X COMMISSIONE
ATTIVITÀ PRODUTTIVE, COMMERCIO E TURISMO

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di mercoledì 16 gennaio 2002


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La seduta comincia alle 11.10.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione dei rappresentanti dell'Italenergia SpA.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla situazione e sulle prospettive del settore energetico, l'audizione dei rappresentanti dell'Italenergia SpA.
Sono presenti il dottor Umberto Quadrino, vicepresidente dell'Italenergia, l'ingegner Giulio Del Ninno, amministratore delegato dell'Edison, e il dottor Massimo Antonello, direttore delle relazioni esterne dell'Edison.
Ringrazio i rappresentanti dell'Italenergia per aver accolto il nostro invito e do la parola al dottor Quadrino per l'illustrazione del documento che ha portato all'attenzione della Commissione e che sicuramente sarà molto utile per l'elaborazione del nostro documento conclusivo.

UMBERTO QUADRINO, Vicepresidente dell'Italenergia SpA. Desidero anzitutto ringraziare la Commissione per l'invito rivoltoci. La mia presentazione sarà divisa in due parti: la prima prevede un breve riassunto della situazione del gruppo Italenergia-Edison-Montedison dopo i recenti eventi (penso che sia di interesse generale, anche se non mi ci soffermerò troppo); la seconda entra nel merito del dibattito di oggi e verte sulla sicurezza degli approvvigionamenti, sulla liberalizzazione del mercato dell'elettricità e del gas e sulle fonti rinnovabili.
L'Italenergia è una società che - come ricorderete - è stata fondata all'inizio di luglio nell'ambito dell'operazione di acquisizione del controllo della società Montedison. Gli azionisti dell'Italenergia sono la FIAT per quasi il 40 per cento, l'EDF francese per il 18 per cento, 3 banche nazionali (San Paolo IMI, Banche Intesa e Banca di Roma) per il 23 per cento circa e la società Carlo Tassara (controllata dal francese Zaleski) per il 20 per cento. Occorre ricordare che EDF subisce il congelamento dei diritti di voto al 2 per cento.
L'operazione approvata alla fine di dicembre dai consigli di amministrazione e dalle assemblee delle società Italenergia, Montedison, Edison, Falk, Sondel, FIAT Energia, prevede la fusione di tutte le società. Lo schema societario, estremamente semplificato, è riportato nell'allegato 1. Le società sono circa 500, ma sono indicate soltanto quelle principali. Dopo l'OPA, Italenergia controlla la Montedison con una quota del 96 per cento; Montedison controlla a cascata l'Edison e la Sondel; vi è poi una partecipazione di Italenergia in Edison: come è evidente, lo schema è molto complicato. Noi vogliamo semplificare tale assetto, fondere le società Montedison, Edison, FIAT Energia, Sondel, in unica società che verrà chiamata Edison. Tale società sarà quotata in borsa e il flottante sarà compreso tra il 6 e il 10 per cento, a seconda se gli azionisti della


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Montedison convertiranno le azioni di risparmio in quelle ordinarie; il resto sarà controllato da Italenergia. Nella prossima slide (vedi allegato 2) potete vedere che esiste una seconda fase nella quale Italenergia e Edison si fondono, creando la nuova Edison che avrà sul mercato circa il 20 per cento di flottante e sarà controllata dalla nuova Italenergia con gli stessi soci e con la stessa compagine azionaria dell'attuale Italenergia. Tutto ciò per dire che siamo in piena trasformazione societaria, ma le linee strategiche della società sono già molto chiare. Noi venderemo tutte le parti dell'impero Montedison (una società molto diversificata che spaziava dalle assicurazioni alle attività agricole, ai cantieri navali, eccetera) che non riguardano l'energia, come si evidenzia dalla parola «dismissioni» delle attività non core nel grafico (vedi allegato 2). Venderemo tali partecipazioni e con il ricavato diminuiremo l'elevato debito del gruppo fino a circa 7 miliardi di euro, cifra sempre abbastanza elevata ma che rappresenta sostanzialmente la metà rispetto ai 13 miliardi di euro attuali. Attraverso tali dismissioni ci concentreremo nel campo dell'energia e del gas per creare il secondo polo italiano, dopo i due ex monopoli ENEL ed ENI, nel campo dell'energia e in quello del gas. Questo è il nostro programma e siamo a buon punto. Stiamo lavorando alle dismissioni e contiamo di eliminare tutto ciò che non riguarda l'energia entro il 2002. Ci concentreremo sull'energia e cercheremo di costruire un'azienda come quella che vi illustrerò.
Che cos'è oggi la nuova Edison (vedi allegato 3)? Essa è costruita su tre pilastri: la Edison, la Sondel e la FIAT Energia. La Edison è la società più grande, ha una capacità produttiva di circa 4000 megawatt di energia elettrica, la Sondel ne ha 1300 e FIAT Energia ne ha circa 500. Oltre alla produzione esistente vi sono i cosiddetti green field o brown field, cioè terreni sui quali abbiamo intenzione di costruire nuove centrali. Ne era particolarmente ricca FIAT Energia, che possedeva i siti industriali della FIAT sparsi in Italia, dove è possibile costruire centrali per 8500 megawatt. La Sondel ne aveva per 5000 megawatt e la Edison per 2200 megawatt. Complessivamente vi è una potenziale capacità produttiva in virtù della costruzione di nuove centrali per 16000 megawatt. Si tratta di una cifra imponente: si potrebbe passare dagli attuali 6000 megawatt a 16000. Il nostro programma non è di costruire centrali per tutti i 16000 megawatt, ma di passare da 6000 a 14000 e, quindi, costruire centrali per la metà di quei 16000 megawatt, in quanto non riteniamo di ottenere le autorizzazioni per tutti i siti dove potremo costruire una centrale. Con un successo del 50 per cento potremo costruire centrali per 8000 megawatt che si aggiungerebbero ai 6000 già esistenti.
È importante anche la presenza dell'attuale società nel campo del gas. Probabilmente è meno noto, ma già siamo operatori sia nell'upstream, cioè nella ricerca e nella produzione di gas, in Italia e all'estero, sia nella distribuzione e vendita: oggi abbiamo una quota del mercato del gas in Italia pari a circa il 6 per cento. In questo grafico (vedi allegato 4) possiamo vedere quali sono i nostri obiettivi per il 2007, dopo la conclusione del nostro piano quinquennale nel 2006. Contiamo di possedere centrali per produrre 14000 megawatt (6000 attuali più 8000 da realizzare) e raggiungere una quota di mercato del 20 per cento (riteniamo che nel 2007 il mercato sarà totalmente liberalizzato) in modo tale da diventare sicuramente il secondo operatore dell'elettricità dopo l'ENEL. Nel settore del gas l'obiettivo è di raggiungere la produzione di 14 miliardi di metri cubi di gas, con una quota di mercato intorno al 15 per cento e con la posizione di secondo operatore dopo ENI-SNAM. Unendo i due settori saremo uno tra gli operatori leader nel mercato italiano, secondo sia nel campo dell'elettricità sia in quello del gas.
Una caratteristica della nostra azienda è che siamo presenti in tutti i settori del business (vedi allegato 5). Il settore del gas si può dividere in quattro macro segmenti: l'esplorazione, la produzione e l'importazione (trovare i pozzi, estrarre il gas o


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importarlo); il trasporto e lo stoccaggio; la distribuzione; la vendita. Lo stesso nel settore dell'elettricità: la generazione e l'importazione di energia; la trasmissione; la distribuzione; la vendita. Siamo presenti in tutti i segmenti tranne in quello della distribuzione dell'elettricità, in quanto la legislazione italiana al momento non consente ad un'impresa come la Edison di farlo. In tutti gli altri segmenti siamo presenti: per esempio, abbiamo i nostri elettrodotti ad alta tensione per distribuire l'energia elettrica nell'Italia settentrionale e alcuni metanodotti per trasportare il gas nell'Italia meridionale. Qual è il nostro fatturato? Nel 2001, 820 milioni di euro nel settore del gas e 3 miliardi di euro in quello dell'elettricità. Complessivamente quasi 4 miliardi di euro tra energia elettrica e gas. La redditività è buona, il margine operativo lordo è complessivamente superiore al miliardo di euro.
Il programma è quello di aumentare la capacità produttiva di 8000 megawatt attraverso la costruzione di nuove centrali nei nostri siti oppure attraverso l'acquisizione della seconda GENCO che ha una capacità produttiva di 7 mila megawatt. Come voi sapete, noi concorriamo alla gara per la privatizzazione della seconda GENCO: a febbraio sarà presentata l'offerta definitiva. Abbiamo costituito una società insieme all'azienda municipalizzata di Torino, a quella di Milano e all'Atel svizzera, mediante un accordo che prevede, in caso di vincita della gara di aggiudicazione, la divisione della produzione della GENCO: noi assorbiremo il 50 per cento e l'altro 50 spetterà agli altri tre partner. Quindi dei 7000 megawatt della seconda GENCO ne acquisiremmo 3500. Non vogliamo dividere la società (che rimane una), ma essa produrrà a favore dei propri soci e noi ci gioveremo della metà della produzione (sempre in caso di vincita della gara per l'aggiudicazione). Di fronte a noi - come si vede anche da questo grafico (vedi allegato 6) - abbiamo due scenari: se vinciamo la gara per l'aggiudicazione della seconda GENCO, assorbiremo da essa 3500 megawatt di produzione di energia e per il resto costruiremo centrali; se perdiamo la gara, costruiremo centrali per tutti gli 8000 megawatt. Ciò viene esplicitato nel grafico seguente (vedi allegato 6). Nella parte sinistra è indicata la produzione assorbita dalla GENCO nel 2002.
Speriamo che i 3500 megawatt siano disponibili già nel 2002, anche se alcune delle centrali che producono i 7000 megawatt sono inattive in quanto occorre realizzare il revamping e sostituire i vecchi impianti con i nuovi. Se nel 2002 fossero in funzione tutte le centrali ne potremmo assorbire la capacità produttiva. Nel 2003 non vi sarà una crescita della produzione perché staremo costruendo nuovi impianti, mentre nel 2004 si renderanno disponibili nuove centrali e potrà aumentare la capacità produttiva, secondo lo schema di sinistra. Se non vinceremo la gara per l'aggiudicazione della GENCO, lavoreremo ancora più alacremente per costruire le centrali che si renderanno disponibili a partire dal 2004: la nuova capacità produttiva sarà disponibile più avanti nel tempo. Potete capire il nostro interesse sia a vincere la gara per l'aggiudicazione della GENCO al fine di aumentare la capacità produttiva e di raggiungere una posizione di rilievo nel mercato, sia a non sostenere una spesa eccessiva per la gara stessa in quanto potremmo aumentare la capacità produttiva costruendo autonomamente nuove centrali. Abbiamo interesse a vincere la gara per l'aggiudicazione della GENCO, ma non a qualsiasi prezzo: se esso è interessante vogliamo vincere, altrimenti vincerà qualcun altro.
Considerata la nostra attuale capacità produttiva e i programmi futuri, potete vedere in questo grafico (vedi allegato 7) l'aumento della nostra capacità produttiva senza l'acquisizione della GENCO: nel 2006 vogliamo ottenere una capacità produttiva di circa 14 mila megawatt. Molto importante è la parte delle fonti rinnovabili (energia idroelettrica e eolica) che costituisce già una percentuale molto rilevante, circa il 20 per cento del totale (soprattutto nel settore idroelettrico, ma stiamo crescendo molto anche in quello eolico).


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Per quanto riguarda il settore del gas, esso rappresenta un elemento molto importante non soltanto come fornitore delle nostre centrali (che, infatti, funzionano secondo cicli combinati di ultima generazione, poco inquinanti e molto performanti). Non siamo interessati al gas solo come materia prima per le nostre centrali, ma anche perché siamo un operatore sul mercato libero e vogliamo ottenere una quota di mercato in Italia del 15 per cento, sia per quanto riguarda le centrali, sia per quanto riguarda la fornitura all'industria e al pubblico. Per raggiungere tale quota di mercato - voi siete esperti e quindi vi darò informazioni che già conoscete - occorre scoprire giacimenti di gas oppure importarlo (mentre per l'energia si possono costruire nuove centrali). Noi siamo attivi nell'esplorazione in Italia e all'estero, ma abbiamo bisogno anche di importare, altrimenti non potremo mai arrivare alla quota di mercato indicata. Oggi vi è un «collo di bottiglia» sia per quanto riguarda le pipeline, i gasdotti di importazione, sia per quanto riguarda i terminali di rigassificazione (il gas si può liquefare, trasportare con una nave specializzata in Italia e poi rigassificare). Si tratta di impianti molto costosi e ve ne è soltanto uno in Italia: noi vogliamo costruirne un altro per avere una nuova porta d'accesso in Italia. Si tratta di un'infrastruttura fondamentale per il nostro piano, in mancanza della quale non riusciremo a realizzare gli obiettivi. La procedura amministrativa è a buon punto e, come accade sempre in Italia, siamo quasi riusciti ad ottenere l'autorizzazione.
Speriamo che il provvedimento possa essere emanato entro un mese perché dobbiamo iniziare a costruire tale infrastruttura: si sta definendo già il contratto take or pay per il gas e se non iniziamo a costruire ci troveremo in difficoltà. Vogliamo ottimizzare il nostro mix di clienti per vendere sia a utenti civili e industriali, sia a produttori termoelettrici. Vogliamo, quindi, essere un vero operatore sul mercato ed aumentare le nostre riserve a 100 miliardi di metri cubi. Abbiamo già stipulato contratti con la Norvegia, la Russia, la Libia per importare il metano e abbiamo scoperto giacimenti off shore nel mar Adriatico. Inoltre in Egitto vi è probabilmente il più importante giacimento off shore del mar Mediterraneo, che è in via di esplorazione (abbiamo già trovato molto gas). Sicuramente, quando l'esplorazione sarà terminata, esso rappresenterà un valore strategico molto importante per l'Edison. La prossima settimana saremo in Egitto per firmare il contratto di lungo termine con una società francese (non si tratta di uno scoop perché la conferenza stampa si terrà la prossima settimana). Tale contratto ventennale rappresenta, per così dire, un treno di liquefazione (cioè le navi dall'Egitto porteranno in Francia il gas trovato al largo del delta del Nilo) che ha un significato economico fondamentale per la nostra azienda. Con tale treno abbiamo impegnato circa la metà delle riserve a nostra disposizione. Siamo attivi nell'esplorazione in altre parti del mondo e speriamo di essere bravi e fortunati come in passato nello scoprire ulteriori giacimenti. Ci siamo impegnati, inoltre, con un contratto ventennale con il Qatar per importare gas che dovrà essere rigassificato presso il terminale di GNL di Rovigo che vogliamo costruire. Questi sono i contratti di lungo termine che abbiamo già stipulato: con il gas proveniente dal mare del Nord, dalla Libia, dalla Russia, dall'Italia e dal Qatar, avremo a disposizione dai 14 ai 16 miliardi di metri cubi, con i quali arriveremo alla quota di mercato già indicata. Occorre però costruire il terminale di rigassificazione di Rovigo, altrimenti il contratto con il Qatar non può essere eseguito.
Abbiamo intenzione di realizzare investimenti tecnici per 5 miliardi di euro nei prossimi anni, un miliardo all'anno tra elettricità e gas. Si tratta di un impegno molto importante, ma per investimenti assolutamente necessari per l'Edison, in mancanza dei quali, senza nuove centrali, non potremo ottenere la quota di mercato che rappresenta il nostro obiettivo. Lo stesso ragionamento vale per il terminale di rigassificazione: si tratta di investimenti che ci impegniamo a realizzare e che


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realizzeremo. Come potete vedere in questo grafico (vedi allegato 8), la proiezione del mercato che abbiamo di fronte è molto interessante. Per quanto riguarda il mercato elettrico, la parte scura rappresenta il totale del mercato, mentre la parte chiara indica il mercato accessibile ad una azienda come la nostra che si affaccia in un mercato che si sta progressivamente liberalizzando. Nel 2005, l'ultimo segmento della parte chiara non è ancora certo, ma è coerente con la direttiva europea di completa liberalizzazione dei mercati. Noi pensiamo che l'attività parlamentare in Italia sia tale da consentire di rispettare l'impegno per l'attuazione della direttiva europea che sta per essere emanata.
Per quanto riguarda il mercato del gas, l'Italia ha anticipato le indicazioni dell'Unione europea, che prevedevano una liberalizzazione per il 2005, in quanto già nel 2003 il mercato italiano è liberalizzato. Occorre però ottenere il gas, altrimenti non è possibile competere. Si tratta di una differenza importante tra il settore dell'elettricità e quello del gas: mentre nel primo, se si costruisce una nuova centrale, si può entrare nel mercato e diventare un competitor (vi può essere, quindi, una pluralità di attori), nel secondo, se non si possiedono le infrastrutture per importare, non si può essere competitor (il mercato è più complesso rispetto a quello dell'energia elettrica). A questo punto termina la parte strettamente aziendale della mia illustrazione: chi siamo, cosa facciamo, quali sono i nostri programmi e come vogliamo porci sul mercato dell'energia. Sono a disposizione per tutte le eventuali delucidazioni.
Vorrei cominciare a trattare la parte che ritengo per voi più interessante, relativa alle nostre posizioni in merito alle questioni di attualità nei settori dell'energia e del gas. I temi sono tre: la sicurezza degli approvvigionamenti, la liberalizzazione dei mercati e le fonti rinnovabili. Per quanto riguarda la sicurezza degli approvvigionamenti, come potete vedere in questo grafico (vedi allegato 9) - si tratta di dati da voi già conosciuti -, l'Italia è un paese fortemente dipendente dalle fonti primarie. L'Europa ha un grado di dipendenza inferiore al 40 per cento, mentre noi siamo all'80. L'Europa è preoccupata perché in futuro arriverà al 42 per cento, mentre noi rimarremo a quota 80 (anche perché è difficile immaginare che si vada oltre). L'Unione europea, nei suoi documenti, considera preoccupante già la soglia del 40 per cento per quanto riguarda la sicurezza degli approvvigionamenti. L'Italia, con una quota dell'80 per cento, si deve preoccupare certamente in maniera maggiore. L'Italia è poi particolarmente dipendente dal gas naturale, cioè da una sola fonte di energia, in quanto in passato sono state operate determinate scelte contro il nucleare e il carbone, e quindi la nostra possibilità di produrre energia è basata prevalentemente sul gas naturale. Ciò crea una rigidità nell'ambito di tale dipendenza e, quindi, una situazione maggiormente problematica che deve essere approfondita. Le cause di ciò sono da ricercarsi da un lato nella scarsità di materie prime presenti in Italia (esiste il gas, ma sicuramente in misura non sufficiente rispetto al fabbisogno nazionale), dall'altro nelle scelte politiche operate negli anni passati. Si tratta di una situazione di fatto di cui dobbiamo tenere conto per cercare di mitigare tale grado di dipendenza peculiare dell'Italia.
Noi abbiamo individuato quattro aree sulle quali agire. Innanzitutto occorre potenziare le infrastrutture per l'importazione di gas naturale: oggi sono presenti dei «colli di bottiglia» e, considerata la crescita prevista del fabbisogno di energia e la dipendenza da un'unica fonte, se non adeguiamo le infrastrutture, ci troveremo sicuramente in shortage di energia nei prossimi anni. Occorre poi risparmiare nel consumo di energia da fonti primarie: considerato che siamo dipendenti da un'unica fonte, è meglio consumare meno attraverso una rete di impianti nuovi e quindi più efficienti (occorre quindi accelerare le procedure per la costruzione dei nuovi impianti, che consumano nettamente di meno rispetto a quelli vecchi). Bisogna poi diversificare le fonti: non


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voglio riproporre temi di carattere politico, ma, per quanto possibile, è opportuno non dipendere unicamente dal gas. Dovremo, infine, potenziare la ricerca e la produzione nazionale di idrocarburi in quanto in Italia vi è ancora gas, ma è molto diminuita la ricerca. È evidente che tutto ciò che possiamo realizzare per aumentare la produzione nazionale diminuisce il grado di dipendenza dell'Italia dalle importazioni. Esaminiamo più in dettaglio questi quattro punti.
Per quanto riguarda il potenziamento delle infrastrutture vi sono due strade: i terminali di rigassificazione e i nuovi metanodotti. I primi forniscono una maggiore flessibilità nelle forniture, in quanto non creano un legame fisico tra paese produttore e paese importatore: è possibile importare da qualsiasi parte del mondo (Qatar, Egitto, Nigeria, Abu Dhabi, Trinidad e Tobago), da tutti i paesi che possiedono terminali di liquefazione nei loro territori. La realizzazione di terminali di liquefazione sta diventando l'investimento dei prossimi dieci anni perché i paesi, come ad esempio il Botswana, che hanno nei loro territori giacimenti di gas, per esportarlo nei paesi consumatori (che sono poi l'Europa e gli Stati Uniti) devono utilizzare tali terminali di rigassificazione. Il petrolio si trasporta bene, il gas malissimo, in quanto necessita di un tubo. I paesi che si affacciano sul Mediterraneo, come l'Algeria e la Libia, possono pensare di realizzare un gasdotto, ma già per l'Egitto esso rappresenta un'infrastruttura con un costo elevatissimo. Gli impianti di liquefazione e di rigassificazione, quindi, rappresentano il modo migliore per esportare il gas. Il primo di tali impianti è stato realizzato a Trinidad e Tobago e si è rivelato un'infrastruttura estremamente importante, anche redditizia per chi l'ha realizzata. L'Egitto adesso sta costruendo il proprio impianto di liquefazione, il Qatar l'ha già fatto, e noi dobbiamo realizzare terminali di rigassificazione per poter importare il gas. Edison, con le proprie risorse finanziarie, sta costruendo uno di tali impianti a Rovigo. Come ho già detto, la procedura è abbastanza avanzata e speriamo di poter completare questa infrastruttura quanto prima.
In Italia esiste un solo terminale di rigassificazione, a Panigaglia. Un secondo terminale permetterebbe di coprire il 12 per cento dell'import di gas: si tratta quindi di un'infrastruttura importante per il paese. Sappiamo che vi sono altre richieste per costruire tali terminali in Italia. Per quanto riguarda i gasdotti si parla della tratta Algeria-Sardegna-Italia. Si tratta di un'infrastruttura colossale e molto importante per la Sardegna, dove attualmente non vi è il gas, e per l'Italia in quanto rappresenterebbe una nuova possibilità di importazione dall'Algeria. Dalla Sardegna partirebbero due tratte, una per la Toscana, l'altra per la Francia. Per quanto riguarda il gasdotto libico, Tecnimont, una società del gruppo Montedison, svolge il ruolo di general contractor per le opere a terra: attraverso tale contratto Edison importerà 4 miliardi di metri cubi per 25 anni. Sono poi presenti dei «colli di bottiglia» riferiti alle linee di importazione con la Russia, l'Algeria e l'Europa del nord, che potrebbero essere potenziate. Concludendo la parte relativa alle infrastrutture, occorrerebbe snellire le pratiche di concessione. Ingegner Del Ninno, quanto abbiamo impiegato per il terminale di Rovigo?

GIULIO DEL NINNO, Amministratore delegato dell'Edison. Abbiano impiegato quattro anni e non abbiamo ancora finito.

UMBERTO QUADRINO, Vicepresidente dell'Italenergia Spa. Considerato che si tratta di infrastrutture fondamentali, snellire le pratiche di concessione sarebbe ottimo, non soltanto per chi realizza tali impianti, ma anche per il paese. Occorre poi incentivare gli investimenti: oggi vi sono piccoli incentivi che anche noi riceviamo per l'impianto di Rovigo, ma stiamo parlando di un costo di mille miliardi per un terminale. Si tratta comunque di infrastrutture utili per il paese e che dovrebbero progressivamente essere messe a disposizione di tutti. Gli incentivi agli


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investimenti favorirebbero tali processi. Si dovrebbe poi concedere un diritto prioritario di utilizzo a chi realizza le infrastrutture. Il soggetto che costruisce gli impianti lo fa in quanto è titolare di un contratto pluriennale con qualcuno: noi abbiamo un contratto con il Qatar che dura 25 anni e dobbiamo avere il diritto di utilizzare tali infrastrutture per un tempo uguale a quello della durata del contratto. Soltanto attraverso tale equivalenza vi può essere il ritorno economico per gli investimenti realizzati.
Il secondo punto è rappresentato dal risparmio nel consumo di energia da fonti primarie. La media del rendimento degli impianti oggi in Italia è al di sotto del 40 per cento. Una nuova centrale a ciclo combinato ha un rendimento del 56 per cento. Vi è quindi un risparmio fondamentale: un nuovo impianto consuma il 25 per cento in meno della media degli impianti esistenti in Italia. Quando l'Italia avrà completato il phase out, sostituendo le vecchie centrali con le nuove, risparmierà il 25 per cento rispetto all'energia che importa: si tratta di una cifra enorme. Le nuove centrali, anche dal punto vista delle emissioni nell'atmosfera, inquinano enormemente meno rispetto alle vecchie, per quanto concerne il monossido di azoto, l'anidride carbonica, eccetera. Il divario tra una centrale tradizionale e una nuova a ciclo combinato cogenerativo è enorme. Soltanto attraverso un rinnovo del nostro parco termoelettrico si otterranno un risparmio energetico e l'abbattimento fondamentale dei nostri consumi.
Per quanto riguarda la diversificazione delle fonti, vi è una determinata percentuale di fonti rinnovabili e di impianti a carbone (oltre che di impianti a gas). Le fonti rinnovabili sono di due tipi: idroelettrico ed eolico. Come vedete in questo grafico (vedi allegato 10), l'energia idroelettrica, rappresentata dalla colonna scura, costituisce la maggior parte delle fonti rinnovabili. La produzione di tale energia, però, non può essere aumentata perché in Italia si è raggiunto lo sviluppo massimo nel corso degli ultimi 100 anni. È molto difficile anche ottenere nuove concessioni per costruire centrali idroelettriche, anche se mi sembra che ne stiano costruendo una in Val d'Aosta (con problemi colossali relativi alla tenuta della diga). Non penso che si costruiranno, nei prossimi anni, nuovi impianti idroelettrici in quanto tutti i salti importanti sono stati in qualche modo sfruttati. Oggi, quindi, l'unica possibilità di crescita per l'energia rinnovabile è rappresentata dal settore eolico; poi vi sono le biomasse e altre realtà ugualmente marginali. Dal grafico si nota l'aumento della produzione di energia eolica. A destra sono indicati gli impianti a carbone che oggi producono 9300 megawatt. Conosciamo tutti le difficoltà esistenti nel mantenere nel tempo tale produzione a causa dell'inquinamento che producono i vecchi impianti a carbone. Se, però, chiudessimo gli impianti a carbone, avremmo eliminato l'unica fonte di diversificazione che oggi abbiamo rispetto alle fonti primarie di energia.
Occorre considerare che il costo variabile dell'energia elettrica prodotta da una centrale a carbone è pari alla metà di quello relativo al gas naturale (la spesa per costruire una moderna centrale a carbone è elevata, ma l'energia prodotta costa molto meno). Quando ci lamentiamo che l'energia in Italia ha un prezzo alto, ci dobbiamo ricordare che non produciamo energia nucleare (che ha un costo molto basso) e che vogliamo eliminare quel poco di energia derivante dal carbone. È chiaro che poi il prezzo dell'energia elettrica in Italia è più alto rispetto agli altri paesi europei. Sto parlando a favore del carbone anche se la nostra società non possiede alcuna centrale a carbone. Non sto, quindi, difendendo interessi di parte: dico soltanto che se noi chiudessimo le poche centrali a carbone esistenti in Italia, da un lato aumenterebbe la dipendenza dal gas naturale, dall'altro si eliminerebbe una delle fonti di produzione di energia elettrica a basso costo. Non dimentichiamo che, con le nuove tecnologie, le centrali a carbone sono, dal punto di vista ecologico, molto compatibili con l'ambiente e assolutamente paragonabili alle altre fonti di generazione di energia. Se vogliamo mantenere


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un'accettabile diversificazione delle fonti, quindi, non bisogna demonizzare il carbone.
L'ultimo aspetto della sicurezza degli approvvigionamenti è rappresentato dal potenziamento della ricerca e della produzione nazionale di idrocarburi. L'andamento della previsione della produzione e delle riserve di idrocarburi in Italia nei prossimi anni indica una drastica fase discendente. Il trend evidenzia un depauperamento rapido e progressivo delle risorse naturali e ciò è dovuto al fatto che negli ultimi anni non sono state più concesse autorizzazioni, per i problemi di carattere ecologico del mar Adriatico: il risultato è evidente. È chiaro che, per ridurre la dipendenza italiana dalle importazioni, occorre aumentare la produzione nazionale. Noi pensiamo che sia necessario snellire i processi autorizzativi e incentivare la ricerca di frontiera. Quest'ultima è molto costosa in quanto è rivolta verso giacimenti la cui utilizzabilità in termini economici è discutibile a causa della loro profondità, della presenza di anidride carbonica (che deve essere separata dal gas), eccetera. Tali giacimenti potrebbero, attraverso gli incentivi, diventare redditizi. In questo modo aumenterebbe la produzione nazionale e diminuirebbe la nostra dipendenza dall'estero. Lo stesso ragionamento vale per i campi marginali. Attraverso incentivi mirati alla ricerca, potremo valorizzare meglio le risorse nazionali.
Passiamo ora a trattare della liberalizzazione dei mercati. Sappiamo che l'Unione europea prevede, nell'ambito della direttiva in materia, di liberalizzare totalmente i mercati a partire dal 2005 e di separare la trasmissione e la distribuzione dalle restanti attività (si tratta di avere reti separate e regolate da tariffe che permettano a tutti gli utenti, senza discriminazione, di accedere alle reti stesse). Siamo estremamente favorevoli alla liberalizzazione del mercato e perciò appoggiammo in pieno lo sforzo dell'Unione europea e del legislatore nazionale per arrivare rapidamente a tale risultato. Riteniamo che solo attraverso la liberalizzazione possano essere raggiunti gli obiettivi della riduzione del prezzo dell'energia (che rappresenta poi lo scopo finale) e del miglioramento dell'efficienza degli impianti. Attraverso la maggiore competizione gli operatori saranno indotti a mantenere impianti efficienti, che producono ad un costo minore, per poter partecipare al mercato. Impianti più efficienti comportano anche minori consumi energetici, minori emissioni e anche una migliore qualità dei servizi. Non esisterà un chilowattora uguale per tutti in qualsiasi fascia oraria, bensì un servizio personalizzato che insegnerà anche all'utente come utilizzare meglio l'energia (non bisogna domandare tutta l'energia alla stessa ora, al fine di evitare picchi che aumentano il costo di produzione). Se ci si abituerà a consumare l'energia quando costa di meno, vi saranno vantaggi per tutti, utenti e aziende produttrici.
Le misure indispensabili per la liberalizzazione del mercato elettrico sono diverse. Occorre concludere le procedure di cessione della seconda e della terza GENCO. Occorre poi autorizzare nuovi impianti di produzione. Tutti voi conoscete la vicenda del cosiddetto decreto sblocca centrali. È necessario, quindi, snellire tali processi e potenziare la rete per evitare rischi di ingorghi derivanti dalla costruzione di nuove centrali. Bisogna ottimizzare la capacità di importazione in quanto l'energia elettrica in Italia viene anche importata. Occorre liberalizzare completamente il mercato nel 2005, dal lato dell'offerta e da quello della domanda: il cliente deve poter scegliere il proprio fornitore. Bisogna poi attivare la borsa elettrica entro il 2002. Non vorrei soffermarmi sul completamento della cessione della seconda e terza GENCO. Per quanto riguarda la seconda, a febbraio si presenteranno le offerte definitive. È stato detto che la cessione della terza GENCO avverrà entro il 2002: considero sicuro tale processo, occorre soltanto vigilare affinché non vi siano i soliti intoppi. Non ho motivo di dubitare che le previsioni non vengano rispettate. Vorrei anticipare un'eventuale vostra domanda sulla necessità di una


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quarta GENCO. Ritengo prioritario portare a termine i processi relativi alla seconda e alla terza, istituire la Borsa elettrica e verificare il funzionamento del mercato. Se esso non funziona a causa di una ancora eccessiva concentrazione, voi politici valuterete l'opportunità di una quarta GENCO. Non mi sembra che ciò rappresenti un problema attuale. Non vorrei parimenti soffermarmi sull'apertura del mercato entro il 2005: esiste una direttiva comunitaria, l'Italia di solito ha sempre rispettato le norme provenienti da Bruxelles e non ho ragione di dubitare che entro il 2005 qualsiasi cliente potrà scegliere come fornitore l'ENEL, l'Edison o un altro soggetto.
Per quanto riguarda l'autorizzazione di nuovi impianti, è in corso un dibattito, anche tra gli operatori del mercato elettrico, sull'eventuale difficoltà di copertura della domanda nei prossimi anni. Noi riteniamo che l'Italia abbia la necessità di incrementare la propria capacità produttiva. In questo grafico (vedi allegato 11) la colonna centrale rappresenta l'offerta nominale italiana: oltre 80000 megawatt tra importazione (5600 megawatt) e potenza installata nazionale (circa 76000 megawatt). Si tratta di una cifra imponente soprattutto rispetto alla domanda netta di punta, situata attorno ai 50000 megawatt. Tra queste due grandezze vi è un grande margine di manovra e, considerati tali dati e in virtù della grande quantità di riserva, sembrerebbe che non sia così necessario aumentare in tempi brevi la capacità produttiva. Se, però, consideriamo la potenza nazionale realmente disponibile (non gli impianti teoricamente esistenti e «messi in naftalina» per riserva, ma quelli che producono normalmente) possiamo constatare che la potenza nazionale disponibile, quella prodotta ogni giorno, è pari a 53400 megawatt e, quindi, sostanzialmente più bassa. Ciò significa che abbiamo molti impianti (a Chivasso, a Brindisi, eccetera) che sono inattivi, in attesa di revamping, perché ecologicamente non compatibili o aventi un costo di produzione estremamente elevato. Poi vi sono i 5700 megawatt di importazione, dei quali, però, soltanto la metà (circa 3000) sono forniti da contratti di lungo termine, sui quali è possibile contare per decenni. Gli altri sono rappresentati da acquisti che, di volta in volta, si devono operare sui mercati e per i quali non vi è alcuna assicurazione di ottenere una determinata capacità produttiva.
La Francia rappresenta un grande esportatore verso l'Italia e ha chiesto all'Edison di poter vendere energia elettrica attraverso EDF in quanto aveva alcuni problemi di rete (noi non riusciamo ad acquistare da EDF però abbiamo venduto ad essa). Se la Francia dovesse chiudere una centrale nucleare, non ci venderebbe più l'energia corrispondente (a prescindere dai contratti di lungo termine stipulati). Di questi 5700 megawatt di importazione, quindi, 3000 possono essere considerati acquisiti, gli altri no. Allora, sommando ai 53000 megawatt i 3000, si raggiunge la quota di circa 57000, contro una domanda di punta che è pari a circa 50000 megawatt. Si tratta di un dato preoccupante. Ha ragione il gestore della rete quando afferma che, nei prossimi anni, esiste il rischio di black out, perché la domanda continua ad aumentare mentre gli impianti esistenti continuano ad andare in phase out (l'ENEL continua a fermare gli impianti meno performanti). Ciò anche perché, privatizzando le GENCO, molte centrali verranno fermate per essere rinnovate e per due anni non produrranno. A nostro avviso il gestore della rete ha ragione quando paventa un rischio di black out per i prossimi anni. Tutti lavoreremo affinché ciò non accada, ma l'aumento della capacità produttiva è molto importante. Concludendo l'argomento della liberalizzazione dei mercati, occorre accelerare gli iter autorizzativi in corso per le nuove iniziative. Bisogna rendere operativo il cosiddetto decreto sblocca centrali, promosso dal ministro Marzano e che rischia di essere paralizzato dalla legge n. 3 del 2001.
Vorrei poi esprimere una posizione molto netta: un tema così delicato come la produzione di energia elettrica, sicuramente di carattere europeo ma anche


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italiano, non può essere demandato alle competenze delle regioni, altrimenti si potrebbero creare situazioni paradossali, sia per la distribuzione, sia per la produzione. Il problema del fabbisogno energetico è nazionale per definizione e solo a livello nazionale può trovare la sua composizione. Questo non vuol dire negare alle regioni qualsiasi voce in capitolo in quanto esse possono essere coinvolte in alcuni ambiti. Se, però, le regioni avessero la possibilità di decidere sulla costruzione di nuove centrali o sul potenziamento di una rete che passa attraverso il loro territorio, si creerebbero situazioni insostenibili. Possiamo immaginare che una regione dell'Italia centrale introduca il pagamento di un aggio per tutta l'energia che passa attraverso il proprio territorio, oppure si rifiuti di far costruire un elettrodotto che collega due centrali site su territori confinanti con la regione, oppure decida di concedere autorizzazioni per un fabbisogno sproporzionato rispetto ai propri consumi (creando poi intasamenti nelle reti delle regioni confinanti o una sovracapacità produttiva a livello nazionale). Si tratta di situazioni paradossali, che non hanno senso. Mentre l'Europa lavora per una capacità di interconnessione a livello europeo e per aprire il mercato, noi non possiamo disporre di mercati o prezzi regionali. Questi ultimi, infatti, potrebbero essere diversi da regione a regione, creando situazioni di non competitività per imprese ubicate in diversi territori. Si tratta di un problema di funzionalità del sistema, non di scelta politica: se il sistema deve funzionare, deve continuare ad esserci un presidio a livello nazionale per tali tematiche. Suggeriamo di affrontare questo aspetto nell'ambito della riforma della devolution in modo da sbloccare un provvedimento che aveva lo scopo di semplificare la situazione ma che poi di fatto è rimasto paralizzato per i motivi che sappiamo.
Passiamo a trattare il tema delle importazioni. Questo grafico (vedi allegato 12) illustra la situazione nei diversi paesi europei. Nella parte superiore vi sono le quantità di energia importate, mentre in quella inferiore vi sono le quantità esportate. In Europa i paesi sono quasi tutti autosufficienti, con due eccezioni: la Francia esporta energia, l'Italia la importa (anche dall'Austria e dalla Svizzera). Voi conoscete i motivi di tale situazione: l'Italia ha modificato, alcuni decenni fa, il suo programma sull'energia nucleare e non ne ha elaborato, all'epoca, uno altrettanto rapido per sostituire il nucleare con altre fonti di energia. Si è rimediato attraverso una forte importazione dagli altri paesi. Considerato, però, che l'Italia già importa il 15 per cento dal resto d'Europa, sarebbe impensabile programmare una quota del 20 o 25 per cento: ritengo che la soglia del 15 per cento sia già eccessiva (lo dico anche in qualità di produttore nazionale). Occorre creare maggiore capacità produttiva in Italia: non è attraverso l'aumento della capacità di importazione che si risolvono i problemi energetici italiani. Bisogna risolvere tali problemi dall'interno. Esistono certamente dei «colli di bottiglia»: è possibile utilizzare le interconnessioni esistenti, ma esse sono già molto forti. È positivo migliorare, attraverso l'utilizzo di nuove tecnologie (la corrente continua, apparecchiature varie), l'utilizzazione delle interconnessioni esistenti. Possiamo immaginare qualche merchant line, qualche nuovo collegamento con l'estero, ma si tratta di palliativi che possono avere successo nel breve termine, che possono portare 500 o 400 megawatt: è come usufruire di una nuova centrale collocata al di là delle Alpi (questo è l'ordine di grandezza, al massimo 1000 megawatt). L'Italia importa già abbastanza energia e dovrebbe porsi l'obiettivo di ridurre tale dipendenza dall'estero e di produrre di più sul suolo nazionale.
L'ultimo punto riguardante la liberalizzazione dei mercati è rappresentato dall'istituzione della borsa elettrica. Se ne è parlato tanto e noi riteniamo che essa rappresenti il presupposto essenziale per il funzionamento di un mercato competitivo. La definizione stessa di mercato, in mancanza di un luogo dove domanda e offerta si incontrano e determinano il prezzo, pone molti dubbi. Si tratterebbe allora di


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un mercato regolato e di un prezzo amministrato. Non possiamo parlare di liberalizzazione del mercato senza l'istituzione della borsa elettrica. Essa potrà successivamente essere migliorata: non dobbiamo esitare per il timore di non impostare la borsa migliore di questo mondo. Intanto avviamone l'istituzione e poi lavoreremo per trovare i sistemi migliori per renderla operativa, efficiente, eccetera. Anche la borsa dei titoli mobiliari ha, nel corso degli anni, modificato le sue regole, in modo anche consistente e adeguandosi ai tempi. Se non partiamo, non possiamo verificare se il sistema è buono o cattivo e se ne esiste uno migliore. Occorre istituire la borsa elettrica nel 2002: essa già doveva essere avviata nel 2001, poi vi è stato un rinvio e ora si parla di un altro differimento. Noi siamo per l'istituzione della borsa elettrica nel più breve tempo possibile. Riteniamo che il sistema più convincente per la formazione del prezzo sia quello che prevede la curva della domanda e quella dell'offerta. Non è sufficiente la sola curva dell'offerta, nell'ambito della quale un unico livello di domanda determina il prezzo; anche la domanda deve essere educata nel tempo affinché si compri più energia se il livello del prezzo è più basso. Ciò permette la flessibilizzazione della domanda nelle diverse fasce orarie, che va a beneficio di tutti, uniforma il fabbisogno su tutto l'arco della giornata, consente la determinazione di diversi prezzi orari, il conseguimento di veri risparmi energetici e l'utilizzazione completa degli impianti.
Per quanto riguarda la liberalizzazione nel settore del gas, anch'essa è legata alla necessità di aumentare le infrastrutture e quindi di aumentare le relative concessioni. Le infrastrutture stanno al gas come le nuove centrali stanno all'energia elettrica. Quest'ultima può essere prodotta attraverso nuove centrali, mentre il gas ha bisogno di terminali, tenuto conto degli effettivi vincoli dei contratti di lungo termine già firmati e mettendo a disposizione dei soggetti terzi le capacità residue. Se non vi saranno nuovi ingressi che permettano ad altri operatori di importare, la quota di mercato dell'operatore dominante non diminuirà. Le infrastrutture - ripeto - sono fondamentali e rappresentano l'equivalente delle centrali per la produzione di energia elettrica. È basilare anche l'attività di stoccaggio: l'energia elettrica non può essere stoccata perché una volta prodotta è consumata, mentre il gas, almeno in una certa misura, si può stoccare in vecchi depositi. Nei mercati evoluti esistono nuovi soggetti che si specializzano in questo campo e che agiscono come operatori di stoccaggio: comprano il gas che in un determinato momento sarebbe venduto ad un prezzo molto basso e predispongono lo stoccaggio. Con esso si permette al mercato di essere più flessibile, si evita che il prezzo subisca forti oscillazioni e che il consumatore debba soggiacere ad un prezzo elevato, in quanto vi è qualcuno che può fornire il gas prendendolo dai depositi. Conservare il metano sottoterra per sei mesi rappresenta un mestiere nuovo, che possiamo fare anche noi. Lo stoccaggio, però, costa e noi abbiamo già altri impegni di carattere finanziario. Sarebbe opportuna l'introduzione di una legislazione che, attraverso incentivi, favorisse la realizzazione di tale nuova capacità di stoccaggio.
Per quanto concerne le fonti rinnovabili, conoscete tutti gli accordi di Kyoto e gli impegni che l'Italia e l'Unione europea hanno preso per gli anni futuri. Nel nostro paese le fonti rinnovabili rappresentano oggi circa il 16 per cento, mentre nell'Unione europea circa il 14 (l'Italia si giova di un livello più elevato perché possiede un forte settore idroelettrico, al contrario di altri paesi). Gli impegni che verranno presi per il 2010 - si tratta di argomenti che appartengono all'attuale dibattito - comportano l'aumento della parte relativa all'energia rinnovabile al 22 per cento per l'Europa e al 25 per cento per l'Italia. Ritengo che si tratti di impegni colossali in quanto abbiamo già constatato che la produzione di energia idroelettrica difficilmente potrà crescere, e, anche per quanto riguarda il settore eolico e le altre fonti, occorrerà veramente investire in breve tempo molte risorse al fine di ottenere


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qualcosa paragonabile o simile agli obiettivi posti. Non dimentichiamo che tutte le fonti rinnovabili, a prescindere dal settore idroelettrico, hanno un costo di produzione non economico rispetto alle fonti tradizionali. Si tratta di attività che, quindi, vanno incentivate per raggiungere gli obiettivi prefissati. Tutte le fonti rinnovabili necessitano di regimi di sostegno perché nessuna è ancora competitiva in termini di costo del chilowattora prodotto. Il sistema dei certificati verdi rappresenta un valido elemento di saldatura tra il precedente supporto alle energie rinnovabili ed un futuro sistema più organico. Riteniamo, quindi, che esso rappresenti una strada logica da seguire.
La mia esposizione è terminata; vi ringrazio per l'attenzione che mi avete riservato e sono a vostra disposizione per rispondere alle domande.

PRESIDENTE. Do ora la parola ai colleghi che vogliono intervenire per porre domande o richieste di chiarimenti.

ERMINIO ANGELO QUARTIANI. Ho trovato di grande interesse alcuni passaggi dell'esposizione. In particolare, faccio riferimento all'ultima parte della relazione ed a un punto specifico di essa, che, nell'ambito di diverse audizioni, è stato toccato anche da altri soggetti intervenuti. Mi riferisco alla questione della borsa elettrica. Anch'io credo che il passaggio della sua attuazione sia assolutamente decisivo per evitare che si ricada in una sorta di mercato comparativo anziché competitivo, oppure che si dia oggettivamente spazio ad una realtà oligopolistica o duopolistica (a seconda di come si determineranno i processi). Credo che, da questo punto di vista, i soggetti che operano nell'ambito della produzione e della generazione di energia, di valore sia nazionale, sia locale, dovrebbero raggiungere e sostenere un accordo sulla borsa elettrica, che rappresenta la condizione affinché il mercato garantisca effettivamente la realizzazione di un accelerato processo di liberalizzazione. Dobbiamo avere la consapevolezza della presenza di opinioni, probabilmente dettate anche da interessi specifici, illustrate una volta anche in questa sede, secondo le quali sarebbe opportuno rimandare l'entrata in funzione della borsa elettrica, almeno sino a quando l'attuale soggetto monopolistico - o tendenzialmente tale (si spera non più monopolistico) - venga ridotto ad una quota di mercato del 30 per cento nella produzione e nella generazione di energia. Credo che ciò comporterebbe un rinvio del processo di liberalizzazione che aprirebbe uno scontro non indifferente all'interno dell'Europa. Certamente occorre costruire, nei rapporti con gli altri soggetti europei, le condizioni di uguale competizione, ma non in questo modo perché prevarrebbero, secondo me, connotati negativi per quanto riguarda i processi di autonomizzazione e anche di diversificazione, modernizzazione, innovazione del complessivo sistema nazionale.
Un altro punto importante è rappresentato dall'atteggiamento meno rigido sulla questione della quarta GENCO, anche se devo dire che la pressante posizione che qui è stata illustrata dall'autorità indipendente sembra indicare tale aspetto come una condizione importante. Credo che la vicenda debba essere approfondita, anche se è a tutti noto che la questione della quarta GENCO è affidata ad un'eventuale vertenza presso il Consiglio di Stato.
Vorrei porre altre due questioni. Ho notato un'interessante sollecitazione per quanto attiene al ruolo dello Stato relativamente non solo ai processi di ricerca, ma anche a quelli di coordinamento. Io credo che nel settore dell'energia non possiamo non tenere conto dell'attuale dettato costituzionale del titolo V, della sua riforma e anche dell'attesa che è stata determinata in questo ambito nei soggetti regionali e locali. Credo, perciò, che sarebbe importante che anche il Governo si adoperasse, insieme ad altri soggetti, affinché ciò costituisse un tema di primo livello nella discussione sulla ridefinizione delle competenze, dei ruoli e delle funzioni all'interno della cabina di regia. Non è possibile, infatti, ricondurre allo Stato centrale un ruolo forte di coordinamento o di


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intervento senza il consenso delle regioni. Ciò anche perché altri soggetti interessati, come le aziende municipalizzate di Torino e di Milano, in questa sede hanno riferito, per bocca dei loro rappresentanti, che, dal punto di vista della produzione e della generazione, l'ambito regionale rappresenta quello nel quale è possibile operare in modo ottimale. Occorre trovare le migliori condizioni per rendere sinergico e consensuale l'operato delle autorità istituzionali e degli operatori del mercato.
Ho trovato interessante la sollecitazione affinché le autorità nazionali assumano un ruolo attivo nella realizzazione di nuovi impianti, sia per quanto riguarda il cosiddetto decreto sblocca centrali, sia relativamente al versante del gas naturale e della realizzazione di adeguati metanodotti. È chiaro che per quanto riguarda il decreto sblocca centrali vi è anche un problema di rapporto con le autorità locali che non può essere ignorato. Da questo punto di vista occorre però che non si indugi in una fase di stallo: ciò è del tutto evidente. Si tratta di un interesse nazionale e anche delle realtà locali, che ne ricaverebbero indubbiamente un beneficio.
Infine, osservando uno dei grafici proiettati, ho notato che, nell'ambito delle vostre prospettive di sviluppo, la parte quantitativa relativa alle fonti rinnovabili resta nel tempo immutata. Credo che, trattandosi di energia idroelettrica ed eolica in particolare, andrebbe verificata la possibilità di una disponibilità ulteriore per incrementare, anche percentualmente, la crescita complessiva del vostro fatturato e delle vostre capacità di produzione. Ciò potrebbe consentire una migliore utilizzazione, nel settore idroelettrico, anche di impianti di piccola dimensione. Concordo con voi che i grandi impianti sono in una situazione di saturazione per quanto riguarda la capacità di produzione nazionale del settore idroelettrico. Probabilmente la domanda che può provenire da piccole e medie industrie per l'utilizzo di energia prodotta attraverso il settore idroelettrico è tale per cui implementare la ricerca, la disponibilità e la possibilità di realizzazione di nuovi impianti può costituire un interessante ambito di intervento, certo di non grandi proporzioni, ma che sicuramente risponderebbe ad un segmento importante della domanda di operatori di dimensioni ridotte.

LUIGI D'AGRÒ. Intervengo brevemente sull'aspetto societario; vorrei chiedere innanzitutto maggiori informazioni su Zaleski per capire chi c'è dietro questa figura un po' mitica che aleggia e che non abbiamo capito fino in fondo.
Un'altra questione importante è comprendere fino a che punto si riuscirà a fornire energia agli utenti ad un costo inferiore. Ciò non riguarda soltanto l'utente civile, ma anche quello industriale. Abbiamo visto che in Germania il processo di liberalizzazione ha comportato che la divisione del mercato è stata determinata da chi ha avuto massa critica nell'avere la potenzialità effettiva nel mercato. La sensazione è che in Italia ciò avvenga attraverso un processo di concentrazione che potrebbe far nascere un duopolio, nel quale la nuova Edison potrebbe essere il secondo soggetto. L'ENEL detiene ancora una quota di mercato molto superiore al 55 per cento. La concentrazione dall'altra parte dovrebbe realizzare di fatto una massa critica che favorisca Edison, e quindi in Italia il mercato liberalizzato potrebbe diventare, invece, uno straordinario duopolio.
Lei ha detto, dottor Quadrino, nell'ultima parte del suo intervento relativamente al gas, che sarebbe necessaria una legislazione che favorisse le attività di stoccaggio, considerata anche la vostra difficoltà nell'investire in tale direzione. Ciò potrebbe utilmente rendere possibili costi inferiori per gli approvvigionamenti e prezzi minori per gli utenti. Dottor Quadrino, può darci qualche suggerimento in materia? Ciò potrebbe costituire un aspetto che compete quasi esclusivamente alla nostra iniziativa.

STEFANO SAGLIA. Ringrazio il dottor Quadrino per l'esaustiva relazione svolta. Vorrei porre alcune brevi domande, la prima riguarda l'assetto societario. Certamente


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lei saprà che questa Commissione ha lavorato durante le vicende della cessione di Montedison e che il Governo ha approvato un decreto che congela la partecipazione assembleare del partner EDF. Sarebbe interessante per la Commissione capire quale è la partecipazione di EDF in termini di mission, di obiettivo, in quanto durante il dibattito in corso in quel periodo, anche sui giornali, si parlò appunto di una partecipazione finanziaria e non industriale. Vorrei, quindi, capire se tale intendimento è presente ancora oggi negli obiettivi del partner francese.
La seconda questione riguarda un passaggio della relazione relativo alla incentivazione dei rapporti e delle collaborazioni con le ex aziende municipalizzate. Ciò fa riferimento solamente alla partecipazione alla gara per l'aggiudicazione della seconda GENCO con le aziende municipalizzate di Milano e di Torino, o nei programmi vi sono ulteriori collaborazioni?
La terza questione è relativa al tema della borsa elettrica, evidentemente centrale in questa discussione. Da parte nostra non vi è una posizione di chiusura, né di entusiasmo: vogliamo approfondire l'argomento. Coloro che pongono obiezioni relativamente all'introduzione della borsa elettrica affermano che, non essendoci una pluralità di soggetti sufficientemente consistente nel settore della produzione dell'energia, l'anticipazione della costituzione della borsa elettrica potrebbe non essere opportuna. Si tratta di un'obiezione che viene posta e sulla quale lei, dottor Quadrino, credo possa fornire chiarimenti.
Relativamente al settore del gas e al potenziamento delle infrastrutture, infine, credo che sia utile un approfondimento riguardo al vostro interesse rispetto all'Algeria. Tra pochi giorni cominceremo l'esame del collegato alla legge finanziaria per il 2002 e, quindi, può essere interessante un ulteriore approfondimento.

FRANCO GROTTO. La ringrazio, dottor Quadrino, per la relazione svolta, sicuramente interessante, che mette in evidenza anche le vostre strategie e la determinazione con la quale le portate avanti. Mi pare anche di capire che puntate molto sul gas, tanto ciò è vero che il terminale di rigassificazione che dovreste costruire risulta quasi fondamentale per la vostra strategia. Io peraltro sono nato e vivo nella zona del delta del Po, dove state cercando di costruire tale grande impianto. Sono sempre stato contrario, lo sono ancora, non tanto per la struttura in sé, ma per l'ubicazione. Una delle lacune dell'Italia è proprio quella di non saper programmare gli investimenti. Noi abbiamo avuto per tanti anni, nel settore dell'energia, quasi una stasi: nessuno aveva idee o portava avanti iniziative. Adesso, con la liberalizzazione dei mercati, tutti stanno cercando di costruire nuove centrali o nuovi impianti, ma non esiste una strategia complessiva di programmazione che localizzi tali infrastrutture nei posti più idonei.
Il terminale di rigassificazione, che rappresenta un grande impianto e non cosa di poco conto, che ha sicuramente un impatto notevole sull'ambiente, viene costruito sul delta del Po, proprio in prossimità di una particolare zona per la quale si era programmato, in questi anni, uno sviluppo futuro in termini diversi (si pensi alla pesca, al turismo, eccetera). Tanto ciò è vero che le popolazioni ivi residenti sono contrarie; personalmente mi rendo anche conto che il paese ha bisogno di costruire tali impianti, in termini di strategia generale.
Sono d'accordo con la linea che lei, dottor Quadrino, ha tracciato; ritengo soltanto che queste infrastrutture andrebbero costruite in zone diverse, più idonee, meno particolari. Nell'ambito di quel territorio, peraltro, abbiamo già la centrale termoelettrica più grande d'Italia, che crea parecchi problemi (si sta parlando di ambientalizzarla ed esistono ipotesi e progetti in proposito) ed anche voi siete presenti con una piccola centrale sempre in quella zona.
Secondo noi quel territorio è ormai saturo: non abbiamo bisogno di altri impianti. Quando lei, dottor Quadrino, afferma che bisogna accelerare l'iter burocratico


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e ci invita a fare in modo che tali opere vengano costruite in tempi più realistici, concordo con lei, ma ciò si può verificare soltanto in presenza di una programmazione generale che determini i siti dove costruire nuove centrali e nuovi impianti. In caso contrario, rischiamo che chi prima arriva, prima propone e costruisce: è opportuno creare zone ricche di centrali od impianti particolari ed altre carenti di tali infrastrutture? Si tratta di un problema che dovrebbe essere affrontato dal paese, specialmente in questa fase particolare del settore dell'energia.
Allo stato attuale, però, la situazione è quella indicata. Forse riuscirete a costruire il vostro terminale di rigassificazione in quanto avete già quasi tutte le autorizzazioni (sono stati commessi errori da parte degli enti locali qualche anno fa). È indubbio, però, che tale impianto avrà un impatto sfavorevole sul nostro territorio. Se voi volete costruire tali strutture - e ripeto che sono d'accordo sulla necessità di importare gas - dovete costruirle in zone più idonee, dove non nasceranno i problemi che deriveranno dall'impianto in questione. Se tali siti verranno individuati con una certa programmazione, sarà anche più facile trovare enti locali e popolazioni accondiscendenti e l'iter sarà più spedito, più veloce. Se, invece, volete imporre la costruzione di questi impianti in zone come quella del delta del Po, è evidente che troverete qualche ostacolo. Concludo ringraziandovi nuovamente per la relazione e auspicando che per il futuro la programmazione di tali rilevanti interventi, che non sono cosa di poco conto, venga elaborata tenendo presente anche la peculiarità del territorio.

SERGIO GAMBINI. Vorrei anch'io ringraziare il dottor Quadrino per l'esposizione, che è stata davvero chiara e che ha ben inserito le prospettive dell'impresa nell'ambito degli scenari nazionali e internazionali che si presentano. Vorrei ottenere alcuni chiarimenti su pochissimi aspetti; uno di questi riguarda il ruolo che l'Italenergia pensa di poter giocare come importatore di energia elettrica. Al di là del giudizio sulla dipendenza del nostro paese non solo per le fonti di produzione dell'energia, ma proprio per l'importazione di energia elettrica, mi interessa capire - ripeto - se l'Italenergia pensa di giocare un ruolo e quale, anche in forza della presenza di EDF nella compagine societaria.
La seconda questione presenta ugualmente un profilo internazionale. Lei, dottor Quadrino, ha sottolineato giustamente la grande importanza, nei prossimi anni, dei processi di liberalizzazione del mercato dell'energia in tutto il continente europeo e degli scenari di tale processo, che - come sappiamo - oggi avanza a diverse velocità nei vari paesi europei. Ciò, comunque, aprirà anche un nuovo orizzonte per quello che riguarda l'affermazione delle imprese: il mercato sarà sempre più europeo e, da questo punto di vista, avrà regole comuni e simili per l'insieme del nostro continente. Il campo nel quale si misurerà la competizione tra le imprese sarà sempre meno domestico, cioè italiano, ma sarà sempre più europeo. È ovvio che diventeranno molto interessanti i mercati che ancora non sono liberalizzati, come per esempio quello francese, e quelli nei quali si è verificata un'apertura meno consistente rispetto a quella del mercato italiano. Il nostro mercato negli ultimi anni, con grande difficoltà, ha accelerato il processo di liberalizzazione in misura maggiore rispetto a quelli di altri paesi europei.
Dottor Quadrino, vorrei conoscere la vostra strategia in questo scenario più ampio: ritenete di poter lavorare anche all'estero? La presenza di EDF rappresenta una limitazione o una potenzialità, un fattore di successo nell'azione sui mercati esteri? Per esempio, immagino che tale presenza costituirà nel mercato francese un elemento di penalizzazione piuttosto che di incentivo alla crescita di tale attività. Comunque, al di là dell'esempio francese, sono abbastanza convinto che per misurare le possibilità di crescita delle capacità competitive di un'impresa in campo energetico, nel corso dei prossimi anni, la dimensione europea del mercato


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non potrà essere ignorata, pena una scarsa competitività. In Italia occorrono soggetti capaci affinché possano scaturire le economie di scala che consentano di diminuire il prezzo dell'energia.
Vorrei porre un'ultima questione, dato che altre sono state già sottolineate dai miei colleghi; lei, dottor Quadrino, ha affrontato il tema dei certificati verdi, dandone un giudizio positivo: ritiene che la soglia attualmente indicata dalla legge possa utilmente essere aumentata? Immagino che per la vostra impresa ciò non rappresenti un problema, dato che avete una buona scorta da questo punto di vista. Mi interessa capire maggiormente che tipo di scenario può delinearsi, proprio dal punto vista dell'impresa, in presenza di un aumento di tale soglia, che oggi è indicata nella legge nella misura del 2 per cento.

VALTER ZANETTA. Ho apprezzato l'approccio in qualche misura prudenziale rispetto alla potenzialità dei siti disponibili e alla possibilità di sviluppare addirittura i 14.000 megawatt. Mi pare che tale atteggiamento prudenziale, anche nel contesto delle esigenze prospettate dal gestore, sia indice di serietà, a fronte delle reiterate richieste nel settore che giacciono presso le varie autorità e che rendono confuso e complesso anche l'approccio di chi deve decidere. Credo che possa essere attentamente considerata la richiesta, ascoltata oggi, di una programmazione nazionale per il settore energetico. Ritengo che ciò vada sottolineato come un elemento di serietà. Le richieste per la costruzione di nuovi impianti nel settore sono diffuse e la confusione è assoluta. Mi pare, quindi, che l'approccio del dottor Quadrino, che ha parlato di 8.000 megawatt, sia assolutamente serio.
A fronte della potenza installata e in stand by per i necessari interventi, secondo il punto di vista dell'Italenergia, quale potrebbe essere la potenza necessaria per soddisfare le future richieste di energia? In sostanza si tratta di un dato che serve anche ad eliminare la confusione che esiste sull'argomento.
Come piemontese naturalmente preoccupato per la massiccia entrata della FIAT nel mercato elettrico, che paventa qualche altro tipo di disimpegno, mi permetto di porre tale domanda perché so che il dottor Quadrino conosce profondamente la situazione. Se anche su questo argomento egli potesse fornire alcune delucidazioni, potrebbe rassicurarci rispetto ad interrogativi già posti nel corso di altre sedute della Commissione.

PRESIDENTE. Prima di dare la parola al dottor Quadrino, vorrei semplicemente osservare che quando, nel corso della scorsa estate, ci siamo posti il problema del ruolo che EDF avrebbe potuto assumere nell'ambito del sistema elettrico italiano, degli equilibri che si ponevano in Europa e della partita complessiva che si giocava in questo comparto nel continente, non eravamo certo animati da spirito nazionalista in senso stretto: abbiamo richiamato una serie di questioni nell'ambito delle quali, però, occorre essere coerenti. Se da un lato rivendichiamo una liberalizzazione di dimensione europea, se guardiamo ad un mercato elettrico europeo, se contestiamo le asimmetrie e se sosteniamo il ruolo dei campioni nazionali, dobbiamo però porci il problema del nostro deficit rispetto alla capacità che hanno i francesi, ad esempio, e che è esattamente opposta alla nostra. Se non vi è la volontà di fare «muro» nei confronti di iniziative che tendono a renderci più autosufficienti di quanto siamo (mi riferisco all'utilizzo di fonti diversificate senza abbandonare completamente l'uso del carbone, alla soluzione della questione dei terminali strategici di rigassificazione e di quella del decreto sblocca centrali nell'ambito dei rapporti tra poteri nazionali e regionali), allora la battaglia di questa estate diviene del tutto inutile. È ovvio, infatti, che non si potranno sterilizzare a lungo i diritti di EDF, perché vale il principio dei vasi comunicanti, e noi ci dobbiamo porre la questione della posizione dell'Italia in Europa. Possiamo anche concertare con i paesi europei che il nostro giardino debba essere tutelato, però


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bisogna essere disposti a pagare la bolletta conseguente, occorre cioè giungere ad un punto di equilibrio. I francesi, che sono nostri insidiosi concorrenti, hanno costruito centrali anche in Costa azzurra, forse anche nucleari a ridosso delle Alpi: se cambia il vento, ne paghiamo anche il prezzo.
È difficile pensare di dare lezioni come paese. Abbiamo tentato una sorta di reazione per porci la questione relativa ad alcune occasioni perse e per utilizzare il meccanismo della liberalizzazione del mercato elettrico italiano, nel quadro di quello europeo, per tentare di organizzare una risposta compiuta: questo è il punto.
Alcuni colleghi hanno richiamato l'atteggiamento tenuto nella passata estate e vorrei qui ribadire che non vi era nessuna intenzione punitiva. Siamo soddisfatti che l'azienda resti nell'ambito nazionale. Non so come la pensano i francesi e in questo momento neanche mi interessa, però vorrei dire ai colleghi che l'assunzione di responsabilità della passata estate richiede la coerenza di andare avanti. Il decreto sblocca centrali, in realtà, è un atto «blocca centrali» nel contesto che si sta sviluppando, tra le competenze fissate con la riscrittura dell'articolo 117 della Costituzione e il ruolo delle politiche energetiche nazionali. Si tratta di nodi che dobbiamo sciogliere noi, non altri. È già emerso con tutta chiarezza, nelle precedenti audizioni, che si tratta di un problema centrale. Ci viene ribadito oggi e me ne compiaccio. Oggi alle 15 si terrà l'audizione dei rappresentanti della Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome. Credo che la delegazione sarà formata da tre assessori regionali all'ambiente e ciò fornisce il quadro della situazione. Non si tratta di un problema relativo ai rapporti tra maggioranza e opposizione, bensì alla responsabilità istituzionale. Non ho nessuna domanda da porre, ma vorrei soltanto chiarire il nostro atteggiamento, come Commissione e come Parlamento, tenuto nella passata estate rispetto allo sviluppo inevitabile. Non volevamo certo «fare i pierini»: ritenevamo allora di operare bene e pensiamo oggi di andare avanti coerentemente sulla stessa lunghezza d'onda per gli aspetti che ci competono. Il confronto sul piano europeo avverrà poi sulla base dello slogan che chi ha più filo tesserà.
Do ora la parola al dottor Quadrino per la replica.

UMBERTO QUADRINO, Vicepresidente dell'Italenergia Spa. Ringrazio tutti coloro che hanno posto questioni e comincio a rispondere ad alcune domande che riguardano gli assetti istituzionali, EDF, i rapporti interni e l'impegno della FIAT nel settore dell'energia.
Ricordo che EDF è socio di Italenergia al 18 per cento, mentre un altro socio, Zalesky, detiene il 20 per cento. I diritti di voto di EDF sono congelati al 2 per cento. Dico francamente che tra il 18 e il 2 per cento non esiste una grande differenza. Tutti i soci hanno una quota intorno al 20 per cento: le banche, Zalesky e EDF. La FIAT ha circa il 40 per cento e rappresenta il socio di riferimento che, attraverso la mia persona, gestisce l'azienda. Non si è verificata un'invasione della Edison: essa continua ad avere i propri funzionari e la propria dirigenza, che ha lavorato benissimo e continua a gestire l'azienda, che opera autonomamente. Vi è poi un assetto azionario nel quale FIAT è il partner di riferimento, che ha espresso il presidente della società. Gli altri soci detengono il 20 per cento circa e hanno tutti uguali diritti. Detenere il 18 o il 2 per cento non cambia molto la situazione. Se un giorno cambiasse la struttura istituzionale di EDF e dovesse decadere o essere modificato il decreto che congela i diritti di voto non vi sarebbero cambiamenti rilevanti nel modo di gestire Italenergia. Dico ciò anche per tranquillizzare tutti voi. Se dovesse decadere il decreto che fissa la quota al 2 per cento, non credo che, per ciò solo, cambierebbero i rapporti tra noi e EDF. Si tratta di un rapporto peraltro ottimo: EDF rappresenta un importante partner strategico e tecnico con il quale, insieme agli altri soci (Zalesky e le banche), condividiamo le strategie più importanti. Ora, per esempio, in vista della privatizzazione


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della GENCO, noi soci decideremo insieme i limiti per la nostra offerta. Inoltre essendo due operatori importanti nell'ambito dell'energia, cerchiamo di attuare tutte le possibili sinergie di carattere tecnico: ad esempio, occorre acquistare delle turbine e stiamo studiando congiuntamente se unendo le nostre forze possiamo ottenere condizioni più favorevoli. Questi sono gli argomenti che discutiamo con EDF, ora e in futuro, indipendentemente dalla loro quota di capitale. Ripeto che i rapporti sono buoni. Chiaramente EDF quando ha acquisito una quota in Italenergia avrà avuto idee diverse in quanto deteneva il 40 per cento della società. Oggi il socio francese detiene circa il 20 per cento e noi il 40: questa è la situazione e non prevediamo che vi siano delle modifiche negli anni futuri.
Per quanto riguarda Zalesky e le sue mire, si tratta di un imprenditore francese che opera in Italia da circa venti anni, avendo assunto il controllo di una società lombarda denominata Carlo Tassara SpA che produce forgiati e fornisce ottimi risultati. Zalesky ha rilevato tale società, praticamente in fallimento, in occasione della riscossione di un credito nei confronti di tale impresa. Le banche lo hanno invitato a occuparsene (stiamo parlando di oltre 15 anni fa), ne è diventato azionista e amministratore delegato, l'ha risanata e adesso l'azienda ha ottimi risultati. Zalesky è diventato gradualmente proprietario al 100 per cento della Carlo Tassara SpA (ormai abita anche Milano), ha ottenuto dai successi imprenditoriali disponibilità finanziarie che ha investito in azioni Falck, acquisendo una quota superiore a quella della stessa famiglia Falck. Forse Zalesky pretendeva di ottenere più potere nella gestione della Falck. Così non è stato perché in occasione del tentativo di fusione tra la Falck e la Montedison e dell'OPA di quest'ultima nei confronti della Falck, Zalesky ha venduto le azioni Falk e ha comprato azioni Montedison. Egli è stato un po' il catalizzatore della rivolta dei piccoli azionisti contro gli azionisti di controllo della Montedison di allora (stiamo parlando dell'inizio del 2001), perché questi ultimi avevano offerto un rapporto di concambio tra le azioni Falck e quelle Montedison che avrebbe favorito la famiglia Falck a discapito di tutti gli altri azionisti che avevano venduto le azioni durante l'OPA, compreso Zalesky. In sostanza, tutti gli altri azionisti della Falck vendevano al prezzo di 10, mentre alla famiglia Falck attraverso la fusione veniva garantito il prezzo di 20: si trattava di un rapporto quasi doppio. Gli azionisti di minoranza di Montedison si coalizzarono e, nell'ambito dell'assemblea, votarono contro o si astennero.
Le banche (che sono ora azioniste di Italenergia) si astennero e la maggioranza che guidava allora la Montedison non riuscì a concludere la fusione. In quel momento, Zalesky si rese conto che l'assetto di controllo della Montedison era cambiato e che l'azienda poteva diventare scalabile. Penso che allora si sia adoperato per trovare soggetti che potessero in qualche modo seguire il suo disegno strategico. EDF probabilmente l'ha seguito ed è cominciata la sua scalata, che poi è stata bloccata dal decreto-legge che ha congelato al 2 per cento i diritti di voto di EDF. Quest'ultima ha cercato di trovare una soluzione attraverso altri investitori che facessero diminuire la sua quota: ha trovato la FIAT e le banche (che già si erano astenute in occasione dell'assemblea per la fusione con la Falck). Si è quindi creata questa compagine. Zalesky è un investitore che cerca ovviamente di massimizzare l'investimento realizzato. Le banche sono investitori storici in quanto sono diventati azionisti perché al momento del crack dei Ferruzzi convertirono in azioni i crediti che avevano nei confronti della Montedison: le banche non sono diventate azioniste della Montedison perché erano interessate all'azienda, ma perché per salvare i loro crediti li hanno convertiti in azioni. Noi consideriamo Zalesky e le banche come soci finanziari che, in futuro (non a breve, ma nel 2005 o 2006), usciranno dal capitale di Italenergia. I soci permanenti sono FIAT e EDF. La società di Torino continuerà ad avere un ruolo predominante come oggi e acquisterà, insieme a


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EDF, le quote degli altri soci quando verranno vendute: i due soci permanenti aumenteranno le loro quote societarie mantenendo lo stesso rapporto proporzionale.
L'impegno FIAT in questo settore non rappresenta un «mordi e fuggi», ma costituisce un investimento di carattere permanente fondato su interessi precisi in un settore che si sta aprendo al mercato, così come gli investimenti industriali in altri campi. Credo che proprio in questa sede avete ascoltato l'ingegner Cantarella, amministratore delegato della FIAT, sulle intenzioni del gruppo torinese. Non posso che ripetere e sottolineare le affermazioni dell'ingegner Cantarella. La FIAT è un gruppo industriale che realizza investimenti permanenti, si sta disimpegnando in alcuni settori, come la componentistica automobilistica, per ragioni molto specifiche. Essa non può essere il maggiore azionista in qualsiasi attività industriale, ma vuole esercitare un ruolo importante nei settori nei quali investe.
Vorrei rispondere ad un'altra domanda relativa ai mercati internazionali e alle ambizioni di Italenergia e di Edison: essere un operatore soltanto italiano oppure anche proiettato nei mercati internazionali? La vicinanza di EDF pone dei vincoli rispetto a tali operazioni? Dico con molta schiettezza che il nostro obiettivo per i prossimi cinque anni è quello di affermarci come un operatore serio in Italia. Vi posso assicurare che per fare ciò, considerate le nostre condizioni attuali e i nostri obiettivi, occorrerà una tale quantità di lavoro, investimenti e risorse che la nostra priorità dovrà essere sicuramente l'Italia. Possiamo sempre valutare altre iniziative nel mercato internazionale: stiamo costruendo una centrale da 600 megawatt in Brasile, un'altra in Egitto, abbiamo progetti in Turchia e in Iran. Dobbiamo diventare il secondo operatore italiano e coltivare i nostri giacimenti di gas: queste sono le nostre priorità. Se si presenteranno buone opportunità le coglieremo, ma non credo che oggi possiamo pensare di affrontare nei prossimi cinque anni un mercato come quello tedesco o francese, dove operano campioni nazionali molto potenti e dove sarebbe necessario operare investimenti come quelli che dobbiamo realizzare in Italia: ciò sarebbe velleitario e sbagliato. Quando saremo diventati il secondo operatore italiano con il 20 per cento di quota di mercato avremo a disposizione le risorse necessarie. In questo momento ci possiamo permettere investimenti per 5 miliardi di euro nei prossimi cinque anni: possono diventare 6, ma non 10, in quanto non abbiamo le risorse e il cash flow necessari. È già in atto uno sforzo enorme per un'azienda come la nostra. Dopo aver consolidato la nostra presenza nel mercato italiano, coltiveremo le ambizioni di affrontare altri mercati: pensiamo per esempio alla Spagna, alla ex Iugoslavia (che potrebbe fornire interessanti opportunità), ma anche alla Francia. Oggi abbiamo una piccola joint venture con EDF per la produzione di energia elettrica in Francia e stiamo anche discutendo del settore gas in cui il soggetto francese non opera e nel quale sono possibili sinergie molto interessanti. EDF possiede centrali in tutta l'Europa e non possiamo essere loro fornitori, ma poiché il soggetto francese ha interesse ad entrare nel settore della distribuzione del gas in Francia potremo fornire loro il nostro expertise: esistono varie opportunità. Il mondo dell'energia è estremamente grande: non stiamo perdendo delle opportunità. In futuro penseremo ai mercati stranieri, ma solo quando avremo consolidato veramente la nostra presenza in Italia.
Un altro tema che mi avete posto è quello relativo al rischio che si crei una situazione di duopolio nel mercato italiano. Vi dico sinceramente che oggi esiste una situazione di quasi monopolio. Tutto è possibile: anche temere la formazione del secondo operatore. Ciò, però, rappresenta una necessità del mercato italiano. Poi gli organi nazionali e il Parlamento dovranno controllare che da ciò non derivino collusioni tra i vari operatori. Mi sembra eccessivo preoccuparsi a priori dell'eventualità che noi, così piccoli, possiamo diventare così importanti e forti da


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condizionare il mercato. È necessaria l'affermazione nel mercato italiano di alcuni operatori che abbiano un certo peso e l'Edison si candida per essere uno di tali operatori. Il mercato dell'energia non sarà mai atomizzato in 50 operatori: la piccola azienda municipalizzata con la sua centrale da 400 megawatt continuerà ad esistere, ma si tratterà sempre di operatori marginali. La natura stessa del settore, dove vi sono molti miliardi di euro da investire, è tale che il numero degli operatori è limitato. Inoltre dobbiamo considerare la situazione nell'ottica europea. Lasciamo che si consolidino alcuni operatori, perché il mercato in futuro diventerà europeo. Se dovesse rimanere, come Biancaneve e i sette nani, un grande operatore ed altri molto piccoli, nessuno di questi ultimi potrà aspirare a giocare un ruolo al di fuori dei confini nazionali. Credo, quindi, che la nostra crescita non rappresenti assolutamente una minaccia per la libertà e per l'effettivo funzionamento del mercato.
Lo stesso discorso vale per il tema della borsa elettrica. L'onorevole Saglia si chiede se non sia troppo presto per l'istituzione di tale borsa. Non è mai troppo presto: è il momento di cominciare. Alcuni ritengono che la borsa non debba essere istituita per il timore che essa non fornisca prezzi rappresentativi. Ma che significa? Bisogna istituire la borsa elettrica e poi ci sarà sempre modo per migliorarla. Se essa non viene istituita, non è possibile che funzioni bene né che si correggano gli errori. Mi pare che la tesi contraria alla borsa sia sostenuta soprattutto da coloro che pensano che la fissazione di un prezzo rappresenti un paracarro da evitare in quanto si possono ottenere condizioni migliori attraverso la contrattazione diretta tra le parti. Se un grande compratore si confronta con i produttori e stipula un contratto bilaterale, al di fuori della borsa, può ottenere condizioni migliori. Penso che questa sia la tesi di chi pensa che non sia arrivato il momento di istituire la borsa elettrica.
È però una tesi parziale e unilaterale di una piccolissima parte degli operatori del mercato nazionale: quelli che ritengono di avere un grande potere di acquisto e di poter ottenere, attraverso un contratto bilaterale, condizioni migliori rispetto a quelle che scaturiscono dalla borsa. Tali operatori si contano sulle dita di una mano. Nulla esclude che esista la borsa e anche la possibilità di stipulare dei contratti bilaterali: rispetto ad un prezzo nazionale, il soggetto che compra una determinata quantità di megawatt può ottenere uno sconto sul prezzo di borsa. Tutto ciò mi sembra logico: fa parte della vita. Considero una stranezza affermare che non bisogna istituire la borsa elettrica per non avere un prezzo di riferimento e per avere una contrattazione più libera: non ne vedo il costrutto. La borsa è in tutto il mondo e per tutte le commodity costituisce il luogo dove si forma il prezzo in modo trasparente. È incoerente volere la liberalizzazione e la trasparenza del mercato e non l'istituzione della borsa.
Per quanto riguarda i certificati verdi e la nostra situazione in caso di aumento della soglia, tali certificati possono essere prodotti o acquistati. Si stanno sviluppando aziende specializzate nella produzione di energia incentivata e disponibili a cedere tali certificati verdi, creando, quindi, un mercato. Come azienda, per restare nell'ambito della soglia del 2 per cento, dobbiamo decidere se produrre il certificato o acquistarlo sul mercato. Il nostro programma eolico è importante e qualcuno ha notato che a livello percentuale non cresce, ma ciò è dovuto al fatto che aumenta moltissimo il livello della produzione tradizionale e quindi occorrono grandi sforzi già per mantenere costante la percentuale della energia eolica. Noi cercheremo di investire in questo campo perché ci crediamo e perché esistono dei vincoli normativi. Per quanto riguarda gli ulteriori incrementi, occorre esaminare l'argomento in sede tecnica. Se l'Italia vuole raggiungere gli obiettivi di Kyoto, bisogna provvedere in quanto tali obiettivi non possono essere raggiunti automaticamente. Essi rappresentano dei limiti veramente molto importanti, tenuto conto che non ci si può basare troppo sul


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settore idroelettrico e su quello eolico. Per raggiungere gli obiettivi di Kyoto occorre chiudere un insieme di centrali per abbassare i limiti delle emissioni (che però significa accelerare ancora di più le autorizzazioni per la costruzione di nuove centrali) e aumentare la produzione eolica. Occorre valutare la questione in base alla velocità con la quale si vogliono raggiungere gli obiettivi di Kyoto.
Per quanto riguarda le aziende municipalizzate, abbiamo ottimi rapporti con quelle di Torino e di Milano e anche con l'ACEA di Roma. Con altre stiamo istituendo delle joint venture per la costituzione di società per la distribuzione del gas. In futuro potremo farlo anche per la distribuzione dell'energia elettrica.

GIULIO DEL NINNO, Amministratore delegato dell'Edison. Abbiamo da tempo concluso accordi con le aziende municipalizzate. Ricordo che 3 anni fa a Sarmato, vicino Piacenza, abbiamo realizzato una centrale insieme a sei aziende municipalizzate. Si tratta di una centrale che funziona con piena soddisfazione dei nostri partner. Nel settore del gas abbiamo concluso negli anni 2001-2002 una serie di accordi. Per esempio, in Friuli, insieme alle aziende municipalizzate di Trieste, Udine e Gorizia, abbiamo costituito una società che si chiama Estgas, che vende il gas nella regione Friuli-Venezia Giulia. L'Edison detiene il 22 per cento e il resto è distribuito tra le aziende municipalizzate. Anche tale società, costituita una anno fa, sta operando con risultati soddisfacenti. Abbiamo utilizzato lo stesso schema in Emilia Romagna, dove abbiamo costituito, con l'AGAC di Reggio Emilia e con la SAT di Sassuolo, una società che si chiama Blumet, che già adesso vende gas nel territorio dell'Emilia Romagna. Allo stesso modo in Toscana abbiamo costituito una società denominata Eta 3 insieme all'azienda municipalizzata di Arezzo e ad un consorzio di 27 comuni della Val di Chiana: noi deteniamo una quota del 55 per cento, che diminuirà gradualmente. Anche tale società è finalizzata alla vendita del gas con la possibilità di fornire anche energia elettrica. Un'ultima analoga operazione è stata compiuta nelle Marche, dove abbiamo costituito una società denominata Prometeo per la vendita del gas e, dove possibile, dell'energia elettrica secondo lo schema multiutility. Ho illustrato ciò soltanto per citare alcuni esempi di collaborazione, attraverso alleanze con aziende municipalizzate, che hanno portato a buoni risultati.

UMBERTO QUADRINO, Vicepresidente dell'Italenergia Spa. Lo schema è sempre lo stesso: l'azienda municipalizzata si occupa della distribuzione all'utente finale e quindi possiede un bacino d'utenza, mentre noi siamo i produttori. Si tratta dell'unione tra due forze, nella distribuzione e nella produzione.
È stato chiesto se siamo interessati al gasdotto algerino. La risposta è positiva: siamo fortemente interessati e abbiamo già incontrato le autorità algerine tra ottobre e novembre. Siamo rimasti un po' delusi nel vedere che nell'ambito del gruppo di lavoro che deve studiare il problema è presente l'ENEL con altri soggetti, ma non noi che siamo stati i promotori di questa iniziativa in tempi non sospetti, due anni fa. Rivendichiamo, se possibile, di essere inseriti nel gruppo di studio che riguarda questa infrastruttura in collaborazione con gli algerini.
Per quanto riguarda il terminale di GNL a Rovigo, è chiaro che si tratta di infrastrutture di tipo industriale e che esiste sempre un dibattito sul luogo del posizionamento: siamo sempre liberisti in casa degli altri, mentre in casa propria si cerca giustamente di difendere gli interessi del territorio. In questo caso si tratta di una struttura off shore, sull'acqua, posta a 15 chilometri dal più vicino centro abitato e che non si vede dalla riva. Realizzare tale struttura costa quasi il doppio rispetto al progetto on the shore. Occorre considerare che dobbiamo anche confrontarci con la concorrenza di coloro che hanno realizzato un impianto simile on the shore, come quello di Panigaglia. Da quanto ne sappiamo, le altre strutture di cui in Italia si discute e per le quali si chiede l'autorizzazione


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sono on the shore, sulla spiaggia. Noi invece vogliamo operare a 15 chilometri dalla riva: siamo i primi al mondo a realizzare un impianto simile. Speriamo che esso funzioni bene in quanto costruire una piattaforma di questo tipo, a 15 chilometri dalla riva, che deve essere ancorata a terra, con le maree e le correnti, non rappresenta un problema facile da risolvere. Abbiamo operato così per evitare ripercussioni sul territorio. Naturalmente lo zero assoluto non esiste, ma, nell'ambito delle tecnologie esistenti, tale struttura rappresenta il meglio che si possa immaginare.

PRESIDENTE. Nel ringraziare i rappresentanti dell'Italenergia, dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 13.10.


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ALLEGATI

Grafici illustrati dal vicepresidente dell'Italenergia SpA, Umberto Quadrino


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