Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 317 del 3/6/2003
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(Interventi dei rappresentanti dei gruppi)

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Antonio Leone. Ne ha facoltà.

ANTONIO LEONE. Signor Presidente, innanzitutto vorrei rivolgere un ringraziamento ai colleghi Follini e Spini non solo per la loro presenza nel corso dell'odierna informativa, ma anche per il lavoro che, assieme agli altri rappresentanti italiani, hanno svolto e stanno svolgendo nell'ambito della Convenzione europea per la migliore riuscita di un documento finale che possa essere gradito a tutti.
È chiaro che questa prima fase ha lasciato sul tappeto un po' di scontenti, poiché vi è una serie di questioni che vedono una parte del mondo politico europeo insoddisfatto circa alcuni punti, tuttavia non dobbiamo mai dimenticare che la Convenzione europea rappresenta un'occasione storica - è inutile dirlo, non è demagogia - non solo per tutti gli Stati membri dell'Unione, ma soprattutto per i popoli che fanno parte di questi Stati.
Vi è chiaramente un dato positivo, rappresentato dal metodo che gli stessi membri della Convenzione hanno scelto, vale a dire portare un elaborato finale, naturalmente impegnativo ed innovativo, senza alcun voto in questa fase, all'attenzione dei rappresentanti dei Governi, in occasione del vertice intergovernativo. Si tratta di una particolarità che ritengo importantissima, proprio perché riguarda l'approccio nei confronti del documento che si suole chiamare Costituzione europea (con i distinguo che, naturalmente, occorre fare nello specifico), e vorrei pertanto ribadire che ritengo importantissimo il metodo adottato.
Le difficoltà sorte durante questo cammino così impegnativo erano prevedibili, ma credo che occorra riconoscere che, comunque, gran parte di esse sono state composte, ed in alcuni casi addirittura superate in maniera soddisfacente; permangono tuttavia i nodi che tutti conosciamo: l'estensione del voto a maggioranza in materia di politica estera e di difesa, al posto dell'attuale sistema dell'unanimità, e la Presidenza del Consiglio europeo a rotazione, ogni sei mesi, e di conseguenza la composizione pletorica della Commissione.
Siamo certi che in sede di Conferenza intergovernativa sarà fatto ogni sforzo per scongiurare il pericolo di dare vita ad un'Europa che, sotto certi aspetti, potrebbe


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nascere vecchia, condizionata naturalmente da antichi difetti. Questo sarebbe un errore gravissimo e ne siamo ben consapevoli. Infatti, nel momento in cui siamo ad un passo dal veder realizzato un sogno che dura da cinquant'anni, un'Europa politica e riunita, è chiaro che debbano essere ripensate anche le regole secondo le quali si è proceduto sino ad ora.
L'alto tasso di europeismo da sempre presente nell'opinione pubblica italiana, così come nelle forze politiche sia di maggioranza sia di opposizione e di cui l'eurobarometro è il fedele testimone, non ci deve far dimenticare che vi sono paesi, sia tra i membri dell'Unione sia tra quelli che vi entreranno a partire dal 1o maggio 2004, per cui l'Unione europea è sinonimo di privazione della sovranità nazionale e di indifferenza nella difesa dei diritti dei cittadini. A tale proposito, siamo convinti che l'obiettivo da perseguire sia quello di aumentare, così come ha richiamato anche il collega Follini, la legittimità democratica nell'architettura costituzionale dell'Europa stessa.
Indichiamo con sicurezza e certezza questo tema nel momento in cui sappiamo che in sede di Convenzione è stata rilevata una larghissima convergenza sul fatto che l'Unione europea ha una doppia legittimità, nel senso che essa è unione di Stati ma è anche unione dei popoli: questa è la premessa essenziale per una buona riuscita. Da tale considerazione scaturisce la necessità di garantire ai luoghi dell'espressione della sovranità e della rappresentatività nazionale, ai parlamenti dei singoli Stati, un ruolo più incisivo nel processo di costruzione dell'Unione europea. Siamo sicuri che ciò contribuirà in maniera decisiva alla formazione di una cittadinanza e di una nazionalità europea che, per certi aspetti, è già presente nelle opinioni pubbliche con i distinguo ai quali prima ho già accennato.
Il dibattito relativo al ruolo dei parlamenti nazionali nel complessivo assetto istituzionale dell'Unione europea non nasce ora. A partire dal 1997, anno in cui il protocollo allegato al Trattato di Amsterdam ha riconosciuto il diritto dei parlamenti a partecipare in modo concreto alla formazione degli atti comunitari attraverso una loro maggiore e più sistematica informazione ed ha istituzionalizzato la Conferenza degli organismi specializzati negli affari europei e comunitari (la cosiddetta Cosac), diversi sono stati gli interrogativi e le opzioni che si sono andati strutturando attorno a questo tema sino alle conclusioni cui è giunta la stessa Convenzione nell'ottobre dello scorso anno. Dico questo non per una ragione di appartenenza ad un Parlamento, ma perché ritengo - così com'è stato rilevato in gran parte del dibattito - che sia necessario riflettere su questo tema. Siamo convinti che il rafforzamento del ruolo dei parlamenti nazionali non debba avvenire attraverso la creazione di nuovi organismi e nuovi organi, ma mediante il potenziamento delle procedure degli organi già esistenti. A questo proposito, crediamo che debba essere dato il massimo consenso alla proposta di potenziare la Cosac come strumento di cooperazione interparlamentare non solo tra gli organismi specializzati, ma anche tra le commissioni permanenti di settore.
Riteniamo, allo stesso modo, che si debba proseguire sulla strada di sottoporre all'esame ex ante dei parlamenti nazionali gli atti comunitari. Ricordo che nel 2003 per la prima volta la Commissione europea e il Consiglio dell'Unione hanno elaborato i rispettivi programmi di lavoro in base alle nuove procedure di programmazione definite nel corso del 2002 e tali documenti sono stati sottoposti all'esame del nostro Parlamento al quale è stato dato lo strumento per comprendere i futuri indirizzi politici dell'Unione e poter, di conseguenza, intervenire con tempestività ed efficacia in questa fase preliminare con l'espressione di osservazioni e di indirizzi al Governo.
È in questa stessa ottica che rileviamo che sicuramente sarà all'esame dell'Assemblea nei prossimi mesi il disegno di legge governativo di riforma della legge La Pergola che, in merito al recepimento della normativa comunitaria nell'ordinamento interno, dispone un coinvolgimento del


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Parlamento e degli altri soggetti interessati non più limitato alla sola fase discendente della formazione del diritto comunitario, bensì anche alla fase ascendente.
Ci sembra naturale, sulla base di tali considerazioni, sostenere l'opportunità di un riconoscimento esplicito del ruolo dei parlamenti nazionali nel futuro Trattato costituzionale. Riteniamo, inoltre, che contribuirebbe a rendere più trasparenti e vicine ai cittadini le stesse istituzioni comunitarie ed altresì a rafforzare il controllo politico dei parlamenti nazionali sull'operato dei governi in seno al Consiglio, ad esempio attraverso l'elaborazione da parte della COSAC di un codice di condotta comune che stabilisca standard minimi per l'attività di controllo.
Ci trova favorevoli, infine, la proposta di coinvolgere i parlamenti nazionali nella valutazione ex ante del corretto rispetto del principio di sussidiarietà e di proporzionalità. Siamo, come ho già detto in precedenza, ad un passo dalla realizzazione dell'unità politica dell'Europa e sarebbe grave non sfruttare tale occasione. Dobbiamo farlo puntando principalmente sulla legittimazione democratica delle istituzioni della nuova Europa che dovrà necessariamente passare anche attraverso un profondo coinvolgimento dei cittadini e dovrà vedere tutti gli Stati, grandi e piccoli, vecchi e nuovi, in condizione di parità. Sarebbe, infatti, profondamente ingiusto applicare la par condicio per quanto riguarda gli oneri ed ignorarla quando si tratta degli onori.
Credo che oggi, in occasione di questo dibattito, sia ancora più cresciuta la consapevolezza del compito impegnativo che attende il Governo italiano al quale, come Presidente di turno dell'Unione nel secondo semestre di quest'anno, spetterà di far maturare tutto il lavoro svolto nella Convenzione. Due sono gli obiettivi immediati che la Presidenza italiana dovrà necessariamente perseguire in vista delle scadenze previste nel 2004: una riforma costituente delle istituzioni in vista dell'ingresso effettivo di dieci nuovi Stati membri a partire dal 1o maggio 2004, ed il varo della cosiddetta Costituzione europea prima del giugno 2004, quando gli europei saranno chiamati ad eleggere il nuovo Parlamento.
È auspicabile il superamento dei due grossi nodi oggi alla nostra attenzione grazie ai nostri rappresentanti. Mi riferisco al legame dell'Europa con il cristianesimo che non deve essere confuso con un atto di correttezza - lo dico tra virgolette - politica nei confronti dell'islam non essendo, certo, il cristianesimo fattore di divisione. Inoltre, vi è il superamento della questione sul diritto di veto che non consentirebbe più, una volta «abrogato», arroccamenti e chiusure scevri da alleanze tattiche finalizzate, come avviene nelle più avanzate democrazie.
Il raggiungimento di tali obiettivi ed il superamento dei suddetti nodi sarebbe l'unico antidoto contro chi ancora continua a parlare a favore dell'Europa unita sperando che ciò non avvenga mai, contro gli scettici e contro chi ancora non ha chiaro che solo da un coraggioso lavoro di sintesi, quale quello che la Convenzione ha svolto e continuerà a svolgere, si potrà continuare a sperare per il futuro della nuova Europa (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza nazionale, dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro e della Lega nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Zani. Ne ha facoltà.

MAURO ZANI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, credo non sfugga a nessuno il carattere cruciale della discussione conclusiva alla Convenzione in atto proprio in questi giorni. In poche parole, o si avanza gettando solide fondamenta per l'Europa del futuro nella prospettiva - ritengo io - di un suo sviluppo federale e della costruzione di una solida dimensione politica e democratica o, inevitabilmente, ci si espone al rischio di un arretramento di portata strategica. Penso che una tale consapevolezza dovrebbe animare ciascuno di noi, maggioranza ed opposizione, ed ispirare la nostra condotta in un frangente per tanti versi dirimente.


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Dico subito che riteniamo, in pieno accordo con Romano Prodi, che la bozza di progetto presentata dal Praesidium non corrisponda alla volontà politica che era alla base del mandato conferito alla Convenzione. Si ha la sensazione di trovarsi di fronte ad una sorta di Conferenza intergovernativa anticipata ed allargata dove prevalgono, ancora una volta, le ragioni dei governi e dove si rischia, addirittura, di rompere l'equilibrio tra i vari organi istituzionali che ha consentito finora di far vivere la doppia legittimazione dell'Europa come istituzione di popoli, da una parte, e di Stati e Governi, dall'altra.
A questo punto mi sembra abbastanza chiara la posta in gioco: si tratta di decidere - per dirla in parole povere - dove si colloca il baricentro decisionale della nuova Europa, perché questo è il punto essenziale.
La mia domanda, in questo dibattito, è la seguente: da questo punto di vista dove sta l'Italia? Qual è la vera posizione del Governo italiano, onorevole Follini? Giunti a questo punto, direi che è lecito attendersi dal Governo e dalla maggioranza, nella sua interezza, una precisa assunzione di responsabilità sull'intero arco delle questioni aperte, soprattutto in campo istituzionale. Si tratta, in altre parole, di sapere in che direzione ci si intende muovere: verso un'Europa sempre più intergovernativa o verso un'Europa comunitaria, federazione di Stati nazione? Occorre saperlo con chiarezza, di fronte ad una maggioranza politica che, più volte, è apparsa divisa, confusa e altalenante, quando non è apparsa ambigua e ispirata da una doppiezza sostanziale. Mentre da un lato, infatti, sembra invocarsi più Europa (quando, ad esempio, si indica una Maastricht delle pensioni, addirittura), dall'altro nei fatti mi sembra di capire che si voglia meno Europa (quando, ad esempio, si respinge la decisione quadro del Consiglio sulla lotta contro la xenofobia e il razzismo o quando si rifiutano le regole del gioco europeo sulle quote latte). Tanti segnali, insomma, ci parlano di questa ambiguità - quantomeno, se non piace il termine «doppiezza» - che permane nella maggioranza.
Ma vorrei farvi un altro esempio. Non so cosa pensi l'onorevole Fini, che non è presente, del manifesto di Alleanza nazionale apparso recentemente a Trieste e firmato nel seguente modo: federazione di Alleanza nazionale di Trieste, Istria, Dalmazia e Fiume. È chiaro il concetto? Dove batte il cuore europeo di Alleanza nazionale (che è una parte rilevante di questa maggioranza)? E che dire del ministro Tremonti - che ha un ruolo importante nel Governo italiano e che presiederà l'Ecofin -, il quale se ne va in giro a spiegare che l'allargamento è stato un errore e che l'euro sarebbe stato meglio non farlo. È una posizione legittima, ma non c'entra - mi si consenta - un bel nulla con l'idea della nuova Europa che si è discussa alla Convenzione. Tuttavia, essa svela il significato o, almeno, offre una chiave di lettura delle parole pronunciate dal Presidente del Consiglio al G8 di Evian, il quale, per non pagare il dazio alle promesse di una crescita mancata, incolpa il Patto di stabilità, avanzando allegramente sulla strada del cosiddetto deficit virtuoso, proponendo un tanto al chilo di elasticità.
Di fronte a questa ambiguità, ritengo sia ora di decidersi, anche perché non si può avere tutto dalla vita, e neanche dalla politica. Non si può avere un'Europa à la carte: prendo quel che mi piace e in cambio non do nulla; voglio più latte, ma non meno vino; collaborazione con la Commissione - giustamente - per la gestione del semestre di Presidenza europeo e al tempo stesso attacco reiterato al suo Presidente, italiano anch'egli (della serie non ci facciamo riconoscere!).
Penso che non sia con questo spirito e con questo assetto di marcia che l'Italia potrà assumere un credibile ruolo nella composizione del duro confronto in atto in Europa, in particolare sulla questione istituzionale. Per quanto ci riguarda, riteniamo urgente e vitale contrastare una deriva intergovernativa, che obiettivamente permea di sé l'attuale bozza di Trattato


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costituzionale. Che le cose stiano effettivamente così non c'è dubbio alcuno e lo dico anche facendo salvo il lavoro - che qui è stato giustamente citato anche dall'onorevole Follini come positivo - che comporta il superamento dei cosiddetti pilastri, la semplificazione delle procedure nella strumentazione legislativa, la scelta di generalizzare la codecisione nell'attività legislativa. Tutte scelte importanti, ma non vi è dubbio alcuno che effettivamente sui punti essenziali, che riguardano il baricentro decisionale, siamo in presenza di ciò che ho definito una deriva intergovernativa.
Basti notare - lo ha rilevato anche l'onorevole Spini - che, in Europa, non avviene nulla di importante in campo istituzionale se non per impulso del Consiglio, per sua decisione, sotto il suo pieno controllo (dall'indicazione del Presidente della Commissione a quella del ministro degli affari esteri), mentre la politica estera e di sicurezza comune senza l'introduzione del voto a maggioranza rimane ostaggio del potere di veto. Questa è la situazione e su quest'ultimo punto occorrerebbe mettere in campo un vero e proprio sistema di alleanze, lavorando con tenacia e coerenza insieme al Presidente della Commissione e in sintonia con la maggioranza dei paesi che, dal prossimo anno, faranno parte dell'Europa allargata.
Insomma, sto cercando di affermare che, a questo punto, non è sufficiente proclamare posizioni di principio pur apprezzabili, come ha fatto il Vicepresidente del Consiglio sul voto a maggioranza in quanto, con i tempi che corrono, non sono più ammissibili posizioni di facciata.
Del resto, dopo i reiterati attacchi del terrorismo internazionale e mentre l'Europa a 25 è ormai una realtà, è chiaro che non si può rischiare la paralisi né nel campo della politica estera e di sicurezza comune né in quello della difesa. In ogni caso, mi domando che senso avrebbe istituire un unico ministro degli affari esteri permanendo il potere di veto. Si tratterebbe di un simpatico signore che va in giro a fare un po' di pubbliche relazioni.
Ma, a mio avviso, oltre al voto maggioranza, va affrontata con realismo e senza spirito rinunciatario l'altra importante questione di cui si discute, vale a dire la Presidenza dell'Unione. Recentemente, Giuliano Amato ha paventato come un rischio il possibile compromesso al ribasso di un Presidente «sbertucciato» - così lo ha definito -, cioè il chairman di cui si parla, privo di qualsiasi potere e, corrispondentemente, una Commissione a 25 per accontentare i piccoli paesi.
Posso capire il senso di questa osservazione come capisco ancor meglio il senso della proposta di lasciare per il momento le cose come stanno con la Presidenza semestrale ovvero, come taluno ha ipotizzato, una sorta di team presidence a rotazione.
Tuttavia, ritengo che, essendosi conclusa con l'euro e con l'allargamento tutta una fase storica della costruzione europea, non si dovrebbe aver paura di aver coraggio. Del resto, la stessa crisi irachena ha segnato in qualche modo uno spartiacque, o meglio, un punto limite oltre il quale l'Europa deve assumere decisioni fondamentali sul proprio destino. Allora, penso sia ormai maturo il tempo di un'unica Presidenza dell'Unione, un unico Presidente per il Consiglio e per la Commissione, eletto dal Parlamento europeo.
Da questo punto di vista condivido l'idea di inserire nel Trattato costituzionale una clausola di evoluzione, che impegni a raggiungere questo obiettivo in tempi stabiliti, anche fissando una data invalicabile. Attenzione, però: un'ipotesi di questo tipo ha senso solo nel quadro di una netta ed inequivoca accelerazione di un generale processo federale dell'Europa.
Del resto, come si è notato, non si può separare la testa (cioè le istituzioni) dal corpo dell'Unione (cioè il processo comunitario). Ed è proprio per questo che ad una nuova architettura istituzionale deve corrispondere un netto progresso nel campo della governance economica dell'Unione - lo ha ricordato ancora una volta Romano Prodi -, entro la quale le politiche economiche dei paesi membri divengano a tutti gli effetti oggetto di un


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reale coordinamento. E qui si tratta anche di incrementare le competenze dell'Unione, introducendo il voto a maggioranza nel Consiglio.
Attualmente - a proposito di coerenza - è proprio l'Italia ad esercitare, con il ministro Tremonti, un potere di veto, bloccando l'intesa sulla tassazione del risparmio. Anche questa situazione mi fa affermare che nel Trattato costituzionale va riconosciuto uno spazio maggiore alle cooperazioni rafforzate, per evitare di trovarci con un'Europa più grande ma, sostanzialmente, più debole.
Che l'allargamento chiami in campo un deciso approfondimento del processo comunitario è persino troppo ovvio; del resto, la Convenzione è nata proprio sulla base di questa consapevolezza.
Se guardo agli atti del Governo italiano e, in particolare, di talune parti della sua maggioranza, mi pare che siamo ancora molto distanti da questa consapevolezza. Troppo spesso, prevale l'idea che gli interessi nazionali si difendano meglio in un'ottica di rinazionalizzazione delle competenze. Noi riteniamo, al contrario, che, per difendere i nostri legittimi interessi nazionali, bisogna necessariamente promuoverli attivamente (e lo si può fare soltanto nella più ampia dimensione europea). Anche per questo va raccolto - e lo ha richiamato l'onorevole Spini, con il giusto spirito, vale a dire con un intento costruttivo - l'appello del Presidente Ciampi a mettere in campo un'iniziativa dell'Italia assieme agli altri paesi, soci fondatori dell'Unione europea. Si tratta di vedere se il Governo italiano intenda muoversi in questa direzione, nel momento in cui si appresta a presiedere l'Europa e la futura Conferenza intergovernativa, nella quale si dovrà negoziare il trattato costituzionale.
C'è ancora tempo per un cambio di atteggiamento del Governo, per contribuire a modificare il segno prevalente del progetto costituzionale, contro il quale - è utile ricordarlo - si sono espressi ben diciotto paesi su venticinque nel recente vertice di Atene, oltre alla posizione nota della Commissione. Penso sia inutile indulgere nella retorica della riunificazione, come spesse volte si è fatto in questi giorni e in questi mesi, se poi, di fatto, cinque grandi paesi, tra cui l'Italia, tirano diritto, senza che vi siano basi condivise per la costruzione della nuova Europa allargata. Cosa si aspetta ad assumere un'iniziativa tesa a promuovere un'ampia maggioranza di paesi europei, gettando un ponte insieme alla Commissione verso i nuovi membri, con l'obiettivo di far prevalere una decisione coerente con una forte dimensione politica dell'Europa? Questo sarebbe il miglior modo per il Governo italiano per non voltare le spalle al tradizionale ed apprezzato ruolo federatore che l'Italia ha assunto nel corso di tanti anni.
Per quanto ci riguarda, dunque, valuteremo anche in seguito l'operato del Governo. A seconda se si imboccherà o meno questa direzione, il nostro giudizio potrà eventualmente cambiare. Mi auguro che possa cambiare. Mi auguro che il nostro attuale atteggiamento, molto critico, possa evolvere sino alla possibilità di una collaborazione con il Governo, perché sono in campo gli interessi nazionali del nostro paese, oltre che quelli dell'Europa.
Tuttavia, se il buongiorno si vede dal mattino, temo che pioverà (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, della Margherita, DL-l'Ulivo, Misto-Comunisti italiani e Misto-Verdi-l'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Selva. Ne ha facoltà.

GUSTAVO SELVA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, sapete che sono spesso critico nei confronti delle assenze che caratterizzano i nostri dibattiti di politica internazionale. Questa volta dico che quasi preferisco quest'aria da incontro di studio o da club - se volete -, per svolgere riflessioni pacate attorno ad un tema rispetto al quale mi auguro ci sia la convergenza più ampia possibile sulle posizioni che, a nome del Parlamento, sono state enunciate dagli onorevoli Follini e Spini. Ed è veramente in questo spirito


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che anch'io, a nome di Alleanza nazionale, cercherò di sviluppare le mie considerazioni, rispondendo prima di tutto all'onorevole Zani sul problema del manifesto di Alleanza nazionale relativo a Trieste, all'Istria e alla Dalmazia. A me non fa alcuna impressione che, nella rappresentazione di un'Europa unita, Alleanza nazionale abbia una sua estensione. Si tratta di un appello rivolto ad italiani, che sono di nazionalità italiana, che costituiscono una minoranza e che si associano ad un partito che si chiama Alleanza nazionale.
Davvero, non vedo proprio quale riserva possa essere fatta nei confronti di un manifesto che porta questa intestazione. Anzi, devo dire che è buona l'occasione per ringraziare il Vicepresidente del Consiglio dei ministri, l'onorevole Fini, il quale ha una storia, una tradizione e una cultura diversa dalla mia, ma che ha sposato, in modo così intelligente e sereno, proprio l'adesione del Governo italiano alla Convenzione per temi che attestano della volontà dell'Italia di mantenere quella sua posizione di Stato fondatore della comunità europea.
Sempre per essere molto sereno, all'onorevole Zani dico che per la verità il mandato dato a Laeken era un po' più riduttivo. Lo ricordava l'altro ieri in un articolo di stampa il Vicepresidente della Convenzione, l'onorevole Giuliano Amato, dicendo che le domande a cui ci si chiedeva di rispondere nella dichiarazione di Laeken - come rendere l'Europa più trasparente, più democratica e più responsabile verso i suoi cittadini - evocavano di per sé qualcosa di più della stessa dichiarazione, tuttavia, non arrivavano a definire questo come un trattato costituzionale. Giustamente Giuliano Amato, poco dopo l'inizio dei nostri lavori ha detto che c'è stato il guizzo, quasi pre-scintilla, quando fummo sommersi da e-mail e da documenti, provenienti da singoli e di associazioni dei più diversi paesi europei, che parlavano del nostro lavoro come di un progetto di Costituzione europea. Negli stessi termini cominciarono ad esprimersi i membri della Convenzione, i giornali e gli stessi governi che a Laeken non l'avevano fatto.
Ora, in questo iniziale guizzo, per usare l'espressione di Giuliano Amato, io credo che il Governo italiano, la maggioranza, come la stessa opposizione abbiano giocato un ruolo, e non facciamoci quindi del male da soli dicendo che abbiamo fatto poco. Diciamo piuttosto che i nostri rappresentanti hanno fatto e stanno facendo quanto deve portare ad una Costituzione vera e propria. Pertanto, tanto per mettermi subito in sintonia con l'onorevole Follini e anche, in buona parte, con l'onorevole Spini, io credo che il tema principale davanti al quale ci troviamo è l'interrogativo istituzionale su chi dovrà avere il potere di decidere nella futura Unione europea. Ridotto all'osso, questo mi sembra davvero l'obiettivo del grande dibattito in corso nella Convenzione di Bruxelles, che si propone di fissare i principi e gli obiettivi dell'Unione e quindi l'architettura costituzionale per realizzarli. La definizione dei principi mi sembra sia contenuta nell'affermazione che l'Unione costituisce uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia nel quale sono sviluppati i suoi valori condivisi e viene rispettata la ricchezza della sua diversità culturale.
In questo spirito, io mi associo totalmente, con lo stesso spirito laico con cui l'ha fatto il collega Marco Follini, nel notare che fra i valori da sviluppare - a me pare - si debbano nominare, accanto a quelli genericamente religiosi o addirittura gli altri che si rifanno al secolo dei lumi, al quale va anche il mio rispetto, anche quelli espressamente cristiani originati dalla fede giudaico-cristiana.
Questa è stata un'altra delle proposte avanzate dal rappresentante del Governo italiano, onorevole Fini.
Tale indicazione non rappresenterebbe una discriminazione nei confronti di coloro che professano - o non professano affatto - altre fedi religiose, ma indicherebbe l'incontrovertibile dato storico rappresentato dalle radici cristiane dell'Europa;


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credo quindi che, in questa direzione, valga la pena fare un ultimo tentativo.
Comunque, ogni principio ed ogni atto politico si concretizzano con il contributo degli uomini chiamati a far parte delle istituzioni, i quali avranno poteri e perseguiranno obiettivi mai esistiti prima per ciò che concerne la guida politica di 500 milioni di persone. Anch'io penso non sia utile promuovere una specie di concorrenza fra il comunitario e federativo Prodi e l'ipergovernativo Giscard d'Estaing.
Credo sia opportuno verificare se si possa portare avanti un lavoro comune nella direzione dei principi che ho ricordato in precedenza. Ciò, proprio per non dare all'onorevole Prodi - che, in questo caso, non lo meriterebbe - la patente di chi utilizza la tribuna europea per un proprio ritorno in Italia.
I venticinque Stati nazionali - a cominciare dal più importante la Germania, con ordinamento interno federale - potranno fra poco divenire trenta e forse più. Noto però che i nuovi candidati - i quali, già dal prossimo anno, faranno parte dell'Unione europea -, salvo Malta e Cipro, sono tutti Stati che hanno livelli economici e sociali molto diversi. Inoltre, appena poco più di dieci anni fa, questi paesi erano retti da sistemi politici denominati democrazie popolari, anche se, in realtà, attraverso elezioni farsa, si consentiva al partito comunista di ottenere quasi il 100 per cento dei voti.
La propensione di questi paesi verso la costruzione dell'Europa - resa tale da personaggi quali De Gasperi, Adenauer, Monnet - ha rappresentato un bel seme che ha generato un frutto positivo.
Per definire i poteri delle principali istituzioni (Consiglio europeo dei ministri, Commissione e Parlamento europeo), fra le quali alcuni inseriscono anche la Banca europea - ma io credo sia, forse, politicamente più esatto fare riferimento soltanto alle prime tre -, si è fatto ricorso a due espressioni: potere comunitario (attraverso una federazione) e potere intergovernativo.
Espressione del potere comunitario sono, per definizione, la Commissione e il Parlamento europeo; espressione del potere intergovernativo sono, invece, i Consigli dei ministri per le varie materie, mentre il Consiglio affari generali e il Consiglio europeo dei Capi di Stato e di governo hanno il compito di segnare le linee di una politica comunitaria. Ciò era certamente più facile nell'ambito di una Comunità europea a 6 Stati, mentre, via via che il numero dei paesi cresceva, così come la diversità della storia, della cultura, dell'economia, delle lingue e degli ordinamenti statuali comunali e regionali, vi sono state alcune rinazionalizzazioni della politica europea accompagnate da una difesa più attenta degli interessi.
In questo modo, quindi, i governi e i parlamenti nazionali hanno riguadagnato un potere maggiore.
Le rinazionalizzazioni si appoggiano essenzialmente sulle decisioni da assumere all'unanimità, sulla rappresentanza di tutti gli Stati nella Commissione, sui poteri più forti dei Governi e più deboli della Commissione. L'ideale comunitario certo - lo ripetiamo tutti con profonda convinzione - sarebbe quello di avere un'istituzione, il Consiglio o la Commissione unica, il cui Presidente, pur senza disporre di un potere monocratico, fosse riconosciuto come il Presidente dell'Europa, con profili politici (oso fare qualche similitudine forse non del tutto appropriata) simili a quelli del Presidente americano o del Capo di Stato francese o, se volete, del Primo ministro britannico (questo, diciamolo, non avverrà domani e nemmeno dopodomani).
Mister Europa sarà una sintesi di due figure (se vi fosse una figura unica con due cappelli, certo raggiungeremmo già questo obiettivo): le due figure sono oggi il Presidente europeo ed il Presidente della Commissione che ricevono entrambi una legittimazione democratica, il primo, dall'investitura che riceve dal suo paese ed il secondo dal voto del Parlamento europeo al quale, a mio avviso, dovrebbe essere rafforzato il diritto di revocarlo.


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Il punto più delicato è la divisione del potere legislativo da quello esecutivo. Il potere legislativo con la nuova Costituzione sarà comunitario, in forza del diritto di proposta assegnato alla Commissione e di approvazione da parte del Consiglio dei ministri nazionali, indirizzati e controllati dai Parlamenti nazionali. La Commissione sarà anche l'organo esecutivo delle norme legislative da definire finalmente attraverso lo strumento della legge e non del regolamento (la gente non ha la percezione in termini plastici di che cosa si tratta), sempre che vi sia un negoziato, qualcosa da regolare; si dovrebbe trattare di disposizioni imperative, vale a dire di leggi alle quali domani dovranno sottostare 500 milioni di cittadini europei.
L'indirizzo ed il controllo democratici saranno sempre più esercitati da un Parlamento europeo che diventa l'autentica voce dei programmi comunitari (ciò ancora non accade, dati gli scarsi poteri che possiede il Parlamento europeo). Perché si rafforzi lo spirito comunitario e si attenui la forza di un solo Stato occorrerà che si allarghi il numero degli atti approvati a maggioranza sia pure qualificata, prevedendo, soltanto per taluni aspetti, raccolgo la sollecitazione di Marco Follini, la possibilità di opporvisi. Credo che oggi sia indispensabile, per quanto appaia difficile, affinché 500 milioni di persone abbiano una politica estera e di sicurezza comune, il più possibile unitaria, che anche la politica estera venga decisa da maggioranze alte, ma senza il diritto di veto da parte di un solo Stato. Credo che ciò costituirà veramente il punto focale perché è inutile che noi facciamo dei lai per lamentare lo scarso peso dell'Europa nelle decisioni internazionali.
Ieri ho letto un articolo pubblicato su la Repubblica, giornale non sospettabile di simpatie nei confronti delle politiche nazionalistiche, nel quale si sottolineava come, nel viaggio di queste ore del Presidente degli Stati Uniti nel difficile scacchiere mediorientale, l'Unione europea non sia minimamente rappresentata. Avrei, inoltre, considerato volentieri la possibilità che, facendo parte addirittura di quel quartetto che si sta occupando del nuovo assetto per riportare finalmente la pace fra Israele ed i territori palestinesi da elevare al grado di Stato autonomo, indipendente e democratico, vi fosse stato anche il signor Solana...

PRESIDENTE. Onorevole Selva, la prego di concludere.

GUSTAVO SELVA. Ciò tuttavia non è previsto.
Ciò dimostra quale sia il percorso che noi dobbiamo ancora compiere insieme agli accenti finora posti (e penso che quelli che verranno dopo di me non faranno altro che rafforzare tale concetto con altre argomentazioni), affinché da questo dibattito scaturisca una posizione unitaria che privilegi la politica comunitaria rispetto a quella intergovernativa svolta attraverso quelle indicazioni: abolizione o riduzione al massimo del veto nei confronti delle decisioni dell'Unione europea; in questo modo credo e spero davvero che ciò che è stato deciso a Laeken, ciò che i convenzionali stanno facendo e che noi analizzeremo ed approveremo, possa essere definito un passo storico che richiama le migliori tradizioni di questo Parlamento e dell'Italia democratica ed europea (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza nazionale e dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rutelli. Ne ha facoltà.

FRANCESCO RUTELLI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei ringraziare i due colleghi che hanno svolto la funzione di relatori in questo dibattito, offrendo contributi senz'altro importanti, e gli altri colleghi intervenuti che si sono impegnati per fornire spunti utili per definire un indirizzo unitario da parte del nostro Parlamento.
Non posso tuttavia non sottolineare che, così come abbiamo alle spalle tanti anni fecondi di convergenza in sede parlamentare tra maggioranza ed opposizione del tempo, sulla politica per l'Europa, il


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fatto che il Parlamento, e la Camera per la sua parte, non si pronunci prima della conclusione dei lavori della Convenzione e del vertice di Salonicco non è un fatto positivo. Non è un fatto positivo che il Parlamento non dia al Governo istruzioni, che non dia al Vicepresidente del Consiglio, oggi assente come il ministro degli esteri, istruzioni per l'attività che egli...

PRESIDENTE. Mi perdoni, onorevole Rutelli, so che coloro che lei ha nominato non sono nelle condizioni di essere presenti a causa dei loro impegni. Ciò era già stato fatto presente nel corso della riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo. In quella sede, si è detto che, considerata l'importanza dell'evento, la stessa discussione si sarebbe tenuta pur a fronte di un loro legittimo impedimento. Quindi, non si tratta di una mancanza di riguardo nei confronti degli oratori che sono intervenuti e nei confronti di coloro che successivamente interverranno.

FRANCESCO RUTELLI. La ringrazio, signor Presidente. Tuttavia non le sfugge il fatto che questo dibattito non si apra con l'intervento del Governo.

CARLO GIOVANARDI, Ministro per i rapporti con il Parlamento. Ma non deve aprirsi con l'intervento del Governo!

FRANCESCO RUTELLI. Accetto le interruzioni. Prego, onorevole Giovanardi.

CARLO GIOVANARDI, Ministro per i rapporti con il Parlamento. Non è previsto l'intervento del Governo.

FRANCESCO RUTELLI. Il mio intervento testé iniziato aveva come finalità questa: io rispetto le intese che si raggiungono tra i capigruppo per motivi anche di necessario realismo, ma sottolineo questo fatto politico ed istituzionale. Credo leggiate la stampa internazionale e vi rendiate conto che il tema di cui parliamo oggi rappresenta l'apertura di tutti i grandi giornali di opinione ed economici europei; rappresenta l'oggetto di una battaglia persino drammatica in Gran Bretagna; rappresenta il motivo di un dibattito di altissimo significato in Francia, in Germania ed in altri paesi.
Indiscutibilmente rileviamo che, alla vigilia della conclusione della parte chiave del lavoro della Convenzione, alla vigilia del vertice di Salonicco ed alla vigilia del semestre di Presidenza italiano, l'idea che il nostro Parlamento non produca lo sforzo per istruire il rappresentante alla Convenzione, ma soprattutto il Vicepresidente del Consiglio, che rappresenta il Governo e che sinora ha presentato le sue posizioni come posizione del Governo, in modo aggiornato... (Commenti del ministro Giovanardi).
Onorevole Giovanardi, colgo nella sua reazione comprensibilmente vivace un riferimento al fatto che noi già abbiamo discusso nel Parlamento nei mesi passati, ma lei lo sa che stanotte il Praesidium della Convenzione ha modificato l'impostazione su una serie di punti chiave?
Allora, la riflessione, che stavo facendo a bassa voce e senza volerne fare un motivo di polemica aspra, tuttavia è questa: reputo sia più saggio e più adeguato, per ciò che rimane davanti a noi come tempi, che si diano istruzioni al Governo ed al suo rappresentante prima di queste scelte decisive e che ci sia un'istruzione al Governo prima dell'inizio del semestre italiano di Presidenza, se reputiamo che questo debba rientrare nella linea, che richiamavo poco fa, di una storica convergenza sulla materia europea nel Parlamento della Repubblica negli ultimi decenni.
Io penso che, se ciò è difficile, è anche per un motivo fondamentalmente politico. Ho ascoltato la presa di posizione del Presidente del Consiglio dei ministri, il quale ha detto nel contesto degli ultimi incontri internazionali: noi non ci schieriamo.
Credo che questa dichiarazione del Presidente del Consiglio dei ministri sia una dichiarazione più seria e, da un certo punto di vista, più grave rispetto a ciò che ci attende, perché l'Italia si deve schierare. Alla vigilia del proprio semestre di guida


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dell'Unione, e per la propria funzione storica di uno dei sei paesi fondatori, e per i traguardi che attraverso l'Europa ha tagliato, e per la funzione che ha svolto nei momenti chiave del processo comunitario, l'Italia non può non essere protagonista di un'iniziativa, piuttosto che ritagliarsi, sin da una fase preventiva, una funzione attendista, se non appunto di rinuncia preventiva.
Naturalmente si potrà ritenere, da un punto di vista ancora più politico, che questo sia causato da alcune palesi divergenze che si registrano nell'ambito della compagine della maggioranza al Governo. Io mi auguro che non sia così, lo dico con chiarezza. Potrebbe far comodo all'opposizione evidenziare questa distanza e questa differenza che a più riprese, lo ripeto, si manifestano e, tuttavia, noi siamo interessati alle convergenze, non alle divergenze.
Dunque, ho anche apprezzato alcuni accenti che adesso il collega Selva, riguardo al tema del voto a maggioranza e di un impianto prevalentemente comunitario rispetto a quello intergovernativo, ha ritenuto di esprimere poc'anzi.
Io penso che da questi banchi si debba partire innanzitutto con un sostegno alla posizione espressa dalla Commissione europea e dal suo Presidente. Voglio ricordare che qui noi non parliamo soltanto del Prodi che ci sta a cuore dal punto di vista politico per affinità e vicinanza al nostro campo, ma parliamo del Prodi Presidente di un organismo collegiale che si è pronunciato in modo convergente sulle posizioni che la Commissione ha assunto nell'attuale difficile discussione. Noi diamo pieno sostegno a questa linea e vorrei dire - qui sì con una sottolineatura critica - che la Convenzione non può essere vissuta come una specie di Conferenza intergovernativa, che si fa in anticipo, integrata da Valéry Giscard d'Estaing.
Ricordo le parole pronunciate dal Capo dello Stato, Carlo Azeglio Ciampi, per indicare come i membri della Convenzione dovrebbero essere considerati, piuttosto che gli artefici di una mediazione in anticipo, padri costituenti.
Ciampi si rivolse a loro chiedendo lungimiranza, visione, coraggio e capacità di decidere. Né si trova un minimo comune denominatore tra gli interessi degli Stati come condizione per il successo della Convenzione. L'Europa è stata ed è un successo, signor Presidente, e lo è grazie al metodo comunitario che è venuto crescendo nei decenni e ad alcuni momenti in cui drammaticamente si sono forzate le nazioni rinunciatarie. Tutti ricordiamo il ruolo che ebbero i governi di questa Repubblica, presieduti da Craxi e da Andreotti, e alcuni momenti chiave per forzare la resistenza, ad esempio, della Gran Bretagna della signora Thatcher, a proposito dell'Unione economica e monetaria. Sappiamo che, oggi, il destino dell'integrazione economica dell'Europa è fortemente legato alla decisione che la Gran Bretagna di Blair è chiamata ad assumere e sappiamo che il futuro vero dell'Europa è destinato a misurarsi sull'esistenza o no di una politica estera e di difesa. Queste sono le scelte che bisogna fare.
È chiaro che la decisiva estensione del voto a maggioranza ed il superamento del potere di veto nelle questioni chiave rappresentano l'obiettivo numero uno dei prossimi lavori. Credo che, su questo, sia gli onorevoli Follini e Spini sia gli altri colleghi intervenuti precedentemente, con sfumature più o meno decise, si siano pronunciati, mi sembra in una dimensione di impegno e in una direzione sufficientemente confortante. Dobbiamo, tuttavia, essere consapevoli che, nel momento delle scelte, questa decisione non è la sola.
Signor Presidente, vogliamo un Presidente della Commissione europea forte, riconoscibile dagli europei e dal resto del mondo come rappresentante dell'Unione. Pensiamo ad un Presidente eletto dal Parlamento europeo, confermato dal Consiglio europeo, che assicuri il coordinamento tra le istituzioni, che, a tal fine, sia anche il Capo del Consiglio per gli affari generali. Se ricordiamo che il primo obiettivo della Convenzione era la semplificazione istituzionale, l'efficienza e l'efficacia delle istituzioni,


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non ci sembra che un Presidente dell'Unione aggiuntivo corrisponda a questa esigenza.
Vogliamo un Parlamento europeo a tutti gli effetti co-legislatore, su un piano di parità con il Consiglio, per cui è bene l'estensione del voto a maggioranza, ma non basta, poiché l'unanimità in materia fiscale e, in parte, nella materia sociale porterebbe al blocco. Anche qui, va richiamato il chiaro, netto e forte discorso del nostro Presidente della Repubblica, Ciampi.
Bene, quindi, la semplificazione della procedura di bilancio che mette Parlamento e Consiglio su un piano di totale parità. Bene l'integrazione della Carta dei diritti, inserita integralmente, anche se occorrerà prevederne una clausola evolutiva, come quella prevista dal Trattato di Amsterdam per la cittadinanza europea. Bene ciò che si definisce «mister euro» e «mister economia», bene anche la possibilità, per i paesi della zona euro, di darsi ulteriori regole per rispettare il patto di stabilità. Ma allora è vitale che possa evolvere, a livello europeo, anche la politica fiscale in cui - lo ripeto - si abbandoni il diritto di veto.
Vengo alla politica estera e di difesa. Sappiamo che l'ultimo testo del Praesidium ha fatto un passo indietro. Di fatto, punta a mantenere lo statu quo, abolendo la possibilità di decidere a maggioranza. È bene che si sappia però che questo va contro - e la Convenzione non può non interpretare anche il segno dei tempi - lo spirito presente nell'Europa, anche nell'Europa del dopoguerra in Iraq.
Il popolo europeo vuole la difesa europea, vuole la politica estera europea. Non c'è rilevazione scientifica che non dimostri - salvo l'eccezione britannica, che è materia di enorme importanza cui noi dobbiamo il più grande rispetto politico e strategico - che la stragrande maggioranza degli europei vuole un esercito europeo, vuole l'unificazione della capacità di difesa ed un'unica guida della politica estera.
Se dalla Convenzione, se da tale processo, se dalla Conferenza intergovernativa non dovesse uscire questa linea di grande slancio, altro che unico numero di telefono al quale accennava l'onorevole Follini: faremmo un enorme passo indietro, simbolico e politico, di dimensioni e natura gravissime!
Penso che, accanto al voto a maggioranza, occorra, ovviamente, il coinvolgimento del Parlamento europeo e che si debbano incoraggiare le cooperazioni rafforzate, se necessario anche quelle ad hoc. Il caso degli accordi di Schengen dimostra che le cooperazioni rafforzate possono avere successo e, finendo integrate nei trattati, possono aprire una strada che porta lontano. Occorre, dunque, che il ministro degli esteri sia considerato membro a pieno titolo della Commissione e, in quanto tale, riceva, con il resto del collegio, la fiducia del Parlamento europeo.
Prima delle conclusioni, vengo ad un tema più specifico: come si approva l'architettura che scaturirà dalla Conferenza intergovernativa e chi resta al suo interno. Come ricordava Giuliano Amato, dobbiamo sostenere il diritto di recesso perché è uno strumento che toglie argomenti agli euroscettici: è giusto che esista affinché, con la nuova Unione europea e con i suoi nuovi poteri, facciamo parte di una comunità di persone che davvero vogliono farne parte.
Inoltre, reputo, noi reputiamo - questa è la posizione dell'Ulivo - che vi debba essere un referendum europeo e, comunque, un referendum italiano per l'entrata in vigore della Costituzione: sia la maggioranza del popolo ad esprimersi a favore, altrimenti non sarà una Costituzione, ma, più che mai, un trattato come gli altri, un trattato che qualunque Stato potrà bloccare per continuare a giocare al ribasso sui destini dell'Europa!
Ecco perché, signor Presidente, ritengo fondamentale richiamare le vicende della recente guerra in Iraq, simbolo, sintomo e - di più - espressione stessa della paralisi politica ed istituzionale quando è prescritta l'unanimità. Per un salto di qualità, per una scommessa sull'Europa, occorre che questa sia attore e vettore del multilateralismo e non, come da qualche parte


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si è detto, all'apice della crisi con gli Stati Uniti, di un multipolarismo che veda l'Europa separata dagli Stati Uniti.
La costruzione europea ci deve vedere integrare i destini dell'Europa e degli alleati d'oltreatlantico: la ricostruzione di questo rapporto con gli USA rappresenta una delle prime tappe fondamentali affinché l'Europa recuperi la sua forza e la sua identità. D'altronde, non dimentichiamo che l'euro forte, di cui, talvolta, ci si lamenta, in queste settimane, in questi mesi, è, in fondo, il simbolo che il continente europeo, quando si unisce, può divenire - e diviene - una vera potenza sulla scena internazionale: non più, come è stato detto, un gigante economico, ma un nano politico.
Finalmente, un'Europa che si allarga, ma, allo stesso tempo, approfondisce la sua integrazione, ha bisogno di coraggio e di lungimiranza. Perciò, signor Presidente, essa non può legarsi alle logiche che, in passato, hanno caratterizzato le riforme dei trattati europei. Mediti il nostro Governo sulla conclusione triste e negativa che si ebbe a Nizza! Sia un monito quella conclusione!
Mi si permetta di dire, a proposito della Costituzione, che una Costituzione di 200 pagine non sembra corrispondere agli obiettivi prefissati, non solo per la fondata sollecitazione - di cui, giustamente, molto ci si occupa in Italia - a richiamare in modo adeguato le radici cristiane dell'Europa, ma proprio perché, forse, tutto il disegno (penso, in particolare, alla semplificazione della terza parte della Costituzione) potrebbe indurci - lo dico ai nostri rappresentanti presso la Convenzione - a far continuare i lavori anche durante la Conferenza intergovernativa, allo scopo di completare il lavoro e di conseguire quegli obiettivi.
Infine, signor Presidente, con riferimento alla Presidenza di turno italiana, è il caso di finire a tutti costi a Roma?
Fatemelo dire, anche a titolo personale, per chi ha vissuto 7 anni del proprio impegno istituzionale in Campidoglio, dove la testimonianza di quella firma dei trattati di quasi mezzo secolo fa ancora vive e vivrà. È importante, sarebbe positivo per tutti noi, pensare ad una firma a Roma, ma si tratta di firmare a tutti costi per legare il nome dell'Italia al luogo o si tratta di firmare per legare il nome dell'Italia alla qualità di questo straordinario appuntamento? Allora, signor Presidente, anziché confondere le acque presentando un'Europa spazio economico senza identità, dai confini che si allargano come un elastico (un allargamento immaginario di cui sentiamo parlare spesso, troppo spesso), pensiamo insieme a convergere su un traguardo più alto. Ricordo concludendo che quando si dovette approvare il trattato di Maastricht, Presidente, in questo Parlamento, era Andreotti che guidava la politica.

PRESIDENTE. Onorevole, la invito a concludere. È quattro minuti oltre. L'ho lasciata parlare perché quattro minuti li abbiamo persi nei preamboli.

FRANCESCO RUTELLI. Le chiedo scusa, e termino con questa frase. Era Andreotti che ci rappresentava e Andreotti venne in Parlamento per vincolare il voto del Parlamento italiano dopo quello del Parlamento europeo sui trattati di Maastricht. Fu un gesto nobile della politica estera italiana in senso europeista. Io vorrei molto che potessimo ripetere questa esperienza, che la mozione, che è stata depositata dall'Ulivo, dal centrosinistra, io mi auguro con larga convergenza in quest'aula, diventi la base sulla quale l'Italia si assuma le proprie responsabilità in Europa e sia protagonista, con l'assenso del popolo italiano, interpretando la volontà del popolo italiano, nel semestre della sua guida dell'Unione europea (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-l'Ulivo e dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

PRESIDENTE. La ringrazio onorevole Rutelli, le ho dato un po' più di tempo, perché io avevo fatto un'interruzione che lei ha sapientemente sfruttato.

CARLO GIOVANARDI, Ministro per i rapporti con il Parlamento. Chiedo di parlare.


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PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CARLO GIOVANARDI, Ministro per i rapporti con il Parlamento. Signor Presidente, intervengo con molta calma e tranquillità solo per dire all'onorevole Rutelli che il Governo è qui presente con un ministro per ascoltare le considerazioni che gli intervenuti fanno su questa fase della Costituente europea, ma, come noto, i costituenti italiani, l'onorevole Follini della Camera dei deputati, l'onorevole Dini del Senato della Repubblica, l'onorevole Fini del Governo, l'onorevole Amato, che ha una sua investitura specifica, non hanno vincolo di mandato. Quindi, nella Conferenza dei presidenti di gruppo più volte si è approfondito questo tema, arrivando alla conclusione che non c'è un voto, che il Parlamento non può vincolare il rappresentante del Governo né che il Parlamento possa vincolare con vincolo di mandato i rappresentanti che ha inviato alla Costituente. Quindi, per oggi, esplicitamente, non era previsto alcun intervento del Governo, a meno che non fosse stato quello (oggi è impossibile) del rappresentante del Governo che è stato designato alla Costituente, che, parimenti all'onorevole Follini, al senatore Dini, al senatore Amato, darà il suo contributo in sede di Costituente.
Questo è la logica della Costituente e quindi il Governo è qui presente con un ministro per assistere dall'inizio alla fine a questa discussione e naturalmente per ascoltare i pareri dei vari parlamentari che devono intervenire, ma lasciando ad ogni membro della Costituente, espresso in questa maniera variegata, piena libertà, senza vincolo di mandato, per orientarsi su tutti gli argomenti che oggi sono stati sviscerati, affrontati e discussi da questo Parlamento.

PRESIDENTE. Ci tengo ora a precisare meglio quello che in maniera così colloquiale mi ero permesso di dire riguardo al rilievo fatto sulla mancata presenza del Vicepresidente del Consiglio e del ministro degli esteri.
L'informativa sui lavori della Convenzione europea è stata iscritta per oggi nel calendario dell'Assemblea su richiesta dei rappresentanti di gruppi e delle componenti politiche dell'Ulivo che ne hanno espressamente sollecitato lo svolgimento prima del 5 giugno, in relazione alla prevista organizzazione della prossima sessione della Convenzione europea. In ragione della ristrettezza dei tempi, il Presidente della Camera, nella riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo del 29 maggio, si è riservato di verificare la disponibilità dell'onorevole Fini, Vicepresidente del Consiglio dei ministri e rappresentante del Governo presso la Convenzione, preannunciando che l'informativa sarebbe stata altrimenti resa all'Assemblea dagli onorevoli Follini e Spini, rappresentanti della Camera presso la Convenzione.
La Conferenza dei presidenti di gruppo ha preso atto di ciò acconsentendo all'ipotesi prospettata ed ha, altresì, convenuto che il dibattito si concludesse senza votazioni. Essendo risultata impossibile la partecipazione del Vicepresidente del Consiglio, a causa di precedenti impegni non compatibili con lo svolgimento dell'informativa alla data fissata, si è reso necessario adottare questa seconda soluzione della quale, come ho detto prima, i presidenti dei gruppi risultavano informati. Ricordo, inoltre, che, aderendo alla richiesta successivamente formulata dal gruppo parlamentare della Margherita, DL-l'Ulivo, il Presidente ha poi prolungato di un'ora il tempo destinato a questo dibattito.
Ho voluto dire questo perché si consideri che il Governo era stato informato di ciò e che il Governo, a sua volta, aveva informato il Presidente che la discussione si sarebbe svolta senza la presenza del Vicepresidente del Consiglio, a causa di impegni assunti in altra sede; tuttavia, è presente in aula un altro ministro che lo rappresenta.

FRANCESCO RUTELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FRANCESCO RUTELLI. Signor Presidente, desidero chiarire che non protestavo


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affatto in ordine alla natura del dibattito odierno; volevo soltanto segnalare a noi tutti e, in particolare, al Governo che il Vicepresidente del Consiglio, onorevole Fini, presenziò alla precedente discussione e dette l'informazione su cui poi si sviluppò il dibattito nel corso di una precedente seduta della Camera risalente a circa due mesi fa...

LUCA VOLONTÈ. Il 3 marzo.

FRANCESCO RUTELLI. Poi lo stesso si è presentato alla Convenzione e ha depositato emendamenti a nome del Governo; ebbene, a mio parere, sarebbe bene che egli avesse o un'istruzione da parte del Governo, se lo fa a nome del Governo - questo non appare essere sempre il caso, tant'è vero che nella maggioranza si producono opinioni diverse -, o tenesse conto di indirizzi del Parlamento.

CARLO GIOVANARDI, Ministro per i rapporti con il Parlamento. Ma no!

COSIMO VENTUCCI, Sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento. Ma dove sta scritto?

FRANCESCO RUTELLI. Questo sarebbe bene che avvenisse prima della conclusione dei lavori della Convenzione e dell'inizio della Conferenza intergovernativa affinché ci fosse una determinazione del Parlamento.
Se poi il Governo non vuole tenere conto di ciò, potrà anche non tenerne conto. Il fatto che il Parlamento si pronunci e dia un indirizzo sulla politica europea prima del semestre di Presidenza italiana dell'Unione europea a me pare sia sempre accaduto nella storia di questo Parlamento, e dovrebbe accadere anche questa volta.

PRESIDENTE. A me pare che il Governo sia rappresentato dal ministro per i rapporti con il Parlamento oltre che dai colleghi che hanno l'onere e l'onore di rappresentarlo in quella sede. Ho spiegato soltanto che non si tratta di un'assenza ingiustificata, ma tanto giustificata da essere compresa e acquisita come un elemento (Commenti dei deputati del gruppo della Lega nord Padania).

CARLO GIOVANARDI, Ministro per i rapporti con il Parlamento. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CARLO GIOVANARDI, Ministro per i rapporti con il Parlamento. Mi scusi, Presidente, ma visto che l'onorevole Rutelli insiste mi vedo costretto ad intervenire. Qui stiamo confondendo due piani.

ROBERTO GIACHETTI. Guarda che li confondi te i piani!

CARLO GIOVANARDI, Ministro per i rapporti con il Parlamento. Uno è il semestre di Presidenza dell'Unione europea, l'altro è un dibattito che è stato chiesto esplicitamente sui lavori della Convenzione europea e che la Conferenza dei presidenti di gruppo ha deciso fosse introdotto da una relazione svolta dall'onorevole Follini che è membro della Costituente, nei limiti e negli ambiti ... (Commenti del deputato Rutelli). Non è stato, quindi, il Governo a scegliere questa data, ma questa data è stata scelta dalla Conferenza dei presidenti di gruppo proprio con queste modalità.
Ricordo, ancora una volta, che un conto è la politica del semestre di Presidenza dell'Unione europea sul quale immagino verrà organizzato un dibattito e, forse, si voteranno anche delle mozioni, altro conto è, invece, la natura della Costituente e la natura del mandato senza vincolo che hanno avuto i costituenti che finora nel corso di tutte le discussioni avutesi in sede di Conferenza dei presidenti di gruppo ha reso incompatibile questo mandato con vincoli, sia che riguardino il membro eletto o designato dal Governo sia quelli designati dalle Camere, perché è incompatibile con la loro funzione. Quindi, il dibattito di oggi si svolge con questi limiti e con questi ambiti.


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PRESIDENTE. Abbiamo chiarito i diversi punti di vista sulla situazione in cui ci troviamo (Commenti dei deputati del gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo).
È iscritto a parlare l'onorevole Volontè. Ne ha facoltà.

LUCA VOLONTÈ. Signor Presidente, onorevoli colleghi, permettetemi, prima di svolgere il mio intervento, una battuta su quanto è avvenuto in quest'aula. Nel corso dell'ultima riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo - dico ciò perché rimanga agli atti dei lavori dell'Assemblea oltre che di quelli della Conferenza - a fronte della richiesta di tornare sul dibattito in merito ai lavori della Convenzione, già svoltosi alla Camera in un'aula vuota alla presenza del Vicepresidente del Consiglio, onorevole Fini, oltre che dei rappresentanti di questo ramo del Parlamento presso la Convenzione europea, onorevoli Follini e Spini, si valutò l'opportunità di svolgerlo nella giornata di oggi.
Proprio chi lo chiese insistette molto per svolgerlo oggi, pur non avendo la certezza che il ministro degli esteri o il Vicepresidente del Consiglio potessero parteciparvi per impegni precedenti - che non sono certamente il gioco delle bocce, come qualcuno in quest'aula immagina -, anche di natura internazionale. Alla nostra osservazione di legare questa discussione con un dibattito - che, in questo caso, sarebbe stato il secondo - sul programma del semestre europeo, proprio da quella parte venne l'indicazione di discutere innanzitutto dei lavori della Convenzione e poi, se ve ne fosse stato il tempo, entro il 10 giugno, del semestre europeo.
Detto ciò, torno all'argomento attuale, che riguarda per l'appunto il prosieguo del dibattito; di questo ringrazio il Governo nel suo complesso e soprattutto, senza offesa per nessuno, i due rappresentanti del nostro ramo del Parlamento alla Convenzione, gli onorevoli Follini e Spini, per averci aggiornato, dopo quello che già allora raccontarono della loro attività e della loro alta rappresentanza del nostro ramo del Parlamento all'interno della Convenzione qualche mese fa.
Dalle origini del processo di integrazione è sempre stato difficile inquadrare l'ordinamento comunitario facendo ricorso alle tradizionali categorie giuridiche, come lo Stato federale o l'unione di Stati istituzionalizzata e rispondente al modello della organizzazione internazionale. Tali difficoltà, che ancora oggi sono presenti, derivano dall'assoluta particolarità del processo di unificazione europea, che ha portato alla creazione di una comunità di diritto che si basa sulla coesistenza di due anime: quella degli Stati, di tipo intergovernativo, e quella dei popoli, rappresentati da istituzioni sovranazionali come il Parlamento, la Commissione, la Corte di giustizia... Io non lo so: capisco che l'educazione non sia, come dire, una consuetudine...

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, bisognerebbe considerare che in Parlamento non sono solo le proprie parole quelle che vanno ascoltate, ma anche quelle degli altri.
Prego, onorevole Volontè.

LUCA VOLONTÈ. Tali difficoltà, che ancora oggi sono presenti, derivano dall'assoluta particolarità del processo di unificazione europea, che ha portato alla creazione di una comunità di diritto che si basa sulla coesistenza di due anime: quella degli Stati, di tipo intergovernativo, e quella dei popoli, rappresentati da istituzioni sovranazionali come il Parlamento, la Commissione, la Corte di giustizia e lo stesso Consiglio dei ministri, quando agisce a maggioranza, nell'ambito delle procedure decisionali previste dai trattati.
Un anno di lavori della Convenzione e l'ampio dibattito che ne è scaturito hanno evidenziato quali possano essere gli obiettivi da perseguire: la redazione di una Costituzione che incorpori nei trattati la Carta di Nizza, un riassetto istituzionale più funzionale e semplice, un Governo europeo forte che abbia continuità e che sappia rappresentare, con una voce sola, l'Europa nelle sedi internazionali.
L'Europa si trova oggi ad un bivio: da una parte, è possibile lavorare per introdurre


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strumenti che conducano ad un'Europa allargata più unita e più forte, dall'altra, si rischia di tornare indietro ad un'Europa meno unita e meno forte, favorendo così il prevalere delle spinte nazionaliste. In questo contesto, l'equilibrio delle posizioni da assumere è fondamentale, ed i passi in avanti verso un sistema federale sono destinati forse a doversi purtroppo scontrare con alcune contrarietà.
Riteniamo sia ancora oggi necessario salvaguardare gli elementi che hanno caratterizzato il processo di unificazione europea fin dalle origini, costruendo una unione di Stati nazionali che si basi su un doppio registro di metodo intergovernativo e di metodo comunitario. In questo contesto - di per sé, è ovvio -, gli attuali sforzi nel riequilibrare il ricorso all'uno o all'altro meccanismo decisionale dovranno tendere a favorire - ed è chiara la nostra posizione su questo aspetto -, ove possibile, il ricorso al metodo comunitario. La nostra preferenza, come abbiamo sostenuto negli ultimi mesi e negli ultimi anni, va chiaramente in questa direzione.
Il testo della bozza di Costituzione ha introdotto certamente alcune novità rilevanti per quanto riguarda la salvaguardia dei diritti fondamentali, e tra questi il tema della libertà religiosa. La Carta di Nizza è stata infatti incorporata nella seconda parte della Costituzione; l'articolo 7 prevede la possibilità per l'Unione europea di aderire alla Convenzione sui diritti dell'uomo e le libertà fondamentali del Consiglio d'Europa. L'articolo 51 della Costituzione riprende la dichiarazione n. 11, annessa al Trattato di Amsterdam; tale norma vincola gli Stati a riconoscere e rispettare lo statuto particolare delle chiese secondo le disposizioni nazionali.
L'articolo costituisce, inoltre, la base per un dialogo permanente tra le Chiese e le istituzioni europee. Nonostante i citati riconoscimenti al ruolo della religione e delle Chiese, è molto criticabile l'assoluta mancanza nel preambolo di un riferimento esplicito alle radici cristiane dell'Europa, perché in tal modo si taglia la radice più antica è pur sempre viva della storia europea.
C'è da chiedersi - lo dico con una battuta che, forse, può apparire anche polemica - se quello che ricorda i lumi e non il cristianesimo e la tradizione giudaico-cristiana sia il preambolo per una Costituzione europea o un puro artificio che getta un'ombra scura che, invece, annebbia tutto ciò che si voleva illuminare con il preambolo.
Il tema di fondo, infatti, è questo: eliminare nella Carta la memoria costitutiva della storia dei popoli europei consente al testo di continuare ad essere la Carta fondamentale che illumina il passato, il presente e il futuro dell'Europa in Europa? Penso di no, non solo per alcune sensibilità personali o alcuni aspetti della religiosità personale. Ritengo che ogni spirito laico ed ogni storico degno di tale nome, di qualunque ispirazione religiosa o irreligiosa presente sul territorio europeo non possa che affermare la verità storica. La storia degli Stati e del diritto, la storia stessa dell'idea di Europa hanno origine in alcune forti e fondamentali idealità giudaico-cristiane. Ciò testimoniano i documenti e perciò - come ci insegna la stessa filosofia della ragione che trova, invece, spazio nel preambolo - non è possibile negare l'evidenza senza che essa provochi un grave danno presente e futuro.
Sono certo che lo spirito e la provvidenza che ispirò i laici padri fondatori degli Stati Uniti d'America continueranno ad ispirare il lavoro proficuo e intelligente dei nostri rappresentanti alla Convenzione e, soprattutto, dei rappresentanti del Parlamento nelle sedute che mancano.
La bozza di Costituzione contiene anche nuove disposizioni che sono il frutto di difficili compromessi, ma che certamente contribuiranno a rendere l'azione politica europea più coerente e continua in vista di un consolidamento del Governo europeo. Il problema del superamento della Presidenza semestrale con un mandato di due anni e mezzo può costituire un notevole passo in avanti.


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Le altre questioni aperte relative ai poteri del Presidente e al ruolo del nuovo ministro degli esteri europeo potranno richiedere correttivi che li rinforzino ulteriormente. Molte soluzioni proposte nel testo attuale vanno nell'auspicata direzione di un rafforzamento dell'Unione. Nel suo complesso il testo sembra andare, però, in una direzione soddisfacente. La sua adozione è indispensabile, tenuto conto degli scenari internazionali e delle conseguenze degli ultimi successi europei (l'Europa a 25 e la moneta unica), che impongono di per sé un'evoluzione del sistema.
Si potrà lavorare per completare e migliorare i contenuti dell'attuale bozza, superando le riserve su aspetti controversi, quali il rapporto tra il Consiglio dei ministri e la Commissione europea e i poteri del Presidente dell'Unione europea. Si dovrà tentare di superare le resistenze sull'introduzione delle decisioni a maggioranza nell'ambito del secondo pilastro di Maastricht (la politica estera e di sicurezza comune). Gli equilibri da trovare sono difficili e non dipendono certo dal presidium o dalla Convenzione, in quanto sono gli Stati che saranno chiamati a firmare e poi a ratificare il nuovo trattato.
Occorre lavorare per una nuova Europa più unita, eventualmente utilizzando gli strumenti di flessibilità come la cooperazione rafforzata, già prevista e collaudata attraverso gli esempi di Schengen e della moneta unica, che fino ad oggi ha consentito di raggiungere straordinari traguardi ritenuti impossibili.
Voglio esprimere un plauso e dare merito ai nostri rappresentanti nella Convenzione ed allo stesso Vicepresidente del Consiglio che hanno raccolto l'idea e il suggerimento appassionato del Presidente della Repubblica Ciampi sulla opportunità di un'iniziativa dei sei paesi fondatori. Vorrei ricordare come questa iniziativa, grazie all'impegno dell'Italia, del suo Governo e dei suoi rappresentanti stia decollando anche in vista degli ultimi passaggi propri della Convenzione.
Tutto ciò e, soprattutto, il rafforzamento del ruolo del Parlamento europeo come istituzione rappresentativa dei popoli europei non avrà alcun senso se non si riuscirà, contestualmente, a rafforzare le istituzioni democratiche ed a garantire la partecipazione dei popoli europei alla vita di quella che noi tutti auspichiamo, a partire da Cattaneo in poi, divenire la federazione degli Stati Uniti d'Europa.
Riteniamo di prioritaria importanza proseguire nell'opera di consolidamento del Parlamento europeo che costituisce l'unica istituzione veramente rappresentativa dei popoli europei. È sul Parlamento che occorre puntare per rendere più democratico il sistema ed auspichiamo un impegno dei partiti politici europei nel costruire e delineare i centri di aggregazione e comunicazione che possano condurre l'elettore a votare per un proprio rappresentante in Europa.
Fino ad oggi le elezioni europee sono state prevalentemente vissute come una verifica, purtroppo soprattutto in Italia, di equilibri politici nazionali. Le cose stanno cambiando e dovranno cambiare. Si sta formando un'opinione pubblica europea più attenta alle questioni dell'Unione europea ed alle attività del Parlamento europeo. Vicende come la crisi della Commissione Santer dimostrano che esiste tale tendenza e su questo occorre lavorare non solo nella costituzione, ma anche nella creazione di nuovi e solidi partiti europei che sappiano interpretare le istanze dei popoli che rappresentano, cioè i popoli d'Europa.
In ogni caso, sarebbe importante che nella fase finale della discussione della bozza e nella sua approvazione, che auspichiamo avvenga nei tempi previsti, si faccia uno sforzo per sgombrare il campo dagli interessi nazionali che ancora oggi dominano la scena e per porre al centro del dibattito l'ordine nuovo di quei popoli europei. Einaudi, nel 1948, scriveva sul Corriere della Sera un appello caloroso ed importante che sottolineava la necessità di una forte Europa come condizione necessaria e sufficiente per evitare ancora guerre future tra paesi europei. Allo stesso modo, oggi, il Presidente della Repubblica Ciampi instancabilmente ripete a tutti, ed


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in ogni occasione, la straordinaria opportunità e l'indispensabile necessità di giungere ad un testo costituzionale forte di un'Europa più forte per i cittadini di oggi, per quelli di domani e per i nuovi equilibri geopolitici internazionali.
Più Europa - l'abbiamo detto due mesi e mezzo fa ai nostri rappresentanti alla Convenzione ed al nostro rappresentante del Governo - è anche più speranza per chi non c'è ancora, per i nostri figli, per chi guarda alla nostra storia del passato e del presente con grande speranza.
Ringraziamo ed auguriamo buon lavoro al Governo ed ai nostri rappresentanti alla Convenzione (Applausi dei deputati dei gruppi dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro, di Alleanza nazionale e del deputato Spini).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Stucchi. Ne ha facoltà.

GIACOMO STUCCHI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei in via preliminare sottolineare come il dibattito odierno costituisca, forse, l'ultima occasione per la Camera di fornire indicazioni per la definitiva stesura del progetto di trattato costituzionale che la Convenzione consegnerà al Consiglio europeo di Salonicco del 20-21 giugno. È, quindi, particolarmente importante delineare orientamenti chiari che siano di efficace supporto all'attività finale dei rappresentanti, sia parlamentari, sia del Governo, alla Convenzione. A tale riguardo credo si debba dare atto ai nostri rappresentanti di aver svolto un'azione utile anche sulla scorta delle indicazioni parlamentari emerse in precedenti dibattiti sull'attività della Convenzione europea.
Prima di svolgere alcune considerazioni in merito al progetto di trattato costituzionale presentato dal Praesidium, desidero rilevare che la primaria importanza di tale progetto deriva dalla circostanza che esso è stato elaborato da un organismo composto anche da rappresentanti parlamentari e, quindi, da rappresentanti della volontà dei popoli dell'Unione. È, infatti, essenziale che la futura Unione sia fondata non soltanto sulla volontà degli Stati, ma anche su quella dei popoli dell'Europa.
Sotto tale profilo condivido pienamente il richiamo, contenuto nel preambolo al progetto di trattato costituzionale predisposto dal Praesidium, ad un'Europa unita nelle diversità, composta da popoli decisi a superare le antiche divisioni pur restando fieri della loro identità. Ciò risponde ad una giusta idea di Unione europea che rappresenti un'unione di Stati nazione che esercitino congiuntamente la sovranità in settori determinati in modo da trarre maggiore beneficio dalle politiche di integrazione europea nel rispetto dell'identità di ogni Stato membro.
L'impianto complessivo del progetto di trattato costituzionale mi sembra condivisibile in quanto delinea un corretto equilibrio sia nella ripartizione delle competenze tra Unione e Stati membri, sia tra le istituzioni dell'Unione. In particolare, risulta innovativa ed apprezzabile la previsione di un Presidente del Consiglio europeo eletto dallo stesso Consiglio con un mandato di due anni e mezzo. Ciò assicura continuità e coerenza d'azione all'organo che, nell'architettura costituzionale dell'Unione, deve elaborare le linee strategico-politiche generali.
Sarebbe opportuno, peraltro, definire e delimitare con maggiore chiarezza le funzioni del Presidente per evitare possibili sovrapposizioni o rivalità con il ruolo esercitato dal Presidente della Commissione europea e dalla nuova figura, anch'essa apprezzabile, del ministro europeo degli affari esteri.
D'altra parte, al fine di assicurare il rispetto del principio di uguaglianza da parte di tutti gli Stati membri, si potrebbe pensare ad una Vicepresidenza a rotazione semestrale, andando in tal modo incontro alle richieste, per più versi comprensibili, degli Stati di minori dimensioni. Dobbiamo essere consapevoli che sulla questione della Presidenza del Consiglio si giocherà la partita fondamentale alla Convenzione e, successivamente, alla Conferenza intergovernativa. Per questo credo si debba mostrare la giusta flessibilità, alla


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ricerca di un compromesso che consenta di raggiungere l'auspicato accordo unanime sul trattato costituzionale. Non credo che al conseguimento di questo accordo giovino le polemiche tra il Presidente della Commissione e il Presidente della Convenzione. Anche se possiamo comprendere certe logiche istituzionalistiche, tuttavia pensiamo che non si possa condividere il timore che l'istituzione del Presidente del Consiglio finirà per schiacciare il ruolo della Commissione, semplicemente perché le funzioni dei due organi sono diverse. Mentre il Consiglio, e quindi il suo Presidente, hanno una eminente funzione di impulso politico, alla Commissione continua ad essere preservato il ruolo di garanzia e di iniziativa legislativa, che il progetto di trattato costituzionale delinea in modo equilibrato.
Condivido, inoltre, la scelta operata dal Praesidium della Convenzione di mantenere la decisione all'unanimità in alcune materie particolarmente delicate, come ad esempio la fiscalità. Non c'è ragione, infatti, di indurre forzate evoluzioni istituzionali in campi dove, molto più che in altri, è fondamentale che si formi una volontà politica comune per raggiungere decisioni efficaci. Sono, peraltro, favorevole ad estendere la procedura di codecisione e quindi a conferire potere legislativo al Parlamento europeo in settori finora esclusi: mi riferisco in modo particolare al bilancio comunitario.
Per quanto riguarda la Carta dei diritti, avremmo preferito che essa fosse oggetto di un protocollo allegato al trattato costituzionale, piuttosto che essere inserita nel corpo del testo. Questa soluzione, adottata dal Praesidium, rischia infatti di conferire alle disposizioni della Carta un valore giuridico non congruo. Infine, un'ultima notazione proprio sul preambolo al progetto di trattato costituzionale: non possiamo accettare che esso non testimoni il ruolo svolto dalla tradizione religiosa, in particolare cristiana, per il consolidamento e la diffusione dei valori comuni dell'Europa. È quindi essenziale inserire un forte richiamo a tale tradizione, con particolare riferimento alle radici giudaico-cristiane dell'Europa.
In conclusione, credo che - fatte salve le citate integrazioni - la Convenzione abbia raggiunto un risultato tutto sommato positivo (almeno per quanto riguarda questa fase pre Salonicco) e che sarà in grado di rispettare un obiettivo ambizioso, cioè quello di consegnare, proprio al vertice europeo di Salonicco, un progetto completo ed ampiamente consensuale. Ciò è particolarmente importante per il nostro paese, dato che spetta a noi convocare la Conferenza intergovernativa. Un mandato costituente fondato su un consenso solidamente strutturato è infatti la migliore garanzia per puntare alla firma del trattato costituente di Roma, sul quale peraltro auspichiamo - come peraltro evidenziato più volte anche in precedenti occasioni - un coinvolgimento del corpo elettorale: sentire, quindi, i cittadini per una scelta fondamentale per il futuro nostro e di tutta l'Unione (Applausi dei deputati del gruppo della Lega nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Russo Spena. Ne ha facoltà.

GIOVANNI RUSSO SPENA. Le informative, signor Presidente, sono state certamente attente ed articolate, tuttavia non possono fornire una risposta al giudizio che già Rifondazione comunista dava il 6 marzo, in quest'aula. Un giudizio che oggi è ancora più aspro per la separatezza delle alchimie istituzionali che si sono succedute in questi giorni. Il nostro giudizio sulla Convenzione è che la discussione è molto deludente, oscura e lontana dalla società, perché essa occulta, nell'assoluta tecnicità istituzionale, un vuoto allarmante. Ritengo, infatti, che non si possa nemmeno alludere ad una Costituzione, in assenza dei due elementi fondativi: l'identificazione, innanzitutto, di un popolo e l'identità dell'Europa dei popoli. Mi chiedo se possa essere concepita un'Europa muta sui valori forti ed aggreganti, schizofrenica sull'identità, mediocre nell'atto costitutivo simbolico. Dov'è l'idea-forza?


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Gli Stati Uniti d'America - per citare l'esempio più evidente ed eclatante -, a sostegno del loro modello capitalistico, hanno costruito il mito della frontiera, del loro modello di democrazia e di mercato, esportandolo ed imponendolo anche con le armate. A nostro giudizio, si tratta di un ethos tremendo e devastante che, comunque, dal suo punto di vista, ha un'ambizione forte. Al contrario, la Convenzione europea - come è stato giustamente sottolineato - non ha un'anima, non ha un tratto, non ha un segno e non ha nemmeno un sogno.
In secondo luogo, occorre evidenziare che è assolutamente assente un tratto fondativo di un ordinamento che voglia dirsi democratico e che dovrebbe interrogarsi sul paradigma fondativo, vale a dire la natura politica e sociale. Invece, nelle convulse trattative, quale paradigma viene delineato? Il problema - questo è il punto -, occultato nella sostanza, si ripresenta con la forza del fatto quando si discute - com'è evidente - di due punti non astratti, non generici ai quali non si può sfuggire: l'idea di sovranità e l'idea di cittadinanza, con i contenuti che le stesse assumono.
Non a caso qui scoppia il contrasto e ci si disperde in estenuanti trattative formalistiche perché, nella sostanza, il re è nudo. Invece di ricercare un'idea innovativa, originale di sovranità e di statualità, i poteri costituiti scelgono la via del mediocre compromesso istituzionale. Infatti, un principio come quello di sussidiarietà assume indebitamente una pretesa costituzionale.
In tal modo, i poteri si configurano come sfere politiciste, come luoghi separati dall'organizzazione della società civile. Lo scontro tra i Governi - quello tra Giscard d'Estaing e Prodi - ruota attorno alla concezione della sovranità, ma nella forma - direi veramente poco ambiziosa - della mera redistribuzione dei poteri.
Ci si interroga: dove risiederà la sovranità della futura Europa? Nelle mediazioni tra gli Stati nazionali sovrani oppure in un organismo sovranazionale dotato di poteri reali? Lo scontro è aspro perché allude, senza mai ipocritamente nominarlo, al grande tema del governo futuro della globalizzazione liberista in crisi. Nasce da qui lo scontro sulla guerra preventiva di Bush e sui protettorati militari unilaterali nel Medio Oriente, è qui lo scontro sulle ricette protezioniste e sull'economia.
Sia chiaro, riteniamo sia un'idea profondamente sbagliata riaffidarsi allo Stato-nazione, ad un'impossibile riesumazione di una forte sovranità nazionale come trincea su cui attestarsi di fronte alla violenza sradicante di un unico mercato globale. D'altra parte, non pensiamo si possa parlare - come sembra fare il Presidente Prodi - di un improvvisato interesse generale europeo, di un richiamo istituzionale al cosiddetto spirito di Lisbona.
Infatti, quel documento-guida sulle politiche economiche e sociali costituisce una mistura di precarizzazioni e di liberismo temperato; dunque, un vero e proprio dumping sociale, ma anche fuori dal contesto che è profondamente mutato.
Inoltre, non ci convince un'idealistica ed omologante identità europea, come rinvio ad una fittizia unica civiltà presunta superiore. Schengen, le politiche di blindatura dell'Europa contro i migranti, infatti, hanno un segno repellente ed escludente, etnocentrico.
Noi pensiamo, invece, all'Europa della ricchezza plurale, delle culture che comunicano ed intessono relazioni, all'Europa del métissage attivo tra persone che si riconoscono reciprocamente come differenti ed uguali al tempo stesso.
La ripresa del conflitto sociale e dei movimenti - ad esempio il movimento dei movimenti, ad Evian, aveva una forte progettualità -, questo magnifico spettro che si aggira per l'Europa parla non a caso di atti positivi di cittadinanza globale. Insomma, l'Unione europea vive un profondo deficit democratico, che non può essere sanato con una mera operazione di restaurazione dei poteri, cioè di riscrittura dei trattati.
Questo deficit ci pone degli interrogativi, infatti, sulla necessità di complessi e reali processi costituenti. Sto pensando alle prospettive indicate da Habermas di


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dar vita repubblicanamente - come dice - al popolo europeo, attraverso un processo costituente, attraverso un atto costituzionale che spezzi il legame naturalistico tra popolo, nazione e Stato che ha caratterizzato la complessa vicenda statuale in Europa, in una prospettiva universalista che sappia riprendere la critica di Kelsen della sovranità come ultimo residuo di un potere autocratico, verso una reale diffusione dei poteri, verso un percorso di diritti e di libertà.
Certamente, si tratta di un percorso difficile. Ma, ciò che ci prospettava, ad esempio, il Vicepresidente Fini il 6 marzo era una semplice attitudine adattativa, fondata su una collazione di trattati che, tra l'altro, sono dei pessimi trattati: sia Maastricht sia Amsterdam sia Nizza sono muti di fronte alla necessità dell'innovazione e del progetto. È inutile e grottesco fingere di fare la guardia al vuoto simulacro di un modello europeo che è stato devastato anche dalla fine delle politiche concertative socialdemocratiche. Quel compromesso sociale non ha più le basi materiali su cui reggere: distrutto dal patto di stabilità, che va superato da politiche espansive della domanda e da politiche salariali e sociali; spazzato via dallo Stato sociale minimo, da un welfare che viene sostituito da un workfare; tomba dei diritti universalistici; disciplinamento coatto per i lavoratori e per i pensionati; beneficenza per i poveri; libera circolazione per merci e capitali e fortezza blindata contro i migranti. Questo rende il trattato di Nizza mediocremente liberale: si interviene sul deficit e sul debito, dimenticandosi della qualità dello sviluppo, della disoccupazione, della crisi sociale.
Ciò è tanto più grave perché mutano contesto e fase. La Convenzione non ha più il vento in poppa di politiche liberiste vincenti, colleghe e colleghi. E nella crisi agisce un attore nuovo e fondamentale: il movimento per un altro mondo possibile e, quindi, per un'altra Europa possibile. Rinasce un'idea di spazio sociale, di nuovo spazio pubblico, di nuovo sistema di pace euromediterranea. In questa materia, certamente ancora complessa ed incandescente, si dipana il filo della ricerca e dell'elaborazione di un nuovo modello fondativo. Come si fa a non fare i conti con una critica del modello di globalizzazione così estesa, progettuale, radicale e plurale sul piano culturale? L'Europa politica può nascere come Europa dei popoli e recuperare autorevolezza nel conflitto con il comando globale statunitense, se pone la costruzione di se stessa all'altezza dello spirito dei tempi e della criticità di massa, se mette i diritti alla pace, al lavoro, all'ambiente all'interno di un quadro fondativo. I vuoti non si colmano, invece, con i richiami espressi alle radici religiose, tutt'altro. Questa è una propensione, da un lato, eurocentrica, dall'altro, integralista. Pensiamo ad esempio al Mediterraneo. E lo diciamo con il rispetto che Rifondazione comunista ha di fronte a temi delicatissimi come quelli delle identità religiose. Se guardiamo al Mediterraneo, le religioni monoteiste sono tre. Inoltre, se si parla di radici, occorre parlarne in termini di ricerca antropologica, sociale, culturale e storica. La retorica della dichiarazione di Laeken scrive - cito testualmente - che l'Europa è a un crocevia. L'interpretazione viene fornita da Candido Mendez, nuovo presidente della confederazione europea dei sindacati, quando scrive: l'Unione europea, invece di imporre tagli alle pensioni - e lo scrive due giorni fa -, dovrebbe stabilire come priorità il miglioramento della situazione economica e la coesione sociale. È da lì che deve ripartire - ed è un esempio importante - la costruzione dell'Europa. Colleghe e colleghi, questo è, anche per l'essenziale, il pensiero di Rifondazione comunista.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Armando Cossutta. Ne ha facoltà.

ARMANDO COSSUTTA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, non sembri cosa ovvia sostenere che l'Europa è a un punto cruciale, non solo e non tanto perché, fra pochi giorni - come sappiamo -, il Consiglio europeo dovrà licenziare il testo elaborato e proposto dalla Convenzione


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per la Costituzione europea, fatto che, già di per sé, rappresenta un avvenimento straordinario, di portata storica, anche perché coincide con l'allargamento degli attuali confini dell'Unione europea, che passa da quindici a venticinque paesi.
Intendo dire «cruciale» in quanto in tale occasione si dovrà esprimere nel testo della Costituzione una scelta tra due linee diverse di Europa. Se un uomo saggio e prudente come Romano Prodi - che alla costruzione dell'Europa ha dedicato e dedica tutte le sue energie, ma anche ricco della sua esperienza pluriennale alla testa della Commissione europea - lancia l'allarme con parole di grave preoccupazione, c'è davvero da stare all'erta. Se contemporaneamente Amato su Il Sole-24 Ore, Scalfari su la Repubblica e tante e tante personalità della cultura e dell'economia si uniscono a quell'allarme, vuol dire che siamo davvero a un punto cruciale. Vogliamo finalmente la Costituzione di un'Europa unita e federale o l'ennesimo trattato tra numerosi Stati europei?
Io credo che dobbiamo batterci per una vera Costituzione, la quale sancisca la nascita di una nuova grande entità - entità con la e maiuscola -, politica e non soltanto economica: l'Europa dunque, un continente che conti ed agisca nel mondo in quanto tale e non soltanto come un grande mercato commerciale e finanziario. Per questo dobbiamo bloccare il disegno riduttivo per quello che è stato definito da un illustre uomo di Stato come un mero trattato di coordinamento fra i governi, voluto in primo luogo dall'Inghilterra, la quale si oppone, di fatto e con fortissima determinazione, al formarsi di una concezione e di un'azione comunitaria che porterebbe l'Europa ad acquistare una propria identità europea e con essa una propria crescente autonomia nei rapporti internazionali. Non è un caso che l'Inghilterra si è fin qui rifiutata di adottare l'euro come moneta unica anche nel suo territorio, poiché l'euro era ed è di fatto l'anticipazione di quella visione e di quella pratica unitaria, comunitaria appunto. Inoltre, la potenza acquisita dall'euro sui mercati internazionali in così breve tempo fa intendere la portata che avrebbe una presenza europea unitaria anche nell'arena politica mondiale. Non occorre ripercorrere le vicende degli ultimi mesi, essendo ormai chiaro per tutti - io credo - che la guerra in Iraq, che non certamente la inesistenza di armi di sterminio poteva giustificare, ha messo viceversa in luce incontrovertibile gli intenti di dominio assoluto degli Stati Uniti d'America. Quella guerra ha dato vita ad una carta geopolitica del mondo profondamente mutata: sono gli Stati Uniti e soltanto gli Stati Uniti a delimitarla in tutti i suoi aspetti. Oggi essi possono agire senza condizionamenti, senza contrappesi, senza ostacoli. Potranno farlo all'infinito?
La nascita di un'Europa unita e naturalmente autonoma, forte economicamente, politicamente e anche militarmente, è perciò vista dagli Stati Uniti come fumo negli occhi e l'Inghilterra fa il gioco degli Stati Uniti. Ci sarebbe da restare interdetti di fronte al fatto che dall'Inghilterra vengano le fortissime opposizioni che ho citato sugli aspetti istituzionali e ordinamentali e invece non vengano opposizioni a iscrivere nella Carta - che essa vuole chiamare Trattato, noi vogliamo chiamare Costituzione e vogliamo che tale essa sia, con tutte le implicazioni vincolanti - dei contenuti sociali avanzati e delle affermazioni a difesa dei diritti democratici e dei valori progressisti. Ma in verità non c'è da meravigliarsi, poiché tutto questo non turba Londra fin tanto che questo rimane scritto e sancito nei testi, con un'Europa che continui a non essere Europa, quindi più come invocazioni che come determinazioni.
Anche in questo caso, come sempre e come dappertutto, illustre Presidente, emerge il rapporto indissolubile fra natura, compiti, poteri delle istituzioni e capacità, anzi possibilità, di un'opera di Governo, ai quali si afferma di volersi riferire.
Per una politica efficace, cioè effettiva, occorre sempre compiere delle scelte - che possono anche essere operate all'unanimità da quanti debbono attuarle - che finiscono, però, per non essere tali quando


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l'unanimità non si verifica perché la mancanza di essa, o la stessa unanimità solo formale, inducono al rinvio e all'abbandono delle scelte necessarie.
Chi oggi si batte per rendere obbligatoria l'unanimità delle decisioni nel Consiglio europeo vuole, di fatto, garantirsi, non soltanto il diritto di veto, ma, con esso, il diritto di non cambiare nulla, o, addirittura, di non fare nulla; cito, ad esempio, la politica estera, della difesa, la politica fiscale e la politica della giustizia.
Peraltro, il voto a maggioranza è una norma già esistente sia nel Parlamento europeo - eletto direttamente dai popoli - sia nella Commissione europea, organizzazione comunitaria per eccellenza; si vuole impedire che ciò sia possibile anche nel Consiglio, dove siedono i capi dei governi europei e dove si adottano decisioni fondamentali.
L'unanimità dei voti che si vuole obbligatoria in questo organismo dei rappresentanti di venticinque Stati equivale ad una garanzia di nullità; vi è chi tale nullità la vuole per lasciare ad altri, nel vuoto di poteri europeo, la responsabilità di decidere e di operare come meglio crede e meglio vuole.
Se l'Europa accetta questa logica non vi sarà l'Europa che è necessario ed è possibile avere; l'Europa, cioè, con un Parlamento che possa contare, finalmente, sulle scelte e sulle decisioni e non soltanto sulla ratifica delle scelte e delle decisioni operate dai governi; ciò, con una Commissione che, quale organo esecutivo comunitario, possa proporre al Parlamento leggi e provvedimenti.
Una Commissione con un Presidente - oggi Prodi - eletto (non soltanto ratificato) dal Parlamento e, come tale, rappresentante dell'Europa stessa nel mondo e con un ministro degli esteri - membro della stessa - che proponga ed effettui una politica estera e di difesa valida per tutta l'Europa. Sto parlando, ovviamente, di una politica concordata con tutti i governi, ma autonoma da essi, in quanto svincolata dall'obbligo di un voto all'unanimità.
Quanto è stato fatto dall'Unione europea in questi anni è molto importante, ma ora siamo ad un punto cruciale, non solo per il suo sviluppo, ma per la sua stessa esistenza. L'accento, quindi, deve essere posto ora sulla elaborazione e definizione della Costituzione, sulla natura comunitaria dell'Europa e, quindi, sulla prevalenza del ruolo del Parlamento europeo e, finalmente, anche sull'associazione dei parlamenti nazionali nell'approvazione delle decisioni fondamentali e non soltanto nella loro ratifica.
L'Italia dovrebbe riuscire a fare valere queste valutazioni unendosi, non già all'Inghilterra, ma allo sforzo che stanno compiendo i paesi fondatori dell'Unione, e cioè la Francia, la Germania, il Benelux.
Ad essi l'Italia deve dare il suo contributo in corrispondenza con il suo ruolo storico di paese fondatore dell'Europa e con il suo ruolo importantissimo di paese mediterraneo, proiettato a ricercare, più e meglio di altri, rapporti positivi con i molti paesi dei Balcani e della costa meridionale di questo mare di millenaria civiltà.
Dubito che questo Governo sia in grado di capire una tale politica e, tantomeno, di esercitarla.
La dipendenza ingloriosa dell'Italia dai voleri degli Stati Uniti per la guerra in Iraq non è certo un buon passaporto verso l'Europa e il mondo per il Governo di Berlusconi che sta per assumere la Presidenza semestrale dell'Unione.
Di tale Presidenza semestrale parleremo presto in quest'aula, adesso è compito della Camera e del Senato e di tutte le forze democratiche esercitare i controlli necessari ad evitare, perlomeno, di peggiorare ulteriormente lo scarso prestigio di cui gode il Capo del nostro Governo. Le forze democratiche debbono battersi tutte assieme per la costituzione di un Europa democratica, unita e comunitaria, portatrice di valori di libertà, di giustizia, di pace, di progresso economico, sociale e culturale (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Comunisti italiani, dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e Misto-Socialisti democratici italiani).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Intini. Ne ha facoltà.


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UGO INTINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei manifestare innanzitutto soddisfazione per la convergenza che si è evidenziata negli interventi degli onorevoli Follini e Spini. Si tratta di una posizione bipartisan che non stupisce perché le tradizioni cristiano-popolare e socialista-democratica da sempre convergono sui temi europei. Oggi siamo ad una svolta: la costruzione europea è cominciata dall'economia (è un bene, cioè in linea con i tempi), ma adesso abbiamo bisogno della politica, altrimenti crollerà anche la costruzione economica. Mai, infatti, una moneta è stata appesa al nulla; una moneta è appesa ad una politica estera, della difesa e della giustizia. Non per caso tre simboli sempre si accompagnano: la moneta, la spada e la bilancia.
Un tempo si diceva della Germania ciò che oggi si può dire dell'Italia e soprattutto dell'Europa: un gigante economico, un nano politico e militare. Non dobbiamo fallire dunque nella costruzione europea e, tuttavia, per questo dobbiamo vedere gli ostacoli, senza ipocrisia. Certo, si tratta di ostacoli di conservatorismo nazionalista; certo lo è l'egoismo, ma lo è anche la capacità di attrazione degli Stati Uniti.
A Washington molti vedono l'euro come il nemico del dollaro; molti vedono l'Europa come un ostacolo all'egemonia ed all'unilateralismo americano. Non è un caso se i nove paesi che vogliono rimanere fermi al modesto Trattato di Nizza sono i più filoamericani.
Il sottosegretario Wolfowitz, uno stratega della nuova destra americana, nel 1993 preparò un rapporto riservato, che però fu pubblicato dal New York Times, nel quale si sviluppava una teoria: si diceva che, vinta l'Unione sovietica, gli Stati Uniti non dovevano permettere la nascita di un nuovo concorrente, di un nuovo ostacolo all'egemonia americana, anche se si trattava di un alleato e di un amico (pensava evidentemente all'Europa). Si è sempre saputo che questo era il nodo.
Filippo Turati, il padre del riformismo socialista, addirittura nel 1929 scriveva al leader socialista inglese Henderson, affermando che abbiamo bisogno degli Stati Uniti d'Europa, «altrimenti diventeremo una colonia di quella nostra colonia di un tempo che sono gli Stati Uniti d'America».
Dobbiamo sapere che Europa e Stati Uniti sono diversi, che hanno identità diverse. Negli Stati Uniti vi è la pena di morte e non c'è il welfare state, mentre in Europa è esattamente il contrario. Negli Stati Uniti c'è più individualismo e più durezza, in Europa più solidarismo e più softness. Ciò anche perché in Europa vi sono radici cristiane. Ha ragione l'onorevole Follini: vi sono radici socialiste che in America non sono presenti. Dobbiamo sapere tutto questo; dobbiamo lavorare per una politica estera comune, per una politica militare comune che costa, certo, ma trascina con sé anche innovazione tecnologica e progresso scientifico.
Dobbiamo però lavorare all'unità politica europea non per contrapporla agli Stati Uniti. Dobbiamo ricostruire l'alleanza atlantica perché il mondo è troppo piccolo e pericoloso per farne a meno (certo si deve trattare di un'alleanza fra uguali). Un punto di equilibrio va trovato, individuando e recependo il meglio dell'Europa ed il meglio degli Stati Uniti e, probabilmente, è questo il compito di una nuova generazione.
Il Governo italiano è diviso tra chi crede in questi argomenti e chi segue, invece, una posizione liberista filoamericana, euroscettica o euro-ostile se si ascolta l'onorevole Bossi. Ma l'Italia deve scegliere. Ha ragione l'onorevole Rutelli: il Governo deve scegliere e credo debba scegliere il cuore dell'Europa. Bisogna rispettare le posizione della Gran Bretagna e della Spagna, ma la Gran Bretagna ha un legame particolare con l'America. Churchill diceva che l'Atlantico è più stretto della Manica. La Spagna sa che presto negli Stati Uniti metà dei cittadini parleranno inglese e metà parleranno spagnolo. L'Italia ha altri interessi; l'Italia non a caso è, con Francia e Germania, il terzo grande padre fondatore dell'Europa per volontà di De Gasperi e di Saragat.

PRESIDENTE. Anche di Martino.


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VALDO SPINI, Rappresentante della Camera dei deputati presso la Convenzione europea. Di Gaetano Martino!

UGO INTINI. Lì, tra i padri fondatori, l'Italia deve continuare a stare. Può contare sulla tradizione socialista, che è all'opposizione, sulla tradizione cattolica democratica che è nell'opposizione e nella maggioranza e che nella maggioranza va certo al di là del peso dell'UDC.
Queste due tradizioni si possono unire e giungere ad una posizione bipartisan, ad una mozione comune che io auspico con convinzione. Vorrei concludere con una considerazione di scottante attualità: la rissa sul tema della giustizia deve finire! La delegittimazione reciproca fra maggioranza e opposizione deve finire, come continuamente chiede il capo dello Stato.
Lo scontro fra magistratura e Governo si risolve infatti in un disastro per chiunque lo vinca. Far credere all'Europa che in Italia i casi sono due: o ha ragione Berlusconi e c'è una giustizia inaffidabile o hanno ragione i magistrati e c'è una politica corrotta. Oppure hanno ragione entrambi, nel senso che c'è una politica corrotta ed una giustizia inaffidabile. Chiunque vinca, perde l'Italia! Questo non è possibile, altrimenti rischiamo di essere messi sotto esame per una sorta di Maastrich 2. Raggiunti dall'Italia i parametri di convergenza economica, con immenso sacrificio, l'Europa ci chiederà di raggiungere i parametri di convergenza sugli standard di moralità e di credibilità per uno Stato di diritto. Questa è una provocazione, ma purtroppo è una provocazione non lontana dal vero. Se si cerca di evitare lo scontro muro contro muro sul tema della giustizia, non è perché si ama l'inciucio, ma perché si ama l'interesse nazionale e si sa che cos'è il senso dello Stato.
La rissa fra la politica e la giustizia, dobbiamo saperlo, rischia di dividere l'Italia, ed è grave, ma rischia anche di dividere l'Italia dall'Europa; ed è ancora più grave (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Socialisti democratici italiani e dei Democratici di sinistra-l'Ulivo)!

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cima al quale ricordo che ha sette minuti di tempo a disposizione. Ne ha facoltà.

LAURA CIMA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei in primo luogo ribadire che, rispetto al dibattito che vi è stato, alquanto informale, fra il ministro Giovanardi e l'onorevole Rutelli, penso anch'io che sarebbe stata opportuna un'informativa ufficiale del Governo sulla Convenzione e sulla posizione del Governo italiano su un testo presentato da Giscard d'Estaing e già modificato - abbiamo l'ultima modifica prima di ieri notte, ieri notte è stato ancora modificato -, di cui i deputati dovrebbero essere messi a conoscenza, insieme ai nodi fondamentali che il Governo italiano ritiene rimangano aperti.
Devo dire che se il Governo italiano prendesse come punto di riferimento le relazioni svolte da Follini e da Spini, potremmo essere soddisfatti e tranquilli dal momento che a me sembra evidente che vi sia da una parte una forte convergenza e dall'altra una critica rispetto ad uno dei punti fondamentali, su cui invece il Vicepresidente del consiglio non offre queste assicurazioni (così come Giscard d'Estaing) che è rappresentato dallo scivolamento verso un'Europa intergovernativa, anziché comunitaria e federale.
Se noi dobbiamo leggere le relazioni svolte dai due rappresentanti, va bene; tuttavia io non credo che i rappresentanti, nonostante l'autorevolezza e la convergenza che hanno mostrato, possano rappresentare in questa sede il Governo italiano. Dunque, se da un lato comprendo l'esigenza dei presidenti dell'Ulivo di accelerare un dibattito per offrire elementi in queste ore importantissime che precedono il vertice di Salonicco, dall'altro avrei gradito che vi fosse una voce ufficiale del Governo in un'informativa. Così è, comunque.
Non riprendo dunque tutte le assai interessanti considerazioni svolte dai colleghi dell'Ulivo che mi hanno preceduto, in particolare dagli onorevoli Spini e Rutelli,


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e devo dire che noi riteniamo molto pericolosi questo scivolamento verso il potere intergovernativo ed il «ritorno a Nizza» che i nove paesi entranti vogliono portare avanti.
Per questo è molto importante raccogliere l'appello del Presidente della Repubblica sul forte ruolo dei cinque soci fondatori, che, se non altro, hanno una storia condivisa e, quindi, sono in grado di dare una svolta all'Europa politica, perché altrimenti si vanificherebbe tutto il lavoro della convenzione se ritorniamo a Nizza, perché ricordiamoci che quello è stato il punto più basso della politica intergovernativa che ha fallito drammaticamente e, se non ci fosse stata la Carta dei diritti e il varo della Convenzione, si sarebbero veramente chiuse le speranze per l'Europa politica.
Questo è il primo punto. Naturalmente collegato a questo vi è l'altro discorso, che ne consegue, circa il voto a maggioranza, perché se sulle questioni fondamentali di politica estera, della difesa, ma anche della politica economica - viste le difficoltà economiche e di recessione che anche l'Europa, trascinata degli Stati Uniti, nonostante l'euro forte, rischia - non si supera il voto unanime e non si dà la possibilità di votare a maggioranza e quindi si evita il diritto di veto di un paese piccolo qualunque (che ovviamente, visto anche come sono filoamericani, non ci sarebbe da stupirsi se in qualche modo avesse dei vantaggi, anche al di fuori da quello che si discute, per portare avanti un blocco delle decisioni europee), effettivamente rischiamo di fare un passo indietro.
Riguardo alla cooperazione rafforzata, credo sia fondamentale che sosteniamo, come Governo italiano, questo principio così come credo che sarebbe importante se, entro il 2009, noi chiarissimo che vorremmo arrivare ad un Presidente unico eletto dal Parlamento europeo, che rappresenti Consiglio e Commissione, oltre che dal ministro degli esteri, cosa che, mi pare, abbiamo già ottenuto.
Passo a ciò che ritengo un altro punto fondamentale di questa convenzione, che a Nizza era stato messo in evidenza visto il suo fallimento: il coinvolgimento dei cittadini europei in questo processo.
Abbiamo detto, e tutti lo hanno ricordato, che l'Europa ha una doppia legittimità di popoli e di Governi. I Governi pesano sempre più e noi non siamo d'accordo, perché vogliamo una Europa federale, ma qui non si lascia assolutamente spazio ai popoli, ai cittadini e ai rappresentanti dei cittadini se ne lascia pochissimo.
Voglio anche ricordare - perché non posso elencare tutti i punti che però mi sembrano estremamente importanti - l'appello del forum permanente della società civile agli innovatori della convenzione europea, che ha dentro di sé il richiamo alla ambizione e al coraggio per arrivare al Consiglio europeo di Salonicco - richiamo espresso anche dal nostro Presidente della Repubblica - e che chiede un insieme politico nuovo su basi federali, capace di fondare uno spazio integrato dove la protezione dei diritti fondamentali sia garantita ad ogni persona, di sradicare la povertà e promuovere l'inclusione sociale, di assicurare lo sviluppo sostenibile - non dimentichiamo che l'ambiente rischia anche in questa convenzione di essere la Cenerentola - e la coesione economica sociale, di garantire la sicurezza interna ed esterna, di definire e garantire il ruolo dell'Unione europea nel mondo. Non mi soffermo su questo punto fondamentale, ma dopo la guerra dell'Iraq mi pare evidente che o l'Europa riacquista questa capacità politica di intervenire nelle crisi con una voce che rappresenta differenze di storie, di culture e di nazioni o, altrimenti, si vanifica la volontà dei padri fondatori di evitare le guerre (ricordiamoci che l'Unione europea è nata dopo la seconda guerra mondiale proprio per evitare le guerre in Europa e nel mondo). E si ricorda che lo stesso discorso deve essere portato avanti per quanto riguarda la democrazia.
Nell'Europa attuale, che, con l'allargamento, diventerà ingestibile, c'è un deficit di democrazia. Dobbiamo eliminare la burocrazia (meno burocrazia, dunque) e fortificare


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la democrazia. Per fortificare la democrazia rappresentativa e partecipativa occorre anche fortificare la democrazia paritaria che permetta anche alle donne di avere un ruolo fondamentale nel Governo europeo.
Dunque, le specificazioni, articolo per articolo, e le raccomandazioni del Forum permanente della società civile sono un'integrazione che i deputati Verdi vogliono portare in questo dibattito cui attribuiscono moltissima importanza (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Verdi-l'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Guido Giuseppe Rossi. Ne ha facoltà.

GUIDO GIUSEPPE ROSSI. Signor Presidente, intervengo in conclusione di un dibattito che, ovviamente, non per colpa degli intervenuti, è stato stanco, poco vissuto ed invisibile politicamente. Lo strano destino di quella che viene disegnata come una svolta epocale forse si poteva evitare. Noi, come gruppo della Lega, in parte, lo avevamo previsto, poiché quello della Convenzione - lo abbiamo affermato -, se si può utilizzare questa terminologia, si è rivelato uno strumento debole, in alcuni passaggi «esoterico» ossia incomprensibile alla stragrande maggioranza dei cittadini di questo paese e dell'intera Europa, isolato, congelato dalle passioni politiche; uno strumento poco consono al compito storico che si è prospettato. Non vi è proporzione, dunque, tra i fini che vengono declamati - gettare le nuove fondamenta della nuova Europa - ed i mezzi che sono stati utilizzati.
Forse, un'Assemblea costituente, in cui la passione e la forza della politica avrebbero giocato un ruolo da protagonista, sarebbe stata uno strumento più consono, ma probabilmente è più comodo forzare i tempi della Costituzione europea e rifugiarsi all'interno delle chiuse e private stanze dei Praesidium delle Convenzioni.
Tornando ai temi importanti che sono alla base di questo dibattito, vorrei ricordare i due argomenti che forse hanno creato più agitazione dal punto di vista politico. In primo luogo, la possibilità o meno di inserire nel preambolo di questo testo costituzionale (o di riforma istituzionale) un riferimento ai valori cristiani. In secondo luogo, la questione istituzionale, ossia quali debbano essere i pesi ed i contrappesi all'interno dell'Unione europea. Pensiamo che il dibattito sulla possibilità o meno di introdurre un riferimento ai valori religiosi, che per l'Europa sono valori cristiani, lanci il segnale della debolezza del continente europeo. A fronte del nostro competitore, alleato, talvolta avversario, ossia gli Stati Uniti, vivaci dal punto di vista militare, economico e spirituale (si tratta di una nazione laica che, nella sua vita pubblica e politica, nell'ambito delle sue esternazioni, non ha paura di fare riferimento alla propria tradizione religiosa), in Europa manca questo coraggio e ci sia attarda in un dibattito che poteva avere un senso nel XIX secolo, tra clericali e anticlericali; nel 2003, il termine «cristiano», con riferimento alla cristianità, oltre a rappresentare un valore religioso, credo possa essere assolutamente accettato e vissuto in maniera positiva anche da chi non ha riferimenti religiosi, da chi è laico, perché è entrato nel nostro patrimonio comune di europei, di civiltà, di spiritualità, di modo di essere e di modo di concepire la vita e la società.
Per quanto riguarda le istituzioni ed il dibattito che si è aperto sulle modifiche istituzionali (anche questo è un tema poco comprensibile alla maggioranza dei cittadini), registriamo lo scontro tra il Presidente Giscard d'Estaing ed il Presidente Prodi.
Questo scontro ci lascia perplessi in quanto non riusciamo a capire quale valore aggiunto, in termini di federalismo e di europeismo, derivi da un maggiore protagonismo della Commissione europea, organismo che poteva avere, ed ha avuto, un ruolo importante negli anni cinquanta e sessanta, quando l'integrazione europea è partita da valori prettamente economici (carbone, acciaio e, successivamente, integrazione doganale), ma che, con il passare del tempo, ha assunto connotazioni sempre più politiche. Dunque, sinceramente non comprendiamo quest'invasione di


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campo da parte della Commissione presieduta, in questo momento storico, da Romano Prodi.
Allo stesso modo, non comprendiamo il dibattito, tutto interno, italiano, ma anche europeo, tra voto a maggioranza ed all'unanimità, tra metodo intergovernativo e metodo comunitario.
È un dibattito che non ci piace e che sottolinea, nuovamente, la mancanza di protagonismo del continente europeo, dell'Unione europea, dell'Europa sui grandi temi del mondo. Quali sono? Il dibattito sulla globalizzazione, sull'energia e sull'autosufficienza energetica di questo continente e, dunque, la riflessione sul nucleare, sul commercio mondiale, sulla capacità del continente europeo di riproporre politiche protezionistiche contro il dumping sociale e contro il liberismo selvaggio che sta devastando questo pianeta, il problema della natalità, il problema della difesa (l'Europa deve o meno investire nel campo della difesa?).
Questi sono i grandi temi che, a mio avviso, vengono solamente sfiorati dal dibattito della Convenzione.
Per concludere, la missione dell'Italia. Sappiamo qual è la missione degli altri paesi dell'Unione europea: ad esempio, sappiamo qual è la missione dell'Inghilterra, che vuole meno Unione europea perché ha i suoi legami con gli Stati Uniti; sappiamo qual è la missione della Francia e della Germania, che vogliono più Europa perché sanno, loro, di essere l'Europa e di comandare all'interno dell'Europa; non sappiamo quale sia la missione dell'Italia.
Dopo cinquant'anni, noi usiamo, senza voler offendere nessuno, il termine «euroconformismo», che, però, ha prodotto pochi risultati. Dunque, vogliamo dare ai nostri rappresentanti presso la Convenzione la seguente indicazione: occorrerebbero, forse, un po' di euroconformismo in meno e un po' di protagonismo in più.
È stato citato prima il ministro Tremonti, è giusto, si fa bene a citare il ministro Tremonti come esempio di nuovo protagonismo italiano all'interno dell'Europa.
Concludo dicendo che su alcuni elementi più prettamente tecnici diamo un giudizio positivo. Mi riferisco alla procedura di allarme preventivo, con la quale i Parlamenti nazionali possono intervenire nella fase ascendente e dunque dire la loro nel momento in cui nasce e viene prodotto il diritto comunitario, con la quale possono avvenire quegli sconfinamenti dell'Unione europea nei confronti degli Stati nazionali; mi riferisco alla questione del referendum - siamo assolutamente felici per la questione del referendum, uno dei nostri temi politici che sempre abbiamo posto all'attenzione, anche proponendo un progetto di modifica costituzionale dell'articolo 11 - e al diritto di recesso. Dopo il 20 giugno la palla tornerà nel campo della Conferenza intergovernativa....

PRESIDENTE. Onorevole, guardi che non ci sono i tempi supplementari.

GUIDO GIUSEPPE ROSSI. ... e si tornerà - e questo è un bene - alla politica.

PRESIDENTE. È così esaurita la trattazione dell'informativa sui lavori della Convenzione europea. Sospendo la seduta, che riprenderà alle ore 17.

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