Audizione del Capo negoziatore dell'Unione europea sulla Brexit, Michel Barnier - Roma, 12 novembre 2019 11 novembre 2019 |
Quadro repilogativo
Il
Consiglio europeo, sulla base della richiesta del Regno Unito, ha
approvato il
28 ottobre 2019, con procedura scritta, la
decisione con la quale si proroga ulteriormente il periodo ex art.50 del Trattato sull'Unione europea (TUE) dal 31 ottobre 2019 al 31 gennaio 2020, per consentire maggior tempo per la ratifica dell'Accordo di recesso da parte del Regno Unito. La decisione prevede che nel caso in cui l'Accordo di recesso sia stato ratificato da entrambe le parti, il recesso del Regno Unito possa anche avvenire prima del 1° febbraio 2020, nelle date del 1° dicembre 2019 o del 1° gennaio 2020.
Sempre il 28 ottobre, il
Consiglio europeo ha approvato una
dichiarazione che:
Si ricorda che i
nuovi testi dell'
Accordo di recesso del Regno Unito dall'UE e della dichiarazione politica che definisce il quadro delle future relazioni tra l'Unione europea e il Regno Unito sono stati approvati - in esito alla riapertura di negoziati sui testi già in precedenza negoziati dal Governo del Regno Unito, presieduto da Theresa May, e dall'UE, il 14 novembre 2018 - dal Consiglio europeo del 17 e 18 ottobre 2019.
Il
Primo Ministro del Regno Unito, Boris Johnson, aveva infatti presentato il
2 ottobre 2019 delle nuove proposte volte
a sostituire la clausola di backstop relativa al confine tra Irlanda e Irlanda del Nord (
che era stata concordata nell'Accordo di recesso del novembre 2018), che però presentavano vari profili problematici per l'UE, con particolare riferimento alla questione del confine doganale tra Irlanda e Irlanda del Nord ed al diritto di veto da parte dell'Assemblea dell'Irlanda del Nord sull'entrata in vigore e sul mantenimento delle norme volte a sostituire la clausola di
backstop. I
negoziati, dopo un iniziale stallo, si sono poi riaperti grazie ad una ulteriore modifica delle posizioni negoziali del Regno Unito ed al raggiungimento di un compromesso tra le parti. Si ricorda che, in precedenza, la
House of Commons ha respinto tre volte il testo dell'Accordo di recesso che era stato negoziato dal Governo presieduto da Theresa May (il 15 gennaio, 12 e 29 marzo 2019).
Il testo dell'Accordo di recesso e della dichiarazione politica da ultimo negoziati dovranno essere
approvati dal Parlamento del Regno Unito e, successivamente, dal
Consiglio dell'UE, a maggioranza qualficata rafforzata (
almeno il 72% dei membri del Consiglio dell'UE che rappresentino almeno il 65 % della popolazione dell'UE) e dal
Parlamento europeo.
Si ricorda che la
House of Commons il 19 ottobre 2019 ha
sospeso l'approvazione dell'Accordo di recesso fintanto che non sia stato addottato il
Withdrawal bill, che è il disegno di legge volto rendere efficace l'Accordo di recesso nell'ordinamento del Regno Unito e, successivamente, il 22 ottobre, ha approvato in seconda lettura il Withdrawal Bill, ma ha respinto la mozione del Governo volto ad accelerarne l'esame parlamentare in vista della scadenza del 31 ottobre. Il Governo del Regno Unito, valutata l'impossibilità di concludere l'esame parlamentare del Withdrawal Bill entro il 31 ottobre, ne ha chiesto la sospensione.
Infine, il 29 ottobre 2019
House of Commons ha
approvato la
mozione presentata dal Governo volta a indire le
elezioni generali il 12 dicembre 2019.
Si ricorda che l'
Accordo di recesso contiene norme volte a garantire una
uscita ordinata del Regno Unito dall'UE, e richiede per la sua entrata in vigore esclusivamente l'approvazione da parte dell'UE (da parte del Consiglio dell'UE, che delibera a maggioranza qualificata, previa approvazione del Parlamento europeo) e del Regno Unito. La
Dichiarazione sul quadro delle future relazioni è volta, invece, ad
impegnare le parti nell'ambito dei negoziati di un
futuro accordo sulle relazioni tra UE e Regno Unito, che potranno essere avviati solo dopo che il Regno Unito sarà diventato un Paese terzo e per la cui entrata in vigore, trattandosi di un accordo di natura mista, che riguarda non solo competenze dell'UE, ma anche degli Stati membri dell'UE, sarà
necessaria, a differenza dell'accordo di recesso,
la ratifica di ciascuno Stato membro, secondo le rispettive norme costituzionali.
Michel Barnier, che ha presieduto in qualità di capo negoziatore la Task force per i negoziati relativi all'Accordo di recesso, è stato invitato a presiedere anche la Task force che sarà incaricata di coordinare i negoziati per il futuro accordo di libero scambio tra UE e Regno Unito in quanto Stato terzo.
Ai sensi dell'art. 50 del Trattato sull'Unione europea (TUE), il processo di uscita del Regno Unito dall'UE
si sarebbe dovuto concludere entro due anni dalla notifica formale del processo di recesso dall'UE del Regno Unito avvenuta il 29 marzo 2017, e quindi, il
29 marzo 2019. L'articolo 50 del TUE prevede che, trascorso il periodo di due anni dalla notifica del recesso ovvero il periodo della proroga senza che un accordo di recesso sia entrato in vigore e in mancanza di un'ulteriore proroga, i Trattati cessino di essere applicati allo Stato recedente (scenario cd.
no deal).
Il
Consiglio europeo, avvalendosi della possibilità prevista dall'art. 50 del TUE, che non prevede limiti al numero e alla durata delle proroghe,
aveva già concesso, su richiesta del Regno Unito,
due proroghe del termine di due anni previsto dal sopracitato articolo. In particolare, il 21 marzo 2019 ha prorogato tale termine fino al 22 maggio 2019 il successivo 11 aprile 2019, ha concesso un'ulteriore proroga fino al 31 ottobre 2019.
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L'Accordo di recesso e la Dichiarazione politica sul quadro delle future relazioni tra UE e Regno Unito approvati dal Consiglio europeo del 17 e 18 ottobre 2019
Le modifiche all'Accordo di recesso
Rispetto al testo dell'Accordo di recesso negoziato da UE e Regno Unito il 14 novembre 2018 ed approvato dal Consiglio europeo il 25 novembre 2018, le
modifiche sostanziali hanno riguardato esclusivamente il Protocollo relativo all'Irlanda e l'Irlanda del Nord, che prevede una soluzione giuridicamente operativa volta ad
evitare una frontiera fisica sull'isola d'Irlanda,
tutelando l'economia dell'intera isola e l'accordo del Venerdì santo (accordo di Belfast) e al tempo stesso
salvaguardardando l'integrità del mercato unico dell'UE.
Gli
altri elementi dell'Accordo di recesso (
in particolare le disposizioni sui diritti dei cittadini, la liquidazione finanziaria dovuta dal Regno Unito e quelle relative al periodo transitorio fino al 31 dicembre 2020) restano
inalterati, riprendendo le disposizioni dell'Accordo di recesso già concordato tra UE e Regno Unito nel novembre 2018.
In particolare il nuovo Accordo di recesso reca le seguenti
modifiche:
Le modifiche alla Dichiarazione politica sul quadro delle future relazioni
Rispetto al testo approvato a dicembre 2008 il
nuovo testo della Dichiarazione negoziata da UE e Regno Unito a dicembre 2018, la modifica principale della dichiarazione politica riguarda il futuro delle relazioni economiche tra l'UE e il Regno Unito, aspetto per il quale il
Regno Unito ha optato per un modello basato su un accordo di libero scambio.
La dichiarazione politica prevede, infatti, l'impegno comune da parte dell'UE e del Regno Unito a negoziare un accordo di libero scambio ambizioso, senza dazi né contingenti tra l'UE e il Regno Unito. La Dichiarazione afferma che
impegni per la parità di condizioni (
level playing field) dovranno garantire una concorrenza aperta e leale. La natura esatta di tali impegni sarà
commisurata all'ambizione dei futuri rapporti e terrà conto dell'interconnessione economica e della prossimità geografica del Regno Unito. E' stato, inoltre,
inserito un
impegno delle parti alla
non regressione degli impegni in materia ambientale, sociale e del lavoro e un richiamo ai
principi ed agli impegni previsti nell'ambito dell'
Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici.
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Possibili esiti
Al momento si prospettano i seguenti
scenari:
La
Corte di giustizia dell'UE, nell'ambito del procedimento C-621/18, ha emesso il 10 dicembre 2018 una
sentenza con la quale ha stabilito che il Regno Unito può decidere, unilateralmente, di revocare la sua decisione di recedere dall'Unione europea, prima dell'entrata in vigore dell'accordo di recesso o prima della scadenza dei due anni prevista dall'art. 50 del Trattato sull'Unione europea o di una sua eventuale proroga. La Corte ha previsto che tale revoca deve essere decisa sulla base di un processo democratico e in accordo con le norme costituzionali nazionali.
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Preparativi dell'UE per una eventuale uscita del Regno Unito senza accordo
La Commissione europea ha
promosso preparativi per adeguarsi a tutte le implicazioni possibili a livello di
Istituzioni dell'UE, Istituzioni nazionali, regionali e locali e soprattutto da parte degli
operatori economici e dei
soggetti privati.
Su proposta della Commissione europea, l'UE ha già adottato una serie di proposte legislative volte a fare fronte ad una eventuale uscita senza accordo nelle seguenti
aree prioritarie: disposizioni relativi ai
diritti di residenza dei cittadini e agli
obblighi di visto;
servizi finanziari; trasporti aerei; dogane e regolamentazione sanitaria e fitosanitaria; clima.
La Commissione ha indicato che,
in caso di uscita senza accordo, il Regno Unito diventerà un Paese terzo senza regime transitorio. Da quel momento
tutto il diritto primario e derivato dell'UE cesserà di applicarsi al Regno Unito e non vi sarà il periodo di transizione previsto dall'accordo di recesso, il che ovviamente causerà notevoli disagi ai cittadini e alle imprese.
In questo scenario, le
relazioni del Regno Unito con l'UE saranno disciplinate dal diritto pubblico internazionale generale, che comprende le
norme dell'Organizzazione mondiale del commercio.
L'UE sarà tenuta ad
applicare immediatamente la propria normativa e le proprie tariffe alle frontiere con il Regno Unito, inclusi i controlli e le verifiche del
rispetto delle norme doganali, sanitarie e fitosanitarie e la verifica di conformità alle norme dell'UE. Nonostante i preparativi delle autorità doganali degli Stati membri, i controlli potrebbero causare importanti
ritardi alla frontiera. Inoltre, i soggetti del Regno Unito non potranno più essere ammessi a beneficiare delle sovvenzioni dell'UE e a partecipare alle procedure di aggiudicazione degli appalti dell'UE secondo le attuali modalità.
Analogamente, i cittadini britannici non saranno più cittadini dell'Unione europea, e saranno sottoposti a controlli supplementari quando attraversano le frontiere nell'UE. Anche in questo ambito gli Stati membri hanno effettuato importanti preparativi nei porti e negli aeroporti per garantire la maggiore efficienza possibile dei controlli, ma potranno comunque verificarsi dei ritardi.
Il
4 settembre 2019 la Commissione ha presentato una nuova
comunicazione sui preparativi per la Brexit, nella quale esorta tutti i portatori di interesse dell'UE a prepararsi per un'uscita senza accordo e ha pubblicato una lista di controllo dettagliata per aiutare le imprese che commerciano con il Regno Unito a ultimare i preparativi. Inoltre, la Commissione ha proposto al Parlamento europeo e al Consiglio di apportare adeguamenti tecnici alla durata delle misure di emergenza dell'UE in caso di mancato accordo nel settore dei trasporti ed ha altresì proposto di riproporre nel 2020 le attuali misure disposizioni di emergenza per il settore della pesca per il 2019 e per l'eventuale partecipazione del Regno Unito al bilancio dell'UE per il 2020. Infine, la Commissione ha proposto di mettere a disposizione il Fondo europeo di solidarietà e il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione per sostenere le imprese, i lavoratori e gli Stati membri più colpiti a seguito di un'uscita senza accordo. Queste proposte sono state gia approvate dal Parlamento europeo in prima lettura nell'ambito della sessione del 21-24 ottobre 2019 e sono attualmente all'esame del Consiglio dell'UE.
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I temi di interesse italiano implicati dalla Brexit
L'Italia ha partecipato al negoziato
all'interno del fronte europeo, che ha manifestato
coerenza e compattezza. Le questioni di maggiore rilevanza nazionale sono:
Con specifico riferimento ai cittadini italiani (e comunitari), Londra si è impegnata a garantire tutti i diritti attuali agli europei che già risiedono nel Regno Unito. Gli italiani che vorranno garantirsi lo status di residenti e l'accesso a sanità pubblica e sicurezza sociale, dovranno chiedere un permesso di permanenza e dovranno avere vissuto nel Regno Unito per almeno cinque anni. La libera circolazione delle persone, secondo quanto previsto dall'Accordo di recesso, dovrebbe terminare il 31 dicembre 2020, fino a tale data dovrebbe essere in vigore l'accordo di transizione, in virtù del quale sarà ancora possibile stabilirsi e lavorare nel Regno Unito senza permessi particolari. Ci sarà tempo fino al giugno 2021 per presentare la domanda e chi non ha ancora raggiunto i 5 anni di residenza godrà comunque di un "
presettled status", che diventerà
settled status, cioé residenza definitiva, una volta maturati i cinque anni. Va ricordato come il Regno Unito, a differenza dell'Italia, non abbia un sistema di registrazione dei cittadini europei residenti nel suo territorio (certificato di residenza) e abbia per questo motivo dovuto avviare una procedura specifica, già disciplinata in parte nell'Accordo di recesso.
Per seguire e coordinare le attività inerenti la Brexit, il
Governo italiano ha istituito una
Task Force per la Brexit.
I preparativi italiani si iscrivono nel contesto del piano collettivo europeo e hanno l'obiettivo principale di garantire, anche con misure legislative:
Il 25 marzo 2019 il Governo ha adottato il
c.d. Decreto Brexit (DL 25 marzo 2019, n.22
convertito in Legge del 20 maggio 2019 n.41) per assicurare la stabilità finanziaria e integrità dei mercati, la tutela dei diritti dei cittadini britannici residenti in Italia, nonché il rafforzamento della rete consolare nel Regno Unito e dell'assistenza nei confronti della comunità italiana ivi residente.
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I risultati del referendum del giugno 2016
I risultati del referendum sulla permanenza del Regno Unito nell'UE tenutosi il
23 giugno 2016, hanno visto la vittoria del
Leave (con il 51,9% dei voti) contro il
Remain (con il 48,1% dei voti), con un'affluenza alle urne del 71,8% dell'elettorato (oltre 30 milioni di persone).
Il Paese è risultato
molto diviso. A favore del
Remain sono stati
la Scozia (62%), Londra (59,9%), l'Irlanda del Nord (55,8%) ed il territorio d'Oltremare di Gibilterra (95,9%).
Il voto è apparso anche molto
diviso demograficamente, con i
giovani tra i 18-24 e i 25-34 anni che hanno votato rispettivamente per il 73% ed il 62% per
rimanere in Europa.
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