Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 347 del 28/7/2003
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(Intervento del Governo)

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

MARGHERITA BONIVER, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Vorrei,


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innanzitutto, ringraziare i presentatori di queste mozioni, l'onorevole Magnolfi e l'onorevole Ronchi, nonché gli altri deputati intervenuti nella discussione sulle linee generali, perché questo da l'opportunità al Governo di dimostrare con molta chiarezza quanto sia piena la sintonia su temi di questa portata, di questa importanza e di questa drammatica attualità.
Come è stato già detto dall'onorevole Magnolfi e dagli altri che sono intervenuti, l'introduzione della legge islamica, la sharia, nell'ottobre del 1999, in 12 dei 36 Stati che compongono la Nigeria, ha consentito alle corti islamiche di emanare sentenze di condanna a morte, motivate dall'adulterio, che hanno giustamente e palesemente suscitato la riprovazione da parte di tutta la comunità internazionale. Tali vicende hanno messo in luce le enormi difficoltà di coesistenza, in Nigeria, di due ordinamenti giuridici paralleli, non omogenei - quello statale e quello federale -, venute in piena luce quando è stata posta la questione, ancora irrisolta, della costituzionalità della sharia. La sentenza di condanna di Amina Lawal fa seguito a quella di Safiya Hussaini; quest'ultima, com'è noto, è stata assolta, a seguito dell'annullamento della sentenza di primo grado, ritenuta invalida nei suoi presupposti tecnici, sulla base della ritrattazione dell'originaria versione dei fatti da parte dell'interessata.
La Corte superiore islamica nello Stato nigeriano di Katsina ha, invece, respinto il 19 agosto 2002 il ricorso contro la sentenza di condanna a morte per lapidazione, emessa in primo grado dalla Corte islamica di Bakori nei confronti della giovane nigeriana Amina Lawal, a seguito di un processo per adulterio. Il giudice islamico aveva, nel contempo, affermato che la pena non sarebbe stata eseguita fino a quando la figlia di Amina non fosse stata svezzata.
Secondo quanto riferito dalla nostra rappresentanza diplomatica ad Abuja, la corte d'appello islamica dello Stato di Katsina, riunitasi lo scorso 3 giugno, ha deliberato, constatata la mancanza del numero legale dei giudici, il rinvio del processo di appello al prossimo 27 agosto, come è stato ricordato già questa mattina. L'ambasciatore italiano ad Abuja ha compiuto, alla vigilia dell'udienza del 3 giugno di quest'anno, un passo presso il segretario generale del Ministero degli esteri della Nigeria, il quale si è dimostrato molto comprensivo dell'interesse riservato al caso da parte dell'opinione pubblica, della società civile e delle istituzioni del nostro paese, dichiarandosi ottimista circa l'esito del processo contro Amina Lawal. Questo è, quindi, un primo dato di fatto politico, che deve indurci ad una sorta di presunzione, pur assai cauta, che anche questo caso possa risolversi positivamente.
Un passo analogo è stato, inoltre, effettuato con la convocazione alla Farnesina, il 5 giugno scorso, dell'incaricato d'affari della Repubblica federale di Nigeria a Roma, al quale è stata sottolineata l'emozione enorme suscitata nel nostro paese dalla vicenda giudiziaria della signora Lawal. Il diplomatico nigeriano, così come anche in altre precedenti occasioni, ha confermato che il Governo federale è ben consapevole delle reazioni suscitate in Italia e nel mondo dalla sentenza e della necessità che la Nigeria rispetti i suoi impegni internazionali in materia di diritti umani. Questo diplomatico ha anche ricordato la posizione del presidente Obasanjo, contraria all'esecuzione di tali sentenze, e si è dimostrato fiducioso circa un esito positivo del caso Lawal, esattamente come è avvenuto nel caso precedente di Safiya Hussaini.
Questi ultimi passi fanno seguito a precedenti interventi posti in essere dal ministro delle pari opportunità, onorevole Prestigiacomo; tra l'altro, io stessa lo scorso anno ho ricevuto l'ambasciatore nigeriano e anche il sottosegretario Mantica ha compiuto un passo analogo. Tutto ciò, sempre nell'ottica di acquisire notizie dirette su tali casi e di attirare l'attenzione dei diplomatici sulla questione più generale del rispetto delle convenzioni sui diritti umani, che la Nigeria ha sottoscritto.
Per completezza di informazione va comunque ricordato che, qualora il ricorso in appello non venisse accolto, la signora


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Lawal potrà comunque sottoporre il suo caso all'Alta Corte di Abuja ed infine, in caso di ulteriore conferma della condanna, potrà adire la Corte suprema federale, che è notoriamente vicina alle posizioni del Governo laico - tra virgolette - federale.
L'Italia continuerà ad incoraggiare l'azione pacifica e legale, condotta da gruppi sia musulmani sia cristiani, che si occupano del caso di Amina in Nigeria. Il nostro paese intende inoltre proseguire, insieme all'Unione europea, il dialogo in corso nel quadro del partenariato europeo con la Nigeria, nella prospettiva di rafforzare il processo di sviluppo e di piena affermazione della democrazia, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani fondamentali. Il Governo continuerà poi, con molta determinazione, la sua azione di sensibilizzazione dei governanti nigeriani, richiamando alle sue forti aspettative per una soluzione umanitaria del caso, coerente con gli impegni internazionali assunti dalla Nigeria riguardo alla tematica dei diritti umani.
Come è stato più volte evidenziato in passato, il Governo federale nigeriano ha già chiaramente espresso la propria contrarietà sia nei riguardi della specifica sentenza di primo grado sia, più in generale, nei riguardi delle cosiddette esecuzioni estreme e cruente, come la lapidazione.
La stessa Commissione nazionale per i diritti umani nigeriana ha raccomandato più volte agli stessi paesi europei di assumere un atteggiamento prudente e di evitare pressioni ufficiali troppo clamorose, che potrebbero essere percepite come un tentativo di ingerenza nei confronti della Nigeria. Analogo invito è stato rivolto dai legali di Amina, che preferirebbero una sorta di diplomazia più discreta.
Alla luce di queste considerazioni, l'Italia e gli altri partner comunitari hanno esercitato, sia a livello bilaterale sia attraverso interventi coordinati dalla Presidenza, una costante ma discreta pressione nei riguardi delle autorità nigeriane, volta ad ottenere in pratica la revoca della sentenza e, dunque, a salvare la vita di questa persona. Tale azione tiene conto della complessità dei problemi giuridici che l'introduzione dei codici penali basati sulla sharia, in alcuni Stati federati, ha sollevato e continua a sollevare.
Nei contatti intercorsi con l'autorità nigeriane si è soprattutto evidenziata la necessità di assicurare la prevalenza del diritto costituzionale come suprema legge dello Stato. In questa azione il Governo e l'Unione europea hanno costantemente richiamato le convenzioni internazionali sul rispetto dei diritti dell'uomo e contro i trattamenti inumani, di cui anche la Nigeria è parte piena.
Tali iniziative si inseriscono nell'azione che vede l'Italia impegnata in prima linea, insieme ai partner dell'Unione europea, in favore dell'abolizione della pena di morte. L'Italia e l'Unione sono inoltre impegnate nel promuovere con tutti i mezzi possibili misure di limitazione della pena di morte, là dove essa sia ancora in vigore. Ad esempio, l'applicazione soltanto nel caso dei crimini più gravi, l'inammissibilità delle modalità particolarmente crudeli di esecuzione, come la lapidazione, la non irrogabilità della pena ai minori, alle donne incinte o alle persone portatrici di handicap mentale.
Questi elementi sono contenuti nella risoluzione che l'Unione europea presenta ogni anno alla Commissione per i diritti dell'uomo di Ginevra. Anche in occasione della sessione di quest'anno della Commissione, l'Unione europea ha presentato un testo di risoluzione secondo le linee sopra indicate, con l'aggiunta di alcune novità, particolarmente pertinenti rispetto al caso di Amina Lawal.
In particolare, su proposta italiana, è stata introdotta l'esplicita richiesta agli Stati che ancora mantengono la pena di morte di evitare condanne capitali basate su un giudizio caratterizzato da elementi discriminatori nei confronti delle donne. In sostanza, si chiede a tali Stati di escludere dalla punibilità con la pena di morte tutti quei reati che discriminano la donna in quanto tale, che non trovano un corrispondente nell'applicazione della stessa pena al genere maschile. È evidente come tale richiesta sia nata anche a seguito


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dell'allarme e del dolore suscitati da casi quali quelli delle due cittadine nigeriane di cui stiamo discutendo.
Infine, in ambito comunitario ci si attiene pienamente, nella difesa dei diritti umani, delle libertà fondamentali e della democrazia, a quanto sancito dagli accordi di Cotonou, nei quali per la prima volta sono state introdotte le cosiddette «condizionalità» sui diritti umani, la cui inosservanza da parte di uno Stato firmatario può comportare la sospensione degli accordi stessi.
L'Italia, e parte dell'Unione europea, vigilano attentamente sui casi di condanne a morte del mondo al fine di potere tempestivamente intervenire in favore di una loro commutazione, ove ne sia il caso, in pene detentive; non si tratta peraltro del caso di Amina Lawal, nei confronti della quale chiediamo semplicemente la sospensione della pena di morte.
A tale proposito, l'Unione europea si è dotata di linee guida contro la pena di morte che le permettono di intervenire presso le autorità dei paesi terzi con la massima celerità ed efficacia. Va tuttavia ricordato che l'Unione europea evita in generale di effettuare interventi nei casi in cui le sentenze non siano ancora state dichiarate definitive, e ciò per non incorrere nelle accuse di ingerenza negli affari interni e di pressione indebita sulla magistratura del paese in questione.
Anche con riferimento a possibili azioni a livello nazionale ed europeo in favore della concessione della grazia ad Amina Lawal, tali iniziative verranno poste in essere una volta esperite tutte le possibilità di ricorso, in quanto la grazia può essere concessa soltanto nel caso di sentenza passata definitivamente in giudicato.
Aggiungo un'ultima considerazione: intendo assicurare agli onorevoli firmatari delle mozioni in esame che intorno al 27 agosto - se tale data verrà mantenuta - saremo in stretto contatto con le nostre autorità diplomatiche ad Abuja per valutare quali iniziative il Governo, anche in qualità di presidente dell'Unione europea, potrà adottare per salvare la vita di Amina Lawal.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato al prosieguo della seduta.

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