Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione
(Versione per stampa)
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento ambiente | ||||||
Altri Autori: | Servizio Bilancio dello Stato , Servizio Commissioni , Ufficio Rapporti con l'Unione Europea | ||||||
Titolo: | Misure a sostegno dei comuni con popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti nonché dei comuni compresi nelle aree protette A.C. 54 - schede di lettura e riferimenti normativi | ||||||
Riferimenti: |
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Serie: | Progetti di legge Numero: 125 | ||||||
Data: | 25/02/2009 | ||||||
Descrittori: |
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Organi della Camera: |
V-Bilancio, Tesoro e programmazione
VIII-Ambiente, territorio e lavori pubblici |
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Camera dei deputati |
XVI LEGISLATURA |
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Progetti di legge |
Misure a sostegno dei comuni con popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti nonché dei comuni compresi nelle aree protette A.C. 54 |
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n. 125 |
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25 febbraio 2009 |
Servizio responsabile:
Servizio Studi – Ambiente
Tel. 066760-9475 – 066760-9253
Servizio Bilancio dello Stato
Nota di verifica – Dossier n. 22
Tel. 066760-2174 – 066760-9455
Servizio Commissioni – Segreteria V Commissione
Tel. 066760-3545 – 066760-3685
Segreteria Generale – Ufficio Rapporti con l’Unione europea
Tel. 066760-2145
La nota di sintesi e le schede di lettura sono state redatte dal Servizio Studi.
Le parti relative ai profili di carattere finanziario sono state predisposte dal Servizio Bilancio dello Stato, nonché dalla Segreteria della V Commissione per quanto concerne le coperture.
Le parti relative ai documenti all’esame delle istituzioni dell’Unione europea e alle procedure di contenzioso sono state predisposte dall'Ufficio rapporti con l'Unione europea.
I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.
File: Am0055.doc
INDICE
Schede di lettura
§ Art. 1. (Finalità). 3
§ Art. 2. (Definizione di piccoli comuni). 5
§ Art. 3 co. 1 (Disposizioni concernenti i comuni con popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti). 7
§ Art. 3 co. 2 (Funzioni di valutazione dei responsabili degli uffici e dei servizi). 11
§ Art. 3. co. 3 (Responsabile del procedimento per l'affidamento e per l'esecuzione degli appalti di lavori pubblici). 13
§ Art. 3 co. 4 (Disapplicazione di norme in materia di programmazione dei lavori e di adesione alle modalità di acquisto centralizzato). 15
§ Art. 3 co. 5 (Uso della rete telematica gestita dai concessionari del Ministero dell’economia e delle finanze - Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato). 19
§ Art. 3 co. 6 (Convenzioni per la salvaguardia e per il recupero dei beni culturali). 21
§ Art. 3 co. 7 (Acquisizione o recupero di beni immobili). 23
§ Art. 3 co. 8 (Opere finalizzate alla cablatura degli edifici e alla diffusione di servizi di comunicazione elettronica a larga banda). 25
§ Art. 3 co. 9 (Tutela dell’arredo urbano, dell’ambiente e del paesaggio). 29
§ Art. 3 co. 10 (Misure per il riequilibrio anagrafico nei piccoli comuni). 31
§ Art. 3 co. 11 (Interventi di valorizzazione del paesaggio). 33
§ Art. 4 (Attività e servizi). 35
§ Art. 5. (Valorizzazione dei prodotti agroalimentari tradizionali). 39
§ Art. 6. (Programmi di e-government). 43
§ Art. 7. (Servizi postali e programmazione televisiva pubblica). 47
§ Art. 8 (Istituti scolastici). 51
§ Art. 9. (Interventi per lo sviluppo e l'incentivazione di attività commerciali). 57
§ Art. 10. (Sistema distributivo dei carburanti). 59
§ Art. 11. (Agevolazioni in materia di servizio idrico). 61
§ Art. 12. (Fondo per gli incentivi fiscali in favore dei soggetti residenti nei piccoli comuni). 63
§ Art. 13. (Fondo per lo sviluppo strutturale, economico e sociale dei piccoli comuni). 67
§ Art. 14. (Clausola di invarianza della spesa). 69
§ Art. 15. (Modifica all'articolo 51 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267). 71
§ Capo III - Disposizioni concernenti le aree protette (artt. 16-22) 75
§ Art. 16. (Ambito di applicazione). 87
§ Art. 17. (Individuazione degli ambiti di recupero del patrimonio abitativo esistente nelle aree naturali protette). 91
§ Art. 18. (Programmi di riqualificazione ambientale). 93
§ Art. 19. (Programmi di riqualificazione urbanistica, edilizia e ambientale). 95
§ Art. 20. (Rinvio alle leggi regionali). 97
§ Art. 21. (Destinazione di fondi ai programmi integrati). 99
§ Art. 22. (Programmi di iniziativa privata). 101
§ Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE (a cura dell’Ufficio dell’UE) 103
Profili di carattere finanziario
§ Articoli 1-15 Misure per la valorizzazione dei comuni con popolazione inferiore a 5000 abitanti 107
§ Articoli 16-22 Disposizioni concernenti le aree naturali protette 111
Normativa di riferimento
§ Costituzione della Repubblica italiana (Titolo V) 115
§ L. 6 dicembre 1991 n. 394 Legge quadro sulle aree protette.(art. 7) 123
§ L. 17 febbraio 1992, n. 179 Norme per l'edilizia residenziale pubblica. (artt. 5, 11-16 e 21) 125
§ L. 23 dicembre 1996 n. 662 Misure di razionalizzazione della finanza pubblica. (art. 3, comma 83) 129
§ L. 15 maggio 1997 n. 127 Misure urgenti per lo snellimento dell'attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo.(art. 17 commi 20 e 21) 131
§ D.Lgs. 28 agosto 1997 n. 281 Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali. (art. 8) 133
§ L. 21 dicembre 1999 n. 526 Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee - Legge comunitaria 1999. 135
§ D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554 Regolamento di attuazione della L. 11 febbraio 1994, n. 109 legge quadro in materia di lavori pubblici, e successive modificazioni (artt. 11, 13 e 14) 137
§ D.Lgs. 18 agosto 2000 n. 267 Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali. (art. 51) 139
§ D.M. 18 luglio 2000 Elenco nazionale dei prodotti agroalimentari tradizionali. 141
§ D.P.R. 3 novembre 2000 n. 396 Regolamento per la revisione e la semplificazione dell'ordinamento dello stato civile, a norma dell'articolo 2, comma 12, della L. 15 maggio 1997, n. 127. 143
§ D.Lgs. 30 marzo 2001 n. 165 Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche. 145
§ D.Lgs. 18-5-2001 n. 228 Orientamento e modernizzazione del settore agricolo, a norma dell'articolo 7 della L. 5 marzo 2001, n. 57. (artt. 14 e 15) 147
§ L. 28 dicembre 2001 n. 448 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2002). (art. 24, co. 6) 149
§ L. 27-12-2002 n. 289 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2003). (art. 26) 151
§ Provv. 24 luglio 2003 Approvazione del V aggiornamento dell'elenco ufficiale delle aree naturali protette, ai sensi del combinato disposto dell'art. 3, comma 4, lettera c), della L. 6 dicembre 1991, n. 394, e dell'art. 7, comma 1, del D.Lgs. 28 agosto 1997, n. 281. 155
§ D.Lgs. 22 gennaio 2004 n. 42 Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della L. 6 luglio 2002, n. 137.(artt. 135 e 136) 157
§ D.M. 9 giugno 2005 Procedura e schemi-tipo per la redazione e la pubblicazione del programma triennale, dei suoi aggiornamenti annuali e dell'elenco annuale dei lavori pubblici, ai sensi dell'articolo 14, comma 11, della L. 11 febbraio 1994, n. 109, e successive modificazioni ed integrazioni. 159
§ D.Lgs. 3 aprile 2006 n. 152 Norme in materia ambientale. (art. 148) 173
§ D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163 Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE (2) . (artt. 4 co. 2, 10 co. 5 e 128) 175
1. La presente legge, nel rispetto del titolo V della parte seconda della Costituzione, ha lo scopo di promuovere e di sostenere le attività economiche, sociali, ambientali e culturali esercitate nei piccoli comuni nonché di tutelare e di valorizzare il patrimonio naturale, rurale, storico-culturale e architettonico custodito in tali comuni, favorendo altresì l'adozione di misure in favore dei cittadini residenti e delle attività produttive, con particolare riferimento al sistema di servizi territoriali, in modo da incentivare e da favorire anche l'afflusso turistico.
2. Le regioni, nell'ambito delle funzioni ad esse riconosciute dal titolo V della parte seconda della Costituzione, possono definire ulteriori interventi per il raggiungimento delle finalità di cui al comma 1.
3. Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano provvedono, per il proprio territorio, all'individuazione dei comuni ai sensi dell'articolo 2, comma 3, nonché, nell'ambito delle competenze ad esse spettanti ai sensi dei rispettivi statuti e delle relative norme di attuazione, alla definizione di interventi destinati alla realizzazione delle finalità della presente legge.
L’articolo 1, che costituisce il Capo I della proposta di legge in esame, precisa le finalità generali del provvedimento.
Ai sensi del comma 1, tali finalità hanno ad oggetto i piccoli comuni – come definiti dal successivo articolo 2 – e consistono:
§ nella promozione e nel sostegno delle attività economiche, sociali, ambientali e culturali svolte nel loro ambito territoriale;
§ nella tutela e valorizzazione del loro patrimonio naturale, rurale, storico-culturale e architettonico, attraverso gli interventi previsti dal Capo III della proposta di legge;
§ nel favorire l'adozione di misure a vantaggio sia dei cittadini che vi risiedono, sia delle attività produttive, con riferimento, in particolare, al sistema di servizi territoriali, con l’obiettivo di stimolare e incrementare anche il movimento turistico.
Secondo i proponenti[1], il mantenimento di un'adeguata rete di servizi territoriali (strutture scolastiche, presidi sanitari, trasporti, servizi postali, distributori di carburante, servizio idrico, ecc.) e di esercizi commerciali nei territori dei piccoli comuni costituisce una delle condizioni per la loro rivitalizzazione economica. I servizi territoriali e commerciali rappresentano infatti una condizione di vivibilità essenziale per coloro che risiedono in contesti isolati. La progressiva rarefazione dei servizi resi al cittadino, accorpati per conseguire il contenimento dei costi, ha invece creato disagi alle popolazioni dei piccoli comuni.
Il comma 1 richiama il “rispetto del titolo V della parte seconda della Costituzione”. La disposizione appare riferibile al riparto delle competenze normative ed amministrative tra Stato, Regioni ed enti locali operato, principalmente, dagli articoli 117 e 118 Cost..
Com’è noto, questa parte della Costituzione è stata ampiamente modificata ad opera della L. cost. 3/2001[2]. Tra gli aspetti innovativi della riforma, per quanto qui rileva, si possono ricordare:
§ l’attribuzione allo Stato, alle Regioni e agli enti locali di una “pari dignità” quali enti costitutivi della Repubblica (art. 114 Cost.);
§ l'inversione del criterio di riparto delle competenze legislative tra Stato e Regioni, con la doppia elencazione delle materie di competenza esclusiva dello Stato e di quelle in cui la potestà legislativa è esercitata in modo concorrente dallo Stato (che detta i soli “princìpi fondamentali”) e dalle Regioni, e con l’attribuzione a queste di una competenza legislativa piena (“residuale”) su tutte le altre materie (art. 117, co. 2°-4°, Cost.);
§ l’attribuzione delle competenze amministrative in via generale ai comuni, salvo conferimento ad altri livelli di governo sulla base dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, superandosi con ciò il principio del parallelismo tra competenze legislative e amministrative (art. 118 Cost.);
§ l’attribuzione a Regioni ed enti locali dell’autonomia finanziaria di entrata e di spesa (art. 119 Cost).
Nella fattispecie, tra le materie di competenza legislativa concorrente più direttamente interessate dalla proposta di legge in esame sembrano potersi annoverare il governo del territorio, il sostegno all’innovazione per i settori produttivi, l’istruzione, l’alimentazione, la valorizzazione dei beni culturali e ambientali, la promozione e l’organizzazione di attività culturali.
Spetta invece allo Stato la competenza legislativa esclusiva con riguardo ad altre materie che potrebbero rilevare in questa sede (tra le altre: “legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane”; “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”; “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantite su tutto il territorio nazionale”; “perequazione delle risorse finanziarie”).
Il comma 2 fa salva la facoltà per le regioni a statuto ordinario di disporre interventi ulteriori, rispetto a quelli previsti dal provvedimento in esame, per le medesime finalità da questo indicate, nel rispetto delle competenze ad esse attribuite dal titolo V della parte seconda della Costituzione.
Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano (comma 3) redigono, ciascuna per il proprio territorio, l’elenco dei piccoli comuni come definiti dal successivo articolo 2, commi 1 e 2 (cui si rinvia) e provvedono, nell’ambito delle competenze loro spettanti ai sensi degli statuti speciali e delle relative norme attuative, ad individuare gli interventi per l’attuazione del provvedimento in esame.
Per le regioni a statuto ordinario invece, l’individuazione dei piccoli comuni è rimessa ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, proposto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia e con il Ministro dell'ambiente, previa intesa in sede di Conferenza unificata, da emanarsi entro sei mesi; sul relativo schema di decreto esprimono il parere le Commissioni parlamentari competenti (articolo 2, commi 3, 4 e 5).
1. Fatto salvo quanto previsto dall'articolo 3, ai fini della presente legge, per piccoli comuni si intendono i comuni con popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti, compresi in una delle seguenti tipologie:
a) comuni collocati in aree territorialmente dissestate o in zone caratterizzate da situazioni di criticità dal punto di vista ambientale;
b) comuni in cui si registrano evidenti situazioni di marginalità economica o sociale, con particolare riguardo a quelli nei quali si è verificato un significativo decremento della popolazione residente rispetto al censimento effettuato nel 1981;
c) comuni caratterizzati da specifici parametri di disagio insediativo, definiti in base all'indice di vecchiaia, alla percentuale di occupati rispetto alla popolazione residente e all'indice di ruralità;
d) comuni siti in zone, in prevalenza montane o rurali, caratterizzate da difficoltà di comunicazione ed estrema perifericità rispetto ai centri abitati di maggiori dimensioni, ovvero il cui territorio è connotato da particolare ampiezza e dalla frammentazione dei centri abitati;
e) comuni comprendenti frazioni che presentano le caratteristiche di cui alle lettere a), b), c) e d). Nei casi di cui alla presente lettera gli interventi previsti dalla presente legge in favore dei piccoli comuni sono riservati alle predette frazioni.
2. Solo ai fini delle agevolazioni fiananziarie previste dalla presente legge, non sono comunque considerati piccoli comuni i comuni con popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti nei quali si registra un'elevata densità di attività economiche e produttive, anche per la vicinanza con grandi centri metropolitani.
3. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, previa intesa in sede di Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, è definito, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, l'elenco dei piccoli comuni ai sensi dei commi 1 e 2 del presente articolo.
4. L'elenco di cui al comma 3 è aggiornato ogni tre anni con le medesime procedure previste dallo stesso comma 3.
5. Gli schemi dei decreti di cui ai commi 3 e 4 sono trasmessi alle Camere per il parere delle competenti Commissioni parlamentari, da esprimere entro un mese dalla data di assegnazione.
L’articolo 2, al comma 1, reca la definizione, ai fini del provvedimento in esame, di “ piccoli comuni”.
Il primo criterio di individuazione fissato dalla disposizione è demografico: sono considerati piccoli i comuni con popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti.
Oltre alle caratteristiche demografiche, il medesimo comma richiede, per rientrare nella tipologia dei “piccoli comuni”, l’appartenenza ad una delle seguenti categorie:
§ comuni situati in aree territorialmente dissestate o in zone caratterizzate da situazioni di criticità per quanto riguarda l’ambiente;
§ comuni collocati in aree dove si registrino evidenti situazioni di marginalità economica o sociale, con particolare riferimento a quelli nei quali si sia verificata una rilevante diminuzione della popolazione residente negli ultimi decenni (assumendo come riferimento il censimento effettuato nel 1981);
§ comuni caratterizzati con particolare disagio insediativo, definito in base all'indice di vecchiaia, alla percentuale di occupati rispetto alla popolazione residente e all'indice di ruralità;
§ comuni situati in zone, in prevalenza montane o rurali, caratterizzate da difficoltà di comunicazione ed estrema perifericità rispetto ai centri abitati di maggiori dimensioni, o il cui territorio sia connotato da particolare ampiezza e dalla frammentazione dei centri abitati;
§ comuni comprendenti frazioni con le caratteristiche indicate alle quattro tipologie illustrate. In questo caso, gli interventi previsti in favore dei piccoli comuni sono riservati alle frazioni in questione.
Il comma 2 dispone in negativo relativamente ai comuni nei quali si riscontra un’elevata concentrazione di attività economiche e produttive, in ragione anche della loro vicinanza con grandi centri metropolitani. Ai soli fini delle agevolazioni finanziarie previste dal provvedimento in esame, essi non sono considerati “piccoli comuni”.
I commi 3, 4 e 5 disciplinano la procedura per l’adozione, entro sei mesi, di un elenco dei piccoli comuni come definiti al comma 1, e dei comuni con alta densità di attività economiche e produttive di cui al comma 2, disponendone l’aggiornamento (comma 4) su base triennale.
La procedura delineata dal comma 3 prevede l’adozione dell’elenco con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottarsi:
§ su proposta del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare;
§ previa intesa da raggiungersi in sede di Conferenza unificata;
§ previo parere (comma 5) delle competenti Commissioni parlamentari (che si pronunciano entro un mese dalla data di assegnazione degli schemi).
E’ inoltre fatto salvo (comma 1) quanto previsto dall’articolo 3, che reca disposizioni applicabili a tutti i comuni con popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti, e cioè, anche a quelli che, pur appartenendo a questa fascia demografica, non rientrano in alcuna delle cinque tipologie individuate dal medesimo comma 1 dell’articolo 2.
1. Le regioni, nel rispetto del principio di sussidiarietà, in attuazione degli articoli 117 e 118 della Costituzione, sentite anche le associazioni rappresentative degli enti locali, possono promuovere iniziative per favorire l'unione di comuni con popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti, nelle forme previste dal testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni.
Come esplicitato dalla rubrica dell’articolo, le disposizioni di cui all’articolo 3 trovano applicazione con riguardo non soltanto ai piccoli comuni come definiti dal comma 1 del precedente art. 2 (al quale si rinvia), ma a tutti i comuni aventi popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti.
Il comma 1 dell’articolo attribuisce alle regioni il compito di promuovere, anche con il parere delle associazioni rappresentative degli enti locali (ANCI e UPI), iniziative per incentivare l’unione di comuni con popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti.
La disposizione richiama da un lato il rispetto del principio di sussidiarietà e gli articoli 117 e 118 della Costituzione e dall’altro fa espresso riferimento alle forme previste dal testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali.
Il capo V (artt. 30-35) del testo unico citato (approvato con D.Lgs. 267/2000[3]) disciplina in via generale le forme associative tra enti locali prevedendo, tra queste, sia le unioni di comuni sia i consorzi tra enti locali, e attribuendo alle regioni talune competenze volte a favorire l’esercizio associato delle funzioni dei comuni di minore dimensione demografica.
L’art. 32 del testo unico definisce le unioni di comuni “enti locali costituiti da due o più comuni di norma contermini, allo scopo di esercitare congiuntamente una pluralità di funzioni di loro competenza”. Lo stesso articolo stabilisce le modalità di approvazione dell’atto costitutivo e dello statuto, individua il contenuto essenziale di quest’ultimo e reca alcune disposizioni generali sul funzionamento delle unioni di comuni.
La finalità intrinseca dell’unione di comuni è quella dell’esercizio congiunto di pluralità di funzioni che vengono cedute da parte dei singoli comuni costituenti la stessa, cosicché i fini istituzionali dell’ente possano essere perseguiti (in forma aggregata) con maggiore efficacia ed efficienza[4].
Ai sensi dell’art. 30, comma 1, gli enti locali possono stipulare tra loro convenzioni al fine di svolgere in modo coordinato funzioni e servizi determinati. Tali convenzioni possono avere ad oggetto anche la costituzione di un consorzio per la gestione associata di uno o più servizi e l’esercizio associato di funzioni (così dispone il successivo art. 31). Al consorzio si applicano le norme previste per le aziende speciali di cui all’art. 114, in quanto compatibili; ad esso possono partecipare anche altri enti pubblici, quando siano a ciò autorizzati, secondo le leggi alle quali sono soggetti.
L’art. 33 (principalmente riferito alle funzioni amministrative conferite dalle regioni agli enti locali) non individua ulteriori forme di associazione e di cooperazione tra i Comuni. Esso dispone, tra l’altro, che le regioni, “al fine di favorire l’esercizio associato delle funzioni dei comuni di minore dimensione demografica” e operando in concertazione con gli enti locali, individuano livelli ottimali di esercizio delle stesse (comma 2). Le regioni predispongono inoltre e concordano un programma, aggiornato triennalmente, di individuazione degli ambiti per la gestione associata sovracomunale di funzioni e servizi, realizzato anche attraverso le unioni di comuni, “che può prevedere altresì la modifica di circoscrizioni comunali e i criteri per la corresponsione di contributi e incentivi alla progressiva unificazione” (comma 3). Nell’ambito del programma e al fine di favorire il processo di riorganizzazione sovracomunale dei servizi, delle funzioni e delle strutture, le regioni disciplinano, con proprie leggi, forme di incentivazione dell’esercizio associato delle funzioni da parte dei comuni, eventualmente prevedendo nel proprio bilancio un apposito fondo (comma 4). Tra le finalità delle incentivazioni rientra la promozione delle unioni di comuni (comma 4, lett. b)).
Numerose regioni hanno approvato leggi specifiche in materia di forme associative dei comuni e di incentivazione delle stesse[5].
Al 17 ottobre 2008[6] risultano costituite 288 Unioni di comuni, con una popolazione complessiva di 4.756.848 abitanti. La maggior parte dei comuni (circa il 90%) che aderiscono ad Unioni ha una popolazione inferiore a 5.000 abitanti.
Il 50% delle Unioni sono concentrate nel Nord Italia; il 21% nel Centro; il 18% nel Sud; l’11% nelle isole. Questa la loro distribuzione geografica:
Regione |
Unioni di comuni |
Piemonte |
48 |
Lombardia |
57 |
Veneto |
30 |
Emilia Romagna |
15 |
Trentino |
2 |
Friuli Venezia Giulia |
6 |
Marche |
13 |
Umbria |
1 |
Lazio |
26 |
Abruzzo |
7 |
Campania |
12 |
Molise |
10 |
Puglia |
20 |
Calabria |
9 |
Sicilia |
26 |
Sardegna |
6 |
Totale |
288 |
Si ricorda in proposito che l’articolo 2, comma 28, della legge finanziaria per il 2008 (L. 244/2007[7]) stabilisce che ogni comune può aderire ad una unica forma associativa per ciascuna di quelle previste dagli articoli 31, 32 e 33 del TUEL: sostanzialmente ogni comune può fare parte di un solo consorzio, di una sola unione di comuni, di una sola associazione per l’esercizio associato di funzioni e servizi dei comuni stessi ex art. 33 del TUEL.
Finalità della norma è la semplificazione della varietà e della diversità delle forme associative comunali e del processo di riorganizzazione sovracomunale dei servizi, delle funzioni e delle strutture.
La disposizione della legge finanziaria sanziona la permanenza di un comune in più di una forma associativa dello stesso tipo ("adesione multipla") oltre il 1° aprile 2008.
Tre modifiche introdotte successivamente hanno rinviato tale termine, una prima volta al 30 settembre 2008 (decreto-legge 248/2007[8], art. 35-bis), quindi al 1° gennaio 2009 (decreto-legge 248/2008[9], art. 4, comma 1) e da ultimo al 1° gennaio 2010 (decreto-legge 207/2008[10], art. 3, comma 1-ter). Quest’ultima disposizione ha anche precisato che è consentita ai comuni l’adesione ad un’unica forma associativa (tra quelle previste dal t.u.e.l.) per gestire il medesimo servizio.
Nel caso di adesione multipla è nullo non solo ogni atto adottato dall’associazione (o forma associativa), ma anche ogni atto attinente all’adesione o allo svolgimento di essa da parte del comune interessato (per il quale - dovrebbe intendersi - permane l’adesione a più forme associative).
Sono fatte espressamente salve le disposizioni di legge in materia di organizzazione e gestione del servizio idrico integrato e del servizio di gestione dei rifiuti.
La disposizione illustrata non si applica per l’adesione a consorzi obbligatori.
2. Nei comuni con popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti le funzioni di valutazione dei responsabili degli uffici e dei servizi sono disciplinate a livello regolamentare da ciascun ente e possono essere affidate anche a un organo monocratico interno o a un soggetto esterno all'ente.
Il comma 2 dell’articolo in esame concerne l’attività amministrativa di valutazione dei responsabili degli uffici e dei servizi nei comuni aventi popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti. La disposizione stabilisce che tali funzioni sono disciplinate con atto regolamentare da ciascun comune. Quest’ultimo ne può affidare lo svolgimento a un organo monocratico sia interno, sia esterno all’ente (del quale – in tale ultima ipotesi – non è precisata la natura).
L’art. 147 del testo unico sugli enti locali, che disciplina la tipologia dei controlli interni, già stabilisce che spetta agli enti locali medesimi, nell’àmbito della loro autonomia normativa ed organizzativa, individuare strumenti e metodologie adeguati – tra l’altro – a valutare le prestazioni del personale con qualifica dirigenziale[11]. Ai sensi dell’art. 107, comma 7, del testo unico, la valutazione dei dirigenti degli enti locali ha luogo secondo i princìpi dettati per la generalità dei dirigenti delle pubbliche amministrazioni dall’art. 5, commi 1 e 2, del D.Lgs. 286/1999[12], secondo le modalità previste dal citato art. 147.
Le disposizioni del D.Lgs. 286/1999 citate, concernenti la valutazione del personale con incarico dirigenziale, stabiliscono in via generale che le pubbliche amministrazioni, sulla base anche dei risultati del controllo di gestione, valutano, in corrispondenza con quanto previsto al riguardo dai contratti collettivi nazionali, le prestazioni dei propri dirigenti e i comportamenti relativi allo sviluppo delle risorse professionali, umane e organizzative ad essi assegnate (competenze organizzative).
La valutazione delle prestazioni e delle competenze organizzative dei dirigenti, che si effettua con cadenza annuale, deve tenere conto in particolare dei risultati dell’attività amministrativa e della gestione.
Il procedimento per la valutazione deve essere ispirato ai princìpi della
§ diretta conoscenza dell’attività del valutato da parte dell’organo proponente o valutatore di prima istanza;
§ approvazione o verifica della valutazione da parte dell’organo competente o valutatore di seconda istanza;
§ partecipazione al procedimento del valutato.
3. In conformità con l'articolo 10, comma 5, del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni, nei comuni di cui al comma 2 del presente articolo le competenze del responsabile del procedimento per l'affidamento e per l'esecuzione degli appalti di lavori pubblici sono attribuite al responsabile dell'ufficio tecnico o della struttura corrispondente. Ove ciò non sia possibile secondo quanto disposto dal regolamento comunale, le competenze sono attribuite al responsabile del servizio al quale attiene il lavoro da realizzare. In ogni caso, il responsabile del procedimento deve essere un dipendente di ruolo o a tempo determinato, secondo la normativa vigente.
Il comma 3, dispone che, in conformità con l'art. 10, comma 5, del d.lgs. n. 163/2006, in tutti i comuni con popolazione pari o inferiore ai 5.000 abitanti, le competenze del responsabile del procedimento per l'affidamento e per l'esecuzione degli appalti di lavori pubblici sono attribuite al responsabile dell'ufficio tecnico o della struttura corrispondente.
Nel caso in cui ciò non sia possibile secondo quanto disposto dal regolamento comunale, tale competenze spettano al responsabile del servizio al quale attiene il lavoro da realizzare.
Viene altresì disposto che, in ogni caso, il responsabile del procedimento deve essere un dipendente di ruolo o a tempo determinato, secondo la normativa vigente.
La figura del responsabile delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, è disciplinata dall’art. 10 del d.lgs. n. 163 del 2006 (cd. Codice dei contratti pubblici). In particolare il citato comma 5 prescrive che il responsabile del procedimento:
§ deve possedere titolo di studio e competenza adeguati in relazione ai compiti per cui è nominato. In particolare per i lavori e i servizi attinenti all’ingegneria e all’architettura deve essere un tecnico;
§ per le amministrazioni aggiudicatrici deve essere un dipendente di ruolo. In caso di accertata carenza di dipendenti di ruolo in possesso di professionalità adeguate, le amministrazioni aggiudicatrici nominano il responsabile del procedimento tra i propri dipendenti in servizio.
4. Ai comuni di cui al comma 2 non si applicano le seguenti disposizioni:
a) articolo 128, commi 3, 5, 6, 7, 9, secondo periodo, e 11, del citato codice di cui al decreto legilativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni;
b) articolo 24, comma 6, della legge 28 dicembre 2001, n. 448, e successive modificazioni;
c) articoli 11, 13 e 14 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 21 dicembre 1999, n. 554;
d) decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti 9 giugno 2005, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 150 del 30 giugno 2005.
Il comma 4 prevede, per i comuni con popolazione pari o inferiore ai 5.000 abitanti, la disapplicazione delle seguenti norme in materia di programmazione dei lavori e di adesione alle modalità di acquisto centralizzato (cd. convenzioni CONSIP):
§ le disposizioni in materia di programmazione dei lavori recate dall’art. 128, commi 3, 5, 6, 7, 9, secondo periodo, e 11, del d.lgs. n. 163/2006;
L’art. 128, relativo alla programmazione dei lavori pubblici, prevede, tra l’altro:
- che vi sia un ordine di priorità nel programma triennale (e che, nell'ambito di tale ordine sono da ritenere comunque prioritari i lavori di manutenzione, di recupero del patrimonio esistente, di completamento dei lavori già iniziati, i progetti esecutivi approvati, nonché gli interventi per i quali ricorra la possibilità di finanziamento con capitale privato maggioritario) e che tale ordine sia rispettato dalle amministrazioni aggiudicatrici nell’attuazione dei lavori previsti dal programma stesso (commi 3 e 5);
- precise condizioni per l’inclusione dei lavori nell'elenco annuale. Per i lavori di importo inferiore a 1 milione di euro occorre, infatti, la previa approvazione di uno studio di fattibilità, mentre per i lavori di importo pari o superiore a 1 milione di euro, occorre la previa approvazione della progettazione preliminare (comma 6). Il comma 7 dispone inoltre che un lavoro può essere inserito nell'elenco annuale, limitatamente ad uno o più lotti, purché con riferimento all'intero lavoro sia stata elaborata la progettazione almeno preliminare e siano state quantificate le complessive risorse finanziarie necessarie per la realizzazione dell'intero lavoro. In ogni caso l'amministrazione aggiudicatrice nomina, nell'ambito del personale ad essa addetto, un soggetto idoneo a certificare la funzionalità, fruibilità e fattibilità di ciascun lotto;
- le condizioni per la realizzazione di lavori non inseriti nell'elenco annuale. In base al secondo periodo del comma 9, infatti, un lavoro non inserito nel citato elenco può essere realizzato solo sulla base di un autonomo piano finanziario che non utilizzi risorse già previste tra i mezzi finanziari dell'amministrazione al momento della formazione dell'elenco, fatta eccezione per le risorse resesi disponibili a seguito di ribassi d'asta o di economie;
- l’adozione del programma triennale e degli elenchi annuali dei lavori, da parte delle amministrazioni aggiudicatrici, sulla base di schemi tipo definiti con decreto del Ministro delle infrastrutture (comma 11). Lo stesso comma prevede la pubblicazione sui siti informatici del Ministero delle infrastrutture e dell’Osservatorio deprogrammi triennali e dei elenchi annuali dei lavori.
Si ricorda altresì che l’art. 4, comma 2, del d.lgs. n. 163 del 2006, sul riparto di competenze legislative tra Stato, regioni e province autonome, dispone che nelle materie oggetto di competenza concorrente, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano esercitano la potestà normativa nel rispetto dei principi fondamentali contenuti nelle norme del codice, in particolare, in tema di programmazione di lavori pubblici ( di cui all’art. 128).
§ artt. 11, 13 e 14 del DPR 21 dicembre 1999, n. 554;
Anche gli articoli 11, 13 e 14 del DPR n. 554 del 1999 riguardano la programmazione dei lavori. L’esonero previsto dal comma in esame riguarda, in particolare, la predisposizione di uno studio per l’individuazione del quadro dei bisogni e delle esigenze e di successivi studi di fattibilità necessari per l'elaborazione del programma triennale (art. 11), l’applicazione delle norme relative alle modalità e ai tempi di redazione, nonché al contenuto del programma triennale da definire in conformità allo schema-tipo definito con decreto ministeriale (art. 13) e di quelle, concernenti la pubblicità del programma, relative all’invio dei programmi, dei loro aggiornamenti e degli elenchi delle opere all'Osservatorio dei lavori pubblici (art. 14).
§ DM infrastrutture e dei trasporti 9 giugno 2005, pubblicato nella G.U. n. 150 del 30 giugno 2005.
Tale decreto disciplina la procedura e gli schemi-tipo per la redazione e la pubblicazione del programma triennale, dei suoi aggiornamenti annuali e dell'elenco annuale dei lavori pubblici, ai sensi dell'art. 14, comma 11, della legge 11 febbraio 1994, n. 109. Tale articolo 14 è confluito nel citato art. 128 del Codice.
§ art. 24, comma 6, della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (legge finanziaria 2002) (adesione alle modalità di acquisto centralizzato – “Convenzioni CONSIP”);
Nel quadro di un generale processo di razionalizzazione delle modalità di acquisto di beni e servizi, volto a conseguire significativi risparmi di spesa, con la legge finanziaria per il 2000, e successive integrazioni, è stata prevista la facoltà per le amministrazioni pubbliche di effettuare acquisti dei beni e servizi avvalendosi di convenzioni stipulate, in forma centralizzata, dalla CONSIP S.p.A. - società con capitale interamente posseduto dal Ministero dell’economia e finanze - con fornitori scelti mediante gare ad evidenza pubblica conformi alle norme comunitarie, ovvero, qualora non intendano avvalersene, l’obbligo di utilizzarne i parametri di prezzo–qualità, come limiti massimi per l'acquisto di beni e servizi comparabili. Alla CONSIP è attribuito il compito di stipulare, nel rispetto della normativa in materia di scelta del contraente, convenzioni quadro con le quali l'impresa prescelta si impegna ad accettare - sino a concorrenza della quantità massima stabilita dalla convenzione ed ai prezzi e condizioni ivi previsti - ordinativi di fornitura di beni e servizi da parte delle amministrazioni dello Stato.
Nell’ambito di tale disciplina generale, la norma citata specifica per comuni, province, comunità montane e consorzi di enti locali, la facoltà di aderire alle convenzioni CONSIP nel caso di acquisiti di beni e servizi di rilevanza nazionale.
Per le amministrazioni statali centrali e periferiche è previsto l’obbligo di utilizzo delle convenzioni–quadro stipulate dalla CONSIP nel caso di acquisto di alcune particolari tipologie di beni, appositamente individuati con D.M. Economia 23 gennaio 2008.
Con riferimento a tale ultima disposizione, si segnala che è in corso al Senato l’esame del disegno di legge AS n. 1082[13] che reca, all’art. 2, norme in materia di centrali di committenza cui assoggettare anche i piccoli comuni, che la norma in commento intenderebbe, al contrario, escludere.
5. Al fine di favorire, nei comuni di cui al comma 2, il pagamento di imposte, tasse e tributi nonché dei corrispettivi dell'erogazione di acqua, energia, gas e di ogni altro servizio, può essere utilizzata, per l'attività di incasso e di trasferimento di somme, previa convenzione con il Ministero dell'economia e delle finanze o con soggetti terzi, la rete telematica gestita dai concessionari del Ministero dell'economia e delle finanze-Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato.
Al fine di favorire, nei comuni di cui al comma 2, il pagamento di imposte, tasse e tributi nonché dei corrispettivi dell’erogazione di acqua, energia, gas e di ogni altro servizio, può essere utilizzata, per l’attività di incasso e di trasferimento di somme, previa convenzione con il Ministero dell’economia e delle finanze o con soggetti terzi, la rete telematica gestita dai concessionari del Ministero dell’economia e delle finanze-Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato.
Il comma 5 dell’articolo 3 autorizza l’uso della rete telematica, gestita dai concessionari del Ministero dell’economia e delle finanze - Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, per l’attività di incasso e di trasferimento di somme, al fine di agevolare il pagamentodi imposte o di corrispettivo di erogazione di servizi pubblici nei comuni con popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti.
Si ricorda che l’articolo 14-bis del D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 640 (recante l’imposta sugli spettacoli), modificato dal comma 12 dell'art. 39 del D.L. 30 settembre 2003, n. 269[14] ha disposto l’individuazione, entro il 30 giugno 2004 e con procedure ad evidenza pubblica, uno o più concessionari della rete o delle reti dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato per la gestione telematica degli apparecchi considerati idonei per il gioco lecito (a condizione che rispondano ai requisiti dell'articolo 110, comma 6, del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, R.D. 18 giugno 1931, n. 773).
Tale rete o reti consentono la gestione telematica, anche mediante apparecchi videoterminali, del gioco lecito. Le disposizioni di attuazione sono state recate con decreto regolamentare del Ministro dell'economia e delle finanze del 12 marzo 2004 n. 86.
Scopo della disposizione in commento è di favorire il pagamento di imposte, tasse e tributi nonché dei corrispettivi dell’erogazione di acqua, energia, gas e di ogni altro servizio. Tale uso è autorizzato previa stipula di una apposita convenzione con il Ministero dell’economia e delle finanze o con soggetti terzi.
Si rileva in proposito che occorrerebbe individuare con maggiore specificità quali soggetti si intendono autorizzati alla stipula di tali convenzioni e, soprattutto, se la locuzione “soggetti terzi” si riferisce ai concessionari della rete telematica.
6. I comuni di cui al comma 2, anche in associazione o partecipazione tra loro, possono stipulare con le diocesi cattoliche convenzioni per la salvaguardia e per il recupero dei beni culturali, storici, artistici e librari degli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti. Analoghe convenzioni possono essere stipulate con le rappresentanze delle altre confessioni religiose che hanno concluso intese con lo Stato italiano, ai sensi dell'articolo 8 della Costituzione, per la salvaguardia e per il recupero dei beni di cui al primo periodo del presente comma nella disponibilità delle rappresentanze medesime. Le convenzioni sono finanziate dal Ministero per i beni e le attività culturali con le risorse di cui all'articolo 3, comma 83, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, e successive modificazioni, entro una quota non superiore al 20 per cento delle medesime risorse. A tale fine, con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, previo parere della Conferenza Stato-città ed autonomie locali, sono stabiliti i criteri di accesso ai finanziamenti nonché la quota delle predette risorse destinata agli stessi.
Ai sensi del comma 6, i piccoli comuni, anche in associazione o partecipazione tra loro, possono stipulare convenzioni con le diocesi cattoliche per la salvaguardia e per il recupero dei beni culturali, storici, artistici e librari degli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti.
Analoghe convenzioni possono essere stipulate con le rappresentanze delle altre confessioni religiose che hanno concluso intese con lo Stato italiano, ai sensi dell'articolo 8 della Costituzione.
Al riguardo, si ricorda che la materia è disciplinata dall’art. 9 del d.lgs. n. 42 del 2004[15], che stabilisce che, per i beni culturali di interesse religioso appartenenti ad enti e istituzioni della Chiesa cattolica o di altre istituzioni religiose, il Ministero e, per quanto di competenza, le regioni provvedono, relativamente alle esigenze di culto, d’accordo con le rispettive autorità. Prevede, altresì, che si osservano le disposizioni stabilite dalle intese concluse con la chiesa cattolica e con le confessioni religiose diverse dalla cattolica.
Si valuti dunque l’opportunità di prevedere, quantomeno a titolo informativo, un coinvolgimento delle Regioni.
A partire dal 1984, lo Stato italiano, in attuazione dell’articolo 8, terzo comma, della Costituzione, ha proceduto a stipulare intese con alcune confessioni religiose (vedi tabella).
Le intese approvate con legge
Chiese rappresentate dalla Tavola valdese |
L. 11 agosto 1984, n. 449, integrata con la L. 5 ottobre 1993, n. 409 |
Unione italiana delle Chiese cristiane avventiste del 7° giorno |
L. 22 novembre 1988, n. 516, modificata dalla L. 20 dicembre 1996, n. 637 |
Assemblee di Dio in Italia |
L. 22 novembre 1988, n. 517 |
Unione delle Comunità ebraiche italiane |
L. 8 marzo 1989, 101, modificata dalla L. 20 dicembre 1996, n. 638 |
Unione cristiana evangelica battista d’Italia |
L. 12 aprile 1995, n. 116 |
Chiesa evangelica luterana in Italia |
L. 29 novembre 1995, n. 520 |
Si segnala in proposito che la Corte costituzionale ha affermato che le intese previste dall’articolo 8, terzo comma, della Costituzione non sono e non possono essere una condizione imposta dai poteri pubblici alle confessioni per usufruire della libertà di organizzazione e di azione loro garantita dal primo e dal secondo comma dello stesso articolo 8, né per usufruire di benefici a loro riservati, quali l’erogazione di contributi; risultano altrimenti violati il divieto di discriminazione (art. 3 e art. 8, primo comma, Cost.), nonché l’eguaglianza dei singoli nel godimento effettivo della libertà di culto (art. 19, Cost.), di cui l’eguale libertà delle confessioni di organizzarsi e di operare rappresenta la proiezione necessaria sul piano comunitario e sulla quale esercita una evidente, ancorché indiretta influenza, la possibilità per le medesime di accedere a benefici economici.
La Corte ha dunque giudicato costituzionalmente illegittime le disposizioni di due leggi regionali che prevedono benefici per la realizzazione di edifici di culto e di attrezzature destinate a servizi religiosi, nella parte in cui introducevano come elemento di discriminazione fra le confessioni religiose che aspirano ad usufruire dei benefici, avendone gli altri requisiti, l’esistenza di un’intesa per la regolazione dei rapporti della confessione con lo Stato (sentenze n. 195 del 1993 e n. 346 del 2002).
Le convenzioni sono finanziate dal Ministero per i beni e le attività culturali con le risorse di cui all'articolo 3, comma 83, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, e successive modificazioni, entro una quota non superiore al 20 per cento delle medesime risorse.
A tale fine, con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, previo parere della Conferenza Stato-città ed autonomie locali, sono stabiliti i criteri di accesso ai finanziamenti, nonché la ripartizione del finanziamento.
L’art. 3, c. 83, della l. n. 662 del 1996, prevede che ogni anno, sugli utili erariali derivanti dal gioco del lotto accertati nel rendiconto dell’esercizio immediatamente precedente è riservata in favore del Ministero per i beni culturali e ambientali una quota non superiore a 300 miliardi di lire per il recupero e la conservazione dei beni culturali, archeologici, storici, artistici, archivistici e librari, nonché per interventi di restauro paesaggistico e per attività culturali.
7. I comuni di cui al comma 2 possono acquisire al valore economico definito dall'ufficio tecnico erariale territorialmente competente, o stipulare intese finalizzate al recupero delle stazioni ferroviarie disabilitate o delle case cantoniere dell'Ente nazionale per le strade (ANAS) Spa, nonché di caserme dismesse o di edifici del Corpo forestale dello Stato non più in uso, al fine di destinarli, anche ricorrendo all'istituto del comodato a favore di organizzazioni di volontariato, a presìdi di protezione civile e di salvaguardia del territorio, ovvero, anche d'intesa con l'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa Spa, a sedi di promozione ed eventuale vendita dei prodotti tipici locali e per altre attività comunali.
Il comma 7 prevede che i comuni con popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti possono acquisire, al valore economico definito dall'ufficio tecnico erariale territorialmente competente, o stipulare intese finalizzate al recupero dei seguenti beni immobili:
- stazioni ferroviarie disabilitate;
- case cantoniere dell'Ente nazionale per le strade (ANAS) Spa;
- caserme dismesse;
- edifici del Corpo forestale dello Stato non più in uso.
Tali beni possono essere destinati, anche ricorrendo all'istituto del comodato a favore di organizzazioni di volontariato, a presìdi di protezione civile e di salvaguardia del territorio, ovvero, anche d'intesa con l'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa Spa, a sedi di promozione ed eventuale vendita dei prodotti tipici locali e per altre attività comunali.
La legge finanziaria 2007 (legge n. 296/2006), all’articolo 1, comma 460, oltre a mutare la denominazione di Sviluppo Italia S.p.A. in “Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa S.p.A.“, ha attribuito al Ministro dello sviluppo economico una serie di poteri, tra cui quello di definire con apposite direttive le priorità e gli obiettivi dell’Agenzia. In particolare la direttiva del Ministro dell’economia e delle finanze del 27 marzo 2007 ha stabilito che l’azione dell’Agenzia dovrà essere diretta, con particolare riferimento al Mezzogiorno, a conseguire le seguenti priorità:
1. favorire l’attrazione degli investimenti esteri di elevata qualità, in grado di dare un contributo allo sviluppo del sistema economico e produttivo nazionale;
2. sviluppare l’innovazione e la competitività industriale e imprenditoriale nei sistemi produttivi e nei sistemi territoriali;
3. promuovere la competitività e le potenzialità attrattive dei territori.
Dal luglio 2008 l’Agenzia ha assunto la denominazione “INVITALIA”.
A seguito del piano di riordino dell’Agenzia e di dismissioni previsto dalla legge finanziaria 2007 e dalla direttiva ministeriale la struttura dell’Agenzia si articola, ora, in 3 aree strategiche di affari (ASA): Impresa, Territorio e Investimenti esteri. Le società “controllate strategiche” sono confluite in 3 società denominate “Newco”:
- La “Newco Reti” opera per realizzare infrastrutture a sostegno della competitività dei territori.
- La “Newco Finanza” si occupa di acquisire sul mercato capitali da convogliare verso nuove opportunità di investimento;
- La “Newco Progetti” è costituita da Italia Navigando.
- INVITALIA opera, inoltre, nel settore turistico attraverso la società partecipata Italia Turismo.
Delle 17 società regionali, 5 sono state messe in liquidazione, in quanto le regioni interessate hanno escluso l’intenzione di acquisirne il controllo: si tratta delle società in Emilia-Romagna, Lombardia, Piemonte, Marche e Calabria. La regione Sardegna non ha manifestato interesse ad avvalesi della società regionale di Sviluppo Italia, in quanto intende intraprendere altre direttrici per lo sviluppo dell'economia locale. Sono, invece, state trasferite alle regioni di riferimento le partecipazioni detenute dall’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti nelle società relative alle regioni Sicilia, Puglia, Molise, Toscana e Liguria. Per le società regionali di Friuli Venezia Giulia, Umbria, Basilicata, Campania, Abruzzo e Veneto la trattativa è ancora in corso
Le partecipazioni del Gruppo sono passate da 216 a 22.
8. Le regioni possono promuovere interventi per la realizzazione di opere finalizzate alla cablatura degli edifici situati nei comuni di cui al comma 2 e alla diffusione di servizi di comunicazione elettronica a larga banda nei medesimi comuni.
Il comma 8 prevede la facoltà per le regioni di favorire l’esecuzione di opere destinate alla cablatura degli edifici nonché di implementare i servizi di comunicazione elettronica a banda larga, nell’ambito dei comuni con popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti
Si ricorda che incentivi per la realizzazione di opere finalizzate alla cablatura degli edifici sono stati previsti, in precedenza, dall’art. 1, comma 1, legge 27 dicembre 1997 n. 449, recante misure per la stabilizzazione della finanza pubblica, il quale ha introdotto varie disposizioni dirette ad incentivare fiscalmente gli interventi di recupero del patrimonio edilizio consentendo, per quanto rileva in questa sede, il pieno utilizzo - nei singoli edifici e, all'interno di questi, nelle singole unità immobiliari - delle potenzialità insite nelle nuove reti di telecomunicazioni a fibre ottiche. Queste, infatti, in virtù di una banda passante molto larga, permettono il passaggio da un sistema di trasmissione dati tradizionale, di tipo analogico, ad una trasmissione di tipo digitale, che ha una capacità di trasporto molto più ampia: in tal modo, attraverso le reti di telecomunicazioni possono essere offerti, oltre ai tradizionali servizi di telefonia, anche i più recenti servizi informatici, televisivi e di trasmissione dati. Ai fini delle agevolazioni fiscali la tipologia di intervento ammissibile è limitata al caso di lavori, in edifici esistenti, che interconnettano tutte le unità immobiliari residenziali. Inoltre, possono essere oggetto di agevolazione fiscale gli interventi di cablatura degli edifici per l'accesso a servizi telematici e di trasmissione dati, informativi e di assistenza, quali, ad esempio, la contabilizzazione dell'energia da centrali di teleriscaldamento o di cogenerazione, la teleassistenza sanitaria e di emergenza.
Con riferimento al tema della banda larga si fa presente che, in data 30 ottobre 2008, la Commissione IX° Trasporti della Camera dei Deputati ha concluso un’ampia indagine conoscitiva sul sistema delle comunicazioni elettroniche nel corso della quale sono state svolte 42 audizioni tra soggetti istituzionali ed operatori del settore.
Nell’ambito del documento conclusivo, approvato il 2 dicembre 2008, è stato messo in rilievo, in primo luogo, il ruolo strategico e l’incidenza che le comunicazioni elettroniche assumono oggigiorno rispetto allo sviluppo a livello globale. Gli investimenti in questo settore, infatti, hanno rappresentato negli ultimi venti anni il più importante fattore di crescita, determinando fino allo 0,6% dell’aumento del PIL dei Paesi più avanzati; si è posto l’accento sul fatto che la rete Internet, per l’enorme quantità di dati e informazioni che veicola e per la possibilità di offrire l’accesso a una gamma estremamente vasta di servizi, sia di carattere commerciale, che a rilevanza sociale, dovrebbe configurarsi come un servizio universale, di cui possa avvalersi la generalità dei cittadini. Proprio in rapporto all’importanza che le comunicazioni elettroniche rivestono, è stata sottolineata la necessità di prestare attenzione al fatto che l’Italia si trova in una condizione di ritardo sia per quanto concerne le possibilità di accesso alla banda larga, sia per quanto riguarda lo sviluppo della rete in fibra ottica. Nel nostro Paese è ancora prevalente, infatti, la tecnologia di prima generazione ADSL, che permette una connessione fino a 7 mb al secondo, mentre le reti di nuova generazione (NGN) già esistenti consentono una velocità nella connessione fino a 100 mb; la tecnologia ADSL raggiunge attualmente, in termini di copertura, circa il 95% della popolazione. Per quanto riguarda la copertura delle restanti quote di territorio potrebbero utilmente essere utilizzati nei prossimi anni i collegamenti wireless, almeno nelle zone maggiormente svantaggiate sotto il profilo geografico.
Il dato più significativo e preoccupante, tuttavia, è che il nostro Paese manifesta un sensibile ritardo, destinato ad aggravarsi in futuro, sulle reti a banda larga di seconda generazione (ADSL2) e sulla banda larghissima, rispetto alle quali si registra un rilevante digital divide non soltanto infrastrutturale ma anche sociale (ossia lo scarso interesse della popolazione verso l’utilizzo degli strumenti informatici ed i nuovi servizi). Soltanto parzialmente il divario potrà essere colmato attraverso il ricorso alla tecnologia wireless e, anche, alla tecnologia satellitare. Tali tecnologie, infatti, sembrano potere assumere una funzione complementare, piuttosto che sostitutiva della rete fissa. Un intervento sistematico di potenziamento e ammodernamento della infrastrutturazione relativa alle comunicazioni elettroniche appare, pertanto, ineludibile.
Nell’indagine conoscitiva è stata quindi evidenziata, in modo pressoché unanime, l’esigenza di affiancare agli interventi di sostegno all’adeguamento della rete, efficaci iniziative finalizzate ad accrescere la conoscenza e l’impiego degli strumenti informatici da parte di quella fascia di popolazione finora sostanzialmente estranea all’evoluzione tecnologica. In questo senso occorre tener presente che il codice dell’amministrazione digitale (decreto legislativo n. 82 del 2005) ha espressamente affidato allo Stato il compito di promuovere iniziative volte a favorire l'alfabetizzazione informatica dei cittadini e ciò perché le comunicazioni elettroniche non costituiscono soltanto un settore di interesse per le imprese che in esso operano, ma rappresentano altresì uno strumento fondamentale per raggiungere gli obiettivi di efficienza della pubblica amministrazione, che a loro volta condizionano in misura decisiva la crescita del Paese.
Contestualmente, occorre concentrare le risorse finanziarie nella modernizzazione della rete e nello sviluppo della banda larga, che deve essere considerata come infrastruttura di base per la competitività, l'innovazione e la crescita del Paese. E’ stato ricordato, infatti, che l'attuale rete di accesso nell'ultimo miglio, totalmente in rame, non consente, ad oggi, una diffusione massiccia dei nuovi servizi. Da qui la necessità di accelerare la realizzazione della futura rete in fibra ottica, alla quale potranno concorrere sia risorse pubbliche, statali e regionali, sia finanziamenti privati.
Va anche segnalato che il D.L. n.112/2008[16], all’articolo 2, ha introdotto norme per agevolare i lavori di infrastrutturazione nel settore delle comunicazioni elettroniche prevedendo che l’installazione di reti e impianti in fibra ottica[17] siano realizzabili con la procedura della denuncia di inizio attività (DIA) e, in particolare, che i soggetti pubblici non possano opporsi alla installazione nelle loro proprietà di reti e impianti per la comunicazione elettronica in fibra ottica, a meno che si tratti di beni appartenenti al patrimonio indisponibile di Stato, province o comuni, ovvero che l’attività possa arrecare turbamento al pubblico servizio.
Si ricorda, infine, che l’articolo 14 del disegno di legge C 1441 bis[18] prevede che il Governo – nel rispetto delle competenze regionali - definisca un programma nel quale siano indicati gli interventi necessari all’adeguamento delle reti di comunicazioni elettronica, ed assegna una dotazione di 800 milioni per il periodo 2007-2013, a valere sulle risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate.
9. Le regioni possono altresì incentivare l'adozione da parte dei comuni di cui al comma 2 di misure atte a tutelare l'arredo urbano, l'ambiente e il paesaggio, favorendo l'utilizzo di materiali da costruzione locali, l'installazione di antenne collettive per la ricezione delle trasmissioni radiotelevisive via satellite, la limitazione dell'impatto ambientale dei tracciati delle linee elettriche e degli impianti per telefonia mobile e radiodiffusione.
Il comma in esameprevede la possibilità, per le regioni, di incentivare l’adozione, da parte dei piccoli comuni, di misure rivolte alla tutela dell’arredo urbano, dell’ambiente e del paesaggio, soprattutto attraverso:
§ l’utilizzo di materiali di costruzione tipici locali;
Si fa notare che l’utilizzo di tali materiali rappresenta uno dei parametri spesso utilizzati nei sistemi che si stanno sempre più diffondendo per la certificazione ambientale degli edifici[19] e preso altresì in considerazione dalla proposta di legge C. 1952 recante “Sistema casa qualità. Disposizioni concernenti la valutazione e la certificazione della qualità dell'edilizia residenziale”, attualmente all’esame dell’VIII Commissione (Ambiente).
§ l’installazione di antenne collettive per la ricezione delle trasmissioni radiotelevisive via satellite;
Si ricorda che l’art. 3, comma 13, della Legge n. 249 del 31 luglio 1997 (Istituzione dell’autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo), disciplina i criteri di installazione degli apparati di ricezione televisiva satellitari per salvaguardare gli aspetti ambientali e paesaggistici. Si prevede, infatti, che a partire dal 1° gennaio 1998 gli immobili, composti da più unità abitative di nuova costruzione o quelli soggetti a ristrutturazione generale, per la ricezione delle trasmissioni radiotelevisive satellitari si avvalgono di norma di antenne collettive e possono installare o utilizzare reti via cavo per distribuire nelle singole unità le trasmissioni ricevute mediante antenne collettive. Spetta ai singoli comuni, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della suddetta legge, emanare un regolamento sull'installazione degli apparati di ricezione delle trasmissioni radiotelevisive satellitari nei centri storici al fine di garantire la salvaguardia degli aspetti paesaggistici.
Si ricorda che la L. 20 marzo 2001, n. 66, di conversione del D.L. 23 gennaio 2001 n. 5 (Disposizioni urgenti per il differimento di termini in materia di trasmissioni radiotelevisive analogiche e digitali, nonché per il risanamento di impianti radiotelevisivi) ha sancito l'obbligo di irradiazione digitale per le trasmissioni televisive ed i servizi multimediali su frequenze terrestri entro l'anno 2006, al fine di favorire lo sviluppo e la diffusione in Italia delle nuove tecnologie di trasmissione radiotelevisiva digitale su frequenze terrestri e da satellite e per l'introduzione dei sistemi audiovisivi terrestri a larga banda, individuando contestualmente misure a sostegno del settore.
Proprio a tale scopo, il comma 13 dell'art. 2-bis, per favorire l'approvazione delle delibere condominiali relative all'installazione dei nuovi impianti, prevede una maggioranza più bassa di quella che sarebbe altrimenti necessaria, ai sensi dell'art. 1136, comma 5, cod. civ., per l'approvazione di tali delibere. Si sottolinea, altresì, che nell'ultimo periodo del comma 13 si stabilisce che: «le disposizioni di cui ai precedenti periodi non costituiscono titolo per il riconoscimento di benefici fiscali»; ebbene, tale disposizione sembrerebbe diretta ad escludere l'applicazione dei benefici fiscali previsti dalla legge in relazione all'installazione delle opere in questione (si ricordi infatti che con la legge 449/1997 è stato previsto il diritto a un bonus fiscale in relazione alle spese relative alla realizzazione di opere finalizzate alla cablatura degli edifici, compresa l'installazione di antenne collettive, v. infra). In proposito, però, si deve notare che, come peraltro viene confermato dalle risposte dell'Agenzia delle entrate a varie istanze di interpello presentate da amministratori condominiali, l'installazione dell'antenna centralizzata ai sensi dell'art. 2-bis, comma 13, della legge 66/2001 esclude l'applicazione dei benefici fiscali previsti dalla legge 449/1997, a meno che la delibera non venga approvata con la maggioranza assembleare prevista dall'art. 1136, comma 5, cod. civ. per le innovazioni; in quest'ultimo caso infatti si torna a seguire il regime ordinario, sia dal punto di vista civilistico, sia da quello fiscale
Da ultimo, si deve segnalare il decreto del Ministero delle telecomunicazioni 11 novembre 2005 (G.U. 271 del 21 novembre 2005) che contiene le «regole tecniche relative agli impianti condominiali centralizzati d'antenna riceventi del servizio di radiodiffusione»
§ la limitazione dell’impatto ambientale dei tracciati degli elettrodotti e degli impianti per telefonia mobile e radiodiffusione.
In merito a quest’ultimo aspetto vale la pena sottolineare che con i due DPCM dell’8 luglio 2003 il Governo ha dato attuazione all’art. 4, comma 2, lettera a), della legge 22 febbraio 2001, n. 36 (Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici), attraverso la determinazione dei valori limite (cioè dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità) per la protezione della popolazione dai campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, sia relativamente ai campi (cd. ad alte frequenze) generati da sorgenti fisse con frequenza compresa fra 100 kHz e 300 GHz (impianti radioelettrici), sia riguardo ai campi (cd. a basse frequenze) generati da elettrodotti (frequenza di rete di 50 Hz).
Si ricorda che l’emanazione di tali DPCM è avvenuta in un contesto caratterizzato dall’emanazione di numerose leggi regionali che avevano determinato propri valori-limite, al di fuori quindi di un quadro nazionale unitario, poi dichiarate illegittime dalla Corte costituzionale (sentenza n. 307 del 2003) che ha chiarito che “il sistema complessivo delineato dalla legge-quadro in materia prevede che sia lo Stato competente a fissare i valori-soglia in materia di emissioni elettromagnetiche, mentre le Regioni assumono un ruolo centrale nella determinazione della disciplina dell'uso del territorio in funzione della localizzazione degli impianti”.
Si ricorda, infine, che l’art. 23 del DL n. 185/2008[20] reca norme per la detassazione di microprogetti di arredo urbano o di interesse locale operati dalla società civile nello spirito della sussidiarietà.
10. Per favorire il riequilibrio anagrafico nonché promuovere e valorizzare le nascite nei comuni di cui al comma 2 del presente articolo, il Governo è autorizzato ad apportare all'articolo 30 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, le modifiche e le integrazioni necessarie a prevedere che i genitori residenti nei comuni di cui al medesimo comma 2 possano richiedere, all'atto della dichiarazione resa nei termini e con le modalità previsti dal citato articolo 30, che la nascita dei figli sia acquisita agli atti dello stato civile come avvenuta nel comune di propria residenza, anche qualora essa si sia verificata in un altro comune, purché ricompreso nel territorio della medesima regione.
Il comma 10, con l’obiettivo di favorire il riequilibrio anagrafico nei piccoli comuni[21], autorizza il Governo a novellare l’art. 30, relativo alla dichiarazione di nascita, del D.P.R. 396/2000[22], sull’ordinamento dello stato civile.
La disposizione in esame pone il principio secondo il quale ai genitori residenti in un comune di popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti è attribuita la facoltà di dichiarare all’ufficiale dello stato civile il proprio figlio come nato non già nel comune effettivo di nascita ma in quello di residenza dei genitori stessi, ancorché diverso dal primo. L’ulteriore condizione per avvalersi di tale possibilità è che i due comuni in questione (quello effettivo di nascita e quello di residenza dei genitori) ricadano nel territorio della stessa regione.
Si osserva che il D.P.R. 396/2000 è un regolamento di delegificazione. La materia della revisione e semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, infatti, è stata delegificata ai sensi del comma 12 dell’articolo 2 della legge 127/1997[23], il quale, a sua volta, rinvia alla procedura di cui all’articolo 17, comma 2, della legge 400/1988[24] per l’emanazione dei regolamenti delegificanti.
La disposizione in esame pone dunque una nuova norma regolatrice della materia che il Governo è chiamato a recepire nel regolamento di cui al D.P.R. 396/2000.
I regolamenti di delegificazione, previsti dall’articolo 17, comma 2, della legge 400/1988 possono essere adottati nelle materie non coperte da riserva assoluta di legge, rispetto alle quali le leggi, autorizzando l'esercizio della potestà regolamentare, determinano le norme generali di regolazione della materia stessa nonché l'abrogazione delle norme vigenti, a decorrere dall'entrata in vigore delle disposizioni regolamentari stesse.
La legge condiziona la legittimità dei regolamenti di delegificazione alla presenza dei seguenti requisiti:
§ l'assenza di riserva assoluta di legge;
§ l'autorizzazione legislativa all'esercizio della potestà regolamentare;
§ la determinazione delle norme generali regolatrici della materia;
§ la contestuale abrogazione delle norme vigenti con effetto dall'entrata in vigore delle norme regolamentari;
§ per i soli regolamenti di organizzazione previsti dal comma 4-bis, l'osservanza dei principi indicati nel comma stesso.
Al Senato è stata presentata la proposta di legge S. 326[25], volta ad attribuire ad entrambi o ad uno dei genitori la facoltà di indicare nella dichiarazione di nascita del bambino, un luogo elettivo invece di quello effettivo ove la nascita è avvenuta. L’esame della proposta non è a tutt’oggi iniziato.
Va ricordato che nella XV legislatura la Commissione Giustizia del Senato ha esaminato tre progetti di legge[26] sull’istituzione del luogo elettivo di nascitadi contenuto analogo, senza pervenire alla loro approvazione. Anche nella XIV legislatura le Camere avevano affrontato la questione: in quel caso il Senato aveva approvato e trasmesso alla Camera un progetto di legge (A.C. 5795), il cui iter non è tuttavia giunto a conclusione.
11. All'articolo 135, comma 3, lettera d), del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «e, con particolare riferimento al territorio dei comuni con popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti».
Il comma in esame è finalizzato ad attribuire particolare rilevanza agli interventi di valorizzazione del paesaggio del territorio dei comuni con popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti.
Tuttavia la norma in esame si pone come novella di una disposizione che non esiste più nel testo vigente del d.lgs. n. 42/2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), per cui appare necessaria un’adeguata riformulazione.
Il testo dell’art. 135 cui fa riferimento la norma in esame è infatti quello precedente l’approvazione del d.lgs. n. 63/2008 (correttivo del Codice). In tale testo il comma 3, lettera d), prevedeva che i piani paesaggistici definissero per ciascun ambito specifiche prescrizioni e previsioni ordinate all'individuazione di altri interventi di valorizzazione del paesaggio, anche in relazione ai principi dello sviluppo sostenibile.
La novella prevista dal comma in esame aggiungerebbe a tale testo, se fosse ancora vigente, l’obbligo di tener in particolar considerazione il territorio dei comuni con popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti.
La lettera d) del comma 4 del vigente art. 135 dispone che, per ciascun ambito i piani paesaggistici definiscono apposite prescrizioni e previsioni ordinate in particolare alla individuazione delle linee di sviluppo urbanistico ed edilizio, in funzione della loro compatibilità con i diversi valori paesaggistici riconosciuti e tutelati, con particolare attenzione alla salvaguardia dei paesaggi rurali e dei siti inseriti nella lista del patrimonio mondiale dell'UNESCO.
Conseguentemente, una riformulazione in grado di mantenere le finalità del comma in esame potrebbe essere quella di novellare la lettera d) del comma 4 dell’art. 135 aggiungendo, infine, le parole “e del territorio dei comuni con popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti”.
1. Per garantire uno sviluppo sostenibile e un equilibrato governo del territorio, lo Stato, le regioni, le province, le unioni di comuni, le comunità montane e gli enti parco, per quanto di rispettiva competenza, assicurano, nei piccoli comuni, l'efficienza e la qualità dei servizi essenziali, con particolare riferimento all'ambiente, alla protezione civile, all'istruzione, alla sanità, ai servizi socio-assistenziali, ai trasporti e ai servizi postali.
2. Per i fini di cui al comma 1, presso i piccoli comuni possono essere istituiti centri multifunzionali nei quali concentrare una pluralità di servizi, quali i servizi ambientali, sociali, energetici, scolastici, postali, artigianali, turistici, di comunicazione, di volontariato e di associazionismo culturale, commerciali e di sicurezza. Le regioni e le province possono concorrere alle spese relative all'uso dei locali necessari all'espletamento dei predetti servizi. 3. Per lo svolgimento di attività funzionali alla sistemazione e alla manutenzione del territorio, i comuni possono stipulare convenzioni e contratti di appalto con gli imprenditori agricoli ai sensi dell'articolo 15 del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228, e successive modificazioni.
4. Nell'ambito delle finalità di cui al presente articolo, le regioni e le province possono privilegiare, nella definizione degli stanziamenti finanziari di propria competenza, le iniziative finalizzate all'insediamento nei piccoli comuni di centri di eccellenza per la prestazione dei servizi di cui al comma 2, quali istituti di ricerca, laboratori, centri culturali e sportivi.
L’articolo 4 è volto a promuovere interventi volti a garantire, nei piccoli comuni, l’efficienza e la qualità di attività e servizi essenziali, con l’obiettivo di fronteggiare la rarefazione di servizi al cittadino che si riscontra in tali realtà territoriali e che determina la condizione di “disagio insediativo” cui la proposta di legge intende porre rimedio.
A tal fine, il comma 1, con una disposizione di principio di carattere generale, demanda a una pluralità di enti (Stato, regioni, province, unioni di comuni, comunità montane ed enti parco) il compito di garantire, ciascuno secondo le rispettive competenze, che nei piccoli comuni siano assicurate la qualità e l’efficienza dei servizi essenziali, con particolare riguardo ai seguenti ambiti: ambiente, protezione civile, sanità, servizi socio-assistenziali, trasporti e servizi postali.
In riferimento ai “servizi essenziali” da garantire alle popolazioni locali, si osserva che la disposizione non ne fornisce una definizione precisa, limitandosi a richiamare alcune tipologie di servizi al cittadino che devono essere comunque assicurate da parte dei soggetti competenti.
Tale espressione potrebbe comunque essere messa in relazione con la formulazione dell’art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, che affida alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantite su tutto il territorio nazionale”, con ciò intendendo affidare allo Stato il compito di definire una soglia di uniformità, data da un insieme articolato di prestazioni che devono essere erogate dalle pubbliche amministrazioni in ogni territorio, onde evitare che le differenziazioni regionali possano determinare situazioni di disparità nel godimento dei diritti.
Nel comma 1 in esame vengono, inoltre, individuati – insieme come premesse e come finalità della suddetta disposizione di carattere generale – lo sviluppo sostenibile e l’equilibrato governo del territorio.
In attuazione delle predette finalità, il comma 2 prevede che presso i piccoli comuni possono essere istituiti centri multifunzionali nei quali concentrare una pluralità di servizi per i cittadini (quali servizi ambientali, energetici, scolastici, postali, artigianali, turistici, di comunicazione, di volontariato e di associazionismo culturale, commerciali e di sicurezza).
Tale soluzione, secondo quanto sostenuto nella relazione illustrativa della proposta di legge, consentirebbe, in una forma coerente con le peculiarità dei territori dei piccoli comuni, di mantenervi un’adeguata rete di servizi territoriali e commerciali, in tal modo aumentandone la vivibilità e le prospettive di rivitalizzazione economica.
La disposizione dà facoltà alle regioni e alle province di concorrere alle spese relative all'uso dei locali necessari all'espletamento dei predetti servizi.
Si segnala l’opportunità di definire ulteriormente il contenuto dell’espressione “servizi energetici” che, per la sua genericità e atecnicità, non consente di individuare una specifica prestazione erogabile ai cittadini.
Il comma 3, con una disposizione cheappare per la verità meramente confermativa di quanto già previsto dalla normativa vigente, prevede che i comuni possano stipulare con gli imprenditori agricoli le convenzioni e i contratti d’appalto previsti dalla vigente normativa sulla modernizzazione del settore agricolo, per lo svolgimento di attività volte alla cura e alla manutenzione del territorio.
In particolare, viene richiamato l’art. 15 del d.lgs. 228/2001[27] che autorizza le pubbliche amministrazioni ed i consorzi di bonifica[28] a stipulare tali convenzioni per favorire lo svolgimento di attività funzionali alla sistemazione ed alla manutenzione del territorio, alla salvaguardia del paesaggio agrario e forestale, alla cura ed al mantenimento dell'assetto idrogeologico e per promuovere prestazioni a favore della tutela delle vocazioni produttive del territorio.
Ai sensi del secondo comma del richiamato art. 15, le prestazioni delle pubbliche amministrazioni, che devono essere definite nelle stesse convenzioni, possono consistere, nel rispetto della normativa comunitaria in materia di aiuti di Stato all'agricoltura, anche in finanziamenti, concessioni amministrative, riduzioni tariffarie o realizzazione di opere pubbliche.
Per le stesse finalità le pubbliche amministrazioni, in deroga alle norme vigenti, possono stipulare contratti d'appalto con gli imprenditori agricoli[29] diimporto annualenon superiore a 50 mila euro nel caso di imprenditori singoli, e 300 mila euro nel caso di imprenditori in forma associata[30].
A norma del comma 4, infine, le regioni e le province, nel definire gli stanziamenti finanziari di propria competenza, possono privilegiare, con finalità promozionale, le iniziative volte a insediare nei territori dei piccoli comuni centri di eccellenza nel campo dei servizi di cui al comma 2 (quali, ad esempio, laboratori di ricerca, centri culturali e sportivi).
1. Il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali può favorire, sentite le associazioni rappresentative degli enti locali e le organizzazioni maggiormente rappresentative delle categorie produttive interessate, la promozione e la commercializzazione, eventualmente anche mediante un apposito portale telematico, dei prodotti agroalimentari tradizionali, che utilizzano in particolare prodotti primari tipici locali dei piccoli comuni, anche associati, di cui al decreto del direttore generale delle politiche agricole ed agroindustriali nazionali del Ministero delle politiche agricole e forestali 18 luglio 2000, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 194 del 21 agosto 2000, e successive revisioni.
2. I piccoli comuni possono indicare nella cartellonistica ufficiale i rispettivi prodotti agroalimentari tipici o locali, preceduti dalla dicitura: «Territorio di produzione del ...» posta sotto il nome del comune e scritta in caratteri minori rispetto a quelli di quest'ultimo.
3. Per la valorizzazione dei prodotti agroalimentari tradizionali, per la promozione delle vocazioni produttive del territorio e la tutela delle produzioni di qualità e delle tradizioni alimentari e culturali locali, per la salvaguardia, l'incremento e la valorizzazione della fauna selvatica locale, nonché per il sostegno della promozione e della commercializzazione dei prodotti in forma coordinata tra le imprese agricole e le imprese di produzione agroalimentare, i piccoli comuni, singoli o associati, possono stipulare contratti di collaborazione con gli imprenditori agricoli ai sensi dell'articolo 14 del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228.
4. Ai fini di cui all'articolo 10, comma 8, della legge 21 dicembre 1999, n. 526, e successive modificazioni, nel territorio dei piccoli comuni gli esercizi di somministrazione e di ristorazione possono essere considerati consumatori finali.
L’articolo 5 detta norme per la valorizzazione nei piccoli comuni dei prodotti agroalimentari tradizionali o tipici che presentino particolari legami con il territorio.
Le disposizioni prevedono che il dicastero agricolo favorisca le iniziative di promozione e valorizzazione (anche attraverso un apposito portale telematico) dei prodotti tradizionali che utilizzino prodotti tipici dei piccoli comuni (comma 1), che i piccoli comuni possano indicare nella cartellonistica ufficiale che il proprio territorio è luogo di produzione di un determinato prodotto tipico o locale (comma 2), che i piccoli comuni, anche associati, possano stipulare contratti di collaborazione con gli imprenditori agricoli nelle forme previste dall’art. 14 del D.lgs. n. 228/01 (comma 3).
Infine si prevede (comma 4) che gli esercizi di somministrazione e di ristorazione localizzati nei piccoli comuni possano essere considerati “consumatori finali” ai fini di cui all’art. 10, comma 8 della legge n. 526/99 e quindi utilizzare nella loro attività gli alimenti tipici per i quali siano ammesse deroghe alla normativa comunitaria sull’igiene degli alimenti. Una disposizione analoga, riferita all’àmbito della provincia della zona di produzione, è già stata introdotta nel citato art. 10, comma 8 della legge n. 526/1999 con l’art. 4 del decreto legislativo n. 99/2004.
L’articolo 10, commi 7 e 8, della legge n. 526/1999 (Legge comunitaria 1999) ha dettato una disciplina speciale per i prodotti che richiedono “metodi di lavorazione e locali, particolari e tradizionali, nonché recipienti di lavorazione e tecniche di conservazioni essenziali per le caratteristiche organolettiche del prodotto” non conformi alla disciplina comunitaria e nazionale sull’igiene degli alimenti[31]. Per tali prodotti di nicchia, che per conservare le proprie caratteristiche organolettiche originali non possono sottostare integralmente al sistema di controllo HACCP adottato ai sensi delle norme comunitarie, il comma 7 pone un divieto generale sia di esportazione che di commercializzazione, disponendo nel contempo una deroga per i soli prodotti tradizionali individuati ai sensi dell’articolo 8 del decreto legislativo n. 173 del 1998[32], che debbono presentare metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura il cui uso risulti consolidato dal tempo. I prodotti alimentare con “caratteristiche tradizionali” hanno trovato pieno riconoscimento anche nell’ambito delle disposizioni comunitarie con l’art. 7 del Reg. (CE) 5 dicembre 2005, n. 2074/2005, che definisce tali i prodotti che, nello Stato membro in cui sono tradizionalmente fabbricati, sono:
a) storicamente riconosciuti come prodotti tradizionali; o
b) fabbricati secondo riferimenti tecnici codificati o registrati al processo tradizionale o secondo metodi di produzione tradizionali; o
c) protetti come prodotti alimentari tradizionali dalla legislazione comunitaria, nazionale, regionale o locale.
Per tali prodotti gli Stati membri possono concedere agli stabilimenti di produzione deroghe rispetto ai requisiti igienici relativi sia ai locali di stagionatura, sia agli strumenti ed attrezzature utilizzati.
Per gli altri prodotti che è possibile definire tipici, non compresi fra quelli tradizionali e non rispettosi della normativa di derivazione comunitaria in materia di igiene, il comma 8 prevede una seconda deroga, seppure più limitata, autorizzandone la sola vendita diretta nell’ambito del territorio provinciale di produzione, che “non costituisce commercializzazione”.
Rientra nella definizione di vendita diretta quella effettuata, anche per via telematica, dal produttore e da consorzio fra produttori (ovvero da organismi e associazioni di promozione degli alimenti tipici) al consumatore finale, dovendosi considerare tali, ai sensi dell’ultimo periodo del comma 8 introdotto dall’articolo 4 del decreto legislativo n. 99 del 2004, anche gli esercizi di somministrazione e di ristorazione[33].
In merito la legge n. 287/91 definisce attività di somministrazione al pubblico di alimenti e di bevande la vendita per il consumo sul posto, che comprende tutti i casi in cui gli acquirenti consumano i prodotti nei locali dell’esercizio, o in una superficie aperta al pubblico, allo scopo attrezzati.
Relativamente ai contratti di collaborazione menzionati dal comma 3 dell’articolo in commento, l’articolo 14 del D.lgs. n. 228/01 [34]prevede che possano essere conclusi tra le pubbliche amministrazioni e gli imprenditori agricoli, anche su richiesta delle organizzazioni professionali agricole maggiormente rappresentative a livello nazionale, per la promozione delle vocazioni produttive del territorio e la tutela delle produzioni di qualità e delle tradizioni alimentari locali. I contratti di collaborazione sono destinati ad assicurare il sostegno e lo sviluppo dell'imprenditoria agricola locale, anche attraverso la valorizzazione delle peculiarità dei prodotti tipici, biologici e di qualità, anche tenendo conto dei distretti agroalimentari, rurali e ittici. Al fine di assicurare un'adeguata informazione ai consumatori e di consentire la conoscenza della provenienza della materia prima e della peculiarità delle produzioni, le pubbliche amministrazioni, nel rispetto degli Orientamenti comunitari in materia di aiuti di Stato all'agricoltura, possono inoltre concludere contratti di promozione con gli imprenditori agricoli che si impegnino nell'esercizio dell'attività di impresa ad assicurare la tutela delle risorse naturali, della biodiversità, del patrimonio culturale e del paesaggio agrario e forestale.
Merita ricordare infine che tra le iniziative promosse dal MIPAF per la promozione del “made in Italy” agroalimentare vi è la creazione nel 2003 del portale “Naturalmente italiano” (affidato alla gestione di ISMEA), il quale fornisce informazioni sui prodotti di qualità, gli itinerari enogastronomici, manifestazioni ed eventi, nonché servizi alle imprese (guide all’esportazione, informazioni di mercato e strategie di marketing).
Il portale è provvisto di un database dei prodotti agroalimentari italiani, con informazioni per gli utenti su etichette, itinerari enogastronomici ed eventi. Il sito fornisce inoltre, per ogni prodotto presentato al suo interno, una carta d’identità completa, che include i dati economici sul prodotto e la banca dati delle aziende produttrici; la sezione “servizi alle aziende” presenta guide all'esportazione e contiene informazioni di mercato.
1. I progetti informatici riguardanti i piccoli comuni, in forma singola o associata, conformi ai requisiti prescritti dalla legislazione vigente nazionale e comunitaria, hanno la precedenza nell'accesso ai finanziamenti pubblici per la realizzazione dei programmi di e-government. In tale ambito sono prioritari i collegamenti informatici dei centri multifunzionali di cui all'articolo 4, comma 2, e le iniziative che prevedono l'associazione nei Centri di servizio territoriali (CST).
2. Il Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione, nell'individuare le specifiche iniziative di innovazione tecnologica per i comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti ai sensi della lettera g) del comma 2 dell'articolo 26 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, indica prioritariamente quelle riguardanti i piccoli comuni, in forma singola o associata
L’articolo 6 intende agevolare la realizzazione dei progetti informatici riguardanti i piccoli comuni, sia singolarmente, sia in forma associata. Infatti, si prevede che tali progetti abbiano la precedenza nell’assegnazione dei finanziamenti pubblici destinati ai programmi di e-government (comma 1).
Inoltre, si prevede una ulteriore priorità in quanto si dovranno privilegiare, tra i progetti dei piccoli comuni, quelli relativi ai collegamenti informatici dei centri multifunzionali e le iniziative che prevedono l’associazione nei Centri di servizio territoriali (CST).
Per quanto riguarda i centri multifunzionali, si tratta delle strutture destinate all’esercizio di una pluralità di servizi essenziali delineate dall’art. 4, comma 2 (vedi supra).
La costituzione dei Centri di Servizio Territoriale (CST) è un’iniziativa avviata dal CNIPA - Centro Nazionale per l’Informatica nella Pubblica Amministrazione per portare l’e-government anche nei piccoli comuni, con l’obiettivo di migliorare la qualità dei servizi offerti a cittadini e imprese, grazie all’attuazione di economie di scala e di scopo connesse all’erogazione in forma associata di servizi tecnologicamente avanzati. L’origine dei CST è da rinvenirsi nel documento approvato il 27 novembre 2003 dalla Conferenza Stato Regioni, città e autonomie locali, L’e-government nelle Regioni e negli Enti locali: seconda fase di attuazione[35].
La terza linea di azione del documento ha come obiettivo l’avvio di attività di sostegno a favore dei piccoli comuni, per garantirne la partecipazione piena ai processi di innovazione dell’e-government. La linea di azione (denominata L’inclusione dei piccoli comuni nell’attuazione dell’e-government) prevede di favorire la cooperazione e l’associazione dei comuni “piccoli” e “medio-piccoli”, al fine di costituire Centri di servizio territoriali (CST). Tali strutture di servizio sovra-comunali avranno, ove costituite, il compito di avviare i processi di e-government, garantendone la gestione e fornendo alle amministrazioni partecipanti le risorse umane e tecnologiche necessarie.
Le iniziative in materia sono state cofinanziate dal CNIPA nell’ambito della fase 2 del piano nazionale di e-government. Nel settembre 2005 il CNIPA ha pubblicato un avviso[36] (G.U. n. 213, allegato 1) per stimolare la costituzione dei CST, con lo scopo di selezionare le aggregazioni di comuni che, per modello associativo e struttura organizzativa, fossero le più probabili erogatrici di servizi ICT per i piccoli e medi comuni. Nel marzo 2008 il CNIPA ha predisposto un rapporto[37] in cui si dà ampiamente conto del processo di costituzione e di avvio dei CST.
Il comma 2 dell’articolo in esame affida al Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione il compito di individuare, tra i progetti destinati ai comuni inferiori ai 5.000 abitanti, quelli che hanno la precedenza sugli altri in quanto riguardanti i piccoli comuni[38].
La legge finanziaria per il 2003[39] ha istituito il Fondo per il finanziamento di progetti di innovazione tecnologica nelle pubbliche amministrazioni e nel Paese, con una dotazione iniziale di 100 milioni di euro e con l’obiettivo di favorire uno sviluppo coordinato e strategico delle nuove tecnologie. Nella realizzazione di tale obiettivo, un ruolo centrale è affidato al ministro per l’innovazione e le tecnologie, cui viene affidata la gestione del fondo. Tra le funzioni attribuite al ministro, oltre alla definizione delle modalità di funzionamento del fondo e la scelta dei progetti da finanziare, vi è anche quella di individuare specifiche iniziative per i comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti e per le isole minori (art. 26, co. 2, lett. g).
Da rilevare, inoltre, in relazione all’articolo in esame, la previsione dell’espressione del parere della Conferenza unificata Stato-regioni-città e autonomie locali per l’adozione dei provvedimenti concernenti i progetti di innovazione tecnologica che riguardano l’organizzazione e la dotazione tecnologica delle regioni e degli enti territoriali.
Nell’ambito delle politiche di innovazione tecnologica delle amministrazioni pubbliche (o politiche di e-government) un ruolo importante è svolto dalle iniziative relative alle autonomie territoriali. La prima fase di attuazione dell’e-government locale si è conclusa nell’aprile 2003 con il finanziamento di 134 progetti, per 500 milioni di euro complessivi, finalizzati principalmente all’erogazione di servizi pubblici in rete ai cittadini e le imprese.
La seconda fase ha preso avvio nel novembre 2003 con il documento del Ministro per l’innovazione e le tecnologie L’e-government nelle Regioni e negli Enti Locali: II fase di attuazione[40], approvato dalla Conferenza unificata il 27 novembre 2003.
La nuova fase prevede una serie di campi di intervento:
a) sviluppo dei servizi infrastrutturali locali e del sistema pubblico di connettività;
b) diffusione territoriale dei servizi per cittadini ed imprese (riuso);
c) inclusione dei piccoli comuni nell’attuazione dell’e-government;
d) avviamento di progetti per lo sviluppo della cittadinanza digitale (e-democracy);
e) campagne di comunicazione per la promozione dei servizi delle amministrazioni locali.
In particolare, il punto 3 ha l’obiettivo di adottare azioni di sostegno verso i piccoli comuni (quelli con meno di 5.000 abitanti) per garantirne la piena partecipazione al processo di innovazione dell’e-government. I piccoli comuni possono accedere ai finanziamenti non singolarmente, ma tramite la loro associazione in Centri di servizio territoriali (CST). Si tratta di strutture di servizio sovra-comunali aventi il compito di avviare e sostenere i processi di e-government, e di gestire i servizi in favore delle amministrazioni partecipanti[41].
1. Il Ministero delle comunicazioni può provvedere ad assicurare, mediante un'apposita previsione da inserire nel contratto di programma con il concessionario del servizio postale universale, l'effettivo svolgimento del servizio postale universale nei piccoli comuni.
2. L'amministrazione comunale può altresì stipulare apposite convenzioni, d'intesa con le organizzazioni di categoria e con la società Poste italiane Spa, affinché i pagamenti su conti correnti, in particolare quelli relativi alle imposte comunali, e i pagamenti dei vaglia postali nonché le altre prestazioni possano essere effettuati presso gli esercizi commerciali.
3. Il Ministero delle comunicazioni può provvedere, altresì, ad assicurare che nel contratto di servizio con la società concessionaria del servizio pubblico generale radiotelevisivo sia previsto l'obbligo di prestare particolare attenzione, nella programmazione televisiva pubblica nazionale e regionale, alle realtà storiche, artistiche, sociali, economiche ed enogastronomiche dei piccoli comuni e di garantire nei medesimi comuni un'adeguata copertura del servizio.
L’articolo 7 reca al comma 1 disposizioni volte a garantire l’erogazione dei servizi postali nei piccoli comuni: in particolare viene previsto che il Ministero delle comunicazioni (oraDipartimento per le Comunicazioni) provveda ad assicurare, mediante un’apposita previsione da inserire nel contratto di programma con il concessionario del servizio universale (attualmente, Poste italiane Spa) che gli sportelli postali siano attivi in tutti i piccoli comuni.
Il comma 2 riconosce all’amministrazione comunale la facoltà di stipulare altresì apposite convenzioni, d’intesa con le associazioni di categoria e con Poste italiane Spa, affinché il pagamento dei conti correnti – con particolare riguardo a quelli relativi ad imposte comunali e ai vaglia postali - e le altre operazioni possano essere effettuate presso gli esercizi commerciali presenti nel territorio comunale.
Si ricorda che la società Poste italiane Spa è stata costituita come società per azioni il 28 febbraio 1998, a seguito della delibera CIPE del 18 dicembre 1997, e le azioni sono state attribuite al Ministero del tesoro, bilancio e programmazione (oggi Ministero dell’economia e finanze) che esercita i diritti dell'azionista, d'intesa con il Ministero delle comunicazioni.
Giova segnalare che l’art. 53, comma 4, della legge n. 449 del 1997[42], stabilisce che, con il contratto di programma previsto dall'articolo 2, comma 23, della legge n. 662 del 1996[43], si potesse consentire all'Ente Poste italiane di stipulare nei comuni montani e in loro frazioni, contratti per l'affidamento dei propri servizi di sportello, anche a tempo parziale, a soggetti pubblici e privati, anche esercenti attività commerciale, operanti o che intendano operare in detti comuni o frazioni.
Inoltre, ai sensi dello stesso articolo 53, comma 3, lo Stato riconosce all'Ente Poste italiane un compenso collegato allo svolgimento di obblighi di servizio universale nel settore dei recapiti postali[44], prevedendo che per gli anni successivi l'importo fosse determinato nel contratto di programma da stipulare ai sensi dell'articolo 2, comma 23, della legge n. 662 del 1996.
Anche dopo la trasformazione dell’Ente Poste italiane in Spa, il contratto di programma è lo strumento che regola i rapporti tra lo Stato e la società, con particolare riferimento agli obblighi di servizio universale. In particolare, l’articolo 23, comma 2, del D.Lgs. n. 261 del 1999, recante attuazione della direttiva 97/67/CE concernente regole comuni per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali comunitari e per il miglioramento della qualità del servizio, ha disposto l’affidamento del servizio universale alla società Poste Italiane Spa per un periodo, comunque non superiore a quindici anni, da determinarsi dall'Autorità di regolamentazione, compatibilmente con il processo di liberalizzazione in sede comunitaria. In attuazione di tale norma, con D.M. 17 aprile 2000 – emanato dal Ministro delle comunicazioni, quale autorità di regolamentazione - è stata confermata la concessione per l’espletamento del servizio postale universale alla società Poste Italiane Spa per un periodo massimo di quindici anni, che potrà essere ridotto in relazione all’andamento del processo di liberalizzazione a livello comunitario.
Con riferimento, in particolare, alle esigenze dei piccoli comuni e dei comuni montani, si evidenzia che il D.Lgs. n. 384 del 2003, di recepimento della direttiva 2002/39/CE[45], ha precisato che il mantenimento delle prestazioni del servizio postale universale deve essere tale da garantire servizi adeguati oltre che in tutti i punti del territorio nazionale anche nelle situazioni particolari delle isole minori e delle zone rurali e montane.
Il tema della chiusura degli uffici postali in zone disagiate o periferiche è stata oggetto di numerosi atti di sindacato ispettivo nella passata legislatura. Il Governo, nel rispondere a tali atti, ha precisato che secondo la società Poste italiane la chiusura di un ufficio postale è una soluzione estrema che viene adottata quando i volumi di traffico, complessivamente sviluppati, sono particolarmente esigui e non appaiono suscettibili di incremento e soltanto nel caso in cui gli strumenti disponibili ed i criteri ed i parametri oggettivi di valutazione utilizzati, sempre legati alla specifica realtà territoriale - distanza da uffici postali limitrofi, dati di operatività attuale e potenziale, composizione della popolazione - evidenziano l'impraticabilità di altre soluzioni come l'apertura a giorni alterni, l'orario ridotto, l'utilizzazione dell'operatore polivalente che nell'arco della giornata svolge le diverse competenze (dal recapito all'attività di sportello). Secondo i dati in tali occasioni comunicati al Governo dalla società Poste italiane, solo un numero estremamente ridotto di uffici postali, compresi tra quelli che non coprono neppure i costi di gestione, pari al 10 per cento del totale, ha formato negli ultimi anni oggetto di decisioni di chiusura. al fine di poter assicurare un servizio continuo ed ininterrotto per tutta la durata dell'anno, nonché di mantenere l'impegno di assicurare l'apertura giornaliera di almeno un ufficio postale nell'ambito territoriale di ciascun comune, la chiusura ha riguardato i soli uffici postali in relazione ai quali, in considerazione dello specifico contesto e della reale vicinanza con altri uffici postali, la misura non avrebbero comportato rilevanti disagi per la clientela.
Si ricorda, poi, che Il Parlamento Europeo ha approvato, in secondo lettura, la direttiva che completa la liberalizzazione dei servizi postali a partire dal 1° gennaio 2011, (Dir. del 20-2-2008, n. 2008/6/CE,Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 97/67/CE per quanto riguarda il pieno completamento del mercato interno dei servizi postali comunitari) aprendo alla concorrenza gli invii di plichi di peso inferiore a 50 grammi.
Con la liberalizzazione degli invii di plichi di peso inferiore a 50 grammi, gli Stati membri non potranno concedere né mantenere in vigore "diritti esclusivi o speciali per l'instaurazione e la fornitura di servizi postali" (raccolta, smistamento, trasporto e distribuzione degli invii postali). L'apertura del mercato, come richiesto dal Parlamento europeo, avrà luogo a partire dal 1° gennaio 2011, due anni più tardi di quanto proposto in origine dalla Commissione. In ragione dell'adesione in fase avanzata al processo di riforma dei servizi postali, i nuovi Stati membri (eccetto Bulgaria, Estonia e Slovenia) avranno però la possibilità di prorogare tale data di ulteriori due anni (1° gennaio 2013) se lo ritengono opportuno. Lo stesso vale per Grecia e Lussemburgo, per tenere conto del fatto che si tratta di Stati "scarsamente popolati e di limitata superficie geografica che hanno caratteristiche specifiche tali da condizionare i servizi postali, o con una topografia particolarmente difficile, con un elevato numero di isole".D'altra parte, in considerazione della "natura eccezionale" di tale deroga, la direttiva prevede la possibilità di ricorrere a una clausola di reciprocità in forza alla quale, per un periodo limitato di tempo e per un numero limitato di servizi, sarà consentito agli Stati membri che hanno completato l'apertura dei loro mercati "di non concedere ai monopoli che operano in un altro Stato membro l'autorizzazione di operare sul loro territorio".La direttiva impone inoltre agli Stati membri di garantire la fornitura del servizio universale. Questo dovrà comprendere almeno la raccolta, lo smistamento, il trasporto e la distribuzione degli invii postali fino a 2 kg e dei pacchi postali fino a 10 kg (innalzabile fino a 20 kg), nonché i servizi relativi agli invii raccomandati e agli invii con valore dichiarato. Il servizio universale dovrà essere garantito come minimo per cinque giorni lavorativi a settimana. Fatte salve, tuttavia, le circostanze o le condizioni geografiche "eccezionali".
Per quanto riguarda l'effetto del recepimento della direttiva in Italia, il mercato si è aperto alla concorrenza di nuovi operatori, attraverso la graduale riduzione nel tempo dell'area di monopolio della società concessionaria Poste Italiane. Attualmente il consumatore può rivolgersi solo a Poste Italiane per inviare lettere che abbiano un peso fino a 50 grammi e che non siano connotati da servizi accessori (come il corriere espresso, che oltre alla maggiore rapidità, offre al cliente il ritiro a domicilio, il recapito nelle mani del cliente, la possibilità di cambiare destinazione o altri servizi personalizzati). In qualità di "Fornitore del Servizio Universale", Poste italiane è obbligata ad erogare su tutto il territorio nazionale il servizio postale base (universale): raccolta, trasporto, smistamento e distribuzione di invii postali fino a 2 Kg, raccolta, trasporto, smistamento e distribuzione di pacchi postali fino a 20 Kg, i servizi relativi agli invii raccomandati e agli invii assicurati. Per effetto delle direttive di liberalizzazione postale, accanto a Poste Italiane, anche altri operatori possono fornire servizi postali, sia nell'ambito del servizio universale, sia al di fuori dello stesso.
Con riferimento al comma 1 della norma in esame si ricorda che, ai sensi dell’art. 1 comma 7 del decreto legge 16 maggio 2008, n.85[46], le funzioni del Ministero delle comunicazioni, con le inerenti risorse finanziarie, strumentali e di personale, sono trasferite al Ministero dello sviluppo economico. Pertanto sembrerebbe maggiormente corretto sostituire il riferimento al “Ministero” con il richiamo al Dipartimento per le Comunicazioni presso il Ministero dello Sviluppo Economico.
In ordine alla formulazione del comma 2 dell’articolo 7, si osserva che non appare chiaro con quali soggetti l’amministrazione comunale possa stipulare apposita convenzione, anche ai fini della definizione dei rispettivi oneri e diritti.
Il comma 3 stabilisce che il Ministro delle comunicazioni provveda ad assicurare che nel contratto di servizio con la concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo sia previsto l’obbligo di prestare attenzione, nella programmazione televisiva nazionale e locale, alle realtà storiche, artistiche, sociali, economiche ed enogastronomiche dei piccoli comuni, garantendo nei medesimi comuni un'adeguata copertura del servizio.
Si ricorda che con il D.M. 6 aprile 2007 è stato approvato il nuovo contratto nazionale di servizio stipulato tra il Ministero delle comunicazioni e la RAI - Radiotelevisione italiana s.p.a. per il triennio 2007-2009. L’art. 2, comma 3, (Oggetto del contratto nazionale di servizio) individua quali compiti primari per l’attività della società concessionaria, la salvaguardia dell’identità nazionale, di quelle locali e delle minoranze linguistiche; l’evoluzione politica ed economica del Paese, i problemi del suo ammodernamento. L’art. 11 (Iniziative per la valorizzazione delle istituzioni e delle culture locali), al co. 3, prevede che la Rai si impegna ad assicurare le condizioni per la tutela delle minoranze linguistiche riconosciute nelle zone di loro appartenenza, assumendo e promuovendo iniziative per la valorizzazione delle lingue minoritarie presenti sul territorio italiano anche in collaborazione con le competenti istituzioni locali e favorendo altresì iniziative di cooperazione transfrontaliera. In particolare, al fine di valorizzare le lingue minoritarie presenti sul territorio italiano, in collaborazione con le competenti istituzioni locali, la Rai promuove la stipula di convenzioni, con oneri in tutto o in parte a carico degli enti locali interessati, in ambito regionale, provinciale o comunale, per programmi o trasmissioni giornalistiche nelle lingue ammesse a tutela, nell’ambito delle proprie programmazioni radiofoniche e televisive regionali.
In ordine alla formulazione del comma 3 si ricorda che, in virtù del sopra citato D.L. n.85/2008, al Dipartimento per le Comunicazioni è preposto un Sottosegretario al Ministero dello Sviluppo Economico con delega alle comunicazioni. Pertanto, il riconoscimento di funzioni al Ministero delle Comunicazioni, non conforme all’attuale assetto ministeriale, andrebbe meglio specificato o con l’assegnazione dei medesimi compiti al Ministero dello Sviluppo Economico ovvero con un diretto riferimento al Dipartimento per le Comunicazioni presso il Ministero dello Sviluppo Economico.
1. Le regioni e gli enti locali possono stipulare convenzioni con gli uffici scolastici regionali del Ministero della pubblica istruzione per finanziare il mantenimento in attività degli istituti scolastici statali aventi sede nei piccoli comuni, che dovrebbero essere chiusi o accorpati ai sensi delle disposizioni vigenti in materia.
2. Nel caso di chiusura o di accorpamento degli istituti scolastici aventi sede nei piccoli comuni, lo Stato e gli enti territoriali possono prevedere specifiche misure finalizzate alla riduzione del disagio degli utenti.
3. In deroga a quanto disposto dall'articolo 17, commi 20 e 21, della legge 15 maggio 1997, n. 127, le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, possono cedere a titolo gratuito a istituzioni scolastiche insistenti nei piccoli comuni personal computer o altre apparecchiature informatiche, quando siano trascorsi almeno due anni dal loro acquisto e l'amministrazione abbia provveduto alla loro sostituzione. Le cessioni sono effettuate prioritariamente in favore delle istituzioni scolastiche insistenti in aree montane e non costituiscono presupposto ai fini dell'applicazione dell'imposta sulle donazioni.
L’articolo 8 reca misure volte a sostenere le istituzioni scolastiche presenti nei piccoli comuni.
In particolare, i commi 1 e 2 si riferiscono alla rete scolastica, mentre il comma 3 riguarda la cessione di attrezzature utilizzabili nelle scuole.
Nello specifico, il comma 1 prevede che le regioni e gli enti locali possono stipulare convenzioni con gli uffici scolastici regionali per finanziare il mantenimento in attività degli istituti scolastici aventi sede nei piccoli comuni che, in base alle disposizioni vigenti, dovrebbero essere chiusi o accorpati.
Il comma 2 prevede che, nel caso di chiusura o accorpamento di istituti scolastici aventi sede nei piccoli comuni, lo Stato e gli enti territoriali possono prevedere specifiche misure volte a ridurre il disagio per gli utenti.
Al riguardo, è opportuno ricordare che al momento è in corso la procedura per il dimensionamento della rete scolastica prevista dall’art. 3 del d.l. n. 154 del 2008[47], che ha aggiunto i commi 4 – quater, quinquies e sexies all’art. 64 del d.l. n. 112 del 2008 (sul quale, si veda infra). In base a tali disposizioni, per l’a.s. 2009-2010 le regioni e gli enti locali assicurano, entro il 31 dicembre 2008, il dimensionamento delle istituzioni scolastiche nel rispetto dei parametri fissati dall'art. 2 del DPR n. 233/1998 (sul quale si veda infra). In ogni caso, per tale a.s. la consistenza numerica dei punti di erogazione dei servizi scolastici non deve superare quella relativa all’a.s. 2008/2009. Per gli anni scolastici 2010/2011 e 2011/2012, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca e il Ministro dell'economia e delle finanze, sentito il Ministro per i rapporti con le regioni, promuovono, entro il 15 giugno 2009, la stipula di un'intesa in sede di Conferenza unificata. In tale sede si provvede al monitoraggio dell'attuazione delle disposizioni richiamate che, per l’a.s. 2009-2010, è finalizzato anche all'adozione, entro il 15 febbraio 2009, degli eventuali interventi necessari per garantire il conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica.
L’articolo in questione è intervenuto dopo che l’articolo 64, comma 3, del decreto legge n. 112 del 2008[48], al fine di conferire al sistema scolastico maggiore efficacia ed efficienza, ha previsto l’adozione di un piano programmatico di interventi volti ad una maggiore razionalizzazione dell’utilizzo delle risorse umane e strumentali disponibili, seguito dalla emanazione di regolamenti di delegificazione. Tra i criteri ai quali ci si deve attenere nell’emanazione dei regolamenti, il successivo comma 4 ha indicato la definizione di criteri, tempi e modalità per l’azione di dimensionamento della rete scolastica prevedendo, nell’ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente, l’attivazione di servizi qualificati per la migliore fruizione dell’offerta formativa, nonché la possibilità che lo Stato, le regioni e gli enti locali prevedano misure finalizzate a ridurre il disagio degli utenti nel caso di chiusura o accorpamento di istituti scolastici localizzati nei piccoli comuni (lett f-bis e f-ter)[49].
Nel piano programmatico[50] - rilevato in premessa che il piano nel suo complesso individua un quadro organico di interventi e misure volti a realizzare contestualmente sia il riassetto della spesa pubblica, sia l’ammodernamento e lo sviluppo del sistema - è stato evidenziato che un intervento in materia di dimensionamento della rete scolastica si rende necessario in considerazione dello scostamento che si è registrato, negli anni, fra numero di alunni previsto dalle disposizioni vigenti perché alla scuola potesse essere riconosciuta l’autonomia e numero di alunni effettivo.[51].
Si reputa opportuno, a questo punto, evidenziare che la materia del dimensionamento della rete scolastica è stata regolata dal DPR n. 223/1998[52] che stabilisce, anzitutto, che il raggiungimento delle dimensioni ottimali delle istituzioni scolastiche ha la finalità di garantire l’efficace esercizio dell’autonomia prevista dall’art. 21 della legge n. 59/2007[53], oltre che di consentire il conseguimento degli obiettivi didattico-pedagogici programmati e di assicurare alle istituzioni scolastiche la capacità di confronto e interazione con il territorio di pertinenza.
Conseguentemente, prevede che l’autonomia amministrativa, organizzativa, didattica, nonché di ricerca e progettazione educativa, sia riconosciuta alle istituzioni scolastiche che raggiungono le dimensioni idonee a garantire l’equilibrio ottimale fra domanda di istruzione e organizzazione dell’offerta formativa.
In particolare, l’art. 2, comma 2, stabilisce che, per acquisire o mantenere la personalità giuridica, gli istituti devono avere, di norma, una popolazione compresa fra 500 e 900 unità (il successivo comma 4 individua gli elementi in base ai quali individuare la dimensione ottimale nel range fissato).
Alcune deroghe sono previste dal comma 3 che stabilisce che nelle piccole isole, nei comuni montani, nonché nelle aree geografiche contraddistinte da specificità etniche o linguistiche, gli indici di riferimento possono essere ridotti fino a 300 alunni per gli istituti comprensivi di scuola materna, elementare e media (ora: scuola dell’infanzia, scuola primaria e scuola secondaria di I grado) o per gli istituti di istruzione secondaria superiore (ora: istruzione secondaria di II grado) che comprendono corsi o sezioni di diverso ordine o tipo. Ulteriori deroghe sono previste dal comma 7, ai sensi del quale nelle province il cui territorio è montano per almeno un terzo, in cui le condizioni di viabilità siano disagevoli e gli insediamenti abitativi siano rarefatti, sono concesse deroghe automatiche agli indici di riferimento di cui al comma 2, anche sulla base di criteri preventivamente stabiliti dalle regioni, in sede di conferenza provinciale (sulla quale si veda infra).
Al fine di agevolare il conseguimento dell’autonomia, i commi 5 e 6 prevedono, per le scuole che non raggiungono gli indici di riferimento, l’unificazione orizzontale con le scuole dello stesso grado comprese nel medesimo ambito territoriale, ovvero l’unificazione verticale in istituti comprensivi.
Ai sensi dell’art. 3 del medesimo DPR n. 233/1998, i piani di dimensionamento delle istituzioni scolastiche sono definiti in conferenze provinciali di organizzazione della rete scolastica[54], nel rispetto degli indirizzi di programmazione e dei criteri generali preventivamente adottati dalle regioni (la competenza in materia di programmazione della rete scolastica è attribuita alle regioni dall’art. 138 del d.lgs. n. 112/1998[55]).
Ai sensi dell’art. 4, agli enti locali è attribuita ogni competenza in materia di soppressione, istituzione, trasferimento di sedi, plessi, unità delle istituzioni scolastiche che abbiano ottenuto l’autonomia. Tale competenza è esercitata su proposta e, comunque, previa intesa, con le istituzioni scolastiche interessate, nel rispetto delle competenze statali in materia di criteri e parametri per l’organizzazione della rete scolastica, di cui all’art. 137 del citato d.lgs. n. 112/1998.
Alla luce della ricognizione effettuata, occorre valutare l’opportunità di coordinare la disposizione del comma 1 con la normativa vigente, nonché, a fini di semplificazione della legislazione, l’opportunità di sopprimere il comma 2.
Il comma 3 dispone che le amministrazioni pubbliche possano cedere a titolo gratuito a istituzioni scolastiche insistenti nei piccoli comuni personal computer o altre apparecchiature informatiche, quando siano trascorsi almeno due anni dal loro acquisto e l’amministrazione abbia provveduto alla loro sostituzione.
La disciplina in commento è in deroga al procedimento di cessione dei beni e delle apparecchiature informatiche previsto dall’articolo 17, commi 20 e 21 della legge n. 127/1997, il quale consente l’alienazione a titolo gratuito di tali beni solo in secondo ordine.
Si tratta delle amministrazioni pubbliche di cui al comma 2 dell’articolo 1 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 [56].
Secondo tale disposizione, per amministrazioni pubbliche si intendono “tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300.
L’articolo 17, comma 20 e 21 della legge n. 127 del 1997[57], prevede che il valore dei beni e delle apparecchiature di natura informatica, anche destinati al funzionamento di sistemi informativi complessi, s'intende ammortizzato nel termine massimo di cinque anni dall'acquisto. Trascorso tale termine, il valore d'inventario s'intende azzerato, anche se i beni stessi risultino ancora suscettibili di utilizzazione [58].
I beni e le apparecchiature suddetti, qualora siano divenuti inadeguati per la funzione a cui erano destinati, sono alienati, ove possibile, a cura del Provveditorato generale dello Stato, secondo il procedimento previsto dall'articolo 35 del regio decreto 23 maggio 1924, n. 827. In caso di esito negativo del procedimento di alienazione, i beni e le apparecchiature stessi sono assegnati in proprietà, a titolo gratuito, a istituzioni scolastiche o ad associazioni o altri soggetti non aventi fini di lucro che ne abbiano fatto richiesta, ovvero sono distrutti, nel rispetto della vigente normativa in materia di tutela ambientale. Si ricorda in proposito che il procedimento generale di alienazione disciplinato dall’articolo 35 del R.D. n. 827/1924 è stato abrogato dall’articolo 12 del D.P.R. n. 13 febbraio 2001, n. 189, il quale ha provveduto a ridisciplinare la materia relativa all’alienazione di beni mobili dello Stato (art. 2 e ss.).
Hanno priorità come cessionari le istituzioni scolastiche insistenti in aree montane.
Le cessioni non costituiscono presupposto per l’applicazione dell’imposta sulle donazioni.
L'imposta sulle successioni e donazioni, già soppressa dagli articoli da 13 a 17 della legge 18 ottobre 2001, n. 383[59], è stata nuovamente introdotta nel sistema dal comma 47 dell’art. 2, D.L. 3 ottobre 2006, n. 262[60].
Ai sensi dell’articolo 1 del d.lgs. 31 ottobre 1990 n. 346 (Testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta sulle successioni e donazioni), l’imposta si applica ai trasferimenti di beni e diritti per successione a causa di morte ed ai trasferimenti di beni e diritti per donazione o altra liberalità tra vivi.
Si ricorda tuttavia che l’articolo 3, comma 1 del Testo unico esenta dall’imposta i trasferimenti a favore dello Stato, delle regioni, delle province e dei comuni, nonché a favore di enti pubblici e di fondazioni o associazioni legalmente riconosciute, che hanno come scopo esclusivo l'assistenza, lo studio, la ricerca scientifica, l'educazione, l'istruzione o altre finalità di pubblica utilità, nonché quelli a favore delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale (O.N.L.U.S.) e a fondazioni disciplinate e previste dal decreto legislativo emanato in attuazione della legge 23 dicembre 1998, n. 461[61]
I trasferimenti a favore di enti pubblici e di fondazioni o associazioni legalmente riconosciute, diversi da quelli indicati nel comma 1 testé commentato, non sono soggetti all'imposta se sono stati disposti per le finalità di cui allo stesso comma. In tale ipotesi (articolo 3, comma 3 del TU) il beneficiario deve dimostrare, entro cinque anni dall'accettazione dell'eredità o della donazione o dall'acquisto del legato, di avere impiegato i beni o diritti ricevuti o la somma ricavata dalla loro alienazione per il conseguimento delle finalità indicate dal testatore o dal donante. In mancanza di tale dimostrazione esso è tenuto al pagamento dell'imposta con gli interessi legali dalla data in cui avrebbe dovuto essere pagata.
Sembrerebbe dunque evincersi che le istituzioni scolastiche siano già esenti dal pagamento dell’imposta sulle donazioni, alla luce dell’espressa previsione di cui al citato articolo 3, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 346 del 1990.
1. Gli artigiani residenti nei piccoli comuni possono mostrare e vendere i loro prodotti, anche in deroga alle disposizioni vigenti in materia di autorizzazioni commerciali e artigianali, in apposite aree e per non più di quattro giorni al mese. I comuni competenti individuano annualmente le aree a ciò deputate e i giorni in cui è consentita la vendita.
2. I piccoli comuni possono deliberare l'apertura degli esercizi commerciali nei giorni festivi anche in deroga alle disposizioni vigenti in materia.
Il comma 1 dell'articolo 9 stabilisce il principio in base al quale gli artigiani che risiedono nei piccoli comuni possono esporre e vendere i loro prodotti, anche in deroga alle disposizioni vigenti in materia di autorizzazioni commerciali e artigianali, in apposite aree e per non più di quattro giorni al mese. Le aree e i giorni in cui è consentita la vendita vengono individuate annualmente dagli stessi comuni.
Anche se la formulazione della norma potrebbe prestarsi, sul piano letterale, a diversa interpretazione, il presupposto per l'applicazione della disposizione in esame sembrerebbe rappresentato non solo dalla circostanza che l'artigiano risieda in un piccolo comune, ma anche che in tale comune svolga la propria l'attività.
Si ricorda che ai sensi dell'articolo 43 del codice civile il domicilio è il luogo in cui una persona ha stabilito la sede principale dei suoi affari ed interessi. La residenza è il luogo in cui la persona ha la dimora abituale.
Al riguardo, andrebbe valutata l'opportunità di estendere l'applicazione della norma anche agli artigiani che sebbene non residenti, svolgono la propria attività in un piccolo comune.
Il comma 2 autorizza i piccoli comuni a deliberare l'apertura degli esercizi commerciali nei giorni festivi anche in deroga alle disposizioni vigenti in materia.
Al riguardo, si osserva che la normativa vigente in materia già attribuisce ai comuni la competenza prevista dalla disposizione in esame.
Pertanto, andrebbe chiarito qual è il profilo innovativo della disposizione in esame.
Va inoltre osservato, con riferimento al complesso dell’articolo in esame, che la normativa commerciale è di competenza regionale. Occorre valutare, pertanto, la possibilità che residua allo Stato, sotto il vigore del nuovo titolo V della Costituzione, di derogare a disposizioni che potrebbero essere anche regionali, in una materia di competenza regionale.
Il d.lgs. 31 marzo 1998, n. 114 (c.d. “decreto Bersani”) adottato in attuazione della delega conferita dall’articolo 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59 (legge c.d. “Bassanini-uno”), ha profondamente innovato, in un’ottica di liberalizzazione e semplificazione, la disciplina del commercio risalente al 1971, rimettendo all’autonomia delle regioni la definizione di buona parte della disciplina attuativa e applicativa.
Il provvedimento ha modulato su nuove basi il rapporto tra programmazione commerciale e pianificazione territoriale, coinvolgendo in modo diretto e diffuso, all’interno di un articolato quadro di competenze, regioni e comuni.
Le nuove norme affidano, infatti, alle regioni il compito di disciplinare l’insediamento delle attività commerciali, con l’obiettivo di favorire la realizzazione di una efficiente rete distributiva nel rispetto dei vincoli urbanistici e della tutela dei centri storici.
Con particolare riferimento agli orari di vendita (artt. 11, 12 e 13), si riconosce all'esercente la facoltà di stabilire liberamente il proprio orario giornaliero di vendita nel rispetto dei criteri emanati dai comuni, sentite le organizzazioni locali dei consumatori, delle imprese del commercio e dei lavoratori dipendenti.
Gli esercizi commerciali di vendita al dettaglio possono restare aperti al pubblico in tutti i giorni della settimana tra le ore sette e le ore ventidue. In questo ambito l'orario di apertura e chiusura è libero, salvo il limite delle tredici ore giornaliere. Si prevede un obbligo di comunicazione al pubblico dell'orario di effettiva apertura e chiusura del proprio esercizio mediante cartelli o altri mezzi idonei di informazione. Gli esercizi di vendita al dettaglio osservano la chiusura domenicale e festiva dell'esercizio e, nei casi stabiliti dai comuni, sentite le organizzazioni di categoria e i sindacati, la mezza giornata di chiusura infrasettimanale. Il comune, sentite le organizzazioni di categoria e i sindacati, individua i giorni e le zone del territorio nei quali gli esercenti possono derogare all'obbligo di chiusura domenicale e festiva. Detti giorni comprendono comunque quelli del mese di dicembre, nonché ulteriori otto domeniche o festività nel corso degli altri mesi dell'anno.
Nei comuni ad economia prevalentemente turistica, nelle città d'arte o nelle zone del territorio dei medesimi, gli esercenti determinano liberamente gli orari di apertura e di chiusura e possono derogare dall'obbligo della chiusura domenicale e festiva dell'esercizio e della mezza giornata di chiusura infrasettimanale.
1. Con specifico riferimento ai piccoli comuni, il servizio di erogazione dei carburanti costituisce servizio fondamentale.
2. Al fine di assicurare il servizio di cui al comma 1 nei piccoli comuni, i comuni, le province e le regioni, d'intesa con le associazioni degli esercenti gli impianti di distribuzione dei carburanti, possono prevedere specifiche agevolazioni.
L’articolo in esame stabilisce, al comma 1, che nei piccoli comuni il servizio di erogazione dei carburanti costituisce servizio fondamentale.
Sarebbe opportuno chiarire quali effetti normativi e applicativi discendano dalla configurazione dell’erogazione dei carburanti come “servizio fondamentale”.
Il comma 2 attribuisce ai comuni, alle province ed alle regioni, d'intesa con le associazioni degli esercenti gli impianti di distribuzione dei carburanti, la facoltà di prevedere specifiche agevolazioni al riguardo.
Si osserva che la norma (statale) in esame fissa vincoli procedurali (fra cui l’intesa con le associazioni degli esercenti) all’esercizio eventuale dell’attività normativa regionale in una materia di competenza esclusiva delle regioni.
La normativa nazionale che ha riformato il settore, con gli obiettivi di razionalizzazione e liberalizzazione del settore, è costituita principalmente:
§ dal decreto legislativo 11 febbraio 1998, n. 32, recante razionalizzazione del sistema di distribuzione dei carburanti, a norma dell'articolo 4, comma 4, lettera c), della legge 15 marzo 1997, n. 59;
§ dal D.L. 29 ottobre 1999, n. 383, recante disposizioni urgenti in materia di accise sui prodotti petroliferi e di accelerazione del processo di liberalizzazione del relativo settore, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 dicembre 1999, n. 496.
§ dall’articolo 19 della legge n. 57/01 (Disposizioni in materia di apertura e regolazione dei mercati) che ha previsto l’adozione da parte del Ministro dell’industria, d’intesa con la Conferenza unificata, di un Piano nazionale contenente le linee guida per l’ammodernamento del sistema di distribuzione dei carburanti in coerenza con il quale le regioni sono state chiamate a provvederanno alla redazione di piani regionali sulla base di precisi indirizzi. Il Piano è stato approvato con il DM 31 ottobre 2001;
§ dal DL 112/2008 recante Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria, convertito, con modificazioni,dalla legge 6 agosto 2008, n. 133. Il decreto-legge all’articolo 83 bis, commi da 17 a 22, reca disposizioni volte a liberalizzare l’attività di distribuzione dei carburanti (disciplinata dal D.Lgs. 32/98). La norma vieta la subordinazione dell’attività di installazione ed esercizio degli impianti di distribuzione alla chiusura di impianti esistenti e al rispetto di vincoli relativi a contingentamenti numerici, distanza minima tra impianti e tra impianti ed esercizi o superfici minime commerciali, o concernenti limitazioni od obblighi relativamente all’offerta di attività e servizi integrativi nello stesso impianto o nella medesima area. Reca, inoltre, modifiche agli artt. 7 e 1, del D.Lgs. 32/98 concernenti, rispettivamente:
- l’esercizio della facoltà per il gestore dell’impianto di aumentare l’orario massimo di servizio fino al 50% dell’orario minimo stabilito, nonché di definire autonomamente la modulazione dell’orario e dei periodi di riposo previa comunicazione al comune, che non viene più subordinata alla chiusura di almeno 7000 impianti (come attualmente previsto);
- la redazione della perizia giurata (che correda l’autocertificazione inviata al comune con la domanda di autorizzazione all'installazione e all'esercizio di impianti di distribuzione) da parte di un ingegnere o altro tecnico competente per la sottoscrizione del progetto, il quale deve essere in possesso dell’abilitazione secondo le norme comunitarie (in luogo dell’iscrizione al relativo albo professionale attualmente prevista).
La norma prevede anche il coinvolgimento delle regioni e delle province autonome nel miglioramento della rete distributiva e nella diffusione di carburanti eco-compatibili, demandando al Ministro dello sviluppo economico la determinazione dei criteri di vettoriamento del metano per autotrazione attraverso le reti di trasporto e distribuzione del gas naturale, entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge.
1. Le regioni possono prevedere agevolazioni, anche in forma tariffaria, a favore dei piccoli comuni in cui la disponibilità di risorse idriche reperibili o attivabili sia superiore ai fabbisogni per i diversi usi.
L’articolo in esame attribuisce alle regioni la facoltà di prevedere agevolazioni, anche in forma tariffaria, a favore dei piccoli comuni, in cui la disponibilità di risorse idriche reperibili o attivabili sia superiore ai fabbisogni per i diversi usi.
Si ricorda che le norme vigenti in materia di servizio idrico integrato sono contenute nel d.lgs. n. 152/2006, in particolare negli articoli 147-158.
Delle norme citate si segnala, in quanto avente finalità analoga a quella della norma in commento (cioè agevolare i piccoli comuni), l’art. 148, comma 5, che, ferma restando l’obbligatorietà della partecipazione all’Autorità d’ambito di tutti gli enti locali, prevede il carattere facoltativo dell’adesione alla gestione unica del servizio idrico integrato per i comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti e inclusi nel territorio delle comunità montane, a condizione che gestiscano l'intero servizio idrico integrato, e previo consenso della Autorità d'ambito competente.
Si segnala altresì che le proposte di legge nn. 2 e 1951, in materia di tutela, governo e gestione pubblica delle acque e ripubblicizzazione del servizio idrico, attualmente all’esame della VIII Commissione (Ambiente), prevedono la modifica di numerose disposizioni in materia di servizio idrico integrato.
La disciplina del servizio idrico integrato è stata recentemente interessata dall’art. 23-bis del DL n. 112/2008 che ha previsto una nuova disciplina dei servizi pubblici locali. Tale articolo disciplina organicamente il settore dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, con l'intendimento di sostituire la normativa precedente (contenuta nell’art. 113 TUEL, di cui viene prevista l’aborgazione) anche settoriale. L'articolo prevede il principio della gara ma regola anche le situazioni in deroga, che "non permettono un efficace ed utile ricorso al mercato"; inoltre reca (al comma 10) un'ampia disposizione di delegificazione del settore.
1. Ai fini della concessione di incentivi fiscali in favore dei soggetti residenti nei piccoli comuni, nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze è istituito, a decorrere dall'anno 2009, un apposito fondo.
2. Le risorse del fondo di cui al comma 1, nei limiti di spesa di cui al comma 7, sono destinate alla copertura delle minori entrate derivanti:
a) da misure agevolative concernenti l'imposta comunale sugli immobili destinati ad abitazione principale o ad attività economiche, in relazione al corrispondente aumento dei trasferimenti o delle compartecipazioni a tributi erariali volti a compensare le minori entrate per i comuni;
b) da misure agevolative concernenti l'imposta di registro per l'acquisto di immobili destinati ad abitazione principale;
c) da premi di insediamento in favore di coloro che trasferiscono la propria residenza e dimora abituale da un comune con popolazione superiore a 5.000 abitanti a un piccolo comune, impegnandosi a non modificarla per un decenio.
3. Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze si provvede annualmente alla determinazione delle misure di cui al comma 2, lettera b), nei limiti del 30 per cento delle disponibilità del fondo di cui al comma 1.
4. Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze si provvede altresì annualmente all'individuazione dei criteri e delle modalità per la ripartizione delle risorse tra i comuni, ai fini della concessione delle agevolazioni di cui al comma 2, lettere a) e c).
5. Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze possono altresì essere stabiliti le modalità, i criteri e i limiti per il riconoscimento di un credito d'imposta, a valere sulle risorse del fondo di cui al comma 1 e nei limiti di spesa di cui al comma 7, per le persone fisiche e giuridiche che effettuano operazioni di sponsorizzazione in favore dei comuni di cui all'articolo 2, comma 1, indicati nell'elenco previsto dal comma 3 del medesimo articolo 2, per la salvaguardia e la valorizzazione dei comuni stessi, con particolare riferimento alle attività turistiche, artigianali, culturali, sportive, ricreative e sociali.
6. Gli schemi dei decreti di cui ai commi 3, 4 e 5 sono trasmessi alle Camere per il parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari.
7. Per la dotazione del fondo di cui al comma 1 è autorizzata la spesa di 10 milioni di euro a decorrere dell'anno 2009. Al relativo onere si provvede mediante corrispondente riduzione delle proiezioni per il medesimo anno dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2008-2010, nell'ambito del fondo speciale di parte corrente dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2008, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo Ministero.
8. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
L’articolo 12 istituisce e disciplinail Fondo per gli incentivi fiscali in favore dei soggetti residenti nei piccoli comuni.
Nel dettaglio, il comma 1 istituisce il Fondo, a decorrere dall’ano 2009, nello stato di previsione della spesa del Ministero dell’economia e delle finanze.
Il comma 2 stabilisce che le risorse del suddetto fondo, nel limite di 10 milioni di euro a decorrere dell’anno 2009, siano destinate alla copertura delle diminuzioni di entrata, derivanti dalle seguenti condizioni:
a) misure agevolative concernenti l’imposta comunale sugli immobili destinati ad abitazione principale[62] o ad attività economiche, in relazione al corrispondente aumento dei trasferimenti o delle compartecipazioni a tributi erariali volti a compensare le minori entrate per i comuni;
Per quanto attiene alle agevolazioni ICI sull’abitazione principale, si ricorda che l’articolo 1 del decreto-legge 27 maggio 2008, n. 93[63] ha disposto la totale esenzione dall’ICI per l’unità immobiliare adibita ad abitazione principale del soggetto passivo, ovvero per l’immobile in cui dimorano abitualmente il contribuente ed i suoi familiari, nonché le unità immobiliari assimilate all’abitazione principale dai regolamenti comunali.
L’esenzione si applica anche, a determinate condizioni, in favore del coniuge non assegnatario della casa coniugale a seguito di provvedimento di separazione, annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio; agli immobili delle cooperative edilizie, agli alloggi assegnati dagli IACP ed agli enti di edilizia residenziale pubblica purché adibiti ad abitazione principale.
L’esenzione non opera (comma 2) per gli immobili signorili, le ville ed i castelli, ai quali continua ad applicarsi solo la detrazione “ordinaria” di 103,29 euro su base annua (ai sensi dell’articolo 8, comma 2, del D.Lgs. n. 504 del 1992 , decreto che ha istituito e disciplinato l’imposta comunale sugli immobili)..
Inoltre, l’articolo 1, comma 5, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, consente ai comuni di stabilire aliquote agevolate anche inferiori al 4 per mille, a favore di proprietari che eseguano interventi volti al recupero di unità immobiliari inagibili o inabitabili o interventi finalizzati al recupero di immobili di interesse artistico o architettonico localizzati nei centri storici, ovvero volti alla realizzazione di autorimesse o posti auto anche pertinenziali oppure all'utilizzo di sottotetti. L’aliquota agevolata è applicata limitatamente alle unità immobiliari oggetto di detti interventi e per la durata di tre anni dall'inizio dei lavori.
Si rileva in proposito che sembrerebbe opportuno specificare il significato della locuzione “imposta comunale sugli immobili destinati […] ad attività economiche”, in quanto essa – alla luce delle agevolazioni ed esenzioni ICI disciplinate dal D.Lgs. n. 504 del 1992 e successive modificazioni – essa appare indeterminata.
La disposizione in commento, inoltre, non specifica la natura delle agevolazioni, limitandosi a prescrivere che esse debbano riguardare gli “immobili destinati ad abitazione principale o ad attività economiche”.
b) da ulteriori misure agevolative concernenti l'imposta di registro per l'acquisto di immobili destinati ad abitazione principale.
Le aliquote dell’imposta di registro, per gli atti traslativi a titolo oneroso, sono stabilite nell’articolo 1 della parte prima della tariffa allegata al relativo testo unico (DPR 26 aprile 1986, n. 131. In particolare, l’agevolazione fiscale per l’acquisto della c.d. “prima casa” è regolata dalla nota II-bis) all’art. 1 della tariffa - Parte prima.
Il regime agevolato si applica agli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di case di abitazione non di lusso e agli atti traslativi o costitutivi della nuda proprietà, dell'usufrutto, dell'uso e dell'abitazione relativi alle stesse. L'immobile deve essere ubicato nel territorio del comune in cui l'acquirente ha o intende stabilire la residenza (salvi i casi particolari precisati dallo stesso legislatore).
Si ricorda che la legge finanziaria per il 2007 (articolo 1, comma 306 della legge 29 dicembre 2006, n. 296) ha previsto l’applicazione dell’aliquota agevolata dell’1 per cento a tutti i programmi prevalentemente di edilizia residenziale convenzionata, senza riferimento al carattere pubblico o meno dei programmi stessi.
La legge finanziaria per il 2008 (articolo 1, il comma 25 della legge 24 dicembre 2007, n. 244) ha disposto l’applicazione dell’imposta di registro con aliquota all’1 per cento agli atti di trasferimento di immobili compresi in piani urbanistici particolareggiati diretti all’attuazione dei programmi di edilizia residenziale comunque denominati, a condizione che l’intervento cui è finalizzato il trasferimento venga completato entro cinque anni dalla stipula dell’atto.
Infine, l’articolo 1-quater il decreto legge 20 ottobre 2008, n. 158[64] ha stabilito che gli immobili sottoposti a procedura esecutiva immobiliare o concorsuale, con le caratteristiche di quelli facenti parte del patrimonio di edilizia residenziale pubblica – salvo le abitazioni di tipo signorile e abitazioni di tipo civile - occupati a titolo di abitazione principale da un mutuatario insolvente, possono essere ceduti in proprietà agli istituti autonomi case popolari, comunque denominati o trasformati, che li acquistano a valere su risorse proprie e senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, con le agevolazioni – anche fiscali - previste per l'acquisto della prima casa di abitazione, al fine di favorire la riduzione del disagio abitativo e la riduzione delle passività delle banche.
La disposizione qui commentata contempla quindi la possibilità che nel territorio dei comuni cui essa si applica possano essere fruite agevolazioni ulteriori rispetto a quelle già previste dalla disciplina legislativa dell’imposta di registro, da determinarsi con le modalità indicate nel successivo comma 3.
c) da premi di insediamento in favore di coloro che trasferiscono la propria residenza e dimora abituale da un comune con popolazione superiore a 5.000 abitanti a un piccolo comune, impegnandosi a non modificarla per un decennio.
Ai sensi del comma 3, le misure agevolative relative all’imposta di registro sono determinate annualmente con decreto del Ministro dell’economia e finanze, nei limiti del 30 per cento delle disponibilità del Fondo.
Dal combinato disposto del comma 2, lett. b) e del comma 3 dell’articolo in commento, sembra potersi evincere che, nel territorio dei comuni cui essa si applica, possano essere fruite agevolazioni ulteriori rispetto a quelle già previste dalla disciplina legislativa dell’imposta di registro, da determinarsi con le modalità indicate nel successivo comma 3.
Ai sensi del comma 4, il Ministro dell'economia e delle finanze individua annualmente, con proprio decreto, i criteri e le modalità di ripartizione delle risorse tra i comuni, per la concessione delle agevolazioni concernenti l’imposta comunale sugli immobili e dei premi di insediamento.
Il comma 5 istituisce, disciplinandolo, un credito di imposta a valere sulle risorse del fondo di cui al comma 1 e nei limiti di spesa di 10 milioni di euro (si veda in proposito il successivo comma 7), in favore delle persone fisiche e giuridiche che effettuano operazioni di sponsorizzazione in favore dei comuni con popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti, indicati nell’apposito elenco (per la cui formazione, si veda la scheda di lettura dell’articolo 2, comma 3), al fine di salvaguardare e valorizzare i comuni stessi, con particolare riferimento alle attività turistiche, artigianali, culturali, sportive, ricreative e sociali.
Si demanda infatti a un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze la fissazione delle modalità, dei criteri e dei limiti per il riconoscimento di tale credito d’imposta.
Il comma 6 dispone che gli schemi dei decreti sopra menzionati vengano inviati alle Camere per il parere dalle competenti Commissioni parlamentari, da esprimersi entro venti giorni dalla data di trasmissione.
Il comma 7 dota il Fondo per gli incentivi fiscali in favore dei soggetti residenti nei piccoli comunidi 10 milioni di euro a decorrere dell’anno 2009.
Con riferimento alla formulazione della copertura dell’onere in esame - che è previsto sia a valere sulle disponibilità del Fondo speciale di parte corrente iscritto nel bilancio di previsione presso il ministero dell’economia e finanze – essa andrebbe riformularla con riferimento al bilancio di previsione per il 2009.
Il comma 8 autorizza il Ministro dell’economia e delle finanze ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
1. Nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze è istituito, con una dotazione di 40 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008, 2009 e 2010, un fondo per la concessione di contributi statali destinati al finanziamento di interventi diretti a tutelare l'ambiente e i beni culturali, alla messa in sicurezza delle infrastrutture stradali e degli istituti scolastici, alla promozione dello sviluppo economico e sociale nei piccoli comuni e all'incentivazione dell'insediamento di nuove attività produttive e alla realizzazione di investimenti nei medesimi comuni.
2. All'individuazione delle tipologie degli interventi che possono essere finanziati a valere sulle risorse del fondo di cui al comma 1 si provvede con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.
3. Il Ministro dell'economia e delle finanze, con decreto adottato di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e con il Ministro per i beni e le attività culturali, provvede a individuare gli interventi destinatari dei contributi.
4. Lo schema di decreto di cui al comma 3 è trasmesso alle Camere per il parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari.
5. All'onere derivante dall'attuazione del comma 1, pari a 40 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008, 2009 e 2010, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2008-2010, nell'ambito del fondo speciale di conto capitale dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2008, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo Ministero.
6. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
Il comma 1 dell’articolo in esame dispone l’istituzione di un fondo per la concessione di contributi statali ai piccoli comuni destinati al finanziamento di interventi finalizzati a:
- tutelare l’ambiente ed i beni culturali;
- disporre la messa in sicurezza delle infrastrutture stradali e degli istituti scolastici;
- promuovere lo sviluppo economico e sociale;
- incentivare l’insediamento di nuove attività produttive e a realizzare investimenti.
Il predetto fondo è istituito nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze con una dotazione di 40 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008, 2009 e 2010.
Si osserva al riguardo che la dotazione dell’istituendo fondo andrebbe aggiornata al triennio 2009-2011.
Il comma 2 dispone che l’indicazione delle tipologie degli interventi che possono essere finanziati a valere sulle risorse del predetto fondo per la concessione di contributi statali destinati alle finalità sopra elencate sia effettuata con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.
I commi 3 e 4, inoltre, dispongono che, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, adottato di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e con il Ministro per i beni e le attività culturali, siano individuati gli interventi cui vengono destinati i predetti contributi statali. Lo schema del predetto decreto è trasmesso alle Camere per il parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili di carattere finanziario.
I commi 5 e 6 infine dispongono la copertura degli oneri indicati dalla norma, stimati in 40 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008, 2009 e 2010. Ad essi si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto ai fini del bilancio triennale 2008-2010, nell’ambito del fondo speciale di conto capitale dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per il 2008, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al medesimo Ministero.
Per le osservazioni riguardanti la suindicata copertura ed il relativo aggiornamento al triennio 2009-2011 si rinvia a quanto riportato nelle schede relative ai profili finanziari.
1. Salvo quanto previsto dagli articoli 12 e 13, all'attuazione della presente legge si provvede nei limiti delle risorse umane, finanziarie e strumentali già disponibili a legislazione vigente e senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
La norma dispone una clausola di invarianza della spesa prevedendo che, salvo quanto disposto dai precedenti articoli 12 e 13, all’attuazione delle norme in esame si provvede nei limiti delle risorse umane, finanziarie e strumentali che si presentano già disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Si vedano in proposito le osservazioni riportate nelle schede relative ai profili di carattere finanziario.
1. Al comma 2 dell'articolo 51 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Il limite di cui al presente comma non si applica ai sindaci dei comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti».
L’articolo 15 aggiunge un periodo al comma 2 dell’art. 51 del testo unico sugli enti locali, approvato con D.Lgs. 267/2000[65], al fine di rimuovere la limitazione al numero dei mandati consecutivi alla carica di sindaco per i comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti.
Il citato articolo 51, composto di tre commi, disciplina la durata del mandato del sindaco, del presidente della provincia e dei relativi consigli (comma 1), stabilendo una limitazione al numero dei mandati consecutivi alla carica di sindaco e di presidente della provincia (comma 2).
Secondo l’attuale disciplina, chi ha ricoperto per due mandati consecutivi la carica di sindaco e di presidente della provincia non è, allo scadere del secondo mandato, immediatamente rieleggibile alle medesime cariche (art. 51, comma 2[66]).
A tale limitazione è posta una deroga nel caso in cui, per causa diversa dalle dimissioni volontarie, uno dei due mandati precedenti abbia avuto durata inferiore a due anni, sei mesi e un giorno (art. 51, comma 3).
La ratio della disciplina illustrata è di solitamente rinvenuta nell’esigenza di bilanciare i nuovi e maggiori poteri riconosciuti al sindaco e al presidente di provincia dalla legge elettorale del 1993 (che ha introdotto l’elezione diretta del sindaco) rispetto a quelli delle giunte e dei consigli, attraverso un limite alla permanenza al potere.
Da parte della giurisprudenza, in particolare, la motivazione del divieto di rielezione al terzo mandato consecutivo è stata individuata nell’esigenza di favorire il ricambio ai vertici dell’amministrazione locale ed evitare la soggettivizzazione dell’uso del potere dell’amministrazione locale, in modo da spezzare il vincolo personale tra elettore ed eletto per sostituire alla personalità del comando l’impersonalità di esso ed evitare clientelismo (in questo senso la Corte di cassazione, I Sezione civile, nella sentenza 20 maggio 2006 n. 11895, tenuto conto anche dei lavori preparatori della legge 81/1993).
Alcune Regioni a statuto speciale hanno previsto, con differenti modalità, la possibilità di un terzo mandato dei sindaci. L’art. 1, comma 2-bis, della legge della regione Friuli-Venezia Giulia 13/1999[67] stabilisce che nei comuni con popolazione sino a 5.000 abitanti sono consentiti tre mandati consecutivi, e un quarto mandato se uno dei mandati precedenti ha avuto durata inferiore a due anni, sei mesi e un giorno, per causa diversa dalle dimissioni volontarie. L’art. 30-bis, comma 3, della L.R. Valle d’Aosta 54/1998[68] ammette la possibilità di un terzo mandato consecutivo per i sindaci dei comuni con popolazione sino a 15.000 abitanti e consente un quarto mandato consecutivo se uno dei tre mandati precedenti ha avuto durata inferiore a due anni, sei mesi e un giorno, per causa diversa dalle dimissioni volontarie. L’art. 5, comma 3, della L.R. Trentino-Alto Adige 3/1994[69] stabilisce che non è immediatamente rieleggibile alla carica di sindaco chi abbia espletato il mandato per tre volte consecutive; si considera mandato intero quello espletato per almeno trenta mesi.
La questione del “terzo mandato” dei sindaci e presidenti di provincia è stata affrontata dalle Camere nelle ultime legislature.
Nella XV legislatura. Il Senato ha esaminato alcuni disegni di legge di iniziativa parlamentare in materia senza pervenire, entro la fine della legislatura, all’approvazione di un testo.
Nel corso della XIV legislatura il tema del divieto di terzo mandato per i sindaci e i presidenti di provincia è stato oggetto di discussione in entrambi i rami del Parlamento.
In particolare, il Senato ha approvato il 31 marzo 2004 una proposta di legge che intendeva consentire la possibilità di un terzo mandato consecutivo per i sindaci di comuni con popolazione superiore a 3.000 abitanti. Tale provvedimento (divenuto poi A.C. 4870) non è però stato approvato dalla Camera dei deputati prima della fine della legislatura.
Infine, nella XIII legislatura sono state discusse alla Camera, senza essere approvate, alcune proposte di legge volte a rimuovere i vigenti limiti relativi allo svolgimento di più di due mandati consecutivi.
Nelle consultazioni del 2006 sono risultati eletti al terzo mandato venti sindaci[70] nonostante il limite posto dall’articolo 51, comma 2, del testo unico sugli enti locali.
Il Ministro dell’interno, con circolare n. 3/2007-UCO del 19 febbraio 2007[71], al fine di ripristinare il sostanziale rispetto della regola del divieto di terzo mandato consecutivo e per dare esecuzione alle pronunce del giudice di appello dichiarative della decadenza del sindaco, ha prescritto ai prefetti competenti di procedere, nei confronti dei sindaci in questione, facendo ricorso al disposto dell’art. 19 del R.D. n. 383/1934[72], mediante la nomina da parte del prefetto di un commissario per la provvisoria amministrazione dell’ente fino alle successive elezioni.
Nella circolare si afferma che “la percorribilità di tale rimedio trova supporto nella considerazione che l’ineleggibilità originaria riveste natura dichiarativa, sussistendo sin dall’origine del suo verificarsi e producendo perciò effetti ex tunc. La giurisprudenza ha evidenziato che detta ineleggibilità rappresenta causa ostativa all’espletamento del terzo mandato consecutivo.
Dalla accertata assenza del presupposto legittimante la carica di Sindaco deriva, in linea di stretta consequenzialità, l’illegittimità della composizione del consiglio, in virtù del vigente sistema elettorale di attribuzione dei seggi. Viene, inoltre, meno la legittimazione alla permanenza in carica della giunta e del vicesindaco in quanto le relative nomine, espressione del rapporto fiduciario con il sindaco, sono travolte dalla caducazione del presupposto unico e determinante. Caducazione acclarata con sentenza esecutiva del giudice d’appello.
Ne consegue l’impossibilita di funzionamento dell’ente, cui occorre porre rimedio assicurando la provvisoria gestione fino all’imminente rinnovo elettorale mediante la nomina di un commissario che espleti le funzioni del sindaco, della giunta e del consiglio”.
L’applicazione della procedura di commissariamento prevista dall’art. 19 del R.D. 383/1934 e sostenuta dal Ministero dell’interno è stata ritenuta corretta dal Consiglio di Stato (sentenza n. 5309 del 10 luglio-9 ottobre 2007).
Il Consiglio di Stato, dopo aver osservato che il divieto di elezione alla carica di sindaco al terzo mandato consecutivo è sfornito di sanzione specifica, ha ritenuto che “è proprio questa norma di chiusura [l’art. 19 del R.D. 383/1934] che garantisce un efficace controllo di legalità, che la procedura ex art. 70 TUEL (letto unitamente agli artt. 53 e 141 TUEL) non assicura pienamente.”, pertanto: “L’art. 19, comma 4, R.D. n. 383/1934 (non abrogato dall’art. 273 TUEL), in assenza di una specifica sanzione per l’ipotesi in esame, ben può, quindi, essere applicato nella fattispecie, una volta che sia divenuta esecutiva la sentenza del giudice ordinario che ha accertato la violazione dell’art. 51, comma 2, TUEL, rappresentando tale violazione una ‘ragione’ sufficiente che giustifica la nomina di un commissario prefettizio”.
Non risultano casi di elezione di sindaci al terzo mandato consecutivo nelle consultazioni amministrative del 2007 e del 2008.
Capo III -
Disposizioni concernenti le aree protette
(artt. 16-22)
Premessa
Normativa statale in materia di recupero e valorizzazione dei centri storici
Nell'evoluzione della legislazione generale in materia di centri storici possono distinguersi due diversi periodi. Un primo periodo è caratterizzato da una politica di conservazione del patrimonio edilizio dei centri storici, con esclusione quindi di interventi di recupero o di trasformazione. In un secondo periodo si inscrivono invece norme che prevedono l’attuazione di interventi non solo conservativi ma anche trasformativi.
Appartengono al primo periodo le disposizioni della legge 1 giugno 1939, n. 1089 (sulla tutela delle cose d'interesse artistico e storico) e della legge 29 giugno 1939, n. 1497 (sulla protezione delle bellezze naturali).
Rientra inoltre in questo periodo la legge-ponte[73] sull'urbanistica del 6 agosto 1967, n. 765, che ha modificato la legge 17 agosto 1942, n. 1150.
Tale legge ha introdotto, per la prima volta nella legislazione italiana, una specifica disciplina riferibile ai centri storici, con una serie di elementi nuovi, pur se disorganici, rispetto alla legge n. 1150 del 1942, di cui ricalca sostanzialmente la struttura portante.
Nella legge n. 765 un primo riferimento ai centri storici è contenuto nell’art. 3 (che ha modificato l’art. 10 della legge n. 1150 del 1942), ove è prevista la possibilità di apportare modifiche d’ufficio, in sede di approvazione, ai piani regolatori generali adottati dai Comuni per assicurare, tra l’altro, “la tutela del paesaggio e di complessi storici, monumentali, ambientali ed archeologici”.
Inoltre, l’articolo 17 della legge n. 765 (che ha aggiunto l'art. 41-quinquies alla legge n. 1150 del 1942[74]) introduce due concetti fondamentali in merito alla tutela e valorizzazione dei centri storici:
§ l'esigenza di considerare il centro storico nell'ambito della pianificazione urbanistica generale;
§ la fissazione di standards urbanistici per i centri antichi, che di norma prescrivono la conservazione delle densità edilizie e fondiarie preesistenti e il divieto di superare le altezze degli edifici già esistenti.
È previsto, inoltre, che in assenza di piani regolatori generali sono consentite “esclusivamente opere di consolidamento e restauro, senza alterazioni di volumi” e che eventuali aree libere sono inedificabili fino all’approvazione dello strumento urbanistico generale.
Si tratta evidentemente di “vincoli negativi”, tendenti ad evitare opere di trasformazione che alterino la configurazione del centro storico, prima dell’introduzione dello strumento urbanistico.
Per completare la disamina delle previsioni contenute nella legge n. 765 concernenti, direttamente o indirettamente, ai centri storici, si richiama l’ultimo comma dell’art. 17, il quale prevede che con decreto del Ministro dei lavori pubblici siano stabiliti, per zone territoriali omogenee, “i limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza tra i fabbricati, nonché rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi”, da osservare “in tutti i Comuni, ai fini della formazione di nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti”.
In applicazione di tale disposizione, è stato emanato il DM 2 aprile 1968, n. 1444[75] che definisce, all’art. 2, quali zone territoriali omogenee, “le parti del territorio interessate da agglomerati urbani che rivestono carattere storico, artistico o di particolare pregio ambientale o da porzioni di essi, comprese le aree circostanti, che possono considerarsi parte integrante, per tali caratteristiche, degli agglomerati stessi” (zona A).
Si richiamano in primo luogo le norme contenute nel titolo IV della legge 5 agosto 1978 n. 457 (articoli da 27 a 34)[76]riguardanti il recupero del patrimonio edilizio esistente, mediante l’adozione di appositi “piani di recupero”, da attuare anche con l’apporto dei privati.
Tale provvedimento non distingue il recupero e la rivitalizzazione dei centri storici dagli altri interventi di recupero, demandando ai comuni il compito di provvedere ad individuare specifiche “zone ove, per le condizioni di degrado, si rende opportuno il recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico esistente mediante interventi rivolti alla conservazione, al risanamento, alla ricostruzione e alla migliore utilizzazione del patrimonio stesso. Dette zone possono comprendere singoli immobili, complessi edilizi, isolati ed aree, nonché edifici da destinare ad attrezzature”.
Il recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico esistente è quindi disciplinato attraverso il seguente meccanismo:
a) individuazione delle zone di recupero ad opera dei Comuni;
b) definizione dei piani di recupero con affidamento dell’attuazione ai Comuni ed ai privati;
c) tipizzazione e disciplina degli interventi di conservazione, risanamento, ricostruzione e migliore utilizzazione del patrimonio stesso;
d) modalità di attuazione dei piani di recupero ad opera dei proprietari o dei Comuni;
e) agevolazioni creditizie.
Il titolo IV della legge n. 457 ha costituito il primo tentativo di adattamento del sistema complessivo della pianificazione, costruito sullo stampo dell'urbanistica dell'espansione, alle nuove necessità tracciate dal recupero. Esso inoltre ha provveduto a classificare gli interventi edilizi sull'esistente (art. 31)[77] che, fino a quel momento, non erano normativamente differenziati dalle nuove edificazioni. Le caratteristiche peculiari degli interventi nei centri storici sono quindi state assorbite dalla più ampia e generica nozione di recupero del patrimonio edilizio esistente[78].
Accanto a tali norme di carattere generale, si richiamano:
§ una serie eterogenea di provvedimenti rivolti a centri storici specifici, nonché le misure di incentivazione di vario tipo che fanno riferimento ai centri storici (in particolare, le varie leggi per la città di Venezia e le numerose disposizioni per la ricostruzione dei centri storici delle zone terremotate)[79];
§ gli interventi di recupero e di riqualificazione dei centri abitati previsti dall’articolo 11 del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 398 (convertito in legge con modificazioni dalla legge 4 dicembre 1993, n. 493) e dall’articolo 16 della legge 17 febbraio 1992, n. 179, che prevedono l’adozione da parte dei comuni, rispettivamente, di programmi di recupero urbano e di programmi integrati di intervento. Si tratta, analogamente ai piani di recupero della legge n. 457 del 1978, di interventi deliberati dal Comune per il recupero del patrimonio edilizio o per la realizzazione di opere pubbliche, dando anche in questi casi ai privati la possibilità di partecipare agli interventi.
L’art. 16 della legge 17 febbraio 1992, n. 179 recante Norme per l'edilizia residenziale pubblica, ha introdotto i programmi integrati d’intervento, disciplinati quale strumento flessibile basato sull’incontro delle volontà pubblico-private nella fissazione delle prescrizioni urbanistiche e finalizzato ad una riqualificazione urbanistico-edilizia-ambientale della zona interessata.
Tale tipo di strumento, insieme ai successivi sistemi definiti con il nome di Programmi complessi, rappresenta un primo passo verso il nuovo “tema” dell’urbanistica consensuale e si propone come uno strumento innovativo per la realizzazione di operazioni territoriali di ampio respiro, nonché quale soluzione strategica per la ridinamizzazione del territorio urbano.
In base al comma 1, il contenuto del programma integrato è caratterizzato:
§ dalla presenza di una pluralità di funzioni e dall’integrazione di diverse tipologie di intervento, ivi comprese le opere di urbanizzazione;
§ da una dimensione tale da incidere sulla riorganizzazione urbana;
§ dal possibile concorso di più operatori e risorse finanziarie pubblici e privati.
Il favore per il coinvolgimento anche dei privati nella definizione di tale intervento si evidenzia, nel comma 2, nell’attribuzione ai medesimi – singolarmente o riuniti in consorzio o associati tra loro – della facoltà di presentare al comune programmi integrati. Tali programmi possono riguardare non solo zone edificate, ma anche zone da destinare a nuova edificazione al fine della loro riqualificazione urbana e ambientale.
Il comma 8 prevede la facoltà per le regioni destinare parte delle somme loro attribuite alla formazione di programmi integrati; il successivo comma 9 previe, infine, che il contributo dello Stato alla realizzazione di tali programmi fa carico ai fondi di cui all’articolo 2.
L’originaria disciplina dello strumento contemplava gli effetti sostanziali dell’intervento (prevedendo in particolare che la sua approvazione avesse l’effetto di concessione edilizia), il meccanismo di formazione del programma integrato, con particolare riferimento al potere di deroga alla legislazione urbanistica vigente, la priorità nella concessione dei finanziamenti da parte delle regioni ai comuni che provvedevano alla formazione dei programmi.
La Corte costituzionale, con sentenza 7-19 ottobre 1992, n. 393, si è pronunciata sulla legittimità costituzionale dell’articolo 16 della legge 179 del 1992, sotto il profilo in particolare del rispetto delle competenze regionali in materia di programmazione territoriale.
Secondo la Corte, i primi due commi dell’articolo 16, concernendo gli scopi, le caratteristiche ed i soggetti legittimati alla formazione dei nuovi programmi di intervento, non invadono settori di competenza regionale, dato che regolano materie che appartengono alla competenza dello Stato. Spetta, infatti, a quest'ultimo “la determinazione del tipo di intervento programmatico destinato ad operare su tutto il suo territorio e diretto a fissare le linee essenziali e gli elementi caratteristici di una nuova figura. Si tratta di normativa di principio, che non può trovare ostacolo nella potestà di programmazione territoriale attribuita alle Regioni, in quanto fissa schemi e modelli, che consentono a detta potestà di esplicarsi in modo unitario ed omogeneo”.
Vengono invece dichiarati costituzionalmente illegittimi i commi terzo, quarto, quinto, sesto e settimo, sulla base in particolare delle seguenti considerazioni:
§ la “particolare energia” di cui sono dotati i piani in base all’articolo 16, comma 3, “per quanto attiene alla fase procedimentale del rilascio delle concessioni edilizie, per effetto della soppressione della verifica della conformità del progetto concreto alle previsioni del piano”costituisce “una grave deroga al principio di distinzione tra programmazione territoriale, come diretta a regolare la destinazione e l'uso del territorio, e legittimazione all'esecuzione dell'opera, conferita al soggetto interessato con il rilascio dell'atto amministrativo senza il controllo di coerenza dell'intervento specifico con gli indirizzi programmatici, controllo particolarmente necessario, per l'osservanza, che esso consente, del precetto dell'art. 4, comma primo, della stessa legge n. 10 del 1977, secondo il quale la concessione è data in conformità alle previsioni degli strumenti urbanistici e dei regolamenti edilizi”;
§ la deroga che consentono i commi quinto e sesto dell'art. 16 della legge n. 179 del 1992 ai preesistenti limiti planovolumetrici contravviene “al principio, posto dall'art. 4, primo comma, della legge n. 10 del 1977, espressione di lunga prassi normativa, della conformità della concessione agli strumenti urbanistici”
§ la “possibilità che il programma integrato determini le modificazioni di precedenti previsioni urbanistiche, con l'impiego di procedimento eventuale ed elastico di garanzia (quarto comma dell'art. 16), si pone come ulteriore causa di alterazione del quadro dei rapporti tra competenze attribuite alle regioni ed agli enti locali nel vigente sistema di programmazione urbanistica, nelle sue articolazioni territoriali e di settore”;
§ infine, “la destinazione preferenziale, operata dalla legge n. 179 (comma settimo dell'art. 16), di detti fondi (i fondi in materia di edilizia residenziale) ai programmi integrati costituisce una deviazione dal criterio base, alterando irrazionalmente il principio della competenza decisoria regionale, che ben potrebbe esplicarsi con la destinazione dei fondi stessi all'edilizia residenziale comunale, prescindendo dal criterio di priorità determinato dalla adozione dei programmi integrati”.
Più recentemente, la riqualificazione dei centri storici - e più in generale dei centri abitati - ha ricevuto nuovo impulso dall’attuazione di accordi internazionali o delle normativa comunitaria adottata nell’ambito delle iniziative per uno sviluppo sostenibile.
Tra esse si ricorda l’iniziativa comunitaria URBAN (Urban I 1994-99 e UrbanII2000-2006), che si propone di contribuire alla ricerca di soluzioni per la crisi di molti quartieri urbani, incentivando interventi di rilancio socioeconomico e favorendo sia il rinnovo di impianti ed infrastrutture per migliorare l’ambiente sia l’elaborazione e l’attuazione di specifiche strategie innovative di rivitalizzazione socio-economica dei centri urbani o dei quartieri degradati delle grandi città.
A livello nazionale tale iniziativa ha rappresentato, dopo un primo difficoltoso avvio - dovuto prevalentemente alle difficoltà oggettive derivanti dalla gestione di programmi assoggettati alle procedure, abbastanza complesse, tipiche dei Fondi strutturali in regime di assoluto partenariato - un ulteriore strumento volto al recupero urbano. Infatti, con la delibera CIPE del 6 agosto 1999, n. 146, alle risorse finanziarie rese disponibili dalla Comunità europea, si sono affiancati ulteriori cofinanziamenti nazionali pubblici.
Con il DM 19 luglio 2000 “Programmi di iniziativa comunitaria concernenti la rivitalizzazione economica e sociale delle città e delle zone adiacenti in crisi, per promuovere uno sviluppo urbano sostenibile - URBAN II”, si è provveduto ad attivare il programma URBAN II “Italia 2000-2006” che prevede il finanziamento sul territorio nazionale di otto programmi, di cui quattro ubicati nelle regioni interessate dal Quadro Comunitario di Sostegno per le regioni rientranti nell’obiettivo 1 per il periodo 2000-2006. Il programma URBAN II è destinato ai Comuni medio-piccoli con popolazione superiore a 20.000 abitanti, mentre il precedente programma URBAN I era rivolto alle città con oltre 100mila abitanti.
A seguito di una richiesta di ampliamento del numero di programmi da finanziare, è stato avviato il programma URBAN - Italia con l’obiettivo di ricomprendervi alcuni “programmi stralcio”[80]. Tale gestione “stralcio” è stata prorogata con una serie di decreti, l’ultimo dei quali pubblicato nella G.U. 17 luglio 2008, n. 166[81], sino al termine improrogabile del 31 dicembre 2008.
Entro tale data, infatti, è stato posto l’obbligo, per le amministrazioni comunali, di spendere il totale delle risorse messe a disposizione a valere sulla legge n. 388/2000, nonché tutte le quote di cofinanziamento locali, previste dall'art. 2 del decreto interministeriale 27 maggio 2002[82].
I commi 322 e 323 dell’art. 1 della legge n. 244/2007 (finanziaria 2008) autorizzano la stipula dei seguenti mutui contratti per il recupero dei centri storici, ponendo a carico del bilancio dello Stato il costo dei relativi interessi:
§ mutui ventennali fino a 300.000 euro, stipulati dagli istituti di credito appositamente convenzionati con il Ministero dell’economia e delle finanze con i titolari di edifici ricadenti nei centri storici di comuni con popolazione inferiore a 100.000 abitanti, per il restauro e il ripristino funzionale degli immobili o porzioni di essi;
§ mutui contratti dagli enti locali con la Cassa depositi e prestiti per il recupero e la conservazione degli edifici riconosciuti dall’UNESCO come patrimonio dell’umanità[83] o appartenenti al patrimonio culturale vincolato ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al D.Lgs. n. 22 gennaio 2004, n. 42.
Il successivo comma 324 ha fissato un limite di spesa di 10 milioni di euro, a decorrere dal 2008, per l’attuazione delle disposizioni recate dai commi 322 e 323.
La stessa disposizione ha previsto l’emanazione di un decreto interministeriale (adottato dal Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con quello per i beni e le attività culturali) per la definizione di modalità e criteri per l’erogazione del contributo in conto interessi al fine di garantire il rispetto del limite citato.
Tale decreto tuttavia non è stato emanato, anche perché l’autorizzazione di spesa recata dal comma 324 è stata azzerata per il triennio 2008-2010 dall’allegato al DL 27 maggio 2008, n. 93[84].
La definizione di centro storico
Nel panorama legislativo nazionale non esiste una definizione ad hoc del concetto di “centro storico”, nonostante vi siano numerosi richiami a tale concetto in varie norme.
Il primo riferimento è contenuto nella già citata legge n. 765 del 1967, cd. legge-ponte, il cui art. 17, comma 5, che in particolare vietava negli agglomerati urbani aventi “carattere storico, artistico o di particolare pregio ambientale", ogni alterazione di volumi e ogni costruzione sulle aree libere, fino all'approvazione dello strumento urbanistico generale. In assenza di una definizione di detti agglomerati, si evidenziò l'opportunità di una specifica determinazione da parte del consiglio comunale di tale concetto, in sede di adozione del Piano regolatore generale o con apposita delibera.
Nello stesso anno in cui fu approvata la legge-ponte, a titolo esclusivamente orientativo, il Ministero dei lavori pubblici con circolare 28 ottobre 1967, n. 3210[85], diede una definizione di detti agglomerati, riferendosi:
a) alle strutture urbane in cui la maggioranza degli isolati contengono edifici costruiti in epoca anteriore al 1860, anche in assenza di monumenti o di edifici di particolare valore artistico;
b) alle strutture urbane racchiuse da antiche mura in tutto o in parte conservate, ivi comprese le eventuali propaggini esterne che rientrino nella definizione di cui sopra (punto a);
c) alle strutture urbane realizzate anche dopo il 1860, che nel loro complesso costituiscono documenti di un costume edilizio altamente qualificato.
L’art. 17, comma 5, della cd. legge ponte è stato abrogato dal testo unico in materia edilizia recato dal D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, mentre ancora vigente è la disciplina sugli standards urbanistici, adottata ai sensi dell'art. 17, commi 8 e 9, della legge n. 765 del 1967. Tale disciplina è contenuta nel D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, che, tra i vari settori territoriali omogenei, individua (all’art. 2) la "zona A" in cui sono ricompresse “le parti del territorio interessate da agglomerati urbani che rivestono carattere storico, artistico o di particolare pregio ambientale o da porzioni di essi, comprese le aree circostanti, che possono considerarsi parte integrante, per tali caratteristiche, degli agglomerati stessi”.
L’indeterminatezza della formula legislativa recata dalla legge ponte, unita alla circostanza che il D.M. n. 1444 citato, nel classificare le zone A, include in esse non solo l’agglomerato urbano di antica origine e dotato di importanza storico-artistico-ambientale, ma anche le “aree circostanti, che possono considerarsi parte integrante, per tali caratteristiche, degli agglomerati stessi”, hanno di fatto favorito “l’affermarsi di una interpretazione estremamente estensiva ed elastica, secondo la quale l’operazione di delimitazione, nell’ambito del p.r.g., del centro storico come entità giuridico-urbanistica diventa vera e propria scelta urbanistica”[86].
Si ricorda, infine, che l’art. 136, comma 1, lettera c), del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42[87] (Codice dei beni culturali e del paesaggio) - nel testo modificato dal numero 2) della lettera f) del comma 1 dell’art. 2 del d.lgs. n. 63/2008 - include tra i beni paesaggistici tutelati dalle disposizioni del Codice “i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale, inclusi i centri ed i nuclei storici”.
Tale inclusione era stata auspicata, ben prima dell’emanazione del d.lgs. n. 63/2008, sulla base dell’opportunità di riconoscere nella norma il dato fattuale, visto che una rilevazione statistica svolta nel passato ha permesso di accertare che “su 2.166 decreti di vincolo ex legge 1497/1939, ben 129 riguardavano centri storici e comunque altri 614 avevano per oggetto un intero territorio comunale”.
La normativa regionale in materia di centri storici
Numerose sono le leggi di iniziativa regionale tendenti a favorire lo sviluppo culturale, turistico ed economico dei centri storici.
Le regioni hanno stabilito i criteri di priorità nella individuazione degli interventi da ammettere a contributo – generalmente si tratta del recupero del patrimonio edilizio pubblico di rilevanza storico od artistica, o comunque situato in un contesto di rilevante pregio ambientale, del recupero del patrimonio edilizio privato di rilevanza storico od artistica o comunque situato in un contesto di rilevante pregio ambientale, ma limitatamente alle parti esterne od in vista degli edifici e del recupero e della sistemazione delle strutture e degli elementi urbani collegati ai precedenti interventi - e le procedure per l'erogazione dei contributi previsti.
Senza pretesa di fornire un quadro esaustivo delle normative regionali, si richiama innanzitutto l’ultima legge della regione Abruzzo in materia, la legge regionale n. 13 del 17 marzo 2004 (recante “Provvidenze per il recupero e la valorizzazione dei centri storici”). Ai sensi di tale legge “si considerano Centri Storici gli agglomerati insediativi urbani che conservano nell’organizzazione territoriale, nell’impianto urbanistico o nelle strutture edilizie, i segni di una formazione remota e di proprie originarie funzioni economiche, sociali, politiche e culturali”.
Tale definizione è la stessa che si ritrova nella legge regionale 13 ottobre 1998, n. 29 della Regione Sardegna (recante “Tutela e valorizzazione dei centri storici della Sardegna”).
La legge n. 11 del 1997 della regione Marche recante “Interventi regionali per il recupero diffuso dei centri storici”, prevede la concessione di contributi regionali ai Comuni che, al fine di incentivare gli interventi di recupero edilizio nei centri storici o nei nuclei storici, concorrono a ridurre l'onere finanziario a carico dei soggetti attuatori degli interventi stessi. I Comuni individuano i soggetti beneficiari di un mutuo agevolato per la realizzazione di interventi di recupero edilizio ai sensi dell'articolo 31, lettere b), c) e d), della legge 5 agosto 1978, n. 457. Tali interventi devono essere localizzati all'interno del perimetro del centro storico o dei nuclei storici del comune.
Un’altra legge – la n. 43 del 14 dicembre 1998 della Regione Marche in materia di “Valorizzazione del patrimonio storico culturale della Regione Iniziativa III millennio” – ha promosso, nell’ambito di un programma straordinario per interventi di restauro e risanamento conservativo e manutenzione straordinaria del patrimonio immobiliare architettonico, storico e artistico, anche la realizzazione di programmi di recupero urbano per gli immobili situati nei centri storici. Gli interventi riguardano oltre che particolari edifici storici (teatri, mulini ad acqua, case coloniche storiche in terra cruda, chiese, musei e castelli) anche i programmi di recupero urbano nei centri storici. L’art. 1, comma 4 di tale legge dispone che “Agli effetti della presente legge sono considerati centri storici le aree edificate definite zone A ai sensi del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, pubblicato nella Gazzetta ufficiale del 16 aprile 1968, n. 97, o che possiedono comunque i requisiti delle suddette zone A”.
Analogamente, in Liguria, la legge regionale n. 10 luglio 2002, n. 29[88], rinvia, per la definizione di centro storico, alle aree edificate definite zone A di cui al D.M. n. 1444 del 1968.
Si ricorda, infine la legge n. 26 del 18 ottobre 2002 della regione Campania volta al recupero e alla valorizzazione dei centri storici della regione, ove, al titolo II “Incentivi per il restauro, il decoro e l’attintatura delle facciate degli edifici civili di interesse storico, artistico ed ambientale e delle cortine dei Centri Storici della Campania”, viene, per la prima volta, affrontata la tematica del colore dei centri antichi, con riferimento al “Piano del Colore” per l’edilizia storica, la cui dotazione è obbligatoria per quei comuni che intendono fruire dei contributi previsti dalla legge. In tale legge i centri storici sono definiti come “gli impianti urbanistici o agglomerati insediativi urbani che sono stati centri di cultura locale o di produzione artistica e che, accanto alle testimonianze di cultura materiale, contengono opere d’arte entro il contesto storico per cui sono nate e in rapporto con il tessuto urbano, esteso al contesto paesaggistico di pertinenza, come risulta individuato nell’iconografia tradizionale, e che conservano l’aspetto o i connotati d’insieme della città storica o di una consistente parte di essa”.
Il recupero dei centri storici nelle aree protette
L’esigenza di tutelare i centri storici anche all’interno delle aree protette è stata sottolineata dall’art. 7 della legge 6 dicembre 1991, n. 394 (legge quadro sulle aree protette), in base al quale “ai comuni ed alle province il cui territorio è compreso, in tutto o in parte, entro i confini di un parco nazionale, e a quelli il cui territorio è compreso, in tutto o in parte, entro i confini di un parco naturale regionale è, nell'ordine, attribuita priorità nella concessione di finanziamenti dell'Unione europea, statali e regionali richiesti per la realizzazione, sul territorio compreso entro i confini del parco stesso, dei seguenti interventi, impianti ed opere previsti nel piano per il parco di cui, rispettivamente, agli articoli 12 e 25:
a) restauro dei centri storici ed edifici di particolare valore storico e culturale;
b) recupero dei nuclei abitati rurali;
[omissis]”.[89]
Il successivo comma 2 dispone, inoltre, che “il medesimo ordine di priorità di cui al comma 1 è attribuito ai privati, singoli od associati, che intendano realizzare iniziative produttive o di servizio compatibili con le finalità istitutive del parco nazionale o naturale regionale”.
La stessa attenzione per il recupero dei centri storici nelle aree protette, mostrata dal legislatore nazionale, si ritrova nella produzione normativa regionale.
E’ il caso, ad esempio, della legge regionale calabrese n. 10 del 14 luglio 2003 recante Norme in materia di aree protette, che stabilisce (art. 3) che “nei centri storici compresi nelle aree protette si incentivano politiche di recupero dei patrimoni edilizi in armonia con la finalità della presente legge. A tal fine è incentivata la più ampia partecipazione degli Enti Locali, delle forze sociali e del terzo settore presenti nel territorio mirati, a conseguire forme di sviluppo economico e ricerca di nuove occupazioni e di nuove opportunità lavorative compatibili”. Di più, un intero articolo (art. 35) è dedicato alla Valorizzazione dei centri storici ricadenti nelle aree protette.
Il Progetto "Appennino Parco d'Europa" (APE)
Nella relazione illustrativa alla proposta di legge in commento viene sottolineato come in Italia, oltre agli interventi previsti dalla legge 31 gennaio 1994, n. 97 (cosiddetta “legge sulla montagna”), non si intravedono altri strumenti di sistema a sostegno e sviluppo di politiche di accoglienza nei piccoli comuni. Fatta eccezione per il progetto “Appennino parco d’Europa” (APE).
Il progetto APE, che coinvolge le 14 regioni dell’arco appenninico suddivise per aree geografiche, è nato nel 1995[90] dalla constatazione del fatto che, a seguito dell’entrata in vigore della legge-quadro sulle aree naturali protette (legge n. 394 del 1991), si è verificata – lungo l’intero arco appenninico - la costituzione di molti parchi e riserve naturali di rilievo nazionale, regionale e locale, che è possibile leggere ed interpretare come un sistema articolato di aree protette.
Secondo il Programma d’azione del Progetto APE Appennino Parco d’Europa, del Ministero dell’ambiente, Servizio Conservazione della natura (marzo 2000), il progetto si propone, attraverso la realizzazione di una serie di programmi specifici, di attuare degli interventi per tutela e la valorizzazione degli ambiti definiti con una metodologia integrata di progettazione, esecuzione e gestione delle opere e delle attività impostata sulla base di una partecipazione di tutti i soggetti pubblici e privati presenti nelle aree di intervento. Gli interventi si basano su:
§ valorizzazione delle risorse – culturali, naturali, umane – con interventi di supporto per le aree in ritardo di sviluppo e interventi di riequilibrio per le aree a rischio di degrado;
§ costruzione di un ambiente sociale adatto allo sviluppo, e quindi miglioramento della qualità della vita nelle aree in ritardo, favorendo i processi di recupero della fiducia sociale, l’offerta di servizi innovativi e qualificati per i residenti e per i visitatori;
§ promozione e la localizzazione di nuove iniziative imprenditoriali nei settori della conservazione della natura, del recupero dei beni storici e del patrimonio diffuso, del turismo, dell'agricoltura, del lavoro e della formazione, della manutenzione del territorio e della gestione delle risorse, aumentando e valorizzando i fattori di attrattività di interventi produttivi collegati alla specificità dei luoghi e delle tradizioni culturali.
Con la delibera CIPE 4 agosto 2000, n. 84 sono stati assegnati 35 miliardi di lire (pari a 18,1 milioni di euro) al cofinanziamento del progetto APE, poi ripartiti con la successiva delibera CIPE 1 febbraio 2001, n. 4 tra alcuni progetti pilota[91].
Precedenti proposte di legge in materia e proposte vertenti su materie analoghe
Come sottolineato nella relazione illustrativa, il testo della proposta di legge in esame “riproduce nella prima parte il testo della proposta di legge atto Camera n. 1174 della XIV legislatura, presentata da deputati appartenenti a tutti i gruppi parlamentari e approvata pressoché all'unanimità dalla Camera dei deputati. Anche nella XV legislatura il testo è stato ripresentato ma l'iter si è concluso con l'approvazione della sola Camera dei deputati (atto Senato n. 1516, XV legislatura)”.
Si ricorda, altresì, che presso l’VIII Commissione (Ambiente) della Camera sono attualmente all’esame le proposte di legge nn. 169, 582, 583 e 1129[92] per la riqualificazione dei centri storici e dei borghi antichi d’Italia, che riproducono, nella sostanza, un analogo provvedimento approvato all'unanimità dalla Camera dei deputati nella XV legislatura (atto Camera n. 550-A).
1. Il presente capo detta i princìpi fondamentali per la gestione e per l'attuazione degli interventi di recupero dei centri storici e dei nuclei abitati rurali compresi nelle aree naturali protette.
2. Il presente capo si applica ai centri storici e ai nuclei abitati rurali dei comuni il cui territorio è compreso, in tutto o in parte, entro i confini di un parco nazionale, e di quelli il cui territorio è compreso, in tutto o in parte, entro i confini di un parco naturale regionale, compresi nel V aggiornamento dell'elenco ufficiale delle aree naturali protette di cui al provvedimento della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 205 del 4 settembre 2003.
3. Il recupero dei centri storici e dei nuclei abitati rurali nei territori di cui al comma 2 è finalizzato ai seguenti obiettivi:
a) individuare una politica di sviluppo delle aree naturali protette volta a tutelare e a valorizzare il patrimonio storico e artistico e il paesaggio;
b) salvaguardare e tutelare la presenza antropica attraverso il recupero dei centri storici e dei nuclei abitati rurali;
c) garantire, attraverso i programmi di riqualificazione ambientale dei nuclei abitati urbani, oltre al recupero prettamente strutturale, formale e ambientale, un complesso integrato e organico di interventi riguardanti le funzioni e i servizi urbani nonché il recupero degli edifici e degli immobili dismessi;
d) garantire, attraverso i programmi integrati di riqualificazione urbanistica, edilizia e ambientale, oltre al recupero dei centri storici e dei nuclei abitati rurali, un complesso integrato e organico di interventi riguardanti le funzioni e i servizi urbani, nonché un adeguamento degli standard di qualità abitativi e ambientali;
e) promuovere l'utilizzazione di forme e di procedure di attuazione e di gestione diretta degli interventi di recupero dei centri storici e dei nuclei abitati rurali, anche attraverso l'intervento pubblico e privato, nel rispetto della normativa vigente in materia;
f) utilizzare gli enti parco come filtro operativo per l'azione di incentivazione, promozione e gestione del patrimonio abitativo;
g) attuare le misure di incentivazione di cui alle lettere a) e b) del comma 1 dell'articolo 7 della legge 6 dicembre 1991, n. 394, e successive modificazioni.
Il comma 1 individua le finalità del Capo III della proposta di legge di dettare i principi fondamentali per la gestione e l'attuazione degli interventi di recupero dei centri storici e dei nuclei abitati rurali compresi nelle aree naturali protette.
Il successivo comma 2 ne delimita l’ambito di applicazione ai centri storici e ai nuclei abitati rurali dei comuni il cui territorio è compreso, in tutto o in parte entro i confini di un parco nazionale o naturale regionale.
Tale ambito corrisponde a quello definito dall’art. 7 della già citata legge quadro sulle aree protette (legge n. 394/1991), che, tra gli interventi prioritari cui destinare le risorse finanziarie disponibili, fa esplicito riferimento al restauro dei centri storici ed edifici di particolare valore storico e culturale, nonché al recupero dei nuclei abitati rurali.
Tale ultima disposizione prevede in particolare che “ai comuni ed alle province il cui territorio è compreso, in tutto o in parte, entro i confini di un parco nazionale, e a quelli il cui territorio è compreso, in tutto o in parte, entro i confini di un parco naturale regionale è, nell'ordine, attribuita priorità nella concessione di finanziamenti dell'Unione europea, statali e regionali richiesti per la realizzazione, sul territorio compreso entro i confini del parco stesso, dei seguenti interventi, impianti ed opere previsti nel piano per il parco di cui, rispettivamente, agli articoli 12 e 25:
a) restauro dei centri storici ed edifici di particolare valore storico e culturale;
b) recupero dei nuclei abitati rurali;
[omissis]”.
Il successivo comma 2 dispone che “il medesimo ordine di priorità di cui al comma 1 è attribuito ai privati, singoli od associati, che intendano realizzare iniziative produttive o di servizio compatibili con le finalità istitutive del parco nazionale o naturale regionale”.
Il comma 2 dell’articolo in esame aggiunge l’ulteriore condizione che tali parchi siano compresi nel V aggiornamento dell'elenco ufficiale delle aree naturali protette approvato con delibera della Conferenza Stato-Regioni pubblicata nel supplemento ordinario alla G.U. n. 205 del 4 settembre 2003.
Tale elenco raccoglie tutte le aree naturali protette, marine e terrestri, che rispondono ad alcuni criteri[93] ed è periodicamente aggiornato a cura del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio.
L'elenco ufficiale delle aree naturali protette attualmente in vigore è quello relativo al 5° Aggiornamento approvato con Delibera della Conferenza Stato Regioni del 24 luglio 2003, pubblicata nella G.U. n. 205 del 2003, S.O. n. 144[94], e consultabile anche in versione elettronica, sul sito internet del Ministero dell’ambiente, all’indirizzo www2.minambiente.it/sito/settori_azione/scn/docs/elenco_ap_2003.pdf.
Per quanto riguarda le finalità cui deve tendere il recupero dei centri storici e dei nuclei abitati rurali esse sono individuate dal comma 3 nelle seguenti:
§ individuare una politica di sviluppo delle aree protette volta a tutelare e valorizzare il patrimonio storico e artistico e il paesaggio;
§ salvaguardare e tutelare la presenza antropica;
§ garantire l’esecuzione di un complesso integrato e organico di interventi riguardanti le funzioni e i servizi urbani, nonché il recupero degli edifici e immobili dimessi e l’adeguamento degli standard di qualità abitativi e ambientali, attraverso programmi di riqualificazione ambientale e programmi integrati di riqualificazione urbanistica, edilizia e ambientale;
§ promuovere forme e procedure di attuazione/gestione diretta degli interventi di recupero dei centri storici e dei nuclei abitati rurali, anche attraverso l'intervento pubblico e privato, nel rispetto della normativa vigente in materia;
§ utilizzare gli enti parco come filtro operativo per l'azione di incentivazione, promozione e gestione del patrimonio abitativo;
§ attuare le misure di incentivazione previste dal già citato art. 7, comma 1, lett. a) e b), della legge 6 dicembre 1991, n. 394.
1. I comuni di cui all'articolo 16, comma 2, della presente legge individuano, attraverso i programmi integrati di intervento di cui all'articolo 16 della legge 17 febbraio 1992, n. 179, e successive modificazioni, le zone urbane e rurali soggette al recupero del patrimonio edilizio e urbanistico esistente, mediante interventi rivolti alla riqualificazione ambientale e alla riqualificazione urbanistica, edilizia e ambientale.
L’articolo 17 prevede l’individuazione da parte dei comuni degli ambiti urbani e rurali di recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico esistente.
Lo strumento per operare tale individuazione è rappresentata dai programmi integrati di intervento di cui all’articolo 16 della legge 17 febbraio 1992, n. 179, nel cui ambito vengono previsti:
§ interventi di riqualificazione ambientale, da realizzare attraverso i programmi di cui all’art. 18;
§ interventi di riqualificazione urbanistica, edilizia e ambientale, da realizzare attraverso i programmi di cui all’art. 19.
Sui programmi integrati di intervento si rinvia a quanto esposto nel relativo paragrafo in premessa.
In relazione ai rapporti tra Stato e Regioni nella disciplina del recupero del patrimonio urbanistico ed edilizio, e in particolare delle aree degradate, si premette che essa appare riconducibile alla materia “governo del territorio” contemplata dall’articolo 117, terzo comma, tra le materie di legislazione concorrente.
È utile richiamare tuttavia la citata sentenza della Corte costituzionale n. 393 del 1992, che ha dichiarato incostituzionali i commi terzo, quarto, quinto, sesto e settimo, del citato articolo 16, ma ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale dei primi due commi della medesima disposizione, posto che essi “concernendo gli scopi, le caratteristiche ed i soggetti legittimati alla formazione dei nuovi programmi di intervento, non invadono settori di competenza regionale, dato che regolano materie che appartengono alla competenza dello Stato”. Spetta, infatti, a quest'ultimo “la determinazione del tipo di intervento programmatico destinato ad operare su tutto il suo territorio e diretto a fissare le linee essenziali e gli elementi caratteristici di una nuova figura. Si tratta di normativa di principio, che non può trovare ostacolo nella potestà di programmazione territoriale attribuita alle Regioni, in quanto fissa schemi e modelli, che consentono a detta potestà di esplicarsi in modo unitario ed omogeneo”.
Si aggiunge che, nella proposta di legge in esame, lo strumento del programma integrato di intervento è destinato a trovare applicazione nelle aree protette, rispetto alle quali viene in rilievo un interesse ambientale e naturalistico di carattere nazionale (cfr. sentenza 7 – 18 ottobre 2002, n. 422). Nel valutare l’utilizzo dello strumento del programma integrato di intervento rispetto alle aree protette può inoltre richiamarsi, più in generale, la recente giurisprudenza della Corte costituzionale sul carattere "trasversale" della tutela dell’ambiente (attribuita alla competenza esclusiva dello Stato dall’articolo 117 Cost., comma 2, lett. s), e quindi la sua idoneità ad abbracciare profili che possono rientrare di volta in volta anche in materie di competenza "concorrente" o "esclusiva" delle Regioni. In particolare, nella sentenza 407 del 10-26 luglio 2002, la Corte ha precisato che “l'evoluzione legislativa e la giurisprudenza costituzionale portano ad escludere che possa identificarsi una "materia" in senso tecnico, qualificabile come "tutela dell'ambiente", dal momento che non sembra configurabile come sfera di competenza statale rigorosamente circoscritta e delimitata, giacché, al contrario, essa investe e si intreccia inestricabilmente con altri interessi e competenze. In particolare, dalla giurisprudenza della Corte antecedente alla nuova formulazione del Titolo V della Costituzione e' agevole ricavare una configurazione dell'ambiente come "valore" costituzionalmente protetto, che, in quanto tale, delinea una sorta di materia "trasversale", in ordine alla quale si manifestano competenze diverse, che ben possono essere regionali, spettando allo Stato le determinazioni che rispondono ad esigenze meritevoli di disciplina uniforme sull'intero territorio nazionale (cfr., da ultimo, sentenze n. 507 e n. 54 del 2000, n. 382 del 1999, n. 273 del 1998)”. Tale indirizzo è stato ripetutamente ribadito e richiamato dalla successiva giurisprudenza (cfr. le sentenze n. 307 del 2003, n. 222 del 2003 e n. 214 del 2005).
1. I programmi di riqualificazione ambientale sono finalizzati, oltre che al recupero strettamente paesaggistico e ambientale, alla realizzazione di un complesso integrato e organico di interventi riguardanti le funzioni e i servizi urbani, al recupero di edifici e di immobili dismessi, all'utilizzo, nel rispetto dell'edilizia tradizionale e del paesaggio, di forme e di materiali appropriati al contesto ambientale.
2. I programmi di cui al comma 1 sono attuati nell'ambito dei perimetri urbani dei centri abitati per le tipologie e per gli agglomerati urbani considerati incongruenti con il contesto ambientale.
Per quanto riguarda gli obiettivi dei programmi di riqualificazione ambientale, essi sono individuati dall’articolo 18, comma 1, nei seguenti:
§ recupero strettamente paesaggistico e ambientale;
§ realizzazione di un complesso integrato e organico di interventi riguardanti le funzioni e i servizi urbani;
§ recupero di edifici ed immobili dimessi;
§ utilizzo, nel rispetto dell'edilizia tradizionale e del paesaggio, di forme e materiali appropriati al contesto ambientale.
Il successivo comma 2 dell’art. 18 delimita l’ambito di applicazione di tali programmi ai perimetri urbani dei centri abitati per le tipologie e gli agglomerati urbani considerati incongruenti con il contesto ambientale.
1. I programmi di riqualificazione urbanistica, edilizia e ambientale sono finalizzati ad una riprogettazione degli insediamenti e mirano, nel rispetto dell'edilizia tradizionale e del paesaggio, a valorizzarne l'identità storica, culturale e ambientale, anche attraverso un complesso integrato e organico di interventi riguardanti l'adeguamento degli standard abitativi, la determinazione delle condizioni di efficienza e di fruibilità dei servizi, il recupero di edifici e di immobili dismessi.
2. I programmi di cui al comma 1 sono attuati nell'ambito dei perimetri dei centri storici e, in caso di mancata adozione dei relativi strumenti urbanistici, nei perimetri degli ambiti storici individuati dai comuni in sede di redazione dei programmi integrati di intervento e nei perimetri dei nuclei abitati rurali.
Gli obiettivi dei programmi di riqualificazione urbanistica, edilizia e ambientale, parzialmente sovrapponibili a quelli dei programmi di cui all’articolo 18, sono individuati dall’articolo 19, comma 1, nei seguenti:
§ riprogettazione degli insediamenti;
§ valorizzazione, nel rispetto dell'edilizia tradizionale e del paesaggio, dell’identità storica, culturale ed ambientale degli stessi. Ciò, anche attraverso un complesso integrato e organico di interventi riguardanti:
- l'adeguamento degli standard abitativi;
- la determinazione delle condizioni di efficienza e di fruibilità dei servizi;
- il recupero di edifici e immobili dismessi.
Il successivo comma 2 delimita l’ambito di applicazione di tali programmi ai perimetri dei centri storici e, in caso di mancata adozione dei relativi strumenti urbanistici, nei perimetri degli ambiti storici individuati dai comuni in sede di redazione dei programmi integrati di intervento e nei perimetri dei nuclei abitati rurali.
In relazione alla parziale sovrapposizione dell’ambito di applicazione e degli obiettivi dei due strumenti di programmazione, occorre valutare se mantenerli distinti o prevedere un unico strumento più ampio.
1. Le leggi regionali definiscono le procedure per l'adozione dei programmi integrati e per il relativo coordinamento con gli altri piani e programmi previsti dalla legislazione vigente.
L’articolo 20 demanda all’attività legislativa delle regioni la disciplina dei seguenti aspetti:
§ la definizione delle procedure per l'adozione dei programmi integrati;
§ il coordinamento con gli altri piani e programmi previsti dalla legislazione vigente.
In proposito si osserva che a fronte di quanto detto sopra circa la legittimità dell’intervento statale che prevede l’utilizzo del programma integrato di intervento per il recupero di aree urbane degradate, ne definisce in termini generali le finalità e individua nel comune il soggetto competente per la formazione dei medesimi, il rinvio alle leggi regionali per la disciplina di aspetti specifici trova giustificazione nella competenza concorrente delle Regioni in materia di “governo del territorio”.
1. Le regioni possono destinare parte delle somme loro attribuite per il recupero del patrimonio edilizio esistente ai sensi della normativa vigente alla formazione e alla realizzazione dei programmi integrati.
2. I fondi di cui al comma 1 possono essere assegnati direttamente ai comuni che ne fanno richiesta e possono essere utilizzati, nei limiti determinati dai rispettivi enti parco, anche per il trasferimento e per la sistemazione temporanea delle famiglie negli immobili interessati dagli interventi.
Analogamente, la previsione contenuta nell’articolo 21, comma 1, della mera facoltà delle regioni di destinare parte delle somme loro attribuite per il recupero del patrimonio edilizio esistente alla formazione e alla realizzazione dei programmi integrati appare in linea con la competenza concorrente delle regioni nella materia.
Peraltro, tale previsione è riproduttiva del comma 8 dell’articolo 16 della legge n. 179 del 1992 (non colpito dalla dichiarazione di incostituzionalità contenuta nella citata sentenza 393 del 1992).
La Corte costituzionale ha invece dichiarato l’incostituzionalità del comma 7 dell’articolo 16, che prevedeva la concessioni da parte delle regioni dei finanziamenti inerenti il settore dell'edilizia residenziale ad esse attribuiti con priorità a quei comuni che provvedono alla formazione dei programmi di cui al presente articolo. Secondo la Corte, infatti, “la destinazione preferenziale, operata dalla legge n. 179 (comma settimo dell'art. 16), di detti fondi ai programmi integrati costituisce una deviazione dal criterio base, alterando irrazionalmente il principio della competenza decisoria regionale, che ben potrebbe esplicarsi con la destinazione dei fondi stessi all'edilizia residenziale comunale, prescindendo dal criterio di priorità determinato dalla adozione dei programmi integrati”.
Il comma 2 prevede che i fondi destinati dalla regione alla formazione e alla realizzazione dei programmi integrati, possono essere assegnati direttamente ai comuni che ne fanno richiesta e possono essere utilizzati, nei limiti determinati dai rispettivi enti parco, anche per il trasferimento e la sistemazione temporanea delle famiglie negli immobili interessati dagli interventi.
Tale disposizione appare in linea con quanto disposto dal comma 2 dell’art. 11 della legge n. 179/1992 (la cui applicazione - del resto - viene richiamata dal successivo art. 22 della proposta in esame), che prevede che nell’attuazione di interventi di recupero con i fondi dell’edilizia sovvenzionata, le disponibilità “possono essere utilizzate anche per la realizzazione o l'acquisto di alloggi per il trasferimento temporaneo degli abitanti degli immobili da recuperare”.
Art. 22.
(Programmi di iniziativa privata).
1. I proprietari di immobili e di aree comprese nelle aree di riqualificazione urbanistica, edilizia e ambientale, individuate ai sensi dell'articolo 17, comma 1, rappresentanti, in base all'imponibile catastale, almeno i tre quarti del valore degli immobili interessati, possono presentare in forma singola o associata proposte di programmi integrati di intervento.
2. Ai fini dell'attuazione del presente articolo, si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui al capo IV della legge 17 febbraio 1992, n. 179, e successive modificazioni.
3. I comuni possono assegnare i fondi di cui all'articolo 21, comma 2, direttamente ai privati e ai consorzi, pubblici e privati, che hanno fatto richiesta di attivazione di un programma integrato di intervento.
4. I comuni possono promuovere o partecipare ai programmi integrati di intervento anche attraverso l'utilizzo dei fondi di cui all'articolo 5, comma 1, e all'articolo 11 della legge 17 febbraio 1992, n. 179, e successive modificazioni.
Il comma 1 dell’articolo in esame riconosce ai proprietari di immobili e di aree comprese nelle aree di riqualificazione individuate ai sensi dell'articolo 17, comma 1, la facoltà di presentare in forma singola o associata proposte di programmi integrati di intervento.
Quale condizione per l’esercizio della citata facoltà viene stabilito che i soggetti indicati rappresentino, in base all'imponibile catastale, almeno i tre quarti del valore degli immobili interessati.
La norma in commento riproduce la facoltà concessa in via generale ai soggetti privati (singolarmente o riuniti in consorzio o associati fra di loro) di presentare al comune programmi integrati, dall’art. 16, comma 2, della legge n. 179/1992. Rispetto a tale disposizione, tuttavia, viene esteso il vincolo recato dall’art. 30, comma 1, della legge n. 457/1978, secondo cui “i proprietari di immobili e di aree compresi nelle zone di recupero, rappresentanti, in base all'imponibile catastale, almeno i tre quarti del valore degli immobili interessati, possono presentare proposte di piani di recupero”.
Il comma 2 rinvia alle norme in materia di recupero del patrimonio edilizio esistente, in quanto compatibili, dettate dal capo IV della legge n. 179/1992 (artt. 11-15).
Si ricorda, brevemente, che l’art. 11 della legge n. 179/1992, con cui si apre il capo IV della legge, prevede che le disponibilità per l'edilizia sovvenzionata possono essere utilizzate anche per:
“a) interventi di edilizia residenziale pubblica nell'ambito di programmi di riqualificazione urbana;
b) interventi di recupero, di cui alle lettere b), c), d) ed e) del primo comma dell'articolo 31 della legge 5 agosto 1978, n. 457, di immobili con destinazione residenziale non inferiore al 70 per cento della superficie utile complessiva di progetto o di immobili non residenziali funzionali alla residenza. Le disponibilità destinate ai predetti interventi di recupero sono altresì utilizzate, ove occorra, per l'acquisizione degli immobili da recuperare e per l'adeguamento delle relative urbanizzazioni”.
Il comma 2 dell’art. 11, inoltre, dispone che “ai fini di cui al comma 1, le disponibilità per l'edilizia sovvenzionata possono essere utilizzate anche per la realizzazione o l'acquisto di alloggi per il trasferimento temporaneo degli abitanti degli immobili da recuperare”.
Il successivo art. 12 disciplina le modalità di concessione, da parte della regione, dei contributi “di cui all'articolo 19 della legge 5 agosto 1978, n. 457, come integrato dall'articolo 6 della presente legge, nei limiti determinati dal CER, anche per opere di risanamento di parti comuni degli immobili, ai proprietari singoli, riuniti in consorzio o alle cooperative edilizie di cui siano soci, ai condominii o loro consorzi e ai consorzi tra i primi ed i secondi, al fine di avviare concrete iniziative nel settore del recupero del patrimonio edilizio esistente. Detti contributi possono essere concessi altresì ad imprese di costruzione, o a cooperative edilizie alle quali i proprietari o i soci abbiano affidato il mandato di realizzazione delle opere.
Viene altresì disposto che, per l'individuazione dei soggetti da ammettere ai citati benefici, i comuni sono tenuti alla formazione di programmi di intervento, anche su proposta di singoli operatori, per zone del territorio comunale o singoli fabbricati.
L’articolo 13, modificativo dell’art. 28 della legge n. 457/1978 dispone, in merito all’attuazione dei piani di recupero, che essa avviene da parte:
a) dei proprietari singoli o riuniti in consorzio o delle cooperative edilizie di cui siano soci, delle imprese di costruzione o delle cooperative edilizie cui i proprietari o i soci abbiano conferito il mandato all'esecuzione delle opere, dei condominii o loro consorzi, dei consorzi fra i primi ed i secondi, nonché degli IACP o loro consorzi, di imprese di costruzione o loro associazioni temporanee o consorzi e di cooperative o loro consorzi;
b) dei comuni, direttamente ovvero mediante apposite convenzioni con i soggetti di cui alla lettera a).
Lo stesso articolo disciplina poi i casi in cui i piani sono attuati dai comuni.
Viene inoltre stabilito che i comuni, “sempre previa diffida, possono provvedere all'esecuzione delle opere previste dal piano di recupero, anche mediante occupazione temporanea, con diritto di rivalsa, nei confronti dei proprietari, delle spese sostenute” e che gli stessi comuni “possono affidare la realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria ai proprietari singoli o riuniti in consorzio che eseguono gli interventi previsti dal piano di recupero”.
Il comma 2 dell’art. 13 attribuisce al comune la facoltà di delegare in tutto o in parte con apposita convenzione l'esercizio delle sue competenze all'istituto autonomo per le case popolari competente per territorio o al relativo consorzio regionale o a società miste alle quali partecipi anche il comune.
Infine l’art. 14 disciplina gli interventi ammessi, mentre l’art. 15 reca alcune disposizioni per gli edifici condominiali.
Il comma 3 consente ai comuni di assegnare i fondi, attribuitigli dalle regioni per il recupero del patrimonio edilizio esistente ai sensi dell'art. 21, comma 2, direttamente ai privati e ai consorzi, pubblici e privati, che hanno fatto richiesta di attivazione di un programma integrato di intervento.
Il comma 4, infine, prevede che i comuni possono promuovere o partecipare ai programmi integrati di intervento anche attraverso l'utilizzo dei seguenti fondi istituiti dalla legge n. 179/1992:
§ il fondo di cui all'articolo 5, comma 1;
L’art. 5, comma 1, ha istituito, a decorrere dal 1° gennaio 1992, presso la sezione autonoma della Cassa depositi e prestiti, un fondo speciale di rotazione per la concessione di mutui decennali, senza interessi, finalizzati all'acquisizione e all'urbanizzazione di aree edificabili ad uso residenziale, nonché all'acquisto di aree edificate da recuperare. I rimanenti commi dell’articolo recano la disciplina del fondo.
§ le risorse di cui all'articolo 11 (sopra richiamato).
Il 6 ottobre 2008 la Commissione europea ha presentato il Libro verde sulla coesione territoriale (COM(2008(616).
Il Libro verde ha avviato un'ampia consultazione delle autorità regionali e locali, delle associazioni, delle ONG, al fine di migliorare la comprensione del concetto di “coesione territoriale” e valutare le implicazioni per la politica regionale dell’UE dell’introduzione nel Trattato di Lisbona (in corso di ratifica da parte degli Stati membri dell’UE) della coesione territoriale[95] tra gli obiettivi e le politiche dell’UE. Secondo la Commissione la coesione territoriale mira a rendere la politica regionale più adeguata al livello territoriale appropriato, più attenta alle preferenze e alle esigenze locali e meglio coordinata con le altre politiche europee.
Nel Libro verde, la Commissione pone in via preliminare l’accento sulla salvaguardia della configurazione caratteristica del territorio europeo per quanto riguarda l'insediamento abitativo. Soltanto il 7% della popolazione europea vive in città di più di 5 milioni di abitanti, contro il 25% negli Stati Uniti. Fino adesso l'Europa è riuscita a mantenere un certo equilibrio fra l'urbanizzazione e la tutela delle zone rurali, che contribuisce a definire il modello di vita europeo.
Il documento propone soluzioni per evitare l'esodo rurale o l'eccessiva espansione delle zone urbane, a partire da tre concetti chiave:
superare le differenze di densità. La Commissione osserva che gli agglomerati urbani possono avere effetti sia positivi che negativi. Ad esempio, è possibile che vi sia una maggiore attenzione per l'innovazione e la produttività e, al tempo stesso, più inquinamento e una maggiore esclusione sociale. Il Libro verde suggerisce un miglior coordinamento affinché le città e le regioni limitrofe uniscano le loro forze per garantire che ogni territorio possa sfruttare al massimo il suo contributo alla prosperità dell'Unione nell'insieme;
superare le distanze. La Commissione sottolinea come l'accesso a servizi pubblici, trasporti efficienti, reti di distribuzione dell'energia affidabili e Internet su banda larga sia disponibile in maniera non equilibrata in tutta l'Unione. Nelle zone rurali remote, in media il 40% delle persone vive a una distanza di oltre 30 minuti di macchina da un ospedale, mentre il 43% vive ad oltre un'ora di macchina da una sede universitaria. Nel 2007 l'accesso delle famiglie a Internet su banda larga era in media inferiore di 16 punti percentuali rispetto alle zone urbane.
superare le frontiere amministrative. Il Libro verde rileva che i problemi ambientali, associati ai mutamenti climatici, alle inondazioni, alla perdita di biodiversità o agli spostamenti dei pendolari, non tengono conto delle frontiere, da cui la necessità di una maggiore cooperazione tra gli Stati membri per affrontare queste sfide.
Il Libro verde sottolinea inoltre le sfide che devono affrontare le regioni con caratteristiche geografiche specifiche, ad esempio, le zone montane o le regioni insulari.
La consultazione terminerà il 28 febbraio 2009, e la Commissione presenterà un’analisi dei risultati alla fine della primavera 2009.
La proposta di legge riproduce, in parte, il testo di un provvedimento in materia di sostegno ai piccoli comuni già esaminato dalla Camera dei deputati nella XV legislatura[96].
Il testo in esame non è corredato di relazione tecnica.
Si segnala che per l’esame dei profili di carattere finanziario risulta parzialmente utilizzabile la documentazione tecnica depositata dal Governo con riferimento al predetto provvedimento, di analogo contenuto, esaminato nella passata legislatura[97].
La proposta di legge contiene una clausola di invarianza finanziaria (articolo 14), riferita all’intero provvedimento con esclusione dell’articolo 12 (Fondo incentivi fiscali) e dell’articolo 13 (Fondo sviluppo piccoli comuni), recanti norme di spesa dotate di autonoma copertura finanziaria.
Le citate note tecniche, presentate nella scorsa legislatura, evidenziano quanto segue[98].
· Articolo 3 comma 7 (possibilità, da parte dei piccoli comuni, di acquisire o recuperare le stazioni ferroviarie disabilitate, le case cantoniere dell’ANAS e altri edifici non più in uso): viene sottolineato che il Gruppo Ferrovie dello Stato, anche in attuazione della legislazione vigente[99], persegue l’obiettivo di massimizzare (attraverso una mirata attività di valorizzazione e di alienazione del patrimonio immobiliare, tra cui le stazioni ferroviarie, non più strumentale alla gestione caratteristica del Gruppo) la generazione di risorse finanziarie suscettibili di essere utilizzate anche per il finanziamento del piano degli investimenti, con conseguente riduzione delle risorse finanziarie richieste al Ministero dell’economia.
Relativamente all’utilizzo delle case cantoniere dell’ANAS, viene ricordato che l’articolo 3, comma 115, della legge 662/1996 ha sancito fra l’altro il diritto dell’ex ente pubblico economico ANAS ad acquisire la proprietà delle case cantoniere strumentali alle attività dello stesso ente, secondo le modalità stabilite dal richiamato articolo 3. La predetta norma ha stabilito, in particolare, la possibilità di acquisire la proprietà delle case cantoniere una volta accertata la loro strumentalità da parte dell’Agenzia del Demanio. Il trasferimento dei suddetti beni all’ANAS, in proprietà, è avvenuto solo parzialmente ed è tuttora in corso. Pertanto, al fine di evitare una riduzione del patrimonio della società, non è possibile destinare tali case cantoniere a finalità che esulino dalla gestione caratteristica dell’ente.
· Articolo 4 comma 3 (possibilità, da parte dei piccoli comuni, di stipulare convenzioni e contratti di appalto con gli imprenditori agricoli per la sistemazione e la manutenzione del territorio): viene segnalata l’opportunità di acquisire la valutazione delle eventuali minori entrate derivanti dalla stipulazione da parte dei comuni di convenzioni e di contratti di appalto con gli imprenditori agricoli.
· Articolo 5 comma 1 (possibilità, da parte del Ministero delle politiche agricole, di favorire la promozione e la commercializzazione, anche mediante un apposito portale telematico, dei prodotti agroalimentari tradizionali): viene osservato che la promozione e la commercializzazione dei prodotti agroalimentari tradizionali dei piccoli comuni in forma diversa dall’utilizzo del portale telematico comporta oneri non quantificati e privi di copertura finanziaria.
· Articolo 7 comma 1 (possibilità, da parte del Ministero delle comunicazioni, di assicurare, mediante un’apposita previsione da inserire nel contratto di programma con il concessionario, l’effettivo svolgimento del servizio postale universale nei piccoli comuni): la nota sottolinea che dalla previsione, nel contratto di programma con Poste italiane, di una condizione volta ad assicurare che gli sportelli postali siano attivi nei piccoli comuni potrebbero derivare nuovi o maggiori oneri a carico di Poste italiane. Il contratto di programma prevede infatti che la società trasmetta all’Autorità di regolamentazione per il settore postale un elenco documentato (da aggiornare annualmente) delle aree remote in cui la strutturazione dei costi fissi e di recapito non garantisce condizioni di equilibrio economico. Tale documento deve essere corredato del relativo piano di intervento per la progressiva razionalizzazione della gestione, con conseguente diminuzione degli oneri di servizio universale, anche attraverso forme innovative di cooperazione con altre strutture imprenditoriali o pubbliche, nel rispetto del principio di accesso alla rete postale in condizione di non discriminazione[100].
L’espletamento del servizio universale comporta ad oggi, nonostante le misure di ottimizzazione logistica e le iniziative poste in essere dall’azienda per migliorare ulteriormente le condizioni di efficienza, un onere elevato derivante dal carattere stesso del servizio. Infatti esso si configura quale servizio sociale, che obbliga la società al rispetto dei parametri qualitativi vincolanti ed onerosi per la distribuzione della corrispondenza su tutto il territorio nazionale. In particolare, nel 2005 il costo a carico della società per tale servizio è ammontato a circa 288 milioni di euro.
Infatti la spesa effettivamente sostenuta nel 2005 dalla società per il servizio universale ammonta a circa 650 milioni di euro (come risulta dai prospetti della separazione contabile). Poste italiane ha a suo tempo previsto di sostenere annualmente un onere analogo nel triennio 2006-2008. Considerato che il contributo statale a parziale rimborso di tale onere è stato pari a 362,3 milioni di euro per il 2005, il costo rimasto a carico della società è ammontato a circa 288 milioni di euro.
Sul punto viene ribadito che il contributo statale a Poste Italiane per gli anni 2006-2008[101] è da considerare quale tetto massimo di spesa e comunque non copre il costo sopportato dalla predetta società per l’espletamento del servizio universale.
· Articolo 9 (possibilità, per gli artigiani residenti nei piccoli comuni, di vendere i loro prodotti anche in deroga alla disciplina in materia di autorizzazioni commerciali) e articolo 10 (possibilità, da parte degli enti territoriali, di prevedere specifiche agevolazioni affinché nel territorio dei piccoli comuni sia assicurato il servizio di erogazione dei carburanti): viene affermato che in mancanza della prescritta relazione tecnica non è possibile verificare i complessivi nuovi o maggiori oneri derivanti dalle disposizioni concernenti l’incentivazione di attività commerciali e il sistema distributivo dei carburanti.
· Articolo 12 comma 5 (possibilità di riconoscere un credito d’imposta alle persone fisiche e giuridiche che effettuino operazioni di sponsorizzazione per la salvaguardia e la valorizzazione dei piccoli comuni): viene segnalato che la formulazione del comma 5 non consente di delimitare l’ambito di applicabilità del credito d’imposta sulle operazioni di sponsorizzazione e valorizzazione in favore dei comuni: in particolare non è chiaro in relazione a quali tributi dovrebbe considerarsi applicabile il credito d’imposta, né se lo stesso sia eventualmente cumulabile con altre agevolazioni fiscali o sia soggetto ad ipotesi di decadenza.
Al riguardo si osserva preliminarmente che parte degli interventi previsti dal testo in esame presenta carattere facoltativo e un contenuto essenzialmente programmatico. Ciò nondimeno, in relazione ad alcuni di essi, con la documentazione trasmessa dal Governo nella passata legislatura è stata prospettata la possibilità di effetti onerosi, con particolare riferimento alle seguenti norme: articolo 3, comma 7 (recupero dei beni culturali o di edifici ferroviari, di case cantoniere e di edifici del Corpo forestale); articolo 4, comma 3 (convenzioni per la manutenzione del territorio); articolo 5, comma 1 (promozione dei prodotti agroalimentari); articolo 7, comma 1 (attivazione degli sportelli postali nei piccoli comuni); articoli 9 e 10 (incentivi alle attività commerciali e distribuzione dei carburanti). Andrebbe pertanto verificata la compatibilità di tali previsioni rispetto all’obbligo di invarianza finanziaria disposto con l’articolo 14.
Analogamente, andrebbe acquisita una conferma da parte del Governo circa la compatibilità, rispetto al predetto obbligo di invarianza, di altri interventi - sempre di carattere facoltativo – previsti dal testo ma non considerati dalla predetta documentazione trasmessa dal Governo.
Ci si riferisce, in particolare, alle seguenti facoltà riconosciute ai piccoli comuni, alle loro unioni o alle regioni:
- deferimento a organi esterni delle funzioni di valutazione (art. 3, c. 2);
- utilizzo, previa convenzione, della rete telematica dei concessionari del MEF-Monopoli di Stato (art.3, c. 5);
- realizzazione di opere di cablatura e interventi per la tutela del territorio (art. 3, cc. 8-9);
- istituzione di centri multifunzionali (art. 4, c.2);
- sottoscrizione di contratti di collaborazione per lo sviluppo dell’imprenditoria agricola e della produzione agroalimentare locale (art. 5 c. 3);
- stipula di convenzioni con gli esercizi commerciali per l’effettuazione dei pagamenti (art. 7 c. 2);
- mantenimento in attività delle sedi scolastiche statali nei piccoli comuni (art. 8);
- previsione di agevolazioni per il servizio idrico (art. 11).
In ordine agli interventi previsti da altre norme in esame, la cui formulazione sembrerebbe implicare impegni maggiormente vincolanti per gli enti destinatari, appare necessario acquisire gli elementi atti ad escludere o – in caso contrario - a quantificare i relativi effetti finanziari nel caso in cui essi risultino suscettibili di determinare un impatto negativo sui saldi di finanza pubblica. Ci si riferisce, in particolare, alle seguenti disposizioni:
articolo 3, comma 4 (esenzione dei piccoli comuni dall’osservanza delle norme in materia di convenzioni per l’acquisto di beni e servizi e delle norme in materia di programmazione dei lavori).
Si ricorda che alle norme con le quali è stata prevista l’applicazione generalizzata agli enti della P.A. di convenzioni unificate per l’acquisto di beni e servizi sono stati nel tempo ascritti significativi effetti di risparmio;
articolo 4 (in base al quale lo Stato, le regioni e gli altri enti territoriali assicurano, nei piccoli comuni, l'efficienza e la qualità dei servizi essenziali).
Con riferimento ai profili di copertura finanziaria, si osserva che l’accantonamento utilizzato con l’articolo 12, comma 7, non reca le necessarie disponibilità.
Con riferimento all’articolo 13, si osserva che:
- al comma 1 dovrebbe essere soppressa la prevista dotazione finanziaria del fondo per l’anno 2008. Conseguentemente andrebbe modificata coerentemente anche la clausola di copertura di cui al comma 5, sopprimendo l’indicazione dell’onere per l’anno 2008;
- il comma 5 andrebbe modificato al fine di fare riferimento ai fondi speciali relativi al triennio 2009-2011.
In ogni caso, con riferimento all’accantonamento del fondo speciale utilizzato, si segnala che quest’ultimo non reca le necessarie disponibilità.
Si segnala che la documentazione tecnica depositata dal Governo con riferimento al provvedimento di analogo contenuto esaminato nella passata legislatura non risulta utilizzabile per questa parte del testo, in quanto non considera le norme attualmente ricomprese negli articoli da 16 a 22.
Nulla da osservare sotto il profilo della quantificazione, dal momento che le norme sembrano limitarsi ad attribuire alle regioni e agli enti locali la facoltà di destinare ai programmi integrati di riqualificazione ambientale e urbanistica, disciplinati dagli articoli 18 e 19, risorse già disponibili a legislazione vigente.
Sul punto appare comunque opportuno acquisire una conferma da parte del Governo.
Costituzione della Repubblica italiana (Titolo V)
(1) La Costituzione fu approvata dall'Assemblea Costituente il 22 dicembre 1947, promulgata dal Capo provvisorio dello Stato il 27 dicembre 1947, pubblicata nella Gazz. Uff. 27 dicembre 1947, n. 298, ediz. straord., ed entrò in vigore il 1° gennaio 1948. Vedi XVIII disp. trans. fin., comma primo.
TITOLO V
Le Regioni, le Province, i Comuni
(omissis)
114. La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni (158) e dallo Stato.
I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i princìpi fissati dalla Costituzione (159).
Roma è la capitale della Repubblica. La legge dello Stato disciplina il suo ordinamento (160).
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(158) Vedi gli artt. 131 e 132.
(159) Per l'attuazione del presente comma vedi l'art. 4, L. 5 giugno 2003, n. 131.
(160) Articolo così sostituito dall'art. 1, L.Cost. 18 ottobre 2001, n. 3.
115. [Le Regioni sono costituite in enti autonomi con propri poteri e funzioni secondo i principi fissati nella Costituzione] (161).
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(161) Articolo abrogato dall'art. 9, comma 2, L.Cost. 18 ottobre 2001, n. 3.
116. Il Friuli Venezia Giulia (162), la Sardegna, la Sicilia, il Trentino-Alto Adige/Südtirol e la Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste dispongono di forme e condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi statuti speciali adottati con legge costituzionale (163).
La Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol è costituita dalle Province autonome di Trento e di Bolzano.
Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell'articolo 117 e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo alle lettere l), limitatamente all'organizzazione della giustizia di pace, n) e s), possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei princìpi di cui all'articolo 119. La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata (164).
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(162) Vedi anche X disp. trans. fin.
(163) Vedi art. 138.
Vedi anche L.Cost. 26 febbraio 1948, n. 2 «Conversione in legge costituzionale dello statuto della Regione siciliana approvato con D.Lgs. 15 maggio 1946, n. 455»; L.Cost. 26 febbraio 1948, n. 3 «Statuto speciale per la Sardegna»; L.Cost. 26 febbraio 1948, n. 4 «Statuto speciale per la Valle d'Aosta»; L.Cost. 26 febbraio 1948, n. 5 «Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige»; L.Cost. 31 gennaio 1963, n. 1 «Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia»
(164) Articolo così sostituito dall'art. 2, L.Cost. 18 ottobre 2001, n. 3.
117. La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali .
Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie:
a) politica estera e rapporti internazionali dello Stato; rapporti dello Stato con l'Unione europea; diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea;
b) immigrazione;
c) rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose;
d) difesa e Forze armate; sicurezza dello Stato; armi, munizioni ed esplosivi;
e) moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari; tutela della concorrenza; sistema valutario; sistema tributario e contabile dello Stato; perequazione delle risorse finanziarie;
f) organi dello Stato e relative leggi elettorali; referendum statali; elezione del Parlamento europeo;
g) ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali;
h) ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale;
i) cittadinanza, stato civile e anagrafi;
l) giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa;
m) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale;
n) norme generali sull'istruzione;
o) previdenza sociale;
p) legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane;
q) dogane, protezione dei confini nazionali e profilassi internazionale;
r) pesi, misure e determinazione del tempo; coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell'amministrazione statale, regionale e locale; opere dell'ingegno;
s) tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali .
Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: rapporti internazionali e con l'Unione europea delle Regioni; commercio con l'estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia; previdenza complementare e integrativa; armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale. Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato .
Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato .
Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro competenza, partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari e provvedono all'attuazione e all'esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell'Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza.
La potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle Regioni. La potestà regolamentare spetta alle Regioni in ogni altra materia. I Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite.
Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive.
La legge regionale ratifica le intese della Regione con altre Regioni per il migliore esercizio delle proprie funzioni, anche con individuazione di organi comuni .
Nelle materie di sua competenza la Regione può concludere accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad altro Stato, nei casi e con le forme disciplinati da leggi dello Stato (165).
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(165) Articolo così sostituito dall'art. 3, L.Cost. 18 ottobre 2001, n. 3. Per l'attuazione del presente articolo vedi la L. 5 giugno 2003, n. 131 e il D.Lgs. 24 aprile 2006, n. 208.
118. Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.
I Comuni, le Province e le Città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze.
La legge statale disciplina forme di coordinamento fra Stato e Regioni nelle materie di cui alle lettere b) e h) del secondo comma dell'articolo 117, e disciplina inoltre forme di intesa e coordinamento nella materia della tutela dei beni culturali.
Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà (166) .
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(166) Articolo così sostituito dall'art. 4, L.Cost. 18 ottobre 2001, n. 3. Per l'attuazione del presente articolo vedi l'art. 7, L. 5 giugno 2003, n. 131.
119. I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa.
I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno risorse autonome. Stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i princìpi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. Dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio.
La legge dello Stato istituisce un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante.
Le risorse derivanti dalle fonti di cui ai commi precedenti consentono ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane e alle Regioni di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite.
Per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni.
I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno un proprio patrimonio, attribuito secondo i princìpi generali determinati dalla legge dello Stato. Possono ricorrere all'indebitamento solo per finanziare spese di investimento. È esclusa ogni garanzia dello Stato sui prestiti dagli stessi contratti (167).
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(167) Articolo così sostituito dall'art. 5, L.Cost. 18 ottobre 2001, n. 3.
120. La Regione non può istituire dazi di importazione o esportazione o transito tra le Regioni, né adottare provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e delle cose tra le Regioni (168), né limitare l'esercizio del diritto al lavoro in qualunque parte del territorio nazionale.
Il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l'incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell'unità giuridica o dell'unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali. La legge definisce le procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarietà e del principio di leale collaborazione (169).
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(168) Vedi art. 16, comma primo.
(169) Articolo così sostituito dall'art. 6, L.Cost. 18 ottobre 2001, n. 3. Per l'attuazione del presente articolo vedi l'art. 8, L. 5 giugno 2003, n. 131.
121. Sono organi della Regione: il Consiglio regionale, la Giunta e il suo Presidente.
Il Consiglio regionale esercita le potestà legislative attribuite alla Regione (170) e le altre funzioni conferitegli dalla Costituzione (171) e dalle leggi. Può fare proposte di legge alle Camere (172).
La Giunta regionale è l'organo esecutivo delle Regioni.
Il Presidente della Giunta rappresenta la Regione; dirige la politica della Giunta e ne è responsabile; promulga le leggi ed emana i regolamenti regionali; dirige le funzioni amministrative delegate dallo Stato alla Regione (173), conformandosi alle istruzioni del Governo della Repubblica (174).
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(170) Vedi art. 117.
(171) Vedi artt. 75, comma primo; 83, comma secondo; 122, comma quinto; 123, comma secondo; 132; 138, comma secondo.
(172) Comma così modificato dall'art. 1, L.Cost. 22 novembre 1999, n. 1. Vedi art. 71, comma primo.
(173) Vedi art. 118, comma secondo.
(174) Comma così sostituito dall'art. 1, L.Cost. 22 novembre 1999, n. 1.
122. Il sistema di elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità (175) del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale nonché dei consiglieri regionali sono disciplinati con legge della Regione nei limiti dei princìpi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica, che stabilisce anche la durata degli organi elettivi (176) .
Nessuno può appartenere contemporaneamente a un Consiglio o a una Giunta regionale e ad una delle Camere del Parlamento, ad un altro Consiglio o ad altra Giunta regionale, ovvero al Parlamento europeo.
Il Consiglio elegge tra i suoi componenti un Presidente e un ufficio di presidenza.
I consiglieri regionali non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell'esercizio delle loro funzioni.
Il Presidente della Giunta regionale, salvo che lo statuto regionale disponga diversamente, è eletto a suffragio universale e diretto. Il Presidente eletto nomina e revoca i componenti della Giunta (177).
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(175) Vedi artt. 84, comma secondo; 104, comma settimo; 135, comma quinto.
(176) In attuazione di quanto disposto dal presente comma vedi la L. 2 luglio 2004, n. 165.
(177) Articolo così sostituito dall'art. 2, L.Cost. 22 novembre 1999, n. 1. Vedi, inoltre, quanto disposto dall'art. 5 della stessa legge.
123. Ciascuna Regione ha uno statuto che, in armonia con la Costituzione, ne determina la forma di governo e i princìpi fondamentali di organizzazione e funzionamento. Lo statuto regola l'esercizio del diritto di iniziativa e del referendum su leggi e provvedimenti amministrativi della Regione e la pubblicazione delle leggi e dei regolamenti regionali.
Lo statuto è approvato e modificato dal Consiglio regionale con legge approvata a maggioranza assoluta dei suoi componenti, con due deliberazioni successive adottate ad intervallo non minore di due mesi. Per tale legge non è richiesta l'apposizione del visto da parte del Commissario del Governo. Il Governo della Repubblica può promuovere la questione di legittimità costituzionale sugli statuti regionali dinanzi alla Corte costituzionale entro trenta giorni dalla loro pubblicazione (178) .
Lo statuto è sottoposto a referendum popolare qualora entro tre mesi dalla sua pubblicazione ne faccia richiesta un cinquantesimo degli elettori della Regione o un quinto dei componenti il Consiglio regionale. Lo statuto sottoposto a referendum non è promulgato se non è approvato dalla maggioranza dei voti validi (179).
In ogni Regione, lo statuto disciplina il Consiglio delle autonomie locali, quale organo di consultazione fra la Regione e gli enti locali (180) .
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(178) Per l'attuazione del presente comma vedi l'art. 9, L. 5 giugno 2003, n. 131.
(179) Articolo così sostituito dall'art. 3, L.Cost. 22 novembre 1999, n. 1.
(180) Comma aggiunto dall'art. 7, L.Cost. 18 ottobre 2001, n. 3.
124. [Un commissario del Governo, residente nel capoluogo della Regione, sopraintende alle funzioni amministrative esercitate dallo Stato e le coordina con quelle esercitate dalla Regione] (181).
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(181) Articolo abrogato dall'art. 9, comma 2, L.Cost. 18 ottobre 2001, n. 3.
125. [Il controllo di legittimità sugli atti amministrativi della Regione è esercitato, in forma decentrata, da un organo dello Stato, nei modi e nei limiti stabiliti da leggi della Repubblica. La legge può in determinati casi ammettere il controllo di merito, al solo effetto di promuovere, con richiesta motivata, il riesame della deliberazione da parte del Consiglio regionale] (182).
Nella Regione sono istituiti organi di giustizia amministrativa di primo grado, secondo l'ordinamento stabilito da legge della Repubblica. Possono istituirsi sezioni con sede diversa dal capoluogo della Regione.
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(182) Comma abrogato dall'art. 9, comma 2, L.Cost. 18 ottobre 2001, n. 3.
126. Con decreto motivato del Presidente della Repubblica sono disposti lo scioglimento del Consiglio regionale e la rimozione del Presidente della Giunta che abbiano compiuto atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni di legge. Lo scioglimento e la rimozione possono altresì essere disposti per ragioni di sicurezza nazionale. Il decreto è adottato sentita una Commissione di deputati e senatori costituita, per le questioni regionali, nei modi stabiliti con legge della Repubblica .
Il Consiglio regionale può esprimere la sfiducia nei confronti del Presidente della Giunta mediante mozione motivata, sottoscritta da almeno un quinto dei suoi componenti e approvata per appello nominale a maggioranza assoluta dei componenti. La mozione non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla presentazione.
L'approvazione della mozione di sfiducia nei confronti del Presidente della Giunta eletto a suffragio universale e diretto, nonché la rimozione, l'impedimento permanente, la morte o le dimissioni volontarie dello stesso comportano le dimissioni della Giunta e lo scioglimento del Consiglio. In ogni caso i medesimi effetti conseguono alle dimissioni contestuali della maggioranza dei componenti il Consiglio (183).
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(183) Articolo così sostituito dall'art. 4, L.Cost. 22 novembre 1999, n. 1.
127. Il Governo, quando ritenga che una legge regionale ecceda la competenza della Regione, può promuovere la questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte costituzionale entro sessanta giorni dalla sua pubblicazione.
La Regione, quando ritenga che una legge o un atto avente valore di legge dello Stato o di un'altra Regione leda la sua sfera di competenza, può promuovere la questione di legittimità costituzionale (184) dinanzi alla Corte costituzionale entro sessanta giorni dalla pubblicazione della legge o dell'atto avente valore di legge (185) .
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(184) Vedi artt. 134 e 136.
(185) Articolo così sostituito dall'art. 8, L.Cost. 18 ottobre 2001, n. 3. Per l'attuazione del presente articolo vedi l'art. 9, L. 5 giugno 2003, n. 131.
128. [Le Province e i Comuni sono enti autonomi nell'ambito dei principi fissati da leggi generali della Repubblica, che ne determinano le funzioni] (186).
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(186) Articolo abrogato dall'art. 9, comma 2, L.Cost. 18 ottobre 2001, n. 3.
129. [Le Province e i Comuni sono anche circoscrizioni di decentramento statale e regionale.
Le circoscrizioni provinciali possono essere suddivise in circondari con funzioni esclusivamente amministrative per un ulteriore decentramento] (187).
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(187) Articolo abrogato dall'art. 9, comma 2, L.Cost. 18 ottobre 2001, n. 3.
130. [Un organo della Regione, costituito nei modi stabiliti da legge della Repubblica, esercita, anche in forma decentrata, il controllo di legittimità sugli atti delle Province, dei Comuni e degli altri enti locali.
In casi determinati dalla legge può essere esercitato il controllo di merito, nella forma di richiesta motivata agli enti deliberanti di riesaminare la loro deliberazione] (188).
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(188) Articolo abrogato dall'art. 9, comma 2, L.Cost. 18 ottobre 2001, n. 3.
131. Sono costituite le seguenti Regioni:
Piemonte;
Valle d'Aosta (189);
Lombardia;
Trentino-Alto Adige (190);
Veneto;
Friuli-Venezia Giulia (191);
Liguria;
Emilia-Romagna;
Toscana;
Umbria;
Marche;
Lazio;
Abruzzi;
Molise (192);
Campania;
Puglia;
Basilicata;
Calabria;
Sicilia (193);
Sardegna (194) .
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(189) Vedi artt. 57, comma terzo; 83, comma secondo; 116.
(190) Vedi art. 116.
(191) Vedi art. 116 e X disp. trans. fin.
(192) Originariamente Abruzzi e Molise costituivano una sola regione. La costituzione del Molise come regione a se stante è stata disposta dall'art. 1, L.Cost. 27 dicembre 1963, n. 3 che ha modificato in tal senso l'art. 131. Vedi anche IV disp. trans. fin.
(193) Vedi art. 116.
(194) Vedi art. 116.
132. Si può con legge costituzionale, sentiti i Consigli regionali, disporre la fusione di Regioni esistenti o la creazione di nuove Regioni con un minimo di un milione d'abitanti, quando ne facciano richiesta tanti Consigli comunali che rappresentino almeno un terzo delle popolazioni interessate, e la proposta sia approvata con referendum dalla maggioranza delle popolazioni stesse (195).
Si può, con l'approvazione della maggioranza delle popolazioni della Provincia o delle Province interessate e del Comune o dei Comuni interessati espressa mediante referendum e con legge della Repubblica, sentiti i Consigli regionali, consentire che Province e Comuni, che ne facciano richiesta, siano staccati da una Regione ed aggregati ad un'altra (196).
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(195) Vedi anche XI disp. trans. fin.
(196) Comma così modificato dall'art. 9, comma 1, L.Cost. 18 ottobre 2001, n. 3.
133. Il mutamento delle circoscrizioni provinciali e la istituzione di nuove Province nell'ambito d'una Regione sono stabiliti con leggi della Repubblica, su iniziativa dei Comuni, sentita la stessa Regione.
La Regione, sentite le popolazioni interessate, può con sue leggi istituire nel proprio territorio nuovi Comuni e modificare le loro circoscrizioni e denominazioni .
L. 6 dicembre 1991 n. 394
Legge quadro sulle aree protette.(art. 7)
Pubblicata nella Gazz. Uff. 13 dicembre 1991, n. 292, S.O.
(omissis)
7. Misure di incentivazione.
1. Ai comuni ed alle province il cui territorio è compreso, in tutto o in parte, entro i confini di un parco nazionale, e a quelli il cui territorio è compreso, in tutto o in parte, entro i confini di un parco naturale regionale è, nell'ordine, attribuita priorità nella concessione di finanziamenti dell'Unione europea, statali e regionali richiesti per la realizzazione, sul territorio compreso entro i confini del parco stesso, dei seguenti interventi, impianti ed opere previsti nel piano per il parco di cui, rispettivamente, agli articoli 12 e 25 (13):
a) restauro dei centri storici ed edifici di particolare valore storico e culturale;
b) recupero dei nuclei abitati rurali;
c) opere igieniche ed idropotabili e di risanamento dell'acqua, dell'aria e del suolo;
d) opere di conservazione e di restauro ambientale del territorio, ivi comprese le attività agricole e forestali;
e) attività culturali nei campi di interesse del parco;
f) agriturismo;
g) attività sportive compatibili;
h) strutture per la utilizzazione di fonti energetiche a basso impatto ambientale quali il metano e altri gas combustibili nonché interventi volti a favorire l'uso di energie rinnovabili.
2. Il medesimo ordine di priorità di cui al comma 1 è attribuito ai privati, singoli od associati, che intendano realizzare iniziative produttive o di servizio compatibili con le finalità istitutive del parco nazionale o naturale regionale.
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(13) Alinea così modificato dall'art. 2, comma 8, L. 9 dicembre 1998, n. 426.
L. 17 febbraio 1992, n. 179
Norme per l'edilizia residenziale pubblica.
(artt. 5, 11-16 e 21)
(1) Pubblicata nella Gazz. Uff. 29 febbraio 1992, n. 50, S.O.
(2) Con riferimento al presente provvedimento sono state emanate le seguenti circolari:
- Ministero dei lavori pubblici: Circ. 7 ottobre 1996, n. 5581;
- Ministero delle finanze: Circ. 16 ottobre 1997, n. 266/T.
(omissis)
5. Fondo speciale di rotazione per acquisizione aree e urbanizzazioni.
1. A decorrere dal 1° gennaio 1992 è costituito presso la sezione autonoma della Cassa depositi e prestiti, istituita dall'articolo 10 della legge 5 agosto 1978, n. 457 , un fondo speciale di rotazione per la concessione di mutui decennali, senza interessi, finalizzati all'acquisizione e all'urbanizzazione di aree edificabili ad uso residenziale, nonché all'acquisto di aree edificate da recuperare.
2. Al finanziamento del fondo si provvede:
a) con i rientri dei mutui concessi ai sensi dell'articolo 3 del decreto-legge 23 gennaio 1982, n. 9 , convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 25 marzo 1982, n. 94, e dell'articolo 3, comma 10, del decreto-legge 7 febbraio 1985, n. 12 , convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 5 aprile 1985, n. 118;
b) con le somme provenienti dai fondi già assegnati ai sensi dell'articolo 45 della legge 22 ottobre 1971, n. 865 , e successive modificazioni, la cui concessione sia dichiarata decaduta per la mancata utilizzazione degli stessi, in base a criteri e modalità che sono stabiliti dal CER.
3. Le disponibilità sul fondo sono assegnate ogni anno dal CER alle regioni, le quali, entro i successivi tre mesi, provvedono, a pena di revoca, alla loro ripartizione tra i comuni e/o consorzi di comuni che ne facciano motivata richiesta e che abbiano interamente impegnato quelle eventualmente loro già assegnate, con utilizzo non inferiore al 30 per cento di ogni singolo finanziamento.
4. La sezione autonoma della Cassa depositi e prestiti, entro i limiti delle disponibilità assegnate a ciascuna regione, provvede alla concessione dei mutui secondo le modalità e le condizioni stabilite con apposito decreto emanato dal Ministro del tesoro, di concerto con il Ministro dei lavori pubblici (10). Sono considerati decaduti i beneficiari che non abbiano prodotto domanda di concessione del mutuo entro quattro mesi dal provvedimento regionale di ripartizione. Trascorso un anno dal provvedimento di concessione del mutuo, la sezione autonoma della Cassa depositi e prestiti provvede alla revoca nei confronti dei beneficiari che non abbiano utilizzato neppure parzialmente il finanziamento, escluse le spese tecniche. Le somme disponibili a seguito dell'avvenuta decadenza e del provvedimento di revoca riaffluiscono nel fondo per successive assegnazioni a cura del CER.
5. Si applicano le disposizioni dei commi quarto, dodicesimo, tredicesimo, quattordicesimo e quindicesimo dell'articolo 3 del decreto-legge 23 gennaio 1982, n. 9 , convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 25 marzo 1982, n. 94.
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(10) Vedi il D.M. 16 agosto 1995.
(omissis)
11. Riserva a favore degli interventi di recupero.
1. Le disponibilità per l'edilizia sovvenzionata possono essere utilizzate anche per i seguenti interventi:
a) interventi di edilizia residenziale pubblica nell'ambito di programmi di riqualificazione urbana;
b) interventi di recupero, di cui alle lettere b), c), d) ed e) del primo comma dell'articolo 31 della legge 5 agosto 1978, n. 457 , di immobili con destinazione residenziale non inferiore al 70 per cento della superficie utile complessiva di progetto o di immobili non residenziali funzionali alla residenza. Le disponibilità destinate ai predetti interventi di recupero sono altresì utilizzate, ove occorra, per l'acquisizione degli immobili da recuperare e per l'adeguamento delle relative urbanizzazioni (16).
2. Ai fini di cui al comma 1, le disponibilità per l'edilizia sovvenzionata possono essere utilizzate anche per la realizzazione o l'acquisto di alloggi per il trasferimento temporaneo degli abitanti degli immobili da recuperare.
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(16) Comma così sostituito dall'art. 1, L. 30 aprile 1999, n. 136.
12. Risanamento delle parti comuni dei fabbricati.
1. La regione può concedere i contributi di cui all'articolo 19 della legge 5 agosto 1978, n. 457 , come integrato dall'articolo 6 della presente legge, nei limiti determinati dal CER, anche per opere di risanamento di parti comuni degli immobili, ai proprietari singoli, riuniti in consorzio o alle cooperative edilizie di cui siano soci, ai condominii o loro consorzi e ai consorzi tra i primi ed i secondi, al fine di avviare concrete iniziative nel settore del recupero del patrimonio edilizio esistente. Detti contributi possono essere concessi altresì ad imprese di costruzione, o a cooperative edilizie alle quali i proprietari o i soci abbiano affidato il mandato di realizzazione delle opere.
2. Per l'individuazione dei soggetti da ammettere ai benefìci di cui al comma 1, i comuni sono tenuti alla formazione di programmi di intervento, anche su proposta di singoli operatori, per zone del territorio comunale o singoli fabbricati, i quali devono indicare:
a) la dotazione della strumentazione urbanistica;
b) la consistenza e lo stato di conservazione del patrimonio edilizio esistente pubblico o privato, sul quale il comune considera prioritario intervenire;
c) l'eventuale necessità di alloggi di temporaneo trasferimento o di rotazione per consentire lo spostamento degli occupanti.
3. Ciascun programma deve precisare gli elementi necessari per la valutazione dei costi e dei benefìci degli interventi.
4. Ai fini della concessione dei contributi previsti dal presente articolo si prescinde dai requisiti previsti dall'articolo 20 della citata legge n. 457 del 1978 , sempreché l'alloggio sia utilizzato direttamente dal proprietario o sia dato in locazione ad uso abitativo primario, ai sensi delle disposizioni vigenti.
5. Il programma è approvato dal consiglio comunale ai sensi della legge 8 giugno 1990, n. 142 (17).
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(17) Vedi, anche, il D.M. 5 agosto 1994.
13. Attuazione dei piani di recupero.
1. ... (18).
2. È in facoltà del comune delegare in tutto o in parte con apposita convenzione l'esercizio delle sue competenze all'istituto autonomo per le case popolari competente per territorio o al relativo consorzio regionale o a società miste alle quali partecipi anche il comune.
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(18) Sostituisce, con un unico comma, i commi quinto, sesto e settimo dell'art. 28, L. 5 agosto 1978, n. 457.
14. Interventi ammessi.
1. ... (19).
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(19) Sostituisce, con un unico comma, i commi quarto e quinto dell'art. 27, L. 5 agosto 1978, n. 457.
15. Disposizione per gli edifici condominiali.
1. ... (20).
2. Ove il programma di cui all'articolo 12 venga approvato ed ammesso ai benefici di legge, tutti i proprietari sono obbligati a concorrere alle spese necessarie in rapporto ai millesimi di proprietà loro attribuiti.
3. In caso di rifiuto la deliberazione di riparto della spesa, adottata dall'assemblea consortile, condominiale o dei soci nelle forme di scrittura pubblica, diviene titolo esecutivo per l'ottenimento delle somme da recuperare.
4. Alla spesa per gli interventi sono tenuti a contribuire nella misura della rispettiva quota, da determinare ai sensi degli articoli 46 e 48 del testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131 , e dell'allegato prospetto dei coefficienti per la determinazione dei valori attuali dei diritti di usufrutto a vita e delle rendite o pensioni vitalizie calcolati al saggio di interesse del 5 per cento, sia i nudi proprietari che i titolari di diritto di usufrutto, uso e abitazione.
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(20) Inserisce un comma dopo il primo all'art. 30, L. 5 agosto 1978, n. 457.
Capo V
Programmi integrati
16. Programmi integrati di intervento.
1. Al fine di riqualificare il tessuto urbanistico, edilizio ed ambientale, i comuni promuovono la formazione di programmi integrati. Il programma integrato è caratterizzato dalla presenza di pluralità di funzioni, dalla integrazione di diverse tipologie di intervento, ivi comprese le opere di urbanizzazione, da una dimensione tale da incidere sulla riorganizzazione urbana e dal possibile concorso di più operatori e risorse finanziarie pubblici e privati.
2. Soggetti pubblici e privati, singolarmente o riuniti in consorzio o associati fra di loro, possono presentare al comune programmi integrati relativi a zone in tutto o in parte edificate o da destinare anche a nuova edificazione al fine della loro riqualificazione urbana ed ambientale.
3. I programmi di cui al presente articolo sono approvati dal consiglio comunale con gli effetti di cui all'articolo 4 della legge 28 gennaio 1977, n. 10 (21).
4. Qualora il programma sia in contrasto con le previsioni della strumentazione urbanistica, la delibera di approvazione del consiglio comunale è soggetta alle osservazioni da parte di associazioni, di cittadini e di enti, da inviare al comune entro quindici giorni dalla data della sua esposizione all'albo pretorio coincidente con l'avviso pubblico sul giornale locale. Il programma medesimo con le relative osservazioni è trasmesso alla regione entro i successivi dieci giorni. La regione provvede alla approvazione o alla richiesta di modifiche entro i successivi centocinquanta giorni, trascorsi i quali si intende approvato (22).
5. Anche nelle zone di cui all'articolo 2 del decreto ministeriale 2 aprile 1968 , pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 16 aprile 1968, n. 97, qualora il programma contenga la disposizione planovolumetrica degli edifici, la densità fondiaria di questi può essere diversa da quella preesistente purché non sia superata la densità complessiva preesistente dell'intero ambito del programma, nonché nel rispetto del limite dell'altezza massima preesistente nell'ambito. Non sono computabili i volumi eseguiti senza licenza o concessione edilizia ovvero in difformità totale dalla stessa o in base a licenza o concessione edilizia annullata. Nel caso in cui sia stata presentata istanza di sanatoria ai sensi dell'articolo 31 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 , il comune è obbligato a pronunciarsi preventivamente in via definitiva sull'istanza medesima (23).
6. La realizzazione dei programmi non è subordinata all'inclusione nei programmi pluriennali di attuazione di cui all'articolo 13 della legge 28 gennaio 1977, n. 10 (24).
7. Le regioni concedono i finanziamenti inerenti il settore dell'edilizia residenziale ad esse attribuiti con priorità a quei comuni che provvedono alla formazione dei programmi di cui al presente articolo (25).
8. Le regioni possono destinare parte delle somme loro attribuite, ai sensi della presente legge, alla formazione di programmi integrati.
9. Il contributo dello Stato alla realizzazione dei programmi integrati, fa carico ai fondi di cui all'articolo 2.
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(21) La Corte costituzionale, con sentenza 7-19 ottobre 1992, n. 393 (Gazz. Uff. 21 ottobre 1992, n. 44 - Serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 16, commi terzo, quarto, quinto, sesto e settimo.
(22) La Corte costituzionale, con sentenza 7-19 ottobre 1992, n. 393 (Gazz. Uff. 21 ottobre 1992, n. 44 - Serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 16, commi terzo, quarto, quinto, sesto e settimo.
(23) La Corte costituzionale, con sentenza 7-19 ottobre 1992, n. 393 (Gazz. Uff. 21 ottobre 1992, n. 44 - Serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 16, commi terzo, quarto, quinto, sesto e settimo.
(24) La Corte costituzionale, con sentenza 7-19 ottobre 1992, n. 393 (Gazz. Uff. 21 ottobre 1992, n. 44 - Serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 16, commi terzo, quarto, quinto, sesto e settimo.
(25) La Corte costituzionale, con sentenza 7-19 ottobre 1992, n. 393 (Gazz. Uff. 21 ottobre 1992, n. 44 - Serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 16, commi terzo, quarto, quinto, sesto e settimo.
21. Interpretazione autentica.
1. I limiti di reddito di cui all'articolo 24, comma secondo, della legge 5 agosto 1978, n. 457 , come modificato dall'articolo 15-bis del decreto-legge 15 dicembre 1979, n. 629, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 15 febbraio 1980, n. 25, sono quelli vigenti al momento dell'assegnazione, nel caso di cooperative, o della stipulazione di atto preliminare d'acquisto con data certa, negli altri casi o dell'acquisto degli alloggi.
2. I requisiti soggettivi e tutte le altre condizioni previste dall'articolo 18 della legge 5 agosto 1978, n. 457 , e successive modificazioni, che devono essere posseduti dai soci di cooperative edilizie a proprietà individuale e indivisa, devono intendersi riferiti ai soli assegnatari degli alloggi realizzati in attuazione dei programmi finanziati a norma della medesima legge n. 457 del 1978 .
L. 23 dicembre 1996 n. 662
Misure di razionalizzazione della
finanza pubblica. (art. 3, comma
83)
Pubblicata nella Gazz. Uff. 28 dicembre 1996, n. 303, S.O.
(omissis)
Articolo 3
(omissis)
Comma 83. Con decreto del Ministro delle finanze, da emanare ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono stabiliti nuovi giochi ed estrazioni infrasettimanali del gioco del lotto. Con decreto del Ministro delle finanze, di concerto con i Ministri del tesoro e per i beni culturali e ambientali, da emanare entro il 30 giugno di ogni anno, sulla base degli utili erariali derivanti dal gioco del lotto accertati nel rendiconto dell'esercizio immediatamente precedente, è riservata in favore del Ministero per i beni culturali e ambientali una quota degli utili derivanti dalla nuova estrazione del gioco del lotto, non superiore a 300 miliardi di lire, per il recupero e la conservazione dei beni culturali, archeologici, storici, artistici, archivistici e librari, nonché per interventi di restauro paesaggistico e per attività culturali (355).
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(355) Comma così modificato prima dall'art. 5, comma 9, L. 23 febbraio 2001, n. 29 e poi dall'art. 3, L. 11 novembre 2003, n. 310. Vedi, anche, il comma 2 dell'art. 2, D.L. 22 marzo 2004, n. 72.
L. 15 maggio 1997 n. 127
Misure urgenti per lo snellimento
dell'attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo.(art. 17 commi 20 e 21)
Pubblicata nella Gazz. Uff. 17 maggio 1997, n. 113, S.O.
(omissis)
17. commi 1-58-bis. Ulteriori disposizioni in materia di semplificazione dell'attività amministrativa e di snellimento dei procedimenti di decisione e di controllo .
(omissis)
Comma 20. Ai fini di quanto previsto dall'articolo 81, quarto comma, del R.D. 18 novembre 1923, n. 2440 , e dagli articoli 29, 33, 35 e 194 del R.D. 23 maggio 1924, n. 827 , nonché dagli articoli 19 e seguenti del regolamento approvato con D.P.R. 30 novembre 1979, n. 718 , in materia di redazione e aggiornamento degli inventari, il valore dei beni e delle apparecchiature di natura informatica, anche destinati al funzionamento di sistemi informativi complessi, s'intende ammortizzato nel termine massimo di cinque anni dall'acquisto. Trascorso tale termine, il valore d'inventario s'intende azzerato, anche se i beni stessi risultino ancora suscettibili di utilizzazione.
Comma 21. I beni e le apparecchiature di cui al comma 20, qualora siano divenuti inadeguati per la funzione a cui erano destinati, sono alienati, ove possibile, a cura del Provveditorato generale dello Stato, secondo il procedimento previsto dall'articolo 35 del regio decreto 23 maggio 1924, n. 827 . In caso di esito negativo del procedimento di alienazione, i beni e le apparecchiature stessi sono assegnati in proprietà, a titolo gratuito, a istituzioni scolastiche o ad associazioni o altri soggetti non aventi fini di lucro che ne abbiano fatto richiesta, ovvero sono distrutti, nel rispetto della vigente normativa in materia di tutela ambientale.
D.Lgs. 28 agosto 1997 n. 281
Definizione ed ampliamento delle attribuzioni
della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le
province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i
compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la
Conferenza Stato-città ed autonomie locali. (art. 8)
Pubblicato nella Gazz. Uff. 30 agosto 1997, n. 202.
(omissis)
8. Conferenza Stato-città ed autonomie locali e Conferenza unificata.
1. La Conferenza Stato-città ed autonomie locali è unificata per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province, dei comuni e delle comunità montane, con la Conferenza Stato-regioni (13).
2. La Conferenza Stato-città ed autonomie locali è presieduta dal Presidente del Consiglio dei Ministri o, per sua delega, dal Ministro dell'interno o dal Ministro per gli affari regionali nella materia di rispettiva competenza; ne fanno parte altresì il Ministro del tesoro e del bilancio e della programmazione economica, il Ministro delle finanze, il Ministro dei lavori pubblici, il Ministro della sanità, il presidente dell'Associazione nazionale dei comuni d'Italia - ANCI, il presidente dell'Unione province d'Italia - UPI ed il presidente dell'Unione nazionale comuni, comunità ed enti montani - UNCEM. Ne fanno parte inoltre quattordici sindaci designati dall'ANCI e sei presidenti di provincia designati dall'UPI. Dei quattordici sindaci designati dall'ANCI cinque rappresentano le città individuate dall'articolo 17 della legge 8 giugno 1990, n. 142. Alle riunioni possono essere invitati altri membri del Governo, nonché rappresentanti di amministrazioni statali, locali o di enti pubblici (14).
3. La Conferenza Stato-città ed autonomie locali è convocata almeno ogni tre mesi, e comunque in tutti i casi il presidente ne ravvisi la necessità o qualora ne faccia richiesta il presidente dell'ANCI, dell'UPI o dell'UNCEM (15).
4. La Conferenza unificata di cui al comma 1 è convocata dal Presidente del Consiglio dei Ministri. Le sedute sono presiedute dal Presidente del Consiglio dei Ministri o, su sua delega, dal Ministro per gli affari regionali o, se tale incarico non è conferito, dal Ministro dell'interno (16).
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(13) La Corte costituzionale con sentenza 10-14 dicembre 1998, n. 408 (Gazz. Uff. 16 dicembre 1998, n. 50, Serie speciale), ha dichiarato non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 1, prima parte, sollevate dalla Regione Siciliana, in riferimento agli artt. 14, 15, 17 e 20 dello Statuto siciliano ed agli artt. 3, 5, 92, 95, 114, 115, 117, 118 e 119 della Costituzione, e dalla Regione Puglia, in riferimento agli artt. 5, 76, 115, 117, 118 e 119 della Costituzione;
ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 8, commi 2 e 3, e dell'art. 9, commi 5, 6 e 7, sollevata in riferimento all'art. 76 della Costituzione;
ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 1, dell'art. 8, commi 1 e 4, e dell'art. 9, sollevate dalla Regione Siciliana, in riferimento agli artt. 14, 15, 17 e 20 dello Statuto siciliano e agli artt. 3, 5, 92, 95, 114, 115, 117, 118 e 119 della Costituzione, e dalla Regione Puglia, in riferimento agli artt. 5, 115, 117, 118 e 119 della Costituzione;
ha dichiarato non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, commi 5 e 6, sollevata dalla Regione Puglia, in riferimento agli artt. 5, 115, 117, 118 e 119 della Costituzione;
ha dichiarato non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, sollevata dalla Regione Puglia, in riferimento agli artt. 5, 115, 117, 118 e 119 della Costituzione.
(14) Comma così modificato dal comma 21 dell'art. 1, D.L. 18 maggio 2006, n. 181.
(15) Vedi, anche, l'art. 28, L. 8 marzo 2000, n. 53.
(16) La Corte costituzionale con sentenza 10-14 dicembre 1998, n. 408 (Gazz. Uff. 16 dicembre 1998, n. 50, Serie speciale), ha dichiarato non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 1, prima parte, sollevate dalla Regione Siciliana, in riferimento agli artt. 14, 15, 17 e 20 dello Statuto siciliano ed agli artt. 3, 5, 92, 95, 114, 115, 117, 118 e 119 della Costituzione, e dalla Regione Puglia, in riferimento agli artt. 5, 76, 115, 117, 118 e 119 della Costituzione;
ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 8, commi 2 e 3, e dell'art. 9, commi 5, 6 e 7, sollevata in riferimento all'art. 76 della Costituzione;
ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 1, dell'art. 8, commi 1 e 4, e dell'art. 9, sollevate dalla Regione Siciliana, in riferimento agli artt. 14, 15, 17 e 20 dello Statuto siciliano e agli artt. 3, 5, 92, 95, 114, 115, 117, 118 e 119 della Costituzione, e dalla Regione Puglia, in riferimento agli artt. 5, 115, 117, 118 e 119 della Costituzione;
ha dichiarato non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, commi 5 e 6, sollevata dalla Regione Puglia, in riferimento agli artt. 5, 115, 117, 118 e 119 della Costituzione;
ha dichiarato non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, sollevata dalla Regione Puglia, in riferimento agli artt. 5, 115, 117, 118 e 119 della Costituzione.
L. 21 dicembre 1999 n. 526
Disposizioni per l'adempimento di
obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee - Legge
comunitaria 1999.
Pubblicata nella Gazz. Uff. 18 gennaio 2000, n. 13, S.O.
(omissis)
10. Modifiche al decreto legislativo 26 maggio 1997, n. 155, di attuazione delle direttive 93/43/CEE e 96/3/CE, concernente l'igiene dei prodotti alimentari, e altre disposizioni in materia.
1. ... (10).
2. All'articolo 3, comma 5, del decreto legislativo 26 maggio 1997, n. 155, dopo la parola: «comunitarie» sono aggiunte le seguenti: «, anche su richiesta motivata del responsabile dell'industria alimentare o del rappresentante di associazione dei produttori».
3. ... (11).
4. ... (12).
5. Le regioni e le provincie autonome di Trento e di Bolzano individuano, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, con proprio provvedimento, le industrie alimentari nei confronti delle quali adottare, in relazione alla tipologia di attività, alle dimensioni dell'impresa e al numero di addetti, misure dirette a semplificare le procedure del sistema Hazard analysis and critical control points (HACCP). I provvedimenti sono inviati al Ministro della sanità ai fini dell'emanazione degli opportuni regolamenti ovvero, ove occorra, della proposizione di appropriate modifiche alla direttiva 93/43/CEE del Consiglio, del 14 giugno 1993.
6. Al comma 2 dell'articolo 9 del decreto legislativo 26 maggio 1997, n. 155, le parole: «agli esercizi di vendita al dettaglio di sostanze alimentari destinate ad essere vendute nei predetti esercizi» sono sostituite dalle seguenti: «agli esercizi di somministrazione e vendita al dettaglio di sostanze alimentari destinate ad essere somministrate e vendute nei predetti esercizi».
7. I prodotti alimentari che richiedono metodi di lavorazioni e locali, particolari e tradizionali, nonché recipienti di lavorazione e tecniche di conservazione essenziali per le caratteristiche organolettiche del prodotto, non conformi alle prescrizioni di attuazione delle direttive 93/43/CEE del Consiglio, del 14 giugno 1993, e 97/3/CE della Commissione, del 26 gennaio 1996, non possono essere esportati, né essere oggetto di commercializzazione, fatta eccezione per i prodotti tradizionali individuati ai sensi e per gli effetti dell'articolo 8 del decreto legislativo 30 aprile 1998, n. 173.
8. Non costituisce commercializzazione, ai sensi del divieto di cui al comma 7, la vendita diretta anche per via telematica dal produttore e da consorzio fra produttori ovvero da organismi e associazioni di promozione degli alimenti tipici al consumatore finale, nell'àmbito della provincia della zona tipica di produzione. Gli esercizi di somministrazione e di ristorazione sono considerati consumatori finali (13).
9. Gli alberghi, i pubblici esercizi, le collettività, le mense devono conservare i prodotti alimentari, di cui al comma 7, in modo idoneo a garantire la non contaminazione dei prodotti alimentari prodotti conformemente al decreto legislativo 26 maggio 1997, n. 155, e successive modificazioni.
10. Con decreto del Ministro della sanità può essere disposto il divieto temporaneo di vendita di prodotti alimentari regolamentati dai commi 7 e seguenti in caso di pericolo per la salute umana.
11. Il Governo è delegato ad emanare, entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi contenenti norme per il sostegno dei produttori di prodotti alimentari tipici e tradizionali, di cui al comma 7, al fine di favorire il raggiungimento di un reddito minimo nelle zone economicamente depresse o a rischio ambientale, senza oneri aggiuntivi a carico del bilancio dello Stato.
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(10) Sostituisce il comma 3 dell'art. 3, D.Lgs. 26 maggio 1997, n. 155.
(11) Aggiunge l'art. 3-bis al D.Lgs. 26 maggio 1997, n. 155.
(12) Sostituisce il comma 2 dell'art. 8, D.Lgs. 26 maggio 1997, n. 155.
(13) Comma così modificato prima dall'art. 59, L. 23 dicembre 1999, n. 488, nel testo integrato dall'art. 123, L. 23 dicembre 2000, n. 388, e poi dall'art. 4, D.Lgs. 29 marzo 2004, n. 99.
D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554
Regolamento di attuazione della L. 11
febbraio 1994, n. 109 legge quadro in materia di lavori pubblici, e successive
modificazioni (artt. 11, 13 e 14)
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(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 28 aprile 2000, n. 98, S.O.
(2) Le tipologie unitarie dei bandi di gara per l'affidamento dei lavori pubblici sono state individuate con Det. 4 settembre 2000 e con Det. 28 gennaio 2002. La regione Sicilia, con L.R. 2 agosto 2002, n. 7, ha disposto che il presente decreto si applichi nel proprio territorio nel testo vigente alla data di approvazione della stessa, ad eccezione delle parti con essa incompatibili (il testo del presente decreto, nella formulazione allora vigente, è riportato in appendice alla medesima legge regionale).
(3) Con riferimento al presente provvedimento sono state emanate le seguenti istruzioni:
- Ministero dei lavori pubblici: Circ. 7 settembre 2000, n. 1329/400/19;
- Ministero per i beni e le attività culturali: Circ. 5 aprile 2002, n. 42/2002; Circ. 16 febbraio 2004, n. 20.
(omissis)
11. Disposizioni preliminari.
1. Le amministrazioni aggiudicatrici elaborano uno studio per individuare il quadro dei bisogni e delle esigenze, al fine di identificare gli interventi necessari al loro soddisfacimento.
2. Sulla base dello studio di cui al comma 1 le amministrazioni aggiudicatrici provvedono alla redazione di studi di fattibilità necessari per l'elaborazione del programma di cui all'articolo 14 della Legge.
3. In materia di programmi di lavori pubblici gli enti locali territoriali applicano le norme previste nei propri ordinamenti compatibili con le disposizioni della Legge e del regolamento.
(omissis)
13. Programma triennale.
1. In conformità allo schema-tipo definito con decreto del Ministro dei lavori pubblici e sulla base degli studi di cui all'articolo 11, commi 1 e 2, ogni anno viene redatto, aggiornando quello precedentemente approvato, un programma dei lavori pubblici da eseguire nel successivo triennio. Tale programma è deliberato dalle amministrazioni aggiudicatrici diverse dallo Stato contestualmente al bilancio di previsione e al bilancio pluriennale, ed è ad essi allegato assieme all'elenco dei lavori da avviare nell'anno.
2. Il programma indica, per tipologia e in relazione alle specifiche categorie degli interventi, le loro finalità, i risultati attesi, le priorità, le localizzazioni, le problematiche di ordine ambientale, paesistico ed urbanistico-territoriale, le relazioni con piani di assetto territoriale o di settore, il grado di soddisfacimento della domanda, le risorse disponibili, la stima dei costi e dei tempi di attuazione. Le priorità del programma privilegiano valutazioni di pubblica utilità rispetto ad altri elementi.
3. Lo schema di programma e di aggiornamento sono redatti, entro il 30 settembre di ogni anno. La proposta di aggiornamento è fatta anche in ordine alle esigenze prospettate dai responsabili del procedimento dei singoli interventi. Le Amministrazioni dello Stato procedono all'aggiornamento definitivo del programma entro 90 giorni dall'approvazione della legge di bilancio da parte del Parlamento (15).
4. Sulla base dell'aggiornamento di cui al comma 3 è redatto, entro la stessa data, l'elenco dei lavori da avviare nell'anno successivo.
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(15) L'art. 3, O.M. 27 ottobre 2000 (Gazz. Uff. 3 novembre 2000, n. 257) ha stabilito che le disposizioni contenute nel presente comma sono sospese, per l'anno 2000, nei confronti degli enti locali delle regioni Valle d'Aosta, Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Liguria e Calabria.
14. Pubblicità del programma.
1. Le amministrazioni aggiudicatrici inviano all'Osservatorio dei lavori pubblici, sulla base della scheda tipo predisposta dal Ministero dei lavori pubblici, i programmi triennali, i loro aggiornamenti e gli elenchi annuali dei lavori da realizzare, ai sensi dell'articolo 14, comma 11, della Legge.
2. Le amministrazioni aggiudicatrici di rilevanza nazionale trasmettono i programmi al CIPE entro il 30 aprile di ciascun anno.
3. Le caratteristiche essenziali degli appalti di lavori pubblici di importo pari o superiori al controvalore in Euro di 5.000.000 di DSP, contenuti nei programmi, sono altresì rese note mediante comunicazione di preinformazione all'Ufficio delle pubblicazioni ufficiali dell'Unione Europea.
D.Lgs. 18 agosto 2000 n. 267
Testo unico delle leggi
sull'ordinamento degli enti locali.
(art. 51)
Pubblicato nella Gazz. Uff. 28 settembre 2000, n. 227, S.O.
(omissis)
51. Durata del mandato del sindaco, del presidente della provincia e dei consigli. Limitazione dei mandati.
1. Il sindaco e il consiglio comunale, il presidente della provincia e il consiglio provinciale durano in carica per un periodo di cinque anni.
2. Chi ha ricoperto per due mandati consecutivi la carica di sindaco e di presidente della provincia non è, allo scadere del secondo mandato, immediatamente rieleggibile alle medesime cariche.
3. È consentito un terzo mandato consecutivo se uno dei due mandati precedenti ha avuto durata inferiore a due anni, sei mesi e un giorno, per causa diversa dalle dimissioni volontarie (58).
--------------------------------------------------------------------------------
(58) Il presente articolo corrisponde all'art. 2, L. 25 marzo 1993, n. 81, ora abrogato.
D.M. 18 luglio 2000
Elenco nazionale dei prodotti agroalimentari
tradizionali.
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(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 21 agosto 2000, n. 194, S.O.
(2) Il presente provvedimento è anche citato, per coordinamento, in nota al comma 3 dell'art. 3, D.M. 8 settembre 1999, n. 350.
(3) Con D.M. 8 maggio 2001, integrato dal D.M. 19 giugno 2001, è stata disposta la prima revisione dell'elenco nazionale dei prodotti agroalimentari tradizionali. Con D.Dirett. 14 giugno 2002 è stata disposta la seconda revisione; con D.Dirett. 25 luglio 2003 è stata disposta la terza revisione; con D.Dirett. 22 luglio 2004 è stata disposta la quarta revisione. Vedi, anche, l'art. 1, D.M. 9 aprile 2008.
IL DIRETTORE GENERALE
DELLE POLITICHE AGRICOLE ED AGROINDUSTRIALI NAZIONALI
Visto il decreto ministeriale 8 settembre 1999, n. 350 con il quale è stato adottato il regolamento recante norme per l'individuazione dei prodotti tradizionali di cui all'art. 8, comma 1 del decreto legislativo 30 aprile 1998, n. 173;
Considerato che l'art. 3, comma 3 del predetto decreto ministeriale attribuisce al Ministero delle politiche agricole e forestali la cura della pubblicazione annuale dell'elenco nazionale dei prodotti agroalimentari tradizionali;
Considerato che le regioni e le provincie autonome di Trento e Bolzano hanno fatto pervenire, nel termine stabilito dall'art. 2 del citato decreto, gli elenchi regionali o provinciali dei propri prodotti agroalimentari tradizionali;
Ritenuto di dover dare attuazione alla citata disposizione di cui al comma 3 dell'art. 3 sopra riferito, mediante pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana del predetto elenco;
Decreta:
1. 1. In attuazione dell'art. 3, comma 3 del decreto ministeriale 8 settembre 1999, n. 350 citato in epigrafe, si provvede alla pubblicazione dell'elenco nazionale dei prodotti agroalimentari definiti tradizionali dalle regioni e dalle province autonome di Trento e di Bolzano.
2. L'allegato elenco, articolato su base regionale e provinciale, costituisce parte integrante del presente decreto.
2. L'elenco pubblicato non è esaustivo dei prodotti definibili tradizionali in quanto costituisce un primo censimento degli stessi. La prima revisione dell'elenco avrà luogo entro il 31 gennaio 2001 (4).
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(4) Con D.M. 8 maggio 2001, integrato dal D.M. 19 giugno 2001, è stata disposta la prima revisione dell'elenco nazionale dei prodotti agroalimentari tradizionali. Con D.Dirett. 14 giugno 2002 è stata disposta la seconda revisione; con D.Dirett. 25 luglio 2003 è stata disposta la terza revisione; con D.Dirett. 22 luglio 2004 è stata disposta la quarta revisione.
3. L'inserimento di un prodotto nel predetto elenco non è costitutivo di diritti conseguenti alla pubblicazione e l'eventuale riferimento al nome geografico non costituisce riconoscimento di origine o provenienza del prodotto dal territorio al quale è riconducibile il predetto nome geografico.
4. L'inserimento nella classe di appartenenza risponde all'esigenza di individuare il comparto merceologico più idoneo a rappresentarlo.
5. Il nome di ciascun prodotto, il suo eventuale sinonimo o termine dialettale non può costituire oggetto di deposito e di richiesta di registrazione, ai sensi della vigente normativa comunitaria e nazionale sulla proprietà intellettuale e industriale, a decorrere dalla data di pubblicazione del presente decreto nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.
6. 1. Per i prodotti tradizionali iscritti negli elenchi regionali o provinciali e riportati nel predetto elenco per i quali risulti necessario accedere alle deroghe previste dall'art. 8, comma 2 del decreto legislativo 30 aprile 1998, n. 173 sarà cura di questo Ministero trasmettere, ai fini dell'emissione del provvedimento di deroga, al Ministero della sanità e al Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato la documentazione predisposta dalle regioni e dalle province autonome ai sensi dell'art. 4, comma 1 del decreto ministeriale citato.
2. Della concessione della deroga verrà fatta annotazione nell'elenco nazionale a margine del prodotto interessato.
7. Chiunque abbia interesse a prendere visione o trarre copia della documentazione sulla base della quale la regione o provincia autonoma ha individuato i propri prodotti tradizionali, può presentare a tal fine motivata istanza alla regione o provincia autonoma interessata.
Si omettono gli allegati
D.P.R. 3 novembre 2000 n. 396
Regolamento per la revisione e la
semplificazione dell'ordinamento dello stato civile, a norma dell'articolo 2,
comma 12, della L. 15 maggio 1997, n. 127.
Pubblicato nella Gazz. Uff. 30 dicembre 2000, n. 303, S.O.
((omissis)
30. Dichiarazione di nascita.
1. La dichiarazione di nascita è resa da uno dei genitori, da un procuratore speciale, ovvero dal medico o dalla ostetrica o da altra persona che ha assistito al parto, rispettando l'eventuale volontà della madre di non essere nominata (8).
2. Ai fini della formazione dell'atto di nascita, la dichiarazione resa all'ufficiale dello stato civile è corredata da una attestazione di avvenuta nascita contenente le generalità della puerpera, nonché le indicazioni del comune, ospedale, casa di cura o altro luogo ove è avvenuta la nascita, del giorno e dell'ora della nascita e del sesso del bambino.
3. Se la puerpera non è stata assistita da personale sanitario, il dichiarante che non è neppure in grado di esibire l'attestazione di constatazione di avvenuto parto, produce una dichiarazione sostitutiva resa ai sensi dell'articolo 2 della legge 4 gennaio 1968, n. 15.
4. La dichiarazione può essere resa, entro dieci giorni dalla nascita, presso il comune nel cui territorio è avvenuto il parto o in alternativa, entro tre giorni, presso la direzione sanitaria dell'ospedale o della casa di cura in cui è avvenuta la nascita. In tale ultimo caso la dichiarazione può contenere anche il riconoscimento contestuale di figlio naturale e, unitamente all'attestazione di nascita, è trasmessa, ai fini della trascrizione, dal direttore sanitario all'ufficiale dello stato civile del comune nel cui territorio è situato il centro di nascita o, su richiesta dei genitori, al comune di residenza individuato ai sensi del comma 7, nei dieci giorni successivi, anche attraverso la utilizzazione di sistemi di comunicazione telematici tali da garantire l'autenticità della documentazione inviata secondo la normativa in vigore.
5. La dichiarazione non può essere ricevuta dal direttore sanitario se il bambino è nato morto ovvero se è morto prima che è stata resa la dichiarazione stessa. In tal caso la dichiarazione deve essere resa esclusivamente all'ufficiale dello stato civile del comune dove è avvenuta la nascita.
6. Ai fini dell'applicazione delle disposizioni del presente articolo, gli uffici dello stato civile, nei loro rapporti con le direzioni sanitarie dei centri di nascita presenti sul proprio territorio, si attengono alle modalità di coordinamento e di collegamento previste dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri di cui all'articolo 10, comma 2.
7. I genitori, o uno di essi, se non intendono avvalersi di quanto previsto dal comma 4, hanno facoltà di dichiarare, entro dieci giorni dal parto, la nascita nel proprio comune di residenza. Nel caso in cui i genitori non risiedano nello stesso comune, salvo diverso accordo tra di loro, la dichiarazione di nascita è resa nel comune di residenza della madre. In tali casi, ove il dichiarante non esibisca l'attestazione della avvenuta nascita, il comune nel quale la dichiarazione è resa deve procurarsela presso il centro di nascita dove il parto è avvenuto, salvo quanto previsto al comma 3 (9).
8. L'ufficiale dello stato civile che registra la nascita nel comune di residenza dei genitori o della madre deve comunicare al comune di nascita il nominativo del nato e gli estremi dell'atto ricevuto (10).
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(8) Vedi, anche, l'art. 93, D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196 e l'art. 9, L. 19 febbraio 2004, n. 40.
(9) Vedi, anche, l'art. 11, D.M. 27 febbraio 2001.
(10) Vedi, anche, l'art. 12, D.M. 27 febbraio 2001.
D.Lgs. 30 marzo 2001 n. 165
Norme generali sull'ordinamento del
lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche.
Pubblicato nella Gazz. Uff. 9 maggio 2001, n. 106, S.O.
TITOLO I
Princìpi generali
1. Finalità ed àmbito di applicazione.
(Art. 1 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come modificato dall'art. 1 del D.Lgs. n. 80 del 1998)
1. Le disposizioni del presente decreto disciplinano l'organizzazione degli uffici e i rapporti di lavoro e di impiego alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, tenuto conto delle autonomie locali e di quelle delle regioni e delle province autonome, nel rispetto dell'articolo 97, comma primo, della Costituzione, al fine di:
a) accrescere l'efficienza delle amministrazioni in relazione a quella dei corrispondenti uffici e servizi dei Paesi dell'Unione europea, anche mediante il coordinato sviluppo di sistemi informativi pubblici;
b) razionalizzare il costo del lavoro pubblico, contenendo la spesa complessiva per il personale, diretta e indiretta, entro i vincoli di finanza pubblica;
c) realizzare la migliore utilizzazione delle risorse umane nelle pubbliche amministrazioni, curando la formazione e lo sviluppo professionale dei dipendenti, garantendo pari opportunità alle lavoratrici ed ai lavoratori e applicando condizioni uniformi rispetto a quello del lavoro privato.
2. Per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 (3).
3. Le disposizioni del presente decreto costituiscono princìpi fondamentali ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione. Le Regioni a statuto ordinario si attengono ad esse tenendo conto delle peculiarità dei rispettivi ordinamenti. I princìpi desumibili dall'articolo 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421, e successive modificazioni, e dall'articolo 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni ed integrazioni, costituiscono altresì, per le Regioni a statuto speciale e per le provincie autonome di Trento e di Bolzano, norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica.
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(3) Comma così modificato dall'art. 1, L. 15 luglio 2002, n. 145. Vedi, anche, l'art. 9, D.L. 24 dicembre 2002, n. 282, l'art. 1, D.L. 12 luglio 2004, n. 168 e l’art. 67, comma 8, l’art. 71, comma 1, l’art. 72, commi 5 e 11, D.L. 25 giugno 2008, n. 112.
D.Lgs. 18-5-2001 n. 228
Orientamento e modernizzazione del
settore agricolo, a norma dell'articolo 7 della L. 5 marzo 2001, n. 57. (artt. 14 e 15)
Pubblicato nella Gazz. Uff. 15 giugno 2001, n. 137, S.O.
(omissis)
14. Contratti di collaborazione con le pubbliche amministrazioni.
1. Le pubbliche amministrazioni possono concludere contratti di collaborazione, anche ai sensi dell'articolo 119 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, con gli imprenditori agricoli anche su richiesta delle organizzazioni professionali agricole maggiormente rappresentative a livello nazionale, per la promozione delle vocazioni produttive del territorio e la tutela delle produzioni di qualità e delle tradizioni alimentari locali.
2. I contratti di collaborazione sono destinati ad assicurare il sostegno e lo sviluppo dell'imprenditoria agricola locale, anche attraverso la valorizzazione delle peculiarità dei prodotti tipici, biologici e di qualità, anche tenendo conto dei distretti agroalimentari, rurali e ittici.
3. Al fine di assicurare un'adeguata informazione ai consumatori e di consentire la conoscenza della provenienza della materia prima e della peculiarità delle produzioni di cui ai commi 1 e 2, le pubbliche amministrazioni, nel rispetto degli Orientamenti comunitari in materia di aiuti di Stato all'agricoltura, possono concludere contratti di promozione con gli imprenditori agricoli che si impegnino nell'esercizio dell'attività di impresa ad assicurare la tutela delle risorse naturali, della biodiversità, del patrimonio culturale e del paesaggio agrario e forestale.
15. Convenzioni con le pubbliche amministrazioni.
1. Al fine di favorire lo svolgimento di attività funzionali alla sistemazione ed alla manutenzione del territorio, alla salvaguardia del paesaggio agrario e forestale, alla cura ed al mantenimento dell'assetto idrogeologico e di promuovere prestazioni a favore della tutela delle vocazioni produttive del territorio, le pubbliche amministrazioni, ivi compresi i consorzi di bonifica, possono stipulare convenzioni con gli imprenditori agricoli (16).
2. Le convenzioni di cui al comma 1 definiscono le prestazioni delle pubbliche amministrazioni che possono consistere, nel rispetto degli Orientamenti comunitari in materia di aiuti di Stato all'agricoltura anche in finanziamenti, concessioni amministrative, riduzioni tariffarie o realizzazione di opere pubbliche. Per le predette finalità le pubbliche amministrazioni, in deroga alle norme vigenti, possono stipulare contratti d'appalto con gli imprenditori agricoli di importo annuale non superiore a 50.000 euro nel caso di imprenditori singoli, e 300.000 euro nel caso di imprenditori in forma associata (17).
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(16) Comma così modificato dall'art. 4-novies, D.L. 3 novembre 2008, n. 171, aggiunto dalla relativa legge di conversione.
(17) Comma così modificato dal comma 1067 dell'art. 1, L. 27 dicembre 2006, n. 296.
L. 28 dicembre 2001 n. 448
Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2002). (art. 24, co. 6)
Pubblicata nella Gazz. Uff. 29 dicembre 2001, n. 301, S.O.
(omissis)
24. Patto di stabilità interno per province e comuni.
(omissis)
6. Per l'acquisto di beni e servizi di rilevanza nazionale le province, i comuni, le comunità montane e i consorzi di enti locali possono aderire alle convenzioni stipulate ai sensi dell'articolo 26 della legge 23 dicembre 1999, n. 488, e successive modificazioni, e dell'articolo 59 della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (100) (101).
(omissis)
--------------------------------------------------------------------------------
(101) La Corte costituzionale, con sentenza 20-26 gennaio 2004, n. 36 (Gazz. Uff. 4 febbraio 2004, n. 5, 1ª Serie speciale), ha dichiarato cessata la materia del contendere in ordine alla questione di legittimità costituzionale dell'art. 24, comma 9, periodi dal secondo al quarto, sollevata in riferimento agli articoli 3, 5, 114, 117 e 119 della Costituzione;
ha inoltre dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 24, commi 2, 3 e 4, sollevate in riferimento agli articoli 3, 117 e 118 della Costituzione;
ha inoltre dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 24, commi 6, 7 e 8, sollevate in riferimento agli articoli 3, 5, 114, 117 e 119 della Costituzione;
ha inoltre dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 24, comma 9, primo periodo, sollevata in riferimento agli articoli 3, 5, 114, 117 e 119 della Costituzione;
ha infine dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 24, comma 13, sollevata in riferimento all'art. 117 della Costituzione.
L. 27-12-2002 n. 289
Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2003). (art. 26)
Pubblicata nella Gazz. Uff. 31 dicembre 2002, n. 305, S.O.
(omissis)
26. Disposizioni in materia di innovazione tecnologica.
1. Per l'attuazione del comma 7 dell'articolo 29 della legge 28 dicembre 2001, n. 448, è istituito il fondo per il finanziamento di progetti di innovazione tecnologica nelle pubbliche amministrazioni e nel Paese con una dotazione di 100 milioni di euro per l'anno 2003, al cui finanziamento concorrono la riduzione dell'8 per cento degli stanziamenti per l'informatica iscritti nel bilancio dello Stato e quota parte delle riduzioni per consumi intermedi di cui all'articolo 23, comma 3. Il Ministro per l'innovazione e le tecnologie, di concerto con il Ministro per la funzione pubblica e il Ministro dell'economia e delle finanze, con uno o più decreti di natura non regolamentare, stabilisce le modalità di funzionamento del fondo, individua i progetti da finanziare e, ove necessario, la relativa ripartizione tra le amministrazioni interessate (239) (240).
2. Al fine di assicurare una migliore efficacia della spesa informatica e telematica sostenuta dalle pubbliche amministrazioni, di generare significativi risparmi eliminando duplicazioni e inefficienze, promuovendo le migliori pratiche e favorendo il riuso, nonché di indirizzare gli investimenti nelle tecnologie informatiche e telematiche, secondo una coordinata e integrata strategia, il Ministro per l'innovazione e le tecnologie:
a) [definisce con proprie direttive le linee strategiche, la pianificazione e le aree di intervento dell'innovazione tecnologica nelle pubbliche amministrazioni, e ne verifica l'attuazione] (241);
b) approva, con il Ministro dell'economia e delle finanze, il piano triennale ed i relativi aggiornamenti annuali di cui all'articolo 7 del decreto legislativo 12 febbraio 1993, n. 39, entro il 30 giugno di ogni anno;
c) valuta la congruenza dei progetti di innovazione tecnologica che ritiene di grande valenza strategica rispetto alle direttive di cui alla lettera a) ed assicura il monitoraggio dell'esecuzione;
d) individua i progetti intersettoriali che devono essere realizzati in collaborazione tra le varie amministrazioni interessate assicurandone il coordinamento e definendone le modalità di realizzazione;
e) [valuta, sulla base di criteri e metodiche di ottimizzazione della spesa, il corretto utilizzo delle risorse finanziarie per l'informatica e la telematica da parte delle singole amministrazioni] (242);
f) stabilisce le modalità con le quali le pubbliche amministrazioni comunicano le informazioni relative ai programmi informatici, realizzati su loro specifica richiesta, di cui esse dispongono, al fine di consentirne il riuso previsto dall'articolo 25, comma 1, della legge 24 novembre 2000, n. 340;
g) individua specifiche iniziative per i comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti e per le isole minori;
h) [promuove l'informazione circa le iniziative per la diffusione delle nuove tecnologie] (243) (244) (245).
3. Nei casi in cui i progetti di cui ai commi 1 e 2 riguardino l'organizzazione e la dotazione tecnologica delle regioni e degli enti territoriali, i provvedimenti sono adottati sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 (246).
4. Al fine di accelerare la diffusione della carta di identità elettronica e della carta nazionale dei servizi, le pubbliche amministrazioni interessate, nel quadro di un programma nazionale approvato con decreto dei Ministri per l'innovazione e le tecnologie, dell'economia e delle finanze, della salute e dell'interno, possono procurarsi i necessari finanziamenti nelle seguenti forme anche cumulabili tra loro:
a) convenzioni con istituti di credito o finanziari;
b) contributi di privati interessati a forme di promozione;
c) ricorso alla finanza di progetto;
d) operazioni di cartolarizzazione.
5. Con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, adottato di concerto con il Ministro per l'innovazione e le tecnologie, sono determinati i criteri e le procedure di accreditamento dei corsi universitari a distanza e delle istituzioni universitarie abilitate a rilasciare titoli accademici, ai sensi del regolamento di cui al D.M. 3 novembre 1999, n. 509 del Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica, al termine dei corsi stessi, senza oneri a carico del bilancio dello Stato fatto salvo quanto previsto dalla legge 29 luglio 1991, n. 243, e dall'articolo 2, comma 5, lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica 27 gennaio 1998, n. 25. Ai fini dell'acquisizione dell'autorizzazione al rilascio dei titoli accademici, le istituzioni devono disporre di adeguate risorse organizzative e gestionali in grado di (247):
a) presentare un'architettura di sistema flessibile e capace di utilizzare in modo mirato le diverse tecnologie per la gestione dell'interattività, salvaguardando il principio della loro usabilità;
b) favorire l'integrazione coerente e didatticamente valida della gamma di servizi di supporto alla didattica distribuita;
c) garantire la selezione, progettazione e redazione di adeguate risorse di apprendimento per ciascun courseware;
d) garantire adeguati contesti di interazione per la somministrazione e la gestione del flusso dei contenuti di apprendimento, anche attraverso l'offerta di un articolato servizio di teletutoring;
e) garantire adeguate procedure di accertamento delle conoscenze in funzione della certificazione delle competenze acquisite; provvedere alla ricerca e allo sviluppo di architetture innovative di sistemi e-learning in grado di supportare il flusso di dati multimediali relativi alla gamma di prodotti di apprendimento offerti (248).
6. Per la realizzazione dell'anagrafe degli italiani residenti all'estero e per la informatizzazione delle prefetture è autorizzata la spesa di 25 milioni di euro per ciascuno degli anni 2003, 2004 e 2005.
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(239) In attuazione di quanto disposto dal presente comma vedi il D.M. 14 ottobre 2003, il D.M. 2 luglio 2004 e il D.M. 27 ottobre 2004.
(240) La Corte costituzionale, con sentenza 12-26 gennaio 2005, n. 31 (Gazz. Uff. 2 febbraio 2005, n. 5, 1ª Serie speciale), ha dichiarato non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 26, commi 1 e 2, sollevata dalla Regione Emilia-Romagna, in riferimento agli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione;
ha infine dichiarato non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 56 sollevata dalla Regione Emilia-Romagna, in riferimento agli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione.
(241) Lettera abrogata, a decorrere dal 1° gennaio 2006, dall'art. 75, D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82. Vedi, ora, la lettera a) del comma 1 dell'art. 17 dello stesso decreto.
(242) Lettera abrogata, a decorrere dal 1° gennaio 2006, dall'art. 75, D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82. Vedi, ora, la lettera b) del comma 1 dell'art. 17 dello stesso decreto.
(243) Vedi, anche, le linee guida per l'adozione del protocollo informatico e per il trattamento informatico dei procedimenti amministrativi approvate con D.M. 14 ottobre 2003.
(244) Lettera abrogata, a decorrere dal 1° gennaio 2006, dall'art. 75, D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82. Vedi, ora, la lettera d) del comma 1 dell'art. 17 dello stesso decreto.
(245) La Corte costituzionale, con sentenza 12-26 gennaio 2005, n. 31 (Gazz. Uff. 2 febbraio 2005, n. 5, 1ª Serie speciale), ha dichiarato non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 26, commi 1 e 2, sollevata dalla Regione Emilia-Romagna, in riferimento agli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione;
ha infine dichiarato non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 56 sollevata dalla Regione Emilia-Romagna, in riferimento agli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione.
(246) La Corte costituzionale, con sentenza 12-26 gennaio 2005, n. 31 (Gazz. Uff. 2 febbraio 2005, n. 5 - Prima Serie speciale), corretta con avviso pubblicato nella Gazz. Uff. 9 febbraio 2005, n. 6 - Prima serie speciale, ha dichiarato, tra l'altro, l'illegittimità del presente comma, nella parte in cui prevede che qualora i progetti cui si riferiscono i commi 1 e 2 del presente articolo riguardino l'organizzazione e la dotazione tecnologica delle Regioni e degli enti territoriali «i provvedimenti sono adottati sentita la Conferenza unificata di cui all'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281», anziché stabilire che tali provvedimenti sono adottati previa intesa con la Conferenza stessa.
(247) Alinea così modificato dall'art. 4, D.L. 14 marzo 2005, n. 35, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione.
(248) In attuazione di quanto disposto dal presente comma vedi il D.M. 17 aprile 2003. Vedi, anche, il comma 148 dell'art. 2, D.L. 3 ottobre 2006, n. 262, come modificato dalla relativa legge di conversione.
Provv. 24 luglio 2003
Approvazione del V aggiornamento
dell'elenco ufficiale delle aree naturali protette, ai sensi del combinato
disposto dell'art. 3, comma 4, lettera c), della L. 6 dicembre 1991, n. 394, e
dell'art. 7, comma 1, del D.Lgs. 28 agosto 1997, n. 281.
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(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 4 settembre 2003, n. 205, S.O. Emanato dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le province autonome di Trento e Bolzano.
LA CONFERENZA PERMANENTE PER I RAPPORTI TRA LO STATO
LE REGIONI E LE PROVINCE AUTONOME DI TRENTO E BOLZANO
Vista la legge 6 dicembre 1991, n. 394, «Legge quadro sulle aree protette», che all'art. 3, comma 4, lettera c), demanda al Comitato per le aree naturali protette l'approvazione dell'elenco ufficiale di dette aree;
Considerato che il predetto Comitato è stato soppresso e le relative funzioni sono state trasferite a questa Conferenza, ai sensi dell'art. 7, comma 1, del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281;
Vista la proposta del V aggiornamento delle aree naturali protette, trasmessa dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio con nota 17 giugno 2003, n. DCN/4D/11494/2003 unitamente alla relazione istruttoria;
Considerate le risultanze della riunione tecnica dell'11 luglio 2003, nella quale sono state concordate alcune modifiche alla richiamata proposta di V aggiornamento;
Vista la nuova stesura del V aggiornamento dell'elenco, trasmessa dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio con nota 15 luglio 2003, n. DCN/IVD/2003/13168, che recepisce le modifiche concordate nella citata sede tecnica;
Vista la nota 23 luglio 2003 del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, con la quale si comunicano alcune rettifiche al testo e si trasmette la relativa nuova stesura;
Considerato che in corso di seduta i Presidenti delle Regioni e delle Province autonome hanno espresso il parere favorevole sulla proposta di cui in premessa;
Approva
ai sensi del combinato disposto dell'art. 3, comma 4, lettera c), della legge 6 dicembre 1991, n. 394, e dell'art. 7, comma 1, del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, il V aggiornamento dell'elenco ufficiale delle aree naturali protette, allegato sub A, parte integrante del presente atto, come risultante dal testo trasmesso il 15 luglio 2003, modificato a seguito della nota 23 luglio 2003, di cui in premessa.
Allegato A (2)
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(2) Si omette l'elenco ufficiale delle aree naturali protette.
D.Lgs. 22 gennaio 2004 n. 42
Codice dei beni culturali e del
paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della L. 6 luglio 2002, n. 137.(artt. 135 e 136)
Pubblicato nella Gazz. Uff. 24 febbraio 2004, n. 45, S.O.
(omissis)
135. Pianificazione paesaggistica.
1. Lo Stato e le regioni assicurano che tutto il territorio sia adeguatamente conosciuto, salvaguardato, pianificato e gestito in ragione dei differenti valori espressi dai diversi contesti che lo costituiscono. A tale fine le regioni sottopongono a specifica normativa d'uso il territorio mediante piani paesaggistici, ovvero piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesaggistici, entrambi di seguito denominati: «piani paesaggistici». L'elaborazione dei piani paesaggistici avviene congiuntamente tra Ministero e regioni, limitatamente ai beni paesaggistici di cui all'articolo 143, comma 1, lettere b), c) e d), nelle forme previste dal medesimo articolo 143.
2. I piani paesaggistici, con riferimento al territorio considerato, ne riconoscono gli aspetti e i caratteri peculiari, nonché le caratteristiche paesaggistiche, e ne delimitano i relativi ambiti.
3. In riferimento a ciascun ambito, i piani predispongono specifiche normative d'uso, per le finalità indicate negli articoli 131 e 133, ed attribuiscono adeguati obiettivi di qualità.
4. Per ciascun ambito i piani paesaggistici definiscono apposite prescrizioni e previsioni ordinate in particolare:
a) alla conservazione degli elementi costitutivi e delle morfologie dei beni paesaggistici sottoposti a tutela, tenuto conto anche delle tipologie architettoniche, delle tecniche e dei materiali costruttivi, nonché delle esigenze di ripristino dei valori paesaggistici;
b) alla riqualificazione delle aree compromesse o degradate;
c) alla salvaguardia delle caratteristiche paesaggistiche degli altri ambiti territoriali, assicurando, al contempo, il minor consumo del territorio;
d) alla individuazione delle linee di sviluppo urbanistico ed edilizio, in funzione della loro compatibilità con i diversi valori paesaggistici riconosciuti e tutelati, con particolare attenzione alla salvaguardia dei paesaggi rurali e dei siti inseriti nella lista del patrimonio mondiale dell'UNESCO (192).
--------------------------------------------------------------------------------
(192) Articolo così sostituito prima dall'art. 5, D.Lgs. 24 marzo 2006, n. 157 e poi dalla lettera e) del comma 1 dell’art. 2, D.Lgs. 26 marzo 2008, n. 63.
136. Immobili ed aree di notevole interesse pubblico.
1. Sono soggetti alle disposizioni di questo Titolo per il loro notevole interesse pubblico:
a) le cose immobili che hanno cospicui caratteri di bellezza naturale, singolarità geologica o memoria storica, ivi compresi gli alberi monumentali (193);
b) le ville, i giardini e i parchi, non tutelati dalle disposizioni della Parte seconda del presente codice, che si distinguono per la loro non comune bellezza;
c) i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale, inclusi i centri ed i nuclei storici (194);
d) le bellezze panoramiche e così pure quei punti di vista o di belvedere, accessibili al pubblico, dai quali si goda lo spettacolo di quelle bellezze (195).
--------------------------------------------------------------------------------
(193) Lettera così modificata dal numero 1) della lettera f) del comma 1 dell’art. 2, D.Lgs. 26 marzo 2008, n. 63.
(194) Lettera così modificata prima dall'art. 6, D.Lgs. 24 marzo 2006, n. 157 e poi dal numero 2) della lettera f) del comma 1 dell’art. 2, D.Lgs. 26 marzo 2008, n. 63.
(195) Lettera così modificata dal numero 3) della lettera f) del comma 1 dell’art. 2, D.Lgs. 26 marzo 2008, n. 63.
D.M. 9 giugno 2005
Procedura e schemi-tipo per la
redazione e la pubblicazione del programma triennale, dei suoi aggiornamenti
annuali e dell'elenco annuale dei lavori pubblici, ai sensi dell'articolo 14,
comma 11, della L. 11 febbraio 1994, n. 109, e successive modificazioni ed integrazioni.
(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 30 giugno 2005, n. 150.
IL MINISTRO DELLE INFRASTRUTTURE
E DEI TRASPORTI
Visto il Titolo V della Costituzione;
Visto l'art. 14, comma 11, della legge 11 febbraio 1994, n. 109 e successive modifiche ed integrazioni;
Visto il titolo III capo I del regolamento di esecuzione della legge - quadro in materia di lavori pubblici, emanato con decreto del Presidente della Repubblica 21 dicembre 1999, n. 554;
Visto che il comma 11 dell'art. 14 della legge 11 febbraio 1994, n. 109 e successive modifiche ed integrazioni, demanda al Ministro dei lavori pubblici ora Ministero delle infrastrutture e dei trasporti il compito di definire, con proprio decreto, gli «schemi-tipo» sulla base dei quali i soggetti di cui all'art. 2, comma 2, lettera a) della legge, redigono ed adottano il programma triennale, i suoi aggiornamenti annuali e gli elenchi annuali dei lavori;
Considerato che i suddetti «schemi-tipo» debbono conformarsi alle disposizioni procedurali ed ai criteri di redazione contenuti nell'art. 14 della legge 11 febbraio 1994, n. 109, e successive modifiche ed integrazioni, nonché agli articoli 11, 12, 13 e 14 del citato regolamento;
Visto il testo unico delle leggi sull'ordinamento delle autonomie locali n. 267 del 18 agosto 2000 e successive modifiche ed integrazioni;
Visto altresì che, ai sensi dell'art. 14, comma 11, della legge 11 febbraio 1994, n. 109 e successive modifiche ed integrazioni e dell'art. 14, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 21 dicembre 1999, n. 554, i programmi triennali, gli aggiornamenti annuali e gli elenchi annuali dei lavori debbono essere trasmessi all'Osservatorio dei lavori pubblici;
Visto il D.M. 22 giugno 2004, [n. 898/IV] del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti;
Visto il decreto n. 172/CD del 16 febbraio 2004 con il quale è stato costituito un tavolo tecnico tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, Regioni e Province autonome, allargato alla partecipazione di ANCI, UPI e UNCEM finalizzato alla razionalizzazione, rielaborazione e semplificazione delle disposizioni di cui al D.M. 21 giugno 2000 Ministero dei lavori pubblici e delle schede allegate;
Visto che lo stesso tavolo tecnico ha proceduto all'esame del D.M. 22 giugno 2004, [n. 898/IV];
Ritenuta la necessità di adeguamento delle schede allegate al citato D.M. 22 giugno 2004, [n. 898/IV] del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti a seguito di adeguamenti tecnici del software per la redazione e pubblicazione del programma triennale, i suoi aggiornamenti annuali e gli elenchi annuali dei lavori pubblici;
Ritenuto che i siti internet individuati dal decreto ministeriale 6 aprile 2001 [n. 20] del Ministero dei lavori pubblici relativi alla pubblicazione dei bandi, degli avvisi di gara e degli avvisi di interventi realizzabili con capitali privati di cui al comma 2-bis dell'art. 37-bis della legge n. 109/1994 e successive modifiche ed integrazioni, hanno assunto, nell'ottica di un sistema informativo e informatico di tipo federato, rilevanza nazionale di libero e puntuale accesso;
Vista la circolare n. 1618/IV del 16 dicembre 2004 del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
Vista la legge 17 maggio 1999, n. 144, ed in particolare l'art. 4 la cui rubrica reca «studi di fattibilità delle amministrazioni pubbliche e progettazione preliminare delle amministrazioni regionali e locali»;
Ritenuta la necessità della pubblicazione informatica della programmazione triennale e dell'elenco annuale dei lavori pubblici;
Considerato che ai sensi dell'art. 6 del D.M. 22 giugno 2004, [n. 898/IV] del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, a seguito di proposte di modifica al citato decreto, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, ove ne ravvisi l'esigenza, provvede, entro il 30 giugno di ogni anno, ad approvare le opportune modifiche procedendo alla integrale pubblicazione del testo nella Gazzetta Ufficiale;
Decreta:
1. Redazione ed approvazione del Programma triennale, dei suoi aggiornamenti annuali e dell'elenco annuale dei lavori.
1. Le amministrazioni aggiudicatrici di cui all'art. 2, comma 2, lettera a) della legge 11 febbraio 1994, n. 109 e successive modifiche ed integrazioni, fatte salve le competenze legislative e regolamentari delle regioni e delle province autonome in materia, e, quando esplicitamente previsto, di concerto con altri soggetti, per lo svolgimento di attività di realizzazione di lavori pubblici, adottano il programma triennale e gli elenchi annuali dei lavori sulla base degli schemi-tipo allegati al presente decreto.
2. Lo schema di programma e di aggiornamento sono redatti entro il 30 settembre di ogni anno, e, prima della loro pubblicazione, sono adottati entro il 15 ottobre di ogni anno dall'organo competente secondo i rispettivi ordinamenti.
3. Entro novanta giorni dall'approvazione della legge di bilancio le Amministrazioni dello Stato procedono all'aggiornamento definitivo del Programma triennale unitamente all'elenco annuale dei lavori da realizzare nel primo anno ai sensi dell'art. 13, comma 3, decreto del Presidente della Repubblica n. 554/1999. Gli altri soggetti di cui al precedente comma 1, approvano i medesimi documenti unitamente al bilancio preventivo, di cui costituiscono parte integrante ai sensi dell'art. 14, comma 9, legge n. 109/1994 e successive modifiche ed integrazioni e dell'art. 13, comma 1, decreto del Presidente della Repubblica n. 554/1999.
4. Per la redazione e pubblicazione delle informazioni sulla programmazione triennale e l'elenco annuale dei lavori pubblici, le amministrazioni individuano un referente da accreditarsi presso gli appositi siti internet predisposti rispettivamente dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, dalle Regioni e dalle Province autonome, competenti territorialmente. In caso di mancata attivazione da parte delle Regioni e delle Province autonome del sito di loro rispettiva competenza l'accreditamento avviene per il tramite del sito del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
5. Presso gli stessi siti internet di cui al comma 4 è disponibile il supporto informatico per la compilazione delle schede tipo allegate al presente decreto.
2. Attività preliminari alla redazione del programma.
1. In relazione alle disponibilità finanziarie previste nei documenti di programmazione, dei bisogni che possono essere soddisfatti tramite la realizzazione di lavori finanziabili con capitale privato, in quanto suscettibili di gestione economica ai sensi dell'art. 14, comma 2, legge n. 109/1994, e dei beni immobili che possono essere oggetto di diretta alienazione ai sensi dell'art. 19, comma 5-ter, legge n. 109/1994, il quadro delle disponibilità finanziarie è riportato secondo lo schema della scheda 1, nella quale sono indicati, secondo le diverse provenienze, le somme complessivamente destinate all'attuazione del programma. Nella scheda 2, sezione B, sono invece riportate le indicazioni relative all'applicazione dell'art. 14, comma 4, della legge n. 109/1994.
2. Per l'inserimento nel Programma di ciascun intervento di importo inferiore a 10 milioni di euro i soggetti di cui al precedente art. 1 provvedono a redigere sintetici studi ai sensi dell'art. 11, comma 2, decreto del Presidente della Repubblica n. 554/1999 nei quali sono indicati le caratteristiche funzionali, tecniche, gestionali ed economico-finanziarie dell'intervento stesso, corredati dall'analisi dello stato di fatto per quanto riguarda le eventuali componenti storico-artistiche, architettoniche, paesaggistiche e di sostenibilità ambientale, socio-economiche, amministrative e tecniche ai sensi dell'art. 14, comma 2, legge n. 109/1994. Gli studi approfondiscono gli aspetti considerati in rapporto alla effettiva natura dell'intervento di cui si prevede la realizzazione.
3. Per gli interventi di importo superiore a 10 milioni di euro i soggetti di cui all'art. 1, comma 1, provvedono alla redazione di studi di fattibilità, secondo quanto previsto dall'art. 4 della legge 17 maggio 1999, n. 144.
4. Per i lavori di manutenzione è sufficiente l'indicazione degli interventi accompagnata dalla stima sommaria dei costi, ai sensi dell'art. 14, comma 6, della legge n. 109/1994 e successive modifiche ed integrazioni.
3. Contenuti del Programma triennale, dei suoi aggiornamenti annuali e dell'elenco annuale dei lavori.
1. Nel programma triennale, ovvero nei suoi aggiornamenti vengono indicati gli elementi richiesti nella scheda 2, in cui sono indicati la localizzazione dell'intervento, la stima dei costi, la tipologia e la categoria recate nelle tabelle 1 e 2, gli apporti di capitale privato indicati nella tabella 3, allegate al presente decreto.
2. Nella scheda 3 è contenuta la distinta dei lavori da realizzarsi nell'anno cui l'elenco si riferisce oltre al responsabile del procedimento, lo stato della progettazione come da tabella 4 allegata, le finalità secondo la tabella 5 allegata, la conformità ambientale e urbanistica, l'ordine di priorità in conformità all'art. 14, comma 3, legge n. 109/1994 e successive modifiche ed integrazioni, secondo una scala di priorità espressa in tre livelli.
4. Redazione dell'elenco dei lavori da realizzare nell'anno e adeguamento dell'elenco annuale a flussi di spesa.
1. L'inclusione di un lavoro nell'elenco annuale è subordinata alla previa approvazione di uno studio di fattibilità o della progettazione almeno preliminare secondo quanto disposto dall'art. 14, comma 6, della legge n. 109/1994 e successive modifiche ed integrazioni.
2. La formulazione dell'elenco annuale, corredato dell'elenco dei lavori da eseguire in economia, è riepilogata nella scheda 3. Ai sensi dell'art. 14, comma 9 della legge n. 109/1994 e successive modifiche ed integrazioni, un lavoro non inserito nell'elenco annuale può essere realizzato solo sulla base di un autonomo piano finanziario che non utilizzi risorse già previste disponibili tra i mezzi finanziari dell'amministrazione stessa al momento della formazione dell'elenco, fatta eccezione per le risorse resesi disponibili a seguito di ribassi d'asta o di economie.
3. Ove necessario, l'elenco annuale viene adeguato in fasi intermedie, attraverso procedure definite da ciascuna amministrazione, per garantire, in relazione al monitoraggio dei lavori, la corrispondenza agli effettivi flussi di spesa.
4. Al fine di limitare la formazione dei residui passivi le amministrazioni operano le opportune compensazioni finanziarie tra i diversi interventi e in caso di impossibilità sopravvenuta a realizzare un lavoro inserito nell'elenco annuale procedono all'adeguamento dello stesso elenco, o, ove indispensabile, del Programma Triennale.
5. Le operazioni di cui ai commi 1, 2, 3 e 4 sono effettuate nell'osservanza delle norme di bilancio proprie delle varie Amministrazioni.
5. Pubblicità e pubblicazione del Programma triennale, dei suoi aggiornamenti annuali e dell'elenco annuale dei lavori da realizzare nell'anno stesso.
1. Ai fini della loro pubblicità e della trasparenza amministrativa gli schemi adottati dei programmi triennali ed i relativi elenchi annuali, sono affissi, prima dell'approvazione dei programmi triennali ed i relativi elenchi annuali, per almeno sessanta giorni consecutivi, nella sede dell'Amministrazione procedente, che può adottare ulteriori forme di informazione nei confronti dei soggetti comunque interessati al programma, purché queste siano predisposte in modo da assicurare il rispetto dei tempi di cui all'art. 1, comma 3.
2. Quando il programma dell'Amministrazione è redatto sulla base di un insieme di proposte provenienti da uffici periferici, la pubblicità va effettuata anche presso le sedi dei medesimi uffici.
3. La pubblicità degli adeguamenti dei programmi triennali nel corso del primo anno di validità degli stessi è assolta attraverso la pubblicazione dell'atto che li approva, fermo restando l'obbligo di aggiornamento delle schede già pubblicate sul sito di competenza di cui all'art. 1, comma 4.
4. Il programma triennale, l'elenco annuale dei lavori pubblici e i relativi aggiornamenti sono pubblicati sugli appositi siti internet predisposti rispettivamente dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, dalle Regioni e dalle Province autonome, fermo restando gli adempimenti di cui all'art. 14, comma 11 della legge e all'art. 14 del decreto del Presidente della Repubblica n. 554/1999.
6. Applicazione e aggiornamento.
1. Sulla base della concreta esperienza applicativa i soggetti di cui all'art. 1 inviano, entro il 30 marzo di ciascun anno, al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti - Direzione generale per la regolazione dei lavori pubblici, eventuali proposte di integrazione e modifica al presente decreto. Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, ove ne ravvisi l'esigenza, provvede, entro il 30 giugno di ogni anno, ad approvare le opportune modifiche, procedendo alla integrale nuova pubblicazione del testo nella Gazzetta Ufficiale.
2. Ai fini della semplificazione amministrativa dei procedimenti, per l'attribuzione automatica del CUP, il gestore del servizio di pubblicazione della programmazione triennale trasmette al Cipe i dati relativi ai singoli interventi degli elenchi annuali pubblicati sul sito del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. Le modalità di trasmissione e di condivisione informativa saranno concordate con il Cipe.
3. Il presente decreto con le relative schede allegate modifica e sostituisce il D.M. 22 giugno 2004, [n. 898/IV] del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti.
Il presente decreto si applica dal giorno successivo alla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.
Il presente decreto è inviato alla Corte dei conti per la registrazione.
[1] Compresa la cessione di immobili.
Note
[1] Numero progressivo da 1 a N. a partire dalle opere del primo anno.
[2] Eventuale codice identificativo dell'intervento attribuito dall'Amministrazione (può essere vuoto).
[3] Vedi Tabella 1 e Tabella 2.
[4] Da compilarsi solo nell'ipotesi di cui all'art. 19 comma 5-ter della legge n. 109/1994 e s.mi. quando si tratta d'intervento che si realizza a seguito di specifica alienazione a favore dell'appaltatore. In caso affermativo compilare la scheda 2B.
[5] Vedi Tabella 3.
Note
[1] Eventuale codice identificativo dell'intervento attribuito dall'Amministrazione (può essere vuoto).
[2] La codifica dell'intervento CUI (C.F. + ANNO + n. progressivo) verrà composta e confermata, al momento della pubblicazione, dal sistema informativo di gestione.
[3] Indicare le finalità utilizzando la Tabella 5.
[4] Vedi art. 14 comma 3 della legge n. 109/1994 e s.m.i. secondo le priorità indicate dall'Amministrazione con una scala espressa in tre livelli (1 = massima priorità; 3 = minima priorità).
[5] Indicare la fase della progettazione approvata dell'opera come da Tabella 4.
Note
[1] Viene riportato il numero progressivo dell'intervento di riferimento.
Note
Tabella 1 - Tipologie |
|
|
|
Codice |
Descrizione |
|
|
01 |
Nuova costruzione |
02 |
Demolizione |
03 |
Recupero |
04 |
Ristrutturazione |
05 |
Restauro |
06 |
Manutenzione Ordinaria |
07 |
Manutenzione Straordinaria |
08 |
Completamento |
09 |
Ampliamento |
99 |
Altro |
|
|
Tabella 2 - Categorie |
||
|
||
Codice |
Descrizione |
|
|
|
|
A01 |
01 |
STRADALI |
A01 |
02 |
AEROPORTUALI |
A01 |
03 |
FERROVIE |
A01 |
04 |
MARITTIME, LACUALI E FLUVIALI |
A01 |
88 |
ALTRE MODALITÀ DI TRASPORTO |
A02 |
05 |
DIFESA DEL SUOLO |
A02 |
11 |
OPERE DI PROTEZIONE AMBIENTE |
A02 |
15 |
RISORSE IDRICHE |
A02 |
99 |
ALTRE INFRASTRUTTURE PER AMBIENTE E TERRITORIO |
A03 |
06 |
PRODUZIONE E DISTRIBUZIONE DI ENERGIA ELETTRICA |
A03 |
16 |
PRODUZIONE E DISTRIBUZIONE DI ENERGIA NON ELETTRICA |
A03 |
99 |
ALTRE INFRASTRUTTURE DEL SETTORE ENERGETICO |
A04 |
07 |
TELECOMUNICAZIONE E TECNOLOGIE INFORMATICHE |
A04 |
13 |
INFRASTRUTTURE PER L'AGRICOLTURA |
A04 |
14 |
INFRASTRUTTURE PER LA PESCA |
A04 |
39 |
INFRASTRUTTURE PER ATTIVITÀ INDUSTRIALI |
A04 |
40 |
ANNONA, COMMERCIO E ARTIGIANATO |
A05 |
08 |
EDILIZIA SOCIALE E SCOLASTICA |
A05 |
09 |
ALTRA EDILIZIA PUBBLICA |
A05 |
10 |
EDILIZIA ABITATIVA |
A05 |
11 |
BENI CULTURALI |
A05 |
12 |
SPORT E SPETTACOLO |
A05 |
30 |
EDILIZIA SANITARIA |
A05 |
31 |
CULTO |
A05 |
32 |
DIFESA |
A05 |
33 |
DIREZIONALE E AMMINISTRATIVO |
A05 |
34 |
GIUDIZIARIO E PENITENZIARIO |
A05 |
35 |
IGIENICO SANITARIO |
A05 |
36 |
PUBBLICA SICUREZZA |
A05 |
37 |
TURISTICO |
A06 |
90 |
ALTRE INFRASTRUTTURE PUBBLICHE NON ALTROVE CLASSIFICATE |
E10 |
40 |
STUDI E PROGETTAZIONI |
E10 |
41 |
ASSISTENZA E CONSULENZA |
E10 |
99 |
ALTRO |
|
|
|
Tabella 3 - Modalità di apporto di capitale privato |
|
|
|
Codice |
Modalità |
|
|
01 |
Finanza di progetto |
02 |
Concessione di costruzione e gestione |
03 |
Sponsorizzazione |
04 |
Società partecipate o di scopo |
99 |
Altro |
|
|
Tabella 4 - Stato della progettazione approvata |
|
|
|
Codice |
Stato della progettazione approvata |
|
|
SF |
Studio di fattibilità |
PP |
Progetto preliminare |
PD |
Progetto definitivo |
PE |
Progetto esecutivo |
SC |
Stima dei costi |
|
|
Tabella 5 - Finalità |
|
|
|
Codice |
Finalità |
|
|
MIS |
Miglioramento e incremento di servizio |
CPA |
Conservazione del patrimonio |
ADN |
Adeguamento normativo |
COP |
Completamento d'opera |
VAB |
Valorizzazione beni vincolati |
URB |
Qualità urbana |
AMB |
Qualità ambientale |
|
|
D.Lgs. 3 aprile 2006 n. 152
Norme in materia ambientale. (art. 148)
Pubblicato nella Gazz. Uff. 14 aprile 2006, n. 88, S.O.
(omissis)
148. Autorità d'ambito territoriale ottimale.
1. L'Autorità d'ambito è una struttura dotata di personalità giuridica costituita in ciascun ambito territoriale ottimale delimitato dalla competente regione, alla quale gli enti locali partecipano obbligatoriamente ed alla quale è trasferito l'esercizio delle competenze ad essi spettanti in materia di gestiore delle risorse idriche, ivi compresa la programmazione delle infrastrutture idriche di cui all'articolo 143, comma 1.
2. Le regioni e le province autonome possono disciplinare le forme ed i modi della cooperazione tra gli enti locali ricadenti nel medesimo ambito ottimale, prevedendo che gli stessi costituiscano le Autorità d'ambito di cui al comma 1, cui è demandata l'organizzazione, l'affidamento e il controllo della gestione del servizio idrico integrato.
3. I bilanci preventivi e consuntivi dell'Autorità d'ambito e loro variazioni sono pubblicati mediante affissione ad apposito albo, istituito presso la sede dell'ente, e sono trasmessi all'Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti e al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio entro quindici giorni dall'adozione delle relative delibere (173).
4. I costi di funzionamento della struttura operativa dell'Autorità d'ambito, determinati annualmente, fanno carico agli enti locali ricadenti nell'ambito territoriale ottimale, in base alle quote di partecipazione di ciascuno di essi all'Autorità d'ambito.
5. Ferma restando la partecipazione obbligatoria all'Autorità d'ambito di tutti gli enti locali ai sensi del comma 1, l'adesione alla gestione unica del servizio idrico integrato è facoltativa per i comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti inclusi nel territorio delle comunità montane, a condizione che gestiscano l'intero servizio idrico integrato, e previo consenso della Autorità d'ambito competente (174) (175).
--------------------------------------------------------------------------------
(173) Il riferimento all’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti è stato soppresso ai sensi di quanto disposto dal comma 5 dell’art. 1, D.Lgs. 8 novembre 2006, n. 284.
(174) Comma così sostituito dall’art. 2, comma 14, D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4.
(175) Ad integrazione di quanto disposto nella parte terza, comprendente gli articoli da 53 a 176, vedi il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 116.
D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163
Codice dei contratti pubblici relativi
a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE
(2) . (artt. 4 co. 2, 10 co. 5 e
128)
--------------------------------------------------------------------------------
(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 2 maggio 2006, n. 100, S.O.
(2) Nel presente decreto, la denominazione: «Ministero delle infrastrutture e dei trasporti», ovunque presente, è stata sostituita dalla seguente: «Ministero delle infrastrutture» e, conseguentemente, la denominazione: «Ministro delle infrastrutture e dei trasporti», ovunque presente, e' stata sostituita dalla seguente: «Ministro delle infrastrutture», ai sensi di quanto disposto dalla lettera bb) del comma 1 dell’art. 3, D.Lgs. 26 gennaio 2007, n. 6. Il D.M. 25 giugno 2008 (Gazz. Uff. 12 settembre 2008, n. 214) ha disposto che il presente decreto non si applichi agli appalti attribuiti da enti aggiudicatori e destinati a permettere la prestazione di servizi di corriere espresso, nazionali e internazionali.
(omissis)
4. Competenze legislative di Stato, Regioni e Province autonome.
(omissis)
Comma 2. Relativamente alle materie oggetto di competenza concorrente, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano esercitano la potestà normativa nel rispetto dei principi fondamentali contenuti nelle norme del presente codice, in particolare, in tema di programmazione di lavori pubblici, approvazione dei progetti ai fini urbanistici ed espropriativi, organizzazione amministrativa, compiti e requisiti del responsabile del procedimento, sicurezza del lavoro.
(omissis)
10. Responsabile delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture.
(omissis)
5. Il responsabile del procedimento deve possedere titolo di studio e competenza adeguati in relazione ai compiti per cui è nominato. Per i lavori e i servizi attinenti all’ingegneria e all’architettura deve essere un tecnico. Per le amministrazioni aggiudicatrici deve essere un dipendente di ruolo. In caso di accertata carenza di dipendenti di ruolo in possesso di professionalità adeguate, le amministrazioni aggiudicatrici nominano il responsabile del procedimento tra i propri dipendenti in servizio (33).
6. Il regolamento determina i requisiti di professionalità richiesti al responsabile del procedimento; per i lavori determina l’importo massimo e la tipologia, per i quali il responsabile del procedimento può coincidere con il progettista. Le ipotesi di coincidenza tra responsabile del procedimento e direttore dell’esecuzione del contratto sono stabilite dal regolamento, in conformità all’articolo 119.
(omissis)
128. Programmazione dei lavori pubblici.
(art. 14, L. n. 109/1994)
1. L'attività di realizzazione dei lavori di cui al presente codice di singolo importo superiore a 100.000 euro si svolge sulla base di un programma triennale e di suoi aggiornamenti annuali che le amministrazioni aggiudicatrici predispongono e approvano, nel rispetto dei documenti programmatori, già previsti dalla normativa vigente, e della normativa urbanistica, unitamente all'elenco dei lavori da realizzare nell'anno stesso.
2. Il programma triennale costituisce momento attuativo di studi di fattibilità e di identificazione e quantificazione dei propri bisogni che le amministrazioni aggiudicatrici predispongono nell'esercizio delle loro autonome competenze e, quando esplicitamente previsto, di concerto con altri soggetti, in conformità agli obiettivi assunti come prioritari. Gli studi individuano i lavori strumentali al soddisfacimento dei predetti bisogni, indicano le caratteristiche funzionali, tecniche, gestionali ed economico - finanziarie degli stessi e contengono l'analisi dello stato di fatto di ogni intervento nelle sue eventuali componenti storico - artistiche, architettoniche, paesaggistiche, e nelle sue componenti di sostenibilità ambientale, socio - economiche, amministrative e tecniche. In particolare le amministrazioni aggiudicatrici individuano con priorità i bisogni che possono essere soddisfatti tramite la realizzazione di lavori finanziabili con capitali privati, in quanto suscettibili di gestione economica. Lo schema di programma triennale e i suoi aggiornamenti annuali sono resi pubblici, prima della loro approvazione, mediante affissione nella sede delle amministrazioni aggiudicatrici per almeno sessanta giorni consecutivi ed eventualmente mediante pubblicazione sul profilo di committente della stazione appaltante.
3. Il programma triennale deve prevedere un ordine di priorità. Nell'ambito di tale ordine sono da ritenere comunque prioritari i lavori di manutenzione, di recupero del patrimonio esistente, di completamento dei lavori già iniziati, i progetti esecutivi approvati, nonché gli interventi per i quali ricorra la possibilità di finanziamento con capitale privato maggioritario.
4. Nel programma triennale sono altresì indicati i beni immobili pubblici che, al fine di quanto previsto dall’articolo 53, comma 6, possono essere oggetto di diretta alienazione anche del solo diritto di superficie, previo esperimento di una gara; tali beni sono classificati e valutati anche rispetto ad eventuali caratteri di rilevanza storico-artistica, architettonica, paesaggistica e ambientale e ne viene acquisita la documentazione catastale e ipotecaria.
5. Le amministrazioni aggiudicatrici nel dare attuazione ai lavori previsti dal programma triennale devono rispettare le priorità ivi indicate. Sono fatti salvi gli interventi imposti da eventi imprevedibili o calamitosi, nonché le modifiche dipendenti da sopravvenute disposizioni di legge o regolamentari ovvero da altri atti amministrativi adottati a livello statale o regionale.
6. L'inclusione di un lavoro nell'elenco annuale è subordinata, per i lavori di importo inferiore a 1.000.000 di euro, alla previa approvazione di uno studio di fattibilità e, per i lavori di importo pari o superiore a 1.000.000 di euro, alla previa approvazione della progettazione preliminare, redatta ai sensi dell’articolo 93, salvo che per i lavori di manutenzione, per i quali è sufficiente l'indicazione degli interventi accompagnata dalla stima sommaria dei costi, nonché per i lavori di cui all'articolo 153 per i quali è sufficiente lo studio di fattibilità (190).
7. Un lavoro può essere inserito nell'elenco annuale, limitatamente ad uno o più lotti, purché con riferimento all'intero lavoro sia stata elaborata la progettazione almeno preliminare e siano state quantificate le complessive risorse finanziarie necessarie per la realizzazione dell'intero lavoro. In ogni caso l'amministrazione aggiudicatrice nomina, nell'ambito del personale ad essa addetto, un soggetto idoneo a certificare la funzionalità, fruibilità e fattibilità di ciascun lotto.
8. I progetti dei lavori degli enti locali ricompresi nell'elenco annuale devono essere conformi agli strumenti urbanistici vigenti o adottati. Ove gli enti locali siano sprovvisti di tali strumenti urbanistici, decorso inutilmente un anno dal termine ultimo previsto dalla normativa vigente per la loro adozione, e fino all'adozione medesima, gli enti stessi sono esclusi da qualsiasi contributo o agevolazione dello Stato in materia di lavori pubblici. Resta ferma l’applicabilità delle disposizioni di cui agli articoli 9, 10, 11 e 19 del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327 e di cui all’articolo 34 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.
9. L'elenco annuale predisposto dalle amministrazioni aggiudicatrici deve essere approvato unitamente al bilancio preventivo, di cui costituisce parte integrante, e deve contenere l'indicazione dei mezzi finanziari stanziati sullo stato di previsione o sul proprio bilancio, ovvero disponibili in base a contributi o risorse dello Stato, delle regioni a statuto ordinario o di altri enti pubblici, già stanziati nei rispettivi stati di previsione o bilanci, nonché acquisibili ai sensi dell'articolo 3 del decreto-legge 31 ottobre 1990, n. 310, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 1990, n. 403, e successive modificazioni. Un lavoro non inserito nell'elenco annuale può essere realizzato solo sulla base di un autonomo piano finanziario che non utilizzi risorse già previste tra i mezzi finanziari dell'amministrazione al momento della formazione dell'elenco, fatta eccezione per le risorse resesi disponibili a seguito di ribassi d'asta o di economie. Agli enti locali si applicano le disposizioni previste dal decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.
10. I lavori non ricompresi nell'elenco annuale o non ricadenti nelle ipotesi di cui al comma 5, secondo periodo, non possono ricevere alcuna forma di finanziamento da parte di pubbliche amministrazioni.
11. Le amministrazioni aggiudicatrici sono tenute ad adottare il programma triennale e gli elenchi annuali dei lavori sulla base degli schemi tipo, che sono definiti con decreto del Ministro delle infrastrutture; i programmi triennali e gli elenchi annuali dei lavori sono pubblicati sul sito informatico del Ministero delle infrastrutture di cui al decreto del Ministro dei lavori pubblici 6 aprile 2001, n. 20 e per estremi sul sito informatico presso l’Osservatorio (191).
12. I programmi triennali e gli aggiornamenti annuali, fatta eccezione per quelli predisposti dagli enti e da amministrazioni locali e loro associazioni e consorzi, sono altresì trasmessi al CIPE, entro trenta giorni dall'approvazione per la verifica della loro compatibilità con i documenti programmatori vigenti (192).
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(190) Comma così modificato dal n. 1) della lettera ee) del comma 1 dell’art. 2, D.Lgs. 11 settembre 2008, n. 152 (Gazz. Uff. 2 ottobre 2008, n. 231, S.O.).
(191) Comma così modificato prima dalla lettera bb) del comma 1 dell’art. 3, D.Lgs. 26 gennaio 2007, n. 6 e poi dal n. 2) della lettera ee) del comma 1 dell’art. 2, D.Lgs. 11 settembre 2008, n. 152 (Gazz. Uff. 2 ottobre 2008, n. 231, S.O.).
(192) Comma così modificato dal n. 3) della lettera ee) del comma 1 dell’art. 2, D.Lgs. 11 settembre 2008, n. 152 (Gazz. Uff. 2 ottobre 2008, n. 231, S.O.). Il parere di compatibilità con i documenti programmatori vigenti è stato espresso:
- per il programma triennale 2005-2007 del Ministero per i beni e le attività culturali con Del.CIPE 22 marzo 2006, n. 41/2006 (Gazz. Uff. 28 luglio 2006, n. 174);
- per il programma triennale 2006-2008 di edilizia statale con Del.CIPE 24 aprile 2007, n. 18/07 (Gazz. Uff. 20 giugno 2007, n. 141).
[1] Si veda in tal senso la relazione illustrativa della proposta di legge.
[2] L. cost. 18 ottobre 2001, n. 3, Modificazioni del titolo V della parte seconda della Costituzione.
[3] D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali.
[4] Cfr. Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per la Lombardia, Deliberazione n. 81/pareri/2008 del 22 ottobre 2008.
[5] Tra queste, si citano tra tutte, Regione Umbria, L. R. 24 settembre 2003, n.18; Regione Sardegna, L. R. 2 agosto 2005, n. 12;
[6] Fonte: ANCI, Area Piccoli comuni, Unioni di comuni e associazionismo.
[7] L. 24 dicembre 2007, n. 244, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008).
[8] Decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248 (convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2008, n. 31), Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria.
[9] Decreto-legge 7 ottobre 2008, n. 154 (convertito, con modificazioni, dalla legge dicembre 2008, n. 189), Disposizioni urgenti per il contenimento della spesa sanitaria e in materia di regolazioni contabili con le autonomie locali.
[10] Decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 207 (approvato definitivamente, con modificazioni, il 19 febbraio 2009), Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni finanziarie urgenti.
[11] L’art. 109, comma 2, del testo unico, stabilisce che nei comuni privi di personale di qualifica dirigenziale le funzioni dirigenziali (salvo quelle proprie del segretario comunale) possono essere attribuite, con provvedimento motivato del sindaco, ai responsabili degli uffici o dei servizi, indipendentemente dalla loro qualifica funzionale, anche in deroga a ogni diversa disposizione.
[12] D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 286, Riordino e potenziamento dei meccanismi e strumenti di monitoraggio e valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati dell’attività svolta dalle amministrazioni pubbliche, a norma dell’articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59.
[13] “Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile”, approvato dalla Camera dei Deputati (AC 1441-bis) il 2 ottobre 2008 e trasmesso al Senato .
[14] Recante disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici ec onvertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, L. 24 novembre 2003, n. 326.
[15] Decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’art. 10 della L. 6 luglio 2002, n. 137.
[16] Il D.L. 25 giugno 2008 n. 112, recante “Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria”, è stato convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133.
[17] Le fibre ottiche sono costituite da filamenti sottili in vetro (o in plastica), idonee alla conduzione di comunicazioni digitali e utilizzate per trasmissioni su lunghe distanze e per l’accesso a reti in banda larga.
[18] Si veda in tal senso l’articolo 14 dell’A.C. 1441-bis, recante “Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria" (testo risultante dallo stralcio degli articoli 3, da 5 a 13, da 15 a 18, 22, 31, 70 e dallo stralcio degli articoli 23, 24, 32, da 37 a 39 e da 65 a 67 del disegno di legge 1441, deliberato dall'Assemblea il 5 agosto 2008), in corso di esame presso le Commissioni I e V della Camera dei deputati.
[19] Si veda ad esempio lo strumento di valutazione di sostenibilità degli edifici elaborato dalla Conferenza delle regioni e noto come “Protocollo Itaca” (www.itaca.org/edilizia+sostenibile.asp).
[20] Convertito, con modificazioni, dalla legge n. 2/2009.
[21] Infatti, essendo ormai del tutto scomparso il fenomeno dell’assistenza alla puerpera nel proprio domicilio, la fruizione dei servizi sanitari di assistenza al parto avviene presso ospedali pubbliche o case di cura private; essendo tali strutture concentrate nei comuni maggiori, accade che nei piccoli comuni (generalmente sprovvisti di servizi sanitari adeguati) si assiste ad una diminuzione progressiva e costante di nuove nascite, motivo per cui queste saranno sempre più concentrate esclusivamente nei comuni che registrano la presenza di tali strutture sanitarie.
[22] D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, Regolamento per la revisione e semplificazione dell’ordinamento dello stato civile.
[23] Legge 15 maggio 1997, n. 127, Misure urgenti per lo snellimento dell’attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo.
[24] L. 23 agosto 1988, n. 400, Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
[25] A.S. 326 (Izzo), Norme sull'istituzione del luogo elettivo di nascita.
[26] A.S. 579 (Caprili); A.S. 684 (Izzo); A.S. 928 (Costa Rosario).
[27] Decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228,Orientamento e modernizzazione del settore agricolo, a norma dell'articolo 7 della L. 5 marzo 2001, n. 57.
[28] L’inclusione dei consorzi di bonifica tra i soggetti abilitati alla stipula delle convenzioni è stata disposta dall’art. 4-novies, comma 2 del D.L. 3 novembre 2008, n. 171 Misure urgenti per il rilancio competitivo del settore agroalimentare, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2008, n. 205.
[29] Si fa presente che la possibilità di affidare appalti agli imprenditori agricoli, in deroga alla normativa vigente, era stata prevista, inizialmente, per le sole zone montane dall’articolo 17 della legge n. 97 del 1994 ed è stata successivamente estesa alla generalità del settore agricolo dal decreto legislativo n. 228 del 2001.
[30] Detti importi, originariamente fissati in 50 e 300 milioni di lire, sono stati così elevati dall’art. 1, comma 1067, della legge n. 296/2006 (finanziaria 2007).
[31] Si trattava all’epoca, specificamente, del decreto legislativo n. 155 del 26 maggio 1997, che ha dato attuazione alle direttive 93/43/CEE e 96/3/CE sull’igiene dei prodotti alimentari che hanno introdotto sul territorio comunitario un sistema diretto al controllo della salubrità degli alimenti noto come HACCP, acronimo di Hazard Analysis and Critical Control Points. Il D.Lgs. n. 155/1997 è stato recentemente abrogato dal D.Lgs. 6 novembre 2007, n. 193, Attuazione della direttiva 2004/41/CE relativa ai controlli in materia di sicurezza alimentare e applicazione dei regolamenti comunitari nel medesimo settore.
[32] D.Lgs. 30 aprile 1998, n. 173, Disposizioni in materia di contenimento dei costi di produzione e per il rafforzamento strutturale delle imprese agricole, a norma dell'articolo 55, commi 14 e 15, della L. 27 dicembre 1997, n. 449. In attuazione dell’articolo 8 del decreto legislativo n. 173 del 1998 sono intervenuti il decreto dei Ministri delle politiche agricole e forestali, d’intesa con il Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato, con cui è stato approvato il regolamento n. 350 del 1999 e, in esecuzione di questo, il decreto 18 luglio 2000 del direttore generale delle politiche agricole ed agroindustriali del Ministero delle politiche agricole e forestali, con il quale è stato adottato l’elenco nazionale dei prodotti agroalimentari definiti tradizionali dalle regioni e dalle province autonome, sottoposto a revisione periodicamente e da ultimo, per l’ottava volta, con decreto del 16 giugno 2008.
[33] Si tenga presente al riguardo che l’art. 1, comma 2, del Regolamento CE n. 852/2004 sull’igiene dei prodotti alimentari esclude dal proprio ambito di applicazione, tra l’altro, la ”fornitura diretta di piccoli quantitativi di prodotti primari dal produttore al consumatore finale o a dettaglianti locali che forniscono direttamente il consumatore finale”, demandando in tal caso la tutela della salute pubblica alla normativa nazionale.
[34] D.Lgs. 18 maggio 2001, n. 228, Orientamento e modernizzazione del settore agricolo, a norma dell'articolo 7 della L. 5 marzo 2001, n. 57.
[35] http://www.cnipa.gov.it/site/_files/egov_Fase2.pdf.
[36] CNIPA, Avviso per la selezione dei soggetti ammessi a presentare progetti finalizzati all'erogazione di servizi in forma associata per i piccoli comuni (Gazzetta Ufficiale n. 213 del 13 settembre 2005).
[37] CNIPA, L’e-government nei Comuni di piccole e medie dimensioni, 28 marzo 2008. in http://www.cnipa.gov.it/site/_files/RapportoCST_3.pdf.
[38] Si ricorda che, ai sensi del provvedimento in esame, sono definiti piccoli comuni i comuni che, oltre ad avere una popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti, rientrano in una delle categorie svantaggiate indicate all’art. 2, co. 1 (vedi sopra).
[39] Legge 27 dicembre 2002, n. 289, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2003).
[40] www.cnipa.gov.it/site/_files/egov_Fase2.pdf
[41] Sui centri di servizi territoriali si veda Centro nazionale per l’informatica nella pubblica amministrazione, Linee guida per la costituzione e l’avvio dei CST, settembre 2005 (www.cnipa.gov.it)
[42] Legge 27 dicembre 1997, n. 449 recante Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica.
[43] Legge 23 dicembre 1996, n. 662 recante Misure di razionalizzazione della finanza pubblica.
[44] Con riferimento, in particolare, alle esigenze dei piccoli comuni e dei comuni montani, si evidenzia che, in attuazione della delega contenuta nell'articolo 19, comma 1, lettera f), della legge 3 febbraio 2003, n. 14, lo schema di decreto legislativo di recepimento della direttiva 2002/39/CE, in via di definizione, prevede che sia assicurato il mantenimento delle prestazioni del servizio postale universale in modo tale da garantire servizi adeguati in tutti i punti del territorio nazionale, incluse le situazioni particolari delle isole minori e delle zone rurali e montane. Tale compenso è stato forfetariamente determinato in lire 400 miliardi per l'anno 1998.
[45] Decreto legislativo 23 dicembre 2003, n. 384 recante Attuazione della direttiva 2002/39/CE che modifica la direttiva 97/67/CE relativamente all'ulteriore apertura alla concorrenza dei servizi postali della Comunità
[46] Disposizioni urgenti per l'adeguamento delle strutture di Governo in applicazione dell'articolo 1, commi 376 e 377, della legge 24 dicembre 2007, n. 244.
[47] Decreto legge 7 ottobre 2008, n. 154, Disposizioni urgenti per il contenimento della spesa sanitaria e in materia di regolazioni contabili con le autonomie locali, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, L. 4 dicembre 2008, n. 189.
[48] Decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria.
[49] Nella seduta del 18 dicembre 2008 si è svolto in Consiglio dei Ministri l’esame preliminare del Regolamento recante norme per la riorganizzazione della rete scolastica e il razionale ed efficace utilizzo delle risorse umane della scuola.
[50] Il piano programmatico è stato presentato alle Camere il 23 settembre 2008, ed assegnato alle Commissioni il 1° ottobre 2008. Alla Camera, la VII Commissione ha espresso il parere nella seduta del 27 novembre 2008, mentre la V Commissione ha espresso il parere nella seduta del 26 novembre 2008; al Senato, la VII Commissione ha espresso il parere nella seduta del 3 dicembre 2008, mentre la V Commissione ha espresso il parere nella seduta del 10 dicembre 2008. La Conferenza unificata ha espresso il parere nella seduta del 13 novembre 2008.
[51] Complessivamente, nel piano si stima che una percentuale di istituzioni scolastiche compresa fra il minimo certo del 15% e il massimo probabile del 20% non sia legittimata a funzionare come istituzione autonoma. Nello specifico, il piano evidenzia che circa 700 istituzioni scolastiche autonome hanno meno di 300 alunni, collocandosi, quindi, sotto la fascia in deroga. Nell’ambito della fascia in deroga vi sono, poi, 850 istituzioni scolastiche che non hanno titolo alla fascia medesima. Infine, si cita il caso di 1050 istituti comprensivi compresi nella fascia minima,non tutti, però, dislocati nei territori montani o nelle piccole isole. Quanto al numero degli alunni, si evidenzia che, su poco più di 28.000 punti di erogazione del servizio, il 15% ha meno di 50 alunni e un altro 21% ha meno di 100 alunni. Al riguardo, partendo dalla citazione dell’esperienza virtuosa di diversi Comuni, che hanno ben ovviato all’isolamento di alcune piccole scuole, il piano evidenzia che occorreranno azioni mirate quali, ad esempio, l’attivazione di trasporti, l’adeguamento delle strutture edilizie, la realizzazione di servizi in rete.
[52] DPR 18 giugno 1998, n. 233, Regolamento recante norme per il dimensionamento ottimale delle istituzioni scolastiche e per la determinazione degli organici funzionali dei singoli istituti, a norma dell'articolo 21 della L. 15 marzo 1997, n. 59.
[53] L. 15 marzo 1997, n. 59, Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa.
[54] L’art. 3, comma 2, del DPR n. 233/1998 prevede che alla Conferenza partecipino, oltre alla provincia, ai comuni e alle comunità montane, il dirigente dell’amministrazione periferica della pubblica istruzione e il presidente del Consiglio scolastico provinciale.
[55] D.lgs. n. 31 marzo 1998, n. 112, Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della L. 15 marzo 1997, n. 59.
[56] D.lgs. n.165/2001, recante “Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”, c.d. Testo unico sul pubblico impiego.
[57] Legge n. 127/1997, recante “Misure urgenti per lo snellimento dell'attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo”.
[58] La disciplina è dettata ai fini di quanto previsto dal regolamento generale di contabilità di stato R.D. n. 2440/1923 (art. 81,quarto comma), relativamente alla responsabilità dei pubblici dipendenti a cui è commesso il riscontro e la verificazione delle casse e dei magazzini, nonché ai fini delle disposizioni del R.D. n. 827/ 1924 (art. 29, 33, 35 e 194) che sanciscono la responsabilità dei consegnatari dei beni mobili appartenenti allo Stato ai fini della loro custodia.
[59] Recante “Primi interventi per il rilancio dell'economia”.
[60] Recante disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria e convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della L. 24 novembre 2006, n. 286.
[61] Si tratta del D.Lgs. 17 maggio 1999 n. 153, recante la isciplina civilistica e fiscale degli enti conferenti di cui all'articolo 11, comma 1, del D.Lgs. 20 novembre 1990, n. 356, e disciplina fiscale delle operazioni di ristrutturazione bancaria, a norma dell'articolo 1 della L. 23 dicembre 1998, n. 461.
[62] Si ricorda in proposito che il disegno di legge sul federalismo fiscale, attualmente in sede di esame alla Camera (A.C. 2105), all’articolo 12 tra l’altro (lettera b)) reca i criteri e i principi cui deve improntarsi la legislazione delegata in tema di finanziamento delle spese concernenti le funzioni fondamentali dei Comuni. Tra le fonti di finanziamento delle spese fondamentali si annovera l’imposizione immobiliare, con l’esclusione della tassazione patrimoniale della abitazione principale del soggetto passivo, secondo quanto previsto dalla disciplina ICI vigente al momento di entrata in vigore del DDL.
[63] Recante “disposizioni urgenti per salvaguardare il potere di acquisto delle famiglie” e convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, L. 24 luglio 2008, n. 126.
[64] Recante misure urgenti per contenere il disagio abitativo di particolari categorie sociali e convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, L. 18 dicembre 2008, n. 199.
[65] D.Lgs. 18 agosto 2000 n. 267, Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali.
[66] Tale disposizione era stata originariamente introdotta dall’art. 2, comma 2, della L. 81/1993 (Elezione diretta del sindaco) e successivamente trasfusa nel testo unico sull’ordinamento degli enti locali.
[67] L.R. Friuli Venezia Giulia 10 maggio 1999 n. 13, Disposizioni urgenti in materia di elezione degli organi degli Enti locali, nonché disposizioni sugli adempimenti in materia elettorale; il comma 2-bis dell’art. 1 della L. n. 13 è stato aggiunto dall'art. 1, comma 1, della L.R. 11 dicembre 2003, n. 21.
[68] L.R. Valle d'Aosta 7 dicembre 1998, n. 54, Sistema delle autonomie in Valle d'Aosta. L’art. 30-bis è stato aggiunto dall'art. 18 della L.R. 31 marzo 2003, n. 8.
[69] L. R. Trentino Alto Adige 30 novembre 1994, n. 3, Elezione diretta del sindaco e modifica del sistema di elezione dei Consigli comunali nonché modifiche alla legge regionale 4 gennaio 1993, n. 11.
[70] Si tratta dei sindaci dei comuni (tutti con popolazione inferiore a 5.000 abitanti, eccetto i due indicati) di Casalbore, Veggiano, Castelletto Monferrato, Sgurgola, Alfano, Novedrate, Pescorocchiano, Monteu da Po, Liberi, Torralba, Favrià, Guardialfiera, Castiadas, San Marzano di S. Giuseppe (8.830 abitanti), Santo Stefano del Sole, Sirignano, Dragoni, Mugnano del cardinale, Varapodio, Taurianova (popolazione 15.799 abitanti).
[71] Avente ad oggetto “Sindaci eletti al terzo mandato in violazione dell’art. 51 del T.U.O.E.L Iniziative esperibili a tutela della legalità violata”.
[72] Il quarto comma dell’art. 19 stabilisce che il prefetto: “Invia appositi Commissari presso le amministrazioni degli enti locali territoriali e istituzionali, per compiere in caso di ritardo o di omissione da parte degli organi ordinari, previamente e tempestivamente invitati a provvedere, atti obbligatori per legge o per reggerle, per il periodo di tempo strettamente necessario, qualora non possano, per qualsiasi ragione, funzionare”.
Il R.D. 383/1934 risulta abrogato dall’art. 274 del D.Lgs. 267/2000 (TUEL).
Il Consiglio di Stato ha ritenuto che l’art. 19 del R. D. n. 383/1934 deve considerarsi vigente, dal momento che attribuisce al Prefetto uno degli strumenti (potere di commissariamento) con cui il Ministero dell’Interno esercita la funzione di vigilanza sugli enti locali in relazione alla “garanzia della regolare costituzione degli organi elettivi degli enti locali e del loro funzionamento” (art. 14, commi 1 e 2 lett. a), del D.Lgs. n. 300/1999), e che il potere di commissariamento in esso contemplato opera in un ambito diverso da quello proprio dell’art. 141 del D.Lgs. n. 267/2000 (Cons. Stato, sentenza n. 5309/2007, citata).
[73] La legge n. 765 del 1967, voluta dall’allora Ministro dei lavori pubblici Giacomo Mancini dopo la frana di Agrigento del 1966 causata dal sovraccarico dell’edilizia speculativa, fu definita “legge-ponte” in quanto doveva rappresentare un rimedio provvisorio nell’attesa di un organico provvedimento di riforma urbanistica.
[74] I commi 1, 2, 3, 4, 5 e 7 dell’art. 41-quinquies sono stati stato abrogati dall'art. 136, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, TU in materia edilizia. E’ vigente la disciplina sugli standards urbanistici recata dai commi 8 e 9.
[75] Recante Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell'art. 17 della L. 6 agosto 1967, n. 765.
[76] Alcune delle disposizioni dell’art. 27 sono confluite nell’articolo 9 del D.P.R. n. 380 del 2001, mentre l’intero art. 31 è stato trasfuso nell’attuale art. 3 del citato D.P.R.
[77] Ora art. 3 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.
[78] “Nei centri storici, in via tendenziale e di principio, sono consentiti solo interventi di risanamento e trasformazione conservativi; tuttavia, nell’esclusivo ambito dei piani di recupero ex legge n. 457/1978, con riguardo ai centri storici, potranno prevedersi - in via eccezionale, dato il carattere prevalentemente e tendenzialmente conservativo dei detti piani - interventi di ristrutturazione urbanistica; all’interno di questi ultimi non potrà escludersi la ricostruzione previa demolizione, di fabbricati; restano salve, ovviamente, le eventuali norme di maggior rigore previste dagli strumenti urbanistici locali”, cfr. C.G.A.S., Sez. Consult., 13.9.1995, n. 490/95, in Giust. amm. sic., 1996, 100.
[79] Si richiama a titolo esemplificativo il decreto-legge n. 6 del 1998 recante ulteriori interventi urgenti in favore delle zone terremotate delle regioni Marche e Umbria prevede, all’art. 3, interventi specifici su centri storici e su centri e nuclei urbani e rurali, demandando ai comuni l’individuazione dei centri e dei di particolare interesse maggiormente colpiti nei quali attuare i programmi di recupero.
[80] D.M. infrastrutture e trasporti del27 maggio 2002, D.M. 7 agosto 2003 e D.M. 3 febbraio 2004.
[81] Si tratta del decreto direttoriale del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti del 9 luglio 2008 recante “Programmi concernenti la rivitalizzazione economica e sociale delle città e delle zone adiacenti in crisi, per promuoverne uno sviluppo urbano sostenibile con l'assegnazione delle risorse URBAN - ITALIA, riprogrammate ai sensi del decreto 7 agosto 2003, articolo 2, comma 2, a valere sui fondi di cui alla legge n. 388/2000”.
[82] Cfr. art. 3 del decreto direttoriale di cui alla nota precedente.
[83] La lista dei siti italiani dichiarati Patrimonio dell'Umanità è consultabile all’indirizzo internet www.sitiunesco.it/index.phtml?id=4.
[84] Convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 126.
[85] Il testo della circolare può essere consultato all’indirizzo internet http://www.comune.reggio-calabria.it/on-line/Home/AreeTematiche/Urbanistica/documento100373.html.
[86] G. Caia, G. Ghetti “La tutela dei centri storici”, Giappichelli editore, 1997.
[87] Tale decreto ha sostituito il precedente testo unico in materia di beni culturali e ambientali recato dal D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490.
[88] Come modificata dalla legge regionale 12 marzo 2003, n. 7.
[89] Può essere in proposito interessante richiamare quanto la dottrina secondo cui "...la legge sottolinea molto bene la sua idea ispiratrice di fondo: la tutela della natura non implica l'estromissione dell'uomo e delle sue attività..." (cfr. in particolare P. Maddalena, in Aree naturali protette, Commentario alla legge n. 394/91, a cura di Gianluigi Ceruti) e, con specifico riferimento all’articolo 7, "...l'ordine di priorità individuato dal legislatore privilegia la valorizzazione e il recupero dell'esistente (...), ma anche dei nuclei abitati rurali, per sottolineare lo stretto rapporto tra il parco e coloro che lo abitano" (Scarciglia, nel medesimo Commentario).
[90] Su iniziativa del Ministero dell’ambiente, della Regione Abruzzo e di Legambiente.
[91] Per ulteriori approfondimenti sul progetto APE cfr. http://territorio.regione.abruzzo.it/APE e http://www.legambiente.eu/documenti/2004/0503_areeProtette/APE.php.
[92] Il relativo dossier predisposto dal Servizio studi è disponibile all’indirizzo internet http://documenti.camera.it/leg16/dossier/testi/AM0012.htm.
[93] Nell'elenco ufficiale delle aree naturali protette vengono iscritte tutte le aree che rispondono ai criteri stabiliti con Delibera del Comitato Nazionale per le Aree Naturali Protette del 1° dicembre 1993, tra cui si ricordano l’esistenza di un provvedimento istitutivo formale, di una perimetrazione dell'area e la presenza di valori naturalistici (per l’indicazione completa dei criteri si rinvia al link http://www.minambiente.it/index.php?id_sezione=1348).
[94] L’art. 3, comma 4, lettera c), della legge 6 dicembre 1991, n. 394, demanda al Comitato per le aree naturali protette l'approvazione dell'elenco ufficiale di dette aree. Tuttavia il predetto Comitato è stato soppresso e le relative funzioni sono state trasferite alla Conferenza Stato-Regioni, ai sensi dell'art. 7, comma 1, del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.
[95] La coesione territoriale è espressamente riconosciuta dal Trattato di Lisbona (art. 158 Trattato sul funzionamento dell’Unione) e disciplinata, accanto alla coesione economica e sociale, tra gli obiettivi generali e le politiche dell’UE.
[96] Si tratta del testo unificato delle seguenti proposte di legge di iniziativa parlamentare in materia di sostegno e valorizzazione dei piccoli comuni: Realacci ed altri C. 15; Crapolicchio ed altri C. 1752; La Loggia ed altri C. 1964.
[97] Cfr. in particolare la Nota trasmessa in data 14 marzo 2007 dal Governo, riferita alla sola proposta di legge Realacci ed altri C. 15, nel testo originario, e la Nota depositata nella seduta delle commissioni riunite V e VIII del 27 marzo 2007, riferita al testo unificato Realacci ed altri C. 15; Crapolicchio ed altri C. 1752; La Loggia ed altri C. 1964.
[98] Si avverte che la numerazione degli articoli qui riportata corrisponde al testo della proposta di legge n. 54 in esame.
[99] Articolo 1, comma 6-bis, del decreto legge n. 351/2001 (Privatizzazione e valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico).
[100] Ai sensi dell’articolo 2 del D.Lgs 261/1999 (Attuazione della direttiva 97/67/CE sui servizi postali comunitari).
[101] Bilancio dello Stato: capitolo 1502 del Ministero dell’economia.