel decreto-legge 78/2009 e nella legge 99/2009, anche con specifico riferimento alle piccole e medie imprese.

Sistema “Export banca”

Il decreto-legge 78/2009 ha demandato ad una disciplina di rango secondario la definizione, a condizioni di mercato, di un nuovo sistema integrato di finanziamento e assicurazione – denominato “export banca” - volto a promuovere l’internazionalizzazione delle imprese attraverso l’attivazione delle risorse finanziarie gestite dalla Cassa depositi e prestiti (CDP) S.p.A.[27](art. 8), nonché la fissazione delle modalità e dei criteri per consentire le operazioni di assicurazione del credito per le esportazioni da parte della SACE Spa anche in favore delle piccole e medie imprese nazionali.

Il modello organizzativo proposto prevede in particolare che le operazioni di internazionalizzazione delle imprese assistite da garanzia o assicurazione della SACE S.p.A.[28] possano essere finanziate dalla Cassa con l'utilizzo dei fondi provenienti dalla raccolta postale, ovvero dall’emissione di titoli, dall’assunzione di finanziamenti e da altre operazioni finanziarie.

In attuazione della norma in esame è stato adottato il decreto MEF del 22 febbraio 2010, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 82 del 9 aprile 2010.

Start-up di progetti di internazionalizzazione

La legge n. 99/2009 all’articolo 14 istituisce presso la Tesoreria dello Stato un Fondo rotativo destinato a favorire la fase di avvio di progetti di internazionalizzazione delle imprese, la cui gestione viene assegnata alla SIMEST Spa. Si ricorda che tale società è controllata dal Governo italiano, che detiene il 76% del pacchetto azionario, ed è stata istituita con il compito di promuovere il processo di internazionalizzazione delle imprese italiane e di assistere gli imprenditori nelle loro attività all’estero.

Al Fondo saranno assegnate le disponibilità finanziarie derivanti da utili di competenza del Ministero dello sviluppo economico quale socio della SIMEST e già destinati, ai sensi del decreto legislativo 143/1998[29], allo sviluppo delle esportazioni.

Gli interventi del Fondo sono stati destinati ad investimenti di carattere transitorio, e non di controllo, nel capitale di rischio di società costituite appositamente da parte di piccole e medie imprese e di loro raggruppamenti, finalizzati alla realizzazione di progetti di internazionalizzazione.

La norma ha la finalità di supportare, attraverso investimenti nel capitale di rischio transitori e di minoranza, lo sviluppo di società che realizzino progetti di internazionalizzazione mediante società costituite da raggruppamenti di piccole e medie imprese che solitamente incontrano difficoltà nell’affrontare i mercati extra-europei a causa delle loro dimensioni.

Si veda anche il tema dell’attività parlamentare Internazionalizzazione delle imprese.

 

Ricerca e innovazione

Nel campo della ricerca e dell’innovazione tra i provvedimenti a favore delle piccole e medie imprese si segnala, in particolare, il decreto del Ministero dello sviluppo economico del 10 marzo 2009[30] che ha istituito un Fondo nazionale per l’innovazione, con una dotazione di circa 60 milioni di euro, al fine di consentire (come previsto dall'art. 1, comma 851, della legge 27 dicembre 2006, n. 296), la piena partecipazione delle PMI al sistema di proprietà industriale ed il rafforzamento del brevetto italiano, nonché a favorire la trasferibilità dei titoli della proprietà industriale e la loro capacità di attrarre finanziamenti, anche dall'estero.

Tali finalità sono perseguite attraverso l'attuazione di interventi tesi ad agevolare l'accesso da parte delle PMI al capitale di rischio e di debito per il sostegno finanziario a progetti innovativi basati sull'utilizzo economico dei titoli della proprietà industriale.

Gli interventi del Fondo sono attuati attraverso la compartecipazione delle risorse pubbliche in operazioni finanziarie progettate, co-finanziate e gestite da soggetti intermediari (banche e intermediari finanziari), espressamente finalizzate al sostegno di progetti innovativi collegati a titoli della proprietà industriale.

Le risorse del Fondo sono assegnate, in via prioritaria, in favore di operazioni finanziarie:

§      adeguate a realizzare il finanziamento di progetti aziendali innovativi basati sull'utilizzo economico dei titoli della proprietà industriale

§      che coinvolgono gli attori della filiera dell'innovazione, in particolare Università e centri di ricerca

§      in cui il soggetto intermediario proponente assicura l’apporto di competenze finanziarie e gestionali.

Il nuovo Fondo è stato reso operativo con la firma degli avvisi pubblici di attuazione del Ministro dello sviluppo economico (sul punto si rinvia alla Circolare dell'area “affari legislativi” n. 19193 del 13 maggio 2009), che si riferiscono alle due macroaree di intervento individuate dal citato decreto: il finanziamento di debito, a cui vengono destinati 37,5 milioni di euro, e il capitale di rischio, a cui sono assegnati 20 milioni di euro. I due interventi sono entrati in vigore con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale (contratti pubblici) n. 153 del 30 dicembre 2009. Gli avvisi pubblici riguardano esclusivamente gli intermediari finanziari, in quanto sono diretti a selezionare i soggetti proponenti che dovranno presentare proposte volte ad agevolare, attraverso l'impiego delle risorse del Fondo, l'accesso al credito o al finanziamento in capitale di rischio per le PMI.

Il coinvolgimento delle imprese, mediante la presentazione di progetti imprenditoriali innovativi anche in forma congiunta mediante contratto di rete, sarà quindi possibile soltanto a seguito dell'aggiudicazione degli avvisi da parte degli intermediari proponenti.

Si ricorda inoltre il DM 23 luglio 2009[31]che, in attuazione dell'art. 1, comma 845, della legge finanziaria 2007, ha disciplinato la concessione di agevolazioni per la realizzazione di investimenti produttivi innovativi finalizzati allo sviluppo di piccole imprese di nuova costituzione, all’industrializzazione dei risultati di programmi qualificati di ricerca o di sviluppo sperimentale, a programmi di investimento volti al risparmio energetico e alla riduzione degli impatti ambientali delle unità produttive interessate, a specifici obiettivi di innovazione, miglioramento competitivo e tutela ambientale.

Si veda anche il tema dell’attività parlamentare Ricerca e innovazione.

Sportello unico per le attività produttive

Il decreto-legge 112/2008 con l’articolo 38ha provveduto, altresì, all’introduzione di norme volte a semplificare le procedure per l’avvio e lo svolgimento delle attività imprenditoriali, affidando al Governo il compito di modificare la disciplina dellosportello unico per le attività produttive[32].

In particolare l’articolo 38 demanda ad un regolamento di delegificazione, nel rispetto di specifici principi e criteri, la semplificazione e il riordino della disciplina degli sportelli unici delle attività produttive, già previsti presso i comuni dal decreto legislativo 112/1998.

Lo sportello unico dovrà essere l’unico punto di accesso in relazione a tutte le vicende amministrative riguardanti l’attività produttiva del richiedente, con il compito di fornire una risposta unica e tempestiva in luogo di tutte le amministrazioni coinvolte nel procedimento.

Per i Comuni che non istituiscono lo sportello unico, le funzioni inerenti lo sportello unico verranno esercitate dalle Camere di commercio, mediante il portale "impresa.gov", che assume la denominazione di “impresainungiorno”, gestito congiuntamente con l’Associazione nazionale comuni italiani (ANCI). Le imprese possono richiedere per le comunicazioni una casella di posta elettronica certificata (PEC) , fornita gratuitamente dalle Camere di commercio.

Nei casi in cui sia sufficiente la presentazione della dichiarazione di inizio attività (DIA), sarà possibile avviare immediatamente l’attività d’impresa con il rilascio da parte dello sportello unico di una ricevuta.

 

Per quanto riguarda le comunicazioni iniziali per l'avvio dell'attività d'impresa, si ricorda inoltre che l’art. 9 del DL 7/2007, convertito dalla L. 40/2007, ha previsto che gli adempimenti amministrativi a carico delle imprese per l’iscrizione al Registro delle imprese, ai fini previdenziali, assicurativi e fiscali, nonché per l’ottenimento del codice fiscale e della partita IVA, siano assolti tramite una comunicazione unica presentata per via telematica o su supporto informatico all’Ufficio del Registro delle imprese delle Camere di commercio, il quale rilascia una ricevuta che costituisce titolo per l’immediato avvio dell’attività imprenditoriale e si fa carico di informare le altre amministrazioni competenti dell'avvenuta presentazione della comunicazione unica. Tale procedura si applica anche in caso di modifiche o cessazione dell’attività d’impresa. Trascorsa la fase sperimentale di sei mesi durante la quale gli interessati hanno avuto la possibilità di avvalersi ancora della procedura tradizionale, dal 1° aprile 2010 per creare un'impresa è diventato obbligatorio utilizzare la procedura della comunicazione unica.

Si ricorda inoltre che, ai fini della semplificazione e della rapidità delle procedure relative all’avvio e all’esercizio dell’impresa, l'articolo 49 decreto-legge 78/2010[33], il cui disegno di legge di conversione è stato approvato in via definitiva dalla Camera (A.C. 3638), dispone la sostituzione della disciplina della dichiarazione di inizio attività (DIA) - recata da ogni normativa statale e regionale - con quella della segnalazione certificata di inizio attività (SCIA).

Altri interventi a favore dell'apparato produttivo

Interventi di reindustrializzazione

La legge 99/2009 contiene disposizioni volte a promuovere gli interventi di reindustrializzazione sulla base di una approccio innovativo e sistematico che ruota attorno all’accordo di programma quale strumento di regolamentazione concordata alla cui definizione partecipano tutti i soggetti pubblici e privati coinvolti.

L’individuazione delle aree e dei distretti in crisi in cui realizzare gli interventi è stata demandata ad un decreto del Ministro per lo sviluppo economico, al quale è stato, altresì, affidato il coordinamento dell’accordo di programma, anche avvalendosi, a tal fine, dell’Agenzia per l’attrazione degli investimenti (ex Sviluppo Italia) che dovrà provvede all’attuazione degli interventi agevolativi sulla base di direttive emanate dal Ministro.

Inoltre, il Governo è stato delegato ad effettuare un riordino della disciplina della programmazione negoziata e degli incentivi per lo sviluppo del territorio, degli interventi di reindustrializzazione di aree di crisi, degli incentivi per la ricerca, sviluppo e innovazione. La delega è finalizzata a rilanciare l'intervento dello Stato a sostegno delle aree o distretti in crisi, con particolare riferimento a quelli del Mezzogiorno, in funzione della crescita unitaria del sistema produttivo nazionale.

 

Grandi imprese in crisi

Il Governo è intervenuto sulla disciplina relativa all’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi con il decreto-legge 134/2008 (noto anche come “decreto Alitalia) che ha esteso l’ambito di applicazione del DL 347/2003 (“legge Marzano”) - che già disciplinava la procedura di amministrazione straordinaria per le grandi imprese in stato di insolvenza finalizzata alla ristrutturazione industriale delle stesse sotto la supervisione del Ministro competente - anche alle imprese che intendono avvalersi, piuttosto che delle procedure di ristrutturazione economica e finanziaria, delle procedure di cessione di complessi aziendali, sulla base di un programma di prosecuzione dell'esercizio dell'impresa di durata non superiore ad un anno.

Le finalità conservative dell’azienda possono essere realizzate attraverso la cessione dei complessi aziendali. Il Commissario straordinario individua l'acquirente mediante trattativa privata tra i soggetti che garantiscono la continuità del servizio nel medio periodo e la rapidità dell'intervento, e fissa il prezzo di cessione ad un valore non inferiore a quello di mercato.

Il decreto ha previsto inoltre misure per la tutela dei lavoratori, estendendo la durata massima dei trattamenti di integrazione salariale straordinaria e di mobilità per il personale dei vettori aerei e delle società derivate da questi ultimi, e benefici per i piccoli azionisti o gli obbligazionisti di Alitalia – Linee aeree italiane S.p.A. Infine, per garantire la continuità aziendale di Alitalia, sono state introdotte limitazioni alla responsabilità degli amministratori, dei componenti del collegio sindacale, del dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari.

In materia di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza è intervenuto anche il citato DL 185/2008 (“decreto anti-crisi”), che  ha integrato la “legge Prodi-bis” (D.Lgs. 270/1999) in merito alle operazioni di cessione previste dal commissario straordinario nel programma di salvataggio dell’impresa. Infine, il decreto-legge 70/2011 (Il decreto-legge per il semestre europeo, A.C. 4357) ha introdotto all'articolo 8 nuove norme in materia di amministrazione straordinaria della grande impresa in crisi. Più in particolare è previsto un obbligo per i commissari liquidatori di chiudere le procedure di amministrazione straordinaria aperte da oltre 10 anni quando non siano state individuate offerte di concordato da proporre ai creditori entro sei mesi dalla data di pubblicazione dell’invito. Inoltre è introdotto il principio della responsabilità solidale dell’impresa cedente rispetto ai debiti maturati dall’impresa cessionaria.

Per approfondimenti, si rinvia al tema dell’attività parlamentare “Grandi imprese in crisi”.

 

Made in Italy e lotta alla contraffazione

La legge 55/2010[34] reca disposizioni in materia di commercializzazione di prodotti tessili, della pelletteria e calzaturieri (anche con riferimento alla riconoscibilità e tutela dei prodotti italiani).

In particolare la legge istituisce, in tali settori, un sistema di etichettatura obbligatoria dei prodotti, che evidenzi il luogo di origine di ciascuna fase di lavorazione assicurando così la tracciabilità dei prodotti stessi.

Inoltre si consente l’uso dell'indicazione «Made in Italy» esclusivamente per i prodotti dei citati settori (oltre che per i prodotti conciari e del settore dei divani, come disposto dal Senato) le cui fasi di lavorazione, come individuate dallo stesso provvedimento, abbiano avuto luogo prevalentemente nel territorio italiano.

Infine, si prevedono sanzioni amministrative pecuniarie e il sequestro e la confisca delle merci nel caso di violazione delle disposizioni del provvedimento, che se reiterata o commessa mediante attività organizzate è soggetta a sanzione penale.

Il decreto-legge 135/2009[35] era già intervenuto, con l'articolo 16, a tutela del made in Italy.

In particolare, i commi 1-4 hanno introdotto una regolamentazione dell’uso di indicazioni di vendita che presentino il prodotto come interamente realizzato in Italia, quali «100% made in Italy», «100% Italia», «tutto italiano» o simili, prevedendo una sanzione penale per l’uso indebito di tali indicazioni di vendita ovvero di segni o figure che inducano la medesima fallace convinzione.

Come già ricordato con esse sono state rese più stringenti, a tutela del made in Italy, le sanzioni in caso di mendace indicazione di provenienza o di origine.

Presso il Ministero dello sviluppo economico è stato istituito il Consiglio nazionale anticontraffazione, con funzioni di indirizzo, impulso e coordinamento delle azioni intraprese da ogni amministrazione, al fine di migliorare l’azione complessiva di contrasto della contraffazione a livello nazionale.

Più in generale la legge 99 ha introdotto modifiche al Codice della proprietà industriale (D.Lgs. 30/2005) incidendo su profili sia di natura sostanziale sia processuale. Per quanto riguarda i profili sostanziali le modifiche riguardano, tra l’altro, il diritto di priorità per i brevetti di invenzione e per i modelli di utilità e i limiti alla protezione accordata dal diritto d’autore ai disegni e modelli industriali. Con riferimento ai profili processuali si segnala, tra le altre modifiche, l’eliminazione del riferimento all’applicazione del rito societario per i procedimenti in materia di proprietà industriale e di concorrenza sleale e l’ampliamento delle controversie devolute alle sezioni specializzate. Inoltre la legge delega il Governo ad adottare disposizioni correttive o integrative del richiamato Codice, anche con riferimento ai profili processuali. In attuazione di tale previsione è stato approvato e trasmesso alle Camere uno schema di decreto legislativo (atto n. 228) ai fini del parere delle competenti Commissioni parlamentari.

Nella seduta del 13 luglio 2010 la Camera ha approvato, con limitate modifiche, il testo unificato delle proposte di inchiesta parlamentare Doc. XXII, n. 12 e Doc. XXII, n. 16 (Doc. XXII, n. 12-16-A), che istituisce una Commissione parlamentare monocamerale di inchiesta sui fenomeni della contraffazione e della pirateria in campo commerciale. La deliberazione di inchiesta parlamentare è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 167 del 20 luglio 2010.

Sulla materia, il Servizio Studi cura i temi dell’attività parlamentare “Made in Italy e lotta alla contraffazione” e “Tutela della proprietà industriale”.

 

Incentivi per il rilancio dei consumi

Il decreto-legge 40/2010[36], all'articolo 4, comma 1, ha istituito un Fondo per il sostegno della domanda finalizzata ad obiettivi di efficienza energetica, ecocompatibilità e miglioramento della sicurezza sul lavoro, con una dotazione di 300 milioni di euro per il 2010. Come stabilito dal D.M. 26 marzo 2010, con cui sono state definite le modalità di erogazione mediante contributi delle risorse del Fondo, beneficiano degli incentivi gli acquisti di: motocicli, elettrodomestici a basso consumo, cucine componibili complete di elettrodomestici efficienti, rimorchi, gru per l'edilizia, macchine agricole, motori nautici, componenti elettrici ed elettronici per l'efficienza energetica industriale, internet veloce per i giovani. I consumatori e le imprese possono acquistare i prodotti con gli incentivi a partire dal 15 aprile 2010. E' previsto inoltre un contributo per l'acquisto di immobili di nuova costruzione ad alta efficienza energetica da adibire a prima abitazione, nel limite massimo di 7000 euro. Nel corso dell'esame parlamentare i contributi per le gru a torre sono stati riconosciuti anche per gli acquisti tramite locazione finanziaria e quelli destinati ai motocicli sono stati estesi anche alle biciclette a pedalata assistita.

Imprenditoria femminile

Per sostenere tutte le donne che vogliono avviare un’attività economica, è indispensabile poter conoscere le modalità e le dinamiche che contraddistinguono il “fare impresa” al femminile, le peculiarità di questo segmento corposo dell’universo delle imprese ed anche le fragilità che possono minarne lo sviluppo e la crescita. A questo scopo, Unioncamere e del Ministero dello Sviluppo Economico promuovono dal 2005 uno studio sulle banche dati del sistema camerale. I risultati si possono leggere nel recente Rapporto nazionale sull’imprenditoria femminile (seconda edizione), in allegato.

Per approfondimenti sulla normativa, si veda la scheda di approfondimento curata dal Servizio Studi “Imprenditoria femminile”.

 

 


Autoimpiego e autoimprenditorialità (imprenditorialità giovanile)

 

Gli interventi normativi in materia di agevolazioni all’imprenditorialità giovanile sono stati riordinati in un quadro unitario con il D.Lgs. 21 aprile 2000, n. 185 che dispone norme relative agli incentivi all’autoimprenditorialità e all’autoimpiego[37].

 

L’attuazione della disciplina di dettaglio è stata affidata al D.M. Tesoro 28 maggio 2001, n. 295 con riferimento all’autoimpiego, e al D.M. Economia 16 luglio 2004, n. 250[38]relativamente all’autoimprenditorialità.

 

Il CIPE, con deliberazione 25 luglio 2003, n. 27, ha aggiornato, ai sensi dell’art. 61, comma 5, della legge n. 289/2002[39], i criteri e le modalità di attuazione delle medesime misure agevolative in forma di autoimpiego.

 

L’ambito territoriale di applicazione di entrambe le forme di imprenditorialità, è disciplinato dall’articolo 2 del D.Lgs. n. 185/2000, ed è stato successivamente esteso dall’articolo 67 della legge finanziaria per il 2003 (legge n. 289 del 2002).

In particolare, ai sensi dell’articolo 2 del D.Lgs. n. 185/2000 l’ambito territoriale di applicazione della disciplina è dato da tutte le aree obiettivo 1 e 2 dei fondi comunitari (programmazione 2000-2006)[40], dalle aree ammesse alla deroga per gli aiuti di Stato a finalità regionale (art. 107 TFUE ex 87.3.c. del TCE)[41], nonché dalle c.d. “aree svantaggiate”, di cui al D.M. Lavoro 14 marzo 1995 e successive modificazioni.

L’articolo 67 della legge finanziaria per il 2003 (legge n. 289 del 2002) ha esteso le agevolazioni, con riferimento alla sola imprenditorialità giovanile, anche ai comuni montani del Centro-Nord con meno di 5.000 abitanti.

 

Per accedere ai benefici, i soggetti interessati devono risultare:

§      residenti nei comuni ricadenti nei territori sopraindicati alla data del 1° gennaio 2000 ovvero - come previsto dall’articolo 8, comma 7, del D.L. n. 35/2005 che ha novellato l’articolo 5 del D.Lgs. n. 185/2000 - da almeno 6 mesi all’atto della presentazione della domanda;

§      disoccupati, nel caso degli incentivi all’autoimpiego (articolo 13, D.lgs. n. 185/2000);

§      devono possedere determinati requisiti di età, nel caso della promozione dell’autoimprenditorialità: le società o le cooperative sociali devono infatti essere composte prevalentemente da soggetti di età compresa tra i 18 ed i 35 anni.

 

I benefici previsti per la promozione di iniziative di autoimprenditorialità e di autoimpiego vengono definiti agli articoli 3 e 15 del D.Lgs. n. 185/2000, che  prevedono:

§      la concessione di contributi a fondo perduto (anche in conto gestione) e mutui agevolati, per gli investimenti, secondo i limiti fissati dall’Unione europea;

§      assistenza tecnica in fase di realizzazione degli investimenti e di avvio delle iniziative;

§      attività di formazione e qualificazione dei profili imprenditoriali, funzionali alla realizzazione del progetto.

 

L’articolo 23 del D.Lgs. n. 185/2000 affida a Sviluppo Italia S.p.A., ora Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa (di seguito: INVITALIA S.p.A.)il compito di provvedere alla selezione delle domande e alla erogazione delle agevolazioni, nonché all’assistenza tecnica dei progetti e delle iniziative presentate.

INVITALIA S.p.A. è, dunque, l’ente autorizzato a stipulare i contratti di finanziamento con i beneficiari delle misure agevolative, tra cui i mutui agevolati, assistiti dalle garanzie previste dal codice civile e da privilegio speciale.

 

Il D.M. Economia del 30 novembre 2004 ha ridefinito i criteri e modalità per la concessione degli incentivi per l’autoimprenditorialità e l’autoimpiego di cui al D.Lgs. n. 185 del 2000 da parte di INVITALIA S.p.A..

Si consideri, che, la disciplina relativa alla riorganizzazione della Società INVITALIA (ex Sviluppo Italia S.p.a.), ha previsto, relativamente alle competenze di questa in materia di misure di autoimprenditorialità e all’autoimpiego di cui ai titoli I e II del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 185, il graduale subentro delle regioni nell'esercizio delle funzioni svolte dalla suddetta Agenzia, subentro che avrebbe dovuto completarsi entro il 31 dicembre 2010 (art. 28, D.L. n. 248/2007)[42].

 

Si ricorda infine che la legge n. 191/2009 (legge finanziaria per il 2010), all’articolo 2, comma 45, è intervenuta in materia di autoimprenditorialità estendendo ai mutui accesi entro il 31 dicembre 2008 l’autorizzazione alla rinegoziazione da parte di INVITALIA S.p.A., nel limite di spesa di 1 milione di euro per il 2010.

Già la legge n. 244 del 2007 (legge finanziaria per il 2008) aveva previsto, ai sensi dell’articolo 2, commi 188-190, un’analoga autorizzazione per la rinegoziazione dei mutui accesi entro il 31 dicembre 2004 relativi all’autoimprenditorialità, assegnando a tal fine il finanziamento di 1 milione di euro per ciascun anno del triennio 2008-2010. Tale stanziamento è stato tuttavia annullato dal D.L. n. 93/2008, per contribuire alla copertura dell’abolizione dell’ICI (articolo 5, comma 1, Elenco 1).

 


Misure a favore dei lavoratori

Contratti di solidarietà

Per contratti di solidarietà difensivi si intendono quei contratti collettivi aziendali, stipulati tra imprese industriali e le rappresentanze sindacali, che, a norma dell'articolo 1 del decreto-legge 726/1984, stabiliscano una riduzione dell'orario di lavoro, al fine di evitare, in tutto o in parte, la riduzione o la dichiarazione di esubero del personale. In relazione a tale riduzione d'orario, di cui sia stata accertata la finalizzazione da parte dell'Ufficio regionale del lavoro, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali concede il trattamento d'integrazione salariale il cui ammontare è determinato in una specifica misura percentuale del trattamento retributivo perso a séguito della riduzione d'orario.

La richiamata percentuale, stabilita originariamente al 60% dall'articolo 6, comma 3, del decreto-legge 510/1996, è stata successivamente elevata all’80% del trattamento perso a seguito della riduzione dell’orario, in via sperimentale per il biennio 2009-2010, dall’articolo 1, comma 6, del decreto-legge 78/2009. Successivamente, l’articolo 1, comma 33, della legge 220/2010 (legge di stabilità per il 2011) ha prorogato tale incremento a tutto il 2011.

Sempre in materia di contratti di solidarietà si rammenta, poi, l’articolo 19, comma 14, del decreto-legge 185/2008, con il quale è stato prorogato al 31 dicembre 2009 il termine entro il quale le imprese non rientranti nell'ambito ordinario di applicazione della disciplina dei richiamati contratti potevano stipulare tali contratti, beneficiando di determinate agevolazioni, ai sensi dell'articolo 5, commi 5 e 8, del decreto-legge 148/1993. Tale termine è stato successivamente prorogato per il 2010 dall’articolo 2, comma 136, della legge 191/2009 (legge finanziaria per il 2010) e per il 2011 dall’articolo 1, comma 32, della legge 220/2010.

Un ulteriore intervento si è avuto con l’articolo 7-ter, comma 9, del decreto-legge 5/2009, con il quale è stato stabilito che le imprese stipulanti contratti di solidarietà non possano concludere tale operazione solamente al fine di evitare o ridurre le eccedenze di personale derivanti da licenziamenti collettivi ai sensi dell’articolo 24 della legge 223/1991, bensì anche al fine di evitare licenziamenti plurimi individuali per giustificato motivo oggettivo.

 

Sono invece definiti contratti di solidarietà espansivi (disciplinati dall’articolo 2 del decreto-legge 726/1984) gli accordi collettivi che prevedono una riduzione stabile dell’orario di lavoro e della retribuzione dei dipendenti contestualmente all’effettuazione di nuove assunzioni al fine di incrementare l’organico. Le nuove assunzioni devono essere a tempo indeterminato, e non devono causare una riduzione della percentuale della manodopera femminile rispetto a quella maschile, oppure di quest’ultima qualora risulti inferiore. Il datore di lavoro che stipula tali contratti può ottenere, alternativamente, specifiche agevolazioni, consistenti nell’erogazione di in un contributo, per ogni mensilità corrisposta ai nuovi assunti, pari a determinate percentuali per determinati periodi temporali (rispettivamente 15% per i primi 12 mesi, 10% dal 13° al 24° mese e 5% dal 25° al 30° mese). Nel caso in cui i neo assunti abbiano un’età compresa tra i 15 e i 29 anni, il contributo sarà pari alla misura prevista per gli apprendisti in aziende con più di 9 dipendenti (10%). 


Lavoratori svantaggiati

Negli ultimi anni la materia dell’inserimento nel mondo del lavoro di persone svantaggiate è stata interessata da diversi interventi, che hanno introdotto specifiche misure sperimentali.

 

Si ricorda che l’articolo 2, comma 1, lettera k), del D.Lgs. 276/2003 definisce lavoratore svantaggiato qualsiasi persona appartenente a una categoria che abbia difficoltà a entrare, senza assistenza, nel mercato del lavoro ai sensi dell'articolo 2, lettera f), del regolamento (CE) n. 2204/2002, nonché ai sensi dell'articolo 4, comma 1, della L. 381/1991, concernente le cooperative sociali.

Tale Regolamento 2204 ha cessato di essere in vigore il 30 giugno 2008, in virtù del Regolamento (CE) n. 800/2008, il quale all’articolo 2, primo paragrafo, punto 18), definisce lavoratore svantaggiato chi rientra in una delle seguenti categorie: persone senza un impiego regolarmente retribuito da almeno 6 mesi; persone che non possiedono un diploma di scuola media superiore o professionale (ISCED 3); lavoratori che hanno superato i 50 anni di età; adulti che vivono soli con una o più persone a carico; lavoratori occupati in professioni o settori caratterizzati da un tasso di disparità uomo-donna che superi almeno del 25% la disparità media uomo-donna in tutti i settori economici dello Stato membro interessato; membri di una minoranza nazionale all'interno di uno Stato membro con necessità di consolidare le proprie esperienze in termini di conoscenze linguistiche, di formazione professionale o di lavoro, al fine di un’occupazione stabile.

Al successivo punto 19), viene inoltre definito lavoratore molto svantaggiato come il lavoratore senza lavoro da almeno 24 mesi.

 

Tra gli interventi realizzati a livello nazionale si segnala in primo luogo la misura prevista dall’articolo 2, commi 145-146, della L. 191/2009 (legge finanziaria per il 2010), che ha previsto in particolare una serie di incentivi economici per le agenzie del lavoro, con importi diversi a seconda della fattispecie contrattuale con cui è stato assunto il lavoratore intermediato. Tali incentivi possono essere riconosciuti, alle stesse condizioni, anche agli operatori privati del lavoro accreditati ai sensi dell'articolo 7 del D.Lgs. 276/2003, mediante elenchi regionali sperimentali o provvisori.

 

Si segnala, poi, l’articolo 46 della L. 183/2010 (cd. collegato lavoro), che ha riaperto i termini temporali per l'esercizio di alcune deleghe, contenute nella L. 247/2007, scadute il 1° gennaio 2009 (il nuovo termine per l’esercizio delle richiamate deleghe è stato fissato a 24 mesi dalla data di entrata in vigore della legge, ossia al 24 novembre 2012). Tra le deleghe rientra anche quella concernente il riordino della normativa in materia di servizi per l’impiego, di incentivi all’occupazione e di apprendistato (articolo 1, comma 30, della L. 247/2007).

 

 


Immigrazione e lavoro

Gli stranieri regolari (tra comunitari ed extracomunitari) presenti nel nostro Paese hanno ormai superato la soglia di quattro milioni e mezzo.

Secondo le stime dell’Istituto nazionale di statistica, sono 4 milioni 563 mila gli stranieri residenti nel nostro Paese al 1° gennaio 2011 e sono in costante aumento[43]. Rispetto all’anno precedente si registra un incremento di 328 mila unità. 

I dati dell’ISTAT si riferiscono agli stranieri iscritti all’anagrafe della popolazione residente e che presentano, quindi, caratteristiche insediative stabili. A questi devono aggiungersi gli stranieri regolarmente presenti ma che non hanno fatto richiesta o che non sono stati ancora registrati all’anagrafe.

Se si tiene conto anche dei soggiornanti non residenti o non ancora registrati, il numero di stranieri regolari avrebbe, già nel corso del 2009, sfiorato i 5 milioni, attestandosi a 4 milioni 919 mila[44]. Secondo altre stime sarebbe stata superata anche la cifra di 5 milioni[45].

Secondo i dati ISTAT l’incidenza dei cittadini stranieri sulla popolazione complessiva è del 7,5%[46], che consente ormai di annoverare l’Italia tra i grandi Paesi europei di immigrazione accanto a Germania, Spagna, Francia e Regno Unito.

 

Accanto alla presenza regolare degli stranieri, è diffuso il fenomeno dell’immigrazione irregolare. Ovviamente, non ci sono stime ufficiali sul numero totale dei clandestini. Come accennato, un recente studio ipotizza una presenza irregolare in Italia di 544 mila persone all’inizio del 2010[47].

Una analisi effettuata a partire dal 2000 permette di individuare le modalità di ingresso degli stranieri in posizione irregolare: il 10% è costituito dagli sbarchi via mare e il 15% riguarda gli ingressi effettuati in maniera fraudolenta via terra. Quindi, solamente il 25% è costituito dai clandestini in senso stretto, la grande maggioranza (75%) è costituita dagli overstayer, ossia da persone che attraversano legalmente il confine con un visto valido (prevalentemente di tipo turistico) e poi si trattengono nel nostro Paese[48].

Per quanto concerne gli sbarchi di clandestini sulle coste italiane, dopo una fase di sostanziale azzeramento dei flussi provenienti dall’Albania e dalla Turchia, diretti in Puglia e in Calabria, si registra una ripresa degli sbarchi nelle coste ioniche delle due regioni. Da segnalare che a partire dal 2005 anche la Sardegna è diventata meta di sbarchi.

 

In tutto il 2009 sono sbarcati illegalmente sul territorio nazionale 9.573 stranieri. Si registra una sensibile diminuzione rispetto all'anno 2008, quando sono sbarcati sulle coste italiane 36.951 cittadini extracomunitari; la diminuzione è molto accentuata a partire dall’applicazione dell’accordo sottoscritto nel 2008 tra lo Stato italiano e la Libia. Nel 2009 sono stati 885 gli stranieri intercettati a bordo di imbarcazioni in acque internazionali e restituiti alle autorità libiche (834) e algerine (51), in occasione di 11 operazioni effettuate congiuntamente alla Libia (9) e all’Algeria (2). Dal maggio 2009 (data di inizio delle operazioni congiunte) al dicembre 2009 sono stati intercettati 3.185 clandestini sbarcati in Italia, contro 31.281 dello stesso periodo del 2008[49].

Per quanto riguarda le operazioni di rimpatrio degli stranieri, dal 1° gennaio 2005 al 31 dicembre 2009 risultano effettivamente rimpatriati 169.129 clandestini, di cui 42,595 nel biennio 2008-2009[50].

 

Le fonti normative

Le linee generali delle politiche pubbliche in materia di immigrazione in Italia, fissate dalla legge 40/1998[51] (cosiddetta “legge Turco – Napolitano”), sono state successivamente consolidate nel decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, Testo unico sull’immigrazione e sulla condizione dello straniero.

Successivamente, è intervenuta la legge 189/2002[52](la cosiddetta “legge Bossi-Fini”) che ha modificato il testo unico del 1998, pur non alterandone l’impianto complessivo.

In tempi più recenti, ulteriori integrazioni al testo unico sono state apportate dalla legge sulla sicurezza n. 94 del 2009[53].

Norme regolamentari, di attuazione del testo unico, sono contenute nel D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394, come modificato dal D.P.R. 18 ottobre 2004, n. 334, emanato in attuazione della legge 189/2002.

Il testo unico interviene in entrambi gli ambiti principali del diritto dell’immigrazione: il diritto dell’immigrazionein senso stretto, concernente la gestione nel suo complesso del fenomeno migratorio: la definizione di regole di ingresso, di soggiorno, di controllo, di stabilizzazione dei migranti ed anche la repressione delle violazioni a tali regole; e il diritto dell’integrazione, che riguarda l’estensione, in misura più o meno ampia, ai migranti dei diritti propri dei cittadini (diritti civili, sociali, politici).

I princìpi fondamentali che sono alla base del testo unico sono essenzialmente tre: la programmazione dei flussi migratori e il contrasto all’immigrazione clandestina (per quanto riguarda il diritto dell’immigrazione); la concessione di una ampia serie di diritti volti all’integrazione degli stranieri regolari (diritto dell’integrazione).

 

Il testo unico non interviene in materia di diritto di asilo la cui disciplina, in passato contenuta nel decreto-legge 416/1989[54] (la cosiddetta “legge Martelli”), ha avuto di recente una regolamentazione dettagliata ad opera del decreto legislativo 251/2007 e successivamente del decreto legislativo 25/2008, entrambi di recepimento della normativa comunitaria: il primo della direttiva 2004/83/CE (la cosiddetta direttiva “qualifiche”), il secondo della direttiva 2005/85/CE (cosiddetta direttiva “procedure”).

Anche la condizione giuridica degli stranieri cittadini di stati membri dell’Unione europea è stata di recente ridisciplinata con il d.lgs. 30/2007 sempre di derivazione comunitaria (dir. 2004/38/CE).

 

La programmazione dei flussi migratori

In Italia l’immigrazione dei cittadini stranieri non appartenenti all’Unione europea è regolata secondo il principio della programmazione dei flussi. Ogni anno il Governo, sulla base della necessità di manodopera interna, stabilisce il numero di stranieri che possono entrare nel nostro Paese per motivi di lavoro.

In particolare, la gestione dei flussi di immigrazione è realizzata attraverso una serie di strumenti, quali il documento programmatico triennale, il decreto annuale sui flussi, il decreto sull’ingresso degli studenti universitari.

Il documento programmatico sulla politica dell’immigrazione viene elaborato dal Governo ogni tre anni ed è sottoposto al parere delle Commissioni parlamentari. Esso contiene un’analisi del fenomeno migratorio e uno studio degli scenari futuri; gli interventi che lo Stato italiano intende attuare in materia di immigrazione; le linee generali per la definizione dei flussi d’ingresso; le misure di carattere economico e sociale per favorire l’integrazione degli stranieri regolari[55].

Il decreto sui flussi è lo strumento attuativo del documento programmatico, con cui il Governo stabilisce ogni anno, sulla base delle indicazioni contenute nel documento programmatico triennale e dei dati sull’effettiva richiesta di lavoro da parte delle realtà locali, elaborati da un’anagrafe informatizzata tenuta dal Ministero del lavoro, le quotemassime di stranieri da ammettere in Italia per motivi di lavoro. In esso sono previste quote riservate per i cittadini provenienti da Paesi a forte pressione migratoria con i quali l’Italia ha sottoscritto accordi specifici di cooperazione in materia di immigrazione. Il decreto è adottato entro il 30 novembre di ciascun anno, previo parere delle competenti commissioni parlamentari.

Una norma di salvaguardia prevede che qualora non sia possibile emanare il decreto (per esempio in assenza del documento programmatico triennale) il Presidente del Consiglio può adottare un decreto transitorio con una procedura più veloce e senza il parere delle Camere. Tale decreto, però, non può superare le quote stabilite nell’ultimo decreto (ordinario o transitorio) emanato (art. 3 del testo unico del 1998).

 

L’integrazione degli stranieri regolari

In questo ambito importanti interventi sono stati realizzati con l’attuazione della disciplina comunitaria attraverso il D.Lgs. 9 luglio 2003, n. 216, Attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro.

 

Interventi recenti e prospettive future in materia di immigrazione

Le questioni relative all’immigrazione, ed in particolare il contrasto all’immigrazione clandestina e ai reati connessi, sono argomento di dibattito politico fin dall’inizio della legislatura.

Il pacchetto sicurezza

Il 21 maggio 2008, nel primo Consiglio dei Ministri dopo il voto di fiducia, il Governo ha approvato una serie di misure legislative in materia di sicurezza (il cosiddetto pacchetto sicurezza) dove ampio spazio è dedicato alle disposizioni volte a contrastare l’immigrazione clandestina e a fare fronte a questioni di ordine e sicurezza pubblica connesse con il fenomeno migratorio.

Tra le varie misure adottate, si segnala in particolare il decreto-legge 92/2008 recante misure urgenti in materia di sicurezza. Tra le varie disposizioni, afferenti il codice penale e quello di procedura penale, vi è anche una norma modificativa del T.U. del 1998 dov viene elevata la pena per il datore di lavoro che impiega immigrati clandestini (l’arresto da tre mesi a un anno è aumentato a 6 mesi e 3 anni).

 

A due anni dall’approvazione del primo pacchetto sicurezza, il Governo è intervenuto nuovamente con secondo pacchetto sicurezza.

OItre al D.L. 187/2010[56], è stato adottato un disegno di legge, attualmente all’esame del Senato (A.S. 2494) recante diversi interventi in materia di immigrazione tra i quali si segnala:

§      l’abrogazione del documento di programmazione triennale in materia di immigrazione;

§      una nuova disciplina relativa all’allontanamento di cittadini stranieri comunitari per motivi di ordine pubblico;

§      la delega al Governo per il trasferimento agli enti locali delle competenze in materia di rinnovo del permesso di soggiorno.

 

Altri interventi in materia di immigrazione

Si segnala la proposta di legge di iniziativa parlamentare volta a mutare le competenze del Comitato bicamerale di controllo sull’attuazione dell’accordo di Schengen che verrebbe trasformato in un comitato parlamentare in materia di immigrazione. La proposta è stata approvata dalla Camera (A.C. 1446) ed è ora all’esame del Senato (A.S. 1700).

 

Immigrazione e lavoro

Le Commissioni riunite I e II della Camera hanno esaminato una proposta di direttiva comunitaria che punisce i datori di lavoro che impiegano clandestini valutandola positivamente e impegnando il Governo a sostenere, in sede di Consiglio dell'Unione europea alcune modifiche e integrazioni al testo della proposta[57].

Sempre alla Camera, nell’aprile 2010 sono state discusse alcune mozioni incentrate sulle politiche migratorie e di integrazione, e per il contrasto al lavoro irregolare. Tutte le mozioni sono accomunate dalla richiesta di moltiplicare gli sforzi per combattere lo sfruttamento dei lavoratori stranieri[58].

 

La I Commissione Affari costituzionali della Camera ha esaminato una proposta di direttiva europea sui lavoratori stranieri stagionali. Nel documento finale, approvato nella seduta del 25 novembre 2010, la Commissione ha espresso la necessità di:

§      elevare i termini massimi di validità del permesso di soggiorno per lavoro stagionale (che nella proposta di direttiva e pari a 6 mesi e nella legislazione nazionale a 9 mesi) in considerazione delle specificità del comparto agricolo italiano;

§      dettagliare più puntualmente la disciplina sanzionatoria nei confronti dei datori di lavoro inadempienti;

§      inserire tra i motivi del rifiuto o revoca del permesso di soggiorno anche la minaccia alla sicurezza dello Stato.

 

La proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulle condizioni di ingresso e soggiorno di cittadini di paesi terzi per motivi di lavoro stagionale (COM(2010)379) è stata presentata dalla Commissione europea il 13 luglio 2010. Il termine per l’espressione del parere sulla conformità della proposta al principio di sussidiarietà da parte dei Parlamenti nazionali è scaduto il 15 ottobre 2010.

Scopo della proposta è introdurre una procedura speciale per l'ingresso e il soggiorno dei cittadini di paesi terzi che chiedono di essere ammessi nell'UE per svolgervi un lavoro stagionale, nonché definire i diritti dei lavoratori stagionali. L’iniziativa era già stata annunciata nel "Piano d’azione sull’immigrazione legale" (COM(2005) 669), presentato dalla Commissione europea nel dicembre 2005, la cui validità è stata da ultimo ribadita nel Programma di Stoccolma, per lo Spazio di libertà, sicurezza e giustizia 2010-2014, adottato dal Consiglio europeo del 10 e 11 dicembre 2009.

 

Riguardo all’attività amministrativa, si segnala che il Governo ha prorogato fino al 31 dicembre 2010 il regime transitorio, consentito in sede comunitaria, per l'accesso al mercato del lavoro dei cittadini rumeni e bulgari, confermando le disposizioni degli anni precedenti che pongono alcune limitazioni in materia di accesso al lavoro subordinato[59].

Inoltre, il Governo ha proceduto alla definizione delle quote di ingresso dei lavoratori stranieri per il 2008 (il cosiddetto decreto flussi) nella misura di 150.000 persone, utilizzando le graduatorie delle domande eccedenti presentate nel 2007[60], mentre per il 2009 le quote autorizzate sono destinate esclusivamente ai lavoratori stagionali solitamente impiegati in agricoltura e nel settore turistico (80.000 persone)[61].

Per il 2010, inizialmente, è stato autorizzato l’ingresso di 80.000 lavoratori stagionali con il DPCM 1° aprile 2010. Con il medesimo provvedimento è stata anticipata una quota di lavoratori non stagionali pari a 6.000 persone di cui 4.000 lavoratori autonomi, imprenditori, artisti ecc. e 2.000 cittadini stranieri che hanno completato programmi di formazione nel Paese di origine[62]. La definizione dei flussi per il 2010 è stata completata nel novembre 2010 con l’autorizzazione all’ingresso di 98.080 lavoratori non stagionali[63].

Ammonta a 60.000 persone la quota di lavoratori stagionali ammessi per il 2011[64].

 

Nel 2009, per i lavoratori occupati irregolarmente nelle sole attività di assistenza personale o del lavoro domestico, è stata prevista la possibilità di regolarizzare la loro posizione lavorativa (decreto-legge 78/2009, art. 1-ter)[65]. L’intervento ha riguardato sia i lavoratori stranieri (con o senza permesso di soggiorno), sia i lavoratori italiani. Dal 1° al 30 settembre 2009 i datori di lavoro hanno potuto presentare una dichiarazione di emersione, previo pagamento di un contributo forfetario di 500 euro per ciascun lavoratore. Secondo i dati diffusi dal Ministero dell'interno sono state presentate quasi 300.000 domande[66].


Ammortizzatori sociali

Negli anni più recenti l'attività legislativa in materia di politiche del lavoro è stata caratterizzata dal progressivo ampliamento  delle misure di sostegno al reddito già previste per le situazioni di crisi aziendale e da un'estensione del campo di applicazione degli ammortizzatori sociali, al fine di affrontare le crisi produttive e i problemi occupazionali che hanno investito alcuni settori produttivi.

Nell’attuale legislatura, stante anche la necessità di fronteggiare le ripercussioni della crisi finanziaria ed economica globale, sono stati adottati una serie di interventi urgenti per la tutela del reddito dei lavoratori.

 

Con l’Accordo Stato–Regioni del 12 febbraio 2009, sancito nella riunione della Conferenza Stato-Regioni del 26 febbraio 2009,  sono stati destinati 8 miliardi di euro, nel biennio 2009-2010, per azioni di sostegno al reddito e di politica attiva del lavoro.

L’intervento, rivolto ai lavoratori destinatari degli ammortizzatori sociali “in deroga”, è connotato da un contributo nazionale, impiegato per il pagamento dei contributi figurativi e per la parte maggioritaria del sostegno al reddito, e da un contributo regionale, a valere sui programmi regionali FSE, impiegato per azioni formative o di politica attiva governata dalla Regione.

In particolare, gli stanziamenti sono stati ripartiti tra un intervento statale, per una somma di 5.350 milioni di euro, e contributi regionali, pari a 2.650 milioni di euro, a valere sui programmi regionali del Fondo Sociale Europeo (FSE).

Le risorse statali sono state coperte:

·         in parte attraverso precedenti stanziamenti di sostegno al reddito e all'occupazione (circa 1.400 milioni derivanti dalle disposizioni di cui all'articolo 2, comma 35, della legge 203/2008 e dall'articolo 19 del D.L. 185/2008);

·         in parte (3.950 milioni di euro) tramite le assegnazioni del Fondo per le Aree Sottoutilizzate (FAS), sia per la quota nazionale, sia, ai sensi dell’articolo 6-quater del decreto-legge 112/2008, convertito dalla legge 133/2008, per la quota a favore delle amministrazioni centrali e regionali, nel limite dell’ammontare delle risorse che entro la data del 31 maggio 2008 non sono state impegnate o programmate nell’ambito di accordi di programma quadro (APQ).

L’intesa sullo schema di accordo per l’utilizzo del FSE è stata raggiunta l’8 aprile 2009.

 

L'Accordo Stato-Regioni del 20 aprile 2011 ha disposto la proroga per il biennio 2011-2012 del precedente Accordo del 12 febbraio 2009, in vigore per il biennio 2009-2010. L'accordo si arricchisce anche di una sezione specifica dedicata alle misure di politica attiva per un più rapido e mirato ricollocamento dei lavoratori e per evitare il formarsi di bacini di disoccupazione di lunga durata. Viene confermata ed estesa al 2011-2012 l’intesa del 17 febbraio 2010 sulle linee guida per la formazione. L'Accordo conferma lo stanziamento previsto dalla legge di stabilità di 1 miliardo di euro per gli interventi a sostegno del reddito, a cui si aggiungono 600 milioni di residui del biennio 2009-2010. Le Regioni concorrono con la parte non utilizzata dello stanziamento di 2,2 miliardi di euro, fino al suo esaurimento. La proporzione di utilizzo delle risorse tra politiche passive e attive viene modificata da 70-30 a 60-40. L'Accordo, inoltre, prevede l'attribuzione di un ruolo precipuo ai Servizi per l’impiego nei processi di riqualificazione e di ricollocazione dei lavoratori; il ricorso ai Fondi Interprofessionali e agli enti bilaterali nelle politiche attive, nella formazione e nelle azioni di sostegno al redditi; misure per assicurare l'utilizzo più rigoroso degli strumenti di sostegno al reddito, per evitare situazioni di cronica dipendenza ed usi impropri degli stessi; il sostegno offerto dalle risorse del Fondo sociale europeo.

 

Sul piano legislativo sono stati adottati, in successione, numerosi provvedimenti (in particolare, il decreto-legge n.185/2008, il decreto-legge n.5/2009, il decreto-legge n.78/2009) con i quali sono stati realizzati innanzitutto una serie di interventi “in deroga” alla disciplina generale, attraverso specifici stanziamenti finalizzati alla proroga  della durata dei trattamenti oltre i limiti temporali o all’estensione del loro campo di applicazione (ammortizzatori “in deroga”). Altri interventi hanno riguardato, in particolare, i collaboratori in regime di monocommittenza e i contratti di solidarietà.

Si ricorda, infine, che l'articolo 46, comma 1, lettera a), della Legge n. 183/2010 (cd. "collegato lavoro"), ha disposto il rinnovo del termine per l'esercizio della delega finalizzata alla revisione della disciplina degli ammortizzatori sociali, già contenuta nella L. 247/2007 (articolo 1, comma 28), al 24 novembre 2012 .

 


Allegati

 


M. Mellino, “Le banlieues francesi tra ghetti e postcolonie, ovvero le passé qui ne passe pas”, in Parolechiave, n. 36, dicembre 2006

 


G. Costa, “La banlieue in fiamme”, in Aggiornamenti sociali, gennaio 2006, pp. 57 e ss.

 

 

 

 



[1]    Istat, La situazione del paese nel 2010, maggio 2011.

[2]     L’indicatore individua la quota di famiglie che dichiarano almeno quattro deprivazioni su nove tra: 1) non riuscire a sostenere spese impreviste, 2) avere arretrati nei pagamenti (mutuo, affitto, bollette, debiti diversi dal mutuo); non potersi permettere 3) una settimana di ferie lontano da casa in un anno 4) un pasto adeguato (proteico) almeno ogni due giorni, 5) di riscaldare adeguatamente l’abitazione; non potersi permettere l’acquisto di 6) una lavatrice, 7) un televisione a colori, 8) un telefono o 9) un’automobile.

[3]    European Commission - Employment, Social Affairs and Equal Opportunities DG, ISG Activity Report 2009, 2009

[4]    L’ultimo Rapporto, riferito al 2009, è stato trasmesso alle Camere il 22 settembre 2010 ed è consultabile nella Collana Documenti parlamentari, Doc. XLI, n.2.

[5]    All’interno dell’Unione europea, le nazioni che risultano sprovviste di tale strumento sono l’Italia, la Grecia e l’Ungheria.

[6]    Ministero del Lavoro e delle politiche sociali – ANCI – Cittalia, Le strategie urbane di lotta alla povertà: città a confronto. La povertà e le famiglie, Quaderni di ricerca, 2011. Il Quaderno è consultabile all’indirizzo:

http://www.cittalia.com/images/file/POVERTA_FAMIGLIE.pdf

 

[7]    L’ultimo Rapporto in ordine temporale, riferito al 2010,  è il X Rapporto 2010 su povertà ed esclusione sociale in Italia, presentato da Fondazione Zancan e Caritas nell’ottobre 2010. La sintesi del Rapporto e le schede regionali sono consultabili all’indirizzo:

http://www.caritasitaliana.it/home_page/pubblicazioni/00002032_In_caduta_libera.html

 

[8]    Istat, Rapporto Annuale: La situazione del Paese nel 2010, maggio 2011

[9]    Decreto-legge 16 maggio 2008, n. 85, Disposizioni urgenti per l'adeguamento delle strutture di Governo in applicazione dell'articolo 1, commi 376 e 377, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, convertito con modificazioni dalla L. 14 luglio 2008, n. 121.

[10]   Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, 29 ottobre 2009, Modifiche al DPCM 23 luglio 2002, recante: «Ordinamento delle strutture generali della Presidenza del Consiglio di Ministri» e rideterminazione delle dotazioni organiche dirigenziali.

[11]   Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 1 marzo 2011, Ordinamento delle strutture generali della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

[12]   L. 8 marzo 2000, n. 53, Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città.

[13]   Legge 18 giugno 2009, n. 69, Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile. La modifica, contenuta nell'art. 38, ha ampliato la platea dei potenziali beneficiari ed aggiornato il novero degli interventi finanziabili, rendendo necessaria la stesura di un nuovo regolamento di attuazione, entrato in vigore il 18 maggio 2011. Sono previste misure di conciliazione distinte in favore dei lavoratori dipendenti (art. 9, comma 1) e dei soggetti autonomi (art. 9, comma 3).

 

[14]   Decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione Tributaria, convertito con modificazioni dalla L. 6 agosto 2008, n. 133.

[15]   Ministero dell’economia e delle finanze, Decreto interdipartimentale 16 settembre 2008, Criteri e modalità di individuazione dei titolari della Carta Acquisti, dell'ammontare del beneficio unitario e modalità di utilizzo del Fondo di cui all'articolo 81, comma 29 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 113, successivamente modificato dal decreto 27 febbraio 2009.

[16]   Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, Decreto 2 settembre 2009, Criteri e modalità di utilizzo, da parte di taluni beneficiari, della «Carta Acquisti».

[17]   Ministero dell’economia e delle finanze, Decreto 30 novembre 2009, Modifiche procedurali relative alla consegna della Carta Acquisti, e definizione dei criteri per l'erogazione del contributo Eni S.p.A. ai beneficiari della Carta Acquisti utilizzatori di gas naturale o GPL.

[18]   Decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie, convertito con modificazioni dalla L. 26 febbraio 2011, n. 1.

[19]   Decreto legge, 29 novembre 2008, n. 185, Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale, convertito con modificazioni dalla L. 28 gennaio 2009, n. 2

[20]   Decreto-legge 28 aprile 2009, n. 39, Interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici nella regione Abruzzo nel mese di aprile 2009 e ulteriori interventi urgenti di protezione civile, convertito con modificazioni dalla L. 24 giugno 2009, n. 77.

[21]   Decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonche' interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale convertito con modificazioni dalla L. 4 agosto 2006, n. 248.

[22]   Intesa tra il Sottosegretario di Stato alle politiche per la famiglia e le Regioni, le Province autonome di Trento e Bolzano, le Province, i Comuni e le Comunità montane, in merito alla ripartizione del Fondo per le politiche della famiglia, per l'anno 2010 . Intesa ai sensi dell'articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n . 131. Repertorio Atti n . 20/CV del 29 aprile 2010.

[23]    Si ricorda, a titolo di esempio, che, per contrastare il fenomeno dell’abbandono scolastico, l’art. 1- quater del D.L. 134/2009 (L. 167/2009 ) ha disposto che, nell’ambito del Sistema nazionale delle anagrafi degli studenti (istituito dal D.lgs. 76/2005) siano acquisiti da parte del MIUR i dati utili alla prevenzione della dispersione scolastica in possesso delle scuole.

[24]   Il Quadro Strategico Nazionale per la politica regionale di sviluppo 2007-2013 (QSN 2007-2013) attribuisce un ruolo chiave al miglioramento dei servizi essenziali per ampliare le opportunità degli individui ed attrarre investimenti privati. I divari tra le regioni meridionali e il resto del Paese, infatti, riguardano anche l'offerta di beni e servizi disponibili per i cittadini . Per il settore dell’Istruzione, l’obiettivo è Elevare le competenze degli studenti e la capacità di apprendimento della popolazione e ridurre gli abbandoni scolastici .

[25]http://europa.eu/rapid/pressReleasesAction.do?reference=IP/11/488&format=HTML&aged=0&language=IT&guiLanguage=en

 

[26]   Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini e della partecipazione italiana a missioni internazionali.

[27]    La Cassa depositi e prestiti (CDP) è società per azioni partecipata dal Ministero dell’economia e delle finanze (al 70%) e da 65 fondazioni bancarie (rimanente 30%) con competenze relative al finanziamento di amministrazioni statali e territoriali, nonché di altri enti ed organismi a rilevanza pubblica, con provvista derivante dalla raccolta del risparmio postale. La Cassa concede inoltre finanziamenti volti a favorire lo sviluppo degli investimenti pubblici, delle opere infrastrutturali per i servizi pubblici di carattere locale e delle opere di interesse nazionale, mediante emissione di titoli e operazioni di raccolta. La sua configurazione giuridica è di “intermediario finanziario non bancario”, soggetta alla vigilanza della Banca d’Italia nelle forme previste per gli intermediari finanziari iscritti nell’elenco speciale di cui all’articolo 107 del Testo unico bancario, individuati dal Ministro dell’economia, sentite la Banca d’Italia e la Consob.

[28]    La Società per i servizi assicurativi del commercio estero (SACE), riformata dal D.Lgs. 143/1998 (disposizioni in materia di commercio con l’estero in attuazione delle deleghe di cui alla legge 59/97), come modificato dal D.Lgs. n. 170/1999, ha la funzione di assumere in assicurazione e in riassicurazione la garanzia sui rischi (di carattere politico, catastrofico, economico, commerciale e dei cambi) ai quali sono esposti gli operatori nazionali nella loro attività con l'estero. Successivamente, l’art.6 del decreto-legge 269 del 2003 (legge 326/2003) ha disposto la trasformazione della SACE in società per azioni, attribuite al Ministero dell’economia, con decorrenza dal 1 gennaio 2004. Da ultimo, il comma 1338 della legge finanziaria per il 2007 (legge 296/2006) ha ampliato le competenze della SACE Spa prevedendo la possibilità per la stessa di stipulare contratti di copertura del rischio assicurativo a condizioni di mercato con primari operatori di settore.

[29]   Decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 143 recante Disposizioni in materia di commercio con l'estero, a norma dell'articolo 4, comma 4, lettera c), e dell'articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59 (GU n. 109 del 13 maggio 1998).

[30]   GU n. 107 dell'11 maggio 2009.

[31]   Gazzetta Ufficiale n. 278 del 28 novembre 2009.

[32]   Nello specifico la semplificazione e il riordino di detta disciplina è demandata ad un regolamento di delegificazione, ex art. 17, comma 2, L. 400/1988, adottato su proposta del Ministro dello sviluppo economico e del Ministro della semplificazione amministrativa.

[33]   Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica.

[34]   Disposizioni concernenti la commercializzazione di prodotti tessili, della pelletteria e calzaturieri.

[35]   Il decreto-legge 25 settembre 2009 n. 135, recante Disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari e per l'esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee è stato convertito, con modificazioni, dalla legge 20novembre 2009, n. 166 (GU n. 274 del 24 novembre 2009 - SO n.215).

[36]    D.L. 25 marzo 2010, n. 40, Disposizioni urgenti tributarie e finanziarie in materia di contrasto alle frodi fiscali internazionali e nazionali operate, tra l'altro, nella forma dei cosiddetti «caroselli» e «cartiere», di potenziamento e razionalizzazione della riscossione tributaria anche in adeguamento alla normativa comunitaria, di destinazione dei gettiti recuperati al finanziamento di un Fondo per incentivi e sostegno della domanda in particolari settori, convertito con modificazioni dalla L. 22 maggio 2010, n. 73.

[37]   Il D.lgs. è stato adottato in attuazione dell’articolo 45, comma 1, della L. n. 144 del 1999.

      Le misure di cui al D.L.gs. n. 185/2000 hanno sostituito, rispettivamente, le diverse forme di agevolazione all’imprenditorialità giovanile, prima disciplinate dal D.L. n. 26/1995, ed il prestito d’onore, prima disciplinato dal D.L. n. 510/1996.

[38]   Regolamento recante criteri e modalità di concessione degli incentivi in favore dell'autoimprenditorialità, di cui al Titolo I del D.Lgs. 21 aprile 2000, n. 185.

[39]   La legge 27 dicembre 2002, n. 289, all'art. 61, comma 5, demanda al CIPE il compito di stabilire i criteri e le modalità di attuazione delle misure agevolative la cui provvista finanziaria confluisce nel Fondo unico per le aree sottoutilizzate istituto presso il Ministero dell'economia e delle finanze; fra cui, le misure previste dal decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 185.

[40]   Con la nuova programmazione 2007-2013 sono stati individuati nuovi obiettivi che insistono su aree diverse rispetto agli obiettivi della precedente programmazione. Per l’Italia i nuovi obiettivi riguardano: il nuovo obiettivo“Convergenza”(Calabria, Campania, Puglia e Sicilia) e la Basilicata (in regime transitorio c.d. “phasing-out” finalizzato a sostenerne gradualmente l’uscita dall’obiettivo “Convergenza”); il nuovo obiettivo“Competitività territoriale e occupazione” che riguarda tutto il resto del territorio nazionale (Centro-Nord) che non risulta incluso nell’obiettivo “Convergenza”. In particolare, la Sardegna beneficia di un regime transitorio c.d. “phasing-in” per sostenerne l’ingresso nell’obiettivo “Competitività”.

[41]   Le aree ammesse alla deroga per gli aiuti di Stato a finalità regionale sono state, da ultimo, identificate dal decreto del Ministro dello sviluppo economico del 27 marzo 2008, di modifica del decreto 7 dicembre 2007.

[42]   La legge finanziaria 2007, legge n. 296/2006, ha disposto la riorganizzazione della Società Sviluppo Italia (mutandone la denominazione in “Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo di impresa” – INVITALIA) attraverso l’adozione di un piano di riordino societario, finalizzato alla dismissione delle società regionali di INVITALIA S.p.A., al fine di consentirne il passaggio alle regioni.

L’articolo 28 del D.L. n. 248 del 2007 ha fissato il termine per l’attuazione del piano di riordino societario, relativamente alla cessione delle società regionali. Tale termine è stato è stato più volte differito, da ultimo al 31 dicembre 2010 dall’art. 2 del D.L. n. 105/2010. Relativamente alle misure di autoimprenditorialità e all’autoimpiego di cui ai titoli I e II del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 185, il medesimo articolo 28 ha previsto che le società regionali continuino a svolgere le attività previste dai contratti di servizio con l'Agenzia vigenti all'atto del trasferimento, fino al graduale subentro delle regioni medesime nell'esercizio delle predette funzioni, da completarsi entro il 31 dicembre 2010.

Da informazioni ricevute per le vie brevi, il trasferimento alle società regionali, alla data del 29 marzo 2011, non si è realizzato e non è stato adottato il decreto ministeriale sopra citato.  Le attività relative all’autoimprenditorialità e all’autoimpiego, pertanto, continuano ad essere svolte da INVITALIA S.p.a.

[43]    ISTAT, Indicatori demografici. Anno 2010, 24 gennaio 2011, p. 7.

[44]    Caritas/Migrantes, Dossier statistico immigrazione 2010, ottobre 2010, pag. 11. Nel 2009 la stima dei soggiornanti era di 4,33 (Caritas/Migrantes, Dossier statistico immigrazione 2009, ottobre 2009, p. 11).

[45]    L’ultimo rapporto dell’ISMU valuta in 5,3 milioni il numero degli stranieri comprendendovi però anche gli irregolari (544 mila): ISMU, Sedicesimo rapporto sulle migrazioni 2010, Milano 2010, p. 7-8.

[46]    Se si considera il totale dei lavoratori dipendenti l’incidenza degli stranieri arriva al 10% (Dossier Caritas 2010, p. 12).

[47]    ISMU, Sedicesimo rapporto sulle migrazioni 2010, p. 8.

[48]    Audizione di Alessandro Pansa, direttore centrale dell’immigrazione e della polizia delle frontiere del Ministero dell’interno, Comitato parlamentare di controllo sull’attuazione dell’accordo di Schengen, di vigilanza sull’attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione, gestione comune delle frontiere e contrasto all’immigrazione clandestina in Europa, Atti parlamentari, XIV legislatura, Indagini conoscitive e documentazioni legislative n. 19, 2005, p. 235.

[49]    Si veda l’intervento del Ministro dell’interno in riposta all’interrogazione 3-870 (Camera dei deputati, seduta del 27 gennaio 2010) e il rapporto del Ministero dell’interno, Iniziative  dell’Italia. Sicurezza, immigrazione e asilo, del 14 aprile 2010, p. 27-28 (www.interno.it).

[50]    Ministero dell’interno, Immigrazione clandestina. Risultati del governo Berlusconi, 31 dicembre 2009 (www.interno.it).

[51] Legge 6 marzo 1998, n. 40, Disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero.

[52] Legge 30 luglio 2002, n. 189, Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo.

[53]Legge 15 luglio 2009, n. 94, Disposizioni in materia di sicurezza pubblica.

[54] D.L. 30 dicembre 1989, n. 416, Norme urgenti in materia di asilo politico, di ingresso e soggiorno dei cittadini extracomunitari e di regolarizzazione dei cittadini extracomunitari ed apolidi già presenti nel territorio dello Stato, convertito, con modificazioni, con legge 28 febbraio 1990, n. 39.

[55] L’ultimo documento triennale è del 2005: D.P.R. 13 maggio 2005, Approvazione del documento programmatico relativo alla politica dell’immigrazione e degli stranieri nel territorio dello Stato, per il triennio 2004-2006.

[56]D.L. 12 novembre 2010, n. 187, “Misure urgenti in materia di sicurezza”, convertito dalla legge 17 dicembre 2010, n. 217, non contenente disposizioni direttamente attribuibili al contrasto dell’immigrazione clandestina.

[57]             Seduta del 26 novembre 2008, esame della Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che introduce sanzioni contro i datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi soggiornanti illegalmente nell'UE. COM(2007)249 def. La proposta è stata approvata il 18 giugno 2009 (dir. 2009/52/CE). Il disegno di legge comunitaria 2010, attualmente al’esame del Parlamento (A.S. 2322- A.C. 4059) prevede l’autorizzazione al recepimento della direttiva.

[58] Camera dei deputati, seduta dell’8 aprile 2010. Sono state approvate le mozioni Pezzotta ed altri n. 1-00354, Pisicchio ed altri n. 1-00355 e Santelli, Caparini ed altri n. 1-00356, nei rispettivi testi riformulati, respinta la mozione Livia Turco ed altri n. 1-00326 e votata per parti separate la mozione Donadi ed altri n. 1-00353.

[59] Si veda Ministero dell’interno, Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, Circolare n. 2 del 20 gennaio 2010.

[60] D.P.C.M. 3 dicembre 2008, Programmazione transitoria dei flussi d'ingresso dei lavoratori extracomunitari nel territorio dello Stato per l'anno 2008

[61] D.P.C.M. 20 marzo 2009, Programmazione transitoria dei flussi di ingresso dei lavoratori extracomunitari stagionali, nel territorio dello Stato, per l'anno 2009.

[62] D.P.C.M. 1° aprile 2010, Programmazione transitoria dei flussi d’ingresso dei lavoratori extracomunitari stagionali e di altre categorie nel territorio dello Stato per l’anno 2010.

[63] D.P.C.M. 30 novembre 2010, Programmazione transitoria dei flussi d’ingresso dei lavoratori extracomunitari non stagionali nel territorio dello Stato, per l’anno 2010

[64] D.P.C.M. 17 febbraio 2011, Programmazione transitoria dei flussi d’ingresso dei lavoratori extracomunitari stagionali nel territorio dello Stato, per l’anno 2011

[65] D.L. 1 luglio 2009, n. 78 (convertito L. 102/2009), Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini e della partecipazione italiana a missioni internazionali

[66]http://www.interno.it/mininterno/export/sites/default/it/assets/files/16/0033_Report_Conclusivo_-_Dichiarazione_di_Emersione.pdf