Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento ambiente
Titolo: Le politiche pubbliche in materia di territorio, infrastrutture e ambiente
Serie: Documentazione e ricerche    Numero: 99
Data: 27/11/2009
Descrittori:
AMBIENTE   OPERE PUBBLICHE
SISTEMAZIONE DEL TERRITORIO     

 

Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione e ricerche

Le politiche pubbliche
in materia di territorio, infrastrutture
e ambiente

 

 

 

 

n. 99

 

 

 

27 novembre 2009

 

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Ambiente

( 066760-9712 / 066760-9253 – * st_ambiente@camera.it

Hanno partecipato alla redazione del dossier i seguenti Servizi e Uffici:

Segreteria Generale – Ufficio Rapporti con l’Unione europea

( 066760-2145 – * cdrue@camera.it

 

 

 

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File: Am0077.doc


INDICE

Infrastrutture strategiche  1

§      1 Il ruolo delle istituzioni comunitarie (a cura dell’Ufficio Rapporti con l’Unione europea)1

§      2 La legislazione nazionale e il riparto di competenze tra Stato e regioni2

§      3 La legislazione regionale e la cooperazione istituzionale  4

Politiche in materia di governo del territorio  7

§      1 Il ruolo delle istituzioni comunitarie  7

§      2 La legislazione nazionale e il riparto di competenze tra Stato e regioni9

§      3 La legislazione regionale e la cooperazione istituzionale  10

Interventi nel settore della casa  13

§      1 Il ruolo delle istituzioni comunitarie  13

§      2 La legislazione nazionale e il riparto di competenze tra Stato e regioni14

§      3 La legislazione regionale e la cooperazione istituzionale tra Stato e regioni16

Politiche in materia di tutela dell’ambiente  19

§      1 Il ruolo delle istituzioni comunitarie  19

§      2 La legislazione nazionale e il riparto di competenze tra Stato e regioni20

§      3 La legislazione regionale e la cooperazione istituzionale tra Stato e regioni22

§      4. Gli altri attori del sistema  23

La gestione dei rifiuti il quadro normativo nazionale e le pianificazioni regionali27

§      1 Il ruolo delle istituzioni comunitarie  27

§      2 La legislazione nazionale e il riparto di competenze tra Stato e regioni27

§      3 La pianificazione regionale  29

Protezione civile  33

§      1 Il ruolo delle istituzioni comunitarie  33

§      2 La legislazione nazionale e il riparto di competenze tra Stato e regioni33

§      3 La cooperazione istituzionale  35

 


Infrastrutture strategiche

1 Il ruolo delle istituzioni comunitarie
(a cura dell’Ufficio Rapporti con l’Unione europea)

L’attività dell’UE assume rilievo nel settore delle infrastrutture sotto tre diversi profili di natura politica, giuridica e finanziaria.

 

Ø      In primo luogo, il trattato istitutivo della Comunità europea e il diritto derivato fissano principi e regole generali che definiscono la cornice comune per la progettazione, il finanziamento e la realizzazione di qualsiasi intervento infrastrutturale a livello europeo e nazionale.

Si tratta, in particolare:

-          delle disposizioni in materia di Unione economica e monetaria, e segnatamente del Patto di stabilità e crescita, che fissando parametri per il debito e l’indebitamento nonché obiettivi di bilancio a medio termine incidono sul livello delle spese per investimento nei bilanci statali, regionali e locali;

-          delle regole in materia di concorrenza, soprattutto per quanto attiene alla disciplina degli aiuti di stato, che limita la possibilità per le autorità pubbliche di concedere agevolazioni e sussidi selettivi, a soggetti o territori specifici, per la progettazione, il finanziamento e/o la gestione di infrastrutture;

-          la disciplina degli appalti pubblici, in particolare di lavori e di servizi, che impone, in linea di principio, l’applicazione di procedure di evidenza pubblica per la progettazione, la realizzazione e la gestione di infrastrutture;

-          la normativa ambientale che, per un verso, impone l’effettuazione delle valutazioni di impatto ambientale ai fini della realizzazione di infrastrutture e, per altro verso, attraverso la definizione di zone ed habitat protetti, esclude o limita gli interventi in determinate aree territoriali.

 

Ø      In secondo luogo, l’UE promuove e sostiene, attraverso misure specifiche di carattere strategico, normativo e finanziario, la realizzazione di progetti infrastrutturali di rilievo europeo. Sebbene la realizzazione di infrastrutture non rientri espressamente tra gli obiettivi generali e fondamentali dell’UE, quali enunciati nei trattati, essa assume rilievo diretto nella misura in cui concorre alla all’esplicazione delle quattro libertà nel mercato interno ed assicurare la coesione economica,  sociale e, in prospettiva, territoriale dell’UE.

A questo scopo, il trattato CE prevede:

-                 politiche ed interventi specificamente preordinati alla realizzazione di infrastrutture nel quadro delle reti transeuropee dei trasporti, delle telecomunicazioni e dell’energia (cfr la scheda specifica sulla reti TEN);

-                 il concorso dell’UE, nell’ambito di politiche ed azioni di più ampia portata, al finanziamento di opere infrastrutturali previste in programmi nazionali e regionali. E’ il caso, in particolare, degli stanziamenti dei fondi strutturali (cfr. scheda allegata);

-                 il finanziamento da parte della Banca europea per gli investimenti (BEI), di prestiti o garanzie ad enti territoriali o a soggetti privati per la progettazione o la realizzazione di infrastrutture.

 

Ø      In terzo luogo, la realizzazione di infrastruttura ha acquisito rilievo crescente nell’ambito delle iniziative dell’UE intese a promuovere crescita, competitività e occupazione dell’UE, in particolare la strategia di Lisbona e gli strumenti di governance economica

Tali strumenti non hanno generalmente valore giuridicamente vincolante in sé ma mirano a definire orientamenti, obiettivi e strategie la cui realizzazione è rimessa all’azione coordinata degli stati membri ovvero a strumenti normativi e finanziari europei.

Di recente, le iniziative approntate per rilanciare crescita e occupazione a fronte della crisi economica internazionale hanno ribadito l’importanza delle infrastrutture, prevedendo appositi stanziamenti aggiuntivi a tal fine.

2 La legislazione nazionale e il riparto di competenze tra Stato e regioni

Gli interventi in materia di infrastrutture, definiti sostanzialmente nell’ambito del Programma delle opere strategiche previsto della cosiddetta legge obiettivo (legge n. 443 del 2001), riguardano, per la quasi totalità dei progetti, le opere di realizzazione delle reti di trasporti europeo (TEN-T) e dei corridoi paneuropei.

 

Si tratta degli assi di collegamento volti ad interconnettere le reti di trasporto degli Stati membri dell’UE, la cui realizzazione è di fondamentale importanza per il perseguimento degli obiettivi di Lisbona in termini di crescita economica e rafforzamento della coesione sociale e territoriale.

 

In tale ambito, il Parlamento - con le risoluzioni di approvazione dei DPEF 2009 e 2010 - ha evidenziato l’esigenza di proseguire nella realizzazione del Programma, impegnando il governo a completare le opere dei corridoi multimodali paneuropei che interessano il territorio nazionale, nonché i collegamenti trasversali e i valichi alpini.

 

Contestualmente, sono state approvate misure volte ad incrementare le risorse per tali infrastrutture, nonché ad accelerare le procedure di realizzazione delle opere.

Con riguardo alle risorse finanziare, l’art. 6-quinquies del decreto-legge 112/2008, ha istituito un Fondo per il finanziamento di interventi finalizzati al potenziamento della rete infrastrutturale, comprese le reti di telecomunicazione e energetiche, alimentato con gli stanziamenti  del Quadro strategico nazionale 2007-2013. In tale ambito, viene definito principio fondamentale, ai sensi dell’articolo 117, terzo comma, della Costituzione, la concentrazione, da parte delle regioni, su infrastrutture di interesse strategico regionale delle risorse del predetto Quadro in sede di predisposizione dei programmi finanziati dal Fondo per le aree sottoutilizzate e di ridefinizione dei programmi dei Fondi strutturali comunitari.

Sotto il profilo delle procedure acceleratorie, si ricorda l’articolo 20 del decreto-legge n. 185 del 2008, che ha previsto una nuova figura di commissario straordinario, con poteri assimilabili a quelli dell’emergenza (già previsti nella legge n. 225 del 1992). Sulla base di tale norma, il 5 agosto 2009 sono stati quindi definiti gli investimenti pubblici statali ritenuti prioritari per lo sviluppo economico del territorio – sostanzialmente individuando una lista di priorità nell’ambito del Programma – e nominati dieci commissari straordinari.Per l’espletamento dei propri compiti, il commissario ha, sin dal momento della nomina, con riferimento ad ogni fase dell’investimento e ad ogni atto necessario per la sua esecuzione, i poteri, anche sostitutivi, degli organi ordinari o straordinari. Il commissario provvede in deroga ad ogni disposizione vigente e nel rispetto comunque della normativa comunitaria sull’affidamento di contratti relativi a lavori, servizi e forniture, nonché dei princìpi generali dell’ordinamento giuridico.

 

Da ultimo, l’articolo 4 del decreto legge n. 78 del 2009 ha previsto, per la realizzazione degli interventi urgenti per le reti dell'energia, la nomina di Commissari straordinari del governo. Ciascun Commissario, sentiti gli enti locali interessati, emana gli atti e i provvedimenti, nonché cura tutte le attività, di competenza delle amministrazioni pubbliche che non abbiano rispettato i termini previsti dalla legge o quelli più brevi, comunque non inferiori alla metà, eventualmente fissati in deroga dallo stesso Commissario, occorrenti all'autorizzazione e all'effettiva realizzazione degli interventi, nel rispetto delle disposizioni comunitarie, avvalendosi ove necessario dei poteri di sostituzione e di deroga di cui al citato articolo 20, del decreto-legge 185/2008.

3 La legislazione regionale e la cooperazione istituzionale

Quanto al coinvolgimento delle regioni, si ricorda che la procedura di approvazione del Programma prevede che il Ministero concluda un’Intesa generale quadro con ciascuna regione per l’individuazione delle opere strategiche, nonché l’intesa della Conferenza unificata in sede di approvazione del Programma generale e del suo inserimento nel DPEF.

 

Gli interventi previsti dal Programma sono automaticamente inseriti nelle intese istituzionali di programma e negli accordi di programma quadro nei comparti idrici ed ambientali, ai fini della individuazione delle priorità e ai fini dell'armonizzazione con le iniziative già incluse nelle intese e negli accordi stessi, con le indicazioni delle risorse disponibili e da reperire, e sono compresi di volta in volta nella citata Intesa generale quadro avente validità pluriennale tra il Governo e ogni singola regione o provincia autonoma, al fine del congiunto coordinamento e realizzazione delle opere.

 

Da ultimo, l'art. 22 della legge 42/2009 in materia di federalismo fiscale ha disposto una ricognizione delle dotazioni infrastrutturali, la predisposizione di interventi nelle aree sottoutilizzate ai fini del recupero del deficit infrastrutturale, da inserire nel DPEF ai sensi della legge obiettivo, nonché il coinvolgimento delle regioni e degli enti locali nella pianificazione territoriale delle reti infrastrutturali.

 

Al riguardo si ricorda che già la legge finanziaria 2008aveva introdotto il principio del cd. federalismo infrastrutturale: in sostanza, si prevede che le funzioni ed i poteri di soggetto concedente ed aggiudicatore attribuiti all’ANAS S.p.A. possono essere trasferiti, con decreto del Ministro delle infrastrutture, ad un soggetto di diritto pubblico appositamente costituito in forma societaria e partecipato dall’ANAS stessa e dalle regioni interessate o da soggetto da esse interamente partecipato; tale modello è stato quindi applicato nella Regione Veneto, con il trasferimento ad una società per azioni costituita pariteticamente tra l’Anas e la Regione delle attività di gestione, comprese quelle di manutenzione ordinaria e straordinaria, relative ad alcune opere autostradali. In applicazione delle citate disposizioni, sono state finora costituite apposite società in Molise, Lazio, Piemonte, Abruzzo oltre che in Lombardia e Veneto.

 

L’articolo 3-ter del D.L. 135/2009 ha peraltro introdotto alcune modifiche a tale disciplina, volte a limitare la costituzione di società miste Anas-regioni alla sola realizzazione di infrastrutture autostradali di esclusivo interesse regionale,nonché alle sole funzioni di concedente escludendo quelle di concessionario, ridimensionando, di fatto, il federalismo infrastrutturale. La norma fa comunque salvi i poteri e le funzioni conferiti ai soggetti pubblici già costituiti alla data di entrata in vigore della legge di conversione. In tal modo sono fatti salvi anche i poteri di concessionario attribuiti alle società miste costituite con la regione Veneto e la regione Lombardia.


Politiche in materia di governo del territorio

1 Il ruolo delle istituzioni comunitarie 

Benché l'assetto territoriale non sia una competenza comunitaria, la dimensione spaziale delle politiche comunitaria e nazionale è comunque essenziale: qualsiasi decisione politica si applica su un determinato territorio. Il territorio ed il suo sviluppo sono i vettori attraverso cui la coerenza delle politiche comunitarie si esprime agli occhi del cittadino.

La pianificazione urbanistica e l’assetto del territorio non hanno costituito oggetto di interventi normativi da parte delle istituzioni comunitarie. Tuttavia, dalla fine degli anni '80 è stata avviata una riflessione, concretizzatasi attraverso:

·         la pubblicazione di un compendio dei sistemi e delle politiche di assetto territoriale nell'Unione europea;

·         l'adozione dello Schema di sviluppo dello spazio europeo (SSSE) al Consiglio di Potsdam del maggio 1999 e delle relative dodici azioni di messa in atto al Consiglio di Tampere dell'ottobre 1999;

·         l'elaborazione di un programma di studi in pianificazione territoriale a livello europeo (SPESP).

In questo ambito, la coesione territoriale, come evidenziato dalla Commissione europea, consiste nell’assicurare lo sviluppo armonioso di tutti i diversi territori dell’UE e nel garantire che gli abitanti possano trarre il massimo beneficio dalle particolari caratteristiche dei territori in cui abitano. Pertanto – secondo la Commissione - essa costituisce un mezzo per trasformare la diversità in un punto di forza che contribuisca allo sviluppo sostenibile di tutta l’Unione. Il secondo rapporto sulla coesione economica e sociale adottato dalla Commissione europea a gennaio 2001 affronta per la prima volta il tema della coesione territoriale. La Commissione, in partenariato con gli Stati membri, promuove questo approccio presso i cittadini, i rappresentanti politici locali e regionali, le imprese e le pubbliche amministrazioni, grazie:

·         ai lavori dell'ORATE (Osservatorio in rete dell'assetto del territorio europeo), i cui obiettivi sono quelli di accrescere la visione europea nell'assetto territoriale, sviluppare strumenti per l'attuazione dell'SSSE, facilitare il coordinamento tra i diversi livelli di decisione territoriale e servire da collegamento tra i decisori, le amministrazioni e gli scienziati;

·         alla diffusione di studi di natura territoriale;

·         alla messa a disposizione di documenti di lavoro.

La coesione territoriale è stata espressamente riconosciuta dal Trattato di Lisbona (art. 158 Trattato sul funzionamento dell’Unione) e disciplinata, accanto alla coesione economica e sociale, tra gli obiettivi generali e le politiche dell’UE.

 

In materia di governo del territorio si segnalano inoltre le azioni condotte dagli organi comunitari preordinate ad un efficace perseguimento degli obiettivi in materia di politica ambientale: la direttiva 2001/42/CE sulla valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente individua nella valutazione ambientale strategica (VAS) lo strumento per l’integrazione delle considerazioni ambientali all’atto dell’elaborazione e dell’adozione di piani e programmi, al fine di promuovere lo sviluppo sostenibile. Essa è stata recepita, a livello statale, nella parte seconda del decreto legislativo n. 152 del 2006 (cd. codice ambientale), recentemente riscritta con il decreto legislativo n. 4 del 2008 (cd. secondo correttivo). Si ricorda, altresì, che numerose regioni hanno già emanato disposizioni riguardanti l’applicazione di tale procedura con riferimento alla direttiva comunitaria.

 

Si ricorda, infine, che la Convenzione europea del paesaggio, recepita con la legge 14/2006, intende il paesaggio come "una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni”. La formula adoperata in sede europea sancisce un punto di svolta nel modo di intendere il territorio in quanto “paesaggio”: esso, anche al di fuori degli ambiti sottoposti a tutela per il loro particolare valore culturale, non è più una realtà indifferenziata, sfruttabile senza limiti, salvo quelli imposti dalle sole esigenze dello sviluppo economico, ma costituisce comunque un "bene" finito e consumabile, che richiede azioni di governo consapevoli "al fine di orientare e di armonizzare le ... trasformazioni provocate dai processi di sviluppo sociali, economici ed ambientali" (art. 1, lett. e, della Convenzione). E non solo: le caratteristiche “paesaggistiche” di tali contesti, ancorché meno significative sotto il profilo culturale, vanno in ogni caso individuate, in quanto costituiscono un dato di conoscenza imprescindibile per le competenti autorità pubbliche, chiamate a definire, per tali contesti, gli “obiettivi di qualità paesaggistica” necessari a renderli compatibili con "le aspirazioni delle popolazioni" che in essi vivono, al conseguimento di una migliore qualità della vita (art. 1, lett. c, della Convenzione). Quindi, in tale ottica, tutte le aree territoriali vanno gestite in modo da armonizzarne le trasformazioni provocate dai processi di sviluppo sociali, economici ed ambientali "in una prospettiva di sviluppo sostenibile" (art. 1, lett. e, della Convenzione).

2 La legislazione nazionale e il riparto di competenze tra Stato e regioni

La materia “governo del territorio”, assegnata dal terzo comma dell’art. 117 Cost. alla competenza concorrente dello Stato e delle regioni, ricomprende anche l’urbanistica e l’edilizia, secondo una consolidata giurisprudenza costituzionale (cfr. le sentenze n. 303 e n. 362 del 2003 e la sentenza n. 196 del 2004). Al riguardo, la sentenza n. 343 del 2005 ribadisce esplicitamente che “la materia edilizia rientra nel governo del territorio, come prima rientrava nell'urbanistica, ed è quindi oggetto di legislazione concorrente, per la quale le regioni debbono osservare, ora come allora, i principî fondamentali ricavabili dalla legislazione statale”.

In tale ambito, fin dalla XIV legislatura, il Parlamento ha tentato di portare a termine, senza successo, una iniziativa di riforma volta a fissare, da una parte, i principi generali della materia e, dall’altra, a riordinare e unificare la normativa in materia di urbanistica, la cui legge risale al 1942e non ha mai ricevuto effettiva e completa attuazione (a partire dall’indispensabile regolamento di esecuzione, mai emanato). Attualmente, la Commissione ambiente della Camera ha avviato l’esame delle proposte di legge AC 329 (on. Mariani e altri) e AC 438 (on. Lupi ed altri), recanti principi fondamentali per il governo del territorio.

Le proposte recano una analoga definizione legislativa di governo del territorio, che viene individuato come l’insieme delle attività conoscitive, regolative, di programmazione, localizzazione e attuazione degli interventivolte a perseguire la tutela e la valorizzazione, la disciplina degli usi e delle trasformazioni dello stesso e la mobilità in relazione agli obiettivi di sviluppo del territorio. Viene inoltre stabilito che il governo del territorio, la cui potestà legislativa è affidata alle regioni, include altresì l’urbanistica, l’edilizia, i programmi infrastrutturali, la difesa del suolo, la tutela del paesaggio e delle bellezze naturali. Il processo riformatore ruota intorno a concetti quali:

·         flessibilità degli strumenti urbanistici, intesa come adattabilità degli stessi alle mutevoli condizioni economiche e territoriali, fatti salvi gli elementi strutturali di riferimento da assumere come invarianti;

·         rapporto con i soggetti privati e loro coinvolgimento sin dalla fase di elaborazione dei piani (sussidiarietà orizzontale). Viene riconosciuta alla società civile la facoltà di fornire un apporto significativo alla definizione e all’attuazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile del territorio;

·         coordinamento delle diverse discipline specialistiche (tutela patrimonio culturale e ambientale, paesaggio, sviluppo sostenibile, risorse idriche, protezione civile, piani rurali, ecc.);

·         accelerazione e semplificazione delle procedure sulla base dei principi di sussidiarietà e di cooperazione tra diversi livelli e soggetti istituzionali. Nella definizione di sussidiarietà è insito il principio secondo il quale l’Ente più prossimo all’ambito e all’oggetto dell’intervento si deve assumere l’onere della decisione e della gestione dell’intervento stesso. La cooperazione intende affermare una visione concertativa e collaborativa volta a superare l’attuale modello di gerarchizzazione nei rapporti tra i livelli di piano.

 

Alla legislazione regionale sono espressamente demandati, oltre alla potestà legislativa in materia di governo del territorio, i seguenti temi: la disciplina della pianificazione urbanistica; le modalità di attuazione del piano strutturale (attraverso il quale sono operate le scelte di programmazione dell’assetto del territorio di uno o più comuni); la disciplina delle dotazioni territoriali (cd. standard minimi urbanistici), sulla base dei livelli minimi definiti dallo Stato; la perequazione (accordo di tipo convenzionale che prevede la compensazione tra suolo ceduto o acquisito e diritti edificatori acquisiti o ceduti); le misure di salvaguardia; compiti in materia edilizia, con riferimento alle attività di trasformazione del territorio, alla denuncia di inizio attività, all’onerosità del permesso di costruire; la definizione del sistema integrato delle informazioni e dei dati; la pianificazione del territorio ai fini della tutela dei territori rurali; la valutazione integrata dei piani e dei programmi di governo del territorio; le procedure di confronto concorrenziale.

 

In attesa della riforma organica del governo del territorio, la legge n. 244 del 2007 (finanziaria 2008), commi 258 e 259 dell’articolo 1, ha già previsto alcune forme in materia di compensazione urbanistica.

Il comma 258 ha consentito la definizione, negli strumenti urbanistici e fino alla riforma organica del governo del territorio, di zone da destinare alla trasformazione in cui sia possibile la cessione gratuita da parte dei proprietari di aree o immobili destinati ad edilizia residenziale sociale e sia altresì possibile la fornitura di alloggi a canone calmierato, concordato e sociale.

Il comma 259 ha previsto che il comune possa, nell’ambito degli strumenti urbanistici, consentire aumenti di volumetrie premiali ai fini della realizzazione di edilizia residenziale sociale, di rinnovo urbanistico ed edilizio e di riqualificazione e miglioramento della qualità ambientale.

3 La legislazione regionale e la cooperazione istituzionale

Le regioni in forza della competenza su gran parte delle funzioni territoriali trasferite fin dal DPR n. 616/77 hanno facoltà di legiferare in materia urbanistica e alcune di esse l’hanno ampiamente esercitata. Successivamente, la legge 59/97 e il d.lgs. 112/98 hanno provveduto al trasferimento di funzioni e compiti dello Stato alle regioni e agli enti locali (per questi ultimi, ora raccolte nel TUEL, d.lgs. 267/2000) mentre la riforma del Titolo V, Parte seconda, Cost. ha definito a livello costituzionale l’autonomia degli enti territoriali nonché i principi di sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione.

Di norma, la pianificazione è attuata a diversi livelli - sostanzialmente con lo strumento della concertazione o della copianificazione - con i seguenti atti di programmazione territoriale:

il Piano territoriale (o Quadro strutturale) regionale, con il quale la regione definisce gli obiettivi strategici della propria politica territoriale (quali, ad esempio, lo sviluppo sostenibile e la coesione sociale, la competitività del sistema territoriale, la riproducibilità e la valorizzazione delle risorse sociali ed ambientali, il contenimento del consumo dell'energia e del suolo), in coerenza con le politiche infrastrutturali nazionali e con le politiche settoriali e di bilancio regionali, dopo averne verificato la compatibilità con i principi di tutela, conservazione e valorizzazione delle risorse e beni territoriali;

il Piano di coordinamento (o strutturale) provinciale, con il quale la provincia esercita un ruolo di coordinamento programmatico e di raccordo tra le politiche territoriali della Regione e la pianificazione urbanistica comunale, determinando indirizzi generali di assetto del territorio provinciale (o di “area vasta”); spesso, tale Piano ha valore e portata di piano paesaggistico e di piano di tutela nei settori della protezione della natura, dell'ambiente, delle acque, della difesa del suolo e della tutela delle bellezze naturali; esso, inoltre, ha valore e portata, nelle zone interessate, di piano di bacino nonché di piano territoriale del parco;

il Piano strutturale (o urbanistico) comunale, con cui il comune definisce le indicazioni strategiche per il governo del territorio comunale, contenute nel Piano provinciale, integrate con gli indirizzi di sviluppo espressi dalla comunità locale. Il Piano comunale ha valore di piano urbanistico di specificazione della disciplina degli aspetti paesistici ed ambientali e impone pertanto esclusivamente vincoli di natura ricognitiva e morfologica;

il Piano operativo (P.O.) è lo strumento con il quale l'amministrazione comunale attua le previsioni del Piano comunale, e/o del regolamento urbanistico;

il Regolamento urbanistico (R.U.) è obbligatorio per tutti i comuni e disciplina gli insediamenti esistenti sull'intero territorio comunale;

i Piani attuativi, infine, sono strumenti urbanistici di dettaglio approvati dal comune, in attuazione del PO o del RU, ai fini del coordinamento degli interventi sul territorio.

La regione è inoltre responsabile del Sistema informativo territoriale, che costituisce il riferimento conoscitivo fondamentale nella definizione degli strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica e di programmazione economico – territoriale.

 

La regione che, in un certo senso, ha fatto scuola relativamente all’introduzione e alla sperimentazione di molte innovazioni è la Toscana, dove diversi comuni hanno avviato il procedimento di formazione del piano regolatore generale fondato sul principio dello sdoppiamento tra “piano strutturale” e “piano operativo”. Per assicurare la partecipazione dei cittadini in ogni fase del procedimento, la legge regionale prevede l’istituzione del garante della comunicazione.

L’Emilia Romagna ha recepito come punto di riferimento culturale il cosiddetto modello INU (Istituto Nazionale di Urbanistica) che si fonda sostanzialmente su: a) separazione tra scelte strategiche e scelte operative (alla scala comunale equivale alla distinzione tra piano strutturale e piano di intervento); b) utilizzazione dello strumento della perequazione per garantire il principio di eguaglianza tra i cittadini.

La Lombardia, al contrario, fa esplicito riferimento al modello della cosiddetta urbanistica “contrattata” fondata sull’accordo pubblico-privato, che trova espressione nei già citati strumenti denominati Programmi complessi o Piani-progetto quali: Programma integrato di intervento, Programma di recupero urbano, Programma di riqualificazione urbana, ecc.

Alcune regioni hanno poi introdotto, recentemente, norme di edilizia sostenibile. Tra queste, la regione Puglia ha previsto che gli strumenti di governo del territorio, dal livello regionale fino alla pianificazione esecutiva a scala comunale, devono contenere le indicazioni necessarie a perseguire e promuovere gli obiettivi di sostenibilità delle trasformazioni territoriali e urbane. Il perseguimento dei criteri di sostenibilità ambientale avviene attraverso la previsione di accurate ricognizioni delle risorse territoriali e ambientali, nei piani e nei programmi di ogni livello, allo scopo di valutare le implicazioni ambientali dei processi di trasformazione del territorio. I piani e i programmi devono contenere norme, parametri, indicazioni progettuali e tipologiche che garantiscano il migliore utilizzo delle risorse naturali e dei fattori climatici, nonché la prevenzione dei rischi ambientali.


Interventi nel settore della casa

1 Il ruolo delle istituzioni comunitarie 

Conformemente al principio di sussidiarietà, l'Unione europea non è competente a legiferare in materia di edilizia abitativa. Ciò è stato interpretato nel senso che l'Unione europea non può finanziare progetti di edilizia abitativa, anche se la politica è formulata da uno Stato membro o ad un livello governativo inferiore. Ciononostante, i programmi comunitari riconoscono l'importanza dell'edilizia abitativa: a mano a mano che le politiche in materia di edilizia abitativa si integrano più strettamente con altre strategie - come il recupero urbano - esse diventano maggiormente compatibili con i programmi comunitari. Si tratta, ad esempio, di progetti dei Fondi strutturali (prevalentemente il Fondo europeo di sviluppo regionale e il Fondo sociale europeo) senza un'esplicita componente relativa all'edilizia, ma orientati verso aree caratterizzate dalla carenza di alloggi; progetti in cui le organizzazioni per l'edilizia abitativa hanno diversificato il proprio lavoro, svolgendo attività idonee ad ottenere finanziamenti comunitari; progetti i cui obiettivi non hanno a che vedere con l'edilizia abitativa ma dove i finanziamenti "filtrano" verso questo settore; progetti in cui i fondi europei vengono utilizzati per incentivare finanziamenti supplementari a favore degli investimenti nell'edilizia abitativa.

 

Riguardo alla disciplina di tale settore, si ricorda che secondo il Comitato di coordinamento europeo dell’alloggio sociale dell’Unione europea, le politiche di social housing si sostanziano nell’offerta di alloggi e servizi per coloro che non riescono a soddisfare il proprio bisogno abitativo sul mercato. Da ciò consegue:

-       l’applicabilità dell’art. 86 TCE, II paragrafo, che prevede l’esonero dal rispetto delle norme del Trattato, comprese quelle in materia di mercato interno e di concorrenza, nella misura in cui ciò sia strettamente necessario all’assolvimento della missione di interesse generale;

-       l’applicabilità della decisione della Commissione del 28 novembre 2005 (2005/842/CE) che stabilisce le condizioni alle quali gli aiuti di stato – sotto forma di compensazione degli obblighi di servizio pubblico, concessi a determinate imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale - sono compatibili con il mercato comune e dunque le predette compensazioni sono esentate dall’obbligo di notificazione preventiva di cui all’art. 88, paragrafo 3.

 

Sempre in tale ottica, essendo l’edilizia residenziale pubblica mezzo di solidarietà e di promozione della dignità umana, è altresì esclusa l’applicabilità in tale ambito della direttiva servizi (2006/123/CE). La ratio di tale disposizione va ricercato nel carattere inviolabile del diritto alla casa, così come riconosciuto a livello internazionale (art. 25, Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, 1948), europeo (Carta dei diritti fondamentali dell’UE, 2000) e nazionale (C.Cost. 49/1987 e 217/1988).

 

Da ultimo, la direttiva 2002/91/CE relativa al rendimento energetico nell'edilizia ha introdotto nell’Unione europea la certificazione energetica degli edifici intesa soprattutto come strumento di trasformazione del mercato immobiliare finalizzato a sensibilizzare gli utenti sugli aspetti energetici all'atto della scelta dell'immobile. Tale direttiva è stata recepita nel nostro ordinamento dai decreti legislativi n. 192/2005 e n. 311/2006 ed ha comportato l’avvio di una vasto intervento di riqualificazione degli edifici residenziali incentivato dallo Stato con detrazioni fiscali e premi di cubatura.

2 La legislazione nazionale e il riparto di competenze tra Stato e regioni

In materia di edilizia residenziale pubblica la Corte costituzionale (vedi, da ultimo, la sentenza n. 94 del 2007) individua tre livelli normativi: il primo riguarda la determinazione dell'offerta minima di alloggi destinati a soddisfare le esigenze dei ceti meno abbienti, di  competenza esclusiva dello Stato ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. nonché la fissazione di principi che valgano a garantire l'uniformità dei criteri di assegnazione su tutto il territorio nazionale, secondo quanto prescritto dalla sentenza n. 486 del 1995. Il secondo livello riguarda la programmazione degli insediamenti di edilizia residenziale pubblica, che ricade nella materia «governo del territorio», di competenza concorrente (sentenza n. 451 del 2006). Il terzo livello, rientrante nella competenza residuale delle regioni, riguarda la gestione del patrimonio immobiliare di edilizia residenziale pubblica di proprietà degli Istituti autonomi per le case popolari o degli altri enti che a questi sono stati sostituiti ad opera della legislazione regionale.

 

In tale quadro, l’art. 11 del decreto-legge n. 112 del 2008 ha previsto una serie di misure (cd. Piano casa) - da approvare con DPCM, previa delibera del CIPE e d'intesa con la Conferenza unificata - rivolte all'incremento del patrimonio immobiliare ad uso abitativo attraverso l'offerta di alloggi di edilizia residenziale, da realizzare con il coinvolgimento di capitali pubblici e privati, destinati alle categorie sociali svantaggiate nell'accesso al libero mercato degli alloggi in locazione.

Dato che le risorse individuate dal governo per finanziare l’intervento derivavano da provvedimenti - sempre in materia di edilizia residenziale - adottati nella precedente legislatura e già in via di attuazione, cui venivano revocate le risorse, si è aperto un contenzioso con le regioni che non ha consentito di raggiungere l’intesa necessaria all’emanazione del DPCM. Il decreto-legge n. 185 del 2008 ha quindi sostituito l’intesa con un semplice parere. Il confronto con le regioni ha tuttavia portato il governo a ripristinare l’intesa (con il decreto-legge n. 5 del 2009) e a riassegnare una parte del finanziamento destinato ai provvedimenti in via di attuazione, attraverso risorse finanziarie provenientidal Fondo aree sottoutilizzate (FAS). L’intesa con le regioni è stata quindi raggiunta e il DPCM, ad oltre un anno dall’approvazione del Piano, è stato emanato il 16 luglio 2009.

Contemporaneamente, il governo ha annunciato - tra l’altro con l’obiettivo di rilanciare il settore dell’edilizia, gravemente colpito dalla crisi, e in attuazione della citata direttiva europea sul risparmio energetico degli edifici - un intervento, da realizzare con decreto-legge, volto a favorire lavori di modifica del patrimonio edilizio esistente, anche attraverso la concessione di consistenti incentivi volumetrici, nonché a prevedere la semplificazione dei titoli abilitativi all’attività edilizia.

La proposta governativa è stata accolta con una decisa opposizione da parte delle regioni, che rivendicavano la competenza in materia di governo del territorio, edilizia e urbanistica. Le regioni, inoltre, chiedevano l’introduzione di alcuni correttivi per evitare che l’iniziativa si trasformasse in un incentivo all’abusivismo. Alla luce di tali prese di posizione e su invito del Presidente della repubblica, l’esecutivo promuoveva un’intesa in sede di Conferenza unificata, diretta a favorire l’armonizzazione delle rispettive legislazioni ed il conseguimento del comune obiettivo. Con l’intesa del 31 marzo 2009, le regioni si sono quindi impegnate a regolamentare interventi che migliorino la qualità architettonica e/o energetica degli edifici entro il limite del 20% della volumetria esistente. Le leggi regionali inoltre disciplinano la demolizione e ricostruzione con ampliamento entro il limite del 35% della volumetria.

In secondo luogo, il governo si è impegnato a emanare un decreto-legge contenente le misure di semplificazione edilizia e un disegno di legge delega per il riordino della materia urbanistica- edilizia. Tali provvedimenti non sono stati tuttavia ancora emanati.

3 La legislazione regionale e la cooperazione istituzionale tra Stato e regioni

Le regioni hanno interpretato in vario modo l’intesa: alcune (Lombardia, Emilia Romagna, Marche, Veneto, Sardegna) hanno ampliato i criteri definiti nell’intesa con il governo, prevedendo ulteriori fattispecie di edifici oltre a quelli residenziali, ad esempio edifici agricoli o produttivi non utilizzati: in tal senso le Marche hanno ammesso l’estensione del beneficio agli insediamenti produttivi, rafforzando il rispetto della normativa in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Il Veneto ha introdotto una riduzione del costo di costruzione per gli interventi previsti dalla legge regionale nonché una semplificazione del titolo abilitativo (DIA anziché permesso di costruire).

Friuli Venezia Giulia, Toscana, Umbria e Marche hanno subordinato la realizzazione degli interventi al miglioramento della sicurezza antisismica ovvero della sostenibilità energetico-ambientale.

Altre regioni (ad esempio, la Puglia, il Lazio e il Piemonte) hanno vietato gli ampliamenti in alcune zone di pregio, su immobili vincolati, in aree sottoposte a vincoli e fasce di rispetto costiere o ad alta pericolosità idraulica e geomorfologia. La Toscana ha limitato l’introduzione di deroghe alla propria pianificazione urbanistico ritenendo prioritaria la salvaguardia dell’ordinato sviluppo del proprio territorio.

La Campania e la Provincia di Bolzano, infine, hanno delegato la definizione dell’intervento o di alcuni parametri alla giunta.

Quanto ai rapporti con gli enti locali, si segnala che la regione Veneto ha previsto che i comuni - entro il 31 ottobre - possono stabilire la localizzazione degli interventi con un meccanismo di silenzio-diniego che ha sostituito l’originario silenzio-assenso. Qualora il termine decorra senza un provvedimento comunale espresso, la giunta regionale, attraverso la nomina di un commissario ad acta, può far convocare il consiglio comunale per decidere sull’applicazione della legge.

 

In materia di edilizia sociale, oltre al piano casa previsto dallo Stato, numerose regioni hanno adottato piani regionali con risorse proprie: ad esempio, nel febbraio 2009 la regione Calabria ha messo a disposizione dell’edilizia sociale 155 milioni di euro, derivanti dalle risorse dei fondi ex Gescal, di cui 79 milioni destinati alla realizzazione di alloggi da assegnare in locazione alle fasce deboli ed il resto per appartamenti da cedere in proprietà. Le risorse serviranno alla realizzazione di 3 mila alloggi grazie al recupero del patrimonio immobiliare esistente, soprattutto nei centri storici, e alla riqualificazione di aree degradate. Nel caso di nuove costruzioni i partecipanti dovranno dimostrare di avere la disponibilità di una idonea area edificabile. Alle giovani coppie sarà assegnato il 25% degli alloggi, agli anziani il 20%, mentre a studenti fuori sede e lavoratori extracomunitari il 5%. È stata poi fissata al 3% la quota da riservare alle ragazze madri.

Nel mese di novembre 2008, la Giunta regionale del Friuli ha stanziato 4 milioni e 387 mila euro per la costruzione di nuovi alloggi, in risposta all’emergenza abitativa esistente. Gli interventi saranno eseguiti attraverso la stipula di accordi di programma con le Ater regionali.

La regione Lazio ha stanziato 275 milioni di euro per la costruzione di nuove case di edilizia residenziale pubblica agevolata. Il finanziamento è reso disponibile già per il 2008 in modo da potere avviare tutte le procedure necessarie utilizzare i fondi nel più breve tempo possibile. Il piano prevede la costruzione di 6000 nuovi alloggi e destina per 140 milioni per rifinanziare il bando per la costruzione di alloggi da parte di cooperative e imprese nella città di Roma; 70 milioni per costruire alloggi in housing sociale; oltre 46 milioni per l’acquisto di alloggi dismessi da enti e società; oltre 18 milioni di euro per alloggi per anziani.

L’assessorato alla Casa della regione Lombardia ha predisposto il Piano triennale per l’edilizia residenziale pubblica (Prerp 2007-2009) che è stato finanziato con 561 milioni di euro e che è in pieno corso di attuazione. Il programma prevede l’attuazione di programmi di riqualificazione urbana e sociale (60 milioni per 1.000 nuovi alloggi) attraverso i contratti di quartiere e gli accordi quadro di sviluppo territoriale (AQST) per la realizzazione di case a canone sociale e moderato e di case per la locazione temporanea (181 milioni per 164 interventi). Sono inoltre previsti:  un contributo acquisto prima casa (80 milioni); un fondo sostegno affitti (170 milioni in cofinanziamento); contratti di quartiere (67 milioni). i rimanenti fondi serviranno ad incrementare altri tipi di intervento come, ad esempio, l’incremento dei servizi abitativi a canone convenzionato, l’acquisto di alcune aree e l’abbattimento delle barriere architettoniche.

Il Consiglio regionale del Veneto ha approvato il piano triennale per l’edilizia residenziale pubblica che definisce, sino al 2010, il fabbisogno abitativo, gli obiettivi della programmazione regionale, i criteri generali per la ripartizione delle risorse finanziarie, le modalità di incentivazione. Il programma triennale aggiorna il precedente piano, scaduto nel 2003, e stanzia 130 milioni di euro, di cui 22,5 per l’edilizia residenziale sovvenzionata (cioè per la locazione a canone sociale, a totale carico della Regione) e 108 milioni di euro per l’edilizia agevolata, cioè per alloggi realizzati da imprese e cooperative con il contributo parziale della Regione. I risultati attesi dal programma triennale sono la realizzazione di 330 alloggi pubblici da parte degli Ater attraverso i fondi per l'edilizia sovvenzionata, e di 3233 alloggi di edilizia residenziale agevolata, realizzati da imprese e cooperative edilizie, destinati a nuclei familiari con reddito Ise non superiore a 60 mila euro, aumentato di 2 mila euro per ogni figlio a carico. Di questi 3233 alloggi, 900 saranno realizzati da fondazioni, enti non profit, cooperative da concedere in locazione a canone concertato (social housing).

La regione Veneto ha inoltre avviato un programma di housing sociale per la realizzazione di mille alloggi a canone calmierato attraverso il “Fondo Veneto casa”, costituito dalla Regione insieme alla Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo (CARIPARO). Si tratta di un fondo etico, dove capitali pubblici e privati possono agire insieme. La regione ha stanziato 5,5 milioni di euro per il 2008 e altrettanti per il 2009. Stesso impegno finanziario per la fondazione Cariparo. L’obiettivo è quello di arrivare a 100 milioni di euro. Metà della cifra sarà raccolta direttamente tra i sottoscrittori del fondo, mentre per il resto si ricorrerà alla Cassa Depositi e Prestiti. Sara invece Beni Stabili SpA a gestire il fondo, che potrà essere operativo a metà del 2009 con un rendimento tra il 6% e l’8%. L’iniziativa è volta ad agevolare i cittadini più svantaggiati, che non possono sostenere un affitto sul libero mercato, ma nello stesso tempo hanno un reddito troppo alto per accedere alle graduatorie Erp.

 


Politiche in materia di tutela dell’ambiente

1 Il ruolo delle istituzioni comunitarie

In materia ambientale, il diritto comunitario ha elaborato, nel corso degli anni, alcuni principi generali:

o        protezione ambientale e sviluppo sostenibile

o        principio di precauzione e principio di prevenzione

o        principio di correzione alla fonte

o        principio “chi inquina paga”.

 

In tale ambito, la politica della Comunità contribuisce a perseguire i seguenti obiettivi:

— salvaguardia, tutela e miglioramento della qualità dell'ambiente

— protezione della salute umana

—u tilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali

— promozione sul piano internazionale di misure destinate a risolvere i problemi dell'ambiente a livello regionale o mondiale.

 

Si ricorda, inoltre, che nella classificazione delle competenze dell’Unione europea il Trattato di Lisbona cita l’ambiente tra i settori di competenza concorrente, per cui sia l'Unione sia gli Stati membri hanno la facoltà di legiferare e adottare atti giuridicamente obbligatori, ad eccezione della conservazione delle risorse biologiche del mare, inclusa tra i settori di competenza esclusiva (nei quali l’UE è l’unica a poter legiferare e adottare atti giuridicamente obbligatori, mentre gli Stati membri possono farlo autonomamente solo previa autorizzazione dell'Unione oppure per l'attuazione degli atti da questa adottati).

 

Quanto alle politiche di settore, sono stati inseriti tra gli obiettivi dell’Unione da promuovere a livello internazionale: la lotta ai cambiamenti climatici, la promozione dell’efficienza energetica, il risparmio energetico e lo sviluppo delle energie nuove e rinnovabili.

 

Le azioni comunitarie per raggiungere gli obiettivi in materia ambientale, ad eccezione di quelli di natura fiscale, sono sottoposte alla procedura legislativa ordinaria (procedura di codecisione).

Restano infine assoggettate all’unanimità le decisioni riguardanti le misure aventi principalmente natura fiscale; quelle aventi incidenza sull'assetto territoriale, sulla gestione quantitativa delle risorse idriche e sulla destinazione dei suoli, ad eccezione della gestione dei residui; quelle aventi una sensibile incidenza sulla scelta di uno Stato membro tra diverse fonti di energia e sulla struttura generale dell'approvvigionamento energetico del medesimo.

2 La legislazione nazionale e il riparto di competenze tra Stato e regioni

Con riferimento al riparto di competenze legislative fra Stato e Regioni, si ricorda che  il legislatore costituzionale ha distinto fra la legislazione in materia di “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”, riservata alla competenza esclusiva dello Stato, e legislazione finalizzata alla “valorizzazione dei beni culturali e ambientali”, collocata invece al comma terzo dell’articolo 117, e quindi attribuita alla competenza concorrente di Stato e regioni.

Un’ulteriore disposizione costituzionale è infine collocata all’articolo 116, terzo comma, laddove per alcuni ambiti materiali viene prevista l’ipotesi di conferimento – con legge statale – di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia alle regioni a statuto ordinario. Oltre che per tutte le materie oggetto di legislazione concorrente, tale ipotesi è, infatti, estesa anche ad alcune delle materie attribuite dal successivo articolo 117 alla competenza esclusiva statale, e fra queste – appunto – la “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”.

 

A livello statale, a seguito della delega recata dalla legge 308/2004, il decreto legislativo 152/2006 (cd. Codice ambientale) ha operato un generale riordino della normativa: esso ha infatti uniformato e razionalizzato la normativa per le valutazioni ambientali (valutazione d’impatto ambientale, valutazione ambientale strategica e autorizzazione integrata ambientale), le norme sulla difesa del suolo e per la tutela delle acque dall’inquinamento e per la gestione delle risorse idriche, quelle in materia di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati, la normativa sulla riduzione dell'inquinamento atmosferico e quella in materia di tutela risarcitoria contro i danni all’ambiente. La legge 69/2009 reca una nuova delega al governo in materia di ambiente con i medesimi principi e criteri direttivi della legge 308/2004.

 

La citata legge delega prevedeva che il d.lgs. si conformasse - nel rispetto dei princìpi e delle norme comunitarie e delle competenze per materia delle amministrazioni statali, nonché delle attribuzioni delle regioni e degli enti locali, e del principio di sussidiarietà - a taluni princìpi e criteri direttivi generali, tra i quali la “piena e coerente attuazione delle direttive comunitarie”, al fine di garantire elevati livelli di tutela dell'ambiente e di contribuire in tale modo alla competitività dei sistemi territoriali e delle imprese, evitando fenomeni di distorsione della concorrenza.

Il Codice detta quindi le modalità di attuazione, in materia ambientale, dei principi di sussidiarietà e di leale collaborazione. Quest’ultimo opera anche nei rapporti tra regioni ed enti locali minori. In tale ambito, le regioni possono adottare forme di tutela giuridica dell'ambiente più restrittive, qualora lo richiedano situazioni particolari del loro territorio, purché ciò non comporti un'arbitraria discriminazione, anche attraverso ingiustificati aggravi procedimentali. Lo Stato è chiamato ad intervenire in questioni involgenti interessi ambientali ove gli obiettivi dell'azione prevista non possano essere sufficientemente realizzati dai livelli territoriali inferiori di governo o non siano stati comunque effettivamente realizzati.

 

In materia di difesa del suolo e lotta alla desertificazione, di tutela delle acque dall'inquinamento e di gestione delle risorse idriche, il codice definisce le competenze dei vari livelli istituzionali, dalla Presidenza del consiglio fino agli enti locali, ivi inclusi la conferenza Stato-regioni (cui sono attribuiti sostanzialmente poteri consultivi e di proposta), l’ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, che svolge attività conoscitiva, realizza il sistema informativo e la rete nazionale di rilevamento e sorveglianza, fornisce dati, pareri e consulenze).

Le regioni collaborano all'elaborazione dei piani di bacino dei distretti idrografici; provvedono all’adozione ed attuazione dei piani di tutela; collaborano all’esecuzione degli interventi da realizzare nei distretti idrografici; provvedono al funzionamento del servizio di polizia idraulica ed a quelli per la gestione e la manutenzione delle opere e degli impianti e la conservazione dei beni; provvedono al funzionamento della navigazione interna; predispongono annualmente la relazione sull'uso del suolo e sulle condizioni dell'assetto idrogeologico del territorio.

I comuni, le province, i loro consorzi o associazioni, le comunità montane, i consorzi di bonifica e di irrigazione, i consorzi di bacino imbrifero montano e gli altri enti pubblici e di diritto pubblico con sede nel distretto idrografico partecipano all'esercizio delle funzioni regionali in materia di difesa del suolo nei modi e nelle forme stabilite dalle regioni singolarmente o d'intesa tra loro, nell'ambito delle competenze del sistema delle autonomie locali.

 

Nel corso degli anni le direttive comunitarie hanno modificato il Codice introducendo competenze da attribuire agli enti territoriali ovvero riallocazione a livello centrale di funzioni attribuite alle regioni (come, ad esempio, nel caso delle autorità di bacino). Da ultimo, la legge 88/2009 (legge comunitaria 2008)ha previsto il recepimento di numerose direttive che andranno ad incidere su materie disciplinate dal Codice ambientale. In particolare, si ricordano la direttiva 2008/50/CE sulla qualità dell’aria, la direttiva 2007/60/CE sul rischio alluvioni, la direttiva 2008/56/CE sull’ambiente marino e la direttiva 2008/98/CE in materia di rifiuti.

3 La legislazione regionale e la cooperazione istituzionale tra Stato e regioni

La legislazione regionale in materia ambientale precedente alla riforma del Titolo V è stata particolarmente intensa ed ha consentito di cogliere in anticipo e di disciplinare con successo problemi emergenti di tutela ambientale: tale circostanza ha portato i giudici costituzionali, a seguito della riforma, ad affermare che la "tutela dell'ambiente" investe e si intreccia inestricabilmente con altri interessi e competenze. In tale ambito, la Corte configura l'ambiente come "valore" costituzionalmente protetto, che, in quanto tale, delinea una sorta di materia "trasversale", in ordine alla quale si manifestano competenze diverse, che riguardano profili indissolubilmente connessi ed intrecciati con la tutela dell'ambiente, che ben possono essere regionali, spettando allo Stato le determinazioni che rispondono ad esigenze meritevoli di disciplina uniforme sull'intero territorio nazionale (sentenza n. 407 del 2002). Nella successive sentenze (ad esempio, la n. 182 del 2006), la Corte riconosce alla legislazione regionale la facoltà di assumere tra i propri scopi anche finalità di tutela ambientale, purché siano rispettate le regole uniformi fissate dallo Stato. Le più recenti sentenze del 2008 e del 2009 ribadiscono tali limiti regionali, inserendo nella tutela dell’ambiente anche la difesa del suolo.

 

Quanto al riparto di competenze a livello regionale, la regione Toscana, ad esempio, con legge regionale 1 dicembre 1998, n. 88, ha attribuito agli enti locali le funzioni amministrative in materia - tra l’altro - di protezione della natura e dell'ambiente, tutela dell'ambiente dagli inquinamenti e gestione dei rifiuti, risorse idriche e difesa del suolo. In particolare, sono riservate alla regione le funzioni concernenti il concorso alla elaborazione e all'attuazione delle politiche comunitarie e nazionali di settore; l'attuazione di progetti e programmi di interesse regionale; la cura di interessi di carattere unitario; il coordinamento dei sistemi informativi. Tutte le funzioni amministrative ed i compiti non riservati alla regione sono conferiti alle provincie (quali, ad esempio, il monitoraggio della qualità delle acque interne e costiere, ovvero, nella materia "inquinamento atmosferico" il rilascio dell'abilitazione alla conduzione di impianti termici e la tenuta degli inventari delle fonti di emissione) ed ai comuni.

 

La Liguria, con legge regionale 21 giugno 1999, n. 18, ha mantenuto la competenza sull’approvazione del piano regionale di gestione dei rifiuti; l'adozione di direttive procedurali e tecniche per l'esercizio delle funzioni attribuite agli enti locali e per l'attività di controllo; l'emanazione di atti straordinari per sopperire a situazioni di necessità e urgenza; l'elaborazione statistica; il coordinamento e la promozione di interventi di sostegno.

Sono di competenza delle province, invece, l'approvazione di piani di gestione dei rifiuti a livello provinciale; le funzioni amministrative concernenti l'organizzazione dello smaltimento dei rifiuti e l’autorizzazione degli impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti, nonché l'esercizio delle attività di smaltimento e recupero dei rifiuti; le funzioni di vigilanza.

Sono di competenza dei comuni, infine, la gestione dei rifiuti solidi urbani e le funzioni amministrative relative alla approvazione ed autorizzazione degli impianti non di competenza provinciale.

 

Si segnala, infine, che nei primi mesi del 2009 alcune sentenze della Corte costituzionale hanno sottoposto al vaglio di costituzionalità numerose norme del Codice ambientale, sostanzialmente confermando l’impianto generale di riparto di competenze in esso contenuto.

 

Sotto il profilo della gestione delle risorse, la Corte dei conti, nella relazione annuale 2008 su ambiente, territorio e mare, ricorda che molti processi di politica ambientale vengono definiti in sede regionale; tuttavia la Corte rileva che l’attuazione di dette politiche è fondata “in misura preponderante” sui trasferimenti statali, utilizzati dalla regioni in maniera non univoca, con una netta prevalenza per la voce “bonifiche e recupero ambientale”, che assorbe circa l’80% dello stanziamento, cui seguono la voce “energia” e la voce “tutela dell’acqua, dell’ambiente marino e costiero”.

4. Gli altri attori del sistema

Si segnala, infine, che nel settore ambientale operano numerosi enti, le cui competenze spesso si intrecciano e si sovrappongono con quelle degli enti territoriali sopra citati.

In particolare, in ciascun distretto idrografico è istituita l'Autorità di bacino distrettuale. Gli atti di indirizzo, coordinamento e pianificazione delle Autorità di bacino vengono adottati in sede di Conferenza istituzionale permanente presieduta e convocata, anche su proposta delle amministrazioni partecipanti, dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio su richiesta del Segretario generale, che vi partecipa senza diritto di voto. Alla Conferenza istituzionale permanente partecipano i Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio, delle infrastrutture e dei trasporti, delle attività produttive, delle politiche agricole e forestali, per la funzione pubblica, per i beni e le attività culturali o i Sottosegretari dai medesimi delegati, nonché i Presidenti delle regioni e delle province autonome il cui territorio è interessato dal distretto idrografico o gli Assessori dai medesimi delegati, oltre al delegato del Dipartimento della protezione civile.

Il Piano di bacino – che rappresenta lo strumento conoscitivo, normativo e tecnico-operativo mediante il quale sono pianificate e programmate le azioni e le norme d'uso finalizzate alla conservazione, alla difesa e alla valorizzazione del suolo ed alla corretta utilizzazione della acque, sulla base delle caratteristiche fisiche ed ambientali del territorio interessato - viene elaborato dall’Autorità di bacino e adottato dalla Conferenza istituzionale (a maggioranza), che ne controlla l’attuazione.

I consorzi di bonifica e di irrigazione, anche attraverso appositi accordi di programma con le competenti autorità, concorrono alla realizzazione di azioni di salvaguardia ambientale e di risanamento delle acque anche al fine della loro utilizzazione irrigua, della rinaturalizzazione dei corsi d'acqua e della fitodepurazione.

Con riferimento ai servizi idrici, organizzati sulla base degli ambiti territoriali ottimali (ATO) definiti dalle regioni, si segnala l’Autorità d'ambito. L’Autorità d'ambito territoriale ottimale è una struttura dotata di personalità giuridica costituita in ciascun ambito territoriale ottimale delimitato dalla competente regione, alla quale gli enti locali partecipano obbligatoriamente ed alla quale è trasferito l'esercizio delle competenze ad essi spettanti in materia di gestione delle risorse idriche, ivi compresa la programmazione delle infrastrutture idriche: in sostanza, ad essa è demandata l'organizzazione, l'affidamento e il controllo della gestione del servizio idrico integrato. L'Autorità d'ambito provvede alla predisposizione e/o aggiornamento del piano d'ambito, costituito dai seguenti atti: ricognizione delle infrastrutture, programma degli interventi, modello gestionale ed organizzativo, piano economico finanziario.

 

Da ultimo, il DL 39/2009 ha previsto che per garantire l’efficienza degli impianti per la gestione dei servizi idrici e la salvaguardia delle risorse idriche, ai fini della prevenzione e del controllo degli effetti di eventi sismici, il Ministro dell’ambiente avvia il Programma nazionale per il coordinamento delle iniziative di monitoraggio, verifica e consolidamento degli impianti per la gestione dei servizi idrici, predisposto dalla Commissione nazionale per la vigilanza sulle risorse idriche, istituita presso il Ministero dell’ambiente (subentrando nelle competenze già attribuite all’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti).

La Commissione, tra l’altro, predispone il metodo tariffario per la determinazione della tariffa del servizio idrico integrato; verifica la corretta redazione del piano; definisce i livelli minimi di qualità dei servizi da prestare, sentite le regioni, i gestori e le associazioni dei consumatori; controlla le modalità di erogazione dei servizi; svolge funzioni di raccolta, elaborazione e restituzione di dati statistici e conoscitivi.

 

In materia di rifiuti, infine, i piani regionali di gestione dei rifiuti provvedono alla delimitazione degli ambiti territoriali ottimali (ATO). In ogni ATO è poi prevista la costituzione di una Autorità d’ambito (AATO) alla quale è demandata, nel rispetto del principio di coordinamento con le competenze delle altre amministrazioni pubbliche, l'organizzazione, l'affidamento e il controllo del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani. L’Autorità d’ambito esercita quindi le competenze degli enti locali in materia di gestione integrata dei rifiuti ed ha una specifica competenza pianificatoria che si traduce nell’adozione di un Piano d’ambito finalizzato all’organizzazione e gestione del servizio, secondo criteri di efficienza, di efficacia, di economicità e di trasparenza.


La gestione dei rifiuti
il quadro normativo nazionale e le pianificazioni regionali

1 Il ruolo delle istituzioni comunitarie 

Le politiche sui rifiuti nell'Unione europea e nei suoi singoli Stati membri vengono attuate progressivamente sin dagli anni Settanta. L'attuale politica comunitaria sui rifiuti si basa sulla cosiddetta "gerarchia degli interventi in materia di rifiuti". Questa è finalizzata anzitutto alla prevenzione dei rifiuti e, in secondo luogo, alla riduzione dello smaltimento dei rifiuti attraverso il riutilizzo, il riciclo e altre operazioni di recupero.

Il 19 novembre 2008 è stata adottata la direttiva 2008/98/CE che istituisce un nuovo quadro per la gestione dei rifiuti. La direttiva ha l’obiettivo di incoraggiare il riutilizzo e il riciclaggio dei rifiuti nell’Unione Europea e di semplificare l’attuale legislazione. Inoltre, promuovendo l’utilizzo dei rifiuti in quanto risorsa secondaria, la nuova normativa è intesa a ridurre la messa in discarica e le emissioni di gas ad effetto serra nelle discariche.

La direttiva integra la precedente direttiva quadro (2006/12/CE) con le due direttive, che vengono contestualmente abrogate, sui rifiuti pericolosi (91/689/CEE) e sugli oli usati (75/439/CEE).

2 La legislazione nazionale e il riparto di competenze tra Stato e regioni

La disciplina dei rifiuti si colloca nell'ambito della "tutela dell'ambiente e dell'ecosistema", di competenza esclusiva statale ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione.

La normativa di riferimento a livello nazionale in materia di rifiuti è contenuta nella parte IV del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (cd. Codice ambientale), che ha sostituito la precedente normativa quadro recata dal D.Lgs. 22/1997 (cd. decreto Ronchi).

La normativa nazionale, in accordo con quella comunitaria, prevede una gerarchia di gestione dei rifiuti (che stabilisce, all’art. 179, come prioritaria, la prevenzione e la riduzione della produzione e della nocività dei rifiuti) e, nel rispetto del riparto di competenze disciplinato dagli articoli 195-198, detta le linee generali e di indirizzo che le regioni devono seguire nella gestione dei rifiuti.

Secondo il citato riparto, spetta allo Stato la determinazione di criteri generali, differenziati per i rifiuti urbani e speciali, ai fini della elaborazione dei piani regionali di gestione dei rifiuti e delle linee guida per la individuazione degli Ambiti territoriali ottimali, nonché la definizione dei piani di settore per la riduzione, il riciclaggio, il recupero e l’ottimizzazione della gestione di particolari flussi di rifiuti. Alle regioni il legislatore ha invece attribuito specifica competenza pianificatoria e organizzativa e potestà autorizzatoria.

La pianificazione della gestione dei rifiuti viene quindi affidata, ai sensi dell’art. 199 del Codice, alle regioni, le quali devono predisporre (sentite le province, i comuni e, per quanto riguarda i rifiuti urbani, le autorità d’ambito) piani regionali di gestione dei rifiuti. Il contenuto di tali piani è disciplinato dallo stesso art. 199 che rappresenta, sotto il profilo operativo, un vero e proprio protocollo metodologico per la stesura dei piani. Tale articolo 199 prevede tra l’altro, che con tali piani si provveda alla delimitazione degli ambiti territoriali ottimali (ATO) sul territorio regionale. In ogni ATO è poi prevista (dall’art. 201) la costituzione di una Autorità d’ambito (AATO) alla quale è demandata, nel rispetto del principio di coordinamento con le competenze delle altre amministrazioni pubbliche, l'organizzazione, l'affidamento e il controllo del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani.

L’Autorità d’ambito esercita quindi le competenze degli enti locali in materia di gestione integrata dei rifiuti ed ha una specifica competenza pianificatoria che si traduce nell’adozione di un Piano d’ambito finalizzato all’organizzazione e gestione del servizio, secondo criteri di efficienza, di efficacia, di economicità e di trasparenza.

Anche alle province sono attribuite funzioni di programmazione, di organizzazione, di verifica e controllo, in base all’articolo 197 del D.Lgs. 152/2006. La norma, nel testo novellato dal D.Lgs.4/2008 (cd. secondo correttivo del Codice), stabilisce che competono alle Province, in linea generale, le funzioni amministrative concernenti la programmazione ed organizzazione del recupero e dello smaltimento dei rifiuti a livello provinciale.

I comuni concorrono, nell'ambito delle attività svolte a livello degli ambiti territoriali ottimali, alla gestione dei rifiuti urbani ed assimilati. Con regolamenti comunali sono definiti:

a) le misure per assicurare la tutela igienico-sanitaria in tutte le fasi della gestione dei rifiuti urbani;

b) le modalità del servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti urbani;

c) le modalità del conferimento, della raccolta differenziata e del trasporto dei rifiuti urbani ed assimilati al fine di garantire una distinta gestione delle diverse frazioni di rifiuti e promuovere il recupero degli stessi;

d) le norme atte a garantire una distinta ed adeguata gestione dei rifiuti urbani pericolosi e dei rifiuti da esumazione ed estumulazione;

e) le misure necessarie ad ottimizzare le forme di conferimento, raccolta e trasporto dei rifiuti primari di imballaggio in sinergia con altre frazioni merceologiche, fissando standard minimi da rispettare;

f) le modalità di esecuzione della pesata dei rifiuti urbani prima di inviarli al recupero e allo smaltimento;

g) l'assimilazione, per qualità e quantità, dei rifiuti speciali non pericolosi ai rifiuti urbani, secondo i criteri definiti dal Codice.

3 La pianificazione regionale

Secondo quanto indicato nell’ultimo Rapporto rifiuti elaborato dall’Agenzia per l’ambiente (trasformata in ISPRA dal decreto-legge 112/2008) i piani regionali di gestione dei rifiuti “non sempre presentano una struttura uniforme ed in linea con le prescrizioni di legge. Alcuni piani sono organizzati secondo un indice dettagliato, altri per sezioni tematiche, mentre, in alcuni casi, contengono solo l’enunciazione di una serie di indirizzi generali che le province devono rispettare nell’elaborazione dei piani provinciali. Si può, altresì, rilevare che tutte le regioni hanno predisposto i piani di gestione dei rifiuti, comprensivi degli stralci relativi ai rifiuti speciali, alla gestione degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio e alla bonifica e ripristino dei siti inquinati. Si rileva, inoltre, che molte regioni e province hanno dedicato specifiche sezioni del piano di gestione alla disciplina di flussi prioritari di rifiuti quali, ad esempio, rifiuti inerti, rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche, veicoli fuori uso, rifiuti sanitari, pneumatici fuori uso”[1]. Nello stesso rapporto, con riferimento ai piani provinciali, si legge che “la maggior parte delle province ha provveduto all’elaborazione e/o all’aggiornamento dei piani provinciali di gestione dei rifiuti, funzionalmente coerenti con la pianificazione su base regionale e legati ad ambiti territoriali ottimali”.

 

Di seguito si dà conto, più nel dettaglio, del percorso seguito in alcune regioni per la pianificazione delle attività di gestione dei rifiuti.

In Emilia Romagna, da diversi anni sono state messe in atto azioni e programmi per una complessa e corretta gestione del ciclo dei rifiuti, con l’obiettivo del recupero di materia ed energia dai rifiuti e non soltanto del loro smaltimento. Le strategie regionali di settore trovano esplicitazione ed applicazione nei Piani redatti dalle Province (Piano Provinciale di Gestione Rifiuti - PPGR), mentre l’organizzazione e la regolamentazione del servizio di gestione dei rifiuti urbani è in capo all’Agenzia d’Ambito Territoriale Ottimale. Per sostenere e incentivare le azioni puntuali nel settore dei rifiuti l’amministrazione regionale destina periodicamente fondi a favore delle Province, attraverso il Piano triennale d’azione ambientale[2], e di soggetti privati, attraverso specifici bandi di finanziamento.

Uno degli aspetti che distingue la Regione Emilia Romagna nell’applicazione delle norme nazionali sui rifiuti è la presenza di un'Autorità regionale per la vigilanza dei servizi idrici e di gestione dei rifiuti urbani, costituita in attuazione della legge regionale 25/1999[3], un modello che era stato preso ad esempio per l’intero territorio nazionale dal Codice ambientale, ma che poi è stato abbandonato in seguito alle modifiche apportate dai cd. decreti correttivi del Codice[4].

L'Autorità regionale per la vigilanza dei servizi idrici e di gestione dei rifiuti urbani[5] è un organo monocratico e svolge attività di valutazione sulla qualità dei servizi e tutela degli interessi dei consumatori e degli utenti. Tale funzione è stata poi ulteriormente rafforzata con la legge regionale di riordino (legge regionale 10/2008) in cui vengono assegnati ulteriori funzioni in relazione alla costituzione di un Comitato consultivo utenti regionale, alla approvazione della Carta dei servizi ed alla indicazione di riferimento per la conciliazione extragiudiziale.

 

In Sardegna, con la legge regionale 12 giugno 2006, n. 9 (Conferimento di funzioni e compiti agli enti locali), si è stabilito, tra l’altro, nell’ambito della gestione dei rifiuti (sezione VII – art. 59), l’attribuzione alle province delle funzioni e dei compiti amministrativi indicati nell’art. 197 del D.Lgs 152/2006 e, inoltre, è stato previsto che la Provincia concorra alla predisposizione dei piani regionali di gestione e smaltimento rifiuti ed assicuri la gestione unitaria dei rifiuti urbani e predisponga i relativi piani di gestione, qualora gli ATO coincidano con il territorio provinciale. Per quanto riguarda le attività di programmazione, la Regione ha quindi affidato alle province un ruolo attivo, prevedendo che le stesse concorrano alla predisposizione dei piani regionali di gestione e smaltimento rifiuti e, quando gli ATO coincidono con il territorio provinciale, che assicurino la gestione unitaria dei rifiuti urbani e, sentiti i comuni interessati, predispongano i relativi piani di gestione.

Con la successiva deliberazione n. 73/7 del 20 dicembre 2008 la Giunta regionale della Sardegna ha approvato il nuovo Piano regionale di gestione dei rifiuti urbani. Tale piano, come tutti quelli di recente predisposizione e/o approvazione, è stato sottoposto alla valutazione ambientale strategica introdotta dalla direttiva 2001/42/CE (VAS) e ad un’ampia consultazione da parte degli enti locali e delle associazioni ambientaliste[6].

Relativamente alla Regione Lombardia, dove l’approvazione del Piano regionale per la gestione dei rifiuti urbani avvenuta nel 2005[7], si segnala, tra gli strumenti di attuazione, la recente proposta di Piano d’Azione per la Riduzione dei Rifiuti (PARR). Il PARR è un piano attuativo del Piano Regionale della Gestione dei Rifiuti (PRGR) e si configura quale strumento intersettoriale in grado di dare concretezza attuativa ad alcuni contenuti del PRGR.


Protezione civile

1 Il ruolo delle istituzioni comunitarie 

Per migliorare la capacità dell’UE di gestire le calamità naturali, aumentate per intensità e frequenza negli Stati membri e nei paesi terzi per effetto dei cambiamenti climatici, la Commissione, in accordo con la strategia per la gestione delle catastrofi presentata nel marzo 2008, ha proposto, nel febbraio 2009, un approccio comunitario per ridurre l’impatto delle catastrofi d’origine naturale e umana (COM(2009)82) ed una strategia a sostegno della riduzione del rischio di catastrofi nei Paesi in via di sviluppo (COM(2009)84), intese a superare l’approccio nazionale al problema attraverso il collegamento tra le politiche pertinenti e il miglioramento degli strumenti di prevenzione delle catastrofi di cui la Comunità già dispone.

 

Il recente Libro bianco in materia di adattamento ai cambiamenti climatici e il documento sul riesame della politica comunitaria in campo ambientale hanno quindi messo in evidenza la necessità di migliorare il coordinamento delle politiche ambientali dei singoli Paesi. Tra i temi affrontati una particolare attenzione è stata dedicata alle emergenze ambientali e di protezione civile, per le quali la Commissione europea ha proposto un approccio integrato a livello comunitario.

2 La legislazione nazionale e il riparto di competenze tra Stato e regioni

La Commissione ambiente, da parte sua, ha messo in evidenza, anche attraverso l’indagine conoscitiva sulle politiche per la difesa del suolo e la risoluzione sul Fondo regionale di Protezione Civile, la necessità di rafforzare la prevenzione e la pianificazione degli interventi per la messa in sicurezza del territorio. Al riguardo merita ricordare, per la sua particolare rilevanza, il decreto-legge 39/2009 che reca una serie di interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici nella regione Abruzzo nel mese di aprile 2009 ed istituisce un Fondo per la prevenzione del rischio sismico.

 

Per finanziare gli interventi delle regioni, delle province autonome e degli enti locali, diretti a fronteggiare esigenze urgenti per le calamità naturali, nonché per potenziare il sistema di protezione civile delle regioni e degli enti locali, l’articolo 138, comma 16, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, ha istituito il «Fondo regionale di protezione civile». Il Fondo è alimentato con risorse statali, il cui versamento è subordinato al versamento al Fondo stesso da parte di ciascuna regione e provincia autonoma di una percentuale uniforme delle proprie entrate accertate nell'anno precedente, determinata dalla Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome in modo da assicurare un concorso complessivo delle regioni e delle province autonome non inferiore, annualmente, al triplo del concorso statale. L'utilizzo delle risorse del Fondo è disposto dal Presidente della Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome, d'intesa con il direttore dell'Agenzia di protezione civile e con le competenti autorità di bacino in caso di calamità naturali di carattere idraulico ed idrogeologico, ed è comunicato tempestivamente alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.

 

Si ricorda che sebbene siano molti i soggetti titolari di un qualche potere in caso di “emergenza sul territorio” per calamità naturali (vedi oltre per una breve sintesi) e sebbene il fulcro della risposta dello Stato sia il Servizio nazionale di protezione civile, l’uso degli strumenti straordinari presuppone comunque che l’emergenza venga prima formalizzata dal Consiglio dei ministri.

Conseguentemente, al verificarsi delle calamità naturali, la normativa vigente prevede l’attivazione di mezzi di intervento straordinari previsti dall’art. 5 della legge 225/1992 (ordinanze). Spetta, quindi, al Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente del Consiglio, ovvero, per sua delega, del Ministro per il coordinamento della protezione civile, deliberare lo stato di emergenza, determinandone durata ed estensione territoriale in stretto riferimento alla qualità ed alla natura degli eventi.

Possono inoltre essere emanate anche ordinanze finalizzate a evitare situazioni di pericolo o maggiori danni a persone o cose.

Nel caso in cui siano emanate in deroga alle leggi vigenti, le ordinanze devono essere motivate, contenere l’indicazione delle principali norme derogate, pubblicate sulla G.U. e trasmesse ai sindaci interessati per l’ulteriore pubblicazione locale. I provvedimenti in questione sono, in sintesi, adottabili dal Presidente del Consiglio ovvero, su sua delega, dal Ministro per il coordinamento della protezione civile, i quali possono avvalersi di commissari delegati (straordinari), indicando il contenuto della delega, i tempi e le modalità di esercizio della medesima.

Si ricorda, infine, che con le ordinanze di urgenza possono anche essere mobilitate risorse finanziarie, a valere sul citato Fondo per la protezione civile, alimentato annualmente con la legge finanziaria.

Superata la fase di prima emergenza, cui si fa fronte con le ordinanze che seguono alla dichiarazione dello stato di emergenza, il Governo sulla base dell’accertamento dell’effettiva entità dei danni, di solito provvede anche mediante decreti legge attraverso i quali destina nuove risorse finanziarie per la prosecuzione degli interventi e all’opera di ricostruzione nei territori colpiti.

 

Nella XIV legislatura è stato introdotto un nuovo potere straordinario che dà la facoltà, qualora si verifichino casi di eccezionali gravità (da valutarsi in relazione al “rischio di compromissione dell’integrità della vita”), al Presidente del Consiglio dei Ministri, anche prima della dichiarazione dello stato di emergenza (prevista finora come condizione preliminare dalla legge 225) e quindi prima delle riunione e della deliberazione del Consiglio dei Ministri, di attribuire i poteri straordinari di ordinanza ad un suo delegato. Ciò consente di anticipare gli interventi in deroga alle norme vigenti anche rispetto alla prima riunione del Consiglio dei Ministri e quindi di operare efficacemente immediatamente dopo il verificarsi dell’evento (art. 3 del decreto legge 245/2002, convertito con modificazioni dalla legge 286/2002).

 

Nell’attuale legislatura sono state apportate alcune modifiche organizzazione del Dipartimento della protezione civile con il D.P.C.M. del 31 luglio 2008  in relazione alle accresciute esigenze operative e funzionali dello stesso.

3 La cooperazione istituzionale

Con la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 3 dicembre 2008  sono stati forniti alcuni indirizzi operativi per la gestione delle emergenze. In particolare, presso il Dipartimento della protezione civile è istituito un centro di coordinamento denominato Sistema che garantisce la raccolta, la verifica e la diffusione delle informazioni di protezione civile con l'obiettivo di allertare immediatamente, e quindi attivare tempestivamente, le diverse componenti e strutture preposte alla gestione dell'emergenza. Sistema opera 24 ore su 24, tutti i giorni dell'anno, con la presenza di personale del Dipartimento e delle strutture operative del Servizio nazionale della protezione civile.

Viene quindi precisato il modello organizzativo per la gestione dell’emergenza attraverso l’elencazione dettagliata delle competenze di tutti gli enti coinvolti.

 

Le funzioni regionali sono di indirizzo nell’ambito locale e di operatività in caso di crisi. Le regioni, infatti, predispongono i programmi regionali di previsione e prevenzione dei rischi; attuano interventi urgenti; definiscono gli indirizzi per i piani provinciali di emergenza; organizzano e impiegano il volontariato.

 

Le funzioni provinciali riguardano, in linea generale, l’attuazione, in ambito provinciale, dei programmi e piani regionali e la predisposizione dei piani provinciali d’emergenza sulla base degli indirizzi regionali.

 

Il prefetto, coerentemente con i piani dei competenti enti territoriali, assicura la partecipazione dello Stato e delle relative strutture periferiche (ad es., i Vigili del Fuoco) in occasione di interventi urgenti di protezione civile, mediante l’attivazione di mezzi e poteri di competenza statale (poteri di ordinanza).

 

Il sindaco è autorità comunale di protezione civile. Al verificarsi dell'emergenza nell'ambito del territorio comunale, assume la direzione e il coordinamento dei servizi di soccorso e d’assistenza alle popolazioni colpite e provvede agli interventi necessari dandone immediata comunicazione al Prefetto e al Presidente della giunta regionale.

 

Il Comune, tra l’altro, attua le attività di previsione e degli interventi di prevenzione dei rischi, stabilite dai programmi e piani regionali, assicura i primi soccorsi in caso d’eventi calamitosi in ambito comunale; predispone i piani comunali e/o intercomunali d’emergenza; utilizza il volontariato di protezione civile a livello comunale e/o intercomunale, sulla base degli indirizzi nazionali e regionali.



[1] Cfr. Cap. 7 “La pianificazione territoriale” del Rapporto rifiuti 2008, disponibile all’indirizzo internet http://www.apat.gov.it/site/_files/Rap-rif08/Capitolo_7.pdf.

[2]    Cfr. http://www.ermesambiente.it/wcm/ermesambiente/primo_piano/2008/dicembre/10_pianoazioneambientale/articolo1.htm.

[3]    Recante "Delimitazione degli ambiti territoriali ottimali e disciplina delle forme di cooperazione tra gli Enti locali per l'organizzazione del servizio idrico integrato e del servizio di gestione dei rifiuti urbani".

[4]    L’art. 159 del Codice, istitutivo dell’autorità (nazionale) di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti è stato infatti abrogato dal comma 5 dell’art. 1 del D.Lgs. 8 novembre 2006, n. 284.

[5]    http://www.ermesambiente.it/autoridrsu.

[6]    Si ricorda, in proposito, quanto segnalato nel Rapporto rifiuti, ove si legge che, in coerenza con le nuove disposizioni in materia di VAS, recate dalla parte seconda del Codice dell’ambiente, “le regioni e le province che stanno predisponendo o aggiornando i piani di gestione dei rifiuti (come ad esempio le regioni Piemonte, Lombardia, Abruzzo, Sardegna, le province di Alessandria, Pordenone, Bologna e la maggior parte delle province lombarde) hanno attivato e/o completato il processo di pianificazione integrato con la valutazione ambientale”.

[7]    Il Piano è stato approvato con DGR n. 220 del 27 giugno 2005, pubblicata sul BURL del 18 agosto 1° S.S. al n. 33. Tutta la documentazione è disponibile all’indirizzo web http://www.ors.regione.lombardia.it/cm/pagina.jhtml?param1_1=N1201923917296892970.