Camera dei deputati - XV Legislatura - Dossier di documentazione
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento cultura | ||||
Altri Autori: | Servizio Studi - Dipartimento cultura | ||||
Titolo: | IL Codice dei beni culturali | ||||
Serie: | Documentazione e ricerche Numero: 7 | ||||
Data: | 14/06/2006 | ||||
Descrittori: |
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Organi della Camera: | VII-Cultura, scienza e istruzione |
Camera dei deputati
XV LEGISLATURA
SERVIZIO STUDI
Documentazione e ricerche
IL CODICE DEI BENI CULTURALI
n. 7
14 giugno 2006
Dipartimento Cultura
SIWEB
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file: CU0005.doc
INDICE
Codice dei beni culturali e ambientali
§ Premessa
§ Le principali disposizioni in materia di beni culturali
§ Le principali disposizioni in materia di beni paesaggistici
§ Norme speciali per lavori pubblici relativi a beni culturali
Iter degli schemi di d.lgs. nn.156 e 157 del 2006
Testo dello schema di D.Lgs.(Atto n. 594), concernente i beni culturali
Testo dello schema di D.Lgs.(Atto n. 595), concernente il paesaggio
Seduta del 24 gennaio 2006 (Esame e rinvio)
Seduta del 31 gennaio 2006 (Seguito dell'esame e rinvio)
Seduta del 1°febbraio 2006 (Seguito dell'esame e rinvio)
Seduta dell’ 8 febbraio 2006(Seguito dell'esame e rinvio)
- VIII Commissione (Ambiente, territorio e lavori pubblici)
Seduta del 1° febbraio 2006 (Esame e rinvio)
Seduta del 2 febbraio 2006 (Seguito dell'esame e rinvio)
Seduta dell’8 febbraio 2006 (Seguito dell'esame e rinvio)
Seduta del 15 febbraio 2006 (Seguito dell'esame e conclusione - Parere favorevole con osservazioni).
- V Commissione (Bilancio, tesoro e programmazione)
Seduta dell’ 8 febbraio 2006 (Rilievi alla VII Commissione).
Seduta 16 febbraio 2006 (Rilievi alla VII Commissione. Seguito dell'esame e rinvio).
Seduta 22 febbraio 2006 (Rilievi alla VII Commissione. Seguito dell'esame e conclusioni. Rilievi)
- 7^ Commissione (Istruzione pubblica, beni culturali)
Seduta del 24 gennaio 2006 (Esame e rinvio)
Seduta del 31 gennaio 2006 (Esame e rinvio)
Seduta del 2 febbraio 2006 (Esame e rinvio)
Seduta del 7 febbraio 2006 (Seguito dell’esame e rinvio)
Seduta dell’ 8 febbraio 2006 (Seguito e conclusione dell'esame. Parere favorevole con osservazioni)
- 1^ Commissione Affari costituzionali – Sottocommissione per i pareri)
Seduta del 7 febbraio 2006 (Osservazioni alla 7^ commissione)
Il Codice dei beni culturali e del paesaggio (D.Lgs. 22 gennaio 2004 n 42), emanatoin attuazione della delega prevista dall’articolo 10 dellalegge 6 luglio 2003, n. 137, ha sostituito il Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali (d.lgs. 29 ottobre 1999, n.490) che, nella precedente legislatura, avevaraccolto e riordinato la legislazione esistente in materia.
Disposizioni integrative e correttive al Codice sono state poi adottate con D. Lgs. 24 marzo 2006, n. 156, relativamente ai beni culturali e D.Lgs. 24 marzo 2006 n. 157 relativamente al paesaggio.
L’intervento di “riassetto” e “codificazione” delle disposizioni legislative (secondo i termini utilizzati dalla legge delega n. 137 del 2002), si poneva innanzitutto l’obiettivo di adeguare le norme alle modifiche introdotte dalla riforma costituzionale agli articoli 117 e 118 della Costituzione.
Gli altri principi e criteri direttivi della delega prevedevano, in particolare:
§ l’adeguamento alla normativa comunitaria e agli accordi internazionali;
§ il miglioramento dell'efficacia degli interventi concernenti i beni e le attività culturali, anche allo scopo di conseguire l'ottimizzazione delle risorse assegnate e l'incremento delle entrate; la chiara indicazione delle politiche pubbliche di settore, anche ai fini di una significativa e trasparente impostazione del bilancio; lo snellimento e l’abbreviazione dei procedimenti; l’adeguamento delle procedure alle nuove tecnologie informatiche;
§ l’aggiornamento degli strumenti di individuazione, conservazione e protezione dei beni culturali e ambientali, anche attraverso la costituzione di fondazioni aperte alla partecipazione di regioni, enti locali, fondazioni bancarie, soggetti pubblici e privati, senza determinare ulteriori restrizioni alla proprietà privata, nè l'abrogazione degli strumenti attuali e, comunque, conformandosi al puntuale rispetto degli accordi internazionali, soprattutto in materia di circolazione dei beni culturali;
§ la riorganizzazione dei servizi offerti anche attraverso la concessione a soggetti diversi dallo Stato mediante la costituzione di fondazioni aperte alla partecipazione di regioni, enti locali, fondazioni bancarie, soggetti pubblici e privati;
§ l’adeguamento della disciplina degli appalti di lavori pubblici concernenti i beni culturali, modificando le soglie per il ricorso alle diverse procedure di individuazione del contraente in maniera da consentire anche la partecipazione di imprese artigiane di comprovata specializzazione ed esperienza, ridefinendo i livelli di progettazione necessari per l'affidamento dei lavori, definendo i criteri di aggiudicazione e prevedendo la possibilità di varianti oltre i limiti percentuali ordinariamente previsti, in relazione alle caratteristiche oggettive e alle esigenze di tutela e conservazione dei beni;
§ la ridefinizione delle modalità di costituzione e funzionamento degli organismi consultivi che intervengono nelle procedure per la concessione di contributi e agevolazioni in favore di enti ed istituti culturali, al fine di una precisa definizione delle responsabilità degli organi tecnici, secondo princìpi di separazione fra amministrazione e politica e con particolare attenzione ai profili di incompatibilità;
§ l’individuazione di forme di collaborazione, in sede procedimentale, tra le amministrazioni per i beni e le attività culturali e della difesa, per la realizzazione di opere destinate alla difesa militare.
Per quanto concerne l’adeguamento all’articolo 117 Cost., si segnala, innanzitutto, l’intera parte prima del Codice (articoli 1-9), recante le disposizioni generali volte a definire l’assetto generale delle competenze dello Stato e delle Regioni in materia di tutela e di valorizzazione. Parimenti, direttamente finalizzata a sviluppare la distinzione tra attività di tutela e valorizzazione introdotta all’articolo 117 Cost. appare l’articolazione della seconda parte del codice, concernente i beni culturali, in due distinti titoli, dedicati, rispettivamente, alla tutela (titolo I) e alla valorizzazione (titolo II). All’interno di quest’ultima, in particolare, numerose disposizioni prevedono il riconoscimento alle regioni di funzioni e poteri in materia di fruizione e, soprattutto, valorizzazione dei beni culturali (ad esempio, il riconoscimento alle regioni della possibilità di esercitare la prelazione per l’acquisto di beni culturali a titolo oneroso ovvero l’espropriazione di beni culturali; l’attribuzione congiunta al Ministero e alle regioni, nell’ambito delle rispettive competenze, della vigilanza sul rispetto dei diritti d’uso e godimento dei beni culturali; la nuova disciplina della destinazione dei proventi dei biglietti di ingresso nei luoghi della cultura).
Si dà conto di seguito dei contenuti del Codice (d.lgs. 42/2004) evidenziando le modifiche introdotte dai citati d.lgs. n.156/2006, relativamente alla disciplina dei beni culturali, e n.157/2006, relativamente al paesaggio.
Le principali integrazioni al Codice, per quanto attiene i beni culturali, riguardano gli articoli 10 (relativo ai beni oggetto di tutela), 12 (Verifica dell’interesse culturale), 29 (Conservazione), 112 (Valorizzazione dei beni culturali di appartenenza pubblica),115 (Forme di gestione) e 182 (disposizioni transitorie), quest’ultimo con particolare riferimento alla disciplina transitoria sulla formazione dei restauratori[1].
Il Codice prevede innanzitutto, in attuazione dell’articolo 9 della Costituzione, che la Repubblica tuteli e valorizzi il patrimonio culturale, in coerenza con le attribuzioni di cui all’articolo 117 della Costituzione, ai fini della preservazione della memoria della comunità nazionale e del suo territorio nonché della promozione dello sviluppo e della cultura (articolo 1). E’ compito dello Stato, delle regioni, delle città metropolitane, dei comuni e degli altri soggetti pubblici assicurare il rispetto delle esigenze di tutela e di valorizzazione del patrimonio medesimo, mentre, in considerazione della funzione sociale dei beni culturali i privati, se proprietari, possessori o detentori di tali beni, siano tenuti a garantirne la conservazione.
Il patrimonio culturale (articolo 2) è costituito dai beni culturali e dai beni paesaggistici; oltre alle categorie di beni espressamente individuate nel provvedimento (artt. 10 e 11 per i beni culturali e art. 134 per i beni paesaggistici) possano essere individuati come beni culturali o paesaggistici, con legge o in base alla legge, anche altri beni (che, tuttavia, devono caratterizzarsi “quali testimonianze aventi valore di civiltà” per essere annoverati tra i beni culturali).
La tutela del patrimonio culturale è definita (articolo 3) come l’esercizio delle funzioni e la disciplina delle attività dirette a garantire l’individuazione, la conoscenza, la protezione e la conservazione del patrimonio culturale, nonché a conformare e regolare i diritti e i comportamenti ad esso inerenti.
Al fine di garantire l'esercizio unitario della tutela, le funzioni a essa relativa sono attribuite al Ministero, che può esercitarle direttamente o conferirne l'esercizio alle regioni (articolo 4); queste ultime e gli altri enti pubblici territoriali cooperano con il Ministero nell’esercizio delle funzioni di tutela; alle regioni sono inoltre conferite le funzioni di tutela su manoscritti, autografi, carteggi, incunaboli, raccolte librarie, stampe e incisioni non appartenenti allo Stato, fatta eccezione per i poteri di revisione delle “notifiche” dell’interesse culturale già adottate con provvedimento In base a specifici accordi o intese, e previo parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, alle regioni sono conferite funzioni di tutela anche su altri materiali (carte geografiche, spartiti musicali, fotografie, pellicole o altro materiale audiovisivo) non appartenenti allo Stato (articolo 5, comma 3). Resta fermo comunque la potestà di indirizzo e vigilanza nonché il potere sostitutivo dello Stato.
La valorizzazione del patrimonio culturale (ai sensi degli articoli 6 e 7) consiste nell’esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività volte a promuovere la conoscenza e la fruizione pubblica del patrimonio culturale con il fine ultimo dello sviluppo della cultura (si esclude pertanto la redditività economica). La valorizzazione comprende anche la promozione ed il sostegno agli interventi di conservazione ed è posta in rapporto di subordinazione alla tutela, dovendo essere attuata in forme coerenti con essa e comunque tali da non pregiudicarne le esigenze. Si favorisce, inoltre, la partecipazione di soggetti privati alla valorizzazione del patrimonio culturale.
Si fa presente che i principî fondamentali in materia di valorizzazione del patrimonio culturale sono fissati, in modo specifico, dagli articoli da 111 a 121. Ai sensi dell'articolo 112 (modificato dal d.lgs.156/2006), in particolare, lo stato, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali perseguono il coordinamento e l’armonizzazione delle attività di valorizzazione dei beni pubblici, attraverso accordi volti a “definire strategie ed obiettivi comuni di valorizzazione, nonché per elaborare i conseguenti piani strategici di sviluppo culturale e i programmi”.
Il Codice fissa inoltre (articolo 9) i principi in materia di rapporti con gli enti ecclesiastici o con autorità di altre confessioni religiose nel caso, non infrequente, di compresenza in uno stesso bene, mobile o immobile, di valenze non soltanto culturali ma anche cultuali. Per i beni indicati come "beni culturali di interesse religioso", si prevede un regime speciale caratterizzato dalla soggezione alle leggi dello Stato italiano, ma sulla base di disposizioni concordate fra le parti.
La parte seconda del Codice (articoli 10-130) è dedicata ai beni culturali ed articolata in tre titoli aventi ad oggetto la tutela (artt. 10-100), la fruizione e la valorizzazione (artt. 101-127), nonché norme transitorie e finali (art. 128-130).
Il titolo I (articoli 10-100), concernente la tutela, mantiene sostanzialmente fermo l’impianto del TU del 1999, sia per quanto riguarda la distinzione tra beni culturali sottoposti in via generale alle norme in materia di tutela e beni culturali oggetto di specifiche disposizioni di tutela, sia per quanto riguarda la dichiarazione di interesse culturale dei beni appartenenti a privati, non senza provvedere, tuttavia, ad introdurre al suo interno alcune importanti novità.
Per quanto concerne l’oggetto della tutela (Capo I), dal combinato disposto degli articoli 10-16 si desume che i beni possono essere distinti in tre gruppi.
Un primo gruppo comprende i beni culturali, appartenenti a soggetti pubblici, per i quali l’interesse culturale è ritenuto sussistere ex se. Si tratta, ad esempio, di raccolte di musei, pinacoteche, gallerie, archivi, raccolte librarie[2] (articolo 10, co. 2).
Un secondo gruppo comprende i beni di cui all’art. 10, co. 1, ossia i beni mobili e immobili appartenenti allo Stato, alle regioni e ad altri enti, pubblici, nonché a persone giuridiche private senza scopo di lucro, per i quali trova applicazione la disciplina dell’articolo 12. Tale norma prevede che i beni in questione vengano assoggettati ad uno specifico procedimento di verifica, ferma restando, medio tempore, la loro sottoposizione alla disciplina di tutela (anche cautelare e preventiva: art. 28). L’articolo 12 riproduce, in larga misura, i contenuti dell’articolo 27 del DL n. 269/2003[3].
Si ricorda che quest’ultimo aveva introdotto una procedura per la verifica della sussistenza dell’interesse culturale nei beni del patrimonio mobiliare e immobiliare pubblico allo scopo di escludere dall’ambito di applicazione del T.U dei beni culturali e ambientali[4] (ora sostituito dal Codice) i beni che le soprintendenze regionali giudicassero privi di tale interesse, anche ai fini della loro successiva sdemanializzazione.Il D.M. 6 febbraio 2004[5] ha poi stabilito i criteri e le modalità per la predisposizione e la trasmissione degli elenchi e delle schede descrittive dei beni oggetto di verifica. La procedura appena descritta, connessa alla necessità accelerare le operazioni di dismissione del patrimonio immobiliare pubblico è stata poi sostituita dal citato articolo 12 del Codice.
Quest’ultimoha previsto, infatti, che i beni mobili e immobili appartenenti allo Stato, alle regioni e ad altri enti, pubblici, nonché a persone giuridiche private senza scopo di lucro vengano assoggettati - d'ufficio o su richiesta formulata dai soggetti cui le cose appartengono - ad uno specifico procedimento di verifica. Per i beni immobili dello Stato, la richiesta è corredata da elenchi dei beni e dalle relative schede descrittive, sulla base di criteri stabiliti con decreto del Ministero adottato di concerto con l'Agenzia del demanio e, per i beni immobili in uso all'amministrazione della difesa, anche con il concerto della competente direzione generale dei lavori e del demanio. Tali criteri sono stati definiti con D.M. 28 febbraio 2005[6] il quale, disciplinando la materia a regime, ha modificato il citato D.M. 6 febbraio 2004, eliminando la procedura del silenzio-assenso ivi prevista. Qualora, infatti, la pronuncia del Ministero non intervenga entro 120 giorni, i richiedenti potranno rivolgersi al TAR perché ingiunga all'amministrazione di provvedere e, in mancanza, nomini un commissario ad acta che assuma la richiesta determinazione[7].
Si ricorda, peraltro, che l’articolo 3, comma 6-ter del D.L. 14 marzo 2005, n. 35[8]riscrivendo l’articolo 20 della legge 7 agosto 1990, n. 241[9], relativo al silenzio assenso, ha escluso l’applicabilità di tale meccanismo, tra l’altro, agli atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico.
Il testo dell’art. 12 del Codice, come modificato dal d.Lgs.156/2006, non prevede pertanto il meccanismo del silenzio assenso (in conformità al citato articolo 3, comma 6-ter del D.L. 14 marzo 2005, n. 35[10]) ed indica in 120 giorni dalla richiesta il termine per la conclusione del procedimento di verifica; vengono contestualmente abrogati (art. 184 del Codice) i commi dall’1 al 12 dell’articolo 27 del DL. 269/2003[11].
Un terzo gruppo di beni culturali indicati dall’art.10 (comma 3) del Codice comprende i beni, appartenenti in primo luogo a privati, per i quali la tutelabilità è subordinata all’accertamento dell’interesse culturale mediante il procedimento di dichiarazione (c.d. “vincolo”) disciplinato dagli artt. 13-16.
Un importante elemento di novità, in proposito, è stato rappresentato dall’introduzione, nel testo del Codice adottato nel 2004, di una forma di giustiziabilità in sede amministrativa, in quanto si riconosce la possibilità di ricorso avverso la decisione del ministro per motivi di legittimità o di merito (art.16); il recente intervento correttivo, di cui al D.Lgs.156/2006, ha poi consentito il ricorso anche avverso il provvedimento conclusivo del procedimento di verifica dell’interesse culturale ex articolo 12[12].
I beni indicati dall’art.10 comma 3 comprendono: cose immobili e mobili di interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico; archivi e documenti privati nonché raccolte librarie di interesse storico/culturale particolarmente importante; le cose immobili e mobili, a chiunque appartenenti, che rivestono un interesse con riferimento alla storia politica, militare, della letteratura, dell’arte e della cultura in genere, ovvero quali testimonianze dell’identità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive o religiose; le collezioni o serie di oggetti, a chiunque appartenenti, che, per tradizione, fama e particolari caratteristiche ambientali, rivestono come complesso un eccezionale interesse artistico o storico.
Il d.lgs.156/2006 ha inteso ampliare la definizione delle collezioni o serie di oggetti rientranti nei beni culturali (comma 3, lett. e)), includendovi quelle che abbiano particolare rilevanza artistica, storica, archeologica, numismatica o etnoantropologica.
Le categorie di beni (pubblici e privati) che possono avere interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico sono poi ulteriormente specificate dall’art. 10, comma 4, con la precisazione che l’interesse è connesso al valore storico artistico e al carattere di pregio o rarità (sinteticamente si tratta di: cose di interesse per paleontologia e preistoria; cose di interesse numismatico; manoscritti, incunaboli, libri, stampe e incisioni; carte geografiche e spartiti ; foto, pellicole cinematografiche e supporti audiovisivi; ville, i parchi e i giardini, piazze e altri spazi urbani; siti minerari; le navi; architettura rurali.
Merita segnalare che il d.lgs. 156/2006 ha introdotto una specificazione relativa alle “cose di interesse numismatico”; nel senso che quest’ultimo sia da rinvenire nel “carattere di rarità o di pregio, in rapporto all’epoca, alle tecniche e ai materiali di produzione”.
Sulla questione era già intervenuto il D.L. 26 aprile 2005, n. 63[13],il cui articolo 2-decies aveva escluso alcune categorie di monete, ritenute di limitato valore, dalle prescrizioni recate dal Codice per i beni di particolare interesse storico-archeologico in caso di alienazione, commercio ed esportazione dal territorio dell’Unione Europea. Successivamente, il D.L. 17 agosto 2005, n. 164, recante disposizioni urgenti in materia di attività cinematografiche (non convertito), aveva inteso - secondo la relazione governativa - individuare più precisamente le cose numismatiche oggetto di tutela riformulando la definizione dell’interesse culturale di queste ultime (recata appunto dall’art.10 del Codice) e ribadire la competenza delle soprintendenze in ordine alla valutazione tecnico discrezionale dell’interesse stesso. L’integrazione ora apportata dal d.lgs 156 /2006 relativamente alle cose di interesse numismatico in sostanza riformula le modifiche introdotte dai DL 63/2005 e 164/2005 (quest’ultimo, come si è detto, non convertito)[14];si dispone altresì l’abrogazione dell'articolo 2-decies del DL 63/2005.
Il Codice, inoltre, innovando rispetto al precedente Testo unico dei beni culturali, reca:
· l’introduzione tra le categorie speciali di beni culturali, soggetti a specifiche, disposizioni di tutela (art. 11), di opere di architettura contemporanea di particolare valore artistico[15], di opere autori viventi o la cui esecuzione non risalga a oltre 50 anni (per le quali si introduce una limitata forma di tutela, delineata all’articolo 64, e cioè l’obbligo per il venditore di rilasciare attestati di autenticità e provenienza[16]) e delle vestigia della Grande guerra[17];
· l’espressa menzione, tra i beni oggetto di tutela, delle pellicole cinematografiche e i supporti audiovisivi rari o di pregio, delle matrici delle incisioni e delle pubbliche piazze, vie, strade e altri spazi urbani di interesse artistico e storico (come già segnalato nell’esposizione dell’art. 10, co. 4);
Viene, altresì, ribadita l'esigenza di assicurare la catalogazione nazionale dei beni culturali, cui concorrono il Ministero, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali (articolo 17). E' quindi previsto che anche le regioni curino la catalogazione dei beni culturali loro appartenenti, facendo peraltro affluire i relativi dati al catalogo nazionale nelle sue distinte articolazioni[18].
Seguono norme in materia di vigilanza e ispezione (Capo II, articoli 18 e 19), rientranti nelle competenze statali, protezione e conservazione dei beni culturali (Capo III, articoli da 20 a 52), circolazione dei beni culturali in ambito nazionale (Capo IV, articoli da 53 a 64).
Con riguardo alle misure di protezione, gli articoli 20 e 21 regolano gli interventi sui beni culturali, distinguendo fra gli interventi vietati in assoluto e quelli soggetti ad autorizzazione.
Sono vietati (art. 20) distruzione, danneggiamento, l’uso non compatibile con il carattere storico artistico dei beni culturali nonché lo smembramento di archivi pubblici e privati vincolati (la precisazione relativa alla “dichiarazione di interesse” è introdotta dal D.Lgs.156/2006).
Sono subordinati ad autorizzazione del Ministero (art. 21) a demolizione di beni culturali, il loro spostamento, lo smembramento delle collezioni, lo scarto dei documenti di archivi e biblioteche pubblici o privati qualora“dichiarati di interesse culturale” .E’ altresì vietato il trasferimento ad altre persone giuridiche di archivi pubblici o privati qualora“dichiarati di interesse culturale”. Inoltre è subordinata ad autorizzazione del soprintendente l'esecuzione e lavori di qualunque genere sui beni culturali[19].
Il procedimento di autorizzazione per interventi di edilizia è descritto dal successivo art. 22, che nella versione integrata dal D.Lgs.156/2006 abolisce il riferimento al principio del silenzio assenso e prevede ricorso giurisdizionale avverso il silenzio dell’amministrazione (art. 22, comma 4)e .
Gli articoli 23-28 dettano norme in materia di edilizia e lavori.
L’art. 28 contiene disposizioni innovative, rispetto al corrispondente articolo del precedente TU (D.Lgs 490 /1999) in materia di misure cautelari e preventive.
Oltre a ribadire in capo al Ministero il potere di veto o di sospensione di interventi eseguiti senza l’autorizzazione o in difformità da essa, viene infatti introdotto l’istituto dei saggi archeologici preventivi in occasione della realizzazione di opere pubbliche ricadenti in aree di interesse archeologico, anche se non ancora vincolate, assegnandoal soprintendente il potere di richiederne l’effettuazione a spese del committente dell’opera pubblica[20].
Gli artt. 29- 44 recano misure di conservazione.
L’articolo 29 definisce il concetto di conservazione del patrimonio culturale, che viene attuata mediante una programmata attività di studio, prevenzione, manutenzione e restauro[21].e dispone che gli interventi relativi siano affidati in via esclusiva a soggetti qualificati (restauratori di beni culturali ).
L’articolo introduce inoltre una disciplina generale in materia di formazione professionale dei restauratori.
Si prevede in particolare che:
· i profili di competenza dei restauratori e degli altri operatori addetti ad attività complementari al restauro o altre attività di conservazione dei beni culturali mobili e delle superfici decorate di beni architettonici siano definiti regolamenti ministeriali (decreti del Ministro adottati ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400), d’intesa con la Conferenza Stato regioni (art.29, co 7)
· i criteri ed i livelli di qualità cui si adegua l’insegnamento del restauro siano definiti regolamento ministeriale (decreti del Ministro adottati ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400), previo parere della Conferenza Stato- regioni (art. 29, co 8);
· l’insegnamento del restauro sia impartito nelle alle scuole di alta formazione e di studio istituite ai sensi dell’articolo 9 del decreto legislativo 20 ottobre 1998, n. 368[22], nonchè in centri istituiti da soggetti pubblici e privati accreditati secondo modalità e sulla base di requisiti minimi definiti con regolamenti ministeriali (ex art. 17, comma 3, della legge 400/1988) previo parere della Conferenza Stato- regioni (art. 29, co. 9);.
· la formazione dei collaboratori che svolgono attività complementari al restauro o altre attività di conservazione sia assicurata da soggetti pubblici e privati ai sensi della normativa regionale, secondo criteri e livelli di qualità definiti con accordo in sede di Conferenza Stato-regioni[23] (art.29, co.10).
L’art. 29 del Codice è stato modificato dal d.lgs 156/2006;quest’ultimo:
· ha abolito il parere della Conferenza stato regioni nella definizione dei regolamenti ministeriali relativi ai profili di competenza dei restauratori e altri operatori nonché dei requisiti dei centri di formazione (art.29 commi 8 e 9);
· ha introdotto la previsione della disciplina regolamentare delle modalità di rilascio dei titoli al termine del corso formativo per la figura professionale del restauratore conservatore di beni culturali, sancendo al contempo il valore abilitante ed il carattere di esame di Stato della prova finale nonché l’equiparazione del titolo alle lauree universitarie di secondo livello;
· ha specificato (nel comma 9-bis) l’ambito temporale di applicazione della disciplina, nel senso che fino all’entrata in vigore dei decreti attuativi prescritti dall’art. 29 valgono le disposizioni transitorie dettate dall’articolo 182(contestualmente sostituito).
In particolare, i nuovi commi 1 e 1-bis dell’articolo 182 estendono i requisiti utili al conseguimento della qualifica di restauratore di beni culturali, quest’ultima è riconosciuta automaticamente ai diplomati presso scuole di restauro (di cui all’art. 9 del D.Lgs.368/1998) - purché già iscritti prima dell’entrata in vigore del Codice (1 maggio 2004) - ovvero a quanti, prima dell’entrata in vigore del DM al 24 ottobre 2001[24], avessero posseduto titoli di studio specifici integrati o sostituiti da un periodo adeguato di pratica professionale.
In alternativa la qualifica sarà acquisita previo superamento di una prova di idoneità (secondo modalità stabilite con decreto del Ministro da emanarsi di concerto con il Ministro dell’istruzione entro il 30 ottobre 2006) da altre categorie di diplomati anteriormente all’entrata in vigore del Codice (presso Accademie di belle arti, presso scuole di restauro statali o regionali di durata almeno biennale, titolari di laurea specialistica in conservazione e restauro) ovvero a quanti attestino un periodo quadriennale di pratica professionale anteriore all’entrata in vigore del DM al 24 ottobre 2001.
Il comma 1-ter detta norme sulla certificazione dei requisiti mentre il comma 1-quaterprevede presso il Ministero l’istituzione di un elenco, reso accessibile a tutti gli interessati.
Il comma 1-quinquies individua i requisiti utili al conseguimento della qualifica di collaboratore restauratore di beni culturali (laurea triennale in tecnologie per la conservazione e il restauro dei beni culturali; diploma in restauro presso le accademie di belle arti con insegnamento almeno triennale; diploma presso una scuola di restauro statale o regionale di durata non inferiore a tre anni; pratica professionale certificata svolta prima dell’entrata in vigore del decreto ministeriale 24 ottobre 2001, n. 420).
Il comma 2 del nuovo art.182, in deroga a quanto
previsto dall’articolo 29, comma 11, ed in attesa della emanazione dei decreti
di cui ai commi 8 e 9 del medesimo articolo, con decreto del Ministro
dell’istruzione, dell’università e della ricerca di concerto con il Ministro, autorizza la Fondazione “Centro per la conservazione ed il restauro
dei beni culturali
Gl articoli da 30 a 43 del Codice distinguono fra interventi conservativi volontari e interventi conservativi imposti, dettando in particolare una specifica procedura di esecuzione per questi ultimi, comprensiva degli oneri a carico del proprietario e della disciplina degli eventuali contributi ministeriali.
Sono incluse tra le misure conservative le disposizioni relative agli obblighi di versamento agli archivi di Stato dei documenti conservati da amministrazioni statali e quelle relative agli archivi di organi costituzionali (artt 41 e 42[25]).
L’articolo 44 consente ai privati di affidare in comodato a istituti pubblici, per un periodo minimo di 5 anni (tacitamente prorogabile) e con il consenso del Ministero, raccolte, collezioni o altri beni mobili di particolare importanza, al fine di permetterne la fruizione da parte della collettività. Ciò subordinatamente al fatto che l’onere per le spese di custodia, conservazione e assicurazione non sia eccessivo per l‘amministrazione.
I successivi articoli da 45 a 52 disciplinano, introducendo alcune significative novità, altre forme di protezione dei beni culturali, quali:
· le misure di tutela indiretta, attraverso la prescrizione di distanze e misure atte a preservare l'integrità dei beni immobili, la loro prospettiva e le relative condizioni di ambiente e di decoro; viene disciplinato in particolare il procedimento per l’imposizione delle prescrizioni prevedendo la facoltà di ricorso amministravo (artt. 44-47);
· l'autorizzazione al prestito per mostre od esposizioni, con la introduzione dell’assicurazione obbligatoria dei beni di cui si chiede il prestito (art. 48);
· il divieto di collocare cartelli o manifesti pubblicitari sugli edifici e nelle aree tutelati come beni culturali, salvo autorizzazione del sovrintendente quando non ne derivi danno all'aspetto, al decoro e alla pubblica fruizione; in tale ambito, inoltre, è stata disciplinato anche l’utilizzo a scopo pubblicitario dei ponteggi allestiti per interventi su edifici storici o in aree di interesse storico artistico (art. 49);
· Il divieto di distacco di affreschi, fregi, lapidi ecc. senza preventiva autorizzazione (art.50)
· la tutela degli studi d'artista (art. 51);
· l'adeguamento della disciplina del commercio nelle aree aventi valore archeologico, storico ed artistico, rimettendo agli enti locali (anziché al soprintendente come disponeva il T.U.) la potestà di vietare o sottoporre a condizioni particolari l'esercizio stesso, previo parere della soprintendenza competente (art. 52).
Gli articoli da 53 a 57 definiscono una nuova disciplina dell’alienabilità dei beni culturali di proprietà pubblica o di persone giuridiche private senza scopo di lucro. In primo luogo, il Codice ha introdotto il concetto di demanio culturale, al quale vengono ricondotti le tipologie di beni indicate all’art. 822 del Codice civile[26] (art.53). Il provvedimento distingue, in linea generale, tra due categorie di beni: quelli in ogni caso inalienabili e quelli alienabili a determinate condizioni, tra i quali possono rientrare anche beni compresi nel demanio culturale (artt. 54-55). L’alienazione dei beni - appartenenti o meno al demanio culturale (art. 55) è comunque subordinata al rilascio di un’autorizzazione ministeriale recante prescrizioni volte ad assicurarne la tutela, nonché a seguito della modifica introdotta dal d.lgs.156/2006, la fruizione e la valorizzazione.
Gli artt. da 60 a 62 disciplinano l’istituto dell’ acquisto in via di prelazione da parte del ministero o di altri enti pubblici.
Gli artt. 63-64 dispongono in merito al commercio dei beni culturali indicati nell’allegato A al d.lgs, per i quali vengono recate particolari prescrizioni.
In particolare vige obbligo di notifica alla Soprintendenza dell’esercizio di commercio di tali categorie di beni o di documenti di interesse storico; sono previsti di appositi registri delle operazioni commerciali nonché consegna all’acquirente di attestati di autenticità. Questa categoria di beni è soggetta a licenza in caso di esportazione permanente o temporanea dall’Unione europea e può essere oggetto di procedura di restituzione in caso di esportazione illegale (art. 74 e 75 del Codice).
Con riferimento alla circolazione dei beni culturali in ambito internazionale (Capo V, articoli da 65 a 87) nel Codice si conferma l’adeguamento alla normativa comunitaria[27] già confluita a suo tempo nel precedente testo unico (d.lgs. 490/1999); viene inoltre reintrodotto l’istituto dell’uscita temporanea dei beni culturali dal territorio nazionale, fermo restando l’obbligo per il privato di fornire idonea garanzia, tramite polizza assicurativa anche fidejussoria, in ordine al rientro del bene allo scadere del termine (art. 71).
L’art. 87 fa rinvio alla Convenzione dell’UNIDROIT sul ritorno internazionale dei beni culturali rubati o illecitamente esportati[28] (ed alle relative norme di ratifica) per la restituzione dei beni ivi indicati.
Nelle norme relative alla tutela rientrano, infine, le disposizioni concernenti i ritrovamenti, le scoperte e l’espropriazione dei beni culturali (Capi VI e VII, articoli da 88 a 100).
Gli articoli da 88 a 93 disciplinano l’attività di ricerca ed il ritrovamento fortuito di beni culturali.
L’attività di ricerca archeologica è affidata al ministero ed eventualmente assegnata in concessione; essa può essere supportata da procedimenti di occupazione temporanea o espropriazione.
La scoperta fortuita va denunciata entro 24 ore al soprintendente o al sindaco ovvero all'autorità di pubblica sicurezza; essa comporta l’obbligo di conservazione del bene ritrovato ed implica la corresponsione di un premio calcolato dal Ministero in ragione del valore del ritrovamento.
L’art. 94sottopone il patrimonio culturale subacqueo (con riferimento alla zona estesa dodici miglia marine a partire dal limite esterno del mare territoriale )alla tutela prescritta nella Convenzione dell’UNESCO del 2 novembre 2001 sulla protezione del patrimonio culturale sommerso(in attesa della approvazione della legge di ratifica)
Si segnalano, al riguardo, gli artt. da 95 a 100 che disciplinano l’espropriazione dei beni culturali. In particolare, l’art. 95 prevede che i beni culturali possano essere “espropriati dal Ministero per causa di pubblica utilità, quando l’espropriazione risponda ad un importante interesse a migliorare le condizioni di tutela ai fini del godimento pubblico dei beni medesimi”. Gli artt. 96 e 97 fanno riferimento ad espropri da aree o edifici per meglio tutelare o restaurare monumenti o per eseguire ricerche archeologiche. Ai sensi dell’art. 98 la dichiarazione di pubblica utilità è fatta con decreto del Ministero o provvedimento della regione a questi comunicato. L’art. 99 specifica, invece, che “l’indennità consiste nel giusto prezzo che il bene avrebbe in una libera contrattazione di compravendita all'interno dello Stato)
Il titolo II (articoli 101-127) è dedicato alla fruizione (capo I) e alla valorizzazione (capo II) dei beni culturali.
Il Capo I (articoli 101-110), concernente la fruizione, detta norme di carattere generale sulle competenze in materia, definendo il ruolo delle regioni, nonché disposizioni specifiche sulla fruizione dei beni pubblici e privati nonché sull’uso induividuale dei beni culturali.
In particolare:
· l'articolo 101 reca una puntuale definizione dei singoli luoghi della cultura (museo, biblioteca, archivio, area archeologica, parco archeologico, complesso monumentale), evidenziandone la destinazione alla pubblica fruizione;
· l’articolo 102 precisa che la fruizione dei luoghi appartenenti alle regioni e agli altri enti pubblici territoriali è assicurata nel rispetto dei principi fondamentali fissati dal codice ed in conformità con la legislazione regionale;
· l'articolo 103 sancisce che l'accesso ai luoghi pubblici della cultura può essere gratuito o a pagamento. Il comma 2 estende tuttavia alle biblioteche e agli archivi pubblici la gratuità dell'accesso per fini di lettura, studio e ricerca. Esso sancisce, altresì, la parità di trattamento fra i cittadini dell'Unione europea in materia di accesso agevolato;
· l'articolo 104 detta le modalità di fruizione dei beni di proprietà privata;
· gli articoli da 106 a 110 disciplinano l’uso individuale dei beni culturali regolamentando tra l’altro la riproduzione ed i relativi canoni di concessione.
L’articolo 106 prevede che il lo Stato, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali possano concedere l’uso dei beni culturali, per finalità compatibili con la loro destinazione culturale, a singoli richiedenti. Ai sensi del comma 2, la determinazione del canone e l’adozione del provvedimento di concessione in uso -per i beni in consegna al ministerospettano al soprintendente-.
La norma, in parte già contenuta nella c.d. legge Ronchey[29] e ripresa dall’articolo 114 del T.U. dei beni culturali e ambientali (D.Lgs. n. 490/1999) - che vi ha introdotto l’esigenza di salvaguardare la destinazione culturale del bene - è stata ampliata dal Codice nel senso di attribuire tale facoltà, oltre che allo Stato, anche alle regioni e agli altri enti pubblici territoriali. Il d.lgs 156/2006 ha poi introdotto un controllo di tipo autorizzatorio analogo a quello previsto dall’articolo 57 sull’alienabilità dei beni culturali (vale a dire, che siano garantite la conservazione e la fruizione pubblica del bene e sia assicurata la compatibilità della destinazione d’uso con il carattere storico-artistico del bene medesimo).
Si ricorda che l’art.1, commi303-305, della legge 30 dicembre 2004, n.311[30], ha previsto che i beni culturali immobili dello Stato, delle regioni e degli enti locali, possono essere dati in concessione a soggetti privati che effettuano interventi di restauro e conservazione, dietro pagamento di un canone dal quale sono detratte le spese sostenute per il restauro. Il concessionario è obbligato a rendere fruibile il bene da parte del pubblico con le modalità stabiliti nell’atto di concessione. I beni culturali che possono formare oggetto delle concessioni sono individuati con decreto del MBAC (non emanato) su proposta del Direttore regionale competente.
La valorizzazione dei beni culturali (Capo II, articoli 111-121) può essere ad iniziativa pubblica o privata. Quella pubblica (art.111) consiste nella costituzione ed organizzazione stabile di risorse, strutture o reti, nonché nella messa a disposizione di competenze tecniche o risorse finanziarie o strumentali. Essa si conforma ai principi relativi alla libertà di partecipazione, pluralità dei soggetti, continuità di esercizio, parità di trattamento, economicità e trasparenza della gestione. Quella privata è riconosciuta come attività socialmente utile a fini di solidarietà sociale, con la conseguente possibilità di fruire del sostegno pubblico.
Il testo dell’articolo 112 del Codice (relativo alla valorizzazione dei beni di appartenenzapubblica)è stato sensibilmente modificato dal d.lgs.156/2006 al fine di accogliere i pareri della Conferenza unificata e della 7° Commissione del Senato (come chiarisce la relazione di accompagnamento al testo definitivo del d.lgs.).
Per i beni di appartenenza pubblica, l'articolo 112 del Codice individuava negli accordi di programma lo strumento ordinario per lo svolgimento coordinato, armonico e integrato della valorizzazione ed affidava alla legislazione regionale (in adesione a quanto previsto dall’art. 117 comma 3 della costituzione) la disciplina relativa. Si consentiva inoltre la partecipazione agli accordi di soggetti privati nonché il coinvolgimento di beni di proprietà privata, previo consenso degli interessati. Era prevista infine la stipula di convenzioni con le associazioni culturali o di volontariato
L’art. 112, riformulato dal d.lgs.156/2006, prevede che le norme regionali possano disciplinare non solo le attività ma anche le funzioni di valorizzazione, il cui esercizio può essere trasferito, in base al principio di sussidiarietà, anche ad altri enti territoriali.
Ai fini della valorizzazione, il nuovo articolo 112 individua due distinti strumenti: da un lato conferma la possibilità di accordi di programma tra Stato, regioni e autonomie locali (comma 4) - autorizzandone la stipulazione anche a livello sub regionale ed in rapporto ad “ambiti territoriali definiti” - dall’altro consente la costituzione di appositi soggetti giuridici. Entrambi gli strumenti mirano all’elaborazione dei piani strategici di valorizzazione e sviluppo culturale (comma 5), nei quali possono essere coinvolti infrastrutture e servizi produttivi, allo scopo di coniugare sviluppo culturale e sviluppo economico (la relazione governativa fa riferimento in proposito al collegamento con i servizi per la ricettività ed il tempo libero, con settori tradizionali quali artigianato, attività agricole, etc).
D’accordo con le regioni, viene infine affidata alla normazione secondaria la definizione delle modalità con cui il Ministero costituisce o partecipa alla costituzione dei soggetti giuridici incaricati della pianificazione strategica della valorizzazione (comma 7); inoltre si dettano le condizioni per la partecipazione dei privati e degli enti senza fini di lucro ai medesimi soggetti giuridici (comma 8); detti privati non possono comunque essere individuati come concessionari delle attività di valorizzazione (art. 115, comma 3).
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Infine (comma 9) si prevede la possibilità di accordi interistituzionali destinati a regolare la costituzione di servizi strumentali comuni per la fruizione e valorizzazione di beni culturali, subordinatamente all’inesistenza di nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
L'articolo 113 prevede forme di sostegno pubblico alle attività di valorizzazione di beni culturali privati, in rapporto alla rilevanza dei beni stessi. Sono stabiliti livelli minimi uniformi di valorizzazione che i soggetti responsabili della gestione delle attività e dei servizi pubblici sono tenuti ad assicurare al fine di fornire una ospitalità standard ai visitatori (articolo 114).
L’articolo 115 del Codice disciplina le forme di gestione dei beni culturali di appartenenza pubblica. La gestionedelle attività di valorizzazione di tali beni può essere diretta - vale a dire svolta attraverso strutture organizzative interne alle Amministrazioni dotate di adeguata autonomia scientifica, organizzativa, finanziaria e contabile - o indiretta, mediante concessione ad altri soggetti, previa valutazione comparativa in termini di sostenibilità economico-finanziaria e di efficacia, sulla base di obiettivi previamente definiti[31].
Il testo dell’articolo è stato quasi interamente riformulato dal d.lgs.156/2006 – tenendo conto dei pareri espressi dalla Conferenza unificata nonché dalle competenti Commissioni dei due rami del Parlamento – soprattutto con riferimento alla necessità di chiarire, in tema di gestione indiretta, la possibilità che le attività gestionali strumentali alla valorizzazione possano presentare rilievo economico e quindi essere affidate in concessione ad imprese commerciali in senso proprio (comma 3). E’ stata quindi individuata una sola forma di gestione indiretta delle attività di valorizzazione: quella dell’affidamento in concessione a terzi (che nella precedente versione dell’articolo si affiancava all’affidamento diretto a istituzioni fondazioni ed enti costituiti o partecipati dall’amministrazione pubblica proprietaria dei beni).
Viene conseguentemente abrogato l’articolo 10 del D.Lgs. 20 ottobre 1998, n. 368[32], che dava facoltà al Ministero per i beni e le attività culturali di costituire o partecipare ad associazioni, fondazioni o società, ai fini della gestione dei servizi relativi ai beni culturali di interesse nazionale. L’articolo citato prescriveva tuttavia che, in caso di estinzione o di scioglimento delle future persone giuridiche di diritto privato, i beni culturali conferiti in uso dal ministero tornassero nella disponibilità ministerialel[33].
Al fine di separare in maniera esplicita il momento delle scelte strategiche (di competenza delle amministrazioni pubbliche interessate) da quello esecutivo (in gestione diretta o affidato al concessionario), si prescrive che la definizione degli obiettivi programmatici da perseguire mediante l’affidamento in gestione diretta o indiretta preceda il procedimento di valutazione comparativa delle due soluzioni (comma 4).
Il comma 5 introduce, inoltre, nel contratto di servizio da stipulare con i concessionari delle attività di valorizzazione, i contenuti del progetto di valorizzazione e i relativi tempi di attuazione nonché i livelli qualitativi delle attività e dei servizi e le professionalità degli addetti.
La vigilanza sul rapporto concessorio è esercitata dalle amministrazioni cui i beni pertengono anche qualora la concessione si affidata a soggetti costituiti ai sensi dell’articolo 112, comma 5; in caso di grave inadempimento del contratto di servizio, esse possano richiedere la risoluzione del rapporto concessorio e la cessazione, senza indennizzo, degli effetti del conferimento in uso dei beni (comma 6).
L’articolo 116 disciplina la tutela dei beni culturali conferiti o concessi in uso, prevedendo che essi siano a tutti gli effetti assoggettati al regime giuridico loro proprio. E’ prevista la totale separazione tra il ruolo istituzionale spettante all’autorità di tutela e le cariche gestionali dei soggetti gestori.
I servizi aggiuntivi (servizi di assistenza culturale e di ospitalità per il pubblico), la cui gestione è attuata nelle forme previste dall’articolo 115, sono elencati nel successivo articolo 117.
Questi ultimi comprendono:
• il servizio editoriale e di vendita riguardante i cataloghi e i sussidi catalografici, audiovisivi e informatici, ogni altro materiale informativo, e le riproduzioni di beni culturali;
• i servizi riguardanti beni librari e archivistici per la fornitura di riproduzioni e il recapito del prestito bibliotecario;
• la gestione di raccolte discografiche, di diapoteche e biblioteche museali;
• la gestione dei punti vendita e l'utilizzazione commerciale delle riproduzioni dei beni;
• i servizi di accoglienza, ivi inclusi quelli di assistenza e di intrattenimento per l'infanzia, i servizi di informazione, di guida e assistenza didattica, i centri di incontro;
• i servizi di caffetteria, di ristorazione, di guardaroba;
• l'organizzazione di mostre e manifestazioni culturali, nonché di iniziative promozionali.
Gli articoli 118 e 119 dispongono, rispettivamente, la promozione di attività di studio e ricerca, e la diffusione della conoscenza del patrimonio culturale nelle scuole.
Gli articoli 120 e 121 introducono (rispetto al precedente Testo unico dei beni culturali) due novità di grande rilievo tese a favorire l’afflusso di risorse private al settore dei beni culturali.
L'articolo 120 prevede una particolare forma di sponsorizzazione: si consente ai privati che versano contributi -in beni o servizi- per la realizzazione di iniziative di tutela o valorizzazione di beni culturali, di associare all’iniziativa medesima il nome, il marchio o l’immagine dell’attività, in forme, compatibili con la particolare natura dei beni, da definire nel contratto di sponsorizzazione.
L'articolo 121 prevede la stipula di protocolli d'intesa tra il Ministero, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali, con le fondazioni bancarie che statutariamente perseguano scopi di utilità sociale nel settore dell'arte e dei beni culturali, al fine di coordinare gli interventi di valorizzazione e, quindi, garantire l'equilibrato impiego delle risorse finanziarie messe a disposizione.
Gli articoli da 122 a 127 disciplinano la consultazione dei documenti conservati negli archivi di Stato e negli archivi storici delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali nonché di ogni altro ente ed istituto pubblico (compresi i documenti riservati); la consultazione degli archivi correnti dei medesimi enti nonché le modalità di accesso ad archivi privati.
Sono infine dettate dagli articoli 128-130 norme transitorie e finali.
La disciplina sopra sintetizzata ( Parte seconda del Codice, relativa come già segnalato ai beni culturali) è corredata da un apparato di sanzioni connesse alle figure di illecito amministrativo (articoli da 160 a 166) o penale relative ai beni culturali (artt. 169-180).
Le disposizioni contenute nella parte terza del decreto n. 42/2004, - intitolata ai beni paesaggistici – come modificata dal d.lgs. n. 157/2006[34], hanno riprodotto, innovandole, le norme del titolo II del T.U. di cui al d.lgs. n. 490 del 1999.
Le principali linee innovative, secondo quanto riportato nella relazione illustrativa che accompagnava il provvedimento, sarebbero riferibili, oltre che all’esigenza di tener conto della riforma del titolo V, alla firma – avvenuta a Firenze il 20 ottobre 2000 - della Convenzione europea del paesaggio[35] – recentemente ratificata da parte dell’Italia con legge 9 gennaio 2006, n. 14 - e dall’Accordo tra il Ministro per i beni e le attività culturali e le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano sull'esercizio dei poteri in materia di paesaggio[36], concluso il 19 aprile 2001.
Sullo schema di decreto la Conferenza unificata ha espresso un parere negativo, contestando quasi la legittimità costituzionale di un intervento statale con questi contenuti.
La VIII Commissione della Camera dei deputati ha esaminato lo schema di decreto (Atto Governo 595) nelle sedute del 1°, 2, 8 e 15 febbraio 2006, concludendo con un parere favorevole con poche osservazioni.
L’art. 131 ha introdotto la definizione di paesaggio (mutuandola dall’art. 1 della Convenzione europea del paesaggio), inteso, alla luce delle modifiche recate dal decreto n. 157, come “parti di territorio i cui caratteri distintivi derivano dalla natura, dalla storia umana o dalle reciproche interrelazioni”.
Importanti modifiche definitorie sono state apportate, da parte del d.lgs. n. 157, anche all’art. 5 relativo alle forme di cooperazione delle regioni e degli altri enti pubblici territoriali in materia di tutela del patrimonio culturale.
In particolare, attraverso una novella al comma 6, è stato precisato che le funzioni amministrative di tutela dei beni paesaggistici sono esercitate dallo Stato e dalle regioni, secondo le disposizioni di cui alla parte terza del codice, e non semplicemente “conferite” alle regioni, come prevedeva il testo originario.
Secondo la relazione illustrativa che accompagnava lo schema di decreto, il nuovo testo non contraddirebbe né i principi costituzionali – e in particolare il principio di sussidiarietà affermato dall’art. 118 (in quanto appare pacifico che lo Stato eserciti funzioni amministrative in materia attraverso una amministrazione centrale dedicata, articolata, fra l’altro, anche a livello territoriale), né l’assetto consolidato delle competenze, come legislativamente definito (artt. 148 e seguenti del decreto legislativo n. 112 del 1998).
Un’ulteriore modifica, relativa all’art. 6 ha chiarito i contenuti della definizione di valorizzazione del patrimonio culturale - intesa come promozione della conoscenza e assicurazione delle migliori condizioni di utilizzazione e di fruizione del patrimonio – estendendola ai beni paesaggistici.
Con l’art. 134 sono stati specificati quali sono i beni paesaggistici, riprendendo la disposizione contenuta nell’art. 138 del T.U. del 1999 ed integrandola con l’indicazione degli immobili e delle aree tipizzati, individuati e sottoposti a tutela dal piano paesaggistico.
Una innovazione rispetto alle previsioni del T.U. del 1999 è poi costituita dalla reviviscenza[37] – operata dal comma 2 - di una disposizione contenuta nell’art. 16 della legge n. 1497 del 1939, secondo cui le limitazioni alle facoltà di disposizione e di godimento conseguenti al riconoscimento di beni paesaggistici non danno titolo a indennizzo.
L’art. 136 ha provveduto all’individuazione dei beni e delle aree sottoposti a tutela in ragione del loro notevole interesse pubblico, riprendendo l’elencazione contenuta nell’art. 139 del T.U. del 1999 ed integrandola con l’inserimento, tra i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale (indicati nella lettera c) dell’art. 136), anche le zone di interesse archeologico, (aggiunte dal decreto n. 157[38]).
L’individuazione dei beni suddetti avviene in seguito ad un complesso procedimento (disciplinato negli artt. 137-141) che termina con la dichiarazione di notevole interesse pubblico, emanata dalla regione, sulla base delle proposte formulate da apposite Commissioni regionali (la cui istituzione è disciplinata dall’art. 137).
L’art. 142 ha individuato le aree tutelate per legge per il loro interesse paesaggistico, riprendendo le disposizioni dell’art. 146 del T.U. del 1999.
Rispetto al testo originario del codice, con l’emanazione del d.lgs. n. 157/2006 è stata soppressa la specificazione secondo cui la tutela operava fino all’approvazione del piano paesaggistico[39].
L’ambito e le finalità della pianificazione del paesaggio sono stati indicati nell’art. 135, che ha ripreso il dettato dell’art. 2 dell’accordo del 19 aprile 2001 estendendo (e qui risiede, secondo la relazione illustrativa, il carattere innovativo della disposizione) l’attività pianificatoria all’intero territorio regionale.
Si ricorda, infatti, che l’art. 149 del T.U. del 1999 prevedeva l’obbligo per le regioni di sottoporre a specifica normativa d'uso e di valorizzazione ambientale, mediante la redazione di piani territoriali paesistici o di piani urbanistico-territoriali, il territorio includente i beni ambientali tutelati per legge, mentre per le località indicate alle lettere c) e d) dell'articolo 139 (corrispondente all’art. 136 del nuovo codice) e dichiarate di notevole interesse pubblico, tale pianificazione è facoltativa.
Rispetto alla formulazione originaria, il comma 1 dell’art. 135 come novellato dal decreto n. 157, esplicita[40] il concorso dello Stato, assieme alle regioni, alle finalità generali di tutela e valorizzazione del paesaggio, aggiungendo anche la finalità della conoscenza del paesaggio stesso. A tal fine, i piani paesaggistici vengono approvati dalla regioni, “anche in collaborazione con lo Stato”.
I principi direttivi, gli obiettivi e i contenuti del piano paesaggistico (tale riferimento riguarda sia il piano paesaggistico in senso stretto che il piano urbanistico-territoriale) sono poi disciplinati dall’art. 135 e dall’art. 143.
Rispetto alla formulazione originaria, nel nuovo art. 143 è stato soppresso il riferimento agli “obiettivi di qualità paesaggistica” contemplati dal previgente comma 2[41].
Le principali modifiche recate dal decreto n. 157 riguardano tuttavia i commi 3 e 4 dell’art. 143.
Il comma 3 prevede, infatti, che le regioni possano elaborare congiuntamente con i due Ministeri (beni culturali ed ambiente) i piani paesaggistici previa stipula di specifiche intese.
Sostanzialmente, la competenza alla pianificazione rimane attribuita alle Regioni, mentre viene – in modo più puntuale – disciplinata l’ipotesi (sostanzialmente già prevista nella formulazione originaria del codice) di una preventiva collaborazione fra Regioni e Ministeri nella fase genetica del piano.
Il comma 4 introduce la previsione secondo la quale, qualora il piano venga approvato a seguito dell'accordo di cui al comma 3, nel procedimento autorizzatorio di cui agli artt. 146 e 147, il parere del soprintendente è obbligatorio, ma non vincolante[42].
L’esigenza del coordinamento tra strumenti diversi viene poi contemperata con il successivo art. 145 che, oltre a confermare la competenza (già prevista dal comma 1 dell’art. 150 del d.lgs. n. 490/1999) del Ministero ad individuare le linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale per quanto riguarda la tutela del paesaggio, con finalità di indirizzo della pianificazione, ha introdotto un comma che dispone l’inserimento, nei piani paesaggistici, di “misure di coordinamento con gli strumenti di pianificazione territoriale e di settore, nonché con i piani, programmi e progetti nazionali e regionali di sviluppo economico”.
Rispetto alle norme previgenti, quindi, la disciplina recata dal codice prefigura una situazione in cui non sarà sufficiente la semplice conformazione delle previsioni di uno strumento a quelle dell’altro, ma piuttosto un coordinamento fra i due differenti strumenti ed una vera e propria integrazione reciproca.
Di più, in base al disposto del comma 3, i piani paesaggistici acquistano un valore preminente rispetto ad altri strumenti.
L’art. 144 ha recepito il contenuto dell’art. 6 dell’accordo del 19 aprile 2001 al fine di assicurare, nei procedimenti di approvazione dei piani paesaggistici:
§ la concertazione istituzionale;
§ la partecipazione dei soggetti interessati e delle associazioni costituite per la tutela degli interessi diffusi, individuate ai sensi dell’articolo 13 della legge 8 luglio 1986, n. 349;
§ ampie forme di pubblicità.
Le disposizioni del capo IV, relative al controllo e alla gestione dei beni soggetti a tutela hanno previsto 2 tipi di autorizzazione (analogamente a quanto previsto dal T.U. del 1999):
§ quella ordinaria, disciplinata dall’art. 146;
§ quella relativa ad opere da eseguirsi da parte di amministrazioni dello Stato, regolata dall’art. 147 (che ha sostituito la procedura autorizzativa speciale prevista dal comma 1 dell’art. 156 del T.U. del 1999, con la valutazione espressa in sede di conferenza di servizi[43]), a cui si aggiunge l’autorizzazione “in via transitoria” (prevista all’art. 159).
Per quanto riguarda il caso ordinario, l’art. 146 prevede una procedura autorizzatoria che non si caratterizza più, rispetto al precedente testo unico del 1999, per il potere di annullamento del Ministero (che viene eliminato e sostituito dalla possibilità per i soggetti interessati di impugnazione innanzi al T.A.R. o con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica), quanto per la previsione di fasi istruttorie successive volte – come si leggeva nella relazione illustrativa – “ad indirizzare le amministrazioni verso una corretta valutazione … (e) garantire il rilascio di autorizzazioni congruamente motivate”.
Nell’ambito di questa procedura viene reso obbligatorio il parere di speciali Commissioni locali per il paesaggio istituite dall’art. 148.
Il decreto n. 157 ha poi introdotto un comma 3 all’art. 146 volto a disciplinare l’eventuale delega agli enti locali, da parte delle regioni, per l’esercizio della funzione autorizzatoria paesaggistica.
Si segnala, inoltre, per il carattere innovativo che riveste, la disposizione recata dal comma 9 sempre dell’art. 146, secondo cui l’autorizzazione costituisce atto autonomo e presupposto dei titoli legittimanti gli interventi edilizi, per cui i lavori non possono iniziare in difetto di essa.
Si ricorda infatti che le disposizioni previgenti prevedevano il rilascio congiunto dell’autorizzazione (in seguito annullabile dal Ministero) e del titolo edilizio.
Tale norma veniva motivata nella relazione illustrativa al fine di “risolvere l’annosa questione della commistione fra urbanistica e tutela del paesaggio determinatasi dal confluire delle due competenze in capo ai comuni subdelegati dalle regioni”.
L’art. 146, comma 14, ha previsto la costituzione, presso ogni amministrazione competente al rilascio dell'autorizzazione - a fini di trasparenza e pubblicità dell’azione amministrativa - di un elenco delle autorizzazioni paesaggistiche rilasciate, aggiornato almeno ogni 15 giorni e liberamente consultabile, con i relativi dati sintetici.
Una rilevante novità introdotta dal Codice è rappresentata dal comma 12 dell’art. 146 (introdotto dal d.lgs. n. 157/2006), che è finalizzato a consentire l’autorizzazione in sanatoria successiva alla realizzazione, anche parziale, soltanto per i “piccoli” abusi di cui ai successivi commi 4 e 5 dell’art. 167 (anch’essi introdotti dal d.lgs. n. 157, in conseguenza della citata modifica).
La relazione illustrativa allo schema, poi divenuto il d.lgs. n. 157, motiva l’introduzione di tale “eccezione” da un lato, con la richiesta delle stesse regioni e, dall’altro in quanto “imposta per la sopravvenienza della legge 15 dicembre 2004, n. 308 (cd. delega ambientale) che, ai commi 36 e ss. dell'articolo unico, ha apportato modifiche al sistema delle sanzioni in campo paesaggistico, sia amministrative che penali, reintroducendo, sia pur limitatamente ai "piccoli" abusi, la sanabilità ex post (v. capitolo Il condono paesaggistico).
Tra le sanzioni l’art. 167 ha previsto l’ordine di rimessione in pristino o di versamento di indennità pecuniaria, nel caso di violazione degli obblighi e degli ordini previsti dal Titolo I della Parte terza e l’art. 181 norme per le opere eseguite in assenza di autorizzazione o in difformità da essa.
Una rilevante modifica introdotta nel codice per opera del d.lgs. n. 157/206 riguarda il comma 1 dell’art. 167 ove viene eliminata, rispetto al testo originario del Codice, una delle due sanzioni che potevano essere comminate, in alternativa, dall’amministrazione preposta alla gestione del vincolo, vale a dire quella pecuniaria e, mantenuta, invece solo quella demolitoria della rimessione in pristino a spese del trasgressore.
La finalità della disposizione, come tra l’altro sottolineato nella relazione illustrativa, è volta ad una più penetrante tutela del paesaggio, in quanto tutti gli abusi vengono puniti con la demolizione e si è, inoltre, “introdotta una soluzione che elimina l'ambigua formula dell'articolo 167, comma 1, ereditata dall'articolo 15 della legge n. 1497 del 1939, che ammetteva la «scelta» dell'amministrazione, preposta alla gestione del vincolo tra sanzione pecuniaria e sanzione demolitoria (formula la cui ambiguità aveva «legittimato» l'invenzione pretoria dell'autorizzazione postuma in sanatoria), e la si è sostituita con la perentoria affermazione, di reale tutela del paesaggio, per cui tutti gli abusi sono puniti con la demolizione (in quanto sanzione ripristinatoria di tutela del bene protetto, al di là del suo contenuto afflittivo)”. A temperare la severità di tale regola generale si è però affiancata l’eccezione della sanabilità, previa valutazione dell'amministrazione competente, dei soli «piccoli abusi» che non comportino aggiunte di superfici o di volumi e abbiano, quindi, un impatto meno rilevante sul paesaggio.
L’art. 156, comma 1, ha previsto la verifica di conformità e l’eventuale successivo adeguamento alle norme dell’art. 143 - entro il 1° maggio 2008 -, per i piani adottati dalle regioni sulla base delle previsioni dell’art. 149 del precedente T.U. del 1999 (d.lgs. n. 490).
Lo stesso comma incarica il Ministero di provvedere in via sostitutiva qualora decorra inutilmente il termine sopraindicato.
Ai fini delle citate verifiche ed adeguamenti i commi successivi prevedono che il Ministero provveda alla stipula di:
§ una convenzione con le regioni (sulla base di uno schema generale predisposto dal Ministero, d'intesa con la Conferenza Stato-Regioni), volta a stabilire “le metodologie e le procedure di ricognizione, analisi, censimento e catalogazione degli immobili e delle aree oggetto di tutela, ivi comprese le tecniche per la loro rappresentazione cartografica e le caratteristiche atte ad assicurare la interoperabilità dei sistemi informativi” (comma 2);
§ intese con le medesime regioni per disciplinare lo svolgimento congiunto della verifica e dell'adeguamento dei piani paesaggistici (comma 3).
Lo stesso comma 3 dispone che “nell'intesa è stabilito il termine entro il quale devono essere completati la verifica e l'adeguamento, nonché il termine entro il quale la regione approva il piano adeguato” e che “il contenuto del piano adeguato forma oggetto di accordo preliminare tra il Ministero e la regione”.
Si segnala, inoltre, che l’art. 158 ha previsto l’emanazione non più di un regolamento statale ma di apposite disposizioni regionali di attuazione del decreto.
Tale modifica si era resa necessaria alla luce del nuovo titolo V della Costituzione, che esclude la competenza regolamentare statale per tutte le materie che non rientrano nella competenza legislativa esclusiva dello stesso Stato (art. 117, sesto comma).
L’art. 159 disciplina il procedimento di autorizzazione in via transitoria, che viene previsto fino al 1° maggio 2008 o, se anteriore, all'approvazione o all'adeguamento dei piani paesaggistici.
Si segnala, infine, che il decreto legislativo n. 157/2006 ha introdotto tre nuovi commi all’art. 182 (commi da 3-bis a 3-quater) recanti disposizioni transitorie necessarie in seguito alle modifiche introdotte nel testo soprattutto all’art. 146, comma 12 e all’art. 167.
In particolare il comma 3-bis dell’art. 182 è finalizzato a disciplinare la sorte di numerosi procedimenti di autorizzazione in sanatoria, la cui domanda è stata presentata entro il 30 aprile 2004, pendenti alla data del 12 maggio 2006[44] o definiti con determinazione di improcedibilità della domanda per il sopravvenuto divieto, senza pronuncia nel merito della compatibilità paesaggistica dell'intervento.
La relazione illustrativa allo schema di decreto, poi divenuto il d.lgs. n. 157/2006, sottolinea, al riguardo, che si è ammessa una sorta di "ultrattività" sostanziale del vecchio regime pretorio ammissivo (senza limiti) di tale sanabilità e, anche per ragioni di tutela dell'affidamento del cittadino, tenuto conto anche del confuso intreccio normativo venutosi a creare per la sopravvenienza della norma del dicembre 2004 (legge n. 308 del 2004), si è ammessa la possibilità che i procedimenti relativi alle domande di autorizzazione paesaggistica in sanatoria presentate entro il 30 aprile 2004 e ancora pendenti possano essere definiti nel merito.
Il successivo comma 3-ter, invece, mira a chiarire l’efficacia anche amministrativa delle domande di condono paesaggistico presentate entro il 30 gennaio 2005 (comma 3-ter)[45].
Tale comma dispone, infatti, che le previsioni recate dal comma 3-bis vadano applicate anche alle domande di sanatoria presentate nei termini ai sensi dell'articolo 1, commi 37 e 39, della legge 15 dicembre 2004, n. 308, ferma restando la quantificazione della sanzione pecuniaria ivi stabilita. Il parere della soprintendenza di cui all'articolo 1, comma 39, della legge 15 dicembre 2004, n. 308, si intende vincolante.
In attuazione della delega per il riassetto e la codificazione nel settore dei beni culturali di cui all’art.10 della legge n.137 del 2002, oltre al Codice dei beni culturali e del paesaggio, è stato emanato il d. lgs. 22 gennaio 2004, n. 30, recante modifiche alla disciplina degli appalti di lavori pubblici relativi ai beni culturali (vedi capitolo La riforma della “legge Merloni”).
In relazione alla prioritaria esigenza di tutela dei beni rientrati nel patrimonio storico e artistico della nazione, il d. lgs. reca disposizioni in deroga alla normativa in materia di appalti, richiamando l’articolo 9 ed il riparto di competenze dettato dal titolo V della Costituzione.
tale disciplina speciale si applica (art.1 del d.lgs) all’esecuzione di scavi archeologici nonché ai lavori pubblici concernenti i beni mobili ed immobili, interventi su elementi architettonici e superfici decorate di beni del patrimonio culturale sottoposti a tutela; vengono regolamentati in particolare: i contratti di sponsorizzazione, gli appalti misti[46], i requisiti qualificazione dei soggetti esecutori, le modalità di progettazione e direzione dei lavori, i criteri per l’aggiudicazione, il ricorso a trattativa privata, l’ammissibilità delle varianti.
Le modifiche rispetto alla normativa sugli di appalti tengono conto della specificità dei beni oggetto di lavori e seguono le linee di intervento indicate nella norma di delega[47]:
§ revisione delle soglie per il ricorso alle procedure di individuazione del contraente al fine di consentire la partecipazione di imprese artigiane particolarmente specializzate;
§ ridefinizione (rispetto alla disciplina generale) dei livelli di progettazione necessari per l'affidamento dei lavori nonché dei i criteri per l’aggiudicazione;
§ revisione dei limiti previsti per l’ammissibilità di varianti in corso d’opera.
I contenuti del d.lgs. sono recentemente confluiti nel Codice dei contratti pubblici adottato con d. lgs. n. 163 del 2006[48];in quest’ultimo è stata trasfusa anche la disciplina della cosiddetta archeologia preventiva (introdotta dagli artt. da 2- ter a 2- quinques del D.L. 63/2005).
Si ricorda in proposito che il D.L. 26 aprile 2005, n. 63 (convertito con modif. dalla legge 25 giugno 2005, n. 109) ha specificato le misure di protezione già recate dall’art. 28 comma 4 del Codice dei beni culturali per la realizzazione di opere pubbliche in aree di interesse archeologico; in particolare gli articoli da 2-ter a 2-quinquies del DL (ora artt. 94 e 95 del Codice dei Contratti pubblici) prescrivono alle stazioni appaltanti l’obbligo di trasmettere al Soprintendente territorialmente competente la copia del progetto preliminare dell’intervento, corredato dagli esiti delle indagini geologiche e archeologiche preliminari, e disciplinano le fasi, i responsabili ed i possibili esiti del successivo procedimento di verifica preventiva dell'interesse archeologico.
VII COMMISSIONE PERMANENTE
(Cultura,
scienza e istruzione))
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ATTI DEL GOVERNO
Martedì 24 gennaio 2006. - Presidenza del vicepresidente Guglielmo ROSITANI.
La seduta comincia alle 13.50.
Schema di decreto legislativo recante correzioni e integrazioni al Codice di beni culturali e del paesaggio, in relazione ai beni culturali. Atto n. 594.
(Esame e rinvio).
La Commissione inizia l'esame.
Guglielmo ROSITANI, presidente, avverte che lo schema di decreto legislativo in titolo è stato assegnato alla Commissione, su richiesta del Governo, nonostante che su di esso la Conferenza unificata non abbia ancora espresso il prescritto parere. Fa quindi presente che la Presidenza della Camera, nell'assegnare il provvedimento, ha segnalato l'esigenza che la Commissione non si pronunci prima che il Governo abbia provveduto a trasmettere il suddetto parere della Conferenza unificata.
Andrea Giorgio Felice Maria ORSINI (FI), relatore, dopo aver espresso un ringraziamento agli uffici per il valido supporto fornitogli in questa come in precedenti occasioni, desidera preliminarmente sottolineare con soddisfazione come l'ormai prossima conclusione della legislatura coincida con l'ultima fase di esame parlamentare di un provvedimento che a suo avviso riveste una importanza storica. Con lo schema di decreto in esame, infatti, si completa sostanzialmente l'iter legislativo del Codice dei beni culturali e del paesaggio, apportando ad esso una serie di modifiche e integrazioni sulla base dell'esperienza condotta in questi primi diciotto mesi di applicazione della nuova normativa. Prima di passare all'illustrazione delle principali modifiche proposte, desidera sottolineare l'importanza dell'azione di revisione della normativa vigente in questa materia, che rappresenta la prima riforma organica dell'ordinamento di settore, precedentemente costituito dalle leggi «Bottai» del 1939. Un'azione promossa e fortemente voluta dall'allora Ministro per i beni e le attività culturali Giuliano Urbani, e poi portata avanti dal suo successore Rocco Buttiglione, che costituisce un successo di grande rilievo per il Governo e la maggioranza politica che lo sostiene. La stessa limitatezza delle modifiche che si propone di introdurre in questa fase testimonia d'altronde, a suo avviso, della validità complessiva dell'impianto normativo predisposto dal Ministro Urbani.
In riferimento alla circostanza sottolineata in apertura di seduta dal presidente Rositani, vale a dire la mancanza del parere della Conferenza unificata, ritiene opportuno evidenziare che - ferma restando la necessità di attendere l'espressione di tale parere, salvo che non provengano nuove indicazioni dalla Presidenza della Camera -, a quanto a lui consta, il confronto fin qui condotto tra il Governo e le regioni e le autonomie locali ha già condotto all'individuazione di una serie di possibili ulteriori interventi correttivi, che sarebbero condivisi da entrambe le parti. Da questo punto di vista, a quanto a lui risulta, la mancata espressione del parere della Conferenza sarebbe dovuta più a considerazioni di carattere generale che non a un effettivo dissenso nel merito del provvedimento. Si riserva quindi di proporre alla Commissione di includere gli interventi correttivi che sarebbero stati concordati con le regioni e gli enti locali nel parere da rendere al Governo.
Passa quindi ad illustrare quelli che ritiene i più significativi interventi correttivi previsti dallo schema di decreto nel testo trasmesso dal Governo, osservando che la maggior parte delle altre modifiche hanno portata prevalentemente formale e di coordinamento.
Il primo ambito degli interventi di maggiore rilievo è costituito dalle modifiche alle disposizioni sulle collezioni numismatiche. In questo ambito, le modifiche proposte mirano a raggiungere un nuovo punto di equilibrio dopo le innovazioni introdotte dall'articolo 2-decies del decreto-legge 26 aprile 2005, n. 63, introdotto dalla legge di conversione 25 giugno 2005, n. 109, che, differenziando le monete antiche dalle altre cose suscettibili di tutela, ha sostanzialmente rimesso al proprietario e non all'Autorità competente la valutazione dell'interesse culturale posseduto, che è stato ricondotto alla sussistenza delle caratteristiche di serialità e ripetitività. Il provvedimento in esame propone di intervenire in una duplice direzione: da un lato, ammettendo tra i criteri di valutazione circa la valenza culturale delle collezioni, accanto a quelli ereditati dalla legge fondamentale del '39 (tradizione, fama e particolari caratteristiche ambientali), la «rilevanza artistica, storica, archeologica, numismatica o etnoantropologica»; dall'altro, evidenziando come l'interesse numismatico debba essere rinvenuto nella rarità o nel pregio delle cose, e che tali elementi vadano valutati in rapporto «all'epoca, alle tecniche e ai materiali di produzione». Come a dire che non è possibile giudicare il valore delle monete antiche soltanto in base alla serialità o ripetitività, posto che tali caratteristiche assumono significato diverso a seconda delle epoche e delle culture; e vanno, perciò, interpretate in relazione al grado di raffinatezza delle tecniche di conio, alle leghe utilizzate e alla percentuale in esse di metallo nobile e, dunque, in ultima analisi, all'epoca cui risale la moneta. La serialità, isolatamente considerata, insomma, è a suo avviso parametro fuorviante ai fini dell'accertamento dell'interesse storico, e comunque non è indizio di minor valore culturale, in quanto, com'è noto, i rinvenimenti di «tesoretti», ossia proprio di serie di monete spesso della stessa epoca e dello stesso valore, costituiscono eventi di grande rilievo perché permettono la ricostruzione dei flussi monetari dell'antichità e, conseguentemente, delle vicende legate agli scambi ed ai commerci del mondo antico.
Ancora maggior rilievo, anche per le polemiche che hanno accompagnato, talvolta in modo esagerato, gli interventi in questa materia, rivestono poi le modifiche proposte all'articolo 12, comma 10, vale a dire alle norme in materia di silenzio-assenso nelle procedure di verifica dell'interesse culturale. Al proposito, ricorda preliminarmente che, in occasione del varo del Codice dei beni culturali, la Commissione aveva manifestato un unanime orientamento - condiviso peraltro dall'allora Ministro Urbani - circa la necessità di escludere i beni culturali da qualsiasi forma di silenzio-assenso. Con le disposizioni in esame si sancisce definitivamente il superamento - peraltro già realizzatosi di fatto - di tali contestate disposizioni, procedendo alla loro formale abrogazione. In concreto, lo schema in esame da un lato provvede a sostituire, al comma 10 dell'articolo 12, la disposizione di salvaguardia attualmente vigente con una norma che - in risposta alle esigenze di speditezza che da sempre accompagnano le procedure di dismissione degli immobili pubblici, cui spesso si ricorre per ragioni di finanza pubblica - conferma il termine finale di 120 giorni per la conclusione della verifica; dall'altro, stabilisce, all'articolo 6, l'abrogazione espressa dei commi da 1 a 12 dell'articolo 27 del decreto-legge n. 269 del 2003.
Ritiene quindi che, con tale intervento, possano finalmente venire del tutto meno le preoccupazioni - peraltro rivelatesi sicuramente eccessive, benché non illegittime - più volte espresse dai gruppi di opposizione circa i danni che la procedura del silenzio-assenso avrebbe potuto arrecare al nostro patrimonio culturale.
Un terzo ambito di intervento di particolare rilievo è costituito dalle modifiche proposte agli articoli 29 e 182, in tema di formazione professionale dei restauratori e dei loro collaboratori. Al proposito, osserva che le modifiche all'articolo 29 si propongono una duplice finalità. In primo luogo (comma 9), come riconoscimento della tradizione italiana del restauro e del livello di eccellenza al quale si collocano gli operatori e le scuole del settore, quella di attribuire all'esame conclusivo dei corsi di restauro svolti presso le «scuole di alta formazione e di studio» il valore di esame di Stato e, al contempo, di sancire l'equiparazione del titolo rilasciato a seguito del superamento di detto esame al diploma universitario di secondo livello (laurea specialistica o magistrale): viene in tal modo conferita dignità formale all'equivalenza che, nella sostanza, ossia nell'esercizio dell'attività professionale, risulta già stabilita dall'articolo 7, comma 1, del decreto ministeriale 3 agosto 2000, n. 294, recante regolamento concernente individuazione dei requisiti di qualificazione dei soggetti esecutori dei lavori di restauro e manutenzione dei beni mobili e delle superfici decorate di beni architettonici. In secondo luogo (comma 11), la finalità di coinvolgere le università nella elaborazione e conclusione di accordi finalizzati alla creazione di centri di ricerca, sperimentazione, studio e attuazione di interventi in materia di restauro, riconoscendo, altresì, alle medesime istituzioni un ruolo paritario, rispetto al Ministero per i beni e le attività culturali e alle regioni, nella istituzione, presso i suddetti centri, di corsi di alta formazione per l'insegnamento del restauro.
In merito agli interventi in questa materia, segnala che - a suo avviso - non vi è alcun rischio di conflitto con le competenze attribuite alle regioni in materia di formazione professionale. L'ambito di intervento in oggetto è infatti riconducibile a quello dell'alta formazione di livello universitario, su cui lo Stato ha competenza piena. Inoltre, va considerata la particolare materia in cui tale formazione di livello universitario si esplica: in sostanza, si tratta di definire i requisiti per l'esercizio di attività professionali tramite cui si realizzano quegli obiettivi di tutela dei beni culturali che la Costituzione ha voluto mantenere in capo allo Stato in via esclusiva. Ritiene pertanto che non vi possa essere alcun dubbio sulla compatibilità delle norme in oggetto con la Costituzione, e che le stesse regioni possano concordare su tale valutazione.
Quanto agli ulteriori interventi correttivi che, come precedentemente segnalato, sarebbero stati concordati in sede tecnica tra il Governo e le regioni e le autonomie locali - e che, lo ribadisce, potrebbero essere inclusi nella sua proposta di parere - desidera in questa sede soffermarsi in particolare sulle possibili modifiche agli articolo 6 e 112.
Quanto al primo, si tratterebbe di introdurre la specificazione che la valorizzazione costituisce una funzione pubblica di rilievo costituzionale, attesa la sua finalizzazione allo sviluppo della cultura, e
che pertanto il suo esercizio si sottrae ad ogni valutazione di opportunità formulata in base ad esclusivi criteri di redditività economica. Sottolinea al proposito che tale specificazione farebbe tra l'altro giustizia delle ricorrenti accuse, provenienti dei gruppi di opposizione, secondo cui l'attuale maggioranza di Governo tenderebbe a subordinare le esigenze di tutela e valorizzazione dei beni culturali a quelle del loro «sfruttamento» economico.
Quanto all'articolo 112, segnala in particolare la prospettata «riscrittura» del comma 4, volta a dare rilievo normativo alla possibilità che i siti culturali, adeguatamente valorizzati, costituiscano altresì il volano di uno sviluppo economico coinvolgente sia i settori produttivi suscettibili di interagire più direttamente con essi, sia le infrastrutture destinate a veicolare i crescenti flussi turistici richiamati dalle realtà culturali. Ovviamente, tale possibilità deve essere valutata in riferimento ad un determinato territorio, in ragione delle sue omogeneità culturali e della sua vocazione economica, non necessariamente coincidenti con una specifica circoscrizione amministrativa. Si prospetta quindi l'opportunità di sostituire al riferimento alla «base regionale» quello più generico e limitato al «sistema territoriale definito», utilizzando una formula già nota alla legislazione regionale nonché agli studi di economia del territorio. In pratica, atteso che il sostegno pubblico alla valorizzazione è un costo non eliminabile né comprimibile, stante il rilievo costituzionale della funzione che ne è beneficiaria, l'obiettivo che si intende perseguire è quello di convertire i relativi oneri da mere spese di funzionamento in spese di investimento.
Conclusivamente, nel riservarsi di valutare le indicazioni che potranno venire dai diversi gruppi parlamentari, chiede alla presidenza della Commissione di essere autorizzato a depositare, ai fini della sua pubblicazione in allegato al resoconto della seduta odierna, una nota scritta in cui sono più ampiamente illustrati gli interventi previsti dallo schema di decreto in esame e gli ulteriori interventi correttivi che sarebbero stati concordati tra il Governo e le regioni e le autonomie locali.
Guglielmo ROSITANI, presidente, non essendovi obiezioni, consente la pubblicazione in allegato della nota illustrativa depositata dal relatore (vedi allegato).
Carlo CARLI (DS-U), nel riservarsi di intervenire nel merito del provvedimento in una successiva seduta, dichiara di ritenere assolutamente necessaria l'acquisizione del parere della Conferenza unificata prima di procedere all'espressione del parere della Commissione.
Andrea Giorgio Felice Maria ORSINI (FI), relatore, nel condividere la legittima preoccupazione del deputato Carli, e fermo restando che, allo stato dei fatti, la Presidenza della Camera ha già stabilito che la Commissione non possa pronunciarsi fino alla trasmissione del parere della Conferenza, si chiede come si dovrebbe procedere nel caso che quest'ultima, magari per considerazioni politiche di carattere generale, più che per un vero e proprio dissenso su questo specifico provvedimento, non dovesse esprimere il parere neanche nelle prossime settimane.
Carlo CARLI (DS-U) ribadisce che, allo stato dei fatti, il suo gruppo chiede che la Commissione non si pronunci sul provvedimento, pur riservandosi un'ulteriore valutazione della situazione qualora il ritardo nell'espressione del parere della Conferenza unificata dovesse prolungarsi significativamente.
Guglielmo ROSITANI, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame alla seduta di domani, mercoledì 25 gennaio 2006.
La seduta termina alle 14.15.
ALLEGATO
Schema di decreto legislativo recante correzioni e integrazioni al Codice di beni culturali e del paesaggio, in relazione ai beni culturali (atto n. 594).
NOTA ILLUSTRATIVA DEPOSITATA DAL RELATORE ORSINI
Ricordo in primo luogo che l'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137, nel conferire al Governo la delega ad adottare uno o più decreti legislativi finalizzati, tra l'altro, al riassetto e alla codificazione delle disposizioni legislative in materia di beni e attività culturali, fissandone principi e criteri direttivi, ha previsto, al comma 4, che entro due anni dall'entrata in vigore dei decreti delegati possano essere adottate disposizioni correttive ed integrative dei decreti medesimi. In attuazione di tale disposizione, lo schema di decreto legislativo in titolo reca una serie di modifiche al Codice dei beni culturali e del paesaggio, per la parte concernente la materia dei beni culturali, facendo tesoro dell'esperienza maturata nei primi diciotto mesi della sua applicazione.
Rilevo, al proposito, che - trattandosi della prima riforma organica dell'ordinamento di settore, precedentemente costituito dalle leggi «Bottai» del 1939 e dalla normativa sugli archivi del 1963 - il Codice ha inevitabilmente pagato lo scotto della novità e, al di là delle difficoltà interpretative incontrate dagli operatori, ha evidenziato, in talune sue disposizioni, mende di natura formale suscettibili di ingenerare applicazioni difformi. Inoltre, si è dovuto tener conto delle disposizioni successivamente intervenute nella materia, ma anche, e forse soprattutto, di quelle che nel frattempo sono venute meno, in forma sia esplicita che implicita.
Lo schema in esame, quindi, procede da un lato a riformulare alcune disposizioni, per rendere più intelligibile la volontà del legislatore e favorirne l'efficace attuazione, dall'altro, ad espungere dal testo disposizioni nel frattempo abrogate o ad integrarlo con norme sopravvenute. Tutto ciò, ovviamente, in aderenza ai princìpi ed ai limiti stabiliti dalla legge n. 137 del 2002, ed in particolare alle indicazioni intese a produrre lo «snellimento e abbreviazione dei procedimenti» e ad evitare «ulteriori restrizioni alla proprietà privata», fermi rimanendo gli attuali strumenti della tutela.
Tra le modifiche che possono essere considerate di mero drafting rientra, ad esempio, quella all'articolo 10, comma 4, lettera l), che risponde ad un'esigenza di carattere logico: non le tipologie (ossia i modelli astratti) ma i singoli, concreti esempi di architettura rurale possono essere apprezzati per il loro «interesse storico od etnoantropologico». Alla medesima categoria è riconducibile la modifica all'articolo 173, che pone rimedio ad una «svista» formale del testo previgente: nel rimarcare, infatti, relativamente alla prelazione storico-artistica, anche dal punto di vista lessicale, la caratterizzazione di atto potestativo di natura ablatoria, e quindi la sua distinzione rispetto all'analogo istituto civilistico, provvedendo di conseguenza ad espungere ogni riferimento al termine «diritto», si è tralasciato di rivedere anche la formulazione della sanzione penale connessa all'inosservanza degli obblighi imposti all'alienante dalla norma sostanziale. Più in generale, sono riconducibili ad esigenze di maggiore chiarezza e precisione testuale le modifiche di cui agli articoli 11, 12, comma 1 e comma 6, 22, comma 3, 46, 50, 54, comma 2, lettera d), 163, 168 e 179, nonché quelle relative all'allegato A.
Appartengono invece alla categoria degli interventi volti a coordinare le disposizioni del Codice con quelle intervenute successivamente alla sua emanazione quelli che incidono, ad esempio, sugli articoli 10 e 12, comma 10. Le modifiche apportate alla prima delle citate disposizioni intendono conciliare due opposte esigenze, provenienti entrambe dal mondo del collezionismo: da un lato, conferire alle cose di interesse numismatico una maggiore visibilità nell'ambito degli oggetti da collezione meritevoli di tutela, così come richiesto da molti studiosi del settore; dall'altro, arginare le spinte verso un arretramento delle ragioni della tutela rispetto a quelle del mercato delle cose medesime, significativamente rappresentato dalla recente norma di cui all'articolo 2-decies del decreto-legge 26 aprile 2005, n. 63, introdotto dalla legge di conversione 25 giugno 2005, n. 109. Tale disposizione ha preteso di differenziare le monete antiche dalle altre cose suscettibili di tutela, attribuendo a esse una sorta di status di bene culturale minore, per effetto del quale è stata rimessa al proprietario e non all'Autorità competente la valutazione circa la sussistenza e il grado dell'interesse culturale posseduto. Sussistenza e grado di interesse culturale che la norma stessa ha ritenuto di poter individuare nella carenza delle caratteristiche di serialità e ripetitività, elevate al rango di parametri discriminanti il cui accertamento, come detto, è attribuito allo stesso proprietario.
Con il provvedimento in esame ci si propone di intervenire in una duplice direzione: da un lato, ammettendo tra i criteri di valutazione circa la valenza culturale delle collezioni, accanto a quelli ereditati dalla legge fondamentale del '39 (tradizione, fama e particolari caratteristiche ambientali) la «rilevanza artistica, storica, archeologica, numismatica o etnoantropologica»; dall'altro, evidenziando come l'interesse numismatico debba essere rinvenuto nella rarità o nel pregio delle cose, e che tali elementi vadano valutati in rapporto «all'epoca, alle tecniche e ai materiali di produzione». Come a dire che non è possibile giudicare il valore delle monete antiche soltanto in base alla serialità o ripetitività, posto che tali caratteristiche assumono significato diverso a seconda delle epoche e delle culture; e vanno, perciò, interpretate in relazione al grado di raffinatezza delle tecniche di conio, alle leghe utilizzate e alla percentuale in esse di metallo nobile e, dunque, in ultima analisi, all'epoca cui risale la moneta. La serialità, isolatamente considerata, insomma, è parametro fuorviante ai fini dell'accertamento dell'interesse storico, e comunque non è indizio di minor valore culturale, in quanto, com'è noto, i rinvenimenti di «tesoretti», ossia proprio di serie di monete spesso della stessa epoca e dello stesso valore, costituiscono eventi di grande rilievo perché permettono la ricostruzione dei flussi monetari dell'antichità e, conseguentemente, delle vicende legate agli scambi ed ai commerci del mondo antico.
Per quanto riguarda l'articolo 12, comma 10, la modifica proposta trova fondamento nell'esigenza di rendere il testo della norma pienamente coerente con i princìpi generali dell'ordinamento in tema di procedure amministrative, così come precisati dai più recenti provvedimenti normativi; nonché con il concludersi della fase transitoria di natura «emergenziale» che quella norma aveva prodotto. Al proposito, è rammentare, infatti, che nel testo vigente il comma in esame salvaguarda l'applicabilità delle disposizioni di cui all'articolo 27, commi 8, 10, 12, 13 e 13-bis, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito nella legge 24 novembre 2003, n. 226; disposizioni che avevano introdotto una procedura transitoria per la verifica dell'interesse culturale sugli immobili pubblici, stabilendo che, «in sede di prima applicazione», la mancata comunicazione dei risultati della verifica, da parte dei competenti uffici di questo Ministero, entro il termine di 120 giorni dalla richiesta «equivale ad esito negativo della verifica».
Tali disposizioni, tuttavia, unitamente a quelle di cui ai primi sette commi dello stesso articolo 27, che introducevano appunto nell'ordinamento l'istituto della verifica dell'interesse culturale, disciplinando le forme di presentazione della richiesta e le conseguenze derivanti dai possibili esiti del procedimento, risultano oramai inapplicabili per le seguenti ragioni: l'entrata in vigore, il 1o maggio 2004, del Codice dei beni culturali e del paesaggio, che all'articolo 12 reca appunto la procedura «a regime» della verifica di interesse culturale, che viene a sostituirsi a quella delineata nei commi da 1 a 7 dell'articolo 27 del decreto-legge n. 26 del 2003; l'esaurirsi della fase di prima applicazione della procedura transitoria disciplinata dai commi 8-12 del predetto articolo 27, determinato dalla conclusione della procedura di verifica dei beni inclusi negli elenchi presentati ai sensi del decreto interdirigenziale adottato dal Capo del Dipartimento per i beni culturali e paesaggistici e dal Direttore generale dell'Agenzia del Demanio il 6 febbraio 2004, in attuazione dell'articolo medesimo; l'impossibilità di ricorrere al meccanismo del silenzio-assenso, previsto dal comma 10 dell'articolo 27, la cui inapplicabilità ai procedimenti concernenti i beni culturali e paesaggistici è stata formalmente sancita dall'articolo 20, comma 4, della legge n. 241 del 1990 nel testo novellato dall'articolo 3, comma 6-ter del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, così come modificato dalla legge di conversione 14 maggio 2005, n. 80 (norma che deve ritenersi principio generale dell'ordinamento).
Pertanto, con lo schema in esame, da un lato si provvede a sostituire, al comma 10 dell'articolo 12, la disposizione di salvaguardia appena descritta con una norma che, in risposta alle esigenze di speditezza che da sempre accompagnano le procedure di dismissione degli immobili pubblici, cui spesso si ricorre per «aggiustare» i conti di finanza pubblica, conferma il termine finale di 120 giorni per la conclusione della verifica; dall'altro, si stabilisce, all'articolo 6, l'abrogazione espressa dei commi dall'1 al 12 del richiamato articolo 27 del decreto-legge n. 269 del 2003.
Segnalo quindi che, a quanto mi risulta, le conclusioni sopra illustrate sono state condivise dal Ministero dell'economia e delle finanze che, in occasione della recente manovra correttiva di finanza pubblica, nel proporre una nuova disposizione finalizzata ad accelerare le procedure di dismissione degli immobili del demanio statale, ha accolto la richiesta di limitare alle procedure già avviate la disciplina del già menzionato articolo 27 del decreto-legge n. 269 del 2003, riconducendo quelle da avviare alla regola dettata dall'articolo 12 del Codice.
Meritano poi breve considerazione anche le modifiche che si propone di apportare all'articolo 115, le cui ragioni debbono rinvenirsi nell'intento di sgombrare il campo da equivoci ed incertezze circa la volontà dell'Amministrazione, allorché il perseguimento diretto dell'interesse pubblico alla migliore valorizzazione dei beni culturali di appartenenza pubblica non risulti possibile per carenza di strutture o di risorse adeguate, di affidarsi agli strumenti e alle logiche di tipo privatistico e non, piuttosto, di manipolare questi ultimi in funzione delle esigenze istituzionali al punto da snaturare i modelli civilistici di riferimento e realizzare degli ibridi difficilmente gestibili e scarsamente attraenti per i potenziali investitori.
Partendo da tale intento, con lo schema in esame si propone di chiarire, al comma 3, lettera a), che il ricorso a tale forma di gestione indiretta postula l'adesione al modello privatistico e, pertanto, la coerenza con lo statuto normativo delineato, per le singole forme organizzative, dalle vigenti disposizioni. Delle forme stesse si propone di omettere una elencazione, sia pure soltanto a titolo esemplificativo, al fine di lasciare la massima libertà di opzione agli enti interessati e rendere ancor più evidente che la forma va scelta in funzione dell'obiettivo di valorizzazione perseguito, così come illustrato dal progetto. La partecipazione ministeriale al soggetto affidatario delle attività di valorizzazione perde la connotazione della «prevalenza», attributo la cui interpretazione si è rivelata non agevole, potendo essere imputato tanto al valore economico quanto al valore culturale del conferimento; al tempo stesso essa viene precisata quanto alle modalità di individuazione dei rappresentanti del Ministero.
Il comma 4 verrebbe riformulato al fine di correggere talune imperfezioni lessicali ed evidenziare, al contempo, la necessaria propedeuticità, rispetto al procedimento di scelta tra le due forme della valorizzazione indiretta, della definizione degli obiettivi programmatici che si intendono in tal modo perseguire. Al comma 8, inoltre, si propone di arricchire i contenuti del contratto di servizio, prevedendo il sostanziale recepimento, in esso, del progetto di valorizzazione e della relativa tempistica come approvati dal Ministero e disponendo che vi debbano essere indicate le modalità di esercizio dei poteri riconosciuti al titolare dell'attività di valorizzazione oggetto di affidamento, al fine di garantire la rispondenza costante delle attività del soggetto affidatario alle previsioni progettuali ed agli obiettivi programmatici.
Vanno poi considerati gli interventi proposti relativi agli articoli 29 e 182, in tema di formazione professionale dei restauratori e dei loro collaboratori. Le modifiche all'articolo 29 si propongono una duplice finalità. In primo luogo (comma 9), come riconoscimento della tradizione italiana del restauro e del livello di eccellenza al quale si collocano gli operatori e le scuole del settore, quella di attribuire all'esame conclusivo dei corsi di restauro svolti presso le «scuole di alta formazione e di studio» il valore di esame di Stato e, al contempo, di sancire l'equiparazione del titolo rilasciato a seguito del superamento di detto esame al diploma universitario di secondo livello (laurea specialistica o magistrale): viene in tal modo conferita dignità formale all'equivalenza che, nella sostanza, ossia nell'esercizio dell'attività professionale, risulta già stabilita dall'articolo 7, comma 1, del decreto ministeriale 3 agosto 2000, n. 294, recante regolamento concernente individuazione dei requisiti di qualificazione dei soggetti esecutori dei lavori di restauro e manutenzione dei beni mobili e delle superfici decorate di beni architettonici. In secondo luogo (comma 11), la finalità di coinvolgere le università nella elaborazione e conclusione di accordi finalizzati alla creazione di centri di ricerca, sperimentazione, studio e attuazione di interventi in materia di restauro, riconoscendo, altresì, alle medesime istituzioni un ruolo paritario, rispetto al Ministero per i beni e le attività culturali e alle regioni, nella istituzione, presso i suddetti centri, di corsi di alta formazione per l'insegnamento del restauro.
Come è noto, la disciplina relativa all'insegnamento del restauro, contenuta nell'articolo 29 del Codice, potrà dirsi «a regime» soltanto allorché saranno operanti i decreti attuativi previsti dai commi 7, 8 e 9 del medesimo articolo, nei quali sono definiti i profili di competenza dei soggetti da formare, i criteri e standard di qualità del percorso formativo, le modalità di accreditamento ed i requisiti di organizzazione e funzionamento delle scuole. Da quel momento, la qualifica di restauratore potrà essere acquisita esclusivamente in base alla predetta disciplina. Medio tempore, si applicano le disposizioni transitorie di cui all'articolo 182 del Codice, su cui si propone di intervenire al fine di rendere più esaustivo il riferimento alla regolamentazione previgente (contenuta nel decreto ministeriale 3 agosto 2000 come modificato dal decreto ministeriale 24 ottobre 2001, n. 420), indicando in modo dettagliato i requisiti utili al conseguimento delle qualifiche di restauratore e collaboratore restauratore di beni culturali.
Sul piano procedurale, va segnalato che il testo dello schema in esame, approvato in via preliminare dal Consiglio dei Ministri del 18 novembre 2005 e i cui contenuti essenziali sono stati sopra illustrato, è stato trasmesso alla Conferenza unificata per l'acquisizione del relativo parere, così come previsto dalla legge di delega. Detto parere non è stato ancora espresso (pur essendo ormai scaduto, a quanto risulta, il termine di sessanta giorni previsto dalla legge per l'espressione del parere). Peraltro, gli incontri tecnici finalizzati all'espressione del parere della Conferenza avrebbero fatto emergere l'opportunità di ulteriori interventi correttivi, in ordine ai quali si sarebbe registrata una convergenza di merito tra i rappresentanti dell'amministrazione statale e quelli delle regioni e delle autonomie locali.
A tale proposito, ritengo opportuno informare la Commissione, sulla base degli elementi fornitimi dal Ministero per i beni e le attività culturali, circa i principali contenuti di tali ulteriori interventi correttivi, che mi riservo di introdurre nella mia proposta di parere. Le «intese» che sarebbero intercorse tra rappresentanti del Governo e rappresentanti delle autonomie riguarderebbero gli articoli di seguito indicati.
Quanto all'articolo 6, si ritiene opportuno sottolineare, al comma 1, che la valorizzazione costituisce una funzione pubblica di rilievo costituzionale, attesa la sua finalizzazione allo sviluppo della cultura, e che pertanto il suo esercizio si sottrae ad ogni valutazione di opportunità formulata in base ad esclusivi criteri di redditività economica.
All'articolo 10, comma 2, lettera c), si prospetta un'integrazione volta a rimediare ad un'omissione del Codice: nella indicazione delle raccolte librarie sottoposte a tutela ipso iure non si è tenuto conto del fatto che nelle biblioteche degli enti locali o di interesse locale, così come individuate dall'articolo 47 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, sono presenti fondi non destinati alla conservazione (in quanto privi di valore culturale), ma piuttosto all'offerta di informazioni aggiornate - mediante monografie e periodici - al pubblico dei lettori. Si propone, pertanto, di sottrarre tali fondi al generalizzato «vincolo» ope legis gravante, per effetto della disposizione in esame, sulle raccolte librarie dei pubblici istituti, nonché ai controlli previsti sulle operazioni di scarto ad essi afferenti.
All'articolo 17, si dovrebbe precisare che i dati catalografici sui beni culturali affluiscono al catalogo nazionale nelle sue distinte articolazioni, a seconda della natura del bene cui i dati stessi si riferiscono.
All'articolo 21, si interverrebbe sul comma 1, al fine di sottoporre a controllo autorizzatorio anche lo scarto del materiale bibliografico delle biblioteche pubbliche e di quelle private vincolate, tenendo ovviamente conto dell'eccezione introdotta al comma 2, lettera c), dell'articolo 10 (il deperimento e la conseguente sostituzione del materiale costituente i fondi non destinati alla conservazione ma alla sola consultazione è previsto come normale e le relative procedure di scarto sono disciplinate dalla legislazione regionale).
Quanto all'articolo 112, una prima modifica riguarderebbe il comma 2, e sarebbe finalizzata a esplicitare che, fatta sempre salva la facoltà statale di regolare la valorizzazione dei propri beni, la potestà di normazione regionale si estende non solo alle attività ma anche alle funzioni di valorizzazione, il cui esercizio può essere peraltro rimesso, in base al principio di sussidiarietà, anche agli altri enti territoriali.
Di ben maggiore spessore sarebbe l'intervento modificativo che si prospetta per il comma 4, che verrebbe totalmente riscritto con l'intento di dare rilievo normativo alla possibilità che i siti culturali, adeguatamente valorizzati, costituiscano altresì il volano di uno sviluppo economico coinvolgente sia i settori produttivi suscettibili di interagire più direttamente con essi (si immagini, ad esempio, il collegamento con le strutture ed i servizi destinati alla ricettività, al tempo libero e allo svago, nonché la correlazione con i settori produttivi tradizionali: artigianato, attività agricole, etc.), sia le infrastrutture destinate a veicolare i crescenti flussi turistici richiamati dalle realtà culturali.
Ovviamente, tale possibilità deve essere valutata in riferimento ad un determinato territorio, in ragione delle sue omogeneità culturali e della sua vocazione economica, non necessariamente coincidenti con una specifica circoscrizione amministrativa.
Sarebbe quindi opportuno sostituire al riferimento alla «base regionale» quello più generico e limitato al «sistema territoriale definito», utilizzando una formula già nota alla legislazione regionale nonché agli studi di economia del territorio sviluppati presso le strutture di ricerca universitarie. In pratica, atteso che il sostegno pubblico alla valorizzazione è un costo non eliminabile né comprimibile, stante il rilievo costituzionale della funzione che ne è beneficiaria, l'obiettivo che si intenderebbe perseguire è quello di convertire i relativi oneri da mere spese di funzionamento in spese di investimento.
Infine, si prospetta l'opportunità di rendere possibile, anche in mancanza o nelle more della stipula degli accordi ivi previsti ai commi 4 e 5, o indipendentemente da essi, l'organizzazione e la gestione di strutture semplici che realizzino forme di cooperazione orizzontale e non istituzionalizzata tra soggetti pubblici e privati interessati alla fruizione e/o valorizzazione di beni o istituti culturali in ambiti territoriali determinati.
Al comma 1 dell'articolo 114, si ritiene poi opportuno esplicitare un presupposto già implicitamente contenuto nella disposizione vigente: che gli standard qualitativi delle attività di valorizzazione costituiscono le soglie minime di qualità (suscettibili, naturalmente, di essere ritoccati verso l'alto dalla legislazione regionale) e riguardano i soli «beni di pertinenza pubblica».
Interventi vengono prefigurati anche in relazione all'articolo 115, per motivi che debbono rinvenirsi nell'intento di sgombrare il campo da equivoci e incertezze nel caso in cui il perseguimento dell'interesse pubblico alla migliore valorizzazione dei beni culturali di appartenenza pubblica non risulti praticabile o conveniente attraverso la gestione diretta, per le ragioni più varie, che possono andare dalla carenza di risorse alla opportunità di affidarsi agli strumenti ed alle logiche di tipo privatistico. In particolare, gli equivoci e le incertezze insorti sull'attuale testo dell'articolo 115, comma 3, lettera a), hanno avuto ad oggetto la natura dell'attività di valorizzazione culturale: se cioè essa debba ritenersi attività economica tout court e, quindi, assoggettata alla logica di impresa, oppure debba essere considerata come attività culturale caratterizzata dalla finalità pubblica della più ampia conoscenza del patrimonio culturale finalizzata alla crescita spirituale della collettività nazionale (articolo 9, primo comma, della Costituzione).
Onde uscire dall'empasse rappresentata dalla dicotomia sopra esposta ci si propone di chiarire che i soggetti giuridici cui l'Amministrazione dà vita o partecipa per finalità di valorizzazione del patrimonio culturale sono soggetti caratterizzati dall'assenza di scopo di lucro. Ovviamente, ciò non esclude che le attività gestionali strumentali alla valorizzazione, valutate singulatim o come complesso integrato, possano presentare rilievo economico e, quindi, essere affidate in concessione, con i sistemi dell'evidenza pubblica ad imprese commerciali in senso proprio. Rispetto a tale fondamentale discrimine è apparsa, re melius perpensa, del tutto secondaria la definizione delle modalità di partecipazione del soggetto pubblico titolare del bene da valorizzare agli organi di gestione del soggetto appositamente costituito o partecipato, che può bene essere rimessa ad un successivo momento regolamentare. Non dà, invece, luogo a problemi di sorta la questione della titolarità della tutela e delle forme del suo esercizio, e pertanto essa non è oggetto di espressa disciplina da parte delle disposizioni in esame, atteso che si tratta di prerogative statali indiscusse e incardinate nel Ministero e, per esso, nei suoi organi centrali e periferici. Pertanto, l'esercizio di dette funzioni viene espletato dagli organi competenti secondo le ordinarie procedure e attribuzioni.
Il comma 4 verrebbe riformulato al fine di correggere talune imperfezioni lessicali ed evidenziare, al contempo, la necessaria propedeuticità, rispetto al procedimento di scelta tra le due forme della valorizzazione indiretta (costituzione di appositi soggetti giuridici o affidamento in concessione a soggetti terzi), della definizione degli obiettivi programmatici che si intendono in tal modo perseguire. Al comma 5, inoltre, si propone di arricchire i contenuti del contratto di servizio, prevedendo il sostanziale recepimento, in esso, del progetto di valorizzazione e della relativa tempistica come approvati dal Ministero e disponendo che vi debbano essere indicate le modalità di esercizio dei poteri riconosciuti al titolare dell'attività di valorizzazione oggetto di affidamento, al fine di garantire la rispondenza costante delle attività del soggetto affidatario alle previsioni progettuali ed agli obiettivi programmatici.
Si prospetta infine un intervento sul comma 2 dell'articolo 116, che risponde all'esigenza di prevedere che l'esercizio dei poteri di tutela, nei confronti di soggetti giuridici costituiti o partecipati dal Ministero secondo le disposizioni degli articoli 112 e 115, come rivedute nelle riunioni tecniche della Conferenza unificata, assume le forme stabilite dal contratto di servizio stipulato dai soggetti medesimi con le amministrazioni titolari della funzione di valorizzazione. Ciò al fine di semplificare ed accelerare le procedure di adozione dei provvedimenti di volta in volta necessari al perseguimento delle finalità di tutela.
Ulteriori modifiche che si potrebbero prospettare in sede di parere parlamentare, potrebbero riguardare i seguenti aspetti. In primo luogo, attesi i problemi che la applicazione pratica ha determinato, appare opportuno dare mandato all'Amministrazione competente di provvedere al coordinamento dei tempi previsti dalla procedura per l'esercizio della prelazione, così come disciplinata dall'articolo 62, quando essa sia attivata dalle regioni o dalle autonomie locali.
In secondo luogo, sarebbe opportuno prevedere che anche alle Accademie di belle arti che abbiano attivato corsi di formazione in restauro, sia estesa la possibilità di fruire della disciplina dettata in via transitoria dall'articolo 182 del Codice nel testo varato in Consiglio dei Ministri. Così come sarebbe opportuno che i procedimenti di accreditamento disciplinati dall'articolo 29, comma 9, dello stesso Codice fossero soggetti assoggettati ad un temine massimo di conclusione, onde dare certezza del diritto ai richiedenti.
VII COMMISSIONE PERMANENTE
(Cultura,
scienza e istruzione))
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ATTI DEL GOVERNO
Martedì 31 gennaio 2006. - Presidenza del vicepresidente Guglielmo ROSITANI. - Interviene il sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali Nicola Bono.
La seduta comincia alle 14.10.
Schema di decreto legislativo recante correzioni e integrazioni al Codice di beni culturali e del paesaggio, in relazione ai beni culturali. Atto n. 594.
(Seguito dell'esame e rinvio).
La Commissione prosegue l'esame, rinviato il 24 gennaio 2006.
Guglielmo ROSITANI, presidente, ricorda che nella seduta del 24 gennaio 2006 si è svolta la relazione introduttiva sul provvedimento in titolo, assegnato alla Commissione da parte della Presidenza della Camera con l'indicazione di non pronunciarsi fino alla trasmissione del parere della Conferenza unificata. A questo proposito, informa che il parere della Conferenza, benché risulti essere stato espresso lo scorso giovedì 26 gennaio, non è ancora stato formalmente trasmesso dal Governo. Segnala inoltre l'esigenza che la Commissione attenda, prima di esprimersi, anche la trasmissione dei rilievi della Commissione Bilancio sulle conseguenze di carattere finanziario del provvedimento, che è ad essa assegnato ai sensi dell'articolo 96-ter, comma 2, del regolamento.
Nessuno chiedendo di intervenire, rinvia quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.
La seduta termina alle 14.15.
VII COMMISSIONE PERMANENTE
(Cultura,
scienza e istruzione))
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ATTI DEL GOVERNO
Mercoledì 1° febbraio 2006. - Presidenza del vicepresidente Domenico VOLPINI. - Interviene il sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali Nicola Bono.
La seduta comincia alle 14.05.
Schema di decreto legislativo recante correzioni e integrazioni al Codice di beni culturali e del paesaggio, in relazione ai beni culturali. Atto n. 594.
(Seguito dell'esame e rinvio).
La Commissione prosegue l'esame, rinviato, da ultimo, il 31 gennaio 2006.
Domenico VOLPINI, presidente, segnala che il parere della Conferenza unificata sul provvedimento in titolo, pur essendo stato espresso, non è ancora stato formalmente trasmesso.
Carlo CARLI (DS-U) e Andrea COLASIO (MARGH-U) si riservano di intervenire una volta acquisito il suddetto parere.
Domenico VOLPINI, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.
La seduta termina alle 14.10.
VII COMMISSIONE PERMANENTE
(Cultura,
scienza e istruzione))
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ATTI DEL GOVERNO
Mercoledì 8 febbraio 2006. - Presidenza del presidente Ferdinando ADORNATO. - Interviene il ministro per i beni e le attività culturali Rocco Buttiglione.
La seduta comincia alle 14.15.
Schema di decreto legislativo recante correzioni e integrazioni al Codice di beni culturali e del paesaggio, in relazione ai beni culturali. Atto n. 594.
(Seguito dell'esame e rinvio).
La Commissione prosegue l'esame, rinviato il 1o febbraio 2006.
Ferdinando ADORNATO, presidente, dopo aver comunicato che è stato formalmente trasmesso il parere della Conferenza unificata sul provvedimento in titolo, avverte che il relatore ha presentato una proposta di parere favorevole con condizioni e osservazione (vedi allegato 1). Peraltro, segnala che, poiché la V Commissione non ha ancora trasmesso i prescritti rilievi sulle conseguenze di carattere finanziario del provvedimento, la Commissione non potrà procedere alla votazione della proposta di parere nella seduta odierna.
Il ministro Rocco BUTTIGLIONE rileva che lo schema di decreto legislativo in titolo, adottato ai sensi dell'articolo 10, comma 4, della legge 6 luglio 2002, n. 137, facendo tesoro dell'esperienza maturata nei primi otto mesi di applicazione del Codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, procede, da un lato, alla riformulazione di alcune proposizioni normative, onde rendere più intelligibile la volontà del legislatore e favorirne l'efficace attuazione; dall'altro, all'espungimento dal testo previgente delle disposizioni abrogate, ovvero alla sua integrazione con le norme sopravvenute in materia.
Sottolinea che il Ministero attribuisce grande importanza al provvedimento, soprattutto in relazione alle modifiche apportate all'articolo 12 nonché alle rinnovate disposizioni in materia di restauro (articoli 29 e 182) e valorizzazione (articolo 112).
Relativamente all'articolo 12, sottolinea che l'intervento è necessario per rendere il testo della norma pienamente coerente con i princìpi generali dell'ordinamento in tema di procedure amministrative, e in particolare con la norma di cui all'articolo 20, comma 4, della legge n. 241 del 1990, che sancisce l'inapplicabilità ai procedimenti concernenti i beni culturali e paesaggistici del meccanismo del silenzio-assenso. In tal modo si spera di fare finalmente giustizia di tutte le polemiche che hanno accompagnato il Codice nel periodo di prima applicazione.
Per quello che riguarda il restauro, osserva che le modifiche apportate all'articolo 29 si propongono una duplice finalità: da un lato, il riconoscimento della tradizione italiana del restauro e del livello di eccellenza al quale si collocano gli operatori e le scuole del settore, attribuendo all'esame conclusivo dei corsi di restauro svolti presso le «scuole di alta formazione e di studio» il valore di esame di Stato e, al contempo, sancendo l'equiparazione del titolo rilasciato a seguito del superamento di detto esame al diploma universitario di secondo livello (laurea specialistica o magistrale); dall'altro, il coinvolgimento delle università nella elaborazione e conclusione di accordi finalizzati alla creazione di centri di ricerca, sperimentazione, studio e attuazione di interventi in materia di restauro, riconoscendo, altresì, alle medesime istituzioni un ruolo paritario, rispetto al Ministero per i beni e le attività culturali e alle regioni, nella istituzione, presso i suddetti centri, di corsi di alta formazione nell'insegnamento del restauro. In attesa che la disciplina testé rammentata vada a «regime», con l'adozione dei previsti decreti attuativi, valgono le disposizioni transitorie di cui all'articolo 182 del Codice, nelle quali sono indicati in modo dettagliato i requisiti utili al conseguimento delle qualifiche di restauratore e collaboratore restauratore di beni culturali. Degna di nota, in tale articolo, anche la disposizione che consente l'avvio sperimentale di un corso di laurea in restauro, patrocinato dal Ministero e dall'università, presso la prestigiosa sede di Venaria Reale, di recente riportata agli antichi splendori con fondi nazionali ed europei.
Quanto alla disciplina della valorizzazione, rileva che le innovazioni introdotte sono giustificate dall'esigenza di aggiornare e potenziare gli strumenti giuridici idonei a realizzare una più efficace valorizzazione dei beni culturali di appartenenza pubblica, coinvolgendo idee e risorse pubbliche e private. In questo quadro, sottolinea l'introduzione nella legislazione di settore del riferimento ai «distretti culturali», quali porzioni territoriali privilegiate nell'ottica della interrelazione tra istituzioni museali, infrastrutture e realtà economiche e produttive, finalizzata allo sviluppo culturale e sociale delle aree medesime.
Ritiene utile rammentare altresì che lo schema di decreto in titolo è largamente condiviso dalle regioni e dagli enti locali, poiché realizza un ulteriore passo avanti sulla strada della cooperazione tra Stato ed enti territoriali in materia di tutela e valorizzazione dei beni culturali, già efficacemente percorsa dal Codice, come confermato dal fatto che quest'ultimo provvedimento non ha registrato a suo carico alcuna impugnazione regionale dinanzi alla Corte costituzionale.
Carlo CARLI (DS-U), dopo aver ringraziato il ministro per la sua partecipazione alla seduta odierna, sottolinea che il suo gruppo ribadisce la propria contrarietà complessiva alla decisione, assunta a suo tempo, di procedere all'adozione di un nuovo codice dei beni culturali. Quanto allo schema in esame, pur manifestando apprezzamento per l'accordo raggiunto in sede di Conferenza unificata, il giudizio del suo gruppo rimane complessivamente negativo; presenta quindi una proposta di parere contrario, alternativa a quella del relatore (vedi allegato 2).
Nello specifico, osserva che le modifiche previste dallo schema in esame devono trovare fondamento in quanto stabilito dalla originaria norma di delega (articolo 10 della legge n. 137 del 2002, che prevedeva al comma 4 la possibilità per il Governo di adottare disposizioni correttive ed integrative «nel rispetto degli stessi princìpi e criteri direttivi e con le medesime procedure di cui al presente articolo, entro due anni dalla data della loro entrata in vigore»). I princìpi e i criteri direttivi in questione, ricorda, prevedono l'adeguamento agli articoli 117 e 118 della Costituzione e alla normativa comunitaria e internazionale, l'aggiornamento degli strumenti di gestione, individuazione, conservazione e protezione dei beni culturali, l'apertura alla partecipazione dei privati, il miglioramento dell'efficacia degli interventi anche allo scopo di ottimizzare le risorse a disposizione, l'indicazione delle politiche pubbliche di settore, lo snellimento e abbreviazione delle procedure amministrative, eccetera.
Ricorda poi che il presente schema di decreto legislativo riguarda unicamente la materia dei beni culturali, dato che gli interventi in materia di paesaggio sono confluite in un distinto provvedimento che, peraltro, ha ricevuto una netta «stroncatura» in sede di Conferenza unificata.
Rileva quindi che, come è noto, il Codice - dunque un testo che si dovrebbe distinguere da una legge ordinaria per compattezza e durevolezza - ha subito, fin dalla sua approvazione, modifiche, integrazioni e correzioni, spesso dovute all'esigenza di piegare la normativa di tutela del patrimonio culturale ai condoni edilizi o alle occasionali clientele della maggioranza di governo.
A due anni dall'approvazione dei decreto legislativo 42, rileva, viene presentato un nuovo decreto legislativo di modifica che apporta mutamenti formali (rimediando agli errori materiali dovuti alla sciatteria nella stesura del decreto legislativo del 2004), integrativi (inserendo, correggendo, coordinando il testo originario con norme successivamente approvate o che erano «sfuggite» al legislatore nel 2004 o cassando parti che si sono dimostrate inutili o dannose) e modificativi. Questi ultimi sembrano in molti casi modificare non solo il testo del decreto, ma lo stesso spirito e i princìpi direttivi della delega. Ritiene infatti che sia indubitabile il fatto che gli ambiti di azione di regioni ed enti locali - già piuttosto stretti a causa di una interpretazione assolutamente limitativa del Titolo V della Costituzione - sono fortemente compressi a vantaggio delle competenze statali.
Osserva che al primo gruppo - quello delle modifiche «formali» - appartengono una serie di modifiche con cui, ad esempio, si sostituiscono la congiunzione alla particella avversativa o la dizione «ornamenti» con quella «elementi ornamentali».
Il secondo gruppo - quello degli interventi integrativi - è certamente più interessante e gravido di conseguenze più spesso positive che negative. In questo ambito, infatti, segnala che viene innanzi tutto definitivamente eliminata la regola del silenzio-assenso e viene introdotto il termine dei centoventi giorni per la conclusione del procedimento (di fatto, peraltro, la non applicabilità della regola del silenzio-assenso ai procedimenti relativi al patrimonio culturale era stata stabilita dalla legge n. 241 del 1990 e ribadita nel più recente decreto-legge n. 35 del 2005). Inoltre viene introdotto il ricorso amministrativo anche per la verifica dell'interesse culturale, laddove era prevista esclusivamente avverso alla dichiarazione di interesse (ovvero al vincolo sui beni dei privati). Al proposito, peraltro, ritiene che non risulti chiaro se il ricorso amministrativo alla verifica debba intendersi anche avverso alla verifica conclusasi con esito negativo (e quindi con previsione di sdemanializzazione del bene). Analogamente, giudica molto ambigua la nuova formulazione dell'articolo 21, comma 4, che prescrive che l'esecuzione di opere e lavori sui beni culturali è subordinata all'autorizzazione del soprintendente e, al tempo stesso, stabilisce che il mutamento di destinazione d'uso dei beni sia semplicemente comunicato al soprintendente, che sembra essere così escluso da qualunque funzione autorizzatoria. Ritiene che il testo dovrebbe essere modificato, prevedendo piuttosto che al soprintendente sia comunicata una proposta di mutamento di destinazione d'uso del bene, al fine di riceverne una eventuale autorizzazione.
Osserva che centrale appare la questione dell'insegnamento e dell'esercizio dell'attività di restauro, unica tra le attività sui beni culturali ad essere regolata per via legislativa. Al proposito, rileva che con le nuove disposizioni si stabilisce in primo luogo che l'esame finale presso le scuole di restauro valga come esame di Stato abilitante all'esercizio della professione. Inoltre, il medesimo esame viene equiparato al diploma di laurea specialistica o magistrale, rimettendo la definizione dei profili di competenza, dei criteri e dei livelli di qualità dei corsi, nonché della modalità di accreditamento e dei requisiti minimi organizzativi e di funzionamento saranno a successivi decreti del Ministro per i beni e le attività culturali. In merito a tali disposizioni, rileva che in nessun caso nel nostro ordinamento (a parte le professioni sanitarie e la professione docente) l'esame finale è equiparabile a un esame di Stato, e che non è chiaro quali siano i requisiti che saranno necessari per accedere alle scuole di alta formazione e di studio. Fermo restando che attualmente è richiesto unicamente il diploma di scuola media superiore, deve cioè essere chiarito, a suo avviso, se la norma ha valore retroattivo e se il criterio richiesto per l'accesso alle scuole continuerà ad essere il diploma di scuola superiore. Appare chiaro che si verrebbe a creare una incresciosa sperequazione tra gli studenti dei corsi di laurea «normali», che acquisirebbero la laurea magistrale al termine di un percorso quinquennale, e quelli delle «lauree» in restauro, per le quali non è prevista esplicitamente la durata dei corsi. Osserva infine che i corsi di alta formazione e di studio in oggetto, pur conferendo un titolo equiparato alla laurea magistrale, non sono sottoposti ad alcun controllo da parte dei competenti organi del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca (Consiglio nazionale di valutazione del sistema universitario o Comitato di indirizzo per la valutazione della ricerca, nel caso di attività di ricerca).
Si sofferma quindi sulla questione relativa agli articoli 106 e 115, che riguardano rispettivamente la concessione in uso dei beni culturali e la gestione delle attività di valorizzazione. Rileva che nel primo caso si assiste a una modifica che appare positiva: si specifica infatti la necessità di un'autorizzazione del soprintendente competente sui beni dati in concessione, condizionata alla garanzia di conservazione e fruibilità pubblica dei beni e alla compatibilità della destinazione d'uso con il carattere dei bene. La nuova formulazione dell'articolo 115 modifica la norma relativa alla gestione diretta dei beni, ampliando il novero dei soggetti che possono accedervi e aggiungendo tra l'altro soggetti «partecipati», non necessariamente in maggioranza, dal ministero). Al proposito osserva che, per quanto concerne la concessione a terzi, sono introdotte una serie di cautele nel contratto di servizio, ma non appare abbastanza solida la previsione di strumenti di controllo e valutazione (ed eventualmente di surroga) sull'operato dei concessionario.
Ritiene che un discorso a parte debba essere svolto in ordine all'articolo 112, concernente la valorizzazione dei beni culturali di appartenenza pubblica. Ritiene che la questione della valorizzazione avrebbe dovuto essere al centro del Codice; invece, esso la affronta in maniera a suo avviso superficiale e sostanzialmente inefficace. Né le presenti proposte di modifica mutano i termini del discorso. Lungi dal prevedere luoghi di concertazione, programmazione e cooperazione degli interventi di valorizzazione tra i diversi livelli di governo e tra questi e i privati, ci si limita infatti, a suo giudizio, alla previsione di accordi «random» (e solo su base regionale, dimenticando che le logiche contestuali del patrimonio non seguono i principi del diritto amministrativo) tra il ministero, regioni ed enti territoriali, senza nulla dire circa la progettazione locale e nazionale degli interventi, l'ottimizzazione delle risorse destinate alla valorizzazione, gli accordi interregionali. Ritiene che così si dimentichi che, se è imprescindibile l'esercizio unitario della tutela, non meno importante, ai fini della crescita culturale dei cittadini, è l'esercizio coerente e sintonico delle attività di valorizzazione sul territorio.
Rileva quindi che il presente schema di decreto legislativo poteva anche essere l'occasione per rimediare a quella che egli giudica l'ennesima norma clientelare e inutile fatta ai danni dell'unitaria gestione e fruibilità del patrimonio, vale a dire la scriteriata creazione dell'archivio storico della Presidenza del Consiglio dei Ministri, che rischia di deprivare altre istituzioni di documentazione fruibile agli studiosi (osserva che nulla viene stabilito circa i livelli di fruibilità del nuovo archivio storico), fermo restando che, come è stato sottolineato da numerosi studiosi, gli archivi separati non sono stati modello di efficienza e disponibilità per il pubblico.
Passa quindi ad illustrare alcune possibili incongruenze che emergerebbero in caso di recepimento delle modifiche concordate in sede di Conferenza unificata, incongruenze che - a suo avviso in alcuni casi sembrano mutare nella sostanza il senso e la sostanza che la Conferenza sembrava voler esprimere nel suo parere.
In merito alle modifiche richieste dalla Conferenza unificata, segnala in primo luogo che, all'articolo 6, si propone di inserire la promozione dello sviluppo della cultura, tra i fini della valorizzazione e, all'articolo 10, di espungere dal novero dei beni culturali le biblioteche popolari, le biblioteche contadine nelle zone di riforma e i centri bibliotecari di educazione permanente già attribuiti alle competenze regionali. All'articolo 17 si propone di far in modo che i dati catalografici affluiscano ad ogni articolazione dei cataloghi nazionali (e quindi non solo all'Istituto centrale per il catalogo e la documentazione). L'osservazione può sembrare ridondante, tuttavia ai fini della conoscenza della consistenza e della qualità del patrimonio catalogato e dello studio di esso è bene che tutte le articolazioni del catalogo siano immediatamente arricchite dai dati che via via vengono accumulati. Ciò anche in considerazione del fatto che le regioni concorrono attivamente alla formazione del catalogo stesso.
Quanto all'articolo 21, osserva che la Conferenza unificata include anche lo scarto dei materiali bibliografici delle biblioteche pubbliche o private dichiarate di interesse culturale tra le azioni soggette ad autorizzazione del Ministero. Ritiene che tale previsione sia molto ragionevole essendo le biblioteche «universalità di beni» alla stregua delle collezioni d'arte e, in quanto tali, portatrici di un valore che va molto oltre quello della somma dei singoli beni.
Con particolare attenzione, come era prevedibile, il parere della Conferenza unificata affronta la questione della valorizzazione dei beni di appartenenza pubblica, di cui all'articolo 112. Con le modifiche proposte, al comma 2 si specifica che la legislazione regionale definisce non già la valorizzazione dei beni non statali, ma piuttosto «le funzioni e le attività di valorizzazione». Al comma 4, si propone la possibilità, per i diversi attori del sistema, di stipulare accordi al fine di coordinare, armonizzare ed integrare le attività di valorizzazone dei beni culturali di appartenenza pubblica su base regionale o nell'ambito di sistemi territoriali definiti, comprendendo nel processo anche i beni di proprietà privata. Ritiene che tale previsione vada nel senso di soddisfare la «lettera» del nuovo titolo V della Costituzione, ma rileva che il Codice non soddisfa in alcun modo la previsione dei terzo comma dell'articolo 118 della Costituzione (che prevede che la legge statale disciplini forme di coordinamento fra Stato e Regioni nelle materie di cui alle lettere b) e h) del secondo comma dell'articolo 117, e disciplini inoltre forme di intesa e coordinamento nella materia della tutela dei beni culturali). Osserva che nulla è previsto rispetto a forme di coordinamento amministrativo rispetto alla tutela, dato che il Ministero si è limitato a trasmettere alle regioni le funzioni di tutela relativamente ad alcuni beni, sicuramente di grande importanza, ma altrettanto certamente meno carismatici. Riconosce comunque che la formulazione dell'articolo 112 prospettata dalla Conferenza unificata è assai più soddisfacente di quella inizialmente presentata dal Governo.
Dichiara quindi di ritenere condivisibile la modifica proposta dalla Conferenza unificata all'articolo 114 rispetto alla fissazione di livelli minimi uniformi delle attività di valorizzazione. Importante giudica anche la diversificazione proposta tra attività e processi di valorizzazione, di cui al comma 1 dell'articolo 115. Al proposito, sottolinea, che il Codice, ai commi 4 e seguenti, determina quali debbano essere le forme di gestione dei beni di proprietà pubblica, e che una sentenza della Corte costituzionale ha stabilito, relativamente al testo unico degli enti locali, che lo Stato non può determinare quali possano essere le forme di gestione di servizi privi di rilevanza economica (per quello portatori di rilevanza economica vale la tutela della concorrenza che è tra le materie la cui competenza legislativa è statale). Ritiene al proposito discutibile che i servizi di gestione di beni culturali possano essere annoverati tra quelli di rilevanza economica. Rimane, quindi, il dubbio che la sentenza della Corte possa essere applicata anche all'articolo 115 del Codice.
In definitiva, ritiene che il provvedimento all'esame della Commissione, anche se pone rimedio ad alcune incongruenze formali del testo originario e corregge previsioni addirittura dannose per il patrimonio culturale, non intervenga sulle carenze del decreto legislativo del 2004. Rimane, quindi, irrisolto il sostanziale problema dell'attuazione del Titolo V della Costituzione in tema di valorizzazione (ma neanche si prende una posizione organica ed efficace circa le funzioni amministrative della tutela): le previsioni contenute nel Codice si sono fino ad oggi dimostrate inadeguate e non all'altezza dei problemi del patrimonio e del territorio. Al contrario, anziché chiarire e rendere il Codice un testo organizzato e in grado di regolare la vasta e variegata materia del patrimonio culturale, si introducono previsioni tendenti a frammentarne gli interventi. Conclusivamente esprime l'auspicio che nelle settimane che mancano alla chiusura delle legislatura, non siano introdotte ulteriori nuove previsioni occasionali e contingenti che portano con sé confusione, incertezze interpretative per gli addetti e rischi per il patrimonio.
Ferdinando ADORNATO, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.
La seduta termina alle 14.35.
ALLEGATO 1
Schema di decreto legislativo recante correzioni e integrazioni al Codice di beni culturali e del paesaggio, in relazione ai beni culturali (atto n. 594).
PROPOSTA DI PARERE DEL RELATORE
La VII Commissione (Cultura, scienza e istruzione),
esaminato lo schema di decreto legislativo recante correzioni e integrazioni al Codice dei beni culturali e del paesaggio, in relazione ai beni culturali;
valutato positivamente, nel suo complesso, il provvedimento in oggetto, che - unitamente allo schema di decreto legislativo recante correzioni e integrazioni al Codice dei beni culturali e del paesaggio, in relazione al paesaggio - porta a compimento la procedura di riordino e codificazione della legislazione statale in materia di tutela e valorizzazione dei beni culturali e del paesaggio, avviato con il conferimento della delega conferita dall'articolo 10 della legge n. 137 del 2002;
ritenuto che il suddetto processo di riordino costituisca un passaggio di importanza storica per il settore dei beni culturali, costituendo il primo intervento di organica revisione della disciplina vigente in materia dopo le cosiddette «leggi Bottai» del 1939 e la normativa sugli archivi del 1963;
considerato che le correzioni e integrazioni proposte dallo schema in oggetto appaiono nel complesso condivisibili e necessarie, essendo essenzialmente volte, da una parte, alla riformulazione di alcune disposizioni per rendere più intelligibile la volontà del legislatore e per favorirne l'efficace attuazione, e, dall'altra, ad adeguare il Codice alle disposizioni norme sopravvenute successivamente alla sua entrata in vigore;
visto il parere favorevole espresso sul provvedimento in titolo dalla Conferenza unificata di cui all'articolo 8, comma 1, del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, nella seduta del 26 gennaio 2006;
ritenute condivisibili e opportune le modifiche e le integrazioni concordate in tale sede tra Governo, regioni ed enti locali e indicate nell'Allegato A al suddetto parere;
ritenuto altresì necessario apportare alcune ulteriori modifiche al provvedimento, in particolare in relazione all'opportunità di:
fissare un termine massimo entro cui si debbono concludere i procedimenti di accreditamento delle istituzioni formative per restauratori, di cui all'articolo 29, comma 9, del Codice;
correggere la denominazione della Scuola europea di conservazione e restauro di beni librari di Spoleto, cui si fa riferimento all'articolo 182, comma 1, lettera d), del Codice, come sostituito dall'articolo 4, comma 1, lettera a), numero 1), dello schema in oggetto;
portare dalla fine del 2005 alla fine 2006, in considerazione del tempo trascorso successivamente alla predisposizione dello schema in esame, il termine entro il quale può essere conseguito il diploma presso una scuola di restauro statale o regionale di durata non inferiore a due anni ai fini dell'acquisizione della qualifica di restauratore di beni culturali, ai sensi dell'articolo 182, comma 1-bis, lettera b), del Codice, introdotto dall'articolo 4, comma 1, lettera a), numero 1), dello schema in oggetto;
prevedere, in relazione alle medesime disposizioni di cui all'articolo 182, comma 1-bis, lettera b), del Codice, introdotto dall'articolo 4, comma 1, lettera a), numero 1), dello schema in oggetto, che sia estesa anche alla Accademie di belle arti che abbiano attivato corsi di formazione in restauro la possibilità di fruire della disciplina transitoria ivi prevista, consentendo a quanti si sono diplomati presso tali corsi entro il 2006 di acquisire la qualifica di restauratore di beni culturali, previo superamento di una apposita prova di idoneità;
procedere al coordinamento dei tempi previsti nell'ambito del procedimento per l'esercizio della prelazione, di cui all'articolo 62, da parte delle regioni e degli enti locali;
esprime:
PARERE FAVOREVOLE
con le seguenti condizioni:
1) siano apportate allo schema in esame le modifiche di cui all'allegato A del parere espresso dalla Conferenza unificata nella seduta del 26 gennaio 2006;
2) all'articolo 2, comma 1, lettera m), dopo il numero 1) sia aggiunto il seguente: «1-bis) al comma 9, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: "Il procedimento di accreditamento si conclude con provvedimento adottato entro novanta giorni dalla presentazione della domanda corredata dalla prescritta documentazione"»;
3) all'articolo 4, comma 1, lettera a):
al capoverso «comma 1 - lettera d)» le parole: «Scuola europea in formazione specialistica dei beni librari di Spoleto» siano sostituite dalle seguenti: «Scuola europea di conservazione e restauro di beni librari di Spoleto»;
al capoverso «comma 1-bis - lettera b)» la parola: «2005» sia sostituita dalla seguente: «2006»;
al capoverso «comma 1-bis» dopo la lettera b), sia aggiunta la seguente: «b-bis) colui che abbia conseguito o consegua entro il 2006 un diploma presso una accademia di belle arti ad indirizzo di restauro»;
e con la seguente osservazione:
si valuti l'opportunità di procedere al coordinamento dei tempi previsti nell'ambito del procedimento per l'esercizio della prelazione, di cui all'articolo 62, quando essa sia attivata da parte delle regioni e degli enti locali.
ALLEGATO 2
Schema di decreto legislativo recante correzioni e integrazioni al Codice di beni culturali e del paesaggio, in relazione ai beni culturali (atto n. 594).
PROPOSTA DI PARERE PRESENTATA DAL DEPUTATO CARLI
La VII Commissione (Cultura, scienza e istruzione),
premesso che:
lo schema di decreto sottoposto al parere parlamentare attiene alle modifiche del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42. Tali modifiche discendono da quanto stabilito dalla legge di delega originaria n. 137 del 2002, che prevede, al comma 4 dell'articolo 10, la possibilità per il Governo di adottare disposizioni correttive ed integrative «nel rispetto degli stessi principi e criteri direttivi e con le medesime procedure di cui al presente articolo, entro due anni dalla data della loro entrata in vigore»;
il decreto legislativo n. 42 del 2004 attribuisce alla disciplina di tutela dei beni culturali e paesaggistici la natura giuridica di codice che, come è noto, si distingue nella dottrina giuridica dalle leggi ordinarie per le particolari caratteristiche di compattezza e durevolezza. Il Codice dei beni culturali e paesaggistici risulta, invece, avere già subito diverse modifiche, integrazioni e correzioni;
lo schema di decreto oggetto del presente parere parlamentare comporta modifiche del decreto legislativo n. 42 del 2004 di natura sia formale, sia integrativa, sia modificativa dei testo originario e, in diversi casi, dello spirito e dei princìpi direttivi stabiliti nella richiamata legge di delega n. 137 del 2002;
in merito all'attuazione dei principi della ripartizione in materia di beni culturali delle competenze legislative ed amministrative tra lo Stato, le regioni e gli enti locali previsti dal titolo V della Costituzione, le modifiche del Codice dei beni culturali contenute nel nuovo schema di decreto non rispondono alla necessità di individuare le sedi e gli strumenti della leale collaborazione tra i diversi livelli di governo della Repubblica e di rendere possibile l'esercizio unitario delle funzioni di tutela e di valorizzazione dei patrimonio culturale italiano. Permane perciò una oggettiva compressione delle competenze delle regioni e degli locali a favore delle competenze statali;
viene introdotto il ricorso amministrativo anche per la verifica dell'interesse culturale, laddove era previsto esclusivamente avverso la dichiarazione di interesse, ovvero la procedura di apposizione del vincolo sui beni culturali di appartenenza privata. Non risulta, altresì, chiaro se il ricorso amministrativo sulla verifica dell'interesse culturale possa essere agito anche avverso la verifica dell'interesse con esito negativo e, quindi, alla conseguente sdemanializzazione del bene;
la nuova formulazione dell'articolo 21 come proposta dal presente schema di decreto legislativo risulta piuttosto ambigua. Al nuovo comma 4, infatti, si prescrive che l'esecuzione di opere e lavori sui beni culturali è subordinata all'autorizzazione del soprintendente ma, al tempo stesso, si stabilisce che il cambiamento della destinazione d'uso dei beni è semplicemente comunicato al soprintendente, il quale sembra così escluso da qualunque funzione di autorizzazione;
le modifiche proposte dell'articolo 62 e dell'articolo 70 del Codice dei beni culturali, che riguardano rispettivamente l'esercizio della prelazione e l'acquisto coattivo di beni culturali da parte di soggetti pubblici, ristabiliscono un accentramento e un affidamento eccessivi alla discrezionalità dei Ministero per i beni e le attività culturali. Questa scelta contiene il rischio di restringere inutilmente la capacità di intervento delle regioni su beni che appartengono ai propri territori;
sull'insegnamento e l'esercizio dell'attività di restauro che, peraltro, risulta essere l'unica tra le attività professionali, tecniche e scientifiche afferenti i beni culturali ad essere regolata per via legislativa, si stabilisce che l'esame finale compiuto presso le scuole di restauro, pubbliche o private purché accreditate presso il Ministero competente, è valido come esame di Stato, abilitante all'esercizio della professione. Il medesimo esame viene equiparato al diploma di laurea specialistica o magistrale, ma i profili della competenza, i criteri e livelli di qualità dei corsi e la loro durata, le modalità di accreditamento ed requisiti minimi organizzativi e di funzionamento delle scuole suddette saranno stabiliti solo successivamente con decreti del Ministro per i beni e le attività culturali. Si deve rilevare che in nessun caso nell'ordinamento giuridico italiano, con l'unica eccezione delle professioni sanitarie e docenti, l'esame finale sostenuto presso le scuole è equiparato ad un esame di Stato abilitante all'esercizio di una professione. Non è chiaro, altresì, quali siano i requisiti necessari agli studenti per accedere alle scuole di alta formazione e di studio. Fermo restando che attualmente è richiesto unicamente il diploma di scuola media superiore, deve essere chiarito se la norma qui prevista abbia valore retroattivo e se il requisito richiesto per l'accesso a queste scuole continuerà ad essere quello del possesso del diploma di scuola superiore di secondo grado. Si creerebbe così una evidente sperequazione con gli studenti dei corsi di laurea che, come noto, acquisiscono la laurea magistrale al termine di un percorso quinquennale di formazione. Peraltro, tali corsi di alta formazione e di studio, pur conducendo al conseguimento di un titolo equiparato alla laurea magistrale, non sono sottoposti ad alcun controllo da parte dei competenti organi del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
le proposte di modifica all'articolo 115 del decreto legislativo n. 42 del 2004 sulla gestione diretta dei beni culturali, ampliando il novero dei soggetti concessionari e introducendo una serie di cautele nel contratto di servizi, non appaiono comunque abbastanza solide sugli strumenti di controllo, di valutazione e di eventuale surroga a disposizione del Ministero sull'operato del concessionario;
la questione della valorizzazione (articolo 112 del decreto legislativo n. 42 del 2004) sarebbe dovuta essere al centro delle modifiche contenute nello schema di decreto all'esame. Al contrario, ancora una volta si affronta il problema in maniera superficiale e sostanzialmente inefficace. Infatti, si trascura la previsioni di luoghi di concertazione, programmazione e cooperazione degli interventi di valorizzazione tra i diversi livelli di governo e tra questi ed i soggetti privati, limitandosi alla previsione di accordi disorganici e solo su base regionale, dimenticando che le logiche contestuali dei patrimonio non coincidono con i confini amministrativi regionali. Non si interviene, inoltre, per favorire la progettazione locale e nazionale degli interventi, l'ottimizzazione delle risorse destinate alla valorizzazione, la promozione di accordi gli accordi interregionali. Si dimentica che se è imprescindibile l'esercizio unitario della tutela, non è meno importante ai fini della crescita culturale dei cittadini, l'esercizio coerente e sintonico delle attività di valorizzazione sul territorio;
con l'occasione fornita dal presente schema di decreto di modifica del Codice dei beni culturali si poteva rimediare alla dannosa istituzione dell'Archivio storico della Presidenza dei Consiglio dei Ministri, che rischia di deprivare altre istituzioni di documentazione fruibile ai ricercatori, fermo restando che, come è stato sottolineato da numerosi studiosi, gli «archivi separati non sono stati modello di efficienza e disponibilità per il pubblico»;
tutto ciò considerato,
esprime
PARERE CONTRARIO.
VII COMMISSIONE PERMANENTE
(Cultura,
scienza e istruzione))
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ATTI DEL GOVERNO
Mercoledì 22 febbraio 2006. - Presidenza del presidente Ferdinando ADORNATO. - Interviene il sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca Maria Grazia Siliquini.
La seduta comincia alle 14.05.
Schema di decreto legislativo recante correzioni e integrazioni al Codice dei beni culturali e del paesaggio, in relazione ai beni culturali. Atto n. 594.
(Seguito dell'esame e conclusione - Parere favorevole con condizioni e osservazioni).
La Commissione prosegue l'esame, rinviato, da ultimo, l'8 febbraio 2006.
Ferdinando ADORNATO, presidente, avverte che la V Commissione, ai sensi dell'articolo 96-ter, comma 2, del regolamento, ha valutato favorevolmente lo schema di decreto legislativo in esame, formulando peraltro alcuni rilievi sulle sue conseguenze di carattere finanziario.
Andrea Giorgio Felice Maria ORSINI (FI), relatore, segnala l'esigenza di apportare alcune integrazioni alla proposta di parere da lui presentata nella seduta dell'8 febbraio 2006 (vedi allegato 1, alle pagine 111 e 112 del Bollettino delle Giunte e delle Commissioni parlamentari dell'8 febbraio 2006).
In primo luogo, ritiene opportuno valutare la possibilità di un'ulteriore valorizzazione del ruolo che le Accademie di belle arti possono svolgere nell'ambito dei percorsi di formazione dei restauratori di beni culturali. Sul punto interviene già una delle condizioni contenute nella sua proposta di parere, chiedendo di introdurre una lettera aggiuntiva al comma 1-bis del nuovo testo dell'articolo 182 del Codice, ai sensi della quale la qualifica di restauratore di beni culturali può essere attribuita, previo superamento di una prova di idoneità, a quanti conseguano entro il 2006 un diploma presso una accademia di belle arti ad indirizzo di restauro. Ritiene che ulteriori interventi potrebbero essere adottati sia con riferimento ai diplomi quadriennali rilasciati dalle Accademie nel previgente ordinamento, sia - eventualmente - per quanto attiene alla disciplina a regime dell'insegnamento del restauro, prevista dall'articolo 29 del Codice. Considerato tuttavia che eventuali interventi in tal senso debbono essere attentamente valutati, anche in considerazione delle rilevanti competenze che, in materia, spettano al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, ritiene opportuno che il parere della Commissione si limiti a invitare il Governo a valutare le modalità per rafforzare ulteriormente, oltre che ai sensi di quanto già previsto dal parere, il ruolo delle Accademie di belle arti nell'ambito dei percorsi di formazione dei restauratori di beni culturali, rimettendo al Governo stesso la definitiva valutazione degli interventi da adottare. Ritiene quindi opportuno riformulare la propria proposta di parere, in primo luogo, al fine di includervi un'ulteriore osservazione che vada nel senso testé indicato.
Illustra quindi una serie di ulteriori integrazioni della proposta di parere, concernenti una serie di questioni già emerse nel corso della discussione svolta sul provvedimento presso la VII Commissione del Senato e confluite nel parere da essa approvato. Un primo gruppo di questioni riguarda alcuni passaggi del Codice su cui lo schema in esame attualmente non interviene. Si tratta, nello specifico, dell'opportunità di introdurre una modifica all'articolo 1, comma 2, del Codice, al fine di precisare che la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale concorrono a preservare anche l'identità della comunità nazionale, oltre che la sua memoria; di riconoscere, nell'ambito delle disposizioni di cui all'articolo 10 del Codice, la specificità dei prodotti audiovisivi, prevedendo che la qualifica di bene culturale sia attribuita anche ai loro contenuti, oltre che ai relativi supporti aventi carattere di rarità e di pregio; e di sancire l'obbligo, per lo Stato e per gli enti territoriali, di richiedere, in sede di definizione di bandi concorsuali, il possesso di requisiti uniformi da parte degli operatori nel settore della conservazione dei beni culturali.
Quanto alle parti del Codice su cui invece lo schema in esame già interviene, ritiene che il Governo dovrebbe valutare l'opportunità di riformulare l'articolo 2, comma 1, lettera a), numero 2), dello schema, concernente le cose di interesse numismatico, facendo riferimento ai beni che presentino valenza storica, archeologica o artistica in rapporto all'epoca, alle tecniche e ai materiali, nonché ai contesti di riferimento. Inoltre, con riferimento agli articoli 112 e 115 del Codice e alle modifiche che verrebbero ad essi apportate con lo schema in esame, anche in accoglimento delle richieste avanzate in sede di Conferenza unificata, occorrerebbe a suo avviso delineare più chiaramente la distinzione tra processi e attività di valorizzazione, riferendo il termine «processi» alle decisioni strategiche in tema di valorizzazione e il termine «attività» alle singole, concrete operazioni di valorizzazione. In relazione alle medesime disposizioni ritiene poi che si debba richiamare la necessità di assicurare la piena rispondenza delle procedure di valutazione alle istanze comunitarie vigenti in materia, nonché, con specifico riferimento all'articolo 115, prevedere che il progetto di valorizzazione indichi anche la clausola risolutiva espressa prevista dal codice civile, la definizione dei livelli di qualità e professionali degli addetti e la clausola penale di cui all'articolo 1382 del codice civile.
Infine, ritiene opportuno accogliere nella propria proposta di parere i rilievi formulati dalla V Commissione in ordine alle conseguenze di carattere finanziario del provvedimento, tramite quattro apposite ulteriori condizioni, sostanzialmente volte a introdurre clausole di invarianza finanziaria di alcune disposizioni introdotte nel Codice dallo schema in esame.
Riformula pertanto la propria proposta di parere nei termini indicati (vedi allegato 1).
Carlo CARLI (DS-U) esprime apprezzamento per le integrazioni testé annunciate del parere del relatore, pur rilevando come molte di esse derivino sostanzialmente da quelle introdotte nel parere approvato dal Senato su richiesta dei gruppi di opposizione. Evidenzia peraltro come il giudizio sullo schema in esame non possa prescindere da una più complessiva valutazione circa il Codice dei beni culturali, sul quale ribadisce la contrarietà del suo gruppo, che continua a ritenere che si sia trattato di un intervento complessivamente inutile e, per alcuni aspetti, controproducente. Sottolinea come l'intervento legislativo voluto dalla maggioranza al riguardo abbia inciso su un impianto normativo coerente, messo a punto nel corso della precedente legislatura, che non abbisognava di un intervento di tale portata, effettuato peraltro senza la necessaria ponderazione. Ricorda che l'allora Ministro per i beni e le attività culturali Urbani, nel corso del dibattito che condusse all'approvazione di quella riforma, dichiarò con enfasi che essa avrebbe conservato per decenni la sua validità, mentre, alla prova dei fatti, numerosi sono stati negli ultimi due anni gli interventi normativi frettolosamente approvati dalla maggioranza che hanno inciso sul Codice. Nel valutare favorevolmente la decisione dell'esecutivo di tornare indietro rispetto alla perniciosa innovazione del silenzio-assenso, sottolinea invece con rammarico come la proposta di parere del relatore non contenga alcun accenno, neanche nella sua nuova formulazione, alla delicata questione dell'Archivio storico della Presidenza del Consiglio, che reputa necessario abolire, considerati i suoi probabili effetti negativi per la fruibilità dei documenti da parte della comunità scientifica.
Ferdinando ADORNATO, presidente, avverte che sarà posta in votazione prima la proposta di parere del relatore, come riformulata, e che in caso di sua approvazione risulterà preclusa la proposta di parere contrario, alternativa a quella del relatore, presentata dal deputato Carli (vedi allegato 2, alle pagine 113 e seguenti del Bollettino delle Giunte e delle Commissioni parlamentari dell'8 febbraio 2006).
Giovanna GRIGNAFFINI (DS-U), intervenendo per dichiarazione di voto, annunzia l'astensione del proprio gruppo sulla proposta di parere del relatore. Esprime quindi apprezzamento per il lavoro svolto dal relatore, che reputa tuttavia tardivo - considerato che in gran parte si è limitato a recepire sollecitazioni avanzate in altre sedi - e insufficiente, soprattutto con riferimento alla questione sollevata dell'Archivio della Presidenza del Consiglio, in ordine alla quale esprime l'auspicio che il relatore possa ulteriormente modificare la propria proposta di parere, al fine di includervi almeno un accenno alla necessità di tornare a riflettere sulla questione. Avverte peraltro che, quale che sia la decisione del relatore, essa non modificherà l'orientamento di voto da lei precedentemente annunziato.
Andrea Giorgio Felice Maria ORSINI (FI), relatore, nel riconoscere che la questione dell'Archivio storico della Presidenza del Consiglio merita un'attenta riflessione, ritiene peraltro che non sia questa la sede più appropriata per affrontarla. Dichiara pertanto di non considerare opportuno apportare ulteriori modifiche alla propria proposta di parere.
Nessun altro chiedendo di intervenire, la Commissione approva la proposta di parere del relatore, come riformulata nel corso della seduta.
Ferdinando ADORNATO, presidente, avverte che la votazione sulla proposta di parere alternativa presentata dal deputato Carli è preclusa dall'approvazione del parere del relatore.
Sui lavori della Commissione.
Ferdinando ADORNATO, presidente, in considerazione della loro stretta connessione, propone che la Commissione proceda all'esame congiunto dei quattro schemi di decreto ministeriale relativi, rispettivamente, alle classi di laurea, alle classi di laurea magistrale, alle classi delle lauree magistrali sanitarie e alle classi di laurea e di laurea magistrale in scienze criminologiche (atti n. 617, 618, 619 e 626), fermo restando che l'esame si concluderà procedendo disgiuntamente alle votazioni sulle rispettive proposte di parere.
La Commissione concorda.
ALLEGATO 1
Schema di decreto legislativo recante correzioni e integrazioni al Codice dei beni culturali e del paesaggio, in relazione ai beni culturali (atto n. 594).
PROPOSTA DI PARERE DEL RELATORE RIFORMULATA E APPROVATA DALLA COMMISSIONE
La VII Commissione (Cultura, scienza e istruzione),
esaminato lo schema di decreto legislativo recante correzioni e integrazioni al Codice dei beni culturali e del paesaggio, in relazione ai beni culturali;
valutato positivamente, nel suo complesso, il provvedimento in oggetto, che - unitamente allo schema di decreto legislativo recante correzioni e integrazioni al Codice dei beni culturali e del paesaggio, in relazione al paesaggio - porta a compimento la procedura di riordino e codificazione della legislazione statale in materia di tutela e valorizzazione dei beni culturali e del paesaggio, avviato con il conferimento della delega conferita dall'articolo 10 della legge n. 137 del 2002;
ritenuto che il suddetto processo di riordino costituisca un passaggio di importanza storica per il settore dei beni culturali, costituendo il primo intervento di organica revisione della disciplina vigente in materia dopo le cosiddette «leggi Bottai» del 1939 e la normativa sugli archivi del 1963;
considerato che le correzioni e integrazioni proposte dallo schema in oggetto appaiono nel complesso condivisibili e necessarie, essendo essenzialmente volte, da una parte, alla riformulazione di alcune disposizioni per rendere più intelligibile la volontà del legislatore e per favorirne l'efficace attuazione, e, dall'altra, ad adeguare il Codice alle disposizioni norme sopravvenute successivamente alla sua entrata in vigore;
visto il parere favorevole espresso sul provvedimento in titolo dalla Conferenza unificata di cui all'articolo 8, comma 1, del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, nella seduta del 26 gennaio 2006;
ritenute condivisibili e opportune le modifiche e le integrazioni concordate in tale sede tra Governo, regioni ed enti locali e indicate nell'Allegato A al suddetto parere;
ritenuto altresì necessario apportare alcune ulteriori modifiche al provvedimento, tra cui si segnalano in particolare quelle relative all'opportunità di:
fissare un termine massimo entro cui si debbono concludere i procedimenti di accreditamento delle istituzioni formative per restauratori, di cui all'articolo 29, comma 9, del Codice;
correggere la denominazione della Scuola europea di conservazione e restauro di beni librari di Spoleto, cui si fa riferimento all'articolo 182, comma 1, lettera d), del Codice, come sostituito dall'articolo 4, comma 1, lettera a), numero 1), dello schema in oggetto;
portare dalla fine del 2005 alla fine 2006, in considerazione del tempo trascorso successivamente alla predisposizione dello schema in esame, il termine entro il quale può essere conseguito il diploma presso una scuola di restauro statale o regionale di durata non inferiore a due anni ai fini dell'acquisizione della qualifica di restauratore di beni culturali, ai sensi dell'articolo 182, comma 1-bis, lettera b), del Codice, introdotto dall'articolo 4, comma 1, lettera a), numero 1), dello schema in oggetto;
valorizzare il ruolo delle Accademie di belle arti nei percorsi di formazione dei restauratori di beni culturali, prevedendo quanto meno, in relazione alle citate disposizioni di cui all'articolo 182, comma 1-bis, lettera b), del Codice, introdotto dall'articolo 4, comma 1, lettera a), numero 1), dello schema, che sia estesa anche alle Accademie che abbiano attivato corsi di formazione in restauro la possibilità di fruire della disciplina transitoria ivi prevista, consentendo a quanti si sono diplomati presso tali corsi entro il 2006 di acquisire la qualifica di restauratore di beni culturali, previo superamento di una apposita prova di idoneità;
procedere al coordinamento dei tempi previsti nell'ambito del procedimento per l'esercizio della prelazione, di cui all'articolo 62, da parte delle regioni e degli enti locali;
richiamati i rilievi espressi dalla V Commissione Bilancio, tesoro e programmazione della Camera dei deputati, nella seduta del 22 febbraio 2006;
esprime:
PARERE FAVOREVOLE
con le seguenti condizioni:
1) siano apportate allo schema in esame le modifiche di cui all'allegato A del parere espresso dalla Conferenza unificata nella seduta del 26 gennaio 2006;
2) all'articolo 2, comma 1, lettera m), dopo il numero 1) sia aggiunto il seguente: «1-bis) al comma 9, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: "Il procedimento di accreditamento si conclude con provvedimento adottato entro novanta giorni dalla presentazione della domanda corredata dalla prescritta documentazione"»;
3) all'articolo 2, comma 1, lettera m), numero 3), capoverso comma 11, sia aggiunto, in fine, il seguente periodo: «All'attuazione del presente comma si provvede nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica»;
4) all'articolo 2, comma 1, lettera ff), capoverso comma 7-bis, sia aggiunto, in fine, il seguente periodo: «All'attuazione del presente comma si provvede nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica»;
5) all'articolo 4, comma 1, lettera a):
al capoverso comma 1 - lettera d) le parole: «Scuola europea in formazione specialistica dei beni librari di Spoleto» siano sostituite dalle seguenti: «Scuola europea di conservazione e restauro di beni librari di Spoleto»;
al capoverso comma 1-bis - lettera b) la parola: «2005» sia sostituita dalla seguente: «2006»;
al capoverso comma 1-bis dopo la lettera b), sia aggiunta la seguente: «b-bis) colui che abbia conseguito o consegua entro il 2006 un diploma presso una accademia di belle arti ad indirizzo di restauro»;
al capoverso comma 1-quater, dopo le parole: «il Ministero medesimo» siano aggiunte le seguenti: «, nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica»;
6) all'articolo 4, comma 1, lettera b), numero 1), le parole: «182, comma 2» siano sostituite dalle seguenti: «182, commi 1 e 2»;
e con le seguenti osservazioni:
si valuti l'opportunità:
a) di introdurre una modifica all'articolo 1, comma 2, del Codice, al fine di precisare che la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale concorrono a preservare anche l'identità della comunità nazionale, oltre che la sua memoria;
b) di riconoscere, nell'ambito delle disposizioni di cui all'articolo 10 del Codice, la specificità dei prodotti audiovisivi, considerato che nel loro caso il bene culturale consiste anche e soprattutto dei loro contenuti, oltre che - come già previsto dalla normativa vigente - nei relativi supporti che abbiano carattere di rarità e di pregio;
c) in relazione alle disposizioni sulle cose di interesse numismatico di cui al medesimo articolo 10 del Codice, di riformulare l'articolo 2, comma 1, lettera a), numero 2), dello schema in esame facendo riferimento ai beni che presentino valenza storica, archeologica o artistica in rapporto all'epoca, alle tecniche e ai materiali, nonché ai contesti di riferimento;
d) di procedere al coordinamento dei tempi previsti nell'ambito del procedimento per l'esercizio della prelazione, di cui all'articolo 62, quando essa sia attivata da parte delle regioni e degli enti locali;
e) con riferimento agli articoli 112 e 115 del Codice e alle modifiche che verrebbero ad essi apportate con lo schema in esame, anche in accoglimento delle richieste avanzate in sede di Conferenza unificata, di delineare più chiaramente la distinzione tra processi e attività di valorizzazione, riferendo il termine «processi» alle decisioni strategiche in tema di valorizzazione e il termine «attività» alle singole, concrete operazioni di valorizzazione, nonché di assicurare la piena rispondenza di tali disposizioni alle istanze comunitarie vigenti in materia; con specifico riferimento all'articolo 115, inoltre, appare opportuno prevedere che il progetto di valorizzazione indichi anche: la clausola risolutiva espressa prevista dal codice civile; la definizione dei livelli di qualità e professionali degli addetti; la clausola penale di cui all'articolo 1382 del codice civile;
f) di sancire l'obbligo per lo Stato e per gli enti territoriali di richiedere, in sede di definizione di bandi concorsuali, il possesso di requisiti uniformi da parte degli operatori nel settore della conservazione dei beni culturali;
g) di individuare le modalità, in accordo con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per rafforzare ulteriormente, oltre che ai sensi di quanto previsto dal terzo capoverso della condizione numero 5), il ruolo delle Accademie di belle arti nell'ambito dei percorsi di formazione dei restauratori di beni culturali.
VIII COMMISSIONE PERMANENTE
(Ambiente,
territorio e lavori pubblici)
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ATTI DEL GOVERNO
Mercoledì 1° febbraio 2006. - Presidenza del presidente Pietro ARMANI. - Interviene il sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio, Stefano Stefani.
La seduta comincia alle 14.05.
Schema di decreto legislativo recante disposizioni correttive e integrative del codice dei beni culturali e del paesaggio, in relazione al paesaggio. Atto n. 595.
(Esame e rinvio).
La Commissione inizia l'esame.
Francesco STRADELLA (FI), relatore, ricorda che lo schema di decreto in esame contiene disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo n. 42 del 2004 (cosiddetto «Codice Urbani»), ai sensi dell'articolo 10, comma 4, della legge 6 luglio 2002, n. 137, il quale prevede che disposizioni correttive ed integrative dei decreti legislativi emanati in attuazione della delega in essa contenuta possono essere adottate, nel rispetto degli stessi princìpi e criteri direttivi e con le medesime procedure, entro due anni dalla data della loro entrata in vigore. Essendo il decreto legislativo n. 42 entrato in vigore il 1o maggio 2004, il termine previsto dalla legge per l'emanazione dei decreti correttivi è ormai prossimo alla scadenza. Si tratta, pertanto, di un intervento di manutenzione normativa, già previsto dal legislatore delegante. Fa presente che tutto ciò rientra nella natura stessa del riordino di interi settori dell'ordinamento giuridico, in quanto è evidente che, durante la prima fase di applicazione delle nuove norme, emergono problemi attuativi, lacune o - a volte - veri e propri errori, che occorre correggere. Osserva che, in questo caso, l'intervento normativo ha in gran parte natura di miglioramento tecnico del testo. Segnala, tuttavia, che esistono dei nodi - che hanno anche un rilievo politico - i quali devono essere messi bene in evidenza durante l'esame parlamentare.
Rileva che il primo di questi nodi riguarda il rapporto fra Stato e regioni nella tutela del paesaggio. Ricorda come le regioni abbiano espresso, in sede di Conferenza unificata, un parere negativo, contestando quasi la legittimità costituzionale di un intervento statale con questi contenuti. Rileva la necessità, pertanto, che su questo punto il Parlamento si esprima chiaramente. In proposito, sottolinea che qualunque tentativo di assorbire la legislazione sul paesaggio all'interno della nozione ampia e generica di governo del territorio, e di affermare che le competenze legislative devono essere totalmente condivise tra Stato e regioni, sarebbe privo di qualunque fondamento giuridico e, su questo, sembra che vi sia unanimità di opinioni anche fra i più regionalisti fra i giuristi. Ritiene, comunque, che in questo caso il problema non sia dividersi fra regionalisti e statalisti, posto che le regioni esercitano funzioni crescenti e importantissime nell'ordinamento, ma è evidente che, proprio mentre il sistema va nella direzione di un sempre più marcato federalismo, assumono importanza decisiva quelle funzioni di raccordo che devono essere esercitate a livello statale. Ciò si è verificato, a suo avviso, nella vicenda della cosiddetta «legge obiettivo», dove una tesi solo superficialmente regionalista o federalista (ma in realtà del tutto illogica) voleva contestare la legittimità di una legislazione statale per le opere strategiche. Analoghe considerazioni valgono per la tutela dell'ambiente, dove ritiene non contestabile una insostituibile funzione unificante della normativa statale, pena il sacrificio degli interessi generali (quali la tutela dell'ambiente) alle spinte localistiche. Osserva che anche la tutela del paesaggio rappresenta uno di questi grandi settori normativi, in cui solo un esercizio unificante delle leggi e dei controlli statali può garantire che la tutela sia effettiva, che gli interessi locali e di breve periodo, a cui sono giustamente sensibili le amministrazioni locali, prevalgano su quelli generali e di lungo periodo, che sono connessi alla tutela del paesaggio, inteso come parte del territorio dotato di una speciale connotazione «culturale-identitaria». Segnala che le amministrazioni locali - e le stesse regioni - non vengono umiliate nella loro autonomia e nelle loro competenze, se lo Stato esercita pienamente le sue funzioni in questo settore, mentre un decentramento spinto sarebbe illogico e controproducente, in quanto rischierebbe - non per cattiva volontà, ma per il gioco stesso della rappresentanza democratica - di affievolire o addirittura annullare le esigenze di tutela. Su questo punto si attende una posizione chiara da parte dei rappresentanti delle varie parti politiche presenti in Commissione, anche quelle che spesso criticano l'azione del Governo per una presunta scarsa attenzione ai problemi di tutela dei beni ambientali, culturali e paesistici.
Evidenzia, inoltre, le disposizioni mirate ad un adeguamento della normativa sanzionatoria, dopo i recenti interventi normativi operati dalla legge n. 308 del 2004. Anche in questo caso, giudica necessario fugare ogni dubbio, in quanto ritiene del tutto infondata giuridicamente la tesi che si sia in presenza di un nuovo condono. Si tratta, infatti, di norme relative non già alle domande di condono, che era stato disposto con la legge n. 308, i cui termini sono chiusi, riaprendosi solo l'obbligo di definizione nel merito, ma alle norme a regime, recate dall'articolo 167 del «Codice Urbani». Rileva che il contenuto di queste innovazioni è quello di razionalizzare la materia (fra l'altro sulla base di una esplicita sollecitazione in questo senso proveniente dal Consiglio di Stato), disciplinando i «piccoli abusi», che non vengono comunque condonati, ma in ogni caso sottoposti ad una valutazione dell'autorità competente, e - dall'altro lato - inasprendo in modo significativo le sanzioni per tutti gli abusi, che non rientrano nella precedente fattispecie. Infatti, per questi, viene superato il regime facoltativo fra sanzione pecuniaria e demolizione, per disporre invece - in via generale - che tutti gli abusi paesaggistici vengono puniti con la sanzione ripristinatoria. Ritiene che tale sistema, bilanciato e giuridicamente coerente, si avvicini - molto di più di quello vigente - alle richieste storiche di associazioni ambientaliste e di tutela del paesaggio e non può certamente essere equivocato da chiunque svolga un esame accurato delle norme in oggetto.
Intende, poi, svolgere alcune considerazioni in ordine ad un ultimo punto, che ha costituito ragione di contestazione da parte delle regioni, che riguarda la questione del procedimento per il rilascio dell'autorizzazione e dei beni assoggettabili a vincolo paesaggistico con provvedimento regionale. Al riguardo, osserva in primo luogo che, a seguito della redazione facoltativa del piano paesaggistico d'intesa fra Stato e Regione e dell'adeguamento dello strumento urbanistico comunale alle prescrizioni del piano stesso, risulterebbe già perseguito l'obiettivo della tutela, anche in connessione con la pianificazione urbanistica, poiché le prescrizioni paesaggistiche sono vincolanti per il comune in sede di rilascio del titolo abilitativo edilizio. Da parte di taluni, peraltro, alla luce di tale considerazione, è stata giudicata incongrua, rispetto al nuovo sistema della co-pianificazione paesaggistica, la norma che - in deroga al principio della non vincolatività del parere della soprintendenza, quando a monte vi è un atto di pianificazione concordato fra Stato e Regione - prescrive comunque il carattere vincolante del parere della soprintendenza in caso di delega ai comuni del potere di rilascio dell'autorizzazione paesaggistica. Segnala che la Commissione dovrà, dunque, occuparsi di tale questione, avendo peraltro la consapevolezza della assoluta rilevanza del presidio del parere della soprintendenza in talune aree del territorio.
Rileva, da ultimo, che la definizione di centro storico, propria della materia urbanistica e caratterizzata dalla non omogeneità degli immobili in essa ricompresi, non appare mutuabile ai fini della tutela del paesaggio, poiché è orientamento consolidato della giurisprudenza che il vincolo paesaggistico debba essere imposto su beni oggetto di puntuale individuazione. Per tali motivi, giudica opportuno valutare il contenuto dell'articolo 6, che interviene sull'articolo 136 del decreto legislativo n. 42, al fine di apportarvi le opportune modificazioni.
In conclusione, dichiara sin da ora che la proposta di parere, che si riserva di presentare, potrà certamente indicare osservazioni e richieste di modifica, ma comunque all'interno degli indirizzi generali, di cui ha testé dato conto nella propria relazione introduttiva.
Il sottosegretario Stefano STEFANI prende atto della relazione svolta dal relatore.
Pietro ARMANI, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.
La seduta termina alle 14.25.
VIII COMMISSIONE PERMANENTE
(Ambiente,
territorio e lavori pubblici)
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ATTI DEL GOVERNO
Giovedì 2 febbraio 2006. - Presidenza del presidente Pietro ARMANI. - Intervengono i sottosegretari di Stato per i beni e le attività culturali, Nicola Bono, e per l'ambiente e la tutela del territorio, Roberto Tortoli.
La seduta comincia alle 14.15.
Schema di decreto legislativo recante disposizioni correttive e integrative del codice dei beni culturali e del paesaggio, in relazione al paesaggio. Atto n. 595.
(Seguito dell'esame e rinvio).
La Commissione prosegue l'esame, rinviato il 1o febbraio 2006.
Pietro ARMANI, presidente, ricorda che nella seduta di ieri il relatore ha svolto la relazione illustrativa e che il seguito dell'esame del provvedimento è stato rinviato alla seduta odierna, anche al fine di acquisire le opportune informazioni dal rappresentante del Ministero dei beni e delle attività culturali.
Il sottosegretario Nicola BONO fa presente che il Ministero dei beni e delle attività culturali intende fornire precisazioni in ordine a taluni aspetti del provvedimento in esame, già evidenziati dal relatore, in maniera che giudica condivisibile, nella seduta di ieri.
Osserva che lo schema di decreto è, in primo luogo, finalizzato a correggere errori materiali, a fornire migliori formulazioni lessicali delle disposizioni, ovvero ad esprimere in termini chiari e giuridicamente più corretti alcuni concetti e istituti giuridici. Rientrano in questo ambito anche talune modifiche solo apparentemente cospicue - quali quelle apportate agli articoli 135 e 143 del Codice dei beni culturali e del paesaggio sulla pianificazione paesaggistica - che si risolvono, di fatto, nello spostamento di parti di un articolo nell'altro, allo scopo di raggiungere una migliore chiarezza espositiva e precisione concettuale, senza significative modifiche sostanziali a regime.
Rileva, inoltre, che il provvedimento in esame reca anche ulteriori disposizioni, che innovano sostanzialmente la disciplina vigente e che riguardano, in primo luogo, la razionalizzazione e la previsione di termini certi per il procedimento di vincolo di cui agli articoli 138, 139, 140 e 141 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, al fine di garantire certezza alle situazioni giuridiche ed evitare il protrarsi sine die, o per tempi troppo lunghi, degli effetti interinali di limite alla libertà e alla proprietà dei privati per effetto della comunicazione di avvio del procedimento di individuazione, non seguita da tempestiva conclusione. In secondo luogo, segnala l'introduzione di un indirizzo generale alle regioni all'articolo 146, comma 3, privo, peraltro, di effetti diretti immediati, per orientare l'eventuale delega agli enti locali della funzione di autorizzazione paesaggistica verso livelli territoriali (quali la provincia, piuttosto che i comuni) più adeguati. Evidenzia, poi, la previsione transitoria del carattere vincolante del parere della soprintendenza nel procedimento di autorizzazione paesaggistica, fino all'adeguamento congiunto Stato-regioni del piano paesaggistico ai dettami del Codice, prevista agli articoli 146, comma 8, e 143, comma 4. Rileva, infine, che il testo contiene una razionalizzazione del sistema sanzionatorio, resa urgente dalla vigenza della legge n. 308 del 2004.
Nel rilevare che si tratta di novità che pongono sul tappeto questioni note e importanti e mirano ad un rafforzamento degli strumenti di tutela, avverte pertanto che il Governo è disponibile ad accogliere eventuali suggerimenti, che dovessero essere segnalati dalla Commissione in ordine a modificazioni delle disposizioni precedentemente evidenziate.
Pietro ARMANI, presidente, preso atto dei chiarimenti forniti dal rappresentante del Governo, e considerato che non vi sono ulteriori richieste di intervento, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.
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(Ambiente,
territorio e lavori pubblici)
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ATTI DEL GOVERNO
Mercoledì 8 febbraio 2006. - Presidenza del presidente Pietro ARMANI. - Intervengono il ministro per i beni e le attività culturali, Rocco Buttiglione, e i sottosegretari di Stato per le infrastrutture e i trasporti, Mauro Del Bue, e per l'ambiente e la tutela del territorio, Roberto Tortoli.
La seduta comincia alle 14.30.
Schema di decreto legislativo recante disposizioni correttive e integrative del codice dei beni culturali e del paesaggio, in relazione al paesaggio. Atto n. 595.
(Seguito dell'esame e rinvio).
La Commissione prosegue l'esame, rinviato il 2 febbraio 2006.
Francesco STRADELLA (FI), relatore, nel riservarsi la predisposizione di una proposta di parere dopo l'acquisizione dei rilievi della V Commissione, rileva l'opportunità di cogliere l'occasione della presenza del Ministro per acquisire eventuali informazioni sul provvedimento.
Il ministro Rocco BUTTIGLIONE, nel sottolineare che il suo Ministero annette particolare rilevanza strategica all'approvazione dello schema di decreto, rileva che il provvedimento in esame reca, per un verso, modifiche di carattere meramente formale a talune norme del codice dei beni culturali e del paesaggio e, per l'altro, introduce disposizioni innovative della disciplina vigente. Tra queste ribadisce, in primo luogo, le norme modificative del articoli 138, 139, 140 e 141, concernenti la previsione di tempi certi per il procedimento di vincolo, e la definizione di un indirizzo generale alle regioni, all'articolo 146 del codice, al fine di delegare la funzione di autorizzazione paesaggistica alle province, tenendo distinte la tutela paesaggistica e le competenze urbanistiche ed edilizie. Fa presente, inoltre, che la natura vincolante del parere della soprintendenza ha carattere transitorio fino all'adeguamento alle disposizioni del codice. Dopo avere rilevato che le disposizioni in materia sanzionatoria sono volte a una razionalizzazione della disciplina vigente, sottolineare l'importanza delle novità testé evidenziate, dichiarandosi disponibile ad accogliere eventuali proposte della Commissione in ordine a tali disposizioni, che dovessero emergere alla fine del dibattito.
Raffaella MARIANI (DS-U), pur dando atto al Governo di avere inserito nel testo talune disposizioni importanti per la tutela del paesaggio, evidenzia alcuni aspetti, che destano preoccupazione e non mutano un giudizio di sostanziale critica nei confronti del provvedimento in esame. Osserva, in primo luogo, che lo schema di decreto lascia sostanzialmente immutato l'impianto sanzionatorio della legge n. 308 del 2004, consentendo quindi di continuare a considerare talune grave situazioni alla stregua di «piccoli abusi», a discapito della tutela del paesaggio. Per quanto concerne la pianificazione paesaggistica, pur ammettendo che il ruolo delle regioni deve essere conforme al dettato costituzionale, non si può non constatare una posizione di arretramento in ordine al riparto di competenze tra Stato e regioni, che rende difficile una cooperazione tra le istituzioni a diversi livelli. Al riguardo, auspica invece che si dia il giusto rilievo ai principi di leale collaborazione tra lo Stato e le regioni, anche al fine di evitare possibili contenziosi, che di fatto si traducono in un blocco dei procedimenti pianificatori.
Ritiene che la formulazione del nuovo articolo 142 del codice sia poco chiara, nella parte in cui esclude dalle aree tutelate per legge le aree fluviali, che la regione abbia ritenuto meritevoli di tutela in tutto o in parte; rileva, pertanto, la necessità di approfondimenti su tale punto. Con riferimento poi all'adeguamento alla Convenzione europea del paesaggio, che rientra tra le finalità dello schema di decreto, fa presente che, come spesso accade, il provvedimento in esame potrebbe non sortire gli intenti di semplificazione normativa auspicati. Per quanto attiene, infine, al carattere vincolante del parere delle soprintendenze, rileva che l'ampliamento delle competenze delle soprintendenze medesime, in taluni casi, ha determinato un allentamento dei procedimenti, anche in ragione di problemi di carenza in organico.
Antonio MEREU (CCD-CDU) ringrazia il Ministro per il suo importante contributo all'istruttoria della Commissione sul provvedimento in esame. Apprezzate le finalità dello schema di decreto, ritiene che il medesimo possa ricevere un parere favorevole da parte della Commissione, senza che sia richiesta alcuna modificazione.
Pietro ARMANI, presidente, considerato che la V Commissione non ha ancora espresso i rilievi sulle conseguenze di carattere finanziario, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta, che si svolgerà presumibilmente la prossima settimana.
VIII COMMISSIONE PERMANENTE
(Ambiente,
territorio e lavori pubblici)
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ATTI DEL GOVERNO
Mercoledì 15 febbraio 2006. - Presidenza del presidente Pietro ARMANI. - Intervengono i sottosegretari di Stato per i beni e le attività culturali, Nicola Bono, e per l'ambiente e la tutela del territorio, Roberto Tortoli.
La seduta comincia alle 10.
Schema di decreto legislativo recante disposizioni correttive e integrative del codice dei beni culturali e del paesaggio, in relazione al paesaggio. Atto n. 595.
(Seguito dell'esame e conclusione - Parere favorevole con osservazioni).
La Commissione prosegue l'esame, rinviato l'8 febbraio 2006.
Pietro ARMANI, presidente, comunica che la V Commissione ha formulato i rilievi di competenza sulle conseguenze di carattere finanziario del provvedimento. Avverte, altresì, che il relatore, in esito al dibattito in Commissione, ha predisposto una proposta di parere favorevole con osservazioni (vedi allegato 1).
Il sottosegretario Nicola BONO esprime l'orientamento favorevole del Governo sulla proposta di parere del relatore, dichiarando di condividere le osservazioni in essa contenute, che saranno verificate in sede di definitiva approvazione del provvedimento.
Raffaella MARIANI (DS-U), pur riconoscendo che il relatore ha recepito talune considerazioni emerse nel dibattito ed evidenziate dai gruppi di opposizione, esprime, a nome del suo gruppo, un orientamento complessivamente negativo sul provvedimento in esame, preannunciando pertanto il voto contrario sulla proposta di parere del relatore.
Nessun altro chiedendo di intervenire, la Commissione approva la proposta di parere del relatore.
Schema di decreto legislativo recante modifiche e integrazioni al decreto legislativo 24 giugno 2003, n. 209, di attuazione della direttiva 2000/53/CE relativa ai veicoli fuori uso.
Atto n. 598.
(Seguito dell'esame e conclusione - Parere favorevole con osservazioni).
La Commissione prosegue l'esame, rinviato il 1o febbraio 2006.
Pietro ARMANI, presidente, comunica che la V Commissione ha espresso nulla osta sulle conseguenze di carattere finanziario del provvedimento. Avverte, altresì, che il relatore ha presentato una proposta di parere favorevole con osservazioni (vedi allegato 2).
Il sottosegretario Roberto TORTOLI, nel concordare sulla proposta di parere del relatore, ritiene che il Governo possa accoglierne le osservazioni in sede di approvazione definitiva del provvedimento.
Donato PIGLIONICA (DS-U) si dichiara soddisfatto per le osservazioni contenute nella proposta di parere, con particolare riferimento a quella concernente l'articolo 3. Preannuncia, comunque, l'astensione del suo gruppo sulla proposta di parere del relatore, per ragioni collegate a quello che definisce una sorta di «recepimento al ribasso» delle direttive comunitarie nell'ordinamento nazionale, che è sembrato caratterizzare - quasi sempre - il primo approccio dell'attuale Governo nei confronti degli atti di attuazione della normativa europea in campo ambientale. Riguardo allo schema di decreto legislativo, infatti, ricorda che le osservazioni segnalate dal relatore e le modifiche ora proposte dal Governo erano state già evidenziate all'atto del primo recepimento della direttiva 2000/53/CE, che ha motivato l'avvio della procedura di infrazione comunitaria.
Pietro ARMANI, presidente, osserva che il presunto «recepimento al ribasso» della normativa comunitaria, lamentato dal deputato Piglionica, è talvolta una conseguenza inevitabile dell'attuazione nell'ordinamento nazionale di direttive eccessivamente complicate e burocratiche, che sono elaborate in sedi lontane dalle realtà degli Stati membri.
Nessun altro chiedendo di intervenire, la Commissione approva la proposta di parere del relatore.
La seduta termina alle 10.15.
ALLEGATO 1
Schema di decreto legislativo recante disposizioni correttive e integrative del codice dei beni culturali e del paesaggio, in relazione al paesaggio (Atto n. 595).
PARERE APPROVATO DALLA COMMISSIONE
La VIII Commissione,
esaminato lo schema di decreto legislativo recante disposizioni correttive ed integrative del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in relazione al paesaggio (Atto n. 595);
valutato positivamente l'impianto complessivo del provvedimento, che opera un intervento di sostanziale manutenzione legislativa del citato codice;
preso atto che le modifiche proposte in relazione al paesaggio mirano, per un verso, a rafforzare la partecipazione dello Stato all'esercizio delle funzioni amministrative già attribuite alle regioni e, dall'altro, a meglio coordinare talune disposizioni vigenti;
rilevato che, pur esercitando le regioni talune funzioni rilevanti nell'ordinamento, è proprio in una fase - come quella attuale - in cui il sistema va nella direzione di un sempre più marcato federalismo, che assumono un'importanza decisiva le funzioni di raccordo che devono essere esercitate a livello statale, soprattutto in materie come la tutela del paesaggio;
apprezzata, in questo contesto, la disposizione di cui all'articolo 7, che modifica l'articolo 137 del codice, nella parte in cui definisce opportunamente l'ambito soggettivo al cui interno le regioni possono procedere a designare i componenti delle commissioni regionali;
ritenuta, pertanto, non comprensibile la posizione fortemente negativa assunta in sede di Conferenza unificata sul provvedimento in esame, atteso anche che il testo mantiene, comunque, un chiaro orientamento in favore del decentramento delle responsabilità di governo del territorio;
osservato che, in materia sanzionatoria, viene superato il regime facoltativo fra sanzione pecuniaria e demolizione, per disporre invece - in via generale e salvo circoscritte deroghe - che tutti gli abusi paesaggistici vengono puniti con la sanzione demolitoria e ripristinatoria;
rilevato che lo schema specifica che, fra i complessi di cose immobili di cui al comma 1, lettera c), dell'articolo 136 del codice, sono ricompresi anche i centri storici e le zone di interesse archeologico e che, nell'ambito del procedimento per il rilascio dell'autorizzazione paesaggistica, viene attribuito carattere vincolante al parere che la soprintendenza è chiamata a rendere, così da obbligare l'autorità competente (regione o ente locale delegato) ad adottare un provvedimento conforme al parere;
preso atto che, in caso di delega ai comuni della funzione autorizzatoria, il parere della soprintendenza è comunque vincolante, nonostante la regione abbia redatto il piano paesaggistico insieme con lo Stato e nonostante lo strumento urbanistico comunale sia stata adeguato alle prescrizioni di tale piano;
considerato che, in merito ai beni assoggettabili a vincolo paesaggistico con provvedimento regionale, la definizione di centro storico, propria della materia urbanistica e caratterizzata dalla non omogeneità degli immobili in essa ricompresi, non appare mutuabile ai fini della tutela del paesaggio, poiché è orientamento consolidato della giurisprudenza che il vincolo paesaggistico debba essere imposto su beni oggetto di puntuale individuazione;
preso atto che, all'articolo 29, che modifica l'articolo 182 del codice, sono contenute disposizioni transitorie destinate a disciplinare la sorte di numerosi procedimenti di autorizzazione in sanatoria pendenti alla data di entrata in vigore del codice, non ancora definiti dalle amministrazioni competenti;
osservato che l'articolo 29 consente anche di affrontare le questioni poste dalla magistratura amministrativa in ordine alle domande di condono paesaggistico presentate ai sensi della legge n. 308 del 2004, rafforzando peraltro la vincolatività del «nulla osta» delle soprintendenze;
raccomandato il recepimento dei rilievi sulle conseguenze di carattere finanziario formulati dalla V Commissione (Bilancio);
esprime:
PARERE FAVOREVOLE
con le seguenti osservazioni:
1) all'articolo 6, che modifica l'articolo 136 del codice, appare opportuna la soppressione delle parole: «i centri storici e»;
2) all'articolo 12, contenente una riscrittura dell'articolo 142 del codice, andrebbe chiarita la nuova formulazione del comma 1 del citato articolo 142, nella parte in cui esclude dalle aree tutelate per legge le aree fluviali che la regione abbia ritenuto meritevoli di tutela, in tutto o in parte;
3) all'articolo 16, che modifica l'articolo 146 del codice, andrebbe verificata la reale adeguatezza della scelta di cui al primo periodo del comma 3 del citato articolo 146, per cui la possibile delega agli enti locali della funzione di autorizzazione paesaggistica è indirizzata alle province, piuttosto che ai comuni, prendendo in considerazione, eventualmente, anche la facoltà di attribuire dette funzioni agli enti territoriali in forma aggregata;
4) al medesimo articolo 16, valuti, altresì, il Governo l'effettiva necessità del mantenimento dell'ultimo periodo del comma 3 del citato articolo 146.
V COMMISSIONE PERMANENTE
(Bilancio,
tesoro e programmazione)
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DELIBERAZIONE DI RILIEVI SU ATTI DEL GOVERNO
Mercoledì 8 febbraio 2006. - Presidenza del vicepresidente Marino ZORZATO. - Interviene il sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze Daniele Molgora.
La seduta comincia alle 14.55.
Schema di decreto legislativo recante disposizioni correttive ed integrative del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in relazione ai beni culturali. Atto n. 594.
(Rilievi alla VII Commissione).
(Esame, ai sensi dell'articolo 96-ter, comma 2, del regolamento, e rinvio)
La Commissione inizia l'esame dello schema di decreto legislativo.
Marino ZORZATO, presidente, in sostituzione del relatore, rileva che appare necessario un chiarimento da parte del Governo in ordine alle risorse con le quali si potrà far fronte ai possibili impegni derivanti dalla diretta assunzione del rischio da parte dello Stato e riguardo alle garanzie di congruità delle risorse medesime rispetto all'onere potenziale. Appaiono inoltre necessari chiarimenti in ordine all'eventuale onerosità degli accordi previsti, cui potranno partecipare anche privati, nonché riguardo alla natura dei servizi strumentali comuni e alle modalità di gestione degli uffici comuni, al fine di escludere possibili effetti negativi per la finanza pubblica. Con riferimento in particolare all'articolo 2, comma 1, lettere gg) ed hh), appare necessaria una conferma da parte del Governo circa la possibilità di dare attuazione alle disposizioni senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Analogo chiarimento risulta necessario per quanto concerne l'articolo 4, comma 1, lettera a), anche in considerazione del fatto che la clausola di invarianza finanziaria di cui all'articolo 183 fa espresso riferimento soltanto all'ultima delle disposizioni illustrate. Con riferimento alle abrogazioni disposte dall'articolo 6, appaiono necessari chiarimenti da parte del Governo in merito agli effetti finanziari derivanti dal venir meno delle citate norme del decreto-legge n. 269 del 2003, che, secondo quanto precisato dalla relativa relazione tecnica, consentendo di rendere disponibile per la dismissione una serie di beni mobili e immobili, concorrevano, insieme ad altre norme dello stesso decreto-legge, a determinare effetti di incremento di gettito, di considerevole ammontare, sia pur limitati all'esercizio 2004. In merito all'altra disposizione segnalata, vale a dire l'articolo 10 del decreto legislativo n. 368 del 1998, oggetto di abrogazione, tenuto conto che la possibilità ivi prevista, relativa alla corresponsione anticipata di una quota pari ad almeno il 50 per cento del canone complessivamente dovuto per l'intera durata della concessione, non appare espressamente contemplata dal decreto legislativo n. 42 del 2004, come modificato dal provvedimento in esame, occorrerebbe chiarire se tale abrogazione comporti la rinuncia a effetti favorevoli, in termini di cassa, per la finanza pubblica.
Il sottosegretario Daniele MOLGORA chiede un rinvio dell'esame al fine di procedere ai necessari approfondimenti sul provvedimento.
Marino ZORZATO, presidente, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.
Schema di decreto legislativo recante disposizioni correttive ed integrative del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in relazione al paesaggio.
Atto n. 595.
(Rilievi alla VIII Commissione).
(Esame, ai sensi dell'articolo 96-ter, comma 2, del regolamento, e conclusione - Rilievi).
La Commissione inizia l'esame dello schema di decreto legislativo.
Marino ZORZATO, presidente, in sostituzione del relatore, ricorda che lo schema di decreto in esame dispone modifiche ed integrazioni al decreto legislativo n. 42 del 2004, recante il codice dei beni culturali e del paesaggio. Tali modifiche, che fanno specifico riferimento alla materia del paesaggio, sono adottate in attuazione della disposizione contenuta nel comma 4 dell'articolo 10 della legge n. 137 del 2002, che prevede l'adozione di disposizioni correttive ed integrative ai decreti emanati per il riassetto e la codificazione delle disposizioni legislative in materia di beni culturali ed ambientali. In proposito la relazione illustrativa precisa che il provvedimento non reca oneri e che pertanto non è corredato di relazione tecnica. Con riferimento ai profili finanziari, segnala che l'articolo 2, nel modificare l'articolo 6 del decreto legislativo n. 42/2004, precisa che, con riferimento ai beni paesaggistici, la valorizzazione comprende la riqualificazione degli immobili e delle aree sottoposti a tutela compromessi o degradati, ovvero la realizzazione di nuovi valori paesaggistici coerenti ed integrati. La disposizione sembrerebbe una esplicitazione di modalità di realizzazione degli interventi di valorizzazione insita anche nella vigente normativa; appare peraltro necessario che il Governo confermi che la stessa non determini oneri aggiuntivi per i soggetti pubblici che realizzino gli interventi di valorizzazione in questione. Ricorda poi che l'articolo 9, che riformula l'articolo 139 del decreto legislativo n. 42 del 2004, reca una disciplina delle forme di pubblicità e della partecipazione al procedimento di dichiarazione di notevole interesse pubblico che innova in parte la precedente, prevedendo, tra l'altro, che le medesime forme di pubblicità si applichino anche alla determinazione negativa della commissione. Inoltre, la modalità di pubblicazione su siti informatici degli enti territoriali non è espressamente subordinata, come nell'attuale formulazione dell'articolo, alla circostanza che tali siti risultino istituiti. Segnala poi che l'articolo 11, che riformula l'articolo 141 del decreto legislativo n. 42 del 2004, configura come obbligatoria la procedura di sostituzione, che nel testo vigente il direttore regionale può richiedere al Ministero per i beni e le attività culturali qualora la commissione o la regione non provvedano nei termini stabiliti. Ricorda poi l'articolo 16, nel riformulare l'articolo 146 del decreto legislativo n. 42 del 2004, reca una disciplina della procedura per l'accertamento della compatibilità paesaggistica di lavori ed opere nonché della relativa autorizzazione. Il comma 14 dispone che presso ogni amministrazione competente al rilascio dell'autorizzazione sia istituito un elenco delle autorizzazioni stesse aggiornato ogni 15 giorni e liberamente consultabile. In base al testo vigente tale elenco è istituito presso i comuni. Ricorda l'articolo 24, che riformula l'articolo 156 del decreto legislativo n. 42 del 2004, prevedendo, tra l'altro, una procedura sostitutiva da parte del Ministero in caso di mancata verifica ed adeguamento dei piani paesaggistici da parte delle regioni nei termini indicati. Ricorda che l'articolo 27 sostituisce l'articolo 167 del decreto legislativo n. 42 del 2004, relativo alla remissione in pristino in caso di violazione degli obblighi imposti a tutela del paesaggio. Appare in proposito necessario che il Governo confermi che la nuova disciplina assicuri garanzie equivalenti - rispetto alla normativa vigente - di effettivo ripristino e di risarcimento delle connesse spese, al fine di evitare riflessi negativi per la finanza pubblica. La principale innovazione introdotta dalla norma consiste nel venir meno dell'alternatività tra rimessione in pristino e versamento di una somma, che, nel testo vigente, è pari al maggior importo tra danno arrecato e profitto conseguito. La sanzione principale viene quindi ad essere costituita dalla rimessione in pristino a spese del trasgressore e, in caso di inottemperanza, dalla demolizione da parte delle autorità competente. La possibilità del pagamento della sanzione pecuniaria - sempre nella misura corrispondente al maggior importo tra danno arrecato e profitto conseguito - è ammessa nel caso di accertamento, su istanza degli interessati, della conformità paesaggistica dei lavori eseguiti. Ricorda infine che l'articolo 30 dispone che dalla partecipazione alle commissioni previste dal presente codice non derivano nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Al riguardo, ricorda che la vigente formulazione del comma 3 dell'articolo 3 appare più stringente in quanto oltre a prevedere una clausola di invarianza finanziaria, specifica anche che la partecipazione alle Commissioni si intende a titolo gratuito. La nuova formulazione si limita, invece, a prevedere la sola clausola
di invarianza finanziaria. A tale proposito si rammenta che in casi analoghi, in base alla prassi consolidata, si è previsto che la partecipazione a Comitati non deve dare luogo ad alcun compenso o rimborso spese. Al riguardo, appare opportuno acquisire l'avviso del Governo. Infine, rileva che, dal punto di vista formale, la clausola di invarianza non appare conforme alla prassi per cui dall'attuazione delle disposizioni non debbono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Appare pertanto opportuno acquisire l'avviso del Governo in merito all'eventualità di riformulare la norma nel senso indicato.
Il sottosegretario Daniele MOLGORA concorda con l'opportunità di riformulare la clausola di invarianza nel senso indicato dal presidente.
Marino ZORZATO, presidente, in sostituzione del relatore, formula la seguente proposta:
«La V Commissione Bilancio, tesoro e programmazione,
esaminato, per quanto di competenza, ai sensi dell'articolo 96-ter, comma 2, del Regolamento, lo schema di decreto legislativo in oggetto;
considerato che:
secondo quanto affermato nella relazione illustrativa allegata allo schema di decreto legislativo, le modifiche previste dall'articolo 30 al comma 3, dell'articolo 183, del decreto legislativo n. 42 del 2004, avrebbero portata soltanto lessicale e non sono volte a modificare la disciplina sostanziale vigente;
la formulazione della clausola di invarianza prevista dal testo vigente di cui all'articolo 183, comma 3, del decreto legislativo n. 42 del 2004, non appare pienamente conforme alla prassi consolidata,
VALUTA FAVOREVOLMENTE
lo schema di decreto legislativo e formula i seguenti rilievi sulle sue conseguenze di carattere finanziario:
sostituire l'articolo 30 con il seguente: "Il comma 3 dell'articolo 183 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, è sostituito dal seguente: "3. La partecipazione alle Commissioni previste dal presente codice non dà luogo alla corresponsione di alcun compenso o rimborso spese e comunque da essa non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica"».
La Commissione approva la proposta.
La seduta termina alle 15.05.
V COMMISSIONE PERMANENTE
(Bilancio,
tesoro e programmazione)
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DELIBERAZIONE DI RILIEVI SU ATTI DEL GOVERNO
Giovedì 16 febbraio 2006. - Presidenza del presidente Giancarlo GIORGETTI. - Interviene il sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze Daniele Molgora.
La seduta comincia alle 9.40.
Schema di decreto legislativo recante disposizioni correttive ed integrative del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al d. l.vo 22 gennaio 2004, n. 42, in relazione ai beni culturali. Atto n. 594.
(Rilievi alla VII Commissione).
(Seguito dell'esame, ai sensi dell'articolo 96-ter, comma 2, del regolamento, e rinvio).
La Commissione prosegue l'esame dello schema di decreto legislativo in oggetto, rinviato da ultimo nella seduta del 16 febbraio 2006.
Il sottosegretario Daniele MOLGORA illustra il contenuto della documentazione predisposta dal Ministero dell'economia sul provvedimento (vedi allegato 2).
Giancarlo GIORGETTI, presidente, nel rilevare la necessità di procedere ad alcuni approfondimenti in ordine alla documentazione depositata dal Governo, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.
ALLEGATO 2
Schema di decreto legislativo recante disposizioni correttive ed integrative del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al d. l.vo 22 gennaio 2004, n. 42, in relazione ai beni culturali (Atto n. 594).
DOCUMENTAZIONE DEPOSITATA DAL GOVERNO
Si rappresenta, per quanto di competenza, quanto segue.Articolo 2, comma 1 lettera q): si tratta di oneri di incerto ammontare per i quali non si ritiene opportuno immobilizzare risorse da destinare allo scopo, Gli eventuali oneri relativi alla assunzione di rischio risultano già previsti nell'elenco allegato allo stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze ai sensi dell'articolo 13 delle legge n. 468 del 1978, e successive modificazioni, in applicazione dell'articolo n. 183, comma 5 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42;
Articolo 2, comma 1 lettera ff): si condividono le osservazioni della Commissione Bilancio della Camera in merito all'onerosità derivante dall'introduzione all'articolo 112 del decreto legislativo n. 42/2004 del comma 7-bis che prevede che possano essere stipulati accordi tra lo Stato, le Regioni e gli enti pubblici territoriali ed i privati al fine di creare forme consortili non imprenditoriali per la gestione di uffici comuni. Non appaiono, invece, condivisibili le argomentazioni fornite dalla competente Amministrazione in merito all'asserita neutralità finanziaria della suddetta modifica;
Articolo 2, comma 1 lettera gg): e lettera hh): si prende atto delle delucidazioni fornite dal competente Ministero per i beni e le attività culturali nel senso che dall'applicazione delle norme in parola non dovrebbero derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica;
Articolo 4, comma 1, lettera a): pur prendendo atto dell'avviso espresso dalla competente Amministrazione, si concorda con il parere della Commissione in merito alla onerosità derivante dalla tenuta e dall'aggiornamento degli elenchi da parte del Ministero dei Beni Culturali. Pertanto, al fine di garantire l'invarianza finanziaria della disposizione sarà necessario prevedere che alla tenuta e all'aggiornamento dei suddetti elenchi si provvede con l'utilizzo delle risorse umane, strumentali e finanziarie a legislazioni vigente.
Per quanto riguarda le nuove modalità per il conseguimento della qualifica di restauratore, la individuazione dei requisiti necessari per il conseguimento della qualifica subordinata di collaboratore, restauratore di beni culturali, l'istituzione e l'attivazione di un corso di laurea magistrale per la formazione di restauratori dei beni culturali appare necessario, al fine di escludere possibili effetti negativi per la finanza pubblica, prevedere che la lettera b) del medesimo comma sia riformulata conte segue:
b) all'articolo 183:
1) al comma 2, le parole: «degli articoli 5 e 44» sono sostituite dalle seguenti: degli articoli 5, 44 e 182, commi 1 e 2»;
Articolo 6: in ordine agli effetti derivanti alla finanza pubblica dall'abrogazione dell'articolo 27, commi da 1 a 12 del DL n. 269 del 2003, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 326 del 2003, si rappresenta che le norme che si intende abrogare hanno fatto già raggiungere gli obiettivi di finanza pubblica preventivati nell'esercizio di riferimento. In merito poi, all'abrogazione dell'articolo 10 del decreto legislativo n. 368 del 1998, si fa presente che la norma in parola non ha mai trovato applicazione concreta in quanto non è stato redatto il relativo regolamento.
Inoltre, si svolgono le seguenti ulteriori considerazioni.
Articolo 2 - Modifiche alla parte seconda articolo 29, comma 11: l'istituzione, da parte delle Università, di centri cui affidare attività di ricerca, sperimentazione, studio, documentazione ed attuazione di interventi di conservazione e restauro su beni culturali, presso cui poter istituire scuole di alta formazione per l'insegnamento del restauro, può dar luogo a nuovi oneri non quantificati e non coperti.
V COMMISSIONE PERMANENTE
(Bilancio,
tesoro e programmazione)
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DELIBERAZIONE DI RILIEVI SU ATTI DEL GOVERNO
DELIBERAZIONE DI RILIEVI SU ATTI DEL GOVERNO
Mercoledì 22 febbraio 2006. - Presidenza del presidente Giancarlo GIORGETTI. - Interviene il sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze Daniele Molgora.
La seduta comincia alle 10.50.
Schema di decreto legislativo recante disposizioni correttive ed integrative del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al d. l.vo 22 gennaio 2004, n. 42, in relazione ai beni culturali. Atto n. 594.
(Rilievi alla VII Commissione).
(Seguito dell'esame, ai sensi dell'articolo 96-ter, comma 2, del regolamento, e conclusione - Rilievi).
La Commissione prosegue l'esame dello schema di decreto in oggetto, rinviato nella seduta del 16 febbraio 2006.
Giancarlo GIORGETTI, presidente, in sostituzione del relatore, avverte che il Ministro per i Beni e le attività culturali, onorevole Buttiglione, ha trasmesso, in data 20 febbraio 2006, una nota sul provvedimento, con la quale comunica che gli uffici del Ministero hanno manifestato la propria disponibilità a modificare il testo del provvedimento anche in considerazione degli elementi emersi nel corso dell'esame svolto dalla Commissione. Nel rilevare che la disponibilità del Ministro risulta assai significativa, formula, sulla base della documentazione depositata dal rappresentante del Governo nella seduta precedente dedicata all'esame del provvedimento, la seguente proposta:
«La V Commissione Bilancio, tesoro e programmazione,
esaminato, per quanto di competenza, ai sensi dell'articolo 96-ter, comma 2, del Regolamento, lo schema di decreto legislativo in oggetto,
preso atto dei chiarimenti forniti dal Governo per cui:
a) alle disposizioni di cui all'articolo 2, comma 1, lettera q), le quali prevedono che in alternativa alla copertura assicurativa dei beni culturali mobili i relativi rischi possono essere assunti dallo Stato, si darà attuazione a valere sulle risorse già disponibili per la concessione di garanzie per le quali, in quanto aventi natura di spesa obbligatoria, è consentito l'accesso al fondo di riserva per le spese obbligatorie e d'ordine;
b) risulta opportuno precisare, all'articolo 4, comma 1, lettera a), capoverso comma 1-quater, che alla tenuta dell'elenco dei restauratori dei beni culturali, il Ministero per i beni e le attività culturali provvederà nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente;
c) risulta opportuno riferire la clausola di invarianza finanziaria di cui all'articolo 4, comma 1, lettera b), oltre che al comma 2 dell'articolo 182 del decreto legislativo n. 42 del 2004, anche al comma 1 del medesimo articolo;
d) l'abrogazione dei commi 1-12 dell'articolo 27 del decreto-legge n. 269 del 2003 disposta dall'articolo 6, comma 1, lettera c), risponde esclusivamente ad esigenze di coordinamento formale;
considerato che risulta opportuno corredare le disposizioni di cui all'articolo 2, comma 1, lettera m), numero 3) e all'articolo 2, comma 1, lettera ff) di una clausola di invarianza finanziaria;
VALUTA FAVOREVOLMENTE
lo schema di decreto legislativo e formula i seguenti rilievi sulle sue conseguenze di carattere finanziario:
all'articolo 2, comma 1, lettera m), numero 3), capoverso comma 11, aggiungere in fine il seguente periodo: «All'attuazione del presente comma, si provvede nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica».
all'articolo 2, comma 1, lettera ff), capoverso comma 7-bis), aggiungere in fine il seguente periodo: «All'attuazione del presente comma si provvede nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica»;
all'articolo 4, comma 1, lettera a), capoverso 1-quater, dopo le parole «il Ministero medesimo» inserire le seguenti: «, nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica,»
all'articolo 4, comma 1, lettera b), numero 1), sostituire le parole «182, comma 2» con le seguenti: «182, commi 1 e 2».
La Commissione approva la proposta.
Giancarlo GIORGETTI, presidente, avverte che il seguito dell'esame degli atti del Governo che non è stato possibile concludere nella seduta di stamane per la mancata trasmissione dei pareri del Consiglio di Stato avrà luogo alle 14.30. Sospende quindi la seduta.
La seduta, sospesa alle 11, è ripresa alle 14.35.
Giancarlo GIORGETTI, presidente, ricorda che la commissione aveva aggiornato i suoi lavori nella seduta antimeridiana, in attesa dei pareri che risultano già espressi dal consiglio di stato sullo schema di decreto legislativo recante codice delle pari opportunità tra uomo e donna (atto n. 602) e sullo schema di regolamento recante riordino del consiglio superiore dei lavori pubblici (atto n. 603). Tali pareri non sono stati tuttavia ancora acquisiti. auspica quindi che anche il governo si faccia carico delle ragioni del ritardo nella trasmissione dei pareri del consiglio di stato, in modo da consentire al parlamento di concludere l'istruttoria dei due atti del governo. Rinvia, quindi, il seguito dell'esame ad altra seduta.
La seduta termina alle 14.40.
ISTRUZIONE PUBBLICA, BENI CULTURALI (7a)
MARTEDÌ 24 GENNAIO 2006
462a Seduta
Presidenza del Presidente
ASCIUTTI
IN SEDE CONSULTIVA SU ATTI DEL GOVERNO
La seduta inizia alle ore 15,30.
Schema di decreto legislativo recante: "Disposizioni correttive ed integrative del Codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in relazione ai beni culturali" (n. 594)
(Parere al Ministero per i rapporti con il Parlamento, ai sensi dell'articolo 10, commi 3 e 4, della legge 6 luglio 2002, n. 137. Esame e rinvio)
Riferisce alla Commissione il presidente relatore ASCIUTTI (FI), il quale ricorda che il Codice dei beni culturali e del paesaggio, approvato con decreto legislativo n. 42 del 2004, è stato emanato in base alla legge di delega 6 luglio 2002, n. 137, la quale prevedeva altresì che entro due anni dall’entrata in vigore dei decreti delegati potessero essere adottate, nel rispetto degli stessi principi e criteri direttivi e con le medesime procedure, disposizioni correttive ed integrative.
Facendo tesoro dell’esperienza maturata nei primi diciotto mesi di applicazione del Codice, il Governo ha pertanto presentato alle Camere il presente schema di decreto legislativo, volto a correggere talune difficoltà interpretative incontrate dagli operatori, nonché a tener conto delle disposizioni successivamente intervenute nella materia.
Lo schema di decreto si propone così, da un lato, la riformulazione di alcune proposizioni normative, onde rendere più intelligibile la volontà del legislatore e favorirne l’efficace attuazione; dall’altro, la soppressione dal testo delle disposizioni nel frattempo abrogate, ovvero alla sua integrazione con norme sopravvenute.
Ovviamente, lo schema è stato elaborato in aderenza ai principi ed ai limiti stabiliti nella legge delega n. 137 del 2002, ed in particolare alle indicazioni intese a produrre lo snellimento e l'abbreviazione dei procedimenti e ad evitare ulteriori restrizioni alla proprietà privata, fermi rimanendo gli attuali strumenti della tutela.
Tralasciando gli interventi meramente volti ad una migliore tecnica legislativa, il Presidente relatore passa indi ad illustrare quelli connessi alla necessità di coordinare le disposizioni del Codice con le norme intervenute successivamente alla sua emanazione.
Fra questi, egli si sofferma anzitutto sulle modifiche apportate all'articolo 10, tese a conciliare due opposte esigenze, provenienti entrambe dal mondo del collezionismo: da un lato, conferire alle cose di interesse numismatico una maggiore visibilità nell’ambito degli oggetti da collezione meritevoli di tutela, così come richiesto da molti studiosi del settore; dall’altro, arginare le spinte verso un arretramento delle ragioni della tutela rispetto a quelle del mercato delle cose medesime, significativamente rappresentato dalla recente norma di cui all’art. 2-decies del d.l. 26 aprile 2005, n. 63, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 2005, n. 109. Tale disposizione ha preteso di differenziare le monete antiche dalle altre cose suscettibili di tutela, attribuendo ad esse una sorta di status di bene culturale minore, per effetto del quale è stata rimessa al proprietario e non all’Autorità competente la valutazione circa la sussistenza ed il grado dell’interesse culturale posseduto, con particolare riferimento alle caratteristiche di serialità e ripetitività.
Non condividendo tale impostazione, si è pertanto intervenuti in una duplice direzione: da un lato, ammettendo tra i criteri di valutazione circa la valenza culturale delle collezioni, accanto a quelli ereditati dalla legge fondamentale del 1939 (tradizione, fama e particolari caratteristiche ambientali), la rilevanza artistica, storica, archeologica, numismatica o etnoantropologica; dall’altro, evidenziando come l’interesse numismatico debba essere rinvenuto nella rarità o nel pregio delle cose e che tali elementi vadano valutati in rapporto all’epoca, alle tecniche e ai materiali di produzione. Non è infatti possibile giudicare il valore delle monete antiche soltanto in base alla serialità o ripetitività, posto che tali caratteristiche assumono significato diverso a seconda delle epoche e delle culture e vanno, perciò, interpretate in relazione al grado di raffinatezza delle tecniche di conio, alle leghe utilizzate ed alla percentuale in esse di metallo nobile e, dunque, in ultima analisi, all’epoca cui risale la moneta.
Passando all'articolo 12, comma 10, la modifica trova fondamento nell’esigenza di rendere il testo della norma pienamente coerente con i principi generali dell’ordinamento in tema di procedure amministrative, così come precisati dai più recenti provvedimenti normativi.
Al riguardo, il Presidente relatore rammenta infatti che nel testo vigente il comma in esame salvaguarda l’applicabilità delle disposizioni di cui all’articolo 27, commi 8, 10, 12, 13 e 13-bis, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 226, che avevano introdotto una procedura transitoria per la verifica dell’interesse culturale sugli immobili pubblici, stabilendo che, in sede di prima applicazione, la mancata comunicazione dei risultati della verifica, da parte dei competenti uffici di questo Ministero, entro il termine di 120 giorni dalla richiesta equivaleva ad esito negativo della verifica.
Tali disposizioni, tuttavia, unitamente a quelle di cui ai primi sette commi dello stesso articolo 27, che introducevano appunto nell’ordinamento l’istituto della verifica dell’interesse culturale, risultano oramai inapplicabili per diverse ragioni, fra cui anzitutto l’entrata in vigore del Codice, che reca appunto la procedura a regime della verifica di interesse culturale. Inoltre, la fase di prima applicazione della procedura transitoria disciplinata dal predetto articolo 27 si è ormai conclusa, essendo terminata la procedura di verifica dei beni inclusi negli elenchi presentati ai sensi del decreto ministeriale 6 febbraio 2004, di attuazione dell’articolo medesimo. Infine, l’impossibilità di ricorrere al meccanismo del silenzio-assenso nei procedimenti concernenti i beni culturali e paesaggistici è stata formalmente sancita dall’articolo 20, comma 4, della legge n. 241 del 1990, nel testo novellato dall’articolo 3, comma 6-ter, del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80.
Il Presidente relatore registra altresì con soddisfazione che tale impostazione è stata condivisa anche dal Ministero dell’economia e delle finanze che, in occasione della recente manovra correttiva di finanza pubblica, nel proporre una nuova disposizione finalizzata ad accelerare le procedure di dismissione degli immobili del demanio statale, ha accolto il suggerimento formulato dal Ministero per i beni e le attività culturali nel senso di limitare alle procedure già avviate la disciplina dell'articolo 27, riconducendo invece quelle da avviare alla regola dettata dall’articolo 12 del Codice.
Egli si sofferma indi sulle modifiche relative all’articolo 115, le cui ragioni debbono rinvenirsi nell’intento di sgombrare il campo da equivoci ed incertezze circa la volontà dell’Amministrazione, allorché il perseguimento diretto dell’interesse pubblico alla migliore valorizzazione dei beni culturali di appartenenza pubblica non risulti possibile per carenza di strutture o di risorse adeguate, di affidarsi agli strumenti ed alle logiche di tipo privatistico e non, piuttosto, di manipolare questi ultimi in funzione delle esigenze istituzionali al punto da snaturare i modelli civilistici di riferimento e realizzare degli ibridi difficilmente gestibili e scarsamente attraenti per i potenziali investitori.
Il nuovo testo dell'articolo 115 chiarisce pertanto che il ricorso a tale forma di gestione indiretta postula l’adesione al modello privatistico e, quindi, la coerenza con lo statuto normativo delineato, per le singole forme organizzative, dalle vigenti disposizioni.
La partecipazione ministeriale al soggetto affidatario delle attività di valorizzazione perde così la connotazione della "prevalenza", attributo la cui interpretazione si è rivelata non agevole, potendo essere imputato tanto al valore economico quanto al valore culturale del conferimento; al tempo stesso essa viene precisata quanto alle modalità di individuazione dei rappresentanti del Ministero.
Al comma 8, inoltre, si è ritenuto di arricchire i contenuti del contratto di servizio, prevedendo il sostanziale recepimento, in esso, del progetto di valorizzazione e della relativa tempistica come approvati dal Ministero e disponendo che vi debbano essere indicate le modalità di esercizio dei poteri riconosciuti al titolare dell’attività di valorizzazione oggetto di affidamento, al fine di garantire la rispondenza costante delle attività del soggetto affidatario alle previsioni progettuali ed agli obiettivi programmatici.
Fra le altre modifiche, il Presidente relatore cita infine quelle agli articoli 29 e 182, in tema di formazione professionale dei restauratori e dei loro collaboratori, che si propongono una duplice finalità.
In primo luogo, come riconoscimento della tradizione italiana del restauro e del livello di eccellenza al quale si collocano gli operatori e le scuole del settore, si intende infatti attribuire all’esame conclusivo dei corsi di restauro svolti presso le scuole di alta formazione e di studio il valore di esame di Stato e, al contempo, sancire l’equiparazione del titolo rilasciato a seguito del superamento di detto esame al diploma universitario di secondo livello (laurea specialistica o magistrale). Viene in tal modo conferita dignità formale all’equivalenza che, nella sostanza, risulta già stabilita dall’articolo 7, comma 1, del decreto ministeriale 3 agosto 2000, n. 294.
In secondo luogo, le modifiche tendono a coinvolgere le università nella elaborazione e conclusione di accordi finalizzati alla creazione di centri di ricerca, sperimentazione, studio e attuazione di interventi in materia di restauro, riconoscendo, altresì, alle medesime istituzioni un ruolo paritario, rispetto al Ministero ed alle Regioni, nella istituzione, presso i suddetti centri, di corsi di alta formazione per l’insegnamento del restauro.
Come è noto, prosegue il Presidente relatore, la disciplina relativa all’insegnamento del restauro, contenuta nell’articolo 29 del Codice, andrà a regime soltanto allorché saranno operanti i decreti attuativi previsti dai commi 7, 8 e 9 del medesimo articolo, nei quali sono definiti i profili di competenza dei soggetti da formare, i criteri e gli standard di qualità del percorso formativo, le modalità di accreditamento ed i requisiti di organizzazione e funzionamento delle scuole.
Nel frattempo, tuttavia, valgono le disposizioni transitorie di cui all’articolo 182 del Codice che, fermo restando il riferimento alla regolamentazione previgente (contenuta nel decreto ministeriale 3 agosto 2000 come modificato dal decreto ministeriale 24 ottobre 2001, n. 420), indica in modo dettagliato i requisiti utili al conseguimento delle qualifiche di restauratore e collaboratore restauratore di beni culturali.
Conclusa l'illustrazione delle modifiche di maggiore rilievo, il Presidente relatore richiama la circostanza che sullo schema di decreto non si è ancora espressa la Conferenza unificata. Egli riferisce tuttavia che, negli incontri tecnici finalizzati all'espressione del parere, è emersa l'esigenza di ulteriori modifiche su cui i rappresentanti dell’Amministrazione statale e quelli delle regioni e delle autonomie locali hanno convenuto.
Ad esempio, all'articolo 6, si è concordato di sottolineare che la valorizzazione costituisce una funzione pubblica di rilievo costituzionale, attesa la sua finalizzazione allo sviluppo della cultura, e che pertanto il suo esercizio si sottrae ad ogni valutazione di opportunità formulata in base ad esclusivi criteri di redditività economica.
All'articolo 10, si è registrata un’omissione del Codice: nella indicazione delle raccolte librarie sottoposte a tutela ipso iure non si è infatti tenuto conto che nelle biblioteche degli enti locali o di interesse locale sono presenti fondi non destinati alla conservazione (in quanto privi di valore culturale), ma piuttosto all’offerta di informazioni aggiornate al pubblico dei lettori.
E’ parso opportuno, pertanto, sottrarre tali fondi al generalizzato vincolo ope legis gravante, per effetto della disposizione in esame, sulle raccolte librarie dei pubblici istituti, nonché ai controlli previsti sulle operazioni di scarto ad essi afferenti.
All'articolo 17, è parso doveroso precisare che i dati catalografici sui beni culturali affluiscono al catalogo nazionale nelle sue distinte articolazioni, a seconda della natura del bene cui i dati stessi si riferiscono.
All'articolo 21, occorre specificare che è sottoposto a controllo autorizzatorio anche lo scarto del materiale bibliografico delle biblioteche pubbliche e di quelle private vincolate, tenendo ovviamente conto dell’eccezione introdotta al comma 2, lettera c), dell’articolo 10.
All'articolo 112, si è convenuto di chiarire che, fatta sempre salva la facoltà statale di regolare la valorizzazione dei propri beni, la potestà di normazione regionale si estende non solo alle attività ma anche alle funzioni di valorizzazione, il cui esercizio può essere peraltro rimesso, in base al principio di sussidiarietà, anche agli altri enti territoriali.
Al comma 4, occorre poi dare rilievo normativo alla possibilità che i siti culturali, adeguatamente valorizzati, costituiscano altresì il volano di uno sviluppo economico coinvolgente sia i settori produttivi suscettibili di interagire più direttamente con essi, sia le infrastrutture destinate a veicolare i crescenti flussi turistici richiamati dalle realtà culturali. Ovviamente, tale possibilità deve essere valutata in riferimento ad un determinato territorio, in ragione delle sue omogeneità culturali e della sua vocazione economica, non necessariamente coincidenti con una specifica circoscrizione amministrativa. In tal modo, atteso che il sostegno pubblico alla valorizzazione è un costo non eliminabile né comprimibile, stante il rilievo costituzionale della funzione che ne è beneficiaria, si riuscirebbe a convertire i relativi oneri da mere spese di funzionamento in spese di investimento.
Infine, al comma 7 sarebbe preferibile rendere possibile, anche in mancanza o nelle more della stipula degli accordi previsti ai commi 4 e 5, o indipendentemente da essi, l’organizzazione e la gestione di strutture semplici che realizzino forme di cooperazione orizzontale e non istituzionalizzata tra soggetti pubblici e privati interessati alla fruizione e/o valorizzazione di beni o istituti culturali in ambiti territoriali determinati.
All'articolo 114, si è ritenuto opportuno esplicitare un presupposto già implicitamente contenuto nella disposizione vigente ed in particolare che gli standard qualitativi delle attività di valorizzazione costituiscono le soglie minime di qualità (suscettibili, naturalmente, di essere ritoccati verso l’alto dalla legislazione regionale) e riguardano i soli beni di pertinenza pubblica.
All'articolo 115, sarebbe utile sgombrare il campo da equivoci ed incertezze nel caso in cui il perseguimento dell’interesse pubblico alla migliore valorizzazione dei beni culturali di appartenenza pubblica non risulti praticabile o conveniente attraverso la gestione diretta, per le ragioni più varie, come ad esempio carenza di risorse pubbliche, ovvero opportunità di affidarsi agli strumenti ed alle logiche di tipo privatistico.
In particolare, gli equivoci e le incertezze insorti sull’attuale testo dell’articolo 115, comma 3, lettera a), hanno avuto ad oggetto la natura dell’attività di valorizzazione culturale: se cioè essa debba ritenersi attività economica tout court e, quindi, assoggettata alla logica di impresa, oppure debba essere considerata come attività culturale caratterizzata dalla finalità pubblica della più ampia conoscenza del patrimonio e finalizzata alla crescita spirituale della collettività nazionale.
Si è fatta dunque la scelta di chiarire che i soggetti giuridici cui l’Amministrazione dà vita o partecipa per finalità di valorizzazione del patrimonio culturale sono soggetti caratterizzati dall’assenza di scopo di lucro. Ovviamente, ciò non esclude che le attività gestionali strumentali alla valorizzazione, valutate singulatim o come complesso integrato, possano presentare rilievo economico e, quindi, essere affidate in concessione, con i sistemi dell’evidenza pubblica ad imprese commerciali in senso proprio.
Rispetto a tale fondamentale discrimine è apparsa peraltro del tutto secondaria la definizione delle modalità di partecipazione del soggetto pubblico titolare del bene da valorizzare agli organi di gestione del soggetto appositamente costituito o partecipato, che può bene essere rimessa ad un successivo momento regolamentare. Non dà, invece, luogo a problemi di sorta la questione della titolarità della tutela e delle forme del suo esercizio, atteso che si tratta di prerogative statali indiscusse e incardinate nel Ministero e, per esso, nei suoi organi centrali e periferici.
Al comma 4, occorrerebbe invece evidenziare la necessaria propedeuticità, rispetto al procedimento di scelta tra le due forme della valorizzazione indiretta (costituzione di appositi soggetti giuridici o affidamento in concessione a soggetti terzi), della definizione degli obiettivi programmatici che si intendono in tal modo perseguire.
All'articolo 116, occorre prevedere che l’esercizio dei poteri di tutela, nei confronti di soggetti giuridici costituiti o partecipati dal Ministero secondo le disposizioni degli articoli 112 e 115, assume le forme stabilite dal contratto di servizio stipulato dai soggetti medesimi con le amministrazioni titolari della funzione di valorizzazione. Ciò al fine di semplificare ed accelerare le procedure di adozione dei provvedimenti di volta in volta necessari al perseguimento delle finalità di tutela.
Vista la sostanziale condivisione di tali modifiche in sede sia centrale che regionale, il Presidente relatore propone che esse siano inserite nello schema di parere che la Commissione esprimerà sull'atto in titolo, quali osservazioni.
Inoltre, attesi i problemi che la applicazione pratica ha determinato, suggerisce di dare mandato all’Amministrazione competente di provvedere al coordinamento dei tempi previsti dalla procedura per l’esercizio della prelazione, così come disciplinata dall’articolo 62, quando essa sia attivata dalle regioni o dalle autonomie locali.
Infine, sarebbe opportuno prevedere che la possibilità di fruire della disciplina dettata in via transitoria dall’articolo 182 del Codice fosse estesa anche alle Accademie di belle arti che abbiano attivato corsi di formazione in restauro e che i procedimenti di accreditamento disciplinati dall’articolo 29, comma 9, fossero assoggettati ad un temine massimo di conclusione, onde dare certezza del diritto ai richiedenti.
Il seguito dell'esame è quindi rinviato.
IN SEDE CONSULTIVA
Schema di decreto legislativo recante: "Disposizioni correttive ed integrative del Codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in relazione al paesaggio (n. 595)
(Osservazioni alla 13ª Commissione. Esame e rinvio )
Riferisce alla Commissione il presidente ASCIUTTI (FI), in sostituzione del relatore designato, relatore Favaro, impossibilitato a partecipare ai lavori odierni.
Senza entrare nel dettaglio delle modifiche finalizzate a correggere errori materiali, a fornire migliori formulazioni lessicali delle disposizioni o ad esprimere in termini più chiari e giuridicamente più corretti alcuni concetti e istituti giuridici, il Presidente relatore si sofferma sugli interventi più innovativi, rilevando che essi si pongono tre obiettivi: la razionalizzazione e la previsione di termini certi per il procedimento di vincolo, allo scopo di dare certezza alle situazioni giuridiche ed evitare il protrarsi sine die degli effetti interinali di limite alla libertà e alla proprietà dei privati per effetto della comunicazione di avvio del procedimento di individuazione, non seguita da tempestiva conclusione; l'introduzione di un indirizzo generale alle regioni (privo, peraltro, di effetti diretti immediati, abbisognando di attuazione regionale) per orientarne la eventuale delega agli enti locali della funzione di autorizzazione paesaggistica verso livelli (quali la provincia o i comuni) più adeguati (perché non in posizione di conflitto con i poteri autorizzatori edilizi, non certo per migliore o diversa capacità gestionale); la previsione transitoria del carattere vincolante del parere della Soprintendenza nel procedimento di autorizzazione paesaggistica fino all’adeguamento congiunto (Stato-Regione) del piano paesaggistico ai dettami del Codice.
Si tratta di tre indirizzi innovativi, prosegue il Presidente relatore, che pongono questioni note e importanti e mirano a un rafforzamento della tutela. Al riguardo, egli esprime peraltro il rammarico che l’atteggiamento pregiudizialmente ostativo opposto dalle Regioni non abbia consentito una serena discussione di merito. Dà tuttavia conto della sostanziale apertura del Ministero di settore e del Governo nel suo complesso verso una discussione senza pregiudiziale esclusione di esiti, anche radicalmente diversi (eventualmente soppressivi) di taluni di questi passaggi realmente innovativi.
Dopo aver accennato alla prevista razionalizzazione del sistema sanzionatorio, resa urgente dalla sopravvenienza della legge n. 308 del 2004, passa indi ad illustrare le modifiche di maggiore rilievo, soffermandosi anzitutto sull'articolo 6 ove si è precisato che, per il paesaggio, la valorizzazione non è solo promozione della conoscenza e assicurazione delle migliori condizioni di utilizzazione e di fruizione del patrimonio, ma anche recupero e riqualificazione degli immobili e delle aree paesaggistici.
All'articolo 135, si è chiarito che anche lo Stato partecipa alle finalità generali di tutela e valorizzazione del paesaggio, poiché tale compito appartiene alla Repubblica, in tutte le sue componenti, ai sensi dell'articolo 9 della Costituzione. Si è inoltre ritenuto di dare un’opportuna evidenziazione alla conoscenza del paesaggio, ai fini di una corretta pianificazione e gestione del bene. Anche alla luce delle successive modifiche apportate a tale articolo, è evidente che la nuova formulazione non riduce la potestà regionale di dettare prescrizioni e regole d’uso per tutto il territorio regionale. La novità consiste infatti nell’aver chiarito (benché fosse comunque incontestabile nella sostanza) che il piano paesaggistico conforma l’uso del territorio (e limita la proprietà privata) solo nell’ambito dei beni vincolati, mentre considera e valorizza l’intero territorio regionale. Ogni altra prescrizione limitativa delle libertà che riguardi aree e immobili non vincolati si fonda, evidentemente, su una base giuridica diversa (e concorrente), che è quella urbanistica. Il Presidente relatore ribadisce dunque che non vi è nessuna limitazione al potere regionale di dettare regole d’uso del territorio; si è solo chiarito che quando queste regole d’uso vertono su aree e immobili non vincolati, esse sono espressione della potestà pianificatoria regionale urbanistica e non rendono paesaggistico, a tutti gli effetti di legge, il bene preso in considerazione.
Non va peraltro dimenticato che la pianificazione paesaggistica deve comunque prendere in considerazione l’intero territorio regionale e ben può prevedere interventi di valorizzazione (e, dunque, anche di recupero e riqualificazione) di aree ed immobili paesaggisticamente rilevanti, ma non vincolati. La previsione proposta è dunque del tutto conforme alla Convenzione europea sul paesaggio di Firenze del 2000, di recente ratificata con legge 9 gennaio 2006, n. 14.
All'articolo 136, le modifiche sono volte a chiarire definitivamente che il vincolo paesaggistico dei complessi di immobili ben può riguardare i centri storici e a "spostare" le zone di interesse archeologico, di cui alla legge "Galasso", dall’articolo 142 (vincoli ex lege) all’articolo 136 (vincoli provvedimentali), atteso che tali zone, per loro natura richiedono un atto di perimetrazione e di individuazione, non essendo individuabili né in base al criterio meramente geografico-morfologico, né in base a quello ubicazionale.
All'articolo 137, si è ritenuto di intervenire sulla composizione della commissione provinciale, introducendo, quali ulteriori membri di diritto, per una pari rappresentanza, oltre ai rappresentanti statali, due rappresentanti regionali.
Quanto alle modalità di nomina dei componenti della commissione, al fine di assicurare una corretta competenza tecnica e un elemento di apertura alla partecipazione della società civile, si è previsto che due dei restanti quattro membri debbano essere nominati dalla regione entro terne di nomi proposte dalle università aventi sede nella regione e dalle associazioni portatrici di interessi diffusi individuate in base alla legge istitutiva del Ministero dell’ambiente.
All'articolo 138, al comma 1, si è inserita la previsione della consultazione dei comuni interessati e di eventuali esperti, prima collocata impropriamente nell’ultima parte del comma 2 dell’articolo 137: la consultazione, infatti, non attiene alla organizzazione strutturale della commissione provinciale, ma allo svolgimento dell’istruttoria in seno alla commissione.
Nel comma 2 si è precisato che gli interventi di valorizzazione non costituiscono un contenuto indefettibile della proposta di vincolo, ma ne rappresentano una parte solo eventuale.
Infine, si è aggiunto un nuovo comma 3, mirante ad assicurare l’efficienza ed efficacia dell’azione propositiva della commissione. Si è infatti posto un termine per le sue deliberazioni, con l’ulteriore previsione che, decorso il termine senza che la commissione si sia in alcun modo pronunziata, la proposta venga senz’altro formulata dallo stesso organo (statale o regionale) che aveva avviato il procedimento.
All'articolo 139, per esigenze di razionalità, è stata spostata dal comma 4 al comma 1 la previsione della comunicazione della proposta di vincolo agli enti locali intermedi (provincia, città metropolitana).
Si è inoltre introdotta un’ulteriore modifica, al comma 2, intesa a sottoporre alle medesime forme di pubblicità, previste per la proposta, anche la determinazione negativa della commissione, che chiuda il subprocedimento di iniziativa senza pervenire alla formulazione della proposta.
Al comma 3 si è introdotta una importante semplificazione della fase partecipativa.
Infine, è stato ridotto a trenta giorni, per ovvie ragioni di celerità procedurali, il termine per la presentazione di osservazioni e documenti sulla proposta di vincolo, sia per il caso di vincolo individuale, sia per il caso di bellezze d’insieme.
All'articolo 140, si è inserita, in coerenza con le modifiche apportate all’articolo 139, la previsione di un termine più spedito (sessanta giorni) per la conclusione del procedimento regionale di vincolo, successivamente alla conclusione della fase della proposta. Il Presidente relatore sottolinea che questa previsione serve in primo luogo a tutelare la proprietà privata, che sarebbe altrimenti rimasta soggetta alle misure anticipatorie interinali del vincolo, che scattano già dall’avvio del procedimento di individuazione, per un lasso di tempo eccessivamente ampio. Si è inoltre precisato che i provvedimenti con i quali si dichiara il notevole interesse pubblico devono contenere specifiche disposizioni in ordine alle trasformazioni compatibili con la tutela del bene paesaggistico che si vincola. Questa previsione corrisponde specularmente a quella contenuta nel comma 2 dell’articolo 138 sulla proposta di vincolo: sia nella proposta che, a fortiori, nell’atto terminale del procedimento, è necessario che vi sia uno specifico contenuto di regola d’uso del territorio compatibile con il valore paesaggistico.
All'articolo 141, si è ritenuto di dover riportare il rapporto tra potestà regionale e potestà statale al punto di equilibrio definito dalla nota pronuncia della Corte costituzionale 14 luglio 1998, n. 334. La previsione vigente aveva in sostanza ridotto il ruolo statale nella funzione di individuazione - definito dalla Consulta come parallelo e concorrente - a un mero potere sostitutorio succedaneo, reso peraltro di scarsa efficacia dalla previsione di un termine assai lungo (un anno) di inerzia regionale al fine di integrare il presupposto dell’intervento sostitutivo.
Più realisticamente e con previsione di maggiore efficacia per la funzione di tutela, l’intervento statale viene ora ancorato ai più stringenti termini previsti per la proposta della commissione e per la conclusione del procedimento regionale di dichiarazione, rispettivamente dai nuovi articoli 138 e 140. Al fine di contenere entro tempi ragionevoli la compressione dei diritti reali sul bene che deriva dal vincolo in itinere e dare certezza alle situazioni giuridiche, è stata anche prevista la cessazione degli effetti interinali del vincolo una volta decorso infruttuosamente il termine stabilito per l’emanazione del provvedimento ministeriale.
Quanto all'articolo 142, la novità principale consiste nell’aver fugato l’equivoco, che si era affacciato in taluni interpreti nella prima applicazione del Codice, che la tutela delle zone ex lege "Galasso" potesse essere solo temporanea, alla stregua di beni paesaggistici "minori". Una diversa interpretazione del Codice del 2004 – nel senso dell’abrogazione dei vincoli ex lege Galasso – avrebbe del resto reso il Codice medesimo incostituzionale per palese violazione del limite, imposto dalla legge delega n.137 del 2002, di non diminuire gli strumenti di tutela vigenti.
La formulazione dell'articolo 143 è stata ridotta, in quanto alcune previsioni generali sulla pianificazione sono state trasferite all’articolo 135, per attribuire loro un più evidente carattere di principio.
L'articolo 144 è stato integrato con il richiamo dell’ambito di disciplina procedimentale demandato alla legislazione regionale.
All'articolo 146 sono state invece apportate tre modifiche sostanziali, tutte rispondenti alla necessità di assicurare efficacia al principale strumento di gestione del vincolo, che costituisce uno snodo essenziale per l’effettività della tutela del bene paesaggistico.
La prima modifica, contenuta nel comma 2, consiste nell’enunciazione di un criterio fondamentale per le regioni, le quali, nell’esercizio della (eventuale) delega agli enti locali della funzione autorizzatoria paesaggistica, devono rispettare il principio costituzionale della adeguatezza del livello di governo al quale delegano la funzione. Ciò, in relazione al "conflitto di interessi" derivante dal cumulo nell’ente comunale delle funzioni (spesso incompatibili) di sviluppo edilizio e di tutela paesaggistica (cumulo verificatosi nell’ultimo ventennio in quasi tutta Italia con risultati ritenuti unanimemente negativi).
Si è così indicato nella provincia il livello di gestione preferibile ed adeguato, sia in ragione della presenza, in capo a questo ente locale, di competenze in materia di controllo ambientale, sia per la maggiore distanza di questa amministrazione dagli interessi edilizi locali di trasformazione del territorio.
Naturalmente, resta intatta la potestà regionale di delegare le funzioni autorizzatorie ai comuni, ma si sono introdotti, per tale caso, opportuni limiti e condizioni, volti a compensare, sul piano della garanzia della effettività della tutela del paesaggio, la deroga al criterio di adeguatezza.
La seconda modifica – inserita alla fine del comma 8 - è diretta a ripristinare una reale cogestione del vincolo tra Stato e regioni (o enti delegati), in ossequio alla costante giurisprudenza sia costituzionale che amministrativa che ha sempre affermato e ribadito il concorso paritario dello Stato e delle regioni anche nella gestione dello strumento autorizzatorio. Essa consiste nella previsione del carattere vincolante del parere delle Soprintendenze sulla proposta di autorizzazione regionale (o dell’ente cui la funzione sia stata dalla regione affidata). La vincolatività del parere ha però carattere solo temporaneo ed è esclusa nell’ipotesi in cui il contenuto del piano sia stato definito d’accordo tra Stato e regione (articolo 143, comma 3). Si tratta di una novità importante, fortemente voluta dalle associazioni ambientaliste e da numerosi studiosi della materia e operatori del settore che avevano duramente criticato il Codice del 2004 proprio sotto il profilo dell’indebolimento della tutela per il "combinato disposto" dell’abrogazione dello strumento dell’annullamento ministeriale e della sua trasformazione in un parere meramente obbligatorio, ma non vincolante. La innovazione introdotta, dunque, rafforza la tutela e intende far cessare ogni dubbio, anche in punto di legittimità costituzionale, dell’attuale conformazione del procedimento autorizzatorio.
La terza modifica introdotta è invece volta, proprio su richiesta delle regioni, a consentire l’autorizzazione in sanatoria soltanto per i "piccoli" abusi.
All'articolo 148 è stata introdotta, al comma 1, la previsione di un termine fisso per l’attuazione della disposizione.
All'articolo 150, la modifica al comma 1, lettera a), chiarisce la possibilità di esercitare il potere anche nei confronti di aree od immobili non ancora sottoposti a tutela.
All'articolo 156, al comma 1, il termine per l’adeguamento dei piani esistenti è stato mantenuto al 1° maggio 2008 (corrispondente alla scadenza del quadriennio previsto dalla formulazione vigente).
Alla infruttuosa decorrenza del termine è stata collegata l’attivazione dei poteri sostitutivi ministeriali (ciò che poteva farsi discendere dall’articolo 5, comma 7, ma non veniva esplicitato nella precedente formulazione), in quanto non vi sarebbe motivo per lasciare l’adempimento centrale della tutela del paesaggio senza strumenti atti ad assicurarne la realizzazione di fronte ad eventuali comportamenti inerti o dilatori.
Al comma 3, risolvendo, in coerenza agli istituti generali del procedimento amministrativo, un’ambiguità terminologica presente nel testo vigente, viene precisato (come già all’articolo 143) che il procedimento di elaborazione congiunta dell’adeguamento del piano è sorretto dalla previa intesa e trova il suo momento di conclusione in un accordo preliminare, rispetto al quale potranno eventualmente essere esercitati i poteri sostitutivi già previsti.
All'articolo 159, al comma 1, la cessazione del regime transitorio è stata collegata, anziché all’adeguamento del piano paesaggistico, alla scadenza del termine previsto per tale adempimento, trattandosi comunque di un termine sufficientemente ampio per consentire alle Amministrazioni di adeguare le proprie strutture organizzative al nuovo procedimento.
Inoltre, si è aggiunto un nuovo comma 6, volto a chiarire un dubbio interpretativo che si era profilato in ordine alla immediata applicabilità di alcune previsioni sulla natura del potere autorizzatorio esercitabile contenute nell’articolo 146, che avrebbero potuto intendersi come applicabili soltanto nel procedimento autorizzatorio "a regime".
Il Presidente relatore dà infine conto brevemente delle modifiche apportate alla parte IV, relativa alle sanzioni amministrative e penali, osservando che si tratta di norme su cui più correttamente si esprimerà la Commissione giustizia.
Il seguito dell'esame è quindi rinviato.
La seduta termina alle ore 16,15.
PROPOSTA DI DOCUMENTO CONCLUSIVO DELL’INDAGINE CONOSCITIVA SUI NUOVI MODELLI ORGANIZZATIVI PER LA TUTELA E LA VALORIZZAZIONE DEI BENI CULTURALI
1. INTRODUZIONE
Il 24 ottobre 2001 la Commissione istruzione ha avviato un’indagine conoscitiva intesa ad approfondire e valutare i principali profili problematici connessi ai modelli organizzativi per la tutela e la valorizzazione dell’immenso patrimonio culturale del nostro Paese.
L’esigenza di una riflessione su tali criticità traeva spunto dalla considerazione della loro strategicità per lo sviluppo culturale, oltre che economico e sociale. I beni culturali costituiscono infatti un patrimonio di valori che definisce l’identità nazionale, il senso di comune appartenenza, la memoria storica, ovvero - nelle parole della Commissione Franceschini - essi sono ogni "testimonianza materiale avente valore di civiltà".
Già nella scorsa legislatura, del resto, la Commissione aveva avviato un'analoga procedura informativa, non conclusa prima dello scioglimento delle Camere.
Il patrimonio culturale rappresenta altresì una preziosa risorsa per stimolare il turismo e, più in generale, veicolare la crescita economica del Paese. Al riguardo, proprio in considerazione della sua ampiezza (confermata da talune stime secondo cui sarebbe pari al 60 per cento dell’intero patrimonio culturale mondiale), qualità e diffusione territoriale, non vanno sottovalutate le enormi potenzialità di iniziative per la promozione di sistemi culturali integrati, anche al fine di accrescere l’offerta culturale e soddisfare la domanda potenziale di fruizione.
Attese le richiamate esigenze di tutela e valorizzazione, cui si contrappongono peraltro le difficoltà nelle quali versa la finanza pubblica, si è imposta dunque la necessità, da un alto, di favorire il coinvolgimento dei privati e, dall’altro, di razionalizzare le modalità di intervento diretto del settore pubblico, secondo un approccio innovativo che tenesse conto anche dell'esigenza di una gestione manageriale.
Ciò premesso, attraverso le mirate audizioni e i sopralluoghi in alcune delle principali realtà culturali italiane ed estere, la Commissione ha analizzato le criticità connesse all’esercizio delle funzioni di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, dalle quali sono emerse importanti indicazioni che costituiranno un utile punto di partenza anche per la prossima legislatura.
In proposito, specifica attenzione è stata riposta al quadro costituzionale delineato dalla riforma del Titolo V del 2001, che differenzia fra compiti di tutela e compiti di valorizzazione, con particolare riferimento alle modalità con cui vanno affermandosi i principi di sussidiarietà verticale (che presuppone una ripartizione dei compiti fra Stato e autonomie territoriali) e orizzontale (che richiede un effettivo coinvolgimento del settore privato).
ISTRUZIONE PUBBLICA, BENI CULTURALI (7a)
MARTEDÌ 31 GENNAIO 2006
465a Seduta
Presidenza del Presidente
ASCIUTTI
IN SEDE CONSULTIVA SU ATTI DEL GOVERNO
Intervengono i sottosegretari di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca Aprea e per i beni e le attività culturali Bono.
La seduta inizia alle ore 14,45.
Schema di decreto legislativo recante: "Disposizioni correttive ed integrative del Codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in relazione ai beni culturali" (n. 594)
(Seguito dell'esame e rinvio)
Riprende l'esame sospeso nella seduta del 24 gennaio scorso.
Nel dibattito interviene la senatrice ACCIARINI (DS-U), la quale si augura che l'esame del provvedimento in titolo rappresenti l'occasione per affrontare alcuni profili critici della normativa, in ordine ai quali occorre intervenire ai fini di sistemazione.
Richiamando l'audizione svolta questa mattina dall'Ufficio di Presidenza della Commissione con i rappresentanti dell'Associazione Bianchi Bandinelli, dell'Assotecnici e dell'Associazione italiana biblioteche (AIB), ella richiama anzitutto l'attenzione sull'esigenza di riconsiderare il regime giuridico di alcune categorie di beni (ad esempio, le collezioni pubbliche non esposte, i beni di interesse storico indiretto, le collezioni di persone giuridiche senza fini di lucro) alla luce del mutato contesto di tutela che, da un regime di inalienabilità assoluta dei beni demaniali, è passato ad un regime di alienabilità previo accertamento. I predetti beni, nella nuova disciplina, restavano tuttavia privi di tutela. In tal senso, è pertanto indispensabile classificare i beni culturali a seconda della loro appartenenza (a soggetti pubblici, persone giuridiche senza fini di lucro, soggetti privati singoli o societari), assoggettando così tutti i beni pubblici e appartenenti a soggetti no profit alla verifica prevista dall'articolo 12.
Con riferimento all'articolo 29, rileva indi l'esigenza di considerare anche le altre figure di tecnici non iscritte ad albi professionali, diverse dai restauratori. In assenza di una norma quadro, risulta infatti difficile l'applicazione uniforme dei livelli di qualità professionale nei diversi settori pubblici. Ciò, tanto più alla luce dei contratti di servizio stipulati dai soggetti pubblici, che non possono non prevedere l'accertamento dei requisiti di qualità del personale utilizzato dal contraente.
Passando all'articolo 115, ella conviene con i rappresentanti auditi questa mattina in ordine all'esigenza che il progetto di valorizzazione indichi fra l'altro: la nuova destinazione d'uso del bene, che deve essere compatibile con il suo carattere storico-artistico; le misure di conservazione; le modalità di fruizione, che non possono limitare il godimento pubblico del bene se non per ragioni di tutela; la clausola risolutiva espressa prevista dal codice civile; i livelli di qualità e professionali degli addetti; la clausola penale di cui all'articolo 1382 del codice civile.
Quanto ai beni librari, ella sollecita una diversa stesura dell'articolo 5 che faccia chiarezza sulle raccolte non appartenenti allo Stato. Inoltre, auspica l'introduzione nel Codice di un articolo appositamente dedicato all'istituto del deposito legale, in un'ottica di preservazione della memoria della comunità nazionale.
Il seguito dell'esame è quindi rinviato.
IN SEDE CONSULTIVA
Schema di decreto legislativo recante: "Disposizioni correttive ed integrative del Codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in relazione al paesaggio (n. 595)
(Seguito dell'esame e rinvio)
Riprende l'esame sospeso nella seduta del 24 gennaio scorso.
Nel dibattito interviene la senatrice SOLIANI (Mar-DL-U) la quale sottolinea anzitutto l'esigenza di certezze non solo sul piano delle condizioni giuridiche ma anche su quello della tempistica, particolarmente rilevante in campo ambientale.
Nel riconoscere che le soluzioni approntate nell'atto in titolo tentano di intervenire in questo senso, ella rileva tuttavia che, con particolare riferimento ai beni paesaggistici, la valorizzazione assume rilievo non solo ai fini della fruizione ma anche e soprattutto ai fini di recupero e riqualificazione delle aree ambientali. In tale settore, la valorizzazione assume infatti una dimensione niente affatto statica, bensì assai dinamica.
Occorre altresì tener presente che, con particolare riguardo al paesaggio, il rapporto fra tutela e valorizzazione nel nuovo assetto ordinamentale fra Stato e regioni è ben lungi dall'aver trovato un punto di equilibrio. Il governo dell'ambiente è del resto particolarmente difficile, atteso che la tutela non deve limitarsi al singolo bene ma deve considerare l'intero territorio. Al riguardo, ella ritiene infatti che non debbano essere imposti limiti alle regioni nella pianificazione del paesaggio, che non può non riguardare anche le aree non vincolate.
Ella sottolinea poi il rilievo che può assumere a tal fine il ruolo svolto dagli enti subregionali ed in particolare dalla provincia, che rappresenta l'istituzione intermedia maggiormente in grado, anche più dei comuni, di valorizzare gli equilibri fra territorio e paesaggio. In tal senso ella esprime apprezzamento per la scelta di introdurre nella commissione provinciale una rappresentanza della società civile. La partecipazione dei cittadini, anche in forma associativa, alla tutela del territorio è infatti a suo avviso una delle maggiori ricchezze del Paese, il cui ambiente deve essere governato in modo senz'altro partecipato.
Avviandosi alla conclusione, ella prende atto delle modifiche intervenute rispetto all'approccio tradizionale alle tematiche del paesaggio. Ritiene tuttavia che tale approccio innovativo debba essere ancora consolidato onde poter essere efficacemente all'altezza della qualità dei beni paesaggistici italiani, tanto più in considerazione dello stato di abbandono in cui hanno vissuto finora. In tal senso, la questione non può certamente non dirsi ancora aperta.
Il seguito dell'esame è quindi rinviato.
La seduta termina alle ore 15,50.
ISTRUZIONE PUBBLICA, BENI CULTURALI (7a)
GIOVEDÌ 2 FEBBRAIO 2006
467a Seduta
Presidenza del Presidente
ASCIUTTI
IN SEDE CONSULTIVA SU ATTI DEL GOVERNO
La seduta inizia alle ore 15,20.
Schema di decreto legislativo recante: "Disposizioni correttive ed integrative del Codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in relazione ai beni culturali" (n. 594)
(Seguito dell'esame e rinvio)
Riprende l'esame sospeso nella seduta del 31 gennaio scorso.
Il presidente relatore ASCIUTTI (FI) prende atto che i senatori iscritti a parlare in discussione generale non sono presenti; si intende quindi che abbiano rinunciato ad intervenire. Dichiara pertanto chiusa tale fase procedurale.
Il seguito dell'esame è quindi rinviato.
La seduta termina alle ore 15,25.
ISTRUZIONE PUBBLICA, BENI CULTURALI (7a)
MARTEDÌ 7 FEBBRAIO 2006
468a Seduta
Presidenza del Presidente
ASCIUTTI
Interviene il ministro per i beni e le attività culturali Buttiglione.
La seduta inizia alle ore 14,45.
IN SEDE CONSULTIVA SU ATTI DEL GOVERNO
La seduta inizia alle ore 15,20.
Schema di decreto legislativo recante: "Disposizioni correttive ed integrative del Codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in relazione ai beni culturali" (n. 594)
(Parere al Ministro per i rapporti con il Parlamento, ai sensi dell'articolo 10, commi 3 e 4, della legge 6 luglio 2002, n. 137. Seguito dell'esame e rinvio)
Riprende l'esame, sospeso nella seduta del 2 febbraio scorso.
Il presidente relatore ASCIUTTI (FI) comunica anzitutto che anche in questo caso il Ministro per i rapporti con il Parlamento ha formalmente trasmesso alle Camere il testo del parere espresso dalla Conferenza unificata sull'atto in titolo. Il Presidente del Senato ha conseguentemente comunicato che, con tale integrazione, si intende caduta la riserva con la quale l'atto era stato deferito per l'espressione del parere parlamentare.
Egli passa pertanto alla replica sulle osservazioni emerse nella discussione generale, nonché nel corso delle audizioni svolte dall'Ufficio di Presidenza della Commissione, dichiarando preliminarmente di condividerne molte. Chiarisce tuttavia che alcune non possono essere accolte in quanto l'atto in titolo non appare la sede più idonea.
In primo luogo, ritiene condivisibile il riconoscimento della specificità dei prodotti audiovisivi, per i quali il contenuto, e non il supporto (caratterizzato da rapida obsolescenza), costituisce il bene culturale.
Quanto ai beni di interesse numismatico, esprime anzitutto apprezzamento per la scelta di equilibrio compiuta dall'atto in esame, che concilia opposte esigenze provenienti dal mondo del collezionismo. Ciò, prosegue, non esclude peraltro che il Governo possa compiere un ulteriore sforzo, nel senso di riconoscere le caratteristiche di bene culturale alle monete che presentino valenza storica, archeologica e/o artistica in rapporto all'epoca, alle tecniche e ai materiali, nonché al contesto di riferimento.
Ritiene altresì condivisibile sancire l'obbligo per lo Stato e gli enti territoriali di richiedere, in sede di definizione di bandi concorsuali, il possesso di requisiti uniformi da parte degli operatori nel settore della conservazione dei beni culturali. Qualora ciò non fosse possibile nella sede del Codice in quanto inidonea, giudica comunque utile segnalare al Governo questa esigenza affinché ne faccia tesoro in un diverso provvedimento.
Passando alla richiesta avanzata di riformulare l'articolo 115 integrando il progetto di valorizzazione, fa presente che detto articolo si riferisce agli istituti e luoghi della cultura, vale a dire essenzialmente ai musei. Alcune delle integrazioni proposte, come ad esempio l'indicazione della nuova destinazione d'uso del bene, le misure di conservazione e le modalità di fruizione, non appaiono quindi pertinenti. Condivide invece il suggerimento di integrare il progetto di valorizzazione con la clausola risolutiva espressa prevista dal Codice civile, i livelli di qualità e di professionalità degli addetti e la clausola penale di cui all'articolo 1382 del Codice civile.
Sempre con riferimento all'articolo 115 (e al connesso 112), ritiene inoltre opportuno operare una distinzione fra processi e attività di valorizzazione,riferendo il termine "processi" alle decisioni strategiche in tema di valorizzazione (le quali pertengono ovviamente all’ente pubblico, che può esercitarle sia direttamente che tramite soggetti giuridici appositamente costituiti) e il termine "attività" alle singole, concrete operazioni di valorizzazione (che l’ente pubblico può esercitare direttamente o, previa selezione mediante procedure di evidenza pubblica, tramite terzi).
Il Presidente relatore afferma altresì che sarebbe stato favorevole ad introdurre nel Codice un apposito articolo diretto a riconoscere il ruolo centrale del deposito legale al fine di conservare la memoria della comunità nazionale. Osserva tuttavia che questa non è la sede idonea, atteso che si tratta di uno schema correttivo di un Codice già esistente. Ribadisce comunque il suo pieno sostegno all'istituto del deposito legale, che del resto è stato riformato proprio in questa legislatura.
Ritiene altresì utile, come già anticipato nella relazione introduttiva, prevedere che la possibilità di fruire della disciplina transitoria dettata dall'articolo 182 sia estesa anche alle Accademie di belle arti che abbiano attivato corsi di formazione in restauro. Peraltro, occorre tenere presente, ai fini della determinazione del periodo di vigenza della predetta disciplina transitoria, che i decreti integrativi entreranno in vigore nel corso del 2006.
Infine, attesi i problemi che l'applicazione pratica ha determinato, occorre che all'Amministrazione competente sia demandato il compito di coordinare i tempi previsti dalla procedura per l'esercizio della prelazione, così come disciplinata dall'articolo 62, quando essa sia attivata dalle regioni o dalle autonomie locali.
Presenta conseguentemente uno schema di parere favorevole con osservazioni, pubblicato in allegato al presente resoconto.
Intervenendo a sua volta in sede di replica, il ministro BUTTIGLIONE sottolinea che l'atto in titolo, sulla base dell’esperienza maturata nei primi diciotto mesi di applicazione del Codice dei beni culturali e del paesaggio, procede, da un lato, alla riformulazione di alcune proposizioni normative, onde rendere più intelligibile la volontà del legislatore e favorirne l’efficace attuazione; dall’altro, alla soppressione dal testo previgente delle disposizioni abrogate, ovvero alla sua integrazione con le norme sopravvenute in materia.
In particolare, dichiara di attribuire particolare rilevanza soprattutto alle modifiche apportate all’articolo 12 nonché alle rinnovate disposizioni in materia di restauro (articoli 29 e 182) e valorizzazione (articoli 112 e seguenti).
Relativamente all’articolo12, l’intervento è a suo avviso necessario per rendere il testo della norma pienamente coerente con i principi generali dell’ordinamento in tema di procedure amministrative ed in particolare con l’articolo 20, comma 4, della legge n. 241 del 1990, che sancisce l’inapplicabilità ai procedimenti concernenti i beni culturali e paesaggistici del meccanismo del silenzio-assenso. Al riguardo, esprime gratitudine per l'impegno profuso dalla Commissione con riferimento a tale tematica, che del resto conferma una spiccata attenzione alle esigenze di tutela del patrimonio nazionale, e ribadisce di aver sempre ritenuta inopportuna l'applicazione di tale strumento - pur condivisibile in linea generale - nel settore dei beni culturali. Con la richiamata modifica, egli si augura che sia fatta finalmente giustizia delle polemiche che hanno accompagnato il Codice nel periodo di prima applicazione.
Per quanto riguarda le modifiche apportate all’articolo 29, il Ministro giudica importante il riconoscimento della tradizione italiana del restauro e del livello di eccellenza al quale si collocano gli operatori e le scuole del settore, attraverso l'attribuzione all’esame conclusivo dei corsi di restauro svolti presso le scuole di alta formazione e di studio del valore di esame di Stato e, al contempo, l’equiparazione del titolo rilasciato a seguito del superamento di detto esame alla laurea specialistica o magistrale. In proposito, coglie l'occasione per ribadire la superiorità italiana nel settore, come confermano gli impegni internazionali, fra cui il recupero della cittadella di Bam (in Iran), nonché di un tratto della Grande Muraglia e del Padiglione della Suprema Armonia (in Cina).
Inoltre, ritiene altrettanto importante il coinvolgimento delle università nella elaborazione e conclusione di accordi finalizzati alla creazione di centri di ricerca, sperimentazione, studio e attuazione di interventi in materia di restauro, riconoscendo, altresì, alle medesime istituzioni un ruolo paritario, rispetto al Ministero ed alle regioni, nella istituzione, presso i suddetti centri, di corsi di alta formazione per l’insegnamento del restauro.
In attesa che detta disciplina vada a "regime" con l’adozione dei previsti decreti attuativi, si fa riferimento alle norme transitorie di cui all’articolo182 del Codice, nelle quali sono indicati in modo dettagliato i requisiti utili al conseguimento delle qualifiche di restauratore e collaboratore restauratore di beni culturali.
Degna di nota, prosegue il Ministro, è anche la disposizione che consente l’avvio sperimentale di un corso di laurea in restauro, patrocinato dal Ministero e dall’università, presso la prestigiosa sede di Venaria Reale di recente riportata agli antichi splendori con fondi nazionali ed europei.
Quanto alla disciplina recata agli articoli 112 e 115, le innovazioni introdotte sono a suo avviso giustificate dall’esigenza di aggiornare e potenziare gli strumenti giuridici idonei a realizzare una più efficace valorizzazione dei beni culturali di appartenenza pubblica, coinvolgendo idee e risorse sia pubbliche che private. In questo quadro, egli sottolinea il riferimento ai "distretti culturali" quali porzioni territoriali privilegiate, nell’ottica della interrelazione tra istituzioni museali, infrastrutture, nonché realtà economiche e produttive, finalizzata allo sviluppo culturale e sociale delle aree medesime.
Rammenta infine che l'atto in titolo è largamente condiviso dalle regioni e dagli enti locali, atteso che esso realizza un ulteriore passo avanti sulla strada della cooperazione fra Stato ed enti territoriali in materia di tutela e valorizzazione dei beni culturali, del resto già efficacemente percorsa dal Codice, come conferma l'assenza di impugnative regionali dinanzi alla Corte costituzionale.
La senatrice ACCIARINI (DS-U), intervenendo sui lavori della Commissione, chiede di rinviare alla seduta di domani la votazione della proposta illustrata dal Presidente relatore onde consentire un più attento esame del parere reso dalla Conferenza unificata sul provvedimento in titolo. Coglie peraltro l'occasione, richiamandosi alle considerazioni positive del Ministro con riferimento all'assenza di contenzioso costituzionale sull'attuazione del Codice, per sottolineare che i rapporti fra Stato e regioni non dovrebbero essere valutati solo nell'ottica della conflittualità, bensì anche della concertazione.
Il presidente relatore ASCIUTTI (FI) dichiara la propria disponibilità a rinviare la votazione dello schema di parere, nel presupposto che nella seduta di domani si tenga conto anche dell'esigenza di procedere alla prevista approvazione del documento conclusivo riferito all'indagine conoscitiva sulla ricerca scientifica. Invita peraltro i senatori che lo desiderino ad anticipare sin d'ora gli interventi in dichiarazione di voto.
Il senatore COMPAGNA (UDC) preannuncia il voto favorevole del suo Gruppo allo schema di parere del Presidente relatore, sottolineando anzitutto che il Codice rappresenta una delle innovazioni più significative che hanno caratterizzato la politica dei beni culturali negli ultimi anni. In particolare, giudica significative le assicurazioni rese dal Ministro con riferimento allo schema di decreto legislativo recante disposizioni correttive ed integrative del Codice in materia di paesaggio (atto del Governo n. 595) e che sono tuttavia a suo avviso estensibili al provvedimento in esame, secondo cui le modifiche non alterano il riparto di competenze fra organi politici e organi amministrativi nei procedimenti di tutela.
Quanto alla riformulazione dell'articolo 12 diretta a sancire l'inapplicabilità del meccanismo del silenzio-assenso, egli sottolinea che in questo modo si fa finalmente giustizia di interpretazioni tendenziose.
Giudica poi estremamente opportuno il riconoscimento del ministro Buttiglione nei confronti del ruolo svolto dall'Istituto centrale del restauro che, oltre ad aver contribuito significativamente all'importante tradizione italiana nel settore, assieme all'Istituto del catalogo svolge una preziosa attività, che del resto rappresenta una delle principali ragioni della stessa istituzione del Ministero dei beni culturali.
Il senatore BRIGNONE (LP), nel preannunciare il voto favorevole del suo Gruppo allo schema di parere, chiede che sia inserita una specifica osservazione sull'opportunità di integrare l'articolo 1, comma 2, del Codice con l'esplicito inserimento dell'identità della comunità nazionale fra le finalità della tutela e valorizzazione.
Quanto all'articolo 12, egli critica la previsione secondo cui, per essere sottoposte alle disposizioni di tutela e valorizzazione, i beni culturali debbano non solo essere opera di autore non più vivente, ma essere stati eseguiti da oltre cinquant'anni.
Relativamente all'articolo 119, egli giudica insufficiente che la diffusione della conoscenza del patrimonio culturale nelle scuole sia demandata esclusivamente a convenzioni fra gli istituti scolastici e i luoghi della cultura. Al riguardo, ritiene invece indispensabile che la diffusione di detta conoscenza sia inserita fra gli insegnamenti obbligatori nelle scuole.
Il senatore DELOGU (AN) dichiara a sua volta, a nome del proprio Gruppo, un convinto voto favorevole sullo schema illustrato dal Presidente relatore.
Il senatore FAVARO (FI) preannuncia la piena adesione del proprio Gruppo allo schema di parere favorevole con osservazioni, che ben riassume i principali spunti emersi nel dibattito.
Al riguardo, giudica condivisibili le modifiche in materia di verifica dell'interesse culturale ed in particolare la soppressione del meccanismo del silenzio-assenso, che aveva suscitato molte preoccupazioni.
Quanto alle norme in materia di formazione dei restauratori, egli ritiene importante la valorizzazione di esperienze significative, come del resto la Commissione ha avuto modo di appurare nel corso dei sopralluoghi svolti nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui beni culturali.
Infine, esprime apprezzamento per la scelta di valorizzare i siti culturali, nell'ottica di assicurare uno sviluppo integrato che ponga a sistema il patrimonio culturale, l'arte e le risorse paesaggistiche, a suo avviso indispensabile soprattutto nelle realtà periferiche.
Il presidente relatore ASCIUTTI (FI) dichiara di accogliere la richiesta del senatore Brignone in merito all'opportunità di riformulare l'articolo 1, comma 2, del Codice e modifica pertanto lo schema di parere favorevole con osservazioni già illustrato.
Il seguito dell'esame è quindi rinviato.
La seduta, sospesa alle ore 15,20, è ripresa alle ore 15,30.
IN SEDE CONSULTIVA
Schema di decreto legislativo recante: "Disposizioni correttive ed integrative del Codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in relazione al paesaggio (n. 595)
(Osservazioni alla 13a Commissione. Seguito e conclusione dell'esame. Osservazioni favorevoli con rilievi)
Riprende l'esame, sospeso nella seduta del 1° febbraio scorso, nel corso della quale - ricorda il PRESIDENTE - si era conclusa la discussione generale. Avverte indi che il Ministro per i rapporti con il Parlamento ha formalmente trasmesso alle Camere il testo del parere espresso dalla Conferenza unificata sul provvedimento e che pertanto il Presidente del Senato ha comunicato che si intende caduta la riserva con la quale l'atto era stato assegnato. Sarà quindi possibile concluderne l'esame nella seduta di oggi. Invita infine il relatore ad intervenire in sede di replica.
Il relatore FAVARO (FI) illustra uno schema di osservazioni favorevoli con rilievi (allegato al presente resoconto), nel quale dichiara di recepire i principali spunti emersi nel corso della discussione generale.
Il ministro BUTTIGLIONE, intervenendo a sua volta in sede di replica, esprime vivo compiacimento per lo schema testé illustrato, che coglie a suo avviso i punti qualificanti dell’intervento correttivo e le relative motivazioni.
Riguardo all'osservazione n. 1, relativa al riparto di competenze fra organi politici e organi amministrativi nei procedimenti di tutela, egli fa peraltro presente che le disposizioni correttive non introducono modifiche e, coerentemente all’impostazione del Codice, si mantengono sostanzialmente neutrali rispetto all’assetto organizzativo dell’Amministrazione. Al riguardo, prosegue il Ministro, la disciplina organizzativa è infatti contenuta nel decreto del Presidente della Repubblica n. 173 del 2004, al quale, dopo il primo periodo di vigenza, potranno senz'altro essere introdotte le modifiche eventualmente opportune onde superare dubbi interpretativi o disfunzionalità operative.
Quanto all'osservazione n. 2, egli giudica condivisibile l'esplicito riferimento alle varianti nella prospettiva di rafforzare gli strumenti di tutela. Fa tuttavia presente che già l’articolo 145 prevede la partecipazione dell’Amministrazione centrale all'approvazione dei piani regolatori, che dovrebbe comprendere anche i procedimenti di variante.
Infine, relativamente all'osservazione n. 3, il Ministro afferma che la tutela degli immobili vincolati sotto il profilo degli assetti distributivi interni delle unità edilizie potrà discendere dalla predisposizione di vincoli ed autorizzazioni paesaggistiche più puntualmente motivati con riferimento alle caratteristiche del bene, come del resto sancito da diverse disposizioni del Codice (articoli 138, 141, 143, 146).
Poiché nessun senatore chiede di intervenire in dichiarazione di voto, previa verifica del numero legale ai sensi dell'articolo 30, comma 2, del Regolamento, il PRESIDENTE pone ai voti lo schema di osservazioni favorevoli con rilievi illustrato dal relatore Favaro, che risulta approvato.
OSSERVAZIONI APPROVATE DALLA COMMISSIONE SULL'ATTO N. 595
"La Commissione,
esaminato lo schema di decreto legislativo in titolo,
espresso apprezzamento per le finalità degli interventi più innovativi, quali: la previsione di termini certi per il procedimento di vincolo, allo scopo di evitare il protrarsi sine die degli effetti interinali limitativi della proprietà privata; l'introduzione di un indirizzo generale alle regioni per orientarne la eventuale delega della funzione di autorizzazione paesaggistica verso livelli più adeguati; la previsione del carattere vincolante del parere della soprintendenza nel procedimento di autorizzazione paesaggistica tranne che nel caso di adozione congiunta (Stato-regione) del piano paesaggistico,
manifestato rammarico per il parere contrario della Conferenza unificata, nonostante l'apertura del Governo nei confronti delle posizioni emerse in quella sede,
valutate positivamente le modifiche apportate e in particolare:
la riformulazione dell’articolo 6 nel senso di precisare che, per il paesaggio, la valorizzazione non è solo promozione della conoscenza e assicurazione delle migliori condizioni di utilizzazione e di fruizione del patrimonio, ma anche recupero e riqualificazione degli immobili e delle aree paesaggistiche,
le modifiche operate all'articolo 135 secondo cui: si è chiarito che anche lo Stato partecipa alle finalità generali di tutela e valorizzazione del paesaggio, poiché tale compito appartiene alla Repubblica, in tutte le sue componenti, ai sensi dell'articolo 9 della Costituzione; si è ritenuto di dare un’opportuna evidenziazione alla conoscenza del paesaggio, ai fini di una corretta pianificazione e gestione del bene; senza operare alcuna limitazione dei poteri regionali nel dettare regole d’uso del territorio, si è stabilito che il piano paesaggistico conforma l’uso del territorio (e limita la proprietà privata) solo nell’ambito dei beni vincolati, mentre considera e valorizza l’intero territorio regionale. Ogni altra prescrizione limitativa delle libertà che riguardi aree e immobili non vincolati si fonda infatti, evidentemente, su una base giuridica diversa, e quindi concorrente, che è quella urbanistica,
le modifiche apportate all'articolo 137 in materia di composizione della commissione incaricata di formulare proposte per la dichiarazione di notevole interesse pubblico dei beni, che è ora integrata con una rappresentanza della società civile,
le modifiche all'articolo 138, fra cui quella che introduce un termine per le deliberazioni della commissione, decorso il quale - anche se essa non si è pronunziata - la proposta viene formulata dallo stesso organo (statale o regionale) che aveva avviato il procedimento,
la riduzione, recata all’articolo 139, a trenta giorni, per ragioni di celerità procedurale, del termine per la presentazione di osservazioni e documenti sulla proposta di vincolo, sia per il caso di vincolo individuale, sia per il caso di bellezze d’insieme,
la previsione, all’articolo 140, di un termine di sessanta giorni per la conclusione del procedimento regionale di vincolo, successivamente alla conclusione della fase della proposta,
l’adeguamento dell’articolo 141, in tema di rapporto tra potestà regionale e potestà statale, alla pronuncia della Corte costituzionale 14 luglio 1998, n. 334,
gli interventi all'articolo 142, volti a fugare i dubbi in merito alla vigenza dei vincoli ex lege "Galasso", che del resto il Codice non avrebbe potuto abrogare, atteso che la legge delega n. 137 del 2002 vietava di diminuire gli strumenti di tutela previsti,
le modifiche all'articolo 146 in ordine al procedimento autorizzatorio, volte ad assicurare efficacia al principale strumento di gestione del vincolo, che costituisce uno snodo essenziale per l’effettività della tutela del bene paesaggistico,
le novità recate all'articolo 156 secondo cui, scaduto infruttuosamente il termine già fissato al 1° maggio 2008 per l’adeguamento dei piani esistenti, è prevista l’attivazione dei poteri sostitutivi ministeriali, opportuna a fronte di eventuali inerzie o ritardi,
la riformulazione dell’articolo 159, comma 1, nel senso di collegare la cessazione del regime transitorio, anziché all’adeguamento del piano paesaggistico, alla scadenza del termine previsto per tale adempimento, trattandosi comunque di un termine sufficientemente ampio per consentire alle Amministrazioni di adeguare le proprie strutture organizzative al nuovo procedimento,
esprime, per quanto di competenza, osservazioni favorevoli con i seguenti rilievi:
1) si segnala l'esigenza, con riferimento alle procedure di approvazione degli strumenti di tutela, di riconsiderare il riparto di competenze fra organi politici e organi amministrativi conseguente al combinato disposto delle norme sulla tutela e sull'organizzazione amministrativa;
2) si segnala l'esigenza di prevedere una disciplina più rigorosa per le varianti ai piani regolatori;
3) si esprime apprezzamento per le novità recate all’articolo 136, volte a chiarire definitivamente che il vincolo paesaggistico dei complessi di immobili ben può riguardare i centri storici e la modifica delle zone di interesse archeologico, di cui alla legge "Galasso", atteso che tali zone per loro natura richiedono un atto di perimetrazione e di individuazione, non essendo individuabili né in base al criterio meramente geografico-morfologico, né in base a quello ubicazionale. Al riguardo, si segnala tuttavia l'esigenza che ciò non comporti un affievolimento della tutela, con particolare riferimento agli assetti distributivi interni delle unità edilizie".
SCHEMA DI PARERE PROPOSTO DAL RELATORE SULL'ATTO N. 594
"La Commissione,
esaminato, per quanto di competenza, lo schema di decreto in titolo,
premesso che:
il Codice dei beni culturali e del paesaggio, approvato con decreto legislativo n. 42 del 2004, è stato emanato in base alla legge di delega 6 luglio 2002, n. 137, la quale prevedeva altresì che entro due anni dall’entrata in vigore dei decreti delegati potessero essere adottate, nel rispetto degli stessi principi e criteri direttivi e con le medesime procedure, disposizioni correttive ed integrative,
il Governo, facendo tesoro dell’esperienza maturata nei primi diciotto mesi di applicazione del Codice, ha pertanto presentato alle Camere il presente schema di decreto legislativo, volto a correggere talune difficoltà interpretative incontrate dagli operatori, nonché a tener conto delle disposizioni successivamente intervenute nella materia,
espresso apprezzamento, in generale, per le modifiche apportate e in particolare per quelle:
all'articolo 12, comma 10, con cui viene soppresso il rinvio alle disposizioni di cui all’articolo 27, commi 8, 10, 12, 13 e 13-bis, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 226 (che avevano introdotto una procedura transitoria per la verifica dell’interesse culturale sugli immobili pubblici) confermando così il divieto di ricorrere al meccanismo del silenzio-assenso nei procedimenti concernenti i beni culturali e paesaggistici già sancito dall’articolo 3, comma 6-ter, del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80,
all’articolo 115, comma 3, finalizzate a sgombrare il campo da equivoci ed incertezze circa la volontà dell’Amministrazione - allorché il perseguimento diretto dell’interesse pubblico alla migliore valorizzazione dei beni culturali di appartenenza pubblica non risulti possibile per carenza di strutture o di risorse adeguate - di affidarsi agli strumenti ed alle logiche di tipo privatistico e, in particolare, ad evitare ibridi difficilmente gestibili e scarsamente attraenti per i potenziali investitori,
all'articolo 115, comma 8, dirette ad arricchire i contenuti del contratto di servizio,
agli articoli 29 e 182, in tema di formazione professionale dei restauratori e dei loro collaboratori, con cui - onde riconoscere la tradizione italiana del restauro e il livello di eccellenza al quale si collocano gli operatori e le scuole del settore - si attribuisce all’esame conclusivo dei corsi di restauro svolti presso le scuole di alta formazione e di studio il valore di esame di Stato e, al contempo, si sancisce l’equiparazione del titolo rilasciato a seguito del superamento di detto esame al diploma universitario di secondo livello,
giudicando altresì con favore la disponibilità del Ministero ad accogliere molte delle proposte di modifica sollevate in sede di Conferenza unificata, ed in particolare:
all'articolo 6, l’impegno a sottolineare che la valorizzazione costituisce una funzione pubblica di rilievo costituzionale, attesa la sua finalizzazione allo sviluppo della cultura, e che pertanto il suo esercizio si sottrae ad ogni valutazione di opportunità formulata in base ad esclusivi criteri di redditività economica,
all'articolo 10, il superamento della lacuna attualmente recata nel Codice che, in sede di indicazione delle raccolte librarie sottoposte a tutela ipso iure, non tiene conto che nelle biblioteche degli enti locali o di interesse locale sono presenti fondi non destinati alla conservazione (in quanto privi di valore culturale),
all'articolo 21, la specificazione che è sottoposto a controllo autorizzatorio anche lo scarto del materiale bibliografico delle biblioteche pubbliche e di quelle private vincolate, tenendo conto dell’eccezione introdotta al comma 2, lettera c), dell’articolo 10,
all'articolo 112, comma 2, la precisazione che, fatta salva la facoltà statale di regolare la valorizzazione dei propri beni, la potestà di normazione regionale si estende non solo alle attività ma anche alle funzioni di valorizzazione, il cui esercizio può essere peraltro rimesso, in base al principio di sussidiarietà, anche agli altri enti territoriali,
articolo 112, comma 4, la riformulazione diretta, da un lato, a dare rilievo normativo alla possibilità che i siti culturali, adeguatamente valorizzati, costituiscano il volano di uno sviluppo economico coinvolgente sia i settori produttivi suscettibili di interagire più direttamente con essi, sia le infrastrutture destinate a veicolare i crescenti flussi turistici richiamati dalle realtà culturali e, dall’altro, a sancire che tale possibilità debba essere valutata in riferimento ad un determinato territorio, in ragione delle sue omogeneità culturali e della sua vocazione economica, non necessariamente coincidente con una specifica circoscrizione amministrativa,
all'articolo 114, la specificazione che gli standard qualitativi delle attività di valorizzazione costituiscono le soglie minime di qualità (suscettibili, evidentemente, di essere ritoccati verso l’alto dalla legislazione regionale) e riguardano i soli beni di pertinenza pubblica,
all'articolo 115, comma 3, in tema di gestione indiretta delle attività di valorizzazione dei beni culturali, la modifica volta a chiarire che i soggetti giuridici cui l’Amministrazione dà vita o partecipa per finalità di valorizzazione del patrimonio culturale sono caratterizzati dall’assenza di scopo di lucro, senza tuttavia escludere che le attività gestionali strumentali alla valorizzazione possano presentare rilievo economico e, quindi, essere affidate in concessione ad imprese commerciali in senso proprio,
all’articolo 115, comma 4, l’affermazione della necessaria propedeuticità, rispetto al procedimento di scelta tra le due forme della valorizzazione indiretta (costituzione di appositi soggetti giuridici o affidamento in concessione a soggetti terzi), della definizione degli obiettivi programmatici che si intendono in tal modo perseguire,
all'articolo 116, la previsione che l’esercizio dei poteri di tutela nei confronti di soggetti giuridici costituiti o partecipati dal Ministero secondo le disposizioni degli articoli 112 e 115 assuma le forme stabilite dal contratto di servizio stipulato dai soggetti medesimi con le amministrazioni titolari della funzione di valorizzazione,
esprime, per quanto di competenza, parere favorevole con le seguenti osservazioni.
1) All’articolo 10, appare opportuno riconoscere la specificità dei prodotti audiovisivi, per i quali il contenuto, e non il supporto (caratterizzato peraltro da rapida obsolescenza), costituisce il bene culturale.
2) Sempre all'articolo 10, con particolare riferimento al comma 4, lettera b),si esprime apprezzamento per l'equilibrio della soluzione individuata, volta a conciliare due opposte esigenze, provenienti entrambe dal mondo del collezionismo: da un lato, conferire alle cose di interesse numismatico una maggiore visibilità nell’ambito degli oggetti da collezione meritevoli di tutela; dall’altro, arginare le spinte verso un arretramento delle ragioni della tutela rispetto a quelle del mercato delle cose medesime, significativamente rappresentato dalla recente norma di cui all’articolo 2-decies del decreto-legge 26 aprile 2005, n. 63, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 2005, n. 109. In tal senso si valuta positivamente la scelta di ammettere, da un lato, tra i criteri di valutazione circa la valenza culturale delle collezioni, accanto a quelli ereditati dalla legge fondamentale del 1939 (tradizione, fama e particolari caratteristiche ambientali), la rilevanza artistica, storica, archeologica, numismatica o etnoantropologica; dall’altro, di evidenziare come l’interesse numismatico debba essere rinvenuto nella rarità o nel pregio delle cose e che tali elementi vadano valutati in rapporto all’epoca, alle tecniche e ai materiali di produzione. Peraltro, si invita il Governo a valutare l'opportunità di riconsiderare ulteriormente la formulazione dell'articolo 10, comma 4, lettera b), nella direzione di riconoscere le caratteristiche di bene culturale ai beni di interesse numismatico che presentino valenza storica, archeologica e/o artistica in rapporto all’epoca, alle tecniche e ai materiali, nonché ai contesti di riferimento.
3) Si suggerisce di sancire l'obbligo per lo Stato e gli enti territoriali di richiedere, in sede di definizione di bandi concorsuali, il possesso di requisiti uniformi da parte degli operatori nel settore della conservazione dei beni culturali.
4) Sarebbe opportuno che, ai fini della determinazione del periodo di vigenza della disciplina dettata in via transitoria dall’articolo 182 del Codice, si tenesse conto del fatto che i decreti integrativi entreranno un vigore nel corso del 2006. Inoltre, la possibilità di fruire della disciplina transitoria dovrebbe essere estesa anche alle Accademie di belle arti che abbiano attivato corsi di formazione in restauro e che i procedimenti di accreditamento disciplinati dall’articolo 29, comma 9, fossero assoggettati ad un termine massimo di conclusione, onde dare certezza del diritto ai richiedenti.
5) Attesi i problemi che la applicazione pratica ha determinato, si suggerisce di demandare all’Amministrazione competente il compito di provvedere al coordinamento dei tempi previsti dalla procedura per l’esercizio della prelazione, così come disciplinata dall’articolo 62, quando essa sia attivata dalle regioni o dalle autonomie locali.
6) Sembra opportuno che, nell’ambito degli articoli 112 e 115, sia più chiaramente delineata la distinzione tra processi e attività di valorizzazione, riferendo il termine "processi" alle decisioni strategiche in tema di valorizzazione (le quali pertengono ovviamente all’ente pubblico, sia che le eserciti direttamente o tramite soggetti giuridici appositamente costituiti) e il termine "attività" alle singole, concrete operazioni di valorizzazione (che l’ente pubblico può esercitare direttamente o, previa selezione mediante procedure di evidenza pubblica, tramite terzi).
7) Con specifico riguardo all'articolo 115, si suggerisce che il progetto di valorizzazione indichi fra l'altro: la clausola risolutiva espressa prevista dal codice civile; i livelli di qualità e professionali degli addetti; la clausola penale di cui all'articolo 1382 del codice civile.
ISTRUZIONE PUBBLICA, BENI CULTURALI (7a)
MERCOLEDÌ 8 FEBBRAIO 2006
469a Seduta
Presidenza del Presidente
ASCIUTTI
Interviene il ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca Letizia Moratti.
La seduta inizia alle ore 14,35.
IN SEDE CONSULTIVA SU ATTI DEL GOVERNO
La seduta inizia alle ore 15,20.
Schema di decreto legislativo recante: "Disposizioni correttive ed integrative del Codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in relazione ai beni culturali" (n. 594)
(Parere al Ministro per i rapporti con il Parlamento, ai sensi dell'articolo 10, commi 3 e 4, della legge 6 luglio 2002, n. 137. Seguito e conclusione dell'esame. Parere favorevole con osservazioni)
Riprende l'esame, sospeso nella seduta di ieri.
Il presidente relatore ASCIUTTI (FI) annuncia che è in distribuzione una riformulazione dello schema di parere illustrato nella seduta di ieri, nel quale egli ha recepito un suggerimento del senatore Brignone.
Per dichiarazione di voto interviene la senatrice ACCIARINI (DS-U), la quale esprime anzitutto soddisfazione per alcuni degli interventi correttivi recati dal provvedimento in titolo, che senz'altro migliorano talune palesi ambiguità dell'attuale Codice.
Restano tuttavia alcune incertezze, fra cui quella di cui all'articolo 21, che prevede la comunicazione al soprintendente del mutamento di destinazione d'uso dei beni culturali, benché essa dovrebbe rientrare fra le fattispecie che devono essere autorizzate dallo stesso soprintendente.
Ella manifesta altresì perplessità sulla disciplina relativa ai restauratori ed in particolare per l'attribuzione del valore di esame di Stato all'esame finale dei corsi delle scuole di restauro, oltre che per la sua equiparazione al diploma di laurea specialistica o magistrale, che rischia di rappresentare un vulnus nell'ordinamento.
Quanto all'articolo 112, ritiene che le attività di valorizzazione avrebbero dovuto essere meglio definite, risultando inadeguato il rapporto fra Stato e regioni in ordine alla progettazione.
Non potendo quindi aderire allo schema di parere favorevole avanzato dal Presidente relatore, ma condividendo molte delle osservazioni in esso contenute, chiede pertanto la votazione per parti separate e preannuncia l'astensione sul complesso della proposta.
Si associa il senatore D'ANDREA (Mar-DL-U), il quale manifesta in particolare perplessità sull'osservazione n. 5). Preannuncia inoltre a sua volta un voto di astensione sullo schema di parere, mantenendo una contrarietà di fondo sull'impianto del Codice.
Dopo che il PRESIDENTE ha accertato la presenza del numero legale ai sensi dell'articolo 30, comma 2, del Regolamento, la Commissione procede alla votazione per parti separate dello schema di parere favorevole con osservazioni presentato dal Presidente relatore, come modificato, pubblicato in allegato al presente resoconto.
La Commissione accoglie a maggioranza le parole da "La Commissione" fino a "esprime, per quanto di competenza, parere favorevole con osservazioni". Indi, accoglie all'unanimità le osservazioni da n. 1) a n. 4), a maggioranza l'osservazione n. 5), all'unanimità le osservazioni da n. 6) a n. 8) e a maggioranza lo schema di parere nel suo complesso.
PARERE APPROVATO DALLA COMMISSIONE SULL'ATTO N. 594
"La Commissione,
esaminato, per quanto di competenza, lo schema di decreto in titolo,
premesso che:
il Codice dei beni culturali e del paesaggio, approvato con decreto legislativo n. 42 del 2004, è stato emanato in base alla legge di delega 6 luglio 2002, n. 137, la quale prevedeva altresì che entro due anni dall’entrata in vigore dei decreti delegati potessero essere adottate, nel rispetto degli stessi principi e criteri direttivi e con le medesime procedure, disposizioni correttive ed integrative,
il Governo, facendo tesoro dell’esperienza maturata nei primi diciotto mesi di applicazione del Codice, ha pertanto presentato alle Camere il presente schema di decreto legislativo, volto a correggere talune difficoltà interpretative incontrate dagli operatori, nonché a tener conto delle disposizioni successivamente intervenute nella materia,
espresso apprezzamento, in generale, per le modifiche apportate e in particolare per quelle:
all'articolo 12, comma 10, con cui viene soppresso il rinvio alle disposizioni di cui all’articolo 27, commi 8, 10, 12, 13 e 13-bis, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 226 (che avevano introdotto una procedura transitoria per la verifica dell’interesse culturale sugli immobili pubblici) confermando così il divieto di ricorrere al meccanismo del silenzio-assenso nei procedimenti concernenti i beni culturali e paesaggistici già sancito dall’articolo 3, comma 6-ter, del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80,
all’articolo 115, comma 3, finalizzate a sgombrare il campo da equivoci ed incertezze circa la volontà dell’Amministrazione - allorché il perseguimento diretto dell’interesse pubblico alla migliore valorizzazione dei beni culturali di appartenenza pubblica non risulti possibile per carenza di strutture o di risorse adeguate - di affidarsi agli strumenti ed alle logiche di tipo privatistico e, in particolare, ad evitare ibridi difficilmente gestibili e scarsamente attraenti per i potenziali investitori,
all'articolo 115, comma 8, dirette ad arricchire i contenuti del contratto di servizio,
agli articoli 29 e 182, in tema di formazione professionale dei restauratori e dei loro collaboratori, con cui - onde riconoscere la tradizione italiana del restauro e il livello di eccellenza al quale si collocano gli operatori e le scuole del settore - si attribuisce all’esame conclusivo dei corsi di restauro svolti presso le scuole di alta formazione e di studio il valore di esame di Stato e, al contempo, si sancisce l’equiparazione del titolo rilasciato a seguito del superamento di detto esame al diploma universitario di secondo livello,
giudicando altresì con favore la disponibilità del Ministero ad accogliere molte delle proposte di modifica sollevate in sede di Conferenza unificata, ed in particolare:
all'articolo 6, l’impegno a sottolineare che la valorizzazione costituisce una funzione pubblica di rilievo costituzionale, attesa la sua finalizzazione allo sviluppo della cultura, e che pertanto il suo esercizio si sottrae ad ogni valutazione di opportunità formulata in base ad esclusivi criteri di redditività economica,
all'articolo 10, il superamento della lacuna attualmente recata nel Codice che, in sede di indicazione delle raccolte librarie sottoposte a tutela ipso iure, non tiene conto che nelle biblioteche degli enti locali o di interesse locale sono presenti fondi non destinati alla conservazione (in quanto privi di valore culturale),
all'articolo 21, la specificazione che è sottoposto a controllo autorizzatorio anche lo scarto del materiale bibliografico delle biblioteche pubbliche e di quelle private vincolate, tenendo conto dell’eccezione introdotta al comma 2, lettera c), dell’articolo 10,
all'articolo 112, comma 2, la precisazione che, fatta salva la facoltà statale di regolare la valorizzazione dei propri beni, la potestà di normazione regionale si estende non solo alle attività ma anche alle funzioni di valorizzazione, il cui esercizio può essere peraltro rimesso, in base al principio di sussidiarietà, anche agli altri enti territoriali,
articolo 112, comma 4, la riformulazione diretta, da un lato, a dare rilievo normativo alla possibilità che i siti culturali, adeguatamente valorizzati, costituiscano il volano di uno sviluppo economico coinvolgente sia i settori produttivi suscettibili di interagire più direttamente con essi, sia le infrastrutture destinate a veicolare i crescenti flussi turistici richiamati dalle realtà culturali e, dall’altro, a sancire che tale possibilità debba essere valutata in riferimento ad un determinato territorio, in ragione delle sue omogeneità culturali e della sua vocazione economica, non necessariamente coincidente con una specifica circoscrizione amministrativa,
all'articolo 114, la specificazione che gli standard qualitativi delle attività di valorizzazione costituiscono le soglie minime di qualità (suscettibili, evidentemente, di essere ritoccati verso l’alto dalla legislazione regionale) e riguardano i soli beni di pertinenza pubblica,
all'articolo 115, comma 3, in tema di gestione indiretta delle attività di valorizzazione dei beni culturali, la modifica volta a chiarire che i soggetti giuridici cui l’Amministrazione dà vita o partecipa per finalità di valorizzazione del patrimonio culturale sono caratterizzati dall’assenza di scopo di lucro, senza tuttavia escludere che le attività gestionali strumentali alla valorizzazione possano presentare rilievo economico e, quindi, essere affidate in concessione ad imprese commerciali in senso proprio,
all’articolo 115, comma 4, l’affermazione della necessaria propedeuticità, rispetto al procedimento di scelta tra le due forme della valorizzazione indiretta (costituzione di appositi soggetti giuridici o affidamento in concessione a soggetti terzi), della definizione degli obiettivi programmatici che si intendono in tal modo perseguire,
all'articolo 116, la previsione che l’esercizio dei poteri di tutela nei confronti di soggetti giuridici costituiti o partecipati dal Ministero secondo le disposizioni degli articoli 112 e 115 assuma le forme stabilite dal contratto di servizio stipulato dai soggetti medesimi con le amministrazioni titolari della funzione di valorizzazione,
esprime, per quanto di competenza, parere favorevole con le seguenti osservazioni.
1) All'articolo 1, comma 2, si suggerisce di inserire, dopo le parole: "a preservare la memoria", le seguenti: "e l'identità".
2) All’articolo 10, appare opportuno riconoscere la specificità dei prodotti audiovisivi, per i quali il contenuto, e non il supporto (caratterizzato peraltro da rapida obsolescenza), costituisce il bene culturale.
3) Sempre all'articolo 10, con particolare riferimento al comma 4, lettera b),si esprime apprezzamento per l'equilibrio della soluzione individuata, volta a conciliare due opposte esigenze, provenienti entrambe dal mondo del collezionismo: da un lato, conferire alle cose di interesse numismatico una maggiore visibilità nell’ambito degli oggetti da collezione meritevoli di tutela; dall’altro, arginare le spinte verso un arretramento delle ragioni della tutela rispetto a quelle del mercato delle cose medesime, significativamente rappresentato dalla recente norma di cui all’articolo 2-decies del decreto-legge 26 aprile 2005, n. 63, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 2005, n. 109. In tal senso si valuta positivamente la scelta di ammettere, da un lato, tra i criteri di valutazione circa la valenza culturale delle collezioni, accanto a quelli ereditati dalla legge fondamentale del 1939 (tradizione, fama e particolari caratteristiche ambientali), la rilevanza artistica, storica, archeologica, numismatica o etnoantropologica; dall’altro, di evidenziare come l’interesse numismatico debba essere rinvenuto nella rarità o nel pregio delle cose e che tali elementi vadano valutati in rapporto all’epoca, alle tecniche e ai materiali di produzione. Peraltro, si invita il Governo a valutare l'opportunità di riconsiderare ulteriormente la formulazione dell'articolo 10, comma 4, lettera b), nella direzione di riconoscere le caratteristiche di bene culturale ai beni di interesse numismatico che presentino valenza storica, archeologica e/o artistica in rapporto all’epoca, alle tecniche e ai materiali, nonché ai contesti di riferimento.
4) Si suggerisce di sancire l'obbligo per lo Stato e gli enti territoriali di richiedere, in sede di definizione di bandi concorsuali, il possesso di requisiti uniformi da parte degli operatori nel settore della conservazione dei beni culturali.
5) Sarebbe opportuno che, ai fini della determinazione del periodo di vigenza della disciplina dettata in via transitoria dall’articolo 182 del Codice, si tenesse conto del fatto che i decreti integrativi entreranno un vigore nel corso del 2006. Inoltre, la possibilità di fruire della disciplina transitoria dovrebbe essere estesa anche alle Accademie di belle arti che abbiano attivato corsi di formazione in restauro e che i procedimenti di accreditamento disciplinati dall’articolo 29, comma 9, fossero assoggettati ad un termine massimo di conclusione, onde dare certezza del diritto ai richiedenti.
6) Attesi i problemi che la applicazione pratica ha determinato, si suggerisce di demandare all’Amministrazione competente il compito di provvedere al coordinamento dei tempi previsti dalla procedura per l’esercizio della prelazione, così come disciplinata dall’articolo 62, quando essa sia attivata dalle regioni o dalle autonomie locali.
7) Sembra opportuno che, nell’ambito degli articoli 112 e 115, sia più chiaramente delineata la distinzione tra processi e attività di valorizzazione, riferendo il termine "processi" alle decisioni strategiche in tema di valorizzazione (le quali pertengono ovviamente all’ente pubblico, sia che le eserciti direttamente o tramite soggetti giuridici appositamente costituiti) e il termine "attività" alle singole, concrete operazioni di valorizzazione (che l’ente pubblico può esercitare direttamente o, previa selezione mediante procedure di evidenza pubblica, tramite terzi).
8) Con specifico riguardo all'articolo 115, si suggerisce che il progetto di valorizzazione indichi fra l'altro: la clausola risolutiva espressa prevista dal codice civile; i livelli di qualità e professionali degli addetti; la clausola penale di cui all'articolo 1382 del codice civile".
Sottocommissione per i pareri
MARTEDÌ 7 FEBBRAIO 2006
277a Seduta
Presidenza del Presidente
FALCIER
Schema di decreto legislativo recante: "Disposizioni correttive ed integrative del Codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in relazione ai beni culturali" (n. 594)
(Osservazioni alla 7a Commissione. Esame. Osservazioni non ostative)
Il presidente FALCIER (FI), in sostituzione del relatore designato, riferisce sullo schema di decreto legislativo in titolo, il quale a suo avviso non presenta profili problematici di compatibilità costituzionale; dopo aver ricordato il parere favorevole su di esso espresso dalla Conferenza Unificata lo scorso 26 gennaio, propone di esprimersi, per quanto di competenza, in senso non ostativo.
Concorda la Sottocommissione
[1] La relazione governativa allo schema di d.lgs. trasmesso alle Camere per il parere (gennaio 2006), specifica che le modifiche sono finalizzate all’adeguamento alle disposizioni legislative intervenute dopo il 2004 ed alla necessità di “rendere più intellegibile la volontà del legislatore e favorirne l’attuazione”. Il d.lgs.156 presenta numerose innovazioni rispetto al testo esaminato dalle Camere, esse sono motivate - secondo nuova la relazione predisposta dal Governo - dalla volontà di accogliere i pareri della Conferenza unificata e delle Commissioni parlamentari.
[2] Fanno eccezione, a seguito delle modifiche introdotte dal d.lgs.156/2006, le raccolte delle biblioteche di enti locali destinate alla lettura (l’art.10, comma 1, lett. c), fa riferimento alle biblioteche popolari di cui all’art.47 comma 2 del DPR 616/1977).
[3] Decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326 "Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, recante disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici".
[4] D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, recante Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, a norma dell'articolo 1 della L. 8 ottobre 1997, n. 352.
[5] Verifica dell’interesse culturale dei beni immobili di utilità pubblica
[6] Modifiche ed integrazioni al decreto 6 febbraio 2004 concernente la verifica dell’interesse culturale dei beni immobili di utilità pubblica
[7] Al riguardo, rispondendo ad una interrogazione dell’On. Grignaffini (n. 5-04607), presso la VII Commissione della Camera, il sottosegretario del Ministero dei beni e delle attività culturali, on. Bono, il 12 luglio 2005, ha altresì comunicato che l'articolo 27 del decreto-legge n. 269 del 2003, avendo esaurito la sua funzione normativa, sarebbe stato abrogato formalmente in sede di redazione del decreto integrativo e correttivo del Codice, previsto dalla legge-delega.
[8] Disposizioni urgenti nell'àmbito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80
[9] Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi
[10] Disposizioni urgenti nell'àmbito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80
[11] Decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326 "Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, recante disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici".
[12] La presentazione del ricorso comporta la sospensione automatica dell’efficacia del provvedimento impugnato, salva l’applicazione delle misure cautelari.
[13] Disposizioni urgenti per lo sviluppo e la coesione territoriale, nonché per la tutela del diritto d’autore, e altre misure urgenti convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 2005, n. 109.
[14] Il DL 63/2005 e il DL 164/2005 in realtà prevedevano, con riferimento alla qualificazione di beni culturali delle “cose di interesse numismatico”, che tale qualificazione fosse attribuita qualora la produzione delle medesime, in rapporto all'epoca, alle tecniche e ai materiali, non fosse caratterizzata da serialità o ripetitività. La norma in commento fa invece riferimento, come si è detto, al carattere di rarità o di pregio, in rapporto all’epoca, alle tecniche e ai materiali di produzione. In proposito, la relazione governativa allegata allo schema in esame chiarisce che “non è possibile astrarre una nozione di serialità valida per tutte le epoche e le culture; ma è invece necessario interpretare tale caratteristica in relazione al grado di raffinatezza delle tecniche di conio, alle leghe utilizzate ed all’epoca cui risale la moneta.”
[15] Con riguardo alle opere di architettura contemporanea si segnala che l’articolo 37, comma 4, prevede la possibilità per i proprietari di ricevere un contributo in conto interessi nel caso in cui il soprintendente ne abbia riconosciuto il particolare valore artistico.
[16] Si fa presente che l’articolo 65, comma 4, prevede, altresì, la libera esportabilità di tali opere.
[17] Si ricorda, al riguardo, che la tutela del patrimonio artistico delle Prima guerra mondiale è stata oggetto della legge 7 marzo 2001, n. 78.
[18] Tale ultima precisazione è stata introdotta dal D.Lgs.156/2006
[19] Il D.Lgs. 156/2006 ha modificato l’art. 21 precisando meglio i caratteri di archivi e biblioteche destinatari delle prescrizioni (pubblici o privati “dichiarati di interesse”) e rafforzando i poteri del soprintendente; infatti a quest’ultimo va comunicato il mutamento di destinazione d’uso dei beni culturali inoltre si introduce un limite temporale di cinque anni alla validità dell’autorizzazione agli interventi sui beni culturali. Trascorso il periodo se i lavori non sono stati eseguiti l’autorizzazione non viene meno, ma il soprintendente può dettare nuove prescrizioni ovvero modificare le precedenti n relazione al mutare delle tecniche di conservazione.
[20] Si ricorda in proposito che il DL 26 aprile 2005, n. 63 convertito con modif. dalla legge 25 giugno 2005, n. 109 ha ulteriormente disciplinato la cosiddetta archeologia preventiva (articoli da 2-ter a 2-quinquies) prescrivendo alle stazioni appaltanti di opere pubbliche in aree di interesse archeologico di trasmettere al Soprintendente territorialmente competente copia del progetto preliminare dell’intervento, comprendente gli esiti delle indagini geologiche e archeologiche preliminari, e dettando le fasi del successivo procedimento di verifica preventiva dell'interesse archeologico.Le disposizioni citate sono state trasfuse di recente negli artt. 95 e 96 del Codice dei contratti pubblici relativi (D.Lgs.12 aprile 2006, n. 163.).
[21] Di tali ultime attività viene chiarito l’ambito:
· prevenzione (complesso delle attività idonee a limitare le situazioni di rischio connesse al bene culturale nel suo contesto);
· manutenzione (complesso delle attività e degli interventi destinati al controllo delle condizioni del bene culturale e al mantenimento dell’integrità, dell’efficienza funzionale e dell’identità del bene e delle sue parti);
· restauro (intervento diretto sul bene attraverso un complesso di operazioni finalizzate all’integrità materiale ed al recupero del bene medesimo, alla protezione ed alla trasmissione dei suoi valori culturali
[22] Istituto Centrale del Restauro di Roma e l’Opificio delle pietre dure di Firenze, l’Istituto di Patologia del libro (Roma).
[23] Si ricorda sinteticamente che la formazione degli specialisti operanti nel settore dei beni culturali può essere svolta attualmente in appositi corsi di laurea triennale o specialistica. Il DM 4 agosto 2000, recante determinazione delle classi delle lauree triennali, individua tra l’altro le classi delle lauree in scienze dell’architettura e dell’ingegneria edile, scienze dei beni culturali, tecnologie per la conservazione ed il restauro dei beni culturali; il DM 28 novembre 2000, recante determinazione delle classi delle lauree specialistiche, prevede le seguenti classi: laurea specialistica architettura e ingegneria edile; architettura del paesaggio; archeologia, archivistica e biblioteconomia; conservazione e restauro del patrimonio storico artistico; storia dell'arte.
Presso alcuni istituti centrali del ministero peri beni e le attività culturali - l’Istituto centrale del restauro (Roma) e l’Opificio delle pietre dure (Firenze) - operano inoltre delle Scuole di alta formazione e studio, riconosciute come tali da ultimo dall’articolo 9 del già citato D.Lgs.368/1998. Tali scuole, rispettivamente disciplinate sotto il profilo organizzativo dai DPR 16 luglio 1997, n. 399 e DPR 16 luglio 1997 n. 294, organizzano corsi di formazione e di specializzazione (eventualmente anche con il concorso di università e altre istituzioni ed enti italiani e stranieri) e possono, a loro volta, partecipare e contribuire alle iniziative di tali enti.
I requisiti per l’acquisizione della qualifica di restauratore e di collaboratore restauratore sono stati inoltre definiti ai fini dell’esecuzione dei lavori di restauro e manutenzione ordinaria e straordinaria dei beni dagli articoli 7 e 8 del D.M. 3 agosto 2000, n. 294 (successivamente modificato dal DM 420/2001).
[24] Regolamento recante modificazioni e integrazioni al D.M. 3 agosto 2000, n. 294 del Ministro per i beni e le attività culturali concernente l'individuazione dei requisiti di qualificazione dei soggetti esecutori dei lavori di restauro e manutenzione dei beni mobili e delle superfici decorate di beni architettonici (Pubblicato nella Gazz. Uff. 1° dicembre 2001, n. 280).
[25] L’art. 42 (Archivi di organi costituzionali)che menziona gli archivi della Presidenza della Repubblica, delle Camere e della Corte Costituzionale è stato recentemente integrato dall’art. 14-duodecies del DL 30 giugno 2005, n. 115 (convertito con modif. dalla legge 17 agosto 2005, n. 168) quest’ultimo dispone che gli atti della Presidenza del Consiglio siano conservati presso un Archivio storico ivi dislocato secondo modalità di conservazione e consultazione determinate dal Presidente del Consiglio dei Ministri con proprio decreto.
[26] Si ricorda ai sensi dell’art. 822 c.c. fanno parte del demanio storico, artistico, archivistico e bibliografico gli immobili riconosciuti di interesse storico, archeologico ed artistico, le raccolte dei musei, degli archivi, delle biblioteche e delle pinacoteche. Caratteristiche tipiche dei beni demaniali sono l’inalienabilità (art. 823 c.c.) e l’imprescrittibilità o inusucapibilità. La demanialità è stabilita in base a disposizioni di legge. Peraltro, è rimesso ad atti amministrativi l’accertamento della corrispondenza dei singoli beni alle caratteristiche fisiche del genere investito della demanialità. Tali atti hanno carattere meramente dichiarativo e non costitutivo e consistono generalmente nell’iscrizione dei beni negli appositi elenchi formati dall’amministrazione ed approvati con decreti presidenziali o ministeriali pubblicati nella Gazzetta Ufficiale. La cessazione della demanialità di un bene può essere determinata, oltre che da fatto naturale, da un atto volontario dell’amministrazione la quale deliberi di sottrarre il bene al servizio cui l’aveva destinato in precedenza (art. 829, primo comma c.c.). Il passaggio dei beni dal demanio al patrimonio dello Stato (c.d. sdemanializzazione) deve essere dichiarato dall’autorità amministrativa con atto di cui deve essere dato annuncio nella Gazzetta Ufficiale.
[27] Regolamento 3911/92 del 9 dicembre 1992 relativo all’esportazione dei beni culturali; Direttiva 93/7/CE del consiglio del 15 marzo 1993, (concernente la restituzione dei beni culturali illecitamente usciti da uno Stato membro) come modificata da sucessive direttive;
[28] La Convenzione UNIDROIT sulla restituzione ed il ritorno dei beni culturali rubati o illecitamente esportati è stata adottata a Roma il 24 giugno 1995; Il testo ha la finalità di ovviare alla limitata efficacia di talune disposizioni di una precedente Convenzione UNESCO del 1970; in particolare riconosce e disciplina il diritto all’indennizzo per l’acquirente in buona fede . La legge di ratifica (L. 7 giugno 1999, n. 213) regola l'esercizio in Italia dell'azione di restituzione e definisce le modalità di proposizione della richiesta e la riconsegna dei beni agli aventi diritto; vengono esplicitamentre escluse dall’applicazione le vertenze tra Stati dell’Unione europea in quanto disciplinate dalla Direttiva 93/7/CE.
[29] D.L. 14 novembre 1992, n. 433, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 gennaio 1933, n.4.
[30] Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005)
[31] Per quanto riguarda la gestione indiretta, si ricorda che a partire dai primi anni ’90 si è avviato anche in Italia, in linea con la tendenza prevalente nei più avanzati Paesi occidentali, un processo di collaborazione pubblico-privato nella gestione e fruizione del patrimonio culturale pubblico. Il punto di partenza di tale processo è rappresentato dalla c.d. legge Ronchey (DL 433/1992 convertito dalla legge 4/1993) partendo dal presupposto che fruizione del servizio museale viene incentivate se si forniscono prestazioni accessorie (dalla vendita di riproduzioni, libri, dischi, ai servizi di informazione, di caffetteria ecc.), ha consentito ai musei statali di “esternalizzare”, affidandoli in concessione a privati, alcuni servizi accessori, afferenti essenzialmente all’assistenza culturale ed all’ospitalità per il pubblico (cosiddetti “servizi aggiuntivi” ora indicati dall’articolo 117 del Codice).
[32] Istituzione del Ministero per i beni e le attività culturali, a norma dell'articolo 11 della L. 15 marzo 1997, n. 59
[33] Il contenuto della norma richiamata è stato precisato dal regolamento ministeriale approvato con DM 27 novembre 2001, n. 491,. Tale decreto chiarisce l'ambito di attività delle fondazioni, stabilendo che esse si occupano, in particolare, della gestione e della valorizzazione dei beni culturali e della promozione delle attività culturali. Il D.M. definisce inoltre i criteri relativi agli organi, all’organizzazione ed al funzionamento delle fondazioni
[34] Sulla base della delega recata dall’art. 10, comma 4, della legge 6 luglio 2002, n. 137.
[35] Tale Convenzione definisce regole comuni per la protezione, la pianificazione e la gestione dei paesaggi nel diritto internazionale. L'importanza della Convenzione sta anche nell'obbligo, per i Paesi aderenti al Consiglio d'Europa che la sottoscrivono, di adeguare le proprie leggi alle direttive previste.
[36] L’accordo (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 114 del 18 maggio 2001) rappresenta un documento programmatico in cui lo Stato, da un lato, e gli enti territoriali, dall’altro, individuano le rispettive competenze in materia di pianificazione paesaggistica. Esso individua i criteri e le modalità per la redazione di piani paesistici o di piani urbanistico-territoriali aventi le medesime finalità di salvaguardia dei valori paesistici e ambientali. Prevede altresì che vengano individuati gli ambiti di tutela, valorizzazione e riqualificazione del territorio, cui corrispondono specifici obiettivi di qualità paesistica.
[37] Giustificata, nella relazione illustrativa, con l’intento di recepire l’orientamento costantemente manifestato dalla Corte costituzionale.
[38] Nella relazione illustrativa tale integrazione viene giustificata dal fine di "spostare" le zone di interesse archeologico, di cui alla legge "Galasso", dall'ambito dei vincoli ex lege (art. 142) a quelle dei vincoli provvedimentali (art. 136), atteso che tali zone, per loro natura in quanto "contesti di giacenza" di (anche potenziali) resti archeologici esigono un atto di perimetrazione e di individuazione, non essendo individuabili visibilmente né in base al criterio meramente geografico morfologico, né in base a quello ubicazionale (come accade, invece, ad es., per le aree e gli immobili compresi nelle Università agrarie).
[39] Tale modifica viene motivata, nella relazione illustrativa, con la necessità di “fugare l'equivoco, che si era affacciato in taluni interpreti nella prima applicazione del Codice, che il predetto inciso potesse rendere solo temporanee la tutela delle zone ex lege "Galasso", da trattarsi alla stregua di beni paesaggistici "minori". Nella relazione di sintesi viene aggiunto che “Una diversa interpretazione del Codice del 2004 – nel senso dell’abrogazione dei vincoli ex lege Galasso – avrebbe reso il Codice medesimo in parte qua incostituzionale per palese violazione del limite, imposto dalla legge delega 137 del 2002, di non diminuire gli strumenti di tutela vigenti”.
[40] Nella relazione illustrativa viene sottolineato che le modifiche al comma 1 sono intese “ad esplicitare ciò che peraltro era pacifico, benché solo implicito, già nel testo vigente che lo Stato non è (ovviamente) estraneo alle finalità generali di tutela e valorizzazione del paesaggio”.
[41] La scelta sembrerebbe motivata dalla circostanza che la nozione di “obiettivi di qualità paesaggistica”, appare difficile da definire, in quanto i valori paesaggistici sono – ad esempio - difficilmente collegabili a fattori passibili di misurazione. Tuttavia si ricorda che la Convenzione europea sul Paesaggio prevede gli obiettivi di qualità, definendoli all’articolo 1, lettera c) e rinviando alla legislazione degli Stati membri una più dettagliata definizione degli stessi (art. 6).
[42] Si ricorda, in proposito, che in seguito alle modifiche recate dal decreto n. 157, al successivo art. 146, comma 8, viene introdotta la previsione del parere vincolante del soprintendente sulla proposta di autorizzazione regionale.
[43] Si ricorda che l’istituto della conferenza dei servizi – che non è altro che la conferenza delle pubbliche amministrazioni in un tavolo comune, per poter meglio risolvere i problemi e confrontarsi su tematiche comuni, semplificando e razionalizzando così i procedimenti -é regolato dagli articoli da 14 a 14-quater della legge n. 241 del 1990, così come modificati dagli articoli 9-12 della legge 24 novembre 2000, n. 340.
[44] Entrata in vigore delle modifiche apportate dal d.lgs. n. 157/2006, essendo quest’ultimo decreto pubblicato nella G.U. del 27 aprile 2006, n. 97, S.O.
[45] La finalità della norma, evidenziata nella relazione illustrativa, è di risolvere un difficile problema di coordinamento normativo, in linea con le indicazioni al riguardo fornito dal parere dalla sez. II del Consiglio di Stato in data 15 giugno 2005 (trasmesso al Ministero richiedente il 12 ottobre 2005) sui quesiti posti dal Ministero in tema di condono paesaggistico e di condono edilizio su aree sottoposte a vincolo paesaggistico.
[46] Appalti relativi ad una pluralità di interventi e forniture (restauri, allestimenti, installazione di attrezzature, forniture di arredi)
[47] Art. 10, comma 2, lettera d) della legge 137/2002.
[48] D.Lgs.12 aprile 2006, n.163 Codice dei contratti pubblici relativi a lavori servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE. ”, emanato in attuazione della delega recata dagli articoli 1, 2 e 25 della legge comunitaria per l’anno 2004 ( legge 18 aprile 2005, n. 62). Il Capo II del Titolo IV (Contratti in taluni settori) reca agli artt. 197-205 la disciplina dei contratti relativi ai beni culturali.