COMMISSIONE I
AFFARI COSTITUZIONALI, DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E INTERNI

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di giovedì 8 gennaio 2004


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
DONATO BRUNO

La seduta comincia alle 12.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori sarà assicurata, oltre che mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso, anche, in via sperimentale, mediante la trasmissione televisiva diretta sul canale satellitare della Camera dei deputati.
(Così rimane stabilito).

Comunicazioni del Governo sugli attentati al Presidente della Commissione europea, onorevole Romano Prodi, e sullo stato della lotta al terrorismo.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca comunicazioni del Governo sugli attentati al Presidente della Commissione europea, onorevole Romano Prodi, e sullo stato della lotta al terrorismo.
Ringrazio il ministro dell'interno, l'onorevole Beppe Pisanu, per essere intervenuto all'odierna seduta e gli do subito la parola. Dopo la relazione del ministro darò la parola ad un deputato per gruppo, sospendendo la seduta per alcuni minuti.

BEPPE PISANU, Ministro dell'interno. Signor presidente, onorevoli colleghi, torno oggi per la terza volta davanti a questa Commissione per riferire su fatti di terrorismo. Proprio durante il nostro ultimo incontro, lo scorso 4 novembre, fummo raggiunti della notizia dell'attentato alla caserma dei Carabinieri di via San Siricio in Roma, che causò - come ricorderete - gravi lesioni al maresciallo Stefano Sindona. Come precisai successivamente alla Camera dei deputati, si trattava di un'aggressione di chiara matrice anarchica-insurrezionalista, analoga a quelle che nel mese precedente avevano colpito il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, la regione Sardegna, la stazione dei Carabinieri di Stampace a Cagliari e la questura di Roma.
In quell'occasione conclusi il mio intervento sottolineando con forza le potenzialità criminali del movimento anarchico e prospettando l'ipotesi che questo, nella crisi delle Brigate rosse, potesse ambire ad un ruolo guida del terrorismo italiano. Gli attentati di Natale a Bologna e la successiva, nutrita serie di plichi esplosivi che da Bologna sono stati inviati a diversi autorevoli esponenti delle istituzioni europee mi costringono oggi a ritornare su quella analisi, cosa che mi propongo di fare subito dopo avere illustrato in dettaglio i singoli eventi.
Lo scorso 27 dicembre il professor Romano Prodi, mentre prendeva visione della corrispondenza nella propria abitazione di Bologna, ha aperto un collo postale da cui si è sprigionata una fiammata, che fortunatamente non gli ha prodotto alcun danno. Il plico era indirizzato alla moglie del professor Prodi, la signora Flavia Franzoni, e recava l'indicazione di un mittente fittizio, il centro studi Dozza, piazza maggiore n. 3, Bologna. Il timbro di annullo era «Bologna CMP 22-12-2003». Dall'indagine è emerso che la spedizione è avvenuta tra le ore 18 del 21 dicembre ed il pomeriggio del giorno successivo.
In base ai primi accertamenti tecnici l'ordigno è risultato di tipo incendiario e


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quindi non idoneo a deflagrare. Esso era contenuto in un libro ed era composto da una molletta per bucato, polvere nera, un flash per macchina fotografica e una pila da nove volt. L'invio di plichi incendiari o esplosivi è tipico del movimento anarchico-insurrezionalista che - come ho ricordato - ha utilizzato questa tecnica anche in tempi recenti. La stessa denominazione scelta per il falso mittente orienta verso l'area anarchica. Dozza, infatti, è il nome del carcere bolognese dove il 24 dicembre 2001 è morto l'anarchico Horst Fantazzini, detenuto per una rapina in banca.
Vi è poi un terzo elemento che induce ad attribuire l'episodio al movimento anarchico-insurrezionalista, cioè la contestuale realizzazione, sempre a Bologna, di un altro attentato rivolto allo stesso Presidente Prodi ed eseguito con modalità tipiche della violenza anarchica. Mi riferisco ai due ordigni esplosi nella serata del 21 dicembre 2003 ed occultati in una coppia di cassonetti dei rifiuti, situati a circa 80 metri dall'abitazione del Presidente della Commissione europea. La prima deflagrazione è avvenuta alle 21,55 e la seconda un'ora dopo e anche in questo caso, per buona sorte, senza danni a persone. Si trattava di due congegni rudimentali, innescati da un timer e composti da bombole da campeggio di gas butano collocate all'interno di pentole a pressione.
Come è noto la tecnica della pentola pressione e quella della doppia deflagrazione sono state adottate dagli anarco-insurrezionalisti per l'esecuzione di altri attentati e fa parte di una più generale strategia eversiva per colpire le forze dell'ordine.
Già il 18 luglio del 2001, a Bologna, all'interno di un bauletto posto su di una bicicletta parcheggiata in via dei Terribilia, fu rinvenuto e disinnescato un ordigno esplosivo di notevole potenziale. In quel caso agli operatori della Polizia era stata recapitata, per attrarli, una lettera anonima che segnalava la presenza nel bauletto di una significativa quantità di sostanze stupefacenti. L'episodio fu rivendicato dalla «Cooperativa artigiana Fuoco e affini (Occasionalmente spettacolare)».
Un anno e mezzo dopo, nella notte del 9 dicembre 2002, nei pressi della questura di Genova esplosero, a distanza di dieci minuti l'uno dall'altro, due ordigni collocati in cestini dei rifiuti. Il breve lasso di tempo tra le deflagrazioni indusse a ritenere che l'attentato non avesse finalità dimostrative, ma, al contrario, mirasse deliberatamente a colpire, anche mortalmente, il personale di polizia. L'azione fu rivendicata dalla Brigata 20 luglio.
Per completezza di ricostruzione del fatto in questione devo infine ricordare che nelle prime ore della mattinata dello scorso 24 dicembre, ancora a Bologna, è stata infranta, con un cubetto di porfido avvolto con carta da regalo, una delle vetrine della libreria Feltrinelli, dove era esposto il nuovo libro del professor Romano Prodi. L'involucro conteneva alcuni fogli scritti parte in ungherese e parte in uno stentato italiano con accuse deliranti contro il Presidente della Commissione europea per «aver fatto sparire le denunce di risarcimento per le persone decedute in Africa e in Iraq».
In quelle carte era anche indicato il nominativo di un cittadino ungherese, che risulta denunciato lo scorso 18 dicembre per il lancio di un sasso contro la porta di ingresso del consolato statunitense a Milano. In quella circostanza lo straniero fu trovato in possesso di un foglio con su scritto: « Buon Natale. Firma: Iraq e Africa». Rilasciato alla scadenza dei termini per il fermo ed invitato a presentarsi presso gli uffici della questura, il cittadino ungherese si è poi reso irreperibile. Sono state avviate le procedure per rintracciarlo, ma il personaggio non sembra francamente riconducibile ad alcuna ipotesi eversiva.
La doppia esplosione del 21 dicembre è stata rivendicata con due volantini, recapitati due giorni dopo per posta prioritaria alla redazione bolognese del quotidiano la Repubblica, l'annullo postale è «Bologna CMP 21/12/2003». Il primo documento, intitolato: «Chi siamo. Lettera aperta al movimento anarchico e antiautoritario»,


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ha carattere strategico-programmatico ed indica gli scopi della neonata FAI (Federazione anarchica informale) e ripete intenzionalmente la storica sigla della anarchia italiana: Federazione anarchica italiana. Composta di «gruppi di azione o singoli individui» la Federazione è sorta dichiaratamente «per superare i limiti delle singole progettualità e sperimentare le reali potenzialità della organizzazione informale». Secondo gli estensori questo modello federativo è l'unico compatibile con la concezione anarchica, perché assicura al movimento una ramificazione diffusa ed orizzontale e soprattutto l'assenza di centri decisionali.
La Federazione si definisce anarchica perché tende alla «distruzione dello Stato e del capitale» e informale perché, essendo priva di meccanismi autoritari e burocratizzanti, garantirebbe l'indipendenza dei gruppi e dei singoli che la compongono. I suoi aderenti si dichiarano «avversi a qualunque cancro marxista» e prospettano un modello di lotta armata basato sull'azione diretta dei singoli e dei gruppi.
Essi si vincolano a tre punti chiave. Il primo: la «solidarietà rivoluzionaria», che impone l'azione armata contro le strutture e gli uomini responsabili della detenzione dei compagni. Il secondo: «le campagne rivoluzionarie», che potranno essere liberamente promosse e condivise «attraverso una o più azioni accompagnate dalla firma di ogni singolo gruppo di azione a cui si aggiunge il richiamo alla Federazione nella sigla» che vi ho poc'anzi richiamato. Il terzo: la «comunicazione tra gruppi o singoli», che dovrebbe avvenire «attraverso le azioni stesse e attraverso i canali informativi del movimento senza la necessità di conoscenza reciproca». In calce al documento sono riportate le sigle di quattro formazioni anarco-insurrezionaliste già note, ciascuna preceduta dalla sigla FAI: Cooperativa artigiana Fuoco e affini (Occasionalmente spettacolare); Brigata 20 luglio; Cellule contro il capitale, il carcere, i suoi carcerieri e le sue celle; Solidarietà internazionale.
Nel secondo documento, intitolato: Operazione Santa Claus, graficamente simile al primo, la FAI comunica l'avvio della «prima campagna di lotta della Federazione anarchica informale», presentandola come critica attiva «al semestre di Presidenza italiana dell'Unione europea che si avvia a concludersi, consapevoli che, al di là della retorica ufficiale, le decisioni ratificate in questi mesi saranno foriere di ulteriore pratiche di sfruttamento e dominio». Le azioni terroristiche devono colpire «gli apparati di controllo repressivi e i protagonisti della messinscena democratica che saranno figure e istituzioni cardine del nuovo ordine europeo» utilizzando «tecniche, tempi e modalità volti ad escludere la possibilità di danneggiare innocenti».
È questo uno dei canoni fondamentali della strategia anarco-insurrezionalista: l'attacco alle diverse articolazioni «di controllo e repressione» dello Stato, prime fra tutte le strutture carcerarie e le forze dell'ordine. Segue, scritta con normografo, una parte, a firma FAI - Cooperativa artigiana Fuoco e affini (Occasionalmente spettacolare), in cui, dopo la rivendicazione degli episodi bolognesi, vengono rivolte minacce nei confronti del Presidente Prodi, perché «sappia che sta solo iniziando la manovra di avvicinamento a lui e ai suoi simili». Il comunicato si conclude con il ricordo di noti militanti anarchici deceduti, tra i quali il già menzionato Horst Fantazzini.
Il 29 dicembre 2003, gli stessi due volantini della Federazione anarchica informale sono pervenuti alla redazione milanese del quotidiano Libero, mediante posta prioritaria con timbro di annullo «Bologna CMP 22/12/2003». La sola differenza è che in tale secondo documento manca la parte finale scritta con il normografo e direttamente rivolta al Presidente Prodi.
Riferisco ora sui pacchi esplosivi che, nei giorni a cavallo del Capodanno, sono stati recapitati a diversi altri esponenti delle istituzioni europee. Il 29 dicembre 2003, è pervenuto un plico, contenente un ordigno, al direttore di Europol, Storbeck,


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presso la sede centrale, all'Aja. Vi figura come mittente un nominativo - E. Henry, via Milano 85, Bologna - che potrebbe riferirsi ad un anarchico francese vissuto nell'800.
Nello stesso giorno, è giunto al direttore della Banca centrale europea un plico contenente un libro che celava un ordigno composto da polvere esplosiva, una batteria da nove volt ed il flash di una macchina fotografica. Sulla lettera era indicata, come mittente, la «Società editrice europea, via dei Terribilia 5, Bologna» con timbro di annullo delle Poste italiane datato 24 dicembre 2003. L'indicazione del mittente richiama, evidentemente, l'episodio del 18 luglio 2001 che vi ho poc'anzi ricordato.
All'interno di entrambi i plichi era contenuto un volantino di rivendicazione, siglato «Federazione anarchica informale» ed intitolato «Operazione Santa Claus». I due volantini sono identici al secondo documento pervenuto alla redazione milanese del quotidiano Libero, che era privo della parte finale scritta con il normografo.
Un altro pacco esplosivo è pervenuto il 30 dicembre alla sede di Eurojust, all'Aja. Anche in tal caso, la busta risulta spedita dal capoluogo emiliano. Nessuno dei tre pacchi di cui ho appena riferito è deflagrato.
Da ultimo, nella giornata del 5 gennaio, altri tre plichi sono stati recapitati ad esponenti del Parlamento europeo: il presidente del Gruppo del PPE, Hans-Gert Pottering, il vicepresidente dello stesso gruppo, José Ignacio Salafranca ed il parlamentare laburista inglese Gary Titley.
È del tutto evidente che, con tali episodi, le istituzioni europee ed i loro esponenti entrano a far parte dei bersagli dell'anarco-insurrezionalismo, insieme alle carceri, alle banche, ai tribunali, alle caserme ed a tutto ciò che può rientrare nella «guerra sociale contro Stato e capitale» o contro «lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo e dell'uomo sulla natura». D'altro canto, gli stessi attentati confermano che componenti importanti dell'anarchismo, nell'elevare il livello della loro azione terroristica, si muovono secondo una strategia coordinata e preordinata con cura, nelle sue varie fasi e nella selezione degli obiettivi.
Se è vero, infatti, che permane un sostanziale rifiuto delle scelte organizzative di tipo «militarista», proprie del brigatismo, altrettanto evidente appare oggi la propensione a superare il vecchio cliché spontaneista, per operare in maniera mirata, con vere e proprie campagne cadenzate nel tempo.
L'assenza di strutture verticistiche non deve, pertanto, far pensare che gli anarco-insurrezionalisti operino in maniera isolata, mossi dall'impulso del momento. Al contrario, gli stessi agiscono, sempre più, secondo strategie concordate, utilizzando strumenti desunti da manuali ampiamente diffusi, anche grazie alla telematica. Vi è, insomma, una sorta di cornice unitaria, al cui interno si forma un unicum sentire, che è il vero fondamento ideologico di una banda armata clandestina, di una vera e propria associazione sovversiva. Ciò deve esser chiaro a tutti.
Signor presidente, sull'evoluzione dell'anarco-insurrezionalismo negli ultimi 15 anni e sugli attentati ad esso attributi o attribuibili ho ampiamente riferito alla Camera lo scorso 11 novembre. Sugli stessi aspetti posso comunque depositare agli atti - se la Commissione lo ritiene - un consistente ed aggiornato fascicolo di documentazione.
Riferisco ora sull'azione di contrasto svolta dagli apparati di sicurezza. Le particolari modalità degli attentati ascrivibili al movimento anarchico e l'autonomia che continua a caratterizzare i vari soggetti dediti all'eversione rendono difficoltose le attività preventive, essenzialmente affidate alla vigilanza ed all'analisi.
Lo studio approfondito del modus operandi degli anarco-insurrezionalisti ha sicuramente consentito di inquadrare il fenomeno, di individuare le principali aree di riferimento e di classificare i criteri utilizzati per la realizzazione degli attentati. Nel caso specifico, voglio anzitutto ricordare che, fin dal 27 ottobre scorso, era stata rafforzata la protezione del professor


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Prodi, sino a quel momento soggetto alla misura della tutela su auto protetta, integrata da un servizio di vigilanza fissa presso la sua abitazione nei giorni di permanenza a Bologna. Tale dispositivo fu potenziato con l'assegnazione di un ulteriore servizio di scorta armata su altra autovettura.
A tale decisione si pervenne in seguito alla valutazione congiunta di segnali diversi che lasciavano intravedere le istituzioni europee ed i loro rappresentanti possibili bersagli dell'eversione. Tra tali segnali, assunse a suo tempo particolare rilevanza la nascita di «Europposizione», un gruppo composito nel quale sembrano convergere anarco-insurrezionalisti e frange disparate dell'antagonismo estremo.
Aggiungo che, subito dopo la duplice esplosione del 21 dicembre, la vigilanza fissa presso il domicilio del Presidente Prodi è stata resa continuativa e che adeguata protezione è stata assegnata anche alla signora Flavia e ai figli residenti a Bologna. Negli stessi giorni, inoltre, si sono presi contatti con i vertici della Polizia belga per l'adozione di appropriate misure di tutela a favore del Presidente Prodi durante la sua permanenza in quello Stato.
Più in generale, ricordo qui che il sistema di protezione delle personalità a rischio è stato potenziato con la costituzione dell'Ufficio centrale interforze per la sicurezza personale. La nuova struttura ha riorganizzato e razionalizzato i servizi di vigilanza, accrescendone l'efficacia anche mediante la piena circolarità delle informazioni disponibili tra tutte le autorità interessate. Attualmente sono 734 le persone protette mediante dispositivi di vario livello ed intensità, con l'impiego quotidiano di 2.859 operatori delle forze dell'ordine.
Tuttavia, dopo gli episodi in questione, il riesame critico dei dispositivi ha evidenziato la necessità di tecniche innovative per adeguare tempestivamente le modalità di intervento all'evoluzione della minaccia eversiva e, in particolare, ha rivelato una carenza nel controllo della corrispondenza. Preciso che esiste già nel nostro paese un sistema di sicurezza per la raccolta, lo smistamento ed il recapito della corrispondenza indirizzata ad alcuni obiettivi ad alto rischio e ricordo anche che, in questi giorni, sono state adottate misure di emergenza per migliorarlo. Ora, però, occorre intervenire strutturalmente per ampliarlo, potenziarlo ed affinarlo. Ciò pone problemi rilevanti, che si stanno studiando, in ordine ai costi dell'operazione, ai tempi di consegna della posta e alla tutela del diritto costituzionale alla libertà e alla segretezza della corrispondenza.
Ciò chiarito, e una volta riconosciuta l'attuale inadeguatezza dei controlli postali, si deve obbiettivamente constatare che l'accresciuta esposizione del Presidente Prodi è stata tempestivamente percepita e congruamente fronteggiata. Anche le misure poste in essere a seguito dell'incidente risultano all'altezza della situazione. Nessuna sottovalutazione, dunque, e lo dico senza alcun riferimento polemico a chicchessia. So bene - come ho detto altre volte - che la storia del terrorismo è spesso storia di tragiche sottovalutazioni.
Per quanto riguarda l'attività investigativa, posso assicurare che l'inchiesta sui recenti episodi terroristici viene seguita con la massima attenzione dalla magistratura bolognese e dalla polizia giudiziaria, che hanno avviato specifiche e complesse indagini per individuarne gli autori.
Sul più ampio fronte del fenomeno dell'anarco-insurrezionalismo, sono stati appositamente costituiti nuclei investigativi che operano a tempo pieno sul territorio con il coordinamento delle strutture centrali antiterrorismo. Presso la direzione centrale della polizia di prevenzione del dipartimento della pubblica sicurezza, è attivo, con funzioni di cabina di regia, un comitato di analisi strategica anti-terrorismo, composto da esperti qualificati della Polizia di Stato, dell'Arma dei carabinieri e del SISDE. Questo ristretto gruppo di lavoro raccoglie le informazioni provenienti dalla periferia ed aggiorna il quadro generale del composito universo terroristico ed eversivo.


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Sul piano internazionale, nei giorni scorsi, il capo della Polizia ha tenuto, su mio espresso incarico, un'apposita riunione con i vertici antiterrorismo del nostro paese, della Spagna, della Grecia, dell'Olanda, della Germania, della Francia e del Belgio, con il vicedirettore di Europol e, in veste di osservatore, con il rappresentante di Eurojust.
Nel corso della riunione, sono state esaminate tutte quelle azioni terroristiche che, per modalità di esecuzione, rivendicazione o risultanze investigative, possono essere ricondotte al fenomeno dell'anarco-insurrezionalismo europeo. Al termine dell'incontro, è stata accolta la proposta italiana di attivare immediatamente un gruppo di analisi, composto da esperti dei paesi partecipanti e da un funzionario di Europol. Il gruppo sarà guidato dall'Italia e dovrà monitorare, entro due mesi, il fenomeno dell'anarco-insurrezionalismo in tutte le sue espressioni, ricollegando i vari episodi criminosi, i soggetti sospettati e le tecniche operative adottate. Gli elementi di interesse ricavati da questo lavoro di analisi potranno poi essere utilizzati dalle diverse autorità di polizia, che proseguiranno ovviamente le proprie indagini in conformità ai rispettivi ordinamenti. Da parte sua, Europol dovrà garantire la condivisione delle informazioni, estendendo quelle via via acquisite agli altri Stati membri che dovessero in futuro risultare interessati.
Mi preme sottolineare qui tutta l'importanza di questo accordo, anche perché esso trae origine dalle decisioni adottate nell'ottobre scorso dalla task force dei capi delle Polizie, su proposta della Presidenza italiana del semestre europeo.
Ciò detto, aggiungo che, sul piano interno, potrebbe rivelarsi utile ed opportuno adottare alcune specifiche innovazioni legislative, come suggerito, in questi giorni, anche da autorevoli esponenti della magistratura. Tengo comunque a ribadire che potrebbe trattarsi di un limitato pacchetto di norme le quali, lungi dall'avere le caratteristiche della legislazione di emergenza - e, quindi, senza incidere negativamente sui diritti fondamentali dei cittadini - siano tuttavia in grado di migliorare il complessivo sistema di contrasto, adeguando gli strumenti operativi, investigativi e processuali alle diversificate e complesse dinamiche dei movimenti eversivi e terroristici.
Signor presidente ed onorevoli colleghi, concludendo, l'11 novembre scorso nella mia informativa alla Camera dei deputati, insistetti sulla pericolosità dell'anarco-insurrezionalismo italiano, evocando la diffusione, sul territorio, della sua numerosa militanza, le vaste zone di supporto e complicità di cui gode, i saldi legami internazionali che intrattiene e, infine, il variegato armamentario politico-ideologico che gli consente di rispondere alle più svariate domande di protesta estrema e di violenza politica. Confermo quella valutazione e le previsioni che l'accompagnavano, le quali hanno, poi, purtroppo, trovato conferma nei fatti. Non vorrei, tuttavia, che l'enorme clamore mediatico suscitato dalle ultime imprese degli anarco-insurrezionalisti distraesse la nostra attenzione dall'altra, persistente, minaccia terroristica: quella delle Brigate rosse. Certamente, dal tragico conflitto di Arezzo ad oggi, le BR - partito comunista combattente dell'asse tosco-laziale - hanno subito, e stanno continuando a subire, colpi durissimi; colpi che ne hanno ridotto drasticamente la capacità di azione e le costringono, quanto meno, a ripiegare in una nuova ritirata strategica.
Ma teniamo ben presente che, dal vecchio triangolo industriale Genova-Milano-Torino fino a tutto il nord-est, viene prendendo corpo una sorta di «Pedemontana eversiva», fatta di significative presenze, confuse nel mondo del lavoro e in taluni ambienti sociali e culturali. Su questi, esse possono esercitare una rilevante influenza politica e vi possono trovare consenso e sostegno, anche per atti terroristici di estrema gravità.
In tale contesto, vi ricordo che, con un corposo e lucido documento dello scorso 20 ottobre, si sono costituite le «Brigate rosse-Guerriglia metropolitana per la costruzione del fronte combattente e antimperialista». Questa formazione nasce dalla


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evoluzione degli NTA (Nuclei territoriali antimperialisti), prevalentemente presenti nel nord-est, i quali già da tempo, come ebbi a dichiarare in Parlamento, apparivano in cammino verso le Brigate rosse. Vi è poi un fatto nuovo: la circostanza che la denominazione prescelta indica direttamente la guerriglia metropolitana mentre il programma esposto allarga il tradizionale orizzonte delle Brigate rosse, assumendo, tra gli altri, un triplice impegno: il primo, «promuovere e sviluppare, nelle metropoli e nelle periferie, le alleanze per la costruzione e l'espressione del fronte combattente antimperialista»; il secondo, «attaccare la coesione europea che rafforza la borghesia imperialista»; il terzo, «colpire il progetto antiproletario e controrivoluzionario dello Stato che evolve attraverso il piano neocorporativo e di riforma dei suoi istituti». L'allusione evidente è, per così definirla, alla dottrina Biagi ed agli effetti politici da essa prodotti.
L'ultimo slogan del programma esorta semplicemente, ma eloquentemente, a «combattere insieme». Ma insieme a chi? Se non di un espresso invito agli anarco-insurrezionalisti e all'intera galassia dell'antagonismo estremo, si tratta comunque dell'offerta di un terreno di incontro politico, programmatico ed operativo. Di fronte a tale prospettiva, appaiono piuttosto deboli, o soltanto retoriche, le prese di distanza della nuova FAI dal cosiddetto «cancro marxista».
In ogni caso, non si può non osservare che, nella loro evoluzione, le diverse formazioni terroristiche tendono ad individuare terreni comuni di lotta e a stabilire comuni obiettivi: lo si vede chiaramente se si mettono a confronto i documenti e i fatti richiamati, o soltanto evocati, in questa relazione. Lo conferma l'esperienza, ormai consolidata, del terrorismo sardo, il quale non è assolutamente isolato, bensì è collegato a centrali nazionali ed europee, nonché agli stessi brigatisti irriducibili in carcere; lo suggerisce il ritrovamento, nell'ultimo covo brigatista, di cento chilogrammi di esplosivo, materiale dianzi estraneo alle abitudini delle Brigate rosse, e forse accumulato lì a disposizione di gruppi fiancheggiatori, magari acculturati con il Manuale dell'anarchico esplosivista o con il testo più recente intitolato Ad ognuno il suo: mille modi per sabotare questo mondo. Forse, è utile acquisire agli atti anche la copia fotostatica di tale nuova impresa editoriale; naturalmente, non do per conclusi tali processi, e mi guardo bene...

MARCO BOATO. Mi scusi, signor ministro; a mio avviso, la Commissione gradirà senz'altro acquisire tale documentazione, ma vorrei sapere se intende lasciare alla nostra attenzione entrambi gli atti.

BEPPE PISANU, Ministro dell'interno. No. Il Manuale dell'anarchico esplosivista è una pubblicazione vecchia; gliene posso senz'altro fare omaggio.
Naturalmente - e lo affermo avendo ben presente l'interessante dibattito svoltosi alla Camera dei deputati l'11 novembre scorso -, non do per conclusi tali processi e mi guardo bene dalle generalizzazioni; però, i mutamenti in atto nel terrorismo italiano e nelle aree contermini vanno seguiti scrupolosamente e con grande discernimento, senza attardarsi più di tanto nei vecchi schemi interpretativi risalenti, ormai, a 25-30 anni fa. Dobbiamo analizzare e capire bene quanto accade, se davvero vogliamo prevenire e contrastare efficacemente la minaccia terroristica. Proprio a tale fine, Polizia di Stato, Arma dei carabinieri e servizi di informazione, su mia precisa richiesta, stanno collaborando attivamente, forse come non mai, anche con il proposito di strutturare una capacità operativa interforze destinata a durare nel tempo.
Peraltro, autorevoli voci della maggioranza e dell'opposizione parlamentare, in confortante sintonia, hanno già apertamente sostenuto che, nell'auspicata riforma dei servizi, si debba dare forte impulso al sistema integrato di sicurezza, facendo in modo che l'intelligence, pur nella netta distinzione tra SISMI e SISDE, affianchi, sempre più da vicino, l'azione di prevenzione e di repressione delle forze di


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polizia. Penso che in questa direzione si debba procedere alacremente.
In conclusione, onorevoli colleghi, voglio affermare che, nonostante i successi ottenuti contro le BR e anche senza enfatizzare i gravi fatti di questi giorni, molti elementi concorrono oggi a far crescere complessivamente la minaccia terroristica interna, una minaccia non ancora unitaria ma che, in tutte le sue componenti, mira ad inserirsi nel già aspro conflitto politico e sociale, con il deliberato proposito di deviarlo dal naturale alveo democratico. Se non è possibile temperare la conflittualità generale del paese, deve essere possibile realizzare, almeno, una vera, operante unità delle forze politiche e sociali contro il terrorismo, l'eversione ed ogni forma di violenza politica.
Su questa linea mi auguro di poter trovare qui, in Parlamento, ancora una volta, il consenso più ampio.

PRESIDENTE. Ringrazio il ministro per la sua relazione e sospendo brevemente la seduta.

La seduta, sospesa alle 12,50, è ripresa alle 12,55.

PRESIDENTE. Mi sembra condivisa la proposta di concedere, per gli interventi dei colleghi, un tempo di dieci minuti per ciascun gruppo parlamentare. Nel caso in cui intendano intervenire più componenti del medesimo gruppo, si potrà modificare questa organizzazione dei lavori.
Come ho ricordato, in occasione della seduta odierna stiamo effettuando la sperimentazione del nuovo apparato satellitare di cui la Camera dei deputati dispone. Tuttavia, per problemi tecnici, risulta funzionante soltanto una telecamera. Pertanto, ove i colleghi lo ritengano opportuno, possono accomodarsi al tavolo della presidenza per effettuare il loro intervento.
Do la parola ai colleghi che desiderano intervenire.

GRAZIELLA MASCIA. Quest'oggi il ministro ha prodotto alcuni aggiornamenti rispetto al quadro che ci aveva fornito poche settimane fa, in Assemblea, ed anche riguardo alla pericolosità di questo fenomeno. Naturalmente, io dispongo di informazioni diverse o di diverse possibilità di interpretazione anche in relazione all'ultima sottolineatura effettuata dal ministro, in merito alle novità e, quindi, alla necessità di non attestarsi su vecchi schemi. Prendo per buono quanto il ministro ci riferisce. Credo che, se le cose stanno così (e penso che stiano così), forse, bisognerebbe calibrare bene anche gli annunci, a volte intempestivi. Mi riferisco, in particolare, all'annuncio del Presidente del Consiglio dei ministri, nelle giornate natalizie. Accade - non dico spesso ma qualche volta - che vi siano anticipazioni giornalistiche al riguardo di indagini che, magari, non sono ancora iniziate o sono appena agli inizi.
Mi chiedevo, ascoltando le sue attente analisi, rispetto anche all'attenzione rivolta al Presidente Prodi - considerato un obiettivo sensibile, in base a tutti gli elementi di cui disponevate già precedentemente - come sia stato possibile rafforzare scorta e tutela da una parte, e non ritenere di dover controllare la posta, dall'altra. Sollevo domande probabilmente banali, che tuttavia si sono poste anche altre centinaia, se non addirittura migliaia, di cittadini, data peraltro la rilevanza di un fenomeno non inedito e di cui si è riferito più volte in Parlamento.
Ci si interroga come sia stato possibile - a fronte delle misure di sicurezza adottate, e tenuto conto che singoli attentati si erano verificati già nei giorni precedenti -, che un banalissimo libro abbia potuto superare indenne i controlli. Allo stesso modo ci domandiamo come sia possibile che anche i plichi pervenuti ad altre personalità europee in questi giorni abbiano potuto varcare tutte le misure di controllo esistenti e che anzi si moltiplichino sempre di più.
Rispetto alla sua lettura dei fatti, signor ministro, mi chiedo quale valutazione sia stata data ad altre posizioni. In un'intervista a l'Unità, il giudice di Venezia Mastelloni - che ha indagato molto sul terrorismo,


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proprio nei giorni successivi alla vicenda in esame -, ha dichiarato di nutrire forti dubbi sull'imputabilità degli atti in oggetto al fronte anarco-insurrezionalista, per il linguaggio utilizzato, e per altri elementi su cui solo coloro che hanno indagato a lungo in merito possono permettersi di disquisire. Poiché questa mi pare abbia rappresentato l'unica voce significativa che si è espressa diversamente a proposito del fenomeno in esame, vorrei sapere se tale diversità di opinione sia stata considerata.
Nell'insieme, riteniamo certamente preoccupante il quadro in cui ci muoviamo, per le cose che lei ci ha detto, e che ognuno di noi può verificare, in relazione al terrorismo internazionale e interno e ai nuovi fenomeni che stiamo conoscendo in queste settimane. Tuttavia, riteniamo di dover esprimere altrettanta preoccupazione per le possibili implicazioni derivanti proprio da tale clima, il timore che si producano legislazioni di emergenza - già se ne sono state adottate nel corso di questi mesi - dai risvolti pericolosi. Ritengo invece doveroso dimostrare, accanto alla capacità di svolgere un'attenta vigilanza e un'adeguata attività di indagine e prevenzione di questo fenomeno, quella di essere assolutamente rigorosi sui diritti fondamentali dei cittadini.
Tuttavia, reputiamo che molte volte questa soglia sia già stata superata. Il Parlamento discuterà nei prossimi giorni sulla questione della privacy e sulle misure del nuovo decreto di cui la stampa ha parlato, compresa la possibile estensione dei controlli non solo alle comunicazioni telefoniche ma anche ad internet, mettendo in discussione la riservatezza dei cittadini. Io penso che le misure di controllo e di intercettazione siano tante e tali nel nostro paese, anche per le leggi assunte negli ultimi due anni, per cui non vedo che cosa di più si possa e si debba fare.
In ogni caso, ritengo si siano spesso varcate le soglie che io considero assolutamente indispensabili per tutelare diritti altrettanto importanti come quelli della sicurezza, che non necessariamente potrà essere più efficacemente assicurata con una restrizione dei primi. Dunque, guardo con preoccupazione a quanto da lei dichiarato, anche rispondendo ad alcune sollecitazioni di certi magistrati. Signor ministro, mi chiedo cosa abbia a che fare con l'emergenza parlare, come ha fatto lei, di strumenti operativi, investigativi e processuali. Sono naturalmente molto curiosa di conoscere tali misure, ma le dichiarazioni rese in questi giorni, tra gli altri anche del generale Tricarico e dal dottor D'Ambrosio (il quale è arrivato a chiedere l'esame del DNA per poter meglio identificare, riferendosi particolarmente al terrorismo islamico, persone che varchino i confini di un paese), sono tutte molto preoccupanti.
Ritengo che tali posizioni siano molto pericolose e quindi anche questo suo riferimento dovrà trovare ulteriori precisazioni. Per ultimo, penso che l'unità contro il terrorismo non sia in discussione da parte di alcuno, evidentemente però ognuno di noi ha delle modalità e delle opinioni diverse per affrontarlo: non solo noi pensiamo che non si possa limitare il conflitto, ma anzi crediamo che il conflitto sociale sia un'arma della democrazia, un suo strumento che non solo non deve venir messo in discussione in un appello per la sicurezza ma che addirittura dovrebbe essere sollecitato proprio come elemento di vivacità del paese. Forse, bisognerebbe dar seguito al conflitto sociale che in queste settimane è stato acceso, da tutti punti di vista, e che ritengo un bene per la nazione. In ciò sta il nostro impegno: farne parte, oltre che riconoscerne il giusto valore.

RICCARDO MIGLIORI. Ringrazio innanzitutto il ministro per le informazioni dettagliate e di grande puntualità che ha voluto fornirci, come al solito riconoscendo a questa Commissione e al suo lavoro un ruolo cardine nel confronto tra Parlamento e Governo sui temi in esame. Anche sotto il profilo metodologico ritengo importante sottolineare questa disponibilità. Seguo il ragionamento del ministro. Egli ci ha detto che solo dall'analisi compiuta e organica dei fenomeni può derivare


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una capacità di contrasto adeguata. Non solo, il ministro, anche con umiltà, ha sottolineato una serie di inadeguatezze storiche circa la comprensione di nuovi fenomeni, l'esigenza di una rivisitazione normativa, fatti salvi, evidentemente, i diritti costituzionali garantiti che nessuno vuole mettere in discussione; infine ha sottolineato anche l'esigenza di uno sforzo finanziario per dotare - e reputo che la legge finanziaria approvata dal Parlamento dia questa possibilità - le forze di polizia, nel loro complesso, di sofisticate attrezzature capaci di fornire un contrasto adeguato al riguardo.
Il ministro ci ha anche detto di essere di fronte ad una cornice unitaria che sfida la nostra convivenza civile. Una sfida da non prendere sotto gamba.
Negli ultimi 40 giorni si sono registrati eventi terroristici rilevanti che solo per un caso - parlo dell'attentato al presidente della provincia di Oristano e ad un collega di quella città - non hanno determinato vittime. Quindi, vi è una sfida alla convivenza civile che non è da prendere sotto gamba, che ha suoi reticoli storici, ma allo stesso tempo - mi ha impressionato una frase del ministro - una numerosa militanza potenziale di audience e, di conseguenza, di attivismo potenziale. Se le cose stanno così, e stanno così, dobbiamo valutare rigorosamente lo sforzo profuso nell'attività di contrasto, la cui entità non può sfuggire perché quasi 3 mila agenti sono quotidianamente preposti a servizi finalizzati a garantire la sicurezza personale. Non so in quale Stato europeo si registri uno sforzo così significativo di tutela della sicurezza personale; allo stesso tempo, rilevo con preoccupazione come il nostro paese, a differenza di altri, sia ancora costretto a fare i conti con un terrorismo la cui entità evidentemente non va sottovalutata.
Il ministro ha parlato di cornice unitaria e, sotto questo profilo, vorrei rivolgergli una domanda. Nell'audizione del 4 novembre in Commissione lei parlò della capacità delle Brigate rosse di mimetizzarsi sotto sigle differenziate che davano vita a manifestazioni terroristiche limitate o «minori», ai fini anche di creare una militanza e un'attenzione politica rispetto al nocciolo duro dell'attività terroristica. Non so se sia il caso di cominciare a riflettere sotto questo profilo perché, probabilmente, vi è una cornice unitaria e, forse, un cervello unitario che stabilisce anche i compiti: alle Brigate rosse il nocciolo duro dell'eversione, soprattutto nella capacità di giocare un ruolo all'interno delle dinamiche inerenti il mondo del lavoro, e ad altri tipi di sigle e di organizzazioni il ruolo di una diffusione - che nei documenti si definisce spontaneista ma che, probabilmente, non è tale - per attivare nuova militanza su argomenti diversi, dalle questioni ambientali a quelle dell'Europa, cioè temi diversi rispetto a quelli del mondo del lavoro.
Non so se questa pista analitica possa essere perseguita e se abbia un fondamento, ma sembra più fondata rispetto a dichiarazioni un po' strabilianti che alcuni magistrati hanno rilasciato in questi giorni. Una collega ha citato Mastelloni - anch'io ho letto l'intervista che è stata richiamata -, prospettando un ragionamento che, sulla base di un titolo di un libro, non sarebbe appartenuto ad una determinata tradizione politica. Trovo molto pericoloso questo sistema artigianale di riflessione analitica perché appartiene più ad un ragionamento di dialettica politica-culturale che ad un'analisi rigida ed approfondita degli eventi, senza i quali le attività di contrasto finirebbero per essere velleitarie. Quindi, ringrazio il ministro anche sotto il profilo del metodo e lo invito a proseguire nella promozione di iniziative finalizzate ad un forte coordinamento delle attività di contrasto in sede europea. Il fatto che vi sia un'evidente connessione tra gruppi terroristi italiani e l'ETA, tra gruppi terroristi italiani e fenomeni anarco-insurrezionalisti - che in Svizzera hanno visto crescere protagonisti che, poi, hanno operato più nel nostro che in quel paese - determina l'esigenza che anche a livello europeo - mi sembra che questo il ministro l'abbia detto con forza e convinzione - vi sia una capacità sinergica di risposta.


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Infine, vorrei esprimere una riflessione politica sull'appello del ministro relativo all'esigenza di una forte capacità unitaria delle forze politiche del nostro paese nonché alla risposta da dare a questi fenomeni. Mi pare che anche la recente manifestazione organizzata dai sindacati a Firenze sia andata in senso originale verso questa direzione e penso che con forza, dalle dichiarazioni e dai comportamenti politici, si debba fare giustizia una volta per tutte rispetto ad un tentativo di fare un uso politico del fenomeno terroristico che non può giovare alla democrazia italiana. Interpreto in questo senso positivo le parole del ministro e, al riguardo, esprimo la totale condivisione e disponibilità del gruppo di Alleanza nazionale.

CARLO LEONI. Ringrazio il ministro per la puntualità della sua presenza e della sua esposizione. Credo che dovremmo tornare ad approfondire l'analisi sulla galassia denominata anarchico-insurrezionalista. Infatti, non vorrei che - anche se oggi possiamo ragionare attorno ad alcune sigle e ad un'ipotesi cosiddetta di federazione di gruppi, della quale lei stesso ha parlato - si finisca per identificare in questa galassia tutto ciò che è estremismo con atti violenti non appartenenti alle categorie tradizionali o attuali delle Brigate rosse. Quindi, sento l'esigenza di un ulteriore approfondimento. In ogni caso, non può dirsi che gli organi di polizia e la magistratura, il Parlamento stesso e anche il Governo - mi riferisco a precedenti interventi dello stesso ministro dell'interno - subiscano il rischio di una sottovalutazione di questo fenomeno, che, invece, è ben presente all'attenzione di tutti noi.
Parto proprio da questo punto per sottolineare ciò che anche il ministro ha definito, riferendosi al caso specifico del plico incendiario recapitato presso l'abitazione di Romano Prodi, una carenza sul controllo della corrispondenza perché ci troviamo di fronte ad un fenomeno che viene preso sul serio. In secondo luogo, Bologna è un centro di queste attività, oltre ad essere stata investita anche da episodi di terrorismo delle Brigate Rosse, come l'omicidio di Marco Biagi, e dalla discussione sulle sottovalutazioni avvenute anche in quel caso (mi riferisco alla scorta del professor Biagi). Un giornale di oggi riferisce di un documento della Digos proprio sulla centralità di Bologna nelle azioni insurrezionaliste degli ultimi tre anni. Infatti, dal luglio 2001 proprio la città di Bologna è stata crocevia di incontri e di organizzazione di iniziative che si sono svolte non solo nella città ma anche in altri luoghi del territorio nazionale e non solo.
La Digos dice tutto ciò e, quindi, si tratta di fatti già a conoscenza delle nostre autorità. Tutti sanno, ormai, che nelle modalità operative di questi gruppi c'è, in particolare, quella dei pacchi bomba, della corrispondenza con materiale incendiario e così via. Quindi, è bene che ci sia stato dal mese di ottobre il rafforzamento della scorta e delle misure di protezione al professor Prodi. Tuttavia, si sono registrate sottovalutazioni e carenze di controllo proprio sull'invio di corrispondenza, attraverso il quale agiscono i gruppi cosiddetti anarchico-insurrezionalisti, sui quali invece non c'è sottovalutazione, in particolare - e la Digos lo sapeva - nella città di Bologna. Colgo quindi l'occasione per formulare una prima domanda al ministro. Risulta che precedentemente, cioè circa o fino ad un anno fa, la corrispondenza indirizzata al professor Prodi fosse controllata da squadre o da un artificiere e che poi questo servizio sia stato sospeso?
Vorrei sapere se le cose stiano esattamente in questi termini. Si tratta, infatti, di una carenza che implica una sottovalutazione di carattere generale, tanto più alla luce di quanto da lei ricordato: il 21 dicembre due ordigni sono stati collocati in cassonetti ad 80 metri dall'abitazione del professor Prodi; 2 documenti rivendicano questa azione e, in uno di questi, si annuncia la prima campagna della federazione anarchica informale rivolta proprio all'Unione europea ed indirizzata (così si scrive nel secondo documento) a figure istituzionali del nuovo ordine europeo,


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con minacce esplicite a Prodi e con l'annuncio che è iniziata una marcia di avvicinamento. Il 24 dicembre viene infranta la vetrina della libreria Feltrinelli con un blocchetto di porfido avvolto in un foglio di carta contenente esso stesso minacce. Il 27 dicembre, infine, si verifica l'episodio del plico incendiario recapitato presso l'abitazione di Prodi.
Ricordo quindi la sottolineatura che da tempo viene manifestata, anche in questa sede, della pericolosità dei gruppi di questa galassia; ricordo il fatto che la Digos sapeva (viene riportato in un documento) che proprio Bologna è stato un centro di incontro ed organizzazione di questi gruppi; ricordo le minacce, anche attraverso i primi atti, gli episodi dei cassonetti ed altro ancora, nei confronti del professor Prodi. Ebbene, con tutto ciò non si poteva non pensare ad un controllo della corrispondenza, tanto più che se è vero che nei mesi precedenti questo controllo veniva effettuato, significa appunto (lei ha usato questa parola, io la sottolineo fortemente) che c'è una carenza grave relativamente alla necessità del controllo sulla corrispondenza. Chiedo pertanto che gli aspetti relativi a questa carenza vengano approfonditi.
Forse lei non ne ha parlato, ma dai giornali risulta che sia controllata la posta in uscita da Bologna verso paesi dell'Unione europea. Questo controllo è stato attivato prima o dopo l'invio da Bologna di pacchi bomba o lettere incendiarie ad altri paesi dell'Unione europea? Lo scopo della domanda è chiarire se ci troviamo di fronte ad un controllo efficace o se invece il controllo è successivo.
Lei ha già accennato all'esigenza di misure di carattere legislativo. Tutti conosciamo la delicatezza di questo tema; sappiamo quanto può essere rischiosa e controproducente la logica della legislazione di emergenza; sappiamo quanto delicato è questo tema che inevitabilmente rischia di infrangere e colpire principi fondamentali di libertà e di diritto alla privacy. Ovviamente, da parte di nessuno vi è una chiusura pregiudiziale; tuttavia, visto che lei ha parlato con proprietà e con misura, è evidente che almeno nella testa del ministro dell'interno c'è già qualche idea. Non chiedo ovviamente di anticipare né di conoscere i dettagli delle misure alle quali si sta pensando (forse questa sarebbe anche la sede impropria) ma che almeno vi sia un cenno all'argomento. Dov'è che si avverte un vuoto nella nostra attuale legislazione verso il contrasto all'azione terroristica? Attorno a quale tema sta ruotando la riflessione del Governo o del Viminale in relazione a misure di carattere legislativo?
Infine, sempre nell'ottica di richiesta di ulteriori chiarimenti, chiederei di porre dei confini precisi per quanto riguarda l'anarco-insurrezionalismo a proposito del terrorismo sardo. Si tratta effettivamente di un'anomalia e di una novità; vorrei capire meglio, in base alle conoscenze del Ministero dell'interno, di che fenomeno si tratti e quali collegamenti accertati vi siano con altre formazioni di carattere terroristico o paraterroristico.

FABRIZIO CICCHITTO. Vorrei anzitutto rinnovare al professor Prodi la nostra solidarietà. Lo faccio per due ragioni: la prima - la più ovvia - è quella che egli è stato fatto oggetto di un atto terroristico, sia pur di bassa intensità; la seconda, deriva dal fatto che egli, con le dichiarazioni successive al fatto (malgrado fosse stato oggetto di un attentato) ha liquidato un tipo di polemica che qui vedo riemergere in modo più morbido. Il professor Prodi, infatti, stando alle sue dichiarazioni, ha affermato di essere protetto e di non avere alcuna questione da sollevare in ordine alla sua protezione.
È sempre possibile argomentare, sulla base di un fatto non previsto, non prevedibile, che vi siano state carenze, ma mi ha colpito anche un'altra frase del professor Prodi che dimostra che egli, insieme alle forze dell'ordine, aveva valutato questo problema. Infatti egli ha affermato di aver evitato l'incidente perché si è attenuto alle indicazioni che gli erano state fornite. Quindi la mia sensazione - mi rivolgo ai colleghi Mascia e Leoni - è che la situazione, anche da questo punto di vista, sia


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più complessa di come, in modo un po' schematico, viene rappresentata.
Va dato atto al professor Prodi di aver bloccato all'origine le polemiche su questi aspetti. Ricordo che, in loco, si era aperta una polemica non gradevole tra magistrati, forze dell'ordine, eccetera; non credo che si occupi di tutto il ministro degli interni, sicuramente vengono coinvolte anche le responsabilità locali. Credo che il professor Prodi si sia comportato con grande misura, derivata anche dall'esistenza di una tutela complessiva che ha evitato danni maggiori. Lo dico per evitare di trascinare questa polemica: ex post tutto è chiaro. Il collega Leoni ha sollevato il problema dei controlli sulla corrispondenza a Bologna; gli chiedo: e se i responsabili cambiassero zona e da Bologna e si trasferissero a Firenze? Ecco, allora, che si porrebbero altre problematiche. Siamo in una situazione in cui margini di imprevedibilità effettivamente esistono.
Passo ora ad un'altra questione che attiene all'aspetto politico centrale della relazione del ministro Pisanu. Premetto che, da diverso tempo a questa parte, fortunatamente assistiamo meno che in passato a quella fuga di notizie (poi palleggiata tra il ministero degli interni e la procura) che, come i colleghi ricorderanno, inferse un colpo durissimo alle indagini sull'assassinio del professor D'Antona.
Ma le questioni che emergono, a mio avviso, sono altre. Esse impongono di esprimere una valutazione molto positiva sull'esposizione del ministro e, specialmente, sui comportamenti del Ministero dell'interno e di tutto l'apparato di sicurezza.
In secondo luogo, però, emerge il fatto che noi possiamo trovarci di fronte a situazioni nuove e diverse. Allora, a me sembra che il fenomeno dell'anarco-terrorismo, degli anarco-insurrezionalisti, sia definito e non indefinito. Aggiungo anche che il ministro dell'interno su questo tema ci ha intrattenuto più volte, non solo nell'intervento svolto l'11 novembre, ma anche in altre occasioni precedenti. Si tratta di un fenomeno che ha una sua configurazione. Il problema rispetto al quale ci troviamo è che sia il fenomeno Brigate rosse sia il fenomeno degli anarco-insurrezionalisti presentino degli elementi di novità. Quello degli anarco-insurrezionalisti è un fenomeno presente da molti anni e che probabilmente ha avuto una sottovalutazione generale di trattamento, perché sfuggiva allo schema fondamentale, che era tutto fondato sul tema marxismo-leninismo, Brigate rosse, e così via.
Se non ricordo male, ci sono processi da molti anni a Roma, che riguardano la prima fase del fenomeno degli anarco-insurrezionalisti; ricordo che alcuni magistrati o poliziotti si sono lamentati per il fatto che poi, sfuggendo questo fenomeno allo schematismo e alle forme irrigimentate tradizionali delle Brigate rosse, non gli sia stata mai data la definizione di banda armata, e questo ha attenuato di molto le possibilità di contrasto. Mi sembra che questa definizione sia stata riproposta oggi dal ministro dell'interno non a caso, ma proprio perché si è registrato questo vuoto nel corso di questi anni.
L'altra questione con la quale dobbiamo fare i conti è che - ci sono una serie di dati che lo dimostrano, riunioni avvenute a Pisa, a Torino e così via - non c'è più la dicotomia totale, che c'è stata nel passato, tra il fenomeno delle Brigate rosse, che avevano una loro compattezza e chiusura, e il fenomeno dell'anarco-terrorismo. Vi sono state riunioni svolte in modo congiunto proprio perché queste Brigate rosse non sono più le vecchie Brigate rosse: non solo sono state colpite nel modo che sappiamo, ma hanno caratteristiche diverse da quelle del passato. Quindi, questo aspetto pone dei problemi che vanno esaminati evitando di mettersi a «gridare» in anticipo davanti ad alcune questioni; noi abbiamo delle realtà che poi circolano nella società. Se consideriamo anche gli ultimi arresti di brigatisti, possiamo notare che questi ultimi hanno una configurazione totalmente diversa dai brigatisti del passato; possiamo notare inoltre che brigatisti, per un verso, e anarco-


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insurrezionalisti, per altro verso, circolano poi in spezzoni della società, aumentando la loro pericolosità.
Circolano a margine delle lotte sociali, a margine del movimento sindacale, tant'è che alcuni assumono anche cariche, sono presenti e circolano nei centri sociali. Quando mai nel passato i brigatisti andavano nei centri sociali? Non ci andavano, perché era un fenomeno più corposo e più chiuso in se stesso. Adesso invece ci vanno; ci vanno loro, ci vanno gli anarco-insurrezionalisti. Questo complica le cose. Le complica perché poi possono innestarsi sul terreno di una radicalizzazione politica e sociale che c'è. Quindi noi dobbiamo sapere che abbiamo a che fare con un fenomeno più variegato, più complesso e meno compartimentizzato di quanto sia avvenuto nel passato. Il livello di scontro armato delle Brigate rosse, al di là degli scontri e del ridimensionamento avuto recentemente, era minore; però abbiamo visto degli elementi di fantasia politica, nel senso che una serie di sigle, che sono uscite fuori, erano in parte originate da chi voleva apparire in un fenomeno più complesso, perché non era in grado di realizzare nuovi interventi armati della durezza di quelli che ci sono stati con l'assassinio di D'Antona e con l'assassinio di Biagi. Abbiamo così avuto una moltiplicazione di sigle che poi facevano interventi di più basso livello, ma che stanno a testimoniare una situazione di tensione.
Aggiungo un altro dato, che richiamo non certo per ragioni di bottega. I quattro colpi di pistola esplosi da esponenti del fronte rivoluzionario comunista contro la sede di Forza Italia a Milano sono un campanello d'allarme ulteriore anche per le motivazioni che sono state date, cioè che si è trattato di un atto dimostrativo di chi ha voluto dire - e poi lo ha scritto -: eravamo in condizione di sparare non contro dei vetri o dei muri, ma in altra direzione. Questo implica quindi l'esistenza di una situazione di pericolo.
Voglio concludere rilevando che va dato atto al Governo che il contrasto è sviluppato, la guardia è alta, e sono state evitate forme di fuga di notizie che hanno nel passato pregiudicato le indagini; per altro verso ci troviamo di fronte - e lo diceva a conclusione del suo intervento il ministro dell'interno - a realtà nuove sia nella crescita del fenomeno degli anarco-terroristi sia nella disarticolazione nel sociale di ciò che rimane delle Brigate rosse, nella tendenza dell'incontro tra due realtà finora totalmente separate; il che vuol dire che qualunque fenomeno, anche le Brigate rosse, che sono state ridimensionate, non è stato affatto liquidato e quindi dobbiamo fare i conti con una realtà che presenta tassi di pericolosità molto, molto elevati.

MARCO BOATO. Signor presidente, mi pare sia significativo che tutti coloro che sono fin qui intervenuti - e io mi associo a questi - abbiano iniziato il loro intervento, anche quando poi vi siano stati rilievi critici e problematici (d'altra parte, è ovvio, considerato che stiamo svolgendo una discussione parlamentare), con un ringraziamento sincero al ministro dell'interno per la sua relazione e anche per la disponibilità continua che ha sempre avuto, fin da quando ha assunto l'incarico, nei confronti sia di questa Commissione, che ha la competenza specifica in materia di interni, sia nei confronti dell'Assemblea della Camera.
Ho detto in altre circostanze, e sono felice di non dovermi smentire oggi, che trovo il modo con cui il ministro affronta le questioni del terrorismo in rapporto al Parlamento, in rapporto ai suoi compiti istituzionali, equilibrato, documentato e ampiamente condivisibile. Questo «ampiamente» non è una riserva, ma è che poi ognuno può dare delle accentuazioni su un punto o sull'altro, e anche il ruolo che ciascuno di noi ricopre è diverso: lei è ministro dell'interno, qui ciascuno di noi non è un aspirante ministro dell'interno, ma esprime le posizioni delle forze parlamentari.
Io condivido anche questa volta, come del resto nelle occasioni precedenti, l'appello conclusivo, che il ministro sempre rivolge, a che, sia pure nelle eventuali differenze di accentuazione, di analisi e di problematicità dei singoli aspetti, ci sia


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un'ampia unità delle forze politiche e sociali, nell'impegno comune nella lotta contro il terrorismo. Bisogna evitare - mi pare che la cosa sia stata finora più evitata che in altre circostanze (ho una memoria più problematica del dibattito che si svolse in aula l'11 novembre) - che le vicende del terrorismo, anche quando si possono avere opinioni diverse (ed è legittimo), diventino strumento reciproco di scontro tra maggioranza ed opposizione o tra settori della maggioranza e settori dell'opposizione.
Bisogna, quindi, evitarlo come la peste all'interno di un sistema democratico in cui - giustamente la collega Mascia lo ha rilevato - anche il conflitto sociale, e non solo quello politico, è il sale della democrazia. Tutt'altra cosa è il terrorismo e guai a chi lo utilizzasse come uno strumento di lotta politica o, addirittura, di delegittimazione reciproca.
Ho apprezzato - il collega Carlo Leoni ne ha già parlato all'inizio del suo intervento - anche l'ammissione che lei ha fatto con molto rigore sulle carenze che, oggettivamente, si sono verificate in una circostanza specifica a Bologna, in relazione a quanto accaduto al presidente della Commissione europea. La preoccupazione - lei lo capisce, anche perché ha assunto l'incarico proprio dopo una vicenda drammatica - è che, in quella città, sottovalutazioni di ben altra natura e di ben altra gravità si siano verificate in passato e siano quelle che, purtroppo, hanno determinato la morte di Biagi. Biagi è stato assassinato dalle Brigate rosse: lo ripeto sempre perché vi sono coloro che sul caso Moro confondono le carenze, spaventose all'epoca, degli apparati dello Stato con le responsabilità di chi ha ucciso Moro nel 1978. Moro è stato assassinato dalle Brigate rosse, non dallo Stato, né dalla CIA, né dal KGB. Marco Biagi è stato assassinato dalle Brigate rosse; vi è la responsabilità per la sua morte, ma, ovviamente, le carenze gravissime in quel caso - veramente terribili perché sopraggiungevano tanti anni dopo - hanno agevolato quell'omicidio. Lei ha ricordato en passant questo aspetto limitato; il collega Leoni ha insistito al riguardo ma io non lo faccio e do atto pubblicamente della sua lealtà nel riconoscere tale aspetto.
Credo che lei abbia fatto bene (lo sta facendo ormai da mesi, da un anno e mezzo) ad insistere per giungere ad una ricostruzione meticolosa, puntuale ed analitica. Questo era totalmente mancato. Non è che le analisi di oggi siano diverse da quelle di 25 anni fa (ministro, lei se lo ricorda perché faceva politica anche allora), ma 25 anni fa non c'erano proprio: gli apparati dello Stato preposti alla sicurezza ritenevano irrilevante analizzare puntualmente e meticolosamente, perfino in modo paradossale, le caratteristiche del terrorismo, allora di destra, di sinistra, internazionale. Lei oggi ripetutamente cita una sigla che (solo a dirla, se non comportasse degli attentati, fa sorridere) e lo fa scrupolosamente: credo che sia importante. La sigla è la seguente ed è quella più paradossale: Cooperativa artigiana fuoco e affini occasionalmente spettacolari.

BEPPE PISANU, Ministro dell'interno. Tra parentesi, «occasionalmente spettacolari»...!

MARCO BOATO. Sì, lei non ha sorriso, lei l'ha citata, ha ricordato gli episodi che si riconnettono alla medesima e ha messo il Parlamento, e, tramite questo, il paese, di fronte a questo fenomeno e a tutti gli altri aspetti. Del resto, la serie degli attentati antieuropeisti vanno sotto il nome, se non ho capito male, di «operazione Santa Claus». Non so chi sia, ma sicuramente, la benedizione indiretta di questa campagna è paradossale, ma lei l'ha citata puntualmente e ha ricostruito di fronte al Parlamento questa vicenda.
A mio avviso, lei ha giustamente ricordato, con riferimento alle formazioni cosiddette anarchico-insurrezionaliste (le medesime, peraltro, non usano tale nome per autodefinirsi perché è un nome che distingue lo storico anarchismo politico, quello della FAI vera, rispetto a quello informale) una differenza: permane, credo, il rifiuto delle scelte organizzative di tipo militarista delle Brigate rosse (lei lo


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dice giustamente ed i fatti dimostrano la verità di ciò che lei afferma), superando il precedente spontaneismo.
Questa differenza continua a rimanere fra questi due filoni, uno più antico e uno più recente del terrorismo. Devo dire che anche alla fine degli anni settanta e all'inizio degli anni ottanta comparve qualcosa che si richiamava all'anarchismo sotto il profilo terroristico. Era un gruppo che durò pochissimo e che si chiamava Azione rivoluzionaria, il quale rifiutava il «marxismo-leninismo» delle Brigate rosse, «l'operaismo» di Prima linea e rivendicava la matrice anarchica sul terreno, anche in quel caso, terroristico. Rappresentò una meteora nel terribile panorama terroristico degli anni '70 e '80, ma ci fu anche quella.
Credo che sia giusto riflettere - è giusto non usare meccanicamente schemi passati come lei ha detto - su una novità che mi ha colpito molto (l'ho appresa sui giornali pochi giorni fa). Quando si scoprì, con intelligente azione investigativa, di intelligence e di polizia giudiziaria, il nuovo covo romano delle Brigate rosse, vennero trovati, mi pare, 100 chili di esplosivo. È una novità storica assoluta. Le Brigate rosse, in tutta la loro storia, fino ad oggi, sono state purtroppo dei criminali assassini (hanno ammazzato poliziotti, magistrati, carabinieri e uomini politici), ma hanno sempre evitato, con un scrupolo meticoloso, di colpire indiscriminatamente, così come gli anarchici che, come lei ha affermato, dicono di non compiere attentati contro gli innocenti. Ovviamente, dal nostro punto di vista, tutti sono innocenti, quindi loro colpiscono innocenti: Prodi è innocente, come anche Poettering e così via, ma dal loro punto di vista i politici, o magari quelli di Europol o di Eurojust, sono colpevoli, mentre la gente comune è innocente.
La scoperta di 100 chili di esplosivo nel loro covo, in base a ciò che ho letto sui giornali, oggi confermata dal ministro dell'interno, è, obiettivamente, una novità che desta grande preoccupazione. Non che ammazzare un politico sia meno grave che ammazzare un cittadino qualunque! Deve esserci una ragione per il fatto che si siano tenuti 100 chili di esplosivo in una loro base (noi lo chiamiamo covo) ed è giusto che lei abbia attirato la nostra attenzione su tale aspetto. Vorrei, inoltre, insistere su un'analogia, non su un'identità rispetto al passato (l'ho citata en passant nel corso del dibattito svolto l'11 novembre scorso alla Camera). Lei giustamente ha ricordato la sconfitta non definitiva, ma strategica, subita in questi mesi (a partire dall'episodio del treno Roma-Arezzo fino ad oggi) dal gruppo da lei definito tosco-laziale delle Brigate rosse-partito comunista combattente, ma ha anche ricordato la comparsa recente di una nuova sigla, Brigate rosse-guerriglia metropolitana per il fronte combattente antimperialista, che fa emergere, nella sconfitta delle Brigate rosse in questa fase, una differenziazione.
Vorrei ricordare a lei ed alla Commissione (credo che lei non ne abbia bisogno, perché oggi i suoi apparati sono più preparati di quanto lo fossero 22 anni fa) cosa avvenne nella primavera del 1981. Anche in quel caso vi fu una fase di debolezza delle Brigate rosse e non di forza, nel corso della quale vi furono quattro sequestri di persona contemporanei (Sandrucci a Milano, Cirillo a Napoli, Taliercio a Venezia e Roberto Peci, fratello di Patrizio, a San Benedetto del Tronto): due si conclusero con trattative e liberazione dell'ostaggio (mi riferisco a Sandrucci e a Cirillo) e due con degli spietati assassini (mi riferisco a Taliercio e Peci; l'assassinio di Peci venne addirittura filmato).
Non fu l'unica struttura delle Brigate rosse a compiere quei quattro sequestri. Le Brigate rosse si erano anche allora frantumate ed erano in concorrenza fra di loro: usavano i sequestri di persona ed anche gli omicidi per una spietata rivalità interna (mi riferisco al Fronte delle carceri, a Sensani e via seguitando).
Non vorrei compiere nuovamente un'analisi del 1981, ma è utile ricordare le terribili vicende di quell'anno per capire, sia pure, per fortuna, in una dimensione molto più ridotta (vi fu allora la sconfitta


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che, poi, si è ripetuta anche recentemente), cosa può accadere nell'universo brigatista.
Lei ha posto un interrogativo inerente a chi si riferisca l'ipotesi di un'alleanza lanciata dalle Brigate rosse-guerriglia metropolitana. Personalmente ho dei dubbi, ma bisogna essere molto cauti perché i 100 chili di esplosivo ci dimostrano che sta emergendo qualcosa di nuovo. Ho dei dubbi che questa alleanza sia riferita al cosiddetto filone anarchico-insurrezionalista. Lei stesso ha citato delle sigle cosiddette minori, che non sono anarchico-insurrezionaliste (una per tutte, gli NTA), ma i NIPR sono un'altra di queste sigle che, in qualche modo, sono confluite quanto meno nell'orbita di queste brigate rosse dissidenti rispetto a quelle marxiste, leniniste e ortodosse che vanno sotto il nome di Brigate rosse-partito comunista combattente.
Volevo solo segnalare le differenze ma anche qualche analogia rispetto al fenomeno che il nostro paese ha vissuto esattamente quasi ventitré anni fa. Le mie sono considerazioni e domande rispetto alle quali lei valuterà in sede di replica se aggiungere qualche elemento.
A livello più specifico, con una grande superficialità, secondo me, i giornali dei mesi scorsi hanno attribuito la terribile vicenda delle bottiglie di acqua minerale inquinate alla campagna terroristica degli anarco-insurrezionalisti. Sugli stessi siti degli anarco-insurrezionalisti (non quelli dichiaratamente clandestini, ma quelli appartenenti all'area sociale che ruota intorno a questo mondo), è stato dichiarato esattamente quello che lei stesso ha citato: noi non colpiamo la gente qualunque.

BEPPE PISANU, Ministro dell'interno. Per l'esattezza, hanno parlato di «innocenti».

MARCO BOATO. Sì, ma non ho voluto usare quella parola perché altrimenti si sarebbe potuto pensare che anche noi accettiamo il loro linguaggio. Le suggerirei di dire oggi una parola di chiarificazione su tale aspetto, almeno per quelle che, allo stato attuale, sono le vostre indagini. Il fatto che lei non abbia citato l'episodio è già implicitamente una smentita di quell'etichetta politica incautamente posta.
Io sarei più esplicito al riguardo, ma già altri colleghi hanno posto delle domande su ipotetiche misure legislative da adottare. Noi abbiamo un tale «armamentario» di leggi - comprese le misure legislative che all'epoca dell'antiterrorismo degli anni '70-'80 venivano dichiarate temporanee e che la stessa Corte costituzionale dichiarò legittime solo perché temporanee, ma che poi sono rimaste in vigore ancora oggi - che mi stupisce che si possano ipotizzare nuove misure di questo tipo. Ma siccome personalmente sono laico al riguardo, voglio capire di cosa si tratta e chiedo un po' di più rispetto a quanto richiesto dal collega Leoni, cioè di conoscere le indicazioni del Governo rispetto all'inadeguatezza dei nostri strumenti legislativi e sugli strumenti che non violino le libertà democratiche del nostro paese ma che sia opportuno eventualmente introdurre. Dopo di che, sarà il Parlamento che le valuterà e verificherà. Prima di dare giudizi critici, vorrei ascoltare quali sono le ipotesi.
L'ultima domanda riguarda l'eventuale possibilità - e mi pare che finora non sia emersa neanche dalle sue dichiarazioni - della relazione tra un terrorismo politico endogeno (perché di questo si tratta e quando diventa internazionale lo diventa in ambito comunitario, come è successo in Spagna, Grecia, Germania, eccetera) e il terrorismo di matrice fondamentalista islamica.
Dico questo perché in una demenziale dichiarazione della terrorista Lioce - ma dire demenziale non serve a nulla perché mi interessa solo capire la verità - dopo il suo arresto, quando comparve per la prima volta in tribunale, sostanzialmente fece un appello alla connessione con il terrorismo di matrice islamica. Mi pare che nulla di questo tipo sia accaduto e sia emerso. Sono anche convinto che ci sia un baratro tra questi due mondi. Però, visto che questa cosa è stata detta non dal ministro dell'interno e neanche dal sottoscritto, ma da una «capa» del terrorismo


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che attualmente è nelle carceri italiane, le chiedo una sua valutazione e se esistono degli elementi al riguardo. Mi pare che tali elementi non esistano, ma sicuramente lei ha strumenti di analisi più adeguati dei miei. La ringrazio dell'attenzione.

PIETRO FONTANINI. Signor ministro, tralascio le considerazioni politiche e le porrò subito le mie domande. Un quotidiano di oggi riporta la notizia che è stato individuato a Bologna un regista degli attentati. Vorrei chiederle se anche a lei risulta qualcosa del genere.
Inoltre, nel suo intervento ha parlato di «pedemontana» del terrorismo.

MARCO BOATO. Non si riferiva alla Lega!

PIETRO FONTANINI. Onorevole Boato, io non l'ho interrotta. La prego di non interrompere il mio intervento. Tra l'altro, le associazioni pedemontane non sono solo di matrice leghista...

MARCO BOATO. Era solo una battuta!

PIETRO FONTANINI. Vorrei capire meglio il termine «pedemontana», dal momento che i monti caratterizzano una buona parte del panorama geografico del nostro paese.
Infine, signor ministro, nella sua relazione non ho sentito parlare dei collegamenti tra il cosiddetto terrorismo nostrano (brigate rosse, anarco-insurrezionalisti, eccetera) e quello internazionale di matrice islamica, mentre in alcuni documenti delle Brigate rosse è stata citata una «santa alleanza» per colpire in maniera profonda gli apparati dello Stato e la nostra società, chiedendo in pratica al terrorismo internazionale di stampo islamico di partecipare a questo progetto. Vorrei sapere se c'è qualcosa sotto questo versante che risulta al suo Ministero.

GIANNICOLA SINISI. Anche io mi associo ai ringraziamenti che le sono stati rivolti per la precisione del suo intervento, un intervento serio ed onesto. Di questo non possiamo che essere compiaciuti perché lei ci ha fornito dei seri elementi di valutazione.
Rispetto a questi elementi di valutazione, noi formuleremo alcuni quesiti affinché lei possa fornire ulteriori risposte e svolgeremo ulteriori considerazioni, non certo con l'intento di creare una sorta di competizione rispetto al quadro dei responsabili dell'antiterrorismo nel nostro paese. Non è un quadro di considerazione tecnico ma politico, che mi auguro potrà accrescere il suo bagaglio di conoscenze e introdurre alcune questioni all'interno dell'amministrazione che lei guida.
La prima considerazione è che ci è noto che ogni funzione e ogni attività del terrorismo reca con sé alcune funzioni sussidiarie, che sono la propaganda e il proselitismo. Non esiste un'azione terroristica che non abbia con sé anche queste caratteristiche, ossia di far conoscere la capacità operativa dei suoi membri e di cercare nuove alleanze. Questo dato è nella storia del terrorismo nazionale e internazionale ed è un elemento che caratterizza ogni forma di terrorismo.
Oltre a quanto lei ci ha rappresentato, emerge una caratteristica che effettivamente si addice al terrorismo di natura anarchica, cioè la lotta di tipo individuale alle cosiddette personalità. Anche questo fa parte della tradizione anarchico-eversiva e quindi ci ritroviamo nelle analisi generali che lei ha svolto così compiutamente e puntualmente.
Cogliamo questa occasione anche per dirle che alcune scelte che lei ha compiuto quale ministro dell'interno relativamente all'impiego di alcune persone e di alcune specifiche competenze tecniche all'interno del quadro dell'antiterrorismo ci avevano lasciato perplessi, ma certamente i risultati che si sono avuti nella lotta contro le Brigate rosse e contro il terrorismo più feroce di questi ultimi anni sicuramente danno ragione alle sue scelte, ma ci impongono di sollevare spunti di preoccupazione rispetto alla non attenuazione della lotta alla criminalità organizzata.
Si è visto come l'esperienza di oltre venti anni sul terreno della lotta alla mafia


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applicata ad un terreno dove invece l'esperienza si era un po' addormentata abbia suscitato degli effetti immediati e di questo ovviamente non possiamo non compiacerci.
Però, signor ministro, sul terreno opposto, quello della lotta alla mafia, ci permettiamo di segnalarle qualche elemento di preoccupazione a seguito di queste sue scelte, che però non possiamo non condividere alla luce dei risultati ottenuti.
Dal punto di vista delle analisi, i quesiti che le voglio formulare sono abbastanza precisi. Avrei voluto conoscere di più sugli elementi scientifici degli esplosivi che sono stati impiegati, sulle tecniche, anche comparative, che sono state utilizzate, sulle modalità di impiego di questi esplosivi e sapere se siano state individuate caratteristiche analoghe in altri attentati che si sono verificati in precedenza. Lo stesso discorso vale per quanto riguarda tutti gli elementi di circostanza che sono stati acquisiti, ovviamente compatibilmente con il quadro della riservatezza delle indagini, doverosa in una fase così delicata.
Ci piacerebbe sapere quale sia stato il contributo preventivo dei servizi di informazione e di sicurezza nel nostro paese, se su questo ci siano una attenzione ed una azione rivolte a destinare risorse dello Stato per fare in modo che anche su tale terreno si possano avere informazioni utili per la prevenzione ed il contrasto.
Avremmo poi voluto sapere qualcosa in più, anche a seguito della presentazione di quel copioso documento, sulla consistenza di queste associazioni sovversive. Anni fa, quando avevo una responsabilità all'interno della sua amministrazione, si parlava di quaranta o cinquanta straccioni; centinaia di intercettazioni sono state fatte, un controllo puntuale nato proprio da questa attività di terrorismo a mezzo posta, che non è certamente una novità nel nostro paese. Capire se una consistenza così tenue, pur senza risultati di rilievo in termini di accertamento, se il contrasto tra la conoscenza di questo nucleo originario e la assoluta misconoscenza delle sue ramificazioni, ossia di chi in concreto opera e agisce in chiave terroristica efferata e, soprattutto, intimidatrice, rappresenterebbe un elemento di conoscenza ulteriore che ci farebbe piacere acquisire.
Senza alcuna polemica, vorremmo anche sapere se il questore di Bologna, nelle quarantott'ore successive, abbia potuto dire che, oltre a quel plico esplosivo, ne esistevano altri in giro per l'Europa, e quali fossero gli elementi di conoscenza che aveva a disposizione per suffragare questa affermazione così precisa e puntuale e poi così clamorosamente confermata dagli avvenimenti dei giorni successivi.
Senza voler entrare in competizione con gli organi tecnici del Ministero dell'interno, ci sono alcune cose che non possono non suscitare delle perplessità. Ci sono punti di apparente contraddizione, che voglio sottolineare al ministro Pisanu e che mi auguro possano essere utili nei prossimi giorni allo sviluppo degli accertamenti di competenza della polizia di prevenzione, sui quali intendo richiamare l'attenzione generale. Non ho alcun dubbio che l'analisi svolta dal ministro sia condivisibile e puntuale; tuttavia, alcune questioni impongono a mio avviso un approfondimento. Ci sono contraddizioni che devono essere ulteriormente valutate in termini di destinatari: mi riferisco in particolare alle lettere.
È difficile mettere sullo stesso piano Romano Prodi, Presidente della Commissione europea, ed alcuni parlamentari europei che non hanno incarichi significativi all'interno dell'Unione europea, così come è abbastanza evidente che una cosa è mandare una lettera genericamente destinata ad un ufficio ed un'altra è mandarla a casa, tanto più se il destinatario non è la persona che si vuole colpire in concreto. Vi è una «intimità» nella individuazione del destinatario assai diversa dalla genericità e dalla generalità degli altri destinatari. Non ho da offrire al ministro il dubbio certo - perdonatemi l'ossimoro - sul fatto che questa diversità possa o debba significare qualcosa, ma di certo non sono sullo stesso piano un attentato così intimo e gli altri destinati al presidente


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Poettiring, ai parlamentari europei Salafranca e Titley, oppure alla sede di Europol e a Trichet, Governatore della BCE, peraltro in un periodo in cui verosimilmente in quegli uffici non vi erano che delle segretarie particolarmente zelanti al lavoro anche durante le feste natalizie. Su questi fatti credo che vi debba essere un supplemento di attenzione, anche perché, analogamente, nel secondo documento di rivendicazione (il cosiddetto secondo documento Santa Claus) risulta abbastanza singolare che in una rivendicazione generale vi sia un riferimento al Presidente Prodi, mentre in quella spedita ad un giornale italiano questo riferimento scompaia, più o meno opportunamente.
Il contrasto tra l'azione rivoluzionaria e controrivoluzionaria nei confronti dell'azione repressiva dello Stato ed il generico accenno al semestre di presidenza italiano ed alle istituzioni europee ci lascia un po' perplessi. Signor ministro, io non voglio fare riferimento alla questione non chiarita nel passato della Falange armata, una sigla dentro la quale si è nascosto di tutto e di cui si è chiarito ben poco; mi auguro e sono certo, alla luce della sua attenzione nei confronti del Parlamento e del gruppo politico che io in questo momento rappresento, che lei rivolgerà una attenzione particolare anche nei confronti di queste nostre preoccupazioni, che in nulla vogliono minare la credibilità della sua azione ed in nulla vogliono mettere in discussione l'efficacia dell'azione delle forze antiterrorismo nel nostro paese.
Infine, mi permetto di aggiungere alcune considerazioni sul terreno più squisitamente politico. Signor ministro, lei ha fatto riferimento a misure alternative di tutela, ha fatto riferimento alle Poste, ma io credo che occorra andare oltre, che non si possa più affidare un sistema di tutela delle persone soltanto ad un apparato che mette a disposizione degli uomini che si frappongono tra il rischio e la persona da tutelare, che occorra uno sforzo di inventiva, che probabilmente non dovrà riguardare soltanto l'apparato postale per il solo fatto che in questo momento ci siamo dedicati ad esso in quanto una serie di attentati lo hanno utilizzato come mezzo.
Anche sul terreno delle misure legislative a noi farebbe piacere conoscere anticipatamente il pensiero del Governo, per fornire un contributo operoso su questo terreno. Il ministro ha parlato dell'ipotesi di fare del terrorismo un terreno di contrasto come di una sciagura, io condivido pienamente questa visione, ma non vorrei che questa considerazione non trovasse poi nei fatti una sua conseguenza.
Questo paese ha bisogno di un terreno comune di regole, che non ha avuto il tempo di darsi. Una democrazia bipolare ha bisogno di regole comuni per procedere, per fare in modo che ogni cinque anni non si eserciti una rivincita ed una vendetta, ma che vi sia semplicemente una continuità dello Stato con diversità di opinioni che non solo non devono fare paura ad alcuno, ma devono servire a far crescere il paese. Queste regole comuni che dobbiamo trovare su alcuni terreni, tra cui anche quello del terrorismo, hanno bisogno di essere in qualche misura procedimentalizzate. Certamente, il portare in Parlamento un disegno di legge ed affidarlo al confronto tra maggioranza ed opposizione non potrà far parte del terreno delle regole comuni, in quanto questo terreno ha bisogno di luoghi e di condivisione che devono appartenere ad una fase precedente rispetto al dibattito ed al legittimo conflitto parlamentare tra maggioranza ed opposizione, un terreno di confronto nel merito positivo, per individuare spazi comuni di intervento, senza i quali io credo sia davvero difficile procedere secondo le buone intenzioni che lei ha così opportunamente prospettato in questa sede.
Non è una sfida, ma un invito a tradurre in pratica la sua esortazione ad individuare un terreno comune di regole nella lotta al terrorismo, affinché diventi luogo di condivisione dell'obiettivo politico e non di scontro, attraverso misure che lei - nella sua responsabilità di governo - e la maggioranza - nella sua responsabilità parlamentare - potrete avanzare affinché noi possiamo essere presenti ed interlocutori


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positivi nel dibattito in corso, e non meramente oppositivi, in relazione alla funzione assegnataci - per questo periodo - dal paese.
Infine, signor ministro, lei ha fatto riferimento molte volte alla sua terra, la Sardegna. Mi permetta di dire che - solo per richiamare la sua attenzione e non per un riferimento «di bottega» - alcuni anarchici hanno assaltato una sede della Margherita ad Olbia, il 5 gennaio scorso. Mi auguro che nella sua attenzione nei confronti dell'eversione e dell'anarchismo insurrezionale non manchi una soglia d'attenzione - pur modesta, ma efficace - al problema della devastazione delle sedi di partito. Diversamente, signor ministro, sarebbe davvero difficile immaginare un paese che sappia condurre fino in fondo la sua lotta al terrorismo.

GIAMPIERO D'ALIA. Abbiamo molto apprezzato la relazione del ministro. Come sempre, essa è stata puntuale, prudente ed efficace. In particolar modo, abbiamo apprezzato l'ottima dose d'onestà intellettuale che, in queste circostanze ed in tale materia, non guasta. Mi riferisco specialmente al passaggio sulla vicenda delle misure di prevenzione per quanto riguarda il controllo della corrispondenza.
Si tratta di un terreno delicato, come ricordava l'onorevole Mascia. Vi sono, infatti, interessi diversi, costituzionalmente garantiti, che vanno tutelati. È una materia nell'ambito della quale vi è una competenza dell'autorità giudiziaria, anche per l'autorizzazione al controllo preventivo della corrispondenza. Lo dico perché credo emerga dalla relazione del ministro un dato che ci accomuna tutti: gli attentati al professor Prodi, come gli altri verificatisi in precedenza e successivamente, fanno emergere un grande valore simbolico. Il simbolo, nella specifica circostanza, è rappresentato dall'irreversibilità del processo d'integrazione europeo e di alcune scelte in materia di riforme economiche e sociali, funzionali anche a tale processo d'integrazione. Quindi, tanto più è alto il valore simbolico di questi gesti sconsiderati e criminali, tanto più alta è stata e deve essere l'azione di contrasto dello Stato, in tutte le sue articolazioni.
Nella relazione del ministro è anche emerso un quadro che credo debba essere oggetto - e sarà oggetto - di ulteriore approfondimento. Mi riferisco alla cornice unitaria del movimento anarchico-insurrezionalista. In altre parole, la possibilità o la praticabilità di uno scenario nell'ambito del quale vi sia un'aggregazione, una federazione di movimenti (per definizione tra loro disorganici) e la possibilità o il pericolo di una saldatura anche con fenomeni di organizzazione terroristica quali le Brigate rosse.
Si tratta di un tema d'approfondimento che, sono certo, sarà oggetto di ulteriori analisi. È anche il senso della domanda che vorrei formulare al ministro. Vi sono elementi che possono essere approfonditi, anche in questa sede, di possibili saldature fra i movimenti anarchici ed il terrorismo delle nuove Br? Vi sono o possono esservi saldature fra ciò che è rimasto della vecchia struttura delle Brigate rosse e le nuove Brigate rosse?
Un'altra domanda che - sinteticamente - desidero porre riguarda l'anticipazione sul pacchetto legislativo sulla sicurezza. Credo che se su tale tema il ministro avesse la possibilità di fornirci qualche ulteriore elemento, anche a beneficio di riflessioni future, lo apprezzeremmo molto.

CARLO TAORMINA. Anch'io mi associo alle espressioni di riconoscimento della serietà e dell'equilibrio che, ancora una volta, il ministro Pisanu ha dimostrato nella conduzione del Dicastero dell'interno e, soprattutto, dell'attenzione che dedica al tema del quale anche oggi - purtroppo - ci stiamo interessando. Vorrei esprimere alcune considerazioni, cercando di limitare al massimo il tempo che mi è stato concesso.
Il riferimento agli anarco-insurrezionalisti che, con varie sigle, si presentano sullo scenario attuale - ora è il momento dell'invio di pacchi postali confezionati in maniera da poter provocare danni a oggetti o lesioni personali - procede di pari


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passo con un'osservazione che, sicuramente, il Ministero dell'interno avrà già fatto, e che, quindi, mi limito in questa sede solo a sottolineare. Si tratta dell'assenza di altre sigle che, più tradizionalmente, siamo abituati a ricollegare all'eversione in genere e, specificamente, al terrorismo delle Brigate rosse.
Il complesso di episodi con i quali oggi ci stiamo confrontando ci spinge tutti - anche nella relazione che il ministro ha riservato a questa Commissione vi è stata dedicata una parte preponderante - alla preoccupazione per la concentrazione di tale tipo di iniziative, di carattere sicuramente eversivo. Tale complesso di episodi, tuttavia, va in parallelo con il silenzio delle grandi e delle piccole sigle. Non so fino a qual punto la storia dell'anarchia sia legata a fenomeni come quelli con i quali ci confrontiamo oggi. Non mi sembra che la storia passata dell'anarchia sia stata caratterizzata da un tipo di organizzazione come quella che si ritiene possa essere sottesa alla molteplicità di episodi variamente rivendicati. Forse può essere formulata - lo dico con franchezza e, comunque, ciò resta solo una suggestione che mi permetto di sottoporre al ministro dell'interno - una preoccupazione riguardo ai possibili depistaggi. Non vorrei che nell'unitarietà cui si è fatto riferimento si possa individuare un modo per attrarre l'attenzione su episodi come quelli di cui ci stiamo occupando - gravissimi, ma per fortuna non dotati di una lesività particolarmente rilevante -, mentre altri fenomeni - più importanti - potrebbero essere in incubazione o in preparazione.
L'onorevole ministro ha fatto riferimento all'evoluzione degli NTA; tale evoluzione è stata rappresentata - lo ha detto lo stesso ministro - da una convergenza verso le altre importanti formazioni terroristiche e, in particolare, verso le Brigate rosse. Quel «combattere insieme», che ci è rimasto impresso nella mente e sul quale occorrerà riflettere, è indubbiamente l'emblema di ciò che più generalmente può darsi stia accadendo in questo momento attraverso l'autorizzazione delle sigle riferite all'anarchia.
Mi permetto di sottolineare l'esigenza di stabilire fino a che punto il richiamo ai movimenti anarchici possa essere reale ovvero una copertura di altre possibili iniziative, anche perché credo che occorra ulteriormente riflettere sul problema della rottura del vecchio rispetto al nuovo, dal punto di vista delle iniziative brigatiste (non so fino a che punto il vecchio e il nuovo vadano ancora insieme). Altro ed importante problema - come giustamente ricordato dall'onorevole Sinisi - è quello di stabilire se siamo in presenza di gruppuscoli che aggrediscono uomini inermi o se, invece, siamo in presenza di qualcosa di ben più imponente, forse non dissimile da ciò che era accaduto, circa il reclutamento, negli anni di piombo.
Anch'io, onorevole ministro, vorrei che, nei limiti della segretezza e della discrezione che devono accompagnare le sue indicazioni in questa sede, qualcosa di più si sapesse su questo possibile collegamento - laddove l'unitarietà da lei evidenziata dovesse essere confermata - tra movimenti anarchici, brigatismo rosso vero e proprio e terrorismo islamico, che - come ha già ricordato l'onorevole Boato - la Lioce, nella prima rivendicazione che fece al momento dell'arresto, ebbe proprio ad indicare come proletariato islamico, con il quale consociarsi nello svolgimento di iniziative comuni.
Dico tutto questo, onorevole ministro, perché, tornando un attimo a quel «combattere insieme», mi sembra che esso possa essere anche interpretato - lo ha fatto l'onorevole Migliori nell'intervento che ha svolto per primo in questa sede, quando ha parlato della configurabilità o meno di una centrale - secondo una lettura del linguaggio brigatista e che significhi poter identificare una centrale unitaria di strategia terroristica. Con ciò intendo sottolineare un passaggio. Credo che non possa essere sfuggito - anch'io, per qualche parte, sono stato presente nell'amministrazione da lei oggi così magistralmente condotta e, quindi, conosco la profondità dell'analisi che viene effettuata soprattutto dal dipartimento di pubblica sicurezza - un intervento giornalistico del


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29 dicembre scorso, pubblicato da Il Corriere della Sera, riguardante un'intervista realizzata da Giovanni Bianconi, che si connota fortemente per gli interessi di cui ci stiamo occupando, in quanto si riferisce alla città di Bologna. Non dimentichiamo - certamente il ministero non lo fa - che la concentrazione a Bologna di tutte queste iniziative è da considerare una premessa importante, in quanto essa sarà la sede di scontro politico forte con riferimento alla consultazione elettorale tra Cofferati e Guazzaloca. Non è quindi da sottovalutare il fatto che questa città stia diventando il centro di certe iniziative in funzione di un'ulteriore escalation che potrebbe essere pericolosa per i suddetti personaggi.
L'intervista in questione è stata rilasciata a Giovanni Bianconi da un personaggio, su cui si è scritto tanto e non si è fatto niente, che risponde al nome di Giuseppe Maj, il quale è stato sempre collocato ai vertici dei comitati di appoggio per la rivoluzione comunista, un'organizzazione come Lotta Continua o Potere Operaio dei tempi passati, e cioè una organizzazione che fa politica dura ma che respinge ogni forma di terrorismo. Sotto questa etichetta, Beppe Maj si è guadagnato, in tutti questi anni, un'assoluta impunità, che è culminata il 19 dicembre nella sua scarcerazione da parte delle autorità francesi per insufficienza di indizi rispetto all'appartenenza a qualsiasi organizzazione terroristica. Bene, se non sapevamo chi fosse Maj, ci dice lui stesso chi è, cosa vuole essere e che cosa sta facendo.
Beppe Maj ha dichiarato di essere alla testa di una organizzazione clandestina, che, da parecchi anni, ha la pretesa di voler ricostituire il partito comunista, anzi di fondare il partito stesso (cosa che, fino a questo momento, mai nessuno ha visto); che la sua organizzazione si articola in quadri che operano in Italia e all'estero; che la sua opera è diretta allo svolgimento e alla possibilità di sferrare la lotta armata contro la borghesia; che ha a disposizione le armi per poter andare avanti in questa direzione; infine, richiesto cosa pensasse dell'omicidio di Biagi e di D'Antona, ha dichiarato espressamente che loro piangono gli operai morti sul lavoro e non chi viene ucciso per essersi messo al servizio della borghesia dominante. Credo che, se dovessimo riandare con la mente a tutto ciò che appartiene alla storiografia giudiziaria intorno a questo personaggio, troveremmo sempre e soltanto una serie impressionante di archiviazioni, quando non di assoluzioni, cioè troveremmo il deserto rispetto ad un soggetto che oggi dichiara di essere la persona che mi sono permesso di indicare attraverso le sue parole.
Faccio questo riferimento, onorevole ministro, perché quando poi dovessimo discutere, seguendo il suo ragionamento che condivido integralmente, dell'esigenza di un accorpamento, magari passando per le organizzazioni anarchiche per arrivare a quelle vere e proprie di brigatismo e di terrorismo rosso, credo che quei servizi - cui giustamente ha fatto riferimento, dando atto di grande capacità di analisi e di intervento - dovrebbero capire cosa succede in Francia, non solo rispetto agli altri personaggi del terrorismo lì presenti, ma soprattutto rispetto a questo personaggio, che smentisce le autorità giudiziarie internazionali, quelle francesi e quelle italiane.
Dimenticavo di aggiungere che il programma delinquenziale di questo signore - che, giustamente, l'articolista qualifica stratega del partito clandestino - riguarda proprio e soltanto il territorio italiano.
In ultimo - e concludo, scusandomi per i tempi del mio intervento -, le rivolgo una domanda sulla legislazione. Al riguardo, non voglio sapere cosa si stia facendo; le chiedo, piuttosto, se tra i programmi del Ministero dell'interno vi siano norme che consentano, al di là dei problemi costituzionali che esamineremo laddove dovesse essere necessario, l'intercettazione preventiva della corrispondenza. Pertanto, le domanderei se sia nei programmi del ministero la costituzione di una direzione nazionale antiterrorismo (e se quindi il pacchetto da lei preannunciato se ne possa o meno interessare), così come


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da più parti si è sollecitato. Certamente, questa non è una sede nella quale si possa approfondire la questione andando finanche oltre la stessa domanda; però, per capire quali potrebbero essere le opportune correzioni, forse sarebbe opportuno cominciare a riflettere da subito su tali temi, laddove essi fossero attualmente presenti nell'analisi condotta dal ministero.

VALTER BIELLI. Signor ministro, sarò brevissimo, anche per rispetto ai colleghi; al pari degli altri intervenuti, le riconosco una grande serietà ed onestà per come ha esposto i fatti. Ma proprio la sua serietà impone di restare nel merito delle questioni da lei poste; a differenza di altri, lei non ha omesso di riconoscere che, circa la vicenda del «libro bomba» inviato al Presidente Prodi, qualche mancanza vi è stata. In qualche modo, un pacco è arrivato sulla scrivania del Presidente dell'Unione europea e, quindi, vi è stato, per così dire, un buco, una falla nella sicurezza. Lei ha spiegato la situazione chiarendo che si incontrano difficoltà nel controllo della posta ma, a tale riguardo, le chiederei di dire qualcosa di più, onorevole ministro.
Eravamo stati messi sull'avviso dai due ordigni posti nei cassonetti pochi giorni prima del pacco bomba recapitato presso l'abitazione del Presidente Prodi. I due ordigni pericolosi hanno immediatamente messo in moto una serie di dichiarazioni da parte del questore di Bologna; asserzioni cui, poi, anche lei, in qualche modo, ha fatto riferimento nelle sue dichiarazioni, quando ha affermato che i due ordigni volevano solamente colpire gli agenti della polizia. Affermazioni siffatte avranno pure avuto origine da informative di un certo tipo; tali informative, però, per molti versi, si sono dimostrate, se non proprio inesatte, sicuramente non corrette e, forse, altresì fuorvianti rispetto alle iniziative che potevano essere prese in relazione a quanto, poi, sarebbe accaduto al Presidente Prodi. Ricordo che sono intercorsi cinque giorni dall'episodio dei cassonetti a quando, poi, è giunto a destinazione il pacco.
Ebbene, dinanzi agli ordigni posti nei cassonetti, come si è attivato il Viminale rispetto ai bolognesi? E lei in prima persona, proprio per la serietà che le riconosco? Cosa è stato comunicato ai cittadini, proprio in relazione alla figura cui si faceva riferimento, il Presidente dell'Unione europea? Le chiedo, a tale riguardo, di fornirci qualche elemento in più; ribadisco che le rivolgo tale domanda proprio in considerazione di come lei, muovendosi con serietà e, altresì, con serenità, si è posto rispetto a tali questioni.
Ha concluso il suo intervento con un'affermazione che ritengo giusta ma anche doverosa; mi riferisco al richiamo da lei fatto, a fronte dei pericoli sussistenti nel paese, all'unità tra le forze politiche e sociali. Credo sia stato un richiamo doveroso, e lo accolgo come un invito a fare tutti bene la propria parte nel contrasto al terrorismo.
Lei è stato tra i primi - e glielo riconosco - a dichiarare (quando, forse, molti di noi non lo avevano avvertito) che, dietro gli anarco-insurrezionalisti, sussisteva un pericolo potenziale. Oggi ha tracciato un'analisi degli attentati ponendo questi gruppi in relazione ad una strategia che si configura in maniera molto diversa dalla tradizionale ideologia degli anarchici; ma proprio quanto da lei riferito, nonché i pericoli esistenti - che non sono da sottovalutare - non richiamano, forse, tutti noi a riflettere su cosa ci sia dietro tali sigle? Intendo dire, onorevole ministro, che la FAI - non la federazione anarchica informale, bensì la federazione anarchica italiana - li ha sconfessati, sostenendo che non è quella la strategia che essa porta avanti. Nel contempo, però, tali gruppuscoli non solamente dimostrano l'impegno compiuto in un attentato rivolto contro una persona - il che è proprio della ideologia anarchica - ma dimostrano, altresì, di possedere una strategia. Infatti, hanno colpito ripetutamente, mirando all'episodio eclatante, capace di mettere in moto un'attenzione sovrabbondante anche rispetto alla loro forza.
Ma allora, siccome quanto da lei riferito circa gli anarco-insurrezionalisti è


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significativo - e non ne stiamo parlando solamente da novembre: ella ebbe a riferirne già da prima -, cosa ne sappiamo di più? Finora, abbiamo parlato solo di sigle, non riuscendo ad individuare, rispetto a tale presunto gruppuscolo, niente di più. Infatti, convengo con lei, signor ministro, sul seguente dato: si configura un pericolo proprio in relazione al fatto che vi è, a mio avviso, nella sequenza degli avvenimenti, poco di anarchico e molto nel senso di mettere in moto situazioni di un certo tipo. Da tale punto di vista, credo sia la prima volta che io concordi con il collega Taormina; oggi, gli NTA sono le Brigate rosse, si sono trasformati in esse. Ebbene, forse, nella ritirata strategica dovuta ai colpi subiti, vi è il tentativo delle Brigate rosse di riorganizzarsi, ma tale riorganizzazione può avvenire proprio attraverso sigle diverse.
Tuttavia, nell'attuale momento, le BR, a mio avviso, sono altro rispetto a tali realtà, e ne sono profondamente convinto. Ma allora, dietro tali anarco-insurrezionalisti, cosa si scorge? Cosa siamo riusciti a sapere? Forse, non è questa la sede più opportuna per approfondire la questione, nel senso che quanti svolgono le indagini devono potere vedere riconosciuta la possibilità di non fornire notizie che possano essere deleterie per il buon esito delle indagini medesime. Probabilmente, però, sarebbe opportuno, onorevole ministro, che riferisse qualcosa di più di quanto si contiene nell'analisi testé svolta; analisi che, peraltro, considero giusta e che, però, presenta un punto debole. È un'analisi che non ha dietro figure, personaggi; le chiederei, da tale punto di vista, di esplicitare meglio la situazione. Fino ad adesso, infatti, non abbiamo ancora individuato un anarchico insurrezionalista.

BEPPE PISANU, Ministro dell'interno. Incominciamo tardi.

LUCIANO VIOLANTE. Signor ministro, una delle caratteristiche esclusive del pacco recapitato presso l'abitazione del Presidente Prodi è che lo stesso fosse diretto alla moglie. Vorrei sapere, a tale riguardo, se si sia approfondita tale peculiarità da parte degli uffici del suo dicastero, perché a nessun altro familiare dei soggetti interessati da tali episodi è capitata simile evenienza, il che rappresenta una circostanza abbastanza particolare. Quindi, le chiederei, se possibile, di darci notizia delle riflessioni eventualmente compiute circa tale specifico aspetto.
Con la seconda questione che pongo, mi riconnetto a quanto riferito dai colleghi Leoni, Taormina e, da ultimo, Bielli; ebbene, tale sigla degli anarco-insurrezionalisti mi sembra sia più una categoria interpretativa che non lo specchio di una formula organizzativa. Come tale, forse, andrebbe usata con un minimo di prudenza in quanto, altrimenti, rischiamo di trasformare un metodo interpretativo in un qualcosa di organizzato.
Dal punto di vista organizzativo, invero, mi sembra che emerga una situazione differente; lo affermo perché forse siamo, senza abusare di una formula già nota, in un momento di postterrorismo. In altri termini, non ci troviamo in una fase di costruzione di strutture permanenti, clandestine, organizzate, con azioni programmate e con obiettivi scanditi nel tempo; la base di tali fenomeni è, piuttosto, qualcosa di molto più fluido, duttile e, perciò, tutto considerato, meno afferrabile.
Da tale punto di vista, forse, quando gli uffici del ministero saranno pronti, sarebbe utile avere un quadro alquanto più preciso di quali siano i soggetti, gli enti e gli organismi cui si intendono riferire.
In secondo luogo, sarebbe utile appurare se le denominazioni siano sigle di servizio o se ad esse corrispondano effettivamente organizzazioni distinte le une dalle altre; infatti, molto spesso le sigle sono utilizzate anche da soggetti diversi e, quindi, sono denominazioni di carattere, per così dire, ludico cui non corrisponde qualcosa di strutturale. Lo affermo perché, forse, dobbiamo attrezzarci intellettualmente per uno sforzo diverso da quello compiuto nel passato, che guardi a soggetti più duttili, più flessibili. Soggetti che non pensano necessariamente all'omicidio come atto finale, mirando forse a qualcosa


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di diverso; soggetti che, però, possono avere una capacità moltiplicativa sul territorio. Ciò in quanto inviare un pacco siffatto, anziché compiere un attentato maggiormente strutturato, è certamente molto più facile. Mi sono permesso di intervenire proprio per evidenziare tali aspetti.

GRAZIELLA MASCIA. Approfitto della cortesia del ministro, e della sua presenza, per chiedere se il Governo abbia già assunto un orientamento circa la presenza dei cosiddetti sceriffi o, comunque, di persone armate sui voli diretti negli Stati Uniti. Altri paesi si sono già dichiarati in merito. Vorrei sapere qualcosa al riguardo.

PRESIDENTE. Ringrazio i colleghi che sono intervenuti e do la parola al ministro Pisanu per la replica.

BEPPE PISANU, Ministro dell'interno. Innanzitutto desidero ringraziare - non per mera formalità - i colleghi che hanno dato vita ad una discussione per me molto utile e costruttiva. Ho cercato di prendere nota, con cura, di tutte le osservazioni formulate, delle considerazioni svolte e delle domande rivoltemi. Mi riservo di controllare meglio il resoconto. Cercherò di rispondere rispettando l'ordine con il quale le questioni sono emerse via via nel corso della discussione e, quindi, con una inevitabile disorganicità, della quale chiedo scusa in anticipo.
La prima e più rilevante questione, emersa nel corso degli interventi di alcuni colleghi, è quella della carenza - che ho riconosciuto e riconosco - nella sicurezza e nella tutela della corrispondenza. Devo affermare - anche se questo non assolve nessuno, tanto meno chi vi parla - che carenze analoghe hanno rivelato anche altri paesi europei nei quali questi plichi sono arrivati. Per quanto riguarda, specificamente, il cosiddetto caso Prodi la carenza è consistita, a mio avviso, nel fatto di non avere pensato tempestivamente a controllare la sicurezza della corrispondenza (poi, esamineremo gli aspetti strutturali).
Per la verità, nella abitazione del Presidente Prodi il plico è arrivato contemporaneamente all'esplosione. Non era stato aperto perché la signora Prodi, constatatane la consistenza, ha pensato potesse trattarsi di una videocassetta inviata da qualche amico a ricordo di una gara ciclistica, o di qualcosa di simile. Perciò, ha depositato il pacco sulla scrivania del Presidente Prodi, nell'intenzione di lasciare al marito il piacere di aprirlo. Salve ulteriori verifiche, credo di poter escludere - rispondendo al collega Leoni - che vi sia stato, prima, un controllo sistematico, definito radiogeno, della corrispondenza. Tuttavia, nel caso del Presidente Prodi - come, del resto, in altri casi - può essere avvenuto che, su segnalazione dell'interessato o sulla base di altre indicazioni o di sospetti improvvisamente affiorati, siano stati effettuati controlli, episodicamente, in tempi precedenti, su posta a lui destinata. Questo è accaduto ripetutamente per altre personalità. In alcuni casi, può essere avvenuto anche che il personale di scorta abbia aperto il plico. Lo stesso Presidente Prodi ha ricordato che gli agenti della sua scorta, più volte, gli avevano raccomandato di aprire i plichi con cautela, tenendoli molto lontani dal volto. Quindi, sarei indotto ad escludere che un servizio sistematico, prima esistente, sia stato in qualche modo interrotto. Devo dire anche che, subito dopo questo episodio, abbiamo introdotto misure di emergenza in merito alle quali chiederei di poter sorvolare per tutelare almeno le personalità più esposte con interventi di carattere straordinario.
Le difficoltà strutturali e pratiche derivano anche dalla circostanza che, quando la corrispondenza interviene nell'ambito dello stesso centro, o tra due comuni vicini, l'amministrazione delle poste non dispone di un'organizzazione idonea ad effettuare un controllo. Quindi, in primo luogo, si tratta di valutare in che modo strutturare un servizio di controllo della corrispondenza, a costi ragionevoli, tenendo conto anche degli effetti inevitabilmente ritardanti che tale controllo avrebbe sullo smistamento della corrispondenza e sul suo recapito. Infine, bisogna


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considerare che deve essere tutelato, comunque, il diritto costituzionale alla segretezza della corrispondenza. Tutti questi problemi sono stati posti allo studio con l'idea di cercare di limitare il più possibile il numero di indirizzi da controllare e di individuare un codice di comportamento.
Del resto, anche il controllato non è certo lieto di sapere che tutta la corrispondenza a lui indirizzata è controllata, almeno nella denominazione del mittente, oltre che del destinatario, né può accettare tranquillamente che, con questo pretesto, si possa realmente entrare nella corrispondenza personale. Stiamo lavorando sull'ipotesi di limitare i controlli sulla corrispondenza ad un numero ragionevole di personalità, di trovare un codice di comportamento che contemperi esigenze di sicurezza e diritto alla riservatezza e, se necessario, di supportare anche finanziariamente i controlli da parte dell'amministrazione dell'interno. Oltre un certo limite, infatti, non si può pretendere dall'amministrazione postale uno sforzo finanziario che non le spetta, di fatto.
Per quanto riguarda le interpretazioni di questi avvenimenti - soprattutto, mi riferisco a quella resa dal magistrato Mastelloni, che è stata evocata in questa sede - credo che si sia trattato di una esercitazione intellettuale per ricondurli ad una possibile origine di destra, richiamando Il piacere, D'Annunzio e il dannunzianesimo. Forse, c'è una spiegazione più banale nel testo del secondo volantino di rivendicazione - quello noto come «Operazione Santa Claus» - nel quale la Federazione anarchica informale dice: «non potevamo precluderci il piacere di criticare...». Forse, «il piacere» al quale si alludeva era soltanto questo. Comunque, non so se sia una questione politica o freudiana; in ogni caso, di fronte ad indizi così fragili, non mi sento di avventurarmi oltre senza, peraltro, disconoscere l'autorevolezza di chi ha mosso questa congettura.
L'altro tema a cui ho rivolto un prudentissimo accenno, data la delicatezza della materia, è quello dell'aggiornamento degli strumenti, anche legislativi, alla evoluzione della minaccia che dobbiamo fronteggiare. Ovviamente, le misure di carattere meramente tecnico vengono aggiornate autonomamente. Su eventuali misure di carattere legislativo siamo ancora in sede di elaborazione tecnica ed io preferisco non farne cenno perché soltanto dopo un'elaborazione matura mi sentirei di venire in Parlamento per sottoporla ad un confronto politico il più possibile aperto e costruttivo.
Non immagino neppure di assumere posizioni unilaterali su un argomento come questo e, in ogni caso, ove a ciò si dovesse arrivare, resta inteso che tutto verrebbe fatto col massimo scrupolo, nella tutela dei diritti costituzionalmente garantiti. Quando, infine, su questo terreno qualche improvvida, peraltro non politicamente impegnativa, affermazione è stata fatta, non ho esitato a prendere seccamente le distanze.
L'esigenza che l'onorevole Migliori ribadisce, manifestata anche da numerosi altri colleghi, di una riflessione aggiornata su tali fenomeni mi trova perfettamente concordante; rifacendomi ad una sua citazione ricordo che ad Oristano sono stati colpiti un senatore e il presidente della provincia, entrambi di centrodestra. L'ordigno rivolto al senatore avrebbe potuto far male, considerato che ha fatto saltare la porta di casa e prodotto danni alle mura. Ritengo, però, che non ci dobbiamo lasciare distrarre più di tanto dalla scelta delle persone. Colpiscono a destra e colpiscono a sinistra, colpiscono più che le persone le istituzioni, e questo è nella vocazione del tipo di anarchismo con il quale dobbiamo fare i conti.
È possibile che anche nel campo dell'anarchismo ci siano sigle usate con funzione mimetica e che magari sigle diverse coprano gli stessi soggetti. Effettivamente, è difficile discernere. Certamente, alcune evidenze sussistono. Storicamente, quello che chiamo anarco-insurrezionalismo nasce da una rottura della vecchia anarchia italiana che avviene nella seconda metà degli anni ottanta e fa emergere un gruppo, nel quale hanno forte peso i sardi con Cavallera e soprattutto Bonanno, ideologo


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di questa nuova corrente che sceglie l'uso sistematico e, di fatto, organizzato della violenza come strumento di lotta politica. Per una questione forse di coerenza ideologica, Bonanno parla di una organizzazione disorganizzata, cioè un'organizzazione basata su entità che egli chiama «gruppi di affinità», i quali operano autonomamente, colpendo però i simboli comunemente individuati, e compiuta l'azione si sciolgono.
Lo stesso schema viene ripreso nel primo documento di quelli apparsi in questi giorni con gli attacchi al Presidente Prodi, che è una lettera aperta al movimento anarchico antiautoritario. Sembra una circolare interna, nella quale si danno istruzioni su come operare ma si indicano anche obiettivi comuni. Ancora una volta, il modello che ho cercato di riferirvi con citazioni testuali nella mia relazione ripete il modello Bonanno, ed entrambi i modelli organizzativi sembrano avere lo scopo principale di sottrarre, così, questo movimento dall'accusa di banda armata e organizzazione sovversiva.
Questo è tanto vero che l'anarco-insurrezionalismo ha resistito a tale accusa in processi vari; soltanto ultimamente, a Roma, la magistratura ha - almeno in parte - accettato questa idea, ma di fronte a fatti di enorme portata. C'era in ballo il covo di via Cristoforo Colombo, dove sono stati trovati fucili mitragliatori, munizioni, divise di carabinieri e polizia, congegni vari. Erano implicate persone che stanno in un giro ampio e sono particolarmente pericolose, già coinvolte in sequestri di persona; due di questi soggetti ancora oggi si trovano in carcere, in Spagna, per aver partecipato ad un conflitto armato - dopo una rapina in banca - nel quale sono state uccise due donne della polizia spagnola. In ogni caso, il tentativo di sottrarsi a questa accusa è ormai palese. Se dovessi cercare in Parlamento misure legislative, uno degli obiettivi che mi porrei sarebbe quello di adeguare la nostra normativa a questa particolare evoluzione dell'organizzazione terroristica che si sottrae all'accusa principale di organizzazione, appunto, o di banda, con tutti i condizionamenti che da ciò possono derivare.
Questa mimetizzazione non è solo sospettabile nell'anarco-insurrezionalismo, è evidente, anzi sta risultando sempre più evidente per le Brigate rosse, anche in base a degli elementi acquisiti negli ultimi tempi. Sembra, infatti, che alcuni gruppi, in genere quelli che hanno una denominazione di nuclei (Nuclei combattenti comunisti, Nuclei territoriali antimperialisti...) abbiano operato o come sigle di copertura delle Brigate rosse per l'effettuazione di attentati a bassa intensità eversiva, ovvero come un sistema satellitare delle Brigate rosse.
Nel primo caso si tratterebbe sempre o quasi sempre delle stesse persone, nel secondo, invece, di più persone. Tuttavia, certi elementi sono significativi. I Nuclei territoriali antimperialisti, che si trasformano in Brigate rosse-Guerriglia metropolitana, sembrano percorrere l'identico itinerario che, dopo la prima ritirata strategica delle Brigate rosse, percorsero i Nuclei comunisti combattenti, i quali ad un certo punto della loro esperienza, nel corso di un processo, si videro riconosciuti da una brigatista irriducibile in carcere come forza autenticamente rivoluzionaria o come degni eredi delle Brigate rosse. Dopodiché, la sigla Nuclei comunisti combattenti scomparve e comparve, invece, la sigla nuova BR-Partito comunista combattente. Il 20 ottobre scompaiono gli NTA, i quali però dichiarano, con un documento apposito piuttosto corposo di circa 20 pagine, di aver dato vita alle Brigate rosse-Guerriglia metropolitana.
Questo inquieta parecchio, perché sul terreno della guerriglia metropolitana le Brigate rosse intercettano altri movimenti, come quello degli anarco-insurrezionalisti, che, per quello che ne sappiamo finora, operano a doppio livello, in maniera occulta negli attentati e in maniera pressoché palese in piazza.
Onorevoli Leoni, Migliori ed altri, sulle caratteristiche del terrorismo sardo voglio sottolineare che ha ormai assunto in maniera assolutamente chiara il carattere di


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un'associazione dove si sono ritrovati residui della vecchia colonna sarda delle Brigate rosse, anarchici sardi - che hanno soprattutto a Cagliari il nucleo forte ed influente guidato da Cavallera - ed elementi del vecchio separatismo sardo. Questa fusione o questo intreccio è così fitto che un anno fa abbiamo visto compiersi a Nuoro due attentati, uno alla sede della Confindustria e l'altro alla sede del tribunale, con due ordini identici e con due volantini di rivendicazione totalmente diversi: uno di orizzonte rigorosamente regionale e l'altro di orizzonte rigorosamente nazionale.
Certamente, questi gruppi sardi hanno collegamenti nazionali ed internazionali - Leonardi è l'esempio più clamoroso perché opera a Viterbo, proviene da Cagliari ed è in contatto con i sardi -, non solo con gli spagnoli dell'ETA e con i greci, ma, per esempio, anche con i separatisti corsi. Non trattandosi di un gruppo isolato ma collegato alle realtà nazionali ed internazionali dell'anarchismo, mi pare legittimo temere che quello sardo possa costituire l'anticipazione di un modello più vasto di riorganizzazione nel suo insieme del terrorismo italiano o, forse, di naturale evoluzione.
In questo caso, bisogna procedere sempre con estrema cautela, non abbandonarsi alle congetture o alle esercitazioni intellettuali perché, poi, se non si hanno i supporti pratici e le prove concrete, si corre il rischio di sbagliare, soprattutto nel predisporre le misure di prevenzione e di contrasto. Tuttavia, non mi sembra esagerato temere che la realtà del movimento sardo possa costituire un'anticipazione di un'evoluzione nazionale. I segni sono numerosi. Ripeto, sono i sardi tra i primi ad aderire all'iniziativa di Bonanno - sono due terroristi sardi in carcere, uno anarchico e l'altro sedicente marxista-leninista, che elaborano un documento comune che lancia l'idea della collaborazione - e a lanciare l'ipotesi di un'organizzazione internazionale anarchica.
Anch'io vorrei ringraziare, come l'onorevole Cicchitto, il Presidente Prodi per la compostezza con cui ha reagito ad una vicenda per tanti aspetti odiosa, proprio perché prendeva di mira la moglie, ma anche per il modo con il quale ha saputo riconoscere il lavoro delle forze dell'ordine che si prodigano per la sua tutela. Naturalmente, sono stato in contatto con lui ed in quella circostanza ho cercato di ottenere - e sicuramente l'ho ottenuta - tutta la collaborazione possibile.
Ritorno sul problema delle interpretazioni che anche l'onorevole Boato ha sollevato. Riflettendo a lungo e rileggendo questa lettera aperta al movimento anarchico ed antiautoritario, mi sembra che la si possa contemporaneamente interpretare come una presa di distanza dai «cancri marxisti» di una parte dell'anarchia - in polemica con un'altra parte che, invece, il contatto l'ha avuto -, ma anche come una rivendicazione di identità anarchica in una confluenza già avvenuta. Tuttavia, abbiamo elementi per dirlo, ma non sono sufficienti per affermarlo: sono dati sui quali dobbiamo riflettere tutti insieme.

MARCO BOATO. Mi scusi, signor ministro, nell'allegato che lei ha consegnato al presidente sono contenuti questi documenti?

BEPPE PISANU, Ministro dell'interno. Alcuni no.

MARCO BOATO. Forse sarebbero utili alla Commissione, a meno che non siano coperti da segreto.

BEPPE PISANU, Ministro dell'interno. Ho seguito finora la strada di fornire al Parlamento, anche quando non ne ho parlato, tutti gli elementi di cui disponevo, esclusi quelli coperti da livelli diversi di riservatezza.
Credo che dovremmo tener ben presente la lezione della primavera del 1981. Perché allora, in una fase di sicura crisi delle Brigate rosse, assistemmo invece allo scatenamento di una violenza inaudita. Nessuno può escludere che in questo momento di crisi delle Brigate rosse possa avvenire - Dio non voglia - qualcosa di analogo o comunque qualche tentativo di


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riaffermare la propria esistenza, come ragionevolmente fa pensare la nascita delle BR-guerriglia metropolitana. Penso che dobbiamo riflettere tutti insieme ancor di più su quella che io, ricorrendo ad una immagine, ho chiamato «pedemontana dell'eversione» per indicare l'esistenza, a sud di tutto l'arco alpino, accanto ad una vecchia tradizione brigatista nei luoghi di lavoro, di altri gruppi o gruppuscoli terroristici che oggi sembrano orientarsi verso le BR-Guerriglia metropolitana.
Sull'episodio delle acque minerali abbiamo svolto indagini accurate sulle quali non si è presentata l'occasione di riferire al Parlamento. Comunque, avevamo subito notato che il numero delle segnalazioni era spropositato rispetto a quello dei casi effettivi, intendendosi per casi effettivi quelli che avevano comportato il ricovero delle persone colpite in ospedale (tutte vittime di intossicazioni lievi). Erano state avanzate congetture diverse, che dal terrorismo arrivavano a coinvolgere interessi industriali o commerciali più o meno individuati. Ma, considerato che i casi veri erano pochi rispetto ai moltissimi denunciati e che avevamo anche confessioni spontanee di ragazzi, come quello di un minorenne che ha confessato di aver fatto l'iniezione alla bottiglia avendolo ascoltato in televisione, per non alimentare il panico io stesso ho preferito non insistere sull'argomento. Mi pare che, a cose acquisite, si sia trattato di una sorta di psicosi scatenata in base ad uno o due gesti avventati di persone comunque rimaste sconosciute.
Per quanto riguarda le possibili relazioni con il terrorismo fondamentalista islamico non abbiamo, ad oggi, nessuna indicazione concreta in questo senso; né in tal senso sono affiorate ipotesi plausibili nel corso delle indagini, che pure sono diffuse ed intense in tema di terrorismo islamico operante in Italia con funzioni, come saprete, prevalentemente di supporto logistico o di reclutamento di mujaheddin da inviare in zone di conflitto tecnico o religioso.
Solo per completezza di informazione e scrupolo vi debbo dire che tra i convertiti italiani all'Islam figurano personaggi di provenienza dall'estremismo di sinistra e, forse di più, dall'estremismo di destra, ma questa è soltanto una constatazione che sarebbe arbitrario oggi collegare a potenziali comportamenti eversivi.
Onorevole Fontanini, devo dirle che non so se a Bologna vi sia un regista di questi fatti. Certamente a Bologna c'è una cospicua presenza anarchica che si è già rivelata da tempo e il cui risveglio attuale non credo possa essere attribuito a fatti politici contingenti.
Non sono in grado di rispondere con precisione (ma mi riservo di farlo) alla domanda dell'onorevole Sinisi sulle caratteristiche chimiche degli esplosivi via via adoperati. In genere sono sempre gli stessi: quelli cioè più agevolmente rintracciabili nelle cave o nelle fabbriche di fuochi d'artificio. La tecnica è quasi sempre quella che si ritrova riprodotta nelle note pubblicazioni: il manuale dell'anarchico insurrezionalista e l'altro documento che ho consegnato alla presidenza.
Devo dire che da quando mi trovo al Ministero dell'interno (per il periodo precedente non posso parlare), il contributo del SISDE allo sviluppo delle indagini e all'approfondimento delle conoscenze sta via via diventando sempre più puntuale e qualificato. Non posso che esprimere apprezzamento per questo contributo che peraltro si sviluppa in stretta connessione con i competenti organismi della Polizia di Stato e dell'Arma dei carabinieri, che su mia iniziativa hanno costituito un gruppo che siede in permanenza al Viminale e che praticamente filtra e predispone la gestione di tutte le informazioni riguardanti il terrorismo.
La consistenza dei gruppi anarchici insurrezionalisti è difficile da quantificare ma posso fornire degli elementi di riferimento. Sto parlando a braccio e, se avessi avuto tempo di consultare le carte, sarei stato più preciso, ma comunque posso ricordare il caso delle ultime due manifestazioni di protesta: al carcere di Roma in favore di Leonardi erano presenti cento persone, se tutti e cento fossero anarchici non lo so ma comunque si esponevano molto; a Cagliari invece erano 30. Se per


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una piccola manifestazione, in un'ora inconsueta, si possono raccogliere 100 persone soltanto a Roma, allora la consistenza non deve essere poi così irrilevante. Ricordo peraltro che i Black bloc che agirono alle manifestazioni di Genova erano circa tremila; certo, è vero che vi era un forte apporto straniero, ma è probabile che vi fosse una forte componente anarchica italiana. Ricordo ancora la seconda manifestazione di Genova (che raccolse circa 80 mila persone) quando, sotto la mia gestione, lavorammo per isolare gli anarchici; ebbene, questo gruppo fu isolato e contava circa 500 persone. Questi però sono elementi che non possono essere adoperati per realizzare una quantificazione rigorosa.
Penso che dobbiamo riflettere meglio sul perché della scelta della signora Prodi come destinataria del plico, perché, a parte l'odiosità del gesto in sé, può esserci qualche altro elemento; certamente, quello di colpire in profondità il Presidente Prodi, il quale sarà stato sicuramente lieto di aver aperto lui il plico piuttosto che la moglie. Ricordo, peraltro, che nel volantino di rivendicazione la parte scritta con normografo e rivolta direttamente al Presidente Prodi usa anche qualche espressione volgare, truculenta, di offesa gratuita - lo chiamano «il maiale», qualcosa del genere -, che denota un qualcosa in più rispetto ad altri meno autorevoli ma pur sempre autorevoli bersagli. In ogni caso, è bene approfondire questo argomento, cosa che io non ho fatto.
Per quanto riguarda la Falange armata non posso che richiamare la considerazione che ho fatto poco fa sui convertiti all'Islam e ribadire che però non c'è nessun collegamento, non è apparso finora nessun collegamento tra terrorismo interno e terrorismo internazionale; quella della Lioce sembra una proclamazione di principio, che peraltro si ritrova anche in volantini, ma siamo ancora e pur sempre nell'ambito della retorica antiimperialista. Segnali precisi non ce ne sono.
Per quanto riguarda l'attentato alla sede della Margherita di Olbia, attentati di questo genere purtroppo ce ne sono numerosi e i partiti ricorrono spesso come bersagli, come del resto le sedi sindacali, ma in quanto espressioni delle istituzioni spontanee della società civile, non in quanto espressioni di parte politica. Almeno per quanto riguarda gli anarchici questo mi sento di dirlo: colpiscono in maniera indiscriminata tutto ciò che è, come dicono loro, Stato e repressione, sfruttamento dell'uomo sull'uomo, dell'uomo sulla natura. Non mi pare francamente che facciano distinzioni di parte.
All'onorevole D'Alia vorrei dire che certamente tra le vecchie e le nuove BR vi sono elementi di continuità, non a caso le nuove BR - Partito comunista combattente sono state tenute a battesimo dagli irriducibili nelle carceri. Nelle carceri italiane sono stati trovati testi che riguardavano esattamente la rivendicazione dell'omicidio D'Antona, così come tra nuove BR e anarchici insurrezionalisti può cominciarsi a parlare di una tendenza a convergere nell'individuazione di alcuni terreni di lotta e degli obiettivi da colpire.
Non saprei collocare con precisione la figura di Beppe Maj, che peraltro conosco, onorevole Taormina, e vorrei essere prudente, anche perché egli è stato di recente oggetto di una decisione della magistratura francese, verso la quale, come esponente del Governo, non posso non avere rispetto. Debbo peraltro dire che negli ultimi tempi si sono aperti spazi notevoli di collaborazione con le autorità francesi in materia di terrorismo, pur mantenendo la Francia, come si sa, una sua tradizione di ospitalità nei confronti dei rifugiati politici o ritenuti tali, della quale è molto, ma molto gelosa.
Mi pare di avere risposto, almeno in parte, alle domande poste dall'onorevole Bielli. Voglio dire anche che in parte ormai questo movimento anarchico insurrezionalista è conosciuto; abbiamo individuato il momento della nascita, abbiamo visto come nasce, conosciamo gli ambienti che frequenta, molti nomi dei suoi componenti attivi, e, attraverso gli atti e i documenti che hanno accompagnato questi atti, conosciamo ormai abbastanza bene il loro modus operandi, anche perché hanno una intensa attività letteraria, con


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la quale divulgano le loro idee e i loro programmi. Ripeto, dobbiamo essere molto attenti su questo aspetto.
Credo anche di avere almeno in parte risposto alle domande dell'onorevole Violante; in particolare, credo di poter dire che gli anarco-insurrezionalisti - la cui definizione è certamente nostra, del Ministero dell'interno, ma si rifà a documenti vari - non sono solo un dato storico, ma ormai sono un modello organizzativo, quello appunto che nasce dalla frattura storica a cui ho accennato poco fa, che prima è teorizzato da Bonanno e poi riproposto, sulla base della dottrina di Bonanno, anche in questa rivendicazione.
Quanto all'ultima domanda dell'onorevole Mascia, noi non abbiamo affrontato questo problema né abbiamo ricevuto esplicite richieste. La questione del controllo dei voli aerei, tuttavia, costituisce ormai un rilevante contenzioso internazionale. Gli Stati Uniti hanno richiesto da tempo alle compagnie aeree di poter avere almeno 30 informazioni sulle persone che si recano negli stessi. In tutta Europa vi è stata una resistenza notevole di fronte a tale richiesta; in particolare, sono insorte le autorità preposte alla tutela della privatezza.
Nel corso del semestre europeo di Presidenza italiana si è cercato di individuare un numero limitato di informazioni da dare (una proposta spagnola ne conteneva 9, ma non è stata ancora perfezionata), anche se ritengo che il problema fondamentale non sia tanto quello del numero delle informazioni, quanto della gestione delle medesime.
Richiamo alla vostra attenzione tale problema perché vi è un'altra questione molto delicata, quella della registrazione delle informazioni sui telefoni. Se si riducono i periodi di conservazione di quelle informazioni, corriamo il rischio di perdere prove decisive in indagini di lunga durata, quali spesso sono quelle sul terrorismo e sul crimine organizzato. Il problema non è di stabilire se le informazioni debbano conservarsi per 30 o per 60 mesi, ma di conservarle in condizioni di sicurezza, disciplinando rigorosamente l'accesso a casi ben specifici, come quelli delle indagini della magistratura sul crimine organizzato ed il terrorismo.
Non ho altro da aggiungere sul controllo degli aerei, anche se alcune forme di controllo, ovviamente, sono state via via affinate. Se dovessi avere altre informazioni, ne informerò la presidenza della Commissione con una lettera scritta. Grazie per la vostra attenzione.

PRESIDENTE. Sono così esaurite le comunicazioni del Governo sugli attentati al Presidente della Commissione europea, onorevole Romano Prodi, e sullo stato della lotta al terrorismo.
Ringrazio il ministro Pisanu, a cui auguriamo buon lavoro per ciò che sta facendo, e tutti i colleghi intervenuti.

La seduta termina alle 15,30.