Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento istituzioni
Titolo: Definizione del limite massimo riferito al trattamento economico annuo onnicomprensivo per i pubblici dipendenti - Schema di D.P.C.M. n. 439 (art. 23-ter, D.L.201/2011) - Schede di lettura
Riferimenti:
SCH.DEC 439/XVI     
Serie: Atti del Governo    Numero: 383
Data: 13/02/2012
Organi della Camera: I-Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni
XI-Lavoro pubblico e privato
Altri riferimenti:
DL N. 201 DEL 06-DIC-11     

 

Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Atti del Governo

 

Definizione del limite massimo riferito
al trattamento economico annuo onnicomprensivo per i pubblici dipendenti

Schema di D.P.C.M. n. 439
(art. 23-ter, D.L.201/2011)

Schede di lettura

 

 

 

 

 

n. 383

 

 

 

13 febbraio 2012

 


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INDICE

Schede di lettura

Premessa                                                                                                            3

Presupposti normativi dello schema di D.P.C.M.: l’articolo 23-ter del D.L. 201/2011      5

Disciplina emanata prima dell’entrata in vigore dell’art. 23-ter  del decreto legge n. 201/2011                                                                                                                              9

§      La disciplina (poi abrogata) prevista dalla legge 296/2006                             9

§      La disciplina prevista dalla legge 244/2007, dai D.L. 248/2007 e 97/2008, nonché dal D.P.R. 195/2010 10

§      La disciplina prevista dall’art. 1 del decreto-legge n. 98/2011, come modificato dal decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138                                                                                       13

§      I rapporti tra le fonti del quadro normativo di riferimento                               15

I contratti di lavoro autonomo e dipendente con le P.A.                            19

§      Lavoro autonomo                                                                                           19

§      Lavoro pubblico                                                                                             20

§      Orientamenti giurisprudenziali                                                                       24

Contenuto dello schema di D.P.C.M.                                                            29

 

 


Schede di lettura

 


Premessa

Lo "Schema di decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri concernente la definizione del limite massimo riferito al trattamento economico annuo omnicomprensivo dei pubblici dipendenti" (atto del Governo n. 439) è stato presentato alla Camera dei deputati, ai sensi dell'articolo 23-ter del decreto-legge n. 201 del 2011[1] (inserito in sede di conversione dalla legge n. 214 del 2011)  ai fini dell'espressione del parere da parte delle competenti Commissioni, il 30 gennaio 2012. Il 31 gennaio è stato assegnato alle Commissioni riunite Affari costituzionali e Lavoro, che dovranno esprimere il parere entro il 20 febbraio. Lo schema è stato altresì assegnato nella stessa data alla Commissione Bilancio per esprimere osservazioni alle Commissioni previe osservazioni Affari costituzionali e Lavoro  entro il 10 febbraio.

 

Lo schema in questione riguarda una materia sulla quale sono intervenute diverse fonti normative in un ristretto lasso di tempo.

 

In particolare, si riscontrano discipline, emanate dal 2007 in poi, di diverso contenuto, per le quali, in mancanza di clausola abrogativa espressa[2], appare opportuna una ricostruzione dei regimi da ciascuna previsti per evidenziare eventuali disposizioni tuttora vigenti.

 

L’esito di tale ricostruzione appare funzionale all’individuazione del campo di applicazione del citato articolo 23-ter e del relativo atto applicativo, nonchè dei rapporti della disciplina in esso stabilita con quella disposta da fonti in precedenza emanate.

 

Pertanto, nel presente dossier, sono illustrati:

§      il presupposto normativo dello schema di D.P.C.M., costituito dal citato articolo 23-ter;

§      la disciplina finora emanata non espressamente abrogata nella materia dei limiti ai trattamenti economici e agli emolumenti conferiti da pubbliche amministrazioni; viene altresì illustrata, per completezza, la disciplina già prevista dall’art. 1, comma 593, della legge n. 296/2006[3], pur essendo espressamente abrogata;

§      la vigente normativa e la relativa interpretazione giurisprudenziale in tema di contratti di lavoro autonomo e di lavoro dipendente con pubbliche amministrazioni;

§      il contenuto dello schema di D.P.C.M.


Presupposti normativi dello schema di D.P.C.M.: l’articolo 23-ter del D.L. 201/2011

Lo schema di decreto del Presidente del Consiglio in esame attua l’articolo 23-ter[4] del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici)[5], che prevede la definizione del trattamento economico di chiunque riceva emolumenti o retribuzioni dalle pubbliche amministrazioni attraverso, appunto, l’emanazione di un DPCM, previo parere delle Commissioni parlamentari, entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge.

 

In base al citato art. 23-ter, comma 1, tale definizione va effettuata adottando come parametro massimo di riferimento il trattamento economico del Primo presidente della Corte di cassazione. Ai sensi di tale disposizione, il trattamento del Primo presidente della Corte di cassazione assume quindi la funzione di indice di riferimento costante per la definizione del trattamento economico di chiunque riceva a carico delle finanze pubbliche emolumenti o retribuzioni nell’ambito di rapporti di lavoro dipendente o autonomo con pubbliche amministrazioni statali, compreso il c.d. personale non contrattualizzato.

 

Le pubbliche amministrazioni che rientrano nel campo di applicazione della norma sono quelle indicate all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 165/2001, limitatamente a quelle statali; vi rientrano anche quelle il cui personale non è contrattualizzato ai sensi dell’articolo 3 del medesimo decreto legislativo.

 

Ai sensi dell’art. 1, co. 2, del D.Lgs. 165/2001, recante Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, per amministrazioni pubbliche si intendono “tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300”[6].

Il personale in regime di diritto pubblico, c.d. non contrattualizzato (di cui all’articolo 3 del D.Lgs. 165/2001), è costituito dalle seguenti categorie:

-         magistrati ordinari, amministrativi e contabili, avvocati e procuratori dello Stato;

-         personale militare e Forze di polizia di Stato;

-         personale volontario di leva;

-         personale della carriera diplomatica;

-         personale della carriera prefettizia;

-         personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco;

-         personale della carriera dirigenziale penitenziaria;

-         professori e ricercatori universitari.

L’art. 3 del D.Lgs. n. 165/2001 richiama, inoltre, “i dipendenti degli enti che svolgono la loro attività nelle materie contemplate dall'articolo 1 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 17 luglio 1947, n. 691, e dalle leggi 4 giugno 1985, n. 281, e successive modificazioni ed integrazioni, e 10 ottobre 1990, n. 287”. Tali materie sono, rispettivamente:

§         l’esercizio della funzione creditizia e la materia valutaria;

§         l'ordinamento della Commissione nazionale per le società e la borsa, l'identificazione dei soci delle società con azioni quotate in borsa e delle società per azioni esercenti il credito, l’attuazione delle direttive CEE in materia di mercato dei valori mobiliari e la tutela del risparmio;

§         la tutela della concorrenza e del mercato.

Si ricorda che in queste materie operano la Banca d’Italia, la Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB) e l’Autorità garante per la concorrenza e il mercato (Antitrust), su cui si rinvia a quanto in merito osservato nei successivi paragrafi.

 

Il comma 1 specifica che il trattamento economico deve essere considerato onnicomprensivo, rientrando in esso le somme comunque erogate all’interessato a carico del medesimo o di più organismi, anche nel caso di pluralità di incarichi conferiti da uno stesso organismo nel corso dell’anno.

Il comma 2 reca disposizioni riguardo alle somme che possono essere corrisposte ai dipendenti delle amministrazioni suddette che siano chiamati a svolgere funzioni direttive, dirigenziali o equiparate, anche in posizione di fuori ruolo o di aspettativa, presso Ministeri o enti pubblici nazionali, comprese le autorità amministrative indipendenti: tali dipendenti - se conservano il trattamento economico riconosciuto dall’amministrazione di appartenenza - non possono ricevere, a titolo di retribuzione, indennità, o anche solo per il rimborso spese, più del 25% dell’ammontare complessivo del trattamento economico già percepito.

Il comma 3 precisa che, con lo stesso decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, di cui al comma 1, potranno essere previste deroghe motivate per le posizioni apicali delle rispettive amministrazioni ed è fissato un tetto massimo a titolo di rimborso spese.

Inoltre, il comma 4 destina al fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato le risorse annualmente derivanti dall’applicazione dei commi precedenti.

 

A tale disciplina occorre aggiungere l’art. 23-bis dello stesso D.L. n. 201/2011, che rinvia all’adozione di un decreto del Ministro dell’economia, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del medesimo decreto, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, l’individuazione di fasce alle quali riportare le società non quotate, direttamente controllate dal Ministero dell’economia e delle finanze ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, numero 1), del codice civile, con determinazione per ogni fascia del compenso massimo al quale i consigli di amministrazione di dette società devono fare riferimento, per la determinazione degli emolumenti da corrispondere, ai sensi dell’articolo 2389, terzo comma, del codice civile.

Lo schema di decreto non risulta ancora trasmesso alle Camere.

 

Si segnala che il 9 febbraio 2012 è stata assegnata, alle Commissioni riunite Affari costituzionali e Lavoro, la proposta di legge AC 4901, Dal Lago ed altri, recante modifica dell'articolo 23-bis e abrogazione dell'articolo 23-ter del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, in materia di trattamenti economici erogati, anche indirettamente, a carico delle finanze pubbliche. Tale proposta pone, per tutte le categorie di soggetti che direttamente o indirettamente gravano sulle finanze pubbliche, un limite massimo percepibile pari a 63.000 euro lordi annui.

 

 


Disciplina emanata prima dell’entrata in vigore dell’art. 23-ter
del decreto legge n. 201/2011

Come accennato in premessa, sulla materia oggetto dell’art. 23-ter del decreto-legge 201/2011, sono già intervenute altre disposizioni di legge, la cui disciplina è di seguito illustrata.

La disciplina (poi abrogata) prevista dalla legge 296/2006

La legge n. 296/2006, finanziaria per il 2007[7], (art. 1, co. 593), in tema di contenimento e pubblicità dei trattamenti dei dirigenti e titolari di incarichi pubblici, aveva previsto che la retribuzione dei dirigenti delle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 19, comma 6, del decreto legislativo n. 165 del 2001, dei consulenti, dei membri di commissioni e di collegi e dei titolari di qualsivoglia incarico corrisposto dallo Stato, da enti pubblici o da società a prevalente partecipazione pubblica non quotate in borsa, non potesse superare quella del Primo presidente della Corte di cassazione. Nessun atto comportante spesa ai sensi del precedente periodo poteva quindi ricevere attuazione, se non fosse stato previamente reso noto, con l'indicazione nominativa dei destinatari e dell'ammontare del compenso, attraverso la pubblicazione sul sito web dell'amministrazione o del soggetto interessato, nonché comunicato al Governo e al Parlamento. In caso di violazione, l'amministratore che avesse disposto il pagamento e il destinatario del medesimo erano tenuti al rimborso in solido, a titolo di danno erariale, di una somma pari a dieci volte l'ammontare eccedente la cifra consentita.

In relazione al parametro adottato ai fini della determinazione del limite massimo della retribuzione, si riporta quanto chiarito nella direttiva del Presidente del Consiglio del 16 marzo 2007, adottata in applicazione del suddetto articolo 1, comma 593, della citata legge 296: «Tale dato [la retribuzione del Primo presidente della Corte di cassazione] non è, di per sé, fisso, perché la retribuzione del singolo magistrato che rivesta la carica è determinata da fattori individuali di anzianità di carriera. Nel concetto è, poi, insito l'automatico adeguamento alla retribuzione percepita nel corso degli anni. Peraltro, una variabilità rapportata ai mutamenti del magistrato che ricopre la citata carica potrebbe comportare adeguamenti continui. Deve pertanto individuarsi il parametro con riferimento alla data di entrata in vigore della legge in esame e parametrare periodicamente tale riferimento agli adeguamenti periodici della retribuzione di quella carica». La stessa direttiva del 2007 individuava in 273.471,61 euro annui lordi la retribuzione dell’allora ultimo Presidente in carica; una successiva circolare del gennaio 2008[8] ha individuato in € 289.984 annui lordi tale retribuzione, che, ai sensi dello schema di D.P.CM. in esame, è attualmente pari a € 304.951,95.

La disciplina prevista dalla legge 244/2007, dai D.L. 248/2007 e 97/2008, nonché dal D.P.R. 195/2010

L’articolo 3, commi 44-52-bis, della legge n. 244/2007, finanziaria per il 2008[9], ha previsto specifiche disposizioni dirette a limitare il trattamento economico onnicomprensivo di chiunque riceva a carico delle pubbliche finanze emolumenti o retribuzioni nell’ambito di rapporti di lavoro dipendente o autonomo con pubbliche amministrazioni. Lo stesso articolo, al comma 43, ha espressamente abrogato le disposizioni contenute in materia nella legge n. 296/2006.

Il citato articolo 3 - successivamente modificato dall’art. 42 del decreto-legge n. 248/2007[10] e dall’art. 4-quater del decreto-legge n. 97 del 2008[11] - nell’individuare il limite massimo di trattamento economico che può essere conferito a carico delle pubbliche finanze nel trattamento del Primo presidente della Corte di Cassazione, ha escluso dal computo la retribuzione percepita dal dipendente pubblico presso l’amministrazione di appartenenza, nonché il trattamento di pensione (comma 52-bis introdotto dall’articolo 4-quater del suddetto decreto-legge 97/2008).

 

Tali disposizioni di contenimento delle retribuzioni e degli emolumenti a carico di pubbliche amministrazioni e di società a partecipazione pubblica sono state accompagnate da specifici obblighi di pubblicità e di comunicazione.

 

Le disposizioni contenute nel citato art. 3 della legge n. 244/2007 riguardano il “trattamento economico onnicomprensivo” di chiunque riceva a carico delle pubbliche finanze emolumenti o retribuzioni nell'ambito di rapporti di lavoro dipendente o autonomo con pubbliche amministrazioni statali, agenzie, enti pubblici anche economici, enti di ricerca, università, società non quotate a totale o prevalente partecipazione pubblica nonché le loro controllate, ovvero sia titolare di incarichi o mandati di qualsiasi natura nel territorio metropolitano.

Sono escluse dall’ambito di applicazione della normativa Regioni, Province, Comuni, Comunità montane, loro consorzi e associazioni.

Sono inoltre escluse la Banca d’Italia “e le altre Autorità indipendenti”. Ad esse si applicano solo gli obblighi di pubblicità per gli emolumenti superiori al limite fissato (art. 3, co. 44, ultimo periodo). Per tali soggetti la disciplina in ordine, fra l'altro, alle retribuzioni e agli emolumenti, è demandata ad una futura legge di riforma, perseguendo gli obiettivi di riduzione di costi e contenimento di retribuzioni ed emolumenti di cui al precedente comma 44 (art. 3, co. 45, modificato dall’art. 42, co. 2, del citato decreto-legge n. 248/2007). Comunque i soggetti cui non si applica il limite fissato dal comma 44 non possono superare il doppio del trattamento retributivo del Primo presidente della Corte di Cassazione (comma 46).

Sono invece esplicitamente inclusi nel novero dei soggetti cui si applica il predetto limite retributivo i magistrati ordinari, amministrativi e contabili, i presidenti e i componenti di collegi ed organi di governo e di controllo delle società non quotate e i dirigenti (comma 45, secondo periodo).

Per ciò che attiene all’ambito oggettivo di applicazione, la legge finanziaria per il 2008 ha espressamente previsto che il limite non si applica alle attività di natura professionale e ai contratti d'opera aventi ad oggetto una prestazione artistica o professionale che consenta di competere sul mercato in condizioni di effettiva concorrenza. Si deve però trattare di contratti che non possono in alcun caso essere stipulati con chi ad altro titolo percepisce emolumenti o retribuzioni ai sensi dei precedenti periodi (art. 3, comma 44, terzo periodo).

La disciplina illustrata prevede limiti temporali di applicazione, stabilendo che il limite (sia quello del trattamento del primo presidente di cassazione sia quello del doppio) non si applica ai contratti di diritto privato in corso alla data del 28 settembre 2007 e, se il superamento dei limiti deriva dalla titolarità di uno o più incarichi, mandati e cariche di natura non privatistica, o da rapporti di lavoro di natura non privatistica con i soggetti indicati nel comma 44, si procede ad una decurtazione annuale gradualedel trattamento economico complessivo, cioè di una cifra pari al 25 per cento della parte eccedente il limite (comma 47). La decurtazione annuale cessa al raggiungimento del limite medesimo. Alla medesima decurtazione si procede anche nel caso in cui il superamento del limite sia determinato dal cumulo con emolumenti derivanti dai contratti di diritto privato in corso alla data del 28 settembre 2007. In caso di cumulo di più incarichi, cariche o mandati, la decurtazione opera a partire dall’incarico, carica o mandato da ultimo conferito (comma 48).

Le disposizioni recanti i limiti si applicano comunque alla stipula di tutti i nuovi contratti e al rinnovo per scadenza di tutti i contratti in essere, che non possono in alcun caso essere prorogati oltre la scadenza prevista.

 

Questa normativa contempla inoltre la possibilità di deroga al regime del tetto al trattamento economico, per motivate esigenze di carattere eccezionale e per un periodo di tempo non superiore a tre anni. Per le amministrazioni statali le deroghe possono essere autorizzate con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, nel limite massimo di 25 unità corrispondenti alle posizioni di più elevato livello di responsabilità (art. 3, co. 44, ottavo periodo).

Per le Amministrazioni dello Stato, per la Banca d’Italia e le autorità indipendenti, ai soggetti cui non si applica il suddetto limite, il trattamento economico complessivo non può comunque superare il doppio del trattamento retributivo del Primo Presidente della Corte di cassazione (comma 46). Il riferimento contenuto in questo comma alle “amministrazioni dello Stato” dovrebbe avere la funzione di clausola di chiusura del regime previsto, con l’effetto di riguardare tutte le amministrazioni non comprese nell’indicazione contenuta nel comma 44.

Per ciò che attiene al regime di pubblicità e di comunicazione degli atti comportanti spesa per retribuzioni, viene sostanzialmente riprodotta la disciplina già contenuta nella legge finanziaria per il 2007. La comunicazione è condizione per l’attuazione dell’atto: esso deve essere preventivamente pubblicato sul sito web dell'amministrazione o del soggetto interessato, nonché comunicato al Governo, al Parlamento e alla Corte dei conti. Per le retribuzioni dirigenziali e i compensi per la conduzione di trasmissioni di qualunque genere presso la RAI - Radiotelevisione italiana Spa è specificamente previsto che esse siano rese note alla Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi (art. 3, co. 50).

Il Presidente del Consiglio dei ministri deve presentare alle Camere, entro il 30 settembre 2008, una relazione sull’attuazione della disciplina del tetto retributivo (art. 3, co. 52), mentre la Corte dei conti verifica l'attuazione delle disposizioni in oggetto in sede di controllo successivo sulla gestione del bilancio (art. 3, co. 53).

 

Sulla disciplina recata dalla legge finanziaria per il 2008 è intervenuto subito dopo, come detto, il D.L. 248/2007, che ha specificato (art. 24, co. 4-bis) che, ferma restando l'inapplicabilità del limite alle attività soggette a tariffe professionali, il tetto si applica ai contratti d'opera. L’applicazione a tali contratti decorre dall'emanazione di un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri volto a definire, entro il 1° luglio 2008, le tipologie di contratti d'opera artistica o professionale escluse, che non risulta ancora emanato.

 

E’ inoltre intervenuto il decreto-legge 97/2008 che, all’articolo 4-quater, comma 52-bis, ha disposto che la disciplina illustrata trova applicazione a decorrere dalla data di entrata in vigore di un regolamento di delegificazione adottato entro il 31 ottobre 2008 con D.P.R., ex art. 17, co. 2, della L. 400/1988. Tale comma ha introdotto i seguenti principi per l’adozione del regolamento:

 

-         esclusione dal limite della retribuzione percepita dal dipendente pubblico presso l’amministrazione di appartenenza, nonché del trattamento di pensione, dal computo che concorre alla definizione del limite;

-         non applicabilità della disciplina agli emolumenti correlati a prestazioni professionali o a contratti d’opera di natura non continuativa nonché agli emolumenti determinati ai sensi dell’articolo 2389, terzo comma, del codice civile; quest’ultima disposizione si riferisce alla rimunerazione degli amministratori investiti di particolari cariche, nelle società per azioni;

-         obbligo per la singola amministrazione o società, che conferisca nel medesimo anno allo stesso soggetto incarichi che superino il limite massimo, di fornire adeguata e specifica motivazione e dare pubblicità all’incarico medesimo;

-         obbligo per il soggetto che riceve un incarico di comunicare, all’amministrazione che conferisce l’incarico, tutti gli altri incarichi in corso, ai quali dare adeguata pubblicità;

-         individuazione di specifiche forme di vigilanza e controllo sulle modalità applicative della disciplina.

 

Il regolamento è stato adottato con il DPR 5 ottobre 2010, n. 195[12], nel cui campo di applicazione rientrano le amministrazioni dello Stato di cui all’art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 165/2001, le agenzie, gli enti pubblici economici e non economici, gli enti di ricerca, le università, le società non quotate a totale o prevalente partecipazione pubblica e le loro controllate.

Il regolamento ha stabilito, in conformità ai principi di delegificazione, che, ai fini della verifica del rispetto del limite, non è computato il corrispettivo globale percepito per il rapporto di lavoro o il trattamento pensionistico corrisposti al soggetto destinatario, rispettivamente, dall'amministrazione o dalla società di appartenenza e dall'ente previdenziale; né è computata la parte del compenso che il soggetto destinatario è obbligato a versare in fondi. Negli incarichi di durata pluriennale con compenso cumulativamente previsto, ai fini della determinazione del limite, il compenso è computato in parti uguali per gli anni di riferimento, tenendo conto delle frazioni di anno. Il Ministro della giustizia, entro il 31 gennaio di ogni anno, comunica al Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione e al Ministro dell’economia e delle finanze l’ammontare del trattamento annuale complessivo spettante per la carica di Primo Presidente della Corte di Cassazione (art. 4).

Inoltre, il regolamento espressamente prevede che la disciplina stabilita si applichi ai contratti stipulati o rinnovati e agli incarichi conferiti dopo la sua entrata in vigore.

La disciplina prevista dall’art. 1 del decreto-legge n. 98/2011, come modificato dal decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138

L'articolo 1, comma 1, del decreto-legge n. 98/2011[13], convertito con modificazioni dalla legge n.111/2011, successivamente modificato dall’art. 1 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138[14], convertito con modificazioni dalla legge n.148/2011, ha introdotto il c.d. livellamento remunerativo Italia-Europa con riferimento al trattamento economico omnicomprensivo annualmente corrisposto in funzione della carica ricoperta o dell’incarico svolto:

 

1.      ai titolari di cariche elettive ed incarichi di vertice o quali componenti, comunque denominati, degli organismi, enti e istituzioni, anche collegiali;

2.      alle cariche e agli incarichi negli organismi, enti e istituzioni, anche collegiali;

3.      ai segretari generali, ai capi dei dipartimenti, ai dirigenti di prima fascia, ai direttori generali degli enti e ai titolari degli uffici a questi equiparati delle amministrazioni centrali dello Stato.

 

Solo con riferimento a quanto indicato sub 2 e 3 l’art. 1, comma 2, fornisce una definizione di trattamento economico omnicomprensivo riferita al complesso delle retribuzioni e delle indennità a carico delle pubbliche finanze. Il trattamento non può superare, ai sensi dell’art. 1, comma 1, la media ponderata rispetto al PIL degli analoghi trattamenti economici percepiti annualmente dai titolari di omologhe cariche e incarichi negli altri sei principali Stati dell'Area Euro.

Lo stesso art. 1 reca anche disposizioni in tema di livellamento del costo relativo al trattamento economico omnicomprensivo annualmente corrisposto in funzione della carica di membro del Parlamento.

 

La ricognizione e l'individuazione della media dei trattamenti economici dei sei principali Stati dell'Area Euro, riferiti all'anno precedente ed aggiornati all'anno in corso sulla base delle previsioni dell'indice armonizzato dei prezzi al consumo contenute nel Documento di economia e finanza, da effettuare entro il 1° luglio di ogni anno e con provvedimento pubblicato in Gazzetta Ufficiale, è affidata dalle disposizioni in esame da una Commissione, presieduta dal Presidente dell'ISTAT e composta da esperti istituita con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri. La ricognizione e la individuazione riferite all'anno 2010 sono provvisoriamente effettuate entro il 31 dicembre 2011 ed eventualmente riviste entro il 31 marzo 2012.

 

Nella formulazione originaria del decreto-legge, la norma fissava il tetto massimo del trattamento economico di titolari di cariche elettive o di incarichi di vertice alla media dei trattamenti economici di tutti gli Stati dell’area euro, mentre all’esito dell’esame parlamentare il confronto è stato ristretto ai sei “principali” Paesi che adottano la moneta unica ed è stato introdotto il criterio della ponderazione rispetto al prodotto interno lordo.

L'euro costituisce valuta ufficiale per Austria, Belgio, Cipro, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Portogallo, Slovacchia, Slovenia e Spagna. Secondo i dati Eurostat, tra questi i più popolosi, esclusa l’Italia, sono: Francia, Germania, Spagna, Paesi Bassi, Grecia e Belgio[15].

 

A seguito delle modifiche introdotte con il D.L. 138 del 2011, il comma 2 dell’art. 1 ha specificato che il livellamento trova applicazione nei confronti dei direttori generali degli enti e dei titolari degli uffici equiparati delle amministrazioni centrali dello Stato, con ciò diversificando la posizione dei titolari di uffici statali a seconda dell’ubicazione, centrale ovvero periferica, dell’amministrazione di appartenenza.

 

Secondo il comma 4 dell’art. 1, le disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 3 costituiscono norme di principio in materia di coordinamento della finanza pubblica ex art. 117, comma 3, della Costituzione. Entro 60 giorni dall’entrata in vigore del decreto-legge in esame, le Regioni sono tenute a adeguare la propria legislazione alle previsioni suddette. Le Regioni a statuto speciale e le Province autonome devono adeguare la propria legislazione alle disposizioni di cui ai commi precedenti, secondo i rispettivi statuti e le relative norme di attuazione.

 

Ai sensi della citata disposizione costituzionale, il coordinamento della finanza pubblica - insieme con quello del sistema tributario e l’armonizzazione dei bilanci pubblici – è materia di legislazione concorrente, per la quale spetta allo Stato la determinazione dei principi fondamentali. Secondo il costante orientamento della Corte costituzionale, le disposizioni statali possono solo prevedere «criteri ed obiettivi cui dovranno attenersi le Regioni e gli enti locali nell'esercizio della propria autonomia finanziaria, senza invece imporre loro precetti specifici e puntuali» (fra le molte, si vedano le sentenze n. 157 e 95 del 2007, n. 449 del 2005 e n. 390 del 2004). In siffatta prospettiva, secondo la Corte, risulta quindi decisivo verificare se «la norma statale, emanata nell’esercizio della competenza concorrente in materia di coordinamento della finanza pubblica, sia di principio ovvero di dettaglio, dovendosi considerare soltanto in quest’ultimo caso illegittima. Né, ove fosse di principio, sarebbe necessaria la previsione di un meccanismo di coinvolgimento regionale nella scelta dei contenuti della relativa disciplina.». Come è noto, «la portata di principio fondamentale va riscontrata con riguardo alla peculiarità della materia […] nel coordinamento della finanza pubblica, ciò che viene in particolare evidenza è la finalità cui la disciplina tende» (C. cost. n. 139/2009).

Con riferimento a singole disposizioni e sulla base dei principi enunciati, la Corte ha, ad esempio, ritenuto infondate le questioni di legittimità costituzionale riferite ad una disposizione che prevedeva l’adozione da parte delle regioni di disposizioni, normative o amministrative, finalizzate ad assicurare la riduzione degli oneri degli organismi politici e degli apparati amministrativi, con particolare riferimento alla diminuzione dell'ammontare dei compensi e delle indennità dei componenti degli organi rappresentativi e del numero di questi ultimi, con un miglioramento dei saldi dei bilanci regionali del 10 per cento rispetto all’anno precedente (sentenza n. 159/2008). Contra, la Consulta ha dichiarato l’incostituzionalità della riduzione delle indennità corrisposte ai titolari degli organi politici regionali nella misura del 10 per cento rispetto alla data del 30 settembre 2005, poiché ciò porrebbe «un precetto specifico e puntuale, comprimendo l’autonomia finanziaria regionale» (sentenza n. 157/2007).

I rapporti tra le fonti del quadro normativo di riferimento

Le discipline illustrate non recano alcuna clausola espressa in merito alla perdurante vigenza o, di contro, all’abrogazione della disciplina precedente, fatta eccezione, come sopra specificato, per quella prevista dall’art. 1, comma 593, della legge 296/2006. Ognuna di esse, infatti, senza operare alcuna abrogazione espressa, introduce regolamentazioni innovative sull'articolato e stratificato corpo normativo che disciplina attualmente gli ordinamenti e i trattamenti economici delle amministrazioni cui si applica, indicate in modo non omogeneo, con l’effetto di rendere non semplice l’individuazione dei destinatari e del regime applicabile.

 

Infatti, dal raffronto dei soggetti destinatari dei regimi stabiliti dalle disposizioni finora emanate sembra emergere quanto segue:

 

§      l’art. 23-ter del D.L. n. 201/2011 si riferisce alle pubbliche amministrazioni statali di cui all’art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 165/2001 e identico riferimento è effettuato dall’art. 3, comma 44, della legge n. 244/2007; in base alla formulazione letterale dell’art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 165/2001, le amministrazioni dello Stato sembrano costituire solo una parte delle amministrazioni pubbliche indicate nell’articolo stesso, il quale riconduce espressamente a tale categoria solo gli istituti e le scuole di ogni ordine e grado, le istituzioni educative e le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo; le altre amministrazioni pubbliche indicate dall’art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 165/2001, cioè le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, compreso il CONI, non appaiono riconducibili, ai sensi della formulazione letterale dello stesso art. 1, comma 2, del D.Lgs 165/2001, alla definizione di amministrazioni dello Stato;

·         invece, l’art. 3, comma 44, della legge n. 244/2007 aggiunge alle pubbliche amministrazioni statali di cui all’art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 165/2001 i seguenti soggetti: agenzie, enti pubblici anche economici, enti di ricerca, università, società non quotate a totale o prevalente partecipazione pubblica nonché le loro controllate; inoltre, la stessa disposizione, allargando ulteriormente la fattispecie di riferimento, include chiunque sia titolare di incarichi o mandati di qualsiasi natura nel territorio metropolitano; lo stesso art. 3, comma 44, della legge n. 244/2007 si applica anche ai magistrati ordinari, amministrativi e contabili, cioè a una parte del personale c.d. non contrattualizzato di cui all’art. 3 del D.Lgs. n. 165/2001, nonché ai presidenti e componenti di collegi e organi di governo e di controllo di società non quotate;

·         d’altro canto, l’art. 23-ter ha espressamente incluso tutto il personale di cui all’art. 3 dello stesso D.Lgs. n. 165/2001; per effetto di tale rinvio risultano assoggettati alla disciplina dell’art. 23-ter anche “i dipendenti degli enti che svolgono la loro attività nelle materie contemplate dall'articolo 1 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 17 luglio 1947, n. 691, e dalle leggi 4 giugno 1985, n. 281, e successive modificazioni ed integrazioni, e 10 ottobre 1990, n. 287”; le materie contemplate dai suddetti riferimenti normativi sono - come già detto - rispettivamente, l’esercizio della funzione creditizia e la materia valutaria, l'ordinamento della Commissione nazionale per le società e la borsa, l'identificazione dei soci delle società con azioni quotate in borsa e delle società per azioni esercenti il credito, l’attuazione delle direttive CEE in materia di mercato dei valori mobiliari e la tutela del risparmio, nonché la tutela della concorrenza e del mercato. Come accennato in precedenza, in queste materie operano la Banca d’Italia, la Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB) e l’Autorità garante per la concorrenza e il mercato (Antitrust), ma lo stesso d.lgs. 165/2001, art. 5, comma 3 bis, specifica quali disposizioni in esso contenute si applicano alle autorità indipendenti. Si è già ricordato che l’art. 3 della legge n. 244/2007 e successive modificazioni ed integrazioni ha previsto per la stessa Banca d’Italia e le altre Autorità indipendenti un rinvio ad una futura legge di riforma, anche per i profili relativi a retribuzioni ed emolumenti per i quali ha comunque stabilito uno specifico limite; inoltre, la Banca d’Italia  è stata espressamente esclusa dalla disciplina dell’art. 1 del decreto legge n. 98/2011 in tema di livellamento remunerativo. Ancora, sempre con riferimento alla Banca d’Italia, si ricorda che essa è inserita nel Sistema europeo delle Banche centrali (SEBC), le quali agiscono nei limiti dei poteri loro conferiti dal Trattato e dallo Statuto del Sistema Europeo di Banche Centrali e della Banca Centrale Europea (Statuto del SEBC/BCE), che ne costituiscono fonti normative primarie.

 

Occorre poi tenere presente che ai soggetti cui si applicano le disposizioni previste dall’art. 1 D.L. 98/2011, come modificato dal D.L. 138/2011, relative al livellamento remunerativo, sono in corso le attività della Commissione, organo amministrativo di nomina governativa, istituita con DPCM 28 luglio 2011.

Tale Commissione ha reso noti l’attività e i relativi risultati al 31 dicembre 2011 con una relazione nella quale sono evidenziate anche problematiche interpretative e la complessità del lavoro dovuta anche alla “necessità di addivenire ad una interpretazione univoca del testo normativo di riferimento, il cui enunciato presenta aspetti di ambiguità e talvolta di contraddittorietà”. A questo proposito viene richiamato ad esempio il concetto di trattamento economico omnicomprensivo “le cui componenti non sono specificate dalla norma” (pag. 3 della relazione), non apparendo inoltre chiaro se per le posizioni che prevedono una parte della retribuzione legata al risultato “il riferimento debba essere la retribuzione originariamente concordata, oppure quella definita ex post, la quale può risentire della decurtazione dovuta al mancato ottenimento dei risultati” (pag. 5); allo stesso modo, la Commissione ha ritenuto anche “il concetto di amministrazioni centrali dello Stato non chiaro” (pag. 5).

 

La successione temporale della normativa illustrata e la diversa platea di destinatari di ciascun regime sembrerebbero produrre l’effetto della contemporanea vigenza, nella stessa materia, di discipline parzialmente differenziate.

 

Inoltre, in materia di limitazione di trattamenti economici risultano in vigore disposizioni riconducibili a fonti di diverso rango (legge, decreto-legge, regolamento di delegificazione, alle quali potrà aggiungersi lo schema di DPCM in esame, nonché il decreto ministeriale previsto dal citato art. 23-bis del D.L. n. 201/2011) – come si evince anche dal fatto che tali fonti sono richiamate dalle stesse premesse dello schema di D.P.C.M attuativo dell’art. 23-ter del D.L. 201/2011.

 

 


I contratti di lavoro autonomo e dipendente con le P.A.

Le disposizioni che intervengono in materia di limiti del trattamento economico e degli emolumenti corrisposti nell’ambito di rapporti di lavoro dipendente o autonomo intrattenuti con pubbliche amministrazioni, spiegano il loro effetto sul profilo che riguarda il diritto alla retribuzione che, a fronte dell’obbligo alla prestazione lavorativa, costituisce un elemento essenziale del rapporto sinallagmatico su cui tali rapporti di lavoro si fondano.

Tale effetto può essere valutato distintamente da un lato sotto il profilo dei contratti di diritto privato aventi ad oggetto prestazioni di lavoro autonomo, dall’altro sotto il profilo dei contratti stipulati nell’ambito della contrattazione collettiva.

Lavoro autonomo

Per i rapporti di lavoro autonomo, l’articolo 7, comma 6, del D.Lgs. 165/2001 ha disposto la facoltà, per le amministrazioni pubbliche, di conferire incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa, ad esperti di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria[16].

I presupposti per il conferimento degli incarichi sono i seguenti:

 

·         l’amministrazione deve avere preliminarmente accertato l'impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno;

·         l'oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite dall'ordinamento all'amministrazione conferente, ad obiettivi e progetti specifici e determinati e deve risultare coerente con le esigenze di funzionalità dell'amministrazione conferente;

·         la prestazione deve essere di natura temporanea e altamente qualificata;

·         devono essere preventivamente determinati durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione.

 

Il ricorso a contratti di collaborazione coordinata e continuativa per lo svolgimento di funzioni ordinarie o l'utilizzo dei collaboratori come lavoratori subordinati è causa di responsabilità amministrativa per il dirigente che ha stipulato i contratti.

Inoltre, con il successivo comma 6-bis viene fatto obbligo, per le amministrazioni pubbliche, di definire e rendere pubbliche le procedure comparative per l’assegnazione degli incarichi di collaborazione, secondo i propri ordinamenti.

Il comma 6-ter stabilisce l’obbligo, per i regolamenti di cui all’articolo 110, comma 6, del testo unico di cui al D.Lgs. 267/2000[17], di adeguarsi ai principi di cui al comma 6 in precedenza illustrato.

Infine, le disposizioni di cui ai richiamati commi 6, 6-bis e 6-ter non trovano applicazione nei confronti dei componenti degli organismi di controllo interno e dei nuclei di valutazione, nonché degli organismi operanti per il monitoraggio degli investimenti pubblici (comma 6-quater).

Per quanto attiene ai limiti per la spesa per collaborazioni e consulenze, l’articolo 6, comma 7, del D.L. 78/2010 ha disposto che la spesa annua per studi ed incarichi di consulenza, inclusa quella relativa a studi ed incarichi di consulenza conferiti a pubblici dipendenti, non possa essere superiore al 20% di quella sostenuta nell'anno 2009.

L'affidamento di incarichi in assenza dei presupposti di cui al presente comma costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale. Le richiamate disposizioni non si applicano alle attività sanitarie connesse con il reclutamento, l’avanzamento e l’impiego del personale delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco.

Lavoro pubblico

La disciplina del lavoro pubblico è contenuta nel D.Lgs. n. 165/2001, che è stato ampiamente modificato, da ultimo, dal decreto legislativo n. 150/2009 (c.d. decreto “Brunetta”).

 

L’art. 2, comma 3, del D.Lgs. n. 165/2001 prevede che i rapporti individuali di lavoro nel pubblico impiego sono regolati contrattualmente.

 

Gli ambiti della contrattazione collettiva sono definiti dall’articolo 40, comma 1, ove si dispone che la contrattazione collettiva determina i diritti e gli obblighi direttamente pertinenti al rapporto di lavoro, nonché le materie relative alle relazioni sindacali. Sono, invece, “escluse dalla contrattazione collettiva le materie attinenti all'organizzazione degli uffici, quelle oggetto di partecipazione sindacale ai sensi dell'articolo 9, quelle afferenti alle prerogative dirigenziali ai sensi degli articoli 5, comma 2, 16 e 17, la materia del conferimento e della revoca degli incarichi dirigenziali, nonché quelle di cui all'articolo 2, comma 1, lettera c), della legge 23 ottobre 1992, n. 421. Nelle materie relative alle sanzioni disciplinari, alla valutazione delle prestazioni ai fini della corresponsione del trattamento accessorio, della mobilità e delle progressioni economiche, la contrattazione collettiva è consentita negli esclusivi limiti previsti dalle norme di legge”.

 

I contratti collettivi sono stipulati secondo i criteri e le modalità previste nel Titolo III del D.Lgs. 165, ove si prevede, in particolare, che la contrattazione collettiva disciplini, in coerenza con il settore privato, la struttura contrattuale, i rapporti tra i diversi livelli e la durata dei contratti collettivi nazionali e integrativi. Per quanto attiene più specificamente alla durata dei contratti, il nuovo testo del D.Lgs. 165 ha modificato, in coerenza con il settore privato, la durata dei contratti al fine di ridurre i tempi e i ritardi dei rinnovi e di far coincidere il periodo di regolamentazione giuridica con quello di regolamentazione economica, eliminando la dicotomia tra il quadriennio giuridico ed il biennio economico caratteristica dei contratti pubblici e strutturando gli stessi, in coerenza appunto con il settore privato, con cadenza triennale. Analogamente, è stata disposta la cadenza triennale degli aspetti giuridici ed economici del rapporto di lavoro anche per i dipendenti di diritto pubblico.

Inoltre, tramite appositi accordi tra l'ARAN e le Confederazioni rappresentative, secondo specifiche procedure, è stata disposta la riduzione dei comparti di contrattazione, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, per un massimo di 4 comparti, cui corrispondono non più di 4 aree separate per la dirigenza. Una apposita sezione contrattuale di un'area dirigenziale riguarda la dirigenza del ruolo sanitario del S.S.N.. Nell'ambito dei comparti di contrattazione possono essere infine costituite apposite sezioni contrattuali per specifiche professionalità.

Per quanto attiene, poi, al procedimento, il nuovo testo dell’articolo 47 del D.Lgs. 165 ha previsto, in particolare, la sottoposizione al Governo degli atti di indirizzo delle amministrazioni statali e delle agenzie e aziende autonome dello Stato emanati dai rispettivi comitati di settore, il quale può esprimere le sue valutazioni in merito nei successivi 20 giorni. E’ stata inoltre prevista la trasmissione all’ARAN del parere favorevole, una volta raggiunta l’ipotesi di accordo tramite il comitato di settore competente. Il richiamato comitato esprime il parere sul testo contrattuale e sugli oneri finanziari diretti ed indiretti a carico dei bilanci delle amministrazioni interessate. Per le rimanenti amministrazioni, tale parere è espresso dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, tramite il Ministro della pubblica amministrazione e innovazione, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri.

L’ARAN, acquisito il parere favorevole sull'ipotesi di accordo, nonché la verifica da parte delle amministrazioni interessate sulla copertura degli oneri contrattuali, trasmette il giorno successivo la quantificazione dei costi contrattuali alla Corte dei conti ai fini della certificazione di compatibilità con gli strumenti di programmazione e di bilancio, la quale certifica l'attendibilità dei costi quantificati e la loro compatibilità con gli strumenti di programmazione e di bilancio. L'esito della certificazione viene comunicato dalla Corte all'ARAN, al comitato di settore e al Governo. Se la certificazione è positiva, il presidente dell'ARAN sottoscrive definitivamente il contratto collettivo.

 

La disposizione, in particolare, stabilisce che l’attribuzione di trattamenti economici può avvenire esclusivamente mediante contratti collettivi – stabilendo così una riserva alla contrattazione collettiva per la determinazione delle norme regolatrici del rapporto di lavoro privatizzato con le pubbliche amministrazioni che trova riconoscimento anche in pronunce della Corte costituzionale (e plurimis sent. n. 150/2011 e 69/2011), salvo i casi previsti dai commi 3-ter e 3-quater dell'articolo 40 e le ipotesi di tutela delle retribuzioni di cui all'articolo 47-bis, o, alle condizioni previste, mediantecontratti individuali.

 

Il comma 3-ter dell’articolo 40 ha previsto, al fine di assicurare la continuità e il migliore svolgimento della funzione pubblica, che nei casi in cui non si raggiunga l'accordo per la stipulazione di un contratto collettivo integrativo, l'amministrazione interessata possa provvedere, in via provvisoria, sulle materie oggetto del mancato accordo, fino alla successiva sottoscrizione. Agli atti adottati unilateralmente si applicano le procedure di controllo di compatibilità economico-finanziaria previste dall'articolo 40-bis[18].

Il successivo comma 3-quater ha disposto l’obbligo, per la Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni di fornire all’ARAN, entro il 31 maggio di ogni anno, una graduatoria di performance delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali, la quale raggruppa le singole amministrazioni, per settori, su almeno tre livelli di merito, in funzione dei risultati ottenuti. E’ altresì compito della contrattazione nazionale definire le modalità di ripartizione delle risorse per la contrattazione decentrata tra i diversi livelli di merito, assicurando l'invarianza complessiva dei relativi oneri nel comparto o nell'area di contrattazione.

 

L’articolo 47-bis ha stabilito una tutela retributiva per i dipendenti pubblici, consistente nell’erogazione degli incrementi stipendiali in via provvisoria trascorsi 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge finanziaria per il periodo di riferimento, previa delibera dei rispettivi comitati di settore, salvo conguaglio all’atto della stipula dei contratti collettivi nazionali. Lo stresso articolo ha altresì disposto l’erogazione di un’anticipazione dei benefici economici disposti dalla contrattazione, da effettuarsi a decorrere dal mese di aprile dell’anno successivo alla scadenza del contratto collettivo nazionale, nel caso in cui quest’ultimo non sia stato rinnovato e non siano state erogate le somme a tutela dei dipendenti analizzate in precedenza. L’anticipazione, che rappresenta una copertura economica anticipata dei benefici complessivi che saranno attribuiti all'atto del rinnovo contrattuale, è riconosciuta nella misura e con le modalità stabilite dai contratti nazionali, e comunque entro i limiti previsti dalla legge finanziaria in sede di definizione delle risorse contrattuali.

 

Le disposizioni di legge, regolamenti o atti amministrativi che attribuiscono incrementi retributivi non previsti da contratti cessano di avere efficacia a far data dall'entrata in vigore del relativo rinnovo contrattuale. I trattamenti economici più favorevoli in godimento sono riassorbiti con le modalità e nelle misure previste dai contratti collettivi e i risparmi di spesa che ne conseguono incrementano le risorse disponibili per la contrattazione collettiva.

 

Il principio dell’attribuzione contrattuale dei trattamenti economici è ribadito e specificato all’articolo 45 del decreto legislativo n. 165/2001, dove si afferma che il trattamento economico fondamentale ed accessorio, fatto salvo quanto previsto all'articolo 40, commi 3-tere 3-quater, e all'articolo 47-bis, comma 1, in precedenza richiamati, è definito dai contratti collettivi.

Le amministrazioni pubbliche garantiscono ai propri dipendenti parità di trattamento contrattuale e comunque trattamenti non inferiori a quelli previsti dai rispettivi contratti collettivi (comma 2).

Il comma 3 prevede che i contratti collettivi definiscono, in coerenza con le disposizioni legislative vigenti, trattamenti economici accessori collegati:

a) alla performance individuale;

b) alla performance organizzativa con riferimento all'amministrazione nel suo complesso e alle unità organizzative o aree di responsabilità in cui si articola l'amministrazione;

c) all'effettivo svolgimento di attività particolarmente disagiate ovvero pericolose o dannose per la salute.

 

Per premiare il merito e il miglioramento della performance dei dipendenti, sono destinate, compatibilmente con i vincoli di finanza pubblica, apposite risorse nell'ambito di quelle previste per il rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro (comma 3-bis).

 

In relazione alla valorizzazione del merito e ai metodi di incentivazione della produttività e qualità della prestazione lavorativa, si ricorda che l’articolo 19 del D.Lgs. 150/2009 ha previsto la compilazione da parte delle amministrazioni di una graduatoria delle valutazioni individuali del personale dirigenziale e non dirigenziale. Il personale viene poi distribuito, secondo i differenti livelli di performance, in tre fasce:

·         fascia di merito alta, composta dal 25% del personale, cui è corrisposto il 50% delle risorse destinate al trattamento accessorio collegato alla performance individuale;

·         fascia di merito intermedia, composta dal 50% del personale, cui è corrisposto l’altro 50% delle risorse destinate al trattamento accessorio collegato alla performance individuale;

·         fascia di merito bassa, composta dal 25% del personale, cui non è corrisposto alcun trattamento accessorio.

Tali principi sono derogabili dalla contrattazione collettiva entro determinati margini: la percentuale del 25% della fascia di merito alta può variare in misura non superiore a 5 punti percentuali in aumento o in diminuzione, con corrispondente variazione compensativa delle altre due percentuali; inoltre, possono essere derogate le composizioni percentuali delle due fasce di merito intermedia e bassa, fermo restando la percentuale della fascia alta.

 

Infine, al comma 4 si dispone che i dirigenti sono responsabili dell'attribuzione dei trattamenti economici accessori, mentre al comma 5 si prevede che le funzioni ed i relativi trattamenti economici accessori del personale non diplomatico del Ministero degli affari esteri, per i servizi che si prestano all'estero presso le rappresentanze diplomatiche, gli uffici consolari e le istituzioni culturali e scolastiche, sono disciplinati, limitatamente al periodo di servizio ivi prestato, dalle disposizioni del D.P.R. 18/1967, e successive modificazioni ed integrazioni, nonché dalle altre pertinenti normative di settore del Ministero degli affari esteri.

Orientamenti giurisprudenziali

In tema di lavoro pubblico è stato elaborato il principio del divieto di reformatio in peius dalla giurisprudenza, sulla base della disposizione di cui all’articolo 202[19] del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato.

 

La norma citata stabilisce che “nel caso di passaggio di carriera presso la stessa o diversa amministrazione agli impiegati con stipendio superiore a quello spettante nella nuova qualifica è attribuito un assegno personale, utile a pensione, pari alla differenza fra lo stipendio già goduto ed il nuovo, salvo riassorbimento nei successivi aumenti di stipendio per la progressione di carriera anche se semplicemente economica”.

 

Questo principio trova riscontro nel rapporto di lavoro privato, nell’art. 2103 c.c. (Mansioni del lavoratore), nel quale si ritiene fondato il principio di irriducibilità della retribuzione[20], sulla base delle disposizioni che prevedono che “Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione. Nel caso di assegnazione a mansioni superiori il prestatore ha diritto al trattamento corrispondente all'attività svolta, e l'assegnazione stessa diviene definitiva, ove la medesima non abbia avuto luogo per sostituzione di lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto, dopo un periodo fissato dai contratti collettivi, e comunque non superiore a tre mesi. Egli non può essere trasferito da una unità produttiva ad un'altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive. Ogni patto contrario è nullo”.

In merito all’interpretazione di tale norma, la giurisprudenza ha considerato che “il principio dell'irriducibilità della retribuzione, dettato dall'art. 2103 c.c., implica che la retribuzione concordata al momento dell'assunzione non è riducibile neppure a seguito di accordo tra il datore e il prestatore di lavoro ed ogni patto contrario è nullo in ogni caso in cui il compenso pattuito anche in sede di contratto individuale venga ridotto”. (v. Cass. civ. Sez. lavoro 27ottobre 2003 n. 16106; v. anche Cass. civ. Sez. lavoro 7 dicembre 2000 n. 15517; Cass. civ. Sez. lavoro 8 settembre 1997 n. 87049).

Il suddetto principio è stato “inteso quale applicazione di specie del generale principio dell’imparzialità e del buon andamento nell’organizzazione che impone in particolare il rispetto delle posizioni di favore consolidate”[21].

 

Il divieto di reformatio in peius della retribuzione del pubblico dipendente si traduce nel diritto alla conservazione della retribuzione in godimento, ritenuto “diritto quesito intangibile dalla Pubblica Amministrazione tenuta a non incidere sul maturato economico raggiunto dal pubblico dipendente delle cui prestazioni lavorative intenda continuare a valersi[22]”.

In merito all’estensione dell’ambito soggettivo di applicazione del suddetto principio, si rileva che esso – nato storicamente per i soli dipendenti di amministrazioni statali – è stato successivamente esteso dalla giurisprudenza ai dipendenti delle aziende autonome statali e di altri enti pubblici e dunque alla generalità dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche[23], tanto da far affermare alla stessa Corte Costituzionale, con riferimento al trattamento economico di dipendenti di enti regionali, che “il divieto di una siffatta reformatio è ormai talmente consolidato che non occorre neppure menzionarlo nelle disposizioni di legge che hanno ad oggetto il trattamento medesimo: si tratta di un principio generale elaborato e costantemente affermato dalla giurisprudenza” (Corte Cost., 6 maggio 1985, n.153).

 

Questo orientamento è rimasto sostanzialmente confermato dalla giurisprudenza successiva, tanto che, quando la Corte costituzionale non ha ritenuto di accogliere questioni di legittimità relative al mutamento di profili attinenti allo stato economico di lavoratori, ha sempre fatto riferimento a questioni peculiari dei casi scrutinati.

In particolare, da alcune successive pronunce della giurisprudenza costituzionale, risulta che la possibilità di ridurre unilateralmente la retribuzione in atto non corrisponde ad un discrezionale ius variandi, ma è collegata ad una oggettiva modificazione della prestazione lavorativa, o ad una nuova (non arbitraria) valutazione della qualità di essa, o a scelte lavorative operate dallo stesso lavoratore (nella fattispecie la libera attività professionale) o, ancora, al carattere del tutto temporaneo dei sacrifici richiesti.

 

 

In questa prospettiva si iscrivono alcune pronunce (Corte Cost., 19 giugno 1998, n. 219 e 20 luglio 1999, n. 330) nelle quali – nel richiamare un principio di ragionevolezza degli interventi - è stato precisato che al legislatore “non è vietato di approvare norme le quali modifichino sfavorevolmente (…) la disciplina dei rapporti di durata neppure nel caso in cui riguardino diritti soggettivi perfetti, purché tali modifiche non trasmodino in un regolamento irrazionale o incidano arbitrariamente sulle situazioni sostanziali poste in essere da leggi precedenti”.

In particolare, va considerato che, nella fattispecie considerata, il temperamento con il criterio della ragionevolezza poggiava sulla considerazione che la riduzione dell’indennità in causa era stata disposta, per i medici del servizio sanitario nazionale in regime di tempo pieno svolgenti attività libero-professionale extra moenia, con decorrenza differita nel tempo, nell'ambito di precise modalità di opzione a favore dell'uno o dell'altro regime di lavoro; ciò consentiva, infatti, alla Corte di concludere che la situazione in cui veniva a trovarsi il medico che svolgeva anche attività extramuraria fosse del tutto peculiare, costituendo la conseguenza di una sua libera scelta.

Ancora, la stessa Corte ha ritenuto legittime disposizioni che hanno inciso sul pubblico impiego (D.L. 384/92 che aveva disposto che per l'anno 1993 non trovassero applicazione le norme che comunque comportano incrementi retributivi in conseguenza sia di automatismi stipendiali, sia dell'attribuzione di trattamenti economici, per progressione automatica di carriera, corrispondenti a quelli di funzioni superiori, ove queste non fossero effettivamente esercitate) in considerazione della loro temporaneità; esse pertanto, imponendo “sacrifici anche onerosi”, sono state ritenute non lesive del principio di cui all'art. 3 della Costituzione (sotto il duplice aspetto della non contrarietà sia al principio di uguaglianza sostanziale, sia a quello della non irragionevolezza), a condizione che i suddetti sacrifici fossero “eccezionali, transeunti, non arbitrari e consentanei allo scopo prefisso” (sent. n. 245/1997 e ord. n. 299/1999).

La vigenza del principio relativo al divieto di reformatio in peius appare confermata dalle disposizioni di cui all’art. 3, commi 44-52-bis della legge n. 244/2007 e dal D.P.R. n. 195/2010, nonché all’art. 1, comma 6, del D.L. n. 98 del 2011, convertito, con modificazioni dalla L. 15 luglio 2011, n. 111 e successive modificazioni e integrazioni. Tali disposizioni hanno escluso l’applicabilità degli interventi restrittivi sui trattamenti economici dei soggetti indicati, agli emolumenti in atto, limitandola, nel caso del D.L. n. 89/2011, a quelli “non ancora determinati” alla data di entrata in vigore del decreto stesso. Con ciò è stata confermata l’impossibilità di intervenire in via ordinaria, strutturale e permanente sul trattamento retributivo erogato, in ragione di una posizione giuridica consolidata e non soggetta a rinegoziazione.

 

Non mancano, inoltre, pronunce della Corte costituzionale nelle quali è altresì evidenziato nella materia de quo il profilo del legittimo affidamento. Infatti, la recente sentenza della Corte costituzionale n. 271 del 2011 ha ribadito (cassando la norma regionale che ridefiniva, riducendola, una determinata indennità) che il legittimo affidamento nella sicurezza giuridica costituisce elemento fondamentale dello Stato di diritto (e plurimis: sentenze n. 209 del 2010 e n. 236 del 2009) non violabile in modo irragionevole ex art. 3 Cost.

 

In merito all’interpretazione delle disposizioni citate, la giurisprudenza amministrativa ha ritenuto che il suddetto principio è “valido per tutti i dipendenti pubblici” e “comporta il divieto di una diminuzione del trattamento economico complessivo in godimento del pubblico dipendente” (TAR Lazio 6 maggio 2010, n. 9948; TAR Campania, 3 maggio 2004, n. 7751).

 

La giurisprudenza amministrativa e contabile ha inoltre specificato che “il principio del divieto di reformatio in peius del trattamento economico dei pubblici dipendenti, peraltro da riferirsi alla retribuzione complessiva e non già alle sue specifiche componenti, è correlato all'esigenza di salvaguardare il tenore di vita del lavoratore, quale reso possibile dal trattamento economico dallo stesso fruito; ne consegue che lo stesso va valutato con riferimento al trattamento globale della retribuzione, senza comparazione ad altri stipendi ed a nulla rilevando l'incrementazione differenziata da altro goduta”. (v. Cons. Stato Sez. VI, 9 settembre 1992, n. 638; v. anche C . Conti Sez. contr., 30 ottobre 1986, n. 1691, T.A.R. Lazio Latina Sez. I Sent., 10 gennaio 2008, n. 26; Cons. Stato 1981, n. 713).

 

Inoltre la stessa giurisprudenza ha poi chiarito che il principio dell’intangibilità del trattamento acquisito dal pubblico dipendente riguarda il solo stipendio tabellare e le voci retributive di carattere fisso e continuativo, con esclusione degli emolumenti variabili e provvisori, sui quali, per il loro carattere di precarietà e di accidentalità, il dipendente non ha ragione di riporre affidamento quali mezzi stabiliti e duraturi per far fronte ai bisogni essenziali della vita" (Consiglio Stato sez. V, 6 dicembre 1988 n. 781 e Consiglio Stato, sez. VI 9 novembre 1999, n. 817).

 

Da ultimo, si segnala che la questione della rideterminazione del trattamento retributivo è stata affrontata anche da diversi Tar, dinanzi i quali alcuni magistrati hanno posto la questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, commi 2 e 22, del D.L. n. 78 del 2010.

In talune ordinanze di rimessione i giudici - nel ritenere rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità - hanno affermato che tali disposizioni sarebbero violative “del principio di affidamento del cittadino, nella misura in cui rideterminano con effetto ablatorio il trattamento economico già acquisito alla sfera del dipendente come diritto soggettivo” arrivando a dubitare della ragionevolezza di norme che producono “come effetto quello della riduzione, prolungata nel tempo, e comunque oltre l’arco annuale, dei trattamenti retributivi dei dipendenti pubblici” (così, ad esempio Tar Umbria ord. n. 155/2011, ma vedi anche Tar Salerno ord. n. 1162/2011 e, contra,  Tar Brescia sent. n. 514 del 2011).

 

Si fa presente, infine che alcune pronunce della Corte europea dei diritti dell'uomo (Ambruosi/Italia, 19 ottobre 2000, ricorso 31227/96; De Stefano/Italia, 3 giugno 2008, ricorso 28443/06; Beyeler/Italia, 5 gennaio 2000, ricorso 33202/96) affermano che il diritto di credito del dipendente alla retribuzione convenuta nelle forme stabilite, ossia un reddito futuro per il quale il soggetto può vantare una aspettativa legittima di concretizzazione, costituisce un "bene" da tutelare ai sensi dell'art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU, come interpretato dalla Corte di Strasburgo.

 

 

 


Contenuto dello schema di D.P.C.M.

Lo schema di DPCM, richiamate nelle premesse le fonti normative sopra citate, tra le quali il D.P.R. n. 195/2010 e l’art. 1 del decreto legge n. 98/2011, fissa il livello remunerativo massimo omnicomprensivo annuo degli emolumenti spettanti a coloro che hanno un rapporto di lavoro dipendente o autonomo con pubbliche amministrazioni statali (art. 1).

Questo è il contenuto principale, prescritto dalla fonte normativa (art. 23-ter, comma 3, D.L. 201/2011) che prevede, però, che lo stesso DPCM possa individuare deroghemotivate per le posizioni apicali delle rispettive amministrazioni e possa stabilire un limite massimo per i rimborsi spese. Facoltà non esercitate in occasione della predisposizione dello schema in esame.

Va rilevato che il titolo dell’atto, “Schema di decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri concernente la definizione del limite massimo riferito al trattamento economico annuo omnicomprensivo dei pubblici dipendenti” fa riferimento al trattamento economico solo dei pubblici dipendenti, ma il contenuto del provvedimento riguarda anche soggetti che intrattengono rapporti di lavoro autonomo con le amministrazioni considerate, come previsto dall’ art. 23 ter citato.

 

Occorre notare che, mentre l’articolo 1 ricorre al concetto di livello remunerativo, l’articolo 3, in conformità alle previsione della norma base costituita dall’art. 23-ter, ricorre invece al concetto di trattamento economico omnicomprensivo.

La duplicità delle categorie che ricorrono nello schema di D.P.C.M. si ritrova anche nei regimi vigenti in materia, essendo riconducibile il secondo concetto alla legge n. 244/2007, e il primo al D.L. n. 98/2011. Tuttavia nelle fonti richiamate le due categorie sono soggette a discipline differenti.

 

Il testo dell’articolo 1, relativo all’oggetto del provvedimento, richiama la fissazione del livello remunerativo massimo omnicomprensivo annuo con riferimento agli emolumenti spettanti a fasce o categorie di personale.

Le fasce o categorie di personale prese in considerazione sono quelle che ricevono emolumenti o retribuzioni a carico delle finanze pubbliche.

Si rileva che il testo, pur individuando il personale cui intende riferirsi per il fatto di ricevere emolumenti o retribuzioni a carico delle finanze pubbliche, tuttavia parrebbe fissare il livello remunerativo massimo con espresso riferimento solo agli emolumenti.

 

Sono prese in considerazione dall’art. 1 solo le fasce o categorie di personale che ricevono emolumenti o retribuzioni nell’ambito di rapporti di lavoro dipendente o autonomo con pubbliche amministrazioni statali.

Va osservato che in materia di lavoro autonomo, il riferimento a fasce o categorie di personale potrebbe apparire improprio.

 

I soggetti con i quali le suddette fasce o categorie di personale intrattengono rapporti di lavoro, indicati dall’art. 1 sono le “pubbliche amministrazioni statali, di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, ivi incluse le Autorità amministrative indipendenti, nonché quelli in regime di diritto pubblico di cui all'articolo 3 del medesimo decreto legislativo, e successive modificazioni”.

 

L’indicazione dei soggetti non coincide completamente con quella stabilita nell’art. 23-ter poiché tale articolo non contiene l’inciso “ivi incluse le Autorità amministrative indipendenti”, ma, attraverso il richiamo all’art. 3 del D.lgs. n. 165/2001, fa riferimento solo ai dipendenti di talune di esse, e cioè degli enti che svolgono attività nelle materie contemplate dai riferimenti normativi contenuti nel citato art. 3 del D.Lgs. n. 165. 2001, materie in cui operano, come già specificato, la Banca d’Italia, la CONSOB e l’Antitrust.

Pertanto, l’allargamento della platea dei destinatari del provvedimento effettuato dallo schema di D.P.C.M. a tutte le Autorità indipendenti appare ultra vires in quanto non fondato sulle previsioni della norma di base.

 

L’art. 1 mantiene ferma la competenza del contratto collettivo nazionale, della contrattazione interna a ciascuna amministrazione e, per i dirigenti pubblici della contrattazione individuale, per la definizione, “al di sotto del suindicato limite”, dei rispettivi trattamenti economici.

Si rileva che, mentre per il lavoro dipendente al di sotto del suindicato limite” vi è un esplicito rinvio alla contrattazione, analogo rinvio alla libera contrattazione delle parti non è stabilito per il lavoro autonomo.

 

L’articolo 2 indica i soggetti destinatari delle disposizioni del decreto nelle persone fisiche che ricevano retribuzioni o emolumenti a carico delle pubbliche finanze in ragione di un rapporto di lavoro subordinato o autonomo, con le pubbliche amministrazioni statali, di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, ivi incluse le Autorità amministrative indipendenti, nonché quelli in regime di diritto pubblico di cui all'articolo 3 del medesimo decreto legislativo, e successive modificazioni.

Premesso quanto già osservato in precedenza con riferimento alle Autorità indipendenti, si osserva che anche nell’art. 2 l’allargamento della platea dei destinatari del provvedimento effettuato dallo schema di D.P.C.M. appare ultra vires in quanto non fondato sulle previsioni della norma di base.

In merito si ricorda che il d.lgs. 165/2001, laddove ha inteso includere, nel proprio ambito applicativo, le autorità indipendenti lo ha esplicitamente previsto (cfr. art. 5, comma 3 bis introdotto dalla lettera b) del comma 1 dell’art.34 del D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150).

Inoltre, l’estensione della disciplina del limite del trattamento economico a tutte le autorità indipendenti andrebbe valutata alla luce della vigente normativa in tema di finanziamento delle stesse autorità.

Infatti, nella prospettiva del contenimento della spesa pubblica, la legge 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria 2006), art. 1, co, 65 ss., ha dettato una disciplina al fine di estendere e rendere omogeneo per le autorità indipendenti il meccanismo del finanziamento a carico del mercato (il cd. auto-finanziamento) con l’intento di trasferire, in modo parziale e progressivo, i costi della regolazione sui soggetti regolati.

In particolare, tale legge ha disposto che le spese di funzionamento di alcune autorità (Consob, Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici, Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, Commissione di vigilanza sui fondi pensione) sono finanziate dal mercato di competenza per la parte non coperta da finanziamento a carico del bilancio dello Stato. Ha inoltre previsto che le modalità e l’entità delle contribuzioni “sono determinate con propria deliberazione da ciascuna autorità, nel rispetto dei limiti massimi previsti per legge” e che tali deliberazioni sono approvate dal Presidente del Consiglio dei Ministri, sentito il Ministro dell’economia e delle finanze, con proprio decreto. Le autorità hanno, in seguito, dato attuazione a queste norme adottando le previste deliberazioni[24].

 

L’articolo 3, comma 1, dispone in materia di limite massimo retributivo, prevedendo che il trattamento economico annuo omnicomprensivo, incluse le indennità e le voci accessorie, dei soggetti di cui all'articolo 2 non può superare il trattamento economico annuale complessivo spettante per la carica al Primo Presidente della Corte di cassazione, pari nell'anno 2011 ad euro 304.951,95. Se superiore, si riduce al predetto limite.

Si valuti che le previsioni dell’art. 23-ter fanno riferimento alla fissazione di un parametro massimo, cioè di un termine di riferimento, a cui rapportare i trattamenti economici; invece, la disposizione in commento fissa un tetto uniforme per tutti i suddetti trattamenti.

In merito alla definizione del trattamento soggetto a riduzione, si ricorda che la disciplina derivante dall’art. 3, commi 44-52-bis, della legge n. 244/2007 e dall’art. 4 del D.P.R. n. 195/2010, si riferisce al trattamento economico omnicomprensivo escludendo, dal relativo computo, il corrispettivo globale percepito per il rapporto di lavoro o il trattamento pensionistico corrisposti al soggetto destinatario, rispettivamente, dall'amministrazione o dalla società di appartenenza e dall'ente previdenziale, non computando la parte del compenso che il soggetto destinatario è obbligato a versare in fondi. Si ricorda inoltre che la stessa disciplina prevede un meccanismo di riduzione graduale mediante decurtazioni progressive dei trattamenti eccedenti il limite stabilito. La medesima disciplina prevede l’applicazione solo ai contratti stipulati o rinnovati e agli incarichi conferiti dopo la sua entrata in vigore (art. 3, comma 48 e art. 7 del regolamento) escludendo inoltre espressamente i contratti di diritto privato in corso alla data del 28 settembre 2007. Anche le disposizioni stabilite dall’art. 1 del D.L. 98/2011 “si applicano a decorrere dalle prossime elezioni, nomine o rinnovi e, comunque, per i compensi, le retribuzioni e le indennità che non siano stati ancora determinati alla data di entrata in vigore del presente decreto”. Tali discipline hanno sostanzialmente confermato i principi in materia di divieto di reformatio in peius dei trattamenti economici nei rapporti di durata, sanciti dalla giurisprudenza costituzionale e amministrativa.

La norma non sembra contenere - né nella formulazione in esame né in altra successiva - disposizioni espresse sui termini temporali di applicabilità delle nuove disposizioni. Principi di carattere generale potrebbero portare a considerare applicabile la normativa ai trattamenti dei titolari delle nuove posizioni instaurate dalle amministrazioni ed ai trattamenti dei nuovi titolari delle posizioni già esistenti (che, se superiori, si riducono).

L’ipotesi dell'incidenza immediata sui trattamenti in corso potrebbe essere ritenuta in contrasto con quanto affermato dalla citata giurisprudenza costituzionale in materia di divieto di reformatio in peius, evidenziando la ragionevolezza di interventi legislativi di contenimento di profili attinenti allo stato economico solo in presenza di specifici elementi di contesto, nonché con quella in tema di legittimo affidamento in caso di retroattività di nuove discipline, anche al di fuori del campo penale.

Potrebbe pertanto ritenersi che una disposizione immediatamente riduttiva di trattamenti economici in essere, nel descritto contesto giurisprudenziale in tema di divieto di reformatio in peius e in quello di legittimo affidamento[25], richieda un più alto grado di esplicitazione.

L’art. 23-ter, inoltre, come già osservato, non si riferisce a un limite massimo”, ma  ad un parametro massimo”.

 

La previsione della riduzione dei trattamenti alla somma indicata (comma 1, secondo periodo) parrebbe voler incidere in via immediata sui trattamenti in essere. Tuttavia, va osservato che l’art. 23-ter non contiene alcuna espressa previsione delle conseguenze derivanti dalla fissazione del parametro sui trattamenti in corso; inoltre, il comma 4 dello stesso articolo, nel riferirsi alle risorse annualmente rivenienti dalla fissazione del parametro, è suscettibile di interpretazione riferita all'applicazione ai nuovi trattamenti, man mano che cessano quelli precedenti. Ancora, l’incidenza immediata sui trattamenti in corso sarebbe in contrasto con la citata giurisprudenza costituzionale in materia di divieto di reformatio in peius, che ha evidenziato la ragionevolezza di interventi legislativi di contenimento di profili attinenti allo stato economico solo in presenza di specifici elementi di contesto, nonché con quella in tema di legittimo affidamento in caso di retroattività di nuove discipline che incidano in materia di diritti al di fuori del campo penale[26].

Si aggiunge che un’immediata incidenza sui trattamenti in essere, con  effetto riduttivo in termini automatici dei medesimi trattamenti, realizza un intervento unilaterale su rapporti definiti, invece, con lo strumento del contratto o con specifiche procedure per il personale di cui all’art. 3 del D.Lgs. n. 165/2001,a garanzia, rispettivamente, del sinallagma contrattuale e dell’equilibrio tra le prestazioni rese e lo status del personale stesso.

L’esigenza di rispettare le procedure stabilite in via generale a garanzia del sinallagma e dell’equilibrio sopra richiamati è confermata dall’ultima clausola dell’art. 1 dello schema in esame, che mantiene ferma la competenza del contratto collettivo nazionale, della contrattazione interna a ciascuna amministrazione e, per i dirigenti pubblici, della contrattazione individuale.

 

Ai sensi dell'ultimo periodo del comma, il Ministro della giustizia comunica annualmente al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione e al Ministro dell'economia e delle finanze eventuali aggiornamenti relativi all'ammontare del predetto trattamento.

 

Il comma 2 prevede che ai fini dell'applicazione della disciplina illustrata sono computate in modo cumulativo le somme comunque erogate all'interessato a carico del medesimo o di più organismi, anche nel caso di pluralità di incarichi conferiti da uno stesso organismo nel corso dell'anno. A tal fine, i soggetti destinatari di cui all'articolo 2 sono tenuti a produrre all'amministrazione di appartenenza, entro 30 giorni dalla pubblicazione del presente decreto, una dichiarazione ricognitiva di tutti gli incarichi comunque in atto a carico della finanza pubblica con l'indicazione dei relativi importi. A regime, tale dichiarazione è resa entro il 30 novembre di ciascun anno.

 

Il comma 3 prevede che il trattamento economico annuo omnicomprensivo, incluse le indennità e le voci accessorie, spettante al personale che riveste la carica di Presidente o di componente delle autorità amministrative indipendenti non può superare l'ammontare di cui al comma 1. Se superiore, si riduce al limite di cui al comma 1.

Poiché l’art. 23-ter del decreto-legge n. 201 del 2011 riguarda i rapporti di lavoro dipendente o autonomo con pubbliche amministrazioni statali, il riferimento ai soggetti che rivestono la carica di Presidente o di componente delle autorità amministrative indipendenti appare ultra vires, in quanto non fondato sulle previsioni della norma di base. Inoltre, tali soggetti sono indicati come “personale”, denominazione che appare impropria in quanto riferita a soggetti nominati o eletti.

Peraltro, qualora con il riferimento al “personale” contenuto in tale comma si intenda aver riguardo solo a coloro che, avendo un rapporto di lavoro con pubbliche amministrazioni statali, sono chiamati a rivestire le cariche in questione, si avrebbe un diverso trattamento per costoro rispetto a soggetti chiamati alle medesime cariche in assenza di rapporto di lavoro con le suddette amministrazioni.

 

L’articolo 4 riproduce sostanzialmente la disposizione contenuta nel comma 2 dell’art. 23-ter, stabilendo che il personale di cui all'articolo 2 che esercita funzioni direttive, dirigenziali o equiparate, anche in posizione di fuori ruolo o di aspettativa, presso Ministeri o enti pubblici nazionali, comprese le autorità amministrative indipendenti, ove conservi il trattamento economico riconosciuto dall'amministrazione di appartenenza, non può ricevere a titolo di retribuzione o di indennità, o anche soltanto a titolo di rimborso delle spese, per l'incarico ricoperto, più del 25 per cento dell'ammontare complessivo del trattamento economico percepito a carico dell'amministrazione di appartenenza, fermo restando (aggiunge la disposizione in esame rispetto all'art. 23-ter) il limite massimo retributivo sopra stabilito.

Manca un esplicito riferimento a riduzioni degli importi, come previsto invece dall’art. 3. Inoltre potrebbe essere opportuno chiarire se, in caso di pluralità di retribuzioni, indennità o rimborsi spese, il limite del 25% valga per ciascuno isolatamente preso o per il totale.

 

L’articolo 5 prevede, per il personale con qualifica dirigenziale il cui trattamento economico non raggiunga il limite massimo sopra indicato, che le pubbliche amministrazioni valutino se provvedere o meno, in occasione del rinnovo del contratto individuale di lavoro, alla ridefinizione del relativo trattamento economico.

Tale previsione, che introduce una facoltà genericamente riferita a pubbliche amministrazioni, non specificamente individuate, sembra prevedere una riparametrazione del trattamento economico del personale cui si applicherebbe in astratto il limite massimo retributivo di cui all’art,. 3, limite che, tuttavia, non si applica in quanto non raggiunto.

La disciplina presenta diverse peculiarità: è facoltativa e dunque eventuale, decorre da un momento successivo ed ulteriore (quello della futura contrattazione), e si applica ai soli dirigenti.

La disposizione nel suo complesso e le peculiarità con cui è disegnata non sembrano trovare esplicito fondamento nell'art. 23 ter e appare, oltre che contraddittoria, anche ultra vires.

 

L’articolo 6 stabilisce le modalità per l'assegnazione delle risorse rivenienti dall'applicazione dei limiti retributivi sopra illustrati al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato. In particolare, si prevede che la Ragioneria generale dello Stato indichi, con proprio provvedimento, le modalità attraverso le quali tali risorse sono annualmente versate al suddetto Fondo.

Sia l’art. 23-ter, sia lo schema in esame non quantificano l’entità delle risorse  rivenienti dall’applicazione delle disposizioni in esame. Si potrebbe ritenere che tali risorse si produrrebbero periodicamente qualora il limite massimo stabilito non fosse applicato a trattamenti ed emolumenti in corso. In caso contrario, le risorse si produrrebbero solo nell’anno in cui si procede alla riduzione.

 

 

 


 

 



[1] Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici.

[2] Si ricorda che l’art. 13-bis della legge n. 400/1988 prevede, in tema di chiarezza dei testi normativi, che il Governo, nell’ambito delle proprie competenze, provveda a che ogni norma che sia diretta a sostituire, modificare o abrogare norme vigenti ovvero a stabilire deroghe indichi espressamente le norme sostituite, modificate, abrogate o derogate. Analoga raccomandazione si rinviene nella circolare "Regole e raccomandazioni per la formulazione dei testi legislativi" emanata il 20 aprile 2001 dai Presidenti delle Camere.

[3] Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007).

[4] Disposizioni in materia di trattamenti economici.

[5] Convertito dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214.

[6] Riforma dell'organizzazione del Governo, a norma dell'articolo 11 della L. 15 marzo 1997, n. 59. Esso disciplina, fra l'altro, le agenzie fiscali.

[7] L. 27 dicembre 2006, n. 296, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007).

[8] Circ. 24 gennaio 2008, n. 1, emanata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della funzione pubblica. Legge finanziaria 2008 - Art. 3, commi da 43 a 53 - Emolumenti a carico di pubbliche Amministrazioni, società pubbliche partecipate e loro controllate e collegate.

[9] L. 24 dicembre 2007, n. 244, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008).

[10] Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria.

[11] Disposizioni urgenti in materia di monitoraggio e trasparenza dei meccanismi di allocazione della spesa pubblica, nonché in materia fiscale e di proroga di termini.

[12] Regolamento recante determinazione dei limiti massimi del trattamento economico onnicomprensivo a carico della finanza pubblica per i rapporti di lavoro dipendente o autonomo.

[13] Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria.

[14] Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo.

[15] http://epp.eurostat.ec.europa.eu.

[16] Si prescinde dal requisito della comprovata specializzazione universitaria in caso di stipulazione di contratti di collaborazione di natura occasionale o coordinata e continuativa per attività che debbano essere svolte da professionisti iscritti in ordini o albi o con soggetti che operino nel campo dell'arte, dello spettacolo, dei mestieri artigianali o dell’attività informatica nonché a supporto dell’attività didattica e di ricerca, per i servizi di orientamento, compreso il collocamento, e di certificazione dei contratti di lavoro di cui al D.Lgs. 276/2003, purché senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, ferma restando la necessità di accertare la maturata esperienza nel settore.

[17] “Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali”. Si ricorda che il citato comma 6, ha disposto che il regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi degli enti locali può prevedere collaborazioni esterne ad alto contenuto di professionalità, per obiettivi determinati e con convenzioni a termine.

[18] Tale articolo, in particolare, ha stabilito che il controllo sulla compatibilità dei costi della contrattazione collettiva integrativa con i vincoli di bilancio e quelli derivanti dall'applicazione delle norme di legge, con particolare riferimento alle disposizioni inderogabili che incidono sulla misura e sulla corresponsione dei trattamenti accessori, venga effettuato dal collegio dei revisori dei conti, dal collegio sindacale, dagli uffici centrali di bilancio o dagli analoghi organi previsti dai rispettivi ordinamenti.

[19] Lo stesso principio è stato poi confermato dall’art. 30 del D.P.R. 5 giugno 1965, n. 749 sul “Conglobamento dell'assegno mensile e competenze analoghe negli stipendi, paghe e retribuzioni del personale statale, in applicazione dell'art. 3 della L. 5 dicembre 1964, n. 1268”. L’art. 30 sopra citato stabilisce che: “L'assegno personale previsto dall'art. 202 del testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, o da disposizioni analoghe, e gli altri assegni personali che, ai sensi delle vigenti disposizioni, siano riassorbibili con gli aumenti di stipendio, di paga o di retribuzione, o competenze analoghe, non vengono ridotti o riassorbiti per effetto della sostituzione degli stipendi, paghe o retribuzioni previsti dal precedente art. 1”. Il divieto di reformatio in peius è stato ulteriormente ribadito dal comma 1 dell’art. 1, D.Lgs. 1° dicembre 2009, n. 179, “Disposizioni legislative statali anteriori al 1° gennaio 1970, di cui si ritiene indispensabile la permanenza in vigore, a norma dell'articolo 14 della legge 28 novembre 2005, n. 246”, che ha disposto la necessaria permanenza in vigore del suddetto art. 30.

[20] v. F. Roselli, Il contratto di lavoro nel diritto positivo, Cedam 1997; in Carinci e altri, Diritto del lavoro UTET.

[21] Mantero, voce Retribuzione, in Enciclopedia giuridica; si veda anche C. D’Orta, Il pubblico impiego e B. Cimino, Il divieto di reformatio in peius e la retribuzione dei dirigenti pubblici. Brevi riflessioni tra norma e prassi, in Giornale di diritto amministrativo, n. 7/2007.

[22] v. Tenore, in Foro Amministrativo, 1992, pag. 344.

[23] v. Tenore, cit.

[24] Le disposizioni della legge finanziaria per il 2006 prevedono norme peculiari per l’Autorità garante della concorrenza e del mercato. viene, infatti, sottratta dalla disciplina dell’autofinanziamento l’attività di adjudication dell’Autorità in materia di illeciti concorrenziali (intese e abusi di posizione dominante) e l’autofinanziamento è previsto limitatamente all’attività relativa al controllo (e all’autorizzazione) delle operazioni di concentrazione. In quest’ambito la finanziaria ha introdotto, a carico delle imprese per le quali sussiste l’obbligo di comunicare all’Autorità le operazioni di concentrazione, un obbligo di contribuzione a copertura dell’attività di controllo svolta dall’Autorità in relazione alle stesse operazioni di concentrazione.

[25]    Per la giurisprudenza costituzionale in tema di divieto di reformatio in peius v. sopra, paragrafo precedente. Quanto alla giurisprudenza costituzionale in tema di legittimo affidamento in caso di retroattività di nuove discipline che incidano in materia di diritti al di fuori del campo penale, si ricordano le seguenti pronunce:l'irretroattività, pur fuori del campo penale, rappresenta «una regola essenziale del sistema a cui, salva un'effettiva causa giustificatrice, il legislatore deve ragionevolmente attenersi, in quanto la certezza dei rapporti preteriti costituisce un indubbio cardine della civile convivenza e della tranquillità dei cittadini» (sentenze 155/1990; 473/1990; 390/1995);

 - interventi legislativi modificativi in peius di situazioni soggettive attinenti a rapporti di durata non possono arbitrariamente frustrare l'affidamento dei cittadini fondato sulla situazione normativa preesistente, senza violare il principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 della Costituzione, nonché,  in ragione degli interessi nella specie coinvolti, gli artt. 4, 35 e 41 della stessa Costituzione, relativi alle garanzie del lavoro e della libertà di iniziativa economica, anche sotto il profilo della concorrenza (sentenza 211/1997);

 - l'intervento legislativo diretto a regolare situazioni pregresse e' legittimo a condizione che vengano rispettati i canoni costituzionali di ragionevolezza e i principi generali di tutela dei legittimo affidamento e di certezza delle situazioni giuridiche (sentenze 24/2009; 74/2008 e 376/1995); la norma successiva non può tradire l'affidamento del privato sull'avvenuto consolidamento di situazioni sostanziali (sentenze 24/2009 e 156/2007);

 - al di fuori della materia penale (dove il divieto di retroattività della legge e' stato elevato a dignità costituzionale dall'art. 25 Cost.), l'emanazione di leggi con efficacia retroattiva da parte del legislatore incontra una serie di limiti che attengono alla salvaguardia, tra l'altro, di fondamentali valori di civiltà giuridica posti a tutela dei destinatari della norma e dello stesso ordinamento, tra i quali vanno ricompresi il rispetto del principio generate di ragionevolezza e di eguaglianza, la tutela dell'affidamento nelle situazioni giuridiche legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturato allo Stato di diritto e il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario (sentenza n. 282 del 2005 e, nello stesso senso, fra le molte, le sentenze n. 525 del 2000 e n. 416 del 1999).

 

 

[26] Per la giurisprudenza costituzionale in tema di divieto di reformatio in peius v. sopra, paragrafo precedente. Quanto alla giurisprudenza costituzionale in tema di legittimo affidamento in caso di retroattività di nuove discipline che incidano in materia di diritti al di fuori del campo penale, si ricordano le seguenti pronunce:l'irretroattività, pur fuori del campo penale, rappresenta «una regola essenziale del sistema a cui, salva un'effettiva causa giustificatrice, il legislatore deve ragionevolmente attenersi, in quanto la certezza dei rapporti preteriti costituisce un indubbio cardine della civile convivenza e della tranquillità dei cittadini» (sentenze 155/1990; 473/1990; 390/1995);

 - interventi legislativi modificativi in peius di situazioni soggettive attinenti a rapporti di durata non possono arbitrariamente frustrare l'affidamento dei cittadini fondato sulla situazione normativa preesistente, senza violare il principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 della Costituzione, nonché,  in ragione degli interessi nella specie coinvolti, gli artt. 4, 35 e 41 della stessa Costituzione, relativi alle garanzie del lavoro e della libertà di iniziativa economica, anche sotto il profilo della concorrenza (sentenza 211/1997);

 - l'intervento legislativo diretto a regolare situazioni pregresse e' legittimo a condizione che vengano rispettati i canoni costituzionali di ragionevolezza e i principi generali di tutela del legittimo affidamento e di certezza delle situazioni giuridiche (sentenze 24/2009; 74/2008 e 376/1995); la norma successiva non può tradire l'affidamento del privato sull'avvenuto consolidamento di situazioni sostanziali (sentenze 24/2009 e 156/2007);

 - al di fuori della materia penale (dove il divieto di retroattività della legge e' stato elevato a dignità costituzionale dall'art. 25 Cost.), l'emanazione di leggi con efficacia retroattiva da parte del legislatore incontra una serie di limiti che attengono alla salvaguardia, tra l'altro, di fondamentali valori di civiltà giuridica posti a tutela dei destinatari della norma e dello stesso ordinamento, tra i quali vanno ricompresi il rispetto del principio generate di ragionevolezza e di eguaglianza, la tutela dell'affidamento nelle situazioni giuridiche legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturato allo Stato di diritto e il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario (sentenza n. 282 del 2005 e, nello stesso senso, fra le molte, le sentenze n. 525 del 2000 e n. 416 del 1999);

- la recente sentenza n. 271 del 2011 ha ribadito (cassando la norma regionale che ridefiniva, riducendola, una determinata indennità) che il legittimo affidamento nella sicurezza giuridica costituisce elemento fondamentale dello Stato di diritto, non violabile irragionevolmente ex art. 3 Cost..