Camera dei deputati - XV Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Biblioteca
Titolo: Rassegna parlamentare di politica internazionale 3/2008. L'attività parlamentare in Francia, Germania, Regno Unito, Spagna e Stati Uniti in materia di politica estera, difesa e sicurezza
Serie: Rassegna parlamentare di politica internazionale    Numero: 3    Progressivo: 2008
Data: 15/02/2008
Organi della Camera: III-Affari esteri e comunitari
IV-Difesa

Camera dei deputati - Servizio Biblioteca - Ufficio Legislazione straniera

 

RASSEGNA PARLAMENTARE

DI POLITICA INTERNAZIONALE

 

Febbraio 2008, Anno II, N. 3

L’attività parlamentare in Francia, Germania, Regno Unito, Spagna e Stati Uniti
in materia di politica estera, difesa e sicurezza

 


Francia 

Il 5 febbraio 2008 la Commissione della difesa nazionale e delle forze armate dell’Assemblea nazionale ha esaminato ed approvato il Rapporto di informazione sulle sfide strategiche e industriali del settore spaziale (http://www.assemblee-nationale.fr/13/rap-info/i0688.asp#P500_121898). Nel documento viene posta in risalto la crisi che attraversa attualmente il settore spaziale europeo, in rapporto alla crescente importanza che esso ha assunto nell’ultimo decennio sia in campo strategico-militare che economico-industriale. In particolare i relatori fanno riferimento alla politica spaziale che stanno promuovendo la Cina, l’India e la Russia, oltre a mettere l’accento sullo sviluppo che il settore sta avendo negli Stati Uniti, grazie alla ricchezza degli investimenti ad esso destinati, sei volte maggiori di quelli dell’insieme degli stati dell’UE.

Nel Rapporto viene analizzata la posizione europea che risulta caratterizzata da un ritardo ingiustificabile, viste le capacità scientifiche e tecnologiche di cui dispone, perfettamente in grado di far fronte alle sfide del settore spaziale. Su impulso di un numero limitato di Stati, tra i quali figura la Francia, anche in seno all’UE si sta manifestando la volontà di incrementare gli investimenti destinati alle attività spaziali, ma, come evidenziato dai relatori, sussistono ostacoli sia di carattere finanziario che istituzionale. In particolare: l’assenza di indipendenza tecnologica; la dualità tra settore civile e militare; la mancanza di definizione delle competenze in materia di politica spaziale tra ESA e Commissione europea.

Per rilanciare la politica spaziale europea i relatori propongono di rafforzare i programmi di collaborazione tra gli stati membri e di determinare una gerarchia di priorità: in primo luogo garantire il rinnovamento delle attuali strutture tecnologiche, quali, ad esempio, le telecomunicazioni militari; in secondo luogo colmare le lacune tecnologiche in materia di sistemi di allarme avanzato e di sistemi di informazione elettromagnetica, organizzando l’autonomia europea per la sorveglianza dello spazio; in terzo luogo riformare l’organizzazione della difesa militare degli stati nazionali nel senso di attribuire alle forze dell’aviazione la piena competenza in materia spaziale.

 

 

Francia 

Il 30 gennaio 2008 si è svolta, presso la Commissione degli affari esteri dell’Assemblea Nazionale, l’audizione di Alain Le Roy, ambasciatore incaricato del progetto dell’Unione per il Mediterraneo.

(http://www.assemblee-nationale.fr/13/cr-cafe/07-08/c0708035.asp#P13_231).

Le Roy, che si è espresso a nome della “missione Unione per il Mediterraneo”, costituita presso la Presidenza della Repubblica, ha innanzitutto sottolineato l’importanza della “Dichiarazione di Roma per l’Unione per il Mediterraneo di Francia, Italia e Spagna” (20 dicembre 2007), in cui sono stati esplicitati gli scopi della nuova Unione ed è stato chiarito che essa sarà fondata sul principio della cooperazione e non su quello dell’integrazione.

Per quanto riguarda il perimetro dell’ “Unione per il Mediterraneo” , il relatore ha evidenziato che il Presidente Sarkozy, nel suo discorso di Tangeri del 23 ottobre 2007, ha prospettato che tutti gli Stati rivieraschi del Mediterraneo possano esserne membri.

Con riferimento alle reazioni dei Paesi europei al progetto di Unione, lanciato dalla Francia fin dal luglio 2007, Le Roy ha riscontrato che, dallo scetticismo iniziale, si è passati ad un generale accoglimento. In particolare, gli Stati del Sud dell’UE si sono rivelati complessivamente favorevoli dopo aver acquisito che la nuova Unione non intende sostituirsi alle strutture esistenti impegnate nella cooperazione mediterranea, ma vuole dar loro un impulso politico e favorire inoltre la mobilitazione del settore privato in progetti per il Mediterraneo. Tra i Paesi del Nord dell’UE, il relatore ha verificato un atteggiamento generalmente favorevole alla nascita di tale Unione, cui essi prospettano di essere “associati”, ad eccezione della Germania. La Cancelliera Merkel ha infatti espresso, il 5 dicembre 2007, le sue riserve rispetto all’idea di creare due livelli di partecipazione a tale organismo perché ciò potrebbe determinare elementi di divisione nell’UE e contravvenire al principio della cooperazione rafforzata, che pone tutti i Paesi UE su un piano di uguaglianza.

Per quanto concerne le reazioni dei Paesi della riva Sud del Mediterraneo, il relatore ha sottolineato che il Marocco, l’Algeria, l’Egitto, insieme alla Tunisia, ad Israele, all’Autorità Palestinese e alla Libia si sono dichiarati favorevoli. Il Libano e la Siria non hanno invece ancora espresso la loro posizione. Le Roy ha quindi comunicato che tutti questi Paesi parteciperanno al vertice di Parigi del 13-14 luglio 2008 per definire i principi e l’organizzazione della nuova Unione. Il relatore si è poi soffermato sul caso della Turchia, sottolineando che tale Paese fosse inizialmente contrario al progetto, temendo che la sua partecipazione all’Unione potesse essere proposta come alternativa alla sua adesione all’UE. Ma, dopo il vertice di Roma del 20 dicembre 2007, che ha chiarito l’indipendenza dei due processi, il governo turco sembra essere interessato.

Le Roy ha infine illustrato alcuni progetti prioritari di cui “l’Unione per il Mediterraneo” dovrà occuparsi. In primo luogo, nell’ambito dell’ambiente e dello sviluppo sostenibile, un progetto per il disinquinamento del Mediterraneo, uno per la gestione sostenibile dell’acqua potabile, un altro per favorire il trasferimento di energia elettrica in tutti i Paesi del Mediterraneo e l’avanzamento del settore dell’energia solare. In secondo luogo, programmi di partnership per la realizzazione di nuove infrastrutture e lo sviluppo di altri progetti nel campo dell’insegnamento superiore, della formazione professionale, della protezione civile.

 

 

Germania 

Su richiesta del gruppo parlamentare della Sinistra (Die Linke) il dibattito su temi d’attualità (c.d. Aktuelle Stunde) del 14 febbraio 2008 al Bundestag è stato dedicato alla presenza delle truppe tedesche in Afghanistan. I deputati dell’opposizione, preoccupati dalle notizie recentemente diffuse da alcune agenzie di stampa, hanno chiesto al Governo federale informazioni più precise in merito ad un maggiore impegno militare della Germania per quanto riguarda sia il numero di unità da dislocare sia l’ampliamento della zona territoriale di intervento. Sembra ormai certo che nel prossimo vertice NATO, che si svolgerà a Bucarest nel mese di aprile, gli USA solleciteranno da tutti gli alleati, compresa la Germania, un maggiore coinvolgimento in Afghanistan, anche in termini finanziari. A fronte dell’insistente richiesta avanzata dalla Sinistra di ritirare al più presto le truppe dell’Afghanistan, il rappresentante del Governo (Ministro di stato per l’Europa Günter Gloser) e i gruppi parlamentari di maggioranza hanno riaffermato l’impegno della Germania al fianco degli alleati, con l’obiettivo di garantire la sicurezza non solo della popolazione afgana, ma anche dei cittadini tedeschi in patria.

Nel corso della stessa seduta è stata poi discussa anche una mozione (stampato n. 16/5587 http://dip21.bundestag.de/dip21/btd/16/055/1605587.pdf), presentata dal Gruppo dei Verdi (Bündnis 90/ Die Grünen) nel giugno 2007 per sollecitare il Governo federale ad attuare una nuova politica di sicurezza in Afghanistan mettendo fine alla partecipazione congiunta della Germania all’Operazione Enduring Freeedom, guidata dalle forze militari USA,e alla missione ISAF passata sotto la responsabilità della NATO dall’agosto 2003. La mozione è stata alla fine respinta da tutti i gruppi parlamentari (compresa la Sinistra che si dichiara contraria a qualsiasi partecipazione militare), ad eccezione dei Verdi che continuano ad auspicare il trasferimento in seno alla missione ISAF di tutte le forze attualmente impiegate nelle operazioni militari dell’Enduring Freedom, al fine di offrire un contributo più valido e concreto alla ricostruzione e alla democratizzazione dell’Afghanistan.

 

 

Regno Unito

L’11 febbraio si è svolta, dinanzi ad un judicial committee della Camera dei Lord (nella sua funzione giurisdizionale di ultima istanza), la prima udienza relativa al ricorso presentato da due madri di soldati britannici caduti in Iraq (si tratta del caso R (on the application of Gentle and another, Appellants) v The Prime Minister and others, Respondents).

Il procedimento costituisce la fase di appello, e conclusiva, di una controversia concernente il rifiuto, da parte del Governo, di svolgere una pubblica inchiesta sulle circostanze che lo indussero alla decisione relativa all’impiego delle forze armate in Iraq. Il diniego governativo è contestato dai ricorrenti principalmente sulla base dell’art. 2 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), che afferma il diritto alla vita e da cui discende, per gli Stati aderenti, l’obbligo di condurre un’indagine effettiva ed adeguata sulle cause delle uccisioni di persone.

Due ricorsi presentati dai medesimi ricorrenti nei precedenti gradi di giurisdizione non erano stati accolti, dichiarandosi incompetenti i giudici, rispettivamente dalla High Court nel 2005 (http://www.bailii.org/ew/cases/EWHC/Admin/2005/3119.html), e dalla Court of Appeal nel 2006 (http://www.bailii.org/ew/cases/EWCA/Civ/2006/1690.html). Al vaglio del collegio presieduto da Lord Bingham of Cornhill è ora la più recente decisione di rigetto pronunciata dalla Court of Appeal, che ha ritenuto non giustiziabile la materia delle relazioni internazionali e delle operazioni militari condotte all’estero, poiché essa ricade nella esclusiva competenza dell’Esecutivo ed è disciplinata dal diritto internazionale.

La decisione a suo tempo adottata dal Governo circa l’intervento militare in Iraq, già oggetto di lunghi e animati dibattiti parlamentari (estesi anche all’esame di talune controverse vicende correlate a quella decisione, le quali richiesero, nel 2004, lo svolgimento di un’indagine indipendente come la Hutton Inquiry: http://www.the-hutton-inquiry.org.uk/), tornano dunque d’attualità e ripropongono il tema della distinzione tra legal e political question. Sulla portata di questa distinzione lo stesso Lord Bingham ha fissato un chiaro precedente (peraltro riportato dalla Court of Appeal), affermando, in altra occasione, che “Quanto più la questione è di natura politica (...), tanto più è ad essa appropriata la risoluzione politica, e tanto meno lo è la decisione giudiziale. Di conseguenza, il ruolo potenziale delle corti è il minore possibile. E’ compito dei corpi politici, e non di quelli giurisdizionali, risolvere le questioni politiche. Per converso, quanto più rilevante è il contenuto giuridico di qualsivoglia questione, tanto maggiore è il ruolo delle corti giacché, sotto le regole costituzionali e soggetto al potere sovrano del Parlamento, è compito delle corti, e non dei corpi politici, risolvere le questioni giuridiche.

 

 

Stati Uniti

Il 6 febbraio 2008, presso la Commissione Affari esteri della Camera dei rappresentanti, il Subcommittee on Africa and Global Health ha tenuto una audizione sul tema “La crisi politica in Kenya: esigenza di giustizia e di risoluzione pacifica”.

Il Presidente della sottocommissione, il democratico Donald M. Payne, nell’aprire la seduta ha voluto essere chiaro: le elezioni presidenziali del 27 dicembre 2007 hanno violato gli standard internazionali in questo campo. E’ pertanto necessario appoggiare la mediazione di Kofi Annan e formare un governo transitorio di coalizione, che prepari riforme costituzionali ed elezioni trasparenti entro due anni. L’attuale crisi del Kenya, infatti, non è etnica ma politica (http://foreignaffairs.house.gov/110/payne020608.htm).

Sono stati ascoltati James Swan, del Dipartimento di Stato, Gregory Gottlieb, della US Agency for International Development, Maina Kiai, della Kenya National Commission for Human Rights, e Njoki Ndungu, già membro del Parlamento keniano ed ora amministratore delegato del Center for Legal Information and Communication in Kenya. Dai vari interventi è emersa un’analisi condivisa della crisi e un’indicazione concorde della soluzione, fatte salve alcune differenze riguardanti la fase applicativa delle iniziative da adottare.

Tutti hanno sottolineato che il conflitto non ha origine etnica, come in Rwanda, ma politica, in quanto è dovuto alla concentrazione del potere, non solo durante l’ultima presidenza Kibaki ma anche durante le presidenze anteriori. In tale quadro di immobilismo rientra anche il non aver affrontato le cause della prima ondata di violenze, scoppiata all’inizio degli anni Novanta. Su un piano più generale sono mancati, a livello istituzionale, spazi che consentissero l’espressione legale del dissenso politico, con aggravamento della situazione negli ultimi anni.

Tutti gli intervenuti hanno sottolineato che è necessario un accordo immediato fra i due contendenti Kibaki e Odinga, in modo da mettere immediatamente fine alle violenze in corso e organizzare l’assistenza ai rifugiati, avvalendosi dell’aiuto della comunità internazionale. Subito dopo occorrono riforme istituzionali di condivisione del potere. In particolare, i membri della commissione elettorale nazionale dovrebbero essere eletti dal Parlamento su base proporzionale fra le forze politiche ivi rappresentate. Similmente, la concentrazione del potere nelle mani della Presidenza dovrebbe essere sostituita da un sistema ispirato ad un maggiore equilibrio politico. Infine, dovrebbe essere istituita una Commissione nazionale “verità e giustizia”, incaricata della riconciliazione nazionale. In tutti questi campi, peraltro, non si partirebbe da zero. Alla metà degli anni Novanta sono state discusse in Kenya riforme costituzionali che sono state poi assorbite dal progressivo accentramento politico della presidenza Kibaki.

Da ultimo, tutti gli intervenuti hanno dichiarato che occorre appoggiare la mediazione di Kofi Annan, volta a costituire un governo transitorio di coalizione fra i due contendenti, che approvi le suaccennate riforme costituzionali e organizzi nuove elezioni trasparenti entro un periodo di due anni. L’intera fase di transizione dovrebbe essere supervisionata dal collegio di mediatori presieduto da Kofi Annan, con il sostegno organizzato della comunità internazionale.

 

 

 

 

 

 

Casella di testo: Focus SicurezzaStati Uniti

L’8 febbraio 2008 il Presidente della Commissione per la sicurezza nazionale e gli affari governativi del Senato, il democratico Joe Lieberman, ed il capogruppo repubblicano in commissione, senatrice Susan Collins, hanno inviato una lettera congiunta a 15 agenzie degli Stati Uniti con richiesta di informazioni sulle risposte in caso di incidente nucleare o radiologico, provocato da un attacco terroristico.

(http://hsgac.senate.gov/index.cfm?FuseAction=PressReleases.Detail&Affiliation=C&PressRelease_id=1618&Month=2&Year=2008).

La commissione intende inoltre tenere una serie di audizioni sul livello di preparazione del paese in termini di prevenzione, risposta e ripresa da un eventuale attacco terroristico sul territorio nazionale.

Molte agenzie interessate fanno capo a numerosi dipartimenti degli Stati Uniti (Dipartimento di Stato, Difesa, Energia, Agricoltura, Sicurezza nazionale, Sanità e Servizi umani, Trasporti, Lavoro, Commercio, Interni, Giustizia, Veterani). Ad esse si aggiungonol’Environmental Protection Agency, la National Aeronautics and Space Administration e la Nuclear Regulatory Commission; una copia della lettera è stata inviata anche al Direttore del National Intelligence.

Le informazioni richieste riguardano diversi argomenti, con particolare attenzione ai seguenti profili:

- i ruoli e le responsabilità di ciascuna unità coinvolta, con riferimento alle attività di intelligence sulle minacce di esplosioni nucleari, allo studio di tecnologie per la rilevazione radiologica ed alla risposta in caso di scoperta di armi o materiali nucleari;

- i ruoli, le responsabilità ed i compiti di ciascuna unità in caso di avvenuta esplosione di un congegno nucleare e le attività di sostegno nell’ambito del programma denominato National Response Framework;

- il livello di coordinamento di ciascuna agenzia con le altre agenzie federali in termini di preparazione, pianificazione ed addestramento alla risposta in caso di esplosione nucleare;

- l’identificazione di tutti i piani operativi e l’inventario di tutte le risorse e di ogni altra informazione o documento, già forniti o in corso di trasmissione alla Federal Emergency Management Agency o alla Casa Bianca.

La commissione ha chiesto, infine, che le informazioni richieste siano trasmesse entro il 29 febbraio 2008.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

XV Legislatura – Rassegna parlamentare di politica internazionale, Anno II, n. 3 – 15 Febbraio 2008