COMMISSIONI RIUNITE
I (AFFARI COSTITUZIONALI, DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E INTERNI) DELLA CAMERA DEI DEPUTATI E 1a (AFFARI COSTITUZIONALI, AFFARI DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E DELL'INTERNO, ORDINAMENTO GENERALE DELLO STATO E DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE) DEL SENATO DELLA REPUBBLICA

COMITATO PARITETICO

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di giovedì 6 settembre 2001


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La seduta comincia alle 9,25.

Indagine conoscitiva sui fatti accaduti in occasione del vertice G8 tenutosi a Genova.

(Il Comitato approva il processo verbale della seduta precedente).

Sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Se non vi sono obiezioni, dispongo l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso.
Non essendovi obiezioni, così rimane stabilito.
Comunico che sono pervenute al Comitato due lettere, una da parte del dottor Vincenzo Canterini, comandante del I reparto mobile di Roma, e l'altra da parte del prefetto Arnaldo La Barbera, contenenti precisazioni in ordine ad alcuni aspetti oggetto della loro audizione, nonché una lettera da parte del comandante generale dell'Arma dei carabinieri, generale Sergio Siracusa, contenente alcune precisazioni rispetto all'audizione del generale Giampaolo Ganzer.
Comunico altresì che sono pervenute al Comitato, da parte degli ispettori ministeriali dottor Lorenzo Cernetig e dottor Salvatore Montanaro, due lettere di identico contenuto rispetto a quella inviata dal dottor Pippo Micalizio, di cui ho dato lettura nella seduta di ieri. Copia di tali lettere sarà distribuita, unitamente ad altra documentazione da ultimo pervenuta, ai componenti del Comitato.
Per quanto attiene alla lettera del dottor Canterini, lo stesso precisa: «La prego di voler accettare una rettifica circa una mia risposta alla domanda rivoltami, durante l'audizione di ieri, dal presidente Violante e tendente a conoscere se avessi o meno consegnato dei documenti al senatore Taormina. A detta domanda ho risposto negativamente e quindi in maniera erronea, in quanto, al suddetto parlamentare, nell'occasione dell'incontro descritto, ho effettivamente consegnato una documentazione che lo stesso ha successivamente inviato all'autorità giudiziaria di Genova. La prego di ritenere tale terrore come assolutamente involontario e frutto di una momentanea amnesia».
Do lettura della lettera inviata dal dottor La Barbera: «Ritengo necessario, nell'esclusivo fine di consentire all'onorevole Commissione che lei presiede di conoscere la reale dinamica dei fatti, puntualizzare alcune circostanze in relazione alle dichiarazioni rese dal dottor Canterini nel corso dell'audizione che ha avuto luogo ieri. Ovvie esigenze di carattere funzionale non consentono infatti a codesta Commissione di procedere ad un contraddittorio che, in ogni caso e come mi auguro, in sede penale potrà fare piena luce su eventi, circostanze, condotte e singole responsabilità.
Preso atto che il dottor Canterini nega di aver mai ricevuto dallo scrivente il consiglio di valutare attentamente l'eventualità di procedere alla perquisizione all'interno del complesso convenzionalmente definito «scuola Diaz», osservo: a prescindere dall'effettivo ruolo che il comandante del reparto mobile di Roma rivestiva nel contesto in questione, ribadisco che quello che gli rivolsi è stato un consiglio, un invito a valutare attentamente lo «stato di tensione» che avevo percepito nelle fasi antecedenti all'irruzione e a riflettere sull'opportunità di procedere. Non trattandosi


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di ordine si rivelava quindi come del tutto ininfluente la posizione rivestita dal dottor Canterini: nella circostanza io ho parlato al collega, al comandante di uomini, non al dipendente; non ho fatto menzione dell'episodio nella mia relazione del 25 luglio ultimo scorso, inoltrata al capo della Polizia, così come, nel medesimo contesto, non ho accennato al prospettato uso di lacrimogeni avanzato in sede di riunione preliminare dal dottor Canterini, sia perché, in entrambi i casi, non ho rilevato alcun comportamento disciplinarmente censurabile, sia in quanto non è mio costume segnalare superiormente iniziative o scelte di colleghi che, pur non condivise, rientrano comunque nella sfera di competenza agli stessi riferibile; diversamente, una volta sentito in qualità di persona informata sui fatti dalla procura di Genova, a fronte di precise domande, ho doverosamente fornito una dettagliata cronistoria dei fatti senza omettere nulla ed in tale contesto ho rappresentato il colloquio intercorso tra me ed il dottor Canterini, esattamente negli stessi termini esposti avanti codesta onorevole Commissione. Ribadisco anche in questa sede il più pieno convincimento che la perquisizione doveva essere fatta e mi assumo «in toto» la responsabilità di detta affermazione. Parallelamente la prego di consentirmi di non nascondere la profonda amarezza di dovermi confrontare addirittura con un collega sulla veridicità di quanto si afferma essere accaduto. Sotto questo profilo mi riservo di agire legalmente nelle sedi competenti nei confronti del dottor Canterini. Sono comunque certo che la giustizia farà il suo corso e non solo chiarirà che cosa sia realmente successo a Genova la notte di sabato 21 luglio, ma anche e soprattutto quale sia l'ordine di responsabilità che ciascuno si è assunto in base a quanto dichiarato in seguito».
Do lettura della lettera a firma del generale Siracusa: «In relazione all'audizione del generale di brigata Giampaolo Ganzer, vicecomandante del raggruppamento operativo speciale dei carabinieri, mi preme fornire a lei ed ai membri del Comitato opportuna precisazione in merito ad un quesito riguardante l'ufficiale dei carabinieri più elevato in grado presente in Genova. Come riportato a pagina 191 del resoconto stenografico, alla domanda postami su chi fosse l'ufficiale più elevato in grado a Genova, ho risposto testualmente: "a Genova vi è il comandante della regione Liguria. Ma la competenza territoriale è del comandante provinciale, un colonnello (...) per la circostanza il colonnello Tesser". Desidero puntualizzare che il comandante della regione è un ufficiale generale dell'Arma - nel caso concreto il generale di brigata Angelo Desideri - e che la responsabilità di tutte le attività operative delle provincia è sempre affidata al comandante provinciale, membro, tra l'altro, del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica e, quindi, nel caso specifico, interlocutore per l'Arma nei confronti del questore per tutte le attività di ordine pubblico».
Ricordo infine che le due lettere pervenute a nome degli ispettori Montanaro e Cernetig sono simili, nel contenuto, a quella pervenuta ieri, di cui ho già dato lettura.

LUCIANO VIOLANTE. Signor presidente, vorrei sapere se sia possibile chiedere al dottor Canterini di farci pervenire copia dei documenti che ha consegnato all'avvocato Taormina.

PRESIDENTE. Credo che sia possibile, anche se l'avvocato Taormina ne ha inviato a sua volta copia all'autorità giudiziaria. Si tratta comunque di una richiesta che l'ufficio di presidenza avanzerà.

Audizione del dottor Vittorio Agnoletto, portavoce del Genoa social forum, di Stefano Kovac, rappresentante del Consorzio italiano di solidarietà, di Massimiliano Morettini, portavoce del GSF genovese, di Chiara Cassurino, rappresentante del movimento denominato «Tute bianche», di Fabio Lucchesi, rappresentante dell'associazione Rete Lilliput, del dottor Maurizio Gubbiotti,


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rappresentante di Legambiente, di Raffaella Bolini, rappresentante dell'ARCI, del dottor Luigi Bobba, presidente delle ACLI, e di Anna Scalori, rappresentante dell'associazione Pax Christi.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui fatti accaduti in occasione del vertice G8 tenutosi a Genova, l'audizione del dottor Vittorio Agnoletto, portavoce del Genoa social forum, di Stefano Kovac, rappresentante del Consorzio italiano di solidarietà, di Massimiliano Morettini, portavoce del Genoa social forum genovese, di Chiara Cassurino, rappresentante del movimento denominato «tute bianche», di Fabio Lucchesi, rappresentante dell'associazione Rete Lilliput, del dottor Maurizio Gubbiotti, rappresentante di Legambiente, di Raffaella Bolini, rappresentante dell'ARCI, del dottor Luigi Bobba, presidente delle ACLI e di Anna Scalori, rappresentante dell'associazione Pax Christi.
Prima di dare inizio alle audizioni in titolo, ricordo che l'indagine ha natura meramente conoscitiva e non inquisitoria.
La pubblicità delle sedute del Comitato è realizzata secondo le forme consuete previste dagli articoli 65 e 144 del regolamento della Camera, che prevedono la resocontazione stenografica della seduta.
La pubblicità dei lavori è garantita, salvo obiezioni da parte di componenti il Comitato, anche mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso, che consente alla stampa di seguire lo svolgimento dei lavori in separati locali.
Ricordo, in proposito, di aver già disposto l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso.
Comunico che il dottor Bobba chiede di essere accompagnato dal dottor Fabio Protasoni. Se non vi sono obiezioni, così rimane stabilito.
Ringrazio i presenti ed invito il dottor Luigi Bobba, presidente delle ACLI, a riferire al Comitato. Dottor Bobba, se ha predisposto una relazione scritta, la prego di darne lettura.

LUIGI BOBBA, Presidente delle ACLI. Non ho preparato una relazione scritta, ma intendo comunque svolgere alcune brevi annotazioni.
Ringrazio, innanzitutto, il Comitato per l'invito rivoltoci (tra l'altro, anche le ACLI avevano sollecitato l'istituzione di una Commissione di indagine). Sono qui per due ragioni: per rispetto verso le istituzioni e per rispetto nei confronti di coloro che, membri della nostra associazione, individualmente o a piccoli gruppi, hanno partecipato ad alcuni avvenimenti svoltisi a Genova.
È noto, infatti, che la posizione ufficiale dell'associazione era differenziata rispetto ad altre realtà. In particolare, insieme a molte altre associazioni cristiane, avevamo ritenuto di assumere un'iniziativa, 15 giorni prima del vertice G8 (in particolare il giorno 7 luglio), per mettere l'accento sull'insieme dei temi, dei problemi contenuti nell'agenda politica del G8.
Avevamo preso quell'iniziativa, valutando anche una ragione di prudenza rispetto a quanto si andava preparando per quei giorni. Naturalmente, si tratta di una valutazione opinabile, ma coloro (in particolare, il sottoscritto) che erano stati tra i promotori della manifestazione del 7 luglio, successivamente non avevano ritenuto di aderire ad altre iniziative in ragione di una valutazione di prudenza sulla possibilità di svolgere nel modo più appropriato le manifestazioni pacifiche.
Detto ciò, le osservazioni che vorrei portare alla vostra attenzione sono quattro; esse mi derivano sostanzialmente dalle testimonianze inviatemi da coloro che, al contrario, hanno ritenuto, individualmente o a piccoli gruppi, di partecipare alle manifestazioni del 20 e del 21 luglio ed anche dalla mia presenza (il giorno 20) alla veglia di Boccadasse che, come sapete, era stata promossa da un insieme di realtà religiose e di associazioni cristiane come segno di preghiera, di testimonianza e modo pacifico con il quale affrontare quei giorni.
La prima osservazione è la seguente: la valutazione di prudenza che ci aveva indotti ad assumere questa posizione derivava dal fatto che una parte delle forze che avevano deciso di intraprendere delle


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iniziative si erano andate concentrando su un unico obiettivo, da noi ritenuto sbagliato e comunque non significativo, ovvero quello di varcare, seppure simbolicamente, la zona rossa. Quell'obiettivo, e l'insieme dell'immaginario verbale, quasi in una specie di guerra civile, ha coperto in qualche modo le iniziative, la cultura, il linguaggio e la presenza di tanti altri, che costituivano la grandissima maggioranza, direi la quasi totalità, recatisi a Genova per manifestare pacificamente e per dire qualcosa nel merito dei problemi che erano oggetto del vertice.
La seconda osservazione, che scaturisce dalle testimonianze, è la seguente: le difficoltà sono state determinate anche dal fatto che un insieme molto composito e variegato (e questa ne è anche la sua forza) delle presenze non aveva una capacità organizzativa - potremmo dire un servizio d'ordine - tale da consentire che i gruppi violenti non s'infiltrassero all'interno del grande corteo pacifico. Diversi fra coloro che hanno partecipato mi hanno evidenziato questo aspetto come un limite: nel momento in cui ci si è trovati in una situazione di difficoltà, soltanto quelle parti di corteo che si erano minimamente organizzate sono riuscite a respingere l'infiltrazione di gruppi violenti.
La terza osservazione, che mi deriva dalle testimonianze delle persone che erano a Genova - si tratta peraltro di vicenda nota perché diffusa ampiamente dagli organi di stampa -, è che la difesa, vorrei dire un po' ossessiva, della zona rossa ha «distratto» o non ha concentrato l'attenzione delle forze dell'ordine su un numero limitato ma organizzato di gruppi violenti che hanno potuto agire in gran parte indisturbati.
La quarta ed ultima osservazione attiene al fatto che in quella situazione molti di coloro che hanno partecipato si sono trovati a subire le cariche della polizia, in una situazione in cui non vi era più distinzione fra coloro che manifestavano pacificamente e coloro che invece erano lì per ben altri motivi, con le note conseguenze. Al riguardo, ho molte testimonianze di persone che si sono trovate a subire situazioni di difficoltà e di violenza.
Da ultimo, vorrei sottolineare, avendo anch'io partecipato alla veglia di Boccadasse, la mia sorpresa nell'arrivare da fuori Genova, dopo aver ascoltato le notizie tragiche - era già avvenuta la morte di Carlo Giuliani - con il mio mezzo privato; ebbene, devo confessare di aver attraversato tutta la città ed essere arrivato fin sotto la chiesa, «stranamente» senza incontrare una sola pattuglia delle forze dell'ordine. Ciò mi ha alquanto sorpreso, dal momento che molti mi chiedevano come sarei potuto arrivare lì. Invece, pur in quella situazione così complicata, sorprendentemente un privato cittadino poteva recarsi a questo appuntamento.
Concludo dicendo che l'intenzione della nostra realtà associativa, e spero anche quella delle istituzioni parlamentari, è di lasciarsi in un certo senso dietro i veleni che tale realtà ha portato con sé, valorizzando e riconoscendo invece la grande spinta positiva e la voglia di cambiamento che la grandissima maggioranza di coloro che hanno partecipato, prima durante e dopo, alle iniziative vuole oggi esprimere. Una iniziativa pacifica, una voglia di dare un contributo in ordine a problemi che, seppur globali, ci riguardano poi così da vicino; un modo insomma di essere cittadini attivi e di non lasciarsi semplicemente guidare dagli avvenimenti, cercando invece di fare la nostra, seppur piccola, parte.

PRESIDENTE. Invito ora il dottor Agnoletto a svolgere la sua relazione per conto del Genoa social forum.

VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. Come ricorderete, il Genoa social forum aveva chiesto che il Parlamento istituisse una Commissione d'inchiesta. Pur non avendo questo Comitato poteri d'inchiesta, riteniamo comunque che esso rappresenti una opportunità importante. Siamo pertanto qui con lo spirito che si accerti la verità come condizione assolutamente necessaria per consentire che si faccia giustizia. Verità e giustizia sono gli elementi che ci guidano.


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Parlo a nome dell'intero Genoa social forum e pertanto la relazione (che non sarà brevissima) che mi accingo ad illustrare rappresenta l'insieme delle associazioni che hanno aderito al Genoa social forum.
Abbiamo ritenuto opportuno iniziare con una presentazione del Genoa social forum e con una ricostruzione del percorso, in modo da poter comprendere in quale contesto si siano situate le giornate di Genova.
Dopo Seattle, sin dalla primavera del 2000, appare evidente che a Genova convergerà nei giorni del G8 un numero enorme di persone appartenenti a movimenti e a campagne organizzate in tutto il mondo. Fra le diverse organizzazioni italiane si comprende la necessità di costituire un coordinamento unitario che riesca ad offrire un punto di riferimento per le realtà nazionali e internazionali interessate a organizzare un momento che sia caratterizzato da una partecipazione popolare e pacifica. È con questo obiettivo, la costruzione di un coordinamento per iniziative di massa e pacifiche, che tra ottobre e novembre 2000 - quindi quasi un anno prima della scadenza del G8 - nasce il coordinamento chiamato Patto di lavoro, che, in una fase successiva si trasformerà, con un elemento di assoluta continuità, nel Genoa social forum.
Il Patto di lavoro, da iniziale coordinamento locale, diviene poi una realtà nazionale, e successivamente, quando si trasforma in Genoa social forum diventa una realtà internazionale. Il patto tra i firmatari, che trovate in allegato alla documentazione che ho consegnato al Comitato, parte da un'analisi condivisa delle ingiustizie prodotte dalla globalizzazione. Vorrei precisare che non ci troviamo di fronte a un documento politico, ma piuttosto a un documento teso a valorizzare la partecipazione, anche differenziata ed eterogenea, che però si fonda su alcune discriminanti: il diritto ad esprimere il dissenso, anche attraverso manifestazioni, la non legittimità di otto paesi a decidere per tutti, le forme pacifiche e non violente delle manifestazioni; in altre parole, è una critica non alla globalizzazione in generale, ma a questa globalizzazione, che permette la libera circolazione delle merci e non delle persone, e che, in assenza di regole politiche condivise, facilita l'accumulazione di altri profitti da parte dei più ricchi. Chiariamo subito: il Patto di lavoro intende rappresentare non l'insieme di tutto il movimento, di tutto coloro che arriveranno a Genova, ma quelli che decidono di sottoscrivere questo patto.
Fin dal dicembre 2000, si avviano i primi contatti con le istituzioni, nella convinzione che l'organizzazione degli eventi a Genova necessiti di un ampio periodo di preparazione. Nel gennaio 2001, quindi a sette mesi dal G8, parte la raccolta di firme per la petizione «Genova città aperta», che è accompagnata da una lettera aperta ai cittadini genovesi perché si vuole costruire un rapporto con la città.
Il Patto di lavoro, e poi il Genoa social forum, decide di tenere in ogni fase di confronto istituzionale un atteggiamento di trasparenza, oltreché di correttezza: in altre parole, decidiamo di informare sempre, pubblicamente e in modo assolutamente trasparente, i nostri interlocutori e la pubblica opinione di quello che abbiamo intenzione di fare e di come abbiamo intenzione di agire. Si tratta del tentativo di confrontarci con i rappresentanti istituzionali sugli spazi di accoglienza, sul diritto a manifestare, sulla libera partecipazione, e così via, tentativo che poi, come vedremo, resta senza risposta per diversi mesi. In particolare, dal 9 febbraio, con l'incontro in prefettura con il Tavolo inerente il G8, e fino ad aprile, attraverso sit-in in tutta Italia e iniziative anche di pressione davanti al Viminale, cerchiamo un rapporto con le istituzioni.
Nel frattempo vi è un avvenimento importante per comprendere cosa si stava realizzando. Alla fine di gennaio 2001 si tiene il forum sociale mondiale a Porto Alegre: in contemporanea con l'incontro dei potenti a Davos, ci si trova nel sud del mondo con i movimenti, le associazioni e le ONG per discutere di un altro mondo possibile. È da quella scadenza che il Patto di lavoro si trasforma in Genoa social


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forum - siamo al 27 febbraio - diventando un organismo di coordinamento internazionale a cui far riferimento gran parte delle associazioni che vengono a Genova.
La grande preoccupazione che anima il Genoa social forum è quella di coniugare la centralità dei contenuti di critica a questa globalizzazione con le mobilitazioni: ecco perché nel programma che cominciamo ad elaborare fin dall'inizio di quest'anno, parliamo innanzitutto del public forum, ossia di organizzare una settimana di dibattiti a Genova, dal 16 al 22 luglio, a cui possano assistere e partecipare migliaia di persone, con centinaia di relatori provenienti da tutto il mondo. Il public forum affronta i temi della finanza, dei diritti dei lavoratori in tutto il mondo, la famosa questione della riduzione del tempo di possesso dei brevetti sui farmaci da parte del WTO, il problema, della anti-democraticità, a nostro parere, dell'Organizzazione mondiale del commercio. Per esempio, si discute della necessaria riconversione dell'industria bellica e della remissione del debito ai paesi poveri: si affronta inoltre, la famosa questione della quota da destinare alla cooperazione internazionale, passando dall'attuale livello italiano dello 0,2 per cento al 7,5, nonché quella dell'accordo di Kyoto come elemento di base, ma non sufficiente, per una tutela dell'ambiente. Questi sono alcuni dei temi posti al centro del public forum: ne ho citati alcuni, ma ce ne sono tanti altri che potete trovare nell'appendice.
Contemporaneamente, rivendichiamo il diritto di manifestare il dissenso in modo visibile, tranquillo e pacifico; con modalità pacifiche e non violente, senza attaccare in alcun modo la città né le persone: ovviamente, qualunque persona, in divisa o meno. Questa è la dichiarazione solenne del 5 giugno 2001, diffusa poi anche pubblicamente, dal titolo. Rispetteremo la città e non ci saranno attacchi contro le persone, né contro le cose. In essa si afferma che abbiamo fatto tra di noi un patto «e solennemente dichiariamo: noi scegliamo di agire nel pieno rispetto della città; noi scegliamo di non compiere attacchi contro alcuna persona; noi scegliamo una pratica pacifica e non violenta». In seguito, viene illustrato cosa intendiamo fare.
Vi è la questione del confronto con il Governo, sulla quale in seguito entrerò più nel merito, e cominciano le comunicazioni dirette con la questura, che viene informata sui percorsi e sulle piazze in cui il Genoa social forum intende tenere le proprie iniziative. Si parla, quindi, del corteo internazionale dei migranti del 19 luglio, che intende porre al centro il diritto alla libera circolazione dei migranti in un mondo in cui si muovono le merci ma non le persone, anche recuperando alcune situazioni drammatiche degli anni passati: e pensando a quello che sta avvenendo su quella nave che viaggia con centinaia di persone a bordo, senza che vi sia qualcuno che le ospiti e che riconosca loro i diritti umani. Per il 20 luglio si prevedono iniziative finalizzate ad accerchiare i luoghi di svolgimento del vertice del G8: si tratta di varie e molteplici iniziative, promosse da diversi gruppi aderenti al Genoa social forum, in base alla prassi che abbiamo scelto, ossia in un contesto unitario di riconoscimento di contenuti - Patto di lavoro - e della dichiarazione solenne, ovviamente tenendo conto anche delle diversità all'interno di questi patti, della storia delle differenti associazioni. Questa giornata è dedicata a portare in piazza i contenuti del forum, le famose piazze tematiche.
Per sabato 21 luglio è prevista la manifestazione conclusiva, con il corteo per le vie di Genova, alla quale noi diciamo inizialmente che parteciperanno almeno centomila persone. Il percorso del corteo viene definito lungo un itinerario non tangente alla zona rossa per evitare qualunque elemento di tensione. Contemporaneamente, visto il complesso dei divieti previsti, si comincia ad affrontare la questione della zona gialla - che poi riprenderemo -, istituita con un'ordinanza del prefetto di Genova il 2 giugno. Alla luce di quanto è avvenuto da altre parti, non ultimo a Göteborg, si pensa comunque di organizzare un servizio sanitario e un


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servizio legale per tutti coloro che decidono di venire a Genova, come supporto per eventuali situazioni di tensione che noi non vogliamo creare, ma che ovviamente non sempre dipendono dal Genoa social forum e dai manifestanti.
Il Genoa social forum, durante i mesi di preparazione, si riunisce regolarmente in assemblee plenarie aperte circa ogni tre settimane. La continuità del lavoro fra le assemblee viene assicurata da un consiglio di portavoce, composto da 18 rappresentanti delle maggiori organizzazioni aderenti al Genoa social forum, che rappresentano in qualche modo le diverse affinità. Si tratta di centinaia di associazioni; pertanto è ovvio che si inseriscano le più grandi, che poi tengono i contatti con quelle affini come contenuti e come ispirazione.
Nella seconda metà di maggio viene indicato un portavoce nazionale, inizialmente per una conferenza stampa, poi confermato nella persona del sottoscritto. Per assicurare il coordinamento con le realtà internazionali aderenti al Genoa social forum si tengono due riunioni con le associazioni europee ed estere; ovviamente vi sono tutti gli allegati di quanto detto.
A questo punto, entrerei un po' più nel merito; chiedo scusa se mi dilungherò, ma credo che sia utile.
Nell'ottobre 2000 si avvia da parte di alcune organizzazioni genovesi un percorso che porta al Patto del lavoro. Gli allegati relativi a questa seconda parte - mi riferisco ai rapporti tra Genoa social forum ed istituzioni - vi verranno consegnati in un secondo momento, poiché non sono ora disponibili.
Il 27 ottobre 2000 viene redatto il primo documento intitolato: «Un mondo diverso è possibile». Il Patto di lavoro è, quindi, nato in breve tempo e raccoglie, tra le adesioni, quella della Rete contro G8, un altro coordinamento che già da qualche tempo aveva rapporti con il comune di Genova; era un coordinamento soprattutto locale, che poi confluì nel Patto di lavoro; dopodiché tutto si trasforma in Genoa social forum. Il 19 dicembre 2000 il documento «Un mondo diverso è possibile» viene sottoscritto da tantissime associazioni. A seguito di richieste scritte e di incontri nei giorni compresi tra il Natale 2000 ed i primi giorni di gennaio 2001 si susseguono i primi incontri istituzionali con la provincia (27 dicembre 2000), con il comune (27 dicembre 2000), con il prefetto (11 gennaio 2001) e poi, subito dopo, con il ministro Vinci Giacchi. A tutti viene chiesta l'istituzione di un tavolo di coordinamento comune tra i diversi enti locali. Il presidente della regione Liguria, Biasotti, nonostante due lettere di richiesta di incontro, non fornisce alcuna risposta.
Il 21 dicembre, presso la Presidenza del Consiglio, si tiene un primo incontro tra la dottoressa Marta Dassu' ed alcuni rappresentanti di ONG ed altre associazioni. Nell'incontro viene illustrata l'intenzione del Governo di promuovere un progetto intitolato «Genoa non governmental initiative» finalizzato a facilitare l'apporto della società civile ai contenuti dell'agenda. Le ONG informano i rappresentanti della nascita del Patto di lavoro.
Il 5 gennaio, presso la sede dell'Istituto affari internazionali, si svolge la presentazione ufficiale di tale progetto e le organizzazioni fanno presente, anche in questa situazione, la necessità di creare una sede di confronto sulle manifestazioni. Nel mese di gennaio lanciamo la petizione accompagnata dalla «Lettera aperta ai genovesi».
Si giunge così al 29 gennaio 2001, quando una delegazione del Patto di lavoro viene ricevuta in prefettura, oltre che dal prefetto Di Giovine, dai massimi rappresentanti di comune, provincia e regione (come si evince dagli allegati). Durante tale incontro, viene rinnovata la richiesta di un tavolo comune di coordinamento e cominciamo ad illustrare le prime richieste ritenute necessarie per l'accoglienza.
Il 30 gennaio, cioè il giorno dopo, si tiene l'incontro tra Amato, il prefetto, il sindaco ed altri ancora e viene comunicato che la dottoressa Margherita Paolini, della struttura di missione governativa, è stata incaricata di dialogare con le organizzazioni.


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Arriviamo all'8 febbraio: è una data importante perché il Patto di lavoro è convocato in prefettura per un incontro con il prefetto Di Giovine, con l'architetto Margherita Paolini, con il presidente della provincia Marta Vincenzi, con il vicesindaco Claudio Montaldo e con il consigliere regionale Fabio Broglia. Durante l'incontro avanziamo in modo sufficientemente preciso alcune richieste e proponiamo la costituzione di una cittadella che chiamiamo «la cittadella della solidarietà» nella quale possano svolgersi i dibattiti e gli incontri, cioè il public forum. Illustriamo le manifestazioni previste e ipotizziamo che nella zona di levante della città possa svolgersi anche il corteo.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIAN FRANCO ANEDDA

VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. Il 27 febbraio, durante una riunione, il Patto del lavoro assume la denominazione di Genoa social forum.
In attesa delle risposte ufficiali da parte del Governo, il 19 marzo il Genoa social forum invia ai capigruppo e ai presidenti dei consigli degli enti locali un documento, affinché si esprimano su «Genova città aperta».
Il 29 marzo il Genoa social forum invia due lettere ai candidati Premier, Rutelli e Berlusconi, chiedendo di essere ricevuto e, comunque, di esprimersi sulle questioni relative ai temi della globalizzazione e al diritto a manifestare.
Il 30 marzo il GSF risponde ad una richiesta del sindaco di La Spezia che si rende disponibile ad alcune iniziative.
Ai primi di aprile si tiene la conferenza internazionale conclusiva del progetto GNG di cui abbiamo parlato prima.
Il 3 aprile a Genova Piero Fassino, allora ministro della giustizia in carica e candidato Vicepremier di Rutelli, riceve una delegazione del Genoa social forum; a lui ripetiamo tutte le nostre richieste; Rutelli poi, risponderà il 26 aprile. Nulla si blocca fino al 4 aprile; in tale data, infatti, parte il «telegram day»: attraverso centinaia di fax, telegrammi ed e-mail, mandiamo messaggi al ministro dell'interno Bianco e al Presidente della Repubblica Ciampi chiedendo un confronto e la disponibilità a discutere sull'accoglienza; a livello internazionale riceviamo messaggi che ci chiedono come sia possibile che ancora nulla sia stato organizzato.
Il giorno dopo, il 5 aprile, in tutta Italia si svolgono decine di presidi assolutamente pacifici davanti alle prefetture per chiedere che Genova sia città aperta. A Roma si svolge un presidio di fronte al Viminale per chiedere al ministro Bianco di essere ricevuti. Il capo di gabinetto Sorge insieme al prefetto di Genova Di Giovine, riceve una delegazione del Genoa social forum composta da Bolini, De Fraia, Agnoletto, De Cesari e Suor Pasini. Nell'incontro ripetiamo le nostre richieste e ci viene comunicato che il prefetto Di Giovine sarà il nostro interlocutore. Egli ci dice che probabilmente la cittadella sarà autorizzata e ci assicura che non vi è l'intenzione di chiudere le frontiere. Il prefetto Di Giovine chiede di avere maggiori dettagli sulle richieste del GSF, dettagli che vengono consegnati una settimana dopo, l'11 aprile.
Il 20 aprile una delegazione del GSF viene convocata dal prefetto. A questa riunione partecipano anche il capo della DIGOS di Genova, Spartaco Mortola, e Margherita Paolini. La delegazione del GSF spiega nuovamente tutte le proposte; si è trattato dell'ultimo incontro ufficiale prima delle elezioni. Poi si ferma tutto: fino a quella data non avevamo ottenuto alcuna risposta ai documenti presentati l'8 febbraio.
Il 4 e il 5 maggio si riunisce a Genova la prima assemblea internazionale del Genoa social forum; si discute e da parte di tutti viene confermato il carattere assolutamente pacifico e non violento delle manifestazioni; su questo documento abbiamo ottenuto anche l'adesione delle associazioni internazionali.
L'8 maggio il GSF riceve per conoscenza una lettera di molti parlamentari


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liguri, inviata ad Amato, con la quale si sollecita una risposta alle richieste del GSF.
Il 9 maggio il GSF presenta nuovamente le richieste formali al prefetto, al questore, al sindaco e al comandante dei vigili urbani.
Il 10 maggio il sindaco di La Spezia si fa avanti nuovamente per proporre alcune iniziative che poi verranno stabilite.
Il 15 maggio il GSF fornisce ulteriori richieste.
Il 24 maggio inoltriamo due lettere al Presidente della Repubblica e al Premier in pectore Berlusconi (perché non sapevamo ancora chi fossero i ministri): ripercorriamo la storia del GSF e chiediamo di avere delle risposte; anticipiamo che in data 2 giugno, in occasione della festa della Repubblica, abbiamo intenzione di sviluppare iniziative a sostegno del diritto a manifestare.
Nella medesima giornata, i portavoce Vittorio Agnoletto e Chiara Cassurino incontrano i media sotto la sede del Comitato parlamentare di controllo delle attività dei servizi di informazione per criticare alcune veline apparse sulla stampa, che avevano cercato di prospettare scenari incredibili (sangue infetto lanciato dagli aeroplani, tentativi di rapire singoli rappresentanti delle forze dell'ordine e così via); secondo queste sarebbe dovuto succedere di tutto. Pertanto assumemmo iniziative per protestare.
Il 5 giugno approviamo il documento di cui vi abbiamo detto sul modo di manifestare.
Il 12 giugno, giorno dell'insediamento di Scajola, inviamo una lettera al ministro chiedendogli un incontro (il testo di questa lettera è disponibile).
Insomma, alla fine gli enti locali si dichiarano genericamente disponibili, ma non si esprimono, non avendo indicazioni né dal Governo precedente né da quello appena insediato.
Arriviamo al 24 giugno del 2001; ormai siamo a meno di un mese dall'iniziativa: avevamo presentato le richieste l'8 febbraio. Domenica pomeriggio si svolge l'incontro con il capo della Polizia, Gianni De Gennaro, alla presenza del vicecapo Ansoino Andreassi, del questore di Genova, Colucci, dell'addetto stampa Sgalla e di altri funzionari. Questo incontro è convocato su mandato del Governo e dura circa due ore. De Gennaro ci comunica l'intenzione del Governo di fare svolgere le manifestazioni in concomitanza con il vertice del G8. Non essendo una trattativa, e visto che De Gennaro stesso ci rassicura circa il fatto che il diritto a manifestare non era in discussione, l'incontro si concentra su alcune questioni organizzative: chiediamo garanzie sull'apertura delle frontiere, sul funzionamento dei trasporti per giungere a Genova, sull'organizzazione dell'accoglienza. Il Genoa social forum chiede anche che le forze dell'ordine (siamo dopo Göteborg) impegnate in prima linea non siano dotate di armi da fuoco ed avanza la richiesta che la cosiddetta zona gialla sia cancellata. Appare subito chiaro che gli interlocutori presenti non sono in grado di fornire alcuna risposta, non avendo a loro volta ricevuto precise indicazioni politiche. Il Genoa social forum decide di sospendere la riunione e chiede l'incontro col ministro Scajola.
Il 28 giugno abbiamo l'incontro alla Farnesina con il ministro degli esteri Ruggiero e con il ministro dell'interno Claudio Scajola. La prima parte dell'incontro è gestita da Ruggiero il quale ci chiede di sottoscrivere un documento attraverso cui il Governo italiano invita alcune personalità del sud del mondo ad un incontro a Roma. Cominciamo a discutere dei contenuti: in circa 40 minuti di discussione è ovvio che non si raggiunge alcun accordo. Poniamo il problema della Tobin tax, il problema dei brevetti ed un'altra serie di questioni, senza arrivare a sottoscrivere alcun documento. Il ministro Scajola conferma la decisione del Governo di far svolgere le manifestazioni proposte dal Genoa social forum, sconfessando in quella sede il Vicepremier Fini, che il giorno prima aveva affermato che a Genova si sarebbe usato l'esercito in piazza per fronteggiare i manifestanti. Respinge al mittente la richiesta che le forze dell'ordine impegnate in prima fila non siano armate


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affermando che, contrariamente a quanto successo a Göteborg, «le forze dell'ordine italiane in piazza non sparano perlomeno finché io sarò ministro degli interni». Accenno inoltre, ad alcune strutture da destinarsi all'accoglienza, rimandando i dettagli, nonché la definizione della zona gialla, delle frontiere e della viabilità ad un'ulteriore riunione.
Il 30 giugno in prefettura abbiamo un incontro con il prefetto Di Giovine, il capo della Polizia De Gennaro, il questore Colucci, il capo della DIGOS Mortola e qualche altro funzionario. L'incontro dura cinque ore. De Gennaro comunica che chiederà al Governo di applicare le clausole del trattato di Schengen relative alla riattivazione dei controlli alle frontiere, affermando che le nuove misure sarebbero state gestite con grande elasticità, al fine di bloccare l'entrata in Italia di gruppi violenti, sulla base di segnalazioni mirate. Il capo della Polizia assicura poi che, relativamente alle autostrade, a levante queste rimarranno aperte e De Gennaro, a differenza di quanto reso pubblico fino a quel momento, dichiara che la stazione di Brignole rimarrà aperta, contrariamente alla stazione di Principe. Le manifestazioni saranno autorizzate solo a levante. Protestiamo per questa limitazione, che poi nei fatti viene modificata, tant'è che poi si tenne una manifestazione a ponente. Rispetto allo cosiddetta zona gialla, dopo una lunga discussione, aperta dall'affermazione di De Gennaro, secondo la quale «la zona gialla non è la Bibbia», si arriva alla conclusione che per tutto quello che concerne le questioni di ordine pubblico, per le quali è necessaria preventiva comunicazione alla questura (quindi manifestazioni, presidi, volantinaggi) la zona gialla può ritenersi non più esistente per quanto ci riguarda: se rimane è per una questione di posteggio delle macchine e per impedire che si aprano nuovi cantieri di lavoro.
Presentiamo lo schema generale delle manifestazioni. Evidenziamo come il 20 l'assedio alla zona rossa avverrà attraverso iniziative diverse (dalla veglia di preghiera, ai sit-in, ai cortei) e che alcuni degli aderenti al Genoa social forum praticheranno forme di disobbedienza civile. Facciamo presente che questi ultimi sono consapevoli di voler superare la legge e che sono pronti a pagare le conseguenze del loro gesto. Spieghiamo come la disobbedienza avverrà nel rispetto delle scelte comuni del Genoa social forum: non attaccare la città, non attaccare le persone e non usare strumenti atti ad offendere. Il capo della Polizia ci risponde che la repressione di tali violazioni sarà certamente commisurata ai comportamenti dei manifestanti. De Gennaro afferma che le forze dell'ordine non sparerebbero mai sui manifestanti.
Tutte le altre autorizzazioni e decisioni rispetto alle manifestazioni le avremmo dovute chiedere, poi, alle autorità competenti.
Raffaella Bolini afferma che probabilmente avrebbero partecipato 200 mila persone. Qui c'è un nodo: De Gennaro dice che egli ha gestito eventi simili con la presenza di oltre un milione di persone e che, quindi, non c'è motivo di preoccuparsi, perché, secondo le sue informazioni, comunque a Genova non arriveranno più di 40 mila persone.
Veniamo ora al secondo capitolo: organizzazione e gestione dell'accoglienza. Per organizzare l'accoglienza abbiamo cominciato nel dicembre del 2000 con il percorso che vi abbiamo illustrato. Non è stato possibile impostare alcuna ipotesi concreta fino all'incontro con la prefettura in data 30 giugno. Le risposte di un via libera per comune e provincia da parte del Governo non arrivavano.
Dopo il 30 giugno comincia un complesso lavoro per arrivare alla stesura di un piano dettagliato. Si trattava di indicare strutture idonee e via dicendo. Non sempre il percorso è stato semplice e lineare. Possiamo ricordare il caso macroscopico dello stadio di atletica Villa Gentile prima concesso (fu addirittura uno dei due o tre luoghi promessi dal ministro degli interni) e poi negato senza una chiara motivazione alla vigilia dell'inizio della predisposizione dell'attività.


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Solamente il 10 luglio abbiamo avuto una risposta formale ed i montaggi delle strutture cominciano il 12 e il 13 luglio. La struttura inizia a funzionare per l'accoglienza dal 16 luglio, tranne alcuni campi che vengono consegnati il 17, il 18 e perfino il 19 luglio: e noi le richieste le avevamo presentate l'8 febbraio!
Il Genoa social forum organizza la gestione dei luoghi assegnati attraverso un punto di convergenza. Da domenica 15 luglio cominciano ad arrivare le persone che vengono indirizzate nei centri di accoglienza già pronti. Man mano che passa il tempo vengono attivati altri luoghi di accoglienza, ma già mercoledì 18 ci rendiamo conto che, come avevamo previsto, i posti disponibili non sarebbero stati sufficienti. Infatti, il vincolo imposto dall'amministrazione delle forze dell'ordine di utilizzare solo le aree a levante e le difficoltà, visti i tempi, di montare altri campi, faceva sì che la capienza totale non superasse i 25 mila posti contro gli oltre 40 mila di cui avremmo avuto bisogno.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DONATO BRUNO

VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. Nella settimana dal 15 al 22 vengono effettuate senza problemi diverse perquisizioni nelle strutture assegnate al Genoa social forum, tutte con esiti negativi.
Giovedì sera (il 19) intorno alle 22 comincia a piovere copiosamente e tutti i tendoni collettivi predisposti si allagano. La situazione peggiore è quella del SEDI, il cui tendone è posto in fondo ad una discesa asfaltata: verso le 23,30 nel tendone ci sono 40 centimetri d'acqua. Negli altri campi la situazione non è molto migliore e siamo costretti a chiedere l'intervento del 118 per due o tre persone colpite da ipotermie e da sindromi da raffreddamento. I vigili del fuoco intervengono al Carlini, mentre le persone che occupano via dei Ciclamini riescono a risolvere il problema da sole.
Dopo una serie di consultazioni con l'amministrazione comunale, vengono aperte le gradinate della piscina Sciorba, mentre al SEDI i Cobas ottengono direttamente dall'assessore Massolo l'apertura della seconda palestra e di un piccolo auditorium.
A causa della pioggia, molte persone che dormivano nei tendoni allagati o all'aperto cercano una sistemazione; alcune di loro vengono accolte presso la scuola Pertini, nella palestra. Vengono richiesti agli enti locali interventi di emergenza, distribuzione di bevande calde e coperte, ma, purtroppo, ci viene riferito che tali interventi non sono fattibili. Nelle stesse ore, il Genoa social forum effettua sopralluoghi in tutti i centri di accoglienza, e al SEDI si nota - siamo, quindi, alla sera del 19 luglio - che alcuni sconosciuti stanno danneggiando la palestra. La situazione è tesa; i COBAS, nella persona di Paolo Arado, avvisano l'assessore Massolo di quanto sta avvenendo; ci informano altresì dell'imminente arrivo di quest'ultimo sul posto la sera stessa (e così, poi, avviene). Quindi, informata immediatamente la provincia, l'assessore arriva sul posto.
La mattina successiva, durante una riunione in comune, alla presenza di vari esponenti dell'amministrazione comunale e provinciale, alcuni responsabili del Genoa social forum avvisano nuovamente l'assessore di quanto visto la sera precedente. L'assessore, ovviamente, dice che ne era già abbondantemente a conoscenza.
I centri di accoglienza rimangono attivi, senza ulteriori problemi, sino alla notte del 21 luglio. A seguito della diffusione di notizie riguardanti le modalità e gli effetti della perquisizione alla scuola Pertini (63 feriti di cui alcuni gravi), molte delle persone ancora presenti nelle strutture decidono di abbandonarle, nel timore che vengano intraprese quella notte analoghe iniziative.
Per quanto riguarda i giorni delle manifestazioni ed i fatti di Genova, la nostra memoria cerca di ricostruire quanto avvenuto attraverso resoconti qualificati forniti da chi di noi era presente, nonché attraverso le oltre 200 testimonianze e denunce di singoli cittadini; ovviamente, tra queste, alcune non le abbiamo ancora


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esaminate: per quanto compete, le consegneremo all'autorità giudiziaria, alla magistratura. Il nostro intento è fornire elementi affinché si possano ricostruire gli eventi più controversi.
Il Genoa social forum ritiene che, in occasione del vertice del G8 di Genova, non siano stati garantiti i più elementari diritti dei cittadini e siano stati fortemente limitati i diritti costituzionali di espressione, di informazione e manifestazione. La strategia che ha guidato il comportamento delle forze dell'ordine ha di fatto permesso, in tutti e due i giorni, 20 e 21 luglio, la distruzione sistematica della città da parte dei cosiddetti black bloc; essa è sempre intervenuta, invece, in maniera violenta contro le manifestazioni promosse del Genoa social forum.
Qui di seguito vogliamo dare un'idea di quali siano i nodi più problematici. Prima di entrare nel merito di quanto avvenuto il 20 ed il 21, vorremmo solo ricordare che a partire dal 16 luglio si è svolto il Public forum (che ha visto migliaia di partecipanti) mentre, il 19 luglio, si è avuta, senza alcun incidente, la grande manifestazione dei migranti. Nei mesi precedenti, con una costanza impressionante, vengono divulgate dai media presunte relazioni dei servizi segreti, del tutto fantasiose e puntualmente smentite dagli accadimenti. Si sprecano le notizie su attentati terroristici di oscure organizzazioni. Tali notizie, su imprecisate frange più estreme dei manifestanti che starebbero meditando di colpire duramente le forze dell'ordine attraverso rapimenti, arrivano agli organi di stampa, mentre si susseguono sui media cronache sugli allenamenti dei reparti mobili della Polizia di Stato a Roma.
Nei primi giorni di luglio vengono effettuate alcune perquisizioni anche nelle residenze di esponenti del Genoa social forum, senza alcun esito. Il 16 luglio, alle 10,30 del mattino un pacco bomba esplode a Genova tra le mani del carabiniere Stefano Torri, ferendolo ad un occhio ed alle mani. Una delegazione del Genoa social forum si reca in visita presso l'ospedale San Martino, esprimendo solidarietà a Stefano Torri e condannando il vile attentato. Si susseguono allarmi bomba in tutto il paese, alcuni purtroppo reali ed altri frutto della psicosi che si era generata. Tra gli altri, ricordiamo un ordigno incendiario ad orologeria trovato sotto un camper davanti allo stadio Carlini, poi neutralizzato dagli artificieri. Inoltre, il 17 luglio arriva una busta al sindaco di Genova che contiene un messaggio di morte per il portavoce del Genoa social forum Vittorio Agnoletto e due proiettili calibro 38. Aggiungo che io vengo a saperlo dall'agenzia ANSA la quale mi chiede una dichiarazione il giorno dopo, durante il convegno sindacale; ricevo poi conferma di ciò da una telefonata di miei amici, da Milano: infatti, la notizia, è apparsa già in video. Avvisato, alle ore 1,30 del 18, a ventiquattr'ore di distanza, dal Vicecapo della polizia Andreassi, vengo convocato alle 5,30. Quando chiedo come mai non fossi stato avvisato precedentemente, mi viene risposto: «Dottore, deve capire, siamo anche noi in uno stato di confusione assolutamente totale». Mi legge la relazione, dalla quale emerge che, oltre a me, il proiettile era rivolto anche a Casarini; chiedo se Casarini fosse stato avvisato. In quella riunione, presenti le varie autorità, vengono chiamati tutti i sottoposti, che dichiarano all'unisono di non averlo avvisato. Andreassi dice di avvisare immediatamente Casarini, il quale viene avvisato in serata (alle 18,30 non era ancora stato avvisato). Questo è il clima che si respira in città quando, nella notte tra il 17 e il 18 luglio, vengono innalzate barriere di cinque metri di altezza attorno alla zona rossa, dividendo in due la città e recludendo di fatto circa trentamila abitanti.
La tensione si stempera, per fortuna, il 18 sera, quando abbiamo organizzato il concerto di Manu Chao. Il 19 luglio è il giorno della manifestazione dei migranti, che si conclude a piazzale Kennedy: 50 mila persone, nessun incidente.
Arriviamo al 20 luglio, venerdì. Innanzitutto ricordiamo che quel giorno, le iniziative sono state: il presidio di piazza Manin/via Assarotti (organizzato da rete Lilliput, Legambiente, Marcia delle Donne


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e Rete ControG8); il presidio di piazza Dante (dove si erano concentrati ARCI, Attac, LILA, Rifondazione comunista, Fiom, UDU, UDS, alcuni centri sociali); il presidio di piazza Paolo da Novi (organizzato dai Cobas); il corteo di piazza Montano, da piazza Montano a piazza Di Negro (organizzato dalla CUB); il corteo di corso Gastaldi (organizzato dalle Tute bianche e dai Giovani comunisti). Cosa avviene a piazza Paolo da Novi? Questo ci sembra uno degli elementi fondamentali della relazione. La piazza è occupata, già alle 11 di mattina, dai cosiddetti black bloc; viene, quindi, abbandonata dai COBAS e dagli attivisti del Network per i diritti globali che avevano organizzato il presidio preventivamente autorizzato ai COBAS. Questi ultimi ed il Network si dirigono verso il mare, dove improvvisano un concentramento all'altezza di piazza Rossetti. Il concentramento nella piazza tematica doveva avvenire alle ore 12. Attorno alla stazione ferroviaria di Brignole, durante la notte, erano stati disposti degli sbarramenti con container. Reparti in tenuta antisommossa erano disposti ad elle, chiudendo la piazza in direzione non solo di piazza Verdi ma anche di via della Libertà. Successivamente, il reparto in via della Libertà veniva riposizionato. Tra le 11,30 e le 11,45, mentre stavano arrivando alla spicciolata le prime delegazioni di manifestanti e di contadini, gli avvenimenti sono precipitati. Da una parte, alcune decine di giovanissimi, senza segni distintivi evidenti, hanno iniziato a lanciare contro il reparto schierato in corso Buenos Aires oggetti che si erano procurati da una cantiere di ristrutturazione, svellendo le pavimentazioni intorno alle aiuole della piazza. Alcuni esponenti dei COBAS sono rimasti coinvolti; in particolare, uno di essi, nel tentativo di disarmare queste persone, è stato colpito e ferito alla testa. Le agenzie hanno dato ampio risalto all'episodio. Nel mentre, da corso Buenos Aires sopraggiungeva un corteo di forse 200 persone, quasi tutte a volto coperto, che attaccavano le vetrate di una banca e poi iniziavano a muoversi verso piazza Tommaseo, in direzione contraria rispetto alla zona rossa. A questo punto, i reparti antisommossa sembravano pronti ad intervenire; quindi i manifestanti della piazza tematica, per non trovarsi coinvolti nelle cariche, anche se il concentramento non era ancora concluso, hanno dovuto abbandonare la piazza. Alcune centinaia di essi hanno cercato di allontanarsi, uscendo insieme da piazza Paolo da Novi, in un primo tempo in direzione di piazza Palermo; poi, resisi conto che lì non si poteva andare perché si stavano verificando incidenti, si dirigevano verso piazzale Kennedy. Un certo numero di persone vestite di nero hanno tallonato il corteo per farsene scudo e hanno continuato ad incendiare cassonetti e ad infrangere vetrine.
Arriviamo alla vicenda di corso Gastaldi. Alle 13,30 parte il corteo dei disobbedienti, il cui preavviso era stato notificato alla questura di Genova il 16 luglio, in termini precisi, per quanto riguarda tutto il percorso (vedi allegati). Attenzione: il giorno 19 luglio, infatti, ci avevano comunicato che di questa manifestazione era stata vietata la parte finale (piazza Verdi, piazza delle Americhe, piazza della Vittoria e via XX Settembre) e che quindi, la manifestazione era regolarmente autorizzata fino alla fine di via Tolemaide. Qui, abbiamo il testo, che possiamo consegnare, con le prese d'atto e le autorizzazioni per lo sviluppo di questo corteo con i limiti prima citati.
Alla testa del corteo, alcune file di scudi collettivi montati su strutture mobili e dietro altre migliaia di persone, con giubbotti nautici e protezioni individuali, tutti senza strumenti atti ad offendere. D'altra parte, questi strumenti di difesa erano stati abbondantemente filmati e pubblicati sui giornali. Fino dall'altezza dell'ospedale di San Martino era possibile scorgere, mentre il corteo ancora stava avanzando, dense colonne di fumo ed elicotteri a bassa quota alcuni chilometri più in basso. Il corteo viene rallentato per capire cosa sta accadendo e avanza con estrema lentezza fino all'incrocio con via Montevideo, dove incontra la carcassa di un'autovettura ribaltata, bruciata e ormai


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solo fumante. Il corteo, fin dallo stadio Carlini, è preceduto, ad alcune centinaia di metri, da un «gruppo di contatto», composto da portavoce, parlamentari e giornalisti, delegato, appunto, a prendere contatto con i dirigenti delle forze dell'ordine. È da lì che si sente il gruppo di contatto, che con il megafono continua a dire, mentre il corteo avanza: «Guardate quella carcassa, noi non c'entriamo, chi l'ha fatta? È stata fatta prima di noi». È tutto registrato nei video. Ma il gruppo di contatto non riuscirà a svolgere alcuna funzione, pur essendosi spinto fin quasi alla stazione di Brignole, senza incontrare alcun interlocutore.
Il corteo arriva a pochi metri dall'incrocio tra via Tolemaide e corso Torino, dove un centinaio - e qui è importante - di carabinieri sta inseguendo un piccolo gruppo di persone che fugge verso il tunnel sotto la ferrovia che immette in corso Sardegna. Il gruppo dei carabinieri, giunto all'incrocio con via Tolemaide, desiste improvvisamente dall'inseguimento e, sparando lacrimogeni, svolta di 90 gradi nella suddetta via caricando, non quelli che stavano scappando e che inseguivano prima, ma la testa del corteo.
Nel giro di pochissimi minuti dalla stazione di Brignole avanzano i cellulari dei carabinieri, fino ad allora fermi, che sostengono l'azione di carica, supportati da un'incessante pioggia di lacrimogeni proveniente anche dai tetti dei palazzi e, in un secondo momento, anche dal ponte della ferrovia. Vorrei far presente per chi non è di Genova che siamo ancora nel mezzo del corteo autorizzato e non siamo minimamente arrivati dove c'è il divieto. Da questo punto in poi le cariche saranno continue, mentre il corteo arretra lentamente e tutto attorno la situazione si fa più confusa.
Il corteo continua ad indietreggiare sotto la pressione dei lacrimogeni e per l'avanzare dei mezzi blindati, lanciati ad alta velocità contro i manifestanti (come dimostrano filmati e foto); la calca è terribile, le persone soffocano per i gas e vengono schiacciati. In assenza di vie di fuga alcune centinaia di manifestanti si disperdono nelle vie laterali, bloccate dai carabinieri e, per aprirsi la strada in modo non organizzato, ingaggiano i primi scontri. Mentre il grosso del corteo composto da 20 mila persone tenta con difficoltà di ritirarsi verso lo stadio Carlini, nella zona continuano violenti scontri, che, poco dopo, porteranno alla morte di Carlo Giuliani.
A questo punto, in via Tolemaide avanzano due grossi automezzi della polizia dotati di idranti, usati come arieti contro la testa della manifestazione e nel corteo si diffonde la notizia che le forze dell'ordine hanno usato armi da fuoco e che uno o più manifestanti sono rimasti colpiti. Poco dopo arrivano la conferma della morte di un ragazzo e la voce di altri due decessi (solo in serata si saprà che il morto è uno ed ha le generalità di Carlo Giuliani).
Il corteo indietreggia, incalzato dalle cariche lungo corso Gastaldi per più di un chilometro, con una sorta di caccia all'uomo e pestaggi indiscriminati. All'incrocio con via Corridoni alcune centinaia di poliziotti, nonostante parte del gruppo di contatto avesse più volte comunicato che il corteo stava rientrando allo stadio Carlini, si aggiungono alle cariche, che cessano solo alcune centinaia di metri prima dello stadio stesso, dove il corteo rientra a partire dalle 18,30.
Cariche, pestaggi ed arresti continuano nelle ore successive nei quartieri di san Martino e alla Foce nei confronti di chi si era perso o attardato.
A piazza Manin c'era la Rete Lilliput ed altri che cominciano ad arrivare alle ore 9,30. Qui ci sono scene diverse: banchetti delle botteghe del commercio equo e solidale, cartelloni, iniziative e via dicendo. In questa piazza non c'è alcuna presenza delle forze dell'ordine, che fino al giorno prima, invece, la presidiavano; convergono qui gli aderenti del pink bloc, ecopacifisti in prevalenza del centro e nord Europa. Nonostante le autorizzazioni scritte, alcuni organizzatori del presidio di piazza Manin martedì 17 luglio mattina si recano a una riunione operativa in questura con il capo della DIGOS Spartaco


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Mortola, durante la quale si chiariscono tutte le questioni concrete. Il pomeriggio stesso, dopo aver fissato un appuntamento, Rete Lilliput - attraverso Alberto Zoratti - incontra nuovamente il capo della DIGOS e si specificano i banchetti e le iniziative previste; stessa cosa avviene il 19 luglio.
Alle assicurazioni da parte del capo della DIGOS non sono seguiti fatti concreti, tanto meno durante la carica a piazza Manin il giorno 20 pomeriggio. In quell'occasione, nonostante si richiedesse agli operatori di polizia presenti in piazza chi fosse il funzionario responsabile, gli organizzatori non ricevevano risposte. Contattato a questo proposito per telefono, il dottor Mortola rispondeva «levatevi di lì». Ciò per quanto riguarda i rapporti con la questura.
Nella tarda mattinata del 20 luglio, si concentrano nella piazza circa 2-3 mila persone e verso le 12,30 si decide di cominciare a scendere per via Assarotti per effettuare un sit in pacifico davanti alle barriere di piazza Corvetto e di piazza Marsala. Giunti alla fine di via Assarotti inizia il sit in e dopo una breve trattativa con le forze dell'ordine, insieme a Don Gallo e Franca Rame, le stesse consentono agli attivisti non violenti di attaccare messaggi e striscioni alle grate di piazza Corvetto.
Alle 13,30 giungono via cellulare a vari manifestanti notizie riguardanti le incursioni dei presunti black bloc e verso le 14 viene segnalato che un gruppo degli stessi aveva assaltato il carcere di Marassi e si stava dirigendo verso piazza Manin, prendendo via Peschiera e via Monte Grappa. A quel punto gli organizzatori della manifestazione decidono di far arretrare il grosso dei manifestanti oltre via Peschiera e, infine, di guadagnare di nuovo piazza Manin, dove stazionavano nella mattina, mentre alcune decine rimangono in piazza Corvetto.
Alle 14,30 irrompono nella piazza, dove non sono presenti le forze dell'ordine, i black bloc ed altri gruppi armati di spranghe e bastoni, facendo marce e caroselli. Gli attivisti non violenti si frappongono tra i cosiddetti black bloc e l'imbocco di via Assarotti per impedire a questi ultimi di imboccarla e di mettere in pericolo chi è rimasto davanti alle grate. Dopo pochi minuti presunti black bloc stanno sganciandosi, cominciano a imboccare corso Armellini per andarsene e, a quel punto, in piazza cominciano a piovere candelotti contro il gruppo dei manifestanti non violenti che avevano fatta opera di interposizione. Subito dopo una cinquantina di agenti della Polizia di Stato irrompono nella piazza, accanendosi sui banchetti e manganellando gli ecopacifisti e le femministe.
Alcuni dei presenti contano perlomeno una decina di ragazzi e ragazze con la testa insanguinata ed una ragazza con una frattura alla mano. I gruppi che denominiamo black bloc, nel frattempo, procedono in tutta calma per corso Armellini improvvisando barricate con i cassonetti e le campane dei rifiuti e sfasciando le macchine in sosta. All'altezza di piazza San Bartolomeo degli Armeni viene organizzata un'altra barricata e un drappello di una decina di black bloc attende l'arrivo di altri: c'è un lancio di bottiglie, di lacrimogeni e, a quel punto, anche gli ultimi black bloc si muovono per raggiungere gli altri lungo corso Solferino.
I poliziotti, invece di inseguirli, deviano verso l'adiacente piazza San Bartolomeo dove si erano rifugiati gruppi di pacifisti, li aggrediscono e continuano la caccia al militante non violento anche lungo via Assarotti. I black bloc, nel frattempo, agiscono indisturbati lungo via Palestro, mentre la polizia si attesta immobile a piazza Marsala. L'opera di distruzione dei black bloc continua in tutta tranquillità anche per corso Magenta e corso Paganini.
Nel frattempo - sono le ore 16,30-17,00 - giunta la notizia che il Genoa social forum ha deciso di smobilitare i presidi e di convocare un'assemblea in piazzale Kennedy, il grosso dei militanti imbocca via monte Grappa e scende da una scalinata dietro Brignole, sulla sponda destra del Bisagno all'altezza di ponte Sant'Agata, dove arriva alle 17,30. Mentre nella zona i black bloc stanno mettendo a


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ferro e fuoco il quartiere di Marassi, i pacifisti che vogliono raggiungere piazzale Kennedy trattano con un reparto di Polizia che presidia l'uscita della galleria in fondo a via Canevari, il quale gli impedisce il passaggio per circa un'ora.
La Rete Lilliput cerca di sbloccare questa situazione pericolosa e, alla fine, i mille riescono a guadagnare corso Torino ed arrivare in piazzale Kennedy.
Per quanto riguarda l'altra piazza tematica, piazza Dante, intorno ai giorni 16-17 luglio ARCI, Attac, Fiom CGIL, Rifondazione comunista, Unione degli studenti, alcuni centri sociali, la LILA ed altri, decidono di svolgere le iniziative previste. Spieghiamo tutto e si depositano alla questura tutte le richieste. Il giorno 19 luglio al mattino si svolge una riunione delle organizzazioni che sarebbero state presenti nelle piazze Carignano e Dante. Studiamo come organizzarci per garantire la piena pacificità delle manifestazioni e, in particolare, si decide di collocare alcune persone in luoghi strategici pronte ad avvisare se succede qualcosa. Si fissa il concentramento alle ore 12 in piazza Carignano e si decide comunque di avere già una presenza nelle piazze alle 10,30 per presidiarle. Attac France sarebbe partita in corteo da piazzale Kennedy per arrivare lì.
Noi prevediamo la presenza di due sound-system (camioncini con casse per la musica), spettacoli di teatro di strada, attività creative e quant'altro. Alle ore 11 del 19 luglio Massimiliano Morettini e Fiorino Iantorno si recano in questura da Spartaco Mortola per informarlo sull'organizzazione delle piazze nei minimi particolari. Dopo un breve colloquio il Mortola li accompagna a parlare con il questore e vengono fornite tutte le garanzie. La mattina del 20 luglio alle ore 11 nelle piazze vi sono alcuni di noi che stanno organizzando il tutto.
In piazza Carignano viene notato un motorino con alcuni fili scoperti, che pareva abbandonato e che aveva sul serbatoio un adesivo della Polizia di Stato. Viene avvisata la questura almeno tre volte perché controlli che non ci siano ordigni: nessun intervento.
Alle ore 12 le due piazze si cominciano a riempire. Nel frattempo, cominciano ad arrivare le prime notizie di incidenti in altre zone. In piazza Dante la manifestazione si svolge in modo abbastanza tranquillo; ogni tanto qualche momento di tensione, qualche attacco alla rete, sempre a mani nude, veniva interrotto dai getti degli idranti con acqua urticante. In piazza c'è musica e spettacoli di teatro. Il clima teso che si avvertiva per quello che avveniva in città ha fatto sì che noi rinunciassimo a costruire la torre di Babele, un grande «piedone», cioè cose creative. Il servizio di sorveglianza della piazza - il nostro servizio - ha funzionato togliendo ad alcune persone oggetti trovati per strada (bastoni, cartelloni stradali) e allontanando qualche esagitato.
Intorno alle 14 uno dei nostri punti di sorveglianza, intorno alla chiesa di piazza Carignano, ci informa di incidenti tra forze dell'ordine e cosiddetti black bloc in piazza Alessi. Una decina di persone appartenenti ad Attac si dirigono verso piazza Carignano e restano bloccate dagli scontri; alcuni attivisti di Attac cercano di raggiungerli, l'operazione riesce, ma due attivisti vengono picchiati.
Alle ore 15,45 - sono molto sicuro dell'orario e in seguito verificheremo che ciò corrisponde con i «lanci» ANSA - mi telefona il sindaco di Genova, Giuseppe Pericu (io ero a piazza Dante), il quale mi dice di essere furibondo (l'ANSA testimonia esattamente quello che dice): le forze dell'ordine stanno fronteggiando iniziative non violente, organizzate dal Genoa social forum, mentre la città è totalmente abbandonata ai black bloc. Il sindaco mi chiede di dare un segnale, con un corteo che rientra, al quale egli avrebbe fatto seguire una dichiarazione molto dura - che, infatti, fece - chiedendo alle forze dell'ordine di non abbandonare il resto della città. A quel punto ho telefonato ai vari cortei, ho coordinato l'iniziativa, ho fatto un breve comizio in piazza Dante e, alle 16,15 ho richiamato il sindaco, comunicandogli


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che sarebbero rientrati tutti i cortei, non uno solo, che si sarebbero trasferiti in piazza Kennedy. A questo punto ho chiesto al sindaco di avvisare anche le forze dell'ordine del nostro rientro e che, dunque, non saremmo rimasti fino alle 20. Ho telefonato io direttamente al vicecapo della polizia, dottor Andreassi; al telefono ha risposto un'altra persona, alla quale ho riferito di aver concordato con il sindaco che tutti i cortei sarebbero tornati in piazzale Kennedy, specificando anche gli itinerari e che quindi quello di piazza Dante avrebbe seguito il percorso della manifestazione del 19, comunicando anche gli itinerari degli altri.
Alle 16,30, concluso un breve comizio in piazza Dante, do disposizione per la formazione del corteo; il corteo si dirige per via Fieschi per risalire verso piazza Carignano, che è praticamente vuoto. Da un lancio dell'ANSA delle 16,50 risulta che ce ne siamo andati; dunque, questi sono i tempi, non altri. A quel punto, con la piazza vuota, cominciano a partire una serie di lacrimogeni dalle forze dell'ordine contro il corteo che era in via Fieschi, alcuni lacrimogeni vengono lanciati dalle finestre di via Fieschi e io vengo colpito direttamente da un lacrimogeno sul braccio destro.
Per quanto concerne il corteo da piazza Montano a piazza Dinegro, il sindacato di base CUB ai primi di maggio dà comunicazione alla questura del corteo dei lavoratori. Negli incontri tra GSF e responsabili della polizia si spiegano le ragioni di questo corteo; che prima non viene autorizzato poi, ad un certo punto, viene autorizzato.
Nella giornata di martedì, alle ore 15, la delegazione CUB si reca in questura e viene ricevuta dal responsabile della DIGOS, dottor Mortola e solo dopo vari tentativi di far cambiare percorso, si arriva ad una proposta, che prevede una riduzione drastica del corteo, con partenza da piazza Montano e conclusione a piazza Dinegro.
Alle ore 21 circa si interrompe, in attesa di autorizzazione definitiva; alla ripresa, alle 22,30, viene proposta un'autorizzazione verbale e, solo di fronte alle proteste della delegazione del sindacato di base CUB, il corteo viene autorizzato per iscritto con alcune prescrizioni.
In piazza Montano a metà mattinata ci sono migliaia di lavoratori. Il corteo si svolge regolarmente anche con la presenza di delegazioni di altri gruppi. Per garantire che tutto andasse secondo le previsioni i lavoratori hanno esercitato azioni di controllo.
All'arrivo in piazza, la polizia ha indossato le maschere antigas, come se si stesse apprestando al lancio di lacrimogeni, quando la situazione era tranquilla. Dopo una serie di proteste i responsabili delle forze dell'ordine hanno fatto togliere le maschere.
All'ingresso nella piazza, da vie laterali, di probabili provocatori è stato deciso di accelerare la chiusura della manifestazione in piazza Dinegro e di far tornare il corteo al punto di partenza. Durante il ritorno in piazza Montano si è avuta notizia, lontano dal percorso del corteo, di episodi di distruzione di cassonetti e banche da parte dei cosiddetti black bloc. Si notava, tra l'altro, che in modo inspiegabile la sede FIAT lungo il percorso non era più presidiata.
Sono stati necessari ripetuti interventi e richieste di chiarimenti perché le forze dell'ordine a presidio di piazza Montano (in particolare carabinieri) mostravano una particolare tensione, anche se nella piazza tutto era calmo. Gran parte dei manifestanti erano in viaggio alla tragica notizia della morte di Carlo Giuliani.
Occorre aggiungere che tutti i cortei - non i CUB, ma gli altri cioè i cortei delle tute bianche e quello di via Manin - dopo essersi consultati con me e dopo che io avevo comunicato il rientro al sindaco e al vicecapo della polizia, attraverso il suo centralino telefonico, lungo gli itinerari sono stati attaccati, mentre tutti stavamo cercando di tornare in piazzale Kennedy, che rappresentava il punto di convergenza comunicato, sulla base di quanto ci era stato richiesto dal sindaco per un corteo e che noi, invece, stavamo attuando per tutti.


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Per quanto concerne il corteo internazionale del 21 luglio, occorre ricordare che in quella data è prevista l'iniziativa del corteo pacifico, il cui percorso è depositato in questura da tempo e prevede via Cavallotti, corso Italia, svolta in corso Torino, corso Sardegna e conclusione in piazza Galileo Ferraris.
La giornata si presenta, fin dalle prime ore del mattino, con un'enorme partecipazione, arriveranno circa 300 mila persone. Appare subito strano - per chi di cortei ne ha visti - il fatto che davanti alla testa del corteo non si dispongano le forze dell'ordine per proteggerne lo svolgimento, come normalmente accade. Questa scelta, per noi imprevista, causerà numerosi problemi, come vedremo in seguito.
Nella tarda mattinata, il capo della DIGOS genovese, Spartaco Mortola, telefona a Massimiliano Morettini, uno dei coordinatori del Genoa social forum, per avvertirlo che nella piazza ci sono dei gruppi di black bloc che vogliono accodarsi in fondo al corteo, chiedendo al Genoa social forum di non farli inserire. Il coordinatore, Massimiliano Morettini, esprime contrarietà al fatto che la Digos non intervenga a bloccare i black bloc, sapendo che ci sono e che sono dietro al corteo e invita le forze dell'ordine a muoversi per prevenire l'aggancio dei black bloc al corteo. Infatti, noi, avendo parlato di iniziative pacifiche, eravamo con le mani alzate, mentre quelli erano armati e di certo, per definizione, questo compito non spettava a noi, ma a loro. Nonostante questa richiesta non succede assolutamente nulla.
I primi problemi si verificano nei pressi della caserma dei carabinieri di San Giuliano dove un gruppetto di persone estranee al corteo, aspettano - secondo la solita logica, sono lì indisturbati - che arrivi la manifestazione e cominciano a lanciare oggetti contro la caserma. Immediatamente alcuni manifestanti del corteo intervengono per allontanare il gruppetto.
Quando la testa del corteo giunge nei pressi dell'incrocio tra corso Marconi e via Rimassa, trova di fronte a sé un gruppo di un centinaio di persone che si fronteggiano con le forze dell'ordine schierate, che erano già lì. Nonostante ciò, la testa del corteo svolta per via Rimassa senza problemi.
A metà di corso Torino la testa del corteo trova una situazione potenzialmente rischiosa: infatti, gruppi di persone stazionano nelle vie laterali in palese atteggiamento non pacifico, a poca distanza dalle forze dell'ordine; sono lì, si fronteggiano.
Temendo che possano approfittare del passaggio del corteo per provocare incidenti, la testa del corteo decide di fermarsi e le prime file - sono io lì davanti insieme ad altri, che do le indicazioni - si siedono in terra. Noi non ci muoviamo per non passare lì in mezzo dove si fronteggiano black bloc e forze dell'ordine. Nel frattempo, si presentava un problema, perché dallo spezzone di corteo che transitava da corso Marconi (a circa un chilometro dalla testa del corteo) ci continuavano a telefonare dicendo di proseguire avanti per evitare di essere coinvolti dal lancio di lacrimogeni che avveniva dietro. Noi non volevamo andare avanti, perché vi era quello situazione rischiosissima e dietro c'erano i lacrimogeni: quindi, quelli davanti erano seduti e quelli dietro spingevano per proseguire.
In piazza Rossetti, alcune persone incendiano i locali della banca distrutta il giorno prima, agendo per circa mezz'ora del tutto indisturbati. Dallo schieramento di polizia, rimasto fermo in fondo a corso Marconi, partono alcuni lacrimogeni, a cui viene risposto dopo mezz'ora con lancio di sassi, incendi di auto e con la costruzione di una barricata fatta di cassonetti, stand e auto sfasciate da piazza Rossetti. Più indietro, il corteo cerca di sfilare tenendosi a distanza, decidendo di non svoltare più in via Rimassa, come previsto, ma nella traversa precedente, via Casaregis, cercando di uscire da quella situazione a rischio. Mentre cerchiamo di deviare per portare via il corteo, improvvisamente parte la carica della polizia e anche l'accesso a via Casaregis viene bloccato. Da quel momento in poi, nonostante le richieste, nessuna via ulteriore viene lasciata libera dalle forze dell'ordine per far defluire


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decine di migliaia di persone, a quel punto completamente bloccate e imbottigliate in corso Italia. Da lì in poi, corso Italia diventa teatro di ripetuti pestaggi gratuiti su manifestanti inermi, spesso a braccia alzate, senza tener conto della presenza di persone anziane, famiglie e, per giunta, persone in carrozzella, come numerosi servizi giornalistici hanno mostrato. Vengono, inoltre, utilizzati blindati lanciati sulla folla a velocità sostenuta. Molti manifestanti inseguiti si rifugiano sulle spiagge, sugli scogli o in strade laterali che però, sono tutte bloccate da file di camionette, che costringono la gente a rimanere imbottigliata su corso Italia ed a subire le cariche. Ovviamente - è inutile che lo ripeta ogni volta - il gruppetto lì davanti che ha tirato le pietre e sfasciato le auto se ne era andato in modo assolutamente tranquillo.
Nel frattempo, la parte del corteo che ha girato per via Casaregis cerca di riordinarsi e di ricongiungersi a quelli più avanti. Imbocca via Morin per reimmettersi su via Rimassa, dove trova però un fitto cordone di polizia, schierato lungo il lato della strada. Si decide allora di procedere con lentezza, a mani alzate, ripetendo la parola «non violenza», sfilando davanti alla polizia senza creare la minima tensione (bisogna ricongiungersi, non c'è altra strada). Giunti all'imbocco di via Rimassa, i manifestanti sono investiti da un fitto lancio di lacrimogeni sparati ad altezza d'uomo, che li disperde nuovamente e li costringe a tornare su via Casaregis, mentre una parte, pur nella difficoltà di essere sotto il tiro dei lacrimogeni, cerca di tenersi unita e imbocca una traversa più avanti per arrivare in corso Torino. Chi rimane in fondo a via Casaregis, isolato o a piccoli gruppi, diventa oggetto di una vera e propria caccia all'uomo e di pestaggi da parte della Polizia e della Guardia di Finanza. La coda di questa parte del corteo viene caricata anche alle spalle.
Torniamo alla testa del corteo. Dopo il sit-in improvvisato sopra descritto, i responsabili che stanno alla testa del corteo comunicano con i responsabili della questura. Vado davanti - tutto il filmato lo dimostra -, chiedo di parlare con il responsabile e gli dico che non ci muoveremo di lì se le forze dell'ordine non ci precederanno, garantendo il defluire del corteo, e che non passeremo mai tra loro e gli altri gruppi. Ne discutiamo e, ad un certo punto, le camionette si mettono alla testa del corteo per qualche centinaio di metri, poi scompaiono un'altra volta (pur rimanendo in altre zone).
Il comizio di chiusura si svolge in un clima di fretta e di tensione, perché giungono continue notizie di incidenti nella zona di piazza Giusti. Dopo lo scioglimento del comizio, migliaia di persone si trasferiscono davanti allo stadio di Marassi cercando di muoversi per raggiungere treni e pullman. Quando da un lato e dall'altro del Bisagno si muovono piccoli gruppi di cosiddetti black bloc che, inseguiti dalla polizia, cercano di infiltrarsi, costoro vengono respinti e isolati dai manifestanti che sostano davanti allo stadio. Ciò nonostante, i reparti di polizia si attestano sulla riva opposta del Bisagno e fanno partire un fitto lancio di lacrimogeni contro i manifestanti pacifici, che non reagiscono in alcuna maniera. Solo dopo molto tempo la situazione si normalizza, permettendo alle persone di raggiungere i mezzi di trasporto, anche grazie ai pullman navetta messi a disposizione dal comune di Genova.
Prima dell'ultimo passaggio, vorrei riassumervi una questione specifica che mi riguarda. Dopo gli incidenti di cui veniva data notizia, alla fine del corteo, con una macchina, insieme ad un parlamentare e ad altre persone, ho cercato di capire che cosa era accaduto. In corso Italia mi sono fermato all'altezza di Punta Vagno, cercando di ottenere degli spazi per far defluire le persone che non sono arrivate al comizio finale, per permettere loro almeno di andare a prendere il treno. Dato il mio ruolo, sono andato a parlare con le forze dell'ordine, cercando di risolvere il problema. In corso Italia, all'altezza di Punta Vagno, la strada ormai era deserta e cosparsa di effetti personali (abiti, scarpe, borse e tantissimi occhiali). Ciò è


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sufficiente per capire la violenza delle cariche: chi è fuggito lo ha fatto nel panico totale, qualcuno vaga ancora per la strada. A questo punto, scendo e vedo il questore con altri rappresentanti delle forze dell'ordine in divisa di ordinanza. Chiedo spiegazioni sui disordini, il questore si assenta, compaiono altri funzionari in borghese distinguibili dal casco della polizia (hanno maglie nere con una testa di leone gialla stilizzata). Uno dei funzionari verifica telefonicamente la situazione dei disordini, poiché avevo chiesto cosa stesse succedendo e per quale ragione un pezzo del corteo era ancora bloccato. I funzionari di polizia mi dicono che tutto è finito (lo vediamo da soli), e che sarebbe utile andare a via Sturla dove a loro risulta in corso un attacco a una caserma dei carabinieri. Allora con la macchina andiamo in via Caprera, dove incrociamo altre migliaia di persone che intasano la strada. Chiediamo dove possiamo transitare, ma, mentre passiamo secondo le indicazioni delle forze dell'ordine veniamo assaliti da un gruppo di persone che, al grido di «infame» rivolto al sottoscritto, lanciano tutto ciò che hanno a disposizione contro la macchina. Riusciamo ad andare via immediatamente, solo grazie alla prontezza di chi guidava. Consegnerò anche questa memoria, ma vorrei capire perché mi è stato detto di dirigermi verso quella strada per raggiungere l'altra zona, quando poi l'assalto non c'era e sono finito in una situazione molto pesante (Interruzione del deputato Menia).
Veniamo al blitz alla «Pertini» e all'irruzione al Indymedia Center del Genoa social forum. Nella scuola Pertini è ospitata la NGO House ovvero gli uffici a disposizione delle ONG straniere. Dalla notte del 19, come abbiamo spiegato, alcune persone vanno a dormire nella scuola. La notte di sabato, l'irruzione avviene verso la mezzanotte. Quando arrivano le forze dell'ordine, le luci alle finestre sono accese (dalle immagini video si vede chiaramente). Il cancello esterno viene sfondato con una camionetta, i reparti stazionano qualche istante nel cortile, poi entrano nella scuola. Vi sono sia agenti in divisa, sia funzionari in borghese, sia poliziotti in borghese ma con casco e fazzoletto a coprire il volto. Dalla strada si sentono richieste di aiuto e lamenti. Sulla strada cominciano a confluire numerose persone e molti giornalisti. Le forze dell'ordine fanno un cordone davanti al cancello della scuola. Insieme ai parlamentari Malabarba e Mantovani, al consigliere regionale Nesci e a qualche avvocato, tentiamo di entrare nell'edificio, ma ci viene impedito. Insieme all'onorevole Mantovani e al consigliere Nesci, veniamo sospinti e malmenati fuori dalla scuola, mentre sentiamo provenire le urla dal piano superiore. Arrivano le autoambulanze. Molto lentamente iniziano ad uscire i feriti. Nonostante il clima di grande tensione, alcuni responsabili del Genoa social forum lì presenti si adoperano per evitare che la situazione trascenda. Si costituisce un cordone di protezione per tenere separate le forze dell'ordine dalle persone lì presenti. In ogni caso, i presenti mantengono un atteggiamento responsabile e non si registra nessuna reazione violenta. La manovra di ritirata della polizia è lentissima. Le forze dell'ordine danno il tempo ai cellulari di allontanarsi, arretrando di pochi metri ogni dieci minuti. Quando tutto finirà, saranno ormai già le 3. Mentre si stanno portando via i feriti e gli arrestati, nel cortile della scuola il responsabile dell'ufficio stampa della polizia, Sgalla, rilascia una prima dichiarazione in cui dice: «È stata fatta una perquisizione e non è stato toccato nessuno. I feriti e il sangue già rappreso che si possono notare sono conseguenze degli scontri del corteo del pomeriggio». Basterà entrare nella scuola per vedere che tutto ciò non corrisponde al vero.
Veniamo al blitz alla scuola Diaz, sede del centro stampa del Genoa social forum. Alla scuola Diaz si trovano l'ufficio stampa, gli uffici legali, le sale riunioni e il centro stampa. Il venerdì e il sabato viene approntata un'infermeria per i feriti delle manifestazioni (chi vorrà troverà allegati i promemoria dei sanitari, oltre a quelli dei legali). Dopo che l'irruzione alla Pertini è iniziata, la Polizia entra di forza


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nella Diaz. I poliziotti obbligano le persone presenti al pianterreno ad entrare nella palestra e salgono ai piani superiori dove irrompono nelle aule che ospitano i sanitari e gli avvocati del Genoa social forum. Si accaniscono soprattutto nel locale degli avvocati, dove sfasciano i computer e manomettono gli hard disk, rendendoli inutilizzabili. Salgono al terzo piano, dove vengono sottratte alcune videocassette (anche con le registrazioni dell'irruzione alla Pertini), sequestrano documenti legali (denunce, testimonianze sui fatti accaduti) e pongono in stato di fermo - questo è interessante - una sola persona: il coordinatore dei legali Giuseppe Scrivani. Nei locali del Media Center del Genoa social forum - la scuola chiamata Diaz/Pascoli, per capirci - le persone presenti vengono prima fatte stendere a terra e poi fatte mettere in ginocchio, faccia al muro, lungo i corridoi. Nemmeno la presenza dell'europarlamentare Luisa Morgantini serve a farsi dare spiegazioni su quanto sta accadendo.
Alle richieste di un mandato si risponde: «Non siamo in America, facciamo quello che vogliamo». Al mio arrivo, più tardi, alla stessa domanda, il capo della DIGOS genovese, Mortola, dirà che il mandato potrà essere visto entro mezz'ora. Ma ciò non è mai avvenuto.
Alla fine i poliziotti se ne vanno senza neanche aver fatto un verbale di tutto il materiale danneggiato o sottratto: hard disk, videocassette, cellulari e documenti.
Aggiungo che, rispetto al blitz alla Diaz - solo perché si sappia, ma, comunque, è documentato - alle 9,30 di quella sera in una televisione nazionale, La 7, durante una trasmissione coordinata da Gad Lerner - a cui ero presente insieme ad altri esponenti del Genoa social forum - veniva presentato un video dove si vedevano persone, vestite come black bloc, parlare tranquillamente con le forze dell'ordine. Era una cassetta. Noi non sappiamo dire - non vogliamo fare delle ipotesi - se fossero contatti tra black Bloc e forze dell'ordine, se erano forze dell'ordine che dovevano fare il loro mestiere di infiltrazione. Aggiungo che se l'hanno fatto, l'hanno fatto proprio malissimo perché poi abbiamo visto cosa è successo. Dico solo, come sequenza temporale - relativamente al fatto che nella scuola Diaz si cercava materiale documentale, eccetera - che alle 9,30 di quella sera, a La 7, abbiamo mostrato quella cassetta.
Vi ringrazio moltissimo per l'attenzione che ci avete prestato. Mi scuso per la lunghezza dell'intervento, ma pensiamo di avervi consegnato, comunque, una memoria ampiamente documentata. Ho parlato a nome di tutti; poiché sono stato chiamato qui e alcuni sono stati indicati come miei consulenti - Kovac, Morettini e Cassurino -, le associazioni chiamate, che condividono e hanno sottoscritto questo documento del Genoa social forum, vorrebbero svolgere una breve dichiarazione.

PRESIDENTE. La ringrazio, dottor Agnoletto. Vorrei sapere quali soggetti intendono intervenire.

VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. Si tratta delle quattro associazioni chiamate per conto loro...

PRESIDENTE. Quindi parliamo dell'ARCI, della Rete Lilliput, delle «Tute bianche»...

VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. Le quattro che sono state chiamate per conto loro, che sono l'ARCI, la Rete Lilliput, Pax Christi e Legambiente. Kovac, Morettini e Cassurino li ho indicati io come consulenti, perché non erano stati da lei convocati.

PRESIDENTE. Prego il portavoce dell'ARCI di procedere con la relazione e le sue osservazioni.

RAFFAELLA BOLINI, Rappresentante dell'ARCI. Sono la responsabile internazionale dell'ARCI che, come forse sapete, è un'associazione di promozione sociale e culturale. L'ARCI è tra i fondatori e gli animatori del Genoa social forum. Le nostre strutture in tutta Italia hanno organizzato la partecipazione a Genova, migliaia


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dei nostri associati hanno preso parte alle manifestazioni. Io, personalmente, ho rappresentato e continuo a rappresentare l'ARCI nel consiglio dei portavoce del Genova social forum, per cui posso dirvi che la mia associazione ha contribuito a determinare tutte le scelte del Genoa social forum fin dal suo nascere. Per questo abbiamo ritenuto del tutto naturale essere auditi insieme agli altri componenti del Genoa social forum e ci riconosciamo nella relazione che il dottor Agnoletto ha svolto a nome di tutti noi.
Vorrei approfittare del tempo a disposizione e della vostra pazienza per offrire un contributo al vostro lavoro su due punti: uno riguarda l'inizio di questa storia e l'altro i giorni cruciali di luglio.
Per quanto riguarda il primo punto, per l'ARCI la scelta di contribuire alla nascita del Genoa social forum è stato un atto di responsabilità civica. Già un anno prima del vertice G8 era evidente che migliaia di persone sarebbero arrivate a Genova in quei giorni dall'Italia, dall'Europa e da tutto il mondo. Lo abbiamo considerato un fatto assolutamente positivo; crediamo che la partecipazione dei cittadini ai grandi temi della politica, in particolare delle questioni internazionali, sia un valore e un motivo di orgoglio per un paese democratico, tanto più per un paese dove spesso ci si preoccupa per il disinteresse e la disaffezione alla vita civica dei cittadini e, in particolare, dei giovani. Era un segnale in controtendenza.
Proprio per il grande affollamento che si prevedeva a Genova, siamo stati fra coloro che hanno ritenuto essenziale fornire un forte e solido riferimento culturale ed organizzativo alla preparazione e alla gestione degli eventi di Genova, in modo che il faro della mobilitazione fosse la partecipazione popolare, di massa, pacifica, coerente con i contenuti positivi che movimenti sociali esprimono attraverso lo slogan «Globalizzazione dal basso». Da questo punto di vista, il Genoa social forum - che nel suo patto fondativo sottolinea la scelta pacifica e non violenta come propria discriminante essenziale - ha svolto un ruolo assolutamente positivo nella preparazione e nella gestione dei giorni di Genova. Le mille e più organizzazioni italiane ed internazionali che vi hanno aderito, hanno accettato, come primo passo nel loro cammino verso Genova, di dichiarare pubblicamente la loro adesione a tali valori, iniziative pacifiche e non violente.
Noi siamo stati accusati in questi mesi di ambiguità, di collusioni con i violenti. Vorrei sottolineare in questa sede che riteniamo che il Genoa social forum abbia fornito, al contrario, un grande contributo a consolidare questo nuovo e crescente movimento su un terreno dichiaratamente democratico. E ve lo dice un'organizzazione che crede talmente nel valore della non violenza da averla ascritta come valore fondativo nel proprio statuto: l'ARCI è per statuto un'organizzazione non violenta e non so quante organizzazioni e partiti possano dire altrettanto. Anzi, penso che la politica e la gestione dell'ordine pubblico abbiano molto bisogno di non violenza perché l'uso della forza non è in contrapposizione al valore della non violenza (Commenti).
Il secondo punto che vorrei sottolineare - mi scuso per questa considerazione - è il seguente. Ho personalmente seguito, nella divisione dei compiti del Genoa social forum, il coordinamento e l'organizzazione della giornata del 20, il cosiddetto accerchiamento della zona rossa. Avevamo deciso di realizzare l'accerchiamento della zona rossa attraverso molteplici iniziative promosse dai diversi aderenti al Genoa social forum nel rispetto delle differenze che abbiamo sempre considerato una ricchezza. Le iniziative erano diverse nelle forme, negli obiettivi e nelle metodologie di svolgimento: cortei, sit-in, la veglia di preghiera dei missionari, il teatro di strada, manifestazioni nelle aree adiacenti alla zona rossa. Alcune di esse, che riguardavano l'accerchiamento, prevedevano forme di disobbedienza civile, come il blocco non violento dei varchi promosso dalla Rete contro G8 e il tentativo dichiarato di cercare di valicare i confini della zona rossa da parte del corteo del Carlini. Le iniziative di disobbedienza civile


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si sarebbero svolte nell'ambito delle scelte comuni del Genoa social forum già richiamate dalla relazione di Agnoletto: non attaccheremo la città, non attaccheremo le persone neppure se in divisa, non porteremo strumenti offensivi.
Questo è ciò che avevamo previsto ed organizzato per il 20 ed è ciò che abbiamo illustrato alle istituzioni e ai responsabili delle forze dell'ordine, incaricati dal Governo di avere relazioni con noi, sempre più nei dettagli - siamo partiti da un quadro generico poi, nel corso della nostra discussione, l'abbiamo definito - fino alla comunicazione in questura di tutti gli appuntamenti con i promotori, al punto che le informazioni sono uscite sui maggiori giornali italiani e noi abbiamo anche predisposto 20 mila copie di una cartina sulla quale erano indicati tutti gli appuntamenti previsti per comporre l'accerchiamento del vertice, che è stata distribuita in tutta Genova a tutti i partecipanti.
Dico ciò, non solo per sottolineare che, a differenza di quanto si è sentito dire in questa sede, i dettagli dell'organizzazione della giornata del 20 - che ovviamente era la più delicata - erano conosciuti fin nei minimi particolari dalle istituzioni e delle forze dell'ordine, ma soprattutto per rilevare un altro aspetto. Lo scenario del 20, per quanto riguarda ciò che competeva agli organizzatori delle manifestazioni, era chiarissimo nei particolari ai responsabili delle forze dell'ordine e si è anche realizzato esattamente come lo avevamo previsto. Noi abbiamo rispettato tutti gli appuntamenti; i cortei sono partiti alla stessa ora e le manifestazioni si sono svolte come avevamo previsto e comunicato.
Nessuno fra i responsabili dell'ordine pubblico e le istituzioni ci ha mai fatto presente che questo fosse uno scenario ingestibile, foriero di tragedie, ingovernabile. Il rapporto con le forze dell'ordine, al contrario, è stato, anche sui problemi relativi al giorno 20, un rapporto sempre sereno e molto collaborativo. Noi abbiamo ascoltato alcuni loro consigli, abbiamo spiegato loro, alle volte, i motivi per cui facevamo determinate scelte e nessuno ci ha mai detto: ragazzi, se fate questo succede una tragedia!
Vorrei ricordare che neppure la presenza di gruppi estranei al Genoa social forum era imprevista (mi riferisco ai gruppi violenti, i cosiddetti black bloc). Nel corso degli incontri con le forze dell'ordine - faccio riferimento, in particolare, all'incontro del 30 giugno a Genova, di cui ha già parlato Agnoletto -, siamo stati informati del fatto che i gruppi avrebbero cercato di infiltrarsi nelle nostre manifestazioni e ci è stato chiesto se fossimo in grado di evitarlo. Abbiamo risposto negativamente perché non intendevamo sostituirci alle forze dell'ordine; credo sia addirittura vietato dalla legge mettersi a difendere, militarmente o con le armi, una propria manifestazione; del resto, le forze dell'ordine ci avevano sempre detto che era loro preciso dovere difendere i manifestanti. Il Capo della polizia ci aveva detto, in quella sede, che era comunque compito delle forze dell'ordine reprimere o isolare manifestanti violenti e che, quindi, non erano fatti nostri. Ciò che intendo evidenziare con questa ulteriore dichiarazione è che nemmeno la presenza di gruppi violenti, di black bloc, o comunque di tentate infiltrazioni all'interno delle manifestazioni previste era una novità.
Non è, dunque, dal versante dei manifestanti che è cambiato lo scenario definito nei giorni precedenti; dal versante dei manifestanti, noi Genoa social forum, e perfino i gruppi estranei al GSF poiché già da giorni si sapeva più o meno ciò che avrebbero tentato, lo scenario non è cambiato. È dal versante delle forze dell'ordine che lo scenario è cambiato, producendo l'evoluzione drammatica di quel giorno e dei giorni seguenti. Allora, ci chiediamo perché. Io confido caldamente che il vostro prezioso lavoro aiuti a sciogliere questo nodo.
I vertici della Polizia, incaricati dal Governo, ci hanno detto che era loro compito proteggere, a Genova, tre categorie: i partecipanti al vertice, i cittadini ed i manifestanti pacifici; ci avevano detto che era loro compito isolare eventuali


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gruppi violenti che volessero infiltrarsi nelle manifestazioni; ci avevano detto, con una battuta, che sarebbero stati buoni con i buoni e cattivi con i cattivi e che avrebbero commisurato la risposta repressiva al comportamento di chi avesse violato la legge. Tutto ciò ci era stato comunicato nella giornata del 30 giugno, quando avevamo presentato le iniziative di disobbedienza civile dicendo che le persone che manifestavano la disobbedienza civile sapevano, ovviamente, di esporsi ad una risposta da parte delle forze dell'ordine e se ne assumevano la responsabilità, ma che le forze dell'ordine avrebbero dovuto tener presente che queste iniziative si sarebbero svolte in maniera non offensiva, senza alcuna volontà di attaccare né la città né le persone. Oltre a ciò, ci avevano assicurato, come ha ricordato Agnoletto, che la polizia italiana non avrebbe sparato. Forse siamo stati ingenui a non calcolare la differenza che passa tra il dire «Polizia italiana» e dire «Forze dell'ordine italiane»; in ogni caso, quando ci è stato assicurato che la Polizia italiana non avrebbe sparato abbiamo pensato che, a Genova, nessun rappresentante delle Forze dell'ordine lo avrebbe fatto.
Per finire, mi chiedo se abbiamo sbagliato a fidarci di quanto ci è stato detto dai responsabili delle Forze dell'ordine incaricati dal Governo. Io credo di no. Abbiamo sempre considerato molto seriamente gli interlocutori che avevamo di fronte, non avevamo motivo di credere che ci dicessero cose non vere e continuo a ritenere che abbiamo avuto di fronte persone credibili che facevano affermazioni in cui credevano e che erano convinte di poter realizzare i propri propositi. Ma, cosa è successo? Cosa ha fatto sì che quello scenario si trasformasse? Già nei giorni precedenti, infatti, esso appariva molto chiaro sia per quanto riguarda le azioni che noi avremmo portato avanti, sia per le azioni delle forze dell'ordine, e addirittura, anche per quanto riguarda le azioni dei gruppi che nulla avevano a che fare con noi o con le forze dell'ordine e che avrebbero potuto costituire un problema, comunque già individuato per il quale sembrava fossero pronte le risposte. Cos'è che ha modificato questo scenario, così pesantemente, tanto da trasformare una situazione che - non a nostro dire, ma a dire di tutti i soggetti coinvolti - sembrava assolutamente gestibile, in una tragedia di cui noi ci consideriamo vittime?

ANNA SCALORI, Rappresentante dell'associazione Pax Christi. Sono vicepresidente dell'associazione Pax Christi, movimento cattolico internazionale per la pace. La mia presenza qui serve a testimoniare che anche noi abbiamo deciso di aderire al Genoa social forum poiché l'impegno per la pace è inevitabilmente collegato all'impegno per una globalizzazione che sia una globalizzazione dei diritti e delle pari opportunità e sicuramente non la globalizzazione neoliberista cui assistiamo e che sta producendo i danni ben visibili a tutti.
Siamo stati presenti a Genova, prevalentemente a Boccadasse, per un'evidente affinità con tutti i missionari ed i volontari con cui abbiamo condiviso il digiuno, il silenzio, la preghiera e soprattutto la passione e l'impegno per la costruzione di un altro mondo possibile.
In realtà ci siamo trovati in una situazione estremamente difficile da sostenere e posso dire che non ci è stato garantito il diritto di manifestare pacificamente, così come previsto dal nostro ordinamento e così come credevamo di poter fare.
Al di fuori della zona rossa la sensazione era che la città fosse, nella migliore delle ipotesi, abbandonata; cioè, la zona rossa era ciò che doveva essere tutelato e fuori da tale zona poteva accadere tutto ciò che si voleva.
Abbiamo provato sgomento e sconcerto di fronte alle cariche indiscriminate della polizia che, a detta di nostri testimoni, colpivano, senza distinzione, chiunque fosse presente. La sensazione di parecchi dei nostri partecipanti era di vera e propria paura e di non saper più cosa fare.
Un conto è partecipare ad azioni dirette di disobbedienza civile dove forse si può anche pensare che possa verificarsi un confronto, pur rimanendo nell'ottica della


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più totale ed assoluta non violenza - che è l'elemento base che contraddistingue il nostro movimento -; ma in questo caso, anche le persone che erano semplicemente andate per partecipare alla manifestazione si sono trovate in condizione di dover temere per la propria incolumità fisica, in qualunque luogo si trovassero. I timori provenivano, davvero, da parte di chiunque e, non nascondo, in maniera estremamente significativa, anche da parte delle forze dell'ordine.
Io stessa sono stata travolta negli scontri vicino piazzale Kennedy, in via Casaregis dove abbiamo sperimentato la solidarietà di buona parte delle famiglie genovesi, come anche diversi partecipanti ci hanno riferito: «Io ho bussato ad una porta ed ho avuto accoglienza». Oggi non ho segni visibili, quanto meno sulla pelle; «dentro», la questione è tutt'altra.
Altri nostri partecipanti hanno raccontato che il giorno prima della manifestazione, il 20 luglio, hanno visto con i propri occhi gruppi di persone, i cosiddetti black bloc (comunque persone non identificabili, estranee alla manifestazione) che si aggiravano sfasciando e distruggendo diverse cose; inoltre, hanno assistito personalmente - perché in contatto con persone genovesi che conoscevano - alla chiamata delle forze dell'ordine e riferiscono di non aver visto l'intervento di alcuno. In questa situazione, il giorno 20 luglio avevamo addirittura invitato i nostri aderenti a non prendere parte al corteo, non tanto perché volessimo, come è stato poi da alcuni interpretato, dissociarci dal Genoa social forum, quanto perché temevamo per l'incolumità fisica delle persone che non erano preparate a sostenere una certa eventualità; infatti, proprio perché la non violenza caratterizza fortemente il nostro movimento, volevamo trovare modalità che sottolineassero ulteriormente questo aspetto. Abbiamo dunque invitato chi decideva di partecipare - ognuno era libero di fare ciò che voleva - ad essere presente a Boccadasse.
Vorrei sottolineare infine che, proprio perché impegnati da sempre per la pace come movimento pacifista, siamo assolutamente certi che la pace sia solo ed esclusivamente frutto della giustizia. Da questo punto di vista, confidiamo davvero nei lavori del Comitato, così come di tutte le autorità che sono preposte a far luce e chiarezza sui fatti, perché riteniamo che gli episodi verificatisi a Genova abbiano prodotto profonde lacerazioni sociali. Crediamo che la costruzione della pace passi anche attraverso la capacità di stabilire con certezza lo svolgimento dei fatti.

FABIO LUCCHESI, Rappresentante dell'associazione Rete Lilliput. Faccio parte della segreteria della Rete Lilliput, formata da diverse associazioni nazionali di cui fanno parte: Pax Christi, i Beati costruttori di pace, i Missionari comboniani e molte altre realtà che si occupano di giustizia e di cooperazione internazionale. Abbiamo, in modo convinto, lavorato nel Genoa social forum perché ritenevamo che soltanto con la collaborazione e con il coordinamento delle attività di tante associazioni, a livello non solo nazionale ma anche internazionale, non solo dei paesi europei ma anche del sud del mondo, fosse possibile aprire una discussione che è oggi più che mai indispensabile. Ciò significa che chi in quei giorni è stato a Genova ha rivendicato non tanto un diritto a manifestare per sé, ma una necessità, un'esigenza sempre più profonda di porsi in maniera critica nei confronti di questo modello di sviluppo. Non possiamo, ed io per primo non voglio, dimenticare che i giorni che hanno preceduto le ultime due drammatiche giornate di Genova sono state forieri di una discussione, non solo a Genova ma sui giornali e, credo, nell'opinione pubblica in generale, ricchissima ed importantissima. Credo che, se qualcuno pensasse di presentare questa mobilitazione come un semplice problema di rivendicazione del diritto a manifestare di qualcuno, commetterebbe uno sbaglio enorme. Questo lavoro è stato importantissimo.
Svolgerò un'altra considerazione molto breve per sottolineare un aspetto che è già stato evidenziato, che concerne non soltanto la mia esperienza, ma anche quella


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della Rete Lilliput, durante le due giornate del 20 e del 21 e riguarda ciò che è successo a piazza Manin: abbiamo saputo con tre quarti d'ora d'anticipo che probabilmente un gruppo di black bloc si stava avviando verso piazza Manin e le nostre informazioni non si possono certamente considerare più potenti di quelle della polizia. Tre quarti d'ora dopo abbiamo visto arrivare un gruppo di black bloc con la polizia alle spalle, dopo che questi avevano sicuramente percorso almeno due chilometri per giungere in quella zona: nonostante avessimo difeso la piazza ed i black bloc se ne fossero andati, siamo stati caricati dalla polizia. Questo non ci sembra frutto di un eccesso di funzionari o di singoli poliziotti, ma un fatto che trascende questo tipo di ragionamento. Come è potuto succedere? Mi riconosco pienamente nella relazione che ha svolto Vittorio Agnoletto, però non so quanto fosse chiaro in quella relazione che il momento violento che c'è stato lungo il corso principale, davanti a piazzale Kennedy, e che ha causato lo spezzarsi del corteo, è avvenuto a 100 o 200 metri dal punto principale di concentramento delle forze dell'ordine. Ciò ha costituito anche una sfida oggettiva per le forze dell'ordine. Ma com'è possibile che di fronte a quelle migliaia di poliziotti si sia potuto per mezz'ora, tre quarti d'ora, creare un putiferio (senza nessuna prevenzione), che ha provocato prima lo spezzettamento del corteo e poi le cariche della polizia contro i manifestanti indifesi, contro persone sedute per terra con le mani alzate? Ciò è avvenuto non per un attimo, nel momento in cui i violenti fuggivano, ma per mezz'ora, tre quarti d'ora, mentre la gente era costretta tra il mare, da una parte, e i lacrimogeni, dall'altra. Non si tratta di un eccesso di un funzionario di polizia o di un singolo poliziotto. Ribadisco ciò che poco fa diceva Raffaella Bolini dell'ARCI: ricordo perfettamente la dichiarazione rilasciata dal capo della Polizia De Gennaro e, attraverso di lui, anche dal Governo, quando disse che a Genova le forze dell'ordine avevano il compito di difendere il vertice G8, la città, i manifestanti. Questo non è avvenuto e non credo si possa affermare che sia stato così a causa di un semplice incidente: credo sia compito principale di questo Comitato capirne, in maniera effettiva, il motivo.

MAURIZIO GUBBIOTTI, Rappresentante di Legambiente. Faccio parte della segreteria nazionale di Legambiente e sono la persona che ha seguito i lavori del Genoa social forum per conto della nostra associazione. Credo nell'importanza del lavoro di questo Comitato, dell'audizione di oggi alla quale abbiamo voluto partecipare, proprio perché pensiamo che l'esperienza del Genoa social forum sia stata rilevante e che esso abbia ancora opportunità molto valide, nelle quali crediamo. Tuttavia, è bene che in un momento come questo si evidenzi maggiormente il ruolo delle associazioni presenti all'interno di un movimento molto ampio.
Penso che i temi di cui stiamo discutendo oggi siano importantissimi; tra le questioni più rilevanti di cui si sta occupando il Comitato segnalo la necessità di coinvolgere con il public forum, con azioni dirette non violente oppure con i classici cortei, con i concerti e quant'altro i cittadini che, in maniera pacifica e non violenta, vogliono manifestare il proprio dissenso, il proprio consenso, le proprie proposte, le proprie idee su temi fondamentali come quelli della globalizzazione, del modello di sviluppo e così via.
Questo è il motivo per cui sin dall'inizio abbiamo seguito tutta la preparazione di quelle giornate ed abbiamo partecipato al public forum, così come alle azioni del venerdì, alla manifestazione dei migranti del giovedì ed al corteo del sabato.
Un altro elemento molto importante è che attraverso l'esperienza del Genoa social forum, di un momento cioè di incontro di centinaia di associazioni, anche molto diverse tra loro per interessi, per storia, per tradizioni e per impegni, si è giocata la scommessa di portare avanti temi e questioni, di fronte ai quali oggi la maggioranza del nostro paese è attenta e interessata, nonché quella di riunire la


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maggior parte di noi per costituire un momento comune. Ciò, come veniva ricordato bene prima, si è verificato a partire anche dall'iniziativa di Porto Alegre; per continuare questo percorso, che tornerà a Porto Alegre il prossimo anno, vorremmo che ci fossero altri momenti così importanti, prevedendo un arricchimento ancora più forte di contenuti.
Chiusa questa parentesi sulle motivazioni che ci hanno portato, e che ci portano, ad essere partecipi di questa esperienza, per quanto riguarda i fatti concreti, che rappresentano poi l'elemento più importante per questo Comitato, ritengo che la relazione oggi consegnatavi e letta da Agnoletto, richiami molto bene ciò che è successo. Poi, ognuno di noi ha vissuto molte situazioni; personalmente ero presente in piazza Manin, perché come Legambiente abbiamo trascorso la giornata di venerdì partecipando alle iniziative di quella piazza ed abbiamo seguito in modo molto costante anche il corteo del sabato. In questi giorni abbiamo messo a disposizione la nostra sede di Genova per consentire la raccolta di materiale necessario e per ospitare gli avvocati che si stanno occupando di questi aspetti.
Ho notato che il Comitato ha prestato particolare attenzione alla relazione letta da Agnoletto; pertanto, ritengo abbiate percepito molto bene ciò che in essa viene detto, anche se credo sia bene soffermarsi su alcuni passaggi per rendersi conto che ciò che è scritto riflette quello che è successo, la situazione nella quale ci siamo trovati noi e centinaia di migliaia di cittadini del tutto pacifici e non violenti, i quali si sono recati a Genova per manifestare sui temi della globalizzazione. Dico questo anche perché penso sia importante, in qualità di rappresentante di una delle tante associazioni, portare a conoscenza di tutti la responsabilità, l'esperienza e il peso di tante manifestazioni che in questi decenni abbiamo organizzato e realizzato nel nostro paese, con centinaia di migliaia di cittadini che vi hanno partecipato in maniera del tutto pacifica e non violenta.
Ritengo che questo sia un altro aspetto che vada sottolineato. Sui fatti ancora più specifici, penso che la relazione presentata dal movimento sia molto completa. Rimaniamo, quindi, anche noi a disposizione per eventuali chiarimenti o domande che il Comitato volesse porci.

PRESIDENTE. Propongo di sospendere brevemente i lavori della Commissione per consentire a ciascun gruppo di articolare le domande da rivolgere ai nostri ospiti.

La seduta, sospesa alle 11,40, è ripresa alle 12,10.

PRESIDENTE. Riprendiamo i lavori del Comitato con l'intervento dell'onorevole Fontanini, al quale chiedo di specificare i destinatari delle sue domande.

PIETRO FONTANINI. Vorrei porre alcune domande al dottor Bobba, presidente delle ACLI, e al dottor Agnoletto.
Dottor Bobba, ieri sul quotidiano la Stampa lei ha rilasciato un'intervista che vorrei sapere se conferma. Le parole riportate dal giornale sono le seguenti: «L'antagonismo li portò invece a sostenere l'illegalità del G8, il che francamente è una sciocchezza. Né ci piaceva la compagnia: c'erano i resti dei partiti comunisti di mezzo mondo, con cui non abbiamo nulla a che spartire. Dicevano: »Rappresentiamo 600 sigle«, ma 70 sono soltanto le sezioni di Rifondazione comunista. Ora io non ho nulla contro Rifondazione, ma un movimento serio non si fa cavalcare da un partito». Dottor Bobba, le chiedo se conferma al Comitato tale suo giudizio e se vuole specificarlo in maniera più puntuale per quanto riguarda il Genoa social forum.
Per il dottor Agnoletto leggo una nota informativa dell'architetto Paolini, datata 27 giugno 2001, inviata al capostruttura di missione: «Questo contributo all'introduzione di approfondimento dovrebbe risultare di qualche utilità, anche in considerazione dell'atteggiamento che sta assumendo il nuovo Governo in merito a quanto disatteso dal precedente». Dottor Agnoletto, anche a lei risulta che il nuovo Governo Berlusconi è stato più attento rispetto a quello Amato? Vorrei porre


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un'altra domanda: nella relazione si parla di una componente dura, antagonista per definizione, che sarebbe rappresentata dal terzo blocco. Nella relazione dell'architetto Paolini si afferma che essa non è interessata a stabilire terreni di mediazione o di legittimazione con il summit ufficiale e considera la protesta di per sé già portatrice di contenuti. Chiedo a lei se condivide tali giudizi dell'architetto Paolini. Questa terza componente è formata dai centri sociali Ya Basta!, di ispirazione zapatista, e vi figurano anche altre aggregazioni (COBAS, CUB, Network di azione antiglobale, duri e presenti soprattutto in Toscana, Lazio, Campania e Calabria).
Vorrei porre l'ultima domanda al dottor Agnoletto. Non vi siete accorti di dove dormissero e di come si muovessero i famigerati black bloc durante la fase precedente alle azioni di guerriglia che hanno commesso a Genova e anche successivamente ad esse? Avete tentato di informare la polizia e le forze dell'ordine per quanto riguarda l'operatività o i momenti più delicati dell'opera dei black bloc?

LUIGI BOBBA, Presidente delle ACLI. Come sempre i giornalisti semplificano un po' quello che si dice: una conversazione di 20 minuti la riducono in tre righe, quindi ringrazio l'onorevole Fontanini che mi consente di precisare e di esplicare meglio il mio pensiero. Per quanto riguarda il primo punto, vi erano alcune forze, che hanno promosso iniziative e manifestazioni a Genova, che consideravano non illegale, ma illegittima la riunione del G8. Ritengo - e in ciò è pertinente ciò che è stato scritto sul giornale - che fosse una sciocchezza, in quanto penso che i capi di Governo possano legittimamente riunirsi come e quando vogliono. Il tema che mi sta a cuore riguarda ciò di cui discutono e quello che decidono: se vi è un giudizio che noi diamo sulla conclusione del vertice è che si sono rinnovate le promesse già formulate nei vertici di Colonia e Okinawa e si è deciso di stanziare qualche spicciolo - per così dire - per la lotta all'AIDS (dieci volte inferiore rispetto a ciò che aveva chiesto il segretario generale dell'ONU, Kofi Annan).
Per ciò che riguarda la seconda domanda, anche in questo caso il giornalista ha semplificato un po' la questione, che poi è molto semplice. Come giustamente ha osservato il dottor Agnoletto, il Genoa social forum si è ispirato ad un criterio di totale trasparenza: ognuno di voi può conoscere la lista degli aderenti visitando il sito del GSF e osservare le caratteristiche, le provenienze e le connotazioni, anche politiche, dell'insieme degli aderenti. La mia osservazione significava affermare come tra gli appartenenti al Genoa social forum vi fossero molte forze variegate e ve ne fossero diverse, un certo numero, rispondenti ad un criterio propriamente politico. In base al nostro modo di operare e a prescindere dalla collocazione di tali forze di natura politica, non condividevamo ciò, poiché riteniamo che una rete di associazioni debba essere costituita unicamente da realtà del mondo associativo e non anche da realtà appartenenti a forze politiche.
Per quanto riguarda la terza e ultima osservazione, è chiaro che il nostro modo di operare come associazione è volto non tanto a impedire, limitare o, tanto peggio, non consentire la possibilità di espressione, bensì a fare in modo che tale possibilità sia, nei fatti, pacifica e non violenta. Tanto ciò è vero che, non da soli ma insieme a tanti altri, stiamo preparando una grande iniziativa con un marchio DOC non violento, quello di Aldo Capitini, il 14 ottobre: la storica marcia Perugia-Assisi, che avrà uno slogan in positivo, non «contro», ma «per» cibo, acqua e lavoro. Si tratta, insomma, di un'altra globalizzazione: quella dei diritti e della solidarietà.

VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. Relativamente alla prima domanda non ho nulla da dire: non credo che siamo qui per esprimere giudizi relativamente ai governi, ma per cercare di appurare la verità dei fatti (almeno noi siamo qui per questo). In ogni caso, i rapporti con il Governo Amato e con


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quello Berlusconi sono ampiamente documentati nella lunga, purtroppo forse lunghissima, relazione che ho consegnato. È certo che sulle proposte da noi avanzate l'8 febbraio sostanzialmente non siamo riusciti ad avere alcuna risposta fino al 30 giugno: ciò riguarda, quindi, sia il Governo Amato che quello Berlusconi. È chiaro che, con il passare del tempo, l'esigenza di avere delle risposte diventava sempre più necessaria.
Non so bene cosa sia la storia della terza componente; in ogni caso, l'associazione Ya Basta! si occupa di cooperazione internazionale e lavora, in particolare, in progetti di sviluppo con il Chiapas, ma non soltanto con esso. COBAS e CUB sono due strutture sindacali non appartenenti al sindacato confederale ma a quello di base. Si tratta di tre realtà che partecipano al Genoa social forum e, considerata tutta la documentazione che abbiamo presentato, mi sembra proprio che esse non ritengano che la protesta sia di per sé autosufficiente: basta vedere la partecipazione di tali realtà ai dibattiti del public forum, sia rispetto alla cooperazione internazionale, sia rispetto ai temi del mondo del lavoro.
Circa la terza questione, mi limito a rimandare a quanto scritto nella relazione in riferimento alle azioni dei black bloc: quando, ad esempio, vi è stato il problema della scuola della provincia, già il 19 sera chi era presente sul posto ha avvisato telefonicamente l'assessore facendolo venire in loco (e lo ha ripetuto il giorno seguente); ancora, quando si sono verificati i problemi con i black bloc in piazza Da Novi la mattina del 20 verso le ore 11, abbiamo ampiamente documentato cosa abbiamo cercato di fare. Anzi aggiungo, per spiegare bene cosa è successo, che i COBAS si sono trovati in difficoltà perché la loro piazza era già occupata da quest'altra realtà che stava agendo come abbiamo detto nella relazione. A quel punto un componente dei COBAS mi ha chiamato dicendomi che avrebbero cercato di spostarsi e chiedendomi di ottenere dalle forze di polizia la possibilità di farlo, in quanto dovevano defluire da quella piazza. Cosa che io ho fatto, avvertendo che in piazza Da Novi, una piazza in cui noi eravamo stati autorizzati a manifestare, vi era quella data situazione e che quindi i COBAS si sarebbero dovuti spostare, come risulta dalla relazione. Abbiamo quindi dei dati rispetto ai problemi che si sono creati per noi, e, quando abbiamo potuto, abbiamo cercato di segnalare la presenza dei black bloc.
Lei però mi sta chiedendo se abbia delle informazioni sui black bloc quando gli otto servizi segreti più potenti del mondo, con tutte le informative che possono avere e con i blocchi alle frontiere, sono riusciti a far sì che arrivassero tutti questi gruppi violenti nel centro di Genova, lasciandoli liberamente «scorrazzare». Lei capisce che è come chiedermi perché non si sia riusciti noi stessi a fermare i black bloc dopo che il 21 luglio aveva telefonato il dottor Mortola. Noi in quella circostanza siamo stati chiarissimi, invitandolo ad agire, in quanto sia egli sia le forze di polizia avevano l'autorità e gli strumenti per farlo, mentre noi non avevamo né l'uno né gli altri.

ANTONIO IOVENE. Ringrazio i partecipanti all'audizione: credo che il vostro contributo sia stato molto utile per i nostri lavori. In particolare vorrei chiedere al dottor Agnoletto di rilasciare alcune precisazioni rispetto all'ampia esposizione svolta. Nella relazione si ricostruisce tutto l'itinerario dei rapporti politici ed istituzionali che il GSF e, prima, il Patto di lavoro hanno avuto con il Governo. Il 28 giugno si fa riferimento ad un incontro con i ministri Ruggiero e Scajola presso la Farnesina; in quell'incontro, così come in quelli precedenti e successivi, si è discusso di come sarebbe stato organizzato l'ordine pubblico nei giorni del vertice e delle manifestazioni a Genova? In particolare, in che cosa consistevano le assicurazioni che il ministro Scajola diede in quella data e di cui si è parlato? Sempre in relazione ai rapporti con il Governo, a più riprese nel corso delle audizioni ci è stato riferito che si era discusso anche della possibilità di far svolgere le manifestazioni del GSF in data diversa, cioè una settimana prima


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del vertice stesso. Cosa ha fatto tramontare questa possibilità e cosa ha portato a far coincidere le manifestazioni con le date di svolgimento del summit?
Una seconda questione riguarda i rapporti con le forze dell'ordine: è stato ricordato come vi siano stati nei giorni precedenti alle manifestazioni, così come nei giorni 19, 20 e 21, frequenti contatti con la questura di Genova, con i dirigenti della Polizia. Come erano organizzati questi rapporti? A cosa erano tesi? Mi è sembrato di capire che si tentasse di governare gli eventi. Ci sono stati rapporti anche con altre forze di polizia (Carabinieri, Guardia di finanza) presenti in piazza in quei giorni?
Terza questione: dalla documentazione che è stata consegnata mi è sembrato di capire che la manifestazione attaccata il giorno 20 in via Tolemaide fosse fin lì autorizzata; fu cioè vietato a tale manifestazione di proseguire per una parte del percorso che, però, non era ancora stato intrapreso quando iniziarono le cariche. Vorrei avere conferma di questo fatto. Inoltre desidererei sapere se, accanto alla denuncia riportata nella sua relazione rispetto ad atteggiamenti «strani» e verifiche effettuate nelle sedi dei centri di accoglienza, ce ne siano state delle altre in relazione a situazioni o presenze equivoche.
Vorrei poi sapere dal signor Kovac, che è stato chiamato in causa a più riprese nelle audizioni precedenti in relazione ad una telefonata che avrebbe preceduto la perquisizione alla scuola Diaz, con chi ebbe quella telefonata e quale fosse il suo contenuto.
Le ultime informazioni che vorrei avere sono relative alle vicende che si sono registrate alla caserma di Bolzaneto (nella relazione non vi è infatti praticamente cenno alla situazione relativa ai fermati e agli arrestati in seguito alle manifestazioni ed alla perquisizione alla scuola Diaz) e all'eventuale presenza in piazza, nei giorni delle manifestazioni del 20 e del 21 luglio, di esponenti e organizzazioni fasciste o neofasciste. Tale presenza è stata infatti una questione ripresa più volte nel corso del nostri lavori e di cui si parla in alcune informative sia dei Servizi segreti sia della DIGOS e dell'UCIGOS, nonché nell'ordinanza del questore del 12 luglio. Considerato che a tal proposito abbiamo ricevuto sia smentite sia conferme, vorrei sapere se voi - dottor Agnoletto o altri oggi presenti all'audizione - eravate a conoscenza di eventuali notizie in merito a tale presenza, così come si era vociferato nei giorni precedenti e come era stato confermato, lo ripeto, anche dai rapporti dei servizi segreti e della DIGOS/UCIGOS.

VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. Relativamente alla riunione del 28 giugno, posso semplicemente confermare ciò che è scritto. Il ministro Scajola confermò cioè l'intenzione di far svolgere le manifestazioni nei giorni in cui le proponevamo, senza entrare nel merito. Inoltre, dato che si erano già verificati i fatti di Göteborg, che era viva la discussione sull'utilizzo in piazza delle armi da parte delle forze dell'ordine, e dato che il giorno prima, almeno così mi sembra di ricordare, il Vicepresidente del Consiglio Fini aveva rilasciato dichiarazioni circa l'utilizzo dell'esercito, il ministro ci disse che sicuramente l'esercito non sarebbe stato impiegato, rimandando poi tutto all'incontro che si sarebbe tenuto due giorni dopo. Non fu detto altro.
Noi abbiamo sempre chiesto, prima come Patto di lavoro e poi come Genoa social forum, la contemporaneità nell'organizzazione degli eventi, cioè negli stessi giorni in cui si sarebbe dovuto svolgere il G8 e comunque non prima. Riguardo alla modifica dei comportamenti governativi, ciò risulta agli atti; bisognerebbe chiederlo a chi governava e a chi governa.
Per quanto riguarda i contatti con le forze dell'ordine, sono già stati illustrati. In particolare, ho avuto alcuni incontri: il 24 giugno con De Gennaro e Andreassi, il 28 con i ministri (tra gli altri soggetti era presente anche De Gennaro). C'è stato poi l'incontro del 30 e quello relativo all'informativa sui proiettili a me indirizzati, il 18.
Per il resto si sono susseguite una serie di telefonate, soprattutto in situazioni di difficoltà. Quando si è verificata la vicenda


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di piazza Da Novi, sono stato contattato per il problema di fare defluire le persone, così come a proposito della vicenda di piazza Dante illustrata prima. Dopo l'appello del sindaco, sentito da tutti, abbiamo dovuto comunicare il percorso che avremmo scelto. Ho avuto anche un altro contatto telefonico: verso mezzanotte circa di sabato 21 luglio, durante le operazioni delle forze dell'ordine, ho chiamato il dottor Andreassi per chiedergli cosa stessero facendo.Vi rendete conto della gravità? Mi è stato risposto: «Così è stato deciso». Ho posto termine immediatamente alla telefonata perché ho capito che non c'era nulla da fare e la questione andava risolta intervenendo direttamente sul posto.
Mi risulta che non abbiamo mai avuto contatti con i Carabinieri e la Guardia di finanza. Il problema è che abbiamo avuto solo contatti formali; il Governo ha sempre mandato agli incontri il capo della Polizia ed il vicecapo della Polizia. Ciò che è accaduto il 20 luglio ha avuto altri protagonisti: i Carabinieri. Noi quindi - lo ripeto - non abbiamo partecipato agli incontri dove si è sempre presentata la Polizia.
Relativamente alla questione di via Tolemaide - poi lascerò parlare Chiara Cassurino che si trovava in quel corteo poiché faceva parte delle tute bianche - non abbiamo denunciato altri luoghi dove si erano insediati i black bloc perché non li conoscevamo e non li conosciamo. Qualcuno può dire che si è trattato di debolezza e di ingenuità, ma non esisteva un sistema informativo particolare del Genoa social forum, che era e rimane un coordinamento di associazioni.
Relativamente a Bolzaneto, si tratta di una vicenda che segue le giornate di Genova, in merito alla quale disponiamo di tantissimo materiale, documentazioni, testimonianze che i nostri avvocati hanno ritenuto di consegnare alla magistratura nell'ambito delle inchieste.
Relativamente alla questione delle organizzazioni fasciste, consegneremo tutto il materiale alla magistratura. Tuttavia, posso dire che è arrivata una telefonata (probabilmente il 18, sera in cui si sarebbe tenuto il concerto di Manu Chao) da parte di una persona che desiderava parlare con qualcuno. Poiché la questione sembrava delicata, sono stato chiamato per andare a rispondere. La ragazza ci ha dato alcuni riferimenti precisi in merito a due pullman di esponenti di estrema destra che sarebbero partiti da una certa zona (alcuni come volontari e altri coinvolgendo non gratuitamente tifoserie di calcio della destra) dicendomi: «Mi risulta che sono già arrivati a Genova e sono collocati in alcune zone». Dopo aver ricevuto l'informazione in questione, ne ho parlato con gli altri portavoce con cui al momento ero in riunione (eravamo, mi pare, 18) per adottare la decisione più saggia. Di una notizia di tale tipo non si può fare un manifesto. Abbiamo telefonato alle forze dell'ordine per comunicare la segnalazione che ci è stata fatta e abbiamo chiesto loro di provvedere. Per i dati che ci sono stati forniti (dal modo indicatoci per individuare la persona che ci ha telefonato), l'informazione ci è sembrata credibile. Dopo due ore mi hanno richiamato dalla questura (credo che fossero le 10 perché stavo andando a fare un intervento al concerto di Manu Chao) e mi hanno detto: «Dottor Agnoletto, sia tranquillo, abbiamo controllato, non c'è assolutamente nulla; non c'è ombra di presenza di estrema destra, a noi non risulta».
Posso semplicemente dire, data anche la delicatezza della questione, di cui si deve occupare la magistratura, che questa persona ci ha richiamato, al termine delle vicende di Genova, e ci ha confermato quanto detto. Ha avuto la conferma da queste persone in merito a ciò e si è resa disponibile a testimoniare; noi pensiamo che sia giusto che lo faccia. Ovviamente la sua testimonianza non è relativa solo ad una presenza poiché è a conoscenza di alcuni fatti, i cui protagonisti sarebbero persone di estrema destra, fatti che successivamente sono accaduti. Ripeto, si tratta di una questione che presenta aspetti di delicatezza e di riservatezza per la persona che si espone e quindi pensiamo che se ne debba occupare la magistratura.


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STEFANO KOVAC, Rappresentante del Consorzio italiano di solidarietà. Ringrazio il senatore Iovene per la domanda che precedentemente mi ha rivolto, perché mi dà l'opportunità di chiarire una vexata quaestio che da alcuni giorni circola sugli organi di stampa. Parliamo della sera del 21, fra le 21,30 e le 22,30 (se ricordo bene). Ricevetti una telefonata dal dottor Mortola il quale, in un primo momento, mi domandò esclusivamente se la scuola Pascoli fosse a disposizione del Genoa social forum per l'accoglienza. Io spiegai che tale scuola era nello stesso edificio della scuola Diaz e quindi si trovava nella nostra disponibilità. Spiegai, inoltre, che anche la scuola Pertini era nella nostra disponibilità perché ci era stata assegnata dalla provincia. A quel punto mi riferì che alcune auto della Polizia erano state oggetto di un lancio di due bottiglie da parte di alcune persone che si trovavano lì e mi chiese anche la funzione di queste due scuole. Io risposi, come è stato già detto precedentemente, che nella prima si trovava il centro stampa ed altri uffici mentre nell'altra la people house, cioè uffici per le organizzazioni straniere che si trovavano a Genova. Ho specificato che vi dormivano alcune persone trasferite dai vari centri il giovedì notte quando pioveva. Ciò mi ha insospettito e di conseguenza gli domandai se stesse per succedere qualcosa. Mi ha fornito risposte evasive e pertanto gli dissi testualmente: «Mi raccomando, la situazione è molto tesa in città; ti prego di evitare di intraprendere iniziative che possano aumentare la tensione». Mi rispose dicendomi di non preoccuparmi, perché non stava accadendo niente e di essere tranquillo. A quel punto la telefonata si concluse.
Potrei anche specificare che il lunedì successivo il dottor Mortola mi ha richiamato per un altro motivo chiedendomi un parere sulla questione della Diaz, senza accennarmi al fatto, poi riportato dai verbali, riferito dal dottor Colucci, che io sarei stato informato. In quel momento non mi trovavo alla Diaz, ma a piazzale Kennedy. Se fossi stato informato, sarei andato immediatamente sul posto, come è capitato nei giorni in cui si sono verificati problemi in tutte le strutture che erano sotto la mia responsabilità.

FRANCO BASSANINI. Le avrebbe detto che erano ospitati alcuni black bloc?

STEFANO KOVAC, Rappresentante del Consorzio italiano di solidarietà. Lo escludo nel modo più assoluto; non avrei potuto saperlo perché non mi trovavo lì in quel momento. Inoltre, se lo avessi saputo, avrei agito diversamente.

CHIARA CASSURINO, Rappresentante del movimento «Tute bianche». Prima di rispondere, vorrei fare una precisazione in ordine ad una notizia ANSA, giunta pochi minuti fa, secondo la quale l'audizione di Luca Casarini sarebbe prevista in separata sede e sarebbe motivata dal fatto che Luca Casarini avrebbe da dire cose in contraddizione, dal punto di vista politico, con ciò che invece stiamo affermando in questa sede. Tengo a precisare che tale notizia è assolutamente falsa.
Rispondo alla domanda del senatore Iovene per confermare che in via Tolemaide la carica che il corteo ha subìto è stata effettuata all'incrocio fra corso Torino e la stessa via Tolemaide, a circa 500 metri, pertanto, prima della fine di via Tolemaide e quindi del luogo in cui l'autorizzazione alla manifestazione esauriva i suoi effetti. Peraltro, vorrei aggiungere che alla fine di via Tolemaide, e precisamente in prossimità della stazione di Brignole, si potevano scorgere reparti schierati della Polizia di Stato italiana in divisa di colore blu, con un funzionario che indossava una fascia tricolore. Ritengo di non dover aggiungere altro.

FABRIZIO CICCHITTO. Vorrei formulare alcune domande al dottor Agnoletto. La prima è la seguente: qual è in sostanza la vostra forma di coordinamento interno, in particolare sul campo, considerato che siete stati impegnati in grandi manifestazioni di massa e vista la estrema eterogeneità dei gruppi facenti parte del Genoa


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social forum? Infatti, leggendo la lista delle diverse sigle, notiamo che emergono molte anime, forse troppe, tra loro anche in contraddizione: si va dal Gruppo Abele, alle Donne in nero, alla Federazione delle chiese evangeliche del Piemonte, alle «Tute bianche», allo Ya Basta!, ai Fighters della Juventus. Pacifisti cristiani e persino combattenti juventini: non si tratta di una miscela pericolosa che può esplodere nelle piazze?
La seconda domanda: vi dichiarate pacifisti, tuttavia più volte abbiamo sentito affermare, in particolare nei suoi interventi e in quelli di altri esponenti del Genoa social forum:« Sfonderemo la zona rossa. Lo Ya Basta! ha dichiarato:» Il nostro scopo sarà quello di invadere la zona rossa, usando il corpo come strumento di impatto «. Matteo Iade, esponente delle tute bianche, ha dichiarato:» Circa le strategie della manifestazione vi sono due grossi filoni metodologici: l'assedio e l'invasione della zona rossa «.
In un libro intitolato « Da Seattle a Genova » pubblicato dal movimento delle tute bianche si afferma:« Il Genoa social forum è riuscito a chiarire quali modalità di lotta metterà in atto nei giorni della protesta: 1) assediare la zona rossa; 2) invaderla e ignorarne i divieti.» Non vi rendete conto che già tale terminologia trasuda violenza (Commenti del deputato Mantovani) e che tale tipo di obiettivo, messo sul campo a contatto con componenti anche estranee alla vostra, totalmente violente, ha contribuito ad accentuare la miscela infernale di cui parlavamo in precedenza e che si è vista sul campo?
Terza domanda: non vi è dubbio che le manifestazioni e le iniziative del Genoa social forum sono state attraversate dalle azioni di violenza italiane e straniere. Il concetto di servizio d'ordine non prevede soltanto la presenza di persone che, fisicamente, emarginino i violenti, bensì anche l'attivazione di iniziative che prevengano l'inquinamento delle manifestazioni da parte dei facinorosi, prime fra tutte la segnalazione all'autorità di fatti o notizie utili a prevenire la violenza. Vorrei chiederle, essendo stato lei un interlocutore delle forze politiche e del Governo, se tale azione di prevenzione sia stata svolta o se sia stata negata. Lo dico perché in una dichiarazione del 28 giugno, lei dichiarava: «Terremo lontano chiunque cerchi lo scontro fisico. Dobbiamo ancora pensare a come organizzare un servizio d'ordine nel corteo, ma non accetteremo gruppi violenti».
In una nota ANSA del 19 luglio era scritto che il portavoce del Genoa social forum, Vittorio Agnoletto, aveva annunciato che per il grande corteo pacifico e non violento di sabato 21 luglio sarebbe stato organizzato un servizio d'ordine. Perché poi tale servizio d'ordine non c'è stato ed anzi addirittura si è teorizzato il contrario?
Le chiedo inoltre se, considerato lo scopo pacifista di partenza, corrisponda al vero ciò che è detto anche nella sua relazione, ossia che il corteo di ventimila manifestanti che partiva dallo stadio Carlini aveva alla testa alcune file di scudi collettivi montati su strutture mobili. E comunque, quali sono i rapporti tra le varie organizzazioni qui presenti e le tute bianche?
Un'altra domanda: vi siete dichiarati contrari alla chiusura delle frontiere. Alla luce di ciò che è avvenuto ed anche della fortissima presenza fra i black bloc di componenti straniere, ritenete che quella vostra presa di posizione sia stata valida? Qui è stata tracciata una ricostruzione del confronto con i Governi. Ad un certo punto l'architetto Paolini è stata delegata a tenere i rapporti con le associazioni che rappresentate. Ciò ha facilitato il rapporto o si è trattato di un'iniziativa pura e semplice del Governo Amato?
Un'ulteriore domanda: nella lettera che voi avevate inviato l'11 aprile salutavate positivamente il fatto che il Governo Amato avesse rinunciato a porre la questione relativa alla sospensione degli accordi di Schengen e che avesse accettato la concomitanza delle manifestazioni. Come mai avete affermato ciò? Infatti, successivamente, nei giorni 13 e 14 luglio, ciò si ritrova come presa d'atto del Governo, ossia quando oramai le manifestazioni dovevano tenersi.


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Un'altra domanda: lei il 28 giugno, in occasione di un forum sulla stampa, avanzava un dubbio che riporto testualmente:« Qualcuno pensa o spera che i giorni segnati da gravi incidenti possano portare alla sconfitta del Genoa social forum e ad una critica di massa al Governo, incapace di gestire la situazione, consentendo in questo modo ad una sinistra moderata e liberista di raccogliere cocci ed onore ». Dopo gli eventi recenti, conferma tale giudizio o lo ha modificato totalmente?
Infine, un'ultima domanda: si è presentato alle elezioni politiche per Rifondazione comunista (Commenti del deputato Mantovani)?

VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. Partiamo dall'ultima domanda, perché per ora non mi risulta che questo sia un reato o qualcosa per cui si debba essere inquisiti. Sì, mi sono presentato - lo si sa abbondantemente, è stato riportato dai giornali - come indipendente: credo che questa sia una cosa ampiamente documentata. Ritengo di aver risposto a quest'ultima domanda.
Sull'organizzazione del Genoa social forum, noi ci siamo strutturati con un consiglio di portavoce composto da 18 persone rappresentative delle associazioni e che, come ho già spiegato, avevano come riferimento delle aree di affinità, nel senso che, non potendo fare un consiglio di centinaia di persone, le associazioni più grandi tenevano i contatti terminali con le altre.
In questo consiglio dei portavoce il mio ruolo era quello di presentare, soprattutto all'esterno, la sintesi del dibattito che il più delle volte è apparso ampiamente sui media, sui giornali. In occasione delle iniziative, nelle piazze tematiche del 20 luglio, dove erano presenti diverse associazioni o sindacati, avevamo preparato e consegnato una cartina ai giornali per far sapere a tutti dove si andava. Se dovevo sentire quelli di piazza Da Novi, sentivo il portavoce dei Cobas che era nel consiglio; se dovevo sentire quelli della CUB, che stavano a Ponente, sentivo il loro rappresentante, e via dicendo; lo stesso per il corteo delle tute bianche e per la Rete Lilliput, cioè per piazza Manin. Questo era il nostro modo di operare.
Per quanto riguarda la manifestazione dei migranti del 19 luglio, l'organizzazione era costituita dai rappresentanti di coloro che si occupavano delle associazioni dei migranti, che avevano un loro portavoce tra i 18 del consiglio dei rappresentanti delle associazioni. Mi permetto di dire - non voglio dare lezioni a nessuno - che si tratta di un grandissimo risultato. Siamo riusciti a tenere insieme, o meglio, a stare insieme - perché nessuno li ha tenuti insieme - tra realtà così diverse, sulla base della sottoscrizione di due documenti: il Patto di lavoro, relativo alla critica a questo tipo di globalizzazione, e la dichiarazione solenne del 5 giugno sulle forme di azione pacifiche e non violente. Anzi, lavorando collettivamente, con questa contaminazione - per fortuna questa volta non di virus, ma di idee - qualcuno ha fatto delle scelte aiutato da altri: mi sembra una cosa molto positiva.
Riferendomi alla seconda domanda, sicuramente c'è stato a volte un problema di linguaggio: l'ho detto pubblicamente. Noi dobbiamo imparare - ma questa è una questione culturale complessa - ad abbandonare certi linguaggi di violenza da cui siamo bombardati in questa società. Per esempio, a un certo punto abbiamo cercato di non usare più il termine «assedio» della zona rossa, ma «liberare» il centro di Genova, che noi riteniamo occupato dai grandi del G8, ma poi il piano della comunicazione non è sempre così semplice.
Tuttavia, per rispondere alla sua domanda, mi sembra che il nodo che lei pone, se ho capito bene, è la questione della disobbedienza civile. Non vorrei essere presuntuoso, ma credo di poterle ricordare che la disobbedienza civile ha una lunga tradizione all'interno dei movimenti pacifisti e non violenti. Abbiamo tutti l'esempio del grande maestro, Gandhi, che, con la marcia del sale, realizza un atto di disobbedienza civile. Qual è la caratteristica della disobbedienza civile? Una persona si assume la responsabilità di non rispettare una norma che non ritiene accettabile sul piano etico e


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in quel modo si espone alle conseguenze, decidendo di non avere con sé strumenti offensivi, quindi, si espone ad un rischio. Questa è stata la scelta: quindi, anche in quel caso, chi ha deciso di compiere quell'azione, l'ha discussa dentro il Genoa social forum, scegliendo questo tipo di filosofia. Gli strumenti a cui lei ha fatto riferimento, assolutamente pubblici, sono strumenti di difesa e, come documentato da vari filmati, non vi erano all'interno dei percorsi del Genoa social forum strumenti di offesa.
A questo proposito c'è stato un grande problema, che vi vorrei porre: all'interno di alcuni pezzi del GSF noi abbiamo fatto quest'opera di pratica di disobbedienza civile, nell'ambito di un quadro democratico costituzionale. Il Capo della Polizia ci ha detto che avrebbero trattato bene i buoni e male i cattivi, affermando che il livello di repressione sarebbe stato correlato alle misure adottate: quindi, se uno avesse tentato di passare la linea rossa senza strumenti di offesa, ci sarebbe stato un certo livello di risposta. Il problema è che è successo altro! C'erano blindati che andavano a 60 all'ora, c'è stato chi ha sparato, c'è stata la violenza micidiale e documentata. Pertanto, si è determinato un grosso problema per chi ha preparato un percorso di disobbedienza civile, all'interno di un quadro democratico, perché non tutti sono Gandhi. Lo dico con chiarezza: questo è stato il problema al quale ci siamo trovati di fronte. A voi parlamentari vorrei anche dire che ci preoccupa moltissimo il rischio di una costrizione, di un restringimento degli spazi di democrazia pacifici e non violenti, perché questa restrizione nella storia è sempre stata pericolosa per gli effetti che può produrre.
In relazione alla terza questione, speravo che nessuno mi ponesse questa domanda, perché mi mette profondamente a disagio che dei rappresentanti del Parlamento chiedano a noi, quasi rimproverandoci, perché non abbiamo organizzato dei servizi d'ordine. Mi chiedo: siamo in uno Stato da Far West...

FABRIZIO CICCHITTO. Io ho detto un'altra cosa.

VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. ....oppure esistono strutture delle Forze dell'ordine che devono garantire lo svolgimento delle manifestazioni e il rispetto dei diritti?

PRESIDENTE. Dottor Agnoletto, mi perdoni. Mi pare che la domanda facesse riferimento a talune sue dichiarazioni.

VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. Prima delle dichiarazioni c'era un'introduzione.
Noi abbiamo scelto una pratica pacifica e non dovevamo costituire, in qualche modo, pezzi separati di servizio d'ordine, che vanno per conto loro. Il problema che ci siamo posti, visto il livello di tensione, era come poter difendere il corteo. Noi, che eravamo lì, come sono io adesso, abbiamo tentato di fare un servizio d'ordine tenendoci per mano ma è stata una cosa che non ha retto minimamente. Le dico con molta tranquillità, ed è quanto ho dichiarato nelle due date da lei ricordate, a giugno e a luglio, che questo è il discorso che abbiamo fatto; infatti nel corteo del 21 luglio abbiamo tentato di fare il servizio d'ordine tenendoci per mano, ma ciò non è stato minimamente sufficiente rispetto allo scenario.
Oggi è in corso una discussione nel Genoa social forum sul modo per tutelare in futuro le nostre iniziative: si tratta di una discussione difficile, perché non vogliamo costruire gruppi separati. Questo è ciò che è avvenuto, così come l'abbiamo vissuto.
Per quanto riguarda la quarta domanda, per quello che mi compete, mi pare di aver risposto.
Sulla questione della chiusura delle frontiere, il problema è che, dopo aver applicato la clausola restrittiva, secondo gli accordi di Schengen - perché questo è quanto è avvenuto - è accaduto esattamente il contrario di quello che ci era stato detto. Infatti, i pacifisti greci, mi pare del gruppo Synaspismos, sono stati bloccati, per di più anche con interventi «extraterritoriali» delle forze dell'ordine sulla nave; alcuni treni sono stati bloccati al


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confine con la Francia, mentre molti violenti - non voglio provocare qualcuno dicendo «tutti» i violenti -, a proposito dei quali ci era stato detto che si sarebbero fatti i blocchi alle frontiere per fermarli, sono arrivati tranquillamente nel centro di Genova e hanno fatto quello che hanno fatto. La nostra preoccupazione, relativamente alla chiusura delle frontiere, onorevole Cicchitto, era che non avvenisse quello che è accaduto per Nizza, dove la chiusura delle frontiere ha impedito a manifestanti pacifici di raggiungere la città.
Alla domanda riguardante la dottoressa Paolini risponderà Raffaella Bolini, che al riguardo è più competente.
Per quanto concerne la questione della concomitanza delle manifestazioni, abbiamo diffuso il comunicato l'11 aprile - come documentato - e non abbiamo ottenuto alcun tipo di risposta; rinvio, quindi, alla documentazione depositata.
Il 28 giugno abbiamo partecipato all'incontro menzionato in precedenza, dove abbiamo detto quanto riferito; dopodichè abbiamo ripreso il 16.
Onorevole Cicchitto, qual era l'ultima domanda?

FABRIZIO CICCHITTO. Forse era quella relativa a Rifondazione comunista.

VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. No, a quella domanda ho già risposto. Non era nemmeno relativa alle tute bianche; si riferiva alla questione dei Democratici di sinistra-l'Ulivo.
Credo che tale domanda implichi dei giudizi e non credo che siamo qui per esprimere giudizi. Ritengo che sia avvenuto qualcos'altro di estremamente grave (ma questa è una mia ipotesi). Il problema è quello che ha posto prima Raffaella Bolini, cioè come mai ad un certo punto, nonostante le rassicurazioni che ci erano state date, a seguito degli incontri cui avevamo preso parte, sia saltato tutto. Mi chiedo quale sia l'elemento nuovo - che noi non comprendiamo - che si è inserito il 20 luglio e cosa sia accaduto il 20 luglio, quando abbiamo trovato le nostre piazze occupate dai black bloc ed è successo ciò che tutti conosciamo, con le cariche indiscriminate e così via. Ciò non rifletteva quanto ci era stato detto da De Gennaro e che puntualmente alla fine delle riunioni riportavamo. Credo, quindi, che sia accaduto qualcosa di molto diverso. Mi fermo qui, perché non credo di dover avanzare delle ipotesi; d'altra parte, siete voi che avete il compito di accertare la verità.

RAFFAELLA BOLINI, Rappresentante dell'ARCI. Quando abbiamo saputo dell'incarico affidato alla dottoressa Paolini, alcuni di noi sono stati molto contenti. Era un momento difficile - si era agli inizi di gennaio - perché avevamo già compreso che vi sarebbero state difficoltà a far partire la macchina del rapporto con le istituzioni per le manifestazioni di Genova; quindi, siamo stati contenti, perché alcuni di noi già conoscevano l'architetto Paolini. Quest'ultima, infatti, al tempo in cui era incaricata degli aiuti umanitari per l'ex Jugoslavia per il Ministero degli affari esteri, era stata l'animatrice e la coordinatrice del tavolo di coordinamento per tali aiuti. Si trattava di un tavolo di coordinamento fra le istituzioni e la società civile, che ha rappresentato un'esperienza molto interessante, fatta oggetto di studi addirittura da agenzie ed enti internazionali che l'hanno considerato un modello positivo di rapporto fra istituzioni e società civile. È stata un'esperienza durata cinque anni e passata attraverso governi di tutti colori, grazie alla quale l'Italia ha fatto un'ottima figura in tutte le repubbliche della ex Jugoslavia durante la guerra.
Molti di noi avevano aderito al Genoa social forum e avevano partecipato al movimento per la globalizzazione democratica proprio a partire dall'esperienza di volontariato e di cooperazione internazionale, così come molti di noi, ed io personalmente, avevano partecipato all'esperienza del tavolo di coordinamento come animatori dalla parte della società civile. Pertanto, avendo visto i risultati prodotti da quel tipo di esperienza ed avendo constatato che la dottoressa Paolini aveva


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una grande esperienza nel cercare di oliare i rapporti fra istituzioni e società civile - che spesso usano linguaggi e metodologie diversi ed hanno problemi differenti - siamo stati contenti dell'incarico affidatole.
Abbiamo sperimentato il rapporto con la dottoressa Paolini, in generale, per ciò che riguarda le relazioni fra Genoa social forum ed istituzioni, ma alcune delle associazioni ed organizzazioni che fanno parte del Genoa social forum l'hanno anche sperimentato in occasione dell'incarico affidatole nel progetto GNG a cui avevano partecipato.
Per quanto riguarda il rapporto tra Genoa social forum e istituzioni per la soluzione della questione relativa alla gestione delle manifestazioni a Genova, credo che in qualche modo la dinamicità, l'intelligenza, l'esperienza e la competenza che avevamo constatato nell'opera della dottoressa Paolini si siano potute esercitare poco, perché per molto tempo la macchina del rapporto fra istituzioni e GSF è rimasta completamente bloccata. Certamente eravamo informati di tutto il lavoro che lei svolgeva a livello istituzionale, ma mancava l'oggetto del contendere. Ci aspettavamo, infatti, di essere chiamati ad affrontare e risolvere, con il suo aiuto, tutti i problemi legati all'accoglienza e speravamo di poterlo fare in sei mesi; invece, siamo stati costretti ad affrontarli e risolverli in 15 giorni.
Da questo punto di vista, abbiamo potuto godere del suo supporto, con la limitazione dovuta al fatto che quello che pensavamo sarebbe stato un rapporto di collaborazione, magari della durata di un anno, per preparare bene la manifestazione di Genova, in realtà poi si è ridotto ad un meccanismo di pressione alla ricerca di questo rapporto, mentre il vero e proprio lavoro di confronto si è realizzato in pochissimo tempo; potete immaginare la fatica che ciò ha comportato per noi ed, immagino, anche per lei.

PRESIDENTE. Avverto che il dottor Bobba ha comunicato alla Presidenza di avere impegni inderogabili per le 14. Chiedo, quindi, ai colleghi Mascia, Anedda, Turroni, Mazzoni, Boato, Dentamaro e Del Pennino, che hanno preannunziato di voler parlare, se intendano rivolgergli domande.
Constatato che nessuno ha intenzione di intervenire, procediamo pertanto nello svolgimento del dibattito. Dottor Bobba, lei può rimanere fino a quando lo ritiene opportuno; noi la ringraziamo sin d'ora per la sua collaborazione.

GRAZIELLA MASCIA. Signor presidente, vorrei rivolgere una domanda a nome dei colleghi del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, che se ne sono dimenticati. Per quanto riguarda piazzale Kennedy, volevano sapere da chi fosse gestito e con quali funzioni, perché nella relazione ciò non è stato riportato.
Per quanto mi riguarda, formulo innanzitutto due richieste di precisazione. La prima riguarda la presenza dell'estrema destra alle manifestazioni; avevo posto tale questione, ricordata dal dottor Agnoletto, al dottor De Gennaro, il quale aveva risposto di essere intervenuto in quel frangente senza riscontrare nulla.
Avevo anche rivolto un'altra domanda relativa al fatto che nell'ordinanza del 12 luglio del questore si faceva riferimento alla presenza di 25-30 personaggi dell'estrema destra provenienti da Torino che avrebbero tentato, attraverso alcune lamette, di fare provocazioni nel corteo delle tute bianche. Avevo chiesto al questore se ciò fosse stato oggetto di un confronto col Genoa social forum; poiché vi è questa interlocuzione, di fronte ad una segnalazione così precisa ed anche preoccupante, ritenevo che ciò dovesse rientrare in un rapporto costruttivo che mi sembrava si fosse intrapreso. Vorrei un'opinione al riguardo; in particolare, vorrei sapere chi di voi abbia intrattenuto tali rapporti.
Infine, l'ultima domanda riguarda la questione dell'autorizzazione del corteo del 20 luglio presso lo stadio Carlini. Dopo aver preso visione della documentazione che ci avete fornito, ho compiuto alcune verifiche; in effetti anche il questore ci ha detto di aver ricevuto il 19 luglio il preavviso


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in cui si annunciava lo svolgimento del corteo, senza precise indicazioni di orario, con partenza da corso Gastaldi, precisando che in pratica la prosecuzione del corteo del Genoa social forum oltre piazza Verdi era impedita. Ciò, di fatto, conferma quanto riportato nella documentazione che ci avete consegnato; egli, però, aggiunge di non essere mai stato messo a conoscenza di ciò che succedeva nelle piazze tematiche e di chi fossero i titolari. Egli dice, per esempio, di non sapere che la Rete Lilliput fosse in piazza Manin, dopodichè svolge una serie di considerazioni; infine, afferma che tale corteo non era autorizzato e che, comunque, non si trattava di un corteo bensì di una massa di persone.
Lo stesso capo della Polizia sulla questione del corteo e dell'autorizzazione fa riferimento a tutto ciò che è avvenuto e parla di un affollato corteo non autorizzato, visibilmente già predisposto ad affrontare i reparti di polizia.
A tale proposito, vorrei capire se voi abbiate avuto un chiarimento diretto (oltre ai pezzi di carta che si comprendono da un punto di vista formale) con la questura o con il capo della Polizia.

VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. In questura è stata spiegata tutta l'iniziativa: lo ha fatto Morettini, e, tra l'altro, in data 16 luglio abbiamo presentato una richiesta inerente a tutte le nostre iniziative, con le varie firme. Successivamente, abbiamo ottenuto le autorizzazioni. Quella che abbiamo fornito al presidente è datata 19 luglio e autorizza, anzi, precisa quali sono i divieti. La nostra richiesta è del 16 ed il 19 viene vietato il corteo tra piazza Verdi, piazza della Vittoria, via XX Settembre e piazza De Ferrari. Questi sono dati ufficiali corredati dai timbri.

GRAZIELLA MASCIA. C'è una differenza tra non autorizzato e vietato.

VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. Qui c'è scritto semplicemente vieta il transito del corteo...

PRESIDENTE. C'è un documento, credo che tutti siamo in condizione di leggerlo, al di là dell'interpretazione. Dottor Agnoletto, può proseguire.

VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. Sulla questione di Rete Lilliput, più che stampare una cartina di tutta Genova, con tutte le iniziative, le associazioni...

PRESIDENTE. Possiamo acquisire agli atti tale cartina?

VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. Certamente. Vuole acquisire agli atti anche la nostra richiesta formale?

PRESIDENTE. Produca tutto quello che ritiene opportuno.

VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. Dunque, sulla giornata del 20 abbiamo avuto l'autorizzazione, come detto, e sulla questione di Rete Lilliput abbiamo illustrato per tutte le piazze quello che sarebbe avvenuto e chi vi sarebbe stato. Relativamente alla domanda di Rete Lilliput, nella documentazione che ho letto e che è stata consegnata è spiegato tutto il percorso che Alberto Zoratti, responsabile di Rete Lilliput, traccia nei giorni precedenti con la questura (si indica addirittura con chi parla) per le autorizzazioni. Per i Cobas è segnata, addirittura, l'ora in cui è stata data la risposta. Più precisi di così...
Circa la questione della presenza di estremisti di destra, posso solo dire che la segnalazione a cui mi riferivo è ulteriore rispetto a quella di Torino (erano provenienti da altra zona). In quella occasione ho parlato con Andreassi (poi, invece, mi ha richiamato un altro funzionario della questura) ed ho spiegato anche in quale zona a noi risultavano accampati e in quale zona risultavano sistemati negli alberghi. Di questo non vi è mai stata alcuna altra segnalazione, neanche da parte delle forze dell'ordine.


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RAFFAELLA BOLINI, Rappresentante dell'ARCI. Ritengo che sia utile puntualizzare una cosa: il modo in cui noi avremmo dovuto presentare le richieste per svolgere le manifestazioni ci è stato spiegato, per filo e per segno, dal Capo della Polizia nell'incontro del 30 giugno. Durante tale incontro dichiarammo, in maniera più esatta di come avevamo fatto fino ad allora (poiché il processo decisionale era arrivato ad un punto quasi conclusivo), i giorni delle manifestazioni (19, 20 e 21).
Ho davanti proprio i miei appunti di quel giorno in cui De Gennaro ci spiega come avremmo dovuto fare. Ci ha detto che non avremmo avuto autorizzazioni alle manifestazioni perché in Italia - come si sa - una manifestazione non si può svolgere solo se è vietata, dato che il diritto a manifestare è garantito dalla Costituzione; dunque, la regola è che le manifestazioni si possono svolgere. De Gennaro ci disse di comunicare in questura l'intenzione di manifestare in determinate piazze, di svolgere il corteo da un certo punto ad un altro e di attendere tre tipi di risposte. Se non ci avessero risposto, avrebbe significato che la richiesta era stata accettata. Se ci avessero risposto, sarebbe stato o per vietare la manifestazione in questione o per fornire alcune prescrizioni (è il caso, ad esempio, del corteo di cui stiamo parlando, che non è stato vietato ma sono state segnalate alcune prescrizioni: il corteo non sarebbe dovuto arrivare oltre un certo punto del percorso). Noi ci adeguiamo alle indicazioni di De Gennaro alla fine di quella riunione; nel momento in cui vengono chiarite le dinamiche, gli orari ed i luoghi delle varie manifestazioni noi comunichiamo in questura l'intenzione di svolgere manifestazioni in determinati luoghi e con determinate caratteristiche.
Avevamo un gruppo di lavoro del Genoa social forum che si occupava delle manifestazioni, del loro coordinamento e della loro organizzazione. In particolare, abbiamo discusso a lungo sulle manifestazioni del 20 perché, essendo previste per l'accerchiamento del vertice diverse iniziative, ci siamo dovuti mettere d'accordo tra di noi su chi sarebbe andato in quella piazza, chi in quell'altra, sugli orari, e così via. Abbiamo presentato comunemente, a firma di tutte le organizzazioni presenti nel consiglio dei portavoce del Genoa social forum, la richiesta complessiva per le manifestazioni. Ci terrei a segnalare che, anche se è vero che dopo il 30 giugno non abbiamo più avuto incontri formali con il Capo della Polizia sulle questioni delle manifestazioni, abbiamo però avuto incontri tecnici. Le persone che rilasciavano le autorizzazioni, ovviamente, ci chiedevano il motivo della scelta di una particolare piazza o di un determinato orario; ci sono stati fatti dei rilievi, noi abbiamo posto delle questioni. Alcune volte parlavamo a nome di tutto il Genoa social forum, in altri casi andavano i promotori delle diverse manifestazioni. Mi riferisco, ad esempio, ai sindacalisti della CUB che, ossessionati dall'idea di vedere i manifesti in tutta Italia con l'indicazione del corteo, senza saper dire da dove sarebbe partito, stavano in questura un giorno sì e un giorno no a cercare di «spingere» perché il loro corteo venisse autorizzato.
Quindi, anche se formalmente non abbiamo più avuto incontri, vi sono state, però, molte occasioni di dialogo che hanno consentito di conoscere compiutamente il quadro delle manifestazioni prima che queste si svolgessero.

GIAN FRANCO ANEDDA. Vorrei sottoporre i seguenti quesiti alla cortese attenzione del dottor Agnoletto. Anzitutto, le chiedo se, nei giorni del vertice G8 ed in quelli precedenti, abbia avuto incontri, contatti, scambi di opinione con Canterini. Le domando, poi, se, nella fase preparatoria, sia stata presa in considerazione, nelle riunioni da voi svolte, l'eventualità che, in occasione delle manifestazioni, potessero essere posti in essere atti di violenza da parte dei manifestanti. Ancora, a proposito dell'equipaggiamento di cui moltissimi manifestanti erano muniti - si trattava, come lei ha ricordato, di caschi, imbottiture, scudi (addirittura, scudi collettivi) -, le chiedo se ciò le sia apparso indispensabile per consentire ai manifestanti


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di difendersi da attacchi non motivati della polizia.
Nel documento del 5 giugno 2001 avete scritto che uno degli scopi delle manifestazioni sarebbe stato l'isolamento della zona rossa il 20 luglio. Vi siete espressi dicendo che sarebbe stata un'iniziativa comune, che si sarebbe svolta attraverso azioni molteplici e diverse: con la contestazione e la disobbedienza, con l'accerchiamento dei corpi e delle parole, con la disobbedienza al divieto di accesso alla zona rossa. Le chiedo allora come si intendesse disobbedire al divieto di accesso alla zona rossa: si tratta di parole che sono tutto sommato sinonimo di quelle usate da coloro che avevano detto che intendevano sfondare la zona rossa in termini assolutamente pacifici, quali erano quelli che voi vi proponevate. Le chiedo, dunque, atteso che esisteva un divieto, che esso era largamente «protetto» e che a difesa dell'osservanza del medesimo era schierata la Forza di polizia, come avreste inteso pacificamente non ottemperare al divieto, rectius sfondare la zona rossa e con quali pacifici strumenti.
È stato riferito che venne trovato un furgone attrezzato con medicamenti e che anche nella scuola era stata allestita una sorta di infermeria. Così è stato riferito, ma lo dice anche lei nell'allegato in cui parla delle attrezzature sanitarie: perché avevate previsto tali attrezzature? Evidentemente, dovevate aver previsto anche atti di violenza.
Conseguentemente, le domando da chi pensavate che sarebbero venuti gli atti di violenza se la partecipazione e l'intervento degli uomini del blocco nero sono stati - così come lei ha detto, aggiungendo, anzi, per imprevidenza delle forze dell'ordine - del tutto imprevisti.
Oltre a quanto scritto da lei e da tutto il Genoa social forum il 5 luglio, era a conoscenza della dichiarata intenzione delle tute bianche di portare il corteo a sfondare la zona rossa?
Inoltre, lei che ha partecipato ai cortei e li ha seguiti, ha avuto occasione di vedere manifestanti (parrebbe - il condizionale è d'obbligo - appartenenti alle tute bianche; in ogni caso, manifestanti da definirsi pacifici) che abbiano «coperto» (perché ciò è stato riferito) persone certamente violente e vestite di nero, al fine di impedire alla polizia di raggiungerle e di isolarle?
Ancora, devo osservare che, ripetutamente, anche nelle risposte, avete detto che vi è stato impedito di manifestare pacificamente. La domanda è: vi è stato impedito perché non siete stati tutelati a sufficienza oppure perché sono state vietate alcune manifestazioni? Nel caso fosse giusta la prima ipotesi - quella della inadeguata tutela da parte della polizia dei manifestanti pacifici -, come collega questo fatto con quanto da lei sostenuto, mi pare proprio ieri, in sede europea, e cioè che in Italia sarebbero stati sospesi i diritti democratici, in particolare il diritto a manifestare?

VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. Dunque, il signor o dottor Canterini non l'ho mai incontrato, non lo conosco; a meno che non fosse uno dei funzionari presenti a due incontri (quello con De Gennaro e quello col ministro), non l'ho mai né incontrato né conosciuto.
Abbiamo sempre chiarito - come risulta da conferenze stampa e articoli di giornale - che potevamo, ovviamente, parlare e rilasciare dichiarazioni a nome del Genoa social forum; non a nome di tutti coloro che sarebbero venuti a Genova. Non possediamo l'onnipotenza!
Da parte del Genoa social forum è ovvio che io le risponda che non abbiamo visto assolutamente alcun tipo di violenza. Altrettanto ovvio è che sapevamo - e lo sapevano tutti, perché bastava leggere i giornali, anche se, forse, trattavano dell'aspetto in modo un po' troppo da «romanzo» - della possibile presenza del blocco nero, anche alla luce di quanto avvenuto in altre città. Quindi, noi - proprio per chiarire che rappresentavamo altra cosa e che avevamo un patto che ci legava sulla non violenza - abbiamo condotto tutta l'operazione nella trasparenza. Infatti, abbiamo comunicato ogni passo,


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ogni azione, tutto ciò che avremmo fatto.
Quindi, e arrivo alla terza domanda, sempre in tale ottica, c'è stata sempre estrema trasparenza e visibilità sul fatto che alcune delle organizzazioni e delle associazioni aderenti al Genoa social forum avrebbero praticato la disobbedienza civile attraverso l'utilizzo anche degli scudi; peraltro, si è trattato anche, a mio avviso, di episodi soltanto mediatici: le riviste, i giornali erano pieni della storia sulla vestizione, gli scudi, eccetera. Quindi, la questione era assolutamente di pubblico dominio. Gli scudi, per definizione, servono per difendersi, non per attaccare; d'altra parte, dobbiamo ricordare la vicenda di Göteborg. Ricordate che, alla vigilia del vertice di Genova, ancora nessuno sa se il manifestante di Göteborg sia vivo o morto. Dunque, si è posto un problema di difesa per persone che hanno deciso di attraversare la linea rossa come atto di disobbedienza. Inoltre, se non sbaglio (è presente nella memoria da noi consegnata), proprio il 19 mattina si svolge la perquisizione da parte delle forze dell'ordine allo stadio Carlini, durante la quale vengono trovati gli scudi. Dunque, non erano nascosti e, infatti, vengono considerati legittimi, non vengono requisiti. Pertanto, la terza domanda che lei mi ha rivolto credo sia collegata alla quarta: mi riferisco a quando lei dice cioè che nella nostra dichiarazione del 5 luglio parliamo di accerchiamento dei corpi e delle parole nonché di disobbedienza rispetto alla zona rossa. È evidente che, se all'interno del Genoa social forum una parte pratica la disobbedienza civile - e questa viene riconosciuta come una pratica pacifica e non violenta dall'insieme del movimento -, la stessa parola, tuttavia, dice «disobbedienza». Quindi, chi la pratica - come sempre, in tutto il mondo, nella storia della disobbedienza civile - se ne assume la responsabilità penale nonché i rischi fisici, connessi appunto all'uso sia pure non violento, civile e senza strumenti offensivi, della disobbedienza.
Quindi, gli scudi erano uno strumento di difesa nei confronti di una prevedibile reazione delle forze dell'ordine rispetto al fatto che una parte dei manifestanti avrebbe cercato pacificamente di entrare nella zona rossa. Ho forse sbagliato la domanda ?

GIAN FRANCO ANEDDA. Lei ha descritto la reazione delle forze dell'ordine alla disobbedienza civile; fermi restando i vostri legittimi convincimenti, non ritiene che fosse legittima anche la reazione della Polizia per fare in modo che si ottemperasse al divieto di accesso?

VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. Mi scusi, è quello che non è avvenuto. Non vi sarebbe stata una reazione della Polizia - tra l'altro qui c'è proprio un gioco di parole - qualora il corteo delle tute bianche avesse commesso dei reati, cioè avesse superato il divieto a manifestare (vale a dire la zona non autorizzata), tentando di arrivare alla zona rossa.
È chiaro che ci sarebbe stata una reazione, come diceva De Gennaro, commisurata alla pratica: un tentativo di passaggio non violento, solo con gli scudi, è diverso da altri tipi di pratiche. Tutto questo non c'è stato ed era il terreno su cui le persone che hanno deciso di praticare la disobbedienza civile si sarebbero assunte la loro responsabilità; c'è stata un'altra vicenda, che documentiamo tramite una memoria, quella relativa al comportamento dei carabinieri che hanno attaccato un corteo assolutamente pacifico che stava percorrendo una zona autorizzata: questa è la situazione che si è determinata.
Dal mio punto di vista, il problema è di capire se esista la possibilità di coniugare un atto di disobbedienza con un atto pacifico: in proposito vi è una lunga tradizione storica di personaggi, che meritano ben altre citazioni rispetto a noi, lo diciamo in punta di piedi, e quindi pensiamo che chi ha tentato di praticare quella iniziativa si sia voluto richiamare a quel filone.

GIAN FRANCO ANEDDA. In punta di piedi ....!


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VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. Ho usato il termine in punta di piedi calibrando le parole per rispetto nei confronti delle persone (Gandhi ed altri) a cui mi riferisco.
La quinta domanda è relativa al furgone attrezzato per i medicamenti. Vorrei fare una precisazione perché su questo punto vi è stata una grande confusione. Il servizio sanitario del GSF operava nella scuola Diaz, dove c'era il centro stampa, non nella scuola Pertini. Provi a mettersi nei nostri panni ed a leggere su tutti i giornali notizie di camere mortuarie che si preparavano, di armi di tutti i tipi che dovevano arrivare, di campi di preparazione e di allenamento per nuovi strumenti da utilizzare in piazza e via dicendo; poi pensi alle storie precedenti, come Göteborg.
Avete già sostenuto che, forse, siamo stati degli irresponsabili perché non abbiamo organizzato il servizio d'ordine, ma si rende conto che, se non avessimo organizzato un minimo di assistenza sanitaria - lo affermo anche come medico - sul piano etico sarebbe stato inaccettabile, vista la difficoltà e il ritardo enorme con cui in quel contesto molte volte arrivano i soccorsi pubblici? Tra l'altro, con questi ultimi e con l'impiego delle varie ambulanze il servizio sanitario del Genoa social forum ha collaborato perché c'erano delle situazioni di emergenza. Persone che, come noi, hanno questo ruolo, ovviamente, hanno dovuto assolutamente prevedere tutto questo.
Sulla questione delle tute bianche e della zona rossa credo di avere già risposto. Lei mi dice che parrebbe che le tute bianche abbiano difeso i neri: no, è successo altro. Anche nei cortei delle tute bianche sono state bloccate ed espulse - e anche su questi episodi vi sono documentazioni filmate - persone che volevano praticare scelte diverse da quelle del Genoa social forum e che avevano cercato di inserirsi all'interno di quel percorso.
Poi vi sono altre testimonianze, ma tutto ciò fa parte di accertamenti, dei quali non vi abbiamo portato la documentazione, circa episodi relativi all'espulsione di qualcuno dal corteo. Vi sono testimonianze di alcune di queste persone che hanno un diverso rapporto con i carabinieri: questo è ciò che è avvenuto. Sono a conoscenza che oggi pomeriggio ascolterete Luca Casarini, ma non è un mistero che egli sia stato accusato da determinate aree di aver tenuto lontano le tute nere: tutto ciò mi sembra importante.
La penultima domanda verteva sulla questione relativa alla mancata effettuazione di manifestazioni democratiche. È evidente che le manifestazioni erano state autorizzate, quindi vi era stato un aspetto di rispetto formale della democrazia, a cui non è conseguito un rispetto reale, perché quelle autorizzazioni non si sono tradotte in un diritto a manifestare: il corteo delle tute bianche è stato attaccato dalle forze dell'ordine quando seguiva un percorso autorizzato. Non parliamo di quello che è successo ai manifestanti di Lilliput che, camminando con le mani colorate di bianco verso l'alto, ne hanno prese più che a sufficienza; in piazza Dante sono stati lanciati anche i lacrimogeni.
Non è stato rispettato il diritto di manifestare, anche se le dimostrazioni in piazza Dante e piazza Manin erano state autorizzate.
Passando all'ultima domanda, certamente io ho sostenuto - anche lì calibrando le parole - che vi sono stati momenti di sospensione della democrazia e mi riferivo alle giornate di Genova: a Genova il diritto costituzionale a manifestare in modo pacifico, ovviamente con la tutela delle forze dell'ordine, è stato, più di una volta e non per qualche minuto, sospeso. Ritengo anche che sia stato ampiamente sospeso (argomento che oggi stiamo trattando molto poco perché avete avuto varie audizioni, materiale e, soprattutto, perché non abbiamo voluto interferire con il lavoro della magistratura e dei nostri avvocati) in diversi atti di violenza compiuti dalle forze dell'ordine su manifestanti pacifici: lì si sospende il diritto democratico, perché esse hanno il dovere di tutelarlo, senza parlare di Bolzaneto ed altro, perché su quei fatti vi sono inchieste della magistratura.


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SAURO TURRONI. Ringrazio per la ricostruzione che ci è stata fornita che, per la verità, è la prima così puntuale. Vorrei chiedere se vi siano, insieme a questa ricostruzione scritta, e se intendiate consegnarceli, raccolte di filmati in ordine cronologico e fotografie che documentino temporalmente la successione dei fatti.
Io ho ascoltato molto attentamente quanto avete riferito e risulta anche dalla relazione consegnata che vi è stata una dettagliata e costante azione di informazione di quello che sarebbe successo a piazza Manin, a piazza Dante e via dicendo.
Noi avevamo avuto sulla ricostruzione della questione dell'accerchiamento della zona rossa e delle piazze tematiche una diversa interpretazione dei fatti, vale a dire che quello che sarebbe successo nelle piazze tematiche era del tutto ignoto e che le informazioni che voi avevate fornito erano assolutamente generiche. Vorrei dunque conoscere esattamente - insieme a tutti gli altri colleghi - se le informazioni su ciascuna presenza, su ciascuna partecipazione e su ciascuna azione che avveniva in ognuna delle piazze tematiche corrisponde a quello che è stato enunciato per queste due.
Ancora, con riferimento al corteo che è stato coinvolto negli scontri di via Tolemaide, le informazioni che noi avevamo, desunte da precedenti audizioni che abbiamo svolto, dicono esplicitamente che il corteo non era autorizzato. L'ordinanza del 19 luglio del questore, invece, prevede un'altra cosa - come si evince dalla stessa ordinanza -, vale a dire che era vietato un tratto di corteo tra piazza Verdi, via XX Settembre e piazza De Ferrari.
Vorrei porvi alcune domande. In primo luogo, nel momento in cui avviene l'attacco al corteo, che il dottor Agnoletto ha indicato, questo corteo si trovava già nel tratto compreso tra piazza De Ferrari e piazza Verdi, cioè nel tratto vietato, oppure si trovava ancora nel tratto che non era stato vietato dall'ordinanza del questore?
Seconda domanda: chi ha comandato la carica? Si trattava di un funzionario di pubblica sicurezza cui la legge affida la responsabilità dell'ordine pubblico e la direzione delle operazioni?
Avete detto che davanti al corteo vi era un gruppo di contatto; nello svolgimento del corteo, che pare parta dallo stadio Carlini intorno alle ore 13,30, fino al momento in cui vi è stata la carica nei confronti dello stesso corteo, questo gruppo ha avuto contatti con responsabili dell'ordine pubblico che dovevano essere, secondo le altre ordinanze, a fianco o avanti ad esso, per occuparsi del corteo medesimo?
Vorrei chiedervi un'ultima cosa in merito a tale corteo: che cosa hanno incontrato i manifestanti dalla partenza fino al momento in cui il corteo è stato attaccato? Vorrei sapere, cioè, se vi erano, lungo il corteo, luoghi che erano stati già oggetto di precedenti manifestazioni, scontri, cariche, incendi, devastazioni e così via.
Ultime due domande, presidente. Vorrei che il dottor Kovac ci raccontasse in dettaglio, con maggiore precisione, il contenuto della telefonata intercorsa fra lui e il dottor Mortola, che a suo dire è avvenuta nell'intervallo di tempo tra le 21,30 e le 22,30 della sera del 21 luglio.
L'ultimissima domanda riguarda la questione delle luci. Il dottor Agnoletto ha detto che le luci erano accese, a noi è stato ripetuto più volte che le luci erano spente. Vorremmo comprendere cosa è successo alle luci nella cosiddetta people house. Dunque, c'è stata un'irruzione, una perquisizione, nonché feriti sia fra le forze dell'ordine sia tra i manifestanti. Dai documenti di cui voi disponete, risulta che luci fossero accese o spente? Chiedo ciò in modo che si possa comprendere cosa è successo. C'erano, ad esempio, elicotteri con fari accesi?
L'ultima domanda, presidente, riguarda la vicenda del centro stampa. Nelle precedenti audizioni abbiamo saputo che la perquisizione al centro stampa è avvenuta per errore e che il funzionario che dirigeva l'operazione o che aveva un'alta responsabilità nella vicenda avrebbe - non appena saputo di questo incidente di percorso (cioè, il fatto che sia stata effettuata


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questa perquisizione indebita) - immediatamente interrotto la perquisizione, dicendo a chi vi era entrato erroneamente di allontanarsi. Lei, nella sua relazione e nei suoi interventi, afferma cose sostanzialmente diverse. La Polizia entra con la forza nella scuola Diaz: vorremmo capire come sia avvenuto questo ingresso, in quanto, fino ad ora, non lo abbiamo saputo.

PRESIDENTE. Senatore Turroni, la invito a concludere.

SAURO TURRONI. Ho quasi finito, presidente.
Seconda questione: dottor Agnoletto, quando lei è arrivato c'erano ancora i poliziotti all'interno? Inoltre, del materiale che è stato sequestrato e distrutto, quello sequestrato è stato restituito? Che fine ha fatto? Chiedo ciò perché ci è stato detto testualmente da chi abbiamo ascoltato che, se fossero stati sequestrati documenti, carte, hard disk e quant'altro - atteso che il sequestro era avvenuto in modo indebito -, il materiale sarebbe già stato restituito dal magistrato (testuali parole).

PRESIDENTE. Darei subito la parola al dottor Kovac, il quale credo che abbia già riferito sul punto.

SAURO TURRONI. Se può ripetere...

PRESIDENTE. Se deve ripetere, può leggersi lo stenografico, altrimenti, se ha qualcosa da aggiungere...

STEFANO KOVAC, Rappresentante del Consorzio italiano di solidarietà. Su questo punto non ritengo di dover aggiungere nulla di più rispetto a ciò che ho già detto. Le cose sono quelle, tra l'altro vi è anche una dichiarazione all'ANSA della sera in cui è stato ascoltato il questore nella quale ripetevo più o meno le stesse cose.
Presidente, volevo solo segnalarle che sono in debito di una risposta all'onorevole Mascia in merito a piazzale Kennedy.

PRESIDENTE. Se vuole colmare la lacuna, prego.

STEFANO KOVAC, Rappresentante del Consorzio italiano di solidarietà. A piazzale Kennedy vi erano sostanzialmente due cose principali. Il punto di informazione, dove le persone ricevevano la cartina che abbiamo consegnato prima e che è agli atti, che riguardava le manifestazioni, e un'altra cartina che riguardava i posti di accoglienza. Le persone, inoltre, ricevevano anche altre informazioni e venivano smistate tra i vari campi. Vi era, poi, un punto in cui si reclutavano eventuali volontari per attività di traduzione o altro, vi era un grande spazio per spettacoli e concerti, che in realtà è stato utilizzato limitatamente, in quanto da venerdì sera in segno di lutto avevamo deciso di sospendere tutte le attività, per così dire, ludiche, e un grande spazio di ristorazione.

PRESIDENTE. A questo punto credo che debba intervenire il dottor Agnoletto in merito alle domande poste dal senatore Turroni.

VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. Per quanto concerne la prima domanda, relativa al materiale video, qualcosa verrà già proiettata da Luca Casarini questo pomeriggio. Vedo che sono stati già allestiti gli schermi per la proiezione.

PRESIDENTE. Dottor Agnoletto, ha capito male. Gli schermi sono utilizzati per altre finalità. Casarini ci fornirà una cassetta che poi visioneremo, non vedremo il filmato con Luca Casarini.

VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. Mi scusi, ho interpretato male la presenza in aula degli schermi: come vede, è sempre meglio rimanere ai fatti. Dunque, una cassetta verrà consegnata da Luca Casarini e il resto del materiale è in mano ai nostri avvocati per tutte le questioni processuali.


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Comunque, mi farò sicuramente parte attiva nel porre questa questione, che non avevamo considerato.
Le informazioni sulle piazze sono state date in modo molto preciso e, oltretutto, faccio presente che nel documento che abbiamo consegnato al presidente si dice che il questore prende atto delle pubbliche manifestazioni stanziali nelle seguenti piazze: Manin, dello Zerbino, Paolo Da Novi, Dante e Carignano, che poi sono quelle nelle quali si sono verificate le cariche. Comunque, su tali aspetti vi è, poi, Fabio Lucchesi di Lilliput che chiedeva di poter dire una cosa.
Non dico nulla relativamente alle domande sulle tute bianche, in quanto c'è Chiara Cassurino; posso solo dire che a noi i documenti arrivati sono quelli (se poi dopo non li hanno autorizzati e si sono dimenticati di comunicarcelo, non lo so).
Per quanto riguarda la questione delle luci, esiste un video - un filmato di Indymedia - il quale dimostra che, al momento dell'ingresso delle forze dell'ordine, le luci erano accese.

PRESIDENTE. Può cortesemente ripetere alla presidenza il nome della rete televisiva?

VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. Indymedia. Possiamo provvedere a consegnarlo noi stessi, se lo ritiene opportuno.

PRESIDENTE. Le saremmo molto grati.

VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. Confermiamo la questione dell'elicottero che sorvolava le scuole durante lo svolgimento dei fatti.
Relativamente al centro stampa, quando sono intervenuti hanno travolto le persone che erano davanti, di cui possiamo fare i nomi (per esempio, Stefano Renzi, che è il responsabile dell'ufficio stampa del Genoa social forum). Questo relativamente alla Diaz. Il materiale che è stato asportato non ci è stato restituito, ma il problema è che mi risulta manchi anche un verbale di sequestro. Quindi, la questione è ancora più complicata.
Relativamente alle questioni delle tute bianche e di piazza Manin, lascerei la parola agli altri, nell'ordine che deciderà la presidenza.

SAURO TURRONI. Mi scusi, dottor Agnoletto, vorrei sapere se coloro che perquisivano fossero ancora dentro l'edificio quando lei è arrivato.

VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. Erano dentro l'edificio quando sono entrato, cercando di capire cosa stava succedendo, e sono rimasti dentro per parecchio tempo.

SAURO TURRONI. Si riferisce alla scuola Diaz, sede del centro stampa?

VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. Sì, alla Diaz. Non fino alle 3 (quando si è chiusa l'operazione alla Pertini), ma per molto tempo sono rimasti dentro.

FABIO LUCCHESI, Rappresentante dell'associazione Rete Lilliput. Credo sia abbastanza facile capire la risposta alla domanda sulle piazze. È stato prodotto anche un documento che riguarda il corteo, non solo la richiesta di autorizzazione, ma anche la risposta. Non ne ricordo la formulazione, ma esso cita esplicitamente le piazze da occupare; quindi non c'era semplicemente un atto a conoscenza dell'amministrazione, ma c'era un atto dell'amministrazione. Su quello che sarebbe stato fatto nelle varie iniziative, credo che ci sia stata la massima chiarezza. Avevamo detto chiaramente che avremmo utilizzato la piazza per tutta una serie di attività informative (così come gli agricoltori, per esempio, avevano comunicato che le avrebbero svolte di fronte a piazzale Kennedy). Eravamo stati estremamente espliciti nel chiarire tutto quello che sarebbe stato fatto: abbiamo precisato che in piazza Manin avremmo tenuto un presidio con banchetti e materiale informativo su


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tutta una serie di questioni riportate nella relazione; avevamo detto molto chiaramente che avremmo utilizzato via Zarotti fino in fondo alla rete, per accerchiare la rete stessa; tutto questo era stato comunicato in maniera molto precisa. Evidentemente, però, poiché anche l'accerchiamento della zona rossa, tutto sommato, non era un atto che l'autorità pubblica potesse autorizzare, non è stata fornita risposta da parte dell'amministrazione. Però la comunicazione c'è stata, in termini chiarissimi (Commenti del senatore Turroni). La comunicazione precisa di quello che si intendeva fare nelle varie zone è stata fatta, anche se è chiaro che non vi è una risposta autorizzativa, perché si trattava di attività che, in ogni caso, le forze dell'ordine non potevano autorizzare.

CHIARA CASSURINO, Rappresentante del movimento «Tute bianche». Cercherò di dare ordine ad alcuni elementi che sono emersi. Confermo che questo corteo era autorizzato - come abbiamo detto prima - fino alla fine di via Tolemaide. La carica dei carabinieri è avvenuta all'incrocio tra corso Torino e via Tolemaide, 300 o 500 metri prima della fine di via Tolemaide, quindi in pieno percorso di corteo autorizzato. In merito alla domanda su chi abbia comandato questa carica, voglio descrivere a cosa ci siamo trovati di fronte quando siamo arrivati. Come sapete, siamo partiti dal Carlini intorno alle 13,30. Premetto che prima della nostra partenza - che ha richiesto un po' di tempo perché eravamo molti, circa ventimila - già circolavano voci di scontri in giro per la città tra «blocco nero» e polizia. Allora abbiamo meditato lungamente sulla strada da intraprendere e ci siamo convinti del fatto che, poiché avevamo chiesto l'autorizzazione per il corteo e questo era stato autorizzato sino a quel punto, non dovevamo cambiare il nostro percorso, altrimenti ciò sarebbe stato avvertito come un cambiamento immotivato dell'ultimo momento. Siamo arrivati, quindi, all'altezza dell'ospedale San Martino (che si trova molto prima del luogo dove è avvenuta la carica) e da lì abbiamo cominciato a vedere alcuni segnali, del fumo nero, molto distanti da noi. Ma non abbiamo visto segni di devastazione, banche o negozi devastati, perché sul percorso non ce ne erano, tranne un Blockbuster (tra l'altro!), a cui però non era stato arrecato alcun danno ed era proprio all'uscita del Carlini. Quel negozio, che tra l'altro doveva essere un obiettivo sensibile, non presentava alcun danno.
Ci siamo quindi incamminati verso il corteo e ad un certo punto abbiamo visto, all'altezza di via Montevideo - non so se abbiate una cartina, ma comunque è facilmente rintracciabile - una carcassa di automobile che era stata data alle fiamme. Dal momento però che non usciva fumo, abbiamo immaginato - si vede, del resto, anche dalle immagini - che fosse stata incendiata molto tempo prima. Una cosa curiosa è che non abbiamo visto per terra, nei dintorni, alcun segno di «guerriglia» (sassi, bastoni); quindi la macchina è stata data alle fiamme, ma non c'è stata alcuna colluttazione tra chi ha incendiato la macchina e la polizia, perché non c'erano segni visibili.
Ad un certo punto abbiamo imboccato via Tolemaide, che, fra l'altro, è molto stretta (alla destra vi è anche il cavalcavia della ferrovia). È proprio un imbuto, infatti alcuni di noi la chiamano «trappola», perché è stata una trappola: ci siamo trovati lì dentro imbottigliati. Non abbiamo visto davanti a noi i carabinieri che poi ci hanno caricato, perché sono sbucati improvvisamente da corso Torino, svoltando di novanta gradi verso la testa del nostro corteo.
Premetto che quando siamo giunti all'angolo, abbiamo visto una cinquantina di individui - non vestiti di nero - che sembrava stessero tirando sassi, o altro. Abbiamo visto i carabinieri rincorrere, per un certo tratto, queste persone, le quali sono fuggite nel sottopassaggio che poi si immette in corso Sardegna; i carabinieri hanno desistito dall'inseguimento, hanno svoltato di 90 gradi e hanno caricato l'intero corteo. Questo è ciò che è successo.


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Quindi, la carica non è stata ordinata da alcun funzionario, non c'era alcun funzionario in fascia tricolore che l'abbia ordinata. Noi ci siamo trovati i carabinieri davanti, con una improvvisa pioggia, incessante, di lacrimogeni, una carica a freddo, come si suol dire. Tra l'altro, in lontananza, si vedevano a Brignole. Io, personalmente, ho il mio gruppo di contatto che è il gruppo preposto per prendere, appunto, contatto con il funzionario. Sono, peraltro, rimasta coinvolta nella colluttazione, sono stata fortunatamente tirata dietro uno scudo e sono riuscita, in qualche modo, a proteggermi. Una parte del gruppo di contatto è riuscita a salvarsi ed ha cercato di percorrere la strada fino a Brignole per vedere se trovava un funzionario con la fascia tricolore, ma a quel punto - a parte la pioggia di lacrimogeni - era meglio salvarsi e cercare di respirare. Quindi, anche la parte del gruppo di contatto che si è spinta - come dichiariamo nella nostra relazione - un po' più avanti non ha incontrato, comunque, alcun funzionario in fascia tricolore.
Mi è stato chiesto se lungo il percorso della carica, avessimo avuto dei contatti, con il questore, le forze di polizia. Personalmente ero nel gruppo di contatto e non ho ricevuto alcuna telefonata. Posso anche assicurare che gli altri portavoce non hanno ricevuto telefonate e non c'è stato alcun colloquio con gli stessi. Tra breve sentirete anche Luca Casarini, che vi dirà se personalmente ha ricevuto telefonate. In quel momento, comunque, questa era la situazione.

ERMINIA MAZZONI. Vorrei chiedere al dottor Agnoletto se è in grado di chiarirmi lo schema attraverso il quale si aderiva prima al Patto di lavoro e poi al Genoa social forum. C'erano dei processi? C'erano dei modi di acquisizione e di verifica dei soggetti che aderivano a questa struttura, a questo soggetto più ampio? E quale verifica si faceva dei requisiti di appartenenza? In base a ciò che lei ha detto, dalle relazioni e da ciò che abbiamo acquisito nei giorni scorsi, emerge che i soggetti che hanno aderito al Genoa social forum, lo hanno fatto per sottoscrizione, per adesione, quindi, sembra che da parte vostra non ci fosse un'effettiva verifica. Le pongo questa domanda per chiarire due dubbi che rimangono ancora oscuri.
Vorrei infatti comprendere come possa affermare, con grande sicurezza, che all'interno dei gruppi che si riconoscevano nel Genoa social forum - e che quindi partecipavano alle manifestazioni da voi programmate, comunicate e condotte - non vi fossero anche coloro che non avevano aderito alla «nonviolenza», che non volevano manifestare in maniera pacifica.
Allo stesso tempo, mi resta un altro dubbio sulla modalità di organizzazione della struttura della quale lei è portavoce. Devo fare un accenno seppure minimo al merito del vostro esistere e di un soggetto che manifesta legittimamente, con riconoscimento costituzionale; nel merito, contestate il diritto di otto vertici di assumere decisioni che riguardano i singoli Stati e la regolamentazione dei rapporti tra gli Stati stessi e che incidono, o possono incidere, anche su soggetti terzi. Vorrei sapere che tipo di logica si segua quando poi un soggetto che si costituisce senza uno schema, senza una verifica, senza una procedura di accertamento, manifesta, esprime pensieri, scende in strada, contrasta a nome di un soggetto globale, di una popolazione mondiale.
Rispetto al dato che lei annuncia, le richieste che lei rivolse al Governo per collaborare alla gestione di questo vertice - manifestanti e istituzioni - ricordo che lei aveva posto alcune condizioni: blocco alle frontiere, forze dell'ordine non armate ed altro. In sostanza, lei fa un'elencazione e da ciò deriva anche il suo atteggiamento di contestazione nei confronti dell'istituzione che non ha aderito immotivatamente - da quanto mi sembra di capire - a richieste a suo avviso scontate. Allora, data anche la sua esperienza nell'ambito dei movimenti di piazza e di organizzazioni, le chiedo: cosa avrebbe dovuto fare uno Stato per la sicurezza di una città, dei cittadini e delle strutture, ben sapendo che, anche quando si fa una processione


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religiosa, occorre predisporre un piano di sicurezza, al fine di evitare che la semplice concentrazione di massa di persone arrechi danno a cose e persone?
Rispetto all'impianto di sicurezza, mi sorge un altro dubbio. Non mi sembra di aver sentito alcun collega chiederle perché non abbiate provveduto voi alla tutela dell'ordine pubblico, ma era una domanda. Lei ha colto l'occasione comunque per dire che non eravate voi a dover provvedere all'ordine pubblico, ma le forze dell'ordine. Giustissimo.
Allo stesso modo, allora, le dico che non eravate voi a dover provvedere al pronto soccorso e all'assistenza sanitaria dei feriti ma le strutture che normalmente esistono e che si attivano in una organizzazione di questo tipo, nell'organizzazione di un vertice, quindi di una manifestazione di tale imponenza. In realtà queste strutture c'erano. Quindi non capisco come mai, per questa specificità, voi abbiate ritenuto di allestire un'infermeria e di sostituirvi a chi istituzionalmente è preposto ad altro.
Rispetto poi al dato della ricostruzione complessiva di tutte le vicende che lei fa nella relazione - alla quale si sono associati tutti gli altri, Legambiente, ARCI - l'ho sentita più volte dire che sullo stato dell'arte, prima e dopo le elezioni, dell'organizzazione, della strutturazione logistica del vertice - soprattutto in relazione ai manifestanti - non bisognava chiedere a lei una valutazione su chi governava o chi governa oggi. Non credo che questo fosse lo spirito delle domande. Sicuramente non è questo lo spirito della domanda che le rivolgo; non voglio sapere cosa pensi personalmente del Governo di prima o di oggi al di là di quello che si intuisce o già si conosce. Dalla sua relazione traspare che - in alcuni momenti di grande evidenza lei lo afferma in modo esplicito - le forze dell'ordine caricavano il Genoa social forum ed evitavano il black bloc, evitavano i violenti; questa situazione è stata determinata da un volontario atteggiamento delle forze dell'ordine - e quindi sarebbe necessario rettificare qualche punto della sua relazione se non è questa la sua opinione - oppure, più comprensibilmente, si può attribuire questa situazione di disagio, queste falle create, ad una mancata organizzazione nei tempi giusti, come lei ha detto in apertura di relazione? Lei ha detto che avete iniziato da gennaio ad organizzare ma non vi siete ritrovati ad avere un dialogo continuativo con le istituzioni, con il Governo, se non a partire dalla metà di giugno, da fine giugno - la data non la ricordo esattamente - quando siete stati convocati e avete cominciato a relazionarvi e a parlare di cose concrete. Non è una valutazione sul Governo di prima o di oggi ma una risposta a ciò che lei enuncia nel corpo di tutta la sua relazione. Rispetto ai fatti relativi alla denuncia di presenze neofasciste che lei dichiara di avere fatto, del controllo con esito negativo, lei forse parla di documentazioni perché, agli atti, non risultano queste presenze e non vi è nulla su cui continuare a discutere. Ho letto alcune sue dichiarazioni in merito, anche in altre situazioni, in altri momenti: lei dichiara di essere in possesso di documentazione che accerta e testimonia, in maniera ineccepibile, quanto da lei denunciato e non verificato sul momento. Come mai questa documentazione, che si ripromette ad ogni dichiarazione di consegnare alla magistratura, non è ancora stata consegnata, al fine di arrivare ad un chiarimento effettivo della realtà da lei denunciata verbalmente, ma senza un elemento documentale che la sostanzi?
Ancora, mi permetto di chiederle un ulteriore chiarimento sul concetto di disobbedienza civile; per me il concetto di civiltà risale al senso civico, al rispetto di una regola di normale e buona convivenza poiché, quando si vive in un contesto sociale, ci si danno delle regole che vanno rispettate per evitare che si creino situazioni di caos e di difficoltà. Pertanto, la semplice disobbedienza - credo sia inopportuno definirla civile in quanto tale aggettivo è in contrasto con il concetto di disobbedienza - va automaticamente in direzione del disordine, del caos, che deve essere disciplinato, quindi è un presupposto che alimenta una situazione di difficoltà:


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non voglio definirla violenta e neanche non pacifica, ma si tratta comunque di una situazione di difficoltà che richiede un preciso intervento delle forze dell'ordine.
Un'ultima ....

PRESIDENTE. Mi dispiace, onorevole Mazzoni, il tempo a sua disposizione è terminato.

VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. Se il presidente lo consente, lascerei la prima domanda, relativa ai meccanismi di appartenenza al Genoa social forum, a Raffaella Bolini, che ha seguito proprio questi aspetti.
Relativamente alla seconda domanda vorrei precisare che noi non contestiamo otto vertici, ma contestiamo la legittimità del fatto che otto Stati assumano decisioni le cui conseguenze ricadono sull'insieme del pianeta. Questo è ciò che noi contestiamo, poiché riteniamo che gli otto governanti siano stati eletti per governare le loro nazioni e non per assumere decisioni che coinvolgono miliardi di persone, che sono persone deboli, individualmente e collettivamente, perché vivono in paesi dove la povertà domina e dove oltre un miliardo e 300 milioni di persone vivono con meno di un dollaro al giorno. Noi contestiamo questo tipo di decisioni; contestiamo strutture come il G8 e il WTO, che nessuno ha eletto, ma che prendono alcune decisioni (quale quella relativa alla proprietà intellettuale sui farmaci per 20 anni, che impedisce ad altri di produrli, oppure le decisioni relative allo scudo spaziale, e via dicendo) che ricadono anche su altri. Tuttavia credo che questo - se lei desidera se ne può discutere in altra sede - non appartenga al ruolo ....

PRESIDENTE. Mi scusi, dottor Agnoletto, non credo che la domanda si riferisse a questo aspetto.

ERMINIA MAZZONI. Come ho detto in premessa, non voglio entrare nel merito, ma sarei ben lieta di poterne discutere approfonditamente. Ho chiesto, proprio in tema di strutturazione, come mai contestiate il diritto dei vertici di Stati, di otto capi di Stato, di assumere decisioni che possano incidere sul destino di altri - lei ha detto poco fa che contesta il WTO perché non è stato eletto - quando poi lei parla a nome di una collettività, senza essere stato eletto. Non riesco a capire quale sia la struttura che lo ha legittimato, da chi è composta questa struttura, e neanche lei mi ha dato una risposta diretta, rinviandomi alla signora Bolini. Vorrei sapere se esistano dei documenti, uno schema preordinato, che riguardino la costituzione del Genoa social forum. Se ci sono, credo che lei dovrebbe conoscerli.

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Mazzoni, la domanda ora è chiara.

VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. Non credo di dover rispondere a questa domanda, perché non credo sia il caso di iniziare un dibattito politico in questa sede, non è questo il mio ruolo. Posso solo permettermi di dire che il Genoa social forum non pretende di assumere decisioni per nessun altro: questa è la grande differenza. Se noi prendiamo una decisione, questa non ricade sul Sudafrica, ma fa parte di un dibattito politico.
Alla sua domanda risponderà Raffaella Bolini soltanto perché ha seguito, in particolare, questi aspetti; tuttavia, ribadisco che tutto è scritto, con esattezza, nei nostri documenti, che in parte abbiamo consegnato ed in parte vi saranno fatti pervenire nei prossimi giorni soltanto perché abbiamo dimenticato di portarli a Roma: riguardano l'adesione al Genoa social forum.
È evidente che per aderire ad un coordinamento si devono sottoscrivere e condividere le opzioni per cui esiste quel coordinamento e tali opzioni riguardano sia i contenuti che gli obiettivi. Si sta insieme perché si è contro questa globalizzazione e perché si condividono le modalità per tradurre in pratica quelle opinioni. I documenti fanno parte del materiale consegnato: questo è ciò che posso dire, poi Raffaella Bolini entrerà nel dettaglio.


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Con riferimento al problema della sicurezza, anche se non sono ministro, non voglio sottrarmi a questa domanda. Lei ha portato un esempio, quello della processione: se me lo consente, ne farò un altro: tutte le domeniche, ultimamente anche di sabato, ci sono le partite di calcio e, quando ci sono dei gruppi di facinorosi e di esagitati che compiono atti di violenza - non so se lei sia tifosa ma comunque credo le sia capitato di assistere a tali episodi - cosa accade? Le forze dell'ordine si concentrano su quell'area per cercare di limitare le violenze oppure, se soltanto cinquemila persone sono violente e vogliono invadere il campo, le forze dell'ordine decidono di caricare tutte le 80 mila persone presenti nello stadio o addirittura decidono di attaccare gli altri 75 mila lasciando che i 5 mila facciano ciò che vogliono? Questo è il problema dell'ordine pubblico dal nostro punto di vista: i black bloc hanno perpetrato le loro azioni violente in modo assolutamente tranquillo ed indisturbato, mentre gli altri sono stati caricati. Le ho portato l'esempio dello stadio perché mi sembra rappresenti piuttosto bene la situazione. Il problema, per quanto ci riguarda, non è mettere in discussione la sicurezza, ma è capire di che tipo di sicurezza stiamo parlando. Se la concezione della sicurezza consiste nel creare un centro blindato, con 30 mila persone, per permettere ad otto Grandi di fare una riunione, mi chiedo se tale concetto non comprenda anche la tutela dei diritti di tutti, previsti dalla nostra Costituzione, cioè anche la tutela di coloro che manifestano pacificamente. Mi sembra che l'immagine dello stadio rappresenti bene ciò che è accaduto e ciò che invece sarebbe dovuto accadere.
Relativamente alla questione delle strutture sanitarie, vorrei dire che c'è una differenza. Intanto a me risulta che per prestare soccorso non sia necessario chiedere permessi o autorizzazioni, mentre per altri aspetti si pongono problemi diversi. Vorrei anche chiederle: quante volte nel corso di manifestazioni di questo tipo si sono presentati problemi di ritardi nei soccorsi? Poiché stiamo parlando di persone, di vite umane, credo sia stato un gesto di grandissima responsabilità da parte nostra. Tra l'altro, la nostra azione è stata coordinata con quella delle strutture pubbliche ed è stato un bene aver collaborato e coordinato, visto poi cosa è successo! Oltretutto, le posso dire, a posteriori, che aver attivato quella struttura di primo soccorso è stata una fortuna considerato cosa è accaduto in alcuni ospedali. In ogni caso vi sono altre inchieste in corso su questi aspetti e non voglio superare i limiti.
Relativamente alla domanda sui ritardi potrà risponderle Fabio Lucchesi entrando un po' di più nel merito. Mi permetterò soltanto una battuta: il ritardo nella disponibilità delle strutture logistiche ed il fatto che queste ultime fossero il 50 per cento di quelle che noi avevamo ritenuto necessarie ha costituito sicuramente un grave danno per lo svolgimento dei dibattiti, dei public forum e per l'accoglienza, ma, il modo di intervenire in piazza, in una zona della città piuttosto che in un'altra, non dipende dal fatto che 20 mila persone abbiano o meno un tetto sotto cui dormire: è una scelta autonoma. Ognuno si prenda le proprie responsabilità.
Da cosa è dipeso? Lo chiedo io, da cittadino, alle istituzioni. Mi limito a constatare quanto è accaduto.
Riguardo alla documentazione sulla presenza della destra, non potevamo fare nulla di più che indicarla alle forze dell'ordine. Lei mi ha chiesto perché non l'abbiamo verificato. Mi guardo bene dal verificare di persona se nella zona indicata fossero arrivati pullman di gruppi di estrema destra: abbiamo intenzione di fornire materiale. Ovviamente, la persona che si espone a testimoniare ha seguito un percorso di riflessione, poiché si tratta di questioni delicate. Prima di parlare in questa sede ho chiesto alla persona se fosse definitivamente disponibile a testimoniare, altrimenti non avrei detto nulla. Oggi sono in grado di riferirvi che una persona, a cui ho chiesto di mettere per iscritto questa decisione affinché potessi comunicarla, testimonierà presso la magistratura. Mi sembra un percorso corretto.


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Francamente, non so cosa rispondere sulla questione della convivenza civile, perché dovremmo aprire un dibattito sull'educazione civica nella scuola. Ho già spiegato cosa penso riguardo alla disobbedienza civile: mi limiterei a quello; non ritengo di aggiungere altro. Mi pare che Fabio Lucchesi non abbia da aggiungere nulla; lascio quindi la parola a Raffaella Bolini sulla questione delle pratiche di adesione.

RAFFAELLA BOLINI, Rappresentante dell'ARCI. La mia risposta sarà deludente per chi ha posto la domanda perché per aderire al Genoa social forum era sufficiente sottoscrivere l'appello costitutivo dello stesso del Genoa social forum medesimo che si richiamava alla contestazione del G8 attraverso iniziative pacifiche e non violente. Forse sarà deludente, però vorrei fosse chiaro che la società civile è una cosa seria. Non so se esista un magistrato...

PRESIDENTE. Mi scusi, signora, la domanda è: come si aderisce?

RAFFAELLA BOLINI, Rappresentante dell'ARCI. Non sto commentando; dico che si aderisce al Genoa social forum esattamente nei modi previsti per l'associazione ai partiti, alle coalizioni, ai programmi, esattamente nella stessa maniera. La sottoscrizione pubblica del patto del Genoa social forum costituisce un'assunzione di responsabilità culturale e politica. Riguardo a ciò, mi permetto di esprimere un rammarico: mi dispiace molto di non aver potuto portare le registrazioni televisive. Ero a piazzale Kennedy (ma so che sono state fatte riprese anche al Carlini) dove ricordo che il Tg1 ha filmato tutte le assemblee che si sono tenute il 20 luglio nel pomeriggio, dopo le cariche e dopo la morte di Carlo Giuliani. Da queste registrazioni risulta ciò che tutti i portavoce del GSF, dagli esponenti delle organizzazioni più moderate (uso un termine giornalistico) a quelli delle associazioni più radicali, hanno detto e fatto per tenere calma e tranquilla la gente che, tornata dalle manifestazioni, dopo aver visto cariche infernali ed essere stata oggetto di pestaggi, ferimenti e arresti e dopo la morte di un ragazzo, ovviamente, era in uno stato di tensione e di fibrillazione (Commenti). Tutti gli esponenti del Genoa social forum hanno fatto il possibile per mantenere la calma, dimostrando così di aver preso molto sul serio il patto sottoscritto con un atto politico.

MARCO BOATO. Vorrei ringraziare sia i rappresentante del Genoa social forum, nelle sue varie articolazioni, sia i due esponenti delle ACLI, che ora si sono allontanati, per il contributo che stanno fornendo al nostro lavoro; un lavoro di ricostruzione dei fatti, non un dibattito politico su movimenti, partiti e associazioni, che costituisce oggetto dell'attività parlamentare, politica e della società civile, ma che non può avere luogo in questa sede. Condivido in modo particolare l'affermazione della rappresentante di Pax Christi riguardo l'utilità del nostro lavoro, anche sotto il profilo della pace.
La questione più importante che oggi emerge per quanto riguarda la conoscenza degli eventi (oltre alla ricostruzione dei fatti, che non richiamo) è stata focalizzata con attenzione da parte dei rappresentanti del Genoa social forum: si tratta del preavviso consegnato il 16 luglio alle autorità di pubblica sicurezza, con le varie richieste, che ora abbiamo in copia, ma che non è contenuto nel materiale che il prefetto di Genova ci ha consegnato. Il materiale che ci ha inviato il prefetto di Genova si ferma, per quanto riguarda il Genoa social forum, al 13 luglio. L'atto fondamentale, l'ultimo preavviso riguardo le manifestazioni, o le piazze tematiche richieste, del 16 luglio, che oggi abbiamo acquisito, non compare nella documentazione di cui disponevamo.
L'altro elemento fondamentale è il decreto del 19 luglio (noto che formalmente si chiama così, o anche provvedimento, come risulta dall'audizione del questore); ciò che qualcuno ha detto, e che ha affermato anche il prefetto De Gennaro, mi sembra correttissimo. Egli ha sostenuto che non si autorizza, ma che ci sono dei


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preavvisi, rispetto ai quali, per motivi di ordine pubblico, si deroga alla regola generale secondo cui si può sempre manifestare pacificamente. Correttamente, l'ordinanza del 19 luglio, rispetto ai preavvisi, stabilisce ciò che è vietato, prendendo atto, invece, in particolare, di due fattori: di alcune piazze tematiche (non ricordo quali, ma sono state citate più volte) e di una manifestazione fino a piazza Verdi, se non ho capito male. Ciò presuppone (anzi era detto esplicitamente) che nel tratto compreso tra piazza Verdi e piazza De Ferrari il transito del corteo preavvisato fosse vietato.
Dal punto di vista del nostro lavoro si tratta della questione fondamentale, perché nella giornata del 20 luglio, prima di quel corteo, sono avvenuti numerosi episodi di violenza che gli stessi rappresentanti del Genoa social forum hanno denunciato (denunciato qui; se erano al corteo non partecipavano agli episodi di violenza), ricordandone la gravità (penso sia compito della polizia giudiziaria, in particolare, fare queste denunce). Vi sono stati molti episodi di violenza durante la mattina del 20 luglio, ma ciò che cambia la dinamica è il rapporto tra le forze di polizia ed il corteo che parte dallo stadio Carlini, che, per espressa dichiarazione del questore, è vietato da piazza Verdi a piazza De Ferrari. Chiedo di prestare attenzione a questo avvenimento, che costituisce la novità dal punto di vista della ricostruzione del fatto.
Poiché ho poco tempo a disposizione, chiedo al dottor Agnoletto, o a chi voglia rispondere, di specificare se il contenuto dei primi due capoversi («abbiamo appreso, abbiamo apprezzato») della lettera dell'11 aprile, corrisponda al vero.
Per quanto riguarda l'episodio della sede distaccata di Quarto, avvenuto la sera del 19 luglio, chiedo quale sia stata la dinamica del cambio di utilizzo di quella sede distaccata da parte di esponenti del Genoa social forum, prima, e da parte di altri, dopo. Per quanto riguarda il rapporto tra il 19 e il 20 luglio, chiedo se siano a conoscenza di riunioni di persone non appartenenti al Genoa social forum che si sarebbero eventualmente tenute la sera del 19 luglio, riunioni di cui abbiamo notizia dai rapporti dei Servizi di sicurezza, che non potete conoscere e che ufficialmente non possiamo neppure citare perché sono coperti da riservatezza...

PRESIDENTE. Onorevole Boato, deve rivolgere la sua domanda su questo punto.

MARCO BOATO. La domanda è se abbiate notizia di riunioni avvenute la sera del 19 sera da parte di altri in relazione ad azioni da mettere in atto il giorno successivo.
Inoltre, vorrei sapere se, in relazione alla manifestazione di via Tolemaide, abbiate avuto contatti con il dottor Gaggiano, che ci è stato detto essere il responsabile dell'ordine pubblico in quella circostanza, come risulta, d'altronde, anche dagli atti.
Infine, vorrei sapere se possiate esibire, o trasmettere, al Comitato, complementarmente all'autorità giudiziaria...

PRESIDENTE. Onorevole Boato, devo toglierle la parola perché è esaurito il tempo a sua disposizione. Del resto, l'ho già fatto in precedenza con un'altra collega. Lei dovrebbe formulare prima la domanda e poi eventualmente svolgere le sue considerazioni; invece, ha l'abitudine di far precedere le domande da un intervento. L'avevo avvisata un minuto prima che il tempo a sua disposizione scadesse; credo che lei avesse l'obbligo di formulare le domande per rispetto nei confronti degli altri colleghi.

MARCO BOATO. Posso almeno terminare la domanda che stavo formulando?

PRESIDENTE. Concluda rapidamente.

MARCO BOATO. Stavo chiedendo, e concludo, se possiate fornire al Comitato la documentazione, che invierete sicuramente all'autorità giudiziaria - ma che stiamo acquisendo anche noi, non sulle responsabilità, ma sui fatti -, che riguarda la caserma di Bolzaneto e il rapporto,


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ipotizzato in documenti citati più volte, fra esponenti dell'Arma dei carabinieri e presunte tute nere.

VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. Relativamente alla questione del dottor Gaggiano, noi qui presenti non sappiamo nulla e non lo conosciamo, così come non siamo al corrente di riunioni, non del Genoa social forum, che si sarebbero verificate in quei giorni.
Con riferimento alla documentazione da inviare al Comitato, trasmetteremo agli avvocati la richiesta relativa alla documentazione riguardante la caserma di Bolzaneto così come quella riguardante l'eventuale rapporto tra forze dell'ordine e tute nere.
Per quanto riguarda la struttura di Quarto, posso dire che tra il 19 e il 20 non c'è stato alcun cambio d'uso, nel senso che tale struttura ha sempre avuto come finalità quella di essere un dormitorio, pur non essendolo. Non ha avuto, quindi, cambi d'uso.

STEFANO KOVAC, Rappresentante del Consorzio italiano di solidarietà. Per quanto riguarda la sede di Quarto, l'unica cosa che ci siamo limitati a dire è che nel momento in cui si sono verificati dei problemi (in particolare la vicenda della palestra), è stato avvisato, da parte di una persona indicata nella relazione, mi pare Paolo Arado del direttivo dei Cobas di Genova, l'assessore Massolo, che si è recata nella struttura. Abbiamo detto solo questo, a parte il fatto dell'allagamento, e non abbiamo notizie che siano cambiate persone.

MASSIMILIANO MORETTINI, Portavoce del Genoa social forum genovese. Nella relazione abbiamo detto che l'11 aprile 2001 abbiamo inoltrato al prefetto Di Giovine, il primo, se non ricordo male, documento organico delle richieste complessive, che comprendeva anche un piano di accoglienza, dettagliato rispetto ai tempi; in quel momento non era stata ancora emessa l'ordinanza del prefetto sulla zona rossa e sulla zona gialla. C'erano, pertanto, ancora mille variabili possibili sulla configurazione della città.
Si tratta, quindi, del primo documento che fa riferimento all'incontro della delegazione del Genoa social forum con il capo di gabinetto dell'allora ministro Bianco, mi sembra Sorge, nel corso del quale - non posso che confermare quanto qui scritto - fu manifestata l'intenzione di permettere la realizzazione della «cittadella» (l'ipotesi di un complesso in cui realizzare un public forum, dei concerti e la prima accoglienza per le persone), nonché lo svolgimento delle manifestazioni, e venne, altresì, comunicato che le frontiere non sarebbero state chiuse dall'Italia in quelle giornate.
Pertanto, abbiamo appreso in quella riunione l'intenzione del Governo italiano di lavorare in tali direzioni. In conseguenza di ciò, inoltrammo la lettera, che inizia, se non ricordo male, con le parole «apprendiamo con piacere che lei, signor prefetto», e via dicendo, «è il referente unico». Oltre a quella lettera, gli chiedemmo di incontrarlo e gli fornimmo la prima documentazione, più o meno organica, delle richieste, secondo le indicazioni che nella riunione del 5 aprile lo stesso aveva espresso alla nostra delegazione per cominciare ad acquisire informazioni sulle nostre proposte. Dopo di che (lo specifico perché mi sembra un punto importante) consegnammo il materiale l'11 aprile; venimmo ricevuti di nuovo in delegazione il 20 aprile e in quell'occasione, come è qui scritto, apprendemmo che in realtà - ovviamente non ne conosciamo le ragioni - il prefetto non entrò mai nel dettaglio delle nostre richieste, né confermò o tanto meno autorizzò alcuna delle richieste che avevamo avanzato. Se questa fosse una decisione del prefetto o un cambio di direzione da parte del Governo, ovviamente non posso saperlo.

IDA DENTAMARO. Vorrei rivolgere prima di tutto una domanda al rappresentante della Rete Lilliput, il signor Fabio Lucchesi.
Apprendiamo che al presidio di piazza Manin si sapeva, con un anticipo di almeno


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30 minuti, dell'imminente arrivo di uomini del black bloc. Le chiedo, pertanto, se di questo abbiate avvertito, o abbiate cercato di avvertire, le forze dell'ordine, o altro, e comunque se le risulti che le stesse forze dell'ordine ne fossero al corrente, così come lo eravate voi.
Al dottor Morettini, intervenuto per ultimo, vorrei chiedere qualche ulteriore approfondimento sull'incontro del 20 aprile. Innanzitutto vorrei sapere se sia possibile avere copia della lettera e di tutta la documentazione consegnata l'11 luglio. Riguardo poi l'incontro del 20 aprile, vorrei capire un po' meglio: è strano che il prefetto vi abbia convocati sostanzialmente per non dirvi nulla. Quindi vorrei sapere come, in realtà, si sia svolto l'incontro. Che cosa è stato detto? Non sono state nemmeno ventilate, lasciate trasparire, le ragioni per le quali non si era in grado di fornire approfondimenti rispetto a quel documento da voi consegnato nove giorni prima. E comunque, quella riunione si è conclusa con una qualche forma di impegno a rivedersi a breve? Si è capito che aria tirava? Si è capito che in quel breve scorcio di legislatura, con quel Governo che restava in carica fino alle elezioni del 13 maggio, non ci sarebbe stata più interlocuzione sul punto con il prefetto di Genova (che era stato delegato, a tutti gli effetti, dal Governo ad occuparsi dell'organizzazione)? Non so se è chiara la domanda: che cosa vi siete detti con precisione? Oppure avete soltanto preso atto che il prefetto vi aveva convocato per non dire nulla, in quanto non aveva nulla da dire?
Vorrei porre una domanda a chi riterrà di rispondere. Ci consta che comunque il Governo Amato abbia continuato, almeno fino al 5 giugno, a intrattenere rapporti con la GNG (Genoa non governmental initative) - sto leggendo le parole testuali scritte dal presidente Amato al presidente di questo Comitato - «retta da un comitato rappresentativo appunto delle ONG, compresi alcuni dei promotori del Genoa social forum: ARCI, Campagna sdebitarsi, WWF, rete Lilliput, oltre alla presenza italiana delle ONG». Un certo numero di rappresentanti delle ONG sarebbero stati ricevuti a palazzo Chigi il 5 giugno. Chiedo se qualcuno del Genoa social forum fosse presente a tale incontro. Ho compreso che tutti i fatti organizzativi delle manifestazioni parallele al vertice di Genova non erano oggetto specifico di interesse della GNG, ma in quella occasione si parlò comunque di aspetti organizzativi riguardanti il vertice di Genova?
Vorrei continuare ad approfondire i rapporti tra Governo e Genoa social forum. Colgo l'occasione per darvi atto che il GSF è stato legittimato come interlocutore per opera di due governi della Repubblica italiana: ciò dovrebbe dissipare alcuni dubbi. Se ho capito bene - ma vi chiedo di confermare - il 24 giugno, con il nuovo esecutivo, attualmente in carica, si è svolta la riunione in cui definitivamente il Governo dichiara di accettare lo svolgimento delle vostre manifestazioni in concomitanza con il vertice. Il 28 giugno vi riunite con i ministri Scajola e Ruggiero, senza affrontare in dettaglio aspetti di ordine pubblico: il ministro Scajola vi rassicura e vi fornisce le massime garanzie sulla libertà di manifestare, senza trattare specificamente le modalità attraverso le quali si sarebbero svolte le manifestazioni e sarebbe stato garantito l'ordine pubblico. Vi chiedo di confermare ciò.
Le chiedo, poi, dottor Agnoletto, se è vero quanto pubblicato da Il giornale l'11 luglio scorso, cioè che il ministro Ruggiero le chiese di farsi promotore di un incontro con il cantante Manu Chao. Ci risulta che il 13 luglio vi sia stato l'incontro del ministro Ruggiero e della dottoressa Paolini con le ONG e con il forum del terzo settore: chiedo se qualche rappresentante del Genoa social forum fosse presente.
Vorrei porre una domanda a Chiara Cassurino, che si è soffermata sul corteo di via Tolemaide: è vero che non avete visto - se ho capito bene - il funzionario di pubblica sicurezza con fascia tricolore che comandava il contingente di carabinieri che ha caricato? Dico questo in quanto, da ciò che si desume dalle immagini forniteci, quel funzionario si trovava dietro, alle spalle del contingente, e voi quindi


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non avreste potuto vederlo. Lei, però, non può escludere che vi sia stato un ordine in questo senso. Mi rendo perfettamente conto che è normale immaginare che un ordine di caricare provenga da chi si trova alla testa del contingente e non da chi è alle spalle, però lei non può escludere che tale ordine vi sia stato.
Chiedo ancora al dottor Agnoletto - ma anche ad altri, se riterranno opportuno rispondere - se abbia avuto notizia nel corso di quei tre giorni - e, in caso positivo, la prego di parlarne dettagliatamente - di violenze o di attacchi, in particolare, nei confronti delle forze dell'ordine, perpetrati da persone non identificabili, almeno presumibilmente, come uomini del black bloc. Abbiamo sempre parlato dei presunti black bloc, ma potrebbero esservi stati episodi compiuti da persone che non appartengono a tale organizzazione.
Dottor Agnoletto, lei conferma la dichiarazione pubblicata da Il foglio il 13 luglio circa la preparazione di un attacco alla zona rossa con azioni innovative e studiate? Lei ha usato questi termini?
Vorrei porre l'ultima domanda. Dalla scuola Pertini è stato asportato del materiale da parte delle forze dell'ordine mediante alcuni sacchi. Considerato che nel verbale riguardante le armi improprie e gli oggetti contundenti sequestrati si registra una quantità scarsissima di tale materiale, dobbiamo presumere invece che si trattasse di oggetti rotti, deteriorati, sottratti alla vostra disponibilità, o comunque materiale danneggiato nel corso dell'irruzione. Lei, che era presente, è in grado di dirci quanti sacchi di materiale, a sua memoria, sono stati portati via dalle forze dell'ordine?

FABIO LUCCHESI, Rappresentante dell'associazione Rete Lilliput. Rispetto all'episodio di piazza Manin, per essere precisi, abbiamo avuto notizie, non io personalmente, ma Stefano Renzi, che ha ricevuto la telefonata da qualcuno del GSF (onestamente non so da chi). Devo anche dire che noi per tutta la mattina, durante la gestione della piazza, non siamo mai riusciti, salvo una volta (la mattina presto, prima ancora di cominciare - per così dire - l'assedio esterno alla rete), a comunicare con il funzionario della questura, cioè il capo della DIGOS, Mortola, di cui avevamo il numero e con il quale avremmo dovuto relazionarci per i problemi che si sarebbero creati in piazza.
Abbiamo quindi provato a comunicare, senza però riuscirci. Quello che si è verificato subito dopo è stato complessivamente il frutto di una scelta del gruppo, che ha deciso comunque di rimanere lì per non permettere l'invasione della piazza da parte dei black bloc. Ciò è avvenuto senza che sia stato più possibile comunicare con la questura.
Vorrei inoltre specificare un fatto che forse non è stato prima ben chiarito: dal momento in cui abbiamo tolto il presidio da piazza Manin per tornare in piazzale Kennedy (non conoscendo esattamente la zona rimane difficile illustrare il percorso da seguire: piazza Manin, in estrema sintesi, è situata leggermente più in collina rispetto a piazzale Kennedy, e, anche se non è molto distante, bisogna comunque percorrere un discreto tratto di strada per raggiunge tale piazzale) abbiamo tentato diverse volte, dato che dovevamo transitare per la zona di Marassi dove si stavano verificando alcuni scontri tra i black bloc e la Polizia, di chiedere a quest'ultima di facilitarci il rientro. Questo non ci è mai stato concesso; anzi, da ultimo abbiamo dovuto trovare autonomamente un corridoio attraverso gli scontri perché il cordone di Polizia che chiudeva il sottopassaggio che dava verso la stazione di Brignole ci aveva impedito il transito. Purtroppo in quella situazione l'esperienza del contatto con le forze dell'ordine per cercare di risolvere i problemi della piazza è stata per noi assolutamente negativa.

MASSIMILIANO MORETTINI, Portavoce del Genoa social forum genovese. Innanzitutto accolgo la richiesta relativa al documento che abbiamo inviato al prefetto: sicuramente sarà trasmesso anche al Comitato. Le volevo poi chiedere un chiarimento: mi sembra che lei abbia fatto


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riferimento ad una data errata; lei ha infatti parlato del 5 luglio in relazione all'incontro con il capo di gabinetto del ministro Bianco.....

IDA DENTAMARO. L'incontro è invece avvenuto il 5 aprile.

MASSIMILIANO MORETTINI, Portavoce del Genoa social forum genovese. Esattamente. La ringrazio per il chiarimento. Circa la premessa dell'incontro che abbiamo avuto con il prefetto, su di essa mi sono soffermato nel precedente intervento, quindi non mi ripeto ora. Mi riferisco all'incontro con il capo di gabinetto del ministro Bianco, dottor Sorge, all'invio della documentazione al prefetto con quell'intestazione che ho ricordato prima e alla contestuale richiesta di un incontro - vado un po' a memoria perché ora non ho il documento a mia disposizione - per cominciare a discutere nel merito delle richieste che erano state illustrate nella riunione del 5 aprile. Non posso fare delle supposizioni: mi attengo quindi ai fatti che si sono verificati in quella giornata che, per molti aspetti, è stata un po' surreale sia per una parte sia per l'altra. Dico questo perché la delegazione del Genoa social forum si è presentata in prefettura ed il prefetto, diciamo così, l'ha ricevuta con la consueta cortesia, iniziando una disquisizione di circa un'ora sulla questione del G8, sulla globalizzazione e sulle altre tematiche relative al vertice.
Siamo rimasti leggermente sorpresi da questo comportamento, perché credevamo che si potesse entrare subito nel merito delle richieste da noi avanzate circa i luoghi di accoglienza, la possibilità di svolgere le manifestazioni e così via. Dopo aver - diciamo così - disquisito amabilmente con il prefetto sui temi della globalizzazione, avanzammo nuovamente nei suoi confronti la richiesta di poter entrare nel merito delle questioni da noi poste. Il prefetto riprese però di nuovo la sua disquisizione. Dopo un po' il clima si innervosì, in quanto si era creata una situazione in cui si chiedevano alcune cose e ne venivano invece risposte altre. Ci fu poi un chiarimento, ma la conclusione dell'incontro avvenne in questi termini: sostanzialmente noi chiedemmo, volendo in qualche modo forzare la mano, che il prefetto convocasse qualche rappresentante degli enti locali del territorio genovese per discutere anche insieme a loro della situazione relativa all'accoglienza ed alle manifestazioni. Il prefetto, se non ricordo male, rifiutò tale richiesta, al che - dopo aver tirato un po' per le lunghe la riunione, che infatti, se non ricordo male, si concluse intorno alle ore 9 - rilasciammo una dichiarazione (penso che questa possa essere recuperata, anche se non ricordo se si trattasse di un comunicato stampa o di semplici dichiarazioni verbali) nella quale dicemmo di prendere atto del fatto che il Governo Amato non autorizzava manifestazioni ed accoglienza e che quindi si accollava la responsabilità di ritardare ulteriormente una discussione sui temi relativi all'organizzazione del contro-vertice. Da quel momento non abbiamo più avuto contatti con il prefetto se non quando questo è ricomparso, con il cambio di Governo, negli incontri che sono stati descritti prima.

CHIARA CASSURINO, Rappresentante del movimento «Tute bianche». Confermo di non essere in grado di escludere la presenza di un funzionario dietro questo centinaio di carabinieri. Dico che il gruppo di contatto non lo ha visto. Ci risulta comunque che quando viene operata una carica su un corteo, autorizzato o meno, deve esserne data comunicazione alle persone che stanno per subire tale azione. Questo, almeno, è ciò che è sempre accaduto durante le ultime manifestazioni.

VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. Comincio con il rispondere alle questioni più semplici. Non sono mai stato contattato dal ministro Ruggiero, tanto meno per avvicinare Manu Chao. Se posso anzi permettermi, ero fortemente innervosito - a tal proposito vi sono diverse mie dichiarazioni sui giornali - dal fatto di continuare a leggere che il ministro chiedeva qualche cosa al Genoa


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social forum e ciò senza che in realtà lo abbia mai effettivamente fatto. Il ministro Ruggiero continuava cioè a dire di volerci incontrare, ma noi non lo abbiamo mai incontrato se non in quella riunione.

IDA DENTAMARO. La riunione del 24 giugno?

VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. No, in quella del 28 giugno. Inoltre, nessuno di noi ha partecipato all'incontro con il ministro Ruggiero e l'architetto Paolini.
Relativamente a quell'articolo de Il Foglio, che non conoscevo, devo dire che non ho mai parlato di un attacco con strumenti innovativi o qualcosa del genere. Ciò anche perché non utilizzo mai la parola «attacco»; anzi, ho già chiarito che possibilmente tendo a non utilizzare mai un linguaggio che richiami in qualche modo la guerra. Quell'articolo mi era sfuggito.
Circa l'incontro del 24 giugno, posso ribadire solamente ciò che è scritto nel documento. Quella riunione si concluse con un nulla di fatto: dopo circa due ore, interrompemmo infatti l'incontro perché avevamo di fronte interlocutori che non potevano rispondere assolutamente a nulla, nel senso che continuavano a dire di non avere un mandato da parte del Governo. Alle nostre richieste continuavano cioè a rispondere dicendo che avrebbero dovuto chiedere, che avrebbero dovuto sentire, che avrebbero visto cosa poteva essere fatto. Considerato che non era il 24 gennaio ma il 24 giugno e che mancava pochissimo tempo, abbiamo deciso di interrompere l'incontro, ritenendo ovvio, se tutte le decisioni dipendevano dal ministro, incontrare direttamente il ministro stesso.
Non siamo stati informati di attacchi alle forze dell'ordine da parte di gruppi che non fossero i black bloc. Noi utilizziamo sempre l'espressione «i cosiddetti...» perché si tratta di un'entità indefinita strutturalmente. Questo è il motivo per il quale utilizziamo tale linguaggio giornalistico. Comunque, non abbiamo avuto in quei giorni informazione di attacchi alle forze dell'ordine da parte di altri.
Per quanto riguarda la questione degli oggetti sequestrati, precisiamo che non abbiamo potuto vedere nulla, né oggetti né altre cose. Come ampiamente risaputo, non ci è stato permesso di entrare all'interno della scuola, così come ai parlamentari, ai rappresentanti istituzionali, ai medici, ai giornalisti. Sono medico e ho la tessera di pubblicista, ma non sono potuto entrare, né tantomeno come portavoce. Non abbiamo visto nulla da questo punto di vista. Abbiamo visto però ciò che usciva da lì. È uscito un solo sacco; non abbiamo ombra di dubbio perché ci trovavamo lì quando uscivano per verificare se vi fossero problemi relativi alle persone ferite (anche alcuni filmati documentano il fatto che quando uscivano eravamo lì a parlare).
Quanto al contenuto del sacco, posso solo dire che abbiamo visto semplicemente un sacco chiuso, nient'altro.

ANTONIO DEL PENNINO.Vorrei rivolgere al dottor Agnoletto alcuni gruppi di domande. Con riferimento alla richiesta del Genoa social forum del 16 luglio relativa alle manifestazioni del 20 luglio e alla successiva ordinanza del questore che vietava alcune di queste manifestazioni e prendeva atto di altre, se ho esaminato bene la planimetria di Genova, mi sembra che alcune delle manifestazioni consentite, di cui si prende atto, siano collocate nella zona gialla, ed altre invece vietate sono anch'esse collocate nella zona gialla. Mi riferisco, se non erro, a piazza Dante e a piazza Carignano che mi sembra fossero collocate nella zona gialla. La mia domanda è la seguente: la presa d'atto, da parte della questura, delle manifestazioni di piazza Dante e di piazza Carignano è frutto di una trattativa che si è svolta tra il Genoa social forum e l'autorità di pubblica sicurezza o un'autonoma decisione adottata dalla questura?
Nel suo intervento, dottor Agnoletto, c'è come un filo rosso che tende a presentare le responsabilità dei fatti di quei giorni come effetto di una scelta da parte delle forze dell'ordine di non perseguire o di perseguire in modo soft i black bloc e i


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gruppi violenti e di caricare, invece, i cortei. A questo punto vorrei ricevere da lei alcuni chiarimenti. Quando si riferisce all'episodio di piazza Paolo Da Novi - in riferimento al quale mi sembra lei sottintenda tale considerazione - afferma che i COBAS e i Network, che avrebbero dovuto svolgere la manifestazione in tale piazza, si ritiravano perché i reparti antisommossa sembravano pronti ad intervenire. Pertanto, i manifestanti della piazza tematica, per non trovarsi coinvolti nelle cariche, hanno dovuto abbandonarla. In merito a ciò, c'è stato un intervento da parte di reparti antisommossa nei confronti dei black bloc? Si è proceduto, sempre che lei ne sia a conoscenza, ad arresti nei confronti dei medesimi o non vi è stato alcun atto?
Con riferimento all'episodio di corso Gastaldi, lei sottolinea un'azione da parte delle forze dell'ordine, che avrebbero desistito dall'inseguire i gruppi che avevano messo in atto episodi di violenza e che stavano contrastando le forze dell'ordine, per caricare il corteo pacifico che si avvicinava. Dai rapporti della DIGOS e da alcune dichiarazioni rese da esponenti delle forze dell'ordine, consegnati poi al Comitato, leggiamo una versione che ci appare, se non opposta, diversa. In un rapporto, per esempio, possiamo leggere: «Un gruppo consistente di manifestanti, con in testa gruppi di anarchici di varia provenienza, erano attestati all'inizio di via Tolemaide. In piazza delle Americhe un mezzo blindato dell'Arma dei carabinieri era avvolto dalle fiamme; altro personale veniva fronteggiato lungo il corso Buenos Aires...»

PRESIDENTE. Le manca un minuto, senatore.

ANTONIO DEL PENNINO. ...«Durante gli scontri di via Tolemaide si sono susseguite alcune cariche per disperdere i facinorosi che, travisati, lanciavano pietre, mattoni, bottiglie ed altri oggetti contundenti e tentavano di aggredire i reparti in uniforme». Da tali rapporti risulta una versione evidentemente differente da quella che lei ci ha offerto.
Per quanto riguarda poi l'episodio di piazza Manin, in riferimento al quale nella sua relazione si evidenzia un atteggiamento che rappresenterebbe secondo lei il filo rosso del comportamento della Polizia....

PRESIDENTE. Senatore la invito a formulare la domanda, altrimenti sono costretto a toglierle la parola.

ANTONIO DEL PENNINO. ....lei si riferisce anche ad un intervento della Polizia nei confronti dei manifestanti che erano attestati in piazza Marsala. Le chiedo però: piazza Marsala non risultava essere una delle sedi vietate dalla questura?
Ultima domanda: il dottor Agnoletto ha accennato a documenti da cui risulterebbero rapporti tra i cosiddetti black bloc e le forze dell'ordine. Quali sono questi documenti e perché non sono stati consegnati alla magistratura?

VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa Social Forum. Quanto alla prima domanda, non c'era più la zona gialla dal punto di vista degli aspetti di agibilità politica; lo abbiamo dichiarato ai giornali e lo abbiamo scritto sugli atti che vi abbiamo consegnato. Nella riunione del 30 giugno il Capo della Polizia disse che la zona gialla non era la Bibbia (noi abbiamo riportato esattamente tale frase) e che per le questioni di ordine pubblico, ossia manifestazioni, presidi, volantinaggi, non sarebbe più esistita la zona gialla. Rivolgendosi agli altri presenti alla riunione, per esempio, disse che non si stava riferendo a questioni relative a impalcature o posteggi di macchine; ciò sarebbe rimasto per avere un certo livello di agibilità, ma lì non c'era più la zona gialla. Non abbiamo fatto una trattativa; abbiamo chiesto alcune piazze e indicato le iniziative che volevamo assumere. Autonomamente il Capo della Polizia ha risposto in tale modo. Francamente non sono in grado di dirvi - darei solo alcune impressioni in merito e non mi sembra corretto - se il Capo della Polizia rispose così d'accordo con il prefetto o il questore o di sua iniziativa. Ma ciò fu quello che ci venne detto.


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Quanto alla questione della scelta delle forze dell'ordine di non intervenire nei confronti dei black bloc, se mi permette, non ho esposto la tesi del filo rosso ma ho letto e riportato alcuni fatti dai quali tutti possono verificare ciò che è accaduto. Non ho esposto una tesi precostituita. D'altra parte tutti sappiamo, anche lei lo avrà letto sui giornali, che i black bloc sui propri siti dicono, vantandosene, che sono gli unici a non aver avuto nemmeno un arrestato a Genova. Si tratta di dati di fatto.
Per quanto riguarda la questione di piazza Da Novi e corso Gastaldi, ciò che abbiamo visto lo abbiamo documentato. Se poi altri hanno dichiarato cose differenti, non so cosa dire. Noi, ciò che abbiamo visto abbiamo documentato.
In merito a piazza Marsala, essa era stata vietata dalla questura per motivi che non conosciamo.
Sulla questione dei rapporti vorrei essere preciso, dal momento che quando forniamo una documentazione è bene che non le si sovrapponga l'interpretazione. In una trasmissione alla quale eravamo presenti, sabato sera su La7, un regista ha presentato una cassetta dove era possibile vedere alcune persone, che tutti definiremmo appartenenti al gruppo del black bloc per il modo in cui erano vestite, che erano vicine alle forze dell'ordine. Credo di non avere nessuna difficoltà nel recuperare tale cassetta, unitamente ad altro materiale, e a farlo recapitare al presidente.

PRESIDENTE. Mi sembra di aver compreso che la precisazione voleva formularla Fabio Lucchesi.

VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. Ci mancherebbe!

FABIO LUCCHESI, Rappresentante dell'associazione Rete Lilliput. La precisazione riguardava l'episodio di piazza Manin, in quanto si faceva riferimento al fatto che in piazza Marsala vi fossero stati dei momenti di tensione con le forze dell'ordine. È vero che in un primo tempo in piazza Marsala era stato vietato l'accesso; tuttavia, nel momento in cui noi occupammo piazza Corvetto, discutemmo con le forze dell'ordine la possibilità di andare nell'altra piazza. Ci furono momenti di tensione ma non è quella l'occasione in cui vi è stata una carica della polizia. Essa è avvenuta in piazza Manin quando arrivarono i black bloc, non in piazza Marsala. Si tratta di due episodi che non devono essere confusi.

GIAN FRANCO ANEDDA. Ho formulato una domanda al dottor Agnoletto chiedendogli se conoscesse il dottor Canterini. In realtà, mi riferivo al signor Casarini. La domanda è pertanto la seguente: ha conosciuto questa persona?

VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. Certamente, conosco il signor Luca Casarini. Egli fa parte del Genoa social forum, è risaputo, è il rappresentante del movimento denominato «Tute bianche».

PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Agnoletto, i signori Kovac, Cassurino, Morettini, il dottor Gubbiotti e i signori Lucchesi, Bolini e Scalori per la collaborazione.

Audizione di Luca Casarini, portavoce del movimento denominato «Tute bianche».

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui fatti accaduti in occasione del vertice G8 tenutosi a Genova, l'audizione di Luca Casarini, portavoce del movimento denominato «Tute bianche». Ricordo che l'indagine ha natura meramente conoscitiva e non inquisitoria.
La pubblicità delle sedute del Comitato è realizzata secondo le forme consuete previste dagli articoli 65 e 144 del regolamento della Camera, che prevedono la resocontazione stenografica della seduta.
La pubblicità dei lavori è garantita, salvo obiezioni da parte di componenti il


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Comitato, anche mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso che consente alla stampa di seguire lo svolgimento dei lavori in separati locali.
Non essendovi obiezioni, dispongo l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso.

LUCA CASARINI, Portavoce del movimento «Tute bianche». La relazione che mi appresto a leggere e a consegnarvi è frutto di una elaborazione collettiva svolta all'interno del movimento delle Tute bianche. È un contributo parziale ma importante alla ricostruzione degli eventi di Genova, al loro svolgersi concreto e al clima politico in cui sono potuti accadere. Prima di ogni ragionamento alcune precisazioni:
Luca Casarini, cioè il sottoscritto, è uno dei portavoce delle Tute bianche, non il «leader» o il «capo». Le Tute bianche sono da intendersi come una aggregazione sociale e politica aperta, orizzontale, che si organizza sulla forma di rete e non di partito. Per questo non ha leader, ma portavoce che svolgono le funzioni di comunicazione, divulgazione e dichiarazione a nome di assemblee che decidono.
Le Tute bianche si riconoscono pienamente nel Genoa social forum e nel suo portavoce unico Vittorio Agnoletto; Luca Casarini è membro, come uno dei portavoce delle Tute bianche, del consiglio dei portavoce del Genoa social forum; Luca Casarini e le Tute bianche si riconoscono pienamente nella relazione unitaria presentata dal GSF a questo Comitato ed hanno contribuito alla sua stesura.
Questa memoria verterà in particolare sui fatti a cui io personalmente e le Tute bianche in generale abbiamo assistito e cercherà di fornire ai membri del Comitato quanti più elementi conoscitivi possibile, anche di contesto, su quanto accaduto.
Cercare di fare piena luce su Genova, su come sono andate le cose e sul significato da attribuire a ciò che abbiamo tutti vissuto, è un compito ed una responsabilità, personale e collettiva, che crediamo sia di interesse generale per tutta la società civile e per chiunque abbia a cuore la democrazia e la sua difesa in questo paese.
La discussione su Genova, sull'appuntamento del G8, è iniziata dentro le Tute bianche molti mesi prima del luglio 2001. Ha coinvolto in maniera aperta e pubblica migliaia di giovani, e non, in centri sociali, scuole, università, luoghi di lavoro, associazioni. Non vi sono e non vi sono stati «livelli occulti» di discussione su cosa fare a Genova: il 90 per cento della discussione ha riguardato il perché andare a Genova, il perché opporsi al G8 e a ciò che rappresentava, il perché nel mondo esiste un movimento che, da Seattle in poi, mette radicalmente in discussione la globalizzazione neoliberista e le sue strutture, dal WTO alla NATO, dal G8 al Fondo monetario internazionale.
Non vi sono e non vi sono stati mai «secondi fini» nascosti, tipo la caduta del Governo Berlusconi attraverso la mobilitazione di piazza, dietro alla mobilitazione di Genova. Certo, sia io che le Tute bianche siamo oppositori politici del Governo Berlusconi e dei progetti neoliberisti e di svolta autoritaria e liberticida che siamo profondamente convinti che esso rappresenti. Ma mai e poi mai abbiamo ridotto l'appuntamento di Genova ad una semplice, per così dire, questione nazionale. Siamo stati, e, in particolare, io personalmente, a Seattle, a Praga, a Nizza, a Quebec City e ovunque questo movimento si sia espresso. Anche se al Governo ci fosse stato l'Ulivo, avremmo fatto ogni sforzo per portare a Genova più gente possibile e per opporci al G8.
È certo che l'ascesa al Governo della destra ci ha molto preoccupati. Chi ci ha sempre combattuto, anche dall'opposizione, con tutti i mezzi e definiti più volte un'accozzaglia di delinquenti o terroristi non gode della nostra fiducia quando ha in mano gli apparati dello Stato, come la polizia, i servizi, i carabinieri. Credo che sia comprensibile. Chi ha fatto del «pugno di ferro» contro i centri sociali uno dei suoi punti forti del programma in campagna elettorale, non può che destare preoccupazione in noi quando gestisce


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direttamente anche il «monopolio dell'uso della forza». Sul piano politico l'intera maggioranza, i suoi propositi e programmi politici, ci sono apparsi ancora più direttamente legati al sistema di sviluppo e governo globale che contestiamo in tutto il mondo. Quindi queste valutazioni di certo ci sono state e ci sono, ma non abbiamo mai pensato che l'obiettivo potesse essere quello di «usare» il G8 per far cadere Berlusconi. La posta, francamente, ci sembra molto più alta e la partita molto più complessa. Investe le ragioni di un'esistenza basata sul modello neoliberista globale, le scelte politiche e sociali che si fanno su scala planetaria e non si risolve certo con la caduta di una maggioranza e l'avvento di un'altra. Anche perché questo movimento nasce a Seattle con l'era Clinton e si oppone fermamente anche ai progetti neoliberisti del New Labour di Tony Blair, che pure non sono inseriti nel centrodestra. Quindi, certamente la situazione ci ha preoccupato molto con l'avvento al Governo di Berlusconi, Bossi, e Fini, ma lo scopo della mobilitazione di Genova non era semplicemente opporsi al Governo italiano: opporsi al Governo mondiale, quello del G8, ci sembrava e ci sembra enormemente più difficile, ma anche necessario ed importante.
In riferimento ad intercettazioni che qualcuno, non sappiamo chi e come, avrebbe fatto su mie conversazioni o di altri di noi al telefono, sul proposito di far «cadere» Berlusconi o amenità simili, quanto sopra valga come risposta. Sul capitolo intercettazioni, rivelazioni, dossier e attività di spionaggio e controllo segreto vario, tornerò più avanti, poiché esso appare come un fatto assodato e che costituisce nella vicenda di Genova un aspetto a dir poco inquietante.
Sulla dichiarazione di guerra, scegliamo di partire dalla nostra «Dichiarazione di guerra ai potenti dell'ingiustizia e della miseria», pronunciata a Palazzo Ducale il 26 maggio 2001, oggetto di tante attenzioni. La dichiarazione, che allego alla relazione, usava un linguaggio allegorico e fu letta nel corso di un vero e proprio rituale che ne rafforzava il carattere simbolico. Con essa si esprimeva la ferma opposizione e contrarietà, ribadita dall'intero GSF, alle politiche neoliberiste del G8. Come è noto, le riunioni degli otto grandi non si fondano su alcuna normativa o trattato internazionale: si tratta di un organo informale che impone e dispone scelte di politica economica, scavalcando gli spazi del confronto e della mediazione. La guerra è un'allegoria nefasta, ma tali politiche sono nefaste, fomentano la guerra e lo fanno fuor di metafora.
La nostra figura retorica era anche atta a evocare il processo di militarizzazione della città di Genova: è del 25 maggio la notizia che a Genova sarebbero stati impiegati corpi militari a difesa del vertice. In quei giorni lo stesso generale Angioni, ex-comandante del contingente di pace in Libano, sottolineava la sproporzione delle misure di sicurezza: «A Genova verranno impiegati 2.700 militari, io in Libano ne avevo 2.300».
Entrando nel merito della dichiarazione, noi specificammo la composizione del nostro «esercito» - fatto di sognatori, poveri e bambini, indios del mondo, donne e uomini, gay, lesbiche, artisti e operai -, di che armi era dotato e di come le avrebbe impiegate. Ci saremmo trovati di fronte ad un esercito vero e avremmo utilizzato i corpi come uniche armi, nelle forme della disobbedienza civile, che le Tute bianche praticano da prima della «battaglia di Seattle». Al termine del rituale, il nostro portavoce, cioè il sottoscritto, si avvicinò a due funzionari della DIGOS di Genova, per consegnargli questa dichiarazione.
Anche in risposta a fraintendimenti più o meno interessati, alla dichiarazione di guerra facemmo seguire quella di pace. L'allegato «Patto con la città e i cittadini di Genova», consegnato pubblicamente al sindaco Pericu e ai giornalisti il 3 giugno 2001, chiariva in modo inequivocabile che la nostra disobbedienza non implicava alcun attacco alla città, ai suoi beni pubblici o alle persone fisiche, anche quelle in divisa, posizione ribadita e approfondita dal Genoa social forum nella sua totalità. Sarebbe stato per noi un errore politico


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causare danni a una città, non solo duramente provata dai preparativi per il G8, ma anche interessata ai contenuti e alle proposte del movimento. Consideravamo Genova «territorio amico», come lo era stata Quebec City durante la contestazione al vertice panamericano sul libero commercio dell'aprile 2001. Proprio come era successo nella città canadese, decidemmo di ignorare gli stessi simboli e marchi delle multinazionali che avversiamo, concentrando la nostra azione sul muro della vergogna che delimitava la cosiddetta zona rossa.
Riguardo al tema dell'«Impero e chi lo assedia», poiché il summit del G8 era la riunione di quello che noi chiamiamo l'Impero, adottammo un linguaggio evocativo, ricco di riferimenti all'immaginario medievale (la fortezza, il castello dei signori e, soprattutto, l'assedio). Il concetto di Impero non ha nulla a che vedere con il vecchio stereotipo dell'imperialismo yankee, come abbiamo più volte specificato. Non ci troviamo più di fronte a Stati-nazione che estendono i propri mercati e la propria influenza geopolitica e militare. A fare il bello e il cattivo tempo sono enti sovranazionali, spesso sganciati da qualunque vincolo giuridico e legame con la Carta delle Nazioni Unite, ed enormi corporations non più ancorate alla legislazione di un singolo Stato. Talvolta, come nel caso delle ultime presidenziali americane, sono esse stesse a influenzare direttamente elezioni e composizioni dei governi nazionali, degradati a vassalli con funzioni esecutive. I cittadini diventano sudditi che non sanno nemmeno chi siede sul trono. Sovente, dell'Impero vedono solo i lanzichenecchi. Talvolta, si ribellano.
Dal punto di vista comunicativo, il testo più emblematico, anch'esso in allegato, fu «Dalle moltitudini d'Europa in marcia contro l'Impero e verso Genova», diffuso per vie telematiche, recitato nelle piazze e favorevolmente recensito dallo storico Franco Cardini, su l'Espresso del 22 giugno 2001. Con questo testo si avviava un'operazione mitopoietica che scavalcava a pie' pari il XX secolo ripercorrendo i sentieri di rivolte più antiche.
Per dare corpo e tangibilità a tutte queste allegorie, si immaginò anche una pratica di piazza ispirata a certi dipinti e stampe d'epoca: ci figurammo l'uso di carri allegorici muniti di arieti con cui abbattere il muro della vergogna; si parlò anche di catapulte. Va ricordato che durante la succitata mobilitazione di Quebec City i dimostranti avevano utilizzato una catapulta per lanciare orsacchiotti di peluche oltre le recinzioni. Nel «Patto con la città di Genova» parlammo di «una guerra... combattuta con i corpi, con le parole e con diavolerie e strumenti meccanici congegnati nelle nostre pacifiche officine della fantasia».
Seguendo l'insegnamento zapatista, pensavamo di munirci di «armi» che servissero a parlare e non, come dovrebbe essere evidente, a conseguire obiettivi militari. Nel corso del dibattito in seno al GSF sull'opportunità di evitare comportamenti percepibili come aggressivi e offensivi, decidemmo di rinunciare ad arieti e catapulte: avremmo messo in gioco «soltanto» i nostri corpi. Su questo punto non c'è mai stata, né può esserci imputata, alcuna ambiguità o reticenza. Lo confermano i training pubblici ripresi dai telegiornali, la costruzione, sempre in pubblico, di scudi e protezioni corporali, le notizie riportate dai media, addirittura gli schemini pubblicati dai giornali che dissezionavano pezzo per pezzo l'abbigliamento delle tute bianche. Tra le tantissime zone d'ombra delle settimane precedenti il G8 (riguardo alla funzione che avrebbero avuto i militari, ai tentennamenti sulle autorizzazioni dei cortei e la fruibilità dei trasporti, agli spazi dati a veline di dubbia origine finalizzate ad alzare la tensione) non c'è certamente la pratica di piazza che le Tute bianche e i disobbedienti avevano scelto.
Abbiamo tenuto riunioni ed assemblee con le finestre aperte, incuranti di essere intercettati, registrati ed ascoltati. Non solo non abbiamo mai avuto niente da nascondere, ma l'essere pubblici è un'altra delle nostre armi, la più preziosa. La pubblicità e la trasparenza prevengono la criminalizzazione e permettono il confronto


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con persone ed esperienze diverse. Su tali fondamenta, si è costruito il Genoa social forum. Al suo interno, c'erano pratiche e politiche diverse, valutazioni contrastanti, come quelle riguardanti la «dichiarazione di guerra», riferimenti culturali talvolta lontanissimi (dall'enciclica Solicitudo rei socialis, ai grundrisse di Karl Marx, da Martin Luther King a Luther Blissett, da José Martì a José Bové, da Gandhi al subcomandante Marcos) ma un confronto franco e trasparente non ha mai portato a fratture o distinzioni tra presunti buoni e presunti cattivi.
Veniamo ora al conflitto e al consenso. Riteniamo necessario ricapitolare il percorso della disobbedienza civile «protetta», dal primo esperimento fino alle giornate di Genova.
Per quasi tre anni, dall'autunno 1998, è stata sperimentata una pratica inedita di piazza, un modo innovativo di partecipazione politica e sociale, che non evita il conflitto ma lo lega indissolubilmente al consenso, al progetto, alla comunicazione.
La strategia del dire cosa si farà e fare ciò che si è detto è stata visibile e verificabile in occasione di diverse mobilitazioni: a Trieste per permettere l'ingresso di una delegazione di giornalisti e parlamentari che verificassero le condizioni di invivibilità del CPT, centro di detenzione per migranti «clandestini » (ottobre 1998); ad Aviano durante la guerra del Kosovo (aprile 1999); a Milano per la chiusura del CPT di via Corelli (gennaio 2000); a Bologna per impedire lo svolgimento di un raduno neofascista (maggio 2000); a Genova, in occasione del convegno-mostra Tebio sulle biotecnologie, per imporre il principio di precauzione a tutela della salute dei cittadini (maggio 2000); ancora a Bologna, per contestare un incontro dell'OCSE (giugno 2000); a Praga, per contestare il vertice del Fondo monetario internazionale (settembre 2000); a Ventimiglia, per opporci alla sospensione della libera circolazione dei cittadini dell'Unione europea in occasione del vertice di Nizza (dicembre 2000); a Roma ed in Veneto contro Haider; in Messico, quando accompagnammo i comandanti dell'EZLN dal Chiapas a Città del Messico, disobbedendo alla legge messicana che impedisce agli stranieri di fare politica (febbraio-marzo 2001); a Trieste, in occasione del G8 sull'ambiente, per contestare la mancata sottoscrizione del Protocollo di Kyoto da parte degli Stati Uniti (marzo 2001).
Come si vede, la disobbedienza civile si è posta volta per volta obiettivi tanto simbolici quanto concreti. Essa ha attirato l'attenzione su violazioni delle Carte costituzionali, delle dichiarazioni dei diritti umani e del diritto internazionale: ipotesi di violazione dell'articolo 13 della Costituzione per quanto riguarda i CPT; ipotesi di violazione dell'articolo 11 per quanto riguarda la partecipazione italiana all'intervento in Kosovo; violazione delle norme transitorie della Costituzione in materia di ricostituzione del partito fascista, eccetera.
Oltre a ciò, è orientata a estendere i confini della legalità e a conquistare nuovi spazi di agibilità democratica e nuovi diritti (vedi la lotta per il «principio di precauzione» o le osservazioni sui limiti della Carta dei diritti dei cittadini europei presentata a Nizza).
In ogni caso viene posto il problema del diritto al dissenso sancito da tutte le Costituzioni post-weimariane e il superamento delle restrizioni alla libertà di manifestare.
Infine, ci permettiamo di osservare che in diversi casi la disobbedienza civile si è dimostrata efficace: tanto a Trieste quanto a Milano, l'ingresso nel CPT di giornalisti e parlamentari consentì una verifica delle condizioni in cui versavano i reclusi. Tale verifica portò, in entrambi i casi, alla chiusura - definitiva o temporanea - dei centri. In Messico riuscimmo ad ottenere la revoca delle espulsioni dal paese e il diritto per tutti di partecipare alla Marcia della dignità.
Per quanto riguarda la disobbedienza civile e le sue pratiche, esse non si configurano in alcun modo come una simulazione o, addirittura, come la proposta di uno scenario bellico. Al contrario, esaltano la dimensione politica del conflitto, ancorché radicale, tra le controparti. Dichiarare la volontà di superare una linea


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invalicabile e farlo senza utilizzare alcuno strumento atto ad offendere, ma solo il proprio corpo equipaggiato di protezioni corporali (imbottiture, caschi, scudi), non può in alcun modo essere associato a intenti bellico-militari.
Preparazione, generosità e determinazione non aprono la strada a pulsioni militariste. Dovrebbe far riflettere che forse grazie a ciò, come ci piace pensare, l'esempio delle Tute bianche ha contagiato i movimenti in diverse parti del mondo, da Madrid a Città del Messico, da Londra a New York, da Atene a Helsinki. Indossare caschi e bardature non significa, quindi, salire il primo gradino di una escalation della violenza di piazza. Per noi è stato esattamente l'opposto: l'impatto con le forze dell'ordine è messo in conto, ma l'utilizzo degli strumenti di cui sopra ha permesso di attenuare la paura, limitare i danni fisici e tenere compatto il gruppo che pratica la disobbedienza. Il training compiuto in preparazione degli eventi ha aiutato molti e molte di noi a mantenere la lucidità, evitando così il fuggi fuggi, i comportamenti irrazionali e l'atomizzazione incontrollabile dello scontro.
Il corpo è un bene prezioso. Il corpo siamo noi, è ciascuno di noi. Ne abbiamo uno solo e ci chiediamo cosa gli sarebbe successo se negli ultimi tre anni non ci fossimo preoccupati di proteggerlo. I referti medici degli ospedali genovesi parlano chiaro: ferite lacero-contuse alla testa, traumi cranici, due codici rossi dovuti a situazioni di incoscienza e coma vigile o grave, fratture agli arti e alle mani per il tentativo di proteggere la testa... Un casco allacciato non può nuocere a nessuno. Protegge chi lo indossa. Non a caso, lo prescrive anche il codice della strada, uno dei pochi ai quali non disobbediamo.
Dopo i fatti di Trieste dell'ottobre 1998, nel corso di un incontro al Viminale - cui partecipai personalmente - con l'allora ministro dell'interno Jervolino, avemmo modo di illustrare e denunciare la pratica poliziesca di impugnare i manganelli al contrario in modo da colpire con il gancio d'acciaio che serve ad assicurarli in cintura, o addirittura di «personalizzarli» appesantendoli con biglie d'acciaio, cuscinetti a sfera, eccetera. A Genova questa pratica fu tristemente superata dall'adozione dei famigerati Tonfa tutti in alluminio, già in dotazione alla polizia americana, equiparabili a spranghe di ferro.
Ieri lo stesso Gratteri, direttore generale del servizio centrale operativo, nella sua deposizione di fronte a questo Comitato, ha ammesso la novità delle nostre pratiche, accusandole però di rappresentare un innalzamento del livello dello scontro. Al contrario, è parere di molti che la disobbedienza civile protetta abbia contribuito a traghettare ampi settori di movimento da forme di protesta nichiliste e distruttive a una pratica non meno radicale ma eminentemente politica.
Peraltro, preannunciare tutto ciò che verrà fatto apre già di per sé lo spazio alla mediazione politica «sul campo», se ve ne è la volontà, da parte dei responsabili dell'ordine pubblico.
Non a caso i cortei della disobbedienza civile sono sempre aperti da un «gruppo di contatto» composto da avvocati, parlamentari, portavoce delle associazioni e centri sociali che partecipano alla manifestazione, con lo scopo di dichiarare apertamente le proprie intenzioni e obiettivi.
A questo proposito, in merito a quanto riferito dal questore Colucci, smentisco assolutamente di averlo mai incontrato, di avere in qualche modo interloquito con lui, o che qualche funzionario si sia mai presentato a me asserendo di parlare per conto di Colucci. Di funzionari di polizia che si dichiaravano tali o che conoscevo (altri sicuramente si saranno dichiarati giornalisti, panettieri o spazzini, non posso saperlo, ma ne sono sicuro) ne ho incontrati o sentiti per giorni e giorni a decine. Non solo, tutti noi, in particolare i più conosciuti, abbiamo ricevuto decine di telefonate dai dirigenti della DIGOS che ci chiedevano cosa avevamo intenzione di fare o magari quanta gente doveva arrivare o che treni stavamo aspettando, eccetera.
Nessun mistero o segreto: noi abbiamo sempre detto a tutti ciò che intendevamo fare, come lo dicevamo a centinaia di


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operatori dell'informazione. Abbiamo definito con il GSF e pubblicizzato ovunque quali strade avremmo percorso, come lo avremmo fatto, il punto esatto dove avremmo tentato la disobbedienza, cioè via XX Settembre. Abbiamo definito e pubblicizzato questo giorni prima, altro che accordi segreti. Ovviamente auspicavamo - e lo abbiamo fatto presente tramite il GSF anche a De Gennaro (si veda l'incontro del 30 giugno a cui non ho partecipato) - che chi disobbediva non venisse massacrato, che non vi fossero comportamenti della polizia e dei carabinieri che violassero i diritti umani, anche se in presenza di qualche violazione della norma, che i fermati fossero rispettati, che non vi fossero pestaggi nelle caserme.
A questo proposito ricordavamo sempre i fatti di Napoli, oggetto anche di un'inchiesta di Amnesty International per gravissime violazioni (pestaggi e torture operate da carabinieri e PS in piazza e in caserma nei confronti di fermati durante la manifestazione contro il vertice OCSE di marzo). Una cosa abbiamo sempre richiesto con forza: che non usassero le armi da fuoco. Quelle uccidono di sicuro. L'abbiamo fatto personalmente e collettivamente, a chiunque avevamo occasione di incontrare e con cui discutevamo di cosa sarebbe successo nei giorni di Genova, pubblicamente. In particolare, la richiesta che le forze dell'ordine fossero in piazza disarmate è stata fatta ufficialmente e direttamente al ministro Scajola.
I responsabili dell'ordine pubblico, che detengono il monopolio della forza militare, devono di conseguenza assumersi la responsabilità di dosare questa forza per contenere e bloccare l'azione di disobbedienza civile, che non costituisce una minaccia per cose o persone. In questo modo, la scelta tra una strategia di «alleggerimento» - con cariche di polizia volte a fermare l'avanzamento dei disobbedienti - o una strategia di «annientamento» - volta a punire i partecipanti, oltre che contrastarli, con ricorso a blindati lanciati dentro i cortei, caccia all'uomo, pestaggi dei fermati, uso di armi da fuoco o di lacrimogeni esplosi in faccia - oltre ad esprimere un vero e proprio tentato omicidio, diventa una scelta politica. La scelta tra due modi diametralmente opposti di affrontare la manifestazione pubblica del dissenso. A Genova, in via Tolemaide e nelle altre piazze tematiche, la scelta è stata chiara.
Per quanto riguarda i container, Colucci asserisce che questi sono stati posti lungo il percorso del nostro corteo per dividerci da altri manifestanti: niente di più falso. I container - e su questo possiamo produrre prove documentali - sono stati piazzati nella notte tra il 19 e il 20 attorno a piazza Verdi-Brignole. Il percorso del nostro corteo era completamente libero ai lati, utilizzati da vari contingenti di polizia nella seconda parte, dopo l'uccisione di Carlo Giuliani, per attaccarci nel mezzo e tentare di imbottigliarci. I container - questo abbiamo pensato quando li abbiamo visti collocare in quel modo, a semicerchio davanti alla zona off-limits - servivano per impedirci in ogni modo di arrivare a contatto con la rete. Quale sceneggiata avremmo potuto fare, visto che Colucci parla di questo, invadendo di qualche metro, se vi era un muro di container?
Va precisato che, al contrario di quanto ripetutamente affermato dai dirigenti e funzionari di pubblica sicurezza, il corteo partito dallo stadio Carlini era autorizzato. Alle ore 18,45 del giorno 19 luglio, fu revocata l'autorizzazione per il tratto finale, che andava da piazza delle Americhe a piazza De Ferrari. Prima della partenza del corteo, venerdì 20, nei pressi di piazza delle Americhe furono avvistati alcuni reparti di polizia ed un folto gruppo di funzionari. Sostavano davanti ai container che delimitavano la piazza. Tutto questo faceva presumere che fosse quello il luogo dove ci avrebbero caricato, esattamente al limite del corteo autorizzato. Ma in piazza delle Americhe il corteo dei disobbedienti non ha mai messo piede. I carabinieri lo aggredirono più di 300 metri prima, nella strettoia di via Tolemaide, quindi ancora nel tratto autorizzato del suo percorso. Il gruppo di contatto fu travolto. La reazione fu un immediato arretramento della testa


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del corteo, travolta dalle cariche e dai lacrimogeni, con abbandono di alcune protezioni. L'arretramento non convinse i carabinieri a fermarsi, le cariche proseguirono con brutalità. Alleghiamo un documento video in cui si vedono chiaramente dieci carabinieri avventarsi su una ragazza inerme stesa a terra, infierendo con calci e manganellate. I volti di alcuni carabinieri sono ben visibili. Ci chiediamo come mai, a tutt'oggi, nessun carabiniere risulti indagato per le violenze.
In quel frangente migliaia di persone si sentirono in pericolo di vita, ci si urtava e calpestava a vicenda, si annaspava per via della calca, del caldo e dei lacrimogeni. Molti furono picchiati e feriti pur non avendo fatto niente e «in un paese democratico non sono rischi accettabili. Neanche avere paura lo è.» (Franco Bassanini, intervista su l'Unità del 30 agosto).
Una parte del corteo, nel disperato tentativo di tenere lontani i reparti, improvvisò un lancio di oggetti trovati per strada, e solo a quel punto i carabinieri sospesero le cariche per un breve lasso di tempo. Mentre il corteo cercava di defluire, i carabinieri cercarono di spazzarlo via avanzando con autoblindo e jeep a grande velocità, precedendo i reparti a piedi, investendo a più riprese alcuni manifestanti, poi risultati feriti. Dai finestrini di un veicolo un carabiniere puntava la pistola ad altezza d'uomo (si veda la foto di Tano D'Amico pubblicata su diversi giornali e riviste). In quel frangente un veicolo si fermò in pieno corteo provocando la reazione di dimostranti esasperati e spaventati. Da qui in avanti fu chiaro che le ripetute cariche non avevano finalità di alleggerimento, bensì punitive. Lo dimostra il fatto che il corteo fu caricato alle spalle fino a poche centinaia di metri dallo stadio Carlini, verso il quale si stava ritirando.
A circa tre ore dalla prima carica, gruppi sparsi di dimostranti cercavano ancora di allontanare i carabinieri e proteggere la ritirata del corteo, ancora bloccato tra via Tolemaide e corso Gastaldi. Uno di questi gruppi fu coinvolto in uno scontro in piazza Alimonda, durante il quale un carabiniere di leva puntò la pistola e sparò in faccia a Carlo Giuliani. Da allora la scena è stata ricostruita istante dopo istante. I filmati mostrano chiaramente come il carabiniere avesse la pistola puntata ben prima che Carlo Giuliani raggiungesse la camionetta e sollevasse quel maledetto estintore. Si vede anche che 15 metri più in là altri carabinieri erano schierati. Ci siamo chiesti mille volte come mai essi non intervennero, non lanciarono lacrimogeni, non cercarono di disperdere lo sparuto gruppo di dimostranti. Non smettiamo di chiederci come mai un carabiniere di leva si trovasse, armato, in una situazione del genere, quando migliaia di poliziotti erano stati sottoposti al famoso addestramento di Ponte Galeria. Non occorre essere un esperto di antisommossa o controguerriglia per dire che la situazione poteva essere risolta senza sparare in faccia a nessuno.
Sapevamo che a Genova ci saremmo trovati al fianco di una moltitudine di persone, che ci sarebbero state migliaia di poliziotti e agenti e che il contesto era più complesso di quello affrontato in altre situazioni. Sapevamo di andare incontro a molte manganellate; mettevamo in conto di essere esposti a fermi ed arresti. Ma nessuno pensava ad un massacro: completa assenza di funzionari di piazza con cui parlare, centinaia di lacrimogeni a freddo, cariche con i blindati, uso massiccio di idranti, addirittura il ricorso ad armi da fuoco, nonostante le assicurazioni del ministro Scajola, il tutto non motivato da alcuna provocazione da parte del corteo ed a considerevole distanza dalla zona rossa. Non si potevano nemmeno mettere in conto l'attacco poliziesco a un corteo di 300 mila persone, senza precedenti per questa Repubblica, le modalità dell'irruzione di sabato notte e le sevizie di Bolzaneto e S. Giuliano. Certamente mettevamo in conto la paura, ma non quella di morire.
Ai nostri cortei abbiamo sempre invitato a partecipare parlamentari o esponenti delle istituzioni, non solo per esprimere condivisione o solidarietà con gli


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obiettivi politici della protesta, ma anche per assolvere la funzione di «gruppo di contatto». Il gruppo di contatto, sempre previsto durante le iniziative di disobbedienza, ha il compito di stabilire appunto un contatto con chi gestisce l'ordine pubblico in piazza e chi lo governa politicamente. Serve a tentare di creare quello spazio pratico e politico per mediare la situazione, per informare la polizia delle richieste dei manifestanti ed i manifestanti sulle intenzioni della polizia. In particolare, al corteo del 20 luglio partito dal Carlini, i deputati Mauro Bulgarelli, Paolo Cento, Luana Zanella dei Verdi e Ramon Mantovani di Rifondazione comunista dovevano assolvere a questa funzione con altri, come il prosindaco di Mestre, il consigliere regionale veneto Gianfranco Bettin, e l'assessore di Venezia Beppe Caccia. Altro che libro nero dell'Inquisizione, come qualcuno ha tentato di orchestrare! Io li ringrazio pubblicamente per essere stati lì con noi, per averci aiutato in momenti drammatici. D'altronde è ridicolo parlare di grande scoop: lo avevamo annunciato a tutti i giornali. Anche io facevo parte del gruppo di contatto.
Ci è stato impedito di praticare la disobbedienza civile. Qualcuno ha deciso di determinare uno scenario completamente diverso. Anche l'Arma dei carabinieri è stata uno degli strumenti fondamentali di tale forzatura. Ci domandiamo quali responsabilità abbiano quegli esponenti del Parlamento che, nelle ore più calde, stavano nelle caserme.
Ricordiamo ancora che, dopo i tragici fatti di Göteborg, il Genoa social forum aveva richiesto che durante il G8 le forze dell'ordine non avessero armi da fuoco. Il ministro Scajola assicurò che non c'era bisogno di un tale provvedimento: finché al Viminale ci fosse stato lui nessun agente avrebbe sparato. Ci risulta che a Genova alcuni dirigenti della Polizia di Stato abbiano, di loro spontanea volontà, fatto scaricare le armi da fuoco ai loro uomini. Purtroppo non è stata una scelta di tutti.
Consegno a questo Comitato un video sui fatti di Genova e chiedo che le violenze qui documentate, operate in gruppo da polizia e carabinieri, vengano prese in esame. Alcuni di loro sono riconoscibili ed identificabili. In particolare segnalo: al minuto 09 il pestaggio operato dagli agenti di PS a persone singole inermi; al minuto 10-11 il pestaggio di carabinieri in gruppo a un manifestante inerme, eseguito a viso scoperto; al minuto 12 il pestaggio fuori da corteo a persone con mani alzate operato da PS; ai minuti 13-15 le cure mediche in strada operate da personale volontario a persone ferite gravemente; al minuto 19 i lacrimogeni a pioggia lanciati dall'elicottero sui manifestanti; al minuto 20 le cariche a manifestanti a mani alzate; al minuto 22 l'irruzione alla scuola Diaz; al minuto 24 la testimonianza di una ragazza che era alla Diaz; al minuto 34 la testimonianza della dottoressa Lella Trotta sulla presenza di polizia all'ospedale San Martino.
Voglio ribadire qui la mia solidarietà nei confronti di tutti coloro che sono stati feriti, aggrediti, violentati, minacciati da polizia e carabinieri in quei drammatici giorni. Voglio ribadire che chi ha tentato di difendersi da una furia omicida, chi ha cercato, anche inconsultamente, di far fronte ad una enorme violenza, in un caso è stato ucciso e in un altro è oggi detenuto con accuse gravissime come il tentato omicidio. Come può accadere che reagire ad un tentato omicidio o linciaggio per un manifestante diventi un'accusa contro di lui e per chi ha ucciso si parli solo di legittima difesa?
Chiudo questa memoria, che spero possa essere utile, con un unico pensiero: Carlo Giuliani, un giovane stroncato nel fiore della sua vita, da una violenza inutile. C'è chi ritiene in questo paese che sia stato più importante che il G8 non abbia subito interruzioni, anche a costo di uccidere. Io penso che Carlo, ed ogni essere umano, sia più importante di qualsiasi vertice. È questa la differenza di Carlo, mia, di noi tutti. Continuerò finché posso a gridarla anche per lui, con lui. Ciao Carlo, sei mio fratello.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare sull'ordine dei lavori l'onorevole Mancuso. Ne ha facoltà.


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FILIPPO MANCUSO. Signor presidente, mi compiaccio per la riuscita del suo sforzo di pazienza (rappresentativo anche del nostro) nell'ascoltare questo tripudio, da parte mia veramente inatteso. Però, ciò detto, devo segnalare, come oggetto della nostra comune riflessione, questa circostanza. Il nostro Comitato - come lei sistematicamente ribadisce - ha fini di accertamento e non inquisitori. Però, ciò non significa che noi stessi siamo (com'è avvenuto testé) oggetto di inquisizione e, persino, che componenti del Parlamento vengano indicate come responsabili di questa impropria inquisizione. Infatti quello che è avvenuto è stato da tutti percepito nell'enorme gravità, politica, istituzionale ed umana. Ciò, tuttavia, non basta, se non risolviamo questo problema; se, l'assalto che
abbiamo offensivamente tollerato, attraverso l'intervento del signor Casarini, non muti l'oggetto del nostro compito, e cioè che vada eliminato come funzione e come risultato di questa funzione, il termine inquisitorio. Noi inquisiti, secondo me, ingiustamente ed impropriamente, ma tutto sommato utilmente, non abbiamo a mutare la destinazione della nostra attività, includendo, almeno nel momento conclusivo, il compito inquisitorio, a cominciare dalla relazione del signor Casarini, che presenta, in parte, un carattere confessorio. Valuti lei e la ringrazio.

PRESIDENTE. La ringrazio, presidente Mancuso.
Sospendo brevemente la seduta. Invito tutti ad essere puntualmente presenti alla ripresa, in modo da mantenere il ritmo dei nostri lavori.

La seduta, sospesa alle 16, è ripresa alle 16,35.

PRESIDENTE. Comunico che abbiamo acquisito una cassetta che il signor Casarini ha ritenuto di consegnare al Comitato per la verifica dei tempi e dei fatti occorsi.
Non essendovi obiezioni, ricordo di aver già disposto l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso.

GRAZIELLA MASCIA. Poiché questo Comitato di indagine deve conoscere i fatti e ricostruire le ragioni e le cause che li hanno determinati e siccome i documenti che abbiamo letto nel corso di queste settimane ricostruiscono anche i precedenti di Genova e tutti gli appuntamenti da Seattle in poi, vorrei chiedere a Casarini se mi può rappresentare nei pochi minuti che abbiamo a disposizione, che cosa è successo a Praga. Anche in quel luogo si sono verificati degli incidenti, ma mi pare che il corteo dei cosiddetti disobbedienti non sia stato coinvolto. Come mai lì non è successo nulla? In pochi minuti, mi può ricostruire quell'esperienza?

LUCA CASARINI, Portavoce del movimento «Tute bianche». A Praga il vertice del Fondo monetario internazionale era organizzato all'interno di un complesso, di cui non ricordo il nome, che aveva diverse entrate. Il corteo della disobbedienza civile, delle tute bianche e degli altri che avevano deciso di proporre come iniziativa simbolica e concreta il tentativo di valicamento di quella linea di «stop» - rappresentata dagli ingressi di questo complesso alberghiero sul quale si teneva il vertice - ha raggiunto uno degli ingressi, con le protezioni corporali (perché l'invasione doveva essere un'iniziativa di disobbedienza civile) in gomma poste alla testa del corteo per attutire i colpi e ha tentato di valicare questa linea.
All'interno di quest'ultima erano schierati dei carrarmati - credo per la prima volta dopo tantissimi anni - e davanti a loro tre-quattro file di agenti antisommossa. La cosa che mi ha colpito di più è che a Praga gli agenti innalzavano diversi striscioni in molte lingue, in particolare in italiano, e c'era un dirigente degli agenti che si rivolgeva a noi in italiano perché, conoscendo la nostra nazionalità, ci spiegava quali violazioni della normativa stavamo compiendo; in effetti, ci ha riferito che stavamo violando un certo articolo del loro codice e che questo avrebbe avuto come conseguenza il respingimento da parte loro del corteo della disobbedienza.


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Mi ricordo perfettamente che lo stesso funzionario lo chiamava corteo della disobbedienza; questo fatto mi ha colpito, come pure sono rimasto colpito che avessero degli striscioni in varie lingue. Anche a Genova c'erano manifestanti di varie nazionalità, ma io non ho visto scritto nulla in inglese da parte di chi doveva gestire l'ordine pubblico.
Dopodiché abbiamo avanzato verso la linea della Polizia e la stessa ha caricato per alleggerimento, cioè ha tenuto la sua posizione; del resto, avremmo potuto fare ben poco, perché vi erano dei carrarmati, a meno che non ci innalzavamo sugli stessi. Un altro pezzo di corteo, i famosi pink, sono riusciti addirittura ad entrare all'interno del recinto, perché con il tipo di meccanismo visto anche a Genova - quello del corteo festoso - sono riusciti a superare la linea - contro di loro non avevano schierato i reparti antisommossa -, sono entrati e hanno occupato quello spazio.
Il nostro tentativo era di interrompere o, comunque, di contestare l'avvenimento. Tutto ciò è successo a Praga: noi abbiamo scelto di muoverci in questo modo, mentre da altre parti sono state organizzate altre iniziative.

GIANNICOLA SINISI. Vorrei chiederle se durante gli incidenti di via Tolemaide lei ha potuto constatare la presenza di un funzionario di polizia che dirigesse in qualche modo l'aliquota dei responsabili delle forze dell'ordine presenti; ci consta che era stata impartita una direttiva affinché funzionari di pubblica sicurezza indossassero la fascia tricolore: avete avuto un contatto o ha notato questa presenza?

LUCA CASARINI, Portavoce del movimento «Tute bianche». Io non ho notato alcun funzionario. Ero davanti perché facevo parte del gruppo di contatto e fino alla prima carica sono rimasto davanti, poi mi sono rifugiato dietro i primi scudi e successivamente c'è stato, ovviamente, un susseguirsi di cariche. Questo gruppo di contatto non ha potuto fare praticamente nulla, anche perché, al di là delle cariche, dall'altra parte mancava l'interlocutore. Non potevamo andare da quelli con il casco a scusarci e convincerli a fermarsi per poter discutere: di solito a questo è preposto chi dirige. Lì non c'era nessuno, tant'è vero che noi siamo tra i pochi che sono riusciti a vedere oltre l'angolo di via Tolemaide-corso Torino, perché la carica è avvenuta a freddo e moltissimi manifestanti non hanno neanche visto la fine di via Tolemaide.
Io ero davanti e non c'era alcun funzionario, ma semplicemente reparti che caricavano e lanciavano lacrimogeni.

ANTONIO SODA. Signor Casarini, lei ha svolto una serie di considerazioni sulle quali non esprimo in questa sede alcun giudizio. Nella relazione del Genoa social forum vi è in più passaggi una ferma condanna della violenza dei black bloc, vi è anzi un rilievo, un'accusa alle forze di polizia per non avere efficacemente isolato e contrastato queste forme di guerriglia urbana, nell'ottica che hanno nociuto, in primo luogo, allo stesso movimento. Sono indicati anche esempi ed episodi di collaborazione con le forze di polizia per l'individuazione di questi violenti, ma nella sua relazione non c'è nulla di tutto questo.
Lei, però, ha sostenuto di condividere la relazione del dottor Agnoletto: può essere chiaro su questo punto? Qual è questa cosiddetta filosofia della non violenza qui espressa? Che rapporti ha con la stessa e come si esprime nei confronti di essa e del suo contrasto?
La seconda domanda riguarda un particolare che emerge da alcuni video che noi abbiano acquisito.
La mattina del 20, ad un certo punto, si vede - all'altezza di corso Gastaldi - che dal corpo del corteo delle Tute bianche fuoriesce un gruppo di manifestanti che saccheggia e distrugge un'agenzia di service. Voi avevate consapevolezza, timore, che vi fossero, già dal mattino, infiltrazioni all'interno del corteo di questi gruppi o non ne avevate contezza?
Terza domanda. Voi sapevate che il questore della provincia di Genova, con il provvedimento del 19 luglio, aveva reso illegale il corteo a partire da piazza Verdi,


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piazza della Vittoria, via XX Settembre, piazza De Ferrari e che ciò vi consentiva di proseguire lungo tutto corso Gastaldi e lungo tutta via Tolemaide. Le cariche, come si vede nel video, avvengono in via Tolemaide, dopo un primo scontro con una quarantina, una cinquantina di persone che si trovano prima degli scudi che costituiscono la testa del corteo e successivamente con il lancio di lacrimogeni alla testa del corteo. A fronte di questa ordinanza del questore, avete assunto la decisione di proseguire anche per piazza Verdi, piazza della Vittoria, via XX Settembre, piazza De Ferrari o avete deciso di fermarvi in fondo a via Tolemaide?

LUCA CASARINI, Portavoce del movimento «Tute bianche». Per quanto riguarda la questione del black bloc e la violenza, credo di essere stato chiarissimo, anche se non vi ho fatto riferimento, in quanto mi sembra molto più importante - ve lo confesso - discutere di cosa ho visto e di cosa hanno visto centinaia di migliaia di persone in termini di violenza, diciamo così, legale. Mi sembra una cosa molto più inquietante. Non vi ho fatto riferimento, ma ho fatto riferimento, invece, ad una decisione politica e ad una differenza politica fondamentale. Intanto, il riconoscimento all'interno del Genoa social forum, che proclamava e si accordava su forme di azione non violente, pacifiche e di disobbedienza (è scritto sempre in tutti i documenti). Inoltre, ho fatto riferimento, in particolare, all'errore politico e culturale che noi individuavamo nel fatto di distruggere simboli o cose del genere.
Mi sembra che questo sia chiarissimo e inequivocabile - e lo risottolineo, se non lo fosse stato - e mi sembra che sia anche chiaro il fatto che chi non si riconosceva in questo tipo di percorso evidentemente non condivideva nemmeno il percorso dell'intero Genoa social forum; altrimenti non si capisce come mai...
Insisto su questo aspetto, perché il Genoa social forum è un grande punto di riferimento, ma non è tutto il mondo. Il Genoa social forum è un grandissimo punto di riferimento, ma è ovvio pensare che ci sono anche tanti che non sono d'accordo con il Genoa social forum, con le nostre posizioni e anche con la disobbedienza civile.
Per quanto riguarda noi, era chiarissimo: stava con noi chi voleva fare quel tipo di azione e l'avrebbe fatta nella maniera che ho descritto, per scelta e condivisione politica. Io posso discutere politicamente e spiegare perché non sono d'accordo con un altro, ma non posso continuare a parlare di questo fantomatico black bloc, quando io ho visto, invece, un'altra cosa che rispetto a queste mi sembra enormemente più grave. Ragionando su ciò, cito un autorevole esponente del suo partito; infatti, dire che c'è un'enorme violenza nel comportamento tenuto a Genova da Polizia e carabinieri non significa essere d'accordo con il black bloc, significa semplicemente dire che mi sembra inquietante che, mentre io non conosco i componenti il cosiddetto black bloc - e coloro che si sono comportati così hanno le loro convinzioni - so chi è e so cosa sta facendo chi ha la divisa dei carabinieri o della Polizia, si sa a nome e per conto di chi agisce. Dunque, questo è il motivo per cui ho incentrato la mia relazione su tali aspetti.
Con riferimento alla seconda questione, io non ho visto quello che lei mi segnala, in quanto mi trovavo in testa al corteo e non so se ciò si sia verificato dietro al corteo. Certamente, se ci fosse stata una cosa del genere, i manifestanti che potevano, avrebbero contrastato o mandato via tali soggetti, in quanto era contrario agli obiettivi del nostro corteo distruggere non solo questa o quella agenzia, ma qualsiasi cosa. Se avessimo fatto una cosa del genere, saremmo andati contro le nostre convinzioni e chi la faceva nei nostri confronti aveva quale obiettivo quello di screditarci e non di compiere un'azione simbolica o cose del genere.
Per quanto riguarda la terza questione, vale a dire il contenuto dell'ordinanza del questore del 19 luglio, avremmo disubbidito nella maniera in cui abbiamo spiegato, ma forti di una consapevolezza. Esiste, infatti, un codice penale e un modo di


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procedere democratico - fino a prima dei fatti accaduti a Genova ero assolutamente convinto di ciò - in base al quale se, ad esempio, io rompo una vetrina - non è il mio caso, ma lo faccio appositamente in quanto è il caso più indicativo - commetto un reato, nei paesi democratici non c'è la pena di morte per questo, anche se è un errore. Se io violo una norma amministrativa che mi vieta di oltrepassare una strada e lo faccio, so che compio un illecito e che sarò punito per questo illecito, ma non è previsto il pestaggio quale sanzione di questo illecito. Questo è ciò che muove un ragionamento, anche di disobbedienza, che non significa portare all'escalation della violenza. Un picchetto davanti ad una fabbrica è una forma di violenza? L'occupazione di una casa è una forma di comportamento da black bloc? Si tratta di forme di espressione, anche di violazione delle norme costituite, che vanno discusse e su cui si può ragionate, ma che devono trovare - per quanto mi riguarda - in un paese democratico, una risposta che, ovviamente, deve essere commisurata a ciò che si compie. Che paese sarebbe questo se ad ogni violazione del codice della strada ci fosse una sparatoria? Non lo so.

MARCO BOATO. Più che una domanda a Luca Casarini, vorrei utilizzare il tempo a mia disposizione per una breve dichiarazione che faccio anche a nome del senatore Sauro Turroni, al fine di ridurre i tempi.
Dunque, anche a nome del senatore Sauro Turroni, ringrazio il signor Luca Casarini per la sua relazione, per la parte in cui dà il proprio contributo di protagonista alla ricostruzione dei fatti avvenuti in occasione del G8 e anche per il quadro internazionale che ha fornito.
Per quanto riguarda le valutazioni politiche, di carattere più generale, esse costituiscono oggetto e contributo per un dibattito politico utile, anche nei suoi riflessi istituzionali, che appartiene anche al Parlamento oltre che alla società civile, ma che non costituisce oggetto specifico di questo Comitato di indagine, costituito con l'esclusiva finalità dell'accertamento dei fatti connessi al G8 di Genova.
Non condividiamo il giudizio espresso, in sede di anomalo intervento sull'ordine dei lavori, dall'onorevole Mancuso, il quale più che sull'ordine dei lavori si è pronunciato sul piano politico e istituzionale in termini - a nostro parere - assai discutibili.
Poiché Luca Casarini ha consegnato due documenti (allegati alla relazione) utili alla ricostruzione dei fatti e un filmato (citato dal presidente) che esamineremo con attenzione, lo invito - se lo riterrà - a fornire al Comitato ulteriore materiale di documentazione che ritenesse utile all'indagine conoscitiva dello stesso Comitato.
Dal momento che, per tutti gli altri aspetti, Luca Casarini ha dichiarato di far parte di un movimento aderente al GSF e di riconoscersi nella relazione del dottor Agnoletto e degli altri rappresentanti che abbiamo oggi ascoltato, il collega Turroni ed io non riteniamo necessario rivolgere, ora, ulteriori specifiche domande.
L'audizione specifica di Luca Casarini è stata richiesta dall'onorevole Fontanini della Lega e sostenuta in ufficio di presidenza dagli altri capigruppo del centrodestra. Richiesta del tutto legittima, ma da noi non condivisa, ritenendo esaustiva per le esigenze del Comitato la decisione di ascoltare nel loro insieme i rappresentanti del Genoa social forum, di cui lo stesso Luca Casarini fa parte, essendo membro del consiglio dei portavoce nominato in previsione delle iniziative dello stesso GSF per il G8. Essendo stata, quindi, questa audizione richiesta specificatamente in ufficio di presidenza dal rappresentante della Lega e sostenuta dagli altri capigruppo del centrodestra, confermiamo l'opinione da noi espressa in quella sede, pur ringraziando Luca Casarini per l'autonomo contributo che ha ritenuto di dare a questo Comitato, che abbiamo ascoltato con attenzione e che utilizzeremo nel quadro degli altri contributi e documenti via acquisiti.


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MICHELE SAPONARA. Attesi i contenuti della relazione del signor Casarini, i parlamentari dei gruppi della Casa delle libertà in seno al presente Comitato ritengono doveroso, per il rispetto dovuto al Parlamento e alle pubbliche istituzioni, non porre alcuna domanda al signor Casarini, sulla base delle considerazioni esposte dall'onorevole Mancuso e, comunque, nella consapevolezza che nessun contributo obiettivo possa derivare dalle sue risposte.

PRESIDENTE. Mi pare che nessun altro voglia intervenire, pertanto vi ringrazio e ringrazio il signor Casarini, anche con riferimento alla sua eventuale disponibilità ad evadere la richiesta formulata dall'onorevole Boato. Ricordo che alle 18 il Comitato è convocato per l'audizione del ministro della giustizia.
Sospendo la seduta.

La seduta, sospesa alle 16,55, è ripresa alle 18.

Audizione del ministro della giustizia, Roberto Castelli.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui fatti accaduti un occasione del vertice G8 tenutosi a Genova, l'audizione del ministro della giustizia, senatore Roberto Castelli.
Comunico che il ministro Castelli chiede di essere accompagnato dal dottor Stefano Simonetti. Se non vi sono obiezioni, così rimane stabilito.
Prima di dare inizio all'audizione in titolo, ricordo che l'indagine ha natura meramente conoscitiva e non inquisitoria.
La pubblicità delle sedute del Comitato è realizzata secondo le forme consuete previste dagli articoli 65 e 144 del regolamento della Camera, che prevedono la resocontazione stenografica della seduta.
La pubblicità dei lavori è garantita, salvo obiezioni da parte di componenti il Comitato, anche mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso che consenta alla stampa di seguire lo svolgimento dei lavori in separati locali.
Poiché non vi sono obiezioni, dispongo l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso.
La ringraziamo, ministro Castelli. So che lei ha preparato una relazione; se lo ritiene, può darne lettura e depositarne copia agli atti del Comitato.

ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. Signor presidente, onorevoli senatori e deputati, prima di cominciare l'esposizione dei fatti avvenuti durante i giorni del G8, vorrei fare una doverosa precisazione. In questa sede mi riferirò esclusivamente alle vicende che hanno chiamato in causa direttamente le competenze del Ministero della giustizia, quindi soltanto a fatti sostanzialmente legati all'espletamento delle pratiche inerenti alla presa in carico e alla successiva traduzione nei luoghi di detenzione delle persone tratte in arresto nel corso delle manifestazioni di Genova. Devo dire che le questioni di ordine pubblico legate al vertice erano all'ordine del giorno del Governo già da tempo, ben prima dell'insediamento del nuovo esecutivo. Era, infatti, presumibile che ci sarebbero stati problemi legati alla sicurezza. I precedenti vertici internazionali, infatti, avevano messo in luce l'esistenza di gruppi e frange estremiste inclini all'uso della violenza nel corso delle manifestazioni di piazza. A tal proposito ricordo che, già nel mese di maggio - quindi con il Governo precedente -, durante una riunione operativa riguardante il G8, era stata discussa e predisposta la costituzione di almeno una postazione in città per la consegna degli arrestati dalla polizia penitenziaria e per la successiva traduzione verso le carceri di Alessandria e Pavia o, in alternativa, a Voghera.
Questa postazione che, ripeto, è stata voluta dal precedente Governo, è poi stata identificata nell'ex caserma di Bolzaneto. Nelle settimane precedenti il vertice, a pochi giorni dal mio insediamento, ho voluto seguire i preparativi per la parte di competenza del mio dicastero. Voglio ricordare


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che l'allarme, nei giorni precedenti al summit, riguardava anche un'altra questione molto importante, ossia l'eventualità di rivolte all'interno del carcere in concomitanza con il vertice. Anche se ciò non è accaduto, le possibili sommosse nel penitenziario hanno rappresentato uno dei problemi da affrontare concretamente, oltreché un elemento di ulteriore tensione e preoccupazione.
In data 27 giugno, presso il Ministero della giustizia, ho convocato una riunione a cui hanno partecipato il mio segretario particolare, dottor Stefano Simonetti, i vertici del Dipartimento amministrativo penitenziario, nelle persone di Paolo Mancuso ed Emilio Di Somma, il consigliere Alfonso Sabella, il presidente del tribunale di Genova Antonino Di Mundo, il presidente della sezione GIP, dottor Giovannni Battista Copello, il procuratore generale della Repubblica di Genova Nicola Marvulli ed un dirigente del Ministero dell'interno, il dottor Luperi.
Nel corso di quell'incontro si parlò soprattutto dei problemi organizzativi e gestionali nell'eventualità di un alto numero di arresti in occasione del G8. Tra l'altro, in quell'occasione appresi che, almeno informalmente, erano già state individuate le strutture di Bolzaneto e di Forte San Giuliano come destinazioni verso le quali sarebbero stati indirizzati i fermati. Furono affrontati molti dettagli organizzativi come la valutazione dei percorsi da far compiere agli automezzi. Si studiavano, infatti, le strade per i percorsi dei mezzi destinati alle traduzioni. Fu deciso, addirittura, di approntare alcune motovedette della polizia penitenziaria nel caso le strade si fossero rivelate inagibili, per i tumulti o per questioni legate alle manifestazioni.
La preparazione del vertice, nell'ambito delle nostre competenze, è stata condotta dal punto di vista operativo dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, ma, per quanto mi riguarda, ho voluto essere costantemente aggiornato sugli sviluppi dell'organizzazione. Cito a questo proposito - è agli atti - la relazione del consigliere Sabella sulle misure predisposte in vista del G8 e un successivo appunto preparato su mia richiesta dal vicecapo del dipartimento Emilio Di Somma in data 12 luglio in cui si illustravano i dettagli tecnici dell'operazione in corso e di quelli in programma per i giorni del G8. E, ripeto, si prevedeva un numero piuttosto consistente di arrestati e, quindi, di detenuti.
Il contenuto delle relazioni è già stato anticipato in questa stessa sede dal consigliere Alfonso Sabella e dal dottor Di Somma e, quindi, ritengo di soprassedere alla lettura dei due appunti che posso lasciare a disposizione.
Arriviamo ai giorni del G8 e, come tutti sappiamo, l'avvio del vertice di Genova è coinciso fin da subito con l'inizio degli scontri di piazza. Le previsioni pessimistiche della vigilia, relativamente all'ordine pubblico, si sono puntualmente verificate. Come sappiamo, purtroppo, gli incidenti hanno registrato nella giornata di venerdì 20 luglio la morte di Carlo Giuliani.
Ho seguito gli accadimenti sia attraverso il racconto delle agenzie di stampa e delle televisioni sia tenendomi in stretto contatto con gli uomini del DAP incaricati di coordinare le operazioni di nostra competenza. In questo modo, verso le 15 di venerdì, ho potuto apprendere che il carcere di Marassi era stato oggetto di un attacco da parte dei manifestanti che hanno lanciato una bomba Molotov contro il portone del penitenziario - tra l'altro senza grosse conseguenze - mentre invece un'altra bomba lanciata all'interno dell'ufficio ha provocato notevoli danni, come, poi, ho potuto verificare in seguito.
Anche durante la giornata di sabato 21 ho seguito gli avvenimenti tenendomi in stretto contatto con gli uomini impegnati a Genova e, lo ripeto, attraverso i miei collaboratori mi tenevo costantemente aggiornato sul numero degli arrestati e sull'andamento delle operazioni necessarie per la loro immatricolazione e traduzione. A questo proposito, apro una parentesi per dire che il piano che, almeno secondo noi, avrebbe funzionato nel migliore dei modi era stato dimensionato - consentitemi questo termine ingegneristico - per poter recepire un massimo di 600 o 700 fermati


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che ritenevamo fosse un numero - come poi in effetti si è dimostrato - conservativo rispetto alla realtà.
È però chiaro che, considerati gli accadimenti che stavano avendo luogo c'era la preoccupazione che questo numero potesse aumentare e, quindi, che il piano stesso potesse in qualche modo cadere in difetto. La preoccupazione, infatti, era che il piano predisposto in precedenza per far fronte all'emergenza tenesse nonostante la gravità della situazione che si stava verificando a Genova. Nel tardo pomeriggio di sabato 21, proprio a fronte di questa grande tensione e di questi avvenimenti, ho pensato che fosse opportuno dare agli uomini della polizia penitenziaria impegnati a Genova un segno concreto di vicinanza e di sostegno in una situazione per loro tanto difficile anche, e soprattutto, alla luce dell'assalto che era stato messo a segno a Marassi.
Ho ritenuto che partire nel pomeriggio, quando ancora non era buio e la giornata vedeva ancora scontri e disordini sulle strade, sarebbe stato poco prudente, e la mia presenza, anziché di conforto, avrebbe potuto creare intralcio al lavoro degli agenti. Ho deciso, dunque, di rimandare alla serata non tanto la partenza quanto la decisione di una mia eventuale visita a Genova. Vorrei sottolineare che ho rimandato la decisione alla serata per dire che il preavviso del mio arrivo a Genova è stato molto limitato.
La sera del sabato mi trovavo a Sirtori, un paese in provincia di Lecco, ospite di alcuni amici, e soltanto in quel momento ho comunicato agli uomini impegnati a Genova la mia decisione di partire e la mia destinazione, ovvero il carcere genovese di Marassi. Ho fatto telefonare a Genova, intorno alle 22, sono partito con il dottor Simonetti e la scorta e siamo giunti a Genova intorno alle 0,15 - 0,30 della notte tra sabato 21 e domenica 22. Lo ripeto, il mio obiettivo era Marassi. Perché Marassi? Perché da quando sono diventato ministro ho continuato a ricevere notizie di possibili sommosse all'interno dei penitenziari e queste segnalazioni erano particolarmente allarmanti nelle settimane precedenti il vertice G8, dunque la preoccupazione era che in concomitanza con il G8 potessero verificarsi anche delle sommosse nelle carceri.
A Marassi ho incontrato: il generale Mattiello, capo dei gruppi operativi mobili; il generale Claudio Ricci, caporeparto traduzioni; il direttore del carcere, Manes; il comandante della polizia penitenziaria di Marassi, ispettore superiore Antonio Chessa, e dopo circa mezz'ora è giunto anche il consigliere Sabella.
Durante il sopralluogo nella struttura penitenziaria mi sono reso conto dei danni subiti durante l'attacco di venerdì pomeriggio. Il portone recava qualche danno ma, soprattutto, c'era un ufficio seriamente danneggiato da una Molotov e devo dire che se non vi sono stati feriti è dovuto soltanto al fatto che in quel momento, come mi è stato riferito, l'ufficio era vuoto.
Ho visitato il carcere, dove ho trovato una situazione tranquilla, data anche l'ora, evidentemente, ma mi è stato assicurato che anche durante il giorno la situazione era stata tranquilla per quanto riguarda il clima all'interno del carcere. Mi sono trattenuto con il personale discutendo di problemi legati alla struttura penitenziaria; in quel momento la visita è diventata una sorta di visita di routine alle carceri.
A questo punto vorrei citare un episodio che mi servirà, in seguito, per illustrare una certa atmosfera che incontro sempre durante le mie visite: un giovane agente della Polizia penitenziaria mi si è avvicinato e mi ha invitato a visitare gli alloggi in cui erano sistemati gli uomini della Polizia penitenziaria, non di stanza a Genova, ma lì inviati per far fronte alle necessità connesse al G8, per mostrarmi che si trattava di alloggi non all'altezza della situazione. Ho visto uno stanzone dove erano alloggiati addirittura in 16 e mi è stato riferito che si trovavano in quella situazione già da 20 giorni. Questo mi ha convinto, ancora di più, della bontà della mia decisione di essere andato a sostenere queste persone impegnate in un duro compito, in situazioni difficili. Con questo giovane sono stato, tra l'altro, un po' burbero: ricordo di avergli detto che non


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si può iniziare a lamentarsi già a 20 anni, e ricordo di aver fatto una battuta dicendo che prima dei 45 anni non si ha il diritto di lamentarsi perché bisogna fare la gavetta. Lo dissi per sdrammatizzare un po' la situazione. Ci tengo a ricordarlo perché, come ribadirò in seguito, gli uomini della Polizia penitenziaria hanno fatto veramente grandi sacrifici sia durante la preparazione sia durante le giornate del G8. Tra l'altro, ricordo che quando ho salutato i presenti, ho fatto una breve allocuzione al termine della mia visita, ho detto che la mia presenza quella sera a Marassi aveva, esclusivamente, il senso di testimoniare agli uomini della Polizia il sostegno personale del ministro in un momento così impegnativo. Un agente - se ricordo bene faceva parte di un sindacato - mi ha detto che stava lavorando da moltissimo tempo senza interruzioni, come del resto molti dei suoi colleghi, ma che per andare avanti sarebbe bastata una pacca sulla spalla, cioè qualcuno che riconoscesse l'utilità del loro lavoro. Credo che in questo episodio si riconosca veramente lo spirito per cui mi sono recato a Genova, per dare, metaforicamente, una pacca sulla spalla agli uomini della Polizia penitenziaria impegnati in quel durissimo compito.
A questo punto vorrei interrompere per un momento l'esposizione dei fatti per svolgere una mia considerazione. Mi dispiace di aver ascoltato o letto, mi pare anche in questa sede, giudizi molto severi sul personale della Polizia penitenziaria impegnato a Genova; mi dispiace perché si tratta di donne e uomini che hanno svolto il loro compito con grande impegno e serietà lavorando in condizioni molto difficili dal punto di vista materiale e psicologico. Ci sono agenti che hanno lavorato per molte ore consecutive per far fronte all'emergenza di quei giorni mantenendo sempre un atteggiamento professionale e rispettando la dignità delle persone arrestate. Forse si sono registrati singoli episodi di intolleranza (arriveremo anche a questo punto) ma criminalizzare tutti gli agenti che hanno lavorato a Genova mi sembra profondamente ingiusto. Si tratta di lavoratori - mi riferisco particolarmente a lei, onorevole Soda, che ha usato molte volte il termine lager ....

ANTONIO SODA. Mi riferivo anche alle condizioni in cui ha messo i suoi agenti. Lei ha costituito dei lager anche per gli agenti: 16 in una stanza!

ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. Guardi che per fare un lager ci vogliono anche le persone e i lager sono tali se ci sono dentro i nazisti. Questo sia chiaro!

ANTONIO SODA. Se vuole polemizzare .....

PRESIDENTE. Onorevole Soda, la prego, facciamo finire l'esposizione al ministro.

ANTONIO SODA. Lei è un ministro della Repubblica!

PRESIDENTE. Onorevole Soda, il ministro ha fatto riferimento ad una sua affermazione. Credo sia legittimo.

ANTONIO SODA. Se fa riferimento a me .....

PRESIDENTE. No, non a lei, ad una sua dichiarazione che credo risulti agli atti. Credo che il ricordo di quella dichiarazione non sia un fatto offensivo. Lei credo si assuma la responsabilità di ciò che ha detto.

ANTONIO SODA. Le affermazioni che ha fatto confermano l'incapacità di gestire .....

PRESIDENTE. Poi gli faremo le domande. Ma nell'esposizione credo che la citazione sia legittima.

ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. Scusate, io sono venuto qui, volentieri .....


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ANTONIO SODA. Il ministro deve ri ferire dei fatti e non polemizzare.

PRESIDENTE. Il ministro sta riferendo dei fatti, non sta polemizzando.

ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. Se posso proseguire ....

ANTONIO SODA. Non si è mai visto che il Governo censuri il Parlamento!

ROBERTO CASTELLI, Ministro della Giustizia. Non censuro nessuno, ma credo di avere il diritto di rispondere ad alcune accuse precise che risultano agli atti. Dichiaro che per costituire dei lager ci vogliono anche i nazisti. Le posso garantire che gli uomini della Polizia penitenziaria sono molto lontano dall'essere nazisti. Se la pensa diversamente, ne prendo atto, è suo diritto. Sono persone che hanno affrontato con grande professionalità ed impegno il loro compito, andando avanti per giornate intere in condizioni molto difficili, ottemperando al loro dovere e non aguzzini al lavoro in un lager. Ci tengo a precisare ciò e credo di averne tutto il diritto ed il dovere.

ANTONIO SODA. Precisi anche che ...

PRESIDENTE. Onorevole Soda, non le posso consentire di interrompere qualsiasi persona.

ANTONIO SODA. Il dibattito...

PRESIDENTE. Il dibattito si svolgerà dopo.

ANTONIO SODA. Siccome ha riferito a me la parola lager...

PRESIDENTE. Onorevole Soda, la prego, lo dirà quando chiederà la parola...

ANTONIO SODA. Ho ripreso la parola usata dall'onorevole Mancuso...

PRESIDENTE. Onorevole Soda, la invito a non interrompere.

ANTONIO SODA. Intanto chiariamo i fatti, presidente.

PRESIDENTE. Onorevole Soda, la invito per l'ennesima volta a fare silenzio.

ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. Posso continuare?

LUCIANO FALCIER. Abbiamo sopportato le offese di Casarini!

PRESIDENTE. Onorevole Falcier, non cominci anche lei. Siamo nel corso di un'audizione: se ognuno di noi dice quello che pensa a voce alta, credo non si renda un buon servizio. Scusate, cerchiamo di far terminare il ministro.

ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. Torno alla notte di domenica. Circa all'1,15 è terminata la mia visita a Marassi, ma prima di lasciare il carcere qualcuno, non ricordo chi, mi ha suggerito di visitare anche Bolzaneto, dove si trovavano gli agenti impiegati ormai da due giorni nel difficile lavoro di espletamento delle pratiche di immatricolazione e traduzione degli arrestati. Era una visita assolutamente non programmata, ma ho deciso di andare lo stesso per incontrare anche quegli agenti.
Il tragitto tra Marassi e Bolzaneto è stato leggermente più lungo del necessario perché volevo rendermi conto delle condizioni della città dopo due giorni di aspri scontri di piazza. Abbiamo pertanto deviato verso corso Italia, che è il lungomare di Genova, dove ho potuto verificare con i miei occhi le devastazioni che hanno colpito la città. Dopo circa 15 o 20 minuti di tragitto, intorno all'1,30 di notte, abbiamo raggiunto la struttura di Bolzaneto. All'interno della caserma di Bolzaneto erano impegnati agenti di diverse forze di Polizia. Torno a quanto ho dichiarato all'inizio: era evidente che mi trovavo lì solo ed esclusivamente per quanto riguardava la Polizia penitenziaria e quindi non volevo assolutamente, in alcun modo, dare l'impressione di interferire con altre forze dell'ordine che non fossero, diciamo, sotto la mia responsabilità. Su mia


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esplicita richiesta, ho voluto visitare soltanto la parte della caserma gestita dagli agenti della Polizia penitenziaria. Credo sia un fatto molto importante, un punto fondamentale, almeno per quanto riguarda la mia esperienza.
L'ex caserma di Bolzaneto, come è noto e come è stato detto più volte, ospitava l'ufficio matricola per l'immatricolazione delle persone ivi condotte dalle altre forze dell'ordine, nonché un'area sanitaria per la visita medica di primo ingresso e per eventuali medicazioni d'urgenza. Complessivamente, a Bolzaneto sono state immatricolate 222 persone. Ricordo peraltro che una struttura analoga era stata allestita nella palazzina logistica della caserma dei Carabinieri di Forte San Giuliano, dove le persone immatricolate sono state invece 57. Il numero totale è rimasto largamente all'interno di quel numero prudenziale che avevamo ipotizzato in circa 600 o 700 persone.
A questo proposito, ripeto che la decisione di attivarle è stata presa dal precedente Governo, mentre l'atto formale della loro costituzione è contenuto in un mio decreto del 12 luglio 2001. Tale decreto - ribadisco - non formalizzava l'istituzione di alcun lager o mostro: per me sarebbe facile troncare ogni polemica e zittire chi ha utilizzato quelle parole, ricordando che la responsabilità politica di quella scelta appartiene ai ministri del vecchio Governo di centrosinistra; credo però che renderei un cattivo servizio alla realtà dei fatti. Mi assumo la responsabilità - ripeto, mi assumo la responsabilità - di aver firmato un decreto che, attraverso l'attivazione delle strutture di Bolzaneto e Forte San Giuliano, metteva semplicemente a disposizione degli agenti della Polizia penitenziaria gli spazi necessari per le pratiche burocratiche e le visite necessarie prima della traduzione degli arrestati.
Chi ha parlato di lager, ha parlato a sproposito, visto che l'esperienza dei campi nazisti e di quelli sovietici, i famigerati gulag, è lontana anni luce dalla pur concitata atmosfera di Bolzaneto dove, in condizioni difficili, gli agenti svolgevano il proprio dovere e dove, se da una parte può essersi verificata qualche scorrettezza da parte di singoli, si sono registrati gesti di solidarietà, al punto che gli stessi agenti sono stati lodati da un'addetta del consolato americano che ha visitato una cittadina statunitense detenuta a Bolzaneto. Devo dire che le strutture, come era previsto, sono state prontamente smantellate.
Vorrei sottolineare un altro aspetto riguardo a questa questione: stiamo discutendo sempre di cosa è successo, ma proviamo a discutere di ciò che non è successo, di quello che è stato evitato. Immaginiamo che queste strutture non fossero state create, che tutti i fermati fossero stati portati a Marassi, un carcere in pieno centro urbano che in quei giorni era circondato dai manifestanti ed addirittura fatto oggetto di attacchi incendiari. La scelta di tenere i fermati all'interno di Marassi, con i loro compagni tutti intorno al carcere, si sarebbe potuta rivelare una miscela esplosiva, anche alla luce - lo ripeto - degli allarmi su possibili rivolte dentro le carceri. Proviamo ad immaginare questo scenario e poi proviamo a trarne le conseguenze. Sono convinto che tra tutti i mali sicuramente abbiamo scelto il minore.
Anche se questa scelta è stata compiuta dal precedente Governo, me ne assumo la responsabilità perché, dal punto di vista tecnico, la condivido: lo dico chiaramente, senza alcun infingimento e senza alcuna fumosità. Proprio per questi motivi ho ritenuto di avallare con il mio decreto la decisione presa da chi veniva prima di me.
Tornando alla mia visita - che, ripeto, si è limitata alla porzione della caserma gestita dagli uomini del mio ministero - posso riferire di aver visto alcune persone che stavano in piedi con le gambe allargate e la faccia contro il muro. C'era un'unica cella, per quello che ho visto io, perché l'altro spazio era riservato ai Carabinieri e quindi non ci sono andato perché non era di mia competenza.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIAN FRANCO ANEDDA

ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. Nella cella che ho visto c'erano


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una decina di uomini, di ragazzi, da una parte, con un agente della Polizia penitenziaria all'interno, ed una ragazza, dall'altra parte, in quell'atteggiamento che ho dichiarato e che, in qualche modo, mi ha un po' stupito; quindi ho chiesto come mai fossero in quella posizione, rivolti verso il muro, in piedi. Mi è stato risposto - leggo - che avevano fatto così per evitare il pericolo che gli uomini potessero, in qualche modo, dar fastidio alla ragazza. Questa è stata la risposta dell'agente che si trovava nella cella insieme ai fermati.
Non ho assistito a pestaggi o a scene di violenza, non ho visto persone in condizioni precarie di salute. Ricordo che c'era una persona seduta, questa sì, con una caviglia fasciata ma in atteggiamento tranquillo. Nel corso della mia visita ho parlato con un medico e con uno dei fermati. Il medico mi ha detto di aver curato alcuni feriti, ma si riferiva agli scontri di piazza. Il giovane fermato, con cui ho avuto un breve dialogo, mi ha detto di essere un ragazzo pugliese (non ricordo più se mi disse che era di Lecce o di Bari). Mi ha detto di essere uno studente di un istituto tecnico, aveva un aspetto normale, non era ferito e chiaramente non aveva un atteggiamento felice, come potete immaginare; nemmeno lui ha denunciato maltrattamenti o episodi di violenza.
Non ho avvertito alcun odore particolare, né di urina né di feci; non ho nemmeno avvertito odore di detersivi o altro, che sarebbero stati necessari se qualcuno avesse voluto ripulire l'ambiente in fretta e furia prima del mio arrivo, come ho letto su alcuni giornali. Ritengo, tra l'altro, che non ci sarebbe stato nemmeno il tempo di sistemare le cose, visto che la decisione di visitare anche Bolzaneto, oltre a Marassi, è stata presa all'improvviso. Ho visto inoltre, oltre a quanto già detto, il materiale sequestrato ai manifestanti: un ammasso di sbarre di ferro, caschi, elmetti, maschere antigas, una mazza dal peso di molti chili - che era un'arma sicuramente molto pericolosa -, un estintore ed alcuni scudi.
Una volta uscito dalla caserma ho parlato con un agente della Polizia di Stato che mi ha raccontato di una guerriglia condotta da professionisti in città; come tutti gli altri agenti che ho visto, mi sembrava assolutamente normale, certamente molto stanco ma all'apparenza né drogato, come ho letto su molti giornali, né eccitato.
Non ho visto assolutamente agenti fuori di sé, come invece è stato raccontato, bensì persone impegnate in un duro lavoro. Ho lasciato Bolzaneto intorno alle 2,00 per fare rientro alla mia abitazione e aggiungo che della perquisizione alla scuola Diaz ho avuto notizia soltanto il giorno successivo dai mass-media.
La mia visita a Bolzaneto è durata dall'1,35 circa alle 2,00 della notte tra sabato e domenica. Ho visto, ripeto, una situazione tutto sommato normale, tenendo ovviamente presente il contesto di quei drammatici momenti.
A seguito di alcuni articoli apparsi sulla stampa nazionale, in data 26 luglio ho convocato presso il Ministero un vertice con il responsabile del DAP disponendo immediatamente l'avvio di un'indagine interna su quanto accaduto a Genova, per quanto di competenza degli uomini del dipartimento. Questa indagine è stata formalmente avviata con decreto del 2 agosto, perché in quella data si è insediato il nuovo responsabile del DAP, il dottor Tinebra, avendo noi preferito che fosse il nuovo responsabile a dare avvio all'indagine.
Prima di terminare il mio intervento, vorrei fare una riflessione. Da quando sono ministro, ogni volta che visito strutture di competenza del DAP, vengo fermato da persone che ci tengono ad esporre personalmente i problemi che incontrano nel loro lavoro. In proposito, ricordo quanto detto all'inizio della mia relazione a proposito di quel giovane agente che ha voluto farmi vedere che stavano lavorando in condizioni non ottimali. Pertanto, è accaduto anche quella sera che qualcuno avesse qualche lamentela da esporre al ministro. Mi domando: è mai possibile che durante la visita del ministro a Bolzaneto, nessuno si sia fatto avanti per lamentarsi e per denunciare pestaggi e violenze? Nessuno mi ha fermato per dirmi quanto


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ho letto successivamente sui giornali. Non so dire se, e in quale misura, i racconti raccolti dalla stampa siano fasulli o meno, ma so solo che una delle testimonianze che abbiamo raccolto è di una persona che dice di avermi visto quella notte a Bolzaneto. Peccato che dal verbale risulta essere uscita dalla caserma alle ore 0,45, mentre io sono arrivato all'1,30 circa: dico questo per dimostrare come alcune testimonianze siano inattendibili.
Proprio ieri mi è pervenuta una prima relazione da parte della commissione d'inchiesta da me attivata, della quale vorrei leggervi la premessa e le conclusioni: sono tre pagine. Si tratta della prima relazione della nostra inchiesta interna. Nella premessa si afferma: «In esito alla prima fase dell'attività ispettiva svolta da questa commissione in relazione ai fatti in oggetto e a seguito del decreto indicato in epigrafe, si ritiene opportuno formulare sin da adesso alcune considerazioni in merito a quanto già emerso. È opportuno premettere che l'attività di indagine della commissione, in mancanza di documenti ufficiali e nell'impossibilità di procedere all'audizione dei soggetti che avrebbero denunciato le violenze, in quanto tutti ormai scarcerati, si è principalmente sviluppata analizzando gli elementi riportati dalla stampa. Infatti, a partire dal 26 luglio 2001, quando il quotidiano la Repubblica ebbe a pubblicare le dichiarazioni di un anonimo appartenente alla Polizia di Stato, numerosi organi di stampa hanno iniziato a riportare notizie di vario genere su violenze che i manifestanti arrestati avrebbero subìto nel sito penitenziario di Bolzaneto e, successivamente, anche in quello di Forte San Giuliano. Con nota dello stesso 26 luglio 2001, l'Ufficio centrale ispettorato ha richiesto alla procura della Repubblica di Genova l'autorizzazione a svolgere accertamenti amministrativi sugli episodi riportati dal quotidiano prima citato, autorizzazione che veniva concessa con nota del 31 luglio dall'autorità giudiziaria. Ottenuta l'autorizzazione dall'autorità giudiziaria, si è dunque proceduto all'analisi degli atti in possesso dell'amministrazione penitenziaria e ad effettuare il sopralluogo e l'audizione di alcuni presunti protagonisti della vicenda, con specifico riferimento al sito di Bolzaneto. Di conseguenza, la presente relazione non può che costituire un primo tentativo di ricostruzione dei fatti, la cui complessità, almeno per quanto si apprende dagli organi di stampa, non consente di pervenire a conclusioni sufficientemente affidabili, almeno fino a quando questa commissione non verrà in possesso di dichiarazione ufficiali che avrebbero reso le vittime dei presunti abusi. Si è ritenuto, per intuibili ragioni di riservatezza e di correttezza istituzionale, di non richiedere, fino a che saranno in corso indagini della procura della Repubblica di Genova, i relativi atti all'autorità giudiziaria e dunque ci si riserva di integrare successivamente la presente relazione non appena sarà possibile conoscere ufficialmente, non dalla stampa, il contenuto delle dichiarazioni in questione. Per comodità espositiva, la presente relazione, che riguarda solo le vicende di Bolzaneto e non ha certo la pretesa della esaustività, si svilupperà, dopo una doverosa premessa descrittiva dello stato dei luoghi e delle procedure in uso nel sito penitenziario, analizzando per categorie i fatti che, secondo quanto riportato dagli organi di stampa e, in parte, per quanto emerso dai pochi elementi obiettivi acquisiti, si sarebbero verificati nella struttura suddetta».
Lascio agli atti della Commissione la relazione, che ovviamente non è possibile leggere ora integralmente, mentre mi limito ora ad illustrarne le conclusioni. Dall'analisi, per quanto parziale, dei dati sin qui acquisiti, se da un lato emergono diversi episodi che indubbiamente meritano di essere approfonditi in quanto appaiono verosimili e di sicura gravità, dall'altro è possibile ricavare in numerosi casi un'errata percezione dei medesimi, forse giustificabile con una sensazione di fondo delle persone custodite, a qualunque titolo, presso la caserma di Bolzaneto di essere vittime innocenti di vessazioni da parte delle forze di Polizia. Infatti, al di là delle legittime procedure poste in essere dal personale di Polizia penitenziaria ed


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avvertite come soprusi da parte dei detenuti, nonché di quei casi in cui il ricorso alla forza fisica è stato determinato dalla necessità di vincere la resistenza opposta, sono, come si è sopra rilevato, numerosi gli episodi frutto di palesi travisamenti o di enfatizzazione oltremisura di vicende forse discutibili, ma comunque del tutto marginali. Paradigmatico di tale atteggiamento da parte degli arrestati, e dunque degli stessi organi di stampa che ne hanno riportato le dichiarazioni, è quanto avvenuto a proposito di Forte San Giuliano, laddove si è con ogni evidenza trattato di orrori e violenze decisamente inesistenti e laddove, circostanza non secondaria, operavano le stesse categorie di personale di Polizia penitenziaria di Bolzaneto. Ancora al riguardo, altamente esemplificativi sono i primi racconti pubblicati da giornali e siti Internet, in cui si riferisce di arrestati costretti a svolgere i propri bisogni fisiologici all'interno dei propri abiti, notizie queste mai più ribadite, allo stesso modo di quelle inerenti i manganelli, che avrebbe utilizzato la Polizia penitenziaria. Ciò non toglie però che, come sembra emergere dai dati sin qui acquisiti dalla commissione, il clima a Bolzaneto, almeno in certe fasi, solitamente coincidenti con l'arrivo delle persone fermate, fosse particolarmente concitato e dunque si venissero a creare condizioni ambientali tali da favorire abusi e maltrattamenti da parte di singole unità di personale. Per quanto riguarda la Polizia penitenziaria è comunque opportuno sin d'ora svolgere una breve notazione inerente la gestione degli arrestati della scuola Diaz, in quanto nessuno di essi ha riferito episodi di violenza o di abuso riconducibili al personale dell'amministrazione penitenziaria, fatto questo che induce a qualche riflessione di carattere generale.

MARCO BOATO. Sono stati massacrati!

ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. Come si evince dalle dichiarazioni rese dai responsabili operativi del sito penitenziario, gli arrestati della Diaz furono gestiti potendo contare su più camere di sicurezza, in un momento in cui le altre forze di polizia avevano praticamente abbandonato l'edificio, in quanto avevano concluso i loro compiti. In relazione alla custodia di tali arrestati, la Polizia penitenziaria, che pure ha provveduto anche con la collaborazione di un funzionario della Polizia a rifornire i detenuti di cibo, coperte e generi di conforto, ha persino ricevuto, come dicevo prima, i complimenti di un'addetta consolare americana, la quale ha visitato una cittadina statunitense detenuta nella caserma di Bolzaneto, sul modo con cui i detenuti erano stati trattati.
È possibile che un eventuale diverso atteggiamento del personale in servizio sia riconducibile al naturale abbassamento della tensione conseguente alla chiusura del vertice del G8 e all'approssimarsi della fine del relativo impegno. Così come non è da escludere che le migliori condizioni logistiche, conseguenti alla possibilità di sfruttare più locali come camere di sicurezza, abbiano reso più sereno il lavoro e fugato preoccupazioni circa pericolose commistioni tra le varie categorie di soggetti consegnanti dalla Polizia di Stato».
A tale proposito vorrei aprire una parentesi: cosa vuol dire questa frase? Significa che mi è stato dichiarato, non in quella sede ma in questi giorni, che vi era la necessità di tenere i detenuti in piedi e separati in quanto, poiché erano molti e nella stessa cella, bisognava separare coloro che erano già stati immatricolati, in attesa di traduzione, e gli altri che invece non erano ancora stati immatricolati. Questa frase si riferisce a tale circostanza.
«Un'altra chiave di lettura di tali fatti, però, potrebbe essere individuata nella presenza nella struttura solo di personale di polizia penitenziaria e, dunque, nelle migliori possibilità di controllo, da parte dei superiori, del personale comunque addetto alla custodia degli arrestati. Ovviamente, è possibile che tali tre componenti abbiano contribuito ad abbassare il livello di tensione della struttura, ma certamente la commistione che, in lunghi periodi, si era verificata tra diverse categorie di soggetti


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presenti, appartenenti a più forze di polizia, ha indubbiamente determinato il ricorso a misure rigide nella gestione dei detenuti e ha causato gravi difficoltà nel controllo del comportamento di qualche singola unità di personale. Ciò non vuol certo significare che tale controllo sia mancato. Altamente esemplificativa risulta infatti la circostanza, riferita dal personale medico» - che troverete nella relazione - «circa la vicenda del cittadino greco al quale, ad un certo punto, venne accertata una grave lesione interna e che era stato aggredito verbalmente in infermeria da un poliziotto rapidamente allontanato dal locale. Così come indicativi di ciò sono i due episodi, riferiti dall'infermiere, inerenti richiami di unità di personale di polizia penitenziaria che si erano resi responsabili di comportamenti gravemente scorretti, così come quanto segnalato da un ispettore circa il biasimo espresso nei confronti di un appartenente ad altra forza di polizia che aveva colpito a freddo un detenuto.
Tale relazione - come si è già chiarito - costituisce solo un primo tentativo di ricostruire, limitatamente all'ambito di competenza e di responsabilità degli appartenenti all'amministrazione penitenziaria, quanto accaduto a Bolzaneto, nonché di addebitare individualmente i fatti specifici in via di accertamento. Come quel paio di episodi che già risultano assumere una certa concretezza in considerazione delle fonti che li hanno riferiti e dell'obiettiva possibilità di utilizzarle (non trattandosi di mere propalazioni riportate dalla stampa). Ovviamente, ci si riserva di formulare conclusioni definitive in esito a successive attività della commissione, auspicando di poter contare al più presto su documentazione di cui sia certa la provenienza e l'attendibilità. Si rimane a disposizione per tutte le integrazioni e i chiarimenti che dovessero ritenersi necessari. Con osservanza. La commissione ispettiva: dottor Alfonso Sabella, dottor Francesco Patrone, dottor Luigi Pagano, dottoressa Maria Concetta Altavista, colonnello Giuliano Darreggia.».
È chiaro che ognuno, considerato quanto ho letto e quanto potrà leggere, darà l'interpretazione che vuole. A me preme significare che da tale lettura scaturisce chiaramente che occorre assolutamente difendere il buon nome della Polizia penitenziaria e che, se vi sono stati episodi, in via di accertamento (chiaramente non solo da parte nostra ma anche dalla autorità giudiziaria), si è trattato di episodi singoli e isolati.
Vorrei terminare leggendo due lettere: credo che sia doveroso farlo. La prima è del presidente della sezione GIP, dottor Copello, che scrive: «Sento il bisogno di esprimere la mia gratitudine agli ispettori,» -, non cito i nomi per rispetto della privacy - «a tutti indistintamente gli agenti di Polizia penitenziaria impegnati nel servizio di trasporto e tutela di magistrati e cancellieri, per la disponibilità e l'efficienza di cui hanno dato prova, meritandosi gli elogi miei personali e dei colleghi».
La seconda lettera è firmata dal procuratore generale della Repubblica, dottor Marvulli, che scrive: «Esauritasi la fase dell'emergenza degli adempimenti, complessi e numerosi, che si sono resi necessari in conseguenza degli eventi verificatisi in coincidenza delle manifestazioni del G8» - anche tale lettera è indirizzata ad uno tra gli ispettori responsabili - «sento il dovere di rivolgere a lei e a tutto il personale della Polizia penitenziaria che ha lavorato con noi in questi giorni il mio più vivo ringraziamento per la generosa e proficua collaborazione che ci è stata offerta, che ha reso possibile il corretto e puntuale svolgimento di tutte le operazioni che si sono rese necessarie. Alla mia personale gratitudine per quello che è stato fatto, per il modo ineccepibile con cui lo si è fatto, si unisce la riconoscenza di tutta la magistratura ligure che ha potuto fruire di tale preziosa collaborazione.».

PRESIDENTE. Ringraziamo il ministro. Passiamo agli interventi dei colleghi che hanno chiesto di parlare per porre domande.


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GRAZIELLA MASCIA. Non sono interessata a disquisire su alcuni passaggi del signor ministro. I tempi sono ristretti, ma mi preme affrontare alcuni nodi che sono stati proposti. In particolare, vorrei partire dall'ultima considerazione, cioè dall'esigenza di difendere il buon nome della Polizia penitenziaria. Penso che tale esigenza sia corretta, ma che essa si possa soddisfare nel momento in cui si cerca di verificare esattamente ciò che è successo a Bolzaneto. Certamente, individuando le responsabilità, ma soprattutto, per quanto riguarda la responsabilità politica, comprendendo quali siano le cause, oggettive e strutturali, che hanno contribuito a determinare le responsabilità personali. In tal senso comprendo dalla relazione ispettiva - non so se ho perso qualche passaggio - che la conclusione, la valutazione complessiva è che vi sono stati confusione, eccessi e abusi, però si tratta di fatti assolutamente individuali. Vorrei far notare che abbiamo svolto già due audizioni, siamo partiti da una situazione in cui si diceva che non era successo nulla, poi si è detto che forse poteva essere successo qualcosa e oggi siamo di fronte ad una valutazione che lei ci propone ma con un'indagine ancora in corso e con testimonianze - devo dire - allarmanti e inquietanti, che si sono susseguite nel corso di queste settimane: dopo due mesi non abbiamo ancora compreso esattamente.
Sottolineo, altresì, che io condivido la considerazione che gli agenti debbano giovarsi, come tutti i lavoratori e le lavoratrici, di condizioni di lavoro adeguate. Frequento le carceri da dieci anni e mi sono sempre preoccupata, oltre che di visitare i detenuti, anche di chiedere agli agenti le loro condizioni. Mi pare - considerato ciò che lei ci ha detto stasera - che la condizione degli alloggi non fosse la migliore per aiutare a svolgere bene il loro lavoro. Credo che ciò debba essere un elemento da aggiungere in una verifica del lavoro svolto.
La verifica che io ritengo opportuna non è tanto, o soltanto, inerente alle responsabilità individuali, sulle quali la magistratura sta indagando, bensì riguarda le cause strutturali. Abbiamo considerato in queste audizioni, in diversi passaggi, il problema dell'organizzazione complessiva, che lei ha difeso, che ha determinato questa situazione. Lei ha detto che si assume la responsabilità di aver firmato quel decreto, ma quando si pensa ad una situazione in cui si possono determinare centinaia di arresti, dalle cartine che ci sono state fornite e dalle informazioni, io non comprendo come si potesse ritenere che tutto sarebbe andato per il meglio e che le persone avrebbero potuto avere un decorso lineare. Quando è andata bene, anche chi non ha subìto abusi - ci è stato confermato - è rimasto in quei posti, in determinate condizioni, che io non considero normali (con le mani al muro, le gambe allargate, eccetera), per diverse ore, come ci è stato detto. Allora io le chiedo, signor ministro - il dottor Di Somma e il dottor Sabella non ci hanno saputo rispondere -, chi, e in quale sede, ha deciso ciò e si è assunto la responsabilità organizzativa. Dico questo in quanto l'impressione è che vi siano state sedi collettive nelle quali sono stati predisposti tutti i piani, ma nessuno ci sa dire dove siano state assunte tali responsabilità.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DONATO BRUNO

GRAZIELLA MASCIA. Mi sarei aspettata, a bilancio di una situazione come questa, nella quale, ripeto, le testimonianze purtroppo sono andate via via ad aggiungersi - quelle rilasciate dagli infermieri, che sono state particolarmente inquietanti, si sono sommate a quelle di chi ha subito direttamente abusi e così via - che si sarebbe potuta svolgere una verifica consuntiva. Ad esempio, anche se questo non è un aspetto principale, secondo lei non sarebbe stato logico nominare quanto meno dei responsabili? Questa era, almeno così mi pare di aver letto, una delle richieste che venivano avanzate dai sindacati degli agenti di Polizia penitenziaria. Ebbene, né a Bolzaneto né a San Giuliano ve ne erano.


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Penso che oggi il problema non sia solamente quello di avere una relazione e di sapere se siano state cinque o dieci le persone che hanno commesso abusi e violenze; la questione è sapere se noi, dinanzi ad un bilancio così drammatico quale quello di Bolzaneto, siamo in grado di compiere una riflessione a posteriori. Se infatti il bilancio porterà a sostenere che è andato tutto bene, penso che questa opinione non potrà essere condivisa. Tra l'altro, credo che così sia anche difficile riuscire a difendere il buon nome della Polizia penitenziaria.

ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. Credo che fare polemiche sia assolutamente inutile, ma alcune cose vanno ribadite. Non si tratta assolutamente di uno scaricabarile, ma sono costretto a ricordarle che ho prestato giuramento solo l'11 giugno. Quando mi sono insediato al Dicastero, uno dei primi problemi che ho affrontato è stato proprio quello dell'organizzazione del G8. Come atto ufficiale prima di allora vi è soltanto una riunione riservata in cui, appunto, è stata presa la decisione di massima di istituire un luogo di accoglimento fuori dal carcere per i motivi che ho già ricordato. Nient'altro. Praticamente abbiamo dovuto, in pochissimo tempo, organizzare tutto.
Il giudizio è chiaramente soggettivo: è andata bene o è andata male? Questa è la solita questione del bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno. Può constatare che non ho avuto alcuna difficoltà nel leggerle parola per parola ciò che è scritto nella relazione, relazione alla quale intendo attenermi in condizione di assoluta terzietà. Ho letto ciò che è stato scritto, e ricordo che tra i componenti la commissione vi è anche un magistrato. Credo quindi che essa possa fornire ampie garanzie di obiettività.
Ripeto che questa non vuole essere una scusa, però di fatto mi sono trovato di fronte a tale situazione: la prima riunione ufficiale operativa l'ha indetta il sottoscritto a pochi giorni dal vertice in data 27 giugno. Questo è un dato.
Non vorrei risultare cinico e poco rispettoso dei diritti dei cittadini, ma quale giudizio può essere dato complessivamente sull'operazione? Questo senza considerare i casi isolati, su cui poi vedremo cosa dirà la magistratura; sono infatti in possesso di altri documenti che non ho ritenuto opportuno produrre in questo momento, perché non credo siano del tutto attendibili. Sembrano comunque emergere alcuni problemi, alcune discrepanze nelle testimonianze, non solo in quelle che sono ritenute sicuramente inattendibili, ma anche in quelle ritenute generalmente attendibili e che invece non sono poi così «cristalline». Al di là dei casi singoli, che sono sicuramente malaugurati e che possono essersi verificati, devo dire che, in definitiva, non si sono verificati gravissimi problemi e non c'è stata alcuna sommossa nelle carceri, il che costituiva una mia gravissima preoccupazione, fortunatamente scongiurata. Qualcuno ha pagato il prezzo di rimanere troppe ore in piedi: ciò è accaduto. Non so se sia una cosa gravissima....

GRAZIELLA MASCIA. Ritengo che lo sia.

ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. Lei dice di sì. Posso fare una battuta che probabilmente scatenerà le ire dell'onorevole Soda? Sono trent'anni che lavoro nelle fabbriche ed i metalmeccanici per 35 anni lavorano in piedi dalla mattina alla sera; ebbene, non li ho mai sentiti lamentarsi.

GRAZIELLA MASCIA. Ne so qualcosa anch'io, ma non è un paragone da fare.

ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. Ripeto, non è assolutamente giusto che alcune persone vengano costrette a restare in piedi. Ciò è accaduto, ma è ben diverso da quella che può essere una tortura, una violenza programmata o la costituzione di un lager . Sto dicendo le cose esattamente per ciò che abbiamo visto.

GRAZIELLA MASCIA. Lei però è il ministro della giustizia!


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CESARINO MONTI. Signor ministro, nel ringraziarla per la chiara esposizione, vorrei chiederle in quali condizioni si trovava il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria prima del vertice di Genova e chi lo guidava.
La stampa e la televisione, nonché l'onorevole Mascia, hanno dato ampio risalto alle testimonianze di due infermieri presenti a Bolzaneto nei giorni del G8; volevo chiederle se abbia riscontri circa l'attendibilità delle loro affermazioni.

ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. Come già detto prima, appena insediato ho trovato un Ministero in cui era stata fatta terra bruciata; qualcuno, con una felice battuta, mi ha detto che probabilmente oltre ad esserci la terra bruciata erano stati avvelenati anche i pozzi. Ciò per dire che effettivamente il Ministero versava in una situazione in cui mancavano molti capi, ed in particolare quello del DAP; ricordo infatti che il dottor Caselli, che era a capo di quella struttura, ha assunto in data 15 febbraio un'altra carica e che non è stato più nominato un suo sostituto.
Con questo non voglio assolutamente dire che il dottor Mancuso abbia mancato ai suoi doveri. Anzi, approfitto di questa sede per ringraziarlo della collaborazione che ha prestato. Credo che tutti si siano prestati al massimo delle loro possibilità. È chiaro però che una cosa è avere un responsabile «codificato» nel pieno dei propri poteri, altro è avere un facente funzione. Ripeto, credo che dal punto di vista del personale non ci sia alcunché da rimproverare. Certamente c'è stata anche una pesante latitanza da parte del Governo che, probabilmente, vivendo un'esperienza di fine legislatura, non si è sentito in dovere, nelle persone del ministro o di qualche sottosegretario, di predisporre riunioni, di organizzare, di occuparsi di questo problema che in realtà era assolutamente grave.
Per quanto riguarda i due infermieri, non vorrei entrare nel merito, perché non vorrei anticipare o comunque interferire in quelle che potrebbero essere le conclusioni della magistratura circa l'attendibilità di tali testimonianze. Posso dire che, da quanto risulta dalla lettura dei risultati della nostra indagine interna, i due infermieri sono stati sentiti; altrettanto però non si è fatto, in quanto ancora non chiaramente individuate, con le persone da loro accusate e credo che sia assolutamente giusto ascoltare la versione anche di queste ultime prima di esprimere qualsiasi giudizio. Su questo punto mi consenta quindi di non dilungarmi.

GIANCLAUDIO BRESSA. Signor ministro, la ringrazio e concordo con lei sul fatto che sarebbe sbagliato, oltre che profondamente ingiusto, tranciare giudizi negativi nei confronti della Polizia penitenziaria, la quale è comunque chiamata ad un lavoro durissimo a prescindere da situazioni straordinarie quali potevano essere quelle determinatesi con il G8. Sarebbe pertanto, lo ripeto, profondamente sbagliato esprimere giudizi non motivati su un intero corpo di polizia che da anni svolge molto bene il proprio lavoro in condizioni di grande difficoltà.
Vorrei però approfittare della sua presenza per chiarire un paio di questioni. Abbiamo già avuto modo di sentire sia il dottor Di Somma sia il dottor Sabella che hanno chiarito alcuni aspetti importanti. Volevo invece avere da lei alcune risposte in ordine a due fatti su cui ci ha poc'anzi relazionato.
La prima domanda è la seguente: qual è stata la determinazione che l'ha indotta a partire alle 22 per andare a Marassi? Lei ci ha raccontato che voleva offrire un gesto di solidarietà ai lavoratori della Polizia penitenziaria del carcere di Marassi che il venerdì, nel pomeriggio, avevano subito un attacco. È stata una determinazione molto sofferta dal momento che per assumere questo tipo di decisione ha impiegato dal pomeriggio del venerdì alla sera di sabato alle 22. La sua decisione è stata completamente autonoma o si è consultato con qualche suo collega di Governo che l'aveva consigliato di comportarsi in questo modo?


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La seconda domanda riguarda un'affermazione che lei questa sera ci ha riportato. Personalmente non la conosco, ministro Castelli, ma tutti dicono che lei è una persona di solido buonsenso e dotata di grande senso pratico. Quel suo buonsenso non si è ribellato di fronte ad una risposta così incredibilmente ridicola quale quella che lei ha ricevuto da un agente di Polizia penitenziaria che le diceva che le persone si trovavano a gambe larghe, con la faccia contro il muro per evitare che infastidissero una detenuta? Le pare possibile che nel momento in cui vi sono persone fermate, costrette in camere di sicurezza, sia necessario tenere le persone in piedi, con la faccia contro il muro, a gambe larghe per impedire che dieci persone infastidiscano una donna? Vorrei che lei rispondesse e dimostrasse in questa occasione il suo solito buonsenso, dicendo che non è stata una risposta accettabile ma una sciocchezza di dimensioni probabilmente mai ascoltate prima.

ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. Ho citato l'esempio dell'assalto che è stato il caso più eclatante ma, come lei ricorderà, c'è stato un crescendo di tensione fra il venerdì e il sabato. Venerdì si è verificata la malaugurata e drammatica morte del giovane Giuliani, ma sabato si sono verificati alcuni avvenimenti, dal punto di vista dell'ordine pubblico, forse ancora più vasti. Ho visto tutto ciò, ho visto crescere il numero degli arrestati, la stanchezza e la tensione, dei miei uomini (avremmo fatto 50 telefonate come ha affermato anche il dottor Simonetti); poiché è stato un crescendo di tensione, non ci ho pensato dal venerdì ma da sabato pomeriggio.
Ognuno ha un proprio vissuto. Ho sempre pensato che, se qualcuno ha sotto la sua responsabilità delle persone, nei momenti più difficili deve restare loro vicino se vuole avere una credibilità verso di loro. Forse non è giusto ma questo è ciò che credo. Ho pensato al fatto che per un ministro recarsi in un ambiente che sembrava ormai quasi di guerriglia, se non di guerra, potesse essere pericoloso tant'è vero che mi sono guardato bene dall'andare di giorno a causa di alcuni problemi. Sono andato nel pieno della notte, sapendo che normalmente in tali ore le cose si acquietano, le strade si svuotano e ciò non avrebbe creato nessuna difficoltà soprattutto a coloro che si trovavano nella zona rossa. È stata una decisione totalmente autonoma che ho ritenuto di adottare come responsabile della Polizia penitenziaria (mi sento tale come ministro della giustizia). È stata una decisione - lo ripeto - totalmente autonoma. Non ho ritenuto di consultarmi con nessuno perché avrei creato allarmismo. Pensate a cosa sarebbe accaduto se in qualche modo fosse circolata la notizia che il ministro si stava recando a Genova. Mi sono recato a Genova, perché volevo andare a Marassi, a sirene e a lampeggianti spenti con due auto assolutamente anonime. Questo è il dato.
Lei afferma che la risposta ricevuta dall'agente di polizia è stata assolutamente ridicola ma occorre anche considerare i momenti. In quella cella si trovavano alcune persone non conosciute da nessuno. La risposta mi è sembrata non ridicola, ma strana: a mente fredda, infatti, mi sono detto che tutto ciò era molto strano. Lì per lì, comunque, non mi sembrò ridicola. Chiesi, allora, spiegazioni. C'è, infatti, un'altra spiegazione. Ho riferito a testimonianza; c'era lì dentro un poliziotto a cui ho chiesto le ragioni per cui si trovava in quel posto ed egli mi ha risposto: sono dentro per evitare il pericolo che qualcuno possa infastidire la ragazza. Poiché mi è stato detto ciò, non posso fare altro che riferirlo al Comitato. Ripensandoci, la risposta mi è sembrata non del tutto esaustiva. Successivamente, infatti, ho appreso - ciò è indicato nella relazione - che, in realtà, il motivo fondamentale addotto dai responsabili era il seguente: in quei momenti vi era una grande concitazione e confusione; alcune persone erano ancora in attesa di essere immatricolate, altre lo erano già. Pertanto, si avvertiva la necessità di tenerli separati per stare tranquilli e per evitare che le operazioni volte a consentire ai fermati di essere tradotti,


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andassero molto per le lunghe; in alcuni casi le ore sono diventate veramente tante (si dice che la media è stata di circa 4 ore ma ci sono state alcune punte molto superiori). Tutto è stato fatto nell'interesse dei fermati, che, secondo alcune disposizioni, dovevano rimanere a Bolzaneto per il minor tempo possibile.

PIERLUIGI PETRINI. Non rivolgerò alcuna domanda al ministro al cospetto della cui relazione sono costernato ed allibito. Mi rivolgerò invece a lei, signor presidente, che è il garante della dignità istituzionale che noi rappresentiamo. Il Parlamento ha votato all'unanimità l'istituzione di questo Comitato di indagine ritenendo che fosse necessario fare chiarezza su una somma di episodi, di testimonianze, di accadimenti riferiti o comprovati che lasciavano ipotizzare che vi fossero stati abusi di potere. Il compito istituzionale del Comitato è quello di indagare al di là delle verità ufficiali, anche attraverso il dubbio e il sospetto, per chiarire la verità. Pertanto, non posso in nessun modo accettare che un membro del Governo si rivolga a questo Comitato come ha fatto il ministro Castelli, denunciando un intento, da parte del Comitato nella sua totalità o di parte dello stesso, di discredito nei confronti del personale della Polizia penitenziaria. Sappiamo perfettamente quale sia l'abnegazione e il sacrificio della Polizia penitenziaria e quanto scarse siano le gratificazioni di cui gode. Attendiamo dal Governo provvedimenti opportuni dal punto di vista legislativo ma noi, in questa sede, abbiamo il diritto e il dovere di indagare sui comportamenti senza che ci venga rinfacciato alcunché. Tra l'altro il ministro sbaglia completamente...

PRESIDENTE. Lei sta facendo lo stesso.

PIERLUIGI PETRINI. Sì, signor presidente, sto facendo lo stesso.... Sbaglia completamente bersaglio perché se leggesse il resoconto stenografico si accorgerebbe che quelle parole che egli rimprovera all'onorevole Soda sono state pronunciate dall'onorevole Mancuso, il quale, nel dubitare sulla legittimità delle strutture di cui stiamo trattando, afferma: «un carcere non si può costituire occasionalmente, quelli si chiamano normalmente campi di concentramento».
Siamo di fronte alle parole di un ex ministro di grazia e giustizia che, per ironia di quelle sorti politiche che spesso verifichiamo, il ministro Castelli ha avuto modo prima di fiduciare e poi di sfiduciare.

PRESIDENTE. Senatore Petrini, lei sta facendo un comizio!

MARCO BOATO. Presidente, non credo sia il caso di usare questi termini...

PRESIDENTE. Uso i termini che voglio, onorevole Boato! Lei non deve insegnare niente a nessuno! Senatore Petrini, lei può rivolgere domande al ministro. Lei si è permesso di introdurre un discorso con il quale, affermando che il ministro forse ha ecceduto (ma ciò è una responsabilità del ministro), è andato esattamente nel segno opposto. Se ha terminato il suo intervento, le sono grato, altrimenti non la farei concludere.

ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. Mi scusi, signor presidente, c'è una questione......

PRESIDENTE. Non siamo in una Commissione di inchiesta....

ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. Se sono qui per subire un processo.....

PRESIDENTE. No, lei non deve subire un processo. Poichè non si tratta di una domanda ma di una osservazione che il senatore le ha rivolto e gliela poteva rivolgere in qualsiasi altro momento...

ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. C'è però una questione sulla quale vorrei intervenire.


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PRESIDENTE. Prego, intervenga.

ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. Sono stato accusato, e risulta dagli atti, di aver costituito un lager. Credo che questa sia un'accusa assolutamente infamante. Credo di avere tutti i diritti di replicare a questa accusa.
Diverso è, come ha affermato il collega Mancuso, costituire un campo di concentramento. Il campo di concentramento è oggettivamente un termine che non ha un'accezione negativa di per sé. È un luogo nel quale (Commenti dell'onorevole Boato)... Nell'immaginario collettivo, come lei sa benissimo, onorevole Boato, il termine lager ha assunto la definizione di un luogo dove vi sono torture, omicidi, dove l'uomo viene praticamente conculcato nella sua dignità.
Non concordo ovviamente con quanto detto dall'onorevole Mancuso; tuttavia, è un'affermazione che non ha alcuna gravità, dal momento che si tratta di un'opinione. Sono invece stato accusato, e risulta dagli atti, dall'onorevole Soda di aver costituito un lager. Credo di avere tutti i diritti per poter replicare a questa infamante accusa. Se poi questo per il senatore Petrini non rientra nei miei diritti, ciò significa che egli ha una concezione della democrazia evidentemente diversa dalla mia.

ANTONIO SODA. Affinché resti agli atti, campo di concentramento è la traduzione di lager. Sono preoccupato perché, avendo sollevato una questione sulla legittimità di tale decreto, pensavo che oggi il ministro mi garantisse e garantisse i cittadini italiani e il Parlamento che mai più si sarebbero costituiti questi mostri, questi campi di concentramento, questi lager! Ora motiverò il perché.
È vero, non mi era assolutamente sconosciuta la possibilità che, con decreto del ministro, si potessero istituire istituti penitenziari. Nutro però dei dubbi sul fatto che si possano istituire delle succursali di aree e sezioni di istituti penitenziari. Gli articoli 59, 60 e seguenti dell'ordinamento penitenziario (la legge del 1975) posti a fondamento del decreto ministeriale, fanno riferimento al potere amministrativo ed esecutivo del ministro di istituire istituti penitenziari, non sezioni di aree di istituti penitenziari. E comunque, ammesso che sia possibile istituire sezioni, succursali di istituti penitenziari, questi hanno da essere tali, e non un «mostro» nel quale, come qualsiasi persona che voglia avere contezza della situazione di Bolzeneto vede, situare uffici DIGOS, uffici della squadra mobile, bagni, ufficio matricole, l'infermeria, la sala gabbie e la sala agenti. Questo continuo a ritenerlo un «mostro». Non si tratta infatti né di un sito penitenziario, né di una caserma di polizia. È l'ibridazione che insieme ha creato quella confusione nella quale è stata possibile la consumazione di alcune violenze.
Apro una parentesi: nessuno ha voluto criminalizzare la Polizia penitenziaria, nessuno vuole criminalizzare le forze dell'ordine; si vogliono accertare la verità su alcune violenze denunciate da cittadini italiani e stranieri. Dovrebbe essere compito, funzione e dovere del ministro accertare in primo luogo tali responsabilità, anche per la credibilità internazionale del nostro paese. La informo infatti, se non ne è a conoscenza, che un gruppo di legali italiani e internazionali sta raccogliendo documentazione per trascinare il nostro paese, nella persona anche del ministro della giustizia, davanti ai tribunali internazionali per violazione di alcune convenzioni internazionali.
Fatta questa premessa, confermo il mio giudizio. Laddove si crea una struttura nella quale entrano centinaia di persone, carabinieri, Polizia e Guardia di finanza, DIGOS e ufficio matricole, ebbene, quello non è un sito penitenziario. Lei, per legge, non era legittimato ad istituirlo. Lei, infatti, per legge era legittimato ad istituire istituti penitenziari, non i «mostri» che lei ha realizzato. L'idea di una accoglienza o di un sito penitenziario fuori dalle strutture carcerarie ordinarie è legittimo: lo prevede la legge. Il ministro istituisca altri istituti, non i «mostri» che lei ha istituito, come risulta dal decreto, dove lei afferma


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che il sito penitenziario è costituito dai locali 6 e 7 della caserma di Bolzaneto. I locali 6 e 7 sono esattamente affacciati sul corridoio nel quale insistono tutti gli altri uffici della forza pubblica. Il sito penitenziario pertanto è calato, ibridato, direi «mescolato» ad una realtà di polizia che non ha consentito, come riferitoci dall'ispettore, agli agenti di polizia giudiziaria di svolgere gli adempimenti previsti per loro dal codice (avvertire che i fermati hanno facoltà di nominare un difensore; avvertire che hanno la facoltà di avvertire i parenti).
Abbiamo ascoltato in questa sede le dichiarazioni del comandante generale dei carabinieri, le relazioni ispettive, lo stesso dottor Sabella, il quale ha testimoniato come molte persone siano state in quel sito in attesa della semplice immatricolazione per oltre venti ore, fin quasi allo scadere del termine di legge che prevede il tempo massimo di ventiquattro ore. Se tale realtà di confusione di compiti, di funzioni, di attribuzioni, di allocazioni, di agenti, di Polizia penitenziaria, di fermati, di arrestati, non ha reso effettive le garanzie elementari che qualsiasi cittadino arrestato ha nel momento della sua massima debolezza e quando è privo di ogni libertà di movimento, di comunicazione, di parola e di gesti; se uno Stato democratico non garantisce il massimo rispetto a tale persona inerme, non è uno Stato democratico! E costituisce un campo di concentramento, un lager, caro ministro!
Detto questo, è emerso faticosamente, anche attraverso la relazione che lei ha illustrato, che vi sono stati gravi episodi di violenza in quella realtà. Ora lei ha affermato contraddittoriamente che quando lei era presente tutto era normale e poi contemporaneamente ha affermato di aver notato una situazione in cui le persone erano con le mani alzate. A quel punto, poteva anche chiedere da quante ore quelle persone erano lì. Vi sono infatti testimonianze di persone rimaste 15 o 16 ore in quella posizione.
Allora, vorrei capire dal ministro della giustizia italiano - ed è la domanda -: ritiene, e si tratta di un appello accorato che le rivolgo, che non sia stato un errore tragico l'idea di costituire al di fuori del carcere di Marassi un istituto penitenziario ad hoc, transitorio?
La cosa in sé, per quanto io nutra delle perplessità, non mi rende inquieto. Mi rende inquieto il pensare che un ministro della Repubblica italiana, di fronte all'ordinamento penitenziario, in particolare all'articolo 14 dell'ordinamento penitenziario, che garantisce i diritti del fermato o dell'arrestato, dinanzi agli articoli 383 e 384 del codice di procedura penale, che prevedono gli obblighi della polizia giudiziaria e di quella penitenziaria di fronte agli arrestati - si tratta di altrettanti diritti che essi hanno, quelli da me enumerati prima, e che sono stati sospesi; lei sa che sono stati sospesi con un ordine di servizio! - non prenda posizione. In particolare, mi riferisco al diritto di avvertire, al diritto di procedere ai colloqui con i propri difensori.
Si è disposto con un ordine di servizio che i colloqui si sarebbero potuti svolgere soltanto nelle carceri di destinazione. Per tale ragione, persone arrestate, le quali avevano diritto a colloqui con i loro difensori, non hanno potuto averli, dal momento che è stato sospeso tale diritto costituzionalmente garantito.
L'abbiamo scritto insieme l'articolo 111 della Costituzione, nella passata legislatura, con molti amici del Polo, che allora erano tutti garantisti: l'abbiamo votato all'unanimità! Ci sono state delle sospensioni dei diritti costituzionali in quella struttura!
Allora, chiedo al ministro se si sentirebbe, di fronte ad eventi eccezionali, straordinari, con le esigenze segnalate dalle forze dell'ordine, dalle autorità di pubblica di sicurezza, di costituire dei centri penitenziari speciali, soltanto relativamente al periodo interessato, in questo modo mostruoso, realtà nella quale non è possibile né che la polizia giudiziaria svolga il suo compito, né che la polizia penitenziaria possa immatricolare con quella speditezza e con quelle garanzie che la legge e le convenzioni internazionali richiedono. Questa è la domanda accorata


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che le pongo. Voglio essere garantito da un ministro della Repubblica, a prescindere... Se non sono garantito, continuerò a gridare in eterno che queste mostruosità in un ordinamento democratico non si possono fare!

ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. Innanzitutto, lei dice delle inesattezze, perché le ore che ha citato non risultano...

ANTONIO SODA. Risultano agli atti e dai rapporti!

PRESIDENTE. Onorevole Soda, nessuno l'ha interrotto quando lei ha parlato, la prego. Il ministro le sta dicendo che è improprio, poi le dirà perché: abbia pazienza.

ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. Non risultano: cosa vuole che le dica? La media che risulta da questi documenti è di quattro ore. Voi vi fate le domande e poi vi date anche le risposte.
Riguardo alla seconda questione, credo che molte delle critiche che lei ha rivolto a questo ministro avrebbe dovuto rivolgerle al precedente, quello che lei sosteneva. Ripeto: io non ho trovato alcun atto formale messo a punto dal ministro precedente riguardante la questione. Quindi, abbiamo dovuto affrontare una emergenza.
Il fatto che questo atto sia illegittimo questa è una sua ipotesi: gli uffici del ministero della giustizia la pensano diversamente da lei, onorevole Soda, cosa vuole che le dica! Io ho il conforto...

ANTONIO SODA. Lei conferma che si possono costruire questi mostri?

ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. Mi lasci parlare, onorevole Soda.

PRESIDENTE. Onorevole Soda, lei è intervenuto, ha detto quello che riteneva opportuno e nessuno l'ha interrotta. La invito veramente a dare al ministro la possibilità di rispondere: se vuole creare un caso, lo crei pure. Però, non mi pare che sia questo...

ANTONIO SODA. Il caso lo sta creando lui!

PRESIDENTE. Sono problemi che riguardano il ministro, credo che non debbano riguardare lei: abbia pazienza.

ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. Mi sono appassionato alla sua esposizione. Ma mi consenta di rispondere: lei le domande le ha fatte, mi lasci rispondere.
Il fatto che sia illegittimo è una sua opinione: se lo ritiene, porti avanti la sue considerazioni. Io ho il conforto degli uffici che mi dicono invece che era legittimo. Penso che il parere degli uffici faccia premio, in quanto credo che siano più legittimati del suo, pur rispettabile. Quindi, mi sono fidato del parere di legittimità datomi dagli uffici.
Premesso che ero legittimato a fare questo atto, premetto che il ministro - non voglio esimermi dalle mie responsabilità, che mi assumo fino a fondo -, fa evidentemente degli atti politici: l'atto politico consiste nell'individuare un luogo di accoglimento degli arrestati diverso dal carcere di Marassi. Io voglio significarle, onorevole Soda, che ho passato il primo mese del mio incarico a ricevere continuamente informative più o meno verificate - lo ripeto ancora volta - di minacce di sommosse all'interno dei carceri. Quindi, questa era la mia somma preoccupazione. È chiaro, non c'è la controprova, ma siamo sicuri che questo non sia stato il male minore? Possiamo immaginarci...

ANTONIO SODA. Qui si sospendono le garanzie costituzionali!

PRESIDENTE. Onorevole Soda, mi scusi. Capisco che lei possa essere irritato perché non le si risponde come vorrebbe. Lasci però parlare il ministro.


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ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. Questa è democrazia: lei mi ha rivolto una domanda, mi lasci rispondere! Posso rispondere? La ringrazio per la sua magnanimità, onorevole Soda.

ANTONIO SODA. Sì, risponda alla Commissione (Il deputato Soda si allontana dall'aula)!

ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. Ah, lei non mi ascolta: fa le domande però non vuole ascoltarmi. Va bene, rispondo alla Commissione.
Difendo l'atto politico di costituire una succursale fuori dal carcere. È chiaro, non è assolutamente auspicabile: ritengo che sia stata una decisione eccezionale presa di fronte ad un evento che si riteneva eccezionale, come purtroppo, alla fine, con quanto accaduto, si è confermato. Ora, che dal punto di vista tecnico quella non sarà la situazione ottimale, francamente non lo so perché non sono un tecnico del DAP: se dal punto di vista tecnico ci sono state delle manchevolezze, francamente non lo so; ripeto, sono un politico, non sono un tecnico, quindi, non so rispondere. Ma, anche ammesso e non concesso che ci siano state, questo è sicuramente legato al fatto che fino al 27 giugno nessuno aveva pensato assolutamente a come affrontare questa emergenza. Da quanto tempo si sapeva che ci sarebbe stato il G8? Da quanto tempo si sapeva che ci potevano essere dei problemi? Perché il Governo precedente non ci ha pensato? Ho trovato tabula rasa. Potrete dirmi: perché non ci hai pensato il 13 giugno, subito dopo l'insediamento? Perché, evidentemente, avevo tantissimi problemi e poi ho affrontato anche questo. Quindi, respingo assolutamente il fatto che si sia voluto fare un lager, non come traduzione di campo di concentramento, onorevole Boato: lei sa benissimo, lo ripeto, cosa vuol dire nell'immaginario collettivo, fare un lager.

MARCO BOATO. Campi di concentramento...

ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. Ribadisco assolutamente il mio sostegno alla polizia penitenziaria, che si è voluto in qualche modo criminalizzare. Non che ci siano responsabilità di uno o dell'altra... Tuttavia, questo è quanto sta emergendo dai media. Abbiamo tutti la volontà di fare chiarezza, tanto è vero che io, immediatamente, proprio il giorno dopo la data nella quale i giornali hanno cominciato a denunciare queste irregolarità, questi gravi fatti, ho convocato immediatamente i vertici, ho avviato una commissione e, guarda caso, vi ho letto le prime conclusioni senza censure o alcunché. Quindi, da parte nostra, la più assoluta chiarezza e trasparenza. Certo, se la domanda è: lo farà un'altra volta? È chiaro che auspico che si possano affrontare le situazioni in condizioni di normalità.

MARCO BOATO. Lei ha adesso specificato - l'ho ascoltata attentamente -, il riferimento ai media. Noi abbiamo qui migliaia di articoli pubblicati sul G8, e molti altri che non sono qui raccolti. Tuttavia, siccome lei non aveva fatto questa specificazione nella introduzione, quando dice di non criminalizzare tutta la polizia penitenziaria, io sottoscrivo questa dichiarazione, ma credo che non ci sia nessuno in questa Commissione, di qualunque parte politica, che non la sottoscriva: nessuno la pensa diversamente. Questo vale per la polizia penitenziaria, per i Carabinieri, per la Polizia di Stato, per la Guardia di finanza, per la polizia municipale e per il Corpo forestale dello Stato (così le ho citate tutte!).
Se stiamo svolgendo una indagine conoscitiva, lei è un esperto parlamentare e lo sa, è perché noi indaghiamo se ci sono state delle anomalie: non attribuiamo responsabilità, non diamo giudizi, ma cerchiamo di conoscere i fatti, nei limiti del possibile. Però, e su questo le chiedo fermamente, ma anche pacatamente, una risposta. Dopo la sua affermazione di criminalizzare la polizia penitenziaria, e qui convengo, lei rispondendo alla domanda del collega della Lega, parlando del ministero della giustizia, ha detto, a proposito di non criminalizzare indiscriminatamente,


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di aver trovato terra bruciata e che qualcuno le ha detto che probabilmente avevano anche avvelenato i pozzi. Diciamo che, in fatto di non dare giudizi indiscriminati che coinvolgono tutto e tutti, lei non ha dato il migliore esempio, se non altro sotto il profilo di quella continuità istituzionale che rimane anche nel cambiamento delle maggioranze e di Governo, che è del tutto legittimo, in democrazia. Poi lei ha anche detto - lo ripeto, queste cose gliele sto dicendo pacatamente -, che lei ha firmato il decreto, ma in realtà la responsabilità politica è del precedente Governo (questo lei ha detto e c'è nello stenografico, potrà vederlo: l'ha ripetuto più volte), che se ne assume la responsabilità, ma non la responsabilità politica.
Poi, invece, nella fase più recente dell'audizione lei ha ripetutamente detto che non vi era nessuna decisione o iniziativa da parte del precedente ministro e che aveva dovuto fare tutto in fretta. Leggendo il suo decreto - sul quale adesso non mi pronuncio, perché sto facendo una ricognizione sui fatti - nella premessa che mi segnalava il collega Turroni, si menzionano le note, allegate in copia, della questura del 5 luglio e del comando dei carabinieri del 7 luglio, che indicano Bolzaneto e Forte San Giuliano. Quindi, l'indicazione di questi due siti proviene il 5 luglio e il 7 luglio, prima dalla Polizia e poi dai carabinieri; dopodichè lei adotta il decreto. Dico ciò semplicemente per rimettere le cose a posto dal punto di vista del profilo istituzionale. Dopodiché, credo che i colleghi - e forse anche lei, ministro Castelli, perché siamo stati colleghi - sanno che se debbo criticare il Governo della cui maggioranza ho fatto parte, non ho avuto in passato e non avrei oggi nessuna remora, perché se debbo accertare la verità, quest'ultima riguarda chiunque. Tuttavia, le chiederei un chiarimento al riguardo. Lei ha firmato formalmente un atto politico che in realtà, di fatto, è attribuibile al precedente Governo o il precedente Governo nulla aveva fatto al riguardo e lei ha assunto le decisioni nei tempi che abbiamo visto?
La seconda domanda che vorrei rapidamente rivolgerle, senza criminalizzare nessuno, non riguarda lei, bensì il dottor Sabella, che già abbiamo ascoltato; vi è stata una animata audizione, tuttavia ho cercato di dialogare anche con lui con il massimo rispetto. Non c'è una qualche incongruenza istituzionale nell'istituire giustamente - gliene do atto - una commissione di inchiesta (anche se formalmente istituita dal dottor Tinebra, appena entrato nel ruolo di direttore del DAP) di cui fa parte lo stesso principale responsabile (in senso istituzionale) dei servizi penitenziari in occasione del G8? Se si deve fare una commissione di inchiesta lo si audisce, lo si ascolta, si indaga...

FILIPPO MANCUSO. Dire audito è inaudito!

MARCO BOATO... anche se è inaudito usare la parola audire, come dice il presidente Mancuso.
Ma chiamare a far parte della commissione di inchiesta colui che è stato per ragioni istituzionali il principale responsabile della gestione di quell'operazione, mi lascia qualche perplessità. Tanto più che questo magistrato - persona di valore per come l'ho conosciuta in questa sede per la prima volta in vita mia - nell'immediatezza dei fatti ha svolto una relazione, inviata all'epoca al dottor Mancuso ed a lei come ministro, da cui si evinceva che sostanzialmente non si era verificata alcuna anomalia dopo il primo articolo de la Repubblica.
Pochissimi giorni dopo, lei, giustamente - gliene do atto - ordina di istituire una commissione d'inchiesta e adesso constatiamo che le anomalie sono numerose e - sono d'accordo - non appartengono solo al Corpo di Polizia penitenziaria. Le responsabilità penali in questo paese sono individuali per tutti; siamo in uno Stato di diritto e non vi sono processi all'ingrosso nei confronti di nessuno.
Un'ulteriore questione è legata a quest'ultima e vorrei che risultasse nel resoconto stenografico della seduta. Il dottor Sabella nella sua audizione si è scagliato


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contro chi metteva in luce eventuali anomalie e, ad un certo punto, ha citato il dottore Ceraudo che è il presidente dei medici penitenziari. Il dottor Ceraudo mi ha scritto una lettera, che depositerò agli atti del Comitato, dicendo che la sera dopo il dottor Sabella gli ha telefonato per scusarsi di un disguido: voleva riferirsi all'infermiere. Ora, il dottor Ceraudo è il capo del centro clinico di Pisa ed è il presidente dei medici penitenziari italiani e, credo, anche europei: non si può confondere in un'audizione il presidente dei medici penitenziari con un infermiere. Voglio che risulti nel resoconto stenografico che ho ricevuto una lettera in cui si dice che la sera dopo l'audizione il dottor Sabella ha telefonato al dottor Ceraudo per correggere il disguido che vi era stato.
A lei chiedo - e concludo - se conosca la testimonianza - forse ne ha fatto cenno in modo indiretto - dell'infermiere in servizio a Bolzaneto ma, credo, ordinariamente impiegato presso il carcere di Bologna, signor Marco Poggi. Ovviamente questa non è la verità rivelata, ma una testimonianza firmata da un operatore e non una bufala giornalistica. Mi limito a citare solo alcune frasi, perché sono due pagine. Egli dice: «Sin dalla sera del venerdì 20, durante la mia permanenza a Bolzaneto, ho visto picchiare con violenza ripetutamente i detenuti presenti con pugni, calci, schiaffi e testate contro il muro». Il dottor Sabella ha precisato che, invece che di testate contro il muro, si trattava di pressioni forti della testa dei detenuti contro il muro; non ha smentito tali affermazioni, ma ha detto che si premeva la testa contro il muro. Inoltre, vi sono altre dichiarazioni di questo genere molto pesanti; lo stesso dice di aver visto moltissimi agenti, ma che solo alcuni di loro, anche se parecchi, hanno usato violenza; egli stesso si premura di non coinvolgere tutti. Non posso leggere tutto, ma queste pagine sono impressionanti.
Al Tg3 il 30 agosto l'infermiere ha dichiarato «Mi sono nutrito di violenza: è il mio mestiere» - come infermiere nelle carceri ne ha viste di tutti i colori - «ma se dovessi dare una spiegazione del clima che ho visto a Bolzaneto penso che in altri 52 anni» - egli ha, infatti, questa età - «non riuscirei a darla». Credo che tutti questi elementi non criminalizzino nessuno e non coinvolgano a priori chi non è coinvolto a priori, ma facciano capire la differenza fra la prima risposta nella primissima inchiesta, sia pure non formale, che faceva ritenere pressoché tutto normale e ciò che via via è emerso, su cui stiamo lavorando e su cui, per altri versi, sta lavorando l'autorità giudiziaria. Tuttavia, noi con un'altra logica vogliamo accertare i fatti: quelli che le ho citato sono alcuni fatti e le chiedo se ne sia a conoscenza.

ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. Innanzitutto, vorrei ringraziare l'onorevole Boato, di cui sono un vecchio collega, per la misura e la pacatezza con cui ha esposto i suoi quesiti; credo che tutti dovremmo forse imparare da lui.
Onorevole Boato, difficilmente - mi consenta di fare questa battuta pro domo mea - sbaglio quando parlo. Ricordo bene ciò che ho detto, perché l'ho letto e lo rileggo. Riguardo al fatto di Bolzaneto, ho svolto due passaggi. Nel primo ho ricordato che già in maggio, in una riunione operativa riguardante il G8, era stata, tra l'altro, discussa e predisposta la costituzione di almeno una postazione in città; quindi, in maggio, il Governo precedente individua una postazione fuori dal carcere di Marassi. Dunque, il Governo precedente prende una decisione che ho detto di condividere e me ne prendo la responsabilità, perché mi sembrava - lo ripeto - il male minore.
Successivamente, si decise di individuare una postazione fuori dalla città, ma ci si fermò lì. Tuttavia, ho precisato - come ho già detto e non posso aver sbagliato - che in data 27 giugno, quindi prima del mio decreto, ho convocato una riunione. Tra l'altro, appresi in quell'occasione, cioè il 27 giugno, che erano state individuate le strutture di Bolzaneto e Forte San Giuliano come destinazioni verso le quali sarebbero stati indirizzati i fermati. Come vede, non sono caduto assolutamente


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in contraddizione: a maggio il Governo decide, visto che si terrà il G8, di tenere tale riunione. Posso immaginare ciò, perché si tratta di una riunione riservata e non ci sono i verbali; non sono neanche autorizzato a dire esattamente cosa è stato detto e neanche chi fosse presente. Tuttavia, in quella sede viene presa tale decisione, che - lo ripeto - condivido, ma che evidentemente nasce dal precedente Governo. Quindi, tutti gli strali dell'onorevole Soda, in qualche modo, evidentemente devono essere lanciati in uguale misura a questo ministro ma anche a quello precedente. Ciò forse mi fa capire che, se da una parte o dall'altra si arriva alla stessa conclusione, forse non vi è stato questo incredibile «mostro», questo terribile lager di cui egli ha parlato e a cui si fa riferimento negli atti. Ribadisco che ho tutto il diritto di difendermi da queste accuse infamanti. Scusi se mi infervoro, ma lei sa che io faccio la politica...

MARCO BOATO. Le ho chiesto di rispondere anche sulla criminalizzazione.

ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. Un momento, adesso ci arrivo. Quindi, ciò che lei dice corrisponde esattamente a ciò che ho detto. Il 27 giugno ho appreso dai tecnici la famosa decisione di individuare i luoghi al di fuori della città, in Bolzaneto e Forte San Giuliano. Prendo atto di ciò, condivido in linea di massima la decisione, che penso rappresenti il male minore e adotto il decreto. Come vede, tutto quadra e non c'è nessuna contraddizione.

MARCO BOATO. Si era detto che l'indicazione dei siti di Bolzaneto e Forte San Giuliano risale al 5 luglio e al 7 luglio ...

ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. Quella data è indicata nel provvedimento, ma in via informale me lo hanno detto prima. Quindi, come vede tutto quadra e non vi è stata nessuna contraddizione in ciò che ho dichiarato.
Sono comunque lietissimo, ed uscirò felice da qui, perché vedo che tutti hanno dichiarato di non voler assolutamente criminalizzare le forze dell'ordine.

MARCO BOATO. Risulta da tutti gli stenografici!

ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. Benissimo, ne sono molto contento. Sa, ho letto un po' di verbali, ma leggendo i giornali anche oggi vi sono continuamente testimonianze di cose incredibili. Lei stesso ha parlato di «clima».

MARCO BOATO. Anche lei...

ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. Ha citato l'infermiere - poi ci arriverò - che ha parlato di clima. Un conto, dunque, è dire che ci sono stati degli episodi individuali, altro conto è parlare di clima: sono due cose ben diverse. Un clima, infatti, è una questione generalizzata e, probabilmente, condivisa da tutti coloro i quali stanno in quella struttura.
Per quanto riguarda la questione di Sabella, l'ho detto prima: voglio essere assolutamente terzo nei confronti di questa commissione, non voglio dare il minimo sospetto di voler in alcun modo interferire sugli esiti della commissione. Qualsiasi cosa la commissione tiri fuori, la pubblicherò. Poi, eventualmente, ci saranno provvedimenti da parte dell'amministrazione e da parte della magistratura. Non è una situazione pilatesca: mi consenta di non interferire, di non rispondere, di non dire la mia opinione, in onore della mia terzietà verso questa commissione.

MARCO BOATO. Ma il ministro è lei: l'ha istituita lei!

ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. Non l'ho istituita io, ma il presidente del DAP.

KATIA ZANOTTI. La responsabilità politica, come ministro, è sua!


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ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. Va bene, mi prendo la responsabilità politica, però ribadisco che non voglio assolutamente commentare. Dico solo che al suo interno non c'è una persona sola, ma ci sono dei magistrati.
Per quanto riguarda Ceraudo, lei ha specificato che ne ha parlato per farlo risultare agli atti, ma è una questione tra Sabella e Ceraudo.
Sull'infermiere Poggi, del quale non avevo citato il nome per questioni di privacy...

MARCO BOATO. Ne aveva parlato il TG3.

ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. Non volevo essere reticente.
Le testimonianze a cui si fa riferimento nella conclusione si basano proprio su quelle testimonianze. Però, attenzione: in questa sede rendo la mia testimonianza, se l'infermiere Poggi parla di clima...

MARCO BOATO. Parla di una serie di fatti.

ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. Sui fatti non posso intervenire, se lui dice che li ha visti...

MARCO BOATO. L'infermiere ha fatto una dichiarazione all'autorità giudiziaria, ne ha fatta una a lei...

ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. Non a me, alla commissione.

MARCO BOATO. Al suo Ministero.

ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. No, non al mio Ministero...

MARCO BOATO. Alla commissione di inchiesta istituita dal dirigente del DAP del suo Ministero, ogni tanto si prenda anche una responsabilità istituzionale!

ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. Me la prendo, è per la precisione dei fatti...

MARCO BOATO. In ogni caso, poi, c'è una dichiarazione televisiva in cui parla di clima preoccupante.

ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. Allora, se parliamo di clima, io rendo questa testimonianza, e sono disponibile a renderla sotto giuramento: ho visto un clima diverso da quello.

MARCO BOATO. Lei è stato 20 minuti!

ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. Per quello che mi riguarda, ho visto un clima diverso.

FILIPPO MANCUSO. Intervengo sull'ordine dei lavori. Vorrei introdurre nell'ordine intrinseco dei lavori una nota di raffreddamento del clima. Dopo aver fatto un richiamo alla giusta utilizzazione della lingua italiana, vorrei fare analogo richiamo per la giusta utilizzazione della lingua tedesca, nella quale il termine lager non ha quel valore politico che la dolorosa esperienza di questo secolo gli attribuisce. In origine, e nell'uso ordinario prepolitico del termine, lager nella lingua tedesca indica «il campo da arare». Possiamo, quindi, fare a meno di incanaglirci sull'uso di un termine che ho, però, utilizzato nel senso suddetto di ambiente chiuso, ma non di ambiente carcerario.
Ciò mi pare che potrebbe attenuare anche dei sofismi che, sulla base di un'errata lettura del termine tedesco, stanno diventando un casus belli.

PRESIDENTE. Grazie presidente Mancuso, la sua collaborazione è sempre illuminante per tutto il Comitato.

GIANNICOLA SINISI. Signor ministro, devo svolgere una considerazione che non vuole assolutamente essere una censura, ma trovo davvero singolare che si parli di terra bruciata quando mancano i dirigenti, e poi di occupazione di potere quando i dirigenti ci sono. Nel passaggio dal Governo precedente al Governo successivo dovremmo evitare di fare questo tipo di riferimenti per il dialogo che dobbiamo


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necessariamente avere tra di noi, avendo di mira obiettivi, per quanto riguarda le istituzioni, decisamente comuni. D'altronde credo che lei si ricordi di me: sono quello che ha rappresentato il Governo nella discussione che ci fu al Senato, nella scorsa legislatura, quando c'erano dei manifestanti che sparavano con il cannone il letame addosso ai poliziotti. Quindi, credo che abbia motivo di ricordarmi, dato che io mi ricordo di lei, e ritengo che al di là delle parti che di volta in volta ricopriamo, la difesa delle nostre istituzioni debba essere un valore assoluto e condiviso.
Detto questo, vorrei fare una precisazione: lei ha affermato che gli scontri ci furono fin da subito. Per quanto è emerso nel corso dei nostri lavori, gli scontri cominciarono di fatto il giorno 20: il giorno 19 non ci fu alcuna significativa situazione, anzi, per pacifica ed unanime affermazione, in quella giornata le manifestazioni furono assolutamente corrette ed il rapporto con le forze di Polizia fu straordinariamente positivo, secondo quello che noi abbiamo apprezzato. Lei ha affermato molto correttamente: il precedente Governo disse che era necessario istituire a Genova un punto arrestati o fermati diverso dal carcere di Marassi e si assume, non solo nobilmente, ma per ufficio, la responsabilità. Al di là della questione se poi fosse corretto o meno istituirlo dentro una caserma di Polizia - che è la questione dibattuta, perché altra cosa sarebbe stato istituirlo separatamente ed autonomamente - la domanda precisa che vorrei farle è perché da un punto arrestati si passi a due, uno a Bolzaneto per la Polizia di Stato, la Guardia di finanza, la Polizia municipale, ed uno a Forte San Giuliano per l'Arma dei carabinieri. Questa cosa, dagli atti, risulta inspiegabile. Perché uno per i carabinieri e l'altro per tutto il resto delle forze di Polizia? Questa è certamente una decisione maturata fra il 12 giugno, quando si comincia a pronunciare il comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, e il 5 e 7 luglio, date dei suoi provvedimenti.
La seconda domanda che vorrei rivolgerle è se lei, nella giornata di sabato, ovviamente prima di recarsi a Marassi e poi Bolzaneto, abbia sentito il Vicepresidente Fini.
La terza ed ultima questione è perché, nell'intervista che lei ha rilasciato a la Repubblica il 29 luglio 2001 non parlò affatto del carcere di Marassi, ma soltanto della caserma di Bolzaneto.

ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. Per quanto riguarda la prima domanda, devo dirle che considerai che la questione fosse tecnica: dunque, non ne fui molto impressionato. Infatti, mi fu detto che tale doveva essere la soluzione dal punto di vista tecnico, la soluzione individuata come la più razionale per gestire l'emergenza. Quindi, non ho approfondito più di tanto; ribadisco, d'altra parte, che, ormai anche dal punto di vista dell'ordinamento giuridico, il ministro esercita un ruolo politico talché, avendomi i tecnici chiarito che la soluzione più razionale era quella da loro individuata...
Tra l'altro, io ho tralasciato tante altre circostanze: infatti, si pose il problema di fronteggiare l'eventualità che si dovessero gestire i minori, nonché quello di gestire i feriti. Ho detto dianzi che, addirittura, si arrivò a «prendere le staffette», in borghese, con le moto, al fine di individuare percorsi alternativi dei cellulari nell'eventualità che vi fossero stati disordini. Tanti aspetti, la cui soluzione è stata da me lasciata agli esperti ed ai tecnici; quindi, anche riguardo a tale questione, mi sono affidato a loro. Perciò, francamente, ignoro, dal punto di vista puramente tecnico, perché venne scelto anche San Giuliano.
Quanto alla seconda domanda, Fini non l'ho sentito, assolutamente. Ripeto che si è trattato di una decisione presa in solitudine, ma anche appositamente, al fine di evitare che si sapesse qualcosa. Sono andato di notte, proprio in maniera silenziosa, tant'è che, ovviamente, non ho avvisato neanche la stampa (circostanza da me riferita anche successivamente).
Quanto alla terza domanda, devo dire che la risposta è molto semplice. Al giornale


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La Repubblica interessava seguire la questione di Bolzaneto; pertanto, volendo avere la mia testimonianza sui fatti occorsi, mi rivolsero domande alle quali risposi.

FRANCESCO NITTO PALMA. Signor ministro, solo per sua tranquillità, ove mai un intervento precedente gliel'avesse, in qualche modo, incrinata, devo dirle che l'articolo 386 del codice di procedura penale, che prevede una serie di prescrizioni nei confronti del soggetto arrestato o fermato, riguarda gli agenti e gli ufficiali di Polizia giudiziaria che abbiano proceduto a prendere cotali misure. Si tratta, quindi, sostanzialmente, di evenienza del tutto diversa dagli agenti di Polizia penitenziaria in fase di ufficio matricola, i quali, sicuramente, esercitano uffici di polizia amministrativa. Analogamente, mi permetta di dire che condivido pienamente l'impostazione data dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria in ordine alla possibilità di creare i siti di Bolzaneto e di San Giuliano. Infatti, come è dato leggere nel suo decreto, si tratta di siti staccati esclusivamente per area sanitaria e per ufficio matricola e quindi sostanzialmente per attività completamente diverse da quelle direttamente collegate con la detenzione.
Svolta tale premessa, che ritenevo necessaria a fronte di diverse altre interpretazioni formulate - invero, mi si consenta, in maniera aggressiva nei suoi riguardi - vorrei porle una sola domanda. Lei ha detto che, quando è entrato nella struttura di Bolzaneto, si è soffermato solo nei locali riservati alla polizia penitenziaria, il che - gliene chiedo conferma - mi fa pensare ad una divisione della caserma di Bolzaneto tra i vari Corpi che operavano nelle diverse attività. Inferisco che quindi, conseguentemente, non vi era una confusione di locali da cui potesse derivare una confusione di ruoli e di compiti. Chiedo conferma di tale mia deduzione.
La domanda che volevo formulare, inoltre, è questa. Lei ha detto che nella struttura di Bolzaneto, ad un certo punto, è entrato in una stanza dove ha visto dei soggetti in piedi, con le gambe divaricate, appoggiate verso il muro ed un solo poliziotto o un solo agente di Polizia penitenziaria che controllava la situazione. Mi sembra di avere così inteso le sue parole, ministro. Dunque, le chiedo se, a suo parere, al di là della giustificazione che le è stata fornita, il numero delle persone presenti in quella stanza, in piedi, con le gambe allargate, appoggiate alla parete, fosse tale da imporre, attesa la presenza di un solo agente di Polizia penitenziaria, un simile trattamento per ragioni di sicurezza.

ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. Credo abbiate questa cartina, no (Il ministro della giustizia mostra una cartina ai membri del Comitato)? Da essa si evince che, se il corridoio era comune, tuttavia, come potete vedere, non ho dovuto attraversare una zona che non fosse di mia competenza; invero, probabilmente, se avessi dovuto fare ciò, forse avrei desistito. Lo ripeto, mi trovavo in una situazione nella quale, non avendo avvisato alcuno...

MARCO BOATO. È stato detto che lei è andato in fondo, ma che i carabinieri l'hanno fermata.

ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. No, no, assolutamente no. Un poliziotto era in questa cella e dall'altra parte erano schierati i carabinieri, onde si vedeva che non erano nostri... e allora, ho chiesto: come mai ci sono i carabinieri? Perché è di competenza dei carabinieri, è stata la risposta. Mi sono detto: va beh, allora io lì non vado. Quindi, vi era una separazione netta salvo il corridoio, in ragione del fatto che fosse comune.
Per quanto riguarda la questione circa la mia opinione sulla sufficienza di un solo poliziotto nel predetto contesto, devo, anche in questo caso, far presente che non sono un tecnico; per quanto mi consta, so che vi era un poliziotto dentro, a fronte, credo, di una decina di ragazzi e di una ragazza. Quindi questo era, più o meno, il numero delle persone presenti. Ancora,


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vorrei aggiungere - infatti, quando ne ho parlato nell'esposizione, l'argomento mi era sembrato superfluo ma, forse, ora, a seguito della sua domanda, non lo è più - che dissi al poliziotto: non hai timore a stare dentro con tutta questa gente? Mi rispose: no, perché sono lì così...

MARCO BOATO. Signor presidente, chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Prego, onorevole Boato.

MARCO BOATO. Intervengo per far constare, se possibile, la verità. A pagina 230 del resoconto stenografico del 29 agosto, sono riportate queste parole del dottor Sabella: «Quando il ministro ha espresso la volontà di visitare la seconda parte della struttura, i carabinieri gli si sono fatti incontro e soltanto dopo essersi assicurati della sua identità lo hanno fatto passare. Comunque, nella seconda parte... abbiamo percorso soltanto tre o quattro metri». Dunque, l'osservazione da me dianzi fatta non era frutto della mia invenzione. Il dottor Sabella ha raccontato quanto io ho letto.

ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. Posso precisare...

PRESIDENTE. Prego.

ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. Lei sa che quando un ministro va in visita, dovunque vada, è attorniato da moltissime persone. Quindi, può darsi che il dottor Sabella abbia, forse, male inteso quanto accaduto; tuttavia, nessun carabiniere mi si è avvicinato o, almeno, io non me ne sono accorto. Però, lo ripeto, lei sa benissimo che quando un ministro si muove è attorniato da tantissime persone: alcuni che lo vogliono proteggere; altri che, magari, lo vogliono apostrofare; altri ancora lì semplicemente perché istituzionalmente tenuti ad essere presenti. Per quanto io possa ricordare, nessun carabiniere mi si è avvicinato. D'altro canto, mi sembra plausibile che ci si debba accertare dell'identità di un ministro, quando questi arriva, come di solito accade sempre, seguito dal «codazzo». Forse, ha inteso male, non lo so... io, comunque, non me ne sono accorto.

MARCO BOATO. Io le ho solo citato una dichiarazione del dottor Sabella.

ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. Io assolutamente non me ne sono accorto. Quando mi hanno detto che lì erano presenti i carabinieri abbiano tutti convenuto sull'opportunità di non procedere innanzi.

LUCIANO MAGNALBÒ. Non ho domande da rivolgere al ministro; potrei solamente ripetere le domande già fatte, con dovizia anche estenuante, da parte degli amici del centrosinistra. Io voglio solamente, a nome del gruppo di Alleanza nazionale, ringraziare il ministro per tutto quanto sta facendo: ella sta agendo con serietà, con serenità, con determinazione e con competenza.

SAURO TURRONI. In cauda venenum. Erano i Parti coloro i quali, ritirandosi, si giravano sempre. Io ho cercato, signor ministro, di ricostruire un attimo, tra gli argomenti da lei portati e i chiarimenti fornitici, tutta la vicenda della individuazione di queste due strutture. Lei dice che in maggio il precedente Governo di centrosinistra aveva ipotizzato, nella riunione cui ha fatto cenno, che fosse necessario individuare un'area. Il dottor Sabella ci ha poi informato, nella sua audizione, che il 12 giugno si individuarono - questo, infatti, risulta dal verbale, a meno che non si sia sbagliato anche in quella circostanza - quelle due aree. Infatti, ci si era rivolti - così ha detto - a Polizia e Carabinieri per chiedere se vi fossero locali a disposizione, forse perché (almeno così io interpreto) erano a conoscenza di luoghi già adatti, già predisposti e così via. Poi, ha detto che la decisione del 26 giugno era già presa e quindi vi sono le due lettere, la corrispondenza e un decreto...


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ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. In quale data?

SAURO TURRONI. Il 26 giugno; l'ha detto lei, il 26 giugno la decisione era già presa ed i siti individuati. Il 12 giugno, in qualche modo, questa soluzione era già stata individuata. Poi vi sono le due lettere del 5 e del 7 luglio da parte dei responsabili dei due luoghi; quindi, viene presa questa decisione.
Lei dice: io mi attengo a quanto dicono le mie strutture, a quanto dicono gli uffici.
Però io mi permetto di non condividere e vorrei che lei ritornasse un attimo su tale questione. Signor ministro, a me risulta che non sia possibile mettere insieme forze dell'ordine e Polizia penitenziaria nella stessa struttura, in luoghi dove le persone vengono recluse, perché il suo decreto, giustamente e non può fare diversamente, sostiene che lei istituisce un luogo a fini detentivi - la volta scorsa si è parlato di fictio iuris, ne ha parlato il dottor Sabella, il collega Boato e mi pare che l'espressione l'abbia usata anche il presidente, ma tutto ciò è irrilevante - nel quale ci sono depositi di materiali sequestrati e in uno dei casi ci sono stati addirittura per molto tempo dei parlamentari e lo stesso Presidente del Consiglio, nello stesso immobile destinato a struttura penitenziaria.
Ebbene, signor ministro, come in tutte le indagini conoscitive, abbiamo il compito di accertare i fatti, ma anche di fornire indicazioni al Parlamento e al Governo su quelle che possono essere in futuro le soluzioni per evitare le cose che non hanno funzionato o che potrebbero meglio funzionare in altro modo, rimediando con provvedimenti che il Parlamento e il Governo possono autonomamente assumere.
Signor ministro, le chiedo che cosa intenda fare, perché capisco che il ritardo possa indurre ad individuare una certa soluzione, però al di là di quello che possono aver detto gli uffici, la legge non lo consente, le cose non sono andate del tutto bene. Inoltre, ritengo che non sia neppure possibile sospendere - come è stato fatto attraverso delle ordinanze - le direttive costituzionali.
Questi fatti ci devono far ragionare e le chiedo che cosa intenda fare a questo proposito perché episodi di questo tipo non si riverifichino e, caso mai, si predispongano per tempo le strutture idonee con le garanzie idonee, perché non accada neppure che persone siano messe a mani in alto, con la faccia verso il muro, o con la testa «accompagnata» verso le pareti, così come ci ha riferito il dottor Sabella.
Seconda ed ultima domanda: io non voglio rifarmi a quello che le ha già chiesto il collega Bressa, perché le ripeterei una domanda già formulata, alla quale lei potrebbe certamente rispondermi nello stesso modo. Tuttavia, c'è un fatto: lei prima ha liquidato la faccenda con la storia degli operai che lavorano in fabbrica, noi però abbiamo - perché questo è il nostro compito, lei amministra la giustizia e noi siamo i rappresentanti del Parlamento -il diritto-dovere di andare a vedere quello che succede nelle carceri (a me è successo parecchie volte), verificando sia la condizione delle guardie penitenziarie sia quella dei detenuti. Ebbene, signor ministro, quella non era una condizione accettabile per persone che sono state arrestate e identificate e, quindi, quel modo di procedere non andava bene. Lei ha sostenuto che tutto ha funzionato.

ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. No, legga la relazione.

SAURO TURRONI. No, no, mi scusi, stavo sintetizzando e non la sto accusando di aver detto che andava bene che la gente stesse in piedi con le gambe larghe, con la testa nel muro e via dicendo: tutto ciò è scritto negli articoli dei giornali, possono avere interpretato male il suo pensiero, sebbene questi articoli di giornale non compaiano il giorno 29, ma i giorni 27 e 28 (Corriere della sera, Il Manifesto, la Repubblica): lei ripete coerentemente la stessa cosa, non c'era nulla di sbagliato nel fatto che le persone stessero a mani in alto, faccia verso il muro e gambe allargate.


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Ma lei ha già chiarito queste affermazioni e io non voglio tornarci.
Tuttavia, le chiedo che cosa intenda fare per il futuro. Per il fatto che lei abbia potuto dire, seppure in una circostanza eccezionale, che un comportamento del genere può essere normale, mi chiedo che cosa possa succedere all'interno delle carceri in altre circostanze. Signor ministro, voglio sapere cosa intenda fare perché queste cose - pure eccezionali, ma che, al di là di quello che lei ha dichiarato, comunque non erano accettabili - non si possano verificare né domani né dopodomani né in nessun'altra circostanza.

ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. Mi fa molto piacere rispondere alle sue domande.
Innanzitutto la questione del 12 giugno si incastra precisamente negli episodi che, dal punto vista cronologico, abbiamo ricostruito. Proprio ieri ho organizzato una riunione con il capo del DAP per analizzare tali questioni. È evidente che bisogna sempre tendere all'utopia della perfezione ... (Commenti del senatore Turroni). Se lei pensa di essere perfetto, io no; per me, dal punto di vista umano, la perfezione è un'utopia. Comunque, mi pare che questa sera - è una mia sensazione e non voglio mettervi in bocca cose che non avete detto - si è forse cominciato a ristabilire un minimo di verità: non ci sono stati torture, maltrattamenti generalizzati e preordinati, ci possono essere stati dei casi singoli sui quali stiamo indagando e che, se provati, sicuramente verranno perseguiti, ma non lo devo dire io perché lo farà prima, e in ben altri termini, la magistratura. Intanto, non abbiamo creato delle situazioni, non dico a bella posta ma neanche colposamente, che avessero il carattere di generalizzata sospensione dei diritti, ma, soprattutto, non si può parlare di situazione di tortura generalizzata. Questo mi pare sia emerso e di ciò sono lieto.
Lei dice che le cose non sono andate tutte per il verso giusto. Per carità, io non conosco alcuna azione umana in cui le cose vanno tutte per il verso giusto, soprattutto se poi si agisce in condizioni di emergenza, ma sicuramente faremo tesoro delle esperienze fatte.
Lei dice, inoltre, che la legge non lo consentiva; mi scusi, può darsi che fosse una fictio iuris, però ripeto una frase molto cara a noi parlamentari, spesso la forma è sostanza. Quindi, dal punto di vista formale, non vi è dubbio che ci fosse separazione tra i nostri locali e quelli delle altre forze dell'ordine: l'ho citato io, dicendo che mi sono fermato sul limite perché il ministro della giustizia arrivava fino a lì, dove c'era il carcere, oltre non potevo andare perché non era più carcere. Dal punto vista formale sicuramente non abbiamo violato la legge, spero anche non dal punto vista sostanziale, ma posso garantire - e questo viene fuori dagli atti - che tutte le norme regolamentari sono state rispettate, pur in condizione di emergenza.
Ci sono stati dei momenti di concitazione e delle attese superiori al normale. Se si afferma che abbiamo inflitto ad alcuni fermati una eccessiva attesa in piedi, questo è corretto: non deve più accadere, stiamo lavorando affinché non accada, però mi fa piacere che dal sostenere la commissione di torture generalizzate e l'esistenza di un lager preorganizzato e preordinato .....

PIERLUIGI PETRINI. Ma chi lo ha detto !

ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. ...siamo arrivati alla conclusione che abbiamo tenuto troppo in piedi delle persone e questo non va bene (Commenti del senatore Turroni). Ho ribadito che se ci sono stati casi singoli (Commenti del deputato Boato).... Ebbene, andiamo a leggere i giornali e comunque lei ha detto una cosa inesatta: le prime denunce sono del 26, non del 27.
Andiamo a fare un florilegio di tutto quello che è stato scritto, mettiamo assieme tutte le testimonianze: viene fuori un quadro terrificante totalmente, inesistente (Interruzione del deputato Boato).

PRESIDENTE. Onorevole Boato, la prego. Lei non può commentare ogni frase


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che pronuncia la persona audita. La invito, non so più come dirglielo, ad evitare interventi: non le compete!

ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. Ho anche premesso che era la mia sintesi. Le forze di polizia, in generale, non sono state criminalizzate da alcuno, l'avete detto tutti. Quindi, su questo siamo d'accordo e mi fa grandissimo piacere - ripeto - e uscirò felice da quest'aula per queste affermazioni fatte da tutti.
Abbiamo appurato - credo che venga fuori dalla discussione di stasera - che non c'è stato un quadro preorganizzato di violazione di diritti costituzionali. Noi abbiamo applicato il regolamento, ciò mi viene confermato da tutti e viene confermato anche dalla relazione. Ci sono stati, probabilmente - e sottolineo probabilmente, perché fino adesso non è stato provato ancora nulla (ci sono delle testimonianze, ma occorre verificare se queste sono attendibili) dei singoli episodi. È inutile confermare che, se questi episodi saranno riscontrati da parte nostra, saranno adottate le opportune misure, ma - ribadisco - è inutile ricordare che ciò è di competenza precipua della magistratura.
Per rispondere, infine - repetita iuvant - al senatore Turroni, stiamo già facendo, stiamo già pensando, stiamo già considerando come migliorare tutto. Infatti, migliorare si può e si deve sempre.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare sull'ordine dei lavori l'onorevole Soda. Ne ha facoltà.

ANTONIO SODA. Siccome il ministro ha parlato di una media di quattro ore di permanenza, rileggo la relazione del dipartimento della pubblica sicurezza, che ci è pervenuta il 6 agosto, nella quale per quanto riguarda la permanenza...

PRESIDENTE. Onorevole Soda, lei sull'ordine dei lavori può intervenire, però il ministro sta parlando e fa riferimento ad una sua relazione che ci deposita, dove gli è stato detto che la media è di quattro ore; lei cosa intende?

ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. Parliamo di due cose diverse, io parlo della Polizia penitenziaria e l'onorevole Soda parla di un'altra polizia, cosa c'entra? Io parlo per me, non per altri.

ANTONIO SODA. E io segnalo che in un cosiddetto sito carcerario, proprio per la commistione delle due funzioni, secondo la relazione ministeriale, a partire da sabato la permanenza - solo per quanto concerne la competenza della Polizia giudiziaria - fu di 15-17 ore, a cui si debbono aggiungere tutte le ore per il trasferimento. Tra l'altro, durante tutte queste ore sono stati sospesi i diritti previsti dalle convenzioni internazionali. Sulla violazione dei diritti umani risponderete davanti alla Corte europea di giustizia.

PRESIDENTE. Onorevole Soda, va bene, va bene! Quando si interviene sull'ordine dei lavori...

ANTONIO SODA. Ringraziando il cielo, come disse il mugnaio, c'è ancora un giudice!

PRESIDENTE. Onorevole Soda, capisco che non è sereno, e mi dispiace, perché lei è persona equilibrata.
Voglio capire a cosa tenda questa sua dichiarazione, essendo oggi all'ordine del giorno del Comitato l'audizione del ministro della giustizia.

ANTONIO SODA. A contrastare l'affermazione per la quale ci sono stati...

PRESIDENTE. Ma quello che lei sta dicendo è un altro problema, è un altro problema!

ANTONIO SODA. Sono 17 più altre 15 o altre 20.

PRESIDENTE. Sì, ma se noi poi dovessimo interpretare altre cose...
Il ministro è venuto qui per rispondere...


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ANTONIO SODA. Chi ascolta pensa anche che lì dentro la gente è stata per quattro ore!

PRESIDENTE. Credo che si sia fatto sempre riferimento alla Polizia penitenziaria. Forse lei è stato distratto e ha parlato di altro. Noi abbiamo parlato di Polizia penitenziaria.

ANTONIO SODA. No, no, sto dicendo 15-17 ore (Commenti della senatore Petrini)!

PRESIDENTE. Non è Polizia penitenziaria, senatore Petrini, l'onorevole Soda sta parlando di altro.

ANTONIO SODA. Sto parlando delle ore che vanno sommate...

PRESIDENTE. Questo lo dica in sede di discussione della relazione, non interessa al ministro che stiamo ascoltando, mi creda. Il ministro può parlare solo in riferimento...

ANTONIO SODA. Egli deve parlare dei diritti dei cittadini.

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Soda.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Saponara. Onorevole Soda, lei è intervenuto; consenta ora agli altri di parlare, perché - a questo punto - mi sembrerebbe veramente un sopruso da parte sua.

MICHELE SAPONARA. Signor ministro, a nome del gruppo di Forza Italia, dissentendo evidentemente dalle affermazioni dell'onorevole Soda, la ringrazio per la sua disponibilità, per la chiarezza della sua relazione, per la linearità del suo comportamento, per il suo senso di responsabilità istituzionale e per l'umanità con cui sta affrontando il problema delle carceri e sta seguendo le vicende degli uomini di Polizia penitenziaria.

ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. Ringrazio per le parole di sostegno che mi sono state rivolte adesso dall'onorevole Saponara e anche prima dall'onorevole Magnalbò. Ne ho veramente bisogno, anche dal punto di vista umano; vi ringrazio veramente.
Consentitemi però di ripetere - di fronte alla precisa accusa di dire delle falsità - ciò che ho letto, non quello che ho detto, quello che ho letto. La prima frase che ho letto è stata: «Prima di cominciare l'esposizione dei fatti avvenuti durante i giorni del G8, faccio una doverosa precisazione: in questa sede mi riferirò esclusivamente alle vicende che hanno chiamato in causa direttamente le competenze del Ministero della giustizia. Quindi, soltanto a fatti sostanzialmente legati all'espletamento delle pratiche inerenti la presa in carico o la successiva traduzione nei luoghi di detenzione delle persone tratte in arresto nel corso della manifestazione di Genova.». Più chiaro di così cosa devo dire!

PRESIDENTE. Ministro, la ringrazio e le chiedo se può fornirci copia della relazione del documento al quale si è fatto riferimento.

ROBERTO CASTELLI, Ministro della giustizia. Io ringrazio il Comitato.

PRESIDENTE. Ricordo che il Comitato è convocato domani, venerdì 7 settembre 2001, alle 9,30, e che l'ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, si riunirà preliminarmente, sempre nella giornata di domani, alle 8,30.

La seduta termina alle 20,25.