Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento ambiente
Titolo: Le sentenze della Corte Costituzionale in materia ambientale nella XVI Legislatura
Serie: Documentazione e ricerche    Numero: 84
Data: 07/09/2009
Descrittori:
AMBIENTE   GIUDIZI DI COSTITUZIONALITA'
Organi della Camera: VIII-Ambiente territorio e lavori pubblici

 

7 settembre 2009

 

n. 84/0

Le sentenze della Corte Costituzionale in materia ambientale

nella XVI Legislatura

 

 


Premessa

Con riferimento al riparto di competenze legislative fra Stato e Regioni, si ricorda che il legislatore costituzionale ha distinto fra la legislazione in materia di “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”, riservata alla competenza esclusiva dello Stato, e legislazione finalizzata alla “valorizzazione dei beni culturali e ambientali”, collocata invece al comma terzo dell’articolo 117, e quindi attribuita alla competenza concorrente di Stato e regioni.

Un’ulteriore disposizione costituzionale è infine collocata all’articolo 116, terzo comma, laddove per alcuni ambiti materiali viene prevista l’ipotesi di conferimento – con legge statale – di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia alle regioni a statuto ordinario. Oltre che per tutte le materie oggetto di legislazione concorrente, tale ipotesi è, infatti, estesa anche ad alcune delle materie attribuite dal successivo articolo 117 alla competenza esclusiva statale, e fra queste – appunto – la “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”.

La legislazione regionale in materia ambientale precedente alla riforma del Titolo V è stata particolarmente intensa ed ha consentito di cogliere in anticipo e di disciplinare con successo problemi emergenti di tutela ambientale: tale circostanza ha portato i giudici costituzionali, a seguito della riforma, ad affermare che la "tutela dell'ambiente" investe e si intreccia inestricabilmente con altri interessi e competenze. In tale ambito, la Corte configura l'ambiente come "valore" costituzionalmente protetto, che, in quanto tale, delinea una sorta di materia "trasversale", in ordine alla quale si manifestano competenze diverse, che riguardano profili indissolubilmente connessi ed intrecciati con la tutela dell'ambiente, che ben possono essere regionali, spettando allo Stato le determinazioni che rispondono ad esigenze meritevoli di disciplina uniforme sull'intero territorio nazionale (sentenza n. 407 del 2002). Nella successive sentenze (ad esempio, la n. 182 del 2006 e la n. 367 del 2007), la Corte riconosce alla legislazione regionale la facoltà di assumere tra i propri scopi anche finalità di tutela ambientale o paesaggistica, purché siano rispettate le regole uniformi fissate dallo Stato. Le più recenti sentenze del 2008 e del 2009 ribadiscono tali limiti regionali, riconducendo alla materia della tutela dell’ambiente numerose questioni sollevate dalle regioni, tra le quali si ricordano, per la loro rilevanza, la difesa del suolo, la gestione delle risorse idriche e i rifiuti.

 

Le sentenze della XVI legislatura

In particolare, la Corte, con la sentenza n. 214 del 2008 dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 5 della legge della regione Emilia-Romagna 1° giugno 2006, n. 5, il quale prevede che i Comuni concludano i procedimenti di bonifica dei siti contaminati già avviati alla data di entrata in vigore del Codice ambientale sulla base della legislazione previgente. Secondo la Corte, spetta infatti alla disciplina statale tener conto degli altri interessi costituzionalmente rilevanti contrapposti alla tutela dell’ambiente: una eventuale diversa disciplina regionale, anche più rigorosa in tema di tutela dell’ambiente, rischierebbe di sacrificare in maniera eccessiva e sproporzionata gli altri interessi confliggenti considerati dalla legge statale nel fissare i valori soglia per la classificazione dei siti contaminati. (Si veda anche la sentenza n. 12 del 2009 con riferimento alla regione Sicilia, in cui la Corte, considerando l’istituzione di parchi nazionali esercizio della competenza esclusiva dello Stato in materia di ambiente ed ecosistema, dichiara non fondata la censura della regione, che lamenta una violazione di sue competenze normative in materia).

 

Quanto alle direttive che l’Autorità per l’energia emana in relazione alle condizioni tecniche ed economiche per l’erogazione del servizio di connessione di impianti alimentati da fonti rinnovabili alle reti elettriche, la sentenza n. 88 del 2009 riconosce, con un giudizio di prevalenza, la competenza statale nel perseguire la finalità prevalente di assicurare e conformare gli interessi peculiarmente connessi alla protezione dell’ambiente nell’ambito di un mercato concorrenziale rispetto alla materia dell’energia, di competenza concorrente. La sentenza n. 166 del 2009 dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 6 della legge R. Basilicata 9/2007 in materia di energia perché in contrasto con la potestà legislativa esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente e nello specifico con l’art. 12 d.lgs. 387/2003 con cui è stato attribuito allo Stato il compito di adottare linee guida per il corretto inserimento paesaggistico degli impianti alimentati da fonti rinnovabili.

 

La sentenza n. 225 del 2009 reca una ricognizione dello stato della giurisprudenza costituzionale in materia di “tutela dell’ambiente”, rilevando innanzitutto come sullo stesso bene (l'ambiente) “concorrano” diverse competenze, le quali, tuttavia, restano distinte tra loro, perseguendo autonomamente le loro specifiche finalità attraverso la previsione di diverse discipline: da una parte, sono affidate allo Stato la tutela e la conservazione dell'ambiente, mediante la fissazione di livelli «adeguati e non riducibili di tutela» (sentenza n. 61 del 2009, vedi otlre) e dall'altra compete alle regioni, nel rispetto dei livelli di tutela fissati dalla disciplina statale, di esercitare le proprie competenze, dirette essenzialmente a regolare la fruizione dell'ambiente, evitando compromissioni o alterazioni dell'ambiente stesso. In questo senso può dirsi che la competenza statale, quando è espressione della tutela dell'ambiente, costituisce “limite” all'esercizio delle competenze regionali.

Per quanto in particolare riguarda l'incidenza del principio di leale collaborazione, nel caso della tutela ambientale, lo Stato, in quanto titolare di una competenza esclusiva, ai sensi dell'art. 118 Cost., può conferire a sé le relative funzioni amministrative, ovvero conferirle alle regioni o ad altri enti territoriali, ovvero ancora prevedere che la funzione amministrativa sia esercitata mediante il coinvolgimento di organi statali ed organi regionali o degli enti locali. Sulla base di tali considerazioni la Corte dichiara inammissibili o non fondate le censure mosse da più regioni ad alcuni articoli del Codice ambientale.

 

Con la sentenza n. 232 del 2009 la Corte chiarisce che la “difesa del suolo” così come la “tutela delle acque dall’inquinamento” e la “gestione delle risorse idriche” sono riconducibili alla materia “tutela dell’ambiente” e su tale base dichiara inammissibili o non fondate le censure mosse da più regioni ad alcuni articoli del Codice ambientale. Secondo la Corte, i piani di bacino sono il fondamentale strumento di pianificazione della difesa del suolo e delle acque. Nella procedura di formazione dei predetti piani  prevista dal Codice, gli interessi regionali risultano adeguatamente tutelati dalle forme di collaborazione previste dal Codice stesso (partecipazione della regione agli organi dell’autorità di bacino ed espressione del parere sugli ambiti di competenza).

Riguardo invece al programma nazionale di intervento previsto dall’art. 57 e ad alcune competenze del ministero dell’ambiente in tema di difesa del suolo indicate dall’art. 58 del Codice, la Corte, considerando che essi sono suscettibili di produrre significativi effetti anche nella materia del governo del territorio, di competenza legislativa concorrente, afferma, conformemente al principio di leale collaborazione istituzionale, la necessità del coinvolgimento delle regioni nella forma del parere (della regione ovvero della Conferenza unificata).

 

Nella sentenza n. 233 del 2009, riguardante una serie di disposizioni in materia di «tutela delle acque dall’inquinamento», oggetto della sezione II della parte III Codice ambientale, la Corte ricorda che nella materia ambientale, di potestà legislativa esclusiva, lo Stato non si limita a porre principi (come nelle materie di legislazione concorrente): il fatto che tale competenza statale non escluda la concomitante possibilità per le regioni di intervenire, nell’esercizio delle loro competenze in tema di tutela della salute e di governo del territorio, non comporta che lo Stato debba necessariamente limitarsi, allorquando individui l’esigenza di interventi di questa natura, a stabilire solo norme di principio, anche riguardo alle funzioni amministrative, la cui attribuzione può essere disposta in base ai criteri generali dettati dall’art. 118, primo comma, Cost. (sentenze n. 88 del 2009 e n. 62 del 2005), del resto compatibile con la disciplina dell’ambiente (sentenza n. 401 del 2007).

Riguardo poi alla divulgazione, da parte delle regioni, delle informazioni sullo stato di qualità delle acque e alla trasmissione al Dipartimento tutela delle acque interne e marine dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (APAT, ora ISPRA) dei dati conoscitivi e delle informazioni relative all’attuazione del Codice, e di quelli prescritti dalla disciplina comunitaria, la Corte osserva che tali obblighi vanno inquadrati nell’ambito della normativa in tema di informazione ambientale, che grava sulla pubblica amministrazione, ed è disciplinata dal decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 195, di attuazione della direttiva 2003/4/CE, sull’accesso del pubblico all’informazione ambientale.

Infine, la Corte ricorda che le acque marine e costiere, a differenza delle acque dolci interne, che hanno un preciso collegamento al bacino territoriale di riferimento, in cui si configura la competenza regionale, coinvolgono interessi cui sovrintendono organi statali.

 

In materia di valutazione di impatto ambientale (VIA), la sentenza n. 234 del 2009 chiarisce che nonostante la direttiva 85/337/CEE preveda l'esclusione della VIA per le sole opere relative alla difesa nazionale, non è inibito allo Stato, nell'esercizio di una scelta libera del legislatore nazionale, prevedere in modo non irragionevole l'esclusione della suddetta valutazione di impatto ambientale per opere di particolare rilievo quali quelle destinate alla protezione civile o aventi carattere meramente temporaneo.

In tale ambito, la Corte ricorda che seppure possono essere presenti ambiti materiali di spettanza regionale nel procedimento di VIA, soprattutto nel campo della tutela della salute, debba ritenersi prevalente, in ragione della precipua funzione cui assolve il procedimento in esame disciplinato dalle censurate disposizioni nazionali, la materia tutela dell’ambiente, di competenza statale.

 

Ancora, la sentenza n. 235 del 2009, ribadisce che la scelta di attribuire all’amministrazione statale le funzioni amministrative trova una “non implausibile giustificazione” nell’esigenza di assicurare che l’esercizio dei compiti di prevenzione e riparazione del danno ambientale risponda a criteri di uniformità e unitarietà, atteso che il livello di tutela ambientale non può variare da zona a zona e considerato anche il carattere diffusivo e transfrontaliero dei problemi ecologici, in ragione del quale gli effetti del danno ambientale sono difficilmente circoscrivibili entro un preciso e limitato ambito territoriale. Analoghe considerazioni sono confermate nella sentenza n. 247 del 2009 con riferimento ai consorzi nazionali per i rifiuti e gli imballaggi.

 

In materia di gestione dei servizi idrici, la sentenza n. 335 del 2008 ha dichiarato l’illegittimità del primo periodo del comma 1 dell’art. 155 del d.lgs. 152/2006, nella parte in cui prevede che la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione è dovuta dagli utenti «anche nel caso in cui manchino impianti di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi». La Corte ha altresì  precisato che detta tariffa ha natura non tributaria, ma di «corrispettivo contrattuale», come, del resto, espressamente statuito dal comma 1 dell’art. 154 del Codice. La sentenza n. 246 del 2009 fa quindi salva la disciplina delle autorità d’ambito riconoscendo che essa supera la frammentazione della gestione del servizio idrico, nel rispetto delle preesistenti competenze degli enti territoriali (ad eccezione della norma che prevede l’obbligo di affissione dei bilanci in quanto disciplina di minuto dettaglio e quindi illegittima).

In particolare, la Corte afferma che attraverso la determinazione della tariffa nell’àmbito territoriale ottimale, il legislatore statale ha fissato, infatti, livelli uniformi di tutela dell’ambiente, perché ha inteso perseguire la finalità di garantire la tutela e l’uso, secondo criteri di solidarietà, delle risorse idriche, salvaguardando la vivibilità dell’ambiente e «le aspettative ed i diritti delle generazioni future a fruire di un integro patrimonio ambientale» e le altre finalità tipicamente ambientali individuate dagli artt. 144 (Tutela e uso delle risorse idriche), 145 (Equilibrio del bilancio idrico) e 146 (Risparmio idrico). La finalità della tutela dell’ambiente viene in rilievo anche in relazione alla scelta delle tipologie dei costi che la tariffa è diretta a recuperare. Tra tali costi il legislatore ha, infatti, incluso espressamente quelli ambientali, da recuperare «anche secondo il principio “chi inquina paga”» (art. 154, comma 2). I profili della tutela della concorrenza vengono poi in rilievo perché alla determinazione della tariffa provvede l’Autorità d’àmbito, al fine di ottenere un equilibrio economico-finanziario della gestione e di assicurare all’utenza efficienza ed affidabilità del servizio (art. 151, comma 2, lettere c, d, e). Tale fine è raggiunto determinando la tariffa secondo un meccanismo di price cap (artt. 151 e 154, comma 1), diretto ad evitare che il concessionario unico abusi della sua posizione dominante.

 

Quanto alla classificazione dei rifiuti, secondo la Corte tale competenza è riconducibile solo all’autorità statale e non esiste una competenza regionale in materia di tutela dell’ambiente se non complementare e più rigorosa di quella della fonte primaria (sentenza n. 61 del 2009). Sempre in materia di rifiuti, la sentenza n. 238 del 2009 conferma la natura tributaria - e la conseguente attribuzione alla giurisdizione tributaria delle relative controversie - della tariffa di igiene ambientale (TIA) prevista dal D.Lgs. 22/97, muovendo dalla considerazione che tale prelievo è disciplinato in modo analogo alla TARSU, la cui natura tributaria non è mai stata posta in dubbio.

Riguardo invece alla nuova tariffa ambientale prevista dal Codice (art. 238), la Corte, con la sentenza n. 247 del 2009 non ne chiarisce la natura, ma la attribuisce con certezza alla competenza statale precisando che, qualora si volesse attribuire alla tariffa natura di corrispettivo del servizio di gestione dei rifiuti solidi urbani, l’art. 238 sarebbe inquadrabile nelle materie ordinamento civile, tutela della concorrenza e tutela dell’ambiente, tutte rientranti nella competenza legislativa esclusiva dello Stato. Qualora si volesse qualificare la tariffa come tributo, si dovrebbe riconoscere la competenza esclusiva dello Stato in ragione della preclusione alle regioni della potestà di legiferare sui tributi esistenti istituiti e regolati da leggi statali e per converso si deve ritenere tuttora spettante al legislatore statale la potestà di dettare norme modificative anche nel dettaglio della disciplina dei tributi locali esistenti.

 

Con la sentenza n. 249 del 2009 la Corte ribadisce che la disciplina dei rifiuti, in quanto rientrante principalmente nella tutela dell’ambiente e, dunque, in una materia che, per la molteplicità dei settori di intervento, assume una struttura complessa, riveste un carattere di pervasività rispetto anche alle attribuzioni regionali. Tuttavia la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 199, comma 9, del d.lgs. n. 152 del 2006, nella parte in cui attribuisce al Ministro dell’ambiente il potere sostitutivo nel caso in cui «le autorità competenti  - comuni, province e autorità d’ambito - non realizzino gli interventi previsti dal piano regionale» di gestione dei rifiuti «nei termini e con le modalità stabiliti e tali omissioni possano arrecare un grave pregiudizio all’attuazione del piano medesimo»: tali poteri sostitutivi, secondo la Corte, avrebbero dovuto essere riconosciuti in via preliminare, alle regioni sulla base del principio di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza; dichiara – con le medesime motivazioni - l’illegittimità costituzionale dell’art. 204, comma 3, del d.lgs. n. 152 del 2006, nella parte in cui disciplina l’esercizio del potere sostitutivo del Presidente della Giunta regionale in tema di gestioni esistenti del servizio di gestione dei rifiuti; dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 205, comma 6, del d.lgs. n. 152 del 2006, nella parte in cui assoggetta ad una previa intesa con il Ministro dell’ambiente l’adozione delle leggi con cui le regioni possono indicare maggiori obiettivi di riciclo e di recupero dei rifiuti. Tali norme sono infatti considerate lesive delle competenze regionali.

 

Conformemente al principio di leale collaborazione tra Stato e regioni, la citata sentenza n. 247 del 2009 prevede inoltre che il regolamento relativo agli interventi di bonifica, ripristino ambientale e di messa in sicurezza, d'emergenza, operativa e permanente, delle aree destinate alla produzione agricola e all'allevamento sia adottato sentita la Conferenza unificata. Analoga procedura deve essere seguita nell’emanazione del decreto riguardante le forme di promozione e di incentivazione per la ricerca e per lo sviluppo di nuove tecnologie di bonifica presso le università e presso le imprese e i loro consorzi.

 

La sentenza n. 250 del 2009 dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 287, comma 1, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, con riferimento all’attribuzione all’ispettorato provinciale del lavoro della competenza per il rilascio dell’abilitazione alla conduzione di impianti termici al termine dell’apposito corso di formazione, in quanto lesivo della competenza residuale delle regioni in materia di formazione professionale.

 

Con la successiva sentenza n. 251 del 2009, la Corte ribadisce che la funzione di individuazione delle aree maggiormente esposte al rischio di inquinamento deve rispondere a criteri uniformi ed omogenei, dovendo, al contempo, tener conto anche delle peculiarità territoriali sulle quali viene ad incidere. Sotto entrambi i profili, secondo la Corte, il Codice offre una soluzione non costituzionalmente illegittima, posto che la funzione amministrativa statale di individuazione (da esercitarsi previa acquisizione del parere della Conferenza Stato-Regioni) si affianca a quella delle regioni le quali, oltre a poter designare a propria volta «ulteriori aree sensibili» rispetto a quelle indicate dallo Stato, possono altresì indicare i corpi idrici che, secondo propria valutazione, non possono rientrare in detta categoria.

 

La sentenza n. 254 del 2009 interpreta, infine, alcune disposizioni del Codice in materia di tutela delle acque alla luce degli obblighi derivanti dall’adempimento di direttive comunitarie, dichiarando l’infondatezza delle questioni di legittimità sollevate da diverse regioni.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

 

Servizio Studi – Dipartimento Ambiente

( 066760-9253 – *st_ambiente@camera.it

I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.

File: Am0084.doc