COMITATO PARITETICO
INDAGINE CONOSCITIVA
La seduta comincia alle 9,25.
(Il Comitato approva il processo verbale della seduta precedente).
PRESIDENTE. Se non vi sono obiezioni, dispongo l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso.
di ordine si rivelava quindi come del tutto ininfluente la posizione rivestita dal dottor Canterini: nella circostanza io ho parlato al collega, al comandante di uomini, non al dipendente; non ho fatto menzione dell'episodio nella mia relazione del 25 luglio ultimo scorso, inoltrata al capo della Polizia, così come, nel medesimo contesto, non ho accennato al prospettato uso di lacrimogeni avanzato in sede di riunione preliminare dal dottor Canterini, sia perché, in entrambi i casi, non ho rilevato alcun comportamento disciplinarmente censurabile, sia in quanto non è mio costume segnalare superiormente iniziative o scelte di colleghi che, pur non condivise, rientrano comunque nella sfera di competenza agli stessi riferibile; diversamente, una volta sentito in qualità di persona informata sui fatti dalla procura di Genova, a fronte di precise domande, ho doverosamente fornito una dettagliata cronistoria dei fatti senza omettere nulla ed in tale contesto ho rappresentato il colloquio intercorso tra me ed il dottor Canterini, esattamente negli stessi termini esposti avanti codesta onorevole Commissione. Ribadisco anche in questa sede il più pieno convincimento che la perquisizione doveva essere fatta e mi assumo «in toto» la responsabilità di detta affermazione. Parallelamente la prego di consentirmi di non nascondere la profonda amarezza di dovermi confrontare addirittura con un collega sulla veridicità di quanto si afferma essere accaduto. Sotto questo profilo mi riservo di agire legalmente nelle sedi competenti nei confronti del dottor Canterini. Sono comunque certo che la giustizia farà il suo corso e non solo chiarirà che cosa sia realmente successo a Genova la notte di sabato 21 luglio, ma anche e soprattutto quale sia l'ordine di responsabilità che ciascuno si è assunto in base a quanto dichiarato in seguito».
LUCIANO VIOLANTE. Signor presidente, vorrei sapere se sia possibile chiedere al dottor Canterini di farci pervenire copia dei documenti che ha consegnato all'avvocato Taormina.
PRESIDENTE. Credo che sia possibile, anche se l'avvocato Taormina ne ha inviato a sua volta copia all'autorità giudiziaria. Si tratta comunque di una richiesta che l'ufficio di presidenza avanzerà.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui fatti accaduti in occasione del vertice G8 tenutosi a Genova, l'audizione del dottor Vittorio Agnoletto, portavoce del Genoa social forum, di Stefano Kovac, rappresentante del Consorzio italiano di solidarietà, di Massimiliano Morettini, portavoce del Genoa social forum genovese, di Chiara Cassurino, rappresentante del movimento denominato «tute bianche», di Fabio Lucchesi, rappresentante dell'associazione Rete Lilliput, del dottor Maurizio Gubbiotti, rappresentante di Legambiente, di Raffaella Bolini, rappresentante dell'ARCI, del dottor Luigi Bobba, presidente delle ACLI e di Anna Scalori, rappresentante dell'associazione Pax Christi.
LUIGI BOBBA, Presidente delle ACLI. Non ho preparato una relazione scritta, ma intendo comunque svolgere alcune brevi annotazioni.
iniziative si erano andate concentrando su un unico obiettivo, da noi ritenuto sbagliato e comunque non significativo, ovvero quello di varcare, seppure simbolicamente, la zona rossa. Quell'obiettivo, e l'insieme dell'immaginario verbale, quasi in una specie di guerra civile, ha coperto in qualche modo le iniziative, la cultura, il linguaggio e la presenza di tanti altri, che costituivano la grandissima maggioranza, direi la quasi totalità, recatisi a Genova per manifestare pacificamente e per dire qualcosa nel merito dei problemi che erano oggetto del vertice.
PRESIDENTE. Invito ora il dottor Agnoletto a svolgere la sua relazione per conto del Genoa social forum.
VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. Come ricorderete, il Genoa social forum aveva chiesto che il Parlamento istituisse una Commissione d'inchiesta. Pur non avendo questo Comitato poteri d'inchiesta, riteniamo comunque che esso rappresenti una opportunità importante. Siamo pertanto qui con lo spirito che si accerti la verità come condizione assolutamente necessaria per consentire che si faccia giustizia. Verità e giustizia sono gli elementi che ci guidano.
forum - siamo al 27 febbraio - diventando un organismo di coordinamento internazionale a cui far riferimento gran parte delle associazioni che vengono a Genova.
servizio legale per tutti coloro che decidono di venire a Genova, come supporto per eventuali situazioni di tensione che noi non vogliamo creare, ma che ovviamente non sempre dipendono dal Genoa social forum e dai manifestanti.
VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. Il 27 febbraio, durante una riunione, il Patto del lavoro assume la denominazione di Genoa social forum.
liguri, inviata ad Amato, con la quale si sollecita una risposta alle richieste del GSF.
affermando che, contrariamente a quanto successo a Göteborg, «le forze dell'ordine italiane in piazza non sparano perlomeno finché io sarò ministro degli interni». Accenno inoltre, ad alcune strutture da destinarsi all'accoglienza, rimandando i dettagli, nonché la definizione della zona gialla, delle frontiere e della viabilità ad un'ulteriore riunione.
VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. Nella settimana dal 15 al 22 vengono effettuate senza problemi diverse perquisizioni nelle strutture assegnate al Genoa social forum, tutte con esiti negativi.
esaminate: per quanto compete, le consegneremo all'autorità giudiziaria, alla magistratura. Il nostro intento è fornire elementi affinché si possano ricostruire gli eventi più controversi.
e Rete ControG8); il presidio di piazza Dante (dove si erano concentrati ARCI, Attac, LILA, Rifondazione comunista, Fiom, UDU, UDS, alcuni centri sociali); il presidio di piazza Paolo da Novi (organizzato dai Cobas); il corteo di piazza Montano, da piazza Montano a piazza Di Negro (organizzato dalla CUB); il corteo di corso Gastaldi (organizzato dalle Tute bianche e dai Giovani comunisti). Cosa avviene a piazza Paolo da Novi? Questo ci sembra uno degli elementi fondamentali della relazione. La piazza è occupata, già alle 11 di mattina, dai cosiddetti black bloc; viene, quindi, abbandonata dai COBAS e dagli attivisti del Network per i diritti globali che avevano organizzato il presidio preventivamente autorizzato ai COBAS. Questi ultimi ed il Network si dirigono verso il mare, dove improvvisano un concentramento all'altezza di piazza Rossetti. Il concentramento nella piazza tematica doveva avvenire alle ore 12. Attorno alla stazione ferroviaria di Brignole, durante la notte, erano stati disposti degli sbarramenti con container. Reparti in tenuta antisommossa erano disposti ad elle, chiudendo la piazza in direzione non solo di piazza Verdi ma anche di via della Libertà. Successivamente, il reparto in via della Libertà veniva riposizionato. Tra le 11,30 e le 11,45, mentre stavano arrivando alla spicciolata le prime delegazioni di manifestanti e di contadini, gli avvenimenti sono precipitati. Da una parte, alcune decine di giovanissimi, senza segni distintivi evidenti, hanno iniziato a lanciare contro il reparto schierato in corso Buenos Aires oggetti che si erano procurati da una cantiere di ristrutturazione, svellendo le pavimentazioni intorno alle aiuole della piazza. Alcuni esponenti dei COBAS sono rimasti coinvolti; in particolare, uno di essi, nel tentativo di disarmare queste persone, è stato colpito e ferito alla testa. Le agenzie hanno dato ampio risalto all'episodio. Nel mentre, da corso Buenos Aires sopraggiungeva un corteo di forse 200 persone, quasi tutte a volto coperto, che attaccavano le vetrate di una banca e poi iniziavano a muoversi verso piazza Tommaseo, in direzione contraria rispetto alla zona rossa. A questo punto, i reparti antisommossa sembravano pronti ad intervenire; quindi i manifestanti della piazza tematica, per non trovarsi coinvolti nelle cariche, anche se il concentramento non era ancora concluso, hanno dovuto abbandonare la piazza. Alcune centinaia di essi hanno cercato di allontanarsi, uscendo insieme da piazza Paolo da Novi, in un primo tempo in direzione di piazza Palermo; poi, resisi conto che lì non si poteva andare perché si stavano verificando incidenti, si dirigevano verso piazzale Kennedy. Un certo numero di persone vestite di nero hanno tallonato il corteo per farsene scudo e hanno continuato ad incendiare cassonetti e ad infrangere vetrine.
solo fumante. Il corteo, fin dallo stadio Carlini, è preceduto, ad alcune centinaia di metri, da un «gruppo di contatto», composto da portavoce, parlamentari e giornalisti, delegato, appunto, a prendere contatto con i dirigenti delle forze dell'ordine. È da lì che si sente il gruppo di contatto, che con il megafono continua a dire, mentre il corteo avanza: «Guardate quella carcassa, noi non c'entriamo, chi l'ha fatta? È stata fatta prima di noi». È tutto registrato nei video. Ma il gruppo di contatto non riuscirà a svolgere alcuna funzione, pur essendosi spinto fin quasi alla stazione di Brignole, senza incontrare alcun interlocutore.
Mortola, durante la quale si chiariscono tutte le questioni concrete. Il pomeriggio stesso, dopo aver fissato un appuntamento, Rete Lilliput - attraverso Alberto Zoratti - incontra nuovamente il capo della DIGOS e si specificano i banchetti e le iniziative previste; stessa cosa avviene il 19 luglio.
ferro e fuoco il quartiere di Marassi, i pacifisti che vogliono raggiungere piazzale Kennedy trattano con un reparto di Polizia che presidia l'uscita della galleria in fondo a via Canevari, il quale gli impedisce il passaggio per circa un'ora.
che sarebbero rientrati tutti i cortei, non uno solo, che si sarebbero trasferiti in piazza Kennedy. A questo punto ho chiesto al sindaco di avvisare anche le forze dell'ordine del nostro rientro e che, dunque, non saremmo rimasti fino alle 20. Ho telefonato io direttamente al vicecapo della polizia, dottor Andreassi; al telefono ha risposto un'altra persona, alla quale ho riferito di aver concordato con il sindaco che tutti i cortei sarebbero tornati in piazzale Kennedy, specificando anche gli itinerari e che quindi quello di piazza Dante avrebbe seguito il percorso della manifestazione del 19, comunicando anche gli itinerari degli altri.
decine di migliaia di persone, a quel punto completamente bloccate e imbottigliate in corso Italia. Da lì in poi, corso Italia diventa teatro di ripetuti pestaggi gratuiti su manifestanti inermi, spesso a braccia alzate, senza tener conto della presenza di persone anziane, famiglie e, per giunta, persone in carrozzella, come numerosi servizi giornalistici hanno mostrato. Vengono, inoltre, utilizzati blindati lanciati sulla folla a velocità sostenuta. Molti manifestanti inseguiti si rifugiano sulle spiagge, sugli scogli o in strade laterali che però, sono tutte bloccate da file di camionette, che costringono la gente a rimanere imbottigliata su corso Italia ed a subire le cariche. Ovviamente - è inutile che lo ripeta ogni volta - il gruppetto lì davanti che ha tirato le pietre e sfasciato le auto se ne era andato in modo assolutamente tranquillo.
sufficiente per capire la violenza delle cariche: chi è fuggito lo ha fatto nel panico totale, qualcuno vaga ancora per la strada. A questo punto, scendo e vedo il questore con altri rappresentanti delle forze dell'ordine in divisa di ordinanza. Chiedo spiegazioni sui disordini, il questore si assenta, compaiono altri funzionari in borghese distinguibili dal casco della polizia (hanno maglie nere con una testa di leone gialla stilizzata). Uno dei funzionari verifica telefonicamente la situazione dei disordini, poiché avevo chiesto cosa stesse succedendo e per quale ragione un pezzo del corteo era ancora bloccato. I funzionari di polizia mi dicono che tutto è finito (lo vediamo da soli), e che sarebbe utile andare a via Sturla dove a loro risulta in corso un attacco a una caserma dei carabinieri. Allora con la macchina andiamo in via Caprera, dove incrociamo altre migliaia di persone che intasano la strada. Chiediamo dove possiamo transitare, ma, mentre passiamo secondo le indicazioni delle forze dell'ordine veniamo assaliti da un gruppo di persone che, al grido di «infame» rivolto al sottoscritto, lanciano tutto ciò che hanno a disposizione contro la macchina. Riusciamo ad andare via immediatamente, solo grazie alla prontezza di chi guidava. Consegnerò anche questa memoria, ma vorrei capire perché mi è stato detto di dirigermi verso quella strada per raggiungere l'altra zona, quando poi l'assalto non c'era e sono finito in una situazione molto pesante (Interruzione del deputato Menia).
nella Diaz. I poliziotti obbligano le persone presenti al pianterreno ad entrare nella palestra e salgono ai piani superiori dove irrompono nelle aule che ospitano i sanitari e gli avvocati del Genoa social forum. Si accaniscono soprattutto nel locale degli avvocati, dove sfasciano i computer e manomettono gli hard disk, rendendoli inutilizzabili. Salgono al terzo piano, dove vengono sottratte alcune videocassette (anche con le registrazioni dell'irruzione alla Pertini), sequestrano documenti legali (denunce, testimonianze sui fatti accaduti) e pongono in stato di fermo - questo è interessante - una sola persona: il coordinatore dei legali Giuseppe Scrivani. Nei locali del Media Center del Genoa social forum - la scuola chiamata Diaz/Pascoli, per capirci - le persone presenti vengono prima fatte stendere a terra e poi fatte mettere in ginocchio, faccia al muro, lungo i corridoi. Nemmeno la presenza dell'europarlamentare Luisa Morgantini serve a farsi dare spiegazioni su quanto sta accadendo.
PRESIDENTE. La ringrazio, dottor Agnoletto. Vorrei sapere quali soggetti intendono intervenire.
VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. Si tratta delle quattro associazioni chiamate per conto loro...
PRESIDENTE. Quindi parliamo dell'ARCI, della Rete Lilliput, delle «Tute bianche»...
VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. Le quattro che sono state chiamate per conto loro, che sono l'ARCI, la Rete Lilliput, Pax Christi e Legambiente. Kovac, Morettini e Cassurino li ho indicati io come consulenti, perché non erano stati da lei convocati.
PRESIDENTE. Prego il portavoce dell'ARCI di procedere con la relazione e le sue osservazioni.
RAFFAELLA BOLINI, Rappresentante dell'ARCI. Sono la responsabile internazionale dell'ARCI che, come forse sapete, è un'associazione di promozione sociale e culturale. L'ARCI è tra i fondatori e gli animatori del Genoa social forum. Le nostre strutture in tutta Italia hanno organizzato la partecipazione a Genova, migliaia
dei nostri associati hanno preso parte alle manifestazioni. Io, personalmente, ho rappresentato e continuo a rappresentare l'ARCI nel consiglio dei portavoce del Genova social forum, per cui posso dirvi che la mia associazione ha contribuito a determinare tutte le scelte del Genoa social forum fin dal suo nascere. Per questo abbiamo ritenuto del tutto naturale essere auditi insieme agli altri componenti del Genoa social forum e ci riconosciamo nella relazione che il dottor Agnoletto ha svolto a nome di tutti noi.
si sarebbero svolte nell'ambito delle scelte comuni del Genoa social forum già richiamate dalla relazione di Agnoletto: non attaccheremo la città, non attaccheremo le persone neppure se in divisa, non porteremo strumenti offensivi.
gruppi violenti che volessero infiltrarsi nelle manifestazioni; ci avevano detto, con una battuta, che sarebbero stati buoni con i buoni e cattivi con i cattivi e che avrebbero commisurato la risposta repressiva al comportamento di chi avesse violato la legge. Tutto ciò ci era stato comunicato nella giornata del 30 giugno, quando avevamo presentato le iniziative di disobbedienza civile dicendo che le persone che manifestavano la disobbedienza civile sapevano, ovviamente, di esporsi ad una risposta da parte delle forze dell'ordine e se ne assumevano la responsabilità, ma che le forze dell'ordine avrebbero dovuto tener presente che queste iniziative si sarebbero svolte in maniera non offensiva, senza alcuna volontà di attaccare né la città né le persone. Oltre a ciò, ci avevano assicurato, come ha ricordato Agnoletto, che la polizia italiana non avrebbe sparato. Forse siamo stati ingenui a non calcolare la differenza che passa tra il dire «Polizia italiana» e dire «Forze dell'ordine italiane»; in ogni caso, quando ci è stato assicurato che la Polizia italiana non avrebbe sparato abbiamo pensato che, a Genova, nessun rappresentante delle Forze dell'ordine lo avrebbe fatto.
ANNA SCALORI, Rappresentante dell'associazione Pax Christi. Sono vicepresidente dell'associazione Pax Christi, movimento cattolico internazionale per la pace. La mia presenza qui serve a testimoniare che anche noi abbiamo deciso di aderire al Genoa social forum poiché l'impegno per la pace è inevitabilmente collegato all'impegno per una globalizzazione che sia una globalizzazione dei diritti e delle pari opportunità e sicuramente non la globalizzazione neoliberista cui assistiamo e che sta producendo i danni ben visibili a tutti.
più totale ed assoluta non violenza - che è l'elemento base che contraddistingue il nostro movimento -; ma in questo caso, anche le persone che erano semplicemente andate per partecipare alla manifestazione si sono trovate in condizione di dover temere per la propria incolumità fisica, in qualunque luogo si trovassero. I timori provenivano, davvero, da parte di chiunque e, non nascondo, in maniera estremamente significativa, anche da parte delle forze dell'ordine.
FABIO LUCCHESI, Rappresentante dell'associazione Rete Lilliput. Faccio parte della segreteria della Rete Lilliput, formata da diverse associazioni nazionali di cui fanno parte: Pax Christi, i Beati costruttori di pace, i Missionari comboniani e molte altre realtà che si occupano di giustizia e di cooperazione internazionale. Abbiamo, in modo convinto, lavorato nel Genoa social forum perché ritenevamo che soltanto con la collaborazione e con il coordinamento delle attività di tante associazioni, a livello non solo nazionale ma anche internazionale, non solo dei paesi europei ma anche del sud del mondo, fosse possibile aprire una discussione che è oggi più che mai indispensabile. Ciò significa che chi in quei giorni è stato a Genova ha rivendicato non tanto un diritto a manifestare per sé, ma una necessità, un'esigenza sempre più profonda di porsi in maniera critica nei confronti di questo modello di sviluppo. Non possiamo, ed io per primo non voglio, dimenticare che i giorni che hanno preceduto le ultime due drammatiche giornate di Genova sono state forieri di una discussione, non solo a Genova ma sui giornali e, credo, nell'opinione pubblica in generale, ricchissima ed importantissima. Credo che, se qualcuno pensasse di presentare questa mobilitazione come un semplice problema di rivendicazione del diritto a manifestare di qualcuno, commetterebbe uno sbaglio enorme. Questo lavoro è stato importantissimo.
della Rete Lilliput, durante le due giornate del 20 e del 21 e riguarda ciò che è successo a piazza Manin: abbiamo saputo con tre quarti d'ora d'anticipo che probabilmente un gruppo di black bloc si stava avviando verso piazza Manin e le nostre informazioni non si possono certamente considerare più potenti di quelle della polizia. Tre quarti d'ora dopo abbiamo visto arrivare un gruppo di black bloc con la polizia alle spalle, dopo che questi avevano sicuramente percorso almeno due chilometri per giungere in quella zona: nonostante avessimo difeso la piazza ed i black bloc se ne fossero andati, siamo stati caricati dalla polizia. Questo non ci sembra frutto di un eccesso di funzionari o di singoli poliziotti, ma un fatto che trascende questo tipo di ragionamento. Come è potuto succedere? Mi riconosco pienamente nella relazione che ha svolto Vittorio Agnoletto, però non so quanto fosse chiaro in quella relazione che il momento violento che c'è stato lungo il corso principale, davanti a piazzale Kennedy, e che ha causato lo spezzarsi del corteo, è avvenuto a 100 o 200 metri dal punto principale di concentramento delle forze dell'ordine. Ciò ha costituito anche una sfida oggettiva per le forze dell'ordine. Ma com'è possibile che di fronte a quelle migliaia di poliziotti si sia potuto per mezz'ora, tre quarti d'ora, creare un putiferio (senza nessuna prevenzione), che ha provocato prima lo spezzettamento del corteo e poi le cariche della polizia contro i manifestanti indifesi, contro persone sedute per terra con le mani alzate? Ciò è avvenuto non per un attimo, nel momento in cui i violenti fuggivano, ma per mezz'ora, tre quarti d'ora, mentre la gente era costretta tra il mare, da una parte, e i lacrimogeni, dall'altra. Non si tratta di un eccesso di un funzionario di polizia o di un singolo poliziotto. Ribadisco ciò che poco fa diceva Raffaella Bolini dell'ARCI: ricordo perfettamente la dichiarazione rilasciata dal capo della Polizia De Gennaro e, attraverso di lui, anche dal Governo, quando disse che a Genova le forze dell'ordine avevano il compito di difendere il vertice G8, la città, i manifestanti. Questo non è avvenuto e non credo si possa affermare che sia stato così a causa di un semplice incidente: credo sia compito principale di questo Comitato capirne, in maniera effettiva, il motivo.
MAURIZIO GUBBIOTTI, Rappresentante di Legambiente. Faccio parte della segreteria nazionale di Legambiente e sono la persona che ha seguito i lavori del Genoa social forum per conto della nostra associazione. Credo nell'importanza del lavoro di questo Comitato, dell'audizione di oggi alla quale abbiamo voluto partecipare, proprio perché pensiamo che l'esperienza del Genoa social forum sia stata rilevante e che esso abbia ancora opportunità molto valide, nelle quali crediamo. Tuttavia, è bene che in un momento come questo si evidenzi maggiormente il ruolo delle associazioni presenti all'interno di un movimento molto ampio.
maggior parte di noi per costituire un momento comune. Ciò, come veniva ricordato bene prima, si è verificato a partire anche dall'iniziativa di Porto Alegre; per continuare questo percorso, che tornerà a Porto Alegre il prossimo anno, vorremmo che ci fossero altri momenti così importanti, prevedendo un arricchimento ancora più forte di contenuti.
PRESIDENTE. Propongo di sospendere brevemente i lavori della Commissione per consentire a ciascun gruppo di articolare le domande da rivolgere ai nostri ospiti.
La seduta, sospesa alle 11,40, è ripresa alle 12,10.
PRESIDENTE. Riprendiamo i lavori del Comitato con l'intervento dell'onorevole Fontanini, al quale chiedo di specificare i destinatari delle sue domande.
PIETRO FONTANINI. Vorrei porre alcune domande al dottor Bobba, presidente delle ACLI, e al dottor Agnoletto.
un'altra domanda: nella relazione si parla di una componente dura, antagonista per definizione, che sarebbe rappresentata dal terzo blocco. Nella relazione dell'architetto Paolini si afferma che essa non è interessata a stabilire terreni di mediazione o di legittimazione con il summit ufficiale e considera la protesta di per sé già portatrice di contenuti. Chiedo a lei se condivide tali giudizi dell'architetto Paolini. Questa terza componente è formata dai centri sociali Ya Basta!, di ispirazione zapatista, e vi figurano anche altre aggregazioni (COBAS, CUB, Network di azione antiglobale, duri e presenti soprattutto in Toscana, Lazio, Campania e Calabria).
LUIGI BOBBA, Presidente delle ACLI. Come sempre i giornalisti semplificano un po' quello che si dice: una conversazione di 20 minuti la riducono in tre righe, quindi ringrazio l'onorevole Fontanini che mi consente di precisare e di esplicare meglio il mio pensiero. Per quanto riguarda il primo punto, vi erano alcune forze, che hanno promosso iniziative e manifestazioni a Genova, che consideravano non illegale, ma illegittima la riunione del G8. Ritengo - e in ciò è pertinente ciò che è stato scritto sul giornale - che fosse una sciocchezza, in quanto penso che i capi di Governo possano legittimamente riunirsi come e quando vogliono. Il tema che mi sta a cuore riguarda ciò di cui discutono e quello che decidono: se vi è un giudizio che noi diamo sulla conclusione del vertice è che si sono rinnovate le promesse già formulate nei vertici di Colonia e Okinawa e si è deciso di stanziare qualche spicciolo - per così dire - per la lotta all'AIDS (dieci volte inferiore rispetto a ciò che aveva chiesto il segretario generale dell'ONU, Kofi Annan).
VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. Relativamente alla prima domanda non ho nulla da dire: non credo che siamo qui per esprimere giudizi relativamente ai governi, ma per cercare di appurare la verità dei fatti (almeno noi siamo qui per questo). In ogni caso, i rapporti con il Governo Amato e con
quello Berlusconi sono ampiamente documentati nella lunga, purtroppo forse lunghissima, relazione che ho consegnato. È certo che sulle proposte da noi avanzate l'8 febbraio sostanzialmente non siamo riusciti ad avere alcuna risposta fino al 30 giugno: ciò riguarda, quindi, sia il Governo Amato che quello Berlusconi. È chiaro che, con il passare del tempo, l'esigenza di avere delle risposte diventava sempre più necessaria.
ANTONIO IOVENE. Ringrazio i partecipanti all'audizione: credo che il vostro contributo sia stato molto utile per i nostri lavori. In particolare vorrei chiedere al dottor Agnoletto di rilasciare alcune precisazioni rispetto all'ampia esposizione svolta. Nella relazione si ricostruisce tutto l'itinerario dei rapporti politici ed istituzionali che il GSF e, prima, il Patto di lavoro hanno avuto con il Governo. Il 28 giugno si fa riferimento ad un incontro con i ministri Ruggiero e Scajola presso la Farnesina; in quell'incontro, così come in quelli precedenti e successivi, si è discusso di come sarebbe stato organizzato l'ordine pubblico nei giorni del vertice e delle manifestazioni a Genova? In particolare, in che cosa consistevano le assicurazioni che il ministro Scajola diede in quella data e di cui si è parlato? Sempre in relazione ai rapporti con il Governo, a più riprese nel corso delle audizioni ci è stato riferito che si era discusso anche della possibilità di far svolgere le manifestazioni del GSF in data diversa, cioè una settimana prima
del vertice stesso. Cosa ha fatto tramontare questa possibilità e cosa ha portato a far coincidere le manifestazioni con le date di svolgimento del summit?
VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. Relativamente alla riunione del 28 giugno, posso semplicemente confermare ciò che è scritto. Il ministro Scajola confermò cioè l'intenzione di far svolgere le manifestazioni nei giorni in cui le proponevamo, senza entrare nel merito. Inoltre, dato che si erano già verificati i fatti di Göteborg, che era viva la discussione sull'utilizzo in piazza delle armi da parte delle forze dell'ordine, e dato che il giorno prima, almeno così mi sembra di ricordare, il Vicepresidente del Consiglio Fini aveva rilasciato dichiarazioni circa l'utilizzo dell'esercito, il ministro ci disse che sicuramente l'esercito non sarebbe stato impiegato, rimandando poi tutto all'incontro che si sarebbe tenuto due giorni dopo. Non fu detto altro.
di piazza Da Novi, sono stato contattato per il problema di fare defluire le persone, così come a proposito della vicenda di piazza Dante illustrata prima. Dopo l'appello del sindaco, sentito da tutti, abbiamo dovuto comunicare il percorso che avremmo scelto. Ho avuto anche un altro contatto telefonico: verso mezzanotte circa di sabato 21 luglio, durante le operazioni delle forze dell'ordine, ho chiamato il dottor Andreassi per chiedergli cosa stessero facendo.Vi rendete conto della gravità? Mi è stato risposto: «Così è stato deciso». Ho posto termine immediatamente alla telefonata perché ho capito che non c'era nulla da fare e la questione andava risolta intervenendo direttamente sul posto.
STEFANO KOVAC, Rappresentante del Consorzio italiano di solidarietà. Ringrazio il senatore Iovene per la domanda che precedentemente mi ha rivolto, perché mi dà l'opportunità di chiarire una vexata quaestio che da alcuni giorni circola sugli organi di stampa. Parliamo della sera del 21, fra le 21,30 e le 22,30 (se ricordo bene). Ricevetti una telefonata dal dottor Mortola il quale, in un primo momento, mi domandò esclusivamente se la scuola Pascoli fosse a disposizione del Genoa social forum per l'accoglienza. Io spiegai che tale scuola era nello stesso edificio della scuola Diaz e quindi si trovava nella nostra disponibilità. Spiegai, inoltre, che anche la scuola Pertini era nella nostra disponibilità perché ci era stata assegnata dalla provincia. A quel punto mi riferì che alcune auto della Polizia erano state oggetto di un lancio di due bottiglie da parte di alcune persone che si trovavano lì e mi chiese anche la funzione di queste due scuole. Io risposi, come è stato già detto precedentemente, che nella prima si trovava il centro stampa ed altri uffici mentre nell'altra la people house, cioè uffici per le organizzazioni straniere che si trovavano a Genova. Ho specificato che vi dormivano alcune persone trasferite dai vari centri il giovedì notte quando pioveva. Ciò mi ha insospettito e di conseguenza gli domandai se stesse per succedere qualcosa. Mi ha fornito risposte evasive e pertanto gli dissi testualmente: «Mi raccomando, la situazione è molto tesa in città; ti prego di evitare di intraprendere iniziative che possano aumentare la tensione». Mi rispose dicendomi di non preoccuparmi, perché non stava accadendo niente e di essere tranquillo. A quel punto la telefonata si concluse.
FRANCO BASSANINI. Le avrebbe detto che erano ospitati alcuni black bloc?
STEFANO KOVAC, Rappresentante del Consorzio italiano di solidarietà. Lo escludo nel modo più assoluto; non avrei potuto saperlo perché non mi trovavo lì in quel momento. Inoltre, se lo avessi saputo, avrei agito diversamente.
CHIARA CASSURINO, Rappresentante del movimento «Tute bianche». Prima di rispondere, vorrei fare una precisazione in ordine ad una notizia ANSA, giunta pochi minuti fa, secondo la quale l'audizione di Luca Casarini sarebbe prevista in separata sede e sarebbe motivata dal fatto che Luca Casarini avrebbe da dire cose in contraddizione, dal punto di vista politico, con ciò che invece stiamo affermando in questa sede. Tengo a precisare che tale notizia è assolutamente falsa.
FABRIZIO CICCHITTO. Vorrei formulare alcune domande al dottor Agnoletto. La prima è la seguente: qual è in sostanza la vostra forma di coordinamento interno, in particolare sul campo, considerato che siete stati impegnati in grandi manifestazioni di massa e vista la estrema eterogeneità dei gruppi facenti parte del Genoa
social forum? Infatti, leggendo la lista delle diverse sigle, notiamo che emergono molte anime, forse troppe, tra loro anche in contraddizione: si va dal Gruppo Abele, alle Donne in nero, alla Federazione delle chiese evangeliche del Piemonte, alle «Tute bianche», allo Ya Basta!, ai Fighters della Juventus. Pacifisti cristiani e persino combattenti juventini: non si tratta di una miscela pericolosa che può esplodere nelle piazze?
VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. Partiamo dall'ultima domanda, perché per ora non mi risulta che questo sia un reato o qualcosa per cui si debba essere inquisiti. Sì, mi sono presentato - lo si sa abbondantemente, è stato riportato dai giornali - come indipendente: credo che questa sia una cosa ampiamente documentata. Ritengo di aver risposto a quest'ultima domanda.
in quel modo si espone alle conseguenze, decidendo di non avere con sé strumenti offensivi, quindi, si espone ad un rischio. Questa è stata la scelta: quindi, anche in quel caso, chi ha deciso di compiere quell'azione, l'ha discussa dentro il Genoa social forum, scegliendo questo tipo di filosofia. Gli strumenti a cui lei ha fatto riferimento, assolutamente pubblici, sono strumenti di difesa e, come documentato da vari filmati, non vi erano all'interno dei percorsi del Genoa social forum strumenti di offesa.
FABRIZIO CICCHITTO. Io ho detto un'altra cosa.
VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. ....oppure esistono strutture delle Forze dell'ordine che devono garantire lo svolgimento delle manifestazioni e il rispetto dei diritti?
PRESIDENTE. Dottor Agnoletto, mi perdoni. Mi pare che la domanda facesse riferimento a talune sue dichiarazioni.
VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. Prima delle dichiarazioni c'era un'introduzione.
confine con la Francia, mentre molti violenti - non voglio provocare qualcuno dicendo «tutti» i violenti -, a proposito dei quali ci era stato detto che si sarebbero fatti i blocchi alle frontiere per fermarli, sono arrivati tranquillamente nel centro di Genova e hanno fatto quello che hanno fatto. La nostra preoccupazione, relativamente alla chiusura delle frontiere, onorevole Cicchitto, era che non avvenisse quello che è accaduto per Nizza, dove la chiusura delle frontiere ha impedito a manifestanti pacifici di raggiungere la città.
FABRIZIO CICCHITTO. Forse era quella relativa a Rifondazione comunista.
VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. No, a quella domanda ho già risposto. Non era nemmeno relativa alle tute bianche; si riferiva alla questione dei Democratici di sinistra-l'Ulivo.
RAFFAELLA BOLINI, Rappresentante dell'ARCI. Quando abbiamo saputo dell'incarico affidato alla dottoressa Paolini, alcuni di noi sono stati molto contenti. Era un momento difficile - si era agli inizi di gennaio - perché avevamo già compreso che vi sarebbero state difficoltà a far partire la macchina del rapporto con le istituzioni per le manifestazioni di Genova; quindi, siamo stati contenti, perché alcuni di noi già conoscevano l'architetto Paolini. Quest'ultima, infatti, al tempo in cui era incaricata degli aiuti umanitari per l'ex Jugoslavia per il Ministero degli affari esteri, era stata l'animatrice e la coordinatrice del tavolo di coordinamento per tali aiuti. Si trattava di un tavolo di coordinamento fra le istituzioni e la società civile, che ha rappresentato un'esperienza molto interessante, fatta oggetto di studi addirittura da agenzie ed enti internazionali che l'hanno considerato un modello positivo di rapporto fra istituzioni e società civile. È stata un'esperienza durata cinque anni e passata attraverso governi di tutti colori, grazie alla quale l'Italia ha fatto un'ottima figura in tutte le repubbliche della ex Jugoslavia durante la guerra.
una grande esperienza nel cercare di oliare i rapporti fra istituzioni e società civile - che spesso usano linguaggi e metodologie diversi ed hanno problemi differenti - siamo stati contenti dell'incarico affidatole.
PRESIDENTE. Avverto che il dottor Bobba ha comunicato alla Presidenza di avere impegni inderogabili per le 14. Chiedo, quindi, ai colleghi Mascia, Anedda, Turroni, Mazzoni, Boato, Dentamaro e Del Pennino, che hanno preannunziato di voler parlare, se intendano rivolgergli domande.
GRAZIELLA MASCIA. Signor presidente, vorrei rivolgere una domanda a nome dei colleghi del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, che se ne sono dimenticati. Per quanto riguarda piazzale Kennedy, volevano sapere da chi fosse gestito e con quali funzioni, perché nella relazione ciò non è stato riportato.
in cui si annunciava lo svolgimento del corteo, senza precise indicazioni di orario, con partenza da corso Gastaldi, precisando che in pratica la prosecuzione del corteo del Genoa social forum oltre piazza Verdi era impedita. Ciò, di fatto, conferma quanto riportato nella documentazione che ci avete consegnato; egli, però, aggiunge di non essere mai stato messo a conoscenza di ciò che succedeva nelle piazze tematiche e di chi fossero i titolari. Egli dice, per esempio, di non sapere che la Rete Lilliput fosse in piazza Manin, dopodichè svolge una serie di considerazioni; infine, afferma che tale corteo non era autorizzato e che, comunque, non si trattava di un corteo bensì di una massa di persone.
VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. In questura è stata spiegata tutta l'iniziativa: lo ha fatto Morettini, e, tra l'altro, in data 16 luglio abbiamo presentato una richiesta inerente a tutte le nostre iniziative, con le varie firme. Successivamente, abbiamo ottenuto le autorizzazioni. Quella che abbiamo fornito al presidente è datata 19 luglio e autorizza, anzi, precisa quali sono i divieti. La nostra richiesta è del 16 ed il 19 viene vietato il corteo tra piazza Verdi, piazza della Vittoria, via XX Settembre e piazza De Ferrari. Questi sono dati ufficiali corredati dai timbri.
GRAZIELLA MASCIA. C'è una differenza tra non autorizzato e vietato.
VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. Qui c'è scritto semplicemente vieta il transito del corteo...
PRESIDENTE. C'è un documento, credo che tutti siamo in condizione di leggerlo, al di là dell'interpretazione. Dottor Agnoletto, può proseguire.
VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. Sulla questione di Rete Lilliput, più che stampare una cartina di tutta Genova, con tutte le iniziative, le associazioni...
PRESIDENTE. Possiamo acquisire agli atti tale cartina?
VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. Certamente. Vuole acquisire agli atti anche la nostra richiesta formale?
PRESIDENTE. Produca tutto quello che ritiene opportuno.
VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. Dunque, sulla giornata del 20 abbiamo avuto l'autorizzazione, come detto, e sulla questione di Rete Lilliput abbiamo illustrato per tutte le piazze quello che sarebbe avvenuto e chi vi sarebbe stato. Relativamente alla domanda di Rete Lilliput, nella documentazione che ho letto e che è stata consegnata è spiegato tutto il percorso che Alberto Zoratti, responsabile di Rete Lilliput, traccia nei giorni precedenti con la questura (si indica addirittura con chi parla) per le autorizzazioni. Per i Cobas è segnata, addirittura, l'ora in cui è stata data la risposta. Più precisi di così...
RAFFAELLA BOLINI, Rappresentante dell'ARCI. Ritengo che sia utile puntualizzare una cosa: il modo in cui noi avremmo dovuto presentare le richieste per svolgere le manifestazioni ci è stato spiegato, per filo e per segno, dal Capo della Polizia nell'incontro del 30 giugno. Durante tale incontro dichiarammo, in maniera più esatta di come avevamo fatto fino ad allora (poiché il processo decisionale era arrivato ad un punto quasi conclusivo), i giorni delle manifestazioni (19, 20 e 21).
GIAN FRANCO ANEDDA. Vorrei sottoporre i seguenti quesiti alla cortese attenzione del dottor Agnoletto. Anzitutto, le chiedo se, nei giorni del vertice G8 ed in quelli precedenti, abbia avuto incontri, contatti, scambi di opinione con Canterini. Le domando, poi, se, nella fase preparatoria, sia stata presa in considerazione, nelle riunioni da voi svolte, l'eventualità che, in occasione delle manifestazioni, potessero essere posti in essere atti di violenza da parte dei manifestanti. Ancora, a proposito dell'equipaggiamento di cui moltissimi manifestanti erano muniti - si trattava, come lei ha ricordato, di caschi, imbottiture, scudi (addirittura, scudi collettivi) -, le chiedo se ciò le sia apparso indispensabile per consentire ai manifestanti
di difendersi da attacchi non motivati della polizia.
VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. Dunque, il signor o dottor Canterini non l'ho mai incontrato, non lo conosco; a meno che non fosse uno dei funzionari presenti a due incontri (quello con De Gennaro e quello col ministro), non l'ho mai né incontrato né conosciuto.
ogni azione, tutto ciò che avremmo fatto.
GIAN FRANCO ANEDDA. Lei ha descritto la reazione delle forze dell'ordine alla disobbedienza civile; fermi restando i vostri legittimi convincimenti, non ritiene che fosse legittima anche la reazione della Polizia per fare in modo che si ottemperasse al divieto di accesso?
VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. Mi scusi, è quello che non è avvenuto. Non vi sarebbe stata una reazione della Polizia - tra l'altro qui c'è proprio un gioco di parole - qualora il corteo delle tute bianche avesse commesso dei reati, cioè avesse superato il divieto a manifestare (vale a dire la zona non autorizzata), tentando di arrivare alla zona rossa.
GIAN FRANCO ANEDDA. In punta di piedi ....!
VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. Ho usato il termine in punta di piedi calibrando le parole per rispetto nei confronti delle persone (Gandhi ed altri) a cui mi riferisco.
SAURO TURRONI. Ringrazio per la ricostruzione che ci è stata fornita che, per la verità, è la prima così puntuale. Vorrei chiedere se vi siano, insieme a questa ricostruzione scritta, e se intendiate consegnarceli, raccolte di filmati in ordine cronologico e fotografie che documentino temporalmente la successione dei fatti.
questa perquisizione indebita) - immediatamente interrotto la perquisizione, dicendo a chi vi era entrato erroneamente di allontanarsi. Lei, nella sua relazione e nei suoi interventi, afferma cose sostanzialmente diverse. La Polizia entra con la forza nella scuola Diaz: vorremmo capire come sia avvenuto questo ingresso, in quanto, fino ad ora, non lo abbiamo saputo.
PRESIDENTE. Senatore Turroni, la invito a concludere.
SAURO TURRONI. Ho quasi finito, presidente.
PRESIDENTE. Darei subito la parola al dottor Kovac, il quale credo che abbia già riferito sul punto.
SAURO TURRONI. Se può ripetere...
PRESIDENTE. Se deve ripetere, può leggersi lo stenografico, altrimenti, se ha qualcosa da aggiungere...
STEFANO KOVAC, Rappresentante del Consorzio italiano di solidarietà. Su questo punto non ritengo di dover aggiungere nulla di più rispetto a ciò che ho già detto. Le cose sono quelle, tra l'altro vi è anche una dichiarazione all'ANSA della sera in cui è stato ascoltato il questore nella quale ripetevo più o meno le stesse cose.
PRESIDENTE. Se vuole colmare la lacuna, prego.
STEFANO KOVAC, Rappresentante del Consorzio italiano di solidarietà. A piazzale Kennedy vi erano sostanzialmente due cose principali. Il punto di informazione, dove le persone ricevevano la cartina che abbiamo consegnato prima e che è agli atti, che riguardava le manifestazioni, e un'altra cartina che riguardava i posti di accoglienza. Le persone, inoltre, ricevevano anche altre informazioni e venivano smistate tra i vari campi. Vi era, poi, un punto in cui si reclutavano eventuali volontari per attività di traduzione o altro, vi era un grande spazio per spettacoli e concerti, che in realtà è stato utilizzato limitatamente, in quanto da venerdì sera in segno di lutto avevamo deciso di sospendere tutte le attività, per così dire, ludiche, e un grande spazio di ristorazione.
PRESIDENTE. A questo punto credo che debba intervenire il dottor Agnoletto in merito alle domande poste dal senatore Turroni.
VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. Per quanto concerne la prima domanda, relativa al materiale video, qualcosa verrà già proiettata da Luca Casarini questo pomeriggio. Vedo che sono stati già allestiti gli schermi per la proiezione.
PRESIDENTE. Dottor Agnoletto, ha capito male. Gli schermi sono utilizzati per altre finalità. Casarini ci fornirà una cassetta che poi visioneremo, non vedremo il filmato con Luca Casarini.
VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. Mi scusi, ho interpretato male la presenza in aula degli schermi: come vede, è sempre meglio rimanere ai fatti. Dunque, una cassetta verrà consegnata da Luca Casarini e il resto del materiale è in mano ai nostri avvocati per tutte le questioni processuali.
Comunque, mi farò sicuramente parte attiva nel porre questa questione, che non avevamo considerato.
PRESIDENTE. Può cortesemente ripetere alla presidenza il nome della rete televisiva?
VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. Indymedia. Possiamo provvedere a consegnarlo noi stessi, se lo ritiene opportuno.
PRESIDENTE. Le saremmo molto grati.
VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. Confermiamo la questione dell'elicottero che sorvolava le scuole durante lo svolgimento dei fatti.
SAURO TURRONI. Mi scusi, dottor Agnoletto, vorrei sapere se coloro che perquisivano fossero ancora dentro l'edificio quando lei è arrivato.
VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. Erano dentro l'edificio quando sono entrato, cercando di capire cosa stava succedendo, e sono rimasti dentro per parecchio tempo.
SAURO TURRONI. Si riferisce alla scuola Diaz, sede del centro stampa?
VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. Sì, alla Diaz. Non fino alle 3 (quando si è chiusa l'operazione alla Pertini), ma per molto tempo sono rimasti dentro.
FABIO LUCCHESI, Rappresentante dell'associazione Rete Lilliput. Credo sia abbastanza facile capire la risposta alla domanda sulle piazze. È stato prodotto anche un documento che riguarda il corteo, non solo la richiesta di autorizzazione, ma anche la risposta. Non ne ricordo la formulazione, ma esso cita esplicitamente le piazze da occupare; quindi non c'era semplicemente un atto a conoscenza dell'amministrazione, ma c'era un atto dell'amministrazione. Su quello che sarebbe stato fatto nelle varie iniziative, credo che ci sia stata la massima chiarezza. Avevamo detto chiaramente che avremmo utilizzato la piazza per tutta una serie di attività informative (così come gli agricoltori, per esempio, avevano comunicato che le avrebbero svolte di fronte a piazzale Kennedy). Eravamo stati estremamente espliciti nel chiarire tutto quello che sarebbe stato fatto: abbiamo precisato che in piazza Manin avremmo tenuto un presidio con banchetti e materiale informativo su
tutta una serie di questioni riportate nella relazione; avevamo detto molto chiaramente che avremmo utilizzato via Zarotti fino in fondo alla rete, per accerchiare la rete stessa; tutto questo era stato comunicato in maniera molto precisa. Evidentemente, però, poiché anche l'accerchiamento della zona rossa, tutto sommato, non era un atto che l'autorità pubblica potesse autorizzare, non è stata fornita risposta da parte dell'amministrazione. Però la comunicazione c'è stata, in termini chiarissimi (Commenti del senatore Turroni). La comunicazione precisa di quello che si intendeva fare nelle varie zone è stata fatta, anche se è chiaro che non vi è una risposta autorizzativa, perché si trattava di attività che, in ogni caso, le forze dell'ordine non potevano autorizzare.
CHIARA CASSURINO, Rappresentante del movimento «Tute bianche». Cercherò di dare ordine ad alcuni elementi che sono emersi. Confermo che questo corteo era autorizzato - come abbiamo detto prima - fino alla fine di via Tolemaide. La carica dei carabinieri è avvenuta all'incrocio tra corso Torino e via Tolemaide, 300 o 500 metri prima della fine di via Tolemaide, quindi in pieno percorso di corteo autorizzato. In merito alla domanda su chi abbia comandato questa carica, voglio descrivere a cosa ci siamo trovati di fronte quando siamo arrivati. Come sapete, siamo partiti dal Carlini intorno alle 13,30. Premetto che prima della nostra partenza - che ha richiesto un po' di tempo perché eravamo molti, circa ventimila - già circolavano voci di scontri in giro per la città tra «blocco nero» e polizia. Allora abbiamo meditato lungamente sulla strada da intraprendere e ci siamo convinti del fatto che, poiché avevamo chiesto l'autorizzazione per il corteo e questo era stato autorizzato sino a quel punto, non dovevamo cambiare il nostro percorso, altrimenti ciò sarebbe stato avvertito come un cambiamento immotivato dell'ultimo momento. Siamo arrivati, quindi, all'altezza dell'ospedale San Martino (che si trova molto prima del luogo dove è avvenuta la carica) e da lì abbiamo cominciato a vedere alcuni segnali, del fumo nero, molto distanti da noi. Ma non abbiamo visto segni di devastazione, banche o negozi devastati, perché sul percorso non ce ne erano, tranne un Blockbuster (tra l'altro!), a cui però non era stato arrecato alcun danno ed era proprio all'uscita del Carlini. Quel negozio, che tra l'altro doveva essere un obiettivo sensibile, non presentava alcun danno.
ERMINIA MAZZONI. Vorrei chiedere al dottor Agnoletto se è in grado di chiarirmi lo schema attraverso il quale si aderiva prima al Patto di lavoro e poi al Genoa social forum. C'erano dei processi? C'erano dei modi di acquisizione e di verifica dei soggetti che aderivano a questa struttura, a questo soggetto più ampio? E quale verifica si faceva dei requisiti di appartenenza? In base a ciò che lei ha detto, dalle relazioni e da ciò che abbiamo acquisito nei giorni scorsi, emerge che i soggetti che hanno aderito al Genoa social forum, lo hanno fatto per sottoscrizione, per adesione, quindi, sembra che da parte vostra non ci fosse un'effettiva verifica. Le pongo questa domanda per chiarire due dubbi che rimangono ancora oscuri.
religiosa, occorre predisporre un piano di sicurezza, al fine di evitare che la semplice concentrazione di massa di persone arrechi danno a cose e persone?
non voglio definirla violenta e neanche non pacifica, ma si tratta comunque di una situazione di difficoltà che richiede un preciso intervento delle forze dell'ordine.
PRESIDENTE. Mi dispiace, onorevole Mazzoni, il tempo a sua disposizione è terminato.
VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. Se il presidente lo consente, lascerei la prima domanda, relativa ai meccanismi di appartenenza al Genoa social forum, a Raffaella Bolini, che ha seguito proprio questi aspetti.
PRESIDENTE. Mi scusi, dottor Agnoletto, non credo che la domanda si riferisse a questo aspetto.
ERMINIA MAZZONI. Come ho detto in premessa, non voglio entrare nel merito, ma sarei ben lieta di poterne discutere approfonditamente. Ho chiesto, proprio in tema di strutturazione, come mai contestiate il diritto dei vertici di Stati, di otto capi di Stato, di assumere decisioni che possano incidere sul destino di altri - lei ha detto poco fa che contesta il WTO perché non è stato eletto - quando poi lei parla a nome di una collettività, senza essere stato eletto. Non riesco a capire quale sia la struttura che lo ha legittimato, da chi è composta questa struttura, e neanche lei mi ha dato una risposta diretta, rinviandomi alla signora Bolini. Vorrei sapere se esistano dei documenti, uno schema preordinato, che riguardino la costituzione del Genoa social forum. Se ci sono, credo che lei dovrebbe conoscerli.
PRESIDENTE. Grazie, onorevole Mazzoni, la domanda ora è chiara.
VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. Non credo di dover rispondere a questa domanda, perché non credo sia il caso di iniziare un dibattito politico in questa sede, non è questo il mio ruolo. Posso solo permettermi di dire che il Genoa social forum non pretende di assumere decisioni per nessun altro: questa è la grande differenza. Se noi prendiamo una decisione, questa non ricade sul Sudafrica, ma fa parte di un dibattito politico.
RAFFAELLA BOLINI, Rappresentante dell'ARCI. La mia risposta sarà deludente per chi ha posto la domanda perché per aderire al Genoa social forum era sufficiente sottoscrivere l'appello costitutivo dello stesso del Genoa social forum medesimo che si richiamava alla contestazione del G8 attraverso iniziative pacifiche e non violente. Forse sarà deludente, però vorrei fosse chiaro che la società civile è una cosa seria. Non so se esista un magistrato...
PRESIDENTE. Mi scusi, signora, la domanda è: come si aderisce?
RAFFAELLA BOLINI, Rappresentante dell'ARCI. Non sto commentando; dico che si aderisce al Genoa social forum esattamente nei modi previsti per l'associazione ai partiti, alle coalizioni, ai programmi, esattamente nella stessa maniera. La sottoscrizione pubblica del patto del Genoa social forum costituisce un'assunzione di responsabilità culturale e politica. Riguardo a ciò, mi permetto di esprimere un rammarico: mi dispiace molto di non aver potuto portare le registrazioni televisive. Ero a piazzale Kennedy (ma so che sono state fatte riprese anche al Carlini) dove ricordo che il Tg1 ha filmato tutte le assemblee che si sono tenute il 20 luglio nel pomeriggio, dopo le cariche e dopo la morte di Carlo Giuliani. Da queste registrazioni risulta ciò che tutti i portavoce del GSF, dagli esponenti delle organizzazioni più moderate (uso un termine giornalistico) a quelli delle associazioni più radicali, hanno detto e fatto per tenere calma e tranquilla la gente che, tornata dalle manifestazioni, dopo aver visto cariche infernali ed essere stata oggetto di pestaggi, ferimenti e arresti e dopo la morte di un ragazzo, ovviamente, era in uno stato di tensione e di fibrillazione (Commenti). Tutti gli esponenti del Genoa social forum hanno fatto il possibile per mantenere la calma, dimostrando così di aver preso molto sul serio il patto sottoscritto con un atto politico.
MARCO BOATO. Vorrei ringraziare sia i rappresentante del Genoa social forum, nelle sue varie articolazioni, sia i due esponenti delle ACLI, che ora si sono allontanati, per il contributo che stanno fornendo al nostro lavoro; un lavoro di ricostruzione dei fatti, non un dibattito politico su movimenti, partiti e associazioni, che costituisce oggetto dell'attività parlamentare, politica e della società civile, ma che non può avere luogo in questa sede. Condivido in modo particolare l'affermazione della rappresentante di Pax Christi riguardo l'utilità del nostro lavoro, anche sotto il profilo della pace.
preavvisi, rispetto ai quali, per motivi di ordine pubblico, si deroga alla regola generale secondo cui si può sempre manifestare pacificamente. Correttamente, l'ordinanza del 19 luglio, rispetto ai preavvisi, stabilisce ciò che è vietato, prendendo atto, invece, in particolare, di due fattori: di alcune piazze tematiche (non ricordo quali, ma sono state citate più volte) e di una manifestazione fino a piazza Verdi, se non ho capito male. Ciò presuppone (anzi era detto esplicitamente) che nel tratto compreso tra piazza Verdi e piazza De Ferrari il transito del corteo preavvisato fosse vietato.
PRESIDENTE. Onorevole Boato, deve rivolgere la sua domanda su questo punto.
MARCO BOATO. La domanda è se abbiate notizia di riunioni avvenute la sera del 19 sera da parte di altri in relazione ad azioni da mettere in atto il giorno successivo.
PRESIDENTE. Onorevole Boato, devo toglierle la parola perché è esaurito il tempo a sua disposizione. Del resto, l'ho già fatto in precedenza con un'altra collega. Lei dovrebbe formulare prima la domanda e poi eventualmente svolgere le sue considerazioni; invece, ha l'abitudine di far precedere le domande da un intervento. L'avevo avvisata un minuto prima che il tempo a sua disposizione scadesse; credo che lei avesse l'obbligo di formulare le domande per rispetto nei confronti degli altri colleghi.
MARCO BOATO. Posso almeno terminare la domanda che stavo formulando?
PRESIDENTE. Concluda rapidamente.
MARCO BOATO. Stavo chiedendo, e concludo, se possiate fornire al Comitato la documentazione, che invierete sicuramente all'autorità giudiziaria - ma che stiamo acquisendo anche noi, non sulle responsabilità, ma sui fatti -, che riguarda la caserma di Bolzaneto e il rapporto,
ipotizzato in documenti citati più volte, fra esponenti dell'Arma dei carabinieri e presunte tute nere.
VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. Relativamente alla questione del dottor Gaggiano, noi qui presenti non sappiamo nulla e non lo conosciamo, così come non siamo al corrente di riunioni, non del Genoa social forum, che si sarebbero verificate in quei giorni.
STEFANO KOVAC, Rappresentante del Consorzio italiano di solidarietà. Per quanto riguarda la sede di Quarto, l'unica cosa che ci siamo limitati a dire è che nel momento in cui si sono verificati dei problemi (in particolare la vicenda della palestra), è stato avvisato, da parte di una persona indicata nella relazione, mi pare Paolo Arado del direttivo dei Cobas di Genova, l'assessore Massolo, che si è recata nella struttura. Abbiamo detto solo questo, a parte il fatto dell'allagamento, e non abbiamo notizie che siano cambiate persone.
MASSIMILIANO MORETTINI, Portavoce del Genoa social forum genovese. Nella relazione abbiamo detto che l'11 aprile 2001 abbiamo inoltrato al prefetto Di Giovine, il primo, se non ricordo male, documento organico delle richieste complessive, che comprendeva anche un piano di accoglienza, dettagliato rispetto ai tempi; in quel momento non era stata ancora emessa l'ordinanza del prefetto sulla zona rossa e sulla zona gialla. C'erano, pertanto, ancora mille variabili possibili sulla configurazione della città.
IDA DENTAMARO. Vorrei rivolgere prima di tutto una domanda al rappresentante della Rete Lilliput, il signor Fabio Lucchesi.
30 minuti, dell'imminente arrivo di uomini del black bloc. Le chiedo, pertanto, se di questo abbiate avvertito, o abbiate cercato di avvertire, le forze dell'ordine, o altro, e comunque se le risulti che le stesse forze dell'ordine ne fossero al corrente, così come lo eravate voi.
non avreste potuto vederlo. Lei, però, non può escludere che vi sia stato un ordine in questo senso. Mi rendo perfettamente conto che è normale immaginare che un ordine di caricare provenga da chi si trova alla testa del contingente e non da chi è alle spalle, però lei non può escludere che tale ordine vi sia stato.
FABIO LUCCHESI, Rappresentante dell'associazione Rete Lilliput. Rispetto all'episodio di piazza Manin, per essere precisi, abbiamo avuto notizie, non io personalmente, ma Stefano Renzi, che ha ricevuto la telefonata da qualcuno del GSF (onestamente non so da chi). Devo anche dire che noi per tutta la mattina, durante la gestione della piazza, non siamo mai riusciti, salvo una volta (la mattina presto, prima ancora di cominciare - per così dire - l'assedio esterno alla rete), a comunicare con il funzionario della questura, cioè il capo della DIGOS, Mortola, di cui avevamo il numero e con il quale avremmo dovuto relazionarci per i problemi che si sarebbero creati in piazza.
MASSIMILIANO MORETTINI, Portavoce del Genoa social forum genovese. Innanzitutto accolgo la richiesta relativa al documento che abbiamo inviato al prefetto: sicuramente sarà trasmesso anche al Comitato. Le volevo poi chiedere un chiarimento: mi sembra che lei abbia fatto
riferimento ad una data errata; lei ha infatti parlato del 5 luglio in relazione all'incontro con il capo di gabinetto del ministro Bianco.....
IDA DENTAMARO. L'incontro è invece avvenuto il 5 aprile.
MASSIMILIANO MORETTINI, Portavoce del Genoa social forum genovese. Esattamente. La ringrazio per il chiarimento. Circa la premessa dell'incontro che abbiamo avuto con il prefetto, su di essa mi sono soffermato nel precedente intervento, quindi non mi ripeto ora. Mi riferisco all'incontro con il capo di gabinetto del ministro Bianco, dottor Sorge, all'invio della documentazione al prefetto con quell'intestazione che ho ricordato prima e alla contestuale richiesta di un incontro - vado un po' a memoria perché ora non ho il documento a mia disposizione - per cominciare a discutere nel merito delle richieste che erano state illustrate nella riunione del 5 aprile. Non posso fare delle supposizioni: mi attengo quindi ai fatti che si sono verificati in quella giornata che, per molti aspetti, è stata un po' surreale sia per una parte sia per l'altra. Dico questo perché la delegazione del Genoa social forum si è presentata in prefettura ed il prefetto, diciamo così, l'ha ricevuta con la consueta cortesia, iniziando una disquisizione di circa un'ora sulla questione del G8, sulla globalizzazione e sulle altre tematiche relative al vertice.
CHIARA CASSURINO, Rappresentante del movimento «Tute bianche». Confermo di non essere in grado di escludere la presenza di un funzionario dietro questo centinaio di carabinieri. Dico che il gruppo di contatto non lo ha visto. Ci risulta comunque che quando viene operata una carica su un corteo, autorizzato o meno, deve esserne data comunicazione alle persone che stanno per subire tale azione. Questo, almeno, è ciò che è sempre accaduto durante le ultime manifestazioni.
VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. Comincio con il rispondere alle questioni più semplici. Non sono mai stato contattato dal ministro Ruggiero, tanto meno per avvicinare Manu Chao. Se posso anzi permettermi, ero fortemente innervosito - a tal proposito vi sono diverse mie dichiarazioni sui giornali - dal fatto di continuare a leggere che il ministro chiedeva qualche cosa al Genoa
social forum e ciò senza che in realtà lo abbia mai effettivamente fatto. Il ministro Ruggiero continuava cioè a dire di volerci incontrare, ma noi non lo abbiamo mai incontrato se non in quella riunione.
IDA DENTAMARO. La riunione del 24 giugno?
VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. No, in quella del 28 giugno. Inoltre, nessuno di noi ha partecipato all'incontro con il ministro Ruggiero e l'architetto Paolini.
ANTONIO DEL PENNINO.Vorrei rivolgere al dottor Agnoletto alcuni gruppi di domande. Con riferimento alla richiesta del Genoa social forum del 16 luglio relativa alle manifestazioni del 20 luglio e alla successiva ordinanza del questore che vietava alcune di queste manifestazioni e prendeva atto di altre, se ho esaminato bene la planimetria di Genova, mi sembra che alcune delle manifestazioni consentite, di cui si prende atto, siano collocate nella zona gialla, ed altre invece vietate sono anch'esse collocate nella zona gialla. Mi riferisco, se non erro, a piazza Dante e a piazza Carignano che mi sembra fossero collocate nella zona gialla. La mia domanda è la seguente: la presa d'atto, da parte della questura, delle manifestazioni di piazza Dante e di piazza Carignano è frutto di una trattativa che si è svolta tra il Genoa social forum e l'autorità di pubblica sicurezza o un'autonoma decisione adottata dalla questura?
gruppi violenti e di caricare, invece, i cortei. A questo punto vorrei ricevere da lei alcuni chiarimenti. Quando si riferisce all'episodio di piazza Paolo Da Novi - in riferimento al quale mi sembra lei sottintenda tale considerazione - afferma che i COBAS e i Network, che avrebbero dovuto svolgere la manifestazione in tale piazza, si ritiravano perché i reparti antisommossa sembravano pronti ad intervenire. Pertanto, i manifestanti della piazza tematica, per non trovarsi coinvolti nelle cariche, hanno dovuto abbandonarla. In merito a ciò, c'è stato un intervento da parte di reparti antisommossa nei confronti dei black bloc? Si è proceduto, sempre che lei ne sia a conoscenza, ad arresti nei confronti dei medesimi o non vi è stato alcun atto?
PRESIDENTE. Le manca un minuto, senatore.
ANTONIO DEL PENNINO. ...«Durante gli scontri di via Tolemaide si sono susseguite alcune cariche per disperdere i facinorosi che, travisati, lanciavano pietre, mattoni, bottiglie ed altri oggetti contundenti e tentavano di aggredire i reparti in uniforme». Da tali rapporti risulta una versione evidentemente differente da quella che lei ci ha offerto.
PRESIDENTE. Senatore la invito a formulare la domanda, altrimenti sono costretto a toglierle la parola.
ANTONIO DEL PENNINO. ....lei si riferisce anche ad un intervento della Polizia nei confronti dei manifestanti che erano attestati in piazza Marsala. Le chiedo però: piazza Marsala non risultava essere una delle sedi vietate dalla questura?
VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa Social Forum. Quanto alla prima domanda, non c'era più la zona gialla dal punto di vista degli aspetti di agibilità politica; lo abbiamo dichiarato ai giornali e lo abbiamo scritto sugli atti che vi abbiamo consegnato. Nella riunione del 30 giugno il Capo della Polizia disse che la zona gialla non era la Bibbia (noi abbiamo riportato esattamente tale frase) e che per le questioni di ordine pubblico, ossia manifestazioni, presidi, volantinaggi, non sarebbe più esistita la zona gialla. Rivolgendosi agli altri presenti alla riunione, per esempio, disse che non si stava riferendo a questioni relative a impalcature o posteggi di macchine; ciò sarebbe rimasto per avere un certo livello di agibilità, ma lì non c'era più la zona gialla. Non abbiamo fatto una trattativa; abbiamo chiesto alcune piazze e indicato le iniziative che volevamo assumere. Autonomamente il Capo della Polizia ha risposto in tale modo. Francamente non sono in grado di dirvi - darei solo alcune impressioni in merito e non mi sembra corretto - se il Capo della Polizia rispose così d'accordo con il prefetto o il questore o di sua iniziativa. Ma ciò fu quello che ci venne detto.
PRESIDENTE. Mi sembra di aver compreso che la precisazione voleva formularla Fabio Lucchesi.
VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. Ci mancherebbe!
FABIO LUCCHESI, Rappresentante dell'associazione Rete Lilliput. La precisazione riguardava l'episodio di piazza Manin, in quanto si faceva riferimento al fatto che in piazza Marsala vi fossero stati dei momenti di tensione con le forze dell'ordine. È vero che in un primo tempo in piazza Marsala era stato vietato l'accesso; tuttavia, nel momento in cui noi occupammo piazza Corvetto, discutemmo con le forze dell'ordine la possibilità di andare nell'altra piazza. Ci furono momenti di tensione ma non è quella l'occasione in cui vi è stata una carica della polizia. Essa è avvenuta in piazza Manin quando arrivarono i black bloc, non in piazza Marsala. Si tratta di due episodi che non devono essere confusi.
GIAN FRANCO ANEDDA. Ho formulato una domanda al dottor Agnoletto chiedendogli se conoscesse il dottor Canterini. In realtà, mi riferivo al signor Casarini. La domanda è pertanto la seguente: ha conosciuto questa persona?
VITTORIO AGNOLETTO, Portavoce del Genoa social forum. Certamente, conosco il signor Luca Casarini. Egli fa parte del Genoa social forum, è risaputo, è il rappresentante del movimento denominato «Tute bianche».
PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Agnoletto, i signori Kovac, Cassurino, Morettini, il dottor Gubbiotti e i signori Lucchesi, Bolini e Scalori per la collaborazione.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui fatti accaduti in occasione del vertice G8 tenutosi a Genova, l'audizione di Luca Casarini, portavoce del movimento denominato «Tute bianche». Ricordo che l'indagine ha natura meramente conoscitiva e non inquisitoria.
Comitato, anche mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso che consente alla stampa di seguire lo svolgimento dei lavori in separati locali.
LUCA CASARINI, Portavoce del movimento «Tute bianche». La relazione che mi appresto a leggere e a consegnarvi è frutto di una elaborazione collettiva svolta all'interno del movimento delle Tute bianche. È un contributo parziale ma importante alla ricostruzione degli eventi di Genova, al loro svolgersi concreto e al clima politico in cui sono potuti accadere. Prima di ogni ragionamento alcune precisazioni:
direttamente anche il «monopolio dell'uso della forza». Sul piano politico l'intera maggioranza, i suoi propositi e programmi politici, ci sono apparsi ancora più direttamente legati al sistema di sviluppo e governo globale che contestiamo in tutto il mondo. Quindi queste valutazioni di certo ci sono state e ci sono, ma non abbiamo mai pensato che l'obiettivo potesse essere quello di «usare» il G8 per far cadere Berlusconi. La posta, francamente, ci sembra molto più alta e la partita molto più complessa. Investe le ragioni di un'esistenza basata sul modello neoliberista globale, le scelte politiche e sociali che si fanno su scala planetaria e non si risolve certo con la caduta di una maggioranza e l'avvento di un'altra. Anche perché questo movimento nasce a Seattle con l'era Clinton e si oppone fermamente anche ai progetti neoliberisti del New Labour di Tony Blair, che pure non sono inseriti nel centrodestra. Quindi, certamente la situazione ci ha preoccupato molto con l'avvento al Governo di Berlusconi, Bossi, e Fini, ma lo scopo della mobilitazione di Genova non era semplicemente opporsi al Governo italiano: opporsi al Governo mondiale, quello del G8, ci sembrava e ci sembra enormemente più difficile, ma anche necessario ed importante.
causare danni a una città, non solo duramente provata dai preparativi per il G8, ma anche interessata ai contenuti e alle proposte del movimento. Consideravamo Genova «territorio amico», come lo era stata Quebec City durante la contestazione al vertice panamericano sul libero commercio dell'aprile 2001. Proprio come era successo nella città canadese, decidemmo di ignorare gli stessi simboli e marchi delle multinazionali che avversiamo, concentrando la nostra azione sul muro della vergogna che delimitava la cosiddetta zona rossa.
con persone ed esperienze diverse. Su tali fondamenta, si è costruito il Genoa social forum. Al suo interno, c'erano pratiche e politiche diverse, valutazioni contrastanti, come quelle riguardanti la «dichiarazione di guerra», riferimenti culturali talvolta lontanissimi (dall'enciclica Solicitudo rei socialis, ai grundrisse di Karl Marx, da Martin Luther King a Luther Blissett, da José Martì a José Bové, da Gandhi al subcomandante Marcos) ma un confronto franco e trasparente non ha mai portato a fratture o distinzioni tra presunti buoni e presunti cattivi.
invalicabile e farlo senza utilizzare alcuno strumento atto ad offendere, ma solo il proprio corpo equipaggiato di protezioni corporali (imbottiture, caschi, scudi), non può in alcun modo essere associato a intenti bellico-militari.
operatori dell'informazione. Abbiamo definito con il GSF e pubblicizzato ovunque quali strade avremmo percorso, come lo avremmo fatto, il punto esatto dove avremmo tentato la disobbedienza, cioè via XX Settembre. Abbiamo definito e pubblicizzato questo giorni prima, altro che accordi segreti. Ovviamente auspicavamo - e lo abbiamo fatto presente tramite il GSF anche a De Gennaro (si veda l'incontro del 30 giugno a cui non ho partecipato) - che chi disobbediva non venisse massacrato, che non vi fossero comportamenti della polizia e dei carabinieri che violassero i diritti umani, anche se in presenza di qualche violazione della norma, che i fermati fossero rispettati, che non vi fossero pestaggi nelle caserme.
del corteo, travolta dalle cariche e dai lacrimogeni, con abbandono di alcune protezioni. L'arretramento non convinse i carabinieri a fermarsi, le cariche proseguirono con brutalità. Alleghiamo un documento video in cui si vedono chiaramente dieci carabinieri avventarsi su una ragazza inerme stesa a terra, infierendo con calci e manganellate. I volti di alcuni carabinieri sono ben visibili. Ci chiediamo come mai, a tutt'oggi, nessun carabiniere risulti indagato per le violenze.
obiettivi politici della protesta, ma anche per assolvere la funzione di «gruppo di contatto». Il gruppo di contatto, sempre previsto durante le iniziative di disobbedienza, ha il compito di stabilire appunto un contatto con chi gestisce l'ordine pubblico in piazza e chi lo governa politicamente. Serve a tentare di creare quello spazio pratico e politico per mediare la situazione, per informare la polizia delle richieste dei manifestanti ed i manifestanti sulle intenzioni della polizia. In particolare, al corteo del 20 luglio partito dal Carlini, i deputati Mauro Bulgarelli, Paolo Cento, Luana Zanella dei Verdi e Ramon Mantovani di Rifondazione comunista dovevano assolvere a questa funzione con altri, come il prosindaco di Mestre, il consigliere regionale veneto Gianfranco Bettin, e l'assessore di Venezia Beppe Caccia. Altro che libro nero dell'Inquisizione, come qualcuno ha tentato di orchestrare! Io li ringrazio pubblicamente per essere stati lì con noi, per averci aiutato in momenti drammatici. D'altronde è ridicolo parlare di grande scoop: lo avevamo annunciato a tutti i giornali. Anche io facevo parte del gruppo di contatto.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare sull'ordine dei lavori l'onorevole Mancuso. Ne ha facoltà.
Non essendovi obiezioni, così rimane stabilito.
Comunico che sono pervenute al Comitato due lettere, una da parte del dottor Vincenzo Canterini, comandante del I reparto mobile di Roma, e l'altra da parte del prefetto Arnaldo La Barbera, contenenti precisazioni in ordine ad alcuni aspetti oggetto della loro audizione, nonché una lettera da parte del comandante generale dell'Arma dei carabinieri, generale Sergio Siracusa, contenente alcune precisazioni rispetto all'audizione del generale Giampaolo Ganzer.
Comunico altresì che sono pervenute al Comitato, da parte degli ispettori ministeriali dottor Lorenzo Cernetig e dottor Salvatore Montanaro, due lettere di identico contenuto rispetto a quella inviata dal dottor Pippo Micalizio, di cui ho dato lettura nella seduta di ieri. Copia di tali lettere sarà distribuita, unitamente ad altra documentazione da ultimo pervenuta, ai componenti del Comitato.
Per quanto attiene alla lettera del dottor Canterini, lo stesso precisa: «La prego di voler accettare una rettifica circa una mia risposta alla domanda rivoltami, durante l'audizione di ieri, dal presidente Violante e tendente a conoscere se avessi o meno consegnato dei documenti al senatore Taormina. A detta domanda ho risposto negativamente e quindi in maniera erronea, in quanto, al suddetto parlamentare, nell'occasione dell'incontro descritto, ho effettivamente consegnato una documentazione che lo stesso ha successivamente inviato all'autorità giudiziaria di Genova. La prego di ritenere tale terrore come assolutamente involontario e frutto di una momentanea amnesia».
Do lettura della lettera inviata dal dottor La Barbera: «Ritengo necessario, nell'esclusivo fine di consentire all'onorevole Commissione che lei presiede di conoscere la reale dinamica dei fatti, puntualizzare alcune circostanze in relazione alle dichiarazioni rese dal dottor Canterini nel corso dell'audizione che ha avuto luogo ieri. Ovvie esigenze di carattere funzionale non consentono infatti a codesta Commissione di procedere ad un contraddittorio che, in ogni caso e come mi auguro, in sede penale potrà fare piena luce su eventi, circostanze, condotte e singole responsabilità.
Preso atto che il dottor Canterini nega di aver mai ricevuto dallo scrivente il consiglio di valutare attentamente l'eventualità di procedere alla perquisizione all'interno del complesso convenzionalmente definito «scuola Diaz», osservo: a prescindere dall'effettivo ruolo che il comandante del reparto mobile di Roma rivestiva nel contesto in questione, ribadisco che quello che gli rivolsi è stato un consiglio, un invito a valutare attentamente lo «stato di tensione» che avevo percepito nelle fasi antecedenti all'irruzione e a riflettere sull'opportunità di procedere. Non trattandosi
Do lettura della lettera a firma del generale Siracusa: «In relazione all'audizione del generale di brigata Giampaolo Ganzer, vicecomandante del raggruppamento operativo speciale dei carabinieri, mi preme fornire a lei ed ai membri del Comitato opportuna precisazione in merito ad un quesito riguardante l'ufficiale dei carabinieri più elevato in grado presente in Genova. Come riportato a pagina 191 del resoconto stenografico, alla domanda postami su chi fosse l'ufficiale più elevato in grado a Genova, ho risposto testualmente: "a Genova vi è il comandante della regione Liguria. Ma la competenza territoriale è del comandante provinciale, un colonnello (...) per la circostanza il colonnello Tesser". Desidero puntualizzare che il comandante della regione è un ufficiale generale dell'Arma - nel caso concreto il generale di brigata Angelo Desideri - e che la responsabilità di tutte le attività operative delle provincia è sempre affidata al comandante provinciale, membro, tra l'altro, del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica e, quindi, nel caso specifico, interlocutore per l'Arma nei confronti del questore per tutte le attività di ordine pubblico».
Ricordo infine che le due lettere pervenute a nome degli ispettori Montanaro e Cernetig sono simili, nel contenuto, a quella pervenuta ieri, di cui ho già dato lettura.
Prima di dare inizio alle audizioni in titolo, ricordo che l'indagine ha natura meramente conoscitiva e non inquisitoria.
La pubblicità delle sedute del Comitato è realizzata secondo le forme consuete previste dagli articoli 65 e 144 del regolamento della Camera, che prevedono la resocontazione stenografica della seduta.
La pubblicità dei lavori è garantita, salvo obiezioni da parte di componenti il Comitato, anche mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso, che consente alla stampa di seguire lo svolgimento dei lavori in separati locali.
Ricordo, in proposito, di aver già disposto l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso.
Comunico che il dottor Bobba chiede di essere accompagnato dal dottor Fabio Protasoni. Se non vi sono obiezioni, così rimane stabilito.
Ringrazio i presenti ed invito il dottor Luigi Bobba, presidente delle ACLI, a riferire al Comitato. Dottor Bobba, se ha predisposto una relazione scritta, la prego di darne lettura.
Ringrazio, innanzitutto, il Comitato per l'invito rivoltoci (tra l'altro, anche le ACLI avevano sollecitato l'istituzione di una Commissione di indagine). Sono qui per due ragioni: per rispetto verso le istituzioni e per rispetto nei confronti di coloro che, membri della nostra associazione, individualmente o a piccoli gruppi, hanno partecipato ad alcuni avvenimenti svoltisi a Genova.
È noto, infatti, che la posizione ufficiale dell'associazione era differenziata rispetto ad altre realtà. In particolare, insieme a molte altre associazioni cristiane, avevamo ritenuto di assumere un'iniziativa, 15 giorni prima del vertice G8 (in particolare il giorno 7 luglio), per mettere l'accento sull'insieme dei temi, dei problemi contenuti nell'agenda politica del G8.
Avevamo preso quell'iniziativa, valutando anche una ragione di prudenza rispetto a quanto si andava preparando per quei giorni. Naturalmente, si tratta di una valutazione opinabile, ma coloro (in particolare, il sottoscritto) che erano stati tra i promotori della manifestazione del 7 luglio, successivamente non avevano ritenuto di aderire ad altre iniziative in ragione di una valutazione di prudenza sulla possibilità di svolgere nel modo più appropriato le manifestazioni pacifiche.
Detto ciò, le osservazioni che vorrei portare alla vostra attenzione sono quattro; esse mi derivano sostanzialmente dalle testimonianze inviatemi da coloro che, al contrario, hanno ritenuto, individualmente o a piccoli gruppi, di partecipare alle manifestazioni del 20 e del 21 luglio ed anche dalla mia presenza (il giorno 20) alla veglia di Boccadasse che, come sapete, era stata promossa da un insieme di realtà religiose e di associazioni cristiane come segno di preghiera, di testimonianza e modo pacifico con il quale affrontare quei giorni.
La prima osservazione è la seguente: la valutazione di prudenza che ci aveva indotti ad assumere questa posizione derivava dal fatto che una parte delle forze che avevano deciso di intraprendere delle
La seconda osservazione, che scaturisce dalle testimonianze, è la seguente: le difficoltà sono state determinate anche dal fatto che un insieme molto composito e variegato (e questa ne è anche la sua forza) delle presenze non aveva una capacità organizzativa - potremmo dire un servizio d'ordine - tale da consentire che i gruppi violenti non s'infiltrassero all'interno del grande corteo pacifico. Diversi fra coloro che hanno partecipato mi hanno evidenziato questo aspetto come un limite: nel momento in cui ci si è trovati in una situazione di difficoltà, soltanto quelle parti di corteo che si erano minimamente organizzate sono riuscite a respingere l'infiltrazione di gruppi violenti.
La terza osservazione, che mi deriva dalle testimonianze delle persone che erano a Genova - si tratta peraltro di vicenda nota perché diffusa ampiamente dagli organi di stampa -, è che la difesa, vorrei dire un po' ossessiva, della zona rossa ha «distratto» o non ha concentrato l'attenzione delle forze dell'ordine su un numero limitato ma organizzato di gruppi violenti che hanno potuto agire in gran parte indisturbati.
La quarta ed ultima osservazione attiene al fatto che in quella situazione molti di coloro che hanno partecipato si sono trovati a subire le cariche della polizia, in una situazione in cui non vi era più distinzione fra coloro che manifestavano pacificamente e coloro che invece erano lì per ben altri motivi, con le note conseguenze. Al riguardo, ho molte testimonianze di persone che si sono trovate a subire situazioni di difficoltà e di violenza.
Da ultimo, vorrei sottolineare, avendo anch'io partecipato alla veglia di Boccadasse, la mia sorpresa nell'arrivare da fuori Genova, dopo aver ascoltato le notizie tragiche - era già avvenuta la morte di Carlo Giuliani - con il mio mezzo privato; ebbene, devo confessare di aver attraversato tutta la città ed essere arrivato fin sotto la chiesa, «stranamente» senza incontrare una sola pattuglia delle forze dell'ordine. Ciò mi ha alquanto sorpreso, dal momento che molti mi chiedevano come sarei potuto arrivare lì. Invece, pur in quella situazione così complicata, sorprendentemente un privato cittadino poteva recarsi a questo appuntamento.
Concludo dicendo che l'intenzione della nostra realtà associativa, e spero anche quella delle istituzioni parlamentari, è di lasciarsi in un certo senso dietro i veleni che tale realtà ha portato con sé, valorizzando e riconoscendo invece la grande spinta positiva e la voglia di cambiamento che la grandissima maggioranza di coloro che hanno partecipato, prima durante e dopo, alle iniziative vuole oggi esprimere. Una iniziativa pacifica, una voglia di dare un contributo in ordine a problemi che, seppur globali, ci riguardano poi così da vicino; un modo insomma di essere cittadini attivi e di non lasciarsi semplicemente guidare dagli avvenimenti, cercando invece di fare la nostra, seppur piccola, parte.
Parlo a nome dell'intero Genoa social forum e pertanto la relazione (che non sarà brevissima) che mi accingo ad illustrare rappresenta l'insieme delle associazioni che hanno aderito al Genoa social forum.
Abbiamo ritenuto opportuno iniziare con una presentazione del Genoa social forum e con una ricostruzione del percorso, in modo da poter comprendere in quale contesto si siano situate le giornate di Genova.
Dopo Seattle, sin dalla primavera del 2000, appare evidente che a Genova convergerà nei giorni del G8 un numero enorme di persone appartenenti a movimenti e a campagne organizzate in tutto il mondo. Fra le diverse organizzazioni italiane si comprende la necessità di costituire un coordinamento unitario che riesca ad offrire un punto di riferimento per le realtà nazionali e internazionali interessate a organizzare un momento che sia caratterizzato da una partecipazione popolare e pacifica. È con questo obiettivo, la costruzione di un coordinamento per iniziative di massa e pacifiche, che tra ottobre e novembre 2000 - quindi quasi un anno prima della scadenza del G8 - nasce il coordinamento chiamato Patto di lavoro, che, in una fase successiva si trasformerà, con un elemento di assoluta continuità, nel Genoa social forum.
Il Patto di lavoro, da iniziale coordinamento locale, diviene poi una realtà nazionale, e successivamente, quando si trasforma in Genoa social forum diventa una realtà internazionale. Il patto tra i firmatari, che trovate in allegato alla documentazione che ho consegnato al Comitato, parte da un'analisi condivisa delle ingiustizie prodotte dalla globalizzazione. Vorrei precisare che non ci troviamo di fronte a un documento politico, ma piuttosto a un documento teso a valorizzare la partecipazione, anche differenziata ed eterogenea, che però si fonda su alcune discriminanti: il diritto ad esprimere il dissenso, anche attraverso manifestazioni, la non legittimità di otto paesi a decidere per tutti, le forme pacifiche e non violente delle manifestazioni; in altre parole, è una critica non alla globalizzazione in generale, ma a questa globalizzazione, che permette la libera circolazione delle merci e non delle persone, e che, in assenza di regole politiche condivise, facilita l'accumulazione di altri profitti da parte dei più ricchi. Chiariamo subito: il Patto di lavoro intende rappresentare non l'insieme di tutto il movimento, di tutto coloro che arriveranno a Genova, ma quelli che decidono di sottoscrivere questo patto.
Fin dal dicembre 2000, si avviano i primi contatti con le istituzioni, nella convinzione che l'organizzazione degli eventi a Genova necessiti di un ampio periodo di preparazione. Nel gennaio 2001, quindi a sette mesi dal G8, parte la raccolta di firme per la petizione «Genova città aperta», che è accompagnata da una lettera aperta ai cittadini genovesi perché si vuole costruire un rapporto con la città.
Il Patto di lavoro, e poi il Genoa social forum, decide di tenere in ogni fase di confronto istituzionale un atteggiamento di trasparenza, oltreché di correttezza: in altre parole, decidiamo di informare sempre, pubblicamente e in modo assolutamente trasparente, i nostri interlocutori e la pubblica opinione di quello che abbiamo intenzione di fare e di come abbiamo intenzione di agire. Si tratta del tentativo di confrontarci con i rappresentanti istituzionali sugli spazi di accoglienza, sul diritto a manifestare, sulla libera partecipazione, e così via, tentativo che poi, come vedremo, resta senza risposta per diversi mesi. In particolare, dal 9 febbraio, con l'incontro in prefettura con il Tavolo inerente il G8, e fino ad aprile, attraverso sit-in in tutta Italia e iniziative anche di pressione davanti al Viminale, cerchiamo un rapporto con le istituzioni.
Nel frattempo vi è un avvenimento importante per comprendere cosa si stava realizzando. Alla fine di gennaio 2001 si tiene il forum sociale mondiale a Porto Alegre: in contemporanea con l'incontro dei potenti a Davos, ci si trova nel sud del mondo con i movimenti, le associazioni e le ONG per discutere di un altro mondo possibile. È da quella scadenza che il Patto di lavoro si trasforma in Genoa social
La grande preoccupazione che anima il Genoa social forum è quella di coniugare la centralità dei contenuti di critica a questa globalizzazione con le mobilitazioni: ecco perché nel programma che cominciamo ad elaborare fin dall'inizio di quest'anno, parliamo innanzitutto del public forum, ossia di organizzare una settimana di dibattiti a Genova, dal 16 al 22 luglio, a cui possano assistere e partecipare migliaia di persone, con centinaia di relatori provenienti da tutto il mondo. Il public forum affronta i temi della finanza, dei diritti dei lavoratori in tutto il mondo, la famosa questione della riduzione del tempo di possesso dei brevetti sui farmaci da parte del WTO, il problema, della anti-democraticità, a nostro parere, dell'Organizzazione mondiale del commercio. Per esempio, si discute della necessaria riconversione dell'industria bellica e della remissione del debito ai paesi poveri: si affronta inoltre, la famosa questione della quota da destinare alla cooperazione internazionale, passando dall'attuale livello italiano dello 0,2 per cento al 7,5, nonché quella dell'accordo di Kyoto come elemento di base, ma non sufficiente, per una tutela dell'ambiente. Questi sono alcuni dei temi posti al centro del public forum: ne ho citati alcuni, ma ce ne sono tanti altri che potete trovare nell'appendice.
Contemporaneamente, rivendichiamo il diritto di manifestare il dissenso in modo visibile, tranquillo e pacifico; con modalità pacifiche e non violente, senza attaccare in alcun modo la città né le persone: ovviamente, qualunque persona, in divisa o meno. Questa è la dichiarazione solenne del 5 giugno 2001, diffusa poi anche pubblicamente, dal titolo. Rispetteremo la città e non ci saranno attacchi contro le persone, né contro le cose. In essa si afferma che abbiamo fatto tra di noi un patto «e solennemente dichiariamo: noi scegliamo di agire nel pieno rispetto della città; noi scegliamo di non compiere attacchi contro alcuna persona; noi scegliamo una pratica pacifica e non violenta». In seguito, viene illustrato cosa intendiamo fare.
Vi è la questione del confronto con il Governo, sulla quale in seguito entrerò più nel merito, e cominciano le comunicazioni dirette con la questura, che viene informata sui percorsi e sulle piazze in cui il Genoa social forum intende tenere le proprie iniziative. Si parla, quindi, del corteo internazionale dei migranti del 19 luglio, che intende porre al centro il diritto alla libera circolazione dei migranti in un mondo in cui si muovono le merci ma non le persone, anche recuperando alcune situazioni drammatiche degli anni passati: e pensando a quello che sta avvenendo su quella nave che viaggia con centinaia di persone a bordo, senza che vi sia qualcuno che le ospiti e che riconosca loro i diritti umani. Per il 20 luglio si prevedono iniziative finalizzate ad accerchiare i luoghi di svolgimento del vertice del G8: si tratta di varie e molteplici iniziative, promosse da diversi gruppi aderenti al Genoa social forum, in base alla prassi che abbiamo scelto, ossia in un contesto unitario di riconoscimento di contenuti - Patto di lavoro - e della dichiarazione solenne, ovviamente tenendo conto anche delle diversità all'interno di questi patti, della storia delle differenti associazioni. Questa giornata è dedicata a portare in piazza i contenuti del forum, le famose piazze tematiche.
Per sabato 21 luglio è prevista la manifestazione conclusiva, con il corteo per le vie di Genova, alla quale noi diciamo inizialmente che parteciperanno almeno centomila persone. Il percorso del corteo viene definito lungo un itinerario non tangente alla zona rossa per evitare qualunque elemento di tensione. Contemporaneamente, visto il complesso dei divieti previsti, si comincia ad affrontare la questione della zona gialla - che poi riprenderemo -, istituita con un'ordinanza del prefetto di Genova il 2 giugno. Alla luce di quanto è avvenuto da altre parti, non ultimo a Göteborg, si pensa comunque di organizzare un servizio sanitario e un
Il Genoa social forum, durante i mesi di preparazione, si riunisce regolarmente in assemblee plenarie aperte circa ogni tre settimane. La continuità del lavoro fra le assemblee viene assicurata da un consiglio di portavoce, composto da 18 rappresentanti delle maggiori organizzazioni aderenti al Genoa social forum, che rappresentano in qualche modo le diverse affinità. Si tratta di centinaia di associazioni; pertanto è ovvio che si inseriscano le più grandi, che poi tengono i contatti con quelle affini come contenuti e come ispirazione.
Nella seconda metà di maggio viene indicato un portavoce nazionale, inizialmente per una conferenza stampa, poi confermato nella persona del sottoscritto. Per assicurare il coordinamento con le realtà internazionali aderenti al Genoa social forum si tengono due riunioni con le associazioni europee ed estere; ovviamente vi sono tutti gli allegati di quanto detto.
A questo punto, entrerei un po' più nel merito; chiedo scusa se mi dilungherò, ma credo che sia utile.
Nell'ottobre 2000 si avvia da parte di alcune organizzazioni genovesi un percorso che porta al Patto del lavoro. Gli allegati relativi a questa seconda parte - mi riferisco ai rapporti tra Genoa social forum ed istituzioni - vi verranno consegnati in un secondo momento, poiché non sono ora disponibili.
Il 27 ottobre 2000 viene redatto il primo documento intitolato: «Un mondo diverso è possibile». Il Patto di lavoro è, quindi, nato in breve tempo e raccoglie, tra le adesioni, quella della Rete contro G8, un altro coordinamento che già da qualche tempo aveva rapporti con il comune di Genova; era un coordinamento soprattutto locale, che poi confluì nel Patto di lavoro; dopodiché tutto si trasforma in Genoa social forum. Il 19 dicembre 2000 il documento «Un mondo diverso è possibile» viene sottoscritto da tantissime associazioni. A seguito di richieste scritte e di incontri nei giorni compresi tra il Natale 2000 ed i primi giorni di gennaio 2001 si susseguono i primi incontri istituzionali con la provincia (27 dicembre 2000), con il comune (27 dicembre 2000), con il prefetto (11 gennaio 2001) e poi, subito dopo, con il ministro Vinci Giacchi. A tutti viene chiesta l'istituzione di un tavolo di coordinamento comune tra i diversi enti locali. Il presidente della regione Liguria, Biasotti, nonostante due lettere di richiesta di incontro, non fornisce alcuna risposta.
Il 21 dicembre, presso la Presidenza del Consiglio, si tiene un primo incontro tra la dottoressa Marta Dassu' ed alcuni rappresentanti di ONG ed altre associazioni. Nell'incontro viene illustrata l'intenzione del Governo di promuovere un progetto intitolato «Genoa non governmental initiative» finalizzato a facilitare l'apporto della società civile ai contenuti dell'agenda. Le ONG informano i rappresentanti della nascita del Patto di lavoro.
Il 5 gennaio, presso la sede dell'Istituto affari internazionali, si svolge la presentazione ufficiale di tale progetto e le organizzazioni fanno presente, anche in questa situazione, la necessità di creare una sede di confronto sulle manifestazioni. Nel mese di gennaio lanciamo la petizione accompagnata dalla «Lettera aperta ai genovesi».
Si giunge così al 29 gennaio 2001, quando una delegazione del Patto di lavoro viene ricevuta in prefettura, oltre che dal prefetto Di Giovine, dai massimi rappresentanti di comune, provincia e regione (come si evince dagli allegati). Durante tale incontro, viene rinnovata la richiesta di un tavolo comune di coordinamento e cominciamo ad illustrare le prime richieste ritenute necessarie per l'accoglienza.
Il 30 gennaio, cioè il giorno dopo, si tiene l'incontro tra Amato, il prefetto, il sindaco ed altri ancora e viene comunicato che la dottoressa Margherita Paolini, della struttura di missione governativa, è stata incaricata di dialogare con le organizzazioni.
Arriviamo all'8 febbraio: è una data importante perché il Patto di lavoro è convocato in prefettura per un incontro con il prefetto Di Giovine, con l'architetto Margherita Paolini, con il presidente della provincia Marta Vincenzi, con il vicesindaco Claudio Montaldo e con il consigliere regionale Fabio Broglia. Durante l'incontro avanziamo in modo sufficientemente preciso alcune richieste e proponiamo la costituzione di una cittadella che chiamiamo «la cittadella della solidarietà» nella quale possano svolgersi i dibattiti e gli incontri, cioè il public forum. Illustriamo le manifestazioni previste e ipotizziamo che nella zona di levante della città possa svolgersi anche il corteo.
In attesa delle risposte ufficiali da parte del Governo, il 19 marzo il Genoa social forum invia ai capigruppo e ai presidenti dei consigli degli enti locali un documento, affinché si esprimano su «Genova città aperta».
Il 29 marzo il Genoa social forum invia due lettere ai candidati Premier, Rutelli e Berlusconi, chiedendo di essere ricevuto e, comunque, di esprimersi sulle questioni relative ai temi della globalizzazione e al diritto a manifestare.
Il 30 marzo il GSF risponde ad una richiesta del sindaco di La Spezia che si rende disponibile ad alcune iniziative.
Ai primi di aprile si tiene la conferenza internazionale conclusiva del progetto GNG di cui abbiamo parlato prima.
Il 3 aprile a Genova Piero Fassino, allora ministro della giustizia in carica e candidato Vicepremier di Rutelli, riceve una delegazione del Genoa social forum; a lui ripetiamo tutte le nostre richieste; Rutelli poi, risponderà il 26 aprile. Nulla si blocca fino al 4 aprile; in tale data, infatti, parte il «telegram day»: attraverso centinaia di fax, telegrammi ed e-mail, mandiamo messaggi al ministro dell'interno Bianco e al Presidente della Repubblica Ciampi chiedendo un confronto e la disponibilità a discutere sull'accoglienza; a livello internazionale riceviamo messaggi che ci chiedono come sia possibile che ancora nulla sia stato organizzato.
Il giorno dopo, il 5 aprile, in tutta Italia si svolgono decine di presidi assolutamente pacifici davanti alle prefetture per chiedere che Genova sia città aperta. A Roma si svolge un presidio di fronte al Viminale per chiedere al ministro Bianco di essere ricevuti. Il capo di gabinetto Sorge insieme al prefetto di Genova Di Giovine, riceve una delegazione del Genoa social forum composta da Bolini, De Fraia, Agnoletto, De Cesari e Suor Pasini. Nell'incontro ripetiamo le nostre richieste e ci viene comunicato che il prefetto Di Giovine sarà il nostro interlocutore. Egli ci dice che probabilmente la cittadella sarà autorizzata e ci assicura che non vi è l'intenzione di chiudere le frontiere. Il prefetto Di Giovine chiede di avere maggiori dettagli sulle richieste del GSF, dettagli che vengono consegnati una settimana dopo, l'11 aprile.
Il 20 aprile una delegazione del GSF viene convocata dal prefetto. A questa riunione partecipano anche il capo della DIGOS di Genova, Spartaco Mortola, e Margherita Paolini. La delegazione del GSF spiega nuovamente tutte le proposte; si è trattato dell'ultimo incontro ufficiale prima delle elezioni. Poi si ferma tutto: fino a quella data non avevamo ottenuto alcuna risposta ai documenti presentati l'8 febbraio.
Il 4 e il 5 maggio si riunisce a Genova la prima assemblea internazionale del Genoa social forum; si discute e da parte di tutti viene confermato il carattere assolutamente pacifico e non violento delle manifestazioni; su questo documento abbiamo ottenuto anche l'adesione delle associazioni internazionali.
L'8 maggio il GSF riceve per conoscenza una lettera di molti parlamentari
Il 9 maggio il GSF presenta nuovamente le richieste formali al prefetto, al questore, al sindaco e al comandante dei vigili urbani.
Il 10 maggio il sindaco di La Spezia si fa avanti nuovamente per proporre alcune iniziative che poi verranno stabilite.
Il 15 maggio il GSF fornisce ulteriori richieste.
Il 24 maggio inoltriamo due lettere al Presidente della Repubblica e al Premier in pectore Berlusconi (perché non sapevamo ancora chi fossero i ministri): ripercorriamo la storia del GSF e chiediamo di avere delle risposte; anticipiamo che in data 2 giugno, in occasione della festa della Repubblica, abbiamo intenzione di sviluppare iniziative a sostegno del diritto a manifestare.
Nella medesima giornata, i portavoce Vittorio Agnoletto e Chiara Cassurino incontrano i media sotto la sede del Comitato parlamentare di controllo delle attività dei servizi di informazione per criticare alcune veline apparse sulla stampa, che avevano cercato di prospettare scenari incredibili (sangue infetto lanciato dagli aeroplani, tentativi di rapire singoli rappresentanti delle forze dell'ordine e così via); secondo queste sarebbe dovuto succedere di tutto. Pertanto assumemmo iniziative per protestare.
Il 5 giugno approviamo il documento di cui vi abbiamo detto sul modo di manifestare.
Il 12 giugno, giorno dell'insediamento di Scajola, inviamo una lettera al ministro chiedendogli un incontro (il testo di questa lettera è disponibile).
Insomma, alla fine gli enti locali si dichiarano genericamente disponibili, ma non si esprimono, non avendo indicazioni né dal Governo precedente né da quello appena insediato.
Arriviamo al 24 giugno del 2001; ormai siamo a meno di un mese dall'iniziativa: avevamo presentato le richieste l'8 febbraio. Domenica pomeriggio si svolge l'incontro con il capo della Polizia, Gianni De Gennaro, alla presenza del vicecapo Ansoino Andreassi, del questore di Genova, Colucci, dell'addetto stampa Sgalla e di altri funzionari. Questo incontro è convocato su mandato del Governo e dura circa due ore. De Gennaro ci comunica l'intenzione del Governo di fare svolgere le manifestazioni in concomitanza con il vertice del G8. Non essendo una trattativa, e visto che De Gennaro stesso ci rassicura circa il fatto che il diritto a manifestare non era in discussione, l'incontro si concentra su alcune questioni organizzative: chiediamo garanzie sull'apertura delle frontiere, sul funzionamento dei trasporti per giungere a Genova, sull'organizzazione dell'accoglienza. Il Genoa social forum chiede anche che le forze dell'ordine (siamo dopo Göteborg) impegnate in prima linea non siano dotate di armi da fuoco ed avanza la richiesta che la cosiddetta zona gialla sia cancellata. Appare subito chiaro che gli interlocutori presenti non sono in grado di fornire alcuna risposta, non avendo a loro volta ricevuto precise indicazioni politiche. Il Genoa social forum decide di sospendere la riunione e chiede l'incontro col ministro Scajola.
Il 28 giugno abbiamo l'incontro alla Farnesina con il ministro degli esteri Ruggiero e con il ministro dell'interno Claudio Scajola. La prima parte dell'incontro è gestita da Ruggiero il quale ci chiede di sottoscrivere un documento attraverso cui il Governo italiano invita alcune personalità del sud del mondo ad un incontro a Roma. Cominciamo a discutere dei contenuti: in circa 40 minuti di discussione è ovvio che non si raggiunge alcun accordo. Poniamo il problema della Tobin tax, il problema dei brevetti ed un'altra serie di questioni, senza arrivare a sottoscrivere alcun documento. Il ministro Scajola conferma la decisione del Governo di far svolgere le manifestazioni proposte dal Genoa social forum, sconfessando in quella sede il Vicepremier Fini, che il giorno prima aveva affermato che a Genova si sarebbe usato l'esercito in piazza per fronteggiare i manifestanti. Respinge al mittente la richiesta che le forze dell'ordine impegnate in prima fila non siano armate
Il 30 giugno in prefettura abbiamo un incontro con il prefetto Di Giovine, il capo della Polizia De Gennaro, il questore Colucci, il capo della DIGOS Mortola e qualche altro funzionario. L'incontro dura cinque ore. De Gennaro comunica che chiederà al Governo di applicare le clausole del trattato di Schengen relative alla riattivazione dei controlli alle frontiere, affermando che le nuove misure sarebbero state gestite con grande elasticità, al fine di bloccare l'entrata in Italia di gruppi violenti, sulla base di segnalazioni mirate. Il capo della Polizia assicura poi che, relativamente alle autostrade, a levante queste rimarranno aperte e De Gennaro, a differenza di quanto reso pubblico fino a quel momento, dichiara che la stazione di Brignole rimarrà aperta, contrariamente alla stazione di Principe. Le manifestazioni saranno autorizzate solo a levante. Protestiamo per questa limitazione, che poi nei fatti viene modificata, tant'è che poi si tenne una manifestazione a ponente. Rispetto allo cosiddetta zona gialla, dopo una lunga discussione, aperta dall'affermazione di De Gennaro, secondo la quale «la zona gialla non è la Bibbia», si arriva alla conclusione che per tutto quello che concerne le questioni di ordine pubblico, per le quali è necessaria preventiva comunicazione alla questura (quindi manifestazioni, presidi, volantinaggi) la zona gialla può ritenersi non più esistente per quanto ci riguarda: se rimane è per una questione di posteggio delle macchine e per impedire che si aprano nuovi cantieri di lavoro.
Presentiamo lo schema generale delle manifestazioni. Evidenziamo come il 20 l'assedio alla zona rossa avverrà attraverso iniziative diverse (dalla veglia di preghiera, ai sit-in, ai cortei) e che alcuni degli aderenti al Genoa social forum praticheranno forme di disobbedienza civile. Facciamo presente che questi ultimi sono consapevoli di voler superare la legge e che sono pronti a pagare le conseguenze del loro gesto. Spieghiamo come la disobbedienza avverrà nel rispetto delle scelte comuni del Genoa social forum: non attaccare la città, non attaccare le persone e non usare strumenti atti ad offendere. Il capo della Polizia ci risponde che la repressione di tali violazioni sarà certamente commisurata ai comportamenti dei manifestanti. De Gennaro afferma che le forze dell'ordine non sparerebbero mai sui manifestanti.
Tutte le altre autorizzazioni e decisioni rispetto alle manifestazioni le avremmo dovute chiedere, poi, alle autorità competenti.
Raffaella Bolini afferma che probabilmente avrebbero partecipato 200 mila persone. Qui c'è un nodo: De Gennaro dice che egli ha gestito eventi simili con la presenza di oltre un milione di persone e che, quindi, non c'è motivo di preoccuparsi, perché, secondo le sue informazioni, comunque a Genova non arriveranno più di 40 mila persone.
Veniamo ora al secondo capitolo: organizzazione e gestione dell'accoglienza. Per organizzare l'accoglienza abbiamo cominciato nel dicembre del 2000 con il percorso che vi abbiamo illustrato. Non è stato possibile impostare alcuna ipotesi concreta fino all'incontro con la prefettura in data 30 giugno. Le risposte di un via libera per comune e provincia da parte del Governo non arrivavano.
Dopo il 30 giugno comincia un complesso lavoro per arrivare alla stesura di un piano dettagliato. Si trattava di indicare strutture idonee e via dicendo. Non sempre il percorso è stato semplice e lineare. Possiamo ricordare il caso macroscopico dello stadio di atletica Villa Gentile prima concesso (fu addirittura uno dei due o tre luoghi promessi dal ministro degli interni) e poi negato senza una chiara motivazione alla vigilia dell'inizio della predisposizione dell'attività.
Solamente il 10 luglio abbiamo avuto una risposta formale ed i montaggi delle strutture cominciano il 12 e il 13 luglio. La struttura inizia a funzionare per l'accoglienza dal 16 luglio, tranne alcuni campi che vengono consegnati il 17, il 18 e perfino il 19 luglio: e noi le richieste le avevamo presentate l'8 febbraio!
Il Genoa social forum organizza la gestione dei luoghi assegnati attraverso un punto di convergenza. Da domenica 15 luglio cominciano ad arrivare le persone che vengono indirizzate nei centri di accoglienza già pronti. Man mano che passa il tempo vengono attivati altri luoghi di accoglienza, ma già mercoledì 18 ci rendiamo conto che, come avevamo previsto, i posti disponibili non sarebbero stati sufficienti. Infatti, il vincolo imposto dall'amministrazione delle forze dell'ordine di utilizzare solo le aree a levante e le difficoltà, visti i tempi, di montare altri campi, faceva sì che la capienza totale non superasse i 25 mila posti contro gli oltre 40 mila di cui avremmo avuto bisogno.
Giovedì sera (il 19) intorno alle 22 comincia a piovere copiosamente e tutti i tendoni collettivi predisposti si allagano. La situazione peggiore è quella del SEDI, il cui tendone è posto in fondo ad una discesa asfaltata: verso le 23,30 nel tendone ci sono 40 centimetri d'acqua. Negli altri campi la situazione non è molto migliore e siamo costretti a chiedere l'intervento del 118 per due o tre persone colpite da ipotermie e da sindromi da raffreddamento. I vigili del fuoco intervengono al Carlini, mentre le persone che occupano via dei Ciclamini riescono a risolvere il problema da sole.
Dopo una serie di consultazioni con l'amministrazione comunale, vengono aperte le gradinate della piscina Sciorba, mentre al SEDI i Cobas ottengono direttamente dall'assessore Massolo l'apertura della seconda palestra e di un piccolo auditorium.
A causa della pioggia, molte persone che dormivano nei tendoni allagati o all'aperto cercano una sistemazione; alcune di loro vengono accolte presso la scuola Pertini, nella palestra. Vengono richiesti agli enti locali interventi di emergenza, distribuzione di bevande calde e coperte, ma, purtroppo, ci viene riferito che tali interventi non sono fattibili. Nelle stesse ore, il Genoa social forum effettua sopralluoghi in tutti i centri di accoglienza, e al SEDI si nota - siamo, quindi, alla sera del 19 luglio - che alcuni sconosciuti stanno danneggiando la palestra. La situazione è tesa; i COBAS, nella persona di Paolo Arado, avvisano l'assessore Massolo di quanto sta avvenendo; ci informano altresì dell'imminente arrivo di quest'ultimo sul posto la sera stessa (e così, poi, avviene). Quindi, informata immediatamente la provincia, l'assessore arriva sul posto.
La mattina successiva, durante una riunione in comune, alla presenza di vari esponenti dell'amministrazione comunale e provinciale, alcuni responsabili del Genoa social forum avvisano nuovamente l'assessore di quanto visto la sera precedente. L'assessore, ovviamente, dice che ne era già abbondantemente a conoscenza.
I centri di accoglienza rimangono attivi, senza ulteriori problemi, sino alla notte del 21 luglio. A seguito della diffusione di notizie riguardanti le modalità e gli effetti della perquisizione alla scuola Pertini (63 feriti di cui alcuni gravi), molte delle persone ancora presenti nelle strutture decidono di abbandonarle, nel timore che vengano intraprese quella notte analoghe iniziative.
Per quanto riguarda i giorni delle manifestazioni ed i fatti di Genova, la nostra memoria cerca di ricostruire quanto avvenuto attraverso resoconti qualificati forniti da chi di noi era presente, nonché attraverso le oltre 200 testimonianze e denunce di singoli cittadini; ovviamente, tra queste, alcune non le abbiamo ancora
Il Genoa social forum ritiene che, in occasione del vertice del G8 di Genova, non siano stati garantiti i più elementari diritti dei cittadini e siano stati fortemente limitati i diritti costituzionali di espressione, di informazione e manifestazione. La strategia che ha guidato il comportamento delle forze dell'ordine ha di fatto permesso, in tutti e due i giorni, 20 e 21 luglio, la distruzione sistematica della città da parte dei cosiddetti black bloc; essa è sempre intervenuta, invece, in maniera violenta contro le manifestazioni promosse del Genoa social forum.
Qui di seguito vogliamo dare un'idea di quali siano i nodi più problematici. Prima di entrare nel merito di quanto avvenuto il 20 ed il 21, vorremmo solo ricordare che a partire dal 16 luglio si è svolto il Public forum (che ha visto migliaia di partecipanti) mentre, il 19 luglio, si è avuta, senza alcun incidente, la grande manifestazione dei migranti. Nei mesi precedenti, con una costanza impressionante, vengono divulgate dai media presunte relazioni dei servizi segreti, del tutto fantasiose e puntualmente smentite dagli accadimenti. Si sprecano le notizie su attentati terroristici di oscure organizzazioni. Tali notizie, su imprecisate frange più estreme dei manifestanti che starebbero meditando di colpire duramente le forze dell'ordine attraverso rapimenti, arrivano agli organi di stampa, mentre si susseguono sui media cronache sugli allenamenti dei reparti mobili della Polizia di Stato a Roma.
Nei primi giorni di luglio vengono effettuate alcune perquisizioni anche nelle residenze di esponenti del Genoa social forum, senza alcun esito. Il 16 luglio, alle 10,30 del mattino un pacco bomba esplode a Genova tra le mani del carabiniere Stefano Torri, ferendolo ad un occhio ed alle mani. Una delegazione del Genoa social forum si reca in visita presso l'ospedale San Martino, esprimendo solidarietà a Stefano Torri e condannando il vile attentato. Si susseguono allarmi bomba in tutto il paese, alcuni purtroppo reali ed altri frutto della psicosi che si era generata. Tra gli altri, ricordiamo un ordigno incendiario ad orologeria trovato sotto un camper davanti allo stadio Carlini, poi neutralizzato dagli artificieri. Inoltre, il 17 luglio arriva una busta al sindaco di Genova che contiene un messaggio di morte per il portavoce del Genoa social forum Vittorio Agnoletto e due proiettili calibro 38. Aggiungo che io vengo a saperlo dall'agenzia ANSA la quale mi chiede una dichiarazione il giorno dopo, durante il convegno sindacale; ricevo poi conferma di ciò da una telefonata di miei amici, da Milano: infatti, la notizia, è apparsa già in video. Avvisato, alle ore 1,30 del 18, a ventiquattr'ore di distanza, dal Vicecapo della polizia Andreassi, vengo convocato alle 5,30. Quando chiedo come mai non fossi stato avvisato precedentemente, mi viene risposto: «Dottore, deve capire, siamo anche noi in uno stato di confusione assolutamente totale». Mi legge la relazione, dalla quale emerge che, oltre a me, il proiettile era rivolto anche a Casarini; chiedo se Casarini fosse stato avvisato. In quella riunione, presenti le varie autorità, vengono chiamati tutti i sottoposti, che dichiarano all'unisono di non averlo avvisato. Andreassi dice di avvisare immediatamente Casarini, il quale viene avvisato in serata (alle 18,30 non era ancora stato avvisato). Questo è il clima che si respira in città quando, nella notte tra il 17 e il 18 luglio, vengono innalzate barriere di cinque metri di altezza attorno alla zona rossa, dividendo in due la città e recludendo di fatto circa trentamila abitanti.
La tensione si stempera, per fortuna, il 18 sera, quando abbiamo organizzato il concerto di Manu Chao. Il 19 luglio è il giorno della manifestazione dei migranti, che si conclude a piazzale Kennedy: 50 mila persone, nessun incidente.
Arriviamo al 20 luglio, venerdì. Innanzitutto ricordiamo che quel giorno, le iniziative sono state: il presidio di piazza Manin/via Assarotti (organizzato da rete Lilliput, Legambiente, Marcia delle Donne
Arriviamo alla vicenda di corso Gastaldi. Alle 13,30 parte il corteo dei disobbedienti, il cui preavviso era stato notificato alla questura di Genova il 16 luglio, in termini precisi, per quanto riguarda tutto il percorso (vedi allegati). Attenzione: il giorno 19 luglio, infatti, ci avevano comunicato che di questa manifestazione era stata vietata la parte finale (piazza Verdi, piazza delle Americhe, piazza della Vittoria e via XX Settembre) e che quindi, la manifestazione era regolarmente autorizzata fino alla fine di via Tolemaide. Qui, abbiamo il testo, che possiamo consegnare, con le prese d'atto e le autorizzazioni per lo sviluppo di questo corteo con i limiti prima citati.
Alla testa del corteo, alcune file di scudi collettivi montati su strutture mobili e dietro altre migliaia di persone, con giubbotti nautici e protezioni individuali, tutti senza strumenti atti ad offendere. D'altra parte, questi strumenti di difesa erano stati abbondantemente filmati e pubblicati sui giornali. Fino dall'altezza dell'ospedale di San Martino era possibile scorgere, mentre il corteo ancora stava avanzando, dense colonne di fumo ed elicotteri a bassa quota alcuni chilometri più in basso. Il corteo viene rallentato per capire cosa sta accadendo e avanza con estrema lentezza fino all'incrocio con via Montevideo, dove incontra la carcassa di un'autovettura ribaltata, bruciata e ormai
Il corteo arriva a pochi metri dall'incrocio tra via Tolemaide e corso Torino, dove un centinaio - e qui è importante - di carabinieri sta inseguendo un piccolo gruppo di persone che fugge verso il tunnel sotto la ferrovia che immette in corso Sardegna. Il gruppo dei carabinieri, giunto all'incrocio con via Tolemaide, desiste improvvisamente dall'inseguimento e, sparando lacrimogeni, svolta di 90 gradi nella suddetta via caricando, non quelli che stavano scappando e che inseguivano prima, ma la testa del corteo.
Nel giro di pochissimi minuti dalla stazione di Brignole avanzano i cellulari dei carabinieri, fino ad allora fermi, che sostengono l'azione di carica, supportati da un'incessante pioggia di lacrimogeni proveniente anche dai tetti dei palazzi e, in un secondo momento, anche dal ponte della ferrovia. Vorrei far presente per chi non è di Genova che siamo ancora nel mezzo del corteo autorizzato e non siamo minimamente arrivati dove c'è il divieto. Da questo punto in poi le cariche saranno continue, mentre il corteo arretra lentamente e tutto attorno la situazione si fa più confusa.
Il corteo continua ad indietreggiare sotto la pressione dei lacrimogeni e per l'avanzare dei mezzi blindati, lanciati ad alta velocità contro i manifestanti (come dimostrano filmati e foto); la calca è terribile, le persone soffocano per i gas e vengono schiacciati. In assenza di vie di fuga alcune centinaia di manifestanti si disperdono nelle vie laterali, bloccate dai carabinieri e, per aprirsi la strada in modo non organizzato, ingaggiano i primi scontri. Mentre il grosso del corteo composto da 20 mila persone tenta con difficoltà di ritirarsi verso lo stadio Carlini, nella zona continuano violenti scontri, che, poco dopo, porteranno alla morte di Carlo Giuliani.
A questo punto, in via Tolemaide avanzano due grossi automezzi della polizia dotati di idranti, usati come arieti contro la testa della manifestazione e nel corteo si diffonde la notizia che le forze dell'ordine hanno usato armi da fuoco e che uno o più manifestanti sono rimasti colpiti. Poco dopo arrivano la conferma della morte di un ragazzo e la voce di altri due decessi (solo in serata si saprà che il morto è uno ed ha le generalità di Carlo Giuliani).
Il corteo indietreggia, incalzato dalle cariche lungo corso Gastaldi per più di un chilometro, con una sorta di caccia all'uomo e pestaggi indiscriminati. All'incrocio con via Corridoni alcune centinaia di poliziotti, nonostante parte del gruppo di contatto avesse più volte comunicato che il corteo stava rientrando allo stadio Carlini, si aggiungono alle cariche, che cessano solo alcune centinaia di metri prima dello stadio stesso, dove il corteo rientra a partire dalle 18,30.
Cariche, pestaggi ed arresti continuano nelle ore successive nei quartieri di san Martino e alla Foce nei confronti di chi si era perso o attardato.
A piazza Manin c'era la Rete Lilliput ed altri che cominciano ad arrivare alle ore 9,30. Qui ci sono scene diverse: banchetti delle botteghe del commercio equo e solidale, cartelloni, iniziative e via dicendo. In questa piazza non c'è alcuna presenza delle forze dell'ordine, che fino al giorno prima, invece, la presidiavano; convergono qui gli aderenti del pink bloc, ecopacifisti in prevalenza del centro e nord Europa. Nonostante le autorizzazioni scritte, alcuni organizzatori del presidio di piazza Manin martedì 17 luglio mattina si recano a una riunione operativa in questura con il capo della DIGOS Spartaco
Alle assicurazioni da parte del capo della DIGOS non sono seguiti fatti concreti, tanto meno durante la carica a piazza Manin il giorno 20 pomeriggio. In quell'occasione, nonostante si richiedesse agli operatori di polizia presenti in piazza chi fosse il funzionario responsabile, gli organizzatori non ricevevano risposte. Contattato a questo proposito per telefono, il dottor Mortola rispondeva «levatevi di lì». Ciò per quanto riguarda i rapporti con la questura.
Nella tarda mattinata del 20 luglio, si concentrano nella piazza circa 2-3 mila persone e verso le 12,30 si decide di cominciare a scendere per via Assarotti per effettuare un sit in pacifico davanti alle barriere di piazza Corvetto e di piazza Marsala. Giunti alla fine di via Assarotti inizia il sit in e dopo una breve trattativa con le forze dell'ordine, insieme a Don Gallo e Franca Rame, le stesse consentono agli attivisti non violenti di attaccare messaggi e striscioni alle grate di piazza Corvetto.
Alle 13,30 giungono via cellulare a vari manifestanti notizie riguardanti le incursioni dei presunti black bloc e verso le 14 viene segnalato che un gruppo degli stessi aveva assaltato il carcere di Marassi e si stava dirigendo verso piazza Manin, prendendo via Peschiera e via Monte Grappa. A quel punto gli organizzatori della manifestazione decidono di far arretrare il grosso dei manifestanti oltre via Peschiera e, infine, di guadagnare di nuovo piazza Manin, dove stazionavano nella mattina, mentre alcune decine rimangono in piazza Corvetto.
Alle 14,30 irrompono nella piazza, dove non sono presenti le forze dell'ordine, i black bloc ed altri gruppi armati di spranghe e bastoni, facendo marce e caroselli. Gli attivisti non violenti si frappongono tra i cosiddetti black bloc e l'imbocco di via Assarotti per impedire a questi ultimi di imboccarla e di mettere in pericolo chi è rimasto davanti alle grate. Dopo pochi minuti presunti black bloc stanno sganciandosi, cominciano a imboccare corso Armellini per andarsene e, a quel punto, in piazza cominciano a piovere candelotti contro il gruppo dei manifestanti non violenti che avevano fatta opera di interposizione. Subito dopo una cinquantina di agenti della Polizia di Stato irrompono nella piazza, accanendosi sui banchetti e manganellando gli ecopacifisti e le femministe.
Alcuni dei presenti contano perlomeno una decina di ragazzi e ragazze con la testa insanguinata ed una ragazza con una frattura alla mano. I gruppi che denominiamo black bloc, nel frattempo, procedono in tutta calma per corso Armellini improvvisando barricate con i cassonetti e le campane dei rifiuti e sfasciando le macchine in sosta. All'altezza di piazza San Bartolomeo degli Armeni viene organizzata un'altra barricata e un drappello di una decina di black bloc attende l'arrivo di altri: c'è un lancio di bottiglie, di lacrimogeni e, a quel punto, anche gli ultimi black bloc si muovono per raggiungere gli altri lungo corso Solferino.
I poliziotti, invece di inseguirli, deviano verso l'adiacente piazza San Bartolomeo dove si erano rifugiati gruppi di pacifisti, li aggrediscono e continuano la caccia al militante non violento anche lungo via Assarotti. I black bloc, nel frattempo, agiscono indisturbati lungo via Palestro, mentre la polizia si attesta immobile a piazza Marsala. L'opera di distruzione dei black bloc continua in tutta tranquillità anche per corso Magenta e corso Paganini.
Nel frattempo - sono le ore 16,30-17,00 - giunta la notizia che il Genoa social forum ha deciso di smobilitare i presidi e di convocare un'assemblea in piazzale Kennedy, il grosso dei militanti imbocca via monte Grappa e scende da una scalinata dietro Brignole, sulla sponda destra del Bisagno all'altezza di ponte Sant'Agata, dove arriva alle 17,30. Mentre nella zona i black bloc stanno mettendo a
La Rete Lilliput cerca di sbloccare questa situazione pericolosa e, alla fine, i mille riescono a guadagnare corso Torino ed arrivare in piazzale Kennedy.
Per quanto riguarda l'altra piazza tematica, piazza Dante, intorno ai giorni 16-17 luglio ARCI, Attac, Fiom CGIL, Rifondazione comunista, Unione degli studenti, alcuni centri sociali, la LILA ed altri, decidono di svolgere le iniziative previste. Spieghiamo tutto e si depositano alla questura tutte le richieste. Il giorno 19 luglio al mattino si svolge una riunione delle organizzazioni che sarebbero state presenti nelle piazze Carignano e Dante. Studiamo come organizzarci per garantire la piena pacificità delle manifestazioni e, in particolare, si decide di collocare alcune persone in luoghi strategici pronte ad avvisare se succede qualcosa. Si fissa il concentramento alle ore 12 in piazza Carignano e si decide comunque di avere già una presenza nelle piazze alle 10,30 per presidiarle. Attac France sarebbe partita in corteo da piazzale Kennedy per arrivare lì.
Noi prevediamo la presenza di due sound-system (camioncini con casse per la musica), spettacoli di teatro di strada, attività creative e quant'altro. Alle ore 11 del 19 luglio Massimiliano Morettini e Fiorino Iantorno si recano in questura da Spartaco Mortola per informarlo sull'organizzazione delle piazze nei minimi particolari. Dopo un breve colloquio il Mortola li accompagna a parlare con il questore e vengono fornite tutte le garanzie. La mattina del 20 luglio alle ore 11 nelle piazze vi sono alcuni di noi che stanno organizzando il tutto.
In piazza Carignano viene notato un motorino con alcuni fili scoperti, che pareva abbandonato e che aveva sul serbatoio un adesivo della Polizia di Stato. Viene avvisata la questura almeno tre volte perché controlli che non ci siano ordigni: nessun intervento.
Alle ore 12 le due piazze si cominciano a riempire. Nel frattempo, cominciano ad arrivare le prime notizie di incidenti in altre zone. In piazza Dante la manifestazione si svolge in modo abbastanza tranquillo; ogni tanto qualche momento di tensione, qualche attacco alla rete, sempre a mani nude, veniva interrotto dai getti degli idranti con acqua urticante. In piazza c'è musica e spettacoli di teatro. Il clima teso che si avvertiva per quello che avveniva in città ha fatto sì che noi rinunciassimo a costruire la torre di Babele, un grande «piedone», cioè cose creative. Il servizio di sorveglianza della piazza - il nostro servizio - ha funzionato togliendo ad alcune persone oggetti trovati per strada (bastoni, cartelloni stradali) e allontanando qualche esagitato.
Intorno alle 14 uno dei nostri punti di sorveglianza, intorno alla chiesa di piazza Carignano, ci informa di incidenti tra forze dell'ordine e cosiddetti black bloc in piazza Alessi. Una decina di persone appartenenti ad Attac si dirigono verso piazza Carignano e restano bloccate dagli scontri; alcuni attivisti di Attac cercano di raggiungerli, l'operazione riesce, ma due attivisti vengono picchiati.
Alle ore 15,45 - sono molto sicuro dell'orario e in seguito verificheremo che ciò corrisponde con i «lanci» ANSA - mi telefona il sindaco di Genova, Giuseppe Pericu (io ero a piazza Dante), il quale mi dice di essere furibondo (l'ANSA testimonia esattamente quello che dice): le forze dell'ordine stanno fronteggiando iniziative non violente, organizzate dal Genoa social forum, mentre la città è totalmente abbandonata ai black bloc. Il sindaco mi chiede di dare un segnale, con un corteo che rientra, al quale egli avrebbe fatto seguire una dichiarazione molto dura - che, infatti, fece - chiedendo alle forze dell'ordine di non abbandonare il resto della città. A quel punto ho telefonato ai vari cortei, ho coordinato l'iniziativa, ho fatto un breve comizio in piazza Dante e, alle 16,15 ho richiamato il sindaco, comunicandogli
Alle 16,30, concluso un breve comizio in piazza Dante, do disposizione per la formazione del corteo; il corteo si dirige per via Fieschi per risalire verso piazza Carignano, che è praticamente vuoto. Da un lancio dell'ANSA delle 16,50 risulta che ce ne siamo andati; dunque, questi sono i tempi, non altri. A quel punto, con la piazza vuota, cominciano a partire una serie di lacrimogeni dalle forze dell'ordine contro il corteo che era in via Fieschi, alcuni lacrimogeni vengono lanciati dalle finestre di via Fieschi e io vengo colpito direttamente da un lacrimogeno sul braccio destro.
Per quanto concerne il corteo da piazza Montano a piazza Dinegro, il sindacato di base CUB ai primi di maggio dà comunicazione alla questura del corteo dei lavoratori. Negli incontri tra GSF e responsabili della polizia si spiegano le ragioni di questo corteo; che prima non viene autorizzato poi, ad un certo punto, viene autorizzato.
Nella giornata di martedì, alle ore 15, la delegazione CUB si reca in questura e viene ricevuta dal responsabile della DIGOS, dottor Mortola e solo dopo vari tentativi di far cambiare percorso, si arriva ad una proposta, che prevede una riduzione drastica del corteo, con partenza da piazza Montano e conclusione a piazza Dinegro.
Alle ore 21 circa si interrompe, in attesa di autorizzazione definitiva; alla ripresa, alle 22,30, viene proposta un'autorizzazione verbale e, solo di fronte alle proteste della delegazione del sindacato di base CUB, il corteo viene autorizzato per iscritto con alcune prescrizioni.
In piazza Montano a metà mattinata ci sono migliaia di lavoratori. Il corteo si svolge regolarmente anche con la presenza di delegazioni di altri gruppi. Per garantire che tutto andasse secondo le previsioni i lavoratori hanno esercitato azioni di controllo.
All'arrivo in piazza, la polizia ha indossato le maschere antigas, come se si stesse apprestando al lancio di lacrimogeni, quando la situazione era tranquilla. Dopo una serie di proteste i responsabili delle forze dell'ordine hanno fatto togliere le maschere.
All'ingresso nella piazza, da vie laterali, di probabili provocatori è stato deciso di accelerare la chiusura della manifestazione in piazza Dinegro e di far tornare il corteo al punto di partenza. Durante il ritorno in piazza Montano si è avuta notizia, lontano dal percorso del corteo, di episodi di distruzione di cassonetti e banche da parte dei cosiddetti black bloc. Si notava, tra l'altro, che in modo inspiegabile la sede FIAT lungo il percorso non era più presidiata.
Sono stati necessari ripetuti interventi e richieste di chiarimenti perché le forze dell'ordine a presidio di piazza Montano (in particolare carabinieri) mostravano una particolare tensione, anche se nella piazza tutto era calmo. Gran parte dei manifestanti erano in viaggio alla tragica notizia della morte di Carlo Giuliani.
Occorre aggiungere che tutti i cortei - non i CUB, ma gli altri cioè i cortei delle tute bianche e quello di via Manin - dopo essersi consultati con me e dopo che io avevo comunicato il rientro al sindaco e al vicecapo della polizia, attraverso il suo centralino telefonico, lungo gli itinerari sono stati attaccati, mentre tutti stavamo cercando di tornare in piazzale Kennedy, che rappresentava il punto di convergenza comunicato, sulla base di quanto ci era stato richiesto dal sindaco per un corteo e che noi, invece, stavamo attuando per tutti.
Per quanto concerne il corteo internazionale del 21 luglio, occorre ricordare che in quella data è prevista l'iniziativa del corteo pacifico, il cui percorso è depositato in questura da tempo e prevede via Cavallotti, corso Italia, svolta in corso Torino, corso Sardegna e conclusione in piazza Galileo Ferraris.
La giornata si presenta, fin dalle prime ore del mattino, con un'enorme partecipazione, arriveranno circa 300 mila persone. Appare subito strano - per chi di cortei ne ha visti - il fatto che davanti alla testa del corteo non si dispongano le forze dell'ordine per proteggerne lo svolgimento, come normalmente accade. Questa scelta, per noi imprevista, causerà numerosi problemi, come vedremo in seguito.
Nella tarda mattinata, il capo della DIGOS genovese, Spartaco Mortola, telefona a Massimiliano Morettini, uno dei coordinatori del Genoa social forum, per avvertirlo che nella piazza ci sono dei gruppi di black bloc che vogliono accodarsi in fondo al corteo, chiedendo al Genoa social forum di non farli inserire. Il coordinatore, Massimiliano Morettini, esprime contrarietà al fatto che la Digos non intervenga a bloccare i black bloc, sapendo che ci sono e che sono dietro al corteo e invita le forze dell'ordine a muoversi per prevenire l'aggancio dei black bloc al corteo. Infatti, noi, avendo parlato di iniziative pacifiche, eravamo con le mani alzate, mentre quelli erano armati e di certo, per definizione, questo compito non spettava a noi, ma a loro. Nonostante questa richiesta non succede assolutamente nulla.
I primi problemi si verificano nei pressi della caserma dei carabinieri di San Giuliano dove un gruppetto di persone estranee al corteo, aspettano - secondo la solita logica, sono lì indisturbati - che arrivi la manifestazione e cominciano a lanciare oggetti contro la caserma. Immediatamente alcuni manifestanti del corteo intervengono per allontanare il gruppetto.
Quando la testa del corteo giunge nei pressi dell'incrocio tra corso Marconi e via Rimassa, trova di fronte a sé un gruppo di un centinaio di persone che si fronteggiano con le forze dell'ordine schierate, che erano già lì. Nonostante ciò, la testa del corteo svolta per via Rimassa senza problemi.
A metà di corso Torino la testa del corteo trova una situazione potenzialmente rischiosa: infatti, gruppi di persone stazionano nelle vie laterali in palese atteggiamento non pacifico, a poca distanza dalle forze dell'ordine; sono lì, si fronteggiano.
Temendo che possano approfittare del passaggio del corteo per provocare incidenti, la testa del corteo decide di fermarsi e le prime file - sono io lì davanti insieme ad altri, che do le indicazioni - si siedono in terra. Noi non ci muoviamo per non passare lì in mezzo dove si fronteggiano black bloc e forze dell'ordine. Nel frattempo, si presentava un problema, perché dallo spezzone di corteo che transitava da corso Marconi (a circa un chilometro dalla testa del corteo) ci continuavano a telefonare dicendo di proseguire avanti per evitare di essere coinvolti dal lancio di lacrimogeni che avveniva dietro. Noi non volevamo andare avanti, perché vi era quello situazione rischiosissima e dietro c'erano i lacrimogeni: quindi, quelli davanti erano seduti e quelli dietro spingevano per proseguire.
In piazza Rossetti, alcune persone incendiano i locali della banca distrutta il giorno prima, agendo per circa mezz'ora del tutto indisturbati. Dallo schieramento di polizia, rimasto fermo in fondo a corso Marconi, partono alcuni lacrimogeni, a cui viene risposto dopo mezz'ora con lancio di sassi, incendi di auto e con la costruzione di una barricata fatta di cassonetti, stand e auto sfasciate da piazza Rossetti. Più indietro, il corteo cerca di sfilare tenendosi a distanza, decidendo di non svoltare più in via Rimassa, come previsto, ma nella traversa precedente, via Casaregis, cercando di uscire da quella situazione a rischio. Mentre cerchiamo di deviare per portare via il corteo, improvvisamente parte la carica della polizia e anche l'accesso a via Casaregis viene bloccato. Da quel momento in poi, nonostante le richieste, nessuna via ulteriore viene lasciata libera dalle forze dell'ordine per far defluire
Nel frattempo, la parte del corteo che ha girato per via Casaregis cerca di riordinarsi e di ricongiungersi a quelli più avanti. Imbocca via Morin per reimmettersi su via Rimassa, dove trova però un fitto cordone di polizia, schierato lungo il lato della strada. Si decide allora di procedere con lentezza, a mani alzate, ripetendo la parola «non violenza», sfilando davanti alla polizia senza creare la minima tensione (bisogna ricongiungersi, non c'è altra strada). Giunti all'imbocco di via Rimassa, i manifestanti sono investiti da un fitto lancio di lacrimogeni sparati ad altezza d'uomo, che li disperde nuovamente e li costringe a tornare su via Casaregis, mentre una parte, pur nella difficoltà di essere sotto il tiro dei lacrimogeni, cerca di tenersi unita e imbocca una traversa più avanti per arrivare in corso Torino. Chi rimane in fondo a via Casaregis, isolato o a piccoli gruppi, diventa oggetto di una vera e propria caccia all'uomo e di pestaggi da parte della Polizia e della Guardia di Finanza. La coda di questa parte del corteo viene caricata anche alle spalle.
Torniamo alla testa del corteo. Dopo il sit-in improvvisato sopra descritto, i responsabili che stanno alla testa del corteo comunicano con i responsabili della questura. Vado davanti - tutto il filmato lo dimostra -, chiedo di parlare con il responsabile e gli dico che non ci muoveremo di lì se le forze dell'ordine non ci precederanno, garantendo il defluire del corteo, e che non passeremo mai tra loro e gli altri gruppi. Ne discutiamo e, ad un certo punto, le camionette si mettono alla testa del corteo per qualche centinaio di metri, poi scompaiono un'altra volta (pur rimanendo in altre zone).
Il comizio di chiusura si svolge in un clima di fretta e di tensione, perché giungono continue notizie di incidenti nella zona di piazza Giusti. Dopo lo scioglimento del comizio, migliaia di persone si trasferiscono davanti allo stadio di Marassi cercando di muoversi per raggiungere treni e pullman. Quando da un lato e dall'altro del Bisagno si muovono piccoli gruppi di cosiddetti black bloc che, inseguiti dalla polizia, cercano di infiltrarsi, costoro vengono respinti e isolati dai manifestanti che sostano davanti allo stadio. Ciò nonostante, i reparti di polizia si attestano sulla riva opposta del Bisagno e fanno partire un fitto lancio di lacrimogeni contro i manifestanti pacifici, che non reagiscono in alcuna maniera. Solo dopo molto tempo la situazione si normalizza, permettendo alle persone di raggiungere i mezzi di trasporto, anche grazie ai pullman navetta messi a disposizione dal comune di Genova.
Prima dell'ultimo passaggio, vorrei riassumervi una questione specifica che mi riguarda. Dopo gli incidenti di cui veniva data notizia, alla fine del corteo, con una macchina, insieme ad un parlamentare e ad altre persone, ho cercato di capire che cosa era accaduto. In corso Italia mi sono fermato all'altezza di Punta Vagno, cercando di ottenere degli spazi per far defluire le persone che non sono arrivate al comizio finale, per permettere loro almeno di andare a prendere il treno. Dato il mio ruolo, sono andato a parlare con le forze dell'ordine, cercando di risolvere il problema. In corso Italia, all'altezza di Punta Vagno, la strada ormai era deserta e cosparsa di effetti personali (abiti, scarpe, borse e tantissimi occhiali). Ciò è
Veniamo al blitz alla «Pertini» e all'irruzione al Indymedia Center del Genoa social forum. Nella scuola Pertini è ospitata la NGO House ovvero gli uffici a disposizione delle ONG straniere. Dalla notte del 19, come abbiamo spiegato, alcune persone vanno a dormire nella scuola. La notte di sabato, l'irruzione avviene verso la mezzanotte. Quando arrivano le forze dell'ordine, le luci alle finestre sono accese (dalle immagini video si vede chiaramente). Il cancello esterno viene sfondato con una camionetta, i reparti stazionano qualche istante nel cortile, poi entrano nella scuola. Vi sono sia agenti in divisa, sia funzionari in borghese, sia poliziotti in borghese ma con casco e fazzoletto a coprire il volto. Dalla strada si sentono richieste di aiuto e lamenti. Sulla strada cominciano a confluire numerose persone e molti giornalisti. Le forze dell'ordine fanno un cordone davanti al cancello della scuola. Insieme ai parlamentari Malabarba e Mantovani, al consigliere regionale Nesci e a qualche avvocato, tentiamo di entrare nell'edificio, ma ci viene impedito. Insieme all'onorevole Mantovani e al consigliere Nesci, veniamo sospinti e malmenati fuori dalla scuola, mentre sentiamo provenire le urla dal piano superiore. Arrivano le autoambulanze. Molto lentamente iniziano ad uscire i feriti. Nonostante il clima di grande tensione, alcuni responsabili del Genoa social forum lì presenti si adoperano per evitare che la situazione trascenda. Si costituisce un cordone di protezione per tenere separate le forze dell'ordine dalle persone lì presenti. In ogni caso, i presenti mantengono un atteggiamento responsabile e non si registra nessuna reazione violenta. La manovra di ritirata della polizia è lentissima. Le forze dell'ordine danno il tempo ai cellulari di allontanarsi, arretrando di pochi metri ogni dieci minuti. Quando tutto finirà, saranno ormai già le 3. Mentre si stanno portando via i feriti e gli arrestati, nel cortile della scuola il responsabile dell'ufficio stampa della polizia, Sgalla, rilascia una prima dichiarazione in cui dice: «È stata fatta una perquisizione e non è stato toccato nessuno. I feriti e il sangue già rappreso che si possono notare sono conseguenze degli scontri del corteo del pomeriggio». Basterà entrare nella scuola per vedere che tutto ciò non corrisponde al vero.
Veniamo al blitz alla scuola Diaz, sede del centro stampa del Genoa social forum. Alla scuola Diaz si trovano l'ufficio stampa, gli uffici legali, le sale riunioni e il centro stampa. Il venerdì e il sabato viene approntata un'infermeria per i feriti delle manifestazioni (chi vorrà troverà allegati i promemoria dei sanitari, oltre a quelli dei legali). Dopo che l'irruzione alla Pertini è iniziata, la Polizia entra di forza
Alle richieste di un mandato si risponde: «Non siamo in America, facciamo quello che vogliamo». Al mio arrivo, più tardi, alla stessa domanda, il capo della DIGOS genovese, Mortola, dirà che il mandato potrà essere visto entro mezz'ora. Ma ciò non è mai avvenuto.
Alla fine i poliziotti se ne vanno senza neanche aver fatto un verbale di tutto il materiale danneggiato o sottratto: hard disk, videocassette, cellulari e documenti.
Aggiungo che, rispetto al blitz alla Diaz - solo perché si sappia, ma, comunque, è documentato - alle 9,30 di quella sera in una televisione nazionale, La 7, durante una trasmissione coordinata da Gad Lerner - a cui ero presente insieme ad altri esponenti del Genoa social forum - veniva presentato un video dove si vedevano persone, vestite come black bloc, parlare tranquillamente con le forze dell'ordine. Era una cassetta. Noi non sappiamo dire - non vogliamo fare delle ipotesi - se fossero contatti tra black Bloc e forze dell'ordine, se erano forze dell'ordine che dovevano fare il loro mestiere di infiltrazione. Aggiungo che se l'hanno fatto, l'hanno fatto proprio malissimo perché poi abbiamo visto cosa è successo. Dico solo, come sequenza temporale - relativamente al fatto che nella scuola Diaz si cercava materiale documentale, eccetera - che alle 9,30 di quella sera, a La 7, abbiamo mostrato quella cassetta.
Vi ringrazio moltissimo per l'attenzione che ci avete prestato. Mi scuso per la lunghezza dell'intervento, ma pensiamo di avervi consegnato, comunque, una memoria ampiamente documentata. Ho parlato a nome di tutti; poiché sono stato chiamato qui e alcuni sono stati indicati come miei consulenti - Kovac, Morettini e Cassurino -, le associazioni chiamate, che condividono e hanno sottoscritto questo documento del Genoa social forum, vorrebbero svolgere una breve dichiarazione.
Vorrei approfittare del tempo a disposizione e della vostra pazienza per offrire un contributo al vostro lavoro su due punti: uno riguarda l'inizio di questa storia e l'altro i giorni cruciali di luglio.
Per quanto riguarda il primo punto, per l'ARCI la scelta di contribuire alla nascita del Genoa social forum è stato un atto di responsabilità civica. Già un anno prima del vertice G8 era evidente che migliaia di persone sarebbero arrivate a Genova in quei giorni dall'Italia, dall'Europa e da tutto il mondo. Lo abbiamo considerato un fatto assolutamente positivo; crediamo che la partecipazione dei cittadini ai grandi temi della politica, in particolare delle questioni internazionali, sia un valore e un motivo di orgoglio per un paese democratico, tanto più per un paese dove spesso ci si preoccupa per il disinteresse e la disaffezione alla vita civica dei cittadini e, in particolare, dei giovani. Era un segnale in controtendenza.
Proprio per il grande affollamento che si prevedeva a Genova, siamo stati fra coloro che hanno ritenuto essenziale fornire un forte e solido riferimento culturale ed organizzativo alla preparazione e alla gestione degli eventi di Genova, in modo che il faro della mobilitazione fosse la partecipazione popolare, di massa, pacifica, coerente con i contenuti positivi che movimenti sociali esprimono attraverso lo slogan «Globalizzazione dal basso». Da questo punto di vista, il Genoa social forum - che nel suo patto fondativo sottolinea la scelta pacifica e non violenta come propria discriminante essenziale - ha svolto un ruolo assolutamente positivo nella preparazione e nella gestione dei giorni di Genova. Le mille e più organizzazioni italiane ed internazionali che vi hanno aderito, hanno accettato, come primo passo nel loro cammino verso Genova, di dichiarare pubblicamente la loro adesione a tali valori, iniziative pacifiche e non violente.
Noi siamo stati accusati in questi mesi di ambiguità, di collusioni con i violenti. Vorrei sottolineare in questa sede che riteniamo che il Genoa social forum abbia fornito, al contrario, un grande contributo a consolidare questo nuovo e crescente movimento su un terreno dichiaratamente democratico. E ve lo dice un'organizzazione che crede talmente nel valore della non violenza da averla ascritta come valore fondativo nel proprio statuto: l'ARCI è per statuto un'organizzazione non violenta e non so quante organizzazioni e partiti possano dire altrettanto. Anzi, penso che la politica e la gestione dell'ordine pubblico abbiano molto bisogno di non violenza perché l'uso della forza non è in contrapposizione al valore della non violenza (Commenti).
Il secondo punto che vorrei sottolineare - mi scuso per questa considerazione - è il seguente. Ho personalmente seguito, nella divisione dei compiti del Genoa social forum, il coordinamento e l'organizzazione della giornata del 20, il cosiddetto accerchiamento della zona rossa. Avevamo deciso di realizzare l'accerchiamento della zona rossa attraverso molteplici iniziative promosse dai diversi aderenti al Genoa social forum nel rispetto delle differenze che abbiamo sempre considerato una ricchezza. Le iniziative erano diverse nelle forme, negli obiettivi e nelle metodologie di svolgimento: cortei, sit-in, la veglia di preghiera dei missionari, il teatro di strada, manifestazioni nelle aree adiacenti alla zona rossa. Alcune di esse, che riguardavano l'accerchiamento, prevedevano forme di disobbedienza civile, come il blocco non violento dei varchi promosso dalla Rete contro G8 e il tentativo dichiarato di cercare di valicare i confini della zona rossa da parte del corteo del Carlini. Le iniziative di disobbedienza civile
Questo è ciò che avevamo previsto ed organizzato per il 20 ed è ciò che abbiamo illustrato alle istituzioni e ai responsabili delle forze dell'ordine, incaricati dal Governo di avere relazioni con noi, sempre più nei dettagli - siamo partiti da un quadro generico poi, nel corso della nostra discussione, l'abbiamo definito - fino alla comunicazione in questura di tutti gli appuntamenti con i promotori, al punto che le informazioni sono uscite sui maggiori giornali italiani e noi abbiamo anche predisposto 20 mila copie di una cartina sulla quale erano indicati tutti gli appuntamenti previsti per comporre l'accerchiamento del vertice, che è stata distribuita in tutta Genova a tutti i partecipanti.
Dico ciò, non solo per sottolineare che, a differenza di quanto si è sentito dire in questa sede, i dettagli dell'organizzazione della giornata del 20 - che ovviamente era la più delicata - erano conosciuti fin nei minimi particolari dalle istituzioni e delle forze dell'ordine, ma soprattutto per rilevare un altro aspetto. Lo scenario del 20, per quanto riguarda ciò che competeva agli organizzatori delle manifestazioni, era chiarissimo nei particolari ai responsabili delle forze dell'ordine e si è anche realizzato esattamente come lo avevamo previsto. Noi abbiamo rispettato tutti gli appuntamenti; i cortei sono partiti alla stessa ora e le manifestazioni si sono svolte come avevamo previsto e comunicato.
Nessuno fra i responsabili dell'ordine pubblico e le istituzioni ci ha mai fatto presente che questo fosse uno scenario ingestibile, foriero di tragedie, ingovernabile. Il rapporto con le forze dell'ordine, al contrario, è stato, anche sui problemi relativi al giorno 20, un rapporto sempre sereno e molto collaborativo. Noi abbiamo ascoltato alcuni loro consigli, abbiamo spiegato loro, alle volte, i motivi per cui facevamo determinate scelte e nessuno ci ha mai detto: ragazzi, se fate questo succede una tragedia!
Vorrei ricordare che neppure la presenza di gruppi estranei al Genoa social forum era imprevista (mi riferisco ai gruppi violenti, i cosiddetti black bloc). Nel corso degli incontri con le forze dell'ordine - faccio riferimento, in particolare, all'incontro del 30 giugno a Genova, di cui ha già parlato Agnoletto -, siamo stati informati del fatto che i gruppi avrebbero cercato di infiltrarsi nelle nostre manifestazioni e ci è stato chiesto se fossimo in grado di evitarlo. Abbiamo risposto negativamente perché non intendevamo sostituirci alle forze dell'ordine; credo sia addirittura vietato dalla legge mettersi a difendere, militarmente o con le armi, una propria manifestazione; del resto, le forze dell'ordine ci avevano sempre detto che era loro preciso dovere difendere i manifestanti. Il Capo della polizia ci aveva detto, in quella sede, che era comunque compito delle forze dell'ordine reprimere o isolare manifestanti violenti e che, quindi, non erano fatti nostri. Ciò che intendo evidenziare con questa ulteriore dichiarazione è che nemmeno la presenza di gruppi violenti, di black bloc, o comunque di tentate infiltrazioni all'interno delle manifestazioni previste era una novità.
Non è, dunque, dal versante dei manifestanti che è cambiato lo scenario definito nei giorni precedenti; dal versante dei manifestanti, noi Genoa social forum, e perfino i gruppi estranei al GSF poiché già da giorni si sapeva più o meno ciò che avrebbero tentato, lo scenario non è cambiato. È dal versante delle forze dell'ordine che lo scenario è cambiato, producendo l'evoluzione drammatica di quel giorno e dei giorni seguenti. Allora, ci chiediamo perché. Io confido caldamente che il vostro prezioso lavoro aiuti a sciogliere questo nodo.
I vertici della Polizia, incaricati dal Governo, ci hanno detto che era loro compito proteggere, a Genova, tre categorie: i partecipanti al vertice, i cittadini ed i manifestanti pacifici; ci avevano detto che era loro compito isolare eventuali
Per finire, mi chiedo se abbiamo sbagliato a fidarci di quanto ci è stato detto dai responsabili delle Forze dell'ordine incaricati dal Governo. Io credo di no. Abbiamo sempre considerato molto seriamente gli interlocutori che avevamo di fronte, non avevamo motivo di credere che ci dicessero cose non vere e continuo a ritenere che abbiamo avuto di fronte persone credibili che facevano affermazioni in cui credevano e che erano convinte di poter realizzare i propri propositi. Ma, cosa è successo? Cosa ha fatto sì che quello scenario si trasformasse? Già nei giorni precedenti, infatti, esso appariva molto chiaro sia per quanto riguarda le azioni che noi avremmo portato avanti, sia per le azioni delle forze dell'ordine, e addirittura, anche per quanto riguarda le azioni dei gruppi che nulla avevano a che fare con noi o con le forze dell'ordine e che avrebbero potuto costituire un problema, comunque già individuato per il quale sembrava fossero pronte le risposte. Cos'è che ha modificato questo scenario, così pesantemente, tanto da trasformare una situazione che - non a nostro dire, ma a dire di tutti i soggetti coinvolti - sembrava assolutamente gestibile, in una tragedia di cui noi ci consideriamo vittime?
Siamo stati presenti a Genova, prevalentemente a Boccadasse, per un'evidente affinità con tutti i missionari ed i volontari con cui abbiamo condiviso il digiuno, il silenzio, la preghiera e soprattutto la passione e l'impegno per la costruzione di un altro mondo possibile.
In realtà ci siamo trovati in una situazione estremamente difficile da sostenere e posso dire che non ci è stato garantito il diritto di manifestare pacificamente, così come previsto dal nostro ordinamento e così come credevamo di poter fare.
Al di fuori della zona rossa la sensazione era che la città fosse, nella migliore delle ipotesi, abbandonata; cioè, la zona rossa era ciò che doveva essere tutelato e fuori da tale zona poteva accadere tutto ciò che si voleva.
Abbiamo provato sgomento e sconcerto di fronte alle cariche indiscriminate della polizia che, a detta di nostri testimoni, colpivano, senza distinzione, chiunque fosse presente. La sensazione di parecchi dei nostri partecipanti era di vera e propria paura e di non saper più cosa fare.
Un conto è partecipare ad azioni dirette di disobbedienza civile dove forse si può anche pensare che possa verificarsi un confronto, pur rimanendo nell'ottica della
Io stessa sono stata travolta negli scontri vicino piazzale Kennedy, in via Casaregis dove abbiamo sperimentato la solidarietà di buona parte delle famiglie genovesi, come anche diversi partecipanti ci hanno riferito: «Io ho bussato ad una porta ed ho avuto accoglienza». Oggi non ho segni visibili, quanto meno sulla pelle; «dentro», la questione è tutt'altra.
Altri nostri partecipanti hanno raccontato che il giorno prima della manifestazione, il 20 luglio, hanno visto con i propri occhi gruppi di persone, i cosiddetti black bloc (comunque persone non identificabili, estranee alla manifestazione) che si aggiravano sfasciando e distruggendo diverse cose; inoltre, hanno assistito personalmente - perché in contatto con persone genovesi che conoscevano - alla chiamata delle forze dell'ordine e riferiscono di non aver visto l'intervento di alcuno. In questa situazione, il giorno 20 luglio avevamo addirittura invitato i nostri aderenti a non prendere parte al corteo, non tanto perché volessimo, come è stato poi da alcuni interpretato, dissociarci dal Genoa social forum, quanto perché temevamo per l'incolumità fisica delle persone che non erano preparate a sostenere una certa eventualità; infatti, proprio perché la non violenza caratterizza fortemente il nostro movimento, volevamo trovare modalità che sottolineassero ulteriormente questo aspetto. Abbiamo dunque invitato chi decideva di partecipare - ognuno era libero di fare ciò che voleva - ad essere presente a Boccadasse.
Vorrei sottolineare infine che, proprio perché impegnati da sempre per la pace come movimento pacifista, siamo assolutamente certi che la pace sia solo ed esclusivamente frutto della giustizia. Da questo punto di vista, confidiamo davvero nei lavori del Comitato, così come di tutte le autorità che sono preposte a far luce e chiarezza sui fatti, perché riteniamo che gli episodi verificatisi a Genova abbiano prodotto profonde lacerazioni sociali. Crediamo che la costruzione della pace passi anche attraverso la capacità di stabilire con certezza lo svolgimento dei fatti.
Svolgerò un'altra considerazione molto breve per sottolineare un aspetto che è già stato evidenziato, che concerne non soltanto la mia esperienza, ma anche quella
Penso che i temi di cui stiamo discutendo oggi siano importantissimi; tra le questioni più rilevanti di cui si sta occupando il Comitato segnalo la necessità di coinvolgere con il public forum, con azioni dirette non violente oppure con i classici cortei, con i concerti e quant'altro i cittadini che, in maniera pacifica e non violenta, vogliono manifestare il proprio dissenso, il proprio consenso, le proprie proposte, le proprie idee su temi fondamentali come quelli della globalizzazione, del modello di sviluppo e così via.
Questo è il motivo per cui sin dall'inizio abbiamo seguito tutta la preparazione di quelle giornate ed abbiamo partecipato al public forum, così come alle azioni del venerdì, alla manifestazione dei migranti del giovedì ed al corteo del sabato.
Un altro elemento molto importante è che attraverso l'esperienza del Genoa social forum, di un momento cioè di incontro di centinaia di associazioni, anche molto diverse tra loro per interessi, per storia, per tradizioni e per impegni, si è giocata la scommessa di portare avanti temi e questioni, di fronte ai quali oggi la maggioranza del nostro paese è attenta e interessata, nonché quella di riunire la
Chiusa questa parentesi sulle motivazioni che ci hanno portato, e che ci portano, ad essere partecipi di questa esperienza, per quanto riguarda i fatti concreti, che rappresentano poi l'elemento più importante per questo Comitato, ritengo che la relazione oggi consegnatavi e letta da Agnoletto, richiami molto bene ciò che è successo. Poi, ognuno di noi ha vissuto molte situazioni; personalmente ero presente in piazza Manin, perché come Legambiente abbiamo trascorso la giornata di venerdì partecipando alle iniziative di quella piazza ed abbiamo seguito in modo molto costante anche il corteo del sabato. In questi giorni abbiamo messo a disposizione la nostra sede di Genova per consentire la raccolta di materiale necessario e per ospitare gli avvocati che si stanno occupando di questi aspetti.
Ho notato che il Comitato ha prestato particolare attenzione alla relazione letta da Agnoletto; pertanto, ritengo abbiate percepito molto bene ciò che in essa viene detto, anche se credo sia bene soffermarsi su alcuni passaggi per rendersi conto che ciò che è scritto riflette quello che è successo, la situazione nella quale ci siamo trovati noi e centinaia di migliaia di cittadini del tutto pacifici e non violenti, i quali si sono recati a Genova per manifestare sui temi della globalizzazione. Dico questo anche perché penso sia importante, in qualità di rappresentante di una delle tante associazioni, portare a conoscenza di tutti la responsabilità, l'esperienza e il peso di tante manifestazioni che in questi decenni abbiamo organizzato e realizzato nel nostro paese, con centinaia di migliaia di cittadini che vi hanno partecipato in maniera del tutto pacifica e non violenta.
Ritengo che questo sia un altro aspetto che vada sottolineato. Sui fatti ancora più specifici, penso che la relazione presentata dal movimento sia molto completa. Rimaniamo, quindi, anche noi a disposizione per eventuali chiarimenti o domande che il Comitato volesse porci.
Dottor Bobba, ieri sul quotidiano la Stampa lei ha rilasciato un'intervista che vorrei sapere se conferma. Le parole riportate dal giornale sono le seguenti: «L'antagonismo li portò invece a sostenere l'illegalità del G8, il che francamente è una sciocchezza. Né ci piaceva la compagnia: c'erano i resti dei partiti comunisti di mezzo mondo, con cui non abbiamo nulla a che spartire. Dicevano: »Rappresentiamo 600 sigle«, ma 70 sono soltanto le sezioni di Rifondazione comunista. Ora io non ho nulla contro Rifondazione, ma un movimento serio non si fa cavalcare da un partito». Dottor Bobba, le chiedo se conferma al Comitato tale suo giudizio e se vuole specificarlo in maniera più puntuale per quanto riguarda il Genoa social forum.
Per il dottor Agnoletto leggo una nota informativa dell'architetto Paolini, datata 27 giugno 2001, inviata al capostruttura di missione: «Questo contributo all'introduzione di approfondimento dovrebbe risultare di qualche utilità, anche in considerazione dell'atteggiamento che sta assumendo il nuovo Governo in merito a quanto disatteso dal precedente». Dottor Agnoletto, anche a lei risulta che il nuovo Governo Berlusconi è stato più attento rispetto a quello Amato? Vorrei porre
Vorrei porre l'ultima domanda al dottor Agnoletto. Non vi siete accorti di dove dormissero e di come si muovessero i famigerati black bloc durante la fase precedente alle azioni di guerriglia che hanno commesso a Genova e anche successivamente ad esse? Avete tentato di informare la polizia e le forze dell'ordine per quanto riguarda l'operatività o i momenti più delicati dell'opera dei black bloc?
Per ciò che riguarda la seconda domanda, anche in questo caso il giornalista ha semplificato un po' la questione, che poi è molto semplice. Come giustamente ha osservato il dottor Agnoletto, il Genoa social forum si è ispirato ad un criterio di totale trasparenza: ognuno di voi può conoscere la lista degli aderenti visitando il sito del GSF e osservare le caratteristiche, le provenienze e le connotazioni, anche politiche, dell'insieme degli aderenti. La mia osservazione significava affermare come tra gli appartenenti al Genoa social forum vi fossero molte forze variegate e ve ne fossero diverse, un certo numero, rispondenti ad un criterio propriamente politico. In base al nostro modo di operare e a prescindere dalla collocazione di tali forze di natura politica, non condividevamo ciò, poiché riteniamo che una rete di associazioni debba essere costituita unicamente da realtà del mondo associativo e non anche da realtà appartenenti a forze politiche.
Per quanto riguarda la terza e ultima osservazione, è chiaro che il nostro modo di operare come associazione è volto non tanto a impedire, limitare o, tanto peggio, non consentire la possibilità di espressione, bensì a fare in modo che tale possibilità sia, nei fatti, pacifica e non violenta. Tanto ciò è vero che, non da soli ma insieme a tanti altri, stiamo preparando una grande iniziativa con un marchio DOC non violento, quello di Aldo Capitini, il 14 ottobre: la storica marcia Perugia-Assisi, che avrà uno slogan in positivo, non «contro», ma «per» cibo, acqua e lavoro. Si tratta, insomma, di un'altra globalizzazione: quella dei diritti e della solidarietà.
Non so bene cosa sia la storia della terza componente; in ogni caso, l'associazione Ya Basta! si occupa di cooperazione internazionale e lavora, in particolare, in progetti di sviluppo con il Chiapas, ma non soltanto con esso. COBAS e CUB sono due strutture sindacali non appartenenti al sindacato confederale ma a quello di base. Si tratta di tre realtà che partecipano al Genoa social forum e, considerata tutta la documentazione che abbiamo presentato, mi sembra proprio che esse non ritengano che la protesta sia di per sé autosufficiente: basta vedere la partecipazione di tali realtà ai dibattiti del public forum, sia rispetto alla cooperazione internazionale, sia rispetto ai temi del mondo del lavoro.
Circa la terza questione, mi limito a rimandare a quanto scritto nella relazione in riferimento alle azioni dei black bloc: quando, ad esempio, vi è stato il problema della scuola della provincia, già il 19 sera chi era presente sul posto ha avvisato telefonicamente l'assessore facendolo venire in loco (e lo ha ripetuto il giorno seguente); ancora, quando si sono verificati i problemi con i black bloc in piazza Da Novi la mattina del 20 verso le ore 11, abbiamo ampiamente documentato cosa abbiamo cercato di fare. Anzi aggiungo, per spiegare bene cosa è successo, che i COBAS si sono trovati in difficoltà perché la loro piazza era già occupata da quest'altra realtà che stava agendo come abbiamo detto nella relazione. A quel punto un componente dei COBAS mi ha chiamato dicendomi che avrebbero cercato di spostarsi e chiedendomi di ottenere dalle forze di polizia la possibilità di farlo, in quanto dovevano defluire da quella piazza. Cosa che io ho fatto, avvertendo che in piazza Da Novi, una piazza in cui noi eravamo stati autorizzati a manifestare, vi era quella data situazione e che quindi i COBAS si sarebbero dovuti spostare, come risulta dalla relazione. Abbiamo quindi dei dati rispetto ai problemi che si sono creati per noi, e, quando abbiamo potuto, abbiamo cercato di segnalare la presenza dei black bloc.
Lei però mi sta chiedendo se abbia delle informazioni sui black bloc quando gli otto servizi segreti più potenti del mondo, con tutte le informative che possono avere e con i blocchi alle frontiere, sono riusciti a far sì che arrivassero tutti questi gruppi violenti nel centro di Genova, lasciandoli liberamente «scorrazzare». Lei capisce che è come chiedermi perché non si sia riusciti noi stessi a fermare i black bloc dopo che il 21 luglio aveva telefonato il dottor Mortola. Noi in quella circostanza siamo stati chiarissimi, invitandolo ad agire, in quanto sia egli sia le forze di polizia avevano l'autorità e gli strumenti per farlo, mentre noi non avevamo né l'uno né gli altri.
Una seconda questione riguarda i rapporti con le forze dell'ordine: è stato ricordato come vi siano stati nei giorni precedenti alle manifestazioni, così come nei giorni 19, 20 e 21, frequenti contatti con la questura di Genova, con i dirigenti della Polizia. Come erano organizzati questi rapporti? A cosa erano tesi? Mi è sembrato di capire che si tentasse di governare gli eventi. Ci sono stati rapporti anche con altre forze di polizia (Carabinieri, Guardia di finanza) presenti in piazza in quei giorni?
Terza questione: dalla documentazione che è stata consegnata mi è sembrato di capire che la manifestazione attaccata il giorno 20 in via Tolemaide fosse fin lì autorizzata; fu cioè vietato a tale manifestazione di proseguire per una parte del percorso che, però, non era ancora stato intrapreso quando iniziarono le cariche. Vorrei avere conferma di questo fatto. Inoltre desidererei sapere se, accanto alla denuncia riportata nella sua relazione rispetto ad atteggiamenti «strani» e verifiche effettuate nelle sedi dei centri di accoglienza, ce ne siano state delle altre in relazione a situazioni o presenze equivoche.
Vorrei poi sapere dal signor Kovac, che è stato chiamato in causa a più riprese nelle audizioni precedenti in relazione ad una telefonata che avrebbe preceduto la perquisizione alla scuola Diaz, con chi ebbe quella telefonata e quale fosse il suo contenuto.
Le ultime informazioni che vorrei avere sono relative alle vicende che si sono registrate alla caserma di Bolzaneto (nella relazione non vi è infatti praticamente cenno alla situazione relativa ai fermati e agli arrestati in seguito alle manifestazioni ed alla perquisizione alla scuola Diaz) e all'eventuale presenza in piazza, nei giorni delle manifestazioni del 20 e del 21 luglio, di esponenti e organizzazioni fasciste o neofasciste. Tale presenza è stata infatti una questione ripresa più volte nel corso del nostri lavori e di cui si parla in alcune informative sia dei Servizi segreti sia della DIGOS e dell'UCIGOS, nonché nell'ordinanza del questore del 12 luglio. Considerato che a tal proposito abbiamo ricevuto sia smentite sia conferme, vorrei sapere se voi - dottor Agnoletto o altri oggi presenti all'audizione - eravate a conoscenza di eventuali notizie in merito a tale presenza, così come si era vociferato nei giorni precedenti e come era stato confermato, lo ripeto, anche dai rapporti dei servizi segreti e della DIGOS/UCIGOS.
Noi abbiamo sempre chiesto, prima come Patto di lavoro e poi come Genoa social forum, la contemporaneità nell'organizzazione degli eventi, cioè negli stessi giorni in cui si sarebbe dovuto svolgere il G8 e comunque non prima. Riguardo alla modifica dei comportamenti governativi, ciò risulta agli atti; bisognerebbe chiederlo a chi governava e a chi governa.
Per quanto riguarda i contatti con le forze dell'ordine, sono già stati illustrati. In particolare, ho avuto alcuni incontri: il 24 giugno con De Gennaro e Andreassi, il 28 con i ministri (tra gli altri soggetti era presente anche De Gennaro). C'è stato poi l'incontro del 30 e quello relativo all'informativa sui proiettili a me indirizzati, il 18.
Per il resto si sono susseguite una serie di telefonate, soprattutto in situazioni di difficoltà. Quando si è verificata la vicenda
Mi risulta che non abbiamo mai avuto contatti con i Carabinieri e la Guardia di finanza. Il problema è che abbiamo avuto solo contatti formali; il Governo ha sempre mandato agli incontri il capo della Polizia ed il vicecapo della Polizia. Ciò che è accaduto il 20 luglio ha avuto altri protagonisti: i Carabinieri. Noi quindi - lo ripeto - non abbiamo partecipato agli incontri dove si è sempre presentata la Polizia.
Relativamente alla questione di via Tolemaide - poi lascerò parlare Chiara Cassurino che si trovava in quel corteo poiché faceva parte delle tute bianche - non abbiamo denunciato altri luoghi dove si erano insediati i black bloc perché non li conoscevamo e non li conosciamo. Qualcuno può dire che si è trattato di debolezza e di ingenuità, ma non esisteva un sistema informativo particolare del Genoa social forum, che era e rimane un coordinamento di associazioni.
Relativamente a Bolzaneto, si tratta di una vicenda che segue le giornate di Genova, in merito alla quale disponiamo di tantissimo materiale, documentazioni, testimonianze che i nostri avvocati hanno ritenuto di consegnare alla magistratura nell'ambito delle inchieste.
Relativamente alla questione delle organizzazioni fasciste, consegneremo tutto il materiale alla magistratura. Tuttavia, posso dire che è arrivata una telefonata (probabilmente il 18, sera in cui si sarebbe tenuto il concerto di Manu Chao) da parte di una persona che desiderava parlare con qualcuno. Poiché la questione sembrava delicata, sono stato chiamato per andare a rispondere. La ragazza ci ha dato alcuni riferimenti precisi in merito a due pullman di esponenti di estrema destra che sarebbero partiti da una certa zona (alcuni come volontari e altri coinvolgendo non gratuitamente tifoserie di calcio della destra) dicendomi: «Mi risulta che sono già arrivati a Genova e sono collocati in alcune zone». Dopo aver ricevuto l'informazione in questione, ne ho parlato con gli altri portavoce con cui al momento ero in riunione (eravamo, mi pare, 18) per adottare la decisione più saggia. Di una notizia di tale tipo non si può fare un manifesto. Abbiamo telefonato alle forze dell'ordine per comunicare la segnalazione che ci è stata fatta e abbiamo chiesto loro di provvedere. Per i dati che ci sono stati forniti (dal modo indicatoci per individuare la persona che ci ha telefonato), l'informazione ci è sembrata credibile. Dopo due ore mi hanno richiamato dalla questura (credo che fossero le 10 perché stavo andando a fare un intervento al concerto di Manu Chao) e mi hanno detto: «Dottor Agnoletto, sia tranquillo, abbiamo controllato, non c'è assolutamente nulla; non c'è ombra di presenza di estrema destra, a noi non risulta».
Posso semplicemente dire, data anche la delicatezza della questione, di cui si deve occupare la magistratura, che questa persona ci ha richiamato, al termine delle vicende di Genova, e ci ha confermato quanto detto. Ha avuto la conferma da queste persone in merito a ciò e si è resa disponibile a testimoniare; noi pensiamo che sia giusto che lo faccia. Ovviamente la sua testimonianza non è relativa solo ad una presenza poiché è a conoscenza di alcuni fatti, i cui protagonisti sarebbero persone di estrema destra, fatti che successivamente sono accaduti. Ripeto, si tratta di una questione che presenta aspetti di delicatezza e di riservatezza per la persona che si espone e quindi pensiamo che se ne debba occupare la magistratura.
Potrei anche specificare che il lunedì successivo il dottor Mortola mi ha richiamato per un altro motivo chiedendomi un parere sulla questione della Diaz, senza accennarmi al fatto, poi riportato dai verbali, riferito dal dottor Colucci, che io sarei stato informato. In quel momento non mi trovavo alla Diaz, ma a piazzale Kennedy. Se fossi stato informato, sarei andato immediatamente sul posto, come è capitato nei giorni in cui si sono verificati problemi in tutte le strutture che erano sotto la mia responsabilità.
Rispondo alla domanda del senatore Iovene per confermare che in via Tolemaide la carica che il corteo ha subìto è stata effettuata all'incrocio fra corso Torino e la stessa via Tolemaide, a circa 500 metri, pertanto, prima della fine di via Tolemaide e quindi del luogo in cui l'autorizzazione alla manifestazione esauriva i suoi effetti. Peraltro, vorrei aggiungere che alla fine di via Tolemaide, e precisamente in prossimità della stazione di Brignole, si potevano scorgere reparti schierati della Polizia di Stato italiana in divisa di colore blu, con un funzionario che indossava una fascia tricolore. Ritengo di non dover aggiungere altro.
La seconda domanda: vi dichiarate pacifisti, tuttavia più volte abbiamo sentito affermare, in particolare nei suoi interventi e in quelli di altri esponenti del Genoa social forum:« Sfonderemo la zona rossa. Lo Ya Basta! ha dichiarato:» Il nostro scopo sarà quello di invadere la zona rossa, usando il corpo come strumento di impatto «. Matteo Iade, esponente delle tute bianche, ha dichiarato:» Circa le strategie della manifestazione vi sono due grossi filoni metodologici: l'assedio e l'invasione della zona rossa «.
In un libro intitolato « Da Seattle a Genova » pubblicato dal movimento delle tute bianche si afferma:« Il Genoa social forum è riuscito a chiarire quali modalità di lotta metterà in atto nei giorni della protesta: 1) assediare la zona rossa; 2) invaderla e ignorarne i divieti.» Non vi rendete conto che già tale terminologia trasuda violenza (Commenti del deputato Mantovani) e che tale tipo di obiettivo, messo sul campo a contatto con componenti anche estranee alla vostra, totalmente violente, ha contribuito ad accentuare la miscela infernale di cui parlavamo in precedenza e che si è vista sul campo?
Terza domanda: non vi è dubbio che le manifestazioni e le iniziative del Genoa social forum sono state attraversate dalle azioni di violenza italiane e straniere. Il concetto di servizio d'ordine non prevede soltanto la presenza di persone che, fisicamente, emarginino i violenti, bensì anche l'attivazione di iniziative che prevengano l'inquinamento delle manifestazioni da parte dei facinorosi, prime fra tutte la segnalazione all'autorità di fatti o notizie utili a prevenire la violenza. Vorrei chiederle, essendo stato lei un interlocutore delle forze politiche e del Governo, se tale azione di prevenzione sia stata svolta o se sia stata negata. Lo dico perché in una dichiarazione del 28 giugno, lei dichiarava: «Terremo lontano chiunque cerchi lo scontro fisico. Dobbiamo ancora pensare a come organizzare un servizio d'ordine nel corteo, ma non accetteremo gruppi violenti».
In una nota ANSA del 19 luglio era scritto che il portavoce del Genoa social forum, Vittorio Agnoletto, aveva annunciato che per il grande corteo pacifico e non violento di sabato 21 luglio sarebbe stato organizzato un servizio d'ordine. Perché poi tale servizio d'ordine non c'è stato ed anzi addirittura si è teorizzato il contrario?
Le chiedo inoltre se, considerato lo scopo pacifista di partenza, corrisponda al vero ciò che è detto anche nella sua relazione, ossia che il corteo di ventimila manifestanti che partiva dallo stadio Carlini aveva alla testa alcune file di scudi collettivi montati su strutture mobili. E comunque, quali sono i rapporti tra le varie organizzazioni qui presenti e le tute bianche?
Un'altra domanda: vi siete dichiarati contrari alla chiusura delle frontiere. Alla luce di ciò che è avvenuto ed anche della fortissima presenza fra i black bloc di componenti straniere, ritenete che quella vostra presa di posizione sia stata valida? Qui è stata tracciata una ricostruzione del confronto con i Governi. Ad un certo punto l'architetto Paolini è stata delegata a tenere i rapporti con le associazioni che rappresentate. Ciò ha facilitato il rapporto o si è trattato di un'iniziativa pura e semplice del Governo Amato?
Un'ulteriore domanda: nella lettera che voi avevate inviato l'11 aprile salutavate positivamente il fatto che il Governo Amato avesse rinunciato a porre la questione relativa alla sospensione degli accordi di Schengen e che avesse accettato la concomitanza delle manifestazioni. Come mai avete affermato ciò? Infatti, successivamente, nei giorni 13 e 14 luglio, ciò si ritrova come presa d'atto del Governo, ossia quando oramai le manifestazioni dovevano tenersi.
Un'altra domanda: lei il 28 giugno, in occasione di un forum sulla stampa, avanzava un dubbio che riporto testualmente:« Qualcuno pensa o spera che i giorni segnati da gravi incidenti possano portare alla sconfitta del Genoa social forum e ad una critica di massa al Governo, incapace di gestire la situazione, consentendo in questo modo ad una sinistra moderata e liberista di raccogliere cocci ed onore ». Dopo gli eventi recenti, conferma tale giudizio o lo ha modificato totalmente?
Infine, un'ultima domanda: si è presentato alle elezioni politiche per Rifondazione comunista (Commenti del deputato Mantovani)?
Sull'organizzazione del Genoa social forum, noi ci siamo strutturati con un consiglio di portavoce composto da 18 persone rappresentative delle associazioni e che, come ho già spiegato, avevano come riferimento delle aree di affinità, nel senso che, non potendo fare un consiglio di centinaia di persone, le associazioni più grandi tenevano i contatti terminali con le altre.
In questo consiglio dei portavoce il mio ruolo era quello di presentare, soprattutto all'esterno, la sintesi del dibattito che il più delle volte è apparso ampiamente sui media, sui giornali. In occasione delle iniziative, nelle piazze tematiche del 20 luglio, dove erano presenti diverse associazioni o sindacati, avevamo preparato e consegnato una cartina ai giornali per far sapere a tutti dove si andava. Se dovevo sentire quelli di piazza Da Novi, sentivo il portavoce dei Cobas che era nel consiglio; se dovevo sentire quelli della CUB, che stavano a Ponente, sentivo il loro rappresentante, e via dicendo; lo stesso per il corteo delle tute bianche e per la Rete Lilliput, cioè per piazza Manin. Questo era il nostro modo di operare.
Per quanto riguarda la manifestazione dei migranti del 19 luglio, l'organizzazione era costituita dai rappresentanti di coloro che si occupavano delle associazioni dei migranti, che avevano un loro portavoce tra i 18 del consiglio dei rappresentanti delle associazioni. Mi permetto di dire - non voglio dare lezioni a nessuno - che si tratta di un grandissimo risultato. Siamo riusciti a tenere insieme, o meglio, a stare insieme - perché nessuno li ha tenuti insieme - tra realtà così diverse, sulla base della sottoscrizione di due documenti: il Patto di lavoro, relativo alla critica a questo tipo di globalizzazione, e la dichiarazione solenne del 5 giugno sulle forme di azione pacifiche e non violente. Anzi, lavorando collettivamente, con questa contaminazione - per fortuna questa volta non di virus, ma di idee - qualcuno ha fatto delle scelte aiutato da altri: mi sembra una cosa molto positiva.
Riferendomi alla seconda domanda, sicuramente c'è stato a volte un problema di linguaggio: l'ho detto pubblicamente. Noi dobbiamo imparare - ma questa è una questione culturale complessa - ad abbandonare certi linguaggi di violenza da cui siamo bombardati in questa società. Per esempio, a un certo punto abbiamo cercato di non usare più il termine «assedio» della zona rossa, ma «liberare» il centro di Genova, che noi riteniamo occupato dai grandi del G8, ma poi il piano della comunicazione non è sempre così semplice.
Tuttavia, per rispondere alla sua domanda, mi sembra che il nodo che lei pone, se ho capito bene, è la questione della disobbedienza civile. Non vorrei essere presuntuoso, ma credo di poterle ricordare che la disobbedienza civile ha una lunga tradizione all'interno dei movimenti pacifisti e non violenti. Abbiamo tutti l'esempio del grande maestro, Gandhi, che, con la marcia del sale, realizza un atto di disobbedienza civile. Qual è la caratteristica della disobbedienza civile? Una persona si assume la responsabilità di non rispettare una norma che non ritiene accettabile sul piano etico e
A questo proposito c'è stato un grande problema, che vi vorrei porre: all'interno di alcuni pezzi del GSF noi abbiamo fatto quest'opera di pratica di disobbedienza civile, nell'ambito di un quadro democratico costituzionale. Il Capo della Polizia ci ha detto che avrebbero trattato bene i buoni e male i cattivi, affermando che il livello di repressione sarebbe stato correlato alle misure adottate: quindi, se uno avesse tentato di passare la linea rossa senza strumenti di offesa, ci sarebbe stato un certo livello di risposta. Il problema è che è successo altro! C'erano blindati che andavano a 60 all'ora, c'è stato chi ha sparato, c'è stata la violenza micidiale e documentata. Pertanto, si è determinato un grosso problema per chi ha preparato un percorso di disobbedienza civile, all'interno di un quadro democratico, perché non tutti sono Gandhi. Lo dico con chiarezza: questo è stato il problema al quale ci siamo trovati di fronte. A voi parlamentari vorrei anche dire che ci preoccupa moltissimo il rischio di una costrizione, di un restringimento degli spazi di democrazia pacifici e non violenti, perché questa restrizione nella storia è sempre stata pericolosa per gli effetti che può produrre.
In relazione alla terza questione, speravo che nessuno mi ponesse questa domanda, perché mi mette profondamente a disagio che dei rappresentanti del Parlamento chiedano a noi, quasi rimproverandoci, perché non abbiamo organizzato dei servizi d'ordine. Mi chiedo: siamo in uno Stato da Far West...
Noi abbiamo scelto una pratica pacifica e non dovevamo costituire, in qualche modo, pezzi separati di servizio d'ordine, che vanno per conto loro. Il problema che ci siamo posti, visto il livello di tensione, era come poter difendere il corteo. Noi, che eravamo lì, come sono io adesso, abbiamo tentato di fare un servizio d'ordine tenendoci per mano ma è stata una cosa che non ha retto minimamente. Le dico con molta tranquillità, ed è quanto ho dichiarato nelle due date da lei ricordate, a giugno e a luglio, che questo è il discorso che abbiamo fatto; infatti nel corteo del 21 luglio abbiamo tentato di fare il servizio d'ordine tenendoci per mano, ma ciò non è stato minimamente sufficiente rispetto allo scenario.
Oggi è in corso una discussione nel Genoa social forum sul modo per tutelare in futuro le nostre iniziative: si tratta di una discussione difficile, perché non vogliamo costruire gruppi separati. Questo è ciò che è avvenuto, così come l'abbiamo vissuto.
Per quanto riguarda la quarta domanda, per quello che mi compete, mi pare di aver risposto.
Sulla questione della chiusura delle frontiere, il problema è che, dopo aver applicato la clausola restrittiva, secondo gli accordi di Schengen - perché questo è quanto è avvenuto - è accaduto esattamente il contrario di quello che ci era stato detto. Infatti, i pacifisti greci, mi pare del gruppo Synaspismos, sono stati bloccati, per di più anche con interventi «extraterritoriali» delle forze dell'ordine sulla nave; alcuni treni sono stati bloccati al
Alla domanda riguardante la dottoressa Paolini risponderà Raffaella Bolini, che al riguardo è più competente.
Per quanto concerne la questione della concomitanza delle manifestazioni, abbiamo diffuso il comunicato l'11 aprile - come documentato - e non abbiamo ottenuto alcun tipo di risposta; rinvio, quindi, alla documentazione depositata.
Il 28 giugno abbiamo partecipato all'incontro menzionato in precedenza, dove abbiamo detto quanto riferito; dopodichè abbiamo ripreso il 16.
Onorevole Cicchitto, qual era l'ultima domanda?
Credo che tale domanda implichi dei giudizi e non credo che siamo qui per esprimere giudizi. Ritengo che sia avvenuto qualcos'altro di estremamente grave (ma questa è una mia ipotesi). Il problema è quello che ha posto prima Raffaella Bolini, cioè come mai ad un certo punto, nonostante le rassicurazioni che ci erano state date, a seguito degli incontri cui avevamo preso parte, sia saltato tutto. Mi chiedo quale sia l'elemento nuovo - che noi non comprendiamo - che si è inserito il 20 luglio e cosa sia accaduto il 20 luglio, quando abbiamo trovato le nostre piazze occupate dai black bloc ed è successo ciò che tutti conosciamo, con le cariche indiscriminate e così via. Ciò non rifletteva quanto ci era stato detto da De Gennaro e che puntualmente alla fine delle riunioni riportavamo. Credo, quindi, che sia accaduto qualcosa di molto diverso. Mi fermo qui, perché non credo di dover avanzare delle ipotesi; d'altra parte, siete voi che avete il compito di accertare la verità.
Molti di noi avevano aderito al Genoa social forum e avevano partecipato al movimento per la globalizzazione democratica proprio a partire dall'esperienza di volontariato e di cooperazione internazionale, così come molti di noi, ed io personalmente, avevano partecipato all'esperienza del tavolo di coordinamento come animatori dalla parte della società civile. Pertanto, avendo visto i risultati prodotti da quel tipo di esperienza ed avendo constatato che la dottoressa Paolini aveva
Abbiamo sperimentato il rapporto con la dottoressa Paolini, in generale, per ciò che riguarda le relazioni fra Genoa social forum ed istituzioni, ma alcune delle associazioni ed organizzazioni che fanno parte del Genoa social forum l'hanno anche sperimentato in occasione dell'incarico affidatole nel progetto GNG a cui avevano partecipato.
Per quanto riguarda il rapporto tra Genoa social forum e istituzioni per la soluzione della questione relativa alla gestione delle manifestazioni a Genova, credo che in qualche modo la dinamicità, l'intelligenza, l'esperienza e la competenza che avevamo constatato nell'opera della dottoressa Paolini si siano potute esercitare poco, perché per molto tempo la macchina del rapporto fra istituzioni e GSF è rimasta completamente bloccata. Certamente eravamo informati di tutto il lavoro che lei svolgeva a livello istituzionale, ma mancava l'oggetto del contendere. Ci aspettavamo, infatti, di essere chiamati ad affrontare e risolvere, con il suo aiuto, tutti i problemi legati all'accoglienza e speravamo di poterlo fare in sei mesi; invece, siamo stati costretti ad affrontarli e risolverli in 15 giorni.
Da questo punto di vista, abbiamo potuto godere del suo supporto, con la limitazione dovuta al fatto che quello che pensavamo sarebbe stato un rapporto di collaborazione, magari della durata di un anno, per preparare bene la manifestazione di Genova, in realtà poi si è ridotto ad un meccanismo di pressione alla ricerca di questo rapporto, mentre il vero e proprio lavoro di confronto si è realizzato in pochissimo tempo; potete immaginare la fatica che ciò ha comportato per noi ed, immagino, anche per lei.
Constatato che nessuno ha intenzione di intervenire, procediamo pertanto nello svolgimento del dibattito. Dottor Bobba, lei può rimanere fino a quando lo ritiene opportuno; noi la ringraziamo sin d'ora per la sua collaborazione.
Per quanto mi riguarda, formulo innanzitutto due richieste di precisazione. La prima riguarda la presenza dell'estrema destra alle manifestazioni; avevo posto tale questione, ricordata dal dottor Agnoletto, al dottor De Gennaro, il quale aveva risposto di essere intervenuto in quel frangente senza riscontrare nulla.
Avevo anche rivolto un'altra domanda relativa al fatto che nell'ordinanza del 12 luglio del questore si faceva riferimento alla presenza di 25-30 personaggi dell'estrema destra provenienti da Torino che avrebbero tentato, attraverso alcune lamette, di fare provocazioni nel corteo delle tute bianche. Avevo chiesto al questore se ciò fosse stato oggetto di un confronto col Genoa social forum; poiché vi è questa interlocuzione, di fronte ad una segnalazione così precisa ed anche preoccupante, ritenevo che ciò dovesse rientrare in un rapporto costruttivo che mi sembrava si fosse intrapreso. Vorrei un'opinione al riguardo; in particolare, vorrei sapere chi di voi abbia intrattenuto tali rapporti.
Infine, l'ultima domanda riguarda la questione dell'autorizzazione del corteo del 20 luglio presso lo stadio Carlini. Dopo aver preso visione della documentazione che ci avete fornito, ho compiuto alcune verifiche; in effetti anche il questore ci ha detto di aver ricevuto il 19 luglio il preavviso
Lo stesso capo della Polizia sulla questione del corteo e dell'autorizzazione fa riferimento a tutto ciò che è avvenuto e parla di un affollato corteo non autorizzato, visibilmente già predisposto ad affrontare i reparti di polizia.
A tale proposito, vorrei capire se voi abbiate avuto un chiarimento diretto (oltre ai pezzi di carta che si comprendono da un punto di vista formale) con la questura o con il capo della Polizia.
Circa la questione della presenza di estremisti di destra, posso solo dire che la segnalazione a cui mi riferivo è ulteriore rispetto a quella di Torino (erano provenienti da altra zona). In quella occasione ho parlato con Andreassi (poi, invece, mi ha richiamato un altro funzionario della questura) ed ho spiegato anche in quale zona a noi risultavano accampati e in quale zona risultavano sistemati negli alberghi. Di questo non vi è mai stata alcuna altra segnalazione, neanche da parte delle forze dell'ordine.
Ho davanti proprio i miei appunti di quel giorno in cui De Gennaro ci spiega come avremmo dovuto fare. Ci ha detto che non avremmo avuto autorizzazioni alle manifestazioni perché in Italia - come si sa - una manifestazione non si può svolgere solo se è vietata, dato che il diritto a manifestare è garantito dalla Costituzione; dunque, la regola è che le manifestazioni si possono svolgere. De Gennaro ci disse di comunicare in questura l'intenzione di manifestare in determinate piazze, di svolgere il corteo da un certo punto ad un altro e di attendere tre tipi di risposte. Se non ci avessero risposto, avrebbe significato che la richiesta era stata accettata. Se ci avessero risposto, sarebbe stato o per vietare la manifestazione in questione o per fornire alcune prescrizioni (è il caso, ad esempio, del corteo di cui stiamo parlando, che non è stato vietato ma sono state segnalate alcune prescrizioni: il corteo non sarebbe dovuto arrivare oltre un certo punto del percorso). Noi ci adeguiamo alle indicazioni di De Gennaro alla fine di quella riunione; nel momento in cui vengono chiarite le dinamiche, gli orari ed i luoghi delle varie manifestazioni noi comunichiamo in questura l'intenzione di svolgere manifestazioni in determinati luoghi e con determinate caratteristiche.
Avevamo un gruppo di lavoro del Genoa social forum che si occupava delle manifestazioni, del loro coordinamento e della loro organizzazione. In particolare, abbiamo discusso a lungo sulle manifestazioni del 20 perché, essendo previste per l'accerchiamento del vertice diverse iniziative, ci siamo dovuti mettere d'accordo tra di noi su chi sarebbe andato in quella piazza, chi in quell'altra, sugli orari, e così via. Abbiamo presentato comunemente, a firma di tutte le organizzazioni presenti nel consiglio dei portavoce del Genoa social forum, la richiesta complessiva per le manifestazioni. Ci terrei a segnalare che, anche se è vero che dopo il 30 giugno non abbiamo più avuto incontri formali con il Capo della Polizia sulle questioni delle manifestazioni, abbiamo però avuto incontri tecnici. Le persone che rilasciavano le autorizzazioni, ovviamente, ci chiedevano il motivo della scelta di una particolare piazza o di un determinato orario; ci sono stati fatti dei rilievi, noi abbiamo posto delle questioni. Alcune volte parlavamo a nome di tutto il Genoa social forum, in altri casi andavano i promotori delle diverse manifestazioni. Mi riferisco, ad esempio, ai sindacalisti della CUB che, ossessionati dall'idea di vedere i manifesti in tutta Italia con l'indicazione del corteo, senza saper dire da dove sarebbe partito, stavano in questura un giorno sì e un giorno no a cercare di «spingere» perché il loro corteo venisse autorizzato.
Quindi, anche se formalmente non abbiamo più avuto incontri, vi sono state, però, molte occasioni di dialogo che hanno consentito di conoscere compiutamente il quadro delle manifestazioni prima che queste si svolgessero.
Nel documento del 5 giugno 2001 avete scritto che uno degli scopi delle manifestazioni sarebbe stato l'isolamento della zona rossa il 20 luglio. Vi siete espressi dicendo che sarebbe stata un'iniziativa comune, che si sarebbe svolta attraverso azioni molteplici e diverse: con la contestazione e la disobbedienza, con l'accerchiamento dei corpi e delle parole, con la disobbedienza al divieto di accesso alla zona rossa. Le chiedo allora come si intendesse disobbedire al divieto di accesso alla zona rossa: si tratta di parole che sono tutto sommato sinonimo di quelle usate da coloro che avevano detto che intendevano sfondare la zona rossa in termini assolutamente pacifici, quali erano quelli che voi vi proponevate. Le chiedo, dunque, atteso che esisteva un divieto, che esso era largamente «protetto» e che a difesa dell'osservanza del medesimo era schierata la Forza di polizia, come avreste inteso pacificamente non ottemperare al divieto, rectius sfondare la zona rossa e con quali pacifici strumenti.
È stato riferito che venne trovato un furgone attrezzato con medicamenti e che anche nella scuola era stata allestita una sorta di infermeria. Così è stato riferito, ma lo dice anche lei nell'allegato in cui parla delle attrezzature sanitarie: perché avevate previsto tali attrezzature? Evidentemente, dovevate aver previsto anche atti di violenza.
Conseguentemente, le domando da chi pensavate che sarebbero venuti gli atti di violenza se la partecipazione e l'intervento degli uomini del blocco nero sono stati - così come lei ha detto, aggiungendo, anzi, per imprevidenza delle forze dell'ordine - del tutto imprevisti.
Oltre a quanto scritto da lei e da tutto il Genoa social forum il 5 luglio, era a conoscenza della dichiarata intenzione delle tute bianche di portare il corteo a sfondare la zona rossa?
Inoltre, lei che ha partecipato ai cortei e li ha seguiti, ha avuto occasione di vedere manifestanti (parrebbe - il condizionale è d'obbligo - appartenenti alle tute bianche; in ogni caso, manifestanti da definirsi pacifici) che abbiano «coperto» (perché ciò è stato riferito) persone certamente violente e vestite di nero, al fine di impedire alla polizia di raggiungerle e di isolarle?
Ancora, devo osservare che, ripetutamente, anche nelle risposte, avete detto che vi è stato impedito di manifestare pacificamente. La domanda è: vi è stato impedito perché non siete stati tutelati a sufficienza oppure perché sono state vietate alcune manifestazioni? Nel caso fosse giusta la prima ipotesi - quella della inadeguata tutela da parte della polizia dei manifestanti pacifici -, come collega questo fatto con quanto da lei sostenuto, mi pare proprio ieri, in sede europea, e cioè che in Italia sarebbero stati sospesi i diritti democratici, in particolare il diritto a manifestare?
Abbiamo sempre chiarito - come risulta da conferenze stampa e articoli di giornale - che potevamo, ovviamente, parlare e rilasciare dichiarazioni a nome del Genoa social forum; non a nome di tutti coloro che sarebbero venuti a Genova. Non possediamo l'onnipotenza!
Da parte del Genoa social forum è ovvio che io le risponda che non abbiamo visto assolutamente alcun tipo di violenza. Altrettanto ovvio è che sapevamo - e lo sapevano tutti, perché bastava leggere i giornali, anche se, forse, trattavano dell'aspetto in modo un po' troppo da «romanzo» - della possibile presenza del blocco nero, anche alla luce di quanto avvenuto in altre città. Quindi, noi - proprio per chiarire che rappresentavamo altra cosa e che avevamo un patto che ci legava sulla non violenza - abbiamo condotto tutta l'operazione nella trasparenza. Infatti, abbiamo comunicato ogni passo,
Quindi, e arrivo alla terza domanda, sempre in tale ottica, c'è stata sempre estrema trasparenza e visibilità sul fatto che alcune delle organizzazioni e delle associazioni aderenti al Genoa social forum avrebbero praticato la disobbedienza civile attraverso l'utilizzo anche degli scudi; peraltro, si è trattato anche, a mio avviso, di episodi soltanto mediatici: le riviste, i giornali erano pieni della storia sulla vestizione, gli scudi, eccetera. Quindi, la questione era assolutamente di pubblico dominio. Gli scudi, per definizione, servono per difendersi, non per attaccare; d'altra parte, dobbiamo ricordare la vicenda di Göteborg. Ricordate che, alla vigilia del vertice di Genova, ancora nessuno sa se il manifestante di Göteborg sia vivo o morto. Dunque, si è posto un problema di difesa per persone che hanno deciso di attraversare la linea rossa come atto di disobbedienza. Inoltre, se non sbaglio (è presente nella memoria da noi consegnata), proprio il 19 mattina si svolge la perquisizione da parte delle forze dell'ordine allo stadio Carlini, durante la quale vengono trovati gli scudi. Dunque, non erano nascosti e, infatti, vengono considerati legittimi, non vengono requisiti. Pertanto, la terza domanda che lei mi ha rivolto credo sia collegata alla quarta: mi riferisco a quando lei dice cioè che nella nostra dichiarazione del 5 luglio parliamo di accerchiamento dei corpi e delle parole nonché di disobbedienza rispetto alla zona rossa. È evidente che, se all'interno del Genoa social forum una parte pratica la disobbedienza civile - e questa viene riconosciuta come una pratica pacifica e non violenta dall'insieme del movimento -, la stessa parola, tuttavia, dice «disobbedienza». Quindi, chi la pratica - come sempre, in tutto il mondo, nella storia della disobbedienza civile - se ne assume la responsabilità penale nonché i rischi fisici, connessi appunto all'uso sia pure non violento, civile e senza strumenti offensivi, della disobbedienza.
Quindi, gli scudi erano uno strumento di difesa nei confronti di una prevedibile reazione delle forze dell'ordine rispetto al fatto che una parte dei manifestanti avrebbe cercato pacificamente di entrare nella zona rossa. Ho forse sbagliato la domanda ?
È chiaro che ci sarebbe stata una reazione, come diceva De Gennaro, commisurata alla pratica: un tentativo di passaggio non violento, solo con gli scudi, è diverso da altri tipi di pratiche. Tutto questo non c'è stato ed era il terreno su cui le persone che hanno deciso di praticare la disobbedienza civile si sarebbero assunte la loro responsabilità; c'è stata un'altra vicenda, che documentiamo tramite una memoria, quella relativa al comportamento dei carabinieri che hanno attaccato un corteo assolutamente pacifico che stava percorrendo una zona autorizzata: questa è la situazione che si è determinata.
Dal mio punto di vista, il problema è di capire se esista la possibilità di coniugare un atto di disobbedienza con un atto pacifico: in proposito vi è una lunga tradizione storica di personaggi, che meritano ben altre citazioni rispetto a noi, lo diciamo in punta di piedi, e quindi pensiamo che chi ha tentato di praticare quella iniziativa si sia voluto richiamare a quel filone.
La quinta domanda è relativa al furgone attrezzato per i medicamenti. Vorrei fare una precisazione perché su questo punto vi è stata una grande confusione. Il servizio sanitario del GSF operava nella scuola Diaz, dove c'era il centro stampa, non nella scuola Pertini. Provi a mettersi nei nostri panni ed a leggere su tutti i giornali notizie di camere mortuarie che si preparavano, di armi di tutti i tipi che dovevano arrivare, di campi di preparazione e di allenamento per nuovi strumenti da utilizzare in piazza e via dicendo; poi pensi alle storie precedenti, come Göteborg.
Avete già sostenuto che, forse, siamo stati degli irresponsabili perché non abbiamo organizzato il servizio d'ordine, ma si rende conto che, se non avessimo organizzato un minimo di assistenza sanitaria - lo affermo anche come medico - sul piano etico sarebbe stato inaccettabile, vista la difficoltà e il ritardo enorme con cui in quel contesto molte volte arrivano i soccorsi pubblici? Tra l'altro, con questi ultimi e con l'impiego delle varie ambulanze il servizio sanitario del Genoa social forum ha collaborato perché c'erano delle situazioni di emergenza. Persone che, come noi, hanno questo ruolo, ovviamente, hanno dovuto assolutamente prevedere tutto questo.
Sulla questione delle tute bianche e della zona rossa credo di avere già risposto. Lei mi dice che parrebbe che le tute bianche abbiano difeso i neri: no, è successo altro. Anche nei cortei delle tute bianche sono state bloccate ed espulse - e anche su questi episodi vi sono documentazioni filmate - persone che volevano praticare scelte diverse da quelle del Genoa social forum e che avevano cercato di inserirsi all'interno di quel percorso.
Poi vi sono altre testimonianze, ma tutto ciò fa parte di accertamenti, dei quali non vi abbiamo portato la documentazione, circa episodi relativi all'espulsione di qualcuno dal corteo. Vi sono testimonianze di alcune di queste persone che hanno un diverso rapporto con i carabinieri: questo è ciò che è avvenuto. Sono a conoscenza che oggi pomeriggio ascolterete Luca Casarini, ma non è un mistero che egli sia stato accusato da determinate aree di aver tenuto lontano le tute nere: tutto ciò mi sembra importante.
La penultima domanda verteva sulla questione relativa alla mancata effettuazione di manifestazioni democratiche. È evidente che le manifestazioni erano state autorizzate, quindi vi era stato un aspetto di rispetto formale della democrazia, a cui non è conseguito un rispetto reale, perché quelle autorizzazioni non si sono tradotte in un diritto a manifestare: il corteo delle tute bianche è stato attaccato dalle forze dell'ordine quando seguiva un percorso autorizzato. Non parliamo di quello che è successo ai manifestanti di Lilliput che, camminando con le mani colorate di bianco verso l'alto, ne hanno prese più che a sufficienza; in piazza Dante sono stati lanciati anche i lacrimogeni.
Non è stato rispettato il diritto di manifestare, anche se le dimostrazioni in piazza Dante e piazza Manin erano state autorizzate.
Passando all'ultima domanda, certamente io ho sostenuto - anche lì calibrando le parole - che vi sono stati momenti di sospensione della democrazia e mi riferivo alle giornate di Genova: a Genova il diritto costituzionale a manifestare in modo pacifico, ovviamente con la tutela delle forze dell'ordine, è stato, più di una volta e non per qualche minuto, sospeso. Ritengo anche che sia stato ampiamente sospeso (argomento che oggi stiamo trattando molto poco perché avete avuto varie audizioni, materiale e, soprattutto, perché non abbiamo voluto interferire con il lavoro della magistratura e dei nostri avvocati) in diversi atti di violenza compiuti dalle forze dell'ordine su manifestanti pacifici: lì si sospende il diritto democratico, perché esse hanno il dovere di tutelarlo, senza parlare di Bolzaneto ed altro, perché su quei fatti vi sono inchieste della magistratura.
Io ho ascoltato molto attentamente quanto avete riferito e risulta anche dalla relazione consegnata che vi è stata una dettagliata e costante azione di informazione di quello che sarebbe successo a piazza Manin, a piazza Dante e via dicendo.
Noi avevamo avuto sulla ricostruzione della questione dell'accerchiamento della zona rossa e delle piazze tematiche una diversa interpretazione dei fatti, vale a dire che quello che sarebbe successo nelle piazze tematiche era del tutto ignoto e che le informazioni che voi avevate fornito erano assolutamente generiche. Vorrei dunque conoscere esattamente - insieme a tutti gli altri colleghi - se le informazioni su ciascuna presenza, su ciascuna partecipazione e su ciascuna azione che avveniva in ognuna delle piazze tematiche corrisponde a quello che è stato enunciato per queste due.
Ancora, con riferimento al corteo che è stato coinvolto negli scontri di via Tolemaide, le informazioni che noi avevamo, desunte da precedenti audizioni che abbiamo svolto, dicono esplicitamente che il corteo non era autorizzato. L'ordinanza del 19 luglio del questore, invece, prevede un'altra cosa - come si evince dalla stessa ordinanza -, vale a dire che era vietato un tratto di corteo tra piazza Verdi, via XX Settembre e piazza De Ferrari.
Vorrei porvi alcune domande. In primo luogo, nel momento in cui avviene l'attacco al corteo, che il dottor Agnoletto ha indicato, questo corteo si trovava già nel tratto compreso tra piazza De Ferrari e piazza Verdi, cioè nel tratto vietato, oppure si trovava ancora nel tratto che non era stato vietato dall'ordinanza del questore?
Seconda domanda: chi ha comandato la carica? Si trattava di un funzionario di pubblica sicurezza cui la legge affida la responsabilità dell'ordine pubblico e la direzione delle operazioni?
Avete detto che davanti al corteo vi era un gruppo di contatto; nello svolgimento del corteo, che pare parta dallo stadio Carlini intorno alle ore 13,30, fino al momento in cui vi è stata la carica nei confronti dello stesso corteo, questo gruppo ha avuto contatti con responsabili dell'ordine pubblico che dovevano essere, secondo le altre ordinanze, a fianco o avanti ad esso, per occuparsi del corteo medesimo?
Vorrei chiedervi un'ultima cosa in merito a tale corteo: che cosa hanno incontrato i manifestanti dalla partenza fino al momento in cui il corteo è stato attaccato? Vorrei sapere, cioè, se vi erano, lungo il corteo, luoghi che erano stati già oggetto di precedenti manifestazioni, scontri, cariche, incendi, devastazioni e così via.
Ultime due domande, presidente. Vorrei che il dottor Kovac ci raccontasse in dettaglio, con maggiore precisione, il contenuto della telefonata intercorsa fra lui e il dottor Mortola, che a suo dire è avvenuta nell'intervallo di tempo tra le 21,30 e le 22,30 della sera del 21 luglio.
L'ultimissima domanda riguarda la questione delle luci. Il dottor Agnoletto ha detto che le luci erano accese, a noi è stato ripetuto più volte che le luci erano spente. Vorremmo comprendere cosa è successo alle luci nella cosiddetta people house. Dunque, c'è stata un'irruzione, una perquisizione, nonché feriti sia fra le forze dell'ordine sia tra i manifestanti. Dai documenti di cui voi disponete, risulta che luci fossero accese o spente? Chiedo ciò in modo che si possa comprendere cosa è successo. C'erano, ad esempio, elicotteri con fari accesi?
L'ultima domanda, presidente, riguarda la vicenda del centro stampa. Nelle precedenti audizioni abbiamo saputo che la perquisizione al centro stampa è avvenuta per errore e che il funzionario che dirigeva l'operazione o che aveva un'alta responsabilità nella vicenda avrebbe - non appena saputo di questo incidente di percorso (cioè, il fatto che sia stata effettuata
Seconda questione: dottor Agnoletto, quando lei è arrivato c'erano ancora i poliziotti all'interno? Inoltre, del materiale che è stato sequestrato e distrutto, quello sequestrato è stato restituito? Che fine ha fatto? Chiedo ciò perché ci è stato detto testualmente da chi abbiamo ascoltato che, se fossero stati sequestrati documenti, carte, hard disk e quant'altro - atteso che il sequestro era avvenuto in modo indebito -, il materiale sarebbe già stato restituito dal magistrato (testuali parole).
Presidente, volevo solo segnalarle che sono in debito di una risposta all'onorevole Mascia in merito a piazzale Kennedy.
Le informazioni sulle piazze sono state date in modo molto preciso e, oltretutto, faccio presente che nel documento che abbiamo consegnato al presidente si dice che il questore prende atto delle pubbliche manifestazioni stanziali nelle seguenti piazze: Manin, dello Zerbino, Paolo Da Novi, Dante e Carignano, che poi sono quelle nelle quali si sono verificate le cariche. Comunque, su tali aspetti vi è, poi, Fabio Lucchesi di Lilliput che chiedeva di poter dire una cosa.
Non dico nulla relativamente alle domande sulle tute bianche, in quanto c'è Chiara Cassurino; posso solo dire che a noi i documenti arrivati sono quelli (se poi dopo non li hanno autorizzati e si sono dimenticati di comunicarcelo, non lo so).
Per quanto riguarda la questione delle luci, esiste un video - un filmato di Indymedia - il quale dimostra che, al momento dell'ingresso delle forze dell'ordine, le luci erano accese.
Relativamente al centro stampa, quando sono intervenuti hanno travolto le persone che erano davanti, di cui possiamo fare i nomi (per esempio, Stefano Renzi, che è il responsabile dell'ufficio stampa del Genoa social forum). Questo relativamente alla Diaz. Il materiale che è stato asportato non ci è stato restituito, ma il problema è che mi risulta manchi anche un verbale di sequestro. Quindi, la questione è ancora più complicata.
Relativamente alle questioni delle tute bianche e di piazza Manin, lascerei la parola agli altri, nell'ordine che deciderà la presidenza.
Ci siamo quindi incamminati verso il corteo e ad un certo punto abbiamo visto, all'altezza di via Montevideo - non so se abbiate una cartina, ma comunque è facilmente rintracciabile - una carcassa di automobile che era stata data alle fiamme. Dal momento però che non usciva fumo, abbiamo immaginato - si vede, del resto, anche dalle immagini - che fosse stata incendiata molto tempo prima. Una cosa curiosa è che non abbiamo visto per terra, nei dintorni, alcun segno di «guerriglia» (sassi, bastoni); quindi la macchina è stata data alle fiamme, ma non c'è stata alcuna colluttazione tra chi ha incendiato la macchina e la polizia, perché non c'erano segni visibili.
Ad un certo punto abbiamo imboccato via Tolemaide, che, fra l'altro, è molto stretta (alla destra vi è anche il cavalcavia della ferrovia). È proprio un imbuto, infatti alcuni di noi la chiamano «trappola», perché è stata una trappola: ci siamo trovati lì dentro imbottigliati. Non abbiamo visto davanti a noi i carabinieri che poi ci hanno caricato, perché sono sbucati improvvisamente da corso Torino, svoltando di novanta gradi verso la testa del nostro corteo.
Premetto che quando siamo giunti all'angolo, abbiamo visto una cinquantina di individui - non vestiti di nero - che sembrava stessero tirando sassi, o altro. Abbiamo visto i carabinieri rincorrere, per un certo tratto, queste persone, le quali sono fuggite nel sottopassaggio che poi si immette in corso Sardegna; i carabinieri hanno desistito dall'inseguimento, hanno svoltato di 90 gradi e hanno caricato l'intero corteo. Questo è ciò che è successo.
Quindi, la carica non è stata ordinata da alcun funzionario, non c'era alcun funzionario in fascia tricolore che l'abbia ordinata. Noi ci siamo trovati i carabinieri davanti, con una improvvisa pioggia, incessante, di lacrimogeni, una carica a freddo, come si suol dire. Tra l'altro, in lontananza, si vedevano a Brignole. Io, personalmente, ho il mio gruppo di contatto che è il gruppo preposto per prendere, appunto, contatto con il funzionario. Sono, peraltro, rimasta coinvolta nella colluttazione, sono stata fortunatamente tirata dietro uno scudo e sono riuscita, in qualche modo, a proteggermi. Una parte del gruppo di contatto è riuscita a salvarsi ed ha cercato di percorrere la strada fino a Brignole per vedere se trovava un funzionario con la fascia tricolore, ma a quel punto - a parte la pioggia di lacrimogeni - era meglio salvarsi e cercare di respirare. Quindi, anche la parte del gruppo di contatto che si è spinta - come dichiariamo nella nostra relazione - un po' più avanti non ha incontrato, comunque, alcun funzionario in fascia tricolore.
Mi è stato chiesto se lungo il percorso della carica, avessimo avuto dei contatti, con il questore, le forze di polizia. Personalmente ero nel gruppo di contatto e non ho ricevuto alcuna telefonata. Posso anche assicurare che gli altri portavoce non hanno ricevuto telefonate e non c'è stato alcun colloquio con gli stessi. Tra breve sentirete anche Luca Casarini, che vi dirà se personalmente ha ricevuto telefonate. In quel momento, comunque, questa era la situazione.
Vorrei infatti comprendere come possa affermare, con grande sicurezza, che all'interno dei gruppi che si riconoscevano nel Genoa social forum - e che quindi partecipavano alle manifestazioni da voi programmate, comunicate e condotte - non vi fossero anche coloro che non avevano aderito alla «nonviolenza», che non volevano manifestare in maniera pacifica.
Allo stesso tempo, mi resta un altro dubbio sulla modalità di organizzazione della struttura della quale lei è portavoce. Devo fare un accenno seppure minimo al merito del vostro esistere e di un soggetto che manifesta legittimamente, con riconoscimento costituzionale; nel merito, contestate il diritto di otto vertici di assumere decisioni che riguardano i singoli Stati e la regolamentazione dei rapporti tra gli Stati stessi e che incidono, o possono incidere, anche su soggetti terzi. Vorrei sapere che tipo di logica si segua quando poi un soggetto che si costituisce senza uno schema, senza una verifica, senza una procedura di accertamento, manifesta, esprime pensieri, scende in strada, contrasta a nome di un soggetto globale, di una popolazione mondiale.
Rispetto al dato che lei annuncia, le richieste che lei rivolse al Governo per collaborare alla gestione di questo vertice - manifestanti e istituzioni - ricordo che lei aveva posto alcune condizioni: blocco alle frontiere, forze dell'ordine non armate ed altro. In sostanza, lei fa un'elencazione e da ciò deriva anche il suo atteggiamento di contestazione nei confronti dell'istituzione che non ha aderito immotivatamente - da quanto mi sembra di capire - a richieste a suo avviso scontate. Allora, data anche la sua esperienza nell'ambito dei movimenti di piazza e di organizzazioni, le chiedo: cosa avrebbe dovuto fare uno Stato per la sicurezza di una città, dei cittadini e delle strutture, ben sapendo che, anche quando si fa una processione
Rispetto all'impianto di sicurezza, mi sorge un altro dubbio. Non mi sembra di aver sentito alcun collega chiederle perché non abbiate provveduto voi alla tutela dell'ordine pubblico, ma era una domanda. Lei ha colto l'occasione comunque per dire che non eravate voi a dover provvedere all'ordine pubblico, ma le forze dell'ordine. Giustissimo.
Allo stesso modo, allora, le dico che non eravate voi a dover provvedere al pronto soccorso e all'assistenza sanitaria dei feriti ma le strutture che normalmente esistono e che si attivano in una organizzazione di questo tipo, nell'organizzazione di un vertice, quindi di una manifestazione di tale imponenza. In realtà queste strutture c'erano. Quindi non capisco come mai, per questa specificità, voi abbiate ritenuto di allestire un'infermeria e di sostituirvi a chi istituzionalmente è preposto ad altro.
Rispetto poi al dato della ricostruzione complessiva di tutte le vicende che lei fa nella relazione - alla quale si sono associati tutti gli altri, Legambiente, ARCI - l'ho sentita più volte dire che sullo stato dell'arte, prima e dopo le elezioni, dell'organizzazione, della strutturazione logistica del vertice - soprattutto in relazione ai manifestanti - non bisognava chiedere a lei una valutazione su chi governava o chi governa oggi. Non credo che questo fosse lo spirito delle domande. Sicuramente non è questo lo spirito della domanda che le rivolgo; non voglio sapere cosa pensi personalmente del Governo di prima o di oggi al di là di quello che si intuisce o già si conosce. Dalla sua relazione traspare che - in alcuni momenti di grande evidenza lei lo afferma in modo esplicito - le forze dell'ordine caricavano il Genoa social forum ed evitavano il black bloc, evitavano i violenti; questa situazione è stata determinata da un volontario atteggiamento delle forze dell'ordine - e quindi sarebbe necessario rettificare qualche punto della sua relazione se non è questa la sua opinione - oppure, più comprensibilmente, si può attribuire questa situazione di disagio, queste falle create, ad una mancata organizzazione nei tempi giusti, come lei ha detto in apertura di relazione? Lei ha detto che avete iniziato da gennaio ad organizzare ma non vi siete ritrovati ad avere un dialogo continuativo con le istituzioni, con il Governo, se non a partire dalla metà di giugno, da fine giugno - la data non la ricordo esattamente - quando siete stati convocati e avete cominciato a relazionarvi e a parlare di cose concrete. Non è una valutazione sul Governo di prima o di oggi ma una risposta a ciò che lei enuncia nel corpo di tutta la sua relazione. Rispetto ai fatti relativi alla denuncia di presenze neofasciste che lei dichiara di avere fatto, del controllo con esito negativo, lei forse parla di documentazioni perché, agli atti, non risultano queste presenze e non vi è nulla su cui continuare a discutere. Ho letto alcune sue dichiarazioni in merito, anche in altre situazioni, in altri momenti: lei dichiara di essere in possesso di documentazione che accerta e testimonia, in maniera ineccepibile, quanto da lei denunciato e non verificato sul momento. Come mai questa documentazione, che si ripromette ad ogni dichiarazione di consegnare alla magistratura, non è ancora stata consegnata, al fine di arrivare ad un chiarimento effettivo della realtà da lei denunciata verbalmente, ma senza un elemento documentale che la sostanzi?
Ancora, mi permetto di chiederle un ulteriore chiarimento sul concetto di disobbedienza civile; per me il concetto di civiltà risale al senso civico, al rispetto di una regola di normale e buona convivenza poiché, quando si vive in un contesto sociale, ci si danno delle regole che vanno rispettate per evitare che si creino situazioni di caos e di difficoltà. Pertanto, la semplice disobbedienza - credo sia inopportuno definirla civile in quanto tale aggettivo è in contrasto con il concetto di disobbedienza - va automaticamente in direzione del disordine, del caos, che deve essere disciplinato, quindi è un presupposto che alimenta una situazione di difficoltà:
Un'ultima ....
Relativamente alla seconda domanda vorrei precisare che noi non contestiamo otto vertici, ma contestiamo la legittimità del fatto che otto Stati assumano decisioni le cui conseguenze ricadono sull'insieme del pianeta. Questo è ciò che noi contestiamo, poiché riteniamo che gli otto governanti siano stati eletti per governare le loro nazioni e non per assumere decisioni che coinvolgono miliardi di persone, che sono persone deboli, individualmente e collettivamente, perché vivono in paesi dove la povertà domina e dove oltre un miliardo e 300 milioni di persone vivono con meno di un dollaro al giorno. Noi contestiamo questo tipo di decisioni; contestiamo strutture come il G8 e il WTO, che nessuno ha eletto, ma che prendono alcune decisioni (quale quella relativa alla proprietà intellettuale sui farmaci per 20 anni, che impedisce ad altri di produrli, oppure le decisioni relative allo scudo spaziale, e via dicendo) che ricadono anche su altri. Tuttavia credo che questo - se lei desidera se ne può discutere in altra sede - non appartenga al ruolo ....
Alla sua domanda risponderà Raffaella Bolini soltanto perché ha seguito, in particolare, questi aspetti; tuttavia, ribadisco che tutto è scritto, con esattezza, nei nostri documenti, che in parte abbiamo consegnato ed in parte vi saranno fatti pervenire nei prossimi giorni soltanto perché abbiamo dimenticato di portarli a Roma: riguardano l'adesione al Genoa social forum.
È evidente che per aderire ad un coordinamento si devono sottoscrivere e condividere le opzioni per cui esiste quel coordinamento e tali opzioni riguardano sia i contenuti che gli obiettivi. Si sta insieme perché si è contro questa globalizzazione e perché si condividono le modalità per tradurre in pratica quelle opinioni. I documenti fanno parte del materiale consegnato: questo è ciò che posso dire, poi Raffaella Bolini entrerà nel dettaglio.
Con riferimento al problema della sicurezza, anche se non sono ministro, non voglio sottrarmi a questa domanda. Lei ha portato un esempio, quello della processione: se me lo consente, ne farò un altro: tutte le domeniche, ultimamente anche di sabato, ci sono le partite di calcio e, quando ci sono dei gruppi di facinorosi e di esagitati che compiono atti di violenza - non so se lei sia tifosa ma comunque credo le sia capitato di assistere a tali episodi - cosa accade? Le forze dell'ordine si concentrano su quell'area per cercare di limitare le violenze oppure, se soltanto cinquemila persone sono violente e vogliono invadere il campo, le forze dell'ordine decidono di caricare tutte le 80 mila persone presenti nello stadio o addirittura decidono di attaccare gli altri 75 mila lasciando che i 5 mila facciano ciò che vogliono? Questo è il problema dell'ordine pubblico dal nostro punto di vista: i black bloc hanno perpetrato le loro azioni violente in modo assolutamente tranquillo ed indisturbato, mentre gli altri sono stati caricati. Le ho portato l'esempio dello stadio perché mi sembra rappresenti piuttosto bene la situazione. Il problema, per quanto ci riguarda, non è mettere in discussione la sicurezza, ma è capire di che tipo di sicurezza stiamo parlando. Se la concezione della sicurezza consiste nel creare un centro blindato, con 30 mila persone, per permettere ad otto Grandi di fare una riunione, mi chiedo se tale concetto non comprenda anche la tutela dei diritti di tutti, previsti dalla nostra Costituzione, cioè anche la tutela di coloro che manifestano pacificamente. Mi sembra che l'immagine dello stadio rappresenti bene ciò che è accaduto e ciò che invece sarebbe dovuto accadere.
Relativamente alla questione delle strutture sanitarie, vorrei dire che c'è una differenza. Intanto a me risulta che per prestare soccorso non sia necessario chiedere permessi o autorizzazioni, mentre per altri aspetti si pongono problemi diversi. Vorrei anche chiederle: quante volte nel corso di manifestazioni di questo tipo si sono presentati problemi di ritardi nei soccorsi? Poiché stiamo parlando di persone, di vite umane, credo sia stato un gesto di grandissima responsabilità da parte nostra. Tra l'altro, la nostra azione è stata coordinata con quella delle strutture pubbliche ed è stato un bene aver collaborato e coordinato, visto poi cosa è successo! Oltretutto, le posso dire, a posteriori, che aver attivato quella struttura di primo soccorso è stata una fortuna considerato cosa è accaduto in alcuni ospedali. In ogni caso vi sono altre inchieste in corso su questi aspetti e non voglio superare i limiti.
Relativamente alla domanda sui ritardi potrà risponderle Fabio Lucchesi entrando un po' di più nel merito. Mi permetterò soltanto una battuta: il ritardo nella disponibilità delle strutture logistiche ed il fatto che queste ultime fossero il 50 per cento di quelle che noi avevamo ritenuto necessarie ha costituito sicuramente un grave danno per lo svolgimento dei dibattiti, dei public forum e per l'accoglienza, ma, il modo di intervenire in piazza, in una zona della città piuttosto che in un'altra, non dipende dal fatto che 20 mila persone abbiano o meno un tetto sotto cui dormire: è una scelta autonoma. Ognuno si prenda le proprie responsabilità.
Da cosa è dipeso? Lo chiedo io, da cittadino, alle istituzioni. Mi limito a constatare quanto è accaduto.
Riguardo alla documentazione sulla presenza della destra, non potevamo fare nulla di più che indicarla alle forze dell'ordine. Lei mi ha chiesto perché non l'abbiamo verificato. Mi guardo bene dal verificare di persona se nella zona indicata fossero arrivati pullman di gruppi di estrema destra: abbiamo intenzione di fornire materiale. Ovviamente, la persona che si espone a testimoniare ha seguito un percorso di riflessione, poiché si tratta di questioni delicate. Prima di parlare in questa sede ho chiesto alla persona se fosse definitivamente disponibile a testimoniare, altrimenti non avrei detto nulla. Oggi sono in grado di riferirvi che una persona, a cui ho chiesto di mettere per iscritto questa decisione affinché potessi comunicarla, testimonierà presso la magistratura. Mi sembra un percorso corretto.
Francamente, non so cosa rispondere sulla questione della convivenza civile, perché dovremmo aprire un dibattito sull'educazione civica nella scuola. Ho già spiegato cosa penso riguardo alla disobbedienza civile: mi limiterei a quello; non ritengo di aggiungere altro. Mi pare che Fabio Lucchesi non abbia da aggiungere nulla; lascio quindi la parola a Raffaella Bolini sulla questione delle pratiche di adesione.
La questione più importante che oggi emerge per quanto riguarda la conoscenza degli eventi (oltre alla ricostruzione dei fatti, che non richiamo) è stata focalizzata con attenzione da parte dei rappresentanti del Genoa social forum: si tratta del preavviso consegnato il 16 luglio alle autorità di pubblica sicurezza, con le varie richieste, che ora abbiamo in copia, ma che non è contenuto nel materiale che il prefetto di Genova ci ha consegnato. Il materiale che ci ha inviato il prefetto di Genova si ferma, per quanto riguarda il Genoa social forum, al 13 luglio. L'atto fondamentale, l'ultimo preavviso riguardo le manifestazioni, o le piazze tematiche richieste, del 16 luglio, che oggi abbiamo acquisito, non compare nella documentazione di cui disponevamo.
L'altro elemento fondamentale è il decreto del 19 luglio (noto che formalmente si chiama così, o anche provvedimento, come risulta dall'audizione del questore); ciò che qualcuno ha detto, e che ha affermato anche il prefetto De Gennaro, mi sembra correttissimo. Egli ha sostenuto che non si autorizza, ma che ci sono dei
Dal punto di vista del nostro lavoro si tratta della questione fondamentale, perché nella giornata del 20 luglio, prima di quel corteo, sono avvenuti numerosi episodi di violenza che gli stessi rappresentanti del Genoa social forum hanno denunciato (denunciato qui; se erano al corteo non partecipavano agli episodi di violenza), ricordandone la gravità (penso sia compito della polizia giudiziaria, in particolare, fare queste denunce). Vi sono stati molti episodi di violenza durante la mattina del 20 luglio, ma ciò che cambia la dinamica è il rapporto tra le forze di polizia ed il corteo che parte dallo stadio Carlini, che, per espressa dichiarazione del questore, è vietato da piazza Verdi a piazza De Ferrari. Chiedo di prestare attenzione a questo avvenimento, che costituisce la novità dal punto di vista della ricostruzione del fatto.
Poiché ho poco tempo a disposizione, chiedo al dottor Agnoletto, o a chi voglia rispondere, di specificare se il contenuto dei primi due capoversi («abbiamo appreso, abbiamo apprezzato») della lettera dell'11 aprile, corrisponda al vero.
Per quanto riguarda l'episodio della sede distaccata di Quarto, avvenuto la sera del 19 luglio, chiedo quale sia stata la dinamica del cambio di utilizzo di quella sede distaccata da parte di esponenti del Genoa social forum, prima, e da parte di altri, dopo. Per quanto riguarda il rapporto tra il 19 e il 20 luglio, chiedo se siano a conoscenza di riunioni di persone non appartenenti al Genoa social forum che si sarebbero eventualmente tenute la sera del 19 luglio, riunioni di cui abbiamo notizia dai rapporti dei Servizi di sicurezza, che non potete conoscere e che ufficialmente non possiamo neppure citare perché sono coperti da riservatezza...
Inoltre, vorrei sapere se, in relazione alla manifestazione di via Tolemaide, abbiate avuto contatti con il dottor Gaggiano, che ci è stato detto essere il responsabile dell'ordine pubblico in quella circostanza, come risulta, d'altronde, anche dagli atti.
Infine, vorrei sapere se possiate esibire, o trasmettere, al Comitato, complementarmente all'autorità giudiziaria...
Con riferimento alla documentazione da inviare al Comitato, trasmetteremo agli avvocati la richiesta relativa alla documentazione riguardante la caserma di Bolzaneto così come quella riguardante l'eventuale rapporto tra forze dell'ordine e tute nere.
Per quanto riguarda la struttura di Quarto, posso dire che tra il 19 e il 20 non c'è stato alcun cambio d'uso, nel senso che tale struttura ha sempre avuto come finalità quella di essere un dormitorio, pur non essendolo. Non ha avuto, quindi, cambi d'uso.
Si tratta, quindi, del primo documento che fa riferimento all'incontro della delegazione del Genoa social forum con il capo di gabinetto dell'allora ministro Bianco, mi sembra Sorge, nel corso del quale - non posso che confermare quanto qui scritto - fu manifestata l'intenzione di permettere la realizzazione della «cittadella» (l'ipotesi di un complesso in cui realizzare un public forum, dei concerti e la prima accoglienza per le persone), nonché lo svolgimento delle manifestazioni, e venne, altresì, comunicato che le frontiere non sarebbero state chiuse dall'Italia in quelle giornate.
Pertanto, abbiamo appreso in quella riunione l'intenzione del Governo italiano di lavorare in tali direzioni. In conseguenza di ciò, inoltrammo la lettera, che inizia, se non ricordo male, con le parole «apprendiamo con piacere che lei, signor prefetto», e via dicendo, «è il referente unico». Oltre a quella lettera, gli chiedemmo di incontrarlo e gli fornimmo la prima documentazione, più o meno organica, delle richieste, secondo le indicazioni che nella riunione del 5 aprile lo stesso aveva espresso alla nostra delegazione per cominciare ad acquisire informazioni sulle nostre proposte. Dopo di che (lo specifico perché mi sembra un punto importante) consegnammo il materiale l'11 aprile; venimmo ricevuti di nuovo in delegazione il 20 aprile e in quell'occasione, come è qui scritto, apprendemmo che in realtà - ovviamente non ne conosciamo le ragioni - il prefetto non entrò mai nel dettaglio delle nostre richieste, né confermò o tanto meno autorizzò alcuna delle richieste che avevamo avanzato. Se questa fosse una decisione del prefetto o un cambio di direzione da parte del Governo, ovviamente non posso saperlo.
Apprendiamo che al presidio di piazza Manin si sapeva, con un anticipo di almeno
Al dottor Morettini, intervenuto per ultimo, vorrei chiedere qualche ulteriore approfondimento sull'incontro del 20 aprile. Innanzitutto vorrei sapere se sia possibile avere copia della lettera e di tutta la documentazione consegnata l'11 luglio. Riguardo poi l'incontro del 20 aprile, vorrei capire un po' meglio: è strano che il prefetto vi abbia convocati sostanzialmente per non dirvi nulla. Quindi vorrei sapere come, in realtà, si sia svolto l'incontro. Che cosa è stato detto? Non sono state nemmeno ventilate, lasciate trasparire, le ragioni per le quali non si era in grado di fornire approfondimenti rispetto a quel documento da voi consegnato nove giorni prima. E comunque, quella riunione si è conclusa con una qualche forma di impegno a rivedersi a breve? Si è capito che aria tirava? Si è capito che in quel breve scorcio di legislatura, con quel Governo che restava in carica fino alle elezioni del 13 maggio, non ci sarebbe stata più interlocuzione sul punto con il prefetto di Genova (che era stato delegato, a tutti gli effetti, dal Governo ad occuparsi dell'organizzazione)? Non so se è chiara la domanda: che cosa vi siete detti con precisione? Oppure avete soltanto preso atto che il prefetto vi aveva convocato per non dire nulla, in quanto non aveva nulla da dire?
Vorrei porre una domanda a chi riterrà di rispondere. Ci consta che comunque il Governo Amato abbia continuato, almeno fino al 5 giugno, a intrattenere rapporti con la GNG (Genoa non governmental initative) - sto leggendo le parole testuali scritte dal presidente Amato al presidente di questo Comitato - «retta da un comitato rappresentativo appunto delle ONG, compresi alcuni dei promotori del Genoa social forum: ARCI, Campagna sdebitarsi, WWF, rete Lilliput, oltre alla presenza italiana delle ONG». Un certo numero di rappresentanti delle ONG sarebbero stati ricevuti a palazzo Chigi il 5 giugno. Chiedo se qualcuno del Genoa social forum fosse presente a tale incontro. Ho compreso che tutti i fatti organizzativi delle manifestazioni parallele al vertice di Genova non erano oggetto specifico di interesse della GNG, ma in quella occasione si parlò comunque di aspetti organizzativi riguardanti il vertice di Genova?
Vorrei continuare ad approfondire i rapporti tra Governo e Genoa social forum. Colgo l'occasione per darvi atto che il GSF è stato legittimato come interlocutore per opera di due governi della Repubblica italiana: ciò dovrebbe dissipare alcuni dubbi. Se ho capito bene - ma vi chiedo di confermare - il 24 giugno, con il nuovo esecutivo, attualmente in carica, si è svolta la riunione in cui definitivamente il Governo dichiara di accettare lo svolgimento delle vostre manifestazioni in concomitanza con il vertice. Il 28 giugno vi riunite con i ministri Scajola e Ruggiero, senza affrontare in dettaglio aspetti di ordine pubblico: il ministro Scajola vi rassicura e vi fornisce le massime garanzie sulla libertà di manifestare, senza trattare specificamente le modalità attraverso le quali si sarebbero svolte le manifestazioni e sarebbe stato garantito l'ordine pubblico. Vi chiedo di confermare ciò.
Le chiedo, poi, dottor Agnoletto, se è vero quanto pubblicato da Il giornale l'11 luglio scorso, cioè che il ministro Ruggiero le chiese di farsi promotore di un incontro con il cantante Manu Chao. Ci risulta che il 13 luglio vi sia stato l'incontro del ministro Ruggiero e della dottoressa Paolini con le ONG e con il forum del terzo settore: chiedo se qualche rappresentante del Genoa social forum fosse presente.
Vorrei porre una domanda a Chiara Cassurino, che si è soffermata sul corteo di via Tolemaide: è vero che non avete visto - se ho capito bene - il funzionario di pubblica sicurezza con fascia tricolore che comandava il contingente di carabinieri che ha caricato? Dico questo in quanto, da ciò che si desume dalle immagini forniteci, quel funzionario si trovava dietro, alle spalle del contingente, e voi quindi
Chiedo ancora al dottor Agnoletto - ma anche ad altri, se riterranno opportuno rispondere - se abbia avuto notizia nel corso di quei tre giorni - e, in caso positivo, la prego di parlarne dettagliatamente - di violenze o di attacchi, in particolare, nei confronti delle forze dell'ordine, perpetrati da persone non identificabili, almeno presumibilmente, come uomini del black bloc. Abbiamo sempre parlato dei presunti black bloc, ma potrebbero esservi stati episodi compiuti da persone che non appartengono a tale organizzazione.
Dottor Agnoletto, lei conferma la dichiarazione pubblicata da Il foglio il 13 luglio circa la preparazione di un attacco alla zona rossa con azioni innovative e studiate? Lei ha usato questi termini?
Vorrei porre l'ultima domanda. Dalla scuola Pertini è stato asportato del materiale da parte delle forze dell'ordine mediante alcuni sacchi. Considerato che nel verbale riguardante le armi improprie e gli oggetti contundenti sequestrati si registra una quantità scarsissima di tale materiale, dobbiamo presumere invece che si trattasse di oggetti rotti, deteriorati, sottratti alla vostra disponibilità, o comunque materiale danneggiato nel corso dell'irruzione. Lei, che era presente, è in grado di dirci quanti sacchi di materiale, a sua memoria, sono stati portati via dalle forze dell'ordine?
Abbiamo quindi provato a comunicare, senza però riuscirci. Quello che si è verificato subito dopo è stato complessivamente il frutto di una scelta del gruppo, che ha deciso comunque di rimanere lì per non permettere l'invasione della piazza da parte dei black bloc. Ciò è avvenuto senza che sia stato più possibile comunicare con la questura.
Vorrei inoltre specificare un fatto che forse non è stato prima ben chiarito: dal momento in cui abbiamo tolto il presidio da piazza Manin per tornare in piazzale Kennedy (non conoscendo esattamente la zona rimane difficile illustrare il percorso da seguire: piazza Manin, in estrema sintesi, è situata leggermente più in collina rispetto a piazzale Kennedy, e, anche se non è molto distante, bisogna comunque percorrere un discreto tratto di strada per raggiunge tale piazzale) abbiamo tentato diverse volte, dato che dovevamo transitare per la zona di Marassi dove si stavano verificando alcuni scontri tra i black bloc e la Polizia, di chiedere a quest'ultima di facilitarci il rientro. Questo non ci è mai stato concesso; anzi, da ultimo abbiamo dovuto trovare autonomamente un corridoio attraverso gli scontri perché il cordone di Polizia che chiudeva il sottopassaggio che dava verso la stazione di Brignole ci aveva impedito il transito. Purtroppo in quella situazione l'esperienza del contatto con le forze dell'ordine per cercare di risolvere i problemi della piazza è stata per noi assolutamente negativa.
Siamo rimasti leggermente sorpresi da questo comportamento, perché credevamo che si potesse entrare subito nel merito delle richieste da noi avanzate circa i luoghi di accoglienza, la possibilità di svolgere le manifestazioni e così via. Dopo aver - diciamo così - disquisito amabilmente con il prefetto sui temi della globalizzazione, avanzammo nuovamente nei suoi confronti la richiesta di poter entrare nel merito delle questioni da noi poste. Il prefetto riprese però di nuovo la sua disquisizione. Dopo un po' il clima si innervosì, in quanto si era creata una situazione in cui si chiedevano alcune cose e ne venivano invece risposte altre. Ci fu poi un chiarimento, ma la conclusione dell'incontro avvenne in questi termini: sostanzialmente noi chiedemmo, volendo in qualche modo forzare la mano, che il prefetto convocasse qualche rappresentante degli enti locali del territorio genovese per discutere anche insieme a loro della situazione relativa all'accoglienza ed alle manifestazioni. Il prefetto, se non ricordo male, rifiutò tale richiesta, al che - dopo aver tirato un po' per le lunghe la riunione, che infatti, se non ricordo male, si concluse intorno alle ore 9 - rilasciammo una dichiarazione (penso che questa possa essere recuperata, anche se non ricordo se si trattasse di un comunicato stampa o di semplici dichiarazioni verbali) nella quale dicemmo di prendere atto del fatto che il Governo Amato non autorizzava manifestazioni ed accoglienza e che quindi si accollava la responsabilità di ritardare ulteriormente una discussione sui temi relativi all'organizzazione del contro-vertice. Da quel momento non abbiamo più avuto contatti con il prefetto se non quando questo è ricomparso, con il cambio di Governo, negli incontri che sono stati descritti prima.
Relativamente a quell'articolo de Il Foglio, che non conoscevo, devo dire che non ho mai parlato di un attacco con strumenti innovativi o qualcosa del genere. Ciò anche perché non utilizzo mai la parola «attacco»; anzi, ho già chiarito che possibilmente tendo a non utilizzare mai un linguaggio che richiami in qualche modo la guerra. Quell'articolo mi era sfuggito.
Circa l'incontro del 24 giugno, posso ribadire solamente ciò che è scritto nel documento. Quella riunione si concluse con un nulla di fatto: dopo circa due ore, interrompemmo infatti l'incontro perché avevamo di fronte interlocutori che non potevano rispondere assolutamente a nulla, nel senso che continuavano a dire di non avere un mandato da parte del Governo. Alle nostre richieste continuavano cioè a rispondere dicendo che avrebbero dovuto chiedere, che avrebbero dovuto sentire, che avrebbero visto cosa poteva essere fatto. Considerato che non era il 24 gennaio ma il 24 giugno e che mancava pochissimo tempo, abbiamo deciso di interrompere l'incontro, ritenendo ovvio, se tutte le decisioni dipendevano dal ministro, incontrare direttamente il ministro stesso.
Non siamo stati informati di attacchi alle forze dell'ordine da parte di gruppi che non fossero i black bloc. Noi utilizziamo sempre l'espressione «i cosiddetti...» perché si tratta di un'entità indefinita strutturalmente. Questo è il motivo per il quale utilizziamo tale linguaggio giornalistico. Comunque, non abbiamo avuto in quei giorni informazione di attacchi alle forze dell'ordine da parte di altri.
Per quanto riguarda la questione degli oggetti sequestrati, precisiamo che non abbiamo potuto vedere nulla, né oggetti né altre cose. Come ampiamente risaputo, non ci è stato permesso di entrare all'interno della scuola, così come ai parlamentari, ai rappresentanti istituzionali, ai medici, ai giornalisti. Sono medico e ho la tessera di pubblicista, ma non sono potuto entrare, né tantomeno come portavoce. Non abbiamo visto nulla da questo punto di vista. Abbiamo visto però ciò che usciva da lì. È uscito un solo sacco; non abbiamo ombra di dubbio perché ci trovavamo lì quando uscivano per verificare se vi fossero problemi relativi alle persone ferite (anche alcuni filmati documentano il fatto che quando uscivano eravamo lì a parlare).
Quanto al contenuto del sacco, posso solo dire che abbiamo visto semplicemente un sacco chiuso, nient'altro.
Nel suo intervento, dottor Agnoletto, c'è come un filo rosso che tende a presentare le responsabilità dei fatti di quei giorni come effetto di una scelta da parte delle forze dell'ordine di non perseguire o di perseguire in modo soft i black bloc e i
Con riferimento all'episodio di corso Gastaldi, lei sottolinea un'azione da parte delle forze dell'ordine, che avrebbero desistito dall'inseguire i gruppi che avevano messo in atto episodi di violenza e che stavano contrastando le forze dell'ordine, per caricare il corteo pacifico che si avvicinava. Dai rapporti della DIGOS e da alcune dichiarazioni rese da esponenti delle forze dell'ordine, consegnati poi al Comitato, leggiamo una versione che ci appare, se non opposta, diversa. In un rapporto, per esempio, possiamo leggere: «Un gruppo consistente di manifestanti, con in testa gruppi di anarchici di varia provenienza, erano attestati all'inizio di via Tolemaide. In piazza delle Americhe un mezzo blindato dell'Arma dei carabinieri era avvolto dalle fiamme; altro personale veniva fronteggiato lungo il corso Buenos Aires...»
Per quanto riguarda poi l'episodio di piazza Manin, in riferimento al quale nella sua relazione si evidenzia un atteggiamento che rappresenterebbe secondo lei il filo rosso del comportamento della Polizia....
Ultima domanda: il dottor Agnoletto ha accennato a documenti da cui risulterebbero rapporti tra i cosiddetti black bloc e le forze dell'ordine. Quali sono questi documenti e perché non sono stati consegnati alla magistratura?
Quanto alla questione della scelta delle forze dell'ordine di non intervenire nei confronti dei black bloc, se mi permette, non ho esposto la tesi del filo rosso ma ho letto e riportato alcuni fatti dai quali tutti possono verificare ciò che è accaduto. Non ho esposto una tesi precostituita. D'altra parte tutti sappiamo, anche lei lo avrà letto sui giornali, che i black bloc sui propri siti dicono, vantandosene, che sono gli unici a non aver avuto nemmeno un arrestato a Genova. Si tratta di dati di fatto.
Per quanto riguarda la questione di piazza Da Novi e corso Gastaldi, ciò che abbiamo visto lo abbiamo documentato. Se poi altri hanno dichiarato cose differenti, non so cosa dire. Noi, ciò che abbiamo visto abbiamo documentato.
In merito a piazza Marsala, essa era stata vietata dalla questura per motivi che non conosciamo.
Sulla questione dei rapporti vorrei essere preciso, dal momento che quando forniamo una documentazione è bene che non le si sovrapponga l'interpretazione. In una trasmissione alla quale eravamo presenti, sabato sera su La7, un regista ha presentato una cassetta dove era possibile vedere alcune persone, che tutti definiremmo appartenenti al gruppo del black bloc per il modo in cui erano vestite, che erano vicine alle forze dell'ordine. Credo di non avere nessuna difficoltà nel recuperare tale cassetta, unitamente ad altro materiale, e a farlo recapitare al presidente.
La pubblicità delle sedute del Comitato è realizzata secondo le forme consuete previste dagli articoli 65 e 144 del regolamento della Camera, che prevedono la resocontazione stenografica della seduta.
La pubblicità dei lavori è garantita, salvo obiezioni da parte di componenti il
Non essendovi obiezioni, dispongo l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso.
Luca Casarini, cioè il sottoscritto, è uno dei portavoce delle Tute bianche, non il «leader» o il «capo». Le Tute bianche sono da intendersi come una aggregazione sociale e politica aperta, orizzontale, che si organizza sulla forma di rete e non di partito. Per questo non ha leader, ma portavoce che svolgono le funzioni di comunicazione, divulgazione e dichiarazione a nome di assemblee che decidono.
Le Tute bianche si riconoscono pienamente nel Genoa social forum e nel suo portavoce unico Vittorio Agnoletto; Luca Casarini è membro, come uno dei portavoce delle Tute bianche, del consiglio dei portavoce del Genoa social forum; Luca Casarini e le Tute bianche si riconoscono pienamente nella relazione unitaria presentata dal GSF a questo Comitato ed hanno contribuito alla sua stesura.
Questa memoria verterà in particolare sui fatti a cui io personalmente e le Tute bianche in generale abbiamo assistito e cercherà di fornire ai membri del Comitato quanti più elementi conoscitivi possibile, anche di contesto, su quanto accaduto.
Cercare di fare piena luce su Genova, su come sono andate le cose e sul significato da attribuire a ciò che abbiamo tutti vissuto, è un compito ed una responsabilità, personale e collettiva, che crediamo sia di interesse generale per tutta la società civile e per chiunque abbia a cuore la democrazia e la sua difesa in questo paese.
La discussione su Genova, sull'appuntamento del G8, è iniziata dentro le Tute bianche molti mesi prima del luglio 2001. Ha coinvolto in maniera aperta e pubblica migliaia di giovani, e non, in centri sociali, scuole, università, luoghi di lavoro, associazioni. Non vi sono e non vi sono stati «livelli occulti» di discussione su cosa fare a Genova: il 90 per cento della discussione ha riguardato il perché andare a Genova, il perché opporsi al G8 e a ciò che rappresentava, il perché nel mondo esiste un movimento che, da Seattle in poi, mette radicalmente in discussione la globalizzazione neoliberista e le sue strutture, dal WTO alla NATO, dal G8 al Fondo monetario internazionale.
Non vi sono e non vi sono stati mai «secondi fini» nascosti, tipo la caduta del Governo Berlusconi attraverso la mobilitazione di piazza, dietro alla mobilitazione di Genova. Certo, sia io che le Tute bianche siamo oppositori politici del Governo Berlusconi e dei progetti neoliberisti e di svolta autoritaria e liberticida che siamo profondamente convinti che esso rappresenti. Ma mai e poi mai abbiamo ridotto l'appuntamento di Genova ad una semplice, per così dire, questione nazionale. Siamo stati, e, in particolare, io personalmente, a Seattle, a Praga, a Nizza, a Quebec City e ovunque questo movimento si sia espresso. Anche se al Governo ci fosse stato l'Ulivo, avremmo fatto ogni sforzo per portare a Genova più gente possibile e per opporci al G8.
È certo che l'ascesa al Governo della destra ci ha molto preoccupati. Chi ci ha sempre combattuto, anche dall'opposizione, con tutti i mezzi e definiti più volte un'accozzaglia di delinquenti o terroristi non gode della nostra fiducia quando ha in mano gli apparati dello Stato, come la polizia, i servizi, i carabinieri. Credo che sia comprensibile. Chi ha fatto del «pugno di ferro» contro i centri sociali uno dei suoi punti forti del programma in campagna elettorale, non può che destare preoccupazione in noi quando gestisce
In riferimento ad intercettazioni che qualcuno, non sappiamo chi e come, avrebbe fatto su mie conversazioni o di altri di noi al telefono, sul proposito di far «cadere» Berlusconi o amenità simili, quanto sopra valga come risposta. Sul capitolo intercettazioni, rivelazioni, dossier e attività di spionaggio e controllo segreto vario, tornerò più avanti, poiché esso appare come un fatto assodato e che costituisce nella vicenda di Genova un aspetto a dir poco inquietante.
Sulla dichiarazione di guerra, scegliamo di partire dalla nostra «Dichiarazione di guerra ai potenti dell'ingiustizia e della miseria», pronunciata a Palazzo Ducale il 26 maggio 2001, oggetto di tante attenzioni. La dichiarazione, che allego alla relazione, usava un linguaggio allegorico e fu letta nel corso di un vero e proprio rituale che ne rafforzava il carattere simbolico. Con essa si esprimeva la ferma opposizione e contrarietà, ribadita dall'intero GSF, alle politiche neoliberiste del G8. Come è noto, le riunioni degli otto grandi non si fondano su alcuna normativa o trattato internazionale: si tratta di un organo informale che impone e dispone scelte di politica economica, scavalcando gli spazi del confronto e della mediazione. La guerra è un'allegoria nefasta, ma tali politiche sono nefaste, fomentano la guerra e lo fanno fuor di metafora.
La nostra figura retorica era anche atta a evocare il processo di militarizzazione della città di Genova: è del 25 maggio la notizia che a Genova sarebbero stati impiegati corpi militari a difesa del vertice. In quei giorni lo stesso generale Angioni, ex-comandante del contingente di pace in Libano, sottolineava la sproporzione delle misure di sicurezza: «A Genova verranno impiegati 2.700 militari, io in Libano ne avevo 2.300».
Entrando nel merito della dichiarazione, noi specificammo la composizione del nostro «esercito» - fatto di sognatori, poveri e bambini, indios del mondo, donne e uomini, gay, lesbiche, artisti e operai -, di che armi era dotato e di come le avrebbe impiegate. Ci saremmo trovati di fronte ad un esercito vero e avremmo utilizzato i corpi come uniche armi, nelle forme della disobbedienza civile, che le Tute bianche praticano da prima della «battaglia di Seattle». Al termine del rituale, il nostro portavoce, cioè il sottoscritto, si avvicinò a due funzionari della DIGOS di Genova, per consegnargli questa dichiarazione.
Anche in risposta a fraintendimenti più o meno interessati, alla dichiarazione di guerra facemmo seguire quella di pace. L'allegato «Patto con la città e i cittadini di Genova», consegnato pubblicamente al sindaco Pericu e ai giornalisti il 3 giugno 2001, chiariva in modo inequivocabile che la nostra disobbedienza non implicava alcun attacco alla città, ai suoi beni pubblici o alle persone fisiche, anche quelle in divisa, posizione ribadita e approfondita dal Genoa social forum nella sua totalità. Sarebbe stato per noi un errore politico
Riguardo al tema dell'«Impero e chi lo assedia», poiché il summit del G8 era la riunione di quello che noi chiamiamo l'Impero, adottammo un linguaggio evocativo, ricco di riferimenti all'immaginario medievale (la fortezza, il castello dei signori e, soprattutto, l'assedio). Il concetto di Impero non ha nulla a che vedere con il vecchio stereotipo dell'imperialismo yankee, come abbiamo più volte specificato. Non ci troviamo più di fronte a Stati-nazione che estendono i propri mercati e la propria influenza geopolitica e militare. A fare il bello e il cattivo tempo sono enti sovranazionali, spesso sganciati da qualunque vincolo giuridico e legame con la Carta delle Nazioni Unite, ed enormi corporations non più ancorate alla legislazione di un singolo Stato. Talvolta, come nel caso delle ultime presidenziali americane, sono esse stesse a influenzare direttamente elezioni e composizioni dei governi nazionali, degradati a vassalli con funzioni esecutive. I cittadini diventano sudditi che non sanno nemmeno chi siede sul trono. Sovente, dell'Impero vedono solo i lanzichenecchi. Talvolta, si ribellano.
Dal punto di vista comunicativo, il testo più emblematico, anch'esso in allegato, fu «Dalle moltitudini d'Europa in marcia contro l'Impero e verso Genova», diffuso per vie telematiche, recitato nelle piazze e favorevolmente recensito dallo storico Franco Cardini, su l'Espresso del 22 giugno 2001. Con questo testo si avviava un'operazione mitopoietica che scavalcava a pie' pari il XX secolo ripercorrendo i sentieri di rivolte più antiche.
Per dare corpo e tangibilità a tutte queste allegorie, si immaginò anche una pratica di piazza ispirata a certi dipinti e stampe d'epoca: ci figurammo l'uso di carri allegorici muniti di arieti con cui abbattere il muro della vergogna; si parlò anche di catapulte. Va ricordato che durante la succitata mobilitazione di Quebec City i dimostranti avevano utilizzato una catapulta per lanciare orsacchiotti di peluche oltre le recinzioni. Nel «Patto con la città di Genova» parlammo di «una guerra... combattuta con i corpi, con le parole e con diavolerie e strumenti meccanici congegnati nelle nostre pacifiche officine della fantasia».
Seguendo l'insegnamento zapatista, pensavamo di munirci di «armi» che servissero a parlare e non, come dovrebbe essere evidente, a conseguire obiettivi militari. Nel corso del dibattito in seno al GSF sull'opportunità di evitare comportamenti percepibili come aggressivi e offensivi, decidemmo di rinunciare ad arieti e catapulte: avremmo messo in gioco «soltanto» i nostri corpi. Su questo punto non c'è mai stata, né può esserci imputata, alcuna ambiguità o reticenza. Lo confermano i training pubblici ripresi dai telegiornali, la costruzione, sempre in pubblico, di scudi e protezioni corporali, le notizie riportate dai media, addirittura gli schemini pubblicati dai giornali che dissezionavano pezzo per pezzo l'abbigliamento delle tute bianche. Tra le tantissime zone d'ombra delle settimane precedenti il G8 (riguardo alla funzione che avrebbero avuto i militari, ai tentennamenti sulle autorizzazioni dei cortei e la fruibilità dei trasporti, agli spazi dati a veline di dubbia origine finalizzate ad alzare la tensione) non c'è certamente la pratica di piazza che le Tute bianche e i disobbedienti avevano scelto.
Abbiamo tenuto riunioni ed assemblee con le finestre aperte, incuranti di essere intercettati, registrati ed ascoltati. Non solo non abbiamo mai avuto niente da nascondere, ma l'essere pubblici è un'altra delle nostre armi, la più preziosa. La pubblicità e la trasparenza prevengono la criminalizzazione e permettono il confronto
Veniamo ora al conflitto e al consenso. Riteniamo necessario ricapitolare il percorso della disobbedienza civile «protetta», dal primo esperimento fino alle giornate di Genova.
Per quasi tre anni, dall'autunno 1998, è stata sperimentata una pratica inedita di piazza, un modo innovativo di partecipazione politica e sociale, che non evita il conflitto ma lo lega indissolubilmente al consenso, al progetto, alla comunicazione.
La strategia del dire cosa si farà e fare ciò che si è detto è stata visibile e verificabile in occasione di diverse mobilitazioni: a Trieste per permettere l'ingresso di una delegazione di giornalisti e parlamentari che verificassero le condizioni di invivibilità del CPT, centro di detenzione per migranti «clandestini » (ottobre 1998); ad Aviano durante la guerra del Kosovo (aprile 1999); a Milano per la chiusura del CPT di via Corelli (gennaio 2000); a Bologna per impedire lo svolgimento di un raduno neofascista (maggio 2000); a Genova, in occasione del convegno-mostra Tebio sulle biotecnologie, per imporre il principio di precauzione a tutela della salute dei cittadini (maggio 2000); ancora a Bologna, per contestare un incontro dell'OCSE (giugno 2000); a Praga, per contestare il vertice del Fondo monetario internazionale (settembre 2000); a Ventimiglia, per opporci alla sospensione della libera circolazione dei cittadini dell'Unione europea in occasione del vertice di Nizza (dicembre 2000); a Roma ed in Veneto contro Haider; in Messico, quando accompagnammo i comandanti dell'EZLN dal Chiapas a Città del Messico, disobbedendo alla legge messicana che impedisce agli stranieri di fare politica (febbraio-marzo 2001); a Trieste, in occasione del G8 sull'ambiente, per contestare la mancata sottoscrizione del Protocollo di Kyoto da parte degli Stati Uniti (marzo 2001).
Come si vede, la disobbedienza civile si è posta volta per volta obiettivi tanto simbolici quanto concreti. Essa ha attirato l'attenzione su violazioni delle Carte costituzionali, delle dichiarazioni dei diritti umani e del diritto internazionale: ipotesi di violazione dell'articolo 13 della Costituzione per quanto riguarda i CPT; ipotesi di violazione dell'articolo 11 per quanto riguarda la partecipazione italiana all'intervento in Kosovo; violazione delle norme transitorie della Costituzione in materia di ricostituzione del partito fascista, eccetera.
Oltre a ciò, è orientata a estendere i confini della legalità e a conquistare nuovi spazi di agibilità democratica e nuovi diritti (vedi la lotta per il «principio di precauzione» o le osservazioni sui limiti della Carta dei diritti dei cittadini europei presentata a Nizza).
In ogni caso viene posto il problema del diritto al dissenso sancito da tutte le Costituzioni post-weimariane e il superamento delle restrizioni alla libertà di manifestare.
Infine, ci permettiamo di osservare che in diversi casi la disobbedienza civile si è dimostrata efficace: tanto a Trieste quanto a Milano, l'ingresso nel CPT di giornalisti e parlamentari consentì una verifica delle condizioni in cui versavano i reclusi. Tale verifica portò, in entrambi i casi, alla chiusura - definitiva o temporanea - dei centri. In Messico riuscimmo ad ottenere la revoca delle espulsioni dal paese e il diritto per tutti di partecipare alla Marcia della dignità.
Per quanto riguarda la disobbedienza civile e le sue pratiche, esse non si configurano in alcun modo come una simulazione o, addirittura, come la proposta di uno scenario bellico. Al contrario, esaltano la dimensione politica del conflitto, ancorché radicale, tra le controparti. Dichiarare la volontà di superare una linea
Preparazione, generosità e determinazione non aprono la strada a pulsioni militariste. Dovrebbe far riflettere che forse grazie a ciò, come ci piace pensare, l'esempio delle Tute bianche ha contagiato i movimenti in diverse parti del mondo, da Madrid a Città del Messico, da Londra a New York, da Atene a Helsinki. Indossare caschi e bardature non significa, quindi, salire il primo gradino di una escalation della violenza di piazza. Per noi è stato esattamente l'opposto: l'impatto con le forze dell'ordine è messo in conto, ma l'utilizzo degli strumenti di cui sopra ha permesso di attenuare la paura, limitare i danni fisici e tenere compatto il gruppo che pratica la disobbedienza. Il training compiuto in preparazione degli eventi ha aiutato molti e molte di noi a mantenere la lucidità, evitando così il fuggi fuggi, i comportamenti irrazionali e l'atomizzazione incontrollabile dello scontro.
Il corpo è un bene prezioso. Il corpo siamo noi, è ciascuno di noi. Ne abbiamo uno solo e ci chiediamo cosa gli sarebbe successo se negli ultimi tre anni non ci fossimo preoccupati di proteggerlo. I referti medici degli ospedali genovesi parlano chiaro: ferite lacero-contuse alla testa, traumi cranici, due codici rossi dovuti a situazioni di incoscienza e coma vigile o grave, fratture agli arti e alle mani per il tentativo di proteggere la testa... Un casco allacciato non può nuocere a nessuno. Protegge chi lo indossa. Non a caso, lo prescrive anche il codice della strada, uno dei pochi ai quali non disobbediamo.
Dopo i fatti di Trieste dell'ottobre 1998, nel corso di un incontro al Viminale - cui partecipai personalmente - con l'allora ministro dell'interno Jervolino, avemmo modo di illustrare e denunciare la pratica poliziesca di impugnare i manganelli al contrario in modo da colpire con il gancio d'acciaio che serve ad assicurarli in cintura, o addirittura di «personalizzarli» appesantendoli con biglie d'acciaio, cuscinetti a sfera, eccetera. A Genova questa pratica fu tristemente superata dall'adozione dei famigerati Tonfa tutti in alluminio, già in dotazione alla polizia americana, equiparabili a spranghe di ferro.
Ieri lo stesso Gratteri, direttore generale del servizio centrale operativo, nella sua deposizione di fronte a questo Comitato, ha ammesso la novità delle nostre pratiche, accusandole però di rappresentare un innalzamento del livello dello scontro. Al contrario, è parere di molti che la disobbedienza civile protetta abbia contribuito a traghettare ampi settori di movimento da forme di protesta nichiliste e distruttive a una pratica non meno radicale ma eminentemente politica.
Peraltro, preannunciare tutto ciò che verrà fatto apre già di per sé lo spazio alla mediazione politica «sul campo», se ve ne è la volontà, da parte dei responsabili dell'ordine pubblico.
Non a caso i cortei della disobbedienza civile sono sempre aperti da un «gruppo di contatto» composto da avvocati, parlamentari, portavoce delle associazioni e centri sociali che partecipano alla manifestazione, con lo scopo di dichiarare apertamente le proprie intenzioni e obiettivi.
A questo proposito, in merito a quanto riferito dal questore Colucci, smentisco assolutamente di averlo mai incontrato, di avere in qualche modo interloquito con lui, o che qualche funzionario si sia mai presentato a me asserendo di parlare per conto di Colucci. Di funzionari di polizia che si dichiaravano tali o che conoscevo (altri sicuramente si saranno dichiarati giornalisti, panettieri o spazzini, non posso saperlo, ma ne sono sicuro) ne ho incontrati o sentiti per giorni e giorni a decine. Non solo, tutti noi, in particolare i più conosciuti, abbiamo ricevuto decine di telefonate dai dirigenti della DIGOS che ci chiedevano cosa avevamo intenzione di fare o magari quanta gente doveva arrivare o che treni stavamo aspettando, eccetera.
Nessun mistero o segreto: noi abbiamo sempre detto a tutti ciò che intendevamo fare, come lo dicevamo a centinaia di
A questo proposito ricordavamo sempre i fatti di Napoli, oggetto anche di un'inchiesta di Amnesty International per gravissime violazioni (pestaggi e torture operate da carabinieri e PS in piazza e in caserma nei confronti di fermati durante la manifestazione contro il vertice OCSE di marzo). Una cosa abbiamo sempre richiesto con forza: che non usassero le armi da fuoco. Quelle uccidono di sicuro. L'abbiamo fatto personalmente e collettivamente, a chiunque avevamo occasione di incontrare e con cui discutevamo di cosa sarebbe successo nei giorni di Genova, pubblicamente. In particolare, la richiesta che le forze dell'ordine fossero in piazza disarmate è stata fatta ufficialmente e direttamente al ministro Scajola.
I responsabili dell'ordine pubblico, che detengono il monopolio della forza militare, devono di conseguenza assumersi la responsabilità di dosare questa forza per contenere e bloccare l'azione di disobbedienza civile, che non costituisce una minaccia per cose o persone. In questo modo, la scelta tra una strategia di «alleggerimento» - con cariche di polizia volte a fermare l'avanzamento dei disobbedienti - o una strategia di «annientamento» - volta a punire i partecipanti, oltre che contrastarli, con ricorso a blindati lanciati dentro i cortei, caccia all'uomo, pestaggi dei fermati, uso di armi da fuoco o di lacrimogeni esplosi in faccia - oltre ad esprimere un vero e proprio tentato omicidio, diventa una scelta politica. La scelta tra due modi diametralmente opposti di affrontare la manifestazione pubblica del dissenso. A Genova, in via Tolemaide e nelle altre piazze tematiche, la scelta è stata chiara.
Per quanto riguarda i container, Colucci asserisce che questi sono stati posti lungo il percorso del nostro corteo per dividerci da altri manifestanti: niente di più falso. I container - e su questo possiamo produrre prove documentali - sono stati piazzati nella notte tra il 19 e il 20 attorno a piazza Verdi-Brignole. Il percorso del nostro corteo era completamente libero ai lati, utilizzati da vari contingenti di polizia nella seconda parte, dopo l'uccisione di Carlo Giuliani, per attaccarci nel mezzo e tentare di imbottigliarci. I container - questo abbiamo pensato quando li abbiamo visti collocare in quel modo, a semicerchio davanti alla zona off-limits - servivano per impedirci in ogni modo di arrivare a contatto con la rete. Quale sceneggiata avremmo potuto fare, visto che Colucci parla di questo, invadendo di qualche metro, se vi era un muro di container?
Va precisato che, al contrario di quanto ripetutamente affermato dai dirigenti e funzionari di pubblica sicurezza, il corteo partito dallo stadio Carlini era autorizzato. Alle ore 18,45 del giorno 19 luglio, fu revocata l'autorizzazione per il tratto finale, che andava da piazza delle Americhe a piazza De Ferrari. Prima della partenza del corteo, venerdì 20, nei pressi di piazza delle Americhe furono avvistati alcuni reparti di polizia ed un folto gruppo di funzionari. Sostavano davanti ai container che delimitavano la piazza. Tutto questo faceva presumere che fosse quello il luogo dove ci avrebbero caricato, esattamente al limite del corteo autorizzato. Ma in piazza delle Americhe il corteo dei disobbedienti non ha mai messo piede. I carabinieri lo aggredirono più di 300 metri prima, nella strettoia di via Tolemaide, quindi ancora nel tratto autorizzato del suo percorso. Il gruppo di contatto fu travolto. La reazione fu un immediato arretramento della testa
In quel frangente migliaia di persone si sentirono in pericolo di vita, ci si urtava e calpestava a vicenda, si annaspava per via della calca, del caldo e dei lacrimogeni. Molti furono picchiati e feriti pur non avendo fatto niente e «in un paese democratico non sono rischi accettabili. Neanche avere paura lo è.» (Franco Bassanini, intervista su l'Unità del 30 agosto).
Una parte del corteo, nel disperato tentativo di tenere lontani i reparti, improvvisò un lancio di oggetti trovati per strada, e solo a quel punto i carabinieri sospesero le cariche per un breve lasso di tempo. Mentre il corteo cercava di defluire, i carabinieri cercarono di spazzarlo via avanzando con autoblindo e jeep a grande velocità, precedendo i reparti a piedi, investendo a più riprese alcuni manifestanti, poi risultati feriti. Dai finestrini di un veicolo un carabiniere puntava la pistola ad altezza d'uomo (si veda la foto di Tano D'Amico pubblicata su diversi giornali e riviste). In quel frangente un veicolo si fermò in pieno corteo provocando la reazione di dimostranti esasperati e spaventati. Da qui in avanti fu chiaro che le ripetute cariche non avevano finalità di alleggerimento, bensì punitive. Lo dimostra il fatto che il corteo fu caricato alle spalle fino a poche centinaia di metri dallo stadio Carlini, verso il quale si stava ritirando.
A circa tre ore dalla prima carica, gruppi sparsi di dimostranti cercavano ancora di allontanare i carabinieri e proteggere la ritirata del corteo, ancora bloccato tra via Tolemaide e corso Gastaldi. Uno di questi gruppi fu coinvolto in uno scontro in piazza Alimonda, durante il quale un carabiniere di leva puntò la pistola e sparò in faccia a Carlo Giuliani. Da allora la scena è stata ricostruita istante dopo istante. I filmati mostrano chiaramente come il carabiniere avesse la pistola puntata ben prima che Carlo Giuliani raggiungesse la camionetta e sollevasse quel maledetto estintore. Si vede anche che 15 metri più in là altri carabinieri erano schierati. Ci siamo chiesti mille volte come mai essi non intervennero, non lanciarono lacrimogeni, non cercarono di disperdere lo sparuto gruppo di dimostranti. Non smettiamo di chiederci come mai un carabiniere di leva si trovasse, armato, in una situazione del genere, quando migliaia di poliziotti erano stati sottoposti al famoso addestramento di Ponte Galeria. Non occorre essere un esperto di antisommossa o controguerriglia per dire che la situazione poteva essere risolta senza sparare in faccia a nessuno.
Sapevamo che a Genova ci saremmo trovati al fianco di una moltitudine di persone, che ci sarebbero state migliaia di poliziotti e agenti e che il contesto era più complesso di quello affrontato in altre situazioni. Sapevamo di andare incontro a molte manganellate; mettevamo in conto di essere esposti a fermi ed arresti. Ma nessuno pensava ad un massacro: completa assenza di funzionari di piazza con cui parlare, centinaia di lacrimogeni a freddo, cariche con i blindati, uso massiccio di idranti, addirittura il ricorso ad armi da fuoco, nonostante le assicurazioni del ministro Scajola, il tutto non motivato da alcuna provocazione da parte del corteo ed a considerevole distanza dalla zona rossa. Non si potevano nemmeno mettere in conto l'attacco poliziesco a un corteo di 300 mila persone, senza precedenti per questa Repubblica, le modalità dell'irruzione di sabato notte e le sevizie di Bolzaneto e S. Giuliano. Certamente mettevamo in conto la paura, ma non quella di morire.
Ai nostri cortei abbiamo sempre invitato a partecipare parlamentari o esponenti delle istituzioni, non solo per esprimere condivisione o solidarietà con gli
Ci è stato impedito di praticare la disobbedienza civile. Qualcuno ha deciso di determinare uno scenario completamente diverso. Anche l'Arma dei carabinieri è stata uno degli strumenti fondamentali di tale forzatura. Ci domandiamo quali responsabilità abbiano quegli esponenti del Parlamento che, nelle ore più calde, stavano nelle caserme.
Ricordiamo ancora che, dopo i tragici fatti di Göteborg, il Genoa social forum aveva richiesto che durante il G8 le forze dell'ordine non avessero armi da fuoco. Il ministro Scajola assicurò che non c'era bisogno di un tale provvedimento: finché al Viminale ci fosse stato lui nessun agente avrebbe sparato. Ci risulta che a Genova alcuni dirigenti della Polizia di Stato abbiano, di loro spontanea volontà, fatto scaricare le armi da fuoco ai loro uomini. Purtroppo non è stata una scelta di tutti.
Consegno a questo Comitato un video sui fatti di Genova e chiedo che le violenze qui documentate, operate in gruppo da polizia e carabinieri, vengano prese in esame. Alcuni di loro sono riconoscibili ed identificabili. In particolare segnalo: al minuto 09 il pestaggio operato dagli agenti di PS a persone singole inermi; al minuto 10-11 il pestaggio di carabinieri in gruppo a un manifestante inerme, eseguito a viso scoperto; al minuto 12 il pestaggio fuori da corteo a persone con mani alzate operato da PS; ai minuti 13-15 le cure mediche in strada operate da personale volontario a persone ferite gravemente; al minuto 19 i lacrimogeni a pioggia lanciati dall'elicottero sui manifestanti; al minuto 20 le cariche a manifestanti a mani alzate; al minuto 22 l'irruzione alla scuola Diaz; al minuto 24 la testimonianza di una ragazza che era alla Diaz; al minuto 34 la testimonianza della dottoressa Lella Trotta sulla presenza di polizia all'ospedale San Martino.
Voglio ribadire qui la mia solidarietà nei confronti di tutti coloro che sono stati feriti, aggrediti, violentati, minacciati da polizia e carabinieri in quei drammatici giorni. Voglio ribadire che chi ha tentato di difendersi da una furia omicida, chi ha cercato, anche inconsultamente, di far fronte ad una enorme violenza, in un caso è stato ucciso e in un altro è oggi detenuto con accuse gravissime come il tentato omicidio. Come può accadere che reagire ad un tentato omicidio o linciaggio per un manifestante diventi un'accusa contro di lui e per chi ha ucciso si parli solo di legittima difesa?
Chiudo questa memoria, che spero possa essere utile, con un unico pensiero: Carlo Giuliani, un giovane stroncato nel fiore della sua vita, da una violenza inutile. C'è chi ritiene in questo paese che sia stato più importante che il G8 non abbia subito interruzioni, anche a costo di uccidere. Io penso che Carlo, ed ogni essere umano, sia più importante di qualsiasi vertice. È questa la differenza di Carlo, mia, di noi tutti. Continuerò finché posso a gridarla anche per lui, con lui. Ciao Carlo, sei mio fratello.